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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 13 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015 si prevede un rialzo, per la prima volta dal 2010, delle stime di crescita del prodotto interno lordo: in aumento dello 0,9 per cento nel 2015 e dell'1,6 per cento nel 2016 (rispettivamente contro lo 0,7 per cento e l'1,4 per cento stimato ad aprile 2015);
    sempre secondo nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, per la sanità le stime della spesa dal 2015 al 2019 ipotizzano un aumento annuo vicino al 2 per cento per ciascuno degli anni in esame, mentre l'incidenza sul prodotto interno lordo passa dal 6,8 del 2015 al 6,5 del 2019; per il 2016 la spesa sanitaria è stimata a 113,3 miliardi di euro: + 1,9 per cento sul 2015;
    nello specifico, per quanto riguarda la sanità, la nota di aggiornamento prende atto delle nuove misure approvate con il decreto-legge di agosto 2015 e pubblica una nuova tabella sull'evoluzione della spesa a legislazione vigente, che prevede: per il 2014 111,028 miliardi di euro, per il 2015 111,289 miliardi di euro e per il 2016 una stima pari a 113,372 miliardi di euro;
    secondo i dati pubblicati sul sito web del Ministero della salute gli importi finali del finanziamento per gli anni 2011-2014, intesi come risultato dello stanziamento iniziale al netto di tutte le manovre intervenute successivamente fino alla legge di stabilità per 2014, risultano essere: nel 2010 pari a 106,9; nel 2011 pari a 106,905; nel 2012 pari a 107,961; nel 2013 pari a 107,004;
    secondo l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel suo ultimo rapporto «Health statistics 2015», che ha mappato la spesa sanitaria dei 34 Paesi dell'organizzazione e delle economie emergenti, in Italia la spesa sanitaria pubblica e privata si assesta rispetto al prodotto interno lordo su una percentuale nel 2013 pari all'8,8 per cento, mentre quella tedesca all'11 per cento, quella francese al 10,9 per cento, quella greca e portoghese al 9 per cento prodotto interno lordo;
    sempre secondo il rapporto dell'Ocse, «La spesa sanitaria ha continuato a ridursi in Grecia, Italia e Portogallo nel 2013. La maggior parte dei Paesi dell'Unione europea ha riferito la spesa sanitaria pro capite reale al di sotto dei livelli del 2009». Il tutto mentre, al di fuori dell'Europa, la spesa sanitaria è cresciuta di circa il 2,5 per cento l'anno dal 2010. In generale, tra tutti i Paesi in esame la spesa sanitaria è stimata essere aumentata dell'1 per cento in termini reali tra i Paesi Ocse nel 2013, dopo lo 0,7 per cento del 2012 e lo 0 per cento del 2010;
    nonostante una diminuzione dell'investimento in sanità rispetto al prodotto interno lordo, il rapporto dell'Ocse «Reviews of health care quality: Italy 2014» evidenzia come gli indicatori di salute della popolazione italiana siano tra i migliori nell'area Ocse. L'Italia è al quinto posto tra i Paesi Ocse nell'aspettativa di vita alla nascita, 82.3 anni. I tassi di ricovero ospedaliero per asma, malattie polmonari croniche (bronco pneumopatia cronica ostruttiva) sono tra i più bassi dell'area Ocse e quelli di mortalità a seguito di ictus o infarto sono ben al di sotto della media Ocse; l'Italia ha una buona assistenza fornita ad un prezzo contenuto, 3.027 dollari pro capite: l'Italia spende, infatti, molto meno dei Paesi limitrofi, quali Austria (4.593 dollari), Francia (4.121 dollari) e Germania (4.650 dollari). Il sistema delle cure primarie ha tradizionalmente fornito un'assistenza primaria di alta qualità, come dimostrato da indicatori di qualità, come il ricovero ospedaliero evitabile; i livelli di soddisfazione del paziente sono anch'essi alti;
    il rapporto Ocse evidenzia come l'Italia abbia fatto un passo importante verso il maggiore coordinamento e l'integrazione dell'assistenza con la «legge Balduzzi» (legge n. 189 del 2012), che incoraggia la creazione di reti di assistenza territoriale; il personale sanitario offre, nel complesso, un'assistenza di alta qualità; molte sono state le iniziative che a livello nazionale hanno costituito il quadro giuridico attraverso il quale garantire un'assistenza sanitaria di qualità: il Patto per la salute, i livelli essenziali di assistenza, il sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria, il programma nazionale per la promozione permanente della qualità nel Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia italiana del farmaco;
    lo stesso rapporto evidenzia, però, alcune criticità come il fatto che il miglioramento della qualità e la riorganizzazione del sistema hanno assunto un ruolo secondario quando la crisi economica ha iniziato a colpire e il risanamento delle finanze è divenuto priorità assoluta, nonostante i bisogni di salute evolvano rapidamente;
    sempre secondo il rapporto l'Italia deve confrontarsi con un crescente invecchiamento della popolazione ed un aumentato carico delle patologie croniche, che probabilmente si tradurranno in aumentati costi dell'assistenza ed ulteriore pressione sul settore delle cure primarie; attualmente il progresso verso un modello di sistema sanitario in cui la prevenzione e la gestione di tali patologie siano in primo piano è piuttosto lento; i servizi per l'assistenza di comunità, a lungo termine e di prevenzione sono poco sviluppati rispetto agli altri Paesi Ocse (l'Italia spende meno di un decimo di quanto spendono Olanda e Germania per la prevenzione; presenta la più bassa percentuale di operatori per l'assistenza a lungo termine osservabile nei Paesi dell'Ocse, in rapporto alla popolazione con 65 anni di età e oltre);
    più fonti, oltre all'Osce, nonché il comune convincimento che la frammentarietà dei livelli decisionali, a partire dalle regioni, comporta inaccettabili disuguaglianze, fanno sì che le iniziative nazionali volte al miglioramento della qualità dell'assistenza non vengano applicate in maniera omogenea a livello regionale; c’è uno scarso coordinamento da parte delle agenzie centrali delle diverse attività regionali connesse alla qualità; sono poco sviluppate o mancano del tutto alcune strategie chiave relative alla qualità;
    secondo l'Ocse, quindi, l'Italia si trova ad affrontare due sfide principali: la prima è quella di garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa in campo sanitario non vadano a intaccare la qualità quale principio fondamentale di governance; la seconda è quella di sostenere le regioni e province autonome che hanno una infrastruttura più debole, affinché possano erogare servizi di qualità pari alle regioni con le performance migliori. È necessario un approccio più solido e ambizioso al monitoraggio della qualità e al miglioramento a livello di sistema;
    il nuovo Patto per la salute, siglato tra le regioni e lo Stato il 10 luglio 2014 ed inserito per alcune sue parti nella legge di stabilità per il 2015, testimonia l'impegno congiunto di Governo e regioni di attuare importanti e concrete misure di programmazione della spesa sanitaria, con l'obiettivo di razionalizzarla, creando spazi finanziari da reinvestire nel settore della sanità;
    il nuovo Patto considera la salute non più come una fonte di costo, bensì come un investimento economico e sociale, delineando per questo percorsi chiari di interazione con i territori e le altre amministrazioni centrali;
    da ultimo, proprio con l'obiettivo di ridurre ed efficientare la spesa sanitaria, il decreto-legge n. 78 del 2015, «decreto enti locali», ha previsto che con decreto del Ministero della salute, da adottare entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, vengono individuate «le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale». Le prestazioni che non rispettano questi criteri dovranno essere pagate interamente dai cittadini. A controllare saranno gli enti del Servizio sanitario nazionale e, in caso di prescrizioni non conformi alle indicazioni fissate dal Ministero, i medici dovranno risponderne all'azienda sanitaria di riferimento e, se le giustificazioni saranno ritenute insufficienti, subiranno penalizzazioni economiche;
    la bozza di schema del decreto ministeriale individua 208 prestazioni tra odontoiatria, radiologia, laboratorio soggette ai criteri selettivi di erogazione previsti dal decreto-legge n. 78 del 2015;
    è generalmente condivisibile l'obiettivo di assumere il principio di appropriatezza, per cui si sottopone il paziente all'esame o all'intervento giusto per lui, sulla base delle migliori evidenze scientifiche, non di più ma neanche di meno;
    questo obiettivo richiede un cambiamento culturale profondo, lo sviluppo di maggiore collaborazione tra i medici di medicina generale e gli specialisti, un'adeguata informazione alla popolazione, la consapevolezza da parte di tutti che il Servizio sanitario nazionale non ha risorse infinite ed è necessario usarle in modo corretto ed oculato;
    sembra difficile, e non ci sono evidenze scientifiche, sociologiche o pedagogiche in tal senso, ottenere questi risultati usando solo la leva della sanzione,

impegna il Governo:

   al fine di una completa e corretta funzionalità del sistema sanitario nazionale, ad assumere iniziative per aumentare le risorse economiche del fondo sanitario per il 2016 già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità;
   a garantire l'entrata in vigore in tempi rapidi e comunque entro la fine del 2015 dei nuovi livelli essenziali d'assistenza, nonché del nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili;
   a proseguire nell'attuazione del Patto della salute firmato tra le regioni e il Governo nel luglio 2014, anche sollecitando i tavoli di lavoro insediati a portare a termine i compiti loro assegnati;
   a proseguire sulla strada dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, favorendo il cambiamento culturale, l'aggiornamento dei professionisti, nonché la collaborazione tra medici di famiglia e specialisti, rinviando, dopo un periodo di sperimentazione e di monitoraggio di due anni, la definizione delle misure sanzionatorie nei confronti dei medici che dovessero prescrivere prestazioni inappropriate;
   a predisporre ogni iniziativa atta a sbloccare il turn-over ed a superare il precariato sia nel settore medico che in quello infermieristico.
(1-01013) «Lenzi, Gelli, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Capone, Carnevali, D'Incecco, Fossati, Mariano, Murer, Patriarca, Sbrollini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il patto di stabilità interno (PSI), voluto per far fronte all'esigenza di convergenza delle economie degli Stati membri dell'Unione europea, ha creato non poche difficoltà agli enti locali che si sono ritrovati negli anni in serie difficoltà economico/finanziarie per rispettare il patto;
   il Governo ha emanato il decreto-legge n. 35 del 2013, considerata la straordinaria necessità ed urgenza di intervenire in materia di pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, nonché la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure in materia di patto di stabilità interno, con interventi finalizzati a garantire l'equilibrio finanziario degli enti territoriali;
   a un anno e mezzo dalla promessa non mantenuta, fatta pubblicamente dal Premier Matteo Renzi di pagare i 75 miliardi di euro di debiti (fonte Bankitalia) che la pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013, non è stato ancora portato a termine il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, poiché un terzo delle spese arretrate deve ancora essere saldato: secondo quanto riportato dal sito del Ministero dell'economia e delle finanze, che l'11 agosto 2015 ha inserito i dati nella sezione dedicata del sito che non veniva aggiornata da gennaio 2015, solo 38,6 miliardi di euro su quasi 57 stanziati, sono stati girati alle aziende, a cui ora vanno aggiunti i 2,9 miliardi previsti dal decreto enti locali; regioni e province autonome, a cui gli esecutivi che si sono succeduti hanno destinato in teoria 33,1 miliardi di euro perché saldassero le proprie fatture, in realtà se ne sono visti versare 27,2 e a loro volta ne hanno girati alle aziende solo 23,3;
   anche il piano del Governo per velocizzare i nuovi pagamenti non sembra funzionare come dovrebbe visto che gli enti pubblici continuano a pagare in ritardo e a non fornire i dati;
   secondo una serie di studi e analisi del centro studi «Impresa Lavoro» poiché «tali beni e servizi vengono forniti di continuo alla Pa, si è ricostituito nel 2014 uno stock di debito commerciale di 70 miliardi di euro (fonte Bankitalia). Quest'anno il trend è rimasto sostanzialmente inalterato, con un debito che attualmente viene stimato in circa 67 miliardi. Fino a quando non si interverrà in maniera strutturale sui tempi di pagamento, il problema resterà quindi insoluto costando alle imprese creditrici più di 6 miliardi di euro all'anno in anticipazioni bancarie»;
   il mancato pagamento delle pubbliche amministrazioni rappresenta una delle grandi cancrene del sistema economico-finanziario italiano, poiché pregiudica la reale uscita dalla crisi e mette quotidianamente a rischio la vita stessa di migliaia di imprese;
   anche i nuovi pagamenti vanno a rilento e visto che ogni mese la pubblica amministrazione compra beni e servizi per circa 12 miliardi di euro, mentre le vecchie fatture vengono smaltite a rilento, se ne accumulano sempre di nuove a causa dei tempi di pagamento che lo scorso anno, secondo lo European Payment Report 2015, si sono attestati in media a 144 giorni contro i 24 della Germania, costando all'Italia una procedura di infrazione visto che una direttiva europea recepita già nel 2012 fissa il limite a 30 giorni;
   uno dei motivi del ritardo è anche la procedura introdotta con il decreto n. 66 del 2014 per consentire alle aziende di cedere proprio credito a una banca o a un intermediario finanziario, che si fanno carico della riscossione, che si è rivelata molto complessa e macchinosa, tanto da aver addirittura scoraggiato molti creditori: tra l'aprile e il dicembre 2014 sono state presentate solo 91 mila istanze per un controvalore di 9,8 miliardi di euro, nemmeno un quarto rispetto ai debiti complessivi;
   il Governo Renzi aveva promesso di intervenire per tagliare i tempi di pagamento attraverso la «fatturazione elettronica a 60 giorni», come garantiva il Premier via Twitter il 28 marzo 2014, in vista dell'entrata in vigore dell'obbligo, per le imprese, di emettere le fatture nei confronti di Ministeri, agenzie fiscali ed enti di previdenza attraverso una piattaforma informatica, ma l'obiettivo non è stato a tutt'oggi raggiunto;
   il decreto-legge n. 35 del 2013, all'articolo 1, comma 10, relativamente ai pagamenti dei debiti degli enti locali, stabilisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, la costituzione di un fondo denominato «Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili», con una dotazione di «9.327.993.719 euro per il 2013 e di 14.527.993.719 euro per il 2014»;
   al comma 13 stabilisce che gli enti locali che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, in deroga agli articoli 42, 203 e 204 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, chiedano alla Cassa depositi e prestiti s.p.a., secondo le modalità stabilite nell’addendum di cui al comma 11, entro il 30 aprile 2013 l'anticipazione di liquidità da destinare ai predetti pagamenti. Essa va restituita, con piano di ammortamento a rate costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi, con durata fino a un massimo di 30 anni;
   data la poca chiarezza dell'enunciato del decreto-legge n. 35 del 2013, si è creato un problema di scritture contabili; infatti, alcune amministrazioni hanno registrato i pagamenti come concessione di mutuo e non come anticipazione di cassa creando una variazione di saldi finanziari e un conseguente buco al patto di stabilità che potrebbe superare i 20 miliardi di euro;
   in particolare, le risorse dell'anticipazione dovevano essere gestite diversamente in bilancio non potendo queste aumentare la capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni beneficiarie, altrimenti si violano gli articoli 81 e 119 della Costituzione;
   il decreto-legge n. 35 del 2013 non è stato applicato nella maniera giusta da molti enti locali, tanto che la Corte Costituzionale in data 23 giugno nella sentenza 181/2015 ha stabilito senza appello, l'illegittimità costituzionale delle modalità di contabilizzazione dell'anticipazione di liquidità operata dalla regione Piemonte, prevista dal decreto-legge n. 35 del 2013 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali);
   le disponibilità finanziarie concesse dal decreto-legge n. 35 del 2013 dovevano essere usate esclusivamente per pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine a causa di carenza di liquidità, e non certo per nuove spese o altre coperture di disavanzi di amministrazione –:
   se il Governo non intenda fare luce sulle ragioni del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, che pesa in maniera molto grave sull'economia italiana, e in che modo intenda attivarsi per rendere possibile lo sblocco immediato e totale dei debiti in questione, assicurato a più riprese dallo stesso Presidente del Consiglio, anche assumendo iniziative volte a intervenire sulla carente procedura introdotta con il decreto n. 66 del 2014 di cui in premessa, per garantire alle imprese ciò che spetta loro di diritto nel rispetto del lavoro e di tutti i loro sacrifici in un momento di difficoltà come quello che il tessuto produttivo del nostro Paese sta attraversando;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per risolvere il problema che si è venuto a creare riguardo al patto di stabilità, causato da una normativa scritta con poca chiarezza e molte lacune sotto il profilo contabile, senza mettere a repentaglio i servizi al cittadino.
(2-01114) «Sorial, Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, D'Incà».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   dal 21 ottobre 2015 è in programma in Sardegna una delle più imponenti esercitazioni militari nell'area del Mediterraneo;
   l'esercitazione coinvolge 36.000 uomini provenienti da oltre 30 Paesi;
   l'esercitazione coinvolgerà soprattutto la Sardegna e l'epicentro sarà concentrato nella base militare di Teulada;
   secondo i comunicati ufficiali Trident Juncture 2015 «dimostrerà un nuovo aumento del livello di ambizione della NATO nella guerra moderna e mostrerà un'Alleanza equipaggiata con la capacità di affrontare le sfide di sicurezza presenti e future appropriata»;
   si terranno operazioni di aria, terra, marittime e parteciperanno forze speciali contemporaneamente in diverse località e da diversi quartier generale per la formazione in un ambiente complesso per migliorare le capacità e lo spettro completo dell'Alleanza;
   il decreto del Ministro con il quale vengono autorizzate le esercitazioni viene sottoscritto ancora una volta senza l'intesa con la regione Sardegna;
   si tratta di un fatto grave e inaudito soprattutto per il tentativo del Governo di continuare ad eludere impegni parlamentari e non solo per la riduzione del peso militare in Sardegna;
   appare evidente un tacito assenso della stessa regione che, pur non dando l'intesa, non impugna né i decreti né gli atti del Ministero;
   a Teulada in Sardegna, saranno dispiegati centinaia di carri armati, quelli più moderni e più devastanti;
   la costa sarda e il suo territorio, da Teulada capo Frasca e Quirra saranno presi di mira con micidiali ordigni bellici da terra, da mare e dall'aria;
   carri armati veri e propri, aerei con e senza piloti, navi ed elicotteri che sparano, da terra, da mare, dall'aria, segnando in modo indelebile un compendio ambientale di straordinaria unicità con una devastazione che non ha precedenti;
   spareranno ovunque, lasciando segni eloquenti del loro passaggio;
   Teulada è un compendio naturalistico di primaria importanza, considerato che tutte le prescrizioni ambientali regionali, nazionali ed europee hanno circoscritto quel territorio con la massima tutela ambientale naturalistica;
   la maggior parte del territorio del sito di interesse comunitario è di proprietà militare, quindi interdetta, in esso presente una base militare Nato, in funzione. Le esercitazioni militari si svolgono per un periodo compreso tra il mese di settembre e quello di maggio di ogni anno e comprendono azioni militari a terra, aeree e a mare;
   sia Teulada, che Quirra e Capo Frasca sono comprese nelle aree di massima tutela ambientale dei siti di importanza comunitaria e il loro utilizzo può comportare palesi violazione di legge;
   Capo Teulada è un promontorio calcareo collegato alla terra ferma da uno strettissimo istmo sabbioso che forma ad ovest la spiaggia di «Cala Piombo» e ad est quella di «Porto Zafferano». La costa dell'area dei sito di interesse comunitario è costituita in prevalenza da ciglioni alti e a picco sui mare che si susseguono in profonde insenature separate da alti speroni calcarei;
   è caratterizzata dall'alternanza di dure rocce granitiche e friabili rocce scistose dove piccole spiagge, formate da dune di fine sabbia bianca, sono circondate da una vegetazione a prevalenza di ginepri;
   il sito ha inoltre importanza per la presenza in esso di 22 habitat di interesse comunitario, di cui 5 prioritari (cod. 1120, 2250, 6220, 2270, 3170), di 3 specie di uccelli prioritari, due dei quali in esso riproducentesi (cod. A181, A392) e di 35 specie floristiche di importanza conservazionistica;
   le esercitazioni militari e il conseguente rilascio di ordigni bellici causano gravi danni sia sull'ambiente marino che su quello dunale e retrodunale (inquinamento, frammentazione degli habitat, erosione del suolo ed eccessivo calpestio);
   a causa delle numerose esercitazioni militari e della presenza di rifiuti combustibili nell'area, il rischio di incendi è elevato;
   il poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare è affidato all'Esercito e messo a disposizione della Nato, la stessa organizzazione che interviene in gran parte del mondo a tutelare i beni archeologici a rischio di conflitti;
   è il secondo poligono d'Italia per estensione, 7.200 ettari di terreno, cui si sommano i 75.000 ettari delle «zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione», che sono normalmente impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare;
   una parte del poligono e dell'area a mare è permanentemente interdetta anche agli stessi militari per motivi di sicurezza;
   fra le attività ci sono la simulazione d'interventi operativi e la sperimentazione di nuovi armamenti;
   negli ultimi anni, per adeguare il poligono alle nuove esigenze addestrative, sono stati costruiti gli «scenari reali» confacenti alle guerre moderne;
   la fondazione di Teulada si perde nella notte dei tempi, probabilmente agli inizi dell'epoca nuragica, come sembrano testimoniare i molti nuraghi sparsi un po’ in tutto il territorio comunale ed i resti di una fortificazione sull'isola Rossa; i fenici e i punici più tardi si stabilirono sulla costa come testimoniato dai resti del tophet punico a Malfatano, nell'isolotto davanti a Tuerredda, e il porto di Melqart (ora sommerso), sempre a Malfatano;
   la prima ubicazione dell'abitato va ipotizzata alle spalle dell'antico kersonesus (chersonesum promontorium), ovvero l'istmo dell'odierno Capo Teulada, dove sembra sia esistito un insediamento militare romano a presidio delle due baie di Cala Piombo e Porto Zafferano. È probabile che tale ubicazione sia resistita fino all'epoca romana, quando il paese prende il nome di Tegula, che probabilmente documenta la produzione di terracotta in epoca romana. Poi, secoli dopo, probabilmente a causa delle incursioni dal mare, il paese si è raccolto attorno alla chiesa di Sant'Isidoro, nella piana di Tuerra, in una zona più interna;
   in quel contesto va inquadrata anche una presenza che riguarda il prenuragico;
   la mancanza di altri dati sulle culture prenuragiche nel territorio di Teulada – del resto variamente e riccamente distribuite in tutta l'isola – va attribuita alle lacune della ricerca scientifica, tanto più gravi quando si pensa all'azione molto più spedita e sicuramente dannosa dei «cercatori di tesori»;
   che l’habitat teuladino fosse congeniale all'insediamento umano preistorico è dimostrato dalla congrua presenza di numerosi nuraghi nel territorio. Un calcolo sulla densità dà una cifra compresa tra 0,1 e 0,35 per chilometro quadrato. È una cifra che, per quanto approssimativa, può dare alcune utili informazioni;
   la disposizione delle torri nuragiche – essendo queste torri di difesa – segue la morfologia dei territorio ed è chiaramente volta a proteggere le vie naturali di penetrazione verso l'interno; sembra di vedere una catena difensiva che corre vicino all'attuale confine orientale del comune, volta a difendere la vallata che dal valico di Nuraxi de Mesu porta all'attuale paese. Simile è il sistema difensivo occidentale a difesa delle vie di penetrazione dal Sulcis;
   è altrettanto interessante la disposizione dei nuraghi che stanno a Nord del Porto di Teulada e che proteggono la via che, seguendo il corso del Rio Launaxiu, porta verso l'interno. Tra questi, doveva avere una funzione di avamposto il nuraghe S. Isidoro, ormai quasi completamente distrutto: un nuraghe complesso costruito con tecnica veramente «ciclopica»;
   nella regione di Malfatano – già identificato dal Lamarmora come il «Portus Herculis» degli antichi – sono state trovate le tracce di un centro abitato suddiviso nelle sue due parti essenziali: una zona commerciale con il porto (da identificare con l'insenatura occidentale) e i ruderi di un tempio; una zona sacra (il «tophet») che, ripetendo la stessa situazione verificata per Bithia nell'isola di Su Cardulinu, fu costruito nella prospiciente isola di Tuerredda; più a ovest sono state ritrovate, in località Piscinni, delle cave puniche per l'estrazione di materiale da costruzione; altre rovine sono state localizzate a S. Isidoro pertinenti ad un abitato fenicio-punico. In questa località, ricca di testimonianze che vanno dal periodo nuragico fino a quello pisano, alcuni vi hanno voluto riconoscere il sito dell'antica Tegulae;
   le tracce della civiltà punica proseguono ancora nel Capo Teulada (antico chersonesus) e nella regione di Zafferano;
   nei pressi della torre di Porto Scudo sono appena evidenti i resti di una fortezza punica costruita con grossi blocchi, in posizione dominante rispetto al porto ed alla piana di Zafferano. Per questa fortezza è stata proposta una datazione intorno al VI secolo a.C;
   tutto questo è noto ma ignorato, scritto ma eluso, documentato ma violato;
   quel che, invece, emerge solo con l'utilizzo di strumenti satellitari, visto il divieto di accesso, è che lo Stato italiano, con la Nato e le Forze armate di mezzo mondo, bombarda, spara e compromette un'area nuragica di straordinaria rilevanza, sia per il numero dei nuraghi individuati sia per la dislocazione degli stessi nello scenario costiero;
   in qualsiasi parte del mondo una civiltà di oltre 3.500 anni di vita sarebbe protetta, salvaguardata e valorizzata;
   in questo scenario e in questa terra violentata, con la complicità storica di certa silente classe dirigente, si assiste silenziosamente alla distruzione di un compendio archeologico e paesaggistico senza precedenti;
   nella sola delimitazione del poligono di Teulada, secondo gli atti e i documenti in possesso del primo firmatario del presente atto e riscontrabili nel sito Nurnet, si è dinanzi ad un vero e proprio attentato alla civiltà nuragica con la distruzione di luoghi e compendi archeologici che avrebbero necessitato di protezione e recupero;
   in particolar modo risultano inglobati nella base militare i seguenti nuraghi catalogati da carte militari e topografiche, da rilievi aerofotogrammetrici e satellitari e censiti dalla rete Nurnet:
    a) Nuraghe Maxinas I – Comune Teulada località lat: 38.92193200458267, lon: 8.66831210120662;
    b) nuraghe Maxinas II – Comune Teulada località lat: 38.916644004582324, lon: 8.664962001206213;
    c) Nuraghe de Carrogu – Comune Teulada località NURAGHE DE CARROGU lat: 38.916925004582495, lon: 8.66106000120563;
    d) Nuraghe Brallisteris – Comune Teulada – località lat: 38.9175330045825, lon: 8.661448401205645;
    e) Nuraghe s'Uracheddu Piudu – Comune Teulada – località lat: 8.90471200458135, lon: 8.641161001202907;
    f) Nuraghe Don Antiogu – Comune Teulada località lat: 38.90735400458154, lon: 8.650137501204105;
    g) Nuraghe Turritta – Comune Teulada – località lat: 38.90684900458174, lon: 8.610368301198532;
    h) Nuraghe Mannu – Comune Teulada – località lat: 38.973001004586486, lon: 8.647734201203802;
    i) Nuraghe de Crabili – Comune Teulada – località Nuraghe De Crabili lat: 38.973399004586305, lon: 8.648087001203834;
    l) Nuraghe Di Monte Arbus Comune Teulada località lat: 38.97321600458627, lon: 8.694009001210237;
    m) Nuraghe Campu Santeddu – Comune Teulada – località lat: 38.94840700458489, lon: 8.712561801212825;
    n) Nuraghe Merareddu – Comune Teulada – località Merareddu lat: 38.94799600458443, lon: 8.70878500121228;
    o) Nuraghe Monte Idu Comune Teulada – località lat: 38.946134004584195, lon: 8.715556501213165;
    p) Nuraghe Maledetta – Comune Teulada – località lat: 38.990119004587484, lon: 8.665096201206193;
    q) Nuraghe Barussa – Comune Teulada – località lat: 38.995854004587976, lon: 8.641093101202852;
    r) Nuraghe – Comune Teulada località lat: 38.972919004586316, lon: 8.650665001204146;
   tali compendi nuragici sono inaccessibili;
   dalla sovrapposizione dei tracciati del transito dei carri armati cingolati con le coordinate dei siti nuragici si evince che gli stessi risultano coincidenti in numerosi casi e in altri decisamente contigui;
   appare evidente agli interpellanti che si tratta di una violazione grave di tutte le regole internazionali, nazionali e regionali di tutela non solo ambientali e naturalistiche ma anche e soprattutto di quelle riguardanti beni archeologici di una civiltà di oltre 3.500 anni fa;
   il patrimonio archeologico della Sardegna è talmente rilevante e unico nel suo genere che richiederebbe un sistema di tutela sia nei confronti delle scoperte e dei ritrovamenti fino ad oggi rivelati, sia dei siti archeologici nuragici dei quali si ha la presunzione di una presenza in determinati compendi areali;
   l'articolo 733 del codice penale tutela l'interesse collettivo a poter usufruire e godere della testimonianza passata della propria civiltà, delle espressioni culturali delle epoche passate e delle testimonianze storiche largamente diffuse sul territorio nazionale;
   i beni citati hanno tutti i requisiti per poter configurare un danno grave da valutare anche sotto il profilo della libertà di tali condotte;
   la Carta costituzionale ha elevato tale interesse a bene archeologico costituzionalmente riconosciuto e tutelato tramite dell'articolo 9 debba Costituzione che assegna valenza costituzionale alla tutela, già riconosciuta dal «codice Rocco», delle testimonianze della cultura e della storia che si sono ereditate dal passato;
   la Costituzione conferisce alla cultura la qualifica di valore nazionale «dinamico» perché, attraverso il patrimonio archeologico, artistico e storico già presente e accertato, ne promuove l'evoluzione verso nuove produzioni quale testimonianza futura per i posteri;
   è lecito affermare che, nel corso degli anni, si è passati da una concezione puramente statico-conservativa della tutela dei beni culturali a una concezione dinamica orientata al loro pubblico godimento, in quanto naturalmente destinati alla pubblica fruizione e alla valorizzazione, come strumenti di crescita culturale della società; la configurazione del danno de quo è evidente proprio per l'effettiva lesione al patrimonio archeologico nuragico atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di sanzionabilità della condotta;
   a confermare che si tratta di una grave lesione del patrimonio archeologico dell'umanità sono le convenzioni internazionali in materia: la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, sottoscritta all'Aja il 14 maggio 1954 (e ratificata in Italia con legge 7 febbraio 1958, n. 279); la Convenzione per la protezione internazionale del patrimonio culturale e naturale mondiale (cosiddetta Unesco), stipulata il 23 novembre 1972 (e ratificata in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184);
   la Convenzione dell'Aja del 1954 parte dal presupposto che i danni arrecati ai beni culturali, quale che ne sia il Paese di appartenenza, costituiscono danno al patrimonio culturale dell'umanità intera;
   la Convenzione Unesco del 1972 afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei beni culturali, avendone in comune i valori di civiltà, per cui gli Stati aderenti si obbligano ad astenersi deliberatamente da ogni provvedimento;
   l'esercitazione Trident 2015 recherà gravissimo danno all'ambiente, in aree sottoposte ad indagini della procura della Repubblica e soprattutto in totale violazione di siti di importanza comunitaria –:
   se non ritengano di dover intervenire con somma urgenza per fermare in tutti i modi possibili la devastazione ambientale e della civiltà nuragica nel compendio ricadente nel poligono militare di Teulada;
   se non ritengano di far conoscere con precisione quale tipo di attività bellica verrà posta in essere nell'area oggetto di queste esercitazioni;
   se non ritengano di far conoscere il tipo di esplosivi e armamenti che si intendono utilizzare;
   se non intendano far conoscere il grado di bonifica attivato nell'area cosiddetta «interdetta» nell'area di Teulada;
   se non intendano far conoscere il tipo di coinvolgimento nei poligoni di Capo Frasca e Quirra e quale tipo di armamenti verranno utilizzati in quei compendi;
   se non ritengano di dover segnalare il caso alle autorità competenti per accertare chi abbia consentito questo grave disastro archeologico, ambientale e naturalistico;
   se non intendano valutare se ricorrano violazioni delle norme in materia di tutela e salvaguardia del patrimonio archeologico e ambientale naturalistico per ogni eventuale adempimento di competenza;
   se non intendano provvedere ad un piano nazionale di risanamento del sito medesimo, assumendo iniziative per lo stanziamento delle risorse necessarie (a parere dell'interpellante non meno di un miliardo di euro) comprese quelle finalizzate ai risarcimenti alle popolazioni e ai comuni;
   se non intendano assumere iniziative per interdire l'uso dell'area a qualsiasi scopo militare al fine di restituirla alle popolazioni per un naturale sviluppo armonico con le valenze territoriali.
(2-01116) «Pili, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   diverse associazioni rappresentanti le imprese di trasporto merci e persone, in più occasioni, hanno denunciato la critica situazione che coinvolge il settore;
   in particolare, come riportato da un articolo del quotidiano Il Piccolo dell'11 maggio 2014, la Cna di Trieste ha segnalato che numerose ditte slovene di trasporto persone, operanti in Italia, non versino l'IVA per la quota di fatturato prodotta sul territorio italiano, mentre i pullman italiani che si recano in Europa devono essere muniti della partita IVA rilasciata dai singoli Stati attraversati e pagare la relativa imposta;
   inoltre, in un articolo pubblicato dal Gazzettino di Venezia – Mestre del 14 maggio 2015, Massimo Fiorese, responsabile del trasporto persone per la Fita-Cna di Venezia, ha denunciato la critica situazione che coinvolge il settore del trasporto persone nelle aree circostanti l'Aeroporto «Marco Polo», il porto di Venezia e la stazione ferroviaria di Mestre. Secondo le dichiarazioni riportate dal quotidiano, un numero sempre maggiore di minibus e pulmini con targa slovena eserciterebbe l'attività di navetta e trasporto passeggeri, operando liberamente sul territorio italiano contravvenendo alla normativa regionale e nazionale del settore;
   tale fenomeno interessa in modo particolare le regioni del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, ma è in costante espansione, poiché, progressivamente, sta interessando anche altre regioni italiane;
   la Fita-Cna ha segnalato il preoccupante aumento dei mezzi irregolari, in particolare sloveni, alla guardia di finanza che, in riscontro all'associazione, avrebbe sottolineato le oggettive difficoltà di intervento motivate principalmente dalla «poca collaborazione con la Slovenia»;
   le associazioni di categoria Cna e Confartigianato nell'aprile 2012 e nuovamente nel giugno 2013, con proprie note, hanno informato del fenomeno la regione Veneto, successivamente, il 31 luglio 2014, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e, il 31 marzo 2015, l'autorità di regolazione dei trasporti. A queste segnalazioni non ha fatto seguito alcuna risposta;
   è evidente che i mezzi con targa straniera hanno la possibilità di applicare tariffe nettamente inferiori a quelle proposte dai vettori italiani, poiché non sono identificati ai fini IVA dall'Agenzia delle entrate, dunque, non versano l'IVA sul fatturato prodotto in Italia e non devono sottostare alle procedure autorizzative italiane. Pertanto, gli operatori italiani risultano facilmente penalizzati economicamente, con relativa perdita di fatturato e di posti di lavoro;
   orbene, la presenza continua dei pullman con targa slovena, riscontrata al tempo, prevalentemente in Friuli Venezia Giulia, è già stata evidenziata dal primo firmatario del presente atto con l'interrogazione n. 4-05274 del 25 giugno 2014; mentre, successivamente, con l'interrogazione n. 5-05653 del 20 maggio 2015, si segnalava l'aumento costante del fenomeno, diffusosi in maniera capillare nel vicino Veneto, richiedendo l'adozione di provvedimenti urgenti a difesa degli operatori nazionali;
   durante i lavori relativi al disegno di legge, concernente la «Legge annuale per il mercato e la concorrenza» nelle Commissioni riunite attività produttive, commercio e turismo e finanze della Camera dei deputati, è emerso un altro aspetto della concorrenza sleale praticata a danno degli operatori italiani relativo a tour operator cinesi che utilizzerebbero veicoli a noleggio senza alcun rispetto della normativa vigente;
   inoltre, il 7 ottobre 2015, in sede di discussione e approvazione in Aula a Montecitorio del disegno di legge concorrenza, il primo firmatario del presente atto ha presentato un ordine del giorno, accolto dal Governo, con cui lo impegnava a valutare l'opportunità di istituire, con la collaborazione dei Ministeri competenti, un gruppo di lavoro con il compito di individuare i fenomeni distorsivi ed irregolari presenti nel settore del trasporto persone ed elaborare delle proposte operative a tutela degli operatori nazionali –:
   se il Governo abbia dati ufficiali in merito all'attuale dimensione del fenomeno e se si possa quantificare il danno subito dai vettori italiani del settore del trasporto di persone;
   se ci siano in corso strategie e controlli per evitare che gli operatori stranieri contravvengano la normativa vigente in materia;
   se si intenda dare riscontro alle segnalazioni inviate dalle associazioni Cna e Confartigianato in merito alla presenza sempre più costante dei mezzi stranieri adibiti a trasporto di persone. (5-06643)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto sottolineato da uno studio dall'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre (Cgia), il fenomeno dell'usura tra le piccole e medie imprese è in forte aumento soprattutto a Sud, a seguito dell'azione congiunta degli ultimi anni di crisi economica e riduzione dei prestiti bancari: il numero di casi di usura denunciati dalle forze dell'ordine all'autorità giudiziaria sarebbe passato da 352 nel 2011 a 460 nel 2013 (ultimo dato disponibile), mentre le estorsioni sarebbero aumentate di quasi il 13 per cento;
   il fenomeno dell'usura sarebbe in crescita in particolare nelle Regioni del Mezzogiorno: i picchi maggiori si avrebbero da Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata;
   secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia, i numeri non sarebbero sufficienti a descrivere in modo preciso le dimensioni di questa piaga sociale ed economica poiché «con le sole denunce effettuate dalle forze di polizia non è possibile dimensionare il fenomeno dell'usura: le segnalazioni, purtroppo, sono relativamente poche. Spesso, le vittime di questo crimine si guardano bene dal rivolgersi alle forze dell'ordine; chi cade nella rete degli strozzini è vittima di minacce personali e ai propri familiari, elemento che scoraggia molte persone a chiedere aiuto»; per questa ragione l'indice del rischio di usura realizzato dalla Cgia è stato calcolato mettendo a confronto otto indicatori regionalizzati, tra cui compaiono, oltre alle denunce di estorsione e di usura, anche la disoccupazione, i tassi di interesse applicati, il numero di sportelli bancari e il rapporto tra sofferenze e impieghi registrati negli istituti di credito;
   secondo l'indice del rischio di usura, la situazione più critica si registrerebbe in Campania, dove l'indicatore supera la quota 155 (il 55,1 per cento in più della media italiana), subito dopo ci sarebbe la Calabria con 146,6 punti e la Sicilia con 145,3; la regione dove il rischio di usura è minore risulterebbe essere il Trentino Alto Adige, con un indice pari al 47,6 (52,4 punti in meno della media nazionale), poi il Friuli Venezia Giulia con 72,8 punti e il Veneto con 73,2;
   le cronache dei giornali del Sud sono di recente piene di notizie come quella di pochi giorni fa, dell'arresto di un usuraio di Villarosa, in provincia di Catania, che, sfruttando le difficoltà economiche degli imprenditori del luogo, concedeva prestiti a tassi d'interesse che superavano l'80 per cento su base annua e pretendendo in cambio, in caso di mancato pagamento, anche arredi, attrezzature e ogni genere di proprietà; le indagini sono andate avanti per oltre un anno e mezzo senza che nessuna vittima abbia mai presentato denuncia, a dimostrazione della situazione di profondo bisogno degli imprenditori e delle famiglie coinvolte che, seppur vessate, non erano in grado di ribellarsi a tale sistema;
   i prestiti bancari sono ancora in flessione con il totale dei finanziamenti che registra un calo del 2,9 per cento su base annua, stesso valore di aprile 2014;
   secondo un recente rapporto del centro studi di Unimpresa, basata su dati della Banca d'Italia, negli ultimi 3 anni gli istituti di credito hanno tagliato pesantemente i finanziamenti al settore privato: da maggio 2012 a maggio 2015, i finanziamenti delle banche alle imprese e alle famiglie sarebbero crollati di ben 100 miliardi di euro, calando di quasi il 7 per cento, e la stretta avrebbe investito sia le aziende, che hanno assistito a una contrazione complessiva delle erogazioni per 85 miliardi di euro, sia le famiglie, che hanno ricevuto quasi 16 miliardi in meno; nel frattempo, le sofferenze avrebbero subito un aumento del 75 per cento, con le rate non pagate salite di 83 miliardi di euro;
   è di questi giorni la notizia che secondo Bankitalia ad agosto 2015, i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, hanno registrato una contrazione su base annua dello 0,5 per cento (-0,6 per cento a luglio);
   secondo le anticipazioni del rapporto SVIMEZ sull'economia del Mezzogiorno 2015, nel Sud la situazione sta peggiorando in maniera significativa: nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno sarebbe stato ancora negativo (-1,3 per cento); il divario di prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13 per cento e gli investimenti nell'industria in senso stretto addirittura del 59 per cento; nel 2014 quasi il 62 per cento dei meridionali ha guadagnato meno di 12 mila euro annui, contro il 28,5 per cento del Centro-Nord, è infatti alto l'allarme povertà: una persona su tre a rischio al Sud contro una su dieci al Nord;
   secondo la preoccupante analisi del rapporto SVIMEZ, dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13 per cento, la metà della Grecia, inoltre nel 2014 al Sud si è registrato un minimo storico di nascite, solo 174 mila, livello che ci riporta ai livelli di 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia, e che nei prossimi anni potrebbe provocare uno stravolgimento demografico;
   l'Italia è stato il Paese con meno crescita dell'area euro a 18 con il +20,6 per cento a fronte di una media del 37,3 per cento, e il sud Italia ha avuto una crescita che è stata inferiore di oltre 40 punti percentuali rispetto alla media europea;
   in dieci anni inoltre, dal 2001 al 2014, sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1,6 milioni di persone, rientrate 923 mila, con un saldo migratorio netto di 744 mila persone, di cui 526 mila under 34 e 205 mila laureati;
   l'occupazione nel Sud è tornata ai livelli di 40 anni fa: gli occupati sarebbero 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso almeno dal 1977; il Mezzogiorno, tra il 2008 ed il 2014 ha registrato una caduta dell'occupazione del 9 per cento, a fronte del –1,4 per cento del Centro-Nord, oltre sei volte in più;
   nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani, si concentra il 70 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi;
   la situazione economico-lavorativa di imprenditori e famiglie al Sud è tale che le motivazioni per le quali molti artigiani o i piccoli commercianti cadrebbero vittime degli usurai, oltre al perdurare della crisi, sarebbero soprattutto le semplici scadenze fiscali e le piccole spese impreviste;
   Papa Francesco ha definito l'usura «drammatica piaga sociale, che ferisce la dignità inviolabile della persona umana» –:
   se il Governo sia al corrente della grave situazione illustrata in premessa e se non abbia intenzione di avviare una campagna di sensibilizzazione sociale e culturale sul problema dell'usura;
   se stia adottando o abbia intenzione di adottare iniziative normative in relazione alle criticità descritte, in modo da prevenire il ricorso all'usura che, lungi dal costituire una soluzione, porta le persone a perdere ogni risorsa e fornisce potere alla malavita locale;
   quali iniziative intenda intraprendere per supportare le amministrazioni e gli enti locali nell'approntare strumenti di normazione secondaria e regolamentare che esaltino la legalità e contrastino efficacemente la pratica dell'usura;
   quale iniziativa intenda attuare per rafforzare il controllo del territorio da parte delle forze di polizia, anche prendendo provvedimenti finalizzati a potenziare gli organici e i mezzi a disposizione della pubblica sicurezza, con l'obiettivo di un più capillare controllo del territorio e di una maggiore sicurezza per la cittadinanza;
   se non intenda chiarire quale sia stato finora il programma effettivo del Governo per il rilancio del Mezzogiorno e quali nuove ulteriori iniziative si intendano intraprendere per il superamento del profondo e inaccettabile gap esistente tra il Sud e il Nord del Paese;
   se non consideri necessario ed urgente, per quanto di competenza, assumere idonee iniziative affinché si interrompa il trend negativo della riduzione al finanziamento del settore privato da parte degli istituti di credito, di cui in premessa, e le banche e le società finanziarie tornino ad erogare crediti ai piccoli imprenditori e alle famiglie, con condizioni accettabili e sostenibili al fine di evitare il ricorso all'usura. (4-10715)


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle prime ore del mattino del 10 ottobre 2015; nel centro di Cantù ha avuto luogo una sparatoria, in seguito alla quale un giovane di 23 anni è rimasto ferito;
   stando alle prime frammentarie ricostruzioni dei fatti, il giovane ferito sarebbe originario di Novedrate, non sarebbe stato soccorso da alcuna ambulanza ed avrebbe invece raggiunto l'ospedale di Sant'Antonio Abate con mezzi privati;
   dell'accaduto girano diverse versioni;
   secondo alcuni, ad esempio, la sparatoria avrebbe interessato due auto in corsa; altri hanno invece parlato di una rissa, al termine della quale una persona avrebbe estratto una pistola, esplodendo almeno due colpi; ulteriori testimoni hanno altresì riferito di un giovane in panetteria, che sarebbe stato bloccato e colpito all'uscita del negozio;
   un canturino residente nella zona dei fatti, infine, ha riferito ai cronisti di un quotidiano locale di aver sentito 5 o 6 spari in rapida successione e poi visto una macchina allontanarsi a gran velocità in una via deserta;
   la sensazione è che la sparatoria sia rientrata nell'ambito di un regolamento di conti, che attesta il degrado in cui sono sprofondate le condizioni di sicurezza a Cantù –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla dinamica e alla matrice degli eventi che hanno interessato Cantù nelle prime ore del 10 ottobre 2015;
   che misure il Governo intenda assumere per arginare il degrado delle condizioni di sicurezza a Cantù ed in particolare se e quando conti di rinforzare i locali presidi delle forze di polizia. (4-10726)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la ventunesima conferenza delle parti (COP21) della convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate ChangeUNFCCC), che si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, desta grandi aspettative per il raggiungimento di obiettivi ambiziosi e di lungo periodo in materia di cambiamenti climatici, per la difesa dell'ambiente a livello globale, anche in vista del superamento degli accordi internazionali sul modello del protocollo di Kyoto;
   ridurre in modo significativo le emissioni di anidride carbonica e abbassare il livello di surriscaldamento del pianeta rappresentano una delle maggiori sfide del XXI secolo;
   ci si attende che COP21 si concluda, dunque, con un accordo globale vincolante per tutti gli Stati (Usa e Stati emergenti compresi), volto a contenere la temperatura del pianeta entro i 2 gradi centigradi; e che impegni altresì gli Stati a ridurre le emissioni di CO2 anche mediante misure atte all'aumentare l'efficienza energetica nell'industria, nei trasporti, negli edifici e a incrementare gli investimenti in energie rinnovabili;
   un primo contributo in tale direzione è rappresentato dalle decisioni dell'Unione europea, che si è vincolata a obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra entro il 2030 del 40 per cento in meno rispetto ai livelli del 1990, e a un 27 per cento di rinnovabili e di risparmio/efficientamento energetico in più entro il 2030: impegni approvati dal Consiglio europeo del 24 ottobre 2014, durante il semestre europeo a presidenza italiana;
   in considerazione del percorso negoziale volto al raggiungimento di nuovi obiettivi di riduzione di gas serra, nell'ambito del rinnovato accordo internazionale COP21 che dovrà entrare in vigore entro il 2020, è necessario attivarsi affinché sia prestata un'adeguata attenzione anche all'impatto dei cambiamenti climatici sulle regioni di montagna e sulle popolazioni che vi abitano;
   le montagne, oltre a svolgere un ruolo significativo per lo sviluppo sostenibile a livello globale, in quanto fondamentali riserve di acqua, bacini di diversità biologica e culturale e fonti di prodotti essenziali, nonché beni primari per il sostentamento di tutti gli esseri viventi, rappresentano, al contempo, luoghi di grande rilevanza spirituale, ricreativa, turistica e storica;
   gli ecosistemi montuosi sono molto più fragili e facilmente deteriorabili di altri ecosistemi, anche per la particolarità del clima montuoso che, a parità, di aumento medio delle temperature globali, maggiormente risente di tale incremento alle alte quote, dove il fenomeno si manifesta più intensamente che al livello del mare o delle pianure, con conseguenze ecologiche ed idrogeologiche importanti e che in, alcuni casi, potrebbero rivelarsi catastrofiche;
   come indicato nell'Agenda 21 e nel Rapporto di Rio + 20, «Il futuro che vogliamo», sono stati riconosciuti i benefici derivanti dalle zone di montagna come essenziali per lo sviluppo sostenibile a livello mondiale;
   le comunità di montagna sono depositarie di consolidate tecniche di produzione tradizionali e di conoscenze che, se adeguatamente tutelate e supportate, potrebbero essere di grande aiuto nell'adattamento ai cambiamenti climatici e nel garantire una maggiore resilienza di società ed ecosistemi;
   il surriscaldamento del pianeta e i cambiamenti climatici stanno minacciando la capacità degli ecosistemi montani di continuare a garantire acqua sufficiente sia per le comunità di montagna, che per quelle a fondo valle, mettendo a rischio di estinzione le molte specie endemiche animali e vegetali, rendendo sempre più vulnerabili gli habitat di montagna, oltreché intere catene economiche e produttive, dall'idroelettrico al turismo, sino all'agricoltura di montagna;
   come evidenziato nel recente Report del WWF «Ghiaccio bollente», lo scioglimento dei ghiacci impatta sulla vita dell'intero pianeta, con particolare riferimento all'Artide, Antartide e ai ghiacciai alpini come Himalaya, Alpi, Patagonia, Alaska: il 40 per cento del pianeta è coperto da ghiacci e manti nevosi, un sistema di raffreddamento che, infrangendosi, a causa del riscaldamento globale, porterà a conseguenze molto pesanti per le risorse idriche di vaste aree del mondo;
   considerato anche che nel preambolo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 viene già riconosciuta la fragilità degli ecosistemi montuosi, particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è ora nell'interesse dell'umanità intraprendere tutti gli sforzi necessari per proteggere tutte le zone di montagna del pianeta;
   il Mountain Partnership Secretariat, organizzazione all'interno del dipartimento foreste della FAO, ha già richiesto – con il supporto di una petizione pubblica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di inserire la montagna e il suo ruolo protettivo del clima e degli ecosistemi tra i temi della conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, in quanto le popolazioni montane sono fra le più povere ed affamate del mondo ed i cambiamenti climatici, da cui le montagne sono particolarmente colpite, determinano un aumento della loro indigenza, costringendole spesso a spostarsi verso le pianure, abbandonando le loro montagne;
   si rende necessaria, dunque, una maggiore attenzione alla particolarità di tali ecosistemi, in considerazione del fatto che il cambiamento climatico, in molte zone di montagna sta avanzando più velocemente che in altre aree del mondo, creando forte preoccupazione per il crescere dei seguenti fenomeni:
   diminuiscono i mezzi di sussistenza delle popolazioni di montagna e la sicurezza delle comunità locali e dei visitatori, a causa di variazioni nelle precipitazioni, dell'aumento del numero di eventi climatici estremi, dello scioglimento del permafrost, della distruzione delle foreste necessarie per la protezione dalle valanghe e per stabilizzare i versanti;
   il rapido scioglimento dei ghiacciai, con la significativa riduzione della copertura nevosa, in molte parti del mondo, minaccia fonti d'acqua vitali, soprattutto durante la stagione secca, con effetti devastanti per le comunità locali e le popolazioni a valle, con conseguenze negative sulla sicurezza alimentare e sullo sviluppo economico a livello regionale;
   la perdita di biodiversità è ascrivibile al fatto che piante e animali adattati agli ambienti montani sono molto sensibili e vulnerabili al mutare delle condizioni climatiche;
   durante il recente summit dei Ministri degli affari esteri del G7 a Lubecca (aprile 2015) dal titolo «Un nuovo clima per la pace: agire sui rischi di fragilità collegati al clima», cui ha fatto seguito il vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 (Germania giugno 2015) è stato presentato il rapporto studio-ricerca commissionato dai medesimi ministri G7 ad un consorzio internazionale il quale individua sette principali profili di rischio dell'impatto dei cambiamenti climatici sulle fragilità e il carattere interconnesso e sistemico di tali rischi; occorrerebbe, tuttavia, integrare tale rapporto anche alla luce della specifica vulnerabilità delle montagne che rischia di impanare in modo devastante sull'intero pianeta –:
   se non ritengano di doversi attivare affinché, nell'ambito dell'accordo relativo alla nuova Convenzione-quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) che sarà sottoscritta dalla XXI Conferenza delle Parti (COP21) prossimamente a Parigi, si giunga alla definizione di impegni vincolanti per tutti gli Stati (Usa e Paesi emergenti compresi), prevedendo altresì che le montagne siano adeguatamente incluse nei temi dei negoziati sul cambiamento climatico, nelle politiche di adattamento e mitigazione, menzionando in modo esplicito il valore delle montagne tra gli ecosistemi fragili e riconoscendo la loro elevata suscettibilità, al cambiamento climatico e il loro rilevante impatto su mantenimento di servizi ecosistemici vitali per tutta l'umanità;
   se non ritengano opportuno incoraggiare tutti i Paesi partecipanti e le istituzioni internazionali, regionali e nazionali e le altre parti interessate, affinché adottino misure urgenti atte a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni di montagna e a proteggere gli ecosistemi montani, promuovendo misure di adattamento, investimenti e politiche mirate, nonché a favorire studi internazionali ulteriori e specifici che tengano conto degli impatti dei cambiamenti climatici nelle zone di montagna;
   se non ritengano di promuovere un'azione comune in tutte le sedi sovranazionali – tra cui la Conferenza sull'Agenda post-2015 e il Vertice umanitario mondiale del 2016 – al fine di ridurre i rischi del cambiamento climatico sui fragili ecosistemi di montagna, per, rafforzare la cooperazione e sostenere il finanziamento dello sviluppo, in particolar modo dei Paesi in via di sviluppo con fragili ecosistemi montuosi, anche integrando i sistemi di conoscenza tradizionali delle popolazioni indigene montane nelle strategie nazionali e internazionali di adattamento al cambiamento climatico, allo scopo di migliorare la conoscenza, lo scambio, la collaborazione transfrontaliera e la promozione delle migliori pratiche in materia di cambiamento climatico nelle zone di montagna.
(2-01111) «Berlinghieri, Borghi, Nicoletti, Braga, De Menech, Albini, Amato, Arlotti, Beni, Bergonzi, Stella Bianchi, Bonomo, Carnevali, Cassano, Chaouki, Cominelli, Dallai, Gianni Farina, Fedi, Gadda, Giulietti, Gnecchi, Gribaudo, Iacono, Magorno, Manfredi, Oliverio, Porta, Raciti, Andrea Romano, Sbrollini, Taricco, Zampa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in Campania, ed in particolare nell'area a nord della regione, presso la quale insistono circa 80 comuni, sono operativi n. 5 depuratori (siti a Marcianise, Villa Literno, Orta di Atella, Cuma e Acerra) delle acque reflue provenienti dai comuni del casertano, del napoletano, ma anche di alcune zone del beneventano e dell'avellinese;
   insistono sull'area regionale in questione, servita dai predetti impianti, anche l'area Flegrea e quella del Litorale Domitio, tutte zone ad altissima vocazione turistico – balneare e che, nei decenni addietro, anche a causa di una pessima gestione degli impianti di depurazione, sono state di fatto deturpate ed abbandonate nel più totale degrado e sottosviluppo;
   l'inquinamento del Litorale Domitio e dell'Area Flegrea, cagionato dal cattivo funzionamento del complesso sistema fognario dei Regi Lagni ed in parte minoritaria dal Volturno, era ed è tuttora al centro delle indagini della magistratura;
   proprio il pessimo collegamento interfunzionale tra la rete fognaria dei Regi Lagni e quello dei 5 depuratori dell'area nord campana, ha provocato, negli anni, contaminazioni di carattere straordinario ed un inquinamento in mare, nei campi e nel sottosuolo di acque reflue e fanghi di entità incalcolabile;
   tali impianti, realizzati negli anni settanta a seguito di un'epidemia di colera, fino a qualche tempo fa, erano gestiti da un'ATI diretta dalla società Hydrogest;
   successivamente, a fronte di un'inchiesta della procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere tesa ad accertare le summenzionate cause e responsabilità dell'inquinamento del Litorale Domitio e dell'area Flegrea, l'amministrazione dei predetti impianti è stata di fatto commissariata, a fronte di riscontrati gravissimi illeciti commessi durante la loro gestione;
   la procura della Repubblica, a seguito di approfonditi esami peritali, ha avuto modo di accertare che il funzionamento di tali impianti fosse talmente inadeguato, da comportare addirittura un peggioramento delle condizioni del refluo dalla fase di entrata rispetto a quella di uscita dagli impianti;
   tali criticità sono state determinate negli anni da gravi negligenze della Hydrogest, società incaricata della gestione degli impianti per quindici anni per un costo complessivo di mille milioni di euro, ed al tempo stesso da profonde divergenze con gli enti preposti al controllo ed alla salvaguardia degli impianti, ovvero principalmente la regione ed in minima parte le province ed i comuni;
   ad oggi sono ancora in corso di espletamento le gare di appalto per l'aggiudicazione della gestione degli impianti ed il loro adeguamento, con particolare riferimento alla necessità di ultimare il collettamento di tutti i comuni dell'area nord della Campania, molti dei quali non sono ancora connessi alla rete fognaria;
   moltissimi sono ancora in comuni che si trovano in condizioni precarie per quanto concerne il trattamento delle acque reflue, condizioni che in molti casi sfociano nell'illecito penale ed amministrativo ed hanno scatenato l'apertura di numerose inchieste da parte della procura della Repubblica;
   basti pensare, al riguardo, che un comune di grandi dimensioni come Torre del Greco, con oltre 100mila abitanti, sversi direttamente in mare le proprie acque reflue;
   l'interesse collettivo preminente e che coinvolge oltre tre milioni di cittadini residenti in Campania appare del tutto evidente ed è strettamente connesso e correlato alla necessità che i processi di gestione, adeguamento e rifunzionalizzazione degli impianti, oltre che il collettamento dei comuni non ancora connessi alla rete fognaria, venga ultimato in tempi ragionevolmente brevi, specie in considerazione del fatto che il permanere di una condizione differente non potrà fare altro che aggravare la già difficilissima condizione dei litoriali flegreo e domitio, oltre che l'intera area dei Regi Lagni –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti e delle vicende di cui in premessa e quali celeri ed oramai improcrastinabili iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, affinché sia garantito il pieno e regolare adeguamento degli impianti di depurazione e trattamento delle acque reflue di cui in premessa e tanto al fine di preservare gli ecosistemi ed i litorali settentrionali della Campania, ed in particolar modo quello flegreo e quello domitio.
(2-01113) «Bratti, Rostan, Cinzia Maria Fontana».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   dal 1946 a oggi il maltempo in Sardegna ha ucciso 67 persone, 26 di queste solamente fra il 1999 e il 2013;
   fatta eccezione per l'alluvione di Sestu e Elmas che nel 1946 fece 30 vittime, l'80 per cento del totale è concentrata fra il 14 ottobre 1986 e il 18 novembre 2013, quindi in un periodo nel quale si era già prodotto, per la mano dell'uomo, quella violenta cementificazione e dissesto idrogeologico che oggi rende il territorio sardo fragilissimo;
   il 1o ottobre 2015 ancora una volta è stata la città di Olbia a subire le peggiori conseguenze dell'ondata di maltempo che si è scaricata sull'isola, rovesciando una massa impressionante d'acqua da sud a nord, che nelle aree centrosettentrionali della provincia di Nuoro e in Gallura, oscilla fra i 100 mm. e i 250 mm.;
   ciò che si continua a definire «eccezione» è divenuta la norma di un mutamento climatico ormai strutturale che – al cambio di stagione – espone il territorio a violenti temporali, tempeste, tifoni, «bombe d'acqua» che si riversano su troppi casi, in tutto il Paese, nei quali si è costruito senza tenere nella minima considerazione le caratteristiche del territorio, il corso dei fiumi e le sue foci, si è disboscato senza criterio e costruito senza sosta;
   il territorio italiano e quello sardo sono divenuti un luogo insicuro e ormai alla prima pioggia sempre più persone vivono nella paura;
   gli impegni presi a seguito dell'alluvione del 18 novembre 2013 da parte del Governo in materia di messa in sicurezza del territorio non sono stati mantenuti;
   poche decine di milioni di euro sono serviti al più a una parziale ricostruzione che – come dimostra il caso del ponte di Olbia sul rio Filigheddu (lo stesso di due anni fa e che ha funzionato da «tappo» favorendo perciò la nuova esondazione) – non ha risolto uno dei nodi strutturali (dighe incomplete, quartieri costruiti abusivamente sui letti dei fiumi e misteriosamente sanati, opere di mitigazione del rischio mai eseguite e altro);
   il Ministro Galletti, in visita la scorsa settimana ad Olbia, ha dichiarato di aver «stimato il fabbisogno immediato per quanto riguarda Olbia con progetti già in fase di esecuzione, che quindi possono partire, per un totale di 81 milioni che abbiamo inserito nell'accordo di programma che tra pochi giorni firmerò con la regione Sardegna. Di questi 16 milioni sono disponibili subito per gli interventi nelle zone che in queste ore risultano più colpite», omettendo però che lo stanziamento in questione era già stato previsto in seguito alla alluvione del 2013 –:
   quali iniziative strutturali e quali, invece, necessari per affrontare l'emergenza, immediati e reali, abbia intenzione di assumere il Governo.
(2-01112) «Piras, Scotto, Duranti, Ricciatti, Quaranta, Giancarlo Giordano, Melilla, Pannarale, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE, CATALANO e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Busto Arsizio è attivo l'inceneritore ACCAM, oggetto durante lo scorso anno di studi da parte di un tavolo tecnico, in attinenza alle strategie individuate dal piano regionale;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Sblocca Italia), convertito dalla legge n. 164 del 2014, ha previsto all'articolo 35, comma 1, che «il Presidente del Consiglio dei ministri (...) individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato (...) tenendo conto, della pianificazione regionale»;
   in riferimento a tale articolo e in relazione alla vicenda ACCAM, il Governo ha accolto, dopo riformulazione, l'Ordine del giorno 9/02629-AR/006, con il quale si è impegnato a «valutare l'opportunità di tenere conto dell'esito della valutazione tra gli attori istituzionali regionali e locali circa il futuro dell'impianto, al fine dell'applicazione della norma»;
   sembra che il nuovo Consiglio di amministrazione di ACCAM, insediatosi a seguito dell'assemblea dei soci del 29 giugno 2015, abbia delineato un piano d'azione mirante a una graduale e progressiva riduzione delle quantità di rifiuti termovalorizzati, al successivo smantellamento dell'impianto a caldo, alla bonifica del sito, alla realizzazione di un impianto a freddo e alla trattativa per l'impianto relativo alla frazione organica del rifiuto solido urbano (forsu) di Amga, in fase di progettazione;
   secondo quanto si evince dalla notizia pubblicata in data 27 luglio 2015 su Varese News, l'impianto avrebbe cambiato categoria, passando dalla categoria D10 (smaltimento per incenerimento) a quella R1 (impianto recupero energetico) e la trasformazione aprirebbe, in prospettiva, le porte all'arrivo di maggiori quantità di rifiuti, anche extraregionali, nell'impianto;
   in data 29 luglio 2015, l'assessore regionale all'ambiente Claudia Maria Terzi ha comunicato che «il riconoscimento della qualifica R1 (impianto recupero energetico) è un dato meramente tecnico ad oggi privo di risvolti autorizzativi immediati: l'impianto risulta ancora, in forza dell'Autorizzazione integrata ambientale (AIA) vigente, autorizzato solo all'operazione D10, ossia smaltimento per incenerimento. Di esso si terrà invece conto in sede di procedimento di riesame, già avviato (...) e in applicazione dell'ormai famoso articolo 35 del cosiddetto “Sblocca Italia” che obbliga anche la Lombardia a utilizzare i propri impianti al massimo delle capacità»;
   numerosi comuni soci avrebbero congiuntamente dichiarato, come pubblicato su LegnanoNews il 2 agosto 2015, che «apprendere dalla stampa che i vertici di una società hanno, con le loro decisioni tecniche, assecondato una procedura di classificazione senza minimamente informare i soci di ciò che stavano attuando, è assolutamente inaccettabile» –:
   come il Governo, a seguito della classificazione come R1 dell'impianto, intenda, tenere conto dell'impegno di cui all'Ordine del giorno 9/02629-AR/006 e, quindi, per quanto di competenza, della scelta degli enti locali nel senso dello smantellamento dell'impianto di termovalorizzazione.
(5-06638)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, attribuisce allo Stato la competenza alla determinazione dei requisiti e delle capacità tecniche e finanziarie per l'esercizio delle attività di gestione dei rifiuti;
   l'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, prevede che: «La garanzia per la gestione successiva alla chiusura della discarica assicura che le procedure di cui all'articolo 13 siano eseguite ed è commisurata al costo complessivo della gestione post-operativa. In caso di autorizzazione, della discarica per lotti la garanzia per la post-chiusura può essere prestata per lotti»;
   il comma 3 del medesimo articolo dispone che «Fermo restando che le garanzie di cui ai commi 1 e 2, nel loro complesso, devono essere trattenute per tutto il tempo necessario alle operazioni di gestione operativa e di gestione successiva alla chiusura della discarica e salvo che l'autorità competente non preveda un termine maggiore qualora ritenga che sussistano rischi per l'ambiente; a) la garanzia di cui al comma 1 è trattenuta per almeno due anni dalla data della comunicazione di cui all'articolo 12, comma 3; b) la garanzia di cui al comma 2 è trattenuta per almeno trenta anni dalla data della comunicazione di cui all'articolo 12, comma 3»;
   ai sensi del comma 4, le garanzie di cui sopra sono costituite ai sensi dell'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348, e devono essere prestate in misura tale da garantire la realizzazione degli obiettivi indicati nei citati commi;
   è sempre maggiore la difficoltà che le imprese riscontrano sul mercato per reperire polizze fidejussorie necessarie al rilascio delle autorizzazioni in particolare per la durata temporale (30 anni) richiesta per la questione «post mortem» delle discariche, obbligo previsto dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2004;
   con circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prot. n. 19931/TRI del 18 luglio 2014 recante «Disposizioni temporanee per la determinazione dell'importo e delle modalità di prestazione delle garanzie finanziarie dovute dai titolari di autorizzazione alla gestione dei rifiuti» è stato disposto che «sino alla pubblicazione del decreto ministeriale al fine di non determinare lacune nell'ordinamento giuridico, le singole amministrazioni titolari di procedimenti di autorizzazione, caso per caso e nell'ambito dei singoli procedimenti, potranno determinare in via sussidiaria gli importi delle garanzie finanziarie da richiedere o da mantenere tenendo anche conto delle vigenti discipline regionali. Tali garanzie dovranno successivamente essere adeguate alla disciplina nazionale, in caso di modifiche, e in ogni caso al decreto ministeriale di cui all'articolo 195, comma 2, lettera g) e comma 4 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152»;
   l'assenza di un'uniforme indirizzo da parte dello Stato, che lascia ampia autonomia alle regioni e province, determina disparità di trattamento di situazioni uguali ed una conseguente distorsione delle dinamiche di mercato per i differenti importi e costi delle garanzie prestate dai vari operatori;
   con sentenza del 26 marzo 2014, n. 67, la Corte Costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità dell'articolo 22, comma 2, della legge regione Puglia n. 39 del 2006 al punto 4.2. del dispositivo, ha evidenziato che «Questa Corte non può esimersi dall'affermare l'opportunità che lo Stato provveda sollecitamente a definire i criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie dovute dai gestori degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, secondo il disposto del più volte richiamato articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo n. 152 del 2006»;
   appare improcrastinabile pertanto l'adozione del decreto previsto dall'articolo 195 del T.U.A., sia per l'uniforme determinazione delle garanzie finanziarie in tutto il territorio nazionale per evitare distorsioni del mercato a causa dei differenti oneri richiesti alle imprese sia per definire le modalità con le quali devono essere prestate le garanzie stesse, soprattutto per le discariche per le quali esse vanno prestate per ben trent'anni –:
   se e quando il Ministro interrogato intenda adottare il decreto previsto dall'articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e se intenda comunque emanare linee guida in merito alla prestazione delle garanzie finanziarie per la gestione trentennale successiva alla chiusura delle discariche.
(5-06639)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva europea 1999/31/CE, nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio 3 agosto 2005 – individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   con la circolare U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, ha fornito delle indicazioni in merito alle forme di trattamento dei rifiuti, includendo la trito vagliatura tra quelle idonee a soddisfare gli obblighi contenuti nella normativa comunitaria di riferimento;
   il 6 agosto del 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano una circolare avente per oggetto «termine di efficacia della circolare del Ministro dell'ambiente U.prot.GAB-2009- 0014963 del 30 giugno 2009», all'interno della quale viene precisato – in base a quanto asserito nel parere motivato della Commissione europea (prot. 9026 del 1o giugno 2012) e nel ricorso depositato il 13 giugno 2013 contro la Repubblica Italiana (registro della Corte numero causa C 323/13) – che la trito vagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non può soddisfare, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE;
   in quell'occasione il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che «con questa circolare viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto “tal quale”, anche se sottoposto a tritovagliatura»;
   con la stessa circolare del 6 agosto del 2013, il Ministero ha invitato le regioni e le province autonome a osservare le precisazioni fornite, e ad adottare le iniziative conseguenti e necessarie al fine di assicurare il pieno rispetto degli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie;
   su questo argomento si è espressa la Corte di giustizia europea attraverso la sentenza del 15 ottobre 2014 in merito alla causa c-323/13. La Corte, tra le altre cose, ha stabilito che la mera compressione e/o triturazione dei rifiuti indifferenziati destinati a essere collocati a discarica non risponde ai requisiti posti dalla direttiva 1999/31/CE;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 1, sostiene che: «ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 4, prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 possono essere reiterate per un periodo non superiore a 18 mesi per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 5, prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Commissione dell'Unione europea –:
   quante ordinanze contingibili ed urgenti, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, siano state emesse durante gli ultimi due anni dai presidenti delle giunte regionali dai presidenti delle province ovvero dai sindaci al fine di autorizzare lo smaltimento dei rifiuti tal quali ovvero trito vagliati all'interno delle discariche ubicate nel proprio territorio di competenza. (5-06640)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a novembre del 2013 la Sardegna è stata investita da un'ondata di maltempo: esondazioni e allagamenti, avevano colpito gravemente le zone della Gallura, del Nuorese, dell'Oristanese, dell'Ogliastra provocando enormi danni alla collettività e cosa ancor più grave, causando la morte di ben 16 persone, 13 delle quali fra Olbia e Arzachena;
   nei pressi di Olbia l'esondazione del rio Siligheddu ha provocato l'allagamento dei tre quartieri limitrofi: sulla strada statale 127, in via Vittorio Veneto, un piccolo ponte sul Siligheddu con le sue tre campate aveva impedito il deflusso delle acque verso il mare, trasformandosi in un vero ostacolo e provocando il conseguente straripamento del fiume;
   oltre alle abbondanti piogge e alla fragilità del contesto, le cause che hanno portato a delle perdite così gravi e ad un disastro di tal portata sono da attribuire ad un'errata gestione del territorio, all'incuria e ad un'incauta speculazione edilizia, troppo spesso ciò che vien imputato a una «catastrofe naturale» ha una concausa e una base antropica;
   nella giornata del 1o ottobre 2015 una nuova perturbazione atmosferica caratterizzata da forti e intense piogge ha colpito la Sardegna e nello specifico Olbia e le regioni limitrofe. L'evento in questa occasione era stato ampiamente previsto dal sistema di allerta della Protezione Civile e fortunatamente non ci sono state vittime, ma come nel 2013, anche in tale occasione le acque del rio Siligheddu hanno minacciato di allagare le aree circostanti: il ponte a tre campate, danneggiato dall'alluvione del 2013, essendo stato ricostruito con le stesse caratteristiche, è riuscito ad adempiere, come in passato, il proprio ruolo di barriera all'inevitabile deflusso delle acque e dei detriti;
   tuttavia, il rischio di una replica è stato scongiurato quando nel pomeriggio le ruspe hanno aperto un varco e l'acqua è defluita verso il mare e il sindaco di Olbia Gianni Giovannelli ha pubblicamente dichiarato che «Il ponte era danneggiato, avrebbe dovuto essere demolito e poi interamente rifatto», con un'unica grande campata e più alto, mentre «lo si è rimesso in piedi così com'era, con piccoli interventi, per un costo di circa 100 mila euro; era urgente riaprire la statale e forse i 3/4 milioni per rifarlo sono stati dirottati altrove»;
   nel corso dell'esame della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), al comma 118 (attinente il tema della ricostruzione e ripresa economica delle zone della regione Sardegna interessate dagli eventi alluvionali del mese di novembre 2013), è stato approvato l'emendamento presentato dall'interrogante, che predispone da un lato la delocalizzazione in aree sicure degli edifici costruiti nelle zone ad alto rischio idrogeologico, vincolando i fondi per la ricostruzione ad opportune attività di messa in sicurezza, e dall'altro assicura che gli interventi sul reticolo idrografico non alterino l'equilibrio sedimentario dei corsi d'acqua, privilegiando interventi di naturalizzazione rispetto agli interventi di artificializzazione –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione di questo esempio emblematico, intenda promuovere un concreto e virtuoso sistema che garantisca la reale messa in sicurezza delle aree a rischio e ancor prima delle aree già oggetto di disastro ambientale e se intenda attivare un adeguato monitoraggio delle attività intraprese a livello nazionale. (5-06641)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale del Gran Sasso è per estensione la terza area protetta d'Italia;
   all'interno del parco vivono cervi, camosci, uno dei branchi di lupi più numerosi dell'Appennino e oltre 2 mila specie vegetali;
   due anni fa con una massiccia mobilitazione da parte di associazioni e popolazione, si bloccò il taglio del Parco del Sirente Velino, che avrebbe messo in pericolo orsi e altre specie in via di estinzione;
   oggi il parco del Gran Sasso è nuovamente messo in pericolo dalla realizzazione del più grande impianto sciistico d'Abruzzo che prevede la cementificazione di molte aree interne al Parco distruggendo la sua bio-diversità e ricchezza naturale;
   l'opera di realizzazione dell'impianto sciistico è probabilmente una delle più grandi che sia mai stata progettata sulle montagne d'Abruzzo, con un costo complessivo di circa 40 milioni di euro;
   secondo la regione Abruzzo, sono almeno 60 i sindaci della provincia dell'Aquila che hanno espresso forti critiche e preoccupazioni alla realizzazione dell'impianto sciistico all'interno del Parco –:
   se ritenga opportuna la realizzazione di un così imponente impianto sciistico all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, patrimonio dell'umanità;
   se non ritenga invece sensato mantenere l'attuale perimetro del parco nazionale del Gran Sasso, dei siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) e di procedere a un piano di sviluppo e turismo sostenibile che rispetti tutte le norme stabilite dall'Italia e dall'Unione europea puntando sul restauro, rendendo migliori gli attuali impianti sciistici, investendo su minori opere a basso impatto ambientale, mettendo in atto azioni volte alla costruzione di una rete di servizi a favore della comunità montana e investendo su un turismo «green», già realtà economica e produttiva nei parchi nazionali. (4-10718)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2002 veniva costituita la «Fondazione Ravello», della quale facevano parte la regione Campania, la provincia di Salerno, il comune di Ravello e la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, quest'ultima ritiratasi dalla Fondazione nel 2010;
   nel 2007 entravano a far parte della compagine fondativa anche l'ente provinciale per il turismo di Salerno e, segnatamente, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il tramite dapprima della soprintendenza di Salerno, e poi per il tramite della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania;
   in forza di tanto, nel consiglio di amministrazione della Fondazione, dal 2007 ad oggi, è stato presente un membro nominato, dapprima indirettamente, da ultimo direttamente dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in forza di tutto quanto sopra, è stata concessa alla Fondazione Ravello la gestione del prestigioso monumento Villa Rufolo, di cui sono proprietari, in quota parte l'Ente provinciale per il turismo di Salerno e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la parte demaniale;
   la Fondazione Ravello ha raggiunto, negli anni, brillanti ed eccezionali risultati sia in termini di realizzazione del famosissimo, e ormai ultra sessantennale, Ravello Festival, vero fiore all'occhiello dell'offerta culturale italiana, sia in termini di gestione del monumento Villa Rufolo, che oggi vive un momento felicissimo per la complessa e complessiva mole di interventi realizzati per le modalità gestionali messe in campo, dopo cento anni di sostanziale immobilismo e degrado; il tutto – tanto vero ed importante – da indurre il Ministro interrogato a dichiarare, nel luglio 2014 e nel corso di una sua visita – sopralluogo: «La Fondazione Ravello è un modello da seguire»;
   gli accadimenti dell'ultimo mese stanno gettando ombre drammaticamente gravi su una storia, fino a prima, tutta da incorniciare;
   come è dato leggere dalla stampa, il segretario generale della Fondazione ha trasmesso anche al Ministro interpellato, quale rappresentante istituzionale e legale del Ministero, copiosa documentazione dalla quale emergono fatti che, qualora siano confermati, hanno risvolti inquietanti;
   come è dato leggere dalla stampa, è infatti in atto un feroce tentativo di far diventare un soggetto esclusivamente culturale in quello che appare agli interpellanti il solito «carrozzone» politico. Dapprima, tentando di etichettare a posteriori come «politica» la precedente gestione, che ha visto alla Presidenza l'onorevole Renato Brunetta, e che ha segnato prestigiosi risultati culturali ed economici, traghettando una fondazione da un disavanzo sostanziale di circa 500.000 euro ad una fondazione in attivo, nonché da una fondazione mono corda, che realizzava esclusivamente il Ravello Festival, ad una compiuta fondazione culturale poliedrica, affiancando al festival prestigiosi e ulteriori eventi, ma, soprattutto, realizzando e concretizzando un modello gestionale di beni culturali quasi unico nello scenario italiano; per poi giustificare l'attuale governance in una logica propria dei peggiori turnover e, questa volta, si politica nei fatti;
   sempre a leggere la stampa, dagli atti trasmessi al Ministro interrogato, sembrerebbe che i primi due mesi del nuovo corso siano stati spesi unicamente e con procedure di urgenza per defenestrare anticipatamente a scadenze contrattuali i protagonisti della precedente gestione, e per tentare di spendere immediatamente le risorse rinvenute, frutto di attenta e scrupolosa gestione, tralasciando, invece, le azioni veramente urgenti, volte a dare garanzie e supporto alle importanti attività in corso, e segnatamente a quelle riguardanti il bene monumentale Villa Rufolo, alle emergenze, alle urgenze rappresentate e rimaste disattese –:
   cosa intenda fare il Ministro interpellato per frenare quella che, per gli interpellanti, è una deriva pericolosa che, travolgendo la Fondazione Ravello in nome della «politica», finirebbe per travolgere uno degli esempi più fulgidi di modello gestionale, una eccellenza dell'offerta culturale italiana, un monumento tra i fiori all'occhiello del ricchissimo patrimonio nazionale.
(2-01117) «Russo, Occhiuto».

Interrogazione a risposta scritta:


   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 8 ottobre 2015, ultimo episodio soltanto in ordine di tempo, a Torino un prestigioso monumento nazionale del diciassettesimo secolo e una delle residenze sabaude la «Villa della Regina», riconosciuta patrimonio dell'umanità dall'anno 1997 come sito UNESCO, è rimasta completamente chiusa al pubblico e ai turisti per un'intera giornata;
   la villa e il parco già residenza delle regine sabaude risulta, infatti, «affittata» e messa a disposizione di un istituto bancario;
   un cartello all'ingresso informava i malcapitati visitatori che la struttura sarebbe rimasta chiusa perché ospitava «i giovani manager del programma di formazione Uniquest di Unicredit»;
   tra le attività previste per i futuri e giovanili «capitani del capitale» sembra sia stata inserita anche la collaborazione «alla semina di un prato fiorito... in un'ideale restituzione di risorse non solo economiche dalla banca al territorio»;
   ciò potrebbe significare che alla banca è stato consentito l'uso e il godimento in esclusiva di un monumento nazionale, chiudendolo al pubblico per un'intera giornata, senza sborsare un euro;
   il 3 ottobre 2015, inoltre, la reggia di Venaria risulta essere stata chiusa con tre ore di anticipo per la terza edizione – dopo il grandissimo successo delle precedenti – della «Nuite Royale»: festa in costume settecentesco con 1.500 partecipanti per «vivere la magia di un Ballo di Corte presso una splendida reggia (...) trasformare il sogno in realtà e attraversare il ponte tra presente e passato... per tornare al tempo delle corti, degli sfarzi e della stupefacente maestosità dell'epoca settecentesca.»; con tanto di «cena e rinfresco esclusivo, a buffet (finger food, primo e dolce) o royal dinner, dancefloor nella Galleria Grande con dj set, cocktail experienceRed Sixties” by Rosso Antico», ecc. ecc.;
   ancora un anno or sono la sala di lettura della Biblioteca nazionale di Firenze — per l'occasione definita «una location fiorentina ricca di storia e di atmosfera» — è rimasta chiusa per accogliere una sfilata di moda, con gli studenti che issavano cartelli con scritto: «Vogliamo studiare !», mentre pochi mesi prima la Biblioteca stessa aveva ospitato partite di golf;
   in queste, come in altre occasioni, non si sono registrate da parte di alcuna sede istituzionale, né da palazzo Chigi, né dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, moti di indignazione, denunce contro la violazione dei diritti dei turisti paganti né ipotesi e/o annunci di interventi normativi per l'introduzione di «reati in senso lato» nel codice penale come avvenuto in occasione dello svolgimento di una legittima assemblea sindacale convocata a norma di legge, con il previsto preavviso e della durata di (ben) due ore e mezzo, a Roma presso il Colosseo;
   quest'ultimo episodio romano ha, invece, prodotto un unico intervento e, cioè, un provvedimento del Governo, utilizzato per i casi straordinari di necessità e urgenza ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, teso a colmare una presunta lacuna nella disciplina dell'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati;
   ad avviso degli interroganti non può non rilevarsi, in relazione ai fatti sopracitati, un'involontaria ironia nell'intervento del Governo nell'intenzione dichiarata  di prevenire o contrastare fenomeni lesivi della tutela e della fruizione dei beni culturali perché non può esserci effettiva tutela di un museo senza la sua apertura al pubblico, in quanto il patrimonio culturale è conservato proprio per essere fruito;
   dalla stampa si apprende, inoltre, che nel nostro paese pranzare o cenare, magari in gruppo è possibile oltre che al ristorante persino nei luoghi più belli e famosi del mondo, anche se tale opportunità non è certamente alla portata di tutte le tasche:
    a Firenze: noleggiare gli Uffizi per una cena di cento persone costa 15.000 euro e mangiare ai piedi del David di Michelangelo, all'Accademia, ne costa 20.000;
    a Napoli, il Salone delle Feste di Capodimonte costa 25.000 euro, mentre «le manifestazioni che prevedono il lancio commerciale di un prodotto nel museo sono soggette a trattativa riservata»... E per una cena a Castel Sant'Elmo possono bastare 1.000 euro;
    a Bologna per il cortile del Museo Civico Medievale sono sufficienti 2.000 euro per l'intera giornata;
    in Sicilia per il Tempio di Segesta non si arriva a 5.000 euro;
    a Milano anche la Pinacoteca di Brera ci vogliono sui 5.000 euro;
    a Pompei per cenare nell'Anfiteatro servono, invece, 15.000 euro;
    a Roma per il Salone di Pietro da Cortona di Palazzo Barberini sono richieste al massimo 20.000 euro;
    di recente il Ponte Vecchio è stato «chiuso» e concesso alla Ferrari dall'allora sindaco Matteo Renzi per una cifra ridicola rispetto al valore simbolico e al disagio di cittadini e turisti (60.000 euro) e il suo successore Dario Nardella ha permesso alla banca d'affari Morgan Stanley di cenare in una chiesa medievale (il Cappellone degli Spagnoli di Santa Maria Novella) per 20.000 euro, poi elevati a 40.000 nel fuoco delle polemiche;
   il Codice dei Beni culturali non prevede il divieto, di «affitto» dei siti pubblici, ma ne dispone tuttavia l'utilizzo «per finalità compatibili con la loro destinazione culturale»;
   ciò significa, a parere degli interroganti, non soltanto vietarne la chiusura e garantire la fruizione ma anche ostacolarne gli usi singolari, di natura esclusivamente commerciale e di consumismo sfacciato o, comunque, incompatibili con le destinazioni educative, formative e didattiche riferite al patrimonio artistico e culturale che custodiscono e rappresentano;
   non è possibile altrimenti definire le autorizzazioni e gli utilizzi già citati o le «sessioni di step coreografico, zumba e totalbody» sotto gli affreschi medievali del complesso di Santa Maria della Scala a Siena (è successo l'anno scorso), «un corso di pilates nella bellissima atmosfera del Museo Diocesano di Milano» (un'offerta tuttora in corso) o, appunto, un banchetto di banchieri internazionali sotto le volte di una chiesa di un ordine mendicante –:
   se il Ministro interrogato non ritenga un serio errore culturale da parte delle istituzioni e del Governo avvalorare l'idea che con il denaro si possa comunque disporre l'uso privato di un monumento pubblico o, nell'insufficienza e assenza degli investimenti necessari da parte dello Stato, ricercare e favorire finanziamenti a favore del patrimonio artistico che ne snaturino la funzione e in tal modo favorire la mercificazione senza alcun limite anche della cultura;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, anche di natura normativa, affinché sia regolamentato in maniera uniforme l'utilizzo per i privati del patrimonio storico e artistico della nazione secondo i principi con cui la Costituzione ha inteso connettere la tutela pubblica del patrimonio (articolo 9) e la costruzione dell'uguaglianza per il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3). (4-10722)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   DURANTI, MARCON, SCOTTO, PIRAS, RICCIATTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, MELILLA, PALAZZOTTO, PANNARALE, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa, con particolare riferimento alla testata Il Sole 24 ore, in questi giorni a Roma è presente Patrick Dewar, executive vicepresident dell'azienda Lockheed Martin, azienda americana attiva nel settore aerospaziale e della difesa;
   Dewar nello specifico parteciperà ad un dibattito «sulle sfide della sicurezza in Europa e nel Mediterraneo», in cui si discuterà, fra le altre, cose delle collaborazioni industriali fra l'Italia e la Lockheed Martin;
   nel corso di un'intervista il dirigente dell'azienda americana ha riferito che l'Italia si è impegnata all'acquisto di 32 F-35, nonostante da fonti ufficiali il nostro Paese risulta aver firmato un contratto di acquisto di soli 8 velivoli;
   il progetto di acquisto degli F-35 da parte dell'Italia prevedeva inizialmente 130 velivoli, successivamente ridotti a 91 con l'intervento dell'allora Ministro della difesa Giampaolo Di Paola. Inoltre con la mozione del 9 settembre 2014 (la n. 1-00586), a prima firma dell'onorevole Scanu, il Governo si è impegnato a riesaminare l'intero programma F-35 con il dimezzamento dei costi dello stesso;
   in applicazione della mozione stessa, i costi del programma dovrebbero scendere quindi dai 13 ai 6,5 miliardi di euro, che consentirebbero al massimo l'acquisto di non oltre una ventina di velivoli oltre i nove già acquisiti;
   nonostante l'approvazione della mozione sopra citata, il Ministero della difesa non ha mai reso noti i dettagli della riduzione dei costi della operazione F-35 e del conseguente ridimensionamento dei futuri ordini di acquisto –:
   se non intenda rendere una relazione dettagliata ed aggiornata, anche alla luce di quanto dichiarato dal vice presidente della Lockheed Martin, circa il programma di acquisizione degli aerei F-35, mantenendo gli impegni presi con l'approvazione della mozione n. 1-00586. (3-01759)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il servizio investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri è la struttura preposta a soddisfare le richieste di indagini tecnico-scientifiche di polizia giudiziaria dei reparti dell'Arma, della magistratura e delle altre forze di polizia;
   il compito di assicurare agli investigatori tradizionali il massimo contributo da parte delle scienze forensi è assegnato agli specialisti del raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Ra.C.I.S.), dei quattro reparti investigazioni scientifiche (R.I.S.) di Roma, Parma, Messina e Cagliari e delle sezioni investigazioni scientifiche (S.I.S.), inquadrate nei principali Comandi provinciali, che nel 2014 hanno portato a termine, complessivamente, 17.206 accertamenti;
   le S.I.S., che costituiscono, a livello interprovinciale, l'organo tecnico-scientifico specializzato nell'attività di sopralluogo e repertamento sulla scena del crimine e nelle indagini tecniche relative alle sostanze stupefacenti, includono i laboratori per l'analisi delle sostanze stupefacenti (L.A.S.S.), il personale addetto ai rilievi tecnici e gli «artificieri/antisabotaggio»;
   il quotidiano La Nuova Sardegna – edizione Sassari ha dato notizia il 23 settembre 2015 del trasferimento dal 1o ottobre 2015 delle attività della S.I.S. di Sassari presso gli uffici del R.I.S. di Cagliari;
   a quanto risulta agli interroganti, sarebbe stata richiesta la soppressione anche dell'ufficio del L.A.S.S. di Sorso, inquadrato nel reparto operativo nucleo investigativo 2o sezione (investigazioni scientifiche) di Sassari, laboratorio per l'analisi delle sostanze stupefacenti competente per le province di Sassari e Nuoro, e di conseguenza sarebbe stato richiesto il trasferimento a Cagliari delle due unità organiche che lo compongono;
   qualora tali notizie fossero confermate, ad avviso degli interroganti la concentrazione nel capoluogo dell'isola degli uffici del R.I.S. di Cagliari e della S.I.S. di Sassari, oltre a determinare un inevitabile allungamento dei tempi per lo svolgimento delle attività, non produrrebbe un risparmio di spesa, ma comporterebbe piuttosto un maggior dispendio di risorse economiche se si considerano, ad esempio, i costi derivanti dagli spostamenti del personale dell'Arma all'interno del vasto territorio della Sardegna;
   non poter operare in maniera tempestiva potrebbe provocare, inoltre, anche effetti negativi sulla qualità del lavoro di indagine della sezione investigazioni scientifiche –:
   se le informazioni esposte in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative affinché siano mantenute a Sassari le attività della S.I.S. e sia contestualmente trasferito a Sassari il L.A.S.S. di Sorso. (4-10716)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58, dispone: 1) la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo; 2) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della regione;
   la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alla regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello statuto»;
   la Corte costituzionale nella stessa sentenza, per il bene militare le cui funzioni di difesa erano venute meno proprio per l'intenzione dello Stato di vendere il compendio, disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della regione Valle d'Aosta»;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
   il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
   l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita «ope legis» alla regione; la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato “finché” duri tale condizione» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
   la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico allo norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente; l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando l'allora Ministro della difesa, Zanone, comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
   il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
   tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
   la cessazione della connessione dei beni immobili ai fini statali, come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale, si è verificata proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita il bene o ha attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
   con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva, con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985, n. 158, ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
   l'organo consultivo in quel parere, – in estrema sintesi – si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma, dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
   ad ormai tre anni dal trasferimento della struttura carceraria ospitata in piazza Mannu di Oristano, nota anche come Reggia Giudicale lo straordinario stabile storico e ricco di significati continua ad essere inutilizzato;
   sulla stessa struttura il Ministero dell'economia e delle finanze, a quanto consta all'interrogante, starebbe predisponendo un piano, di dubbia legittimità, per trasferire all'interno del palazzo giudicale uffici statali al servizio del Ministero medesimo;
   tale ipotesi proprio per quanto richiamato è secondo l'interrogante decisamente dubbia sul piano della legittimità e costituisce un grave atto contro l'intera comunità Oristanese che su quello stabile storico ha pensato di costruire un progetto di rinascita culturale di quell'area e dell'intera città;
   in quello stabile è molto probabile l'identificazione della residenza «ufficiale» di Eleonora con una casa-fortezza che sorgeva nel sito ove oggi si trova l'ex carcere di Oristano, nell'attuale piazza Manno, nei pressi della cosiddetta e ormai scomparsa «Porta Mari»;
   tale residenza viene nominata per la prima volta nel 1335, nel testamento del giudice Ugone II, dal quale si apprende la localizzazione del palazzo giudicale su un lato della piazza della Maioria, l'attuale piazza Manno;
   solo ipotizzare che si voglia ubicare in quello stabile gli uffici dell'Agenzia delle entrate e quelli del demanio è inaccettabile e lesivo dell'autonomia della stessa amministrazione comunale;
   il fatto che la reggia giudicale degli Arborea per il Ministero dell'economia e delle finanze sia solo un vecchio carcere dismesso dal quale ricavare uffici è un atto grave e inaccettabile;
   l'insensibilità del Ministero rischia la sollevazione popolare se quel pezzo di storia sarda e oristanese, negato per secoli alla città con la sua trasformazione in carcere, dovesse essere trasformato in un ufficio –:
   se non ritenga di dover attivare con urgenza le procedure per il trasferimento del bene all'amministrazione regionale in modo che da questa passi a quella comunale senza ulteriori indugi nel rispetto dell'articolo 14 dello statuto;
   se non ritenga che sussistano i presupposti, nelle more del passaggio definitivo al patrimonio regionale, per affidare lo stabile all'amministrazione comunale con atto provvisorio;
   se non intenda evitare ogni iniziativa che possa ledere i diritti della comunità sarda e oristanese di disporre di tale bene per l'utilizzo più adeguato alla sua storia e al futuro della città. (4-10725)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 giugno 2006, a un cenciaiolo, un commerciante di robivecchi ad Arsiero, nella frazione di Scalini, in provincia di Vicenza, era scattato l'allarme del ditta e, precipitatosi nel vicino deposito, il medesimo commerciante si era trovato davanti due intrusi, due nomadi che si erano introdotti in piena notte per rubare; infatti, i malviventi avevano già riunito la refurtiva, che consisteva in cavi in rame, e mentre gli brandivano contro, con fare minaccioso, delle spranghe, Ermes Mattielli sparò, con la pistola legittimamente detenuta, diversi colpi di arma da fuoco. Ermes fu processato in primo grado ed è stato condannato per lesioni colpose per eccesso di legittima difesa ad un anno di reclusione, pena sospesa, condizionata al pagamento di una provvisionale di 120 mila euro ai nomadi. La sentenza è stata annullata dalla corte d'appello di Venezia, che ha ritenuto invece che il signor Ermes Mattielli sparò, non per un errore di valutazione nell'esercizio di legittima difesa, ma con l'intento di uccidere. Sono stati quindi restituiti gli atti a Vicenza, per elevare l'accusa a duplice tentato omicidio volontario di Blu Helt e Cris Caris (entrambi i rei sono stati condannati a quattro mesi di reclusione). A distanza di nove anni l'odissea giudiziaria del signor Ermes Mattielli, passata dall'accusa di eccesso di legittima difesa a duplice tentato omicidio volontario, non è finita; infatti, il signor Ermes Mattielli è stato condannato dal tribunale di Vicenza a cinque anni e quattro mesi di reclusione ed a risarcire Blu Helt e Cris Caris a 135 mila euro, somma anch'essa dichiarata provvisoriamente esecutiva;
   tutta la famiglia Mattielli sta vivendo ore d'angoscia, stante secondo gli interroganti la palese ingiustizia che sta subendo, per aver difeso in piena notte, dai malviventi, dei beni di sua proprietà; fra i tanti ha avuto anche la solidarietà del benzinaio Graziano Stacchio, anch'esso imputato per eccesso colposo di legittima difesa, che non si capacita di una sentenza che ha condannato Ermes Mattielli ad una pena detentiva e al risarcimento ai malviventi per il danno che loro hanno subito;
   Ermes Mattielli è una persona conosciuta e stimata all'interno della comunità di Arsiero, tanto che sia cittadini che esponenti politici, in una comunione di intenti, si stanno ora mobilitando a favore di una persona che non ha fatto altro che difendere la propria casa e la vita della propria famiglia da una banda di delinquenti che lo volevano rapinare;
   già nell'aprile 2004 la Lega Nord aveva presentato una proposta di legge per modificare le norme in materia di legittima difesa, eccessivamente penalizzanti a fonte dell'aumento e dei sempre più efferati episodi di furti in abitazione e in esercizi commerciali, finché nel 2006, grazie all'impegno sempre del gruppo della Lega Nord, venne approvata la legge n. 59, «Modifica all'articolo 52 del codice penale in materia di diritto all'autotutela in un privato domicilio», che deve essere riconosciuto senza esitazione anche al caso di Ermes Mattielli;
   anche recentemente, come si apprende dalle notizie di stampa, sono in crescita i casi di assoluzione per vicende simili, nei quali i magistrati hanno riconosciuto la legittima difesa e assolto con formula piena chi ha difeso la propria incolumità, quella della famiglia o la propria abitazione nel corso di furti o rapine; ad esempio, il 23 gennaio 2014 è stato, infatti, assolto il commerciante di Caravaggio, in provincia di Bergamo, che aveva sparato dalla finestra di casa per intimidire un ladro di nazionalità romena che aveva tentato di rubare nella sua ditta, uccidendolo;
   a fronte dell’escalation di furti, dell'aumento esponenziale dei reati predatori in generale e del peggioramento della condizioni di sicurezza dei cittadini, anche a causa delle continue politiche di questo Governo che agli interroganti appaiono premiali nei confronti dei criminali, che vanno dai provvedimenti, di fatto, «salva-delinquenti» a provvedimenti di «mini-indulto», dove la persona offesa è stata, man mano, privata di ogni effettiva ed efficace tutela, in controtendenza, il 20 febbraio 2014 il gruppo consiliare della Lega Nord in regione Lombardia ha presentato, e poi all'unanimità è stata approvata, la legge regionale 24 giugno 2015, n. 17, che regola gli interventi per la prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità, per tutelare i cittadini esasperati che difendono l'incolumità propria o dei familiari da ladri e delinquenti, e fra queste misure è stata prevista l'istituzione di un fondo volto a finanziare le spese per il patrocinio nei procedimenti penali per la difesa dei cittadini accusati di aver commesso un delitto per eccesso colposo in legittima difesa –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative degli altri soggetti istituzionali coinvolti, con riferimento alle questioni relative alla normativa di cui all'articolo 52 del codice penale, come modificato dalla legge n. 59 del 2006. (3-01760)


   CARFAGNA e BRUNETTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 settembre 2015 a Terzigno (Napoli), Vincenza Avino, 35 anni, è stata uccisa da un proiettile alla schiena da una macchina in corsa, mentre era ferma in auto a bordo strada; a sparare, l'ex compagno della vittima, Nunzio Annunziata, 36 anni, arrestato all'alba seguente, a Poggiomarino, dai carabinieri di Torre Annunziata. L'accusa è di omicidio volontario;
   Nunzio Annunziata era stato arrestato il 10 luglio 2015 per stalking proprio contro la sua compagna, Vincenza. Nell'ordinanza di luglio 2015 si parla non solo di veri e propri «atti persecutori» (quasi tutti i giorni, il giovane seguiva la donna nell'istituto di San Giuseppe Vesuviano, dove lei frequentava un corso serale), ma anche di un lungo elenco di aggressioni e minacce che Vincenza Avino è stata costretta a subire per molto tempo;
   tra gli episodi più gravi di cui si è reso protagonista l'uomo, si ricorda quello della notte del 1o maggio 2015, quando, ubriaco, si è arrampicato fino all'appartamento della donna, al terzo piano, per poi trascinarla sul balcone, cercando di gettarsi nel vuoto insieme a lei;
   una decina di giorni dopo, la donna, ormai sfinita dagli atti persecutori e di violenza, si è recata nella caserma di Terzigno, ma anche lì è stata seguita da Annunziata. I carabinieri, nella relazione di servizio, hanno descritto il ragazzo «molto agitato, con una sudorazione accentuata, che si muoveva in maniera frenetica»;
   l'uomo non è apparso affatto intimorito dalla denuncia, tanto che il 22 giugno 2015 e l'8 luglio 2015, Vincenza Avino si era recata ancora una volta dai carabinieri per segnalare di essere stata nuovamente avvicinata e molestata in vario modo dal suo persecutore, il quale, benché consapevole di essere stato denunciato, sembrava tutt'altro che rassegnato alla separazione, continuando a pedinare l'ex compagna, alternando minacce alle dichiarazioni d'amore e stazionando costantemente sotto la sua abitazione, dove talvolta vi trascorreva l'intera notte dentro l'auto;
   il 9 luglio 2015 il giudice per le indagini preliminari di Nola Martino Aurigemma aveva descritto l'uomo, peraltro pregiudicato per tentata rapina, come una persona che «ha perso ormai qualunque forma di autocontrollo, dimostrando una completa, allarmante, mancanza di freni inibitori», «una personalità violenta e insofferente al rispetto delle regole del vivere civile». Inoltre, il giudice sottolineava che il suo era un comportamento che aveva assunto «i caratteri della vera e propria persecuzione, determinando nella persona offesa un perdurante stato di ansia e paura, inducendola a cambiare le proprie abitudini di vita ed ingenerando in lei un più che giustificato timore per la propria incolumità»;
   il 23 luglio 2015, quando Nunzio Annunziata era agli arresti domiciliari per violenza privata, stalking e violazione di domicilio nei confronti della ex compagna, con un provvedimento di tre cartelle l'ottava sezione penale del tribunale del riesame sostituiva gli arresti con il divieto di avvicinamento a tutti i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, in attesa del processo fissato per il mese di novembre 2015. Secondo il collegio del tribunale del riesame «non si può ritenere che, dagli atti sin qui acquisiti, emerga una personalità così allarmante e incontrollabile dell'indagato da far ritenere del tutto inimmaginabile un suo comportamento collaborativo» e «non vi è ragione per non limitare al minimo i sacrifici imposti all'indagato», applicando una misura che, pur idonea ad evitare altri reati, «sia la meno deteriore per la sua sfera familiare e lavorativa»;
   alla luce degli eventi, si può dedurre che l'unica misura in grado di contenere la violenza di Annunziata sarebbe stata la custodia in carcere, che, peraltro, per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale («Atti persecutori») continua ad essere applicabile, anche dopo le modifiche introdotte all'articolo 280 del codice di procedura penale dal decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94;
   quella di Vincenza Avino è, dunque, una tragedia che poteva essere evitata, semplicemente rispettando le norme in vigore;
   tra le inefficienze giudiziarie sul drammatico caso riportato, va segnalato che, proprio in questi giorni, un difetto di notifica ha messo in libertà per pochi secondi Nunzio Annunziata. A bloccare la sua scarcerazione è arrivato un nuovo decreto di fermo emesso dalla procura di Nola, che ha di fatto congelato il ritorno in libertà dell'uomo. Per pochi istanti, quindi, un assassino che ha confessato il suo delitto è stato liberato per una banale, ma pericolosa, dimenticanza: in carcere, però, sono arrivati in contemporanea i due provvedimenti, che hanno lasciato in cella Annunziata. Nella mattinata di lunedì 12 ottobre 2015, infatti, dinnanzi al tribunale del riesame di Napoli era stata fissata l'udienza per discutere della richiesta di annullamento dell'ordinanza: un passaggio «normale», che quasi tutti i legali tentano per ottenere quantomeno il beneficio degli arresti domiciliari per il proprio assistito. Gli uffici giudiziari napoletani hanno, però, prima commesso un errore di notifica e poi sbagliato il calcolo dei giorni per la fissazione dell'udienza. La legge prevede un massimo di 10 giorni – domenica compresa – per fissare l'udienza. E in questo caso, il decimo giorno scadeva proprio di domenica, un giorno festivo in cui non si può celebrare alcun processo. L'errata fissazione al primo giorno feriale – il lunedì – ha di fatto portato all'annullamento «automatico» dell'ordinanza e alla conseguente scarcerazione dell'indagato, a cui si è potuto porre rimedio sono con il nuovo decreto di fermo della procura. Un episodio, quest'ultimo, che non va comunque trascurato e che non può che richiamare con forza la necessità di opportune verifiche sul caso da parte del Ministro interrogato;
   la vicenda di Terzigno, purtroppo, non rappresenta un caso isolato, in particolare negli ultimi tempi. Il 7 ottobre 2015, a Catania, una ragazza di 20 anni è stata uccisa con numerose coltellate dal suo ex fidanzato di 24 anni. Il ragazzo, durante l'interrogatorio, ha insistito nel negare la premeditazione, ribadendo che il movente è da collegare ad un raptus dovuto alla volontà della giovane di non revocare la denuncia per stalking nei suoi confronti, che quel giorno sfociava nella prima udienza per la richiesta di rinvio a giudizio davanti al giudice per le indagini preliminari di Catania;
   un altro dramma ha avuto luogo pochi giorni fa a Momigno, una frazione del comune di Marliana, piccolo centro in provincia di Pistoia, dove un uomo di 34 anni ha inferto una trentina di coltellate all'ex compagna di 25 anni. Anche lei aveva denunciato il giovane per stalking, al punto che questa estate gli era stato vietato di avvicinarsi. La giovane è ora ricoverata in prognosi riservata per un fendente che ha trafitto il polmone, dopo aver subito un lungo e delicato intervento chirurgico;
   alla luce dei casi sopra riportati, risulta fondamentale che la magistratura applichi in maniera adeguata le misure cautelari previste dal codice di procedura penale per questo tipo di reati, come la carcerazione preventiva, con totale rigore e massima severità, al fine di garantire piena tutela per le vittime e di prevenire reati più gravi, come violenze fisiche, stupri e omicidi –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare i poteri ispettivi di cui dispone, con particolare riferimento alla vicenda della scarcerazione di Nunzio Annunziata, promuovendo le opportune azioni disciplinari del caso, e se, allo stesso modo, non intenda operare le dovute verifiche di competenza in merito agli ulteriori casi riportati in premessa. (3-01761)


   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2015 nel comune di Ercolano, in provincia di Napoli, si è verificato un grave episodio di cronaca nera, quando un gioielliere, che aveva appena subito un tentativo di rapina, ha aperto il fuoco contro i due malviventi autori del tentato furto, uccidendoli;
   stando alle prime ricostruzioni degli investigatori, l'uomo è stato seguito dalla banca, dove poco prima aveva prelevato la somma di circa cinquemila euro, fino ad un negozio di bibite e detersivi di proprietà di alcuni amici, dove si è poi consumata l'aggressione;
   il gioielliere, un sessantottenne di Ercolano, è ora indagato per eccesso colposo di legittima difesa, ma ha sostenuto di aver sparato perché sentitosi in pericolo di vita;
   come riportato dai mezzi d'informazione i due rapinatori, Bruno Petrone e Luigi Tedeschi, avevano precedenti penali specifici, e pertanto appare quanto meno anomalo che fossero a piede libero, piuttosto che essere sottoposti a misure restrittive;
   nei giorni successivi al fatto sia il gioielliere che il proprietario del negozio dove si è verificato il tentativo di rapina hanno subito minacce da parte dei parenti dei due rapinatori uccisi, avvenute anche pubblicamente attraverso interviste televisive rilasciate a televisioni nazionali –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare con riferimento ai gravi fatti esposti in premessa, valutando anche la sussistenza dei presupposti per l'adozione di iniziative ispettive. (3-01762)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come documentato anche dalla stampa di settore (ex pluribus, Trasporti-Italia del 23 settembre 2015), la Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale, mandataria del gestore Rti, ha specificato, tramite apposita circolare n. 14 del 21 settembre 2015, che, a causa dell'esaurimento delle risorse disponibili, è sospesa l'operatività della sezione speciale per l'autotrasporto istituita con decreto del 27 luglio 2009 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, e successive modifiche e integrazioni;
   il fondo di garanzia ha rappresentato un sostegno importante per le imprese di un settore, che, oltre a essere gravato da profondi problemi strutturali, sconta oggi il prezzo della crisi e la forte concorrenza proveniente dall'Europa orientale;
   come denuncia Confartigianato trasporti, «nel primo semestre del 2015 l'autotrasporto merci ha usufruito di circa 10 milioni di euro di garanzia dallo Stato che hanno in pratica permesso di realizzare circa 180 milioni di euro di investimenti (...) Il venire meno di queste risorse significa ridurre la capacità di sfruttare appieno la ripresa economica»;
   quanto ai citati problemi strutturali, gli attuali finanziamenti all'autotrasporto non risultano ancora vincolati in modo soddisfacente all'incentivazione, all'ammodernamento tecnologico e ambientale o all'efficientamento delle filiere logistiche, così favorendo una modalità di trasporto foriera di importanti esternalità negative a scapito dell'innovazione tecnologica e dell'ammodernamento;
   con l'ordine del giorno n. 9/02679-bis-A/005 alla legge di stabilità per il 2015, il Governo ha accolto come raccomandazione la proposta di valutare l'opportunità, al fine di favorire la competitività e di razionalizzare il sistema del trasporto merci, di prevedere la ripartizione delle risorse destinate all'autotrasporto, e più in generale di tutte le risorse destinate al trasporto merci e alla logistica, tra le sole imprese che pongano in essere iniziative dirette a realizzare: l'aggregazione in rete delle aziende (...), la condivisione della flotta, l'utilizzo di sistemi informatici, telematici per la razionalizzazione del trasporto, l'acquisto di unità di carico, quali casse mobili, container e micro unità atte alla distribuzione urbana delle merci, la dotazione di sistemi integrati a bordo camion, la riduzione dei costi esterni ambientali –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per porre in essere un intervento organico sull'autotrasporto, reperendo ulteriori risorse per garantire l'operatività del fondo nel settore, eventualmente elevando il plafond destinato all'autotrasporto con connessa diminuzione di quelli destinati ad altri settori con più ridotta domanda di accesso al fondo e prevedendo che la distribuzione delle risorse avvenga in forma di incentivi e non di sussidi, come da predetto ordine del giorno, e senza l'intermediazione delle associazioni di rappresentanza. (3-01763)


   SPESSOTTO, DELL'ORCO, LIUZZI, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un rilevante articolo, apparso sulla stampa e intitolato «Pignorati i conti del Ministero di Lupi», riporta la preoccupante notizia per cui, a partire dal 14 gennaio 2015, sarebbe stato disposto il blocco giudiziario dei conti correnti appartenenti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la procedura giudiziaria avviata nei confronti dei conti correnti del dicastero trae le sue origini dal piano di ricostruzione post-bellica della città di Ancona, affidato in concessione all’Adriatica costruzioni srl dell'imprenditore marchigiano Edoardo Longarini;
   con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992 fu disposto l'annullamento nei confronti del gruppo di Longarini di tutti i rapporti concessori per i lavori relativi ai lotti di piani di ricostruzione della città di Ancona;
   a seguito dell'impugnazione degli atti di annullamento da parte del gruppo Longarini, la corte di appello di Roma, con sentenza depositata l'8 luglio 2014, si è espressa nel procedimento promosso per la quantificazione dei danni a favore di Edoardo Longarini, il quale ha richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un indennizzo di 1,2 miliardi di euro per gli appalti revocategli e che egli stesso ha sempre rivendicato;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha quindi presentato un ricorso in Corte di cassazione contro l'esecuzione della sentenza della corte d'appello di Roma e del lodo arbitrale a favore di Longarini per chiedere «la sospensione dell'efficacia esecutiva e dell'esecuzione della sentenza della corte d'appello di Roma, nonché dei lodi arbitrali definitivo e non definitivo»;
   nel ricorso si lamenta che «dall'esecuzione del lodo e della menzionata sentenza deriva un danno grave e irreparabile per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in quanto l'enorme importo della pronuncia di condanna, da valutare anche alla luce dell'attuale contingenza economica, caratterizzata dalla drastica riduzione delle disponibilità finanziarie di pertinenza del Ministero, rischierebbe di paralizzare l'esecuzione di opere pubbliche di rilevante interesse strategico nazionale, come rappresentato dal Ministero, e determinerebbe la perdita di circa 40 mila posti di lavoro»;
   per quanto di conoscenza degli interroganti, in base alle notizie di cronaca apparse sulla stampa, si apprende che, a seguito della notifica di un atto di pignoramento di rilevante importo, le disponibilità economiche esistenti sui conti correnti riferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sarebbero state bloccate, dalle piccole spese d'amministrazione ai finanziamenti ai trasporti o addirittura ai cantieri in tutta Italia;
   tra i conti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sottoposti a pignoramento compare anche il conto di tesoreria centrale, sul quale erano disponibili le risorse anche per i lavori di completamento della variante alla strada provinciale n. 14 – circonvallazione al centro di Bojon, le cui procedure di affidamento dei lavori sono state conseguentemente interrotte;
   il Parlamento ha di recente approvato il disegno di legge di assestamento dello Stato per il 2015, il cui stato di previsione per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui alla legge di bilancio, reca una previsione di spesa complessiva di competenza pari a 13.260,432 milioni di euro –:
   se quanto riportato in premessa corrispondesse al vero, attraverso quali risorse intenda far fronte al pagamento del credito per il quale si è proceduto al pignoramento, evidenziando nel dettaglio le eventuali riduzioni di autorizzazioni di spesa con indicazione delle missioni, programmi e capitoli oggetto delle suddette riduzioni. (3-01764)


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 7 novembre 2014 è stata sottoscritta la convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società di progetto «Autostrada Ragusa-Catania», costituita da un'associazione di imprese composta da Silec spa, Mec spa, Egis projects sa, Tecnis spa, aggiudicataria della realizzazione del raddoppio del collegamento Catania-Ragusa compreso tra lo svincolo della strada statale n. 514 con la strada statale n. 115 e lo svincolo della strada statale n. 194 «Ragusana» con la strada statale n. 114;
   la convenzione prevede trentanove anni di concessione, di cui quattro e mezzo per la realizzazione di un collegamento di 68 chilometri tra il territorio di Ragusa e la futura autostrada Catania-Siracusa nel comune di Augusta. L'autostrada include 19 viadotti, 8 gallerie e 11 svincoli a livelli sfalsati;
   il raddoppio del collegamento stradale Catania-Ragusa (strada statale n. 514) costituisce un'opera importante e fortemente strategica per lo sviluppo del distretto sud-est della Sicilia e la sua mancata realizzazione avrebbe pesanti ricadute negative sull'economia della zona e della Sicilia tutta;
   senza tener conto di ciò, quest'opera viaria, unitamente ad altre, fra le quali l'autostrada Roma-Latina, collegamento strategico per la realizzazione del corridoio tirrenico meridionale, oggetto di un precedente atto di sindacato ispettivo dell'interrogante (l'interrogazione a risposta orale n. 3-01272 del 5 febbraio 2015), non è rientrata fra quelle inserite nel piano infrastrutture strategiche, contenuto nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza, presentato il 10 aprile 2015 dal Governo;
   tali clamorose esclusioni sono il risultato di un deciso cambio di passo nel modello di realizzazione delle opere pubbliche, che ha visto l'archiviazione del primato della «legge obiettivo» e la drastica riduzione dell'elenco delle opere considerate strategiche;
   in merito alla Catania-Ragusa, così come all'autostrada Roma-Latina, in relazione alla quale si era già espresso in senso positivo il Ministro pro tempore Lupi in risposta all'atto di sindacato ispettivo sopra citato, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente precisato che «la loro esclusione (dall'allegato infrastrutture) non significa rinunciare alla loro realizzazione» e non saranno, dunque, accantonate;
   allo stato attuale la convenzione sopra citata non risulterebbe, tuttavia, ancora efficace a causa della mancata firma del decreto interministeriale di approvazione della medesima da parte del Ministero dell'economia e finanze e la sua successiva registrazione da parte della Corte dei conti;
   come segnalato in più occasioni dal «Comitato ristretto per la realizzazione del raddoppio della Catania-Ragusa», associazione di amministratori locali, imprenditori e cittadini, che da più di un decennio sta monitorando il lungo iter che dal bando di gara ha portato alla stipula della convenzione, sono forti le preoccupazioni del territorio e delle popolazioni interessate per la lentezza con la quale si sta procedendo all'espletamento della procedura per la realizzazione del raddoppio della strada statale n. 514 –:
   quali siano i motivi di tale ritardo e quali iniziative intenda adottare per velocizzare l’iter di approvazione della convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società di progetto «Autostrada Ragusa-Catania». (3-01765)


   TINO IANNUZZI, OLIVERIO, TARTAGLIONE, MAGORNO, COVELLO, CAPOZZOLO, BATTAGLIA, CUOMO, FAMIGLIETTI, IMPEGNO, PARIS, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la modernizzazione dell'asse ferroviario Salerno-Battipaglia-Paola-Reggio Calabria e verso la Sicilia costituisce una priorità di assoluta valenza nazionale nella politica infrastrutturale e dei trasporti non solo del Mezzogiorno, ma di tutto il Paese;
   è indubbia e ben risalente negli anni la situazione di forte ed inaccettabile arretratezza dell'attuale sistema ferroviario meridionale, con tempi di percorrenza lunghissimi e di obiettivo e pesante ostacolo alle attività economiche;
   il potenziamento infrastrutturale e la velocizzazione di tale linea sono fondamentali e quanto mai urgenti per l'intero sistema dei collegamenti nazionali, per lo sviluppo delle attività economiche e produttive nel Meridione, per i processi di mobilità e per le stesse condizioni di vivibilità delle comunità meridionali;
   sono da anni previsti lavori di adeguamento e potenziamento della linea ferroviaria esistente per accrescerne gli standard prestazionali e tecnologici; gli interventi progettati comprendono la dotazione tecnologica uniforme e di alta qualità sull'intera linea; l'adeguamento di alcune gallerie; la velocizzazione degli itinerari di stazione; la realizzazione di nuove «sottostazioni» elettriche ed il rafforzamento di quelle esistenti; la costruzione di nuovi impianti di stazione;
   tali interventi consentiranno di eliminare alcune limitazioni di velocità in diversi punti della linea, rendendo così possibile un aumento consistente della velocità su queste tratte, sino a raggiungere i 200 chilometri orari; essi hanno un costo complessivo di circa 270 milioni di euro, già finanziati con il contratto di programma fra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana s.p.a.;
   vi sono, tuttavia, tratte nelle quali l'andamento tortuoso del tracciato attuale e la situazione dei luoghi impongono non già solamente interventi di impiantistica e di adeguamento tecnologico, ma opere nuove e consistenti, al fine di rendere possibile un significativo ed indispensabile incremento della velocità della circolazione ferroviaria;
   in particolare, nell'ambito delle opere di carattere strutturale lungo questo asse ferroviario, è necessaria la realizzazione una variante di tracciato fra Ogliastro e Sapri, con una spesa di circa 3,7 miliardi di euro, allo stato da finanziare integralmente;
   tutti questi lavori, differenti ma strettamente collegati in un progetto più generale ed unitario, sono assolutamente necessari ed urgenti per velocizzare finalmente l'intera linea da Salerno a Reggio Calabria –:
   quali iniziative e quali provvedimenti il Governo intenda con sollecitudine adottare per il potenziamento infrastrutturale e tecnologico dell'asse ferroviario Salerno-Battipaglia-Paola-Reggio Calabria, sia con la rapida esecuzione sulla linea esistente dei lavori già progettati e finanziati di adeguamento tecnico e come tali da concludere con massima rapidità, sia con il finanziamento e la costruzione di quella variante di tracciato verso Sapri e di quegli interventi strutturali necessari per la velocizzazione di tutta la linea, consentendo così la circolazione del cosiddetto treno veloce capace di raggiungere i 200 chilometri orari e di assicurare un collegamento ferroviario assolutamente prioritario ed urgente. (3-01766)


   FAVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Enrico Letta, con decreto del 15 aprile 2013, ha posto in liquidazione la società per azioni Stretto di Messina spa;
   il Ministro dell'interno Angelino Alfano ha recentemente e pubblicamente annunciato la volontà di riprendere in considerazione la progettazione del ponte sullo Stretto di Messina, chiedendo al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi la definizione di un calendario preciso di realizzazione dell'opera entro il 2018;
   in una mozione, a prima firma dell'onorevole Dorina Bianchi e approvata il 29 settembre 2015 con parere favorevole del Governo, si impegna il Governo «a valutare l'opportunità di una riconsiderazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina (...) quale possibile elemento di una strategia di riammagliatura del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno»;
   tutto ciò senza che le gravi carenze di fattibilità e di sostenibilità economica siano mai state riconsiderate in una sede tecnica o istituzionale;
   il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina aveva già palesato significative carenze tecniche, al punto da essere sottoposto a ben 223 richieste di integrazioni da parte della commissione speciale di valutazione di impatto ambientale a cui la Stretto di Messina spa e il general contractor Eurolink, capeggiato da Impregilo, non avevano mai risposto conclusivamente;
   non è mai stato individuato, nonostante i ripetuti annunci e road show in Italia e all'estero, alcun partner privato disponibile a finanziare con propria quota un'opera il cui costo previsto era lievitato (dati di due anni fa) a 8,5 miliardi di euro, più del doppio di quello con cui il general contractor Eurolink aveva vinto la gara;
   sono stati già spesi 383 milioni di euro per il progetto e per il mantenimento della Stretto di Messina spa;
   l'insostenibilità economica del progetto è stata definitivamente dimostrata dagli studi degli advisor internazionali, che hanno stimato, nelle condizioni ottimali, un traffico automobilistico a regime – entro 25 anni dalla conclusione dell'opera – non superiore all'11 per cento della capacità complessiva del ponte, ovvero 11,6 milioni di auto l'anno, a fronte, appunto, di una capacità complessiva teorica dell'opera di 105 milioni di auto l'anno nelle due direzioni;
   l'insostenibilità dal punto di vista tecnico è stata sottolineata da molti recenti e accreditati studi che considerano un azzardo costruire un manufatto ad un'unica campata di 3.300 metri lunghezza a doppio impalcato stradale e ferroviario, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza in una delle zone a più elevato rischio sismico del mondo;
   l'inutilità dal punto di vista infrastrutturale è conseguenza dell'estrema fragilità della rete di trasporti su rotaia a sud di Salerno, con la realistica previsione di poter ridurre non più del 10 per cento i tempi di percorrenza ferroviaria da Roma alla Sicilia nel caso di costruzione del ponte –:
   alla luce delle recenti affermazioni espresse e delle pubbliche posizioni assunte, quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sull'ipotesi di riattivazione del progetto per il ponte sullo Stretto di Messina. (3-01767)


   GAROFALO, PISO e CAUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse su vari organi di informazione risulta che regioni ed enti locali sarebbero interessati all'acquisizione di alcuni tratti autostradali, in particolare nel Nord Italia;
   ci si riferisce, nello specifico alla A22-Autostrada del Brennero ed alle Autovie venete spa (Autostrada A4 nel tratto Venezia-Trieste; A23 Palmanova-Udine; A28 Portogruaro-Pordenone-Conegliano; A34 raccordo Villesse-Gorizia);
   la notizia, se confermata, sarebbe in netta contraddizione con quanto sta avvenendo in molti settori del sistema economico e produttivo del Paese, come dimostrano anche operazioni di questi giorni;
   dopo la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri di cedere il 49 per cento di Enav, è in corso la cessione di un'importante partecipazione dello Stato in Poste italiane spa e analoghe cessioni sono previste per quote di Enel e di Eni;
   in un quadro di compatibilità con la normativa comunitaria e con un'azione programmatica del Governo tesa a modernizzare e liberalizzare l'economia, notizie come quelle riportate in premessa creano sconcerto e preoccupazione nel Paese e tra gli operatori economici;
   lo Stato (fatto salvo l'esercizio di poteri speciali nei settori strategici) intende, peraltro, operare sulla via delle liberalizzazioni di settori importanti dell'economia e dell'assetto industriale al fine di assicurare servizi più efficienti e vantaggi di carattere economico agli utenti ed al Paese, nel quadro di una trasparente e ordinata concorrenza –:
   quali siano gli orientamenti del Governo su tali interventi che, qualora fossero confermate le notizie riportate in premessa, risultano in contraddizione con le linee programmatiche dell'Esecutivo in materia. (3-01768)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da giorni sul web circola un video che ormai ha raggiunto migliaia di visualizzazioni in cui un mezzo pesante lungo il raccordo autostradale Sicignano degli Alburni-Potenza, passa, o meglio «attraversa», senza problemi, il restringimento costituito da due blocchi di new jersey collocati sulla rampa di accesso, in direzione Salerno, dopo lo svincolo di Balvano ed in territorio di Vietri di Potenza;
   il divieto di transito è previsto a causa dei lavori che interessano il tratto autostradale e che da tempo costringono automobilisti e autotrasportatori ad una serie di disagi;
   poiché sicuramente non è l'unico ad aver adottato tale «tecnica» di superamento del divieto ciò pone in maniera evidente una questione di sicurezza e di rispetto dei divieti;
   è altrettanto vero che la segnaletica presso il suddetto svincolo potrebbe essere sicuramente migliorata perché la doppia indicazione per «Salerno», quella in giallo per gli autotrasportatori e quella su cartello verde per la circolazione ordinaria delle autovetture spesso trae in inganno;
   sarebbe opportuno potenziare i controlli da parte di Anas ed anche da parte della Polstrada soprattutto in orari meno trafficati al fine di evitare pericolose infrazioni –:
   se le autorità competenti siano a conoscenza di tale video e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di rafforzare i controlli lungo il raccordo autostradale Sicignano-Potenza al fine di prevenire le infrazioni consumate nel video. (5-06634)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge da un'analisi elaborata dall'ufficio studi di Confcommercio, in collaborazione con Isfort e presentata al Forum internazionale di Conftrasporto a Cernobbio, l'Italia risulta essere agli ultimi posti in Europa per la logistica e i servizi di trasporto, a causa dell'inadeguatezza infrastrutturale, della scarsa accessibilità materiale e digitale e della latitanza di un'efficace politica;
   la diffusa sensazione dell'inadeguatezza dell'offerta complessiva del nostro Paese è testimoniata da una serie di dati secondo i quali l'Italia risulta al 15o posto a livello di competitività ferroviaria, al 17o per le strade-autostrade, al 19o per i porti e al 21o per gli aeroporti;
   un segnale inequivocabile degli effetti di questa condizione, evidenzia il rapporto di Confcommercio-Isfort, risulta essere, oltre al forte divario tra Nord e Sud, anche la progressiva contrazione del traffico delle merci, ed inoltre, prosegue il documento, nel 2016 non saranno recuperati neppure lontanamente i livelli di movimentazione del 2003 (-17,6 per cento totale, -13 per cento relativamente al trasporto su gomma, -2,7 per cento relativamente al trasporto via mare, -2,4 per cento relativamente al trasporto ferroviario);
   il gap logistico-infrastrutturale ha determinato un tempo complessivo di espletamento delle operazioni di importazione ed esportazione nel nostro Paese tra il doppio e il triplo rispetto a quello necessario nei principali Paesi europei;
   emerge in modo chiaro ed evidente, a giudizio del rapporto sul livello dei trasporti nella penisola, un problema di accessibilità multimodale dei territori, anche se ciononostante, nel caso in cui l'Italia, in maniera rapida, raggiungesse un sistema infrastrutturale simile alla Germania, avrebbe una crescita immediata del 12 per cento, con un valore aggiunto pari a 42 miliardi di euro ed un aumento del 2,8 per cento rispetto ai valori attuali;
   le difficoltà dell'Italia sono testimoniate anche dal fatto che addirittura 15 regioni si collocano oltre il centesimo posto nella classifica della dotazione infrastrutturale delle 270 regioni europee: la Calabria risulta essere al 211o posto e la Sardegna al 231o posto;
   il rapporto in precedenza esposto, a giudizio dell'interrogante, conferma evidenti ritardi in termini infrastrutturali e l'assenza di politiche dei trasporti significative, in grado di rilanciare il sistema-Paese attraverso un insieme sistematico di interventi finalizzati ad una sufficiente interconnessione fra: sistema stradale, portuale e logistico aeroportuale da collegare ai principali sistemi urbani-metropolitani e rete ferroviaria nazionale ad alta velocità;
   occorre, al riguardo, intervenire in tempi rapidi, affinché il sistema dei collegamenti e dei trasporti in Italia possa subire un'inversione di tendenza positiva, in particolare favorendo, in maniera incisiva, il sistema infrastrutturale e logistico in modo efficiente, con la prospettiva di fare dell'Italia l’hub logistico del Mediterraneo e vincere la sfida della «globalizzazione di ritorno» (le merci che ritornano dalle nuove fabbriche del mondo) –:
   quali orientamenti il Ministro interrogati intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative normative urgenti il Governo intenda intraprendere al fine di rilanciare il sistema dei trasporti in Italia, anche nell'ambito dell'imminente disegno di legge di stabilità per il 2016. (4-10719)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 settembre 2015 un candelotto di esplosivo è stato sistemato davanti ai locali del caffè letterario a Villacidro;
   l'ordigno avrebbe potuto causare una strage considerata la quantità, un chilogrammo, oltre alla posizione in un'area centralissima del paese piazza Zampillo;
   è indispensabile attivare tutte le possibili risorse per fare luce sul gravissimo gesto che ha visto un candelotto inesploso con circa un chilogrammo di esplosivo da cava ritrovato davanti al Caffè Letterario in piazza Zampillo a Villacidro;
   si tratta di un fatto che rappresenta un salto di categoria della criminalità e rischia di far precipitare Villacidro in un clima di terrore e preoccupazione diffusa;
   la quantità di esplosivo rendeva l'ordigno di elevato potenziale;
   si è trattato di un'intimidazione gravissima che va immediatamente perseguita con tutti mezzi possibili;
   è giunta all'interrogante la sollecitazione del coordinamento comunale e provinciale di Unidos Villacidro, rappresentato da Marco Pibiri e Dario Piras al fine di sottoporre al Ministro interrogato il grave fatto di Villacidro;
   è indispensabile che le forze dell'ordine vengano supportate in ogni esigenza per far luce sull'accaduto;
   si devono creare le condizioni di sicurezza perché una popolazione responsabile come quella di Villacidro possa contribuire a fornire ogni possibile sostegno alle forze dell'ordine per l'individuazione di questi criminali;
   un fatto di una gravità inaudita che avrebbe potuto provocare vittime e distruzione;
   un gesto criminale che va condannato e perseguito con urgenza senza lasciare niente di intentato per assicurare subito alla giustizia i responsabili;
   aver messo a rischio l'attività del Caffè Letterario e ancor peggio messo a repentaglio vite umane rappresenta un fatto criminale inedito per Villacidro –:
   se non intenda il Ministro dare il giusto supporto alle forze dell'ordine al fine di risalire in tempi immediati agli autori di questo vile e grave attentato;
   se non intenda rafforzare il presidio sul territorio e garantire l'incolumità dei cittadini di Villacidro e dell'intera zona;
   se non intenda coadiuvare le forze dell'ordine con ulteriori risorse, mettendo a punto un piano per la sicurezza in grado di reprimere sul nascere questa recrudescenza criminale. (5-06642)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Pantelleria dista appena 38 miglia dalle coste tunisine e si configura quindi come ideale testa di ponte del Nord Africa verso l'Europa;
   la Libia e la Tunisia sono significativamente infiltrate da nuclei jihadisti che si sono già macchiati di gravissimi atti di terrorismo;
   la propaganda islamista più radicale fa costante riferimento alla volontà di esportare il jihad in Europa;
   battelli nordafricani approdano a Pantelleria, a quanto consta all'interrogante, senza subire alcun controllo, vendendovi tra l'altro illegalmente il proprio pescato, d'incerta origine, e danneggiando quindi i pescatori locali;
   si ha quindi l'impressione che al mantenimento della sicurezza dell'isola di Pantelleria e di chi la abita non venga prestata sufficiente attenzione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per rafforzare la protezione del territorio di Pantelleria, sottoponendo a controlli tutti i natanti esteri che vi giungono, sia per scongiurare l'infiltrazione di pericolosi terroristi che per impedire a pescherecci nordafricani di vendervi illegalmente il proprio pescato, d'origine ignota. (4-10720)


   IACONO, MARCO DI MAIO, GNECCHI, GIUSEPPE GUERINI, ROSSI, ALBINI, CUPERLO, LA MARCA, VALIANTE, TERROSI, MURA, PATRIZIA MAESTRI, PRINA, MANFREDI, CENNI, MALISANI, CANI, MORETTO, CARRA, BLAZINA, CARLONI, GANDOLFI, CULOTTA, ZAN, LAFORGIA, SCUVERA, LENZI, SBROLLINI, PIAZZONI, RUBINATO, CRIVELLARI, AMODDIO, VILLECCO CALIPARI, CIMBRO, PORTA, CAPOZZOLO, PICCIONE, CAPONE, PREZIOSI, IORI, DI SALVO, MARCHI, BONOMO, META e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un recente articolo di stampa, pubblicato il 28 settembre 2015 dal quotidiano La Sicilia mette in evidenza e denuncia la drammatica situazione che riguarda le donne nigeriane, spesso minorenni, che arrivano con i barconi della speranza nel nostro Paese;
   tra le straniere dedite alla prostituzione, presenti sul territorio italiano, si possono distinguere due grandi gruppi;
   il primo composto da ragazze provenienti dai Paesi dell'Est europeo, supportato da organizzazioni criminali prevalentemente rumene;
   il secondo, costituito da giovani donne africane, provenienti soprattutto dalla Nigeria;
   la maggior parte delle vittime della tratta è spesso ingannata dagli esponenti dell'organizzazione o addirittura rapita e trasportata nei territori in cui più imponente è la domanda nell'ambito del sex work;
   le ragazze straniere costrette a tali violenze e soprusi non possono essere considerate prostitute ma vere e proprie vittime di tratta internazionale;
   i dati parlano di un incremento degli sbarchi di donne nigeriane del trecento per cento fra il 2013 ed il 2014 e di una crescita esponenziale per l'anno in corso;
   solo in Italia, si contano più di 70.000 donne dedite alla prostituzione, di cui più della metà sono straniere;
   il fenomeno del trafficking ovvero della tratta di donne finalizzata allo sfruttamento della prostituzione ha avuto come riscontro la stipula di numerosi accordi e convenzioni multilaterali, finalizzati non soltanto ad individuare mezzi legali e punitivi maggiormente repressivi per i trafficanti, ma anche sistemi e piani d'azione socio-assistenziali volti al recupero e al reinserimento delle ragazze vittime della tratta;
   la prostituzione e lo sfruttamento sessuale sono gli aspetti di un fenomeno in continua crescita che coinvolge principalmente donne e minori che, tentando di fuggire dalle loro difficili realtà esistenziali, sono spesso vittime di situazioni disumane ed inaccettabili nelle quali l'iniziale speranza di realizzare i propri sogni e di cambiare vita si scontra contro una realtà fatta di violenza che l'assoggetta al terribile giogo della schiavitù;
   dai dati pubblicati si evince che in molti casi l'età dichiarata dalla donne di nazionalità nigeriana si aggira tra i 18 ed i 24 anni, pertanto una percentuale di esse risulta essere minorenne;
   inoltre, il costo che molte sono costrette a pagare agli scafisti per arrivare sulle coste italiane si aggira intorno alle 15.0000 euro ed in molti casi la tratta sino alla Sicilia, così come testimoniato da diversi articoli stampa, ha un costo ancora più duro, in quanto le donne sono costrette a subire le violenze più dure e mortificanti e spesso umiliazioni di ogni tipo soggiogate allo schiavismo di tipo sessuale ed alla prostituzione;
   l'articolo del quotidiano La Sicilia, sopra citato, a firma del giornalista Mario Barresi, parla senza mezzi termini di prostituzione che si consuma nelle campagne antistanti lo stesso Cara di Mineo e sulla vecchia strada statale che congiunge Catania e Gela;
   a rafforzare questi dati vi sono anche delle recenti indagini condotte dalla mobile di Catania che in alcuni casi hanno sgominato delle vere e proprie gang di «maman» nigeriane dedite allo sfruttamento della prostituzione ed accusate di reato di riduzione alla schiavitù;
   l'Organizzazione internazionale delle migrazioni ha condotto di recente diversi studi dai quali si evince che la maggior parte delle cittadine nigeriane anche se dichiarano di essere maggiorenni si trovano in un età compresa tra i 15 ed i 18 anni e per molte di loro i costi del viaggio vengono coperti direttamente da organizzazioni internazionali dedite allo sfruttamento della prostituzione proprio per utilizzare le ragazze nigeriane all'interno del mercato italiano della prostituzione e dell'illegalità; inoltre, sarebbero emersi dei rapporti di collaborazione intensa tra le organizzazioni internazionali della criminalità nigeriane e le organizzazioni del malaffare siciliano finalizzati al controllo ed alla diffusione della prostituzione;
   vi sarebbe infatti un patto tacito tra organizzazioni criminali siciliane che controllano il territorio ed i gestori nigeriani del traffico di donne rispetto al quale i trafficanti di donne avrebbero l'impegno di pagare l'utilizzo delle strade e dei marciapiedi alle organizzazioni del crimine locale;
   si è quindi in presenza di una vera e propria diffusione drammatica del ricorso alla tratta internazionale di esseri umani finalizzata alla prostituzione ed allo sfruttamento;
   in alcuni casi le ragazze nigeriane scappano dalle comunità alloggio, dove vengono ospitate, perché vittime di questa rete criminale e vengono avviate al traffico della prostituzione;
   molto spesso le donne nigeriane, vittime di tratta, sono addirittura costrette a siglare con i trafficanti di uomini dei veri e propri contratti che sono costrette a rispettare e, quando si rifiutano, le organizzazioni fanno ricorso ad atti efferati come l'omicidio di parenti ed affini delle vittime;
   pertanto si è in presenza di fenomeni oltre che drammatici anche radicati e fortemente organizzati rispetto al cui sradicamento è necessario uno sforzo ed una mobilitazione straordinari;
   a questi dati si aggiungono le testimonianze del personale medico degli ospedali prossimi al Cara di Mineo che, per l'appunto, raccontano di donne che si recano nelle strutture ospedaliere con evidenti emorragie conseguenti ad aborti indotti ed illegali ed, inoltre, su molte donne vi sono anche prove di evidenti violenze sessuali subite;
   secondo alcuni dossier sarebbero più di venticinque in un anno gli aborti riscontrati da parte di donne vittime di tratta nella zona del Calatino;
   inoltre, l'Italia unitamente ad altri otto Stati membri dell'Unione ha avviato il progetto «Cath e Sustain» con il preciso obbiettivo di studiare a fondo il problema e prevenirne alla radice le conseguenze, ma dai dati pubblicati dallo stesso programma la realtà che emerge è assolutamente drammatica; emerge infatti, una indeterminatezza del fenomeno con una sottostima dei numeri e del fenomeno stesso dovuta per esempio all'assenza di una banca dati certa ed affidabile ed una sostanziale inadeguatezza delle normative di riferimento, non in grado, così come più volte testimoniato e dichiarato da alcuni magistrati facenti capo al tribunale minorile di Palermo, di affrontare seriamente il problema e quindi di arginarlo –:
   quali iniziative mirate il Governo intenda adottare urgentemente al fine di contrastare in modo sempre più efficace il fenomeno della tratta e dello sfruttamento della prostituzione ai danni di cittadine nigeriane;
   se sia intenzione del Governo predisporre un censimento del fenomeno ed una banca dati in grado di monitorare tutti gli arrivi di donne minorenni di nazionalità nigeriana nel nostro Paese;
   se sia intenzione del Governo proporre una piattaforma comune al resto dei Paesi dell'Unione europea in grado di fronteggiare in modo coeso ed unitario la tratta e lo sfruttamento di donne, e se non si ritenga di dover mettere in campo, per quanto di competenza, tutte le misure repressive di cui l'ordinamento si è già dotato al fine di colpire duramente chi favorisce il sistema delle tratta di esseri umani, anche in considerazione dei diversi protocolli internazionali che il nostro Paese ha sottoscritto al riguardo, unitamente ad un piano programmato di interventi socio-assistenziali volti al recupero e al reinserimento delle ragazze vittime della tratta. (4-10721)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della visita a Napoli del Presidente della Repubblica dal 26 al 28 settembre 2015 si vi è stato un imponente dispiegamento di forze dell'ordine;
   nella città di Napoli si assiste ormai da anni ad un cronico sottodimensionamento di uomini e mezzi delle forze di polizia che mette a rischio la sicurezza dei cittadini –:
   a quanto siano ammontate le spese sostenute dal Governo per la sicurezza del Presidente della Repubblica, con particolare riferimento a quelle dovute alle forze dell'ordine, anche per il pagamento di straordinari e trasferte;
   se e quanti agenti delle forze dell'ordine siano stati sottratti al loro consueto impiego presso altri incarichi ed altre province della Campania. (4-10724)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che la pubblica amministrazione prima di procedere a nuovo reclutamento di personale per coprire posti vacanti nella dotazione organica debba esperire una procedura di mobilità;
   il comma 108 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, ha previsto un piano straordinario di mobilità per la scuola, rivolto ai docenti assunti a tempo indeterminato entro l'anno scolastico 2014/2015, da avviarsi per l'anno scolastico 2016/2017;
   la deroga al vincolo triennale prevista dal comma citato determina il rischio per i docenti che già da anni lavorano lontani dalle proprie case e dalle proprie famiglie di trovarsi ora superati nell'assegnazione della sede da colleghi assunti negli anni 2013/2014 e 2014/2015, e che quindi non hanno, per ovvi motivi temporali, superato il vincolo triennale;
   la possibilità di accedere alla mobilità prevista per il 2016/2017 per tutti i docenti e, quindi, anche per i neoassunti, determinerà un numero di richieste superiore all'offerta, in particolar modo nelle regioni del sud, gravate da una situazione di esubero di personale soprattutto nella scuola primaria;
   di conseguenza, i docenti, ai quali sarà stata data la possibilità di candidarsi su più province, si vedranno accettare la domanda di trasferimento in una provincia diversa da quella di residenza, continuando a trovarsi nelle medesime condizioni in cui sono ora;
   la mobilità volontaria determinerà inoltre la perdita di titolarità per i docenti già di ruolo, anche da moltissimi anni, poiché saranno inseriti negli albi territoriali in attesa di essere scelti da un dirigente scolastico, senza alcuna certezza che ciò accadrà, in una condizione di precarietà esasperante;
   questi docenti attendono da anni di potersi ricongiungere ai propri figli e alle proprie famiglie, e la nuova normativa rischia di produrre una enorme mole di contenzioso;
   nel corso dell'esame del provvedimento in Parlamento il Governo aveva accolto come raccomandazione l'ordine del giorno 9/2994-B/91 che lo impegnava a «valutare l'adozione di un meccanismo che consenta ai docenti che hanno già superato il vincolo triennale una preferenza nell'assegnazione delle sedi» –:
   quali iniziative siano state assunte per l'attuazione dell'ordine del giorno di cui in premessa e, laddove non ve ne siano state, se non ritenga di procedere con urgenza nel senso indicato. (4-10717)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO, BOCCUZZI e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni i lavoratori dello stabilimento della Dr. FISHER di Alpignano (TO) hanno occupato l'edificio contro l'ipotesi di chiusura. Il timore si è fatto più forte dopo l'invio da parte dell'azienda di una lettera con la quale si comunicava di restare a casa e la sospensione della produzione. Inoltre, nessuno a nome dell'azienda, si è presentato agli incontri convocati presso l'Unione Industriale di Torino;
   la fabbrica produce lampadine e il gruppo tedesco, cinque anni fa, acquistò lo stabilimento e la produzione dalla Philips che ad Alpignano ha avuto anche 1.500 lavoratori;
   oggi sono 62 e tutti si chiedono quali sono le intenzioni dell'azienda, che sta sfuggendo agli incontri, nonostante il piano industriale firmato solo lo scorso anno;
   l'11 ottobre 2015, davanti ai cancelli dell'azienda si è tenuto un consiglio comunale aperto e tutte le istituzioni presenti hanno ribadito la loro disponibilità a collaborare per una soluzione positiva. Regione Piemonte, città metropolitana di Torino, i comuni contermini, insieme alle rappresentanze sindacali, sono a disposizione per l'apertura di un tavolo di discussione;
   Alpignano è la città dove è nata la lampadina in Italia ad opera di Alessandro Cruto che realizzò il suo opificio di produzione della lampada ad incandescenza. Alpignano è legata alla storia della illuminazione e anche per questo segue con attenzione le vicende dei lavoratori. Essi sono la storia industriale della città –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e che cosa intenda fare per favorire una soluzione positiva della vicenda. (5-06636)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   per il terzo anno consecutivo a causa della presenza di un parassita, il cinipide del castagno, la produzione di castagne è compromessa nel territorio del Vulture in provincia di Potenza;
   il calo della produzione si aggira intorno all'80 per cento e rischia di compromettere l'attività di molte aziende agricole del comprensorio anche a causa dei costi di lavorazione che hanno comunque dovuto sostenere;
   in molti comprensori ha funzionato l'impiego del torymus sinensi, un insetto parassitoide appartenente all'ordine degli imenotteri, utile nel controllo biologico del Cinipide galligeno del castagno;
   le organizzazioni di categoria hanno chiesto alle istituzioni forme di sostegno per evitare il collasso di un segmento di qualità dell'agricoltura lucana –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per prevedere misure di sostegno per il comparto in questione e quali iniziative intenda assumere per promuovere l'impiego, anche nel citato comprensorio, del rimedio biologico contro il cinipide, poiché gli esperti sostengono che la sua presenza purtroppo continuerà anche nei prossimi anni. (5-06635)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il comma 2 dell'articolo 48 del decreto-legge n. 269 del 2003 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, prevede la costituzione dell'Agenzia italiana per il farmaco (AIFA), sottoposta alle funzioni di indirizzo del Ministero della salute e alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze. La citata legge 24 novembre 2003, n. 326 all'articolo 48, comma 5, dispone che l'Aifa nel caso di sfondamento del tetto di spesa, debba redigere, entro il 30 settembre di ogni anno, l'elenco dei farmaci rimborsabili, basato su criteri di costo/efficacia, dal servizio sanitario nazionale, ai fini del rispetto dei livelli di spesa programmata dai documenti di contabili di finanza pubblica;
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007 n. 222, e successive modificazioni e integrazioni, individua i tetti di spesa relativi alla spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera, nonché le disposizioni in tema di ripiano in caso di sforamento di questi ultimi;
   il comma 7 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, indica come a decorrere dall'anno 2013, è posta a carico delle aziende farmaceutiche una quota pari al 50 per cento dell'eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto-legge 1o ottobre 2007;
   l'Intesa della Conferenza Stato-regioni n. 82 del 10 luglio 2014 (patto per la salute 2014-2016) prevede al comma 2 dell'articolo 23 una serie di iniziative atte ad un miglioramento del governo della spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale. Fra le azioni si segnala l'aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale e la revisione degli accordi negoziali sui farmaci sottoposti ai registri di monitoraggio dell'Aifa dopo in periodo massimo di 36 mesi;
   il comma 585 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha differito dal giugno 2013 al 31 dicembre 2015 il termine di revisione straordinaria da parte dell'Aifa del prontuario farmaceutico nazionale ed ha introdotto un riferimento esplicito ai criteri di costo/beneficio e di efficacia terapeutica ed allo strumento dei prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee;
   i commi da 593 a 598 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge finanziaria 2015) introducono disposizioni in materia di farmaci innovativi;
   in sede di Conferenza Stato-regioni del 2 luglio 2015 è stata sancita l'intesa concernente la manovra sul settore sanitario che indica al punto D «Farmaceutica territoriale ed ospedaliera» che il Governo e le regioni convengono che le misure di cui ai punti D1, D2 e D3 devono assicurare un risparmio di almeno 500 milioni di euro su basa annua al Servizio sanitario nazionale;
   il comma 10 dell'articolo 9-ter «Razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci» del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 6 agosto 2015, prevede: «10. All'articolo 11 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, come modificato dall'articolo 1, comma 585, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sono apportate le seguenti modifiche;
    a) la rubrica è sostituita dalla seguente: “Disposizioni dirette a favorire l'impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali da parte del Servizio sanitario nazionale”;
    b) il comma 1 è sostituito dai seguenti: “1. Entro il 30 settembre 2015, l'Aifa conclude le procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche volte alla riduzione del prezzo di rimborso dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, individuati sulla base dei dati relativi al 2014 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali OSMED-AIFA, separando i medicinali a brevetto scaduto da quelli ancora soggetti a tutela brevettuale, autorizzati con indicazioni comprese nella medesima area terapeutica, aventi il medesimo regime di rimborsabilità nonché il medesimo regime di fornitura. L'azienda farmaceutica, tramite l'accordo negoziale con l'Aifa, potrà ripartire, tra i propri medicinali inseriti nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili, la riduzione di spesa a carico del Servizio sanitario nazionale attesa, attraverso l'applicazione selettiva di riduzioni del prezzo di rimborso il risparmio atteso in favore del Servizio sanitario nazionale attraverso la rinegoziazione con l'azienda farmaceutica è dato dalla sommatoria del valore differenziale tra il prezzo a carico del Servizio sanitario nazionale di ciascun medicinale di cui l'azienda è titolare inserito nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili e il prezzo più basso tra tutte le confezioni autorizzate e commercializzate che consentono la medesima intensità di trattamento a parità di dosi definite giornaliere (DDD) moltiplicato per i corrispondenti consumi registrati nell'anno 2014. In caso di mancato accordo, totale o parziale, l'Aifa propone la restituzione alle regioni del risparmio atteso dall'azienda farmaceutica, da effettuare con le modalità di versamento già consentite ai sensi dell'articolo 1, comma 796, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa, ovvero la riclassificazione dei medicinali terapeuticamente assimilabili di cui l'azienda è titolare con l'attribuzione della fascia C di cui all'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa.
   1-bis. In sede di periodico aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale, i medicinali equivalenti ai sensi di legge non possono essere classificati come farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale con decorrenza anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare, pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.”»;
   l'Aifa, con riunione del consiglio di amministrazione del 26 aprile 2014, ha effettuato l'aggiornamento consuntivo del monitoraggio della spesa farmaceutica regionale gennaio-dicembre 2013. Dal documento si evince che la spesa prevista per la spesa farmaceutica ospedaliera presenta uno scostamento, rispetto al tetto fissato per legge, pari a euro 773.217.315;
   l'Aifa, con riunione del consiglio di amministrazione del 30 aprile 2015, ha effettuato l'aggiornamento consuntivo del monitoraggio della spesa farmaceutica regionale gennaio-dicembre 2014. Dal documento si evince che la spesa farmaceutica ospedaliera presenta uno scostamento, rispetto al tetto fissato per legge, pari a euro 1.049.798.875;
   l'Aifa con riunione del consiglio di amministrazione dell'8 settembre 2015 ha effettuato il monitoraggio della spesa farmaceutica regionale gennaio-maggio 2015. Dal documento si evince che la spesa farmaceutica ospedaliera presenta uno scostamento, rispetto al tetto fissato per legge, pari a euro 853.728.093;
   la sentenza n. 04538/2015 della sezione terza-quater del tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio accoglie la richiesta di annullamento, da parte della GlaxoSmithKline, del comunicato con il quale l'Aifa, in data 27 marzo 2013, ha reso nota la metodologia applicativa relativa al budget provvisorio sulla spesa farmaceutica ospedaliera 2013, di cui all'articolo 15, comma 8, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135;
   la sentenza n. 03977/2015 della sezione terza del Consiglio di Stato respinge il ricorso presentato dall'Aifa e dal Ministero della salute contro Pfizer Italia srl, e nei confronti di AstraZeneca spa, riguardo la sentenza del TAR Lazio n. 03157/2015 concernente il diniego di accesso agli atti relativi al budget della spesa farmaceutica ospedaliera;
   in proposito si segnata che l'Aifa ha ritenuto di non effettuare ricorso avverso la sentenza 4538/2015 presso il Consiglio di Stato;
   l'effetto delle due sentenze comporta la mancata erogazione, a favore delle regioni, del ripiano previsto a causa del superamento del tetto di spesa a carico delle aziende farmaceutiche, per un importo complessivo di poco inferiore al miliardo di euro, per gli anni 2013 e 2014, e superiore ai 500 milioni di euro per il 2015;
   l'ammontare sopra calcolato non incassato dalle regioni, soprattutto per quelle sottoposte a piano di rientro, presuppone una grave indeterminatezza nella compilazione dei bilanci, siano essi consultivi o di programmazione, con ripercussioni sui risultati di gestione e di conseguenza sulle possibilità di investimento delle aziende sanitarie al fine di garantire il corretto svolgimento dei servizi a favore dei cittadini;
   l'ordinanza n. 11348/2015 della sezione terza-quater del TAR per il Lazio dichiara rilevante e non manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale sospendendo il giudizio in merito alla richiesta di annullamento, da parte della Takeda Italila spa, della deliberazione del consiglio di amministrazione dell'Aifa del 29 aprile 2014. Nel testo di quest'ultima (peraltro non conosciuta dalla ricorrente), infatti, sarebbe stato accertato lo sforamento del tetto dell'11,35 per cento della spesa farmaceutica territoriale 2013, con particolare riferimento del Fondo dei farmaci innovativi;
   al fine del rispetto delle indicazioni previste al comma 10 dell'articolo 9-ter del decreto-legge «Enti Locali», l'Aifa, nei primi giorni del mese di settembre, ha diramato le convocazioni per le aziende farmaceutiche, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, come modificato dall'articolo 9-ter, comma 10, lettera b) del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, precisando le specialità medicinali oggetto dell'aggiornamento;
   con determinazione n. 1.252 del 25 settembre 2015 l'Aifa ha individuato i nuovi prezzi di rimborso dei medicinali biotecnologici non indicando, tranne che per un farmaco, alcuna informazione riguardo agli esiti della negoziazione;
   con determinazione n. 1.267 del 6 ottobre 2015, l'Aifa ha individuato nuovi prezzi di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale. Le informazioni contenute nel provvedimento non permettono l'individuazione delle efficienze effetto della negoziazione. Inoltre, le classi terapeutiche presenti, oggetto della rinegoziazione, non sono tutte quelle presenti nell'osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali OSMED-AIFA 2014, sezione 6 consumi e spesa per classe terapeutica e dati epidemiologici –:
   quali siano i motivi per i quali l'Aifa ha ritenuto di non effettuare ricorso presso il Consiglio di Stato avverso la Sentenza n. 04538/2015 della sezione terza-quater dei tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio;
   se sia compatibile con la normativa vigente e in linea con gli interessi dell'erario, nonché della collettività, la mancata rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale, procrastinato di fatto per circa tre anni, e poi determinato in circa 20 giorni;
   quali siano state le iniziative intraprese nei confronti dell'Aifa affinché vengano garantiti i principi di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità propri di un ente pubblico, in particolare riguardo:
    a) ai nuovi prezzi di rimborso dei medicinali biotecnologici;
    b) ai nuovi prezzi di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale;
    c) alla mancata distribuzione del «pay back» a favore delle regioni;
   quali siano le iniziative intraprese atte alla risoluzione del blocco del ripiani relativi al superamento del tetto di spesa della farmaceutica ospedaliera a carico delle aziende farmaceutiche per gli anni 2013, 2014 e 2015; in particolare, se, nelle more della risoluzione delle irregolarità riportate in premessa, siano state individuate soluzioni che prevedano il versamento di acconti (ad esempio il 90 per cento) lasciando una parte residuale (ad esempio 10 per cento) da subordinare alla risoluzione delle controversie;
   quali iniziative intendano assumere affinché sia possibile conoscere tutta la documentazione disponibile al fine di verificare l'effettivo ottenimento dei 500 milioni di euro di risparmio, indicati nell'Intesa della Conferenza Stato-regioni n. 113 del 2 luglio 2015;
   quali siano i motivi per i quali l'Aifa, per la determinazione dei nuovi prezzi di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale abbia individuato solo alcune classi di farmaci e non tutte quelle presenti all'interno del prontuario farmaceutico nazionale;
   quali siano gli esiti dell'attuale gestione informatica dell'Aifa appaltata ad Accenture Technology Solutions.
(2-01118) «Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero, Cominardi, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, BARONI, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fecondazione assistita (chiamata tecnicamente PMA — procreazione medicalmente assistita) è la pratica medica atta a «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall'infertilità umana [...] qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere le cause di sterilità o di infertilità»;
   la pratica nel territorio italiano è consentita alle coppie maggiorenni sterili di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. L'infertilità o la sterilità della coppia devono essere certificate dal medico;
   nel febbraio del 2004 il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 40 del 2004 per regolamentare la fecondazione assistita;
   gli interventi di procreazione medicalmente assistita possono essere realizzati nelle strutture pubbliche e private autorizzate iscritte in un apposito registro;
   i livelli essenziali di assistenza (Lea) sono costituiti dall'insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale (Ssn) eroga a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza;
   i livelli essenziali di assistenza sono stabiliti a discrezione delle regioni. Alcune regioni, inserendo le tecniche di procreazione medicalmente assistita nei livelli essenziali di assistenza, di fatto le rimborsano al cittadino, altre no. Questo ha dato luogo al fenomeno del «turismo» verso regioni, come la Lombardia, in cui presso strutture pubbliche e convenzionate i costi sono quasi interamente coperti dal servizio sanitario nazionale;
   questa situazione provoca di fatto una discriminazione: chi abita nella regione giusta non paga, tutti gli altri invece si. In Italia la procreazione medicalmente assistita non è di fatto più uguale per tutti. La conseguenza è che il Paese è spezzato in due: le regioni del Sud stanno togliendo il servizio di rimborso ai propri cittadini, altre continuano ad assicurarlo. La Puglia ma anche Calabria, Sicilia e Campania hanno deciso di escluderlo;
   continua quindi ad esserci una discriminazione anche economica tra le coppie. Al Sud l'offerta è quasi tutta privata, così si continua ad andare all'estero per la fecondazione eterologa; nelle altre regioni, per l'omologa, si formavano liste d'attesa lunghissime. Ora anche le regioni dove la procreazione medicalmente assistita è prevista nei livelli essenziali di assistenza non effettuano prestazioni gratuite per chi arriva da regioni che non rimborsano;
   chi arriva da una delle regioni che non effettua rimborsi deve pagare a prezzo pieno quello che fino a qualche giorno prima a un suo concittadino costava 500 euro di ticket;
   la situazione potrebbe cambiare se venisse approvata la riforma dei livelli essenziali di assistenza, pronta da mesi, che prevede l'eliminazione di alcune prestazioni sanitarie e l'aggiunta di nuove, tra le quali sia la fecondazione omologa che quella eterologa;
   il 28 gennaio 2015 il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, annuncia i nuovi livelli essenziali di assistenza sanitaria, che saranno finanziati attraverso il fondo sanitario nazionale con ulteriori 470 milioni di euro;
   tra le nuove prestazioni che saranno introdotte nei livelli essenziali di assistenza ci sono anche le tecniche di fecondazione a screening neonatale, e la procreazione medicalmente assistita: a guidare la riforma è la cancellazione di prestazioni ritenute ormai superate e che vengono sostituite con l'inserimento di nuove, tra cui la procreazione medicalmente assistita, sia omologa che eterologa. Ci sono regioni italiane che praticamente non erano in grado di assicurare ai cittadini nemmeno la prima. Adesso dovranno avere dei centri pubblici in questo campo;
   l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza è atteso ormai da molti anni;
   come correttamente rileva la relazione tecnica allo schema di decreto, una delle ragioni più stringenti per la rapida approvazione del provvedimento è data dal fatto che «la obsolescenza del quadro definitorio del vecchio DPCM del 2001 sta provocando in molte realtà regionali, sotto la spinta delle urgenze assistenziali, un “fai da te” da parte delle singole regioni che sta frantumando la unitarietà del sistema nazionale e dà luogo a scelte locali non controllate sotto il profilo dell'appropriatezza e dell'efficienza erogativa e della compatibilità con la programmazione economico finanziaria nazionale»;
   tanto è quanto si sta verificando nell'ambito dei trattamenti di fecondazione assistita di tipo eterologo, da quando la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 162 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che ne vietavano la prestazione;
   finché il decreto non verrà emanato, però, tali prestazioni rimarranno fuori dai livelli essenziali di assistenza, con la conseguenza che continuerà a mancare in materia un unico quadro di riferimento nazionale. A tal proposito, deve ricordarsi che il regime di rimborsabilità della fecondazione eterologa è stato oggetto di due accordi maturati in seno alla Conferenza delle regioni e delle province autonome. Con il documento del 4 settembre 2014, in particolare, le regioni hanno fissato direttive tecniche comuni per la prestazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa, affermando, in punto di rimborsabilità delle stesse, che «omologa ed eterologa, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, risultano entrambe modalità di PMA riconosciute LEA» e che, tuttavia, «ai fini del riconoscimento economico», è necessario il loro inserimento «nel DPCM di adeguamento dei LEA, così come definito nel Patto per la Salute 2014-2016»;
   con il Documento del 25 settembre 2014, la Conferenza delle regioni e delle province autonome, ha «ribadito il principio di considerare la PMA (sia l'omologa che eterologa) un LEA, e in attesa del loro inserimento nel DPCM sui livelli essenziali di assistenza», ha definito «per questa fase transitoria una tariffa unica convenzionale che quantifichi i costi per queste attività anche al fine di regolare le eventuali compensazioni relative alla mobilità interregionale». Sono state dunque condivise tariffe convenzionali comuni, rimettendo però a ciascuna regione la questione della compartecipazione alla spesa, pur nella condivisione del principio che essa avrebbe riguardato «la somma dei ticket per le prestazioni previste ed effettuate per questa tecnica di fecondazione nel rispetto dell'attuale normativa in materia di specialistica ambulatoriale»;
   nonostante tali indicazioni comuni, il mancato inserimento della fecondazione assistita nei livello essenziali di assistenza, determina notevoli differenze territoriali nell'accesso alle prestazioni;
   da quanto fin qui rilevato discende che nelle more di approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza le coppie che richiedono di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa subiscono pesanti discriminazioni nel regime di rimborsabilità delle prestazioni a seconda del loro luogo di residenza –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come intenda superare l’«ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse» che, come stigmatizzato dalla Corte nella sentenza n. 162 del 2014, «assurge intollerabilmente a requisito dell'esercizio di un diritto fondamentale», diritto che viene negato alle coppie affette da sterilità o infertilità assolute perché prive delle risorse economiche per accedere alle prestazioni, o in quanto residenti nelle regioni che non le finanziano;
   in quali tempi sia previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza che permetterebbe il rapido superamento delle criticità descritte. (5-06637)

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   agli infermieri di oggi si chiedono competenze sempre più specifiche, in linea con la rinnovata domanda di salute della comunità, e più partecipazione al compimento del percorso terapeutico, che prevede, oltre all'utilizzo degli strumenti di cura tradizionali, anche l'interazione con nuove tecnologie. Tutto ciò avviene però in un quadro organizzativo che rimane spesso inalterato, dove l'aiuto proveniente dagli operatori socio-sanitari non è in grado, da solo, di scongiurare il rischio di default;
   a ciò si aggiungono alcune specificità del «mestiere» non secondarie quando si ragiona di numeri e di piante organiche. Ad esempio, quella dell'infermiere è una professione altamente invalidante e attualmente, quasi il 50 per cento del personale negli ospedali ha delle limitazioni riconosciute dalla medicina del lavoro. C’è poi la prevalenza della componente femminile nella professione, una caratteristica che ha portato il ricorso al part-time con punte del 25 per cento in alcune aziende sanitarie. È questo un deficit di operatività che non può essere considerato trascurabile;
   appare indifferibile una riorganizzazione dell'intero sistema relativo all'impiego e alla valorizzazione delle professionalità;
   tra le richieste della categoria vi è la trasformazione dei collegi in ordini e la successiva regolamentazione dovrà tenere conto di alcuni aspetti critici: superamento delle province, domicilio professionale, regole elettorali, limitazione del numero dei mandati;
   la legge sugli ordini, oltre a rinnovare quella attuale che risale al 1946, consentirebbe anche un maggior potere di controllo e di sanzione da parte dei nuovi organismi, permettendo una azione più incisiva rispetto, ad esempio, all'abusivismo e la possibilità di difesa e tutela di quanto scritto nel codice deontologico. Non si tratterebbe quindi di una ricerca di autoreferenzialità e corporativismo, ma di affermazione maggiore di legalità e di verifiche a tutela della migliore assistenza ai pazienti e della professione degli stessi infermieri;
   le previsioni del comma 566 dell'articolo 1, della legge di stabilità 2015 rappresentano unicamente la cornice normativa al quadro già disegnato nei fatti in tutta Europa (e non solo) e in gran parte d'Italia. L'infermiere specialista esiste già nei fatti proprio perché all'estero è una carta considerata ottimale per la gestione dell'assistenza e del sistema e in Italia le regioni lo pongono in ruoli anche di coordinamento per snellire il sistema (ridurre le liste di attesa, evitare interventi inappropriati e altro), portando così anche a un risparmio di spesa;
   la libera professione è stata finora uno sbocco naturale dell'impossibilità di lavoro nelle strutture pubbliche, ma rappresenta in realtà un possibile valore aggiunto della professione infermieristica, per questo è necessario prevedere linee guida per lo sviluppo della libera professione intramoenia e linee guida per le convenzioni per l'esercizio libero-professionale. Si pensi solo che, secondo il Censis, in un anno gli italiani hanno chiesto a livello privato e per far fronte alle carenze del servizio pubblico, 8,7 milioni di prestazioni infermieristiche sul territorio, pagando di tasca propria 2,7 miliardi di euro. Gli infermieri attualmente, al contrario dei medici che esercitano la libera professione e possono anche erogare, se dipendenti, prestazioni libero professionali in intramoenia, non hanno regole e spazi certi per la loro attività al di fuori delle strutture del servizio sanitario nazionale e la Federazione Ipasvi intende in questo senso realizzare linee guida e dare maggiori garanzie ai professionisti e ai pazienti, anche prevenendo un vero e proprio accreditamento sotto il controllo dei collegi del singolo professionista;
   attualmente molti giovani infermieri (e tra i migliori ovviamente viste le selezioni da superare) rispondono alla richiesta di professionisti che arriva da altri Paesi europei, Inghilterra in testa, dove ad esempio sono retribuiti con un salario iniziale di circa 17.794 sterline, poco meno di 24 mila euro, che diventano 21.000 sterline, 28 mila euro, al momento della registrazione con l'NMC (Nursing and Midwifery Council, i collegi inglesi in pratica), contro i 33 mila euro medi (quindi tra giovani e anziani) che sono lo stipendio 2013 dell'infermiere italiano;
   perché l'emorragia si fermi e perché chi ha trovato lavoro all'estero possa tornare nel suo Paese, andrebbero risolte alcune questioni, semplici sulla carta, ma che da anni sono la spina nel fianco del servizio sanitario nazionale;
   le difficoltà di impiego nel nostro Paese impongono di prevedere percorsi con forme di tutela di giovani che vanno all'estero, sia per facilitare l'esercizio nei Paesi europei, sia per facilitare il rientro: prima di tutto occorre affrontare lo sblocco del turn over che attualmente impedisce di avere organici adeguati all'assistenza (in un anno la National Patient Safety Agency (NPSA) inglese ha registrato più di 30mila incidenti riguardanti la sicurezza del paziente correlati a problemi di organico e la mancanza di infermieri secondo studi internazionali consolidati, aumenta del 7 per cento il rischio di mortalità dei pazienti), soprattutto nelle regioni in piano di rientro, ma fa sì che anche le regioni con i conti in salute impediscano la mobilità del personale per non perdere elementi necessari all'assistenza, visto che le possibili assunzioni sono ridotte all'osso;
   legata a quanto già illustrato con riferimento agli infermieri all'estero è la situazione occupazionale degli infermieri italiani che sta per diventare un vero e proprio allarme per l'assistenza. Le prime anticipazioni del conto annuale del Ministero dell'economia e delle finanze (Ragioneria generale dello Stato) indicano nei primi tre quarti del 2014 una riduzione dello 0,59 per cento degli organici rispetto al 2013. Significa che al servizio sanitario nazionale sono mancati in un solo anno (e i dati non sono ancora completi ipotizzando quindi una perdita anche maggiore), circa 3.900 operatori, già calati di oltre 5.600 unità tra il 2013 e il 2012. Dal 2009, primo anno del blocco del turn over, il servizio sanitario nazionale ne ha persi fino al 2013 circa 23.500 (-3,4 per cento) e aggiungendo queste ulteriori perdite si sfiorano i 30mila professionisti in meno. Per quanto riguarda in particolare il personale infermieristico, il calo previsto in base alle anticipazioni per il 2014 è di quasi 1.200 unità (-0,41 per cento). Dal 2009 il servizio sanitario nazionale ha quasi 3.200 infermieri in meno (-0,50 per cento circa) di cui poco meno di mille sono quelli persi tra il 2013 e il 2012 –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se intenda assumere iniziative, confermando in via definitiva il nuovo modello di sviluppo professionale e sistemando definitivamente la questione del precariato alla quale oggi è stata data una soluzione solo parziale e per lo più tale da produrre un effetto «placebo», al fine di consentire inquadramenti limitatissimi e solo di alcune tipologie di personale, valorizzare le professionalità acquisite soprattutto dagli infermieri italiani provenienti dall'estero e predisporre una disciplina di verifica ed equiparazione dei titoli di studio. (4-10723)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2014 Poste Italiane, società di proprietà al 100 per cento del Ministero dell'economia e delle finanze, ha presentato il proprio piano industriale con la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura di altri 600 uffici sull'intero territorio nazionale; in regione Lombardia il piano prevedeva la chiusura di 61 uffici e la riduzione di orari di apertura per 121 uffici;
   tale piano, comunicato ai sindaci interessati all'inizio di febbraio 2015 ha creato notevoli conflitti con il tessuto sociale, politico ed economico della regione Lombardia per la sua assoluta mancanza di confronto e condivisione preventiva con gli enti locali, tanto da portare a diffuse azioni di protesta anche sociale. Le proteste si sono concretizzate a livello istituzionale attraverso l'approvazione di una mozione votata all'unanimità dal, consiglio regionale della Lombardia il 3 marzo 2015, con la quale l'assemblea legislativa della Lombardia chiedeva alla giunta regionale di intervenire presso il Governo per addivenire ad una sospensione del piano e ad una sua revisione, in accordo con gli enti locali coinvolti;
   a seguito delle proteste e della posizione assunta dal consiglio regionale lombardo, il piano di Poste Italiane in regione Lombardia è stato sospeso ed è stato avviato un confronto tra l'azienda e gli enti locali, tramite l'Anci Lombardia;
   nella provincia di Cremona, la chiusura più pesante ed incomprensibile era quella dell'ufficio di Ombriano, ufficio localizzato in un quartiere periferico della città di Crema, che annovera una popolazione residente di oltre 6000 persone e oltre cento attività commerciali e produttive che rientra nella categoria C di Poste Italiane, sopra le 40 operazioni al giorno, cioè la categoria con il maggior numero di operazioni;
   Poste Italiane in sede di trattativa congiunta con regione e Anci Lombardia aveva accettato di mantenere in funzione 15 uffici dei 61 per i quali prevedeva la chiusura. Tra questi uffici stralciati dal piano, a seguito della trattativa con ANCI, era incluso quello di Ombriano, successivamente però con assoluta insistenza di Poste in un successivo incontro del 19 giugno, l'ufficio postale di Ombriano è stato escluso dal salvataggio;
   con comunicazione al comune di Crema del 13 agosto 2015 Poste Italiane ha comunicato che l'ufficio postale di Ombriano che serve 6300 abitanti cesserà il proprio funzionamento il 26 ottobre 2015;
   tra la popolazione residente del quartiere di Ombriano servito dall'ufficio sono state raccolte oltre 2000 firme a sostegno di una petizione popolare che chiede il mantenimento dell'ufficio postale;
   Poste Italiane ha rifiutato tutte le proposte giunte dal sindaco del comune di Crema finalizzate a mantenere in essere l'ufficio di Ombriano tra cui quella di compartecipazione da parte del comune degli oneri di affitto dell'immobile nel quale è dislocato l'ufficio postale in questione o la proposta di prevedere la chiusura di un giorno alla settimana di tutti gli altri 3 uffici postali periferici della città di Crema, al fine di non lasciare migliaia di abitanti senza un servizio postale di prossimità;
   la decisione di Poste di chiudere un ufficio che serve un quartiere di oltre 6000 abitanti con una percentuale di over 65 anni del 30 per cento e che ha una media di operazioni/giorno superiore alle 150, senza alcun confronto con l'ente locale e di conseguenza senza neppure prendere in considerazione le numerose proposte avanzate dal comune di Crema per evitarne la chiusura e al contempo garantirne la piena efficienza economica, risulta incomprensibile ed inaccettabile e frutto di scelte adoperate senza tener conto dell'impatto sociale ed economico di questo provvedimento;
   la decisione di procedere a chiusure di uffici postali, come nel caso di Ombriano, senza confronto e condivisione di soluzioni è, ad avviso degli interpellanti in contrasto con il contratto di servizio sottoscritto con il Ministero e con le disposizioni dell'AGCOM;
   l'assenza di confronto con gli enti locali è grave ed è una decisione sbagliata da parte di, una azienda pubblica che eroga un servizio pubblico, cosa evidenziata il 29 giugno 2015 da un ordine del giorno approvato all'unanimità dal consiglio direttivo dell'Anci Lombardia in merito alla necessità che Poste non proceda senza ulteriori confronti con i comuni alla chiusura degli uffici;
   come evidenziato recentemente dalla stampa nazionale il tribunale amministrativo di Milano ha «bocciato» il piano di razionalizzazione di Poste spa in quanto non avrebbe provato il disequilibrio economico che sarebbe stato causato dal servizio e non ha tenuto conto che il comune di Olevano di Lomellina non ha nemmeno uno sportello bancario. Sullo sfondo gli sforzi dello Stato per tagliare ciò che è giudicato improduttivo e poco remunerativo per i conti pubblici. Ma il centro della provincia di Pavia, 800 persone o poco più, non intendeva rinunciare al proprio ufficio postale e si è opposto con forza alle direttive date dall'amministratore delegato di Poste che impongono una forte razionalizzazione degli uffici postali. Queste, per il piccolo ufficio di Olevano, prevedevano in particolare, una riorganizzazione dei giorni di apertura al pubblico, e quindi «la chiusura permanente del Presidio postale sito in detto comune nelle giornate di lunedì, mercoledì e venerdì», come ha comunicato una nota della direzione provinciale delle poste di Pavia il 1o luglio 2015. Il municipio ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo che, in questi giorni, ha dato ragione al comune costringendo Poste a mantenere il servizio. Scrive il Tar che la giustificazione addotta per la chiusura «risulta disancorata da qualunque esplicitazione di fatti riferibili al caso di specie, tanto da ridursi ad una mera clausola di stile, replicabile in maniera identica in qualunque situazione, non comprendendosi le ragioni poste a base del provvedimento». Insomma, l'idea di chiudere indistintamente uffici postali o di contingentarne il funzionamento ad alcuni giorni della settimana, indiscriminatamente e senza calcolare conseguenze specifiche, lede il diritto di quei comuni italiani che, a secondo di proprie caratteristiche particolari, possono trovarsi senza un servizio pubblico di essenziale importanza. In accordo a quanto sostenuto dal comune di Olevano, il Tar ricorda che la motivazione che Poste adduce a giustificazione del proprio provvedimento è «un generico e non meglio precisato disequilibrio economico nella prosecuzione dell'erogazione del servizio, senza però dare prova del disequilibrio economico stesso e del rispetto del criterio della distanza»;
   altre pronunce significative in tal senso sono quelle del tribunale amministrativo della regione Lombardia con riferimento alla chiusura degli uffici postali del comune di Sommo (Pavia) e del presidio postale di Fossarmato (Pavia) –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa e, in particolare, di quanto rilevato dal tribunale amministrativo della regione Lombardia sul piano di razionalizzazione degli uffici postali di Poste spa;
   se il Governo non ritenga opportuno porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad una revisione e a un serio ripensamento del suddetto piano nell'ottica di garantire la piena accessibilità al servizio postale quale servizio universale in tutto il territorio nazionale;
   nell'ottica di garantire, come si è detto, l'accesso al servizio postale quale servizio universale, quali iniziative di competenza il Ministro intenda porre in essere nei confronti di Poste Italiane affinché vengano prese in considerazione le numerose proposte del comune di Crema a supporto della sostenibilità economica del presidio postale ed evitare la chiusura dell'ufficio di Ombriano che serve una popolazione di circa 6000 cittadini, diverse imprese e unità commerciali.
(2-01115) «Franco Bordo, Scotto».

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Di Vita e altri n. 1-01009, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lorefice, Dall'Osso.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Rizzetto e altri n. 7-00806, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Prodani, Turco, Segoni, Mucci.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Brugnerotto n. 4-10621, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dadone.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Busto e altri n. 5-06609, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dadone.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Dorina Bianchi n. 1-01010, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 500 del 12 ottobre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è assistito ad un'evoluzione normativa finalizzata a razionalizzare la spesa degli enti del Servizio sanitario nazionale; da ultimo, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e in attuazione di quanto stabilito dalla lettera e) dell'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 26 febbraio 2015, prevista dall'articolo 1, comma 398, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 2 luglio 2015, gli articoli 9-bis e seguenti del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015 – introdotti in sede di conversione con emendamento del Governo, hanno individuato specifiche misure di razionalizzazione della spesa sanitaria; in particolare, tali misure sono volte a:
     a) concorrere alla riduzione, su base annua del 5 per cento, della spesa per beni e servizi e dei dispositivi medici sostenuta dagli enti del Servizio sanitario nazionale; con un risparmio su base annua per l'anno 2015 di 788 milioni di euro e di 805 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
     b) introdurre disposizioni volte a disciplinare il meccanismo del «pay-back» in caso di superamento del tetto di spesa da parte dei fornitori dei dispositivi medici;
     c) prevedere, entro il 30 settembre 2015, la conclusione, da parte dell'Aifa, della rinegoziazione dei prezzi dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, con le aziende farmaceutiche, dei prezzi dei medicinali compresi nell'ambito dei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili;
     d) rinviare a un decreto ministeriale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'individuazione delle condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza; il risparmio complessivo stimato per tale misura è pari a circa 106 milioni di euro, a fronte di una riduzione complessiva di prestazioni stimate nel settore pubblico e privato per un valore tariffario di 192 milioni di euro;
     e) ridurre il numero dei ricoveri in regime di riabilitazione ospedaliera potenzialmente inappropriati sotto il profilo clinico e ridurre le giornate di ricovero oltre quelle definite appropriate;
    le misure sopra sintetizzate, unitamente a quelle già poste in essere – quali, ad esempio, il regolamento sugli standard ospedalieri – hanno il merito di essere finalizzate a garantire l'utilizzo etico delle risorse pubbliche, la riduzione degli sprechi e, quindi, la riduzione della spesa pubblica, senza pregiudicare o limitare la qualità delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale;
    non vi è dubbio, infatti, che la tutela della salute, diritto fondamentale dell'individuo e della collettività, è garantita attraverso il Servizio sanitario nazionale; ma è pur vero che, nel rispetto delle vigenti disposizioni, devono essere posti a carico del Servizio sanitario nazionale le forme di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano specifiche condizioni cliniche o di rischio, nonché evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute;
    va anche detto che parallelamente alla riduzione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, di cui sopra, sono previste misure che possano consentire a tutte le regioni di efficientare il loro servizio sanitario regionale, dal momento che anche nelle regioni cosiddette «benchmark» possono esistere aree di inefficienza gestionale e/o aree di inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie, tali da far ritenere che anche le regioni oggi più «performanti» (e in equilibrio di bilancio) possano ridurre i propri costi, mantenendo comunque inalterati i livelli e la qualità dei servizi. Ecco perché anche interventi in tema di inappropriatezza risultano essere necessari per un'ottimizzazione delle risorse destinate alla sanità, che consenta di aggredire ambiti del sistema sanitario ove sussistono sprechi;
    va ricordato che sprecare risorse equivale a sottrarre le stesse ad altri impieghi particolarmente necessari per la tutela della salute, come possono essere gli investimenti per i farmaci innovativi e per le malattie rare;
    peraltro, stante la normativa vigente in materia di ripianamento dei disavanzi, che pone l'intero onere della copertura a carico delle regioni, le misure di contenimento della spesa, dettate a livello nazionale, non possono che andare nella direzione di offrire alle regioni medesime gli strumenti necessari per rimanere in equilibrio economico-finanziario o, comunque, per non alterarlo;
    inoltre, gli interventi previsti dalla normativa citata vanno saldati anche con una politica che renda finalmente effettivi i costi standard, così da misurare le aree di inefficienza e di inappropriatezza e per verificare progressivamente gli sviluppi del sistema, con l'obbligo per le stesse regioni che hanno costi superiori a quelli delle regioni benchmark di efficientare il sistema;
    peraltro, le disposizioni sopra richiamate consentono, coerentemente con quanto convenuto nell'intesa del 2 luglio 2015, che le regioni, al fine di salvaguardare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possano comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario a loro carico, anche adottando misure alternative, purché assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario;
    va tenuto conto di quanto già posto in essere con le misure di razionalizzazione della spesa sanitaria,

impegna il Governo:

   pur confermando la validità delle misure adottate nel quadro dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale, di cui al decreto-legge n. 78 del 2015 (cosiddetto decreto enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, a proseguire nella promozione e nell'adozione di iniziative, anche normative, volte ad implementare interventi responsabili, da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti, a garanzia e a sostegno del diritto alla salute e alle cure dei cittadini, nonché a tutela del Servizio sanitario nazionale;
   ad assumere, già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità, specifiche iniziative dirette a garantire che l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico venga compiuto indifferibilmente entro il 2016;
   a proseguire, già nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, sul percorso avviato di stabilizzazione dei precari che da anni svolgono attività nell'ambito del Servizio sanitario nazionale;
   su di un piano più generale, a dare attuazione alle previsioni del Patto per la salute 2014-2016 che impongono di reinvestire in sanità, segnatamente per le finalità di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico, nonché per le esigenze connesse all'erogazione di farmaci innovativi, i risparmi derivanti da misure di razionalizzazione in campo sanitario.
(1-01010)
(Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-09062 del 5 maggio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-09124 dell'8 maggio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Spessotto n. 5-05666 del 20 maggio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Carrescia n. 5-05724 del 4 giugno 2015;
   interpellanza Pagano n. 2-01100 del 6 ottobre 2015;
   interpellanza urgente Piras n. 2-01103 del 6 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Duranti n. 5-06585 del 7 ottobre 2015.