Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 9 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, nonostante si possano annoverare anche risultati di eccellenza, la spesa sanitaria è di dimensioni contenute, sia in rapporto assoluto che in rapporto al prodotto interno lordo. Il servizio sanitario nazionale ha dovuto subire negli ultimi anni, in piena continuità da parte dei Governi che si sono succeduti, una forte restrizione delle risorse, in termini finanziari, di personale e strutturali;
    la crisi economica e le restrizioni operate sulla sanità pubblica, un vero «bancomat» nell'approccio del Governo, hanno pregiudicato e non poco le condizioni di accesso e fruibilità ai complessivi servizi sanitari sia di prevenzione che di cura, da parte della popolazione più svantaggiata e debole economicamente, aggravando di fatto le già persistenti disuguaglianze territoriali esistenti;
    in particolare, nelle regioni soggette ai piani di rientro chiamate a contribuire alla riduzione della spesa si sono evidenziati effetti negativi sia sulla capacità di erogare servizi, sia sul funzionamento degli stessi;
    i vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale, in particolare il blocco del turn over, hanno di fatto indebolito il servizio sanitario in tutte le regioni, anche se con un peso diversificato da regione a regione, tanto che da più parti si chiede di introdurre elementi di flessibilità;
    l'informatizzazione e le tecnologie digitali possono e devono contribuire non solo a migliorare l'integrazione dei servizi ma anche a garantire sempre più la trasparenza delle informazioni, anche in relazione alla gestione del servizio sanitario nazionale. Da questa innovazione i benefici attesi secondo recenti studi potrebbero produrre, anche nel breve termine, un risparmio annuo di circa 6 miliardi di euro di spesa sanitaria, migliorando al contempo i livelli di assistenza, da qui la necessità di procedere all'attuazione integrale dell'articolo 14 del patto per la salute;
    in Italia pochi dati possono rendere meglio di tante parole quale è stata l'incidenza della riduzione delle risorse: nel 2012 la spesa sanitaria complessiva sia pubblica che privata è scesa al 9,2 per cento, mentre nel 2009 era del 9,4 per cento; la spesa sanitaria continua ad essere soggetta a riduzioni; infatti dai 112,5 miliardi di euro del 2010 si è giunti ai circa 109 miliardi di euro nel 2013;
    il documento di economia e finanza del 2015 prevede una riduzione della spesa sanitaria al 6,8 per cento nel 2015 per arrivare al 6,5 per cento del prodotto interno lordo nel 2019. Non bastasse questo si è previsto un taglio di circa 2,3 miliardi di euro al Fondo sanitario nazionale a decorrere dal 2015;
    il decreto-legge n. 78 del 2015 ha rivisto l'elenco di visite ed esami a carico del servizio sanitario nazionale, con il risultato che il 12 per cento delle prestazioni (208) oggi gratuite saranno mutuabili secondo le condizioni del paziente, limitando di fatto i medici nella loro attività al fine di evitare eventuali sanzioni per la violazione del nuovo criterio di appropriatezza;
    si assiste, inoltre, al fatto che le regioni risparmiano più di quanto loro richiesto dalle manovre di finanza pubblica questo per evitare di essere loro a dover coprire le spese in eccesso e da questo deriva una pesante ricaduta sui cittadini;
    il Governo ha affermato che non si tratta di tagli lineari ma di razionalizzazioni che produrranno maggiore efficienza ed efficacia del servizio sanitario nazionale; appare evidente che se i risparmi derivassero dalla lotta agli sprechi e ai privilegi, dall'applicazione omogenea di costi standard e dalla centralizzazione acquisti e se questi restassero nelle disponibilità del servizio sanitario nazionale, si potrebbe ipotizzare, ad esempio, il rinnovo dei contratti del personale sanitario e lo sblocco del turn over, il finanziamento dell'informatizzazione effettiva dell'intero servizio sanitario nazionale, l'aumento delle risorse per il fondo non autosufficienze, il finanziamento del piano per la disabilità e lo sviluppo della rete territoriale dei servizi;
    in campo sanitario si pone la necessità di una maggiore attenzione verso le misure da attuare nel settore socio-sanitario, in particolare relativamente al sostegno alle persone disabili, soprattutto al fine di attuare il programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità (in particolare la linea di intervento 1) adottato dal Consiglio dei ministri nel novembre 2013 e mai finora finanziato in alcuna delle parti che lo compongono;
    la prima relazione dell'Unione europea sulla lotta alla corruzione, pubblicata il 3 febbraio 2014 indica l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno è più grave, tanto che il giro degli affari relativo alla corruzione nel nostro Paese è valutato in circa 60 miliardi di euro l'anno; la stessa guardia di finanza nell'ultimo rapporto ha evidenziato nella sanità pubblica un danno erariale accertato di circa 800 milioni di euro nel solo primo semestre 2015;
    dalle stesse citate indagini della guardia di finanza condotte in 18 regioni emerge che solo 83 dirigenti della sanità hanno prodotto un danno erariale di 6 milioni di euro, evidenziando così come anche il sistema di nomina politica e valutazione incida sullo sperpero di risorse pubbliche;
    la riforma del citato titolo V della parte II della Costituzione ha di fatto complicato l'attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, che ad oggi non trova ancora rapida ed efficace applicazione. Non esiste giustificazione alcuna per cui un presidio sanitario di uso comune debba avere differenze di prezzo, anche nella misura di cinque volte, da una regione all'altra. Sistemi europei di centralizzazione degli acquisti per la pubblica amministrazione sono attivi da anni e hanno dimostrato di essere il metodo più efficace e rapido per ridurre la spesa per garantire la qualità dei prodotti sanitari. La mancata applicazione in Italia di tali processi, anche a causa delle reticenze delle regioni e degli enti locali, determina uno sperpero di denaro pubblico ingiustificabile, che deve al più presto essere interrotto;
    in realtà, la contrazione delle risorse ha prodotto una offerta sanitaria pubblica che ha ridotto i posti letto, ha reso le condizioni degli operatori sempre più difficili a fronte anche di una anzianità di servizio sempre più elevata, ha ridotto i servizi e ha spinto o indotto chi poteva economicamente a rivolgersi ai servizi privati, che non a caso sono in aumento, e questo comporta anche un travaso di risorse pubbliche a privati convenzionati;
    nel 2013 l'11 per cento della popolazione ha dichiarato di avere rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria mentre il 5,6 per cento ha dichiarato che la rinuncia era dovuta a motivi economici. Di fatto almeno tre milioni di italiani hanno evitato il ricorso all'assistenza sanitaria per motivi economici in particolare nel Sud e nelle isole;
    nelle stesse regioni con piani di rientro aumentano le persone che pagano per intero gli accertamenti sanitari proprio dove l'offerta di servizi ha subito maggiori limitazioni e la compartecipazione dei cittadini è più elevata;
    lo stesso project financing che consiste nel coinvolgimento di soggetti privati nella compartecipazione ai costi per le opere pubbliche, in particolare nella sanità, rappresenta una voragine sulla quale intervenire in quanto tali interventi non lasciano di fatto traccia nei bilanci pubblici, non risultando né tra gli investimenti, né tra i debiti che addetti ai lavori con stime prudenti quantificano come indebitamento implicito per decine di miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a prevedere il superamento effettivo della riduzione sistematica delle risorse destinate al servizio sanitario nazionale e del taglio delle prestazioni da erogare attraverso le seguenti iniziative:
    a) condurre a termine, entro la prossima legge di stabilità, l’iter di attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario;
    b) ritirare la tabella recante le condizioni di erogabilità delle 208 prestazioni specialistiche, e le sanzioni economiche previste per: medici al fine di procedere alla definizione di un programma nazionale e di linee guida per la promozione dell'appropriatezza, di concerto con le regioni, con le società scientifiche accreditate, le associazioni dei cittadini e dei pazienti e le competenti Commissioni parlamentari, sentite l'Agenas, l'Istituto superiore di sanità e l'Aifa;
    c) prevedere che i risparmi derivanti dalla spending review in ambito sanitario e socio-sanitario vengano reinvestiti esclusivamente nell'ambito del servizio sanitario nazionale al fine di ampliare ulteriormente i servizi erogati ai cittadini dal comparto sanitario;
    d) emanare provvedimenti efficaci e sistematici volti a prevenire i meccanismi e le prassi amministrative che favoriscono l'insorgenza di fenomeni di corruzione che incidono o determinano condizioni di inefficacia e inefficienza nell'erogazione dei servizi di tutela della salute, nonché gli sprechi di risorse pubbliche, in particolare in relazione alla gestione delle aziende sanitarie locali;
    e) rendere trasparenti le forme di utilizzo delle risorse pubbliche, nonché dei pagamenti effettuati, dando concreta attuazione alle normative già esistenti in favore della trasparenza, in particolare al decreto legislativo n. 33 del 2013, che si focalizza sulla pubblicazione online delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni;
    f) completare il programma di informatizzazione del sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 14 del patto per la salute, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e pagamenti online;
    g) ai fini della effettiva razionalizzazione ed efficacia della spesa sanitaria, intraprendere il processo di sperimentazione del SOCC – strumento operativo di controllo sviluppato dall'Istituto per la promozione dell'etica in sanità (ISPE) –, o comunque di qualsiasi altro modello gestionale analogo messo a punto da équipe indipendenti di esperti nel settore da sviluppare e applicare anche in via sperimentale, inizialmente anche solo in talune regioni selezionate;
    h) verificare gli effetti, soprattutto in termini economico-finanziari, dell'utilizzo del cosiddetto project financing per l'edilizia ospedaliera, e promuovere la riforma del citato istituto al fine di prevenire il dilagare di fenomeni corruttivi e lo spreco di risorse a danno della finanza pubblica connessi alla sua applicazione;
    i) provvedere tempestivamente, in seno alla Conferenza tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, alla revisione del patto per la salute 2014-2016 nella parte in cui all'articolo 6 «Assistenza socio-sanitaria», ai commi 1 e 2, sancisce una ingiustificabile limitazione alla erogazione degli interventi relativi alla non autosufficienza, alla disabilità, alla salute mentale adulta e dell'età evolutiva, alle dipendenze, all'assistenza ai minori (...) nei limiti delle risorse programmate per il sistema sanitario regionale;
    l) promuovere la riforma della normativa che disciplina il processo di nomina e valutazione dei direttori generali delle aziende sanitarie tenuto conto dei sistemi «checks and balances»;
    m) al fine di produrre risparmi della spesa pubblica, intraprendere la riforma delle modalità di accertamento dell'invalidità, in particolare eliminando o riducendo inefficienze e iniquità, tramite l'introduzione in sede di verifica, degli standard ICF (International classification of functioning, disability and health), come previsto dalla linea di intervento 1 del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità adottato dallo stesso Governo;
    n) promuovere, per quanto di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni, la semplificazione e l'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
    o) garantire, per quanto di competenza, che la riduzione delle auto di servizio blu o grigie, in particolare nell'ambito del servizio sanitario nazionale, sia attuata senza ulteriori azioni dilatorie tese a mantenere un inutile privilegio oneroso per la finanza pubblica e dal quale potrebbero derivare risparmi per centinaia di milioni di euro.
(1-01009) «Di Vita, Grillo, Baroni, Colonnese, Silvia Giordano, Mantero, D'Incà».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Esposizione Universale è stata, pur tra le molte difficoltà, gli scandali e i ritardi di questi anni, una straordinaria occasione di lavoro e impresa per il nostro Paese. Ciò è stato tanto più vero per le molte aziende lombarde coinvolte, in particolare per quelle del territorio rhodense e del nord ovest milanese; aziende che hanno potuto, beneficiando della vicinanza al sito, collaborare alla riuscita di questo evento eccezionale, che, si ricorda, ha avuto finora un'affluenza di più di sedici milioni di visitatori, e che raggiungerà per la fine di ottobre i risultati a suo tempo prefissati;
   per ottenere questi obiettivi, entro i termini imposti e riconosciuti dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi nel corso delle visite ai cantieri, e durante la giornata inaugurale, è stato necessario il coinvolgimento del sistema delle piccole e medie imprese italiane, lombarde, milanesi; fondamentale è stata la loro professionalità e flessibilità nell'adattarsi a tempistiche, condizioni climatiche, rigidità contrattuali, normative stringenti, continue modifiche progettuali, oneri e costi imprevisti;
   purtroppo, a meno di un mese dalla chiusura di EXPO, permangono ancora criticità legate ai pagamenti di molte imprese impegnate nel cantiere. Nello specifico, le aziende aderenti al Consorzio DISTRETTO33, o a esso collegate, che hanno sottoscritto contratti di appalto diretto nei confronti di EXPO 2015 s.p.a., o in subappalto per conto di Impresa di Costruzioni ing. E. Mantovani S.p.A. e Con.Expo 2015 S.c.a.r.l., sono in sofferenza per il mancato o ritardato pagamento degli ultimi stati di avanzamento lavori o saldi, per opere eseguite nei termini contrattuali previsti e non contestate; fatto questo che non ha consentito a sua volta di onorare il pagamento degli abituali fornitori di materiali;
   le aziende menzionate, quindici in totale, per più di un migliaio di lavoratori coinvolti, e in parte ancora impegnati, hanno operato in particolare sul cantiere denominato «Piastra», sull'Open Air Theatre, sul Cluster riso e cacao, e nei più vari settori: vigilanza e sicurezza, prove e collaudo sui materiali, rilievi topografici, scavi e movimenti terra, coperture industriali, verde e giardini, impianti elettrici e meccanici, opere edili e di carpenteria metallica;
   il citato Consorzio DISTRETTO33 nasce su iniziativa di A.I.L., Associazione imprenditori lombardi, ed opera al fianco dei sedici comuni aderenti al patto per il nord ovest, con i quali sviluppa iniziative a favore delle attività imprenditoriali, culturali e sociali del territorio denominato appunto «Terre di EXPO» –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per accelerare i tempi di pagamento da parte di EXPO 2015 s.p.a. ai propri fornitori, e di conseguenza a quanti hanno operato in subappalto. (5-06617)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si è posta la questione di prevedere, nell'ambito della riforma dell'adozione, l'immediata trascrizione in Italia della sentenza di adozione pronunciata in Paese straniero, prima dell'effettivo ingresso del minore nel nostro Paese; tale pratica è già in uso in alcuni Stati dell'Unione europea, tra i quali il Belgio;
   nel 2013 «Il diritto di bambini e ragazzi alla famiglia: come rilanciare adozioni e affidi» è stato il tema dell'evento organizzato il 20 novembre per celebrare la Giornata nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nella sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, dalla Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, il dipartimento per le politiche della famiglia e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. In tale occasione le più alte autorità del nostro Paese si sono impegnate in appelli per riconoscere ai minori il diritto di poter essere adottati e accolti nelle loro famiglie, auspicando come emerso da interventi del Presidente della Repubblica pro tempore Giorgio Napolitano, che il legislatore affronti in modo organico le problematiche finora individuate in tema di adozione;
   il problema dell'adozione appare all'interrogante ancora ostaggio di scarsa sensibilità sia sul fronte dei costi da sostenere in termini economici da parte dello Stato sia su quello degli eccessi di burocrazia;
   nell'ambito dell'adozione internazionale, diversi Paesi — ad esempio la Repubblica democratica del Congo, ma anche Colombia e Bielorussia — hanno assunto decisioni che rischiano di compromettere la possibilità di portare a termine l’iter adottivo iniziato o in fase di completamento in base agli accordi precedentemente presi (nel caso della Colombia e della Bielorussia si tratta di Paesi firmatari della convenzione internazionale dell'Aia del 1993); in particolare, si segnala la situazione della Repubblica democratica del Congo, che pur riconoscendo in più occasioni la correttezza delle procedure adottate dall'Italia, il 25 settembre 2013 ha deciso di bloccare le adozioni internazionali per un anno senza garantire in alcun modo la ripresa delle pratiche adottive al termine di tale periodo, costringendo molti bambini a non poter uscire dalla Repubblica democratica del Congo, pur essendo stati essi adottati secondo la stessa legge congolese (con sentenza definitiva del tribunale del Congo) da coppie di genitori italiani; si segnala per altro nello stesso contesto che la situazione umanitaria che si è venuta a creare per i bambini della Repubblica democratica del Congo con il blocco delle adozioni è drammatica, poiché gli istituti — a corto di disponibilità economiche e non sostenuti dal Governo congolese — non sono in grado di poter accogliere altri minori bisognosi;
   il 24 novembre 2014 anche il Kenia ha deciso sospensione a tempo indeterminato delle adozioni nazionali ed internazionali e della revoca delle licenze per operare nel campo delle adozioni internazionali;
   al quarto vertice Europa-Africa tenutosi a Bruxelles il 2 e il 3 aprile 2014, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, rammaricato per non aver avuto occasione di parlare di persona con il Presidente della Repubblica democratica del Congo Joseph Kabila, ha dichiarato tuttavia la volontà di contattare telefonicamente quest'ultimo al fine di risolvere al più presto la situazione che si è venuta a creare relativamente alle adozioni;
   sempre nell'ambito delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Renzi in occasione del summit Europa-Africa, il Presidente del Consiglio ha sottolineato la necessità di affrontare la questione ponendola all'attenzione dell'ONU e del segretario generale Ban Ki-Moon (cfr. http://www.commissioneadozioni.it);
   nell'ambito dell'iniziativa per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri e indebitati («Heavily Indebted Poor Countries»), lanciata dal Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, adottata dai Paesi G7 nel 1996 e «rafforzata» dal G7/G8 nel 1999, il nostro Paese si è impegnato nel processo di cancellazione del debito estero dei Paesi beneficiari, tra i quali figura la Repubblica democratica del Congo (nei confronti della quale — come dichiarato dal Ministero degli affari esteri relativamente all'attuazione dell'iniziativa HIPC: al 31 maggio 2011 l'Italia ha cancellato ben 519,26 milioni di euro, cifra inferiore solo a quanto cancellato per il Mozambico);
   nonostante l'annuncio di aprile 2015 del presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, Gianni Pittella, e il vice presidente della commissione parlamentare a Bruxelles Ue/Africa-Caraibi-Pacifico, Cécile Kyenge, al termine di un incontro a Kinshasa con il Premier e il Ministro della giustizia congolesi, ad oggi ancora la Repubblica democratica del Congo non ha provveduto a rimuovere la suddetta moratoria e, pertanto, la situazione è rimasta bloccata per circa 130 coppie, tutte in attesa di poter abbracciare e portare a casa i figli legalmente adottati;
   inoltre il 5 agosto di quest'anno 22 coppie di genitori hanno tenuto una conferenza stampa presso la Camera dei deputati per rendere noto, parlando a titolo personale, che negli ultimi mesi il Governo italiano e la Commissione per le adozioni internazionali hanno risposto alle loro richieste solo in termini di inviti alla pazienza e ad avere fiducia nel «lavoro delle istituzioni», senza ulteriori informazioni e precisazioni. Da tali affermazioni si sono dissociate le altre famiglie, gli enti autorizzati e le istituzioni;
   infine, secondo quanto si evince sul sito www.vita.it, il 19 agosto 2015 i membri della East African Legislative Assembly, in corso a Kampala, hanno approvato un report sui diritti dei bambini e sull'implementazione in maniera uniforme nei Paesi membri (Uganda, Kenya, Tanzania, Rwanda e Burundi) di politiche di tutela dei minori. Secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale dell'Eala, l'Hon. Ombasa Joseph Kiangoi, del Kenya, avrebbe in particolare rappresentato la necessità di normative più rigorose sulle adozioni, definendo come «preoccupante» la «continua pressione di stranieri per l'adozione di bambini della regione»;
   nonostante in sede di approvazione della legge di stabilità 2015 sia stato previsto un incremento di 5 milioni di euro il fondo per le adozioni internazionali, la Commissione per adozioni internazionali, con il comunicato 31 gennaio 2015, ha affermato che è stata «costretta a finanziare i rimborsi per le adozioni concluse nel 2011 con le risorse assegnate e destinate al sostegno delle adozioni internazionali nell'anno 2013 (disponibili da marzo 2014) e nell'anno 2014», non potendo procedere quindi ai rimborsi per gli anni successivi fino all'esaurimento di quelli del 2011, in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del gennaio 2012 relativo alle adozioni concluse nel 2010 e nel 2011, decreto privo, peraltro, della copertura necessaria a coprire tali rimborsi –:
   se vi sia un monitoraggio dei minori e delle famiglie italiane complessivamente coinvolte in percorsi di adozione bloccati per procedure indipendenti da enti e cittadini italiani;
   quali iniziative umanitarie a tutela dei minori adottati da famiglie italiane si intendano promuovere in attesa dello sblocco delle adozioni in Congo e negli altri Paesi che hanno assunto decisioni che rischiano di compromettere la possibilità di portare a termine l’iter adottivo iniziato o in fase di completamento;
   se non si ritenga opportuno in ogni caso, a tutela anche giuridica dei minori e delle famiglie italiane che hanno percorso il lungo iter per l'adozione internazionale, assumere a breve iniziative normative, per altro già adottate in alcuni Stati dell'Unione europea, che prevedano l'immediata trascrizione in Italia della sentenza di adozione pronunciata in Paese straniero, prima dell'effettivo ingresso del minore nel nostro Paese;
   se, per dare da subito un segnale concreto di fiducia alle famiglie sul tema delle adozioni, non si ritenga opportuno, sin dal disegno di legge di stabilità 2016 assumere iniziative per rifinanziare il fondo a sostegno delle adozioni internazionali, previsto dalla legge finanziaria 2005 ma di fatto sospeso dal 2011, nonostante siano coinvolte oltre 3.000 famiglie nel 2012 (nel 2006 erano oltre 6.000), considerato che con soli 5 milioni di euro si potrebbero destinare 1.600 euro a famiglia. (4-10695)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 27, comma 5, lettera d), dispone che nello studio d'impatto ambientale siano indicate le principali alternative prese in esame dal committente, ivi compresa la cosiddetta «opzione zero», con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell'impatto ambientale;
   le stazioni appaltanti sono obbligate ad aggiornare annualmente i propri preziari, come prescritto dall'articolo 133 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   tale obbligo è stato introdotto dalla legge n. 311 del 2004 (comma 550, articolo 1 della legge finanziaria 2005) la quale ha previsto una durata temporanea del singolo preziario prescrivendo che «i preziari cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno dell'anno successivo per i progetti a base di gara la cui approvazione sia intervenuta entro tale data»;
   con sentenza 3468/07 il TAR della Puglia, II sezione di Lecce, ha stabilito che è motivo di nullità della gara d'appalto l'adottare prezzi a base d'asta non aggiornati;
   da fonti di stampa si apprende che «per lo scolmatore del Bisagno c’è un impegno di spesa del Governo». Tale notizia è confermata sul sito Italiasicura.governo.it, che lo quantifica in: 45 milioni di euro per il 1o stralcio dello scolmatore torrente Fereggiano; 10 milioni di euro per il 2o stralcio, relativo ai rii Noce e Rovare e 165 milioni per la realizzazione dello scolmatore del torrente Bisagno;
   la delibera del CIPE n. 32 del 20 febbraio 2015, che all'articolo 1 assegna una dotazione finanziaria da destinare agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in particolare a quelle ricadenti in aree metropolitane e urbane, e all'articolo 2 stabilisce che la dotazione sia assegnata a seguito dell'emanazione di un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   il parere tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici evidenzia alcune criticità del progetto definitivo sullo scolmatore del Fereggiano: in particolare, il parere tecnico alla pagina 47 sottolinea come «la portata di dimensionamento dell'opera sia stata definita in maniera convenzionale senza sviluppare un apposito studio idrologico riferito ai bacini idrografici di interesse». Come dire che sul bacino del Fereggiano, del Rovare e del Noce non siano stati effettuati studi adeguati ad un'opera del genere; un'opera, si intende sottolinearlo, dal valore di 45 milioni di euro per la realizzazione del solo primo stralcio del primo lotto cioè la sola captazione del rio Fereggiano. La captazione del rio Rovare e del Rio Noce rappresenta il secondo stralcio del primo lotto e ha un costo aggiuntivo di 13 milioni e trecentomila euro per un costo complessivo del primo lotto pari a euro 58,3 milioni. Questo secondo stralcio del primo lotto è da destinarsi ad una seconda fase mediante l'impiego dei ribassi di gara (cfr. pagina 29), mentre il secondo lotto è rappresentato dal prolungamento dello scolmatore fino alla Sciorba. La relazione prosegue affermando che «le stime del tempo di ritorno della portata di progetto definiscono probabilmente in modo non sufficientemente preciso per il rischio residuo di inondazione per incapacità dell'opera di scolmo di convogliare la portata in arrivo da monte», ovvero il progetto viene accusato di essere stato fatto su stime, calcoli e previsioni dello scorso secolo (sulla base di tabelle vecchie di 30 anni, cfr. pagina 48);
   il Consiglio superiore, inoltre, sottolinea un altro aspetto molto importante: nella relazione geologica, a pagina 54, si sottolinea la necessità di valutare la interazione tra le possibili frane, già verificatesi durante l'alluvione del 4 novembre, e lo scolmatore. Occorre pertanto prevedere «interventi mirati a mitigare l'erosione sui versanti e/o stabilizzare pendii a rischio di frana a causa di eventi pioggia eccezionali»: chiaramente la concomitanza, non così eccezionale come dimostrano i recenti esempi, di una frana e di una piena del fiume «comprometterebbe di fatto la funzionalità delle opere previste»;
   altro elemento che, a parere del Consiglio merita maggiori approfondimenti, è quello riguardante l'utilizzo dei materiali e la «durabilità della superficie interna del rivestimento di galleria con particolare riferimento ai possibili fenomeni di abrasione in relazione ai valori di scabrezza di progetto»: è previsto che lo scolmatore del Fereggiano lavori in maniera ottimale «in pressione» e che in caso di eventi meno rilevanti rispetto ad episodi di piena (quelli per intenderci con tempo di ritorno di 25-35 anni) il deflusso mostri comportamenti instabili sollecitando continuamente e pericolosamente la superficie di rivestimento della galleria (pagina 49) e quindi portandola velocemente ad una sua rapida erosione e rovina. Per questo motivo sarebbe fondamentale ad avviso degli interroganti, che nel computo di spesa complessivo venisse già inserita una clausola recante un preventivo dei costi di gestione e di manutenzione di un'opera che per il suo corretto funzionamento avrà un alto costo di manutenzione;
   altro punto problematico evidenziato dalla relazione sembra essere quello dello sbocco a mare (pagina 50): va verificato infatti, si legge nella relazione, il funzionamento che consideri le portate contemporaneamente in arrivo dalla galleria Fereggiano e dalla galleria Bisagno, allo scopo di quantificare il rigurgito che può interessare questa ultima»;
   il fatto, poi, che lo scolmatore, funzioni in pressione (caso unico al mondo) può compromettere il corretto funzionamento dello stesso nel caso in cui la piena sia contemporanea ad eventi meteo marini intensi: per questo il Consiglio superiore chiede di approfondire questa criticità come era stato, del resto, già prescritto per il progetto definitivo dello scolmatore del Bisagno nel 2007 (pagina 51);
   il Consiglio esprime ancora un'altra perplessità riguardo le opere di presa dello scolmatore originariamente previste in maniera ottimale nel progetto del 2007 attraverso numerose simulazioni e la prevista realizzazione di una vasca con gradino che aveva la funzione di trattenere i corpi flottanti e la gran parte dei solidi trasportati dalla corrente. Il progetto attuale invece prevede un ridimensionamento delle dimensioni generali e la conseguente sostituzione del gradino di fondo con il restringimento che, così come previsto oggi, non sarebbe più in grado di trattenere adeguatamente quanto trasportato dalla corrente;
   erano state presentate alternative possibili, valutate positivamente dal professor Giovanni Menduni, docente di idraulica al politecnico di Milano e attualmente commissario straordinario per il terremoto in Lunigiana, che, oltre a ridurre i costi e i tempi di realizzazione, avrebbero ridotto notevolmente anche l'impatto ambientale dell'intera opera;
   ad oggi non risulta agli interroganti l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri richiamato nella delibera del CIPE n. 32/2015, pertanto i fondi statali per la realizzazione delle opere risultano indisponibili;
   per l'opera in questione è stato usato in larghissima parte il prezzario ANAS 2005;
   l'opera in questione è sempre stata individuata come fondamentale per contribuire alla messa in sicurezza della città di Genova, visto l'ingente onere finanziario che si prospetta per le casse dello Stato e nel suo parere il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva evidenziato una serie di osservazioni estremamente pertinenti e circostanziate tali da far dubitare delle stesse basi della progettazione (dalla stima della portata alle modellazioni fisiche alla suddivisione in lotti per arrivare anche al conto economico);
   nel modello dell'imbocco non sarebbero state compiute valutazioni reali sulla presenza di macrocorpi quali automobili e alberi limitandosi solo alla presenza di un'automobile e una lavatrice. Senza tema di cadere nella mera speculazione scientifica, si poteva cogliere l'opportunità di cercare le condizioni estreme di collasso delle parti d'opera, per poi valutare se erano realistiche (per mero esempio e per facilitare la comprensione: 5-10-15 automobili insieme, con e senza alberi, con varie portate di piena) o meno. Nel caso fossero stati considerati casi realistici, tali risultanze dovevano essere riverberate sulla progettazione in corso;
   nel pomeriggio del 9 ottobre 2014 nel comune di Genova nella mattinata si verificarono precipitazioni intense. Nel pomeriggio le precipitazioni si fermarono, per poi riprendere a tarda sera e poi con intensità la notte. Alle ore 23,30 circa esondò il torrente Bisagno. L'acqua invase le strade e trascinò auto parcheggiate. Sino alle tre di notte, a causa degli allagamenti, parte della città rimase senza corrente. In alcune zone l'interruzione si prolungò per uno-due giorni. Anche il rio Fereggiano, che determinò l'alluvione del 2011, esondò e allagò la zona di via Fereggiano e di corso Sardegna. Le acque del torrente Bisagno arrivarono sino all'altezza di un metro e ottanta e trascinarono molte auto incastrandole nei pressi dei tunnel pedonali e stradali accanto alla stazione Brignole;
   il 10 ottobre poco dopo la mezzanotte il torrente Sturla esondò allagando numerose strade e trascinando auto in sosta. E verso le 00,30 la zona di Brignole fu interamente allagata, come nell'alluvione 2011 e nelle varie precedenti, l'acqua invase anche la seconda parte verso valle di via XX Settembre. Poco dopo alle ore 00,45, i vigili del fuoco recuperarono il corpo di un uomo, morto annegato, nel tunnel allagato tra via Canevari e la stazione Brignole che fu identificato due ore dopo. Alle ore 01,00 circa i vigili del fuoco trassero in salvo una persona, intrappolata in auto, pochi metri fuori dal tunnel tra via Canevari e la stazione Brignole, incastrata tra le altre trascinate dal Bisagno. L'autostrada A12 venne chiusa tra Bivio A12/A7 Milano-Genova e Genova Nervi per l'allagamento di Corso Europa in direzione Genova alle ore 02,00. Si calcola che in 24 ore le precipitazioni ammontarono a 395 mm. I danni calcolati derivati da quell'evento alluvionale sul territorio regionale ligure superarono i 250 milioni di euro, 25 soltanto per la città di Genova. Gli altri comuni alluvionati sono stati quarantatre, in provincia di Genova. Durante l'alluvione fra l'altro fu completamente allagata la metropolitana presso la stazione di Genova Brignole, frequentata da migliaia di persone ogni giorno e fu grazie alla tarda ora che non ci furono ulteriori danni alle persone data anche la mancata dichiarazione dello stato di allerta. Nel corso della discussione della legge di stabilità 2015 a compensazione dei danni ricevuti dalla città di Genova si decise di finanziare la costruzione di un ulteriore tratto di linea metropolitana a Genova, prosecuzione da Brignole al Levante genovese senza una previa messa in sicurezza idrogeologica (come era stato richiesto dall'emendamento Zolezzi);
   alle prime piogge autunnali nel 2015 nuovamente il Bisagno è stato prossimo all'esondazione. In pratica Genova sta rischiando una catastrofe immane e il percorso per la messa in sicurezza dell'area del centro cittadino passa per un progetto opinabile che anche se realizzato verosimilmente non garantirebbe alcuna sicurezza, visto anche l'incremento graduale della frequenza e dell'intensità di eventi metereologici avversi. Le procedure in corso di assegnazione degli appalti sono state oggetto di ricorso e non appaiono rispondere alla necessità e urgenza della messa in sicurezza di quelle aree, che apparentemente potrebbero giovarsi solo della rinaturalizzazione delle aree con una progressiva decostruzione –:
   se sia stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio di ministri necessario per sbloccare gli importi stanziati dal Governo;
   se si ritenga opportuno assoggettare il progetto definitivo revisionato al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni emesse;
   se il Governo ritenga opportuno lo svolgimento di ulteriori simulazioni su modelli fisici che permettano, data la peculiarità del contesto genovese, di valutare in modo credibile gli scenari possibili in caso di alluvione;
   se il Governo ritenga opportuno adoperarsi per la produzione di progetti in cui si valuti l'opzione decurtazione di infrastrutture ed edifici lungo le sponde del tratto terminale del Bisagno. (4-10697)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 9 giugno 2015 la cooperativa sociale Onlus «Solaris» ha preso in gestione il residence «Mimose» sito ad Eraclea Mare utilizzato come centro di accoglienza per immigrati profughi;
   detta cooperativa di Carpi, in Emilia Romagna, si è infatti aggiudicata la gara d'appalto per la gestione del predetto centro, e, da fonti giornalistiche, sembra essere stata anche la sola a presentarsi alla suddetta gara;
   in ogni caso, in base alle disposizioni attualmente in vigore, la cooperativa percepisce un contributo giornaliero per la gestione dei circa 150, secondo le stime della prefettura, profughi presenti;
   sta di fatto che i dipendenti della Onlus non percepiscono lo stipendio dalla metà del mese di luglio per cui, dopo una serie di solleciti ai responsabili senza ottenere risposta, si sono rivolti, con una missiva, alla prefettura di Venezia che, in quanto stazione appaltante, si dovrebbe, in solido, assumere la responsabilità nella corresponsione degli stipendi;
   sembra dunque che a farne le spese, oltre all'indotto di Eraclea Mare che ha visto un drastico calo delle presenze turistiche nell'estate appena trascorsa con gravi ripercussioni a livello economico, siano solo i dipendenti della predetta cooperativa;
   è notizia di questi giorni che la cooperativa di cui sopra sarà sostituita su decisione della prefettura. Che ci fossero dei problemi di gestione era risaputo da tempo e più volte i giornali avevano dato la notizia di disordini all'interno e fuori dal centro, di proteste da parte dei migranti per il trattamento ricevuto, per la quantità e la qualità del cibo e dell'esasperazione dei proprietari degli immobili circostanti dovuta alla presenza dei migranti;
   sembra infine esservi un legame tra la società Immobiliare Venezia S.r.l., proprietaria del residence «Mimose» e la cooperativa Solaris: da una visura camerale, così riportano alcune fonti giornalistiche de Il Giornale.it, il rappresentante legale della società immobiliare ed il rappresentante, della cooperativa risultano esservi la stessa persona –:
   di quali informazioni il Governo sia a conoscenza con riferimento ai fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti, per le parti di competenza, intendano adottare al fine di verificare la correttezza della gestione dei rapporti della cooperativa con i suoi dipendenti e le motivazioni che hanno portato a ritardi notevoli nella corresponsione delle mensilità dovute;
   di quali strumenti si sia dotato il Governo al fine di verificare, in via generale, come vengono utilizzati i fondi corrisposti alle varie cooperative che gestiscono gli immigrati, anche a fronte delle innumerevoli inchieste della magistratura in ordine ad infiltrazioni della malavita in questo ambito. (4-10698)


   PARENTELA, VILLAROSA, ALBERTI e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dai tempi dei patti lateranensi del 1929 la Chiesa è esente dal pagamento delle tasse su tutti gli immobili che abbiano finalità di culto o assistenziali. Lo Stato italiano considera le strutture religiose «non commerciali» e quindi non obbligate al versamento di IMU;
   stando alla bozza definitiva del decreto, sugli immobili di proprietà della Santa Sede e delle onlus il decreto-legge «Salva Roma» prevede per la tasi le stesse esenzioni dell'Imu. Sono confermate le esenzioni sui fabbricati esclusivamente destinati all'esercizio del culto (purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze) oltre che sui fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense sottoscritto l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con la legge n. 810 del 1929. Restano invece soggetti all'imposizione fiscale gli immobili della Chiesa destinati a usi commerciali;
   il comune di Roma ha stilato una lista di 280 strutture religiose, gestite da 246 congregazioni, che sono state riconosciute a finalità commerciale. Di queste 93 non hanno mai versato l'imposta e 59 lo hanno fatto in maniera irregolare. Soltanto il 40 per cento delle strutture sembra in regola. Si tratta di alberghi a tutti gli effetti, coi vari comfort e stanze più o meno costose, facilmente prenotabili su internet;
   tra i 25 immobili della Santa Sede contenuti nell'accordo dei Patti Lateranensi esenti dal pagamento della tasi si trovano: Basilica e Palazzo Apostolico Lateranense ed annessi con la Scala Santa, Basilica di S. Maria Maggiore con gli edifici annessi, Basilica di S. Paolo con gli edifici annessi, Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, Palazzo della Dataria, Palazzo della Cancelleria, Palazzo di Propaganda Fide, Palazzo di S. Callisto in Trastevere, Palazzo dei Convertendi (ora Congregazione Per la Chiesa Orientale) in Piazza Scossacavalli, Palazzo del S. Offizio e adiacenze, Palazzo del Vicariato in via della Pigna, Immobili sul Gianicolo, Immobili esenti da espropriazioni e da tributi, Università Gregoriana, Università Gregoriana della Pilotta, Istituto Biblico, Palazzo dei SS. XII Apostoli, Palazzo annesso alla Chiesa di S. Andrea della Valle, Palazzo annesso alla Chiesa di S. Carlo ai Catinari, Istituto Archeologico, Istituto Orientale, Collegio Lombardo, Collegio Russo, Palazzi di S. Apollinare, Casa di esercizi per il Clero in SS. Giovanni e Paolo;
   per l'Unione europea le imposte devono essere versate da chiunque offra beni e servizi sul mercato a prescindere se faccia o meno utili. Un omesso versamento da parte delle strutture religiose esporrebbe l'Italia al rischio conclamato dell'apertura di una procedura di infrazione comunitaria –:
   quali iniziative stia portando avanti nei confronti di quelle attività religiose a finalità commerciale tra le 280 indicate nelle premesse che non hanno mai versato l'IMU o lo hanno fatto in maniera irregolare;
   se non ritenga opportuno assumere con urgenza le iniziative di competenza per sanare un'evidente disparità di trattamento ed evitare il rischio di incorrere in una sanzione comunitaria. (4-10702)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, ZARATTI, PELLEGRINO, FERRARA, MELILLA, DURANTI, NICCHI, SANNICANDRO, PIRAS, QUARANTA e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa Ansa ha reso noto in data 8 ottobre 2015 il sequestro di una discarica abusiva di rifiuti pericolosi ad opera del reparto operativo aeronavale della guardia di finanza di Ancona;
   la discarica è situata nel territorio di Arcevia (Ancona), in un complesso agricolo dove sono stati accertati, dai militari intervenuti sul posto, cumuli di rifiuti ed un capannone in stato di abbandono con la copertura in eternit parzialmente crollata, non censito presso l'azienda sanitaria unica regionale e sprovvisto del piano di sicurezza d'emergenza idoneo a prevenire il rischio di dispersione di fibre di amianto;
   sull'area, di 2.000 metri quadrati circa, la guardia di finanza ha riscontrato l'organizzazione di una discarica abusiva di rifiuti speciali – tra i quali lastre di amianto – per una quantità stimata di circa 2.000 chilogrammi –:
   di quali elementi dispongono in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini residenti nelle aree limitrofe, anche promuovendo una indagine epidemiologica tramite l'istituto superiore di sanità;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano in grado di verificare, se e quali produzioni siano attive nell'area interessata e in quelle immediatamente circostanti essendo quella un'area a destinazione agricola. (4-10696)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BRUGNEROTTO, COZZOLINO, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Valle Vecchia, a Caorle (VE), in base alle direttive comunitarie 79/409 e 92/43 CEE, dette, rispettivamente, «Uccelli» e «Habitat», è incluso fra le zone di protezione speciale (ZPS) ed i siti di importanza comunitaria (SIC). Quello di Vallevecchia è un progetto di riqualificazione ambientale gestito da Veneto Agricoltura, l'ente strumentale della regione Veneto che promuove e realizza interventi per l'ammodernamento delle strutture agricole, per la protezione del suolo agroforestale e la migliore utilizzazione della superficie agraria, per lo sviluppo dell'acquacoltura e della pesca, con particolare riferimento alle attività di ricerca e sperimentazione;
   il suddetto progetto di riqualificazione ambientale ha avuto inizio alla fine del 1980 con la sottopiantagione di latifoglie nella pineta artificiale. Dal 1993 gli interventi sono divenuti ben più consistenti, attraverso l'impianto di migliaia di piantine tipiche dell'orno-lecceta all'interno della pineta. In seguito ai diradamenti eseguiti a scopo fitosanitario, sono stati creati oltre 70 ettari di nuovi boschi planiziali, più di 15 chilometri di siepi campestri, 11 ettari di zone umide boscate con la funzione di fitobiodepurazione ed oltre 60 ettari di zone riallagate con acqua salmastra e acqua dolce;
   l'importanza ecologica dell'area ha portato dal 1996 al 2000 ad una serie di investimenti, dalla realizzazione di zone umide a impianti di zone per la fitobiodepurazione, fino alla formazione di nuovi boschi, per investimenti del valore di 13,5 miliardi di lire;
   nel 2013 viene approvato il progetto transfrontaliero europeo Powered (Project of Offshore Wind Energy: Research, Experimentation, Development), finalizzato alla definizione di strategie e metodi condivisi per lo sviluppo dell'energia eolica offshore in tutti i Paesi e territori che si affacciano sul mare Adriatico, da Trieste, alla Puglia, dalle isole croate all'Albania. Il progetto, nella sua complessità, prevede anche l'installazione di una serie di torni anemometriche per verificare le potenzialità del vento in ognuna delle aree interessate e raccogliere una grande mole di dati che saranno poi convogliati in una rete pubblica, la cui fornitura, installazione, manutenzione e smantellamento, a fine ciclo, sarà a carico dell'Università politecnica delle Marche, referente scientifico del progetto. I risultati finali dello studio rappresenteranno un documento indispensabile per la valutazione, non solo dei costi-benefici, ma anche delle interazioni fra i parchi eolici, l'ambiente marino e le attività umane ad esso connesse;
   sul sito istituzionale di Veneto Agricoltura si legge: «Da parte sua, Veneto Agricoltura ha verificato la possibilità di installare una delle torri a Caorle (VE) all'interno della propria Azienda “ValleVecchia” (la richiesta di autorizzazione è in corso). Veneto Agricoltura sarà impegnata in particolare nell'approfondimento degli impatti delle strutture sull'ambiente marino e costiero, sulle attività economiche legate al mare Adriatico, con particolare riferimento alla pesca, e sulle opere di mitigazione/opportunità ambientali legate a queste grandi opere –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato con riferimento a quanto espresso in premessa ed in particolare se l'installazione di una torre anemometrica sia compatibile con le caratteristiche ambientali di un'area appartenente ad un sito di importanza comunitaria;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere ogni utile iniziativa affinché sia pienamente valorizzata l'importanza ecologica e di conservazione naturale dell'area di Valle Vecchia. (4-10701)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio di esecuzione penale esterna di Pavia (UEPE), fino al 2005 denominato centro di servizio sociale per adulti, istituito in attuazione dell'ordinamento penitenziario, è uno dei 5 uffici presenti nella regione Lombardia che dipendono dall'amministrazione penitenziaria. Ha competenza sul territorio della provincia di Pavia e, in forza del decreto legislativo n. 491 del 1999, su ventidue comuni dell’hinterland milanese, associati al tribunale di Pavia;
   dal punto di vista organizzativo è, ad oggi, composto da 14 unità, di cui 7 funzionari di servizio sociale, 3 operatori amministrativi, una telefonista, tre operatori di polizia penitenziaria;
   l'UEPE, nel sistema dell'esecuzione penale e della sicurezza sociale, svolge un'importante funzione finalizzata alla elaborazione e al rafforzamento di progetti di inclusione sociale destinati a persone sottoposte a provvedimenti dell'autorità giudiziaria;
   i principali ambiti di intervento riguardano:
    a) interventi di aiuto, anche attraverso percorsi di reinserimento socio-lavorativo e terapeutici, e controllo del rispetto delle prescrizioni imposte dalla magistratura di sorveglianza ai condannati in regime di esecuzione penale esterna (affidati, detenuti domiciliari, semiliberi) e misure di sicurezza (liberi vigilati);
    b) l'espletamento di indagini sociali per la magistratura di sorveglianza e ordinaria e per gli altri U.E.P.E. dislocati sul territorio nazionale;
    c) predisposizione dei programmi di trattamento a favore degli imputati richiedenti la messa alla prova ai sensi della recente legge n. 67 del 2014;
    d) sostegno/controllo degli imputati ammessi alla prova e dei condannati sottoposti al lavoro di pubblica utilità;
    e) svolgimento delle verifiche dell'idoneità del domicilio ai sensi della legge n. 199 del 2010 e successive modifiche, cosiddetto «svuota carceri»;
    f) l'attività di osservazione e trattamento presso gli istituti penitenziari di Pavia, Vigevano e Voghera;
    g) partecipazione ai tavoli di programmazione e co-progettazione con la rete delle risorse pubbliche e del privato sociale presenti sul territorio;
   tali funzioni sono necessarie per raggiungere quanto previsto dal legislatore in materia di misure alternative alla detenzione e pertanto alla riduzione della popolazione carceraria;
   l'UEPE di Pavia, nonostante le ripetute richieste di intervento agli organi superiori, continua a operare in difficili condizioni lavorative ed organizzative determinate dalla grave e perdurante carenza di organico; gli assistenti sociali previsti in pianta organica sono complessivamente 21, mentre ne risultano in servizio 7 tra cui uno con funzioni di direttore reggente, uno con funzioni di capo aerea di servizio sociale con carico di lavoro pieno e uno in regime di part-time al 90 per cento;
   il carico di lavoro, anche a fronte delle recenti disposizioni normative, è in costante aumento e, alla data del 28 settembre 2015, ha raggiunto 940 casi, cioè quasi 140 casi per assistente sociale;
   l'ufficio, fino al 31 dicembre 2015, potrà avvalersi del contributo, con un ridotto monte ore mensile, di tre esperti assistenti sociali (già progetto master finanziato da cassa ammende) e di uno psicologo ex articolo 80;
   un così elevato numero di casi per ogni operatore non è funzionale essendo difficile in queste condizioni esercitare un effettivo servizio di assistenza sociale, ma anche di controllo e monitoraggio sulla pericolosità sociale dei soggetti, rischiando di compromettere la sicurezza dei cittadini;
   nell'ambito della riorganizzazione del Ministero della giustizia sarebbe non comprensibile e disfunzionale sacrificare il presidio territoriale pavese e soprattutto il lavoro di rete costruito negli anni con i vari servizi pubblici e privati –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di adeguare numericamente il personale di servizio sociale e amministrativo così come previsto in pianta organica e secondo le previsioni di cui all'articolo 7 della legge n. 67 del 2014;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per far sì che l'ufficio UEPE di Pavia possa garantire la sua funzione valutando anche la stabilizzazione degli esperti di servizio sociale, già selezionati nell'ambito del progetto master o perlomeno una conferma della attuale collaborazione;
   se si intenda valutare l'assegnazione di personale proveniente da altri enti attraverso procedure di mobilità al fine di alleviare rapidamente le deficienze di organico;
   alla luce della riorganizzazione del Ministero della giustizia richiamata in premessa, quali iniziative il Ministro intenda assumere per mantenere nella città di Pavia l'attuale sede di servizio con il proprio assetto organizzativo. (4-10689)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI, FERRARESI, BUSINAROLO e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Sessa Aurunca (CE) versa in una situazione critica. In particolare sono circa 5-6 anni che tale ufficio è sprovvisto della figura del «cancelliere». Una simile mancanza produce una pessima qualità delle condizioni di lavoro di tutti gli operatori del diritto che frequentano l'ufficio suddetto, sia avvocati e sia altri giuristi ed operatori vari;
   la mancanza di una simile figura ha comportato, in campo penale, che procedimenti di competenza dell'ufficio siano andati quasi tutti in prescrizione, mentre, in campo civile, rischia di ripercuotersi sulla validità dei provvedimenti emanati dal giudicante;
   la mancanza di tale organo comporta inoltre alcune difficoltà nel reperire fascicoli o avere informazioni relativamente alle udienze;
   l'ufficio del giudice di pace in questione aveva in organico 5 giudici di pace ed, in un recente passato (circa 5 anni addietro), e stato oggetto di accertamenti giudiziari. Questa situazione ha portato alla sospensione di 2 giudici a cui si è aggiunto il pensionamento di un terzo giudice circa 6 anni fa. Si è tentato di porre rimedio alla situazione che si era venuta a creare dividendo il carico di lavoro sui due giudici che erano rimasti. Uno dei giudici rimasti è tuttora in servizio, mentre l'altro giudice è stato trasferito recentemente a Cassino, senza che il suo trasferimento abbia comportamento un avvicendamento con altro giudice. Le cause che erano state assegnate a tale ultimo giudice – trasferito a Cassino – giacciono, da svariati anni, in stand-by, le udienze non vengono di fatto celebrate e vi sono meri rinvii;
   in campo civile, anche a seguito della delicata situazione che si è venuta a creare in conseguenza delle vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto i giudici di pace stessi, oltre ad altri operatori del diritto, l'unico giudice in servizio ed operativo rigetterebbe quasi tutte le domande con una incidenza statistica che si aggira intorno all'80 per cento, unico caso in Italia;
   l'unico giudice, il quale ha di fatto visto moltiplicarsi il suo ruolo, rinvia le cause a date molto lontane nel tempo, avvicinando i tempi di giustizia di un ufficio, come quello del giudice di pace che dovrebbe caratterizzarsi per snellezza e velocità, ai tempi propri dei giudici togati;
   nel settore dell'infortunistica stradale questa situazione ha portato le compagnie di assicurazione ad avere un atteggiamento di rigetto di qualsiasi forma di richiesta risarcitoria, dal momento che le lungaggini dei tempi processuali, nonché l'altissima percentuale di rigetti, ha comportato una situazione all'interno della quale le compagnie di assicurazioni godono di un certo «comfort»;
   questa situazione si ripercuote sulla intera classe forense che opera sul territorio di Sessa Aurunca, la quale appare inefficace e inconcludente agli occhi di molti;
   per il giudice di pace di Sessa Aurunca è previsto un organico di 3 giudici, ad oggi nessuna notizia si ha sugli altri 2 giudici che dovrebbero affiancare l'unico giudice presente;
   la situazione in cui versa tale ufficio giudiziario ha avuto eco anche nella stampa locale (Gazzetta di Caserta del 7 agosto 2015) nonché è stata oggetto di una specifica doglianza inviata al Presidente dell'ordine forense del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, firmata da svariati avvocati che frequentano il foro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative intenda intraprendere per risolvere la grave situazione in cui si trova il giudice di pace di Sessa Aurunca;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza per sopperire alla mancanza del cancelliere e dei giudici che mancano all'organico;
   se il Ministro interrogato, in via subordinata a quanto sopramenzionato, non intenda assumere iniziative per accorpare l'ufficio del giudice di pace di Sessa Aurunca con quello Carinola o Santa Maria Capua Vetere. (4-10699)


   SPADONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 settembre 2015 una rissa furibonda si è scatenata alla stazione di Reggio Emilia dove due gruppi nigeriani, composti da una trentina di persone, si sono scontrati con armi contundenti quali cocci di bottiglia, coltelli e un martello;
   la rissa è scoppiata davanti ad un negozio etnico di viale IV Novembre, per poi spostarsi in piazzale Marconi, davanti all'ingresso della stazione e da lì verso via Turri e via Vecchi, per poi continuare successivamente in piazzale del Tricolore;
   i fermati, portati al Comando di Polizia, sono tutti cittadini nigeriani regolarmente in possesso del permesso di soggiorno. Per sedare questa violentissima rissa, sono stati impegnati una cinquantina tra carabinieri, poliziotti e vigili urbani;
   secondo il Sindacato autonomo di polizia di Reggio Emilia sono troppe le chiusure degli uffici di polizia, in particolare le sedi di Polfer, polizia postale e qualche distaccamento della stradale; la questura di Reggio Emilia inoltre, come quella di tante altre città su tutto il territorio nazionale, è in grave sofferenza di organico;
   il rilascio, dopo nemmeno ventiquattro ore dei protagonisti della vicenda, secondo il parere dell'interrogante svilisce il lavoro delle forze dell'ordine; questi fatti distruggono la fiducia nella giustizia e rischiano di far crescere la xenofobia nei cittadini esasperati da queste situazioni –:
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere, nel rispetto dell'autonomia delle scelte della magistratura, affinché gli autori di violenze come quelle sopra riportate non vengano rilasciati il giorno seguente al compiersi di fatti gravissimi quali quelli riportati premessa;
   quali iniziative e quali strategie i Ministri interrogati intendano adottare affinché venga presa in considerazione la possibilità di sospendere il permesso di soggiorno per chi compie questi reati.
(4-10700)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 1 Aurelia, nel tratto a sud di Grosseto fino all'innesto con l'autostrada Roma-Civitavecchia è stata ceduta gratuitamente, fino al 2046, alla SAT (Società autostrada tirrenica) per la realizzazione dell'autostrada tirrenica (Rosignano-Civitavecchia);
   al contrario, il predetto tratto stradale avrebbe dovuto essere messo in sicurezza come previsto dal progetto ANAS 2001;
   con delibera n. 7 del 5 maggio 2001 il CIPE ha approvato il progetto definitivo del lotto 6A, che ha di fatto comportato la trasformazione della strada statale Aurelia in autostrada a pedaggio;
   in sede di conferenza di servizi del 27 luglio 2010 (decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006, articolo 167) non sono state inserite, tra le opere da realizzare, le infrastrutture necessarie per la viabilità locale, tra le quali un ponte sul fiume Mignone, in sostituzione di quello esistente che sarà ad uso esclusivo dell'autostrada, e le relative complanari, necessarie alla perfetta ricucitura del sistema viario alternativo;
   il progetto SAT, a giudizio dell'interrogante, non prevede la realizzazione di idonee strade parallele all'asse autostradale, mentre prevede interconnessioni della viabilità esistente, costituita per lo più da strade interpoderali (con ampiezza totale di 4 metri), comunali e provinciali, per le quali sembrano previsti solo piccoli interventi di adeguamento che non basteranno ad assorbire tutto il traffico locale, dei mezzi pesanti e dei mezzi agricoli e a garantire un adeguato standard di sicurezza;
   l'obiettivo della SAT, dichiarato dalla SAT stessa, è «L'ottimizzazione del tracciato e degli interventi sulla viabilità alternativa, al fine di minimizzare il traffico ceduto alla viabilità ordinaria per effetto dell'introduzione del pedaggio» e catturare il maggior numero di accessi possibili nell'opera a pagamento, limitando il diritto alla libera circolazione;
   la comunità locale, le aziende commerciali, turistiche e agrituristiche, i cittadini di Tarquinia e tutti coloro che vorranno visitare tale territorio si vedranno privare di un bene gratuito, quale è da sempre stata la via Aurelia, con grave danno sociale ed economico;
   in particolare, chi risiede o lavora nelle zone in prossimità del fiume Mignone (Farnesiana, Montericcio, Pantano, Pian d'Argani, Pian Boaro), senza la realizzazione di un secondo ponte sul fiume (l'unico esistente sarà ad esclusivo servizio dell'autostrada), sarà costretto in alcuni casi a percorrere 15 chilometri in più (24 minuti circa e 2 euro di carburante) per andare e venire dal comune di Tarquinia e molti avranno difficoltà ad essere raggiunti da servizi indispensabili, quali quello pubblico di scuolabus, l'ambulanza, i vigili del fuoco e altri;
   le conseguenze dannose della cosiddetta espropriazione di valore, che la SAT impone con l'autostrada, coinvolgono, oltre agli espropriati, un numero davvero importante di attività che rischiano di perdere il lavoro;
   la Maremma laziale è un territorio ricchissimo dal punto di vista ambientale, paesaggistico, culturale, artistico, storico, archeologico e, per tale motivo, necessita di essere salvaguardato;
   il progetto originario per la realizzazione del lotto 6A non prevedeva né il ponte sul fiume Mignone né le relative complanari;
   solo recentemente e in via non ufficiale, la SAT ha fatto proprie le osservazioni/proposte dei comitati dei cittadini relative alle infrastrutture mancanti, nel tentativo di porre rimedio alle deliberate carenze di progettazione ed ha proposto finalmente una viabilità integrativa al lotto 6A che andrà finanziata contestualmente al lotto 6B da realizzarsi successivamente con il tratto Tarquinia-Pescia Romana;
   il comune di Tarquinia non ha mai valutato attentamente l'impatto dell'infrastruttura autostradale sulla mobilità di molte zone del comune stesso –:
   se siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se le varianti al progetto originale abbiano seguito l’iter autorizzatorio previsto per legge;
   quali siano le varianti attualmente autorizzate e realizzate e quali siano i costi;
   se tali varianti abbiano tenuto conto del rischio di esondazione in corrispondenza del sottopasso presso la sede della polizia stradale all'altezza del nuovo cavalcavia (comune di Tarquinia lato monte); 
   quali siano le prescrizioni obbligatorie del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la realizzazione della viabilità complanare del lotto 6/A. (5-06625)


   GRILLO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO, NUTI, D'UVA, LOREFICE, MARZANA, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa, del 5 ottobre 2015 si apprende che l'autostrada A18 Messina-Catania presso la località Letojanni è stata interrotta da una frana che ha investito la carreggiata, generando deviazioni per il normale traffico, mentre per gli automezzi pesanti il tragitto da Messina a Catania sarà effettuato con nave;
   i tempi di riapertura della carreggiata in direzione Catania, quella invasa dalla frana, non sono calcolabili e questo causerà gravi ripercussioni nei collegamenti;
   dai primi sopralluoghi la frana avrebbe invaso la carreggiata a seguito del cedimento dei muretti di contenimento, di cui la cura e la manutenzione sono di pertinenza del Consorzio per le Autostrade Siciliane (CAS), che ha in concessione l'autostrada A18 Messina-Catania;
   i costruttori di Ance Sicilia, dalle pagine di «La Repubblica» on line del 5 ottobre hanno lanciato un grido di allarme: «Dopo il crollo del viadotto Himera sull'autostrada Palermo-Catania, la frana sull'autostrada Messina-Catania (l'unica arteria che era rimasta percorribile per il traffico commerciale) ha di fatto tagliato la Sicilia in tre parti, con tutti i mezzi pesanti fermi perché lungo la strada statale n. 114, sulla quale viene deviata la circolazione, vi è un angusto sottopasso che rende arduo il transito ai camion. Da oggi tutte le derrate alimentari saranno portate al macero e quasi tutte le province dell'isola soffriranno per le difficoltà di approvvigionamento di merci e di generi di prima necessità, di materie prime e semilavorati per l'industria manifatturiera e di materiali per il settore delle costruzioni, a partire da cemento e ferro»;
   l'autostrada A18 Messina-Catania viene gestita, tramite concessione con Anas, dal Consorzio per le autostrade siciliane (CAS) costituito in base all'articolo 16 della legge del 12 agosto 1982, n. 531 (Piano decennale per la viabilità di grande comunicazione e misure di riassetto del settore autostradale);
   l'articolo 2 dello statuto sociale del Consorzio per le autostrade siciliane prevede che esso abbia come finalità il completamento dei lavori di costruzioni e la realizzazione di eventuali lavori di manutenzione; l'articolo 2 prevede, inoltre, che per il raggiungimento di tali fini il Consorzio si avvarrà dei contributi della Unione europea, della regione e dello Stato;
   Anas e il Cas, negli anni scorsi, hanno avuto vari contenziosi, anche con procedimenti davanti al tribunale amministrativo regionale della Sicilia –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, per quanto di competenza, per verificare eventuali responsabilità del Consorzio autostrade siciliane nella manutenzione delle autostrade in sua gestione;
   se sia a conoscenza di quanti finanziamenti comunitari e statali abbia utilizzato il Consorzio autostrade siciliane negli ultimi 10 anni, destinati a finanziare lavori di manutenzione stradale e, in particolare, per le opere dell'A18;
   se intenda intervenire presso Anas per verificare se il Consorzio autostrade siciliane rispetti tutte le norme in tema di sicurezza stradale;
   se non ritenga che l'attuale interruzione dell'autostrada A18 possa determinare problemi nell'approvvigionamento alimentare per la provincia di Catania e per quelle limitrofe e quali iniziative di competenza intenda intraprendere. (5-06627)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso sul Corriere della Sera — quotidiano di Roma del 30 settembre 2015 dal titolo «Cercasi hotel per duemila agenti» si solleva il problema degli alloggi per le forze di polizia che andranno a rinforzare la sicurezza della città di Roma in occasione del prossimo anno Giubilare: «Dall'Expo al Giubileo, stanno per arrivare i rinforzi annunciati dalla Prefettura, almeno 2 mila uomini in più che — assicurato l'obiettivo primario, la sicurezza — sul piano della logistica rappresentano (ancora) un punto interrogativo: dove li sistemiamo  ?...Il Giubileo è alle porte, lo si ripete da mesi e adesso i tempi sono davvero stretti, nessuno sottovaluta neanche la minaccia terroristica e certo non si può rischiare ricordiamo, 30 milioni di turisti che si saranno già organizzati da settimane — di trovare il tutto esaurito proprio per le forze dell'ordine, polizia e militari, in trasferta a Roma per i prossimi dodici mesi.»;
   in realtà, il problema non è nuovo poiché già l'organizzazione sindacale UGL Polizia di Stato — segreteria provinciale di Roma ha segnalato l'ormai annoso problema degli alloggi di servizio da riservare al personale di polizia; problema che diventerà ancor più pressante proprio alla luce dell'aumento degli operatori di polizia nella città di Roma in occasione dell'anno giubilare 2016;
   la stessa UGL ha evidenziato in particolare alcune soluzioni al problema degli alloggi collettivi di servizio per le forze dell'ordine segnalando la proposta di locazione di un immobile sito in Via Tor Cervara-via Francesco Grandi proveniente dalla società Sogesi Srl che recentemente — con comunicazione del 12 giugno 2015 protocollo 27/15 diretta alla questura di Roma — ufficio servizi tecnico logistici — ha manifestato la disponibilità di dare in locazione il suddetto immobile da adibire a caserma per alloggi collettivi in conformità alle vigenti normative in materia di urbanistica al canone annuo di euro 600.000,00 oltre iva all'anno;
   eppure già con comunicazione prot. n. 128645/501/A.F.P. locazioni del 21 giugno 2013 la prefettura di Roma — ufficio territoriale del Governo, in riferimento alla proposta locativa presentata dalla società Sogesi srl, confermò «l'interesse di questa Amministrazione ad acquisire in locazione l'immobile di cui in oggetto attesa la convenienza economica rispetto alla struttura attualmente occupata»;
   l'avvio dell'anno giubilare è alle porte (dal prossimo 8 dicembre fino al 30 novembre 2016) e la straordinaria influenza che tale evento esercita sui pellegrini di tutto il mondo, alla quale si aggiunge l'altrettanto straordinaria popolarità di cui gode papa Francesco, fanno del giubileo un evento di portata storica. Sono previsti tra i 20 e i 30 milioni di pellegrini in arrivo a Roma. Oltre che nella stessa città di Roma, i pellegrini troveranno alloggio nelle città e nei comuni dell'area metropolitana e «certo non si può rischiare di trovare il tutto esaurito proprio per le forze dell'ordine, polizia e militari in trasferta a Roma per i prossimi dodici mesi» (Corriere della Sera, quotidiano di Roma del 30 settembre 2015) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti;
   quali iniziative intenda adottare o abbia adottato il Ministro interrogato per rispondere — nella misura più efficace ed efficiente possibile — alle necessità sul piano della logistica, dei servizi e del reperimento di idonee strutture del personale delle forze di polizia trasferito nella città di Roma per assicurare la sicurezza dell'anno giubilare;
   quali siano i motivi e le cause che hanno determinato i ritardi per la logistica da riservare al personale di polizia trasferito a Roma e quali siano le cause che hanno impedito o impediscono di avviare celermente l'istruttoria — anche in un contesto di contenimento della spesa pubblica — per la valutazione e definizione della proposta di locazione della struttura di via Tor Cervara-via Francesco Grandi descritta in premessa. (4-10688)


   MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 6, della legge 10 agosto 2000, n. 246, così come sostituito dall'articolo 5-quater del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, prevede che «alla copertura delle vacanze di organico nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco si può provvedere, in caso di specifica richiesta da parte degli interessati, anche mediante mobilità degli appartenenti ai corpi permanenti dei vigili del fuoco di Trento, di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, previo assenso dell'amministrazione autonoma di provenienza»;
   analoga previsione di mobilità verso la Valle d'Aosta è contenuta all'articolo 32 della legge regionale Valle d'Aosta 10 novembre 2009, n. 37, così come modificato dall'articolo 6 della legge regionale n. 3 del 13 febbraio 2012, laddove recita «il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o dei corrispondenti Corpi o servizi delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome, può essere trasferito, a domanda o su richiesta dell'Amministrazione regionale, nell'organico del personale professionista del Corpo valdostano dei vigili del fuoco. L'inquadramento è subordinato all'assenso dell'Amministrazione di provenienza, alla disponibilità di posti in organico e al superamento della prova di accertamento linguistico con le modalità di cui all'articolo 7 del r.r. 6/1996. In caso di più richieste, costituisce titolo di preferenza la residenza nella Regione»;
   il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile non consente più la mobilità in ingresso dagli altri Corpi dei vigili del fuoco, interpretando l'articolo 1, comma 6 della legge 10 agosto 2000, n. 246, come implicitamente abrogato dall'articolo 132, comma 1 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, che disciplina «l'accesso al Corpo nazionale dei vigili del fuoco esclusivamente con le seguenti modalità: a) pubblico concorso ovvero, limitatamente all'accesso nel ruolo degli operatori, avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento; b) assunzione obbligatoria, per chiamata diretta nominativa, del coniuge, dei figli e dei fratelli degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco deceduti o divenuti permanentemente inabili al servizio per causa di servizio, nei limiti previsti dagli articoli 5, 21, 88, 97 e 108». Il comma 2 del medesimo articolo prevede infine che «è escluso l'accesso al Corpo nazionale dei vigili del fuoco in casi e con modalità diversi da quelli indicati nel comma 1» elencando poi una serie di articoli di legge abrogati e terminando con una frase, a giudizio dell'interrogante, suscettibile di controversie interpretative «... e ogni alta disposizione che prevede il passaggio tra amministrazioni di personale non idoneo, sotto il profilo psico-fisico, al servizio o all'impiego incondizionati»;
   a parere dell'interrogante, visto che il regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, datato 5 aprile 2011, dispone la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea, appare del tutto anacronistico che, a fronte di norme europee che consentono la libera circolazione dei lavoratori all'interno dei Paesi dell'Unione europea, ovvero pongono il divieto di limitazioni tra Stati nelle assunzioni, in Italia un vigile del fuoco non possa trasferirsi da una regione all'altra del medesimo Stato;
   nella fattispecie si riporta il caso dei vigili del fuoco professionisti del Corpo valdostano dei vigili del fuoco della regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste ai quali è oggi, di fatto, negata qualsiasi possibilità di trasferirsi presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative interpretative della norma, o in alternativa, porre in essere un'iniziativa normativa per la modifica della stessa, per sanare tale situazione che impedisce ai vigili del fuoco professionisti dipendenti dal Corpo valdostano (come invece è consentito ai vigili del fuoco del Corpo nazionale) di essere trasferiti, su loro richiesta, presso altra sede territoriale. (4-10690)


   SPADONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 agosto 2015 i giornali locali e nazionali riportavano la notizia che all'interno di Festa Reggio, festa del Partito Democratico, venivano utilizzati i profughi in carico alla Cooperativa Dimora d'Abramo di Reggio Emilia come lavapiatti e come forza lavoro sulla base della determina 113/2014 del 21 febbraio 2014;
   i profughi in questione sono stati affidati dal comune di Reggio Emilia alla Cooperativa Dimora d'Abramo attraverso l'aggiudicazione diretta e quindi senza bando pubblico nel settembre 2014; suddetta cooperativa fa parte del consorzio Oscar Romero il cui presidente è stato per lungo tempo l'ex assessore Mimmo Spadoni oggi braccio destro del Ministro Delrio e in aspettativa dalla Cooperativa dal 2004;
   l'amministrazione ha proposto di ospitare 30 rifugiati per il 2014-2016 per un costo di oltre un 1,4 milioni di euro di cui 120 mila euro di stanziamento iniziale del comune, 355 mila euro all'anno per i 30 profughi da parte dello Stato italiano e oltre 216 mila euro come quota di cofinanziamento da parte del comune;
   il PD in quei giorni dichiara che quell'impiego fosse parte di una progettualità d'accoglienza e inserimento proposto dalla Cooperativa che si occupa della gestione dei profughi; dichiara inoltre che ci sarebbe stato un risparmio per lo Stato in quanto i profughi avrebbero mangiato insieme agli altri volontari nonostante il fatto che la somministrazione dei pasti fosse a carico dell'ente gestore Dimora d'Abramo come previsto dalla determina 113/2014;
   il M5S ha presentato due esposti sulla gestione dei profughi della Dimora d'Abramo: il primo all'Anac per verificare la legittimità dell'affidamento diretto, anche in base alla revoca della gestione dei profughi da parte del comune di Ferrara alla Cooperativa Camelot, dopo che in due riprese lo stesso Cantone aveva segnalato la scarsa coincidenza con l'interesse pubblico di affidamenti diretti di questo tipo da parte del comune;
   il secondo esposto è stato inoltrato alla Corte dei Conti per danno erariale perché i fondi stanziati dovrebbero essere vincolati alla gestione dei migranti, ma ad oggi il comune non ha ancora pubblicato nessuna rendicontazione di come questi fondi siano stati effettivamente investiti dalla Cooperativa e come i soci si siano spartiti gli utili di denaro pubblico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa, abbia visionato il progetto a cui fa riferimento la determina 113/2014 all'atto del conferimento dei fondi e se non intenda assumere iniziative per fare chiarezza sul caso di suddetta Cooperativa;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare la massima trasparenza nella gestione dei fondi pubblici destinati ai rifugiati politici e ai richiedenti asilo, anche alla luce degli ultimi eventi di Mafia Capitale che hanno visto fondi pubblici finire fino nelle mani della criminalità organizzata. (4-10703)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza n. 2-00840, tuttora senza risposta, sono stati sollevati numerosi dubbi sulla correttezza, sia in termini di legalità che di opportunità, del commissariamento della Fondazione Accademia nazionale di danza (FAND) adottato da prefetto di Roma il 14 gennaio 2015;
   il 9 luglio 2015 il commissariamento è stato rinnovato per ulteriori sei mesi in forza della «complessa situazione economico finanziaria, del numero elevato di contenziosi, nonché per la puntuale verifica delle posizioni debitorie pendenti»;
   nell'interpellanza n. 2-00840 si era tentato di spiegare che la gran parte dei contenziosi era con l'Accademia nazionale di danza (AND) e che gran parte dell'esposizione debitoria era stata determinata dal fatto che AND aveva considerato FAND una sorta di «bad company», dove scaricare i propri errori gestionali, come dimostrato in innumerevoli atti di sindacati ispettivo degli ultimi anni;
   nell'interpellanza n. 2-00840 si era tentato di spiegare che era in corso un significativo processo di risanamento economico finanziario della FAND (come risulta dai bilanci depositati) e che non era affatto venuto a mancare il supporto di FAND all'attività di AND;
   l'unico reale motivo del commissariamento, peraltro evidenziato nella nota della prefettura di avvio del relativo procedimento, è consistito nel tentativo di trasferimento, operato dal precedente gruppo dirigente di FAND, della sede da Roma a Siracusa, tentativo, peraltro adottato nel rispetto dello statuto approvato a suo tempo dal prefetto stesso, che è stato bloccato dal commissariamento stesso;
   giova peraltro ricordare che la stessa commissaria professoressa Cassese, nella relazione sulla sua attività di commissario anche dell'AND, ha sostanzialmente rilevato che la sede della FAND era ed è collocata, «nell'appartamento del custode degli edifici dell'Accademia: collocazione che non risulta a statuto ed è quindi secondo l'interrogante priva di valenza giuridica;
   l'atto di rinnovo del commissariamento fa espresso riferimento alla possibile sussistenza dei presupposti dell'articolo 27 del codice civile per lo scioglimento;
   si osserva a questo proposito, quanto già osservato con l'interpellanza n. 2-00840 e cioè che il tentativo di chiudere le partite pregresse tra AND e FAND, mediante scioglimento e incorporazione di quest'ultima nella prima, costituisce a giudizio dell'interrogante, oltre che un atto di dubbia legittimità, anche un atto in contrasto con il legato testamentario della fondatrice di entrambe gli organismi, Jia Ruskaja, che non mancherebbe di sortire effetti –:
   se non si ritenga opportuno, anche ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, annullare l'atto di rinnovo del commissariamento alla Fondazione Accademia nazionale di danza, procedendo alla ricostituzione degli organi statutari. (4-10704)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso il CNR continuano ad operare numerosi lavoratori precari, talvolta con notevole anzianità di servizio;
   lo stato di precarietà permanente danneggia sia i lavoratori sia il CNR;
   il CNR ha comunicato che entro il mese di ottobre 2015 presenterà alle organizzazioni sindacali nuovi criteri per l'individuazione del personale con contratto a tempo determinato da porre a carico del fondo ordinario dell'ente e del fondo cosiddetto «conto terzi centralizzato»;
   66 lavoratori a tempo determinato posti provvisoriamente a carico del «conto terzi centralizzato» hanno beneficiato di una proroga fino al 31 ottobre –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda avviare per porre fine al precariato e stabilizzare lavoratori già pienamente inseriti nell'attività di ricerca.
(4-10694)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre 2015 il quotidiano la Stampa, con un articolo a firma di Roberto Gonella dal titolo «Ha sottratto oltre 9 milioni all'Atc. Ora avrà la pensione da invalido», ha dato la sconcertante notizia del riconoscimento, da parte della commissione di valutazione della azienda sanitaria locale di Torino Uno (ASL TO 1), di un assegno di invalidità civile a favore di Pierino Santoro, ex direttore generale Atc di Asti, l'Agenzia territoriale per la casa di Asti, reo confesso per aver sottratto indebitamente quasi nove milioni di euro dalle casse dell'ente, preposto alla gestione dell'emergenza abitativa della provincia astigiana durante la sua disastrosa gestione. Per tale grave accusa il 20 novembre 2014 è stato condannato, con il rito del patteggiamento, ad una pena di 4 anni e due mesi di reclusione. Sentenza immediatamente impugnata dallo stesso Pierino Santoro con il rischio che si determini la prescrizione del giudizio;
   tale notizia, ripresa anche da altri organi di stampa, ha immediatamente destato profonda indignazione in quanto l’ex direttore Santoro, riconosciuto affetto da una invalidità dell'80 per cento per una grave forma di ansia e depressione, nella sua decennale condotta criminosa ha mostrato una personalità tutt'altro che psichicamente invalida ed incapace d'agire. Infatti, le risultanze dell'inchiesta giudiziaria hanno evidenziato un'abilità fuori dal comune del Santoro nel perseguire con metodicità, sistematicità e spregiudicatezza, per più di un decennio, il suo disegno criminale di sottrarre dalle casse dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti risorse accertate per oltre nove milioni di euro. Spregiudicatezza mostrata anche nel corso delle indagini della magistratura inquirente considerando che, come è stato riportato dalla stampa, in una intercettazione telefonica lo stesso Pierino Santoro confidava al suo interlocutore di non soffrire di alcuna patologia ma di essersi ricoverato nel tentativo di evitare l'arresto; 
   sorprende, pertanto, la decisione della commissione di valutazione dell'ASL TO 1; essendo tali notizie di dominio pubblico, anche eventuali motivazioni di carattere economico risulterebbero comunque forzate considerando il lussuoso tenore di vita del condannato, l'accertato patrimonio mobile ed immobile in suo possesso e il fatto che solo 800 mila euro, a fronte dei nove milioni sottratti, risultano effettivamente restituiti. Sorprende anche l'anomala velocità con cui questo assegno gli è stato riconosciuto. Secondo la stessa fonte giornalistica sopracitata la domanda, inoltrata ad agosto, ha visto concludere il suo iter nel giro di appena due settimane. Insomma un vero record per la farraginosa burocrazia italiana;
   l'invalidità civile è tale se comporta la riduzione permanente delle capacità o delle attitudini lavorative di in soggetto a causa del sopravvenire o dell'aggravarsi di una patologia fisica e/o psichica. Per quanto riguarda Pierino Santoro è del tutto evidente che non ci si trova dinanzi ad un caso del genere. Tutte le azioni messe in campo per depistare le indagini, occultare il suo considerevole patrimonio, frutto degli illeciti commessi, e per difendersi dall'accusa attraverso un'oculata strategia di contenimento del danno, evidenziano il profilo di un soggetto tutt'altro che psichicamente inabile e incapace di agire razionalmente. L’ex direttore Pierino Santoro denota, invece, una tenace attitudine a sottrarre denaro pubblico con i sistemi più ingegnosi, tra cui anche questa domanda di invalidità civile;
   pur essendo vero che le commissioni sanitarie provinciali non dispongono di alcuna discrezionalità nella valutazione dei requisiti di invalidità previsti dalla legge 30 marzo 1971, n. 118, Nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, ma debbono limitarsi ad accertarne la loro sussistenza sotto il profilo tecnico, in ogni caso, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera c) della sopracitata legge, le suddette commissioni hanno il compito di «valutare la necessità o l'opportunità di accertamenti psico-diagnostici ed esami attitudinali». La velocità con cui l'istruttoria relativa alla domanda di Pierino Santoro è stata evasa fa dubitare che tali «accertamenti psico-diagnostici ed esami attitudinali» siano stati effettuati;
   l'asl di Torino 1 è da mesi nell'occhio del ciclone giudiziario per un'inchiesta per appalti interni truccati. Numerosi sono i dirigenti e i funzionari indagati e arrestati per turbata libertà degli incanti e falso ideologico. Il 29 settembre 2015 sono state arrestate cinque persone, mentre nel mese di febbraio 2015, sempre nel corso della medesima inchiesta, ne sono state tratte in arresto ben nove. La posizione di numerosi altri dirigenti e funzionari è al vaglio della magistratura inquirente. Il dubbio che tra le persone indagate ci siano anche medici e funzionari che hanno trattato l'assegnazione della indennità di invalidità di Pierino Santoro è forte; 
   Pierino Santoro è coinvolto in nuovi filoni di inchiesta, che aggraveranno certamente la sua posizione, in quanto, non passa giorno che non saltino fuori notizie relative all'ennesima illegalità della sua scellerata gestione. Infatti, subito dopo la sua condanna, oltre all'indagine della Corte dei conti che risulta in corso, sono emerse nuove delibere false dove risultano costi gonfiati per svariati milioni di euro per la costruzione di nuove palazzine. In caso di una nuova condanna, Santoro non potrebbe più evitare il carcere. Quindi la richiesta di riconoscimento dell'invalidità civile potrebbe impedirgli una futura reclusione;
   questo riconoscimento dell'invalidità civile, ad avviso dell'interrogante, strumentale offende le moltissime persone che nel nostro Paese sono effettivamente affette da handicap fisici e psichici e che ogni giorno combattono contro indifferenza, burocrazia e risorse pubbliche insufficienti. Al di là dell'esiguo importo erogato, corrispondenti a 280 euro al mese per tredici mensilità, tale riconoscimento di per sé rappresenta l'ennesima beffa per le persone oneste del nostro Paese che continuano a credere nella giustizia. Cosa ancora più grave, questo riconoscimento rappresenta un pericoloso precedente poiché ogni criminale italiano si sentirà legittimato a chiedere l'assegno di invalidità civile in virtù del proprio stato d'ansia e depressione. Stati psicologici che rappresentano una condizione emotiva tipica di chi è imbrigliato nelle maglie della giustizia ed è consapevole della perdita del proprio status di uomo libero e del mancato perseguimento del proprio disegno criminoso. Praticamente si verrebbero a creare i presupposti giuridici per un avallo al riconoscimento di una indennità per tutti i criminali, molti dei quali versanti in condizioni psicologi che sicuramente peggiori del Santoro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e se non ritengano opportuno, nei limiti delle loro competenze, intervenire con urgenza per verificare la correttezza della procedura di valutazione dei requisiti di assegnazione dell'invalidità civile riconosciuta all’ex direttore dell'Atc di Asti Pierino Santoro; in particolare, se, oltre agli adempimenti di legge, la commissione valutatrice abbia ritenuto opportuno, come avrebbe dovuto ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera c) della legge 118 del 1971, avvalersi di ulteriori accertamenti psico-diagnostici ed esami attitudinali per capire se non vi fosse in atto una manipolazione delle proprie condizioni psicologiche da parte del Santoro e, inoltre, ai sensi della lettera b) del comma 1, dell'articolo 8, se la minorazione eventualmente riscontrata potesse essere ridotta mediante idoneo trattamento di riabilitazione;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano opportuno, in virtù del ciclone giudiziario che ha investito l'asl di Torino Uno, verificare se nomi coinvolti nell'inchiesta sugli appalti truccati abbiano direttamente o indirettamente fatto parte della commissione di valutazione e o aver influito nella sua decisione di riconoscere lo status di invalido civile dell’ex direttore Pierino Santoro. (3-01757)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Cerve s.p.a. è un'azienda specializzata nella decorazione di prodotti in vetro, nonché nella meccanica applicata al decoro con sedi a Parma, San Polo di Torrile (Parma) e Vedole di Colorno (Parma);
   nel giorni scorsi le organizzazioni sindacali hanno riferito dell'intenzione della direzione aziendale di procedere all'avvio di un'importante piano di riorganizzazione con l'obiettivo di chiudere lo stabilimento di Parma e trasferire la produzione nelle sedi di San Polo e Vedole, dichiarando 127 esuberi su un organico complessivo di 450 lavoratori;
   il 23 settembre 2015 è svolto presso la sede dell'Unione parmense degli industriali un primo incontro tra le parti per l'avvio della procedura ex lege n. 223 del 1991;
   un successivo incontro si è svolto il 5 ottobre 2015, al termine del quale è emersa la disponibilità di Cerve s.p.a. a percorrere una strada alternativa ai licenziamenti verificando, in sede ministeriale, la possibilità di utilizzare la cassa integrazione straordinaria affiancandola ad un percorso di mobilità esclusivamente volontaria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vertenza riferita alla Cerve s.p.a. di Parma e se non ritengano di sostenere la richiesta di utilizzo degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione straordinaria e mobilità volontaria) al fine di accompagnare il piano di riorganizzazione aziendale senza che questo produca effetti dirompenti sui livelli occupazionali in essere. (5-06619)


   CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di alcune segnalazioni giunte all'interrogante, diversi pensionati residenti nella provincia di Mantova, pur in presenza dei previsti requisiti di legge, non avrebbero ancora percepito l’una tantum e l'adeguamento del proprio assegno a seguito della sentenza della Corte costituzionale e del successivo intervento da parte del Governo con apposito decreto-legge concernente disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR;
   i pensionati titolari di un assegno compreso tra i 1.443 e i 2.886 euro lordi al mese avrebbero dovuto ricevere a partire dal 1o agosto 2015, i suddetti incrementi, per recuperare quanto perso con il blocco delle rivalutazioni esclusivamente per gli anni 2012 e 2013;
   i caf dei sindacati hanno invitato i pensionati a rivolgersi alle loro sedi per una verifica caso per caso;
   i mantovani interessati dagli importi «una tantum» e dall'adeguamento erano stati calcolati sulla base dei dati Inps in oltre 16 mila –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali disfunzioni e quali iniziative intenda adottare per verificare le ragioni di questi ritardi nonché per adeguare gli importi sulla base di quanto previsto dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109. (5-06623)


   SCHIRÒ, CAPODICASA, IACONO e MOSCATT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le Terme di Sciacca spa, in provincia di Agrigento, rappresentano da sempre un'inestimabile risorsa naturale non solo di Sciacca ma dell'intera Sicilia con la loro antica storia, attrazione turistica e motore di sviluppo e di occupazione;
   la regione siciliana, azionista unico delle terme di Sciacca spa, non riuscendo da tempo a far fronte alle spese di gestione, e in attesa della pubblicazione del bando pubblico per l'affidamento della struttura ad un soggetto privato, ha scelto di fermare l'attività;
   il 6 marzo 2015, infatti, l'assemblea dei soci ha deliberato la chiusura delle terme di Sciacca spa, senza alcuna prospettiva per il futuro;
   la chiusura determinerà, il blocco delle attività relativamente allo stabilimento termale, al Grand Hotel, alla piscina, al parco, producendo un danno non solo all'economia del territorio, ma anche all'occupazione locale e all'immagine stessa della città di Sciacca;
   inoltre, il protrarsi della chiusura, ormai da sei mesi, senza alcuna soluzione, provocherà anche un grave disagio sociale con decine di dipendenti che perderanno il loro lavoro e con l'ingente patrimonio termale destinato a degradarsi nel tempo;
   i lavoratori, da tempo, sono in attesa che la regione completi il programma per la privatizzazione delle Terme –:
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative regionali, al fine di scongiurare che i ritardi nell'assunzione delle necessarie determinazioni in merito al futuro delle strutture termali di Sciacca si traducano in una perdita occupazionale di oltre 50 lavoratori. (5-06624)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TARICCO, ZANIN e PRINA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 è stato attivato, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il tavolo tecnico di filiera dei suini e nel corso di due incontri svoltisi il 14 dicembre 2006 e il 16 gennaio 2007, le parti hanno individuato le problematiche generali del settore;
   a seguito del peggioramento delle condizioni di mercato nel corso dei primi 9 mesi del 2007, il tavolo è stato nuovamente convocato ed è pervenuto a una valutazione condivisa sulle criticità del settore;
   è stato pertanto sottoscritto tra le parti un protocollo d'intesa finalizzato a raggiungere nel più breve tempo possibile l'obiettivo di identificare un mercato unico nazionale «per la determinazione anticipata delle quotazioni dei suini e loro derivati, con regole più trasparenti e condivise di rilevazione ed eventuali adeguamenti alle declaratorie che si rendessero necessarie per la definizione di quotazioni di riferimento univoche, trasparenti e rappresentative attraverso il sistema UnionCamere, Borsa Merci e Borsa Merci Telematica Italiana, con l'obiettivo prioritario di distinguere le produzioni DOP e la definizione di un modello condiviso di valutazione delle carcasse suine (peso morto) in relazione alle differenti tipologie qualitative/commerciali di animali, al fine di applicare tali modelli nell'ambito dei rapporti contrattuali di filiera e dei regolamenti speciali di contrattazione della Borsa Merci»;
   il 29 aprile 2010 il piano di intervento per il settore cunicolo, in attuazione del piano di settore approvato dalla Conferenza Stato-regioni, proponeva un programma di interventi per sostenere la competitività del settore sui mercati interno e internazionale e la redditività delle imprese della filiera; il mercato delle carni cunicole evidenziava un processo di formazione dei prezzi alla produzione non più idoneo all'attuale contesto distributivo, che vede una elevata concentrazione degli acquirenti;
   conseguentemente, nel corso del 2012, si formalizzava l'istituzione della «Commissione unica nazionale dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale» e il 3 agosto 2012 la Commissione unica nazionale si insediava presso la borsa merci di Verona per definire anticipatamente la tendenza di mercato e il prezzo medio all'ingrosso, nel rispetto di un regolamento approvato dalle parti, con il compito di concordare le previsioni sulle tendenze dei prezzi di mercato dei prodotti e quotare i relativi prezzi a livello nazionale con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che svolge il ruolo di garante tra le parti e una funzione di mediazione tra gli interessi delle parti (venditori e acquirenti), vigilando sul rispetto del regolamento;
   parrebbe ad oggi non ancora attuata «l'intesa di filiera per il settore suinicolo» firmata a Mantova l'8 luglio 2013 dalle regioni italiane maggiormente rappresentative per la produzione suinicola, dalle associazioni di rappresentanza degli allevatori, delle aziende di trasformazione, delle organizzazioni di prodotto e dei consorzi di tutela, che prevedeva «contratti tipo» accanto all'introduzione della classificazione a peso morto; intesa che, se attuata, avrebbe potuto dare una svolta al settore e superare il ritardo rispetto alle norme europee in materia, nel continuare a trattare i suini a peso vivo;
   nel decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, è stato introdotto l'articolo 6-bis che prevede norme per la trasparenza nelle relazioni contrattuali nelle filiere agricole. Il comma 5 del predetto articolo 6-bis dispone, in presenza di commissioni uniche nazionali, la sospensione dell'autonoma rilevazione, da parte delle borse merci locali, riguardante le categorie merceologiche per cui sono state istituite le commissioni uniche nazionali (CUN);
   ad oggi risultano costituite, peraltro con criteri antecedenti alla nuova legge, solo due commissioni uniche nazionali, sui conigli e sui suini; molte erano invece le rilevazioni che, nelle varie province, erano settimanalmente effettuate e pubblicate;
   risulterebbe ancora mancante la norma ministeriale, prevista dal comma 1 del suddetto articolo 6-bis, che dovrebbe definire le modalità di funzionamento delle commissioni uniche nazionali e individui criteri per assicurare adeguata rappresentanza e partecipazione nelle medesime, agli imprenditori provenienti dai territori nei quali i settori di riferimento sono più significativi;
   risulterebbero, inoltre, difficoltà di funzionamento delle commissioni uniche nazionali già costituite, in particolare sembrerebbe che dal mese di marzo 2015 i macellatori non si presentino più alla commissione suini, mentre rischia di essere pregiudicata la rete delle commissioni locali che, pur con diversi limiti, rappresentava un valido riferimento per operatori commerciali, aziende di macellazione ed allevatori;
   il ruolo di rilevamento svolto dalle camere di commercio attraverso le commissioni locali non solo non è stato lesivo della concorrenza ma ha rivestito in questi anni una funzione che, oltre ad adempiere in molti casi a finalità statistiche, è stata di aiuto alla trasparenza del settore;
   risulterebbe agli interroganti che la camera di commercio di Cuneo sia stata diffidata dal continuare l'attività della commissione per la rilevazione prezzi dei conigli, con richiesta di sospensione immediata, per evitare oda un lato logiche squisitamente locali potenzialmente restrittive della concorrenza, dall'altro il contrasto con le norme comunitarie a tutela della concorrenza e con le nuove disposizioni della legge n. 91 del 2015;
   ad una attenta lettura del decreto-legge 51 del 2015, come convertito dalla legge n. 91 del 2015, si rileva che:
    la sospensione delle autonome rilevazioni dei prezzi da parte delle commissioni locali istituite presso le camere di commercio debba avvenire «in caso di istituzione delle commissioni uniche nazionali di cui al comma 1» solo a seguito dell'emanazione del «Decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» che dovrebbe definire le «disposizioni concernenti l'istituzione e le sedi delle commissioni uniche nazionali»;
    l'attività delle commissioni presso le camere di commercio dovrebbe essere, comunque, oggetto di sospensione solamente quando «autonoma», per cui nei fatti nulla osterebbe alla possibilità che le commissioni uniche nazionali nei vari settori possano comunque valorizzare, con apposite convenzioni, l'importante ruolo di rilevamento, in alcuni casi svolto egregiamente, dalle camere di commercio a livello locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere in merito, e se, nella predisposizione decreto interministeriale di cui sopra, non intenda trovare modalità che non disperdano le esperienze virtuose delle commissioni presso le camere di commercio, salvaguardandone la funzione, soprattutto laddove facciano riferimento a produzioni locali che rappresentino quote significative di produzione nazionale, e comunque definendo criteri per i quali, nella composizione delle commissioni nazionali, sia assicurata adeguata rappresentanza e partecipazione agli imprenditori provenienti dai territori nei quali i settori di riferimento siano più significativi, anche per consentire una più corretta rilevazione dei prezzi per le specifiche categorie.
(5-06618)


   PIRAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il processo di riclassificazione dei terreni agricoli, messo in opera al fine dell'aggiornamento dei dati attraverso i quali si accede ai finanziamenti comunitari di settore, noto come «refresh», sta determinando una situazione particolarmente grave per l'economia agropastorale sarda;
   la riclassificazione di cui sopra è avvenuta prevalentemente mediante ripresa aerea, tecnica che palesemente non è in grado di cogliere le specificità di quanto avviene a terra, al di sotto della chioma boschiva;
   l'attività di allevamento del bestiame in Sardegna, particolarmente quello ovino delle zone interne, si svolge tradizionalmente attraverso un modello di produzione non intensivo, spesso ancora allo stato brado;
   tale caratteristica «tradizionale» del modello produttivo pastorale sardo, che potrebbe essere scambiata per un fattore di arretratezza rispetto ai processi di modernizzazione delle attività di allevamento, ha garantito in realtà una qualità del prodotto assolutamente superiore alla produzione industriale di massa di generi alimentari;
   in alcune aree dell'Isola infatti, particolarmente quelle del nuorese e dell'Ogliastra, le greggi pascolano sovente anche nel sottobosco (nella tradizione sarda «su meriagu») o in aree caratterizzate da una fitta vegetazione di macchia mediterranea e le aziende operano la loro attività economica in aree difficilmente individuabili dall'alto a causa delle particolari caratteristiche del territorio;
   tali casi, che il cosiddetto «refresh» via aerea non può cogliere dall'alto e quindi considera aree boschive – dunque non avente diritto a godere dei finanziamenti comunitari – in realtà sono pascoli, aree nelle quali si esercita attività agricola;
   la modalità attraverso la quale si è provveduto alla riclassificazione delle aree oggi mettono a rischio i fondi comunitari chiesti dal 2011 al 2014, come conferma un dossier sul tema recentemente presentato al pubblico l'associazione di categoria Coldiretti;
   l'associazione medesima informa che l'Agenzia sarda per la gestione degli aiuti all'agricoltura (Argea), attraverso la quale vengono erogati i finanziamenti comunitari, ha già inoltrato diverse lettere ad altrettante aziende di richiesta di restituzione dei fondi ottenuti nella fase antecedente al «refresh»;
    in altri casi la trattenuta avviene direttamente alla fonte, mediante il blocco del trasferimento delle risorse previste;
   la pastorizia è uno dei settori cruciali dell'economia dell'Isola, in maniera particolare nel nuorese e in Ogliastra, aree peraltro segnate da tassi di disoccupazione estremamente rilevanti –:
   se il Ministro sia informato della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga necessario promuovere, in sede di Conferenza Stato-regioni, la definizione di linee guida per disciplinare le modalità del «refresh» in modo da salvaguardare e tutelare le specificità dei territori, proteggendo da pesanti danni economici le aziende agropastorali che operano nelle zone interne, come nei casi di cui in premessa, e particolarmente nelle aree boschive. (5-06621)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   le moderne politiche di sanità pubblica nell'ambito della tutela e della promozione della salute necessitano dell'aggiornamento periodico dei documenti per la pianificazione delle azioni con interventi mirati alla riduzione o all'eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino;
   lo strumento per assicurare questi obiettivi è il piano nazionale per la prevenzione vaccinale, con il quale si cerca di armonizzare le strategie vaccinali presenti in Italia al fine di poter superare le eventuali disuguaglianze nella prevenzione di determinate patologie e nell'accesso ai servizi da parte di tutti i cittadini, garantendo l'offerta delle vaccinazioni prioritarie sia per la popolazione generale e sia per i gruppi a rischio;
   i piani vaccinali emanati nel 1999, nel 2005 e nel 2012 adottavano una strategia vaccinale con gli obiettivi di controllo, eliminazione e, possibilmente, eradicazione di alcune malattie infantili come la pertosse;
   secondo autorevoli istituzioni, tra cui la Società italiana di pediatria, si assiste al fenomeno del ritorno di malattie che si credevano debellate con una recrudescenza nei bambini nei primi mesi di vita, proprio per il calo della copertura vaccinale;
   cala anche la copertura vaccinale degli anziani e, considerando l'arco temporale 2002-2003/2013-2014, si è osservata addirittura una diminuzione dell'8,1 per cento e nella stagione 2014-2015 la copertura vaccinale negli ultra 65enni risulta pari al 49 per cento, registrando quindi una ulteriore riduzione;
   il mancato rispetto di obiettivi da parte anche di una sola regione può avere ripercussioni sulla salute complessiva della popolazione nazionale;
   la tendenza ad una flessione delle coperture vaccinali è in linea con l'analisi del febbraio 2015, condotta dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell'Istituto superiore di sanità, sulle coperture vaccinali a livello regionale e nazionale;
   tale calo delle coperture vaccinali risulta essere, dai dati raccolti, il più alto degli ultimi 10 anni con la copertura al limite della soglia di sicurezza;
   l'elevata disomogeneità territoriale può procurare confusione diventando pertanto una delle cause del trend di riduzione delle coperture vaccinali –:
   quale sia l’iter e la tempistica per l'approvazione del nuovo piano nazionale di prevenzione vaccinale, nella forma di strumento tecnico di supporto operativo all'accordo tra Stato e regioni, anche per ristabilire un riequilibrio tra regioni più virtuose e altre più deboli, nella consapevolezza che il fenomeno del calo delle vaccinazioni è un segnale talmente preoccupante da diventare una priorità delle politiche di sanità pubblica.
(2-01109) «Carnevali, Amato, Beni, Paola Boldrini, Casati, D'Incecco, Mariano, Piazzoni, Piccione, Luciano Agostini, Albanella, Argentin, Bonomo, Bruno Bossio, Campana, Capone, Carocci, Carrescia, Cominelli, Dallai, Ginoble, Giuseppe Guerini, La Marca, Lodolini, Manfredi, Manzi, Miotto, Misiani, Moretto, Narduolo, Paris, Patriarca, Prina, Rampi, Giovanna Sanna, Scuvera, Senaldi, Giampaolo Galli, Sani».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, BORGHI, BONOMO, DE MENECH, BARGERO, NARDUOLO, CAROCCI, SENALDI, GIACOBBE, PAOLO ROSSI, IACONO, MORETTO, ZANIN, SANI, LODOLINI, BRUNO BOSSIO, OLIVERIO, AMATO, CARRA, MANFREDI, DALLAI, ROMANINI, MIOTTO, GIUSEPPE GUERINI, CANI e GIAMPAOLO GALLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Le vaccinazioni sono considerabili una misura sanitaria preventiva indispensabile che ha contribuito, nell'arco degli anni, a ridurre l'insorgenza di malattie infettive e patologie di varia natura, contrastando la diffusione di malattie anche mortali quali tetano, poliomielite, morbillo, rosolia, parotite differite, epatite virale B, pertosse, meningite, infezione da papillomavirus, arrivando in alcuni casi ad eradicarle del tutto, come nel caso del vaiolo;
   alcune regioni italiane hanno però, in questi ultimi anni, promulgato leggi regionali che sostanzialmente aboliscono l'obbligo di vaccinazione: il Veneto ha temporaneamente sospeso l'obbligatorietà dei vaccini, la Lombardia, la provincia di Trento, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Umbria e Sardegna hanno deciso di depenalizzare la scelta e quindi non sanzionare i genitori che rifiutino la pratica vaccinale; altre regioni hanno in discussione provvedimenti analoghi;
   oggi quindi, la copertura vaccinale, come afferma Walter Ricciardi, neopresidente dell'Istituto superiore di sanità, è al limite della soglia di sicurezza e diventa ormai improcrastinabile l'approvazione del nuovo piano nazionale per la prevenzione vaccinale proposto da Ministero della salute, consiglio superiore di sanità, Istituto superiore di sanità ed Agenzia italiana del farmaco al tavolo di coordinamento per la prevenzione delle regioni italiane;
   secondo i dati, per la prima volta, le vaccinazioni sono scese al di sotto del 95 per cento – valore minimo indicato nel piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) a 24 mesi d'età – le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B e la percentuale scende ulteriormente per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia che raggiunge una copertura dell'86 per cento, in calo di oltre il 4 per cento in appena un anno. Si stima che sono oltre 22 milioni i bambini non coperti contro le più comuni, e in alcuni contesti mortali, malattie dell'infanzia;
   è evidente come in questo contesto le conseguenze di scelte individuali ricadano sulla collettività tutta, dal momento che, evidentemente, viene meno la cosiddetta «immunità di gregge» e pertanto aumenta il rischio che bambini non vaccinati si ammalino, che si verifichino epidemie importanti, che malattie per anni cancellate non siano riconosciute e trattate in tempo;
   cresce quindi il rischio che tornino malattie «dimenticate» come la difterite, che ha già fatto capolino in Spagna, o che le morti per morbillo non siano più l'eccezione, come nel caso della bimba deceduta per una complicanza lo scorso anno a Roma;
   la Società italiana di pediatria, come afferma il presidente Giovanni Corsello, ha evidenziato che il detto fenomeno è in atto, in quanto si assiste ad un ritorno di malattie che si credevano debellate: un esempio, la morte per pertosse, malattia che sta avendo una recrudescenza nei bambini nei primi mesi di vita, proprio a causa del calo della copertura vaccinale;
   i vaccini, ogni anno, salvano circa 2 milioni e mezzo di vite, 5 al minuto e, giova ricordarlo, ancora oggi, una malattia come il morbillo può risultare mortale. Anche l'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco, mette in guardia contro la insufficiente informazione e la disinformazione e torna a chiedere a gran voce l'approvazione del nuovo piano nazionale per la prevenzione vaccinale, strumento di accordo tra Stato e regioni sul tema della prevenzione;
   l'Organizzazione mondiale della sanità, in occasione della settimana europea dell'immunizzazione (European Immunization Week – EIW), giunta alla decima edizione e svolta dal 22 al 25 aprile di quest'anno, ha proposto come parole d'ordine «Prevenire, proteggere, immunizzare», con l'obiettivo di aumentare la copertura delle vaccinazioni, sottolineando l'importanza dell'immunizzazione di ogni bambino per prevenire le malattie e proteggerne la vita;
   il messaggio che queste organizzazioni stanno lanciando all'Europa chiede di investire nelle politiche di vaccinazioni, perché sostengono che solamente a queste condizioni è possibile ottenere un continente libero dalle malattie prevenibili con i vaccini, evitando il rischio di retrocessioni nell'eradicazione delle malattie stesse (emblematico il caso della poliomielite – era il 2002 quando venne dichiarata l'eradicazione della poliomielite nella regione europea – vista l'epidemia del 2010 con morti in 4 paesi della regione europea e 17 dei 53 Paesi europei considerati a rischio di trasmissione del virus);
   il 12 ottobre 2015 è convocata la commissione salute delle regioni, per valutare la proposta del piano nazionale vaccinale e vi è grande speranza che la sua approvazione possa procedere rapidamente –:
   se il Governo non ritenga necessario e imprescindibile agire per approfondire in modo adeguato la situazione sopra descritta, valutando come procedere con azioni mirate a chiarire ogni aspetto elencato;
   se non ritenga conseguentemente di attuare un opportuno programma di campagne di informazione atte a fornire un quadro imparziale sulla salute pubblica, che punti a raccontare il valore della protezione della salute e la prevenzione delle malattie infettive spiegando importanza e utilità dei vaccini;
   se non ritenga opportuno agire con campagne di sensibilizzazione mirate, coinvolgendo tutti gli attori e gli operatori del settore sanitario, in primis i medici di famiglia, in vista dell'urgente necessità di bilanciare la disinformazione diffusa laddove operano le associazioni di controinformazione, così da rendere i decisori consapevoli dei significativi ritorni economico-sociali dati dall'immunizzazione, non solo per quanto riguarda la salute dei bambini e la mortalità infantile (l'uso dei vaccini, una delle misure più efficaci di prevenzione sanitaria, è capace di evitare fino a 3 milioni di morti ogni anno), ma anche nel merito di altri aspetti sociali importanti, come il rafforzamento dei sistemi sanitari nel loro complesso;
   se non ritenga di utilità immediata agire per spostare l'attenzione dalla dimensione individuale a quella collettiva, con politiche di sanità pubblica che coinvolgano gli operatori del territorio, considerando che l'impatto è forte anche in termini economici, poiché i vaccini consentono immensi risparmi al sistema sanitario nazionale: un euro speso per un vaccino può farne risparmiare fino a 24 per curare chi si ammala;
   se non ritenga utile unire le forze con la campagna europea 2015 che a sua volta coincide con la più ampia campagna mondiale, il cui slogan è: «Colma il divario di immunizzazione», per veicolare l'urgenza di raggiungere l'equità nei livelli di immunizzazione, come indicato nel piano d'azione globale per i vaccini (Global Vaccine Action Plan – GVAP), che mira a prevenire milioni di morti entro il 2020 attraverso l'accesso universale ai vaccini per le popolazioni di tutto il mondo.
(5-06620)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI e FRATOIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come conferma anche dall'articolo de «L'Espresso» del 16 settembre scorso, a 40 anni dalla loro nascita, i consultori pubblici sono pochi e funzionano male;
   per quanto riguarda la presenza sul territorio, ne mancano circa mille rispetto agli standard previsti come obiettivo (uno ogni 20 mila abitanti), con il record negativo della Lombardia e delle regioni del Nordest dove sono solo 209, meno della metà di quanti dovrebbero essere. In Veneto sono 99 sui 250 previsti. In Friuli Venezia Giulia e in Provincia di Trento sono presenti solo un terzo di quelli preventivati. Nella provincia di Bolzano, i consultori sono tutti privati;
   dal 2014, anno della prima rilevazione del Ministero della salute ad oggi reperibile, la situazione è peggiorata: un deficit di servizio pubblico che lascia spazio al privato, quasi tutto cattolico. A livello nazionale si contano 283 consultori privati d'ispirazione religiosa, tra Cfc e Ucipem, le principali organizzazioni del settore. Sono eccezioni la Basilicata, l'Emilia Romagna, la Toscana e la Valle d'Aosta, dove la presenza dei consultori pubblici è buona;
   nel tempo è venuto meno anche l'obiettivo sotteso alla nascita dei Consultori, quello di dare un servizio laico, gratuito, accessibile e collettivo alle giovani dell'Italia, dato che oggi, mediamente un ginecologo consultoriale su quattro è obiettore di coscienza. In Sicilia salgono a due su tre e sono circa la metà in Basilicata, ma non se la passano meglio le donne di Toscana, Marche e Valle d'Aosta, dove le percentuali variano tra il 30 per cento e il 44 per cento. Non si hanno dati sulla Lombardia e sul Molise;
   sono evidenti le difficoltà che incontra una donna che scelga i interrompere la gravidanza. In alcune regioni, infatti, il rapporto tra colloqui per l'interruzione volontaria di gravidanza e il successivo rilascio del certificato, mette in luce delle gravi anomalie. Eclatante, fra tutti, il caso Marche: dove viene rilasciato un solo certificato per ogni 12,3 donne che lo hanno chiesto;
   la deriva del servizio pubblico lascia spazio a pratiche pericolose per la salute delle donne, come l'acquisto di farmaci in internet capaci di provocare l'aborto ma con rischi incontrollabili sulla salute;
   in molti casi il consultorio pubblico è diventato un front-office dei militanti «pro-vita», per intercettare le donne intenzionate a interrompere la gravidanza e demonizzarne questa scelta per spingerle verso i loro centri per la vita (Cav), il cui scopo è convincere a seguire la gravidanza, con aiuti in denaro e altre forme di assistenza, compresa l'accoglienza temporanea. Sono circa il 7 per cento del totale, secondo dati dello stesso Movimento per la vita, le donne che i consultori pubblici inviano nei cav per far loro cambiare idea;
   i cav sono strutture private gestite da volontari e sostenute al 68 per cento con fondi pubblici, di cui il 58 per cento sono versati da comuni, asl e province, che in alcuni casi inviano a queste strutture anche vittime di tratta e di diverse forme di disagio; mentre per l'altro 10 per cento si tratta di non meglio definiti «contributi pubblici vari». Attualmente in Italia ce ne sono 355, presenti principalmente in Lombardia, Piemonte, Veneto e Sicilia;
   dalle testimonianze riportate nell'articolo dell'Espresso sopra citato, pare anche che i consultori pubblici quando ci sono non fanno tutto quello per cui sono nati: la loro attività è concentrata principalmente sulla prevenzione, corsi pre parto e simili evitando «l'utenza difficile» che viene dirottata verso gli ospedali (come le immigrate con gravidanze non seguite dall'inizio); questo determina anche un grosso incremento di utenze straniere nei centri per la vita cattolici (l'80 per cento delle donne che si rivolgono ai cav sono straniere);
   l'attività dei consultori è diminuita perché non si hanno i medici necessari: in 7 regioni i ginecologi sono in media meno di 1 per cento. In altre otto regioni non si va sopra l'uno e mezzo. Questo significa non poter garantire sempre il servizio;
   gli ideali di apertura, accessibilità e possibilità di condivisione, che erano il cuore della legge, si sono frammentati in alcuni casi di fronte a nuove attività, come quelle familiari, (previste per decreto in alcune regioni) e la prevenzione, ma solo teorico-formativa, uno spreco, dato che le maternità non a rischio potrebbero essere seguite dai consultori pubblici;
   alcuni consultori sono stati anche soppressi perché troppo poco attivi –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare al fine di garantire il pieno funzionamento dei consultori pubblici, attraverso un loro potenziamento e adeguate risorse, quali servizi fondamentali nell'attivare la rete di sostegno per una sessualità libera e la procreazione responsabile, nonché quali strutture centrali anche ai fini dell'attivazione di un percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
   quale sia la reale situazione dei consultori nelle diverse regioni, soprattutto per quanto concerne la presenza numerica dei medici non obiettori rispetto a quelli obiettori, e quante siano le risorse pubbliche assegnate ai Consultori pubblici, e quante quelle assegnate ai centri per la vita e ai consultori privati. (4-10687)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da settimane circolano voci sempre più insistenti sulla possibile vendita della società chimica Versalis di proprietà dell'Eni;
   secondo le organizzazioni sindacali l'Eni starebbe trattando con un fondo di investimento americano per la possibile cessione di Versalis, la società in cui sono concentrate tutte le sue attività chimiche;
   Versalis nel mantovano conta circa mille dipendenti e ha fatto segnare in questi anni, nonostante la crisi globale, una crescita importante sia come fatturato sia come attività; in particolare, per quanto concerne il centro ricerche;
   ove fosse confermato il disimpegno di Eni nella chimica, questo rappresenterebbe una pessima notizia per tutto il settore industriale italiano in un comparto strategico come quello in questione –:
   se il Governo sia a conoscenza del possibile disimpegno dell'Eni nel settore chimico e quali iniziative intenda adottare, con la massima urgenza, al fine di chiedere chiarimenti sulle strategie industriali di Eni, anche in riferimento alle attività di Versalis e al mantenimento dei livelli occupazionali. (5-06622)


   MOGNATO e MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Finmeccanica, attraverso la propria società controllata Alenia Aermacchi partecipa con la russa Scac (Sukhoi civil aviation company) alla Joint Venture per la produzione e commercializzazione del velivolo denominato «Superjet 100»;
   il programma «Superjet» ha come scopo la realizzazione di un aereo passeggeri ad alta tecnologia da impiegare sulle rotte brevi e medie, con lo scopo di occupare un segmento di mercato molto appetibile a livello internazionale essendo molto performante nelle prestazioni di volo;
   la sede italiana del programma, denominata «Superjet International s.p.a.», è presso il polo aeronautico di Venezia-Tessera corrispondente alle ex Officine Aeronavali, dando lavoro a circa 250 lavoratori;
   l'amministratore delegato di Finmeccanica a più riprese (durante un'audizione in commissione attività produttive nell'ottobre 2014 e successivamente presentando il piano industriale del gruppo a Londra nel gennaio del 2015) ha pubblicamente espresso forti perplessità sulla prosecuzione da parte di Alenia della partnership con Scac nel programma «Superjet 100»;
   le ragioni del disimpegno di Finmeccanica rinverrebbero nel modesto numero di velivoli venduti (nella quasi totalità alla russa Aeroflot e alla messicana Interjet) e nel fatto che il polo di Tessera svolgerebbe un ruolo solo ancillare nella partnership limitatamente all'allestimento di alcune versioni e all'assistenza post-vendita, mentre la produzione del velivolo viene effettuata in Russia;
   oggi è proprio l'insieme delle attività post-vendita, come l'assistenza worldwide e il customer support a costituire l'elemento di pregio della filiera economica aeronautica, e in questi ambiti il polo di Tessera può giocare un ruolo strategico, «anche nella eventualità di un diverso equilibrio azionario tra SCAC e Finmeccanica che dovesse portare ad un ridimensionamento della sua partecipazione azionaria nella joint venture»;
   in questo quadro vi è anche la necessità di fare chiarezza sulle prospettive di Alenia Aermacchi di Tessera che dà lavoro ad altri 140 lavoratori circa, in considerazione dell'esaurirsi delle commesse degli Awacs –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle scelte di Finmeccanica in merito alla prosecuzione del programma «Superjet 100» e al futuro di Alenia Aermacchi e quali siano le iniziative che intende intraprendere per assicurare la continuità produttiva del polo aeronautico di Tessera e garantire gli attuali livelli occupazionali. (5-06626)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dello sviluppo economico ha posto in consultazione, a fine luglio 2015, le linee guida inerenti al meccanismo dei certificati bianchi con l'intento, da come si apprende dal documento stesso, di fissare le nuove misure che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intende introdurre per qualificare e potenziare il meccanismo, per un uso più efficiente ed efficace delle risorse, in vista degli obiettivi nazionali da raggiungere al 2020;
   pressoché contemporaneamente (2 settembre 2015) lo stesso Ministero ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l'acquisizione dell'intesa della Conferenza unificata uno schema di decreto ministeriale concernente la revoca di alcune schede tecniche nell'ambito del meccanismo dei certificati bianchi ivi incluse quelle (22T e 21T) inerenti al teleriscaldamento e alla piccola cogenerazione in ambito civile;
   nel documento posto in consultazione a fine luglio di fatto si esclude dal meccanismo dei certificati bianchi il teleriscaldamento alimentato da fonti rinnovabili, che ad oggi, oltre ai certificati bianchi, non gode di alcuna altra forma di agevolazione;
   nello schema di decreto del 2 settembre di fatto si esclude dal meccanismo dei certificati bianchi il teleriscaldamento alimentato da sistemi misti comprendenti anche impianti di cogenerazione;
   tale decisione viene adottata sia in virtù di una presunta incompatibilità con il sistema per sopraggiunta evoluzione normativa decreto legislativo 102 del 2014) – che subordina qualunque forma di sostegno pubblico a favore della cogenerazione al fatto che la stessa sia qualificata come cogenerazione ad alto rendimento (CAR) e sia fatto che «l'algoritmo di calcolo dei risparmi previsto dalle schede 22T e 21T prevede l'applicazione della delibera 42/02, la quale disciplina la cogenerazione semplice»;
   all'interrogante appare evidente che tali motivazioni ignorano innanzitutto il fatto che la scheda 22T non sostiene la cogenerazione – ad alto o basso rendimento – bensì il sistema di teleriscaldamento nel suo insieme – sistema al cui interno la cogenerazione può anche non essere presente;
   anche le regioni nelle loro osservazioni esplicitate in sede di Conferenza unificata «critica la scelta di revocare alcune schede nel momento in cui l'intero meccanismo dei certificati bianchi è in revisione»;
   entrando ancora di più nel dettaglio delle osservazioni delle regioni si evince con chiarezza la richiesta di non eliminare la scheda 22T, sul teleriscaldamento con le seguenti motivazioni «...in quanto con la scheda sono incentivati gli impianti di teleriscaldamento, non necessariamente cogenerativi (in particolare i sistemi di teleriscaldamento a biomasse (...) la revoca della scheda di conseguenza priva dell'unica fonte di sostegno pubblico il teleriscaldamento ed il teleriscaldamento energeticamente efficienti, che pure costituiscono un importante strumento di attuazione della direttiva 2012/27/UE, così come previsto dal decreto legislativo n. 102 del 2014...). Si ricorda che il 12 ottobre ci sarà un nuovo confronto tra Ministero dello sviluppo economico e regioni»;
   premesso che è del tutto evidente che sarebbe sempre da favorire la cogenerazione, pare evidente che l'esclusione, attraverso la soppressione della scheda 22T, del teleriscaldamento non cogenerativo dal meccanismo TEE priverebbe il settore civile di uno degli strumenti per il conseguimento dei suoi obiettivi di sostenibilità energetica in tutti quei casi nei quali la cogenerazione non è possibile o non è conveniente;
   si sottolinea che la scheda 22T valorizza i risparmi energetici complessivamente realizzati dai sistemi di teleriscaldamento indipendentemente dalla loro estensione territoriale e dalle fonti di alimentazioni utilizzate;
   si evidenzia, inoltre, che la metodologia prevista dalla sopracitata scheda 22T, tra le altre cose, ha consentito di superare la barriera finanziaria dovuta alla distanza temporale tra il momento della realizzazione degli impianti di generazione e il loro completo sfruttamento tramite l'estensione progressiva della rete – si pensi ad esempio al necessario tempo tecnico per realizzare un'infrastruttura all'interno di ambiti urbani;
   si ricorda che la direttiva europea 2012/27/EU prevede all'articolo 14 comma 2 che «... gli Stati Membri adottano politiche che incoraggiano a prendere debitamente in considerazione a livello locale e regionale il potenziale insito nell'uso di sistemi di riscaldamento e raffreddamento efficienti...»;
   appare più saggio non abolire la scheda 22T senza sostituirla con nessuno strumento di sostegno alternativo; piuttosto sarebbe sufficiente, per adeguarla alle disposizioni del decreto legislativo 102 del 2014, sostituire nell'ambito delle condizioni di applicabilità della procedura le parole che fanno riferimento alla delibera 42/02 con il riferimento al decreto ministeriale 4 agosto 2011 relativo alla cogenerazione ad alto rendimento –:
   se ritenga che nella decisione finale sulla riforma dei «certificati bianchi», si debba riconsiderare la soppressione della scheda 22T, o in alternativa individuare altre forme di incentivazione che consentano agli impianti teleriscaldamento di accedere ai certificati medesimi sia nel caso in cui includano impianti di cogenerazione, sia nel caso in cui ne siano privi. (4-10691)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la storica azienda Candy di Brugherio, un'eccellenza del territorio brianzolo, ha reso nota la scelta di delocalizzare la produzione verso l'Asia;
   in un incontro con i lavoratori e i sindacati, la dirigenza ha infatti confermato l'intenzione di diminuire ulteriormente la produzione nel sito di Brugherio, dislocandola soprattutto in Cina e in Russia, e soprattutto, ha annunciato il licenziamento di 373 lavoratori;
   la strategia di espandere all'estero la produzione è avvalorata non soltanto dalla riduzione della produzione nello stabilimento di Brugherio, che per il prossimo anno si attesterà intorno a 330 mila lavatrici prodotte, rispetto alle attuali 380 mila, ma anche dalla mancata programmazione degli investimenti nello stabilimento stesso;
   in Italia la Candy aveva sei siti produttivi e di questi, ad oggi, è rimasto soltanto Brugherio che negli anni ha acquisito una importanza strategica per l'economia del territorio, divenendo per molte famiglie un'indispensabile fonte di sostentamento economico;
   per i lavoratori, che avevano chiesto, invano, un rinnovo alle stesse condizioni del contratto di solidarietà in scadenza ad ottobre 2015, si apre adesso un periodo difficile, dall'esito estremamente incerto; oltretutto per loro non sono neanche previsti percorsi di ricollocamento o di reinserimento lavorativo;
   le intenzioni dell'azienda, a detta dei lavoratori, sembra siano quelle di lasciare a Brugherio la parte amministrativa e di chiudere definitivamente l'intera unità produttiva, spostandola verso l'Asia, dove i costi di produzione sono estremamente bassi e permettono maggiori profitti, ma questo a discapito della qualità della merce prodotta, nonché della sicurezza e dell'ambiente;
   è necessario un intervento a livello nazionale che miri a difendere la ricchezza industriale ed occupazionale del Paese dalle ormai troppo frequenti strategie di delocalizzazione produttiva attuate nel territorio –:
   se intenda favorire una concertazione tra le parti interessate affinché si possa quanto prima apprendere quale sia la reale strategia industriale dell'azienda e se questa abbia come fine quello di delocalizzare all'estero la produzione a danno del patrimonio industriale ed occupazionale del territorio, e più in generale del Paese;
   quali immediate iniziative di competenza intenda adottare affinché vengano messi in atto tutti gli strumenti necessari a garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali nel sito di Brugherio. (4-10692)


   D'ALIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 124 del 2015 ha previsto, tra l'altro, la riforma delle camere di commercio, fissandone a 60 il numero massimo con rigidi paletti su numero minimo bacino di imprese (75 mila) e sostenibilità finanziaria dell'ente;
   Unioncamere nazionale ha sollecitato le singole camere a procedere in forma volontaria agli accorpamenti, tenuto conto della contiguità territoriale e delle condizioni minime previste dalla legge (sostenibilità finanziaria e 75.000 imprese iscritte);
   ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, è in divenire il processo di accorpamento tra le camere di commercio di Catania, Ragusa e Siracusa;
   con la delibera n. 2 del 21 febbraio 2015 del commissario ad acta della camera di commercio di Catania, con la delibera n. 2 del 21 febbraio 2015 del consiglio della camera di commercio di Ragusa e con la delibera n. 1/cc del 21 febbraio 2015 della camera di commercio di Siracusa, adottate ai sensi di legge, è stato deliberato l'accorpamento delle 3 camere di commercio, definendo anche il nome e la sede legale a Catania del nuovo organismo;
   nella parte motiva delle superiori richiamate delibere di accorpamento da parte degli enti camerali di Catania, Ragusa e Siracusa veniva «rilevato che per quanto riguarda l'accorpamento con la Camera di Commercio di Messina, a tutt'oggi, non è pervenuto alcun atto formale in tal senso, e che l'accorpamento con le consorelle, di cui al presente atto deliberato (il principio di solidarietà è uno dei cardini su cui si basa il sistema camerale nazionale), non preclude il fermo convincimento e la volontà di coinvolgere la Camera di Commercio di Messina, quando e qualora addivenisse a condividere il percorso intrapreso dalle Camere di Commercio di Catania, Ragusa e Siracusa»;
   con delibera n. 1 del 26 febbraio 2015 il commissario ad acta della camera di commercio di Messina deliberava, dopo avere opportunamente consultato le organizzazioni datoriali del territorio, l'accorpamento con le camere di commercio di Catania, Ragusa e Siracusa;
   il 24 settembre 2015 la Conferenza Stato regioni ratificava l'intesa sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico di accorpamento delle camere di commercio di Catania, Ragusa e Siracusa;
   il 25 settembre 2015 il Ministro dello sviluppo economico emanava il decreto di accorpamento tra le camere di Catania, Ragusa e Siracusa, escludendo quella di Messina;
   come si legge nella parte motiva di tale decreto, «viste le note n. 9001, n. 2609 e n. 11940, tutte del 3 luglio 2015, rispettivamente della Camera di commercio di Ragusa, Siracusa e Catania, con le quali è stato evidenziato che nessuna delle tre Camere ha adottato successivi atti deliberativi in merito alla possibilità di estendere l'accorpamento anche alla circoscrizione territoriale di Messina, ribadendo, quindi, la volontà di dare intanto seguito al procedimento di accorpamento solo tra le tre predette Camere»;
   l'accorpamento risponde ad un obiettivo di autoriforma ed andrebbe inquadrato in un più generale progetto di riordino delineato dal sistema camerale, finalizzato alla razionalizzazione e riduzione dei costi;
   Unioncamere Sicilia ha aderito alla proposta di autoriforma di Unioncamere nazionale, deliberando all'unanimità, il 29 luglio 2014, l'atto di indirizzo finalizzato alla riduzione delle camere di commercio sul territorio da nove a tre, indicando i raggruppamenti di Trapani, Caltanissetta ed Agrigento da un lato, di Palermo ed Enna dall'altro e di Catania, Messina, Ragusa e Siracusa dall'altro ancora;
   risulta all'interrogante che la presenza dei quattro atti deliberativi tendenti all'accorpamento delle quattro camere siciliane sia stata più volte segnalata dal «Commissario ad acta della camera di commercio di Messina a tutti gli attori coinvolti nel procedimento sia in sede di riunioni di giunta di Unioncamere regionale sia formalmente con nota inviata a tutte le amministrazioni camerali oltre che al Ministero dello sviluppo economico ed al competente assessorato regionale alle attività produttive, senza avere mai avuto alcuna risposta;
   risulta altresì all'interrogante che la camera di commercio di Messina non abbia alcuno dei requisiti minimi per l'autonoma esistenza; infatti, il bacino di imprese del territorio ha una consistenza di circa 60 mila unità comprese le unità-locali, mentre l'ente camerale non gode di sostenibilità economica, stante il doppio gravame degli stipendi e delle spese di quiescenza a carico dello stesso;
   risulta, sin da ora, già grave, se non critica, la situazione economica della camera di commercio di Messina che, come detto, a fronte della riduzione del diritto annuale, disposta con l'articolo 28 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, deve sostenere un enorme costo derivante dalla corresponsione delle pensioni, rimaste a carico dell'ente, per un evidente vuoto legislativo in materia e che porterà l'ente camerale nel preventivo 2016 ad esporre una situazione finanziaria deficitaria se non addirittura di pre-dissesto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritenga doveroso, in qualità di responsabile della vigilanza camerale, accertare l'effettiva situazione e, di conseguenza, valutare la sospensione dell'accorpamento;
   se non ritenga urgente intraprendere ogni utile iniziativa volta a salvaguardare i profili economici e patrimoniali derivanti dal mancato accorpamento della camera di commercio di Messina con le «consorelle» di Catania, Ragusa e Siracusa in una logica di efficienza ed economicità, evitando negative ripercussioni future, sia all'ente che al personale impiegato;
   se non ritenga di porre in essere ogni ulteriore iniziativa atta a risolvere il problema della quiescenza delle camere di commercio siciliane che altrimenti porterà all'inevitabile collasso economico e finanziario degli enti camerali isolani. (4-10693)

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Risoluzione in Commissione Nicoletti n. 7-00803 dell'8 ottobre 2015.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa oltre che Sito d'interesse Comunitario (SIC) classificato inoltre come area sensibile e vulnerabile (Direttiva 2000/60/CE, decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) a causa del lento ricambio delle acque;
   l'ecosistema lacuale integro in passato ha garantito la presenza di vari e numerosi popolamenti animali e vegetali, tra cui molte specie di alghe e piante subacquee quasi completamente scomparse in altri bacini;
   la qualità delle acque risulta compromessa per la coesistenza di vari fattori inquinanti come lo sversamento di scarichi di vario tipo, la presenza di barche a motore;
   la società denominata COBALB, gestrice del collettore circumlacuale che tratta le acque di scarico di diversi comuni del lago prima di riversarli nel fiume Marta, soffre attualmente una forte crisi finanziaria;
   l'attuale situazione strutturale del collettore per la raccolta dei reflui e della loro depurazione, affidata alla società COBALB, è compromessa e necessità di urgenti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   negli ultimi anni si sono verificati frequenti sversamenti occorsi nel lago, causando un incremento del contenuto di nutrienti nelle acque e mettendo a rischio eutrofizzazione il lago;
   il mal funzionamento dell'intero circuito di sollevamento dell'elettropompe delle stazioni del collettore lungo il semi-perimetro del lago causa gravi conseguenze anche sulle acque del fiume Marta, immissario del lago di Bolsena;
   i gravi fattori di inquinamento a cui è sottoposto il lago di Bolsena mettono a rischio la salute pubblica considerato l'elevata presenza turistica nelle aree prospicienti il lago specialmente durante la stagione estiva;
   il territorio della Tuscia, a causa di vari fattori tra i quali la conformazione geologica nonché l'uso di prodotti chimici in agricoltura nelle vicinanze del bacino idrico del lago di Vico, è soggetto ad una forte presenza di metalli pesanti nelle proprie falde acquifere, specie per quel che riguarda l'arsenico; in particolare, a causa della presenza di quest'ultimo all'interno della rete idrica dei comuni della Tuscia, riscontrato ben oltre i parametri impostati dalla direttiva 98/83/CE, l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia, a causa della «contaminazione dell'acqua da arsenico e fluoro»;
   da un'intervista rilasciata ad un programma radiofonico molto seguito nella Tuscia, intitolato «La Fune», il sindaco di Montefiascone (Viterbo) ha reso noto che grazie al basso contenuto d'arsenico, quella del lago di Bolsena rappresenta una potenziale risorsa d'acqua utile per diluire quella della rete idrica potabile, attualmente fuori norma riguardo i parametri di presenza di arsenico al suo interno, fino a «risolverebbe il problema arsenico per tantissimi comuni della Tuscia, compreso il capoluogo»;
   dalla stessa intervista risulta che il sindaco del comune di Viterbo, capoluogo dell'omonima provincia, è informato e «d'accordo con questa soluzione» –:
   se sia a conoscenza della problematica circa la presenza di arsenico all'interno della rete idrica dei vari comuni della Tuscia e della procedura di infrazione europea operante nei confronti dell'Italia;
   se vi siano in atto e quali iniziative sono state intraprese nell'immediato per la salvaguardia di questo importante patrimonio naturalistico. (4-05914)

  Risposta. — Nell'approfondire le problematiche delle acque del lago di Bolsena si deve, dapprima, evidenziare che i comuni che circondano il bacino – Bolsena, Montefiascone, Marta, Capodimonte, Gradoli, Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo – costituiscono l'agglomerato denominato «Marta Cobalb» con carico generato pari a 35.000 abitanti equivalenti (a.e.).
  L'agglomerato in argomento è interamente servito da rete fognaria che convoglia i reflui al depuratore gestito dalla CO. BA.L.B. s.p.a. ubicato nel comune di Marta. L'impianto ha una capacità organica di progetto pari a 48.500 a.e. ed effettua il trattamento biologico secondario e la disinfezione finale dei reflui.
  Lo scarico avviene nel fiume Marta emissario e, pertanto, a valle del bacino drenante l'area sensibile del lago di Bolsena, designata, ai sensi della direttiva 91/271/CEE, con D.G.R. n. 317 del 2003.
  I comuni rivieraschi del lago di Bolsena e i relativi problemi di inquinamento discendenti da una supposta inadeguatezza del sistema fognario depurativo sono stati oggetto del recente Caso EU Pilot 6800/14/ENVI avviato dalla Commissione Europea.
  La regione Lazio – direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative – consultata in merito da questo Dicastero ha fornito, rispettivamente nel settembre 2014 e nel gennaio 2015, una serie di informazioni.
  La rete e l'impianto di depurazione sito nel comune di Marta risalgono agli anni ’70 e fino al 2009 gli investimenti necessari al suo corretto funzionamento sono stati garantiti con cadenza annuale con le Leggi Regionali n. 21 e n. 22 del 1994. Negli ultimi anni, malgrado la sospensione dei citati finanziamenti, sono stati comunque garantiti gli interventi di manutenzione ordinaria.
  Negli anni 2011 e 2012 l'azienda CO. BA.L.B. s.p.a ha ottenuto 2 lotti di finanziamento destinati ad interventi di manutenzione straordinaria con sostituzione di alcune elettropompe ed adeguamento dei quadri elettrici e gruppi elettrogeni; gli interventi sono stati eseguiti e completati nel corso del 2012 e 2013.
  La manutenzione ordinaria dell'impianto garantisce il suo corretto funzionamento e i rapporti analitici mensili mostrano la conformità dei reflui ai limiti di legge.
  La regione Lazio ha previsto un intervento, di importo pari a circa euro 2.000.000, per la sostituzione di alcune parti vetuste; per tali lavori è stato disposto l'impegno di spesa relativo all'affidamento della progettazione dell'opera suddetta ed è stata effettuata la gara.
  Per quanto riguarda lo stato di qualità ecologica delle acque del lago, ai sensi della direttiva 2000/60/CE, sullo stesso viene eseguito un monitoraggio di tipo operativo, che prevede quindi campionamenti annuali. Le pressioni che insistono sul lago sono di natura prevalentemente agricola (colture erbacee ed arboree lungo la sponda del lago) e in parte dovute a scarichi di reflui civili non intercettati dal collettore circumlacuale.
  In base ai risultati del monitoraggio 2011-2013 Arpa Lazio definisce buono lo stato di qualità delle acque di Bolsena.
  Il buono stato ecologico del lago viene mantenuto grazie ad una corretta gestione degli scarichi di acque reflue (puntiformi e consortili) all'interno dello stesso (gestione che sarà ulteriormente migliorata a valle degli interventi di adeguamento dell'impianto di depurazione di Marta) e dalla progressiva riduzione della somministrazione di fertilizzati a base di azoto e fosforo destinati alle colture agricole che insistono lungo le sponde del lago e comunque presenti nelle vicinanze dello stesso.
  In tema di acque potabili si premette che, il Ministero dell'ambiente, in relazione al decreto legislativo 3 febbraio 2001, n. 31 recante «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano», è amministrazione concertante per alcuni e specifici aspetti individuati agli articoli 11 e 13, con particolare riferimento alle modifiche degli allegati I, II e III, alla fissazione dei valori per parametri aggiuntivi non riportati nell'allegato I, nonché ai decreti per la fissazione di valori massimi ammissibili in deroga. In particolare, l'istituto della deroga ai parametri di potabilità dell'acqua destinata al consumo umano è disciplinato dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 31 del 2001 (articolo 9 – Direttiva 98/83/CE) e prevede la possibilità per le regioni o province autonome di stabilire deroghe ai valori di parametro fissati nell'allegato I parte B del decreto medesimo, ricomprese entro valori massimi ammissibili (VMA) stabiliti dal Ministero della salute con decreto da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, purché nessuna deroga presenti potenziale pericolo per la salute umana e sempreché l'approvvigionamento di acque destinate al consumo umano conformi ai valori di parametro non possa essere assicurato con nessun altro mezzo congruo.
  La regione Lazio, per i parametri arsenico e fluoruri, si è avvalsa di tale facoltà fino al 2012, ultimo dei nove anni previsti dalla normativa nazionale e comunitaria per il rientro nei limiti fissati dalla stessa norma.
  Successivamente, la regione, non essendo stati ultimati gli interventi per la messa a norma di tutti gli acquedotti interessati dalla problematica, con particolare riferimento a quelli relativi alla provincia di Viterbo, ha proseguito l'iter per la finalizzazione delle opere previste ma, non essendo più in vigore la deroga, la questione è stata seguita in via prioritaria dal Ministero della salute.
  Questo Ministero ha partecipato, infatti, alle fasi procedurali finalizzate all'emanazione dei decreti di concerto per la fissazione dei valori massimi ammissibili (da ultimo, il decreto 11 maggio 2011) ma, in considerazione della competenza primaria attribuita al Ministero della salute in materia, non ha avuto un ruolo rilevante nel seguire la questione nel periodo che ha seguito la scadenza del 31 dicembre 2012, tant’è che le comunicazioni sull'argomento sono avvenute in via esclusiva tra regione e Ministero della salute.
  Inoltre, risulta utile sottolineare che le autorità regionali hanno più volte ribadito che la presenza dell'arsenico negli acquiferi coinvolti è di origine geologica, data la natura vulcanica del substrato in cui insistono gli acquiferi interessati e la presenza di elevate concentrazioni di arsenico non è pertanto da mettere in relazione ad inquinamento di tipo antropico. Infatti, le misure di miglioramento intraprese, nella maggior parte dei casi, si limitano all'abbattimento del valore di concentrazione del parametro arsenico al potabilizzatore, anche mediante, laddove fattibile, diluizione con acque provenienti da fonti alternative a minor tenore di tale elemento chimico. La valutazione dell'opportunità di utilizzo di tali fonti rimane comunque in capo alla regione stessa.
  È altresì, competenza della regione, come espressamente previsto all'articolo 12 del decreto legislativo n. 31 del 2001, adottare piani di intervento atti al miglioramento della qualità delle acque destinate al consumo umano in caso di acque erogate che non rispettino i valori parametrici, affinché venga fornita acqua che rispetti i valori riportati nella normativa di cui trattasi.
  In merito alla costituzione in mora da parte della Commissione europea – infrazione n. 2014/2125 sulla non corretta applicazione della direttiva 98/83/CE concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano – si fa presente che tale atto non è stato notificato a questa Amministrazione ma al Ministero della salute per competenza.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, «Sblocca Italia», all'articolo 35, prevede l'individuazione di ulteriori impianti di incenerimento da realizzare per coprire il fabbisogno residuo del territorio nazionale, con finalità di riequilibrio socio-economico tra le diverse aree; il comma 3 dell'articolo 35, dispone inoltre, per tali impianti, l'autorizzazione a saturazione del carico termico, siano essi esistenti o da realizzare;
   l'amministrazione comunale di Cremona sta procedendo da tempo nel percorso di chiusura dell'impianto di termocombustione per l'incenerimento dei rifiuti presente sul territorio comunale;
   all'indomani del decreto-legge «Sblocca Italia» il sindaco Gianluca Galimberti e l'assessore all'ambiente Alessia Manfredini hanno inviato una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti e all'assessore regionale della Lombardia Claudia Maria Terzi su mandato del consiglio comunale di Cremona, chiedendo che «Il termovalorizzatore di Cremona non sia nella rete nazionale per la circolazione dei rifiuti istituita dal decreto-legge denominato Sblocca Italia». Le motivazioni addotte dall'amministrazione sono quella dei «Limiti tecnici dell'impianto» e della «appartenenza del territorio comunale alle aree critiche in termini di inquinamento atmosferico»;
   nella lettera vengono illustrati i passaggi compiuti sino ad ora: «Dal 13 marzo 2014, con delibera regionale n. 1511 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa relativo al decommissioning del termovalorizzatore di Cremona. Il protocollo è stato stipulato tra regione Lombardia, provincia di Cremona, comune di Cremona, Asl e Arpa per avviare attività finalizzate alla valutazione tecnica del ruolo dell'impianto di incenerimento rifiuti di Cremona nella complessiva filiera di gestione dei rifiuti urbani a scala comunale, provinciale e regionale e alla valutazione di alternative all'esercizio dello stesso»;
   viene ricordato che dal 31 dicembre 2014 la linea 1 dell'impianto è ferma per ottemperare alle prescrizioni previste dai decreti Aia (autorizzazione integrata ambientale) n. 12055 del 18 ottobre 2007, n. 1997 del 12 marzo 2012 e n. 4702 del 3 giugno 2013 e quindi ad oggi è in funzione unicamente la seconda linea. Il termovalorizzatore risulta pertanto autosufficiente per lo smaltimento previsto. Allo stato attuale non è possibile valutare se l'impianto sia in grado di soddisfare quanto richiesto dal comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 133 del 12 settembre 2014;
   sindaco ed assessore sottolineano inoltre che «l'impianto funziona già al massimo delle potenzialità previste, ovvero circa 70.000 tonnellate a fronte di 120.000 tonnellate teoriche. Ciò in virtù dell'aumento del potere calorifico dei rifiuti conferiti dovuto al maggior contenuto in plastica e al progressivo aumento della raccolta differenziata a livello provinciale, con particolare riferimento a secco/umido. Di conseguenza, il termocombustore di Cremona – anche quando le due linee sono funzionanti contemporaneamente – può ricevere un quantitativo di rifiuti di poco superiore del 50 per cento a quello nominale. Nella lettera si specifica inoltre che l'impianto, attivo dal 1997, risulta tra quelli meno performanti dal punto di vista energetico e dell'efficienza in Lombardia»;
   si specifica inoltre che «Lgh Holding, proprietaria dell'impianto che gestisce attraverso Aem Gestioni srl, il 23 gennaio 2015, durante la terza riunione del gruppo di lavoro sul decommissioning, ha annunciato l'avvio di un tavolo interno per studiare le prospettive dell'impianto a breve, medio e lungo termine, in base alla normativa vigente, valutando sostenibilità economica, sostenibilità del ciclo dei rifiuti, indicatori ambientali, quadro contrattuale, quadro sociale (occupazionale) e teleriscaldamento. È previsto che tale studio sia completato entro il mese di ottobre 2015. Ad oggi non sono noti i costi per l'adeguamento dell'impianto nel medio e lungo periodo ai sempre più elevati standard di qualità richiesti dall'Unione europea»;
   infine, nella lettera, il sindaco e l'assessore chiariscono che «Cremona è già inserita, in base al Piano regionale della qualità dell'aria in Lombardia, che ha aggiornato la zonizzazione del territorio regionale, nelle cosiddette zone A, cioè tra le zone critiche e quindi più sensibili ai fini dell'applicazione dei criteri e dei limiti di emissione per gli impianti di produzione di energia, alle misure che pongono limiti al traffico veicolare e alle emissioni degli impianti termici civili». «Confidiamo che gli elementi sopra esposti – concludono nella loro lettera il sindaco Galimberti e l'assessore Alessia Manfredini – possano consentire di fare una valutazione oggettiva della situazione e chiediamo a Governo e Regione, alla luce dei limiti tecnici dell'impianto e sulla base dell'appartenenza del territorio comunale alle aree critiche in termini di inquinamento atmosferico, l'esclusione del termovalorizzatore di Cremona dall'articolo 35 dello Sblocca Italia»;
   il piano provinciale di Cremona per la gestione dei rifiuti (Pprg), prefigura infatti possibili scenari alternativi all'impiego dell'inceneritore di Cremona come elemento essenziale della filiera di gestione del rifiuto urbano. Il consiglio regionale lombardo ha votato una risoluzione che impegna la giunta a definire criteri di «decommissioning selettivo», allo scopo di andare verso la progressiva dismissione degli impianti di incenerimento a più bassa performance energetica e ambientale, e la cui capacità risulti in esubero rispetto al fabbisogno di rifiuto urbano prodotto in Lombardia. A questo proposito, l'impianto di Cremona è stato individuato come possibile esperienza pilota in questo senso;
   l'amministrazione comunale di Cremona nello specifico e complessivamente i 115 comuni della provincia di Cremona, seppur con tempistiche differenti, sono impegnati da oltre 15 anni nell'aumento della percentuale di raccolta differenziata con l'obbiettivo complessivo di giungere entro il 2015 al 70 per cento di rifiuti destinati a riciclo su base provinciale;
   la normativa comunitaria relativa alla questione dei rifiuti e principalmente la direttiva 2008/98/CE, integrata nel decreto-legge aprile 2006, n. 152, attraverso il decreto-legge 3 dicembre 2010, n. 205, prevede alcuni criteri di priorità nella gestione degli stessi, attraverso la fissazione di una gerarchia che parte dalla prevenzione, seguita da: preparazione per il loro utilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (ad esempio a fini energetici) e, infine, smaltimento;
   la direttiva 2008/98/CE, al sesto considerando, recita «L'obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l'uso di risorse e promuovere l'applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di garantire che il percorso già avviato dal comune di Cremona, su mandato dei cittadini, per la dismissione dell'impianto di incenerimento di Cremona venga rispettato, non forzando l'inserimento dell'inceneritore di Cremona nella rete nazionale per la circolazione dei rifiuti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di garantire che il percorso di aumento dei rifiuti destinati a riciclo e la contemporanea riduzione di quelli destinati ad incenerimento, avviato nel territorio della provincia di Cremona in conformità alla direttiva europea sopra richiamata, non venga alterato, imponendo lo smaltimento di rifiuti di provenienza esterna e vanificando così gli sforzi fatti dai 115 comuni del cremonese. (4-08679)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, si rappresenta come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia formulato, nel corso del mese di febbraio u.s., uno schema di decreto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 2014, n. 164.
  Tale schema, secondo le previsioni del decreto-legge su richiamato, è stato sottoposto, in data 20 marzo 2015, alla valutazione tecnica della Conferenza Stato-regioni e province autonome di Trento e Bolzano.
  Il suddetto organismo ha espresso, nel merito, un «parere favorevole subordinato all'accoglimento delle osservazioni ed emendamenti».
  A seguito delle suddette osservazioni, si è quindi proceduto, per ogni singolo impianto di incenerimento, ad aggiornare lo schema secondo i dati tecnici operativi relativi alla capacità di trattamento dei rifiuti urbani e assimilati.
  In particolare, la competente direzione generale si è attivata con specifiche iniziative che hanno coinvolto tutte le amministrazioni regionali (ivi compresa la regione Lombardia) e le province autonome, nonché l'ISPRA, al fine di aggiornare i relativi dati tecnici.
  Sulla scorta di quanto sopra, si rappresenta come l'impianto di incenerimento di Cremona risulta essere individuato, nello schema finale di decreto, come impianto operativo esistente ai fini dell'articolo 35, comma 1, del predetto decreto-legge trasmesso alla Conferenza Stato-regioni per l'espressione del prescritto parere il 27 luglio 2015 per una potenzialità, dedicata al trattamento dei rifiuti urbani e assimilati, pari a 58.000 tonnellate anno di rifiuti, con previsione di chiusura dell'impianto nell'anno 2024.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da mesi è in atto un duro confronto fra cittadini di tutta Italia e l'amministrazione regionale del Veneto per la progettata uccisione di più di 1.200 cervi all'interno e nei dintorni della foresta del Cansiglio, zona protetta dalle norme europee (SIC e ZPS) posta fra le province di Treviso, Pordenone e Belluno;
   i motivi che sottenderebbero l'abbattimento, richiamati anche nel piano poliennale di controllo del cervo redatto da Veneto Agricoltura, sarebbero i danni provocati dagli ungulati ai pascoli utilizzati dalle aziende zootecniche del luogo, questo a seguito del notevole incremento numerico della popolazione di cervi. Non è però possibile conoscere l'effettivo numero dei cervi presenti nel Cansiglio e zone adiacenti, perché nessuna autorità ha mai provveduto al loro conteggio, al punto che lo stesso comandante regionale veneto del Corpo forestale dello Stato, Daniele Zovi, in un articolo comparso sul Corriere delle Alpi in data 8 luglio 2013 ammette che: «È vero, nessun censimento preciso è ancora stato compiuto», evidenziando così l'inconsistenza delle supposizioni circa l'accrescimento della popolazione di cervi;
   la legge 11 febbraio 1992, n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, al comma 2 dell'articolo 19 – Controllo della fauna selvatica, statuisce che «Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento»;
   stando a quanto sopra riportato, il piano di abbattimento dei cervi del Cansiglio è a giudizio dell'interrogante del tutto illegittimo per almeno due motivi:
    a) non sono disponibili dati scientifici relativi alla loro presenza numerica;
    b) ne è stato deciso l'abbattimento senza verificare preventivamente l'eventuale inadeguatezza dei sistemi incruenti, come statuito dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del Corpo forestale dello Stato, in relazione a quanto esposto in premessa e quali indicazioni abbia espresso o intenda esprimere l'Ispra. (4-01872)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto, con la quale l'interrogante richiede all'Ispra indicazioni in merito alla progettata uccisione da parte dell'amministrazione regionale del Veneto di più di 1200 cervi all'interno e nei dintorni della foresta del Cansiglio, zona protetta dalle norme europee (SIC e ZPS), posta tra le province di Treviso, Pordenone e Belluno, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, giova sottolineare che dalla relazione tecnica prodotta da ISPRA relativamente a quanto lamentato nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto, si evince che l'unica richiesta di parere formulata alla medesima da parte dell'azienda regionale Veneto Agricoltura per un piano triennale di controllo del cervo nel comprensorio del Cansiglio, riguardava un programma che doveva attuarsi nel periodo 2010-2013.
  Il piano in questione presentava un programma di interventi molto articolato, finalizzato alla mitigazione dell'impatto del cervo nel comprensorio del Cansiglio. Tale programma prevedeva l'attuazione prioritaria degli interventi preventivi di tipo ecologico in linea con le disposizioni di cui al comma 2 articolo 19 della legge n. 157 del 1992 ed in secondo ordine, un piano di controllo finalizzato alla riduzione dei medesimi animali mediante abbattimento, da attuarsi garantendo il mantenimento di un rapporto equilibrato fra i sessi e le classi di età della popolazione, nonché la realizzazione di una serie di misure di mitigazione del disturbo (per esempio oasi di protezione esterne all'area di demanio).
  La programmazione annuale degli interventi, il coordinamento tra gli Enti coinvolti e la verifica dell'efficacia di quanto realizzato spettava ad un gruppo tecnico costituito dai rappresentanti delle regioni Veneto e Friuli-Venezia-Giulia, delle province di Belluno, Treviso e Pordenone, di Veneto Agricoltura, del corpo forestale dello stato e dell'istituto zooprofilattico delle Venezie, a garanzia di una corretta e rigorosa attuazione del programma sperimentale presentato.
  L'ISPRA, sulla base delle proprie valutazioni tecniche nonché dell'aderenza del provvedimento alla vigente normativa, ha espresso parere positivo al suddetto piano, purché venisse garantita l'attuazione di misure di mitigazione del disturbo causati dagli interventi di prevenzione e prelievo previsti e fosse condotto un attento monitoraggio degli effetti di tali interventi sulla distribuzione dei cervi e sulle altre componenti faunistiche e floristiche che caratterizzano il territorio.
  È bene sottolineare che in merito all'entità del piano annuale di prelievo previsto il numero complessivo di cervi da abbattere in ognuna delle tre province durante la stagione venatoria era di 120 individui. Diversamente, nell'area di demanio, il numero di cervi da rimuovere (attraverso catture e successiva traslocazione degli animali in altre aree e/o abbattimenti ad opera di personale d'istituto, cioè polizia provinciale, corpo forestale dello Stato) ammontava ad un massimo di 40 individui. Pertanto, il piano annuale complessivo risultava di 400 cervi pari all'11 per cento della popolazione stimata nel 2010. Al riguardo, si fa presente che la riduzione delle presenze prevista nel piano non avrebbe rappresentato un elemento di criticità per la conservazione della specie, sia in considerazione della consistenza numerica particolarmente elevata raggiunta da questa popolazione nel comprensorio del Cansiglio sia della temporaneità dell'intervento e dell'entità e della struttura del prelievo annuale proposto.
  Ciò premesso, in data 4 novembre 2010 Ispra ha ricevuto comunicazione dell'accordo intercorso tra regione Veneto, province di Belluno e Treviso, corpo forestale dello stato e Veneto Agricoltura in merito all'attuazione del suddetto piano. Non è stata, invece, fornita ad Ispra alcuna comunicazione riguardo l'attivazione di un protocollo d'intesa con la regione Friuli-Venezia-Giulia e la provincia di Pordenone. Giova sottolineare che il coordinamento delle attività tra le due regioni e le tre province era considerato da Ispra imprescindibile per una corretta applicazione degli interventi previsti sulla popolazione di cervo del comprensorio del Cansiglio. Infatti, attesa l'elevata agilità e le modalità di uso dello spazio che caratterizzano questa specie, solo un'attenta e complessiva pianificazione della gestione sull'intero comprensorio che contiene un'unità di popolazione può rendere la presenza di questa specie compatibile con la conservazione degli ecosistemi forestali e le attività economiche dell'uomo.
  Ciò detto, si fa presente che, ad oggi, Ispra non ha mai ricevuto alcuna comunicazione, in merito all'avvio del sopra richiamato piano da parte del gruppo tecnico referente né è a conoscenza di un'eventuale effettiva sua applicazione.
  Inoltre, la stessa ISPRA fa sapere che le uniche informazioni in suo possesso circa la volontà di attuare interventi di controllo numerico dei cervi nell'area di Cansiglio riguardano il più volte sopracitato piano triennale che risulta ormai scaduto e che il parere espresso da Ispra in merito appare, quindi, non aggiornato. Lo stesso istituto non ha ricevuto alcuna richiesta per la valutazione di un'eventuale proroga del piano né per l'esame di una eventuale nuova proposta che verrebbe comunque valutata sulla base di un resoconto di quanto realizzato dal 2010 fino ad oggi, di un aggiornamento dettagliato delle stime di presenza e degli impatti causati dalla specie nonché di un'eventuale revisione dei programmi di gestione da intraprendere alla luce dell'evoluzione della situazione registrata.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPARINI, BORGHESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'elenco aggiornato dei Siti classificati di interesse nazionale nel Nord Italia registra: Balangero, Casale Monferrato, Serravalle Scrivia e Pieve Vergonte (Piemonte); Cengio e Saliceto (Piemonte-Liguria) e Cogoleto Stoppani (Liguria); Emarese (Valle D'Aosta); Pioltello Rodano, Sesto San Giovanni, Brescia Caffaro, Laghi Di Mantova e Polo Chimico e Broni (Lombardia); Trento Nord (Trentino Alto Adige); Venezia – Porto Marghera (Veneto); Laguna Di Grado Marano e Trieste (Friuli Venezia Giulia); Fidenza (Emilia Romagna);
   l'inquinamento provocato dall'industria chimica Caffaro a Brescia è riconosciuto come uno dei più estesi e rovinosi casi di contaminazione da Pcb (policlorobifenili) e diossine in Europa sia per estensione dell'area urbana inquinata sia per la popolazione colpita;
   con il decreto 24 febbraio 2003, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha definito la «Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro» (Gazzetta Ufficiale, serie, generale n. 121 del 27 maggio 2003 – Supplemento ordinario n. 83), aggiungendolo all'elenco dei siti d'interesse nazionale (SIN) di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 426, recante «Nuovi interventi in campo ambientale»;
   le condizioni ambientali derivanti dell'inquinamento dell'area in base ai diversi report sanitari effettuati nel tempo, fra cui il (contestato quanto drammatico) rapporto Sentieri dell'Istituto superiore di sanità che rilevato un incrementi per quanto riguarda sia l'incidenza dei tumori alla tiroide del +70 per cento per gli uomini e del +56 per cento per le donne. Sempre grazie alle analisi dell'incidenza oncologica e dei ricoverati, inoltre, a Brescia nell'area della Caffaro sono stati osservati eccessi per quei tumori che la valutazione dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms (Iarc) del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i Pcb (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito. L'incidenza di melanoma, infatti, rivela un eccesso del 27 per cento del 19 per cento rispettivamente tra gli uomini e le donne, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso del 52 per cento nel sesso maschile e del 39 per cento in quello femminile;
   la Stampa in un reportage a firma di Niccolò Zancan, definisce la vicenda ambientale legata alla Caffaro «il più grave caso di inquinamento ambientale del Nord Italia, forse più grave persino di Seveso»;
   ripercorrendo la storia della fabbrica che «produceva soda caustica, poi i famigerati Pcb fino al 1984» il giornalista ricorda che «erano anni in cui i policlorobifenili venivano impiegati nei condensatori e nei trasformatori elettrici come una specie di olio isolante. Così la Caffaro ne produceva fino a 2.500 tonnellate all'anno. E gli scarti di lavorazione, giù dagli scarichi della fabbrica, andavano a marchiare a morte il territorio». Una situazione che è riscontrabile nei divieti, contenuti nelle ordinanze del comune di Brescia, che, di sei mesi in sei mesi, «aggiornano» il divieto ad accedere ai parchi pubblici situati nella zona;
   si tratta delle aree verdi di via Sorbana, via Nullo, parco passo Gavia, parte di via Parenzo, ma anche dei campi d'atletica Calvesi, luoghi che contengono diossine e pcb centinaia di volte oltre i limiti di legge. Lo sanno bene i bambini della scuola elementare Deledda che, durante la ricreazione, non possono camminare né giocare sull'erba, ma restare solamente sulla pavimentazione;
   secondo la rivista Chemosphere, la concentrazione del Pcb nell'aria di Brescia è più alta delle aree urbane di altri Paesi. La sostanza cancerogena, che in città è concentrata soprattutto nella zona attorno alla Caffaro, non sarebbe pericolosa solo per l'inquinamento del terreno e quindi per la catena alimentare, ma produrrebbe i suoi effetti nocivi tramite la dispersione aerea;
   come riferisce il Corriere della Sera, dall'attività dell'industria chimica di via Milano a Brescia sono state emesse 150 tonnellate di Pcb che hanno inquinato un'area grande 7 chilometri quadrati. L'intervento effettuato nel 2001 e che ha portato alla distruzione di derrate alimentari prodotte nell'area contaminata e alla chiusura di aree verdi, oltre ai divieti di coltivazione nei campi limitrofi, non basterebbe, insomma, a circoscrivere il problema, poiché la diossina resterebbe nell'organismo umano per decenni, come dimostra anche il livello di Pcb registrato nel sangue dei bresciani, dieci volte più alto rispetto alla media degli Stati Uniti. La bonifica dei terreni è, alla luce di questo studio effettuato dall'Istituto Mario Negri di Milano, ancor più urgente, dato che la diossina continua a sprigionare i suoi venefici effetti nell'atmosfera;
   il Corriere della Sera che, in un articolo a firma di Pietro Gorlani, rivela che le concentrazioni di Pcb e diossine nei polmoni di chi abita nella Leonessa sono doppie rispetto a quelle rilevate nei francesi e dieci volte superiore a quella degli statunitensi. «In ogni grammo di grasso plasmatico dei bresciani», si legge sul quotidiano di via Solferino, «si trovano infatti 1136 nanogrammi di Pcb, contro i 480 nanogrammi dei francesi e gli 85 nanogrammi degli americani». A divulgare questi allarmanti dati è Marino Ruzzenenti, ambientalista bresciano, che ha confrontato lo studio sulla contaminazione dei bresciani, pubblicato nel 2008 sulla rivista internazionale Chemosphere con le ricerche più recenti di Usa (Centers for Disease Control and Prevention) e Francia (Insitute de Veille Sanitaire). Per chi abita nella zona Caffaro la situazione è ancora più grave: le concentrazioni di elementi inquinanti (assorbiti sia attraverso l'aria sia attraverso il consumo di alimenti) ammontano a 14.244 nanogrammi per il Pcb, ovvero 30 volte superiore a quello dei francesi e 167 volte superiore a quello dei cittadini a stelle e strisce. La ricerca americana ha anche misurato le diossine e i pcb diossina-simili: nel sangue degli statunitensi ci sono in media 3,37 picogrammi per grammo di grasso. Per i bresciani questa soglia tocca i 54 picogrammi, 82 per quelli residenti nel sito Caffaro e a 429 per quelli che hanno consumato prodotti alimentari della zona inquinata;
   i rischi dell'accumulo di sostanze inquinanti nel sangue si protraggono per anni, come dimostra il caso di una donna nata e vissuta fino all'età di 20 anni nel quartiere Caffaro, che ha consumato uova di galline allevate in casina. Una volta spostata e trasferitasi in un'altra zona della città, dopo avere avuto un bimbo, verso i 30 anni, ha scoperto che il suo latte, utilizzato per dare da mangiare al figlioletto, presentava concentrazioni di Pcb-diossina simili pari a 147 picogrammi per grammo di grasso. Il limite massimo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità, come riferisce lo stesso Ruzzenenti, è di 6 picogrammi. Oltre questa soglia il latte va distrutto;
   chi vive nella zona Caffaro ha maggiori probabilità di contrarre malattie, anche gravi, come i tumori. A riprova delle sue affermazioni porta un altro studio dell'Asl di Brescia, apparso nel gennaio 2011, su «Environmental Research» in cui sono stati analizzati 495 casi di cittadini ammalatisi di linfoma non Hodgkin (tumore del sistema linfatico) tra il 1993 e il 2004. Chi, tra questi, aveva vissuto per oltre 10 anni nel quartiere vedeva aumentata la possibilità di sviluppare la malattia fino a 70 volte in più degli altri cittadini; a causa problematiche legate alle limitazioni di spesa imposte dal Patto di stabilità, è stato possibile individuare in maniera definitiva i soggetti attuatori degli interventi disciplinati dall'Accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel sito di Interesse nazionale di Brescia Caffaro», nel quale veniva disciplinato l'impiego delle predette risorse nonché individuati i soggetti attuatori dei pertinenti interventi (Enti locali territoriali, Asl di Brescia, Istituto superiore di sanità, Arpa Lombardia e Sogesid spa, quale soggetto pubblico in house) solo il 25 ottobre 2012. E così, ad oggi, l'amministrazione, unitamente alla regione Lombardia, ha stipulato i previsti atti convenzionali con la Asl di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, l'Arpa Lombardia e la Sogesid spa;
   il 15 novembre 2013 nella risposta all'interrogazione 4-00167 presentata dall'onorevole Ermete Realacci in data 9 aprile 2013 e riguardante l'inserimento nell'elenco dei SIN del sito denominato «Brescia-Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare)» il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare: Marco Flavio Cirillo nella risposta all'interrogazione sottolineava che «In relazione, tuttavia, al grave stato di degrado del sito e al potenziale pericolo per la popolazione, questo Dicastero si è comunque impegnato a porre in essere ogni utile iniziativa finalizzata a reperire ulteriori risorse da destinate alle opere di bonifica. A quanto queste potranno ammontare non è facile, allo stato, prevedere, in quanto è dipendente anche da alcuni obiettivi di carattere generale sui quali questo Dicastero ha chiesto un impegno a tutte le istituzioni pubbliche e private interessate. Il primo passo, si ritiene, potrebbe essere quello di rivedere il Patto di stabilità al fine di tenere fuori dai conteggi le spese concernenti le bonifiche e il dissesto idrogeologico, in modo che, realizzata tale condizione, si potrebbe pensare di destinare a tal fine più risorse nella prossima Legge di stabilità. Il secondo, è che nella programmazione dei fondi strutturali dal prossimo 2014 le bonifiche siano tra gli interventi prioritari previsti». Marco Flavio Cirillo ha dichiarato: «questo Dicastero ritiene in via generale che i commissariamenti sono spesso la spia delle difficoltà in cui versano le istituzioni pubbliche che non riescono a far funzionare le cose in modo adeguato. Tuttavia, nel caso specifico del Sito Caffaro-Brescia, la particolare situazione di degrado e i risultati dei nuovi campionamenti in corso potrebbe indurre a rivedere tale giudizio e considerare la figura commissariale quale utile strumento di un tavolo di coordinamento che, ad onor del vero, nei fatti si è già realizzato»; mentre i Sin inquinati da aziende di Stato come Marghera e Priolo hanno ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi pari, rispettivamente, a 750 e 744 milioni di euro, e a Pioltello Rodano 164 milioni (per un'estensione che è un terzo di quello del Sin Caffaro) a Brescia, nonostante un'area, inquinata che si estende per 262 ettari, sono arrivate solo le briciole: dalla data di inserimento nel Sin la Caffaro ha ottenuto solamente (e complessivamente) 9,2 milioni di euro, la cifra di gran lunga più bassa rispetto a tutti gli altri siti;
   nel 2013 alcuni Sin sono stati derubricati a «siti di interesse regionale», eppure hanno ottenuto molti più stanziamenti della Leonessa. È il caso dei 25 milioni a Basse di Stura a Torino, dei 38 milioni a Pitelli in Liguria e dei 60 milioni a Sassuolo e Scandiano, in Emilia;
   il comma 2 dell'articolo 4-ter, rubricato «Misure urgenti per accelerare l'attuazione di interventi di bonifica in siti contaminati di interesse nazionale», del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, in materia di «Interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, prevede espressamente che «al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale Brescia Caffaro, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa individuazione delle risorse finanziarie disponibili, può nominare un commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Il compenso del commissario di cui al presente comma è determinato ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Per lo svolgimento delle attività di cui al presente comma è istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato»;
   il comma 3 dell'articolo 4-ter, conferisce al commissario nominato il delicato compito di curare «le fasi progettuali, la predisposizione dei bandi di gara, l'aggiudicazione dei servizi e dei lavori, le procedure per la realizzazione degli interventi, la direzione dei lavori, la relativa contabilità e il collaudo, promuovendo anche le opportune intese tra i soggetti pubblici e privati interessati»; inoltre, per le attività connesse alla realizzazione degli interventi, il commissario è autorizzato «ad avvalersi degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di società specializzate a totale capitale pubblico e degli uffici delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali»;
   il futuro commissario straordinario per l'emergenza Caffaro avrà il delicato compito di coordinare la bonifica di una delle aree più inquinate del Paese che richiederà specifiche quanto ampiamente riconosciute competenze tecnico-professionali;
   vanno considerati gli ordini del giorno in Assemblea 9/01139-A/005 – presentato il 11 luglio 2013 7 e il n. 9/01248-AR/051 – presentato il 24 luglio 2013 a prima firma Caparini –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per affrontare in maniera organica la grave situazione ambientale e sanitaria evidenziata;
   a quale soggetto spetti la definizione del piano complessivo di bonifica del sito, del piano finanziario e per quale motivo tali piani non siano ancora stati redatti;
   se sia stata istituita una contabilità speciale nella quale possano confluire le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del sito contaminato;
   quali siano le effettive modalità, i tempi ed i criteri che si intendono adottare per la nomina del commissario dell'emergenza Brescia-Caffaro;
   se il Ministro non intenda chiarire i tempi di implementazione della bonifica delle aree interessate;
   quali siano le deroghe previste e concesse per il commissario nominato e quali siano le modalità di vigilanza e controllo sul suo operato;
   se il Ministro non intenda precisare quante risorse sono disponibili per il proprio dicastero per la bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale. (4-09113)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche ambientali segnalate dall'interrogante nel SIN Brescia Caffaro, si rappresenta quanto segue.
  Ad oggi sono stati avviati interventi di monitoraggio, caratterizzazione e messa in sicurezza delle matrici ambientali e avviate indagini epidemiologiche, in quanto individuati quali interventi prioritari per il SIN dall'accordo di programma del 29 settembre 2009. Tali interventi sono stati finanziati con risorse ministeriali, per un totale, ad oggi, di circa 9,8 milioni di euro (cfr. all. 1).
  Si segnala, inoltre, che a seguito della riprogrammazione delle risorse stanziate dal Ministero dell'ambiente per i siti lombardi, è stata attribuita al SIN di «Brescia Caffaro» l'ulteriore somma di euro 1.500.000,00, ad oggi, in perenzione amministrativa. Il finanziamento in parola sarà finalizzato alla bonifica del campo di atletica «Calvesi» nonché alla bonifica dei parchi pubblici di proprietà del comune di Brescia.
  Per il rifinanziamento dei 40 siti di interesse nazionale è stato di recente prospettato un fabbisogno di oltre 1,6 miliardi di euro, di cui 58 milioni da destinare alla prosecuzione degli interventi nel sito Brescia-Caffaro.
  La copertura finanziaria delle citate risorse (1,6 miliardi di euro) potrebbe trovare la copertura finanziaria nell'ambito del tondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il periodo 2014/2020.
  Non si tratta, ovviamente, di tutte le risorse necessarie, ma solo di quelle per la prosecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica nel sito individuati dall'accordo di programma del 2009 e rimasti privi di copertura finanziaria. È importante sottolineare che non ci sono SIN ricchi e SIN penalizzati ma che sono tutti nella stessa situazione, purtroppo contraddistinta da scarsità di risorse finanziarie.
  Le ulteriori risorse saranno stanziate applicando criteri che tengano conto anche dei livelli progettuali degli interventi e dello stato di attuazione e di spesa dei progetti già approvati e in esecuzione.
  Relativamente al soggetto a cui spetta la definizione del piano complessivo di bonifica del sito, del piano finanziario e, per quale motivo, tali piani non siano ancora stati redatti, così come segnalato dall'interrogante, si evidenzia che l'accordo di programma del SIN prevede l'elaborazione di uno studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda dell'intero SIN. Ad oggi è stato elaborato e condiviso con gli enti competenti il modello idrogeologico propedeutico allo studio di fattibilità.
  Ovviamente gli oneri della bonifica non devono essere sostenuti solo con risorse pubbliche: secondo il principio «chi inquina paga» gli oneri della bonifica sono in capo ai soggetti responsabili e, in tal senso, il Ministero dell'ambiente, in collaborazione con l'avvocatura dello Stato, ha in corso iniziative per imporre l'obbligo della riparazione dei danni ambientali ai responsabili della contaminazione.
  In tal senso gli interventi pubblici sono realizzati in danno del responsabile, che a seguito di accertamento definitivo, sarà tenuto anche alla ripetizione delle somme pubbliche impiegate.
  Quanto alle effettive modalità, ai tempi ed ai criteri che si intendono adottare per la nomina del commissario dell'emergenza Brescia Caffaro, si segnala che, a seguito della registrazione della circolare della funzione pubblica in data 20 febbraio 2015, che ha chiarito quali incarichi possono essere conferiti a soggetti in quiescenza, è stato predisposto il decreto di nomina, trasmesso al Ministero dell'economia e delle finanze per l'acquisizione del prescritto parere gli ultimi giorni del mese di febbraio e sollecitato, da ultimo, in data 8 maggio 2015 con nota prot. 9168/GAB dal capo di Gabinetto di questo ministero.
  Relativamente ai tempi di implementazione della bonifica delle aree interessate, questo dicastero sta monitorando l'attuazione degli interventi prioritari previsti dall'accordo di programma del 2009 e il rispetto dei cronoprogrammi da parte dei diversi soggetti attuatori.
  Ad oggi non ci sono gli elementi necessari per ottenere una previsione realistica sui tempi di conclusione della bonifica, sia dei suoli che delle acque di falda, di tutte le aree ricadenti nel SIN.
  Infine, si sottolinea che in materia di bonifiche, attualmente, il Ministero dell'ambiente ha stanziato circa 4,3 miliardi di euro (cfr. all. 2), di cui:
   euro 3.197.549.371,36 destinati ai siti di interesse nazionale;
   euro 196.414.620.64 destinati agli «ex SIN»;
   euro 952.866.507.97 destinati a finanziare ulteriori interventi di bonifica ambientale (amianto; aree ex estrattive, e altro).
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi gli organi di stampa nazionale e territoriale hanno dato giusto risalto alla notizia secondo cui la Sogin, società di Stato che si occuperà dello smantellamento dei siti nucleari italiani, ha consegnato il 2 gennaio all'Ispra la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il parco tecnologico che, come si legge sul sito della stessa Sogin, sarà un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi, e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   nell'elenco dei siti potenzialmente idonei figura anche una vasta piana localizzata nel Salento in agro di Nardò al confine con la provincia di Taranto coerente – a quanto si legge – dal punto di vista geologico e geomorfologico con i criteri localizzativi diffusi nel giugno 2014 dall'Ispra nel documento cosiddetto guida tecnica n. 29 «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
   alla luce della suddetta guida, la redazione della carta si configura come il primo momento di un processo particolarmente articolato e complesso scandito da un preciso cronoprogramma, nel cui ambito l'individuazione dei siti è soggetta ad altre non meno rilevanti verifiche di coerenza. Tale processo è minuziosamente descritto proprio nella guida tecnica n. 29 dove si precisa come all'azione di individuazione delle aree «potenzialmente» idonee seguiranno poi una seconda fase finalizzata ad individuare i siti da sottoporre ad un'indagine di dettaglio e infine una terza fase finalizzata alla caratterizzazione tecnica di dettaglio di uno o più siti per approdare alla scelta definitiva;
   pur tuttavia tale complessità di processo, che dovrà garantire anche il coinvolgimento delle istituzioni territoriali e dei portatori di interesse, non sta impedendo nel territorio salentino, ed in particolare tra le popolazioni potenzialmente coinvolte, la diffusione di allarme e preoccupazione legati anche alla rilevanza ambientale dell'intero territorio dell'Arneo caratterizzato da un parco marino, da siti di interesse naturalistico, da porzioni di territorio eccezionalmente rilevanti sotto il profilo paesaggistico ed ambientale, da rilevanti investimenti nel campo del turismo e dell'agricoltura e, sebbene il cronoprogramma indichi un iter a partire dalla pubblicazione ufficiale dei criteri dell'Ispra di oltre quattro anni per giungere all'autorizzazione unica e all'avvio della realizzazione, si comprende la particolare attenzione che sta caratterizzando fin d'ora la diffusione della notizia e il rischio di una localizzazione del deposito in quel territorio;
   contestualmente è importante ricordare, inoltre, come negli ultimi mesi siano emersi fatti di inquietante rilevanza sul rischio ambientale nel Salento, oggetto anche di smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi, mentre non va dimenticato che il triangolo Brindisi-Lecce-Taranto è sottoposto ormai da anni a una pressione ambientale fortissima che parrebbe riflettersi anche nell'aumentata incidenza di particolari patologie tumorali –:
   quali siano i passaggi istituzionali e il procedimento amministrativo previsti dopo la consegna della carta;
   come i Ministri interrogati intendano assicurare il coinvolgimento delle istituzioni territoriali e dei portatori di interesse e la massima trasparenza nel procedimento di individuazione definitiva del sito;
   come i Ministri intendano assicurare la tutela e la salvaguardia ambientale perché l'individuazione del sito non comprometta irreversibilmente aree di eccezionale pregio e rilevanza. (4-07484)

  Risposta. — La procedura e la relativa tempistica per giungere alla individuazione, al termine di un lungo percorso condiviso e trasparente, di un sito idoneo a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sono disciplinate dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 45 del 2014.
  È vero, tuttavia, che rispetto ai tempi originariamente previsti, si è verificato un ritardo nella pubblicazione della CNAPI.
  Ciò è stato causato, in particolare, dalla necessità, congiuntamente rilevata dai Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico nel corso dell'esame della documentazione ad essi pervenuta il 13 marzo 2015, di acquisire determinati approfondimenti tecnici, sia da parte della Sogin S.p.A. che da parte dell'ISPRA, al fine di valutare in maniera più completa il documento proposto.
  Solamente il 20 luglio 2015 è stato consegnato l'aggiornamento richiesto, per l'esame del quale le competenti strutture ministeriali si sono immediatamente messe al lavoro, con l'obiettivo di completare con la massima celerità l'istruttoria finalizzata ad autorizzare la pubblicazione della CNAPI; a seguito di tale pubblicazione a cura della Sogin S.p.A., inizierà la fase di consultazione pubblica nell'ambito della quale tutti i soggetti coinvolti e/o interessati potranno formulare osservazioni e proposte.
  Ritengo sia il caso di richiamare, altresì, la recentissima nota con la quale, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, si è ritenuto di dover precisare pubblicamente che contrariamente a quanto riportato da alcuni organi di stampa, che indicano il termine di fine agosto per la scelta del sito definitivo, detto termine è invece quello ipotizzato per il rilascio del nulla-osta alla pubblicazione della CNAPI, che rappresenterà – come già innanzi riferito – soltanto il momento di avvio della lunga procedura caratterizzata da ampie fasi di consultazione pubblica, nella quale verranno coinvolti regioni ed enti locali interessati, cittadini e comunità scientifica, che porterà prima ad individuare alcune aree idonee ad ospitare il deposito nazionale e poi stabilirà il sito.
  E proprio su questo punto, non si possono non manifestare forti perplessità su talune anticipazioni di stampa che ipotizzano varie localizzazioni. La documentazione consegnata ai due dicasteri di cui si è appena detto, infatti, considerata la classificazione di riservatezza attribuita dalla Sogin S.p.A. alla proposta di CNAPI, è stata analogamente classificata e tale sarà trattata, conformemente alle vigenti disposizioni, sino alla sua pubblicazione a seguito del nulla-osta che sarà rilasciato dai due ministeri interessati.
  Allo stato è difficile, pertanto, attribuire a tali anticipazioni alcuna seria attendibilità.
  Il processo partecipativo che avrà inizio dalla pubblicazione della CNAPI, così, culminerà con il «seminario nazionale», nel corso del quale verranno approfonditi tutte le problematiche e gli aspetti tecnici relativi al deposito nazionale e al parco tecnologico che lo ospiterà, per poi giungere alla istruttoria finale di approvazione della «Carta», sulla cui base potranno essere formulate le dichiarazioni di interesse da parte delle amministrazioni regionali propedeutiche agli approfondimenti di dettaglio e alla individuazione del sito definitivo, secondo le dettagliate e tassative procedure definite con il già citato articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, e successive modificazioni ed integrazioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il dossier sull'accordo Anci-Conai, prodotto dall'ACV – Associazione comuni virtuosi, ha avviato una discussione sulla «questione imballaggi in Italia» prospettando alcune possibili soluzioni alle problematiche esistenti;
   con sincrone dichiarazioni il direttore generale del Conai ed il delegato ANCI per i rifiuti ed energia hanno preso posizione a difesa del loro operato e commentato negativamente alcuni aspetti del Dossier;
   gli imballaggi sono sempre un costo: per l'ambiente (energia e materia sprecata), per i cittadini che sono costretti a comprare imballaggi eterogenei e difficilmente riciclabili e per i comuni (e quindi ancora per i cittadini) che se ne devono accollare i costi di raccolta e trattamento. L'obiettivo non può più essere quindi di produrre tanti imballaggi ma, come accade nel resto d'Europa, di penalizzare gli imballaggi inutili e difficilmente riciclabili facendo pagare un contributo ambientale (CAC) diversificato in relazione al reale impatto economico ed ambientale dell'imballaggio. Meno imballaggi in circolazione e progressivamente sempre più riciclabili;
   ricordiamo che in Italia il CAC, incide soltanto per lo 0,07 per cento sul costo dei beni alimentari all'ingrosso, mentre nel resto d'Europa incide in media per lo 0,3 per cento, dunque l'applicazione in Italia del CAC più basso in assoluto a livello europeo avrebbe dovuto garantire al consumatore italiano un costo dei beni di consumo inferiore alla media europea;
   nonostante questo innegabile vantaggio per le imprese italiane, l'Italia è diventata in pochi anni uno dei Paesi europei con l'Indice di livello dei prezzi (PLI) più elevato in Europa secondo Eurostat poiché tali risparmi per le imprese non sono stati mai tradotti in minori prezzi per i consumatori;
   l'altra importante questione è: quanti soldi entrano al Conai e quanti ne arrivano ai comuni. Il direttore del Conai afferma che «nel 2012 i ricavi sono stati poco più di 500 milioni di euro di cui 312 sono andati ai comuni ed è l'85 per cento e non il 37 per cento come riportato nel dossier prodotto dall'ACV; mentre da parte dell'ACV si afferma che, in realtà, tra le entrate dei consorzi ci sono anche i ricavi per la vendita dei materiali e le quote versate dai soci che nel 2012 ammontavano a circa 250 milioni di euro. Nel 2012 quindi ai comuni è andato circa il 42 per cento del totale degli introiti (il 5 per cento in più rispetto al 2011). Nel 2011, anno preso in esame nel dossier, i consorzi del Conai hanno introitato 819 milioni di euro e di questi soldi sono andati ai comuni 297 milioni di euro, quindi poco più di un terzo degli introiti totali del 2011;
   i comuni sono liberi di gestirsi autonomamente il materiale vendendolo al miglior offerente approfittando delle finestre di entrata e uscita previste dall'accordo, ma che comunque va evidenziato che tale elemento favorisce esclusivamente il sistema Conai, che può trattenersi i ricavi del contributo ambientale per la gestione di quegli stessi imballaggi di cui però non rimborsa neppure i soli costi di raccolta. Cosa invece che accade all'estero secondo quanto stabilito dalle direttive europee di riferimento;
   un sistema che opera senza scopo di lucro come il Conai non dovrebbe avere alcuna difficoltà a riconoscere ai comuni sia i maggiori costi di raccolta (interamente e non solo per il 20 per cento come dimostrato dall'ISPRA e dall'ACV) che i ricavi per la cessione del mercato di quanto conferito ai consorzi di filiera;
   nell'ultimo rapporto ISPRA si legge infatti che, a causa «dell'incompleta e parziale informazione fornita dal Consorzio Conai... l'ISPRA non è in grado di monitorare in maniera efficace il ciclo di gestione dei rifiuti di imballaggio, validando i dati trasmessi dal CONAI, e soprattutto di verificare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare circa le problematiche innanzi rappresentate inerenti la percentuale di utilizzo delle somme incassate dal Conai ed i rilievi dell'ISPRA. (4-01390)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, si rappresenta come il CAC (Contributo Ambientale del CONAI) costituisce lo strumento attraverso il quale, in coerenza con il principio della responsabilità estesa del produttore (articolo 8 della Direttiva 2008/98/CE e articolo 217, comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006), vengono sostenuti gli oneri economici di gestione dei rifiuti di imballaggio.
  Come si legge al comma 8 dell'articolo 224 del decreto legislativo n. 152 del 2006, «il contributo ambientale del CONAI è utilizzato in via prioritaria per il ritiro degli imballaggi primari o comunque conferiti al servizio pubblico e, in via accessoria, per l'organizzazione dei sistemi di raccolta, recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari. A tali fini, tale contributo è attribuito dal CONAI sulla base di apposite convenzioni, ai soggetti di cui all'articolo 223, in proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale». Oltre a consentire la copertura economica di tali attività di gestione dei rifiuti di imballaggio, una quota del CAC riscosso dal CONAI è destinata alla copertura dei costi dell'ordinaria amministrazione del CONAI stesso.
  In conformità con tali disposizioni di cornice, la determinazione dell'ammontare del CAC spetta al CONAI, come si legge nell'articolo 224, comma 3, lettera h), del decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo le modalità individuate dallo Statuto (vedere articolo 14 del vigente Statuto).
  Il Ministero espleta un controllo sul rispetto dei criteri indicati nel citato articolo 224 del decreto legislativo n. 152 del 2006, attraverso l'esame delle relazioni che, ai sensi dell'articolo 225, gli trasmette il CONAI.
  Inoltre lo Statuto-tipo dei consorzi, approvato con decreto ministeriale del 26 aprile 2013, ha intensificato le forme di vigilanza e controllo pubblico sulle scelte del consorzio. In particolare, l'articolo 12 del nuovo statuto-tipo contempla la presenza di un componente di nomina ministeriale all'interno del consiglio di amministrazione di ogni consorzio, mentre l'articolo 15 dispone che siano di nomina ministeriale un componente effettivo (su tre) e uno supplente (su due) del collegio sindacale, in tal modo rafforzando il controllo pubblico sulle scelte operate da tali consorzi.
  Per quanto attiene alla verifica da parte dell'ISPRA circa il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati, si riporta copia di uno stralcio del rapporto rifiuti urbani 2014, al paragrafo 4.3.1. pubblicato dallo stesso Istituto: «Gli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dalla legislazione europea, nonché quelli fissati dalla legislazione nazionale con riferimento alle singole frazioni merceologiche, da conseguire entro il 31 dicembre 2008, sono stati raggiunti e superati con anticipo rispetto al termine stabilito e allo stato attuale sono in via di definizione, a livello europeo, nuovi e ambiziosi obiettivi».
  La percentuale di rifiuti di imballaggio recuperati, rispetto alla quantità immessa al consumo, è passata dal 74,2 per cento del 2011 al 77,5 per cento del 2013, e risulta al di sopra dell'obiettivo minimo del 60 per cento previsto dalla norma a partire dal 2008.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel momento attuale di una crisi che si fa sempre più aspra e difficile, il Governo, invece di favorire la crescita economica e la semplificazione burocratica, pone ulteriori oneri e costi a carico delle imprese di installazione di impianti di condizionamento che proprio in primavera svolgono la loro maggiore attività e che rischiano di subire un danno insopportabile in termini economici, derivante dal fermo delle attività;
   l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43 (che da attuazione al regolamento (CE) n. 842 del 2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra), infatti ha istituito il registro informatico dei gas fluorurati serra a cui le imprese devono iscriversi entro 60 giorni, pena l'impossibilità di continuare a svolgere le proprie attività;
   tale obbligo è previsto anche per tutti gli operatori che installano apparecchiature contenenti gas serra (pompe di calore, gruppi frigoriferi, condizionatori d'aria, lavatrici industriali, climatizzatori in abitazioni e su auto);
   la stragrande maggioranza degli operatori deve ancora iscriversi al registro, di conseguenza circa 200.000 installatori di impianti e autoriparatori rischiano di trovarsi senza lavoro oppure di dover operare fuori legge, con il rischio di subire le pesanti sanzioni previste che partono da 10.000 euro;
   inoltre, l'obbligo di iscrizione al registro non è previsto dal regolamento europeo (CE) n. 842 del 2006. Rappresenta quindi un appesantimento burocratico della normativa italiana rispetto a quella europea (gold-plating), da cui derivano ulteriori oneri e costi a carico dei soli operatori italiani provocando un ulteriore gap competitivo con quelli europei;
   l'articolo 8 del citato decreto del Presidente della Repubblica 43 del 2012 sembra ricomprendere interi settori (autoriparazione e installazione di impianti di climatizzazione), costituiti da numerose piccole imprese e lavoratori autonomi, che non hanno in realtà ruolo nel gestire, controllare, recuperare, stoccare e smaltire i gas fluorurati oggetto e finalità della norma. Infatti, il termine «recupero» (definito dal regolamento (CE) 842 del 2006 come la raccolta e lo stoccaggio di f-gas) non si riferisce alla normale pratica di ricarica del gas per gli impianti di climatizzazione degli autoveicoli che non raccoglie né stocca tali materiali;
   in particolare, si prevede per le imprese del comparto dell'impiantistica (refrigerazione ed antincendio) la richiesta di un certificato provvisorio, della durata di 6 mesi che consenta alle imprese stesse di certificarsi e di qualificare il proprio personale operante con i gas fluorurati serra; per il settore dell'autoriparazione è previsto che il personale operante con i gas fluorurati serra, debba ottenere un attestato, rilasciato a seguito di frequenza di un corso, erogato da organismi di attestazione –:
   se non ritenga necessario e improcrastinabile assumersi l'impegno di un'iniziativa normativa urgente per ovviare ai numerosi problemi che il decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012 ha provocato ad alcune categorie imprenditoriali, così come più volte manifestato dalle associazioni imprenditoriali, per evitare altresì che si verifichi, ancora una volta, l'appesantimento di un regolamento europeo in fase di trasposizione a livello nazionale. (4-00232)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto, si rappresenta che nella fase di concertazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012 con tutte le parti interessate non era stato evidenziato l'eccessivo onere a carico di determinate categorie imprenditoriali.
  Tuttavia, poiché l'impianto normativo è di prossima rivisitazione, vista l'entrata in vigore del nuovo Regolamento (EU) n. 517 del 2014 sui gas fluorurati a effetto serra, le parti interessate potranno avanzare le opportune richieste che saranno debitamente tenute in considerazione dal Governo.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426 recante «Nuovi interventi in campo ambientale» individua Brindisi come sito di interesse nazionale (SIN) per la bonifica e il decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 definisce il perimetro dello stesso sito con la possibilità di estensione dell'area da bonificare qualora, a seguito di future caratterizzazioni, le aree inquinate risultassero oltre il confine stabilito;
   con successivo accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale in Puglia, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi, si sono definiti gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Brindisi;
   l'area, oggetto di interesse, prende il nome dalla società Micorosa srl che nel 1992 l'acquista dal gruppo Montedison per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati e la produzione di calce idrata, prima della chiusura e del fallimento della società stessa. Tale area risulta un'enorme discarica di fanghi chimici che si trova tra il perimetro della fabbrica e la spiaggia delle Saline di Punta della Contessa, al confine con l'omonimo parco regionale;
   nella nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011, si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il sito in questione. Ne è seguita una controversia davanti al giudice amministrativo circa aspetti attinenti alla competenza nell'emanazione dei provvedimenti oggetto di impugnativa rispetto ai quali sussisteva la competenza del Ministero e non della provincia;
   successivamente un accordo di programma quadro per la bonifica e messa in sicurezza della zona è stato sottoscritto dai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla regione Puglia e dopo è stata stipulata una convenzione funzionale all'espletamento delle attività finalizzate a garantire il risanamento ambientale;
   è proseguito l’iter amministrativo sugli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda dell'area di Micorosa, per cui il comune di Brindisi ha avviato le procedure di affidamento dell'attività di verifica del progetto definitivo (elaborato da Sogesid Spa) e di quello esecutivo (di competenza dall'azienda che si aggiudicherà l'appalto) che riguardano tali opere;
   le opere sarebbero state finalizzate alla bonifica di un'enorme distesa di rifiuti costituiti da idrossido di calce, sode clorurate e scarti provenienti da un clorosoda, includendo una serie di misure (impermeabilizzazione superficiale dell'intero corpo rifiuti, finalizzata a impedirne la lisciviazione da parte delle acque di infiltrazione meteorica; la realizzazione di pozzi di emungimento posti a monte idraulico del diaframma con la funzione di controllo dell'altezza della falda; barriere idrauliche, realizzate mediante pozzi di emungimento in corrispondenza dei confini nord e sud/sud-ovest della proprietà Micorosa, con la finalità di controllo dell'altezza della falda; un impianto di trattamento delle acque di falda drenate dai pozzi con le relative opere di adduzione e di scarico; la piantumazione di alberi e arbusti idro-esigenti per rinaturalizzare i luoghi e tenere sotto controllo in modo naturale l'eventuale impaludamento; opere di difesa delle opere di messa in sicurezza della falda, dalle azioni erosive determinate dalle mareggiate; opere di raccolta e allontanamento delle acque meteoriche dall'impermeabilizzazione, compreso scarico a mare; un sistema di monitoraggio delle acque con la doppia funzione di verificare, da un lato, l'efficacia dell'intervento e, dall'altro, di controllare che le aree naturali e agricole limitrofe non siano raggiunte dalla contaminazione);
   allo stato, tuttavia, il riferimento è al «tombamento» dell'area interessata per cui i fanghi chimici non si muoveranno da lì con implicazioni allarmanti sotto un profilo ambientale;
   ad oggi, inoltre, la procedura è oggetto di impugnazione presso il Tar di Lecce, per illegittimità dell'affidamento, in specie, per il ribasso del 74 per cento, con la particolare contestazione della fase di verifica dell'anomalia dell'offerta e la scarsa trasparenza delle procedure di gara. Eppure si tratta di un intervento da cui dipendono la salute dei cittadini e la sicurezza dell'ambiente. Questioni per le quali non si dovrebbe andare al massimo ribasso, anche in considerazione degli ingenti stanziamenti pubblici sull'area interessata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa fornire informazioni circa la procedura amministrativa instaurata per i progetti di bonifica della discarica cosiddetta Micorosa, con peculiare riferimento alla regolarità della stessa;
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni sui contenuti progettuali e, nello specifico, se si intenda avallare la scelta del tombamento della discarica stessa;
   se il Ministro interrogato possa dar conto degli stanziamenti previsti e disposti in favore della tutela dei luoghi indicati;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per la tutela della cittadinanza locale e la prevenzione delle patologie connesse all'inquinamento e, se del caso, disporre un'indagine epidemiologica;
   se intenda provvedere alla pubblicazione di ogni documentazione relativa alla questione in discorso e in generale del SIN di Brindisi, in ottemperanza agli obblighi di legge sulla pubblicità delle informazioni ambientali. (4-09426)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede di chiarire posizioni in merito a specifiche problematiche ambientali del sito di interesse nazionale di Brindisi ed, in particolare, all'area cosiddetta Micorosa.
  Dapprima occorre premettere che la suddetta area – attualmente di proprietà della società Micorosa S.r.l. – ex salina ed ambiente umido costiero è stata utilizzata circa dal 1962 al 1980, come luogo di recapito dei rifiuti di origine industriale da parte di società dell'ex gruppo Montedison, provenienti dagli impianti di produzione dell'acetilene (fanghi di idrossido di calcio), da quelli di produzione del PVC (composti organici clorurati e miscele di solventi aromatici policiclici) e da code residue dell'impianto di produzione dell'anidride ftalica (acidi maleico e ftalico).
  Nel 1987 l'area è stata ceduta dal gruppo Montedison alla società Micorosa S.r.l., che, solo tra il 1994 e il 1995, si è attivata per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati, allo scopo di produrre calce idrata: dopo un anno, però, gli impianti sono fermati.
  Successivamente, con legge regionale n. 28 del 2002 (BURP n. 164 del 2002) Micorosa è stata inserita nella perimetrazione del parco regionale Saline di Punta della Contessa benché l'area fosse già una discarica da almeno un trentennio.
  Dal momento che l'area di Micorosa è sotto curatela fallimentare, le attività di caratterizzazione ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 sono state svolte dal servizio ecologia del comune di Brindisi, che ha redatto il «piano della caratterizzazione ambientale del sito area Micorosa», approvato con prescrizioni dallo scrivente Dicastero nella conferenza dei servizi decisoria del 1o agosto 2007.
  La caratterizzazione ambientale ha evidenziato:
   a) la presenza di rifiuti costituiti in prevalenza da idrossido di calcio proveniente dagli impianti di produzione dell'acetilene, da code clorurate provenienti dalla lavorazione del PVC e rifiuti provenienti dall'impianto cloro-soda;
   b) i terreni sottostanti il corpo rifiuti risultano contaminati, per la presenza di composti alifatici clorurati cancerogeni e non, idrocarburi aromatici, clorobenzeni (esaclorobenzene e pentaclorobenzene), idrocarburi leggeri e pesanti, metalli pesanti (As, Sn, Hg, Be. Se) e ammine aromatiche (anisidina);
   c) le acque di falda sono contaminate principalmente da metalli pesanti (Al, As, Fe, Ni, Mn), idrocarburi aromatici (benzene, etilbenzene, stirene) e composti alifatici clorurati cancerogeni e non (cloruro di vinile, cloroformio, 1,2 dicloroetano, 1,2 dicloroetilene, 1,1 dicloroetano, 1,1,2 tricloroetano).

  Relativamente alla procedura amministrativa instaurata per i progetti di bonifica per la predetta area, si rappresenta che con l'accordo di programma stipulato il 18 dicembre 2007, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi si sono impegnati a definire gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel Sito di interesse nazionale di Brindisi.
  In seguito, in data 16 luglio 2013, è stato sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Puglia, l'accordo di programma quadro «Ambiente» – Fondo di sviluppo e coesione 2007-2013.
  Il predetto accordo nelle premesse fa riferimento alla nota con la quale la regione Puglia manifesta la volontà di avviare interventi prioritari di messa in sicurezza e bonifica della falda, con particolare riferimento al sito «Micorosa», in considerazione dell'elevata compromissione delle matrici ambientali del sito, nonché alla successiva condivisione della proposta regionale da parte del Ministero dell'ambiente.
  Successivamente è stato convenuto dal Ministero dell'ambiente, dalla regione Puglia e dal comune di Brindisi di affidare alla Sogesid S.p.A la «progettazione definitiva di messa in sicurezza e bonifica» dell'area in questione (cfr. pag. 9 dell'Accordo di Programma quadro «Ambiente»).
  In tale contesto sono stati presentati i documenti:
   «Interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda del SIN di Brindisi. Progetto Definitivo – 1o Stralcio funzionale – Area Micorosa», trasmesso dalla Società Sogesid (nota prot. n. 5257 del 18 ottobre 2013);
   Progetto Operativo di messa in sicurezza permanente di parte delle «Aree esterne Syndial», trasmesso dalla Società Syndial (nota prot. n. Amde n. 163 del 2013 del 14 ottobre 2013)».

  Quanto ai contenuti progettuali richiamati dall'Onorevole si evidenzia che il progetto approvato con decreto urgenza 7 luglio 2014 prevede le seguenti opere:
   la realizzazione dell'impermeabilizzazione superficiale dell'intero corpo rifiuti, realizzata mediante una successione di strati artificiali (successione di geotessuto bentonitico, telo in HDPE e geotessuti di corredo con funzioni antipunzonanti, grimpanti e drenanti) progettati in equivalenza a quanto stabilito dal decreto legislativo n. 36 del 2003;
   la realizzazione di una parte del marginamento fisico complessivo dell'area, mediante diaframma semiplastico con telo in HDPE, in particolare quello nell'area prospiciente il corpo rifiuti, di fronte al mare e alla SIC/ZPS «Saline di Punta della Contessa»; il marginamento sarà realizzato mediante diaframma impermeabile semiplastico di cemento e bentonite e telo in HDPE all'interno, dello spessore di 80 centimetri e attestato per almeno due metri nella formazione impermeabile di base costituita dalle argille in facies grigio azzurra, posta ad una profondità di circa 25-27 metri dal p.c.;
   la realizzazione di una parte dei pozzi di emungimento, in particolare quelli posti a monte idraulico del diaframma con la funzione di controllo dell'altezza della falda, che, nella zona prospiciente il mare, sarà mantenuta inferiore di poche decine di centimetri rispetto alla quota dello stesso;
   la realizzazione di barriere idrauliche, mediante pozzi di emungimento in corrispondenza dei confini nord e sud sud-ovest della proprietà Micorosa, con la finalità di controllo dell'altezza della falda; la realizzazione delle relative opere di adduzione (a gravità e mediante impianti di sollevamento) e di scarico;
   il nolo per due anni (corrispondente al periodo transitorio determinato nella falda dalle nuove condizioni determinate dal marginamento completo) dell'impianto di trattamento delle acque di falda drenate dai pozzi;
   la realizzazione delle opere di raccolta e allontanamento delle acque meteoriche dall'impermeabilizzazione, compreso scarico a mare;
   la realizzazione delle opere di difesa dalle azioni erosive determinate dalle mareggiate (scogliera radente) e dalle acque di dilavamento superficiali (geotessuti);
   la piantumazione di alberi e arbusti idro-esigenti per rinaturalizzare i luoghi e tenere sotto controllo in modo naturale l'eventuale impaludamento; i pozzi di emungimento realizzati in corrispondenza dei confini nord e sud sud-ovest della proprietà Micorosa potranno non essere attivati; essi comunque saranno disponibili in caso di eventuali repentini innalzamenti del livello di falda non controllabili mediante il phyto pumping;
   il progetto, inoltre, prevede un sistema di monitoraggio delle acque che avrà la doppia funzione di verificare, da un lato, l'efficacia dell'intervento e, dall'altro, di controllare che le aree naturali e agricole limitrofe non siano raggiunte dalla contaminazione.

  Il costo del progetto per la parte pubblica è di 36.573.498,31 milioni di euro.
  Circa gli stanziamenti previsti e disposti in favore della tutela dei luoghi indicati, si segnala che la Delibera CIPE n. 87 del 3 agosto 2012, recante «Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC). Programmazione regionale delle risorse residue del FSC a favore del settore ambientale per la manutenzione straordinaria del territorio», ha assegnato euro 40.000.000,00 a valere sulle risorse FSC 2007-2013 di competenza della regione Puglia per la copertura dell'intervento «Attuazione interventi programmatici previsti nell'AdP Brindisi per la bonifica e messa in sicurezza di emergenza della falda nel SIN Brindisi».
  In data 16 luglio 2013 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro «rafforzato» tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Puglia, che ha confermato all'articolo 3, comma 1, la destinazione di euro 40.000.000,00 per l'intervento «Attuazione interventi programmatici previsti nell'AdP Brindisi per la bonifica e messa in sicurezza di emergenza della falda nel SIN Brindisi», coerentemente con quanto previsto dalla delibera CIPE 3 agosto 2012, n. 87.
  Al fine di disciplinare le attività di progettazione definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'area «Micorosa», in data 4 dicembre 2013 è stata sottoscritta apposita convenzione tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Puglia, il comune di Brindisi e la Sogesid S.p.A. per un importo complessivo di euro 2.559.944,52.
  La gestione amministrativa dell'intervento è in capo al comune di Brindisi, individuato quale soggetto attuatore per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifica della falda nel SIN di «Brindisi» nell'allegato 2 al citato accordo di programma quadro «rafforzato».
  Giova, infine, sottolineare che durante le attività di progettazione dell'intervento era stata valutata un'altra soluzione progettuale, successivamente scartata, che prevedeva la bonifica e la rinaturalizzazione dell'intera area per restituirla alle condizioni precedenti lo sversamento, con la rimozione dell'intero corpo rifiuti. A ben vedere, però, i rifiuti presenti appartengono alla classe di pericolo H8, e pertanto smaltibile solamente in discarica per rifiuti speciali pericolosi. L'impianto di discarica che in Italia potrebbe accoglierlo è quello sito in regione Lombardia nel comune di Vergate in provincia di Varese. L'eventuale sito di destinazione citato dista da Brindisi, su mezzo gommato, circa 1000 chilometri. La movimentazione di enormi quantità di materie non consente di ridurre i tempi di realizzazione delle opere oltre certi limiti, per limitare il numero di viaggi/giorno da effettuare per smaltire i rifiuti e i terreni contaminati e per ripristinare i terreni smaltiti. In tale caso, solo per queste due operazioni, risultavano necessari 8+3=11 anni di lavori, a cui poi aggiungere gli anni per la bonifica delle acque di falda e delle eventuali sorgenti di contaminazione secondaria.
  L'intervento di messa in sicurezza approvato appare quello maggiormente sostenibile con impatti che complessivamente risultano limitati, reversibili e circoscritti alla durata della fase di realizzazione delle opere. Tale messa in sicurezza permanente, e non «tombamento», risulta realizzabile ed efficace in tempi decisamente inferiori (due anni, mentre per l'intervento di bo- nifica si parla di almeno dieci anni), consentendo anche l'isolamento delle sostanze cancerogene già prima della fine dei lavori. Il progetto si dovrà raccordare con l'intervento della Syndial che si occuperà della parte di confinamento relativa alle aree private. La gestione e il coordinamento dei due interventi durante l'esecuzione degli stessi, come indicato dal Protocollo Syndial – comune di Brindisi – regione Puglia, sarà effettuato da una struttura apposita («cabina di regia»), che, dovendo coordinare anche il progetto Sogesid, dovrà tenere conto anche delle osservazioni fatte dal consiglio superiore dei lavori pubblici.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale n. VIII/4215 del 28 febbraio 2007 la giunta della regione Lombardia ha promosso l'accordo di programma finalizzato alla realizzazione di un nuovo polo sanitario di ricerca e di didattica attraverso la localizzazione delle nuove sedi dell'Istituto nazionale neurologico «Carlo Besta» e dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano in un'area adiacente all'azienda ospedaliera Sacco;
   il 7 aprile 2009 regione Lombardia, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, comune di Milano, comune di Novate Milanese, fondazione IRCCS – istituto neurologico Carlo Besta, fondazione IRCCS – istituto nazionale dei tumori, azienda ospedaliera Sacco e università degli studi di Milano hanno sottoscritto l'accordo di programma finalizzato alla realizzazione della nuova città della salute e della ricerca in adiacenza all'ospedale Luigi Sacco di Milano;
   in data 20 dicembre 2011 l'assemblea dei consorziati ha deliberato lo scioglimento del consorzio Città della salute e della ricerca e nel collegio di vigilanza del 22 dicembre 2011 sono state evidenziate criticità legate alla localizzazione della città della salute e della ricerca nell'area di Vialba, ovvero alla necessità di realizzare nuovi interventi per il potenziamento dell'accessibilità pubblica e privata, per la protezione idrogeologica dell'area e per l'acquisizione delle aree di proprietà dell'INPS, implicando risorse aggiuntive rispetto a quanto già stanziato, pari a 80 milioni di euro e non oltremodo sostenibile dalla regione;
   nel collegio di vigilanza del 22 marzo 2012, sulla base delle risultanze degli incontri tecnici effettuati, finalizzati a verificare la possibilità di superare le criticità di cui al punto precedente, si è preso atto dell'impossibilità di realizzare la città della salute nell'attuale localizzazione di Vialba, concordando di risolvere l'accordo di programma sottoscritto nel 2009 relativamente all'ambito di localizzazione di Vialba e di approfondire nuove possibili localizzazioni alternative avanzate dalle amministrazioni locali quali, la piazza d'armi della caserma Perrucchetti di Milano proposta dal comune di Milano e le aree proposte dal comune di Sesto San Giovanni situate all'interno del progetto di riqualificazione delle aree dismesse dagli stabilimenti ex Falck;
   in data 28 maggio 2012 il sindaco del comune di Sesto ha trasmesso alla regione una lettera della Sesto Immobiliare spa (soggetto attuatore degli interventi previsti nel PII «Aree Ex Falck e Scalo Ferroviario), quale impegno unilaterale della società proprietaria dell'area a cedere gratuitamente le aree ove ubicare la città della salute all'interno delle aree già previste in cessione dal PII; a provvedere alla bonifica dei sedimi delle aree oggetto di cessione in tempo utile a consentire l'apertura del cantiere per la realizzazione della città della salute; ad assumere a proprio esclusivo carico tutti gli oneri correlati alle attività di implementazione progettuale del PII conseguenti alla scelta della regione Lombardia di allocare la città della salute nelle aree oggetto del PII; a valutare le potenziali sinergie tra le strutture private e le strutture pubbliche;
   in data 8 giugno 2007, è stato stipulato un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Lombardia e comune di Sesto San Giovanni finalizzato all'utilizzo dei fondi messi a disposizione con legge 18 novembre 1996, n. 582, pari a circa a 12.911.422,47 euro, per la realizzazione di interventi di riqualificazione ambientale delle aree incluse nel sito di interesse nazionale e nelle aree pubbliche del comune di Sesto San Giovanni (sito di interesse nazionale Sesto San Giovanni) – legge 23 dicembre 2000, n. 388 – perimetrazione sito: decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 31 agosto 2001. Le indagini di caratterizzazione hanno evidenziato una rilevante situazione di compromissione ambientale dovuta a un diffuso inquinamento dei suoli da metalli pesanti, PCB, diossina e composti organici, mentre in riferimento alle acque di falda sussiste uno stato di contaminazione da nitrati, metalli (cromo totale, cromo esavalente, alluminio, ferro, nichel, piombo), toluene, idrocarburi e composti organo clorurati (cloroformio, 1,1-dicloroetilene, 1,2-dicloropropano, 1, 1,2-tricloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene);
   in data 21 gennaio 2013 è stato redatto da infrastrutture Lombarde per conto della regione Lombardia il rapporto ambientale ai fini della valutazione ambientale strategica e si suppone sia stato trasmesso per l'approvazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione generale per le valutazioni ambientali;
   nel rapporto si evidenzia come l'area oggetto della valutazione ambientale strategica sia inserita totalmente nell'area definita come SIN;
   nel rapporto emerge che: la principale sorgente di rumore che influenza il clima acustico dell'area in cui sorgerà la CDSR è costituita dal traffico ferroviario della linea Milano-Chiasso e dal traffico veicolare lungo la nuova strada prevista dal PII Aree ex Falck che si sviluppa parallelamente alla ferrovia (via Acciaierie) e da via Gramsci. Il contributo principale all'emissione di CO, PTS, PM10, PM2.5 e NOx è dato dal trasporto su strada, mentre, per quanto riguarda gli NOx, è molto importante anche la produzione d'energia e trasformazione dei combustibili; i principali responsabili della formazione di SO2 in atmosfera, invece, sono il trattamento e smaltimento dei rifiuti e la combustione nell'industria Nel macrosettore del trattamento e smaltimento rifiuti, un contributo importante d'emissione di inquinanti è dato dall'incenerimento dei rifiuti; si evidenzia, in merito, l'esistenza sul territorio di Sesto San Giovanni di un impianto per la termovalorizzazione degli RSU finalizzato alla produzione di energia elettrica. La falda, sia superficiale che profonda, è interessata dalla rilevata presenza di alcuni composti alifaticiclorurati cancerogeni in concentrazioni superiori ai limiti di riferimento normativi peraltro spesso presenti in misura maggiore nelle stazioni di rilevamento, poste a monte dell'area in oggetto, e minore in quelle a valle della medesima. Per tale motivo nello Studio d'impatto ambientale redatto a corredo del PII considerato anche la quasi totale assenza nel terreno dell'area in oggetto dei composti rilevati nella falda, si afferma che la presenza dei suddetti composti nelle falde non sia da ascrivere alle attività svolte in passato sul sito, ma bensì sia attribuibile alla generale compromissione, nota da tempo, delle acque sotterranee del territorio di Sesto San Giovanni e, in generale, dell'area del milanese;
   la bonifica dell'area interessata dal PII in cui è insita l'area destinata alla costruzione della Città della salute sarà possibile in circa 6 anni;
   da vari articoli di stampa apparsi nel maggio/giugno 2013 (Il giorno 5 maggio 2013) si è potuto apprendere che: «Il Ministero dell'ambiente chiede una bonifica più radicale dei terreni ex industriali e dell'acqua di prima falda di Sesto San Giovanni. Ma i conti potrebbero non tornare: tanto da rimettere in discussione la sostenibilità dell'intero piano Falck (...);
   dopo una serie di consultazioni con gli interessati ed in particolare con l'amministratore delegato della società Sesto Immobiliare il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, ritiene di avere avuto tutte le assicurazioni possibili per procedere alla costruzione nell'area nel sito di interesse nazionale di Sesto San Giovanni e il 25 luglio intende procedere alla stesura dell'accordo di programma con le parti già citate tra cui si ricorda il Ministero della salute come parte in causa posto che le due fondazioni (istituto Besta ed Istituto Tumori) sono istituti di cura e ricerca (IRCCS) di diritto pubblico e in quanto tali debbono rispondere dei risultati ottenuti a fronte degli stanziamenti a loro erogati per la ricerca biomedica di base e finalizzata, nonché in quanto erogatore a suo tempo dei finanziamenti destinati dal decreto ministeriale del 7 luglio 2006 a beneficio dei due Istituti per complessivi 40 milioni –:
   se sia al corrente dei fatti sopracitati, se sia in grado di fornire un'evidenza effettiva dell'avvenuta opposizione alla procedura valutazione ambientale strategica in relazione a quanto evidenziato dall'esame del rapporto redatto dalla Regione Lombardia e quali misure intenda adottare per prevenire eventuali onerosità relative alle criticità sopravvenute. (4-01466)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in oggetto del 26 luglio 2013, si rappresenta quanto segue.
  In merito alle supposizioni avanzate dall'interrogante, non risultano istruttorie condotte da questa amministrazione, atteso che la normativa di cui all'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 demanda le competenze sulla prevista procedura di valutazione ambientale strategica alle regioni.
  In merito all'istruttoria del procedimento di bonifica delle aree del sito di interesse nazionale (SIN), invece questo Dicastero è l'Ente procedente ai sensi dell'articolo n. 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  A tal proposito, gli interventi di bonifica delle aree di proprietà della società Milanosesto SpA (già Sesto Immobiliare SpA) nel SIN Sesto San Giovanni ed individuate per la localizzazione della cosiddetta «Città della Salute e della Ricerca» sono integralmente a carico del citato soggetto privato.
  Detti interventi non rientrano tra quelli previsti e finanziati dall'accordo di programma dell'8 giugno 2007 per la riqualificazione ambientale delle aree pubbliche.
  Si segnala in particolare, che per la realizzazione della «Città della Salute e della Ricerca» sono stati autorizzati alla Milanosesto SpA i progetti di bonifica dei suoli delle aree ricomprese nel SIN con decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 363 del 13 dicembre 2013 e n. 77 del 23 aprile 2015.
  Inoltre, a presidio degli scavi di bonifica nel corso di realizzazione della «Città della Salute e della Ricerca» risulta attiva una barriera idraulica per la messa in sicurezza della falda.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   alcune regioni italiane, a fronte di una interpretazione in bonam partem della normativa sui rifiuti, si sono rese protagoniste di delibere e linee guida che consentono agli imprenditori agricoli che producono biogas (produzione incentivata dallo Stato italiano) di impiegare i residui della lavorazione («digestato») come fertilizzanti in agricoltura, ricevendo (a titolo oneroso) per la produzione di biogas anche rifiuti (FORSU, frazione umida dei rifiuti urbani, scarti della grande distribuzione e altri rifiuti urbani);
   la normativa vigente, le sentenze disponibili e la Commissione europea hanno univocamente ribadito che se gli scarti di produzione agricola e i reflui zootecnici impiegati per la produzione di biogas sono contaminati o mescolati a rifiuti (urbani e speciali non pericolosi), tutto il materiale prodotto, incluso il «digestato» è da considerarsi rifiuto e come tale trattato (escludendosi quindi, un utilizzo in agricoltura come fertilizzante);
   alcune province hanno autorizzato impianti di produzione di biogas a ricevere anche codici CER (Codici europei rifiuti) molto ampi e per differenti tipologie di rifiuti (addirittura la «spremitura» dell'umido urbano) e a impiegare il digestato spargendolo (o iniettandolo se liquido) nei terreni agricoli;
   la possibilità di ricevere rifiuti urbani e di aziende (speciali non pericolosi), trasforma l'impresa agricola in impresa che gestisce rifiuti e che ottiene maggiori profitti dalle attività di ricezione e «spandimento» nell'ambiente di rifiuti che non dalla produzione agricola. Si sta creando un effetto a catena molto pericoloso, poiché si tratta di attività molto redditizie che rischiano di trasformare le imprese agricole in aziende che dissimulano attività di gestione e smaltimento rifiuti;
   a riprova delle contrastanti, o comunque non sufficientemente chiare, normative sull'utilizzo del digestato, caso emblematico è rappresentato da quanto disposto dalla regione Lombardia con la delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, Linee guida per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), che al Capitolo 7.4. «Processi di biodigestione anaerobica» ha previsto una disciplina specifica volta a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo ad essi di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse costituite da rifiuti quali, ad esempio, i rifiuti biodegradabili di cucine e mense quali la FORSU – frazione organica dei rifiuti solidi urbani – avente codice CER 20 01 08 proveniente dalla raccolta differenziata (si veda, a riguardo, il Capitolo 7.4.2);
   se il Ministro interrogato al fine di prevenire regolamentazioni difformi su tutto il territorio nazionale, intenda porre in essere interventi, anche di carattere normativo affinché siano chiariti gli utilizzi consentiti del digestato, in relazione alla provenienza del materiale organico ivi presente, in adempimento dell'obbligo di cui al combinato disposto di cui all'articolo 183, comma 1, lettera ff) in tema di «digestato» e articolo 184-ter in tema di «cessazione della qualifica di rifiuto» (end of waste) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 affinché siano scongiurati impatti complessivi negativi sull'ambiente, o sulla salute umana. (4-07817)

  Risposta. — La Commissione europea, insieme agli Stati membri, ha avviato dal 2007 le attività per la predisposizione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per il compost e digestato. Dopo numerose riunioni e versioni di lavoro, il Joint Research Centre di Siviglia ha pubblicato a dicembre 2013 il documento «End of waste criteria for biodegradable waste subjected to biological treatment (compost and digestate). Technical proposal. Final Report».
  Tale documento avrebbe dovuto fornire la base scientifica per la fissazione dei criteri End of waste del compost e del digestato nonché per la revisione del regolamento europeo sui fertilizzanti, tuttavia detti criteri non sono mai stati fissati dalla Commissione europea.
  Nelle more dell'adozione a livello comunitario di apposita normativa sul tema, il Ministro ha sottolineato al Commissario europeo per l'ambiente Karmenu Vella, nell'ambito dei lavori per la revisione delle direttive comunitarie sui rifiuti, la necessità di provvedere all'adozione di criteri armonizzati per il compost e il digestato a livello europeo.
  Inoltre negli ultimi anni il Ministero dell'ambiente ha lavorato di concerto con il Ministero dell'agricoltura e gli altri ministeri interessati, alla revisione del decreto ministeriale 7 aprile 2006 «Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152».
  Si è quindi pervenuti alla formulazione di uno schema di decreto che, per la prima volta, norma l'utilizzo del digestato in agricoltura, favorevolmente licenziato nella seduta Conferenza Stato-regioni del 28 novembre 2014.
  Tale schema di decreto è stato quindi inoltrato alla Commissione europea per l'esame dei profili di legittimità rispetto alla normativa comunitaria. La Commissione europea, in data 12 marzo 2015, ha richiesto allo Stato italiano di fornire dei chiarimenti in particolare per quanto riguarda la coerenza dello schema decreto con l'articolo 5 (sottoprodotti) della direttiva quadro 2008/98/CE.
  Il Ministero dell'ambiente ha fornito, dopo una fase di concertazione con il Ministero dell'agricoltura, alla Commissione europea tutti i chiarimenti richiesti.
  Successivamente alle decisioni che assumerà la Commissione sul predetto schema di decreto, il Ministero attiverà tutte le ulteriori iniziative da intraprendere al fine di pervenire alla definizione di un quadro normativo coerente ed esaustivo della materia.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella valle del Sacco persistono i gravissimi problemi ambientali e di salute dei cittadini provocati dall'inquinamento del fiume Sacco; l'area della valle è caratterizzata dalla presenza di numerose attività industriali e lo smaltimento incontrollato dei residui chimici di lavorazione ha determinato un forte rischio ambientale causando la contaminazione delle acque e del suolo;
   gli oltre 25 mila abitanti del comune di Ceccano, comune tagliato in due dal fiume Sacco, oggi vivono al massimo questo degrado ambientale; infatti, per anni allevatori e agricoltori hanno avuto animali e piantagioni a ridosso del fiume e per anni gli abitanti di Ceccano hanno mangiato prodotti che avevano legami con l'acqua del fiume;
   i dati pubblicati dal dipartimento di epidemiologia Asl Roma nel 2008 testimonia il grande aumento di tumori nell'area. Nel 2005, nei campioni di latte provenienti da aziende di allevamento della valle del Sacco, sono stati rilevati livelli elevati di Beta-esaclorocicloesano (13-HCH) (una sostanza chimica derivante dalla produzione di pesticidi organoclorurati, sottoprodotto dell'insetticida lindano vietato in Italia nel 2001). Alla luce delle conoscenze epidemiologiche sugli effetti sulla salute dell'esposizione ambientale ad organoclorurati ed altre sostanze di natura tossica, tale studio ha avuto lo scopo di valutare la salute dei residenti nei comuni più vicini al polo industriale;
   l'esposizione al Beta-esaclorocicloesano, per un lungo periodo di tempo, può avere effetti su fegato, reni, sangue e apparato riproduttivo, inoltre si sospetta che può avere effetti cancerogeni. Nel 2006 è stato dichiarato «Stato di emergenza socio-economico-ambientale» per la Valle del Sacco. Dopo questa scoperta, tante persone sono state analizzate ed in base alla vicinanza, risultano possedere nel sangue valori di BetaHCH più o meno alti;
   oggi Ceccano è uno dei paesi con il più alto tasso di Tumori della regione Lazio ed ogni famiglia purtroppo viene toccata, direttamente o indirettamente, da questa bruttissima malattia. La mortalità per causa (1997-2000) ed i ricoveri ospedalieri per causa (1997-2000 e 2001-2004) nell'area sono stati confrontati con la frequenza degli stessi eventi avvenuti nella regione Lazio negli stessi periodi. Sono stati calcolati i Rapporti Standardizzati di Mortalità e Morbosità (SMR=osservati/attesi per 100) per uomini e donne e per causa (metodo indiretto) ed i relativi intervalli di confidenza al 95 per cento, utilizzando la popolazione della regione come riferimento;
   dai risultati dello studio del dipartimento di epidemiologia Asl Roma emerge un aumento del 21 per cento dei casi relativi alla mortalità per tumore e del 10 per cento rispetto a tutte le altre cause di morte: il che vuoi dire che le condizioni ambientali della valle del Sacco non sono certo favorevoli ad una vita salubre. In particolare si registra un eccesso di mortalità e di ricoveri per patologie tumorali, specie tra gli uomini per quanto riguarda il tumore polmonare, della pleura, e della vescica. Per le condizioni non tumorali, risultano in eccesso le persone ricoverate per i disturbi del sistema nervoso periferico, la patologia respiratoria di tipo asmatico specie nei bambini, e la patologia degli organi genitali femminili. I dati dei ricoveri sono impressionanti per i tumori in genere, 10 per cento in più, polmone 41 per cento, in più, pleura 400 per cento in più, prostata 67 per cento in più; vescica 47 per cento in più. Tra le donne nel periodo 1997-2000 è presente un eccesso statisticamente significativo di tumore della vescica (+ 86 per cento);
   ancora oggi il fiume Sacco spaventa in quanto, molto spesso, da esso provengono cattivi odori e sono visibili macchie di schiuma bianca a galla; eppure l'acqua del fiume è ancora utilizzata per irrigare, addirittura si costruiscono residence abitativi proprio lungo le rive del fiume;
   negli ultimi anni sono state fatte tante manifestazioni dai cittadini che chiedono l'attenzione del Governo sulla situazione della valle –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza intendano assumere iniziative urgenti dirette a dare risposte chiare ai cittadini sulla situazione ambientale e sanitaria della valle del fiume Sacco e sui livelli di contaminazione delle acque e del suolo;
   se, anche alla luce di quanto descritto in premessa, non ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per reinserire la Valle del Sacco tra i siti di interesse nazionale da bonificare. (4-06966)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali segnalate dagli interroganti, riguardanti il sito di interesse nazionale Valle del Sacco, si rappresenta quanto segue.
  Il SIN del bacino del fiume Sacco è stato inserito tra i siti di interesse nazionale da bonificare di competenza del Ministero dell'ambiente con la disposizione introdotta all'articolo 11-quaterdecies, comma 15 della legge n. 248 del 2005.
  L'area in questione è quella interessata dall'emergenza ambientale ricadente all'interno del territorio del bacino del fiume Sacco. Il sito è stato perimetrato con decreto ministeriale 4352 del 31 gennaio 2008.
  L'emergenza ambientale è scaturita dalla presenza di isomeri di esaclorocicloesano riscontrati nel latte di alcune aziende zootecniche e, successivamente, riscontrati nelle aree prospicienti l'argine fluviale del citato fiume. La contaminazione sarebbe dovuta alla percolazione dei suddetti agenti chimici situati nell'area del comune di Colleferro, occupata fino a trenta anni fa da un'industria chimica, dove sono stati rinvenuti fusti interrati e scarti di lavorazioni.
  Si evidenzia che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2005 è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel territorio del bacino del fiume Sacco e con successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 2005, n. 3441 è stato nominato un commissario per gli interventi urgenti finalizzati al superamento della fase dell'emergenza nel territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano della provincia di Roma, e dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino della provincia di Frosinone.
  Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, il Ministero dell'ambiente ha comunicato alla regione Lazio di aver effettuato la necessaria ricognizione «attraverso la quale è stato accertato che il SIN “Bacino del Fiume Sacco” e “Frosinone” non presentano tutti i requisiti (attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie) di cui al comma 2 dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificato dall'articolo 36-bis della legge n. 134 del 2012».
  Il decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013 non ha limitato la necessità di procedere alla bonifica all'interno dei siti, ma ha trasferito alla regione Lazio, che subentra nella titolarità dei procedimenti, le risorse finanziarie, la competenza per le necessarie operazioni di verifica nonché l'eventuale bonifica all'interno del sito.
  Con Sentenza n. 7586 del 17 luglio 2014, il TAR Lazio ha annullato il decreto ministeriale ambiente Prot. n. 0000007 dell'11 gennaio 2013 nella parte che escludeva dai siti d'interesse nazionale la Valle del Sacco. Pertanto, a partire da quella data, la titolarità del procedimento veniva assegnata al Ministero dell'ambiente. Avverso tale sentenza è stato proposto gravame al Consiglio di Stato.
  Nel frattempo è stata avviata l'istruttoria per individuare il perimetro del sito d'interesse nazionale in coerenza con quanto previsto dall'articolo n. 36-bis comma 3 della legge n. 134 del 2012.
  In merito si sono svolte le seguenti riunioni istruttorie con la regione Lazio, ARPA Lazio e i comuni interessati:
   riunione tecnica in data 8 settembre 2014 nel corso della quale è stata richiesta alla regione Lazio una proposta di perimetrazione del sito d'interesse nazionale;
   riunione tecnica in data 25 novembre 2014 nel corso della quale la regione Lazio è stata sollecitata a trasmettere la proposta di perimetrazione richiesta durante la riunione dell'8 settembre 2014;
   conferenza di servizi istruttoria in data 19 gennaio 2015 finalizzata ad esaminare la proposta di perimetrazione trasmessa dalla regione Lazio. All'esito sono state richieste alcune integrazione al documento esaminato ed è stata fissata alla data del 12 febbraio 2015 una nuova conferenza di servizi;
   conferenza di servizi istruttoria del 12 febbraio 2015 che ha analizzato le richieste pervenute da parte dei comuni che hanno segnalato alcune situazioni di criticità. In merito la conferenza di servizi, in considerazione delle problematiche rappresentate nella documentazione acquisita dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte dei comuni, ha individuato alcune delle criticità segnalate da inserire, previa verifica da parte della regione Lazio, nella perimetrazione del SIN.
   in ultimo conferenza di servizi istruttoria del 10 luglio 2015 che ha esaminato una nuova proposta di perimetrazione che tiene conto degli esiti delle suddette conferenze di servizi e riunioni tecniche tenutesi sulla tematica in questione nonché di alcune osservazioni fornite dalla direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (nota prot. n. 7554/STA del 29 maggio 2015). La proposta è stata ritenuta condivisibile e sono stati chiesti ulteriori approfondimenti/integrazioni che saranno discussi/e durante la prossima conferenza di servizi fissata per il 10 settembre 2015.

  Successivamente, all'approvazione del perimetro si procederà ad un aggiornamento dello stato delle attività di bonifica condotte dai precedenti titolari del procedimento nonché all'attivazione di tutte le necessarie misure non ancora attuate e necessarie alla bonifica delle matrici ambientali impattate.
  Allo stato attuale, il Ministero dell'ambiente non dispone di alcun elemento circa la presenza di «schiuma bianca» nelle acque del fiume Sacco.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da anni Legambiente conduce la campagna «Goletta Verde» dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane, analizzando quasi 7 mila e 500 chilometri di costa;
   dagli esami effettuati emerge che sui 24 punti monitorati ben 19 casi – in pratica 1'80 per cento del totale risultano «fortemente inquinati», giudizio che indica una carica batterica almeno due volte più alta di quella consentita dalla legge (decreto legislativo n. 116 del 2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010);
   l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia (procedura n. 2014/2059 del 31 marzo 2014) all'inizio della stagione balneare per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271 CE);
   per la Basilicata i dati negativi sono stati registrati alle foci dei fiumi Basento a Metaponto; del canale della Bufaloria a Scanzano Jonico e del fiume Sinni, a Policoro;
   considerando che la rete di depurazione regionale arriva a coprire solo il 74 per cento del territorio, la Basilicata è al quartultimo posto nella classifica delle regioni italiane per capacità di servizi di depurazione e fognatura (Mare Monstrum 2009);
   nel metapontino il rischio di inquinamento è ancora troppo alto, soprattutto a causa delle acque di fogna (scarico oppure di un'inefficiente depurazione) che vengono scaricate in mare e nei fiumi senza essere opportunamente depurate per malfunzionamenti dei depuratori stessi o scarichi abusivi –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza intenda assumere perché siano risolte le problematiche della raccolta e del trattamento degli scarichi civili, e per assicurare la reale tutela dell'ambiente anche al fine di evitare possibili procedure di infrazione dell'Unione europea. (4-07018)

  Risposta. — Le situazioni di criticità relative ai sistemi di raccolta e trattamento reflui a servizio degli agglomerati aventi carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti sull'intero territorio nazionale, hanno determinato l'avvio, da parte della Commissione europea, della procedura d'infrazione n. 2014/2059; procedura per la quale il 26 marzo 2015 i servizi tecnici della commissione hanno emesso un parere motivato.
  Nello specifico tale procedura riguarda anche la regione Basilicata per 40 agglomerati.
  La procedura in argomento inizia nel 2011 con il caso Eu Pilot 1976/ENVI/11.
  Per risolvere tale contenzioso il Ministero dell'ambiente, in collaborazione con il dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del MISE (oggi agenzia per la coesione territoriale) e le regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia), ha avviato già nel 2012 una ricognizione atta all'accertamento degli interventi prioritari ed urgenti in grado di risolvere, per ciascun agglomerato, la criticità che ha generato l'avvio del contenzioso.
  Detta ricognizione ha portato, con la delibera CIPE n. 60 del 2012 del 30 aprile 2012 (G.U. del 7 luglio 2012), all'assegnazione di risorse per la regione Basilicata pari a 32.200.000 euro per finanziare 11 interventi relativi a 16 agglomerati: Irsina, Grassano, Sarconi, Latronico Centro, Cancellare Ripacandida, Palazzo San Gervasio, Senise, Venosa, Melfi, Materra Sarra, Matera Pantano, Matera Lamione, Lavello, Pisticci e Tramutola.
  Nel 2013 si è proceduto alla sottoscrizione di uno specifico accordo di programma quadro (APQ) rafforzato e alla costituzione, nell'ambito della direzione STA (ex TRI) di questo Ministero, di un'unità tecnica specifica (UTS) che svolge, così come previsto dalla stessa delibera CIPE sopra citata, nei confronti degli enti attuatori un'azione di sistema di assistenza tecnica finalizzata alla verifica di efficacia, nel superamento delle procedure d'infrazione, ed efficienza, in termini di tempo e di costi di realizzazione, dei progetti posti a base di gara, nonché al monitoraggio di realizzazione degli interventi stessi.
  Ad oggi la regione Basilicata ha presentato 11 progetti e gli stessi sono stati verificati dall'UTS.
  Con l'emanazione del recente decreto- legge n. 133 del 12 settembre 2014, convertito con legge, n. 164 del 11 novembre 2014, il Governo Italiano ha adottato «Misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idrogeologico».
  In particolare il comma 7 dell'articolo 7 del citato decreto-legge prevede espressamente la possibilità di attivare, entro il 15 settembre 2015, la procedura di esercizio del potere sostitutivo del Governo, anche con la nomina di appositi commissari straordinari, «al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione oggetto di procedura di infrazione o di provvedimento di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane».
  Secondo quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), assegna all'ente coinvolto (regione, comune, ATO, ente gestore...), un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine il Consiglio dei Ministri adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito, commissario.
  Per individuare le situazioni che richiedono l'attivazione di tale strumento normativo il Ministero dell'ambiente ha ulteriormente intensificato la propria azione di verifica e monitoraggio sulla progettazione e realizzazione degli interventi stessi.
  L'istruttoria condotta in tal senso ha, ad oggi, portato per la regione Basilicata ad una proposta di diffida inviata da questo dicastero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per i seguenti agglomerati: Grassano, Irsina, Latronico, Marsico Vetere, Matera, Pisticci per complessivi 8 interventi.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 257 del 27 marzo 1992, l'Italia ha messo al bando l'amianto vietando l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto. Previa autorizzazione espressa d'intesa fra i Ministri dell'ambiente, del lavoro e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti per una quantità massima di 800 chilogrammi per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili;
   l'amianto è una sostanza particolarmente cancerogena perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
   in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
   secondo quanto si apprende da organi di stampa, l'Italia ha importato nel 2012 ingenti quantità di amianto dall'India, addirittura come maggiore importatore con 1.040 tonnellate. Il dato è stato anche confermato dall'Agenzia delle dogane;
   il materiale, 1.040 tonnellate nel biennio 2011-2012, sarebbe finito in una decina di imprese sparse in tutto il territorio nazionale, e trasformato o impiegato nella produzione di vari manufatti: lastre di fibracemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di autoveicoli. L'Agenzia delle dogane, interpellata dalla procura, non solo ha confermato l'ingresso dell'asbesto nel territorio nazionale ma ha anche aggiunto che le importazioni sono continuate anche nel 2014;
   il caso è stato segnalato alla procura di Torino grazie ad un bollettino ufficiale pubblicato dal Governo indiano, in particolare dall'ufficio centrale del Ministero delle risorse minerarie dal titolo: «Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release». In questo report ufficiale sono elencati le quantità estratte di asbesto con le relative destinazioni finali, dove l'Italia è indicata come principale partner commerciale;
   delle 1.296 tonnellate di amianto esportate tra il 2011 e il 2012, la maggior parte è finita proprio nel nostro Paese. Al secondo posto c’è il Nepal, con 124 tonnellate e al terzo la Nigeria con 38 poi il Kenya, con 28 e il Ghana, con 15. L'India, stando alla relazione, è uno dei paradisi mondiali dell'asbesto, che fa largo uso del materiale. Solo fra il 2011 e il 2012 ne ha importato per un totale di 365 mila tonnellate in prevalenza dalla Russia (51 per cento) ma anche dal Kazakhstan (18 per cento) dal Brasile (13 per cento) e dal Canada (7 per cento) –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere al fine di fare chiarezza sulla vicenda e accertare eventuali autorizzazioni da parte del Governo in passato in quanto le ditte in questione devono disporre di qualche deroga.
(4-07516)

  Risposta. — In ordine alla problematica richiamata dall'interrogante, si riferisce innanzitutto che il Ministero della salute, dopo aver acquisito il testo della 51a relazione annuale sui minerali del competente Ministero del Governo Indiano, attestante avvenute esportazioni di amianto verso l'Italia, aveva formulato una richiesta di chiarimenti indirizzata all'ambasciata indiana in data 8 gennaio 2015, per ottenere conferma della consistenza e dell'origine dei dati.
  Contemporaneamente, lo stesso dicastero aveva preso contatti con l'agenzia delle Dogane e dei Monopoli che, riferita la concomitanza dell'interessamento della procura della Repubblica di Torino, aveva prontamente provveduto a fornire elementi sulle indagini avviate, nell'attesa di ulteriori approfondimenti.
  La direzione centrale antifrode e controlli della predetta agenzia ha, quindi, fornito i seguenti dati riferiti alle diverse categorie merceologiche interessate, per l'arco temporale 2011-2014.

Importazioni di amianto e prodotti contenenti Amianto – Quantità (chilogrammi per anno):
  Tipologia di merce:
   2524 – amianto (asbesto): 2011 (–), 2012 (–), 2013 (–), 2014 (–);

   681140 – Lavori di amianto-cemento, cellulosa-cemento o simili contenenti amianto: 2011 (760), 2012 (–), 2013 (5), 2014 (2.120);
   6812 – Amianto (asbesto) lavorato: 2011 (28.954), 2012 (537), 2013 (540), 2014 (484);
   6813 – Guarnizioni di frizione contenenti amianto: 2011 (437), 2012 (–), 2013 (40), 2014 (–);
  Totale complessivo: 2011 (30.151), 2012 (537), 2013 (585), 2014 (2.604).

  Dal 2011 al 2014 non risultano importazioni di amianto (asbesto), ma solo di prodotti contenenti amianto (voci 681140 e 6813) e amianto (asbesto) lavorato (voce 6812), per un totale di quasi 34 tonnellate per l'intero periodo considerato.
  I maggiori quantitativi sono stati importati nel 2011 e sono diminuiti in modo significativo negli anni successivi.
  In particolare, come risulta dalla lettura della tabella sotto riportata – che suddivide le importazioni per paesi d'origine, si evidenzia che dall'India sono stati importati solo 2 chilogrammi di amianto (asbesto) lavorato (voce 6812), di cui un chilogrammo nel 2012 e l'altro nel 2013, mentre dagli Stati Uniti è stato importato lo stesso prodotto per un totale di quasi 22 tonnellate nel 2011, con una progressiva diminuzione negli anni successivi, sino a ridursi a 9 chilogrammi nel 2014.

Importazioni di amianto e prodotti contenenti Amianto suddivise per paese di origine della merce – Quantità (chilogrammi per anno):
  Tipologia di merce:
   681140 – Lavori di amianto-cemento, cellulosa-cemento o simili contenenti amianto:

    Paese di Origine:
     IN-India: 2011 (–), 2012 (–), 2013 (–), 2014 (–);

     US-Stati Uniti: 2011 (–), 2012 (–), 2013 (–), 2014 (–);
     Altri Paesi: 2011 (760), 2012 (–), 2013 (5), 2014 (2.120);
  Tipologia di merce:
   6812 – Amianto (asbesto) lavorato:

    Paese di Origine:
     IN-India: 2011 (–), 2012 (1), 2013 (1), 2014 (–);

     US-Stati Uniti: 2011 (21.938), 2012 (53), 2013 (17), 2014 (9);
     Altri Paesi: 2011 (7.016), 2012 (483), 2013 (522), 2014 (474);
  Tipologia di merce:
   6813 – Guarnizioni di frizione contenenti amianto:

    Paese di Origine:
     IN-India: 2011 (–), 2012 (–), 2013 (–), 2014 (–);

     US-Stati Uniti: 2011 (–), 2012 (–), 2013 (–), 2014 (–);
     Altri Paesi: 2011 (437), 2012 (–), 2013 (40), 2014 (–);

  Totale complessivo: 2011 (30.151), 2012 (537), 2013 (585), 2014 (2.604).

Fonte: Elaborazione su dati Cognos – Banca dati dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

  Il Ministero della salute ha riferito, altresì, in occasione della istruttoria svolta da questo dicastero, di non aver ricevuto alcuna risposta da parte dell'ambasciata indiana e che, ritenendo tuttavia necessaria una maggiore attenzione al fenomeno illegale delle importazioni, evidenziato dalle prime indagini, ha provveduto nello scorso mese di giugno a richiedere ulteriori elementi di verifica al comando carabinieri nuclei antisofisticazione e sanità e alla stessa agenzia delle dogane e dei monopoli, rimanendo tuttora in attesa degli esiti dell'aggiornamento.
  La stessa agenzia delle dogane, appositamente interpellata, ha fatto presente di non poter fornire ulteriori e dettagliate notizie in merito all'argomento, essendo tutt'ora in corso le indagini condotte dalla procura della Repubblica di Torino, coperte da segreto istruttorio.
  Il Ministero della giustizia ha confermato, peraltro, che presso la procura della Repubblica di Torino sono in corso indagini preliminari per l'ipotesi di reato di cui agli articoli 1, comma 2, e 15 della legge n. 257 del 1992, volte alla identificazione degli autori di importazioni in Italia di amianto; il segreto investigativo non consente di acquisire, tuttavia, alcuna ulteriore informazione sullo stato del predetto procedimento.
  In attesa di conoscere gli sviluppi della vicenda giudiziaria, considerata la gravità della fattispecie qualora venisse confermata l'introduzione illegale nel territorio nazionale di amianto o di prodotti che lo contengono, si assicura che sarà particolare cura del Governo svolgere tutti i necessari accertamenti e approfondimenti per perseguirne i responsabili ed evitare, per il futuro, il ripetersi del fenomeno.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 prevede al comma 1: «fatto salvo quanto previsto al comma 1-bis, in ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti: a) almeno il trentacinque per cento entro il 31 dicembre 2006; b) almeno il quarantacinque per cento entro il 31 dicembre 2008; c) almeno il sessantacinque per cento entro il 31 dicembre 2012.»;
   l'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 prevede al comma 1-bis: «nel caso in cui, dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico, non sia realizzabile raggiungere gli obiettivi di cui al comma 1, il comune può richiedere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una deroga al rispetto degli obblighi di cui al medesimo comma 1. Verificata la sussistenza dei requisiti stabiliti al primo periodo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare la predetta deroga, previa stipula senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica di un accordo di programma tra Ministero, regione ed enti locali interessati, che stabilisca: a) le modalità attraverso le quali il comune richiedente intende conseguire gli obiettivi di cui all'articolo 181, comma 1. Le predette modalità possono consistere in compensazioni con gli obiettivi raggiunti in altri comuni; b) la destinazione a recupero di energia della quota di rifiuti indifferenziati che residua dalla raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati, qualora non destinati al recupero di materia; c) la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, da destinare al riciclo, che il comune richiedente si obbliga ad effettuare. 1-ter. L'accordo di programma di cui al comma precedente può stabilire obblighi, in linea con le disposizioni vigenti, per il comune richiedente finalizzati al perseguimento delle finalità di cui alla parte quarta, titolo I, del presente decreto nonché stabilire modalità di accertamento dell'adempimento degli obblighi assunti nell'ambito dell'accordo di programma e prevedere una disciplina per l'eventuale inadempimento. I piani regionali si conformano a quanto previsto dagli accordi di programma di cui al presente articolo»;
   la sentenza n.83 del 27 maggio 2013 della Corte dei conti della regione Liguria, relativa al comune di Recco e concernente l'aggravio di costi dovuti allo smaltimento in discarica, ha condannato gli amministratori locali per non aver raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dall'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 –:
   quante deroghe, ai sensi dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 comma 1-bis, siano state concesse negli ultimi cinque anni ai comuni richiedenti;
   quali siano i comuni che, ad oggi, usufruiscono della deroga di cui al comma 1-bis dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006;
   se i comuni che hanno ottenuto la deroga, ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006, hanno raggiunto gli obiettivi dell'accordo di programma stipulato tra Ministero, regione ed enti locali interessati. (4-09105)

  Risposta. — Con riferimento alle previsioni del comma 1 dell'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si rappresenta che, ad oggi, sono pervenute al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, 74 richieste di deroga (n. 2 nel 2015, n. 12 nel 2014, n. 19 nel 2013 e n. 41 nel 2012).
  A fronte di tali richieste il Ministero dell'ambiente non ha concesso alcuna deroga.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, MICILLO, BUSTO, VIGNAROLI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 4 riporta «gli impianti di nuova realizzazione devono essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell'allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 5 riporta «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti esistenti, le autorità competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguando in tal senso le autorizzazioni integrate ambientali»;
   ai sensi dell'articolo 38, paragrafo 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE, è possibile prendere in considerazione, ai fini del calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento, le condizioni climatiche locali come, ad esempio la rigidità del clima e il bisogno di riscaldamento, nella misura in cui influenzano i quantitativi di energia che possono essere tecnicamente usati o prodotti sotto forma di energia elettrica, termica, raffreddamento o vapore;
   le misure previste all'articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/Ce possono essere adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 39, paragrafo 2 della stessa direttiva;
   come dimostrato dallo studio di CEWEP (Confederation of european waste to energy plants) del marzo 2009, gli impianti di incenerimento situati in paesi con climi caldi presentano dei rendimenti energetici più bassi rispetto a quelli situati in aree più fredde a causa delle diverse condizioni climatiche;
   la Commissione europea ha dato incarico ad ESWET (European Suppliers of Waste to Energy Technology) di redigere un documento di proposta in merito alla necessita di adottare fattori climatici correttivi;
   nel documento «Energy recovery Efficiency Municipal Solid Waste to Energy plants in relation to local climate conditions» che ESWET ha redatto nel maggio 2012, e che è stato presentato e discusso dagli Stati membri dell'Unione europea durante la riunione del TAC del 9 luglio 2012, viene dimostrato che esistono, nei vari Paesi dell'Unione europea, notevoli differenze nel raggiungimento dei valori di efficienza energetica per gli impianti di incenerimento dovute alle condizioni climatiche che influiscono sulla produzione di energia elettrica e sulla domanda di calore;
   la Commissione (Europea nel 2013 non aveva ancora adottato misure relative al fattore di correzione climatico, determinando una disparità ed uno svantaggio per i paesi con un clima più caldo come dimostrato dai citati studi; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute ed il Ministero della sviluppo economico, ha emanato, il 7 agosto 2013, il decreto ministeriale recante «Applicazione della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche»;
   nel decreto ministeriale del 7 agosto 2013 sono stati introdotti fattori di correzione individuati e proposti nello studio di ESWET, ed in particolare l'opzione B della stesso studio, che prevede la compensazione sia per la quota di energia elettrica che per la quota di energia termica prodotte;
   la Commissione europea ha presentato alla riunione del TAC del 17 novembre 2014, un progetto di direttiva della Commissione europea relativo all'introduzione di un fattore climatico di correzione per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento dei solidi urbani (cosiddetta formula R1), di cui all'allegato II della direttiva 2008/98/CE;
   nella riunione del 17 novembre 2014, il TAC ha espresso parere positivo sui progetto di direttiva della Commissione europea approvando la proposta che prevede per il fattore climatico correttivo della formula R1 le seguenti due condizioni: 1. fattore climatico massimo pari a 1,25 per gli impianti operativi e autorizzati entro il 1° settembre 2015; 2. fattore climatico massimo pari a 1,12 per gli impianti autorizzati dopo il 31 agosto 2015 e per gli impianti di cui al punto 1 dopo il 31 dicembre 2029;
   in tale progetto di direttiva sono stati individuati fattori climatici di correzione diversi da quelli adottati dal decreto ministeriale del 7 agosto 2013 che prevede un fattore di correzione pari a 1,382;
   la Commissione europea ha aperto la procedura EU-PILOT 5714/13/ENVI in relazione al decreto ministeriale del 7 agosto 2013 «Applicazione della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche» che modifica la formula stabilita dall'Allegato II della Direttiva 2008/98/CE;
   la Commissione europea ha richiesto, quindi, a seguito del parere positivo del TAC sul progetto di direttiva della Commissione europea, di modificare prontamente il decreto ministeriale del 7 agosto 2013 –:
   se ed eventualmente quando sarà adottato un nuovo decreto ministeriale che recepisca la modifica della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche così come stabilito dall'Allegato II della direttiva 2008/98/CE;
   se per gli impianti esistenti – come previsto dal comma 5 dell'articolo 35 del decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – le autorità competenti provvederanno a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1, attenendosi a quanto disposto dal decreto ministeriale del 7 agosto 2013 o a quanto stabilito dall'Allegato II della Direttiva 2008/98/CE così come modificata per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche. (4-09555)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, si rappresenta come, a seguito dell'apertura della procedura EU-PILOT 5714/13/ENVI, in relazione al decreto ministeriale del 7 agosto 2013, il Ministero dell'ambiente ha immediatamente predisposto uno schema di decreto atto a recepire i nuovi valori di correzione climatica fissati in sede comunitaria.
  Tale schema, dopo aver acquisito l'assenso delle altre Amministrazioni concertanti, il 2 aprile 2015 è stato inoltrato alla conferenza unificata.
  Il successivo 12 maggio si è tenuta la riunione tecnica della conferenza unificata, nel corso della quale le regioni e l'ANCI hanno richiesto alcune modifiche non sostanziali che sono state rapidamente apportate allo schema di decreto. L'assenso definitivo sullo schema di decreto è stato infine reso nella seduta del 18 giugno 2015.
  Il provvedimento ha quindi seguito il suo
iter e se ne prevede la pubblicazione dopo l'estate.
  Per quanto riguarda l'adeguamento delle autorizzazioni in essere da parte delle autorità competenti con le informazioni relative alla qualifica degli impianti di incenerimento come R1, si sottolinea come durante la Conferenza Stato-regioni del 20 marzo 2015 – relativa all'esame dello schema di decreto
ex articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, in materia di incenerimento dei rifiuti – la competente struttura ministeriale aveva rappresentato alle amministrazioni regionali la necessità di provvedere all'adeguamento disposto dal successivo comma 5, stesso articolo e decreto, sulla base dei valori contenuti nella proposta di direttiva della commissione e nello schema di decreto di modifica del decreto ministeriale 7 agosto 2013.
  Alla data odierna risulta che le amministrazioni regionali stiano procedendo ad adeguare le autorizzazioni in coerenza con i nuovi valori di correzione climatica contenuti nello schema di decreto – di cui si è riferito – che recepisce i contenuti della direttiva della Commissione 2015/1127.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale ha stabilito, con sentenza n. 81 del 2015 depositata il 15 maggio 2015, «l'illegittimità costituzionale» di una legge della Regione Abruzzo approvata in regime di prorogatio;
   la Corte costituzionale ha stabilito, nella riferita sentenza, che tutte le leggi approvate che esorbitano dai limiti della «ordinaria amministrazione», o dalla categoria degli «atti urgenti dovuti», sono nulle perché violano l'articolo 123 della Costituzione, prima comma, secondo cui «ciascuna regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento»;
   secondo quanto si legge nel dispositivo della sentenza in parola, «l'istituto della prorogatio riguarda, in termini generali, fattispecie in cui “coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all'insediamento dei successori” (sentenza n. 208 del 1992; nello stesso senso, sentenza n. 64 del 2015). Questa Corte ha poi chiarito, con specifico riferimento agli organi elettivi, e segnatamente ai Consigli regionali, che «[l]’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga (cfr., rispettivamente, articolo 61, secondo comma, e articolo 60, secondo comma, della Costituzione, per quanto riguarda le Camere), non incide [...] sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l'esercizio dei poteri nell'intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l'entrata in carica del nuovo organo eletto» (sentenza n. 196 del 2003; nello stesso senso, sentenze n. 44 del 2015 e n. 181 del 2014)»;
   nel dispositivo summenzionato, la Corte ricorda anche altre sentenze in cui già era stato ribadito «il proprio costante orientamento», secondo il quale in questa fase, i Consigli regionali «dispongono di poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza» (sentenza n. 468 del 1991), pertanto, in mancanza di esplicite indicazioni contenute negli statuti, devono limitarsi al «solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili». Essi, inoltre, devono «comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori» (sentenza n. 68 del 2010);
   la Consulta specifica dunque che, nonostante «la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni [...] sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione», comunque gli statuti «dovranno essere in armonia con i precetti e con princìpi tutti ricavabili dalla Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003, sentenza n. 304 del 2002);
   a scanso di equivoci, nel dispositivo si specifica che, nella fattispecie, mancherebbe anche il requisito della necessità e dell'urgenza «che legittima il consiglio regionale a esercitare i propri poteri in regime di prorogatio». Tale requisito, tuttavia, «evoca l'esigenza che l'intervento normativo sia adottato nell'immediatezza della grave situazione alla quale esso intende porre rimedio, perché diversamente verrebbero travalicati i limiti connaturati all'istituto della prorogatio, che implicano non soltanto la gravità della situazione che forma oggetto dell'intervento, ma anche la sua improcrastinabilità». È illegittima – per contrasto con il già ricordato articolo 123 – pertanto la riforma della legge elettorale;
   come scrive il giornalista Paolo Pollichieni su Il Corriere della Calabria, «le censure mosse alla regione Abruzzo [...] sarebbero esattamente sovrapponibili alla situazione registratasi in Calabria, laddove il consiglio regionale uscente, guidato dall'ineffabile presidente Franco Talarico, ha modificato la legge elettorale e legiferato su materie che erano tutt'altro che «urgenti» o «indifferibili»;
   già nell'ordinanza del Tar Calabria, sezione di Catanzaro, n. 519 del 20 marzo 2015, che ha disposto «l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale», si giunge peraltro alla medesima conclusione;
   a riguardo si legge, nella ricordata ordinanza del Tar, che «il “dubbio” sulla costituzionalità» della legge elettorale della regione Calabria (n. 19 del 12 settembre 2014) sorge innanzitutto «con riguardo all'articolo 123 della Costituzione, interpretato nel senso che, nel periodo di prorogatio di un organo legislativo – quale il Consiglio regionale sciolto per effetto delle dimissioni del Presidente della Regione – tale organo sia titolare unicamente «delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili» (sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2010), essendo connaturale a tale istituto proprio la limitazione dei poteri degli organi regionali, anche laddove non espressamente previsti dallo Statuto regionale; attribuzioni limitate in forza della deminutio della rappresentatività politica dell'organo legislativo “in scadenza” e tra le quali non può intendersi ricompresa l'adozione di una legge elettorale»;
   oltretutto, la nuova legge elettorale della Calabria ha colpito fortemente la democrazia, in quanto a rappresentatività –:
   per quali ragioni, anche alla luce di quanto stabilito dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 81 del 2015, il Governo non abbia ritenuto di impugnare la legge regionale 12 settembre 2014, n. 19, della regione Calabria. (4-09261)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo indicato oggetto, si rappresenta quanto segue.
  La legge regionale n. 8 del 2014 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1 norme per l'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale), intervenuta in materia di sistema di elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione è stata impugnata dal Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 10 luglio 2014.
  È stata sollevata questione di legittimità in merito all'articolo 1, comma 1, lettera
e), che sostituisce il comma 3 dell'articolo 1 della legge regionale n. 1 del 2005 e all'articolo 4, comma 1, lettera e), che modifica la lettera e), del comma 1, dell'articolo 4 della legge regionale n. 1 del 2005 concernenti rispettivamente la soglia di sbarramento del 15 per cento per il riparto dei seggi e l'eventualità che, per mezzo del doppio premio di maggioranza si superi la soglia dei 30 componenti del Consiglio regionale, che costituisce il limite massimo di consiglieri possibile per le regioni come la Calabria con popolazione fino a due milioni di abitanti fissato dall'articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011.
  Con la legge regionale n. 19 del 2014, la regione Calabria, al fine di dirimere il contenzioso con il Governo, in vista delle elezioni regionali, ha inteso modificare la legge regionale n. 1 del 2005 (norme per l'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale), come modificata dalla citata legge regionale n. 8 del 2014 impugnata dal Governo (L'articolo 1 della legge regionale n. 8 del 2014 che modifica l'articolo 1 della legge regionale n. 1 del 2005, riduce il numero dei consiglieri regionali da 50 a 30, oltre il Presidente della Giunta regionale, nel rispetto del decreto-legge n. 138 del 2011; viene riformulata la ripartizione delle circoscrizioni elettorali e viene innalzata la soglia di sbarramento delle liste regionali al 15 per cento). La regione, quindi, ha inteso adeguarsi ai rilievi formulati dal Governo in merito alla legge regionale n. 8 del 2014, ripristinando le percentuali dello sbarramento e dei seggi attribuiti quale premio di maggioranza alle soglie esistenti prima delle modifiche introdotte dalla legge impugnata, ad eccezione della soglia di sbarramento relativa alle coalizioni che viene ridotta dal 15 per cento all'8 per cento.
  Inoltre, la riscrittura del comma 3 dell'articolo 1 della legge elettorale regionale n. 1 del 2005 comporta anche il venir meno dei dubbi sollevati in merito all'interpretazione del concetto di «coalizione».
  La citata legge regionale della Calabria n. 19 del 2014 è stata assentita dal Governo nella riunione del Consiglio dei Ministri del 19 settembre 2014, (anche sulla base del parere favorevole del Ministero dell'interno). Ciò in quanto si è ritenuto necessario e urgente ripristinare le percentuali dello sbarramento e dei seggi attribuiti quale premio di maggioranza, alle soglie esistenti prima delle modifiche introdotte dalla legge impugnata, in difesa del principio di eguaglianza del voto sancito dall'articolo 48, secondo comma, della Costituzione ed altresì di quelli di uguaglianza dei cittadini e di accesso alle cariche elettive in condizioni di parità, di cui agli articoli 3 e 51 della Costituzione, nonché del principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 117, comma 3, della Costituzione di cui è espressione il decreto-legge n. 138 del 2011, che prevede il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta regionale, pari a 30 per le regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomieGianclaudio Bressa.


   NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Magliano e Sovana in Toscana, patrimoni storici ed archeologici italiani hanno subito ripetuti danneggiamenti in questi ultimi anni a seguito del maltempo;
   a Magliano nella notte del 15 dicembre u.s. sono crollate circa 25 metri di fortificazioni. Il muro di cinta si è sgretolato, i massi sono precipitati sulla strada sottostante;
   il tratto crollato aveva ceduto nel 2013 inclinandosi di 45 gradi. La zona era stata transennata in attesa di interventi di consolidamento;
   il comune è stato costretto a ricorrere a un escavatore privato che è entrato nel centro storico per cercare di mettere in sicurezza l'abitato e proteggerlo dallo stesso rischio di cedimento delle mura;
   Magliano oggi è un paese in emergenza, messo in ginocchio dalla pioggia che, questa volta non ha inflitto danni alle persone ma ha colpito al cuore il patrimonio storico del paese;
   come e il territorio mancianese o la zona sud della Maremma, a ottobre 2014 anche il comune di Sorano ha dovuto soccombere ai colpi del maltempo. Ammonta a 570 mila euro la stima dei danni accertati al territorio su strade, ponti e al patrimonio archeologico;
   parte del parco archeologico di Sovana è ancora inagibile per l'alluvione dello scorso ottobre: 250 mila euro di danni, una zona ancora «off limits»;
   l'alluvione del novembre 2012 ha riguardato la prima parte del fosso Calesine (torrente che scorre in prossimità del parco archeologico), ovvero il tratto a monte l'alluvione del 2014 ha riguardato invece il tratto a valle del fosso, quindi ha portato via i due ponticelli di accesso all'area archeologica che conducono alla tomba della Sirena e alla via cava di San Sebastiano che sono due gioielli assoluti e di valore culturale inestimabile. Così quell'area è irraggiungibile: i ponti chiusi, da ottobre 2014;
   si apprende da fonti giornalistiche che il comune di Sorano non ha fondi per poter ripristinare i due ponticelli e per poter sistemare tutto l'argine del Calesine che l'acqua si è portato via;
   vengono colpiti due beni fondamentali anche per lo sviluppo economico sostenibile –:
   se non intenda intervenire con degli stanziamenti urgenti in modo da rimettere in sesto subito i territori colpiti di Magliano e di Sorano;
   se non intenda intervenire con delle politiche di messa in sicurezza dei territori così da difenderli da ulteriori possibili futuri danneggiamenti. (4-07355)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede chiarimenti e approfondimenti sulle politiche di messa in sicurezza e su possibili linee di intervento urgenti relative ai territori colpiti di Magliano e Sorano in Toscana.
  In riferimento alle politiche adottate, si comunica che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato redatto nel corso del 2014-15 sulla base delle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema ReNDiS web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare/Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiunge un importo pari a circa 20,4 miliardi di euro che copre, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo stimato di 1,2 miliardi di euro.
  Gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo le procedure previste del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, su proposta di questo Ministero, recante l'individuazione delle procedure, delle modalità e dei criteri di attribuzione delle risorse.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera del CIPE n. 32 del 2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono, inoltre, state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge di stabilità n. 147 del 2013 e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetta Sblocca Italia).
  Il suddetto piano stralcio è nella fase conclusiva di individuazione degli interventi, in esito alla procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato.
  Gli interventi selezionati entreranno a far parte del citato piano stralcio, che sarà definito con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che riporterà il finanziamento per ciascuno degli interventi ritenuti prioritari per un valore di complessivo di 600 milioni e predisporrà una sezione programmatica per i restanti 600 milioni di euro circa.
  Nella suddetta sezione programmatica potranno rientrare, secondo l'effettiva disponibilità economica, alcune progettazioni preliminari o studi di fattibilità per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono alti livelli di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Con riferimento agli stanziamenti per possibili interventi, si evidenzia che nell'ambito del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico programmato per il periodo 2014-2020, la regione Toscana ha presentato un'unica richiesta di finanziamento relativamente alle aree citate dagli interroganti, che afferisce al comune di Sorano.
  Nello specifico si tratta di «Interventi di sistemazione idraulica e idrogeologica del bacino del F. Fiora» per la mitigazione del rischio da alluvione, per i quali si prevede una spesa complessiva di 5 milioni di euro con richiesta di finanziamento statale per un importo di 3 milioni di euro.
  L'intervento, in considerazione della esigua popolazione esposta a rischio diretto, non rientra tra quelli prioritari, inseriti nel piano stralcio, e riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il citato intervento potrà rientrare nelle future programmazioni, secondo le effettive disponibilità economiche e se ritenuto finanziabile in base ai criteri e alle procedure previste dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, prevede una serie di norme volte a ridurre i costi della politica a carico delle regioni, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica;
   tra queste, vi è all'articolo 2 comma 1, lettera h), del sopra citato decreto-legge che prevede, pena la decurtazione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico locale, l'obbligo di definire «l'ammontare delle spese per il personale dei gruppi consiliari, secondo un parametro omogeneo, tenendo conto del numero dei consiglieri, delle dimensioni del territorio e dei modelli organizzativi di ciascuna regione»;
   la legge regionale siciliana 4 gennaio 2014, n. 1, recepisce parte delle indicazione volte a ridurre i costi della politica indicate nel sopra citato decreto-legge; in particolare, l'articolo 7, recante norme relative al «contributo in favore dei gruppi parlamentari per le spese del personale», stabilisce che «fatti salvi per la legislatura in corso i contratti in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, a decorrere dalla legislatura successiva, l'Assemblea regionale siciliana, secondo le modalità stabilite dalle disposizioni del proprio Regolamento interno, assegna annualmente a ciascun gruppo un contributo per le spese del personale utilizzato, in misura comunque non superiore all'importo determinato moltiplicando il numero dei deputati componenti del gruppo per il costo di un'unità di personale di categoria D, posizione economica D6, senza posizione organizzativa, compresi gli oneri a carico dell'ente»;
   tuttavia, l'articolo 74 della legge regionale siciliana 7 maggio 2015, n. 89, legge finanziaria regionale siciliana per il 2015, interpreta il citato articolo 7 della legge regionale siciliana 4 gennaio 2014, n. 1, secondo l'interrogante, in maniera del tutto anomala: tale articolo 7 non trova infatti «applicazione per i soggetti già regolamentati, alla data di entrata in vigore della citata legge regionale, da previgenti disposizioni emanate ai sensi del Regolamento interno dell'Assemblea regionale siciliana» ed amplia tale trattamento escludente anche ai soggetti con contratto in essere, già contrattualizzati presso i gruppi parlamentari alla data di entrata in vigore del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, a condizione che abbiano intrattenuto rapporti di lavoro con i gruppi parlamentari nella precedente legislatura;
   la norma interpretativa contenuta nell'articolo 74 della legge finanziaria regionale siciliana per il 2015 annulla di fatto gli effetti dell'articolo 7 della legge regionale siciliana 4 gennaio 2014, n. 1, vanificando ogni tentativo in atto nella regione siciliana di riduzione dei costi legati al contributo in favore dei gruppi parlamentari per le spese del personale;
   secondo l'interrogante, in questo modo, oltre a creare un danno economico in primo luogo all'Assemblea regionale siciliana che si deve fare carico del costo di questo personale e in senso più ampio alle finanze pubbliche regionali siciliane, viene completamente disatteso il principio della riduzione dei costi della politica a carico delle regioni contenuto nell'articolo 2 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, e, più in particolare quanto ivi previsto al comma 1, lettera h), in merito al contenimento della spesa per il personale dei gruppi consiliari;
   non da ultimo, la mancata riduzione dei costi della politica regionale siciliana così come descritta sarebbe in palese contrasto con i principi contenuti nella stessa legislazione regionale, specificatamente nella legge regionale siciliana 4 gennaio 2014, n. 1;
   secondo l'interrogante, nel periodo di grave e perdurante crisi economica e sociale che il nostro Paese sta vivendo, la riduzione dei costi della politica dovrebbe costituire uno dei principali punti da perseguire per ridurre gli sprechi a carico delle finanze pubbliche –:
   se il commissario dello Stato per la regione siciliana abbia valutato la sussistenza dei presupposti per l'impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale dell'articolo 74 della legge regionale siciliana 7 maggio 2015, n. 89. (4-09501)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare di indicato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta che il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 10 luglio 2015, ha deliberato l'impugnativa degli articoli 5 (commi 1 e 2) e 31 della legge di stabilità della regione Siciliana n. 9 del 2015.
  Sull'articolo 74, di cui si fa cenno nell'interrogazione, non è stata riscontrata la sussistenza dei presupposti per l'impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale. Il medesimo articolo non è neppure stato oggetto di osservazioni la parte delle Amministrazioni interessate.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomieGianclaudio Bressa.


   PAOLUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 dicembre 2007 la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dei trasporti, il Ministero delle infrastrutture, il Ministero dell'università e della ricerca, il commissariato di governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania, la regione Toscana, la regione Campania, la provincia di Livorno, la provincia di Napoli, l'autorità portuale di Piombino, l'autorità portuale di Napoli, il comune di Piombino, il comune di Napoli, il circondario Val di Cornia e la Bagnolifutura spa firmavano l'Accordo di programma quadro (APQ) «per gli interventi di bonifica negli ambiti marino-costieri presenti all'interno dei Siti di bonifica di interesse nazionale di Piombino e Napoli Bagnoli-Coroglio e per lo sviluppo di Piombino attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio un dettagliato programma di interventi (articolo 3), Prima Fase:
    totale rimozione della colmata e della scogliera di Bagnoli e, previa eliminazione degli hot spot e ricaratterizzazione del materiale caricato sulle bettoline, conferimento dei materiali derivanti a Piombino;
    realizzazione della barriera soffolta in corrispondenza della batimetrica dei 5 metri;
    rimozione, per ragioni di messa in sicurezza di emergenza, dei sedimenti «pericolosi» presenti nello specchio d'acqua entro e oltre la batimetrica dei 5 metri, pari a 27.000 metri cubi, loro detossicizzazione in loco e successivo conferimento dei sedimenti non più «pericolosi», in cassa di colmata;
    rimozione, per ragioni di bonifica, dei 720.000 metri cubi sedimenti «non pericolosi» entro la batimetrica dei 5 metri, al fine di restituire il litorale alla balneazione, e loro conferimento a Piombino;
    ricostituzione dell'arenile antistante l'ex ILVA;
    realizzazione delle opere accessorie per il trasporto del materiale di Bagnoli al sito di Piombino;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio un dettagliato quadro finanziario con stima dei costi degli interventi relativi (articolo 4):
    alla Prima Fase pari a euro 115.600.000,00;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio la seguente copertura del complessivo fabbisogno finanziario (articolo 4):
    per gli interventi di Prima Fase:
     Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Fondo investimenti, cap. 7082: euro 50.000.000,00;
     Articolo 1, commi 415 e 416, della legge 23 dicembre 2005, n. 266: euro 50.000.000,00;
     Regione Campania: euro 15.600.000,00;
   la seguente ripartizione delle competenze (articolo 7):
    interventi del commissariato di governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania nel sito di Napoli Bagnoli-Coroglio:
     eliminazione degli hot spot dalla colmata di Bagnoli e gestione in loco degli stessi;
     rimozione della colmata di Bagnoli e conferimento dei materiali a Piombino con prelievi di campioni sulle bettoline;
     realizzazione della scogliera soffolta in corrispondenza della batimetrica di 5 metri;
     messa in sicurezza d'emergenza, mediante rimozione e trattamento di detossicizzazione in loco e successivo collocamento in cassa di colmata, dei sedimenti «pericolosi» (27.000 metri cubi) presenti nei fondali antistanti la colmata e gli arenili di Bagnoli-Coroglio entro e oltre la batimetrica dei 5 metri;
     asportazione dei sedimenti «non pericolosi» presenti nei fondali antistanti la colmata e gli arenili di Bagnoli-Coroglio, entro la batimetrica dei 5 metri e loro conferimento al sito di Piombino;
     realizzazione delle opere accessorie nell'area di Bagnoli necessarie all'attivazione degli interventi cui ai punti precedenti, stimate in euro 3.000.000,00;
   il vincolo all'attuazione dell'Accordo di programma quadro per tutti i soggetti sottoscrittori (articolo 15);
   durata dello stesso fino al completamento delle opere (articolo 15);
   il commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania per sito di Napoli Bagnoli-Coroglio ha stipulato una convenzione con il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Campania ed il Molise che prevede l'affidamento al provveditorato stesso della funzione di stazione appaltante per le opere di competenza del commissariato stesso;
   il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Campania ed il Molise ha redatto un progetto preliminare che prevede un costo complessivo di circa 175 milioni di euro, ossia superiore alla disponibilità pari 115,6 milioni di euro;
   conseguentemente è stato concordato di procedere suddividendo il progetto in due stralci funzionali così sintetizzabili:
    a) bonifica dei fondali;
    b) rimozione della colmata;
   come riportato dal verbale della conferenza dei servizi decisoria, tenuta presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 30 giugno 2009, il direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «sintetizza le conclusioni della conferenza istruttoria evidenziando che occorre realizzare il progetto per stralci per le seguenti motivazioni:
    insufficienza dei fondi economici;
    opportunità di restituire alla balneazione i tratti bonificati nel più breve tempo possibile;
    mantenimento della colmata durante i lavori del primo stralcio, reso possibile dagli interventi di messa in sicurezza idraulica già attivi sulla colmata, con finalità di utilizzare la colmata per ubicare le opere di stoccaggio provvisorio;
    possibilità di procedere alla rimozione dei materiali allocati sulla colmata, stante la loro bassa contaminazione, con modalità in grado di garantire la piena sicurezza di non contaminare nuovamente le aree bonificate;
   successivamente (gennaio 2010) il provveditorato interregionale ha redatto il progetto definitivo e bandito la gara per la progettazione esecutiva, il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e realizzazione per il lavoro di «rimozione della colmata a mare e bonifica dei fondali dell'area marino costiera del Sito di Interesse Nazionale Bagnoli-Coroglio del Comune di Napoli – primo stralcio Bonifica dei Fondali»;
   in data 12 giugno 2012 la stazione appaltante provvedeva all'aggiudicazione definitiva dell'appalto;
   ad oggi, trascorso un anno dall'aggiudicazione della gara d'appalto, i lavori non sono ancora iniziati –:
   se corrisponda al vero la notizia che una tranche del finanziamento, pari a 50 milioni di euro, sia stata cancellata e che il comune di Piombino, contravvenendo a quanto sottoscritto nell'Accordo di programma quadro, abbia revocato la disponibilità a ricevere i materiali provenienti da Bagnoli;
   se corrisponda al vero che il provveditorato interregionale alle opere pubbliche abbia proceduto alla sospensione delle procedure d'appalto (sottoscrizione del contratto, avvio dei lavori, e altro);
   qualora i fatti sopra esposti risultino confermati, quali iniziative il Governo intenda adottare per restituire alla balneabilità il litorale di Bagnoli, secondo l'accordo di programma sottoscritto nel 2007, e per evitare che l'aggiudicatario definitivo della gara d'appalto possa rivalersi nei confronti della stazione appaltante, provocando un forte danno finanziario. (4-01394)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche ambientali segnalate dall'interrogante in merito all'accordo di programma quadro relativo ai SIN di Napoli Bagnoli e Piombino, si rappresenta quanto segue.
  L'accordo di programma quadro (APQ) Bagnoli-Piombino, sottoscritto in data 21 dicembre 2007, prevedeva, interventi di bonifica e riqualificazione ambientale e di infrastrutturazione nei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) di «Piombino» e «Napoli Bagnoli-Coroglio», secondo una complessa sinergia tra essi, nonché quello di «Napoli Orientale». In particolare, erano previsti i seguenti interventi:
   SIN «Piombino»: bonifica dell'area marino-portuale; messa in sicurezza della falda in corrispondenza dell'area portuale; infrastrutturazione dell'area portuale con la realizzazione di casse di colmata attraverso l'utilizzo dei materiali di risulta provenienti dalle attività di bonifica di Bagnoli; bonifica di aree pubbliche comunali; realizzazione della strada di accesso al porto;
   SIN «Bagnoli-Coroglio»: rimozione della colmata a mare e bonifica dei sedimenti marini, con conferimento dei materiali di risulta nelle casse di colmata del porto di Piombino;
   SIN «Napoli Orientale»: bonifica dell'area marino-portuale.

  Tale accordo è stato sottoposto ad un lungo processo di rimodulazione in sede di «Tavolo dei Sottoscrittori» dell'APQ – intrapreso già dal marzo 2009 e mai giunto a conclusione – a causa dell'insorgere di numerose problematiche di natura progettuale, finanziaria e amministrativa, sopraggiunte successivamente alla stipula dello stesso.
  Il processo di ridefinizione dell'APQ è stato interrotto per tutto il 2010 e parte del 2011, in ragione dell'attività, condotta dal Governo (MISE, MEF e CIPE), finalizzata alla verifica e riprogrammazione dei fondi FAS 2000/2006, cui il quadro finanziario dell'APQ attingeva ampiamente, all'esito del quale sono state subordinate le procedure di attuazione e/o rimodulazione degli APQ.
  Superati tali impedimenti, solo a seguito dell'emanazione delle delibere CIPE (n. 79 del 2010 e n. 1 del 2011) di ricognizione e riprogrammazione delle risorse FAS 2000/2006, il Ministero dello sviluppo economico, in qualità di soggetto responsabile dell'APQ, ha ripreso le attività di concertazione per la conclusione del complesso processo di rimodulazione dell'APQ.
  Alla ripresa dei lavori, tra settembre e ottobre 2011, il «Tavolo dei Sottoscrittori», ha riscontrato l'emergere di nuove problematiche legate:
   per quanto riguarda il SIN «Bagnoli-Coroglio», all'esigenza manifestata dal comune di Napoli (nel frattempo individuato quale soggetto subentrante nelle competenze e attribuzioni del commissario liquidatore per le bonifiche in Campania, relativamente al SIN «Bagnoli-Coroglio») di ricalibrare le prime fasi-stralcio di rimozione della colmata di Bagnoli sulla base di eventi internazionali (nella specie:
America's Cup) e di nuove ipotesi di sviluppo urbanistico (realizzazione di un porto turistico), che avrebbero dovuto interessare l'area di Bagnoli;
   per quanto riguarda il SIN «Piombino», all'indeterminatezza circa l'effettiva copertura finanziaria e la realizzazione della strada di collegamento al porto, originariamente finanziata nell'APQ e poi estromessa dal testo di atto modificativo a seguito dell'inclusione, da parte del CIPE, di detto tratto viario nel progetto di autostrada tirrenica. Tale opera riveste importanza fondamentale per lo sviluppo del territorio di Piombino ed è vincolante per l'approvazione della V.I.A. del nuovo piano regolatore portuale.

  In particolare, la rimodulazione è stata subordinata, alla presentazione di una nuova proposta aggiornata per il SIN «Bagnoli-Coroglio» da parte del comune di Napoli – mai prodotta, sebbene sollecitata nel corso del 2012 sia dal MATTM, sia dal MISE.
  Con l'emanazione della Delibera CIPE del 20 gennaio 2012, n. 6 è stato effettuato il definanziamento della somma di euro 50 milioni prevista in APQ e destinata agli interventi di «Bagnoli-Coroglio». Tale definanziamento ha interessato le assegnazioni che non fossero dotate di titoli giuridici perfezionati (es.: stipula del contratto), così come previsto dalle delibere di finanziamento.
  Nel corso del 2012 è sopraggiunta l'indisponibilità del comune di Piombino ad accogliere i materiali provenienti da Bagnoli, «a causa del venir meno dei presupposti programmatici iniziali, sia finanziari che operativi, dell'APQ».
  A seguito di convocazione effettuata dal Ministero dello sviluppo economico, il responsabile dell'accordo ha convocato il 4 giugno 2012 l'ultima seduta del tavolo dei sottoscrittori dell'APQ. In particolare, in tale circostanza, il citato responsabile dell'accordo ha manifestato la necessità di svolgere verifiche in merito all'effettiva disponibilità delle risorse stanziate a valere sul fondo FSC (ex FAS) 2000/2006, programmate nell'ambito dell'APQ di cui trattasi, a seguito dell'emanazione della citata delibera n. 6 del 2012 (totale euro 83,5 milioni), con particolare riferimento alla somma già menzionata di euro 50 milioni di cui alla Delibera CIPE n. 13 del 2006.
  È evidente che i tagli effettuati a seguito di detta delibera n. 6 del 2012, come anche il venir meno dello stanziamento di euro 15,6 milioni a valere sui fondi FESR disciplinati nel POR Campania 2007-2013, ai quali si è aggiunta l'indisponibilità del comune di Piombino ad accogliere i materiali provenienti da Bagnoli, abbiano fatto sì che l'operazione di primo stralcio funzionale, relativo alla bonifica dei fondali del SIN «Bagnoli-Coroglio» non fosse più sostenibile dal punto di vista sia finanziario che operativo.
  Nel medesimo anno 2012, allo scopo di acquisire due distinte proposte di rimodulazione concordate con le amministrazioni locali coinvolte, gli uffici dell'allora direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche di questo dicastero hanno provveduto a richiedere separatamente alle amministrazioni territorialmente interessate per il SIN «Piombino» e per il SIN «Bagnoli-Coroglio», la formulazione di una proposta operativa di riprogrammazione dell'Accordo, limitata al SIN di riferimento, condivisa tra regione ed enti locali, volta alla definizione di un quadro di interventi aggiornato sulla base delle risorse finanziarie effettivamente disponibili, da sottoporre all'esame del tavolo dei sottoscrittori.
  Conseguentemente, la regione Toscana ha avviato le attività di competenza per il SIN di Piombino. Tali iniziative, tuttavia, sono state superate con l'emanazione del decreto-legge n. 43 del 2013, convertito in legge n. 71 del 2013, che prevede la stipula di uno specifico APQ per l'area di crisi industriale complessa di Piombino, a valere anche sulle risorse originariamente stanziate nell'APQ Bagnoli-Piombino. Ai sensi del disposto normativo citato, in data 26 luglio 2013 è stato sottoscritto apposito protocollo d'intesa cui ha fatto seguito la stipula dell'APQ nell'agosto 2013.
  Diversamente, il comune di Napoli, con nota del 14 dicembre 2012, «preso atto delle circostanze che hanno portato alla perdita del finanziamento di euro 50.000.000,00», ha fatto presente che «in mancanza delle risorse finanziarie anche il subentro del Comune di Napoli nella responsabilità delle attività dei SIN di Bagnoli-Coroglio ..., andrà rivisto, atteso che esso fu previsto anche a seguito degli impegni assunti con l'APQ in oggetto...». Il comune ha altresì invitato il Dicastero a convocare una riunione per «trovare le risorse necessarie e, in mancanza, individuare diverse modalità di intervento...».
  A tal proposito, in data 6 giugno 2013, si è tenuta presso questo dicastero, una riunione volta a definire le modalità di rimodulazione delle attività relative al SIN di Napoli «Bagnoli-Coroglio», nel corso della quale si è evidenziata la necessità che il comune di Napoli formulasse una proposta strutturata e dettagliata degli interventi di bonifica relativi prioritariamente all'area marino-costiera del SIN.
  A tale riunione ha fatto seguito un'ulteriore incontro tecnico preliminare con il comune di Napoli, presso il Ministero dell'ambiente, in data 30 luglio 2013, nel quale sono state discusse le prime ipotesi formulate dal comune stesso.
  Parallelamente, l'allora direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, con nota del 26 luglio 2013, ha supportato la richiesta di sancire formalmente la chiusura del medesimo accordo, effettuata dalla regione Toscana, con nota del 23 luglio 2013, al responsabile dell'APQ. Inoltre la stessa direzione generale, con nota del 29 luglio 2013, ha sollecitato la regione Campania a formulare la medesima richiesta, analogamente a quanto effettuato dalla Toscana.
  Rispetto a quanto riportato, tuttavia, si rappresenta che sono successivamente subentrati rilevanti eventi di ampia diffusione mediatica che hanno mutato radicalmente il contesto nel quale realizzare gli interventi di risanamento ambientale del sito di «Bagnoli-Coroglio».
  Si fa particolare riferimento:
   al sequestro preventivo dell'area industriale ex ILVA ed ex Italsider in Bagnoli, in disponibilità della Bagnolifutura S.p.A, da parte del tribunale di Napoli, risalente ad aprile 2013, dapprima revocato e poi ripristinato nell'ottobre 2014;
   al fallimento della Bagnolifutura S.p.A., nel maggio 2014;
   alla nomina, con provvedimento del 21 novembre 2014, da parte del tribunale di Napoli del custode giudiziario «dinamico» delle aree del sito di Bagnoli sottoposte al provvedimento di sequestro, con il compito di sovraintendere alle attività necessarie e di adottare le iniziative e misure tecniche necessarie alla salvaguardia ambientale ed alla bonifica del sito ex industriale;
    all'emanazione del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con legge 11 novembre 2014, n. 164, in particolare, all'articolo 33, con cui è stata, tra l'altro, prevista la definizione di un piano di bonifica ambientale e rigenerazione urbana delle aree ricomprese nel comprensorio di Bagnoli-Coroglio, individuate di rilevante interesse nazionale, nonché la nomina di un commissario straordinario di Governo e di un soggetto attuatore;
   alla mancata individuazione del commissario straordinario di Governo e della conseguente definizione del piano previsto dalla norma sopra richiamata.

  Tali circostanze hanno condotto, da ultimo, alla sottoscrizione, in data 16 aprile 2015, dell'accordo di programma «Per l'attuazione delle iniziative, delle misure, delle attività e degli interventi necessari per il corretto esercizio delle funzioni di custodia giudiziaria dinamica disposta con provvedimento del 21 novembre 2014 del presidente del tribunale di Napoli, sesta sezione penale, apposto in calce alla lettera della procura della Repubblica di Napoli in data 18 novembre 2014, da espletare nelle aree ex ILVA ed ex Italsider del sito di interesse nazionale “Bagnoli-Coroglio” oggetto di sequestro giudiziario», tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e comune di Napoli, al fine di individuare, disciplinare e programmare l'impiego delle risorse economiche necessarie per dare attuazione alle attività, alle iniziative, alle misure tecniche e agli interventi che il custode giudiziario deve porre in essere.
  A tal proposito, sono in fase di definizione gli atti convenzionali per l'affidamento ai Soggetti attuatori, degli interventi previsti nell'accordo, a valere sulle risorse residue dell'APQ Bagnoli-Piombino, definitivamente cessato (circa 45 milioni di euro di fondi ministeriali trasferiti al comune di Napoli).

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI, DI LELLO e LOCATELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 24 marzo 2015 la cittadinanza di San Leo, comune situato nella Val Marecchia in provincia di Rimini, è venuta a conoscenza dagli uffici provinciali di Rimini che la ditta di escavazioni CABE srl di Santarcangelo sta predisponendo la realizzazione di un impianto di discarica di rifiuti speciali;
   per la precisione, il 24 ottobre 2014, la ditta sopra citata ha presentato un «Progetto di impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti e di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi in Loc. Pian della Selva»;
   il progetto prevede: un impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti, della potenzialità di circa 120.000 tonnellate/anno; una discarica di rifiuti inerti, della potenzialità di 1.212.000 tonnellate; una discarica per rifiuti speciali non pericolosi, della potenzialità di 3.352.500 tonnellate, con un raggio di raccolta fino a 150 chilometri di distanza cioè sino ad arrivare alle province di Bologna, Ravenna, Arezzo e Ancona;
   la notizia ha suscitato grande sconcerto e una generale mobilitazione tra i cittadini che si sono subito attivati contro la realizzazione di questo progetto che avrebbe grosse ripercussioni sia dal punto di vista ambientale che per quanto riguarda la sicurezza in un territorio dove frane e smottamenti sono all'ordine del giorno;
   a tal proposito, si rileva che l'impianto di discarica dovrebbe sorgere in una località dove in passato esisteva una cava mineraria alla cui cessazione, si è provveduto, al completo ripristino, bonifica e rinverdimento e, dato il terreno prevalentemente collinare, alla sistemazione di una frana in corso perché il sito è vincolato dal piano della regione per dissesto idrogeologico;
   inoltre, la zona circostante il sito di cui sopra è stata pesantemente interessata nei mesi scorsi da frane e smottamenti che hanno determinato la chiusura temporanea di diverse strade. Infatti, sono ben 32 i dissesti idrogeologici censiti ed attivatisi nei mesi di febbraio e marzo 2015, in tutto l'entroterra comunale, di conseguenza la realizzazione di un impianto di discarica, con un considerevole aumento dei mezzi pesanti presenti sulle strade del territorio comunale e con la movimentazione terra, necessaria alla logistica dell'impianto, peggiorerebbe una situazione già fortemente compromessa –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso con riferimento al rischio idrogeologico che interessa la zona del comune di San Leo e quali iniziative, per le parti di competenza, abbia intenzione di assumere affinché si adottino tutti gli strumenti utili per mettere in sicurezza un territorio sottoposto a continue frane e smottamenti alla luce anche della previsione della realizzazione del citato progetto di trattamento e recupero di rifiuti nell'area. (4-08918)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto, l'interrogante chiede informazioni sul rischio idrogeologico gravante sul comune di San Leo, in provincia di Rimini, atteso che la ditta di escavazione CABE srl sta predisponendo la realizzazione di un impianto di discarica di rifiuti speciali.
  Al riguardo si rappresenta quanto è stato di recente riferito dalla regione Emilia Romagna.
  L'intervento segnalato riguarda la realizzazione di una discarica per inerti e rifiuti speciali non pericolosi che sarà realizzata su un'area di ex cava.
  L'autorità di bacino interregionale Marecchia-Conca, competente territorialmente, nel dicembre 2012 ha adottato un progetto di variante al piano stralcio assetto idrogeologico (P.A.I.) che riguarda l'aggiornamento delle «Aree in dissesto da assoggettare a verifica» e la modifica e l'integrazione della carta inventario del dissesto dei sette comuni (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello) che nel 2009 sono stati distaccati dalla regione Marche e aggregati alla regione Emilia-Romagna (legge n. 117 del 2009).
  La ditta CABE S.r.l. – proprietaria dell'area dell'ex miniera Buzzi-Unicem s.p.a. in località Pian della Selva nel comune di San Leo, sottoposta ad estrazione di marne e calcari marmosi da cemento e di cui ha assunto gli adempimenti di gestione sanciti da apposita convenzione col comune di San Leo – ha presentato un'osservazione alla suddetta variante al P.AI. richiedendo la modifica della classificazione di alcune aree interessate da dissesti presenti nell'area di proprio interesse.
  La regione Emilia-Romagna con deliberazione G.R. n. 1634 del 2014 ha espresso parere favorevole su tale progetto di variante al P.A.I. rispondendo, contestualmente, anche all'osservazione dalla ditta CABE, ossia accogliendo una parziale revisione del dissesto a seguito di specifica istruttoria tecnica.
  Nel dicembre 2014, l'autorità di bacino ha di conseguenza adottato la variante al P.A.I., che è stata sottoposta da parte delle competenti strutture regionali a verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed è stata esclusa dal procedimento di VAS, in quanto non sono stati ravvisati rilevanti effetti negativi significativi sull'ambiente.
  In merito alle attività di prevenzione del rischio idrogeologico, si rappresenta che in attuazione a quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria 2010 (articolo 2 comma 240, legge n. 191 del 2009), inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, questo ministero ha sottoscritto con le regioni specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico.
  In particolare, tra questo dicastero e la regione Emilia Romagna è stato firmato un accordo di programma in data 3 novembre 2010, un successivo primo atto integrativo in data 4 maggio 2011 e un successivo secondo atto integrativo in data 23 dicembre 2013 per l'importo complessivo di euro 144.474.050,96 di cui euro 81.068.400,00 da parte dello scrivente dicastero (euro 39.200.000,00 fondi MATTM ed euro 41.868.400,00 risorse FAS) ed euro 63.405.650,96 da parte della regione interessata.
  Gli interventi coperti dal finanziamento statale attualmente sono n. 149, mentre gli interventi coperti dal finanziamento regionale sono n. 107.
  Lo stato di avanzamento di tali n. 256 interventi, come deducibile dal sistema Rendis-Web di ISPRA, è il seguente:
   n. 173: ultimati;
   n. 43: in esecuzione;
   n. 9: aggiudicati;
   n. 17: progettazione ultimata;
   n. 9: in progettazione;
   n. 5: in attesa di avvio.

  In particolare, nell'ambito del citato accordo di programma, risultano finanziati nel comune di San Leo (RN) i seguenti n. 4 interventi:
   manutenzione del reticolo idraulico e dei versanti nei comuni di Casteldelci (RN), Maiolo (RN), Novafeltria (RN), Pennabilli (RN), San Leo (RN), Sant'Agata Feltria (RN), Talamello (RN) – Fiume Montone, importo intervento euro 200.000,00; (Cod. RN074A/10-1) – lavori in esecuzione;
   primo stralcio di messa in sicurezza della rupe di San Leo – Lotto A1, in comune di San Leo (RN), importo intervento euro 168.000,00; (Cod. RN074A/10-2) – lavori ultimati;
   primo stralcio di messa in sicurezza della rupe di San Leo – lotto A2 e B, in comune di San Leo (RN), importo intervento euro 532.000,00; (Cod. RN074A/10-3) – lavori ultimati;
   consolidamento versante in frana finalizzato alla mitigazione del rischio per l'abitato di Le Celle (piano 2010), in comune di San Leo (RN), importo intervento euro 100.000,00; (cod. RN074A/10-4) – lavori ultimati.

  Si osserva che la regione Emilia Romagna ha al momento segnalato, nell'ambito di nuove eventuali programmazioni per la rimozione del rischio idrogeologico, sei nuovi interventi per un importo complessivo di circa 12,6 milioni di euro, ricadenti in quota parte nel territorio comunale di San Leo (RN).
  Si rappresenta, infine, che gli interventi realizzati nell'ambito dell'accordo di programma, nonché gli interventi proposti per nuove programmazioni, come sopra citati, riguardano criticità presenti in altre località nel comune di San Leo.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILOZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Sacco nasce dai Monti Prenestini e attraversa il territorio delle province di Roma e Frosinone prima di confluire, dopo circa 87 chilometri, nel fiume Liri;
   come ben noto, il fiume Sacco è stato, ed è ancora purtroppo, al centro di un disastro ambientale che ha colpito il territorio della Valle del Sacco e che ha spinto le autorità nazionali ad inserire una vastissima area nell'ambito dei siti di interesse nazionale (SIN) ai fini della bonifica ambientale, prima che un decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 declassasse il sito a sito di interesse regionale;
   nelle ultime settimane, aldilà dei problemi di bonifica delle aree inquinate, ancora sostanzialmente irrisolti con l'Ente commissariale praticamente immobile da diversi anni, il fiume è tornato all'onore delle cronache locali nelle ultime settimane a causa di gravissimi episodi di inquinamento che hanno colpito il fiume nel territorio compreso tra i comuni di Patrica e Ceccano;
   in particolare, le cronache locali raccontano che, da circa due mesi, soprattutto nei fine settimana, il fiume viene invaso da una intensa e densa schiuma bianca emanando altresì odori nauseabondi che stanno arrecando notevoli disagi ai cittadini http://www.frosinone.net;
   molti cittadini allarmati hanno chiesto l'intervento delle autorità ma, a quanto risulta all'interrogante, ancora nessun provvedimento concreto è stato preso ne risultano essere stati individuati eventuali responsabili;
   la situazione, a leggere le ricostruzioni, ha raggiunto livelli di insostenibilità tanto che nel territorio del comune di Ceccano, lo scorso fine settimana è stato praticamente impossibile per chiunque soggiornare nei pressi del fiume;
   secondo le cronache di stampa, i vigili urbani del comune di Ceccano sono risaliti lungo il corso del fiume senza però individuare eventuali responsabili dell'accaduto mentre l'ARPA Lazio ha effettuato i prelievi necessari a comprendere la natura e i contenuti delle sostanze inquinanti –:
   se non ritenga necessario promuovere verifiche approfondite tramite il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (NOE), al fine di supportare le autorità locali nel difficile compito di individuare le cause dell'inquinamento ambientale occorso nelle ultime settimane;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo istituzionale sulla valle del sacco, coinvolgendo tutte le autorità regionali e locali coinvolte, alla luce della situazione in cui versa quel territorio così martoriato sotto il profilo ambientale, e sociale.
(4-04916)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali segnalate dagli interroganti, riguardanti il sito di interesse nazionale valle del Sacco, si rappresenta quanto segue.
  Il SIN del bacino del fiume Sacco è stato inserito tra i siti di interesse nazionale da bonificare di competenza del Ministero dell'ambiente con la disposizione introdotta all'articolo 11-quaterdecies, comma 15, della legge n. 248 del 2005.
  L'area in questione è quella interessata dall'emergenza ambientale ricadente all'interno del territorio del bacino del fiume Sacco. Il sito è stato perimetrato con decreto ministeriale n. 4352 del 31 gennaio 2008. L'emergenza ambientale è scaturita dalla presenza di isomeri di esaclorocicloesano riscontrati nel latte di alcune aziende zootecniche e, successivamente, riscontrati nelle aree prospicienti l'argine fluviale del citato fiume. La contaminazione sarebbe dovuta alla percolazione dei suddetti agenti chimici situati nell'area del comune di Colleferro, occupata fino a trenta anni fa da un'industria chimica, dove sono stati rinvenuti fusti interrati e scarti di lavorazioni.
  Si evidenzia che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2005 è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel territorio del bacino del fiume Sacco e con successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2005, n. 3441 è stato nominato un commissario per gli interventi urgenti finalizzati al superamento della fase dell'emergenza nel territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano della provincia di Roma, e dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino della provincia di Frosinone.
  Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, il Ministero dell'ambiente ha comunicato alla regione Lazio di aver effettuato la necessaria ricognizione «attraverso la quale è stato accertato che il SIN “Bacino del Fiume Sacco” e “Frosinone” non presentano tutti i requisiti (attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie) di cui al comma 2 dell'articolo 252 del decreto legislativo 152/06, così come modificato dall'articolo 36-bis della legge 134/2012».
  Il decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013 non ha limitato la necessità di procedere alla bonifica all'interno dei siti, ma ha trasferito alla regione Lazio, che subentra nella titolarità dei procedimenti, le risorse finanziarie, la competenza per le necessarie operazioni di verifica nonché l'eventuale bonifica all'interno del sito.
  Con sentenza n. 7586 del 2014 del 17 luglio 2014, il TAR Lazio ha annullato il decreto ministeriale ambiente Prot. n. 0000007 dell'11 gennaio 2013 nella parte che escludeva dai siti d'interesse nazionale la Valle del Sacco. Pertanto, a partire da quella data, la titolarità del procedimento veniva assegnata al Ministero dell'ambiente. Avverso tale sentenza è stato proposto gravame al Consiglio di Stato.
  Nel frattempo è stata avviata l'istruttoria per individuare il perimetro del sito d'interesse nazionale in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36-bis comma, 3 della legge n. 134 del 2012.
  In merito si sono svolte le seguenti riunioni istruttorie con la regione Lazio, ARPA Lazio e i comuni interessati:
   riunione tecnica in data 8 settembre 2014 nel corso della quale è stata richiesta alla regione Lazio una proposta di perimetrazione del sito d'interesse nazionale;
   riunione tecnica in data 25 novembre 2014 nel corso della quale la regione Lazio è stata sollecitata a trasmettere la proposta di perimetrazione richiesta durante la riunione dell'8 settembre 2014;
   conferenza di servizi istruttoria in data 19 gennaio 2015 finalizzata ad esaminare la proposta di perimetrazione trasmessa dalla regione Lazio. All'esito sono state richieste alcune integrazione al documento esaminato ed è stata fissata alla data del 12 febbraio 2015 una nuova conferenza di servizi;
   conferenza di servizi istruttoria del 12 febbraio 2015 che ha analizzato le richieste pervenute da parte dei comuni che hanno segnalato alcune situazioni di criticità. In merito la conferenza di servizi, in considerazione delle problematiche rappresentate nella documentazione acquisita dal MATTM da parte dei comuni, ha individuato alcune delle criticità segnalate da inserire, previa verifica da parte della regione Lazio, nella perimetrazione del SIN.
   in ultimo Conferenza di servizi istruttoria del 10 luglio 2015 che ha esaminato una nuova proposta di perimetrazione che tiene conto degli esiti delle suddette conferenze di servizi e riunioni tecniche tenutesi sulla tematica in questione nonché di alcune osservazioni fornite dalla direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (nota prot. n. 7554/STA del 29 maggio 2015). La proposta è stata ritenuta condivisibile e sono stati chiesti ulteriori approfondimenti/integrazioni che saranno discussi/e durante la prossima conferenza di servizi fissata per il 10 settembre 2015.

  Successivamente all'approvazione del perimetro, si procederà ad un aggiornamento dello stato delle attività di bonifica condotte dai precedenti titolari del procedimento nonché all'attivazione di tutte le necessarie misure non ancora attuate e necessarie alla bonifica delle matrici ambientali impattate.
  Allo stato attuale, il Ministero dell'ambiente non dispone di alcun elemento circa la presenza di «schiuma bianca» nelle acque del fiume Sacco.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'accordo di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, EZIT (l'Ente zona industriale di Trieste) e l'autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste»;
   l'obiettivo dell'accordo è quello di facilitare i soggetti responsabili e i soggetti interessati a operare la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica dei suoli, delle falde, delle acque superficiali e delle aree marino-costiere del SIN, offrendo la possibilità di adottare procedure celeri con tempi certi di risposta, indicati al comma 15 dell'articolo 15 dell'accordo stesso, tenendo conto del diverso impatto esercitato sulle aree di rispettiva competenza;
   la copertura delle spese previste, contenuta nell'articolo 11 dell'accordo, prevede il ricorso a risorse pubbliche e private. Le prime sono quantificate in 13.432.000 euro e sono suddivise tra il «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale» (10.832.000 euro) assegnate alle regione Friuli Venezia Giulia e il decreto d'impegno protocollo 8717/QdV/DI/G/SP del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2.600.000 euro), mentre le seconde devono essere quantificate in fase di approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario;
   per favorire la caratterizzazione e la bonifica del SIN di Trieste sono state individuate tre aree territoriali distinte: «piccoli operatori», che comprende le zone appartenenti all'Ente zona industriale di Trieste e alle piccole e medie imprese; «grandi operatori», che riguarda l'area in cui insistono infrastrutture o progetti industriali di grandi dimensioni; «area a mare», che include le acque, gli arenili e i sedimenti del porto di Trieste;
   il piano di caratterizzazione generale unitario deve includere, oltre alla caratterizzazione e bonifica dei suoli, anche quella della acque sotterranee (articolo 6) e superficiali, degli arenili e dei sedimenti marini (articolo 7). La competenza per la realizzazione del modello idrogeologico dell'intero SIN spetta alla regione Friuli Venezia Giulia – che si avvale dell'Ente zona industriale di Trieste – mentre per l'area a mare è del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ricorre all'autorità portuale di Trieste (articolo 10, commi 6 e 7);
   l'articolo 12 del testo stabilisce che il soggetto responsabile dell'accordo è il direttore generale della direzione tutela delle risorse idriche e del territorio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o un suo delegato;
   il soggetto responsabile verifica l'attuazione del programma di interventi redigendo una relazione da allegare al rendiconto annuale che deve essere presentato dai soggetti sottoscrittori;
   in base all'articolo 13 del documento il «Comitato d'indirizzo e controllo per la gestione dell'accordo» – composto dai rappresentanti delle istituzioni e degli enti sottoscrittori – è convocato dal soggetto responsabile, o su richiesta di uno dei componenti, almeno una volta l'anno per svolgere alcune funzioni come il monitoraggio dello stato di attuazione dei lavori e provvedere all'aggiornamento del cronoprogramma;
   l'articolo 15 dell'accordo prevede una serie di semplificazioni amministrative per velocizzare le procedure di approvazione di alcuni provvedimenti, come il piano di caratterizzazione, il documento di analisi di rischio, lo studio per l'individuazione di obiettivi di bonifica che devono essere approvati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con un proprio decreto, valutati gli esiti della preventiva e necessaria conferenza dei servizi;
   ad oggi le procedure sembrano ferme alla sola caratterizzazione di alcune parti del SIN, peraltro su superfici di territorio ridotte, e quindi non sarebbe stata avviata nessuna opera di bonifica –:
   come e se siano state spese le risorse pubbliche previste nell'articolo 11 dell'accordo;
   se si sia giunti alla fase che consente di individuare le risorse private con l'approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario;
   se siano state almeno caratterizzate, in base alle competenze specifiche previste dall'accordo, le acque sotterranee, gli arenili, i sedimenti marini e le acque superficiali del SIN;
   se il soggetto responsabile abbia convocato il comitato d'indirizzo e controllo per la gestione dell'accordo e se abbia redatto la prevista relazione da allegare al rendiconto annuale che deve essere presentato dai soggetti sottoscrittori per la verifica dell'attuazione del programma di interventi;
   per quali motivi a distanza di più di un anno non sia stata ancora avviata la bonifica del SIN di Trieste. (4-00776)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto, con il quale si chiedono informazioni in merito alla vigenza dell'accordo di programma «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sito di Interesse Nazionale di Trieste», sottoscritto in data 25 maggio 2012 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, il comune di Trieste, il comune di Muggia, l'autorità portuale di Trieste e l'ente zona industriale Trieste (EZIT), allo stato dei lavori e ai finanziamenti pubblici erogati, si rappresenta quanto segue.
  L'accordo di programma in oggetto è finalizzato alla riqualificazione ambientale delle aree ricadenti nel sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) di Trieste, funzionale agli obiettivi di sviluppo sostenibile del tessuto produttivo che insiste sul medesimo e di infrastrutturazione dell'area portuale di Trieste.
  Al riguardo, si precisa che la regione Friuli ha già affidato all'ente zona industriale di Trieste, in sigla EZIT, la realizzazione della caratterizzazione delle «aree a terra» nonché di ulteriori attività, il cui costo ammonta a complessivi euro 10.232.000,00, e che risultano tuttora in corso.
  A proposito dell'individuazione delle risorse private, con l'approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario, si rappresenta che il «Piano di caratterizzazione generale del SIN di Trieste» presentato dalla regione Friuli Venezia Giulia, è stato approvato dalla conferenza dei servizi decisoria del 31 ottobre 2006: il documento era stato elaborato da Sviluppo Italia S.p.A su incarico dell'EZIT quale ente incaricato dalla regione della bonifica del SIN mediante delegazione amministrativa.
  A seguito della sottoscrizione dell'accordo, la regione Friuli Venezia Giulia, in ottemperanza agli articoli 8 e 10 del medesimo, che prevedono l'aggiornamento e l'integrazione ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 del piano di caratterizzazione unitario, ha predisposto i documenti «Piano di caratterizzazione generale del SIN di Trieste – Prima parte e Seconda parte della revisione». I predetti elaborati sono stati approvati dalle conferenze di servizi decisorie del 6 agosto 2012 e dell'11 dicembre 2012.
  Si segnala, inoltre, che in considerazione della diffusa presenza di materiali di riporto che costituiscono le aree di sedime delle aziende all'interno del SIN, si sono tenute presso il Ministero dell'ambiente riunioni con ARPA e tutti i soggetti tecnici interessati, al fine di condividere un protocollo di applicazione delle previsioni dell'articolo 41, comma 3, della legge n. 98 del 2013 in tema di materiali di riporto.
  I risultati di detta elaborazione sono stati riportati nel «Protocollo tecnico-operativo per l'esecuzione del test di cessione sui materiali di riporto previsto dall'articolo 41, comma 3, del decreto-legge 69 del 2013 (recepito con la legge 98 del 2013) all'interno del SIN di Trieste», ritenuto approvabile dalla conferenza di servizi istruttoria del 24 luglio 2015. La medesima conferenza di servizi ha richiesto che nell'attuazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica nel SIN di Trieste dovrà essere applicato il suddetto Protocollo in tutte le aree dove si è rilevato, all'esito della caratterizzazione, la presenza di materiali di riporto.
  Per quanto concerne l'attuazione dell'accordo, l'articolo 11, commi 9 e 10 del medesimo, prevede che la regione Friuli Venezia Giulia provveda a definire le modalità di attuazione e i termini per l'espletamento delle attività ivi disciplinate sottoscrivendo, a tal fine, apposite convenzioni con i soggetti attuatori degli interventi.
  In base alle competenze specifiche previste dall'accordo, si evidenzia come il piano di caratterizzazione ambientale dell'area marino-costiera prospiciente il SIN di Trieste, elaborato da ICRAM (ora ISPRA), è stato approvato dalla conferenza di servizi decisoria del 19 maggio 2004.
  La conferenza di servizi decisoria del 7 settembre 2006 ha preso atto dei risultati della caratterizzazione chimica dell'arenile marino costiero della regione Friuli Venezia Giulia, trasmessi dalla regione medesima e ha approvato i valori di intervento sito-specifici proposti da ICRAM.
  È stata eseguita la caratterizzazione dei sedimenti in alcune aree, indagate per finalità sia di sviluppo portuale (scalo legnami, molo VII, piattaforma logistica, area prospiciente l'ex discarica di via Errera) che ambientali (area prospiciente la ferriera di Servola). La tipologia di inquinanti rilevati finora risulta prevalentemente costituita da idrocarburi e metalli pesanti, con concentrazioni anche estremamente elevate in alcune aree. Inoltre, sono emersi problemi di inquinamento marino da discariche in prossimità dell'area costiera.
  L'accordo di programma prevede, anche, il completamento della caratterizzazione delle aree a mare; nel dettaglio, l'articolo 7 specifica che tra gli interventi è prevista la «proposta di revisione del Piano di caratterizzazione già approvato, al fine di ottimizzare l'attività di campionamento ed analisi per ridurre i tempi e focalizzare l'intervento su aree maggiormente critiche pur mantenendo un'adeguata visione d'insieme». Inoltre, il comma 7 dell'articolo 10 dispone che per le aree a mare, il completamento della caratterizzazione compete al Ministero dell'ambiente che si avvale dell'autorità portuale di Trieste.
  L'autorità portuale, pertanto, nel luglio del 2012 ha trasmesso il «Piano di caratterizzazione generale delle aree a mare del SIN di Trieste», con l'obiettivo di migliorare la conoscenza della qualità dei sedimenti del SIN, ottimizzando le risorse economiche disponibili. Il documento è stato approvato dalla conferenza di servizi del 6 agosto 2012.
  Per quanto concerne, invece, l'intervento di «caratterizzazione delle aree a mare», ad oggi risulta ancora in corso di definizione un atto convenzionale tra regione Friuli Venezia Giulia e l'autorità portuale di Trieste.
  Per quanto riguarda la falda, la conferenza di servizi decisoria del 13 marzo 2006 ha preso atto del «Progetto per la messa in sicurezza d'emergenza della falda del SIN di Trieste», trasmesso da Sviluppo Italia Aree Produttive, consistente nella realizzazione di una barriera fisica lungo tutta la linea di costa del SIN di Trieste, finalizzata ad impedire la diffusione delle acque di falda contaminate verso il mare. Successivamente è stato sottoscritto il sopra citato Accordo che prevede, tra gli interventi della sezione programmatica, la messa in sicurezza e bonifica delle acque sotterranee sulla base degli obiettivi di bonifica stabiliti dal Piano Regionale di tutela delle acque.
  Per quanto concerne la verifica sull'attuazione, in base all'esito del rapporto annuale di monitoraggio reso dalla regione Friuli Venezia Giulia alla data del 31 dicembre 2012, non risultano impegni e spese relativamente agli interventi di cui all'Accordo in parola.
  A proposito dell'avvio della bonifica del SIN, si rappresenta che dalla data di perimetrazione del sito ad oggi si sono svolte n. 24 conferenze di servizi istruttorie e n. 27 conferenze di servizi decisorie e sono stati emanati in totale n. 3 decreti d'approvazione definitiva e n. 3 decreti d'autorizzazione all'avvio dei lavori, per motivi d'urgenza, di Progetti di bonifica.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   «Natura 2000», istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE «Habitat» e recepita dal Regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357 e successive modifiche, è una rete ecologica dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità;
   questa rete è costituita da Siti di interesse comunitario (SIC) – individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) – e comprende anche le Zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   le aree che costituiscono parte integrante di «Natura 2000» non sono riserve protette dove le attività umane sono escluse: la direttiva «Habitat», infatti, garantisce la protezione della natura tenendo anche «conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (articolo 2). Quindi soggetti privati possono essere proprietari dei siti «Natura 2000», assicurandone però una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico, ed è prevista una valutazione d'incidenza (articolo 6) per gli interventi umani, demandata alle competenti autorità statali (nel caso italiano alle regioni);
   la valutazione è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente considerato insieme ad altri piani e progetti, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso;
   il 3 giugno 2013 WWF Italia e Lipu-BirdLife Italia hanno trasmesso alla Commissione europea un dossier di «denuncia trasversale», cioè che non interessa un singolo sito ma la quasi totalità delle aree, in cui si segnalano con reportage fotografici gli interventi, autorizzati e non, che hanno provocato la distruzione o il degrado della biodiversità in numerose zone italiane della rete «Natura 2000»;
   tra le segnalazioni del dossier figurano anche due casi che riguardano il territorio del Friuli Venezia Giulia, cioè quelli della Baia di Sistiana e della Val Rosandra;
   per la Baia di Sistiana, la denuncia riguarda l'escavazione di un ex cava finalizzata ad opere edili per il turismo nel sito «Carso triestino e Goriziano» che ha comportato la distruzione di «habitat prioritario», mentre il precedente reclamo delle due associazioni relativo alla difformità della valutazione d'incidenza della sua realizzazione, non è stato accolto dagli organi comunitari;
   il caso di Val Rosandra riguarda, invece, l'operazione «Alvei puliti 2012» della Protezione Civile, realizzata senza la necessaria valutazione d'incidenza e che ha portato al taglio indiscriminato di vegetazione riparia in molti tratti di corsi d'acqua in tutta la regione, e in particolar modo in Val Rosandra, all'interno della Zona di protezione speciale It3341002 e del Sito di interesse comunitario It3340006, dove l'intervento ha portato alla pressoché totale distruzione dell’habitat preesistente;
   le due associazioni ambientaliste, senza mezzi termini, chiedono all'organo comunitario di avviare una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia «per garantire il pieno rispetto della direttiva comunitaria habitat, tutelando adeguatamente la rete Natura 2000 italiana in progressivo degrado e rilanciando il monitoraggio dei siti di importanza comunitaria e delle Zone di protezione di speciale» –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave condizione di degrado dei territori compresi nella rete «Natura 2000» e se intenda assumere iniziative immediate, in accordo con le regioni interessate, in modo da evitare l'avvio di una procedura di infrazione comunitaria che metterebbe il nostro Paese sotto una cattiva luce per non aver rispettato gli impegni assunti a favore della conservazione della biodiversità. (4-00850)

  Risposta. — Si rappresentano le informazioni inerenti due casi specifici afferenti la regione Friuli Venezia Giulia e le considerazioni scaturite dall'esame del Dossier WWF – LIPU indicato.
Primo quesito:

  Il primo quesito riguarda l'abrogazione delle misure di salvaguardia previste per il Parco del Carso Triestino, come noto il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 ha attribuito alla regione Friuli Venezia Giulia le deleghe per provvedere alla istituzione del Parco del Carso Triestino, il cui iter è stato avviato con la legge regionale n. 42 del 1996.
  Recentemente, con la legge regionale n. 26 del 21 dicembre 2012, articolo 221, sono state, abrogate le misure di salvaguardia previste dal comma 6, dell'articolo 55, della citata legge regionale n. 42 del 1996, comunque ancora vigente.
  La regione Friuli Venezia Giulia, con nota prot. SCPA/8.5/16643 del 18 settembre 2013, ha riassunto le fasi che hanno interessato le tutele della vasta area in questione, dalla individuazione delle diverse «Riserve naturali», delimitate nelle carte allegate alla legge n. 442 del 1971; alla evoluzione di un'unica area da destinare a parco, così come previsto dalla legge regionale n. 42 del 1996, ritenendo tale assetto giuridico il più consono alla disciplina e salvaguardia dei complessivi elementi naturali e delle attività antropiche; fino alla successiva individuazione dei Siti Natura 2000, tutelati da misure di conservazione generali, individuate dall'articolo 3 della legge regionale n. 14 del 2007, e da misure di conservazione specifiche di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 546 del 2013.
  La regione ha concluso che, «all'interno della complessiva area tutelata dalle Direttive Habitat e Uccelli restano ferme le tutele previste per le Riserve Naturali Regionali istituite ai sensi della legge regionale n. 42 del 1996».
  Pertanto, nelle more delle determinazioni che saranno raggiunte in merito alla istituzione del parco, l'autorità regionale ha stabilito le opportune misure di conservazione dei Siti Natura 2000, nel rispetto della direttiva 92/43/CEE della Direttiva 79/409/CEE, combinate con le tutele previste per le riserve naturali regionali in argomento.

Secondo quesito:

  Per quanto concerne il secondo quesito, inerente il piano «Alvei puliti 2012» che ha interessato il torrente Rosandra, è stato appurato che sono stati effettuati interventi poco selettivi sia sulla vegetazione in alveo che sulle piante ad alto fusto.
  Allo stato è pendente il procedimento penale n. 2547 del 2012 presso il tribunale di Trieste per la contestazione del reato di cui all'articolo 734 «Distruzione o deturpamento di bellezze naturali» del Codice penale, e quindi all'articolo 134 «Beni paesaggistici», del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio, di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali.
  Il torrente Rosandra ricade nella riserva naturale regionale della Valle Rosandra (EUAP0986), nonché SIC IT3340006 «Carso Triestino e Goriziano».
  A seguito dell'interessamento anche di questo ministero, avvenuto nell'ottobre 2012 da parte dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, si è provveduto a rappresentare le criticità risultanti dalle relazioni degli esperti in materia di Direttiva 92/43/CEE e a richiedere opportuni e specifici approfondimenti alla regione Friuli Venezia Giulia, alla quale era comunque già stata inviata una istanza nel maggio 2012, a seguito di una puntuale segnalazione.
  Il competente assessorato regionale all'ambiente aveva fornito riscontro a tale prima segnalazione, affermando di non aver ricevuto comunicazioni in merito all'intervento e alla inderogabile valutazione di incidenza.
  Dall'esame dei documenti acquisiti nell'ambito del procedimento penale, si è appurato che con il decreto n. 254/pc/2012 del 16 marzo 2012 l'assessore regionale della protezione civile aveva ritenuto che l'intervento non fosse da sottoporre alla preventiva valutazione di incidenza, in quanto «non ricadente nelle fattispecie di piani o progetti richiamate dall'articolo 5 del decreto stesso (decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997)».
  Tale assenza di concertazione in ambito regionale è parte preponderante nell'origine del danno causato, aggravata successivamente da una carenza di selezione della vegetazione da abbattere avvenuta in corso d'opera.
  Questo Ministero, sulla base della relazione elaborata dall'I.S.P.R.A. che ha vagliato i fatti dal punto di vista del danno ambientale consumato, si è costituito Parte Civile nel Procedimento penale in corso.

Terzo quesito:

  Per quanto riguarda la tematica più ampia sollevata con il dossier WWF-LIPU, si può affermare che, così come riassunto nella premessa al dossier medesimo, l'attenzione è focalizzata sulla procedura di valutazione di incidenza e sulle particolari criticità rappresentate in molti casi dalla scarsa professionalità, sia di alcuni estensori di studi di incidenza e sia di alcuni nuclei di valutazione, oltre che dalle carenze normative a carattere sanzionatorio; dalla difficoltà di esercitare l'attività di sorveglianza, e altro.
  Dette associazioni ambientaliste dichiarano di non aver presentato nuovi singoli reclami alla Commissione europea in quanto, in caso di non accoglimento, costituirebbero precedenti con effetto opposto a quello auspicato.
  Le associazioni hanno, quindi, ritenuto opportuno inviare detto dossier alla CE per una azione legale più ampia da parte della DG Environment, finalizzata ad un percorso di monitoraggio, così come già avviato nella fase iniziale di formazione della Rete Natura 2000 in Italia.
  Nel valutare con attenzione le osservazioni sulle carenze nella applicazione della valutazione di incidenza, così come svolta da parte di alcune autorità regionali e locali, tuttavia non appare calzante la definizione di «depauperamento costante» attribuita alla situazione dei Siti Natura 2000 nella fase attuale, per quanto rappresentato nei punti di seguito riportati.
  A seguito del citato invio del dossier WWF-LIPU alla Commissione europea, la DG ENV ha ritenuto di avviare il caso EU Pilot 6730/14/ENVI – Attuazione in Italia della Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
  In relazione alle tipologie di violazioni contestate e sulla base di una prima ricognizione effettuata con le amministrazioni regionali competenti non sono emerse particolari criticità a livello normativo. Alcune regioni, sulla base di specificità valutate da un punto di vista tecnico per determinate situazioni locali, hanno individuato una tipologia di snellimento procedurale che comprende comunque verifiche preventive attraverso apposita richiesta di informazioni nella modulistica adottata, e considera gli effetti di tipo cumulativo eventualmente presenti su uno stesso sito.
  Sulla base di analisi dei diversi casi segnalati si è appurato che le presunte violazioni all'articolo 6, commi 2, 3 e 4, si sono determinate in un contesto di illeciti posti all'attenzione della magistratura, di procedure svolte ex-post prioritariamente per situazioni di somma urgenza e nelle quali non è stato possibile effettuare preventivamente la valutazione, oltre che ad altri casi particolari, dove la complessità e l'integrazione delle procedure in atto non ha condotto ad un esito della valutazione nei termini temporali previsti dalla normativa.
  Deve per completezza e coerenza rappresentarsi che è stata riscontrata una qualità non sempre appropriata degli studi di incidenza che possono presentare lacune nelle indagini e nei monitoraggi conoscitivi e quindi nella descrizione completa delle incidenze su habitat e specie di interesse comunitario, e integrità del sito. Pertanto uno dei problemi riscontrati a livello generale è che gli studi di incidenza non appaiono redatti da soggetti in possesso di adeguate professionalità e competenza.
  Inoltre in merito al raggiungimento degli obiettivi e della revisione della strategia nazionale biodiversità (SNB) con azioni a breve, medio e lungo termine, si informa che in attuazione alla SNB e alla strategia europea per la Biodiversità 2020, la scrivente Amministrazione sta condividendo, nell'ambito del comitato paritetico della SNB, un percorso di verifica dell'applicazione delle direttive habitat e uccelli a cui si aggiunge anche il fitness check sulle direttive Natura avviato a livello comunitario.
  In tale ambito sono peraltro emerse, da parte delle regioni e province autonome (P.A) alcune criticità, soprattutto in merito alla coerenza delle metodologie attuate per l'integrazione della Rete Natura 2000 nell'ambito delle politiche di settore, sia a livello comunitario che nazionale e locale.
  Infatti la valutazione di incidenza se non opportunamente considerata, può essere oggetto di una interpretazione errata e quindi configurarsi come un appesantimento burocratico dell'iter procedurale.
  Il Ministero, in diverse sedi ed occasioni, ha sempre ribadito in modo univoco le indicazioni di carattere generale e specifiche necessarie per una corretta attuazione di quanto previsto dall'articolo 6 della direttiva Habitat e dalla relativa normativa nazionale.

1) Monitoraggi

  In merito ai monitoraggi auspicati nel dossier, come è noto, questo Ministero è tenuto a trasmettere alla Commissione Europea i risultati provenienti dalle regioni, nel rispetto dell'articolo 17 della direttiva Habitat, che prevede ogni sei anni l'elaborazione di un rapporto nazionale sullo stato di attuazione delle disposizioni della direttiva stessa con dati suddivisi per aree di appartenenza biogeografica.
  Nel corso del 2007 è stato redatto il 2o rapporto nazionale riferito al periodo 2001-2006, mentre il prossimo rapporto nazionale sarà riferito al periodo 2007-2012 e sarà presentato entro il 2013.
  Con pubblicazione «Specie ed habitat di interesse comunitario in Italia: distribuzione, stato di conservazione e trend. ISPRA Serie Rapporti 194/2014» – è stato trasmesso alla Commissione europea il 3o rapporto nazionale sulla Direttiva habitat.
  Analogo rapporto è stato predisposto ai sensi dell'articolo 12 della Direttiva Uccelli, secondo modalità indicate nel decreto interministeriale del 6 novembre 2012 dei Ministeri dell'ambiente e delle politiche agricole.
  I dati per tali rapporti costituiscono una dettagliata valutazione dello stato di conservazione di tutti gli habitat e le specie di interesse comunitario e sono stati raccolti attraverso un ampio coinvolgimento e l'opportuna consultazione del mondo scientifico e delle amministrazioni regionali, con il coordinamento scientifico dell'ISPRA.
  Da detti monitoraggi non emerge una situazione corrispondente al livello di denuncia formulato nel dossier.

2) Aspetti procedurali.

  In merito agli aspetti procedurali, nella parte del dossier dedicata agli approfondimenti, si fa cenno ad aspetti riferiti alle componenti esterne capaci di influire sulla tutela della Rete ecologica, quali possono essere interventi e infrastrutture non correttamente pianificate nell'ambito di procedure di valutazione ambientale strategica (VAS) o di valutazione di impatto ambientale (VIA), con conseguenti effetti indiretti quali l'inquinamento, il disturbo, l'alterazione idrogeologica, e altro senza escludere fattori come alcune attività dell'uomo, cambiamenti climatici, e altro.
  Tali considerazioni sulla necessità di strutturare in modo coordinato l'aspetto interdisciplinare tra le diverse competenze delle Autorità delegate alle valutazioni, pone una riflessione sulle attuali modalità di concertazione tra le istituzioni.
  Infatti, le proposte di programmi, piani, progetti sono elaborate spesso con analisi settorializzate nella loro specificità tematica e non favoriscono una verifica d'insieme, né uno snellimento procedurale.
  In tal senso, le indicazioni fornite da questo Ministero costituiscono una integrazione agli aspetti valutati nelle procedure di VIA e VAS.
  Le criticità segnalate appaiono riferite prevalentemente alla fase operativa e non ad una mancanza strutturale della procedura di Valutazione di Incidenza.

3) Singoli casi

   In merito alla presentazione di singoli casi esemplificativi, elencati negli allegati al dossier, si rileva che moltissime problematiche in materia di direttiva Habitat sono state da tempo affrontate da questo Ministero e in gran parte superate, e che alcune di esse sono state anche oggetto di contenzioso comunitario, sia come EU Pilot che come vere e proprie procedure di infrazione e cause presso la Corte di giustizia europea, comunque archiviate.
  Questo comprova come l'attività svolta dal Ministero possa essere considerata adeguata.
  In merito all'attenzione sulle criticità procedurali, si evidenzia che già questo Ministero ha segnalato che la stesura dello studio di incidenza deve essere affidata ad esperti competenti e ufficialmente qualificati.
  È fondamentale infatti che in uno studio di incidenza si raggiunga una realistica descrizione del sito, affinché non si operi sulla base di una rilevazione dello stato ante-operam fondata su dati non veritieri, oppure che in tale studio si evidenzino aspetti trascurabili, fino ad arrivare ad una aprioristica affermazione di – un riscontrato «degrado» del sito – con il solo scopo di proporre progetti che nella loro realizzazione, di fatto, possono compromettere il sito interessato.
  Questi e altri criteri fondamentali sono stati sempre ribaditi dal Ministero dell'ambiente, a seguito delle segnalazioni dalle quali emergono palesi incongruenze.
  È quindi da ricondurre a dati oggettivi il livello di alcune segnalazioni, che a volte sopravvalutano alcuni effetti di un piano o progetto in rapporto a quanto, invece, è stato complessivamente sottovalutato dai proponenti, responsabili dello studio di incidenza.
  Spesso molte segnalazioni possono dimostrarsi relativamente «deboli» in quanto concentrate su casi o situazioni di dettaglio che non sono significative dal punto di vista della rilevanza degli effetti sullo stato di conservazione del sito.
  Viene infatti dichiarato nel dossier che tale rappresentazione episodica, comunicata sia tramite segnalazioni di privati o di associazioni ambientaliste e sia mediante atti di intervento giuridico, non sempre riesce a produrre gli effetti auspicati, né a livello nazionale, né presso la Directorate General Environment.
  Diversa, invece, sarebbe l'efficacia di una segnalazione di un caso specifico rapportata allo stato di conservazione dell'intero sito natura 2000, qualora insistano problematiche derivanti sia dalla consistenza dell'intervento evidenziato e sia da una concentrazione di ulteriori componenti negative, o di interventi valutati in modo parcellizzato.
  Tale approfondimento consentirebbe di far emergere con chiarezza il contrasto con i criteri della direttiva, inerenti sia il mantenimento in uno stato di conservazione sufficiente, specifico per ogni sito, e sia nel rapporto con l'equilibrio dell'intera Rete ecologica, soprattutto per gli habitat di tipo prioritario.
  Un criterio questo di primaria importanza perché rappresenta una lettura del territorio a scala più ampia, necessaria per poter determinare l'effettivo carico di interferenze a danno dell'equilibrio generale della Rete Natura 2000, con particolare riferimento alla reale concentrazione di interventi in grado di generare interferenza negative.

4) Attività poste in essere

  In merito alle attività poste in essere, oltre al citato monitoraggio, è noto che il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni assegna al Ministero dell'ambiente le funzioni di indirizzo per la gestione dei siti (articolo 4, comma 2) finalizzate a garantire l'applicazione uniforme sul territorio nazionale delle prescrizioni nazionali e comunitarie in materia di Direttive Habitat e Uccelli.
  Nel rispetto della legislazione ordinaria in materia, e sulla base di tali indirizzi, la gestione dei Siti Natura 2000 è rimessa integralmente alle regioni, così come le procedure di Valutazione di Incidenza, per le quali non sono previste fasi endoprocedimentali di consultazione presso il Ministero dell'ambiente.
  Peraltro si segnala che in materia sono intervenute regolazioni regionali di rango normativo a seconda degli assetti previsti da ogni amministrazione regionale e provincia autonoma, in materia di valutazione di incidenza, per definire le modalità di presentazione dei relativi studi, individuare le autorità competenti alla verifica degli stessi, i tempi per l'effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità per partecipare alle procedure nel caso di piani interregionali.
  Alcune autorità regionali come Umbria, Lombardia, Emilia Romagna, hanno adottato in proposito specifiche linee guida, come ulteriore strumento operativo.
  L'impegno del Ministero dell'ambiente nello svolgere il proprio ruolo deve quindi essere supportato dall'attività delle autorità regionali e delle province autonome delegate a svolgere azioni preventive, sia in fase di valutazione che in fase di vigilanza sulla esecuzione degli interventi, mediante monitoraggi ove ritenuti necessari.
  Come è noto, sulla base degli indirizzi stabiliti con il decreto ministeriale del 3 settembre 2002 «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000», dette autorità stanno provvedendo progressivamente a presentare e ad approvare le proprie misure di conservazione o i propri piani di gestione per la designazione dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC).
  Altresì, sono state poste limitazioni, ma anche specifici divieti, riguardo a diverse categorie di interventi o iniziative mediante il decreto ministeriale 17 ottobre 2007, «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS) ».
  Quindi, l'attività di approfondimento svolta dal Ministero dell'ambiente in materia è indirizzata al rispetto della direttiva Habitat, e in particolare del suo articolo 6, inerente principalmente le misure di conservazione e la valutazione di incidenza, al fine di offrire un contributo a livello europeo per l'attuazione del principio di integrazione tra gli Stati membri, in tema di promozione della biodiversità e di una gestione sostenibile delle aree tutelate.
  A tale proposito si cita a titolo di esempio quanto realizzato nell'ambito del progetto Life 99NAT/IT/006279 «Verifica della Rete Natura 2000 in Italia e modelli di gestione» che, tra le altre cose, ha prodotto le Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000 (emanate con decreto ministeriale 3 aprile 2002) e il «Manuale per la gestione dei siti Natura 2000» (pubblicato all'indirizzo http://www.minambiente.it/pagina/documenti-di-riferimento) all'interno del quale un intero capitolo è stato dedicato agli aspetti tecnici e procedurali della valutazione di incidenza.
  Pienamente coerente con tale politica è anche quanto delineato dallo sviluppo della strategia nazionale per la biodiversità in Italia, approvata in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, mediante l'intesa del 7 ottobre 2010.
  Detta attività conoscitiva e di supporto è stata intensificata negli anni successivi attraverso la realizzazione di studi e pubblicazioni, tra i quali si cita ad esempio il «Manuale italiano di interpretazione degli habitat della direttiva 92/43/CEE» (http://vnr. unipg.it/habitat/), che hanno assunto rilevanza strategica a livello nazionale per la predisposizione della strategia nazionale per la biodiversità 2011-2020 (di seguito SNB), adottata d'intesa con la Conferenza Stato regioni in data 7 ottobre 2010, a seguito di un percorso di partecipazione e condivisione fra i diversi attori istituzionali, sociali ed economici interessati, che ha condotto alla I conferenza nazionale per la biodiversità, tenutasi a Roma in data 22 maggio 2010. (http://www.minambiente.it/pagina/strategia-nazionale-la-biodiversità).
  La SNB ha come scopo generale l'integrazione delle esigenze di conservazione della biodiversità a tutti i livelli e l'uso sostenibile delle risorse naturali nelle politiche nazionali di settore.
  La struttura della SNB in aree di lavoro tematiche è stata prediposta con l'obiettivo di individuare e definire criticità, obiettivi specifici e priorità di intervento che rendessero più efficaci e sinergiche le azioni di integrazione da intraprendere per il raggiungimento degli obiettivi posti.
  In tale contesto si ritiene che l'Italia, attraverso l'individuazione di specifiche priorità di intervento della SNB indirizzate alla efficacia della valutazione di incidenza affrontata in più aree di lavoro, quali ad esempio la n. 1 specie habitat e paesaggio, la n. 2 aree protette, abbia correttamente interpretato il raggiungimento degli obiettivi posti dall'articolo 6 paragrafi 2, 3 e 4 della direttiva Habitat in un'ottica sistemica, così come previsto dalla normativa vigente, ritenendo comunque, come riportato a pagina 40 della SNB, di dover superare alcune criticità nel frattempo riscontrate e così sintetizzate: «La valutazione di incidenza, introdotta dall'articolo 6 della direttiva Habitat, se correttamente attuata, costituirebbe una formidabile opportunità per garantire il raggiungimento di un giusto equilibrio tra l'obiettivo di mantenere o ripristinare in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat e le specie di interesse comunitario e l'uso sostenibile delle risorse naturali. La qualità degli studi di incidenza prodotti è risultata complessivamente piuttosto critica e spesso non rispondente alle finalità della procedura; anche il panorama degli uffici preposti al rilascio del parere risulta piuttosto disomogeneo e presenta diverse problematicità sia a causa di forti sottodimensionamenti degli organici che per mancanza di una diffusa presenza delle professionalità necessarie per espletare in modo soddisfacente la procedura.».
  La SNB rappresenta dunque il riferimento nazionale attraverso il quale è stato possibile evidenziare alcune criticità emerse nell'attuazione della procedura di valutazione di incidenza (pagina 41), per il superamento delle quali, nell'ambito del quadro normativo nazionale sopra riportato, è stato definito l'obiettivo specifico di «rafforzare l'efficacia e l'efficienza della procedura di valutazione di incidenza a livello centrale e periferico» individuando come priorità di intervento:
   la realizzazione di linee guida per la mitigazione dell'impatto sulla biodiversità derivante dalla realizzazione di infrastrutture localizzate in ambiti di interesse per la biodiversità;
   promuovere iniziative volte al miglioramento dell'efficacia di VAS, VIA e valutazione d'incidenza, quali strumenti di prevenzione, minimizzazione e mitigazione degli impatti sul paesaggio, sugli habitat e sulle specie, mediante la realizzazione di linee guida o di indirizzo;
   mettere in atto programmi e progetti volti a rafforzare gli uffici competenti al rilascio del parere di valutazione di incidenza, aumentandone l'organico qualificato e promuovendo efficaci azioni formative, sia a livello centrale che periferico;
   realizzazione di linee guida nazionali sulla valutazione di incidenza che, tra l'altro, chiariscano i concetti maggiormente problematici quali ad esempio «misure di mitigazione» e procedere con la revisione dell'allegato G del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003 al fine di migliorare l'efficacia e l'efficienza della procedura.

   Con il decreto ministeriale del 6 giugno 2011 (Gazzetta Ufficiale 143 del 26 novembre 2011) sono stati istituiti gli organi di governance della SNB, il cui ruolo principale è quello di «garantire la collaborazione e il coinvolgimento di tutti gli attori responsabili della SNB».
  Come evidenziato nella stessa strategia e nel I rapporto nazionale della SNB, le regioni e P.A, con riferimento al titolo V della Costituzione italiana, svolgono un ruolo fondamentale per l'attuazione della SNB «in considerazione delle specifiche competenze loro attribuite nei diversi ambiti tematici, attraverso la programmazione e la gestione delle attività nei principali settori che incidono sulla conservazione della natura».
http://www.minambiente.it/sites/default/ files/archivio/allegati/biodiversita/dpn_I_ rapporto_snb_2011_2012.pdf.

  Alla volontà di raggiungere in modo condiviso e consapevole gli obiettivi della SNB e, tra questi, quelli sopra menzionati relativi alla valutazione di incidenza, concorrono tempi adeguati a breve-medio-lungo termine, strettamente correlati alla eterogeneità delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali, così come definite dalla direttiva 92/43/CEE, articolo 2, comma 3.
  In attuazione della SNB, a partire dal 2011, diverse iniziative di livello centrale e regionale sono state avviate per il raggiungimento degli obiettivi inerenti la valutazione di incidenza.
  Tra queste citiamo a titolo esemplificativo e significativo le seguenti:
   Settembre 2011 – Documento tecnico «VAS-Valutazione di incidenza» elaborato con il Ministero per i beni e le attività culturali, nell'ambito delle attività del Tavolo «VAS-Stato Regioni-Province Autonome» con lo scopo di approfondire le modalità di integrazione tra le procedure di valutazione di incidenza e Valutazione ambientale Strategica, così come disposto dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, e proporre indirizzi operativi.
   Marzo 2012 – Nella seduta della Conferenza Stato-regioni è stato sancito l'accordo sul documento «Indirizzi di Gestione Forestale per i siti della rete Natura 2000» per la condivisione formale di un documento nazionale teso a fornire un contributo alla gestione attiva delle foreste che ricadono all'interno delle aree natura 2000.
   Maggio 2013 – Fascicolo n. 3 della newsletter «Natura 2000 Italia Informa» interamente dedicato alla valutazione di incidenza.

http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/natura2000_italia_informa03_ita.pdf.

  Gennaio 2014 – linee guida per le regioni e le province autonome in materia di monitoraggio delle specie e degli habitat di interesse comunitario, valutazione e rendicontazione ai sensi dell'articolo 17 della direttiva Habitat.
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/linee_guida_finali_2014.zip.

  Febbraio 2014 – Specie e habitat di interesse comunitario in Italia: distribuzione, stato di conservazione e trend. ISPRA Serie Rapporti n. 194 del 2014 – 3o Rapporto nazionale sulla direttiva habitat trasmesso nel 2013 alla Commissione europea al quale hanno collaborato MATTM, regioni e P.A., ISPRA e società scientifiche.
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/rapporto_194_2014.pdf.

  Corsi di formazione:
http://www.pongasminambiente.it/azioni-di-supporto-ai-processi-di-vas-e-ai-procedimenti-di-via.

  In merito all'aspetto riferito alle misure di compensazione, sulla base delle esperienze acquisite e ad integrazione dei documenti già disponibili della CE, si è elaborata una pubblicazione di supporto, approntata allo scopo di chiarire alcuni aspetti applicativi e tecnici dei disposti dell'articolo 6.4.1 e 6.4.2 della direttiva Habitat.
  Tale documento è consultabile al link:
http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/misure_compensazione_direttiva_habitat.pdf.

  Pertanto, il progressivo impegno del Ministero dell'ambiente in materia di Direttiva Habitat è indirizzato a migliorare gli obiettivi posti a livello nazionale ed europeo, per raggiungere i quali è necessario che si pervenga ad una sempre più ampia condivisione dei medesimi, sia da parte delle autorità delegate territorialmente che delle diverse Autorità centrali, nonché di una concreta presa di coscienza e di progresso culturale in materia, da parte di tutti i proponenti e progettisti di iniziative territoriali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.