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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 6 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Venezuela, nazione sudamericana di grande rilievo nel quadro delle relazioni dell'Italia con l'America Latina, il leader dell'opposizione venezuelana Leopoldo Lopez ha subito una condanna a tredici anni e nove mesi di reclusione, con una sentenza che chiude un processo durato 19 mesi additato da gran parte del mondo come un atto di persecuzione politica da parte del governo di Nicolas Maduro;
    Leopoldo Lopez è il leader del partito riformista Voluntad Popular, membro dell'Internazionale Socialista. Nel 2000, Lopez è stato eletto sindaco di Chacao, una delle cinque municipalità di Caracas; nel 2004, viene rieletto con l'81 per cento di voti. Nel 2008 è stato interdetto dai pubblici uffici con l'accusa di corruzione, con altri 300 politici che furono esclusi dalla vita pubblica del Venezuela, secondo molti osservatori a causa delle pressione dello stesso Chávez, che temeva per la propria rielezione; nel febbraio del 2014, Lopez viene arrestato e rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde, a nord di Caracas. Si consegna spontaneamente alle autorità che lo indicavano quale responsabile degli incidenti scoppiati al termine di una manifestazione studentesca svoltasi 6 giorni prima nel centro della capitale venezuelana;
    Lopez ha sempre respinto le accuse che gli erano rivolte, insistendo sul fatto che il suo appello alla protesta è sempre stato non violento e che è stato arrestato e processato solo perché si oppone al governo di Maduro;
    risulta che l'intero processo è stato contrassegnato da ogni sorta di irregolarità: tutte le testimonianze e le prove ammesse dal tribunale provenivano esclusivamente dall'accusa – quelle della difesa sono state respinte – le udienze non sono mai state pubbliche;
    a mantenere alta l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale è la moglie di Lopez, Lilian Tintori, di origini italiane, che si appella a tutti i leader politici e agli organismi internazionali per denunciare i soprusi che il marito e molti altri, in Venezuela stanno subendo, a causa di un regime totalitario;
    all'indomani della condanna di Lopez voci da tutto il mondo hanno manifestato la loro preoccupazione. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America, John Kerry ha dichiarato che: «Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati dall'arresto e dalla condanna del leader dell'opposizione, Leopoldo Lopez. La decisione della corte rilancia la grande preoccupazione sulla natura politica del giudizio e del verdetto processuali e sull'uso del sistema giudiziario per sopprimere e punire le critiche al governo;
    dall'arresto e dalla carcerazione di Lopez a febbraio del 2014 abbiamo sottolineato la nostra apprensione sulle accuse rivolte a lui, che consideriamo illegittime, e abbiamo ripetutamente chiesto il suo rilascio e quello di tutti i detenuti politici.». La direttrice 5 del programma Americhe di Amnesty International Erika Guevara Rosas Lopez ha detto che: «Le accuse nei confronti di López non sono mai state completamente provate e la sua condanna è chiaramente basata su motivi politici». Un partito appartenente all'Internazionale socialista ha definito Lopez «un prigioniero di coscienza»;
    lo stesso Parlamento europeo con la risoluzione sulla persecuzione dell'opposizione democratica in Venezuela n. 2014/2998 ha avuto modo di soffermarsi su questa vicenda, in particolare considerando che il leader dell'opposizione Leopoldo López è stato «arbitrariamente incarcerato» e ha invitato il governo del Venezuela «ad avviare un dialogo risoluto e aperto con l'Unione europea sul tema dei diritti umani», sollecitando l'UE, gli Stati membri e il vicepresidente/alto rappresentante Federica Mogherini a chiedere il rilascio immediato dei manifestanti arrestati arbitrariamente sin dall'inizio delle proteste,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza ogni iniziativa utile, anche in collaborazione con gli organismi internazionali e con i rappresentanti dei Governi dell'Unione europea, affinché vi sia una soluzione positiva della vicenda inerente al leader dell'opposizione venezuelana e a tutti coloro che sembra siano stati ingiustamente reclusi per motivazioni politiche.
(1-01007) «Di Lello, Di Gioia, Rampi, Schirò, Verini, Salvatore Piccolo, Lacquaniti, Manfredi, Minnucci, Bossa, Fava, Romanini, Ginoble».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge «enti locali» approvato nel mese di agosto 2015 taglia 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario, ridotto a 109,7 miliardi per il 2015. Nel 2010 era di 112,6 miliardi di euro. I settori colpiti sono: beni e servizi – dispositivi medici, farmaceutica, inappropriatezza (prestazioni di specialistica e riabilitazione), ospedali (chiusura con meno di 40 posti letto, personale, pubblici e privati);
    appare importantissimo togliere il velo su di un equivoco: non c’è alcuna spending review. I 2,3 miliardi di euro tagliati dal 2015 in poi da questo Esecutivo sono, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, i soliti tagli lineari;
    questi 2,3 miliardi non sono affatto un anticipo della spending review, ma tagli già inseriti nel bilancio 2015 dalla legge di stabilità dello scorso anno per coprire gli 80 euro: in sostanza, il Governo ha concordato con le Regioni un taglio 4 miliardi, motu proprio. La sanità rappresenta il 75 per cento dei budget regionali: alla fine i governatori si sono accordati con l'Esecutivo per tagliare dal servizio sanitario nazionale questi 2,3 miliardi, l'accordo è datato 2 luglio. Lo stesso Governo aveva però firmato un «Patto per la salute» con le regioni in cui si diceva che tutti i risparmi nella sanità restavano nella sanità: invece servono anche a ridurre il deficit o, se va bene, ad abolire l'Imu;
    era il 15 novembre 2012 quando scadeva il termine per sottoscrivere il patto per la salute 2013-2015, determinando, senza alcuna mediazione delle regioni, l'applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno sottratto alla sanità oltre 30 miliardi di euro. Negli anni successivi, il rapido avvicendarsi di tre Esecutivi, l'assenza di programmazione sanitaria e l'entità-rapidità dei tagli hanno causato uno sconquasso senza precedenti nella sanità pubblica, tanto da indurre Camera e Senato ad avviare parallelamente due indagini sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale (SSN);
    il 10 luglio 2014 Governo e regioni sottoscrivono il patto per la salute che fissa le risorse per la sanità e definisce la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016 con due fondamentali precisazioni. Con la prima – «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico» – non si esclude la possibilità nuovi tagli per esigenze di finanza pubblica. Con la seconda – «i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie» – il Patto lancia tra le righe il principio di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazioni), precisando che quanto recuperato dalle regioni in ambito sanitario non deve essere «distratto» verso altri settori;
   da allora professionisti sanitari e cittadini hanno assistito impotenti alla progressiva scadenza degli adempimenti del patto per la salute sotto il segno di una «schizofrenia» legislativa che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha permesso al Governo di depauperare le risorse del servizio sanitario nazionale scaricando sempre le proprie responsabilità;
    i numeri del comparto del settore sanitario dimostrano la contrazione della dotazione della spesa pubblica: nel 2010 il servizio sanitario nazionale veniva finanziato con 112,6 miliardi di euro (circa il 7,1 per cento del prodotto interno lordo dell'epoca), con 110 miliardi nel 2012 e circa 111 nel 2014 (6,9 per cento del prodotto interno lordo);
    per capire le dimensioni dell'impoverimento del servizio sanitario nazionale si deve tenere conto di due fattori. Esiste – ha scritto la Camera alla fine di una indagine conoscitiva – un «aumento considerato inevitabile in tutti i sistemi sanitari, intorno al 2 per cento annuo, dovuto al combinato disposto di nuove tecnologie e invecchiamento progressivo». Secondo: va tenuto conto anche dell'aumento generale dei prezzi. I numeri veri sono questi: nel 2016 i tagli sommati dei vari Governi ammonteranno a 30 miliardi di euro in sei anni, gli investimenti a zero euro. La spesa sanitaria dal 2010 a oggi è calata in ogni comparto, personale compreso, con l'unica eccezione dei farmaci ospedalieri;
    i confronti internazionali dimostrano l'assunto certificato dall'Ocse: nel 2013 la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata), era l'8,8 per cento del prodotto interno lordo, quella tedesca l'11, quella francese il 10,9 per cento, quella greca e portoghese il 9 per cento (nel frattempo abbiamo tagliato ancora). Se si volesse investire, in percentuale, quanto la Germania, il fondo del servizio sanitario nazionale dovrebbe costare 30 miliardi di più. La spesa sanitaria nazionale pro-capite (3.077 dollari contro i 3.453 della media Ocse) tra il 2009 e il 2013 è calata in media dell'1,6 per cento l'anno, come quella spagnola. Peggio dell'Italia solo Portogallo (- 3,3 per cento), Irlanda (-4 per cento) e Grecia (-7,2 per cento);
    al fine di evitare che anche le regioni «virtuose» siano continuamente oggetto di tagli lineari la soluzione invocata è quella dei costi standard che rappresentano il nuovo modello economico di riferimento sul quale fondare il finanziamento integrale dell'attività pubblica afferente l'erogazione ai cittadini dei principali diritti sociali (sanità, assistenza sociale e istruzione, nonché trasporto pubblico locale);
    il concetto dei costi standard è legato a due fondamentali scopi: quello di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso di essi, contenere i prezzi e quello di valutare gli scostamenti dei costi reali e, con essi, lo stato di efficienza del sistema produttivo;
    se in tutto il Paese venissero applicati i costi sanitari pro capite della regione Lombardia, pari a 1240 euro, si avrebbe un risparmio strutturale di 27 miliardi di euro all'anno corrispondenti all'ammontare di un'intera manovra finanziaria, che ben supera la copertura per Iva ed Imu; con le ingenti risorse liberate si potrebbero assumere iniziative di defiscalizzazione per le imprese;
    recentemente si è aggiunta la stretta riguardante 208 prestazioni su 1700 erogate dal servizio sanitario nazionale; il medico che violerà la disposizione verrà punito con un taglio dello stipendio: una sanzione del genere costringe il medico a non svolgere appieno la propria funzione;
    una recente ricerca ha evidenziato che, con il perdurare della crisi economica, il 46 per cento delle famiglie rinuncia ad alcune cure sanitarie primarie perché non è in grado di sostenerne i costi. Il 14 per cento del reddito familiare annuo è destinato alle spese mediche; ogni famiglia spende circa 2000 euro/anno per prestazioni essenziali e il 13 per cento si indebita per curarsi. Il 38 per cento dei concittadini rinuncia alle cure odontoiatriche, il 22 per cento a quelle oftalmiche e il 15 per cento alla riabilitazione,

impegna il Governo:

   a garantire il diritto alla salute per i cittadini previsto dall'articolo 32 della Costituzione attraverso la ridefinizione dei tagli previsti al fondo per la sanità e la revisione dei recenti tagli alle prestazioni sanitarie;
   ad assumere iniziative per una immediata introduzione del sistema dei costi standard essendo il presupposto fondamentale per garantire il diritto alla salute, facendo sì che il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari, a parità di disponibilità finanziarie, diventi il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie.
(1-01008) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    la guerra in Siria e le sistematiche violenze perpetrate contro la popolazione civile siriana hanno causato in quattro anni più di 200 mila morti, 1 milione di feriti, quasi 8 milioni di sfollati interni e più di 4 milioni di rifugiati dando luogo a una pesante crisi umanitaria;
    le più di 400 mila richieste di protezione internazionale depositate dai profughi siriani nel territorio dell'Unione europea rappresentano soltanto il 3,6 per cento degli sfollati interni o rifugiati siriani, mentre gli effetti dell'emergenza umanitaria si riversano principalmente nei Paesi confinanti, e, in particolare, in Giordania, in Turchia e in Libano che hanno accolto complessivamente quasi 4 milioni di profughi siriani;
    la Repubblica libanese, storicamente caratterizzata da un fragile equilibrio politico-religioso, con più di 250 profughi siriani ogni 1000 abitanti, costituisce il Paese con il più alto numero di profughi pro capite al mondo e svolge un fondamentale ruolo di contenimento dell'emergenza umanitaria, che ha un pesante impatto sul fragile contesto sociale ed economico del Paese, che continua a registrare episodi di tensione;
    secondo i dati di UNHCR, il Libano ha accolto circa 1,2 milioni di profughi siriani registrati, oltre a circa 50 mila rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria e registrati dall'UNRWA, che si aggiungono alla nutrita comunità di rifugiati palestinesi che risiede nel Paese dal 1948;
    nonostante il Libano non aderisca alla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, il Governo libanese ha deciso di dare esecuzione ad alcune disposizioni della Convenzione, concedendo discrezionalmente permessi di soggiorno;
    denunciando come il peso dell'accoglienza gravi di fatto sulle componenti più vulnerabili della popolazione libanese, il Governo libanese ha disposto pesanti restrizioni all'ingresso dei siriani presso le frontiere nazionali, nonché, dal 5 gennaio 2015, una sospensione delle registrazioni di nuovi profughi;
    gli effetti dell'emergenza umanitaria si sono riversati sulla già fragile economia delle comunità ospitanti libanesi, poste sotto stress dall'aumento incontrollato dei profughi; si registrano ormai da tempo fenomeni di infiltrazione da parte di organizzazioni criminali e terroristiche di matrice islamista; in particolare, nelle aree al nord del Paese, dove ampi strati della popolazione versano in condizioni di estrema povertà, si diffondono fenomeni di reclutamento dei giovani appartenenti alle fasce meno abbienti della popolazione libanese e dei profughi siriani e palestinesi, spesso in cambio di aiuti per il sostentamento economico; nelle stesse aree è stata riscontrata la presenza di scuole di radicalizzazione islamista;
    i recenti gravi episodi di tensione e di radicalizzazione registrati nel campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh mettono in evidenza la forte pressione che mina la tenuta dell'emergenza nelle comunità palestinesi insediate in Libano, da sempre vulnerabili e oggetto di pesanti discriminazioni economiche e sociali, e sulle quali grava ora il peso dell'arrivo di 12.700 nuove famiglie precedentemente rifugiate in Siria; a fronte dell'intensificarsi dell'emergenza, l'UNRWA denuncia una carenza di risorse che comporta una riduzione significativa dell'assistenza economica ai rifugiati palestinesi;
    le presenti e passate esperienze di tensione e di violenza legate all'insediamento dei rifugiati palestinesi sul territorio nazionale, hanno indotto il Governo libanese, fin dall'insorgere dell'emergenza umanitaria siriana, ad adottare la cosiddetta «no-camp policy», che prevede l'accoglienza dei profughi siriani in seno alle comunità locali, come alternativa ai «formal settlements»; tuttavia, all'interno del Paese sono presenti numerosi «Informal Tented Settlements» (ITS) che ospitano circa il 20 per cento del totale dei profughi siriani; in tali campi informali si registrano cattive condizioni igienico-sanitarie, nonché ampi fenomeni di sfruttamento, anche minorile; risulta altresì allarmante la diffusione dei fenomeni dei matrimoni forzati e delle madri adolescenti, che contribuiscono a un tasso molto elevato e incontrollato di natalità;
    come denunciato dalle agenzie delle Nazioni Unite e dagli operatori umanitari presenti nell'area, negli ultimi mesi l'esercito e le forze di sicurezza libanesi hanno attivato operazioni di sgombero dei campi informali nel nord del Paese;
    a fronte della crescita rapida e costante del numero di profughi in Libano dal 2013 al 2015, le agenzie delle Nazioni Unite riscontrano profonde difficoltà nel mantenere un livello minimo di assistenza primaria ai profughi; la mancanza di fondi ha indotto il programma alimentare mondiale (Pam) a dimezzare il valore dei «voucher» alimentari individuali da 27 a 14 USD mensili e ad escludere più di 130 mila individui dagli aiuti; altrettante difficoltà sono riscontrate dalle agenzie nel mantenere la propria capacità di assistenza sanitaria;
    secondo i dati del Pam, i nuclei che vivono sotto la soglia di povertà (3,8 USD al giorno per persona) sono attualmente il 70 per cento, il 53 per cento sul totale dei profughi siriani è composto da minori, di cui si stima che circa 300 mila siano correntemente esclusi dai programmi educativi formali e informali; essi si aggiungono ai minori libanesi e palestinesi più vulnerabili ed esposti alla povertà e all'analfabetismo che UNICEF stima raggiungere il numero di 1,2 milioni nel Paese;
    UNHCR stima che almeno 120 mila profughi siriani si trovino attualmente in condizione di estremo disagio in quanto sopravvissuti a gravi violenze e torture, bisognosi di assistenza sanitaria, bisognosi di protezione legale e fisica, LGBT a rischio di gravi e violente discriminazioni, ovvero minori, donne o anziani a rischio di violenze e abusi; tra di essi sono stati selezionati da UNHCR 9.000 siriani e 1.000 rifugiati di altre nazionalità da reinsediare in via prioritaria nel 2015, mentre sono stati 6.900 le disponibilità di accoglienza confermate, di cui soltanto 350 dall'Italia;
    con la raccomandazione dell'Unione europea 2015/914 la Commissione invita tutti gli Stati membri a procedere al reinsediamento di almeno 20.000 persone bisognose di protezione internazionale nell'arco di due anni; l'indice di distribuzione allegato alla raccomandazione indica per il nostro Paese il numero di 1.989 rifugiati da reinsediare in territorio italiano entro la fine del 2016; la Commissione europea ha esortato gli Stati membri a intensificare gli sforzi di reinsediamento anche oltre le quote calcolate nell'indice di distribuzione per rispondere all'appello lanciato dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati a impegnarsi maggiormente nell'accoglienza dei rifugiati con programmi di reinsediamento sostenibili, nell'ambito della campagna dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni e di cinque organizzazioni non governative;
    in risposta all'interpellanza urgente Cuperlo ed altri n. 2-01081, il Governo ha affermato di volere rispondere in maniera positiva a tale raccomandazione assicurando la massima determinazione per accrescere gli impegni per il reinsediamento delle persone eleggibili alla protezione internazionale, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili;
    il reinsediamento di coloro che presentano un evidente bisogno di protezione internazionale, infatti, costituisce uno dei quattro pilastri dell'Agenda sui migranti dell'Unione europea, fortemente sostenuta dal Governo italiano in sede di Unione europea, anche per evitare, attraverso ingressi legali e ordinati, il ricorso da parte dei rifugiati a viaggi pericolosi e ulteriori perdite di vite in mare, nonché per contrastare le reti criminali dedite alla tratta e al traffico di essere umani; il reinsediamento rappresenta inoltre una misura di solidarietà verso i Paesi che ospitano la maggior parte dei rifugiati nel mondo e risponde così al medesimo principio di solidarietà che impone agli altri Stati membri di condividere con gli Stati di primo approdo la responsabilità dell'accoglienza dei rifugiati sul territorio dell'Unione europea;
    spetta a UNHCR l'onere di valutare i candidati al reinsediamento nelle regioni prioritarie e di presentare proposte per il reinsediamento, mentre gli Stati conservano la responsabilità delle singole decisioni di ammissione, previ controlli medici e di sicurezza adeguati;
    la Commissione europea ed UNHCR esortano inoltre, gli Stati membri ad attivare tutti gli altri canali d'ingresso leciti di cui possono disporre le persone bisognose di protezione, compresi il patrocinio di soggetti privati o non governativi e i permessi per motivi umanitari o di studio e le clausole inerenti al ricongiungimento familiare;
    nella lettera inviata all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, i Ministri degli affari esteri di Italia, Francia e Germania hanno messo in evidenza l'urgenza di rafforzare i programmi d'istruzione e le scuole professionali in favore dei rifugiati; dopo quasi cinque anni di conflitto l'impossibilità di accedere e proseguire i programmi educativi si è trasformata nel rischio concreto che un'intera generazione di giovani siriani venga esclusa dagli studi primari, secondari e dall'istruzione superiore, privando la Siria della classe dirigente e professionale in grado di contribuire alla ricostruzione del Paese;
    come attestato dal nuovo Regional Refugee and Resilience Plan (3RP) per l'anno 2015-2016 e dal Lebanon Crisis Response Plan 2015-2016, sulla base dell'aggiornamento della strategia delle Nazioni Unite di assistenza al Libano, concepito anche a seguito di un dialogo con il Governo libanese, il mitigamento degli effetti della crisi umanitaria siriana in Libano non riveste più un carattere esclusivamente emergenziale, ma si concentra sull'avviamento di un processo di stabilizzazione socio-economica del Paese in un'ottica di medio e lungo periodo, in particolare con riferimento alle aree ritenute più vulnerabili e caratterizzate da servizi e infrastrutture molto deboli e da squilibri nel mercato del lavoro; gli enti locali rivestono pertanto un ruolo progressivamente più rilevante in risposta all'emergenza umanitaria, in particolare per il potenziamento dei servizi e delle infrastrutture delle comunità locali che ospitano i rifugiati;
    UNDP supporta un approccio integrato locale per i servizi di distribuzione, rafforzando le istituzioni a livello nazionale e locale, e ha concluso con il sistema delle regioni italiane/Conferenza delle regioni e delle province autonome un memorandum d'intesa volto a supportare le istituzioni e le comunità libanesi nel dotarsi di una più efficace organizzazione per la gestione della crisi siriana e delle altre criticità che da essa derivano per promuovere la costituzione di nuovi partenariati territoriali o di rafforzare quelli già esistenti tra regioni italiane e municipalità libanesi con l'obiettivo di garantire concrete ricadute sui entrambi i territori;
    l'Italia rappresenta il primo partner commerciale del Libano e gode di una positiva e importante considerazione della popolazione e delle autorità libanesi, nonché di una percezione di neutralità da parte delle diverse comunità confessionali; con più di 70 milioni di euro erogati in tre anni come risposta regionale alla crisi siriana, la cooperazione italiana ha mantenuto gli impegni e rappresenta un interlocutore credibile soprattutto per il Governo libanese che ha beneficiato di circa un terzo delle risorse rese disponibili a livello regionale ed ha visto realizzarsi interventi in tutte le regioni, garantendo una presenza della cooperazione italiana molto diffusa e consolidata sul territorio libanese; la DGCS è inoltre intervenuta nel settore dell'istruzione a favore dei profughi siriani sia attraverso contributi erogati a UNICEF e UNHCR, sia attraverso la partecipazione, con 3 milioni di euro, a un trust fund europeo che ha come settore primario d'intervento quello dell'educazione;
    con un contingente di circa 1100 militari l'Italia guida la missione internazionale UNIFIL (forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite); sempre nell'ambito della difesa, l'Italia ha attivato una missione bilaterale in Libano con il compito di organizzare, condurre e coordinare tutte le attività addestrative e di consulenza nazionali al fine di contribuire al rafforzamento delle capacità delle forze armate libanese,

impegna il Governo:

   a corrispondere alla raccomandazione dell'UE 2015/94, anche per valorizzare l'avvio di tutte le iniziative coordinate al livello dell'Unione europea, rafforzando il programma italiano di reinsediamento, la cui definizione e gestione sono affidate al Ministero dell'interno e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale congiuntamente per assicurarne la coerenza con gli obiettivi e con le politiche nazionali di cooperazione allo sviluppo;
   a promuovere la costituzione di un fondo internazionale per la scolarizzazione e l'educazione dei minori rifugiati, per restituire loro una vita normale, fatta anche di lavoro e studio, e sottrarli al rischio di radicalizzazione al quale sono esposti, e a finanziare l'attivazione di borse di studio presso le università italiane in favore dei rifugiati siriani, per consentire agli studenti capaci e meritevoli di coltivare le proprie conoscenze da spendere in fase di ricostruzione e di stabilizzazione del Paese origine;
   ad assumere iniziative per assicurare un adeguato livello di finanziamento per i programmi multilaterali e bilaterali di protezione e di assistenza di tutti i profughi in Libano e incrementare le risorse da destinare ai programmi di stabilizzazione, ricostruzione e riabilitazione, nell'ottica di un rafforzamento dei partenariati tra l'Italia e il Libano, anche attraverso la realizzazione di attività di collaborazione in favore delle realtà territoriali e delle comunità libanesi più vulnerabili;
   a valutare l'opportunità di promuovere nuovi strumenti di aiuto e di investimento volti a favorire il rilancio dell'economia libanese, quali la conclusione di nuovi accordi di conversione del debito, nonché di adottare iniziative volte a favorire gli investimenti e il contributo del settore privato;
   a utilizzare ogni strumento utile per rafforzare l'intenso dialogo politico con le autorità libanesi finalizzato, in particolare, a facilitare l'identificazione e la registrazione di tutti i profughi, ad assicurarne il riconoscimento dei diritti fondamentali, a partire dall'accesso ai servizi educativi e sanitari, nonché a promuovere la concessione di un permesso di soggiorno gratuito e la possibilità di svolgere lavori temporanei che ne permettano la dignitosa sopravvivenza.
(7-00793) «Quartapelle Procopio, Nicoletti, Garavini, Zampa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   indiscrezioni sul prossimo disegno di legge di stabilità, da quanto risulta all'interpellante, dicono che il Governo ha in mente di utilizzare cinque miliardi di euro di fondi strutturali del bilancio europeo 2014-2019, a cui si aggiungono altri cinque miliardi di cofinanziamento nazionale, per investimenti produttivi;
   ad oggi, però, non si ha contezza dell'esatto ammontare dei residui del bilancio europeo 2007-2013, che vanno spesi entro dicembre 2015: stando a quanto disposto dalla legge di stabilità 2014, dovrebbero essere circa 10 miliardi di euro, che il Governo Letta aveva programmato di spendere nel biennio 2014-2015;
   prima di fare ricorso ai fondi del bilancio europeo 2014-2020, il Governo dovrebbe fare chiarezza non solo sui residui del bilancio europeo 2007-2013, ma anche su come l'Esecutivo abbia effettivamente impiegato i circa dieci miliardi di euro che il Governo Letta aveva programmato di spendere nel biennio 2014-2015 –:
   come siano stati impiegati i dieci miliardi di euro dei fondi strutturali del bilancio europeo 2007-2013, che il Governo Letta aveva programmato di spendere nel biennio 2014-2015;
   se sia presente e a quanto ammonti il residuo dei fondi strutturali del bilancio europeo 2007-2013;
   se il Governo abbia utilizzato le risorse destinate al cofinanziamento dei fondi del bilancio europeo a copertura del bonus irpef di 80 euro, disposto dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.
(2-01104) «Brunetta».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in base al decreto legislativo n. 215 del 2003, la funzione dell'UNAR, ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, istituito presso il dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, è quella di «svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica» anche in un'ottica che tenga conto delle forme di razzismo a carattere culturale e religioso;
   la istituzione del suddetto organismo è avvenuta in attuazione della direttiva europea antidiscriminazioni n. 2000/43/CE la quale, prescrivendo agli Stati membri l'istituzione di un organismo per la promozione della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, ha espressamente prescritto requisiti di indipendenza ed autonomia delle relative funzioni;
   le istituzioni internazionali ed europee che operano nel campo dei diritti umani hanno invitato più volte il Governo a tenere in considerazione i forti rischi di razzismo e intolleranza che derivano dal crescente fenomeno del cosiddetto «hate speech» e dei discorsi dell'odio; fra le altre, la Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI) del Consiglio d'Europa, ricevuta in delegazione a settembre 2015 dal Governo italiano, già nel periodico rapporto all'Italia del 2012 aveva invitato il nostro Paese ad adottare provvedimenti efficaci per «combattere l'uso di discorsi xenofobi da parte dei partiti politici o dei loro esponenti o di discorsi che costituiscono un incitamento all'odio razziale»;
   l'UNAR ha istruito nel 2015, come da prassi, alcuni casi segnalati anche da diverse associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani che denunciavano i contenuti di carattere razzista e xenofobo di diverse affermazioni o interviste rilasciate dalla onorevole Meloni, leader della formazione di destra Fratelli di Italia;
   su uno dei casi istruiti dall'Unar la parlamentare ha creato un vero caso politico con grande clamore sui media per aver lamentato la violazione della propria libertà di espressione e delle proprie prerogative parlamentari;
   il Governo, anziché censurare i discorsi dell'odio, razzisti e xenofobi, ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti del direttore dell'UNAR per la nota inviata alla citata parlamentare in data 30 luglio 2015;
   il citato, dirigente risulta ad oggi senza incarico, non essendo stato confermato nella titolarità dell'ufficio al pari di altri dirigenti della Presidenza del Consiglio dei ministri che, di recente, a dispetto di ogni possibile rotazione degli uffici, hanno avuto, alla scadenza del mandato, la conferma nei propri incarichi dirigenziali, come risulta dal sito internet del Governo alla sezione trasparenza;
   già in precedenza lo stesso direttore era stato oggetto di forti critiche da parte di alcune forze politiche per l'impegno profuso nella attuazione della Strategia nazionale Lgbt 2013-2015, approvata con decreto del Governo, motivo per il quale è stato definito un direttore «scomodo» da alcuni noti editorialisti come Chiara Saraceno nelle colonne di Repubblica del 18 settembre 2015;
   a parere degli interpellanti il citato caso politico sollevato dall'onorevole Meloni ha riaperto le polemiche nei confronti della funzione di lotta alle discriminazioni svolta dall'Unar e ha determinato l'apertura di una preoccupante fase di stallo per le attività dell'ufficio, privo tuttora del direttore e ridotto di quindici unità di personale esperto;
   questa fase di stallo, come paventato anche da molte associazioni che hanno manifestato solidarietà e sostegno all'Unar, sta determinando la paralisi di alcune attività dell'Unar di rilievo fondamentale per la lotta alle discriminazioni, finanziate in gran parte da fondi europei allo stato inutilizzati per gli anni 2014-2015: in particolare, le progettualità a valere sul nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 e sul piano nazionale di inclusione sociale che risultano ancora da avviare, con l'accumulo di un grande ritardo anche a seguito del mancato rinnovo di quindici unità di personale che ha determinato un forte depotenziamento dell'ufficio sul versante dei fondi europei; la mancata adesione al nuovo programma del Consiglio di Europa che permetterebbe la prosecuzione della strategia nazionale Lgbt 2013-2015 per i prossimi anni; la pubblicazione del portale Lgbt molto atteso da tutto il terzo settore che ha collaborato alla attuazione della citata Strategia Lgbt –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per assicurare la necessaria autonomia dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali richiesta dalla normativa europea e la sua piena operatività su tutti i fattori della discriminazione;
   quali iniziative si stiano programmando per prevenire i pericoli connessi al dilagare del cosiddetto «hate speech» anche nel linguaggio politico e nel discorso pubblico;
   quali siano le ragioni per cui il Governo, anziché censurare i discorsi di odio razzisti e xenofobi, ha aperto, paradossalmente, un procedimento disciplinare nei confronti del direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che ad oggi risulta in una posizione di disparità rispetto ad altri colleghi e senza incarico, sebbene pagato dalla stessa Presidenza del consiglio;
   se la spropositata reazione nei confronti dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali non costituisca un ennesimo arretramento sul versante della tutela dei diritti Lgbt come testimoniano la forte reazione dell'associazionismo Lgbt sul caso Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ed il mancato rinnovo degli impegni del Governo in materia;
   quali siano le ragioni per cui il Governo non risulta aver risposto all'invito rivoltogli, da mesi, dal Consiglio di Europa per l'adesione al nuovo programma che consente la prosecuzione della citata Strategia Lgbt 2013-2015;
   quali siano le ragioni per cui non sono state avviate le attività previste dagli obiettivi tematici 9.5 e 2.3 dell'accordo di partenariato, in materia di antidiscriminazione, per il nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei 2014-2020, allo stato del tutto inutilizzati per gli anni 2014 e 2015;
   se vi siano delle ragioni specifiche che stanno portando al depotenziamento reale dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che, dopo la pubblicazione del bando, risulta ancora privo di una direzione e ridotto di quindici unità di personale esperto;
   attesa la centralità del settore dell'educazione, quali siano le motivazioni per cui non si è dato compimento alle attività di formazione dei docenti previste dalla citata strategia in materia di lotta alla omofobia né alle consuete iniziative annuali della VI settimana di azione contro la discriminazione nelle scuole, previste nel mese di ottobre dal protocollo siglato il 30 gennaio 2013 con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
(2-01105) «Scotto, Costantino, Fratoianni, Ricciatti, Melilla, Kronbichler».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in data 12 agosto 1980, il nucleo di polizia giudiziaria presso la regione Carabinieri di Bologna inviò al comando della stazione dei carabinieri di Aritzo, in provincia di Nuoro, una comunicazione avente ad oggetto l'inchiesta sull'esplosione alla stazione ferroviaria occorsa sabato 2 agosto 1980;
   a mezzo di detta missiva venne comunicato l'avvenuto rinvenimento, tra le macerie della stazione ferroviaria di Bologna, di un passaporto intestato al Prof. Salvatore Muggironi, un insegnante affetto da cecità residente nella precitata Aritzo;
   il Muggironi non era deceduto né compariva nella lista dei feriti che avevano fatto ricorso a cure mediche presso gli ospedali di Bologna in seguito alla nota esplosione;
   alla data del 12 agosto 1980, inoltre, nonostante fossero passati almeno dieci giorni dalla perdita di possesso del passaporto, il Muggironi non ne aveva ancora denunciato lo smarrimento alle autorità;
   il 19 agosto 1980, il comando della stazione dei carabinieri di Aritzo comunicò al Nucleo di polizia giudiziaria di Bologna l'avvenuta restituzione del passaporto, evidenziando contestualmente il sospetto che il Muggironi potesse appartenere all'area della sinistra extraparlamentare;
   il 10 ottobre 1980, la compagnia dei carabinieri di Sorgono (Nuoro) inviò un'informativa sul conto del Muggironi alla procura della Repubblica di Bologna e, per quanto di competenza, alla procura della Repubblica di Oristano. La nota trasse origine da una presunta telefonata anonima, ricevuta dal Brigadiere Oreste Celestino il precedente 7 ottobre, con la quale era stato attribuito al Muggironi un non meglio precisato coinvolgimento nell'esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna;
   il suddetto brigadiere Celestino allegò all'informativa una serie di schede personali da cui risultava l'affiliazione del Muggironi a un gruppo extraparlamentare operante in Barbagia dove militavano anche due persone già condannate per gravi reati quali detenzione di armi e ordigni, Giovanni Paba e Franco Secci;
   questi ultimi nel 1976, secondo le schede personali predette, sarebbero stati arrestati in Olanda perché trovati a bordo di un treno diretto alla stazione ferroviaria di Amsterdam in possesso di armi, esplosivi e fogli contenenti, nominativi di detenuti delle Brigate Rosse, nonché riferimenti a gruppi del terrorismo palestinese;
   il gruppo extraparlamentare indicato dal brigadiere Celestino, del quale avrebbero fatto parte Muggironi, Paba e Secci, sarebbe gravitato attorno al giornale denominato Barbagia Contro;
   da tale informativa scaturì un'inchiesta con esito negativo della procura della Repubblica i cui atti vennero poi trasmessi in seguito per competenza alla Procura della Repubblica di Bologna;
   da tali atti risulta che il Muggironi dichiarò agli inquirenti di essere stato a Bologna nell'estate 1980 per sottoporsi a visite oculistiche e di aver ivi soggiornato nella pensione Fusari e presso l'Hotel Apollo. Asserì poi di aver lasciato la valigia contenente il passaporto presso un pizzaiolo di origini sarde chiamato Franco Fulvio Berardis il quale poi, nonostante le promesse, si sarebbe rifiutato di restituirgliela;
   gli accertamenti condotti portarono la magistratura bolognese a ritenere irrilevanti i fatti segnalati dai carabinieri di Aritzo e Sorgono, sulla base del rapporto giudiziario redatto il 13 gennaio 1983 dal capitano Paolo Pandolfi, comandante della prima sezione del nucleo operativo dei carabinieri di Bologna;
   il capitano Pandolfi escluse qualsiasi nesso tra il Muggironi e l'esplosione avvenuta nella stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto 1980 in quanto il suddetto si sarebbe recato nel capoluogo emiliano solo per effettuare incontri di natura omosessuale. Il capitolo Pandolfi concluse il rapporto giudiziario sostenendo che il passaporto in realtà non sarebbe stato rinvenuto all'interno della stazione ferroviaria, come creduto inizialmente, in quanto il non meglio specificato sottoufficiale all'epoca incaricato della restituzione al proprietario avrebbe constatato che il documento era integro e privo di polvere –:
   se risulti che i suddetti Giovanni Paba e Franco Secci siano stati condannati in via definitiva dopo essere stati arrestati nel 1976 a bordo di un treno diretto alla stazione ferroviaria di Amsterdam mentre trasportavano armi, esplosivi, nonché fogli contenenti nominativi di detenuti delle BR, nonché riferimenti a gruppi del terrorismo palestinese;
   se risulti che nel 1980 in Barbagia le formazioni locali dell'estrema sinistra custodivano un arsenale di armi e esplosivi di proprietà del terrorismo palestinese;
   se risulti che nel giornale di lotta «Barbagia Contro», diffuso fino alla primavera del 1980, compaiono articoli firmati da Giovanni Paba, Franco Secci e Salvatore Muggironi;
   se risulti al Governo che sia stato appurato che in realtà Salvatore Muggironi nell'estate 1980 non si sottopose ad alcuna visita oculistica a Bologna, non soggiornò né alla pensione fusari né all'hotel Apollo, e che, in realtà, nessun Flavio o Fulvio Berardi di origine sarda risulta aver abitato a Bologna;
   se risulti che, non solo il passaporto, ma anche la valigia di Muggironi contenente alcuni documenti, sia stata rinvenuta tra le macerie della stazione ferroviaria di Bologna, sequestrata dalla polizia Ferroviaria infine restituita al predetto che la riconosceva a verbale come di sua effettiva proprietà;
   se risulti che il capitano Paolo Pandolfi, autore del rapporto giudiziario del 13 gennaio 1983, con cui si chiudono, a giudizio degli interpellanti, frettolosamente e inspiegabilmente, le indagini sul caso Muggironi fosse lo stesso che, durante l'inchiesta sull'esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna, si recò presso il carcere svizzero di Champ Dollon per ascoltare di persona il noto depistatore Elio Ciolini e per redigere poi un rapporto giudiziario destinato alla magistratura bolognese in cui si asseverarono come attendibili le rivelazioni acquisite dal predetto detenuto;
   quale sia stata la carriera dell'allora capitano Paolo Pandolfi e se tuttora sia in servizio;
   se risulti che il brigadiere dei C.C. Oreste Celestino che ricevette la telefonata anonima che accusava Muggironi di essere coinvolto nella strage di Bologna e che indagò sui rapporti Muggironi, Paba e Secci, morì poche settimane dopo l'invio alla procura di Bologna di una relazione sulle indagini che aveva effettuato su questa vicenda.
(2-01106) «Gianluca Pini, Fedriga».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BAZOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014 n. 190) ha previsto che «al fine della predisposizione del Piano nazionale per riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate [...], i Comuni elaborano progetti di riqualificazione costituiti da un insieme coordinato di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale» (articolo 1, comma 431, primo periodo) a tal fine è stato istituito il fondo denominato «Somme da trasferire alla presidenza del Consiglio dei Ministri per la costituzione del Fondo per l'attuazione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», autorizzando una spesa complessiva di euro 200 milioni nel triennio 2015-2017 (articolo 1, comma 434);
   la legge di stabilità ha a tale riguardo stabilito che i progetti di riqualificazione elaborati dai comuni con riferimento al piano di cui sopra siano trasmessi alla Presidenza del Consiglio entro il termine del 30 novembre 2015, «secondo le modalità e la procedura stabilite con apposito bando, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri [...] da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge» (articolo 1, comma 431, secondo periodo);
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto all'articolo 1, comma 431, deve definire quanto previsto al successivo comma 432, ovvero:
    a) la costituzione e il funzionamento di un comitato per la valutazione dei progetti;
    b) la documentazione che i comuni interessati debbono allegare ai progetti;
    c) la procedura per la presentazione dei progetti;
    d) i criteri di valutazione dei progetti da parte del comitato;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 è entrata in vigore il 1o gennaio 2015 e tuttavia, ad oggi, non risulta che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto all'articolo 1, comma 431, sia stato emanato, con il che i comuni non dispongono degli elementi necessari per poter onorare il termine del 30 novembre 2015 e, di fatto, la previsione della stessa predisposizione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate rischia di rimanere inattuata;
   entro quale data si presuma che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri possa essere effettivamente emanato;
   se, in considerazione del ritardo in questione, non si ritenga opportuno assumere iniziative per posticipare conseguentemente il termine del 30 novembre 2015 per la trasmissione da parte dei comuni di progetti di riqualificazione, assicurando un congruo periodo di tempo tra l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e la trasmissione dei progetti stessi. (5-06566)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, TERZONI, MANNINO, MICILLO, DE ROSA, ZOLEZZI, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, normava la definizione di accordi di programma;
   il programma FAS 2007-2013 disponeva di risorse per la mitigazione del dissesto idrogeologico;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponeva, per altra parte, di risorse per la mitigazione del dissesto idrogeologico;
   nel corso dell'anno 2010 sono stati sottoscritti accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni italiane (un accordo per ogni regione);
   nel corso degli anni 2010 e 2011, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), sono stati nominati i commissari straordinari delegati all'attuazione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del dissesto idrogeologico nelle regioni italiane (un commissario per ogni regione), con durata triennale prorogabile;
   per lungo tempo dalle nomine dei commissari (come detto, avvenute mediamente tra ottobre 2010 e marzo 2011), questi ultimi hanno dovuto svolgere da soli e con propri mezzi strumentali l'incarico loro affidato. Infatti, solo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, datato 20 luglio 2011, si consentiva ai commissari l'utilizzo di una struttura di supporto all'attività (cosa necessaria per l'espletamento delle numerose attività richieste con i DPCM di nomina, impossibili da esercitare singolarmente) i cui costi ricadevano entro l'1,5 per cento dei fondi destinati al dissesto. Norma mai abrogata, né revocata con il decreto-legge n. 91 del 2014. A seguito del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i commissari hanno strutturato i loro uffici con personale (con obbligo di utilizzare i parametri di reclutamento consentiti alle pubbliche amministrazioni, così da poter concretamente esercitare i mandati ascritti;
   gli incarichi commissariali avevano validità fino alla data del 31 dicembre 2014, avendo il decreto-legge n. 136 del 2013, prorogato le attività al fine di consentire l'ultimazione dei cantieri. Infatti, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 aprile 2011, implicitamente modificava i termini di scadenza dei mandati commissariali rideterminandone la durata in coincidenza con l'espletamento di tutte le opere oggetto degli accordi di programma. L'articolo 2 di quest'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recita al riguardo: «L'incarico cessa automaticamente alla conclusione dell'intervento, ovvero, qualora ai sensi dell'articolo 20, ultimo periodo del decreto-legge 29 novembre 2009 n. 185 convertito con modificazioni dalla legge 2 gennaio 2009 n. 2 sopravvengono circostanze che impediscano la realizzazione totale o parziale dell'intervento». L'articolo 6 del decreto-legge 10 dicembre 2013 n. 136, aveva previsto che possono essere nominati commissari anche i presidenti o gli assessori all'ambiente delle regioni interessate. Il testo dello stesso articolo è stato profondamente modificato dalla legge di conversione del 6 febbraio 2014, n. 6, per rispondere alle indicazioni della legge di stabilità 2014. Si è al riguardo disposta una articolata disciplina circa il termine del mandato dei commissari ancora in carica e la loro automatica sostituzione da parte dei presidenti delle regioni a decorrere dal 1o gennaio 2015. La legge di conversione ha infatti dettato un limite improrogabile di durata dell'incarico dei commissari straordinari, che non poteva perdurare oltre 5 anni dall'entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 a prescindere dall'effettiva ultimazione degli interventi loro affidati. I mandati dei commissari straordinari in carica avevano pertanto scadenza il 30 dicembre 2014 e dovevano essere incaricati, ex lege, dell'espletamento degli interventi non ancora ultimati i presidenti delle regioni. A tal fine la legge di conversione dello stesso articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2013 ha previsto che venisse aggiunto il comma 1-bis all'articolo 17 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 secondo cui «A decorrere dal 1o gennaio 2015 i Presidenti delle Regioni subentrano ai Commissari straordinari anche nella titolarità delle contabilità speciali per la gestione delle risorse di cui all'articolo 1, comma 111, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, giacenti, alla predetta data, nelle medesime contabilità speciali»;
   il comma 1 dell'articolo 10 del successivo decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, invece stabiliva «A decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, i Presidenti della Regioni subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nella titolarità delle relative contabilità speciali. I commissari straordinari attualmente in carica completano le operazioni finalizzate al subentro dei Presidenti delle regioni entro quindici giorni dall'entrata in vigore del presente decreto». Ciò all'interno del Capo II — Disposizioni urgenti per l'efficacia dell'azione pubblica di tutela ambientale, per la semplificazione di procedimenti in materia ambientale e per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. Questo accadeva circa sei mesi prima del termine di fine mandato dei Commissari
   il citato decreto-legge veniva convertito dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116. Insieme ai commissari, venivano annullati i contratti — a qualsiasi titolo — dei collaboratori, di atto non garantendo quella continuità che le leggi invocano. Si ricorda che la norma — ad esempio, l'articolo 1223 del codice civile — impone di risarcire il danno dovuto al mancato guadagno per cause non dipendenti dal lavoratore. Inoltre il citato decreto-legge n. 116 nulla dispone in merito ai procedimenti amministrativi in corso di espletamento alla data di sostituzione dei commissari;
   i presidenti di regione, divenuti commissari in sostituzione dei precedenti, assumevano i medesimi compiti (tra cui il rispetto dei crono programmi, la redazione delle relazioni trimestrali e annuali da consegnare — tra l'altro — alla Camera dei deputati, l'implementazione continua del sistema RenDis web in ordine alla trasparenza);
   tuttavia, le ingenti attività pertinenti il dissesto portate avanti dai commissari delegati necessitavano di un periodo di tempo rilevante per avere piena conoscenza degli atti e dell'insieme dei procedimenti avanzati da parte dei nuovi commissari (presidenti di regione). Risulta infatti che la sostituzione dei commissari abbia determinato un rallentamento (in alcuni casi la sospensione) delle attività di mitigazione del dissesto e — sebbene il costo dei precedenti commissari (comunque poco rilevante rispetto ad altre figure commissariali, a valere da quanto sancito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 2011 e poi ulteriormente disposto con riduzione dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, soprattutto in ragione delle grandi responsabilità a questi ascritte) sia stato abbattuto dall'eliminazione del compenso in capo ai presidenti di regione — questo fattore deve considerarsi un grave dispendio di risorse, in primo luogo a causa dell'acuirsi dei problemi del dissesto nei cantieri attivi e al relativo maggiore costo per la messa in sicurezza. L'analisi, a campione, di quattro dei commissariamenti regionali sul dissesto ha fornito, infatti, risultati preoccupanti con grave pregiudizio per le persone e le cose ad avviso dell'interrogante in violazione del principio di precauzione di cui all'articolo 191 del TFUE. Si consideri che l'ingiustificata e frettolosa sostituzione dei commissari a sei mesi dal loro fine mandato e conseguente conclusione dei lavori, risulta che ad oggi abbia già causato slittamenti almeno di un anno nella conclusione delle opere programmate, le cui conseguenze sono: 1) come detto per altri versi, accentuazione del rischio idrogeologico; 2) blocco dei cantieri in esecuzione e blocco di quelli in fase di avviamento, grossolanamente stimabili in circa 200 (pari numero, o forse più, è quello delle imprese coinvolte, con conseguenti danni indiretti per l'economia e per almeno 2000 posti di lavoro potenziali o reali);
   questo Governo, nel mese di agosto 2014, allorché i commissari venivano sostituiti dai presidenti di regione, provvedeva a nominare i nuovi vertici della Sogesid s.p.a. e indicava alla presidenza Marco Staderini. Qualche mese più tardi, si svolgeva un'audizione in Commissione Ecomafie. Qui, il neo presidente Marco Staderini affermava che la Sogesid spa intendeva procedere ad assunzioni fino al triplo dell'attuale struttura. Notizia piuttosto discutibile, anche per il carattere pubblico della società;
   il 10 dicembre 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sigla con la Sogesid una convenzione quadro anche sul tema del dissesto idrogeologico, ratificata dalla Corte dei Conti in data 26 gennaio 2015. Ai sensi di questa convenzione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è tenuto a vigilare anche sui temi delle modalità di reclutamento del personale, assicurando il rispetto dei principi (di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) di adeguata pubblicità, imparzialità, economicità e trasparenza, che impongono una procedura concorsuale;
   l'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) dispone che tutti i fondi presenti nella contabilità speciale non impiegati fino a dicembre 2013 debbano venir utilizzati nella somma massima di 600 milioni di euro a favore dei progetti-cantieri del 2014, ai quali si dovrebbero aggiungere altri finanziamenti derivanti dalle CIPE 6 e 8 del 2012, pari rispettivamente ad un importo di 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro. Nella parte finale del comma si legge: «Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2014, di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 100 milioni di euro per l'anno 2016.». Mentre i commi 120 e 121 assegnano un totale di 150 milioni di euro a favore del fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per gli anni 2014, 2015 e 2016;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 2014 viene istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri — segretariato generale — la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. Dal sito web, &cancelletto; italiasicura, si apprende che per i prossimi sette anni l'obiettivo del Governo è aprire circa 7.000 cantieri, attraverso un piano nazionale contro il dissesto idrogeologico che prevede una spesa di quasi 9 miliardi: 5 provenienti dai fondi di sviluppo e coesione; 2 dal cofinanziamento delle regioni o dai fondi europei a disposizione delle regioni stesse; altri 2 miliardi recuperati dai fondi destinati alle opere di messa in sicurezza e non spesi fino ad ora. Con questi ultimi fondi verranno aperti 654 cantieri entro la fine del 2014, per un totale di 807 milioni di euro, e altri 659 nei primi mesi del 2015, per un valore di un miliardo e 96 di euro;
   le norme dettate dal decreto-legge n. 133 del 2014 «SbloccaItalia» (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) sembrano essere finalizzate a disciplinare il recupero delle risorse finanziarie inutilizzate e a definire una programmazione a decorrere dal 2015. In particolare si ricordano le seguenti disposizioni contenute nell'articolo 7:
    a) il comma 2, prevede che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico siano utilizzate tramite lo strumento dell'accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che gli interventi siano individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro stesso. Il medesimo comma, attribuisce a partire dalla programmazione 2015, ai presidenti delle regioni il ruolo di commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014;
    b) il comma 3 disciplina le modalità di revoca di risorse assegnate in passato alle regioni e ad altri enti (a partire dai decreti attuativi del decreto-legge n. 180 del 1998 fino ai decreti attuativi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 262 del 2006) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Gli accertamenti finalizzati alle revoche devono essere svolti dall'ISPRA entro il 30 novembre 2014. Le risorse così revocate confluiscono in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente;
    c) il comma 5 prevede una semplificazione delle procedure di esproprio ed occupazione di urgenza;
    d) il comma 8 prevede l'assegnazione alle regioni dell'ammontare complessivo di 110.000.000 di euro, a valere sulle risorse del FSC 2007-2013, da destinare agli interventi di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua necessari per fronteggiare le situazioni di criticità ambientale delle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione, previa istruttoria del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche;
   il comma 238 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) modifica il comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 133 del 2014 predisponendo che una quota, pari a 50 milioni di euro (di cui ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 3 del medesimo decreto-legge) sia destinata all'attuazione di interventi urgenti in materia di: dissesto idrogeologico; difesa e messa in sicurezza di beni pubblici; completamento di opere in corso di esecuzione; miglioramento infrastrutturale. Lo stesso comma prevede che, con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provveda all'individuazione, d'intesa con la struttura di missione degli interventi e delle procedure di attuazione (ma anche in questo caso non si riesce ad avere indicazioni chiare e univoche su come e se siano stati impiegati tali fondi);
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio 2015 vengono definiti i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico (italiasicura.governo.it/site/home/news/documento189.html). Le richieste trasmesse dalle regioni attraverso la piattaforma «ReNDiS» dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), relative agli interventi urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico ammontano a 20,4 miliardi di euro che rappresenta il fabbisogno complessivo del periodo 2015-2020;
   con la delibera Cipe n. 32 del 20 febbraio 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 153 il 4 luglio 2015) vengono assegnati 450 milioni di euro sul fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) afferenti alla programmazione 2014-2020 e vengono individuate ulteriori risorse pari a 150.000.000 di euro, destinate agli interventi localizzati nelle aree metropolitane e urbane (110.000.000 di euro provengono dallo Sblocca Italia e 40.000.000 di euro dalle disponibilità della legge di stabilità 2014). Inoltre vengono assegnati ulteriori 100 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 con l'obiettivo di stimolare l'efficace avanzamento, in particolare nel Mezzogiorno, delle attività progettuali delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico (in base alla relazione «Progetto Aree Metropolitane» redatto dalla struttura Italia Sicura è preoccupantemente evidente come siano veramente pochissime le opere immediatamente cantierabili, mentre la maggioranza degli interventi si trova ad una fase progettuale preliminare o addirittura allo studio di fattibilità, con possibili rilevanti variazione degli importi stimati);
   con il comma 1.5 della delibera del Cipe 32, facendo riferimento alla legge di stabilità 2015, si stabilisce chiaramente che i 450 milioni e i 100 milioni di euro destinati al FSC dovranno essere così ripartiti: 50 milioni di euro per il 2015, 75 milioni di euro per il 2016, 275 milioni di euro per il 2017, 75 milioni di euro per il 2018 e 75 milioni di euro per il 2019. Ma la presente delibera nella fase attuativa, predispone che gli interventi che avranno diritto ai fondi saranno individuati con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e solo allora i fondi saranno assegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di amministrazione responsabile dell'attuazione, d'intesa con la struttura di missione di cui alle premesse, del presente piano di interventi. Successivamente sarà data adeguata pubblicità dell'elenco degli interventi finanziati, nonché alle informazioni periodiche sul relativo stato di avanzamento, come risultanti dal predetto sistema di monitoraggio «ReNDiS», dati che saranno comunicati anche al dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica;
   recentemente, secondo quanto affermato dal Ministro Galletti nel corso di un'intervista, il CIPE ha sbloccato 654 milioni di euro da destinare alle città più a rischio, nel contesto di un progetto che vale 1,303 miliardi di euro. Nel 2016, come da dichiarazioni del Ministro Delrio, potrebbero sbloccarsi altri 1,8 miliardi di euro della vecchia programmazione –:
   al di là degli annunci che si sono susseguiti in questi ultimi mesi, se il Governo sia in grado di quantificare ufficialmente quanti siano i fondi effettivamente erogati per il dissesto idrogeologico dal suo insediamento ad oggi e per quali progetti e quale sia lo stato di realizzazione dei medesimi;
   visto che le regioni attraverso il sistema «ReNDiS», segnalano la necessità di investire almeno 20 miliardi di euro per mettere il Paese in sicurezza, se il Governo e il Ministro interpellato non ritengano esiguo lo stanziamento previsto dalla legge di Stabilità 2015;
   visto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che secondo la delibera del Cipe n. 32 dovrebbe individuare gli interventi che avranno diritto ai fondi stanziati nella legge di stabilità 2015 non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, se possano confermare che tali fondi non sono ancora stati erogati;
   quanti dei 654 cantieri che secondo Italia Sicura dovevano essere aperti entro la fine del 2014 siano effettivamente partiti;
   quale sia, ad oggi, lo stato dei dissesti nei cantieri in esecuzione e in quelli avviati dai precedenti commissari e se il Governo sia in grado di fornire dettagli per ognuno di essi suddivisi per regione di appartenenza;
   quante e quali regioni abbiano rispettato i cronoprogrammi commissariali ed eventualmente, quali ragioni abbiano imposto il mancato rispetto degli stessi;
   quante e quali regioni abbiano trasmesso al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le necessarie relazioni trimestrali con congruità di contenuti;
   quante e quali regioni abbiano trasmesso alla Presidenza del Consiglio la competente relazione annuale relativa all'esercizio commissariale 2014;
   quante e quali regioni abbiano implementato il Sistema RenDis web con regolarità, al fine di consentire le adeguate verifiche e garantire la trasparenza richiesta; laddove sia stato implementato, quali risultanze emergano in ordine all'attuazione dei cronoprogrammi e allo stato di avanzamento dei relativi lavori;
   quale sia il bilancio che deriva dalla sostituzione dei precedenti commissari, in termini di costi/benefici e di incremento/diminuzione del danno ambientale e se intendano fornire dati certi in merito a questo argomento;
   se siano state corrisposte ai commissari precedenti e ai lavoratori che hanno regolarmente vinto pubblici concorsi per l'inserimento negli uffici commissariali, somme per il mancato guadagno ai sensi di legge, anche secondo le disposizioni dell'articolo 1223 del codice civile;
   visto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2011 non è stato abrogato né revocato a seguito del decreto legislativo n. 91 del 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiarisca in quali regioni sia stato acquisito nuovo personale di supporto e, nel caso, quali abbiano imposto la sostituzione dei precedenti collaboratori, negando a questi ultimi la continuità di legge;
   quale reale ruolo il Governo intenda affidare alla Sogesid sul tema del dissesto idrogeologico, anche sulla scorta di quanto contenuto nella convenzione quadro citata nelle premesse, visto che — semmai si volesse parlare di contenimento della spesa (cosa che avrebbe indotto alla revoca dei commissari delegati) — i costi della Sogesid appaiono decisamente alti. (4-10603)


   BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato organizzatore dei campionati mondiali di ciclismo 2013 fu costituito in data 14 dicembre 2012 a Viareggio (LU), al fine di provvedere all'organizzazione tecnico sportiva dei campionati mondiali di ciclismo, tenutisi in Toscana nel corso del mese di settembre del 2013;
   terminata la suddetta manifestazione e definitivamente conclusasi ogni attività operativa e di definizione del risultato economico complessivo dell'evento, è stato constatato un significativo debito nei confronti di quasi tutte le aziende, i professionisti, ed i collaboratori che hanno rivestito specifiche mansioni direttive ed esecutive nel suddetto evento;
   il comitato organizzatore del mondiale, davanti a questa situazione, si è sempre giustificato dicendo che i fondi dai soggetti istituzionali quali, Regione Toscana, il comune e la camera di commercio di Firenze, coinvolti nella manifestazione, non erano arrivati o erano giunti solo in parte;
   in data 23 luglio 2014, con delibera assunta dinanzi al notaio Eliana Chiarugi di Firenze, il Comitato veniva quindi sciolto e posto in liquidazione, nominando liquidatore l'Avvocato Francesco Sottili. Al fine di fronteggiare il conseguente stato di tensione finanziaria, nell'ottica anche di evitare le inevitabili spese per l'accesso ad una procedura concorsuale, il Comitato ha inizialmente verificato la possibilità di giungere ad una definizione stragiudiziale con impropri creditori. L'esito di tale verifica è stato tuttavia negativo, inducendo l'Avvocato Sottili a presentare le proprie dimissioni. L'Assemblea del Comitato ha pertanto nominato quale nuovo liquidatore il signor Andrea Da Roit, conferendogli contestualmente i più ampi poteri per tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione necessari od utili ai fini della liquidazione del Comitato, compreso quello di ricorrere, avvalendosi di professionisti in materia di crisi di impresa, alle soluzioni anche concorsuali più adeguate e tecnicamente perseguibili da sottoporre ai creditori;
   il Comitato aveva tra l'altro attivato tutti i canali nei confronti degli enti pubblici, delle istituzioni e delle società coinvolti nell'organizzazione dell'evento mondiali di ciclismo 2013, rispetto ai quali vi era una ragionevole aspettativa di risorse utili a ripianare almeno in parte il deficit;
   la Federazione ciclistica italiana ha confermato al Comitato il proprio impegno a mettere a disposizione «tramite intervento del Coni e con l'autorizzazione dello stesso e all'espressa condizione dell'intervenuta irrevocabilità del provvedimento di omologazione di una proposta concordataria o di un accordo di ristrutturazione del debito ex Art. 182-bis L.F., la somma complessiva di Euro 1.180.000, da erogarsi entro 30/60 giorni dal ricevimento di formale comunicazione di avvenuto avveramento della suddetta condizione. In difetto nessuna somma potrà essere erogata»;
   in data 2 aprile 2015, il Comitato ha depositato presso il tribunale di Lucca domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 161, comma sesto, legge fallimentare con riserva di presentare entro il termine assegnato dal tribunale la proposta; piano e la documentazione prevista dal secondo e terzo comma dello stesso articolo 161 della legge fallimentare, ovvero nell'auspicata ipotesi che le trattative pendenti con i creditori abbiano un esito positivo, un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare;
   con provvedimento del 12 maggio 2015, depositato in cancelleria il 19 maggio 2015, il tribunale ha assegnato al Comitato il termine di 60 giorni dalla data di comunicazione di tale provvedimento avvenuta in data 19 maggio 2015, per il deposito del piano e della documentazione prevista dall'articolo 161, secondo e terzo comma, della legge fallimentare, nominando commissario giudiziale il dottor Riccardo Sarti di Lucca;
   l'indebitamento complessivo del Comitato, senza considerare le spese di giustizia e di assistenza professionale in relazione alla procedura concorsuale adita, ammonta a circa euro 2.680.000, di cui circa 2.320.000 euro nei confronti di fornitori di beni e servizi e/o di prestazioni professionali, circa 260.000 euro nei confronti di collaboratori a progetto, e circa 100.000 euro per debiti erariali e previdenziali strettamente connessi ai compensi dovuti a tali collaboratori a progetto;
   l'attivo attualmente nella disponibilità del Comitato consta pressoché quasi unicamente nel credito Iva di circa 500.000 euro, oltre che in un credito Ires di circa 50.000 euro ed in residui crediti, vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche per circa 50.000 euro;
   la soluzione trovata, ovvero il piano di ristrutturazione del debito che il Comitato intende sottoporre ai propri consiste nell'effettuare i seguenti pagamenti nella misura del 40 per cento dei rispettivi crediti, in favore di tutti i creditori aderenti alla presente proposta da corrispondersi entro e non oltre 75 giorni dall'intervenuta omologazione da parte del Tribunale dell'accordo di ristrutturazione del debito;
   nel caso di una mancata adesione alla proposta di accordo di ristrutturazione del debito il Comitato non potrà di contro che addivenire alla liquidazione delle attività disponibili da realizzarsi nell'ambito di una procedura concorsuale alternativa di natura concordataria (con conseguente significativo aggravio di oneri per le connesse spese di procedura e di giustizia ed inevitabile detrimento delle prevedibili percentuali di soddisfazione dei creditori), ovvero di natura fallimentare (in tal caso con un ancor maggiore detrimento delle prevedibili percentuali di soddisfazione dei creditori ed allungamento dei tempi di soddisfazione degli stessi;
   questo accordo di ristrutturazione dei debiti tra il comitato organizzatore del campionato mondiale di ciclismo, tenuto a Montecatini nel 2013, e i creditori dell'organismo medesimo, lede pesantemente gli interessi risarcitori di coloro che hanno svolto attività professionale per la manifestazione senza mai ricevere i compensi pattuiti, obbligandoli di fatto ad accettare un rimborso del solo 40 per cento dei crediti;
   per di più, a quanto consta all'interrogante alcune aziende coinvolte hanno dovuto versare l'iva relativa alle fatture emesse, aggiungendo la beffa al danno economico;
   il mancato soddisfacimento delle pretese creditorie delle aziende coinvolte nella suddetta manifestazione sportiva e la relativa richiesta di pagamento erano già state oggetto della precedente interrogazione del firmatario del presente atto (n. 4-09630);
   da informazioni acquisite risulta che, nel mese di settembre 2015, i debiti sarebbero stati onorati per intero, tramite apposita provvista, invece l'unica risposta è stata questa restituzione solo del 40 per cento del debito –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'evoluzione della vicenda, rispetto a ciò che è stato esposto nella precedente interrogazione e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per una positiva conclusione della medesima;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per evitare la ricaduta occupazionale negativa, che ci sarà sicuramente, visto che le aziende si vedranno costrette a rinunciare al 60 per cento dei crediti vantati nei confronti del Comitato, imprese che saranno costrette a chiudere i battenti visto che non sono riuscite a rientrate degli investimenti fatti in occasione dei mondiali di ciclismo svoltisi a Firenze nel 2013. (4-10605)


   GADDA, FIANO, BRAGA, ROSSI, SENALDI, GALPERTI, CARNEVALI, FERRARI, CINZIA MARIA FONTANA, GASPARINI, MARTELLI, GIUSEPPE GUERINI, FRAGOMELI, RAMPI, PRINA, CARRA, CIMBRO, FREGOLENT, VAZIO, MARCO DI MAIO, MORANI, MORETTO, CAPOZZOLO, DALLAI, MIGLIORE, PATRIARCA, BENI, ROMANINI, ZAMPA, COPPOLA, NARDI, FIORIO, MURA, PORTA, TENTORI, PIAZZONI, GIULIANI e VALERIA VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale della Lombardia, nell'ambito della discussione della proposta di legge regionale n. 0236, recante «Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo», ha approvato nel corso della seduta del 16 settembre un sub emendamento all'emendamento n. 97, che impedisce alle strutture ricettive alberghiere e non alberghiere di accedere ai bandi di finanziamento regionali qualora il fatturato dell'ultimo triennio non sia derivante esclusivamente da attività turistica;
   l'intento dei proponenti, come precisato nella illustrazione che aveva accompagnato l'originario emendamento 97, rimane quello di evitare che dette strutture siano utilizzate come alloggi o rifugi temporanei per migrati «siano essi profughi o migranti “economici”»,
   a parere degli interroganti, questa norma appare anacronistica alla luce dei recenti indirizzi dell'Unione europea e del tutto estranea al modello di sistema che da sempre rende l'Italia in prima linea nell'affrontare questo tema;
   l'Europa, infatti, è interessata in questo momento da una vera emergenza umanitaria: l'arrivo di migliaia di profughi di guerra che richiedono rifugio e diritto d'asilo nelle nostre in terra italiana;
   il sistema di accoglienza italiano si basa anche sulla disponibilità di strutture ricettive a mettere a disposizione i loro spazi – spesso in periodi che altrimenti rimarrebbero inutilizzati – per fornire una sistemazione ai migranti in attesa di identificazione e nelle more della concessione dell'asilo: un iter che avviene in collaborazione con le prefetture dello Stato preposte allo smistamento dei richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale, secondo protocolli consolidati;
   la norma approvata dal consiglio regionale lombardo penalizza attività private e mira palesemente ad ostacolare un'attività prerogativa dello Stato; peraltro, la sua formulazione rischia di minare anche altre attività non strettamente turistiche, come ad esempio, l'offrire alloggio alle forze dell'ordine –:
   se il Governo intenda, nell'ambito dell'ordinario esame delle leggi regionali, deliberare l'impugnativa, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, per la legge regionale di cui trattasi, nella parte che scoraggia strutture private ad accogliere i migranti. (4-10606)


   CECCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri a tutela dei minori stranieri e delle aspiranti famiglie adottive, è l'autorità centrale italiana per l'applicazione della convenzione de l'Aja del 29 maggio 1993, recepita anche dall'Italia, volta a garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano esclusivamente attraverso gli enti autorizzati;
   la AAA Associazione Adozioni Alfabeto, con sede a Pesaro, è ente autorizzato e riconosciuto dalla Commissione per le adozioni internazionali e iscritto al registro regionale del volontaria alla sottosezione socio-assistenziale;
   il servizio di adozioni internazionali, reso da una associazione accreditata nei confronti dei minori, costituisce prestazione che beneficia del regime di esenzione IVA a norma dell'articolo 10, comma 1, n. 27-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, stando alla circolare 43/2004 dell'Agenzia delle entrate nonché al parere dell'Avvocatura generale dello Stato n. Cs. 29067/04 Sez. 1, del 30 luglio 2004;
   l'esenzione dall'IVA è prevista anche per le prestazioni «accessorie» alla procedura di adozione comprendendo quindi anche le prestazioni di trasporto, vitto e alloggio, finalizzati all'adozione del minore, purché «strettamente connesse al percorso adottivo» così come indicato nelle linee guida della Commissione per le adozioni internazionali;
   in data 17 gennaio 2013, l'Agenzia delle entrate di Pesaro ha avviato, per l'anno d'imposta 2011, una verifica mirata nei confronti dell'Associazione Adozioni Alfabeto;
   al termine della verifica, il 31 ottobre 2013, l'Agenzia notificava il processo verbale di constatazione (PVC) redatto nei confronti della suddetta associazione, in cui sosteneva che le associazioni operanti nel campo delle adozioni internazionali svolgessero prestazioni di servizi, in quanto finalizzate all'esclusivo interesse delle famiglie richiedenti e non dei minori adottati;
   tale impostazione ad avviso dell'interrogante è in contrasto con le linee della Commissione per le adozioni internazionali, con la Convenzione dell'Aja, nonché con la stessa circolare dell'Agenzia delle entrate 2004;
   in forza della sua tesi, l'Agenzia delle entrate mira ad imputare alla Associazione Adozioni Alfabeto gli omessi adempimenti dichiarativi fiscali e l'inevaso pagamento delle imposte IVA-IRAP-IRES su tutte le procedure di adozioni espletate;
   il processo verbale di constatazione del 2013 risulta tuttora sospeso, come atto endoprocedimentale, a distanza di 32 mesi dalla sua emissione;
   nelle more del procedimento, l'Associazione Alfabeto si è trovata costretta a sospendere le proprie attività, non potendo così fronteggiare le esigenze dell'infanzia abbandonata cui faceva fronte sino alla verifica dall'Agenzia delle entrate –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per fornire indicazioni ulteriori per una corretta interpretazione della normativa fiscale inerente alle associazioni per le adozioni internazionali;
   se si intenda valutare la possibilità di avviare una verifica ministeriale presso l'ufficio di Pesaro della Agenzia delle entrate anche al fine di comprendere le motivazioni per cui un processo verbale di constatazione sia rimasto sospeso per oltre 2 anni. (4-10609)


   TOFALO e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la soprintendenza delle province di Salerno ed Avellino nasce dopo il terremoto del 1980 per dare risposta alla salvaguardia dell'enorme patrimonio artistico ed architettonico del territorio devastati dal sisma. Ad oggi, è rimasto in piedi un ufficio che ha fatto fronte, e quotidianamente fa fronte, ad una quantità enorme di impegni. Indubbiamente, grazie a questa istituzione, in questi anni è cresciuta la consapevolezza della cultura del territorio e la presenza attiva della Soprintendenza è diventata presidio di legalità;
   con le disposizioni del decreto ministeriale 6 agosto 2015 relativo alle dotazioni organiche per tutti gli uffici dell'amministrazione centrale e periferica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici subirà un taglio di 80 unità fra le sedi di Salerno ed Avellino, passando da 144 a 64 unità, con una contrazione pari al 60 per cento dell'organico;
   nei casi in cui le opere edilizie sono state costruite con silenzio-assenso della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, silenzio-assenso dovute alle carenze di personale, vi sono stati episodi di abusi edilizi o altri reati gravi contro la pubblica amministrazione, l'ambiente e i beni culturali;
   ai sensi del decreto-legge 5 del 2012, nel caso in cui un privato chieda un permesso di costruire in un'area soggetta a vincolo ambientale paesaggistico o culturale se entro 45 giorni il soprintendente non risponde, ciò equivale all'espressione di un silenzio-assenso da parte della pubblica amministrazione, cioè parere positivo con la libertà di edificare in zona protetta;
   ad avviso degli interroganti questa appare una manovra per «soffocare» il controllo della soprintendenza e quindi qualsiasi tutela sia dei beni culturali che dell'ambiente –:
   se il Governo intenda concedere la mobilità volontaria del personale, congelare la pianta organica derivante da questi movimenti, avviare una riorganizzazione interna degli uffici che non preveda tagli di personale e aprire una trattativa fra le parti in causa e la direzione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in modo da determinare, in tempi brevi, una nuova pianta organica maggiormente aderente alle funzioni istituzionali ed ai compiti di salvaguardia del territorio della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno ed Avellino.
(4-10614)


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore il 3 ottobre 2015, le condizioni complessive della regione siciliana, nell'ambito della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, rischiano a breve termine, di diventare estremamente gravi, a causa della mancanza di un piano ordinario di gestione (obbligatorio al fine di ottenere i finanziamenti a valere sui fondi comunitari);
   la medesima regione (unica peraltro a non essere dotata del suesposto piano) si regge su un equilibrio molto precario, secondo quanto denuncia lo stesso articolo di stampa, anche per le misure adottate dal dipartimento regionale per i rifiuti dell'amministrazione siciliana, valutate deboli e considerate un palliativo, se connesse alla situazione generale dell'isola, particolarmente complessa;
   l'articolo del Sole 24 Ore prosegue evidenziando le rivelazioni provenienti dall'università di Palermo, secondo le quali, tra la primavera e l'estate prossima, la regione siciliana, non sarà più in grado di smaltire i rifiuti, in quanto ancora oggi, l'impostazione attuale si fonda sulle discariche, anziché incentivare la raccolta differenziata (in Sicilia ferma a poco più del 10 per cento);
   le responsabilità del governo regionale siciliano al riguardo, risultano evidenti, secondo le opinioni riportate dal quotidiano economico, in considerazione del fatto che l'amministrazione, nel corso degli ultimi anni, ha contribuito a rafforzare il sistema delle discariche pubbliche con gare gestite in maniera emergenziale e pertanto con affidamenti in deroga, addirittura secondo il presidente della commissione regionale antimafia, al limite delle leggi e in alcuni casi fuori legge;
   l'assenza di strumenti di pianificazione e l'inarrestabile condizione emergenziale configurano nel complesso, all'interno della regione siciliana, una situazione di estrema inefficienza e precarietà, nell'ambito della corretta gestione dei rifiuti, dello smaltimento e delle discariche; il disordine legislativo e la mancanza di adeguate misure di sorveglianza, sono state oggetto d'attenzione e d'intervento del Governo nazionale, che al riguardo nel mese di agosto 2015, ha diffidato la regione isolana;
   l'intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio De Vincenti nei riguardi dell'amministrazione siciliana guidata dal presidente Crocetta, evidenzia il Sole 24 Ore, affinché adotti misure urgenti al fine riordinare la legislazione regionale, adeguandola a quanto si rende necessario per il superamento delle condizioni di estrema gravità, rappresenta un ammonimento, pena la procedura di esercizio del potere sostitutivo;
   a giudizio dell'interrogante, quanto in precedenza richiamato risulta di estrema preoccupazione e di particolare gravità, in considerazione della situazione giudicata «esplosiva» dal suesposto quotidiano, che da un giorno all'altro, rischia di diventare realmente insostenibile;
   la logica del prendere tempo, in attesa che la situazione potesse migliorare, senza che nel frattempo si prendano misure serie ed efficaci, a giudizio dell'interrogante, conferma anche in questa occasione l'inefficienza della regione siciliana, nella gestione di un settore così delicato ed importante quale quello dei rifiuti;
   risulta pertanto inevitabile, a parere dell'interrogante, un intervento rapido del Governo, affinché possa introdurre misure rigorose ed urgenti, anche attraverso la procedura di esercizio del potere sostitutivo nei riguardi dell'amministrazione regionale siciliana, che, anche in questa occasione, ha dimostrato di non essere in grado di gestire una moltitudine di emergenze socioeconomiche nell'isola, causate dalla crisi economica, la quale ha prodotto effetti altamente negativi, anche per l'assenza d'interventi concreti del Governo Renzi in favore del Mezzogiorno, a partire dal suo insediamento –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quale sia l'effettiva situazione nella regione siciliana, in merito alla gestione dei rifiuti, i cui ritardi nell'attuazione del piano ordinario rischiano, oltre che di determinare il mancato ottenimento dei finanziamenti a valere sui fondi comunitari, anche di configurare una situazione emergenziale nel breve termine;
   se siano a conoscenza dei motivi per i quali la regione siciliana ritarda nell'introduzione di misure organiche e di riordino della normativa in materia di disciplina di rifiuti e della gestione delle discariche, nonché nella corretta applicazione della raccolta differenziata;
   quali iniziative urgenti e necessarie il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di contribuire alla risoluzione delle numerose criticità che gravano sulla regione siciliana, alla luce della diffida inviata, che ha attivato la procedura di esercizio del potere sostitutivo. (4-10615)


   BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   recentemente è pervenuta a tutti i parlamentari di Camera e Senato una lettera firmata da Federscudo, sigla che fonde Federcontribuenti e Scudo dei Carabinieri, in merito all'annosa questione delle «quote latte»;
   la nota ripercorre nel dettaglio tutte le vicende legate alla questione delle quote latte dal 1984 ad oggi, riportando inoltre alcune intercettazioni; gli autori chiedono di sapere come si intenda procedere in ordine alla vicenda delle quote latte ed alle multe non dovute; quali siano le cause che hanno indotto il colonnello Marco Paolo Mantile a chiedere di essere collocato in aspettativa, se si intenda istituire una commissione disciplinare tesa a rilevare le eventuali mancanze di dirigenti e funzionari dello Stato, se si intenda istituire una commissione d'inchiesta parlamentare per delineare in tutti i suoi aspetti l'intera vicenda delle quote latte, relazionando la Commissione europea, al fine di consentire ad essa di rilevare le mancanze di competenza –:
   se siano a conoscenza della lettera di Federscudo e quali iniziative per quanto di competenza, intendano assumere per dar seguito alle richieste degli autori. (4-10621)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, nei giorni scorsi, un giovane studente che frequenta l'istituto cattolico professionale Ecfop di Monza è stato espulso dalla classe e costretto a seguire le lezioni in corridoio;
   pare che la decisione del dirigente dell'istituto di estromettere lo studente dalla propria classe fosse dovuta a una fotografia pubblicata su un social network fotografico, dove il ragazzo posava in atteggiamenti poco consoni;
   il ragazzo veniva quindi allontanato dalla propria classe perché avrebbe potuto con i comportamenti, influenzare negativamente gli altri compagni di classe a causa della sua omosessualità;
   i genitori del ragazzo, venuti a conoscenza dell'accaduto, hanno presentato un esposto alle forze dell'ordine competenti per territorio e contestualmente chiedevano con lettera indirizza al dirigente dell'istituto cattolico professionale, spiegazioni in merito a quel gesto discriminatorio nei confronti del proprio figlio;
   in seguito, il dirigente scolastico in una nota rilasciava la seguente dichiarazione: «Vi assicuriamo che non facciamo discriminazioni sessuali né razziali. La nostra attenzione è alla formazione professionale dei giovani, seguendo il dettame della pastorale sociale della Chiesa cattolica» –:
   se sia a conoscenza dell'accaduto e di quanto dichiarato dal dirigente scolastico;
   qualora le circostanze fossero confermate, quali iniziative per quanto di competenza il Governo intenda mettere in atto al fine di evitare nuovi episodi di quelli che l'interrogante giudica di razzismo omofobo e pratiche di grave discriminazione, ed evitare che fatti simili possano creare precedenti. (4-10624)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


   FEDRIGA, GIANLUCA PINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2015 si è appreso da organi di stampa stranieri, in particolare dal sito Aleppo news, che tre giorni prima un tribunale islamico denominato Qasimiya, insediatosi nella medesima città di Aleppo e facente capo al movimento Nureddin Zenkin, avrebbe riconosciuto l'imputato Hassam Atrash, descritto come un locale signore della guerra, colpevole di essersi appropriato di una parte cospicua della somma che lo Stato italiano avrebbe pagato per ottenere la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli;
   in particolare, Atrash avrebbe intascato 5 milioni di dollari, mentre altri 7,5 milioni di dollari sarebbero andati ad altri comandanti di altrettanti gruppi coinvolti nel sequestro;
   dell'elevata cifra corrisposta dalle autorità italiane aveva parlato in precedenza anche il quotidiano pan-arabo al-Quds al-Arabì;
   i beneficiari dell'elargizione sembrano appartenere a quei cosiddetti ribelli moderati che l'Occidente appoggerebbe e contro i quali si stanno dirigendo i bombardamenti russi;
   in base a queste notizie, ad avviso degli interroganti risulterebbero ben più consistenti di «semplici illazioni» le notizie relative al pagamento di un riscatto da parte del Governo italiano per pervenire alla liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, cooperanti volontariamente recatesi in Siria al di fuori di qualsiasi programma gestito o finanziato dalla Repubblica italiana, a loro rischio e pericolo;
   il Ministro interrogato aveva escluso categoricamente il pagamento di riscatti in occasione di sue comunicazioni rese al riguardo in Parlamento;
   l'unità di crisi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha rifiutato di commentare la notizia, pur confermando di non avere informazioni coincidenti con quelle trapelate dall'estero;
   il pagamento di riscatti per ottenere la liberazione di concittadini sequestrati è facoltà preclusa dalla legge ai familiari ed amici dei rapiti in territorio nazionale –:
   quali elementi di fatto il Governo possa addurre per dimostrare l'infondatezza di quanto asserito dalla corte islamica di Aleppo e riportato dai media locali, secondo cui per la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli lo Stato italiano avrebbe pagato un ingente riscatto, pari a 12,5 milioni di dollari.
(3-01745)

Interrogazione a risposta scritta:


   PINNA, GALGANO, QUINTARELLI, VARGIU e VECCHIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il moto indipendentista baltico, avviatosi nei primi mesi del 1989 e caratterizzato da manifestazioni con forte carattere simbolico, rinominato la «rivoluzione cantata», culminò nel 1991 quando Estonia, Lettonia e Lituania separarono i loro destini da quello dell'Unione sovietica. Nel marzo di quell'anno con referendum popolare quasi l'80 per cento della popolazione estone dichiarò la volontà di distaccarsi dall'Urss e nel 1992 seguirono le prime libere elezioni nel Paese. Tuttavia, il percorso di smarcamento fu caratterizzato anche dal sorgere della cosiddetta «questione russa»: ragioni storiche, culturali, sociali e politiche resero difficile una serena integrazione fra estoni e ex-sovietici;
   dopo aver ottenuto l'indipendenza, il neonato Governo estone era bisognoso di ristabilire la propria sovranità e recuperare la propria identità, sia linguistica che culturale, persa durante l'occupazione. Su tali basi adottò il principio dello ius sanguinis e stabilì che solo i residenti nel Paese prima della seconda guerra mondiale e i loro discendenti avevano il diritto di ottenere automaticamente la cittadinanza estone. La ratio legale e ideologica di questa legge va cercata nella continuazione de iure dello Stato prima dell'occupazione sovietica del 1940;
   vi era anche la possibilità di acquisire la cittadinanza per naturalizzazione; tuttavia, per ottenerla era necessario essere in possesso di specifici requisiti fra cui era ricompreso il superamento di un severo esame di lingua estone particolarmente impegnativo per i russofoni dal momento che l'estone, essendo una lingua appartenente al ramo finnico delle lingue uraliche, non presenta nessuna affinità con il russo, lingua di origine slava, ed è caratterizzato da un complesso sistema grammaticale difficile da apprendere senza un regolare corso di studi scolastico. Tale requisito ha impedito di fatto l'integrazione della maggior parte degli ex-sovietici residenti in Estonia, pari al 30 per cento della popolazione, i quali avevano per anni abitato e lavorato nel Paese baltico coltivando le proprie tradizioni e continuando a parlare russo, che fino al 1991 era la lingua ufficiale;
   le conseguenze di queste decisioni sono state drammatiche dal punto di vista politico, economico e sociale. Un'ampia fetta della popolazione si è ritrovata da un giorno all'altro senza cittadinanza, nell'impossibilità di parlare la propria lingua di origine — aspetto che comportò nella maggior parte dei casi anche la perdita del posto di lavoro, emblematico fu il caso del 1999 in cui trecento poliziotti di origine russa persero il proprio posto di lavoro perché non riuscirono a passare l'esame di lingua estone — e priva dei diritti civili quali ad esempio il diritto alla proprietà e il diritto all'elettorato attivo e passivo in occasione delle elezioni politiche, dunque, non rappresentata in sede parlamentare laddove vedeva fievolmente difesi e tutelati i propri interessi. La frattura linguistica ha consolidato quella etnica;
   ne consegue che una parte della popolazione è da allora composta da «non cittadini», detti anche «alieni», ovvero residenti permanenti ma privi di cittadinanza sia estone che sovietica (persa quest'ultima con il dissolversi dell'Urss) a cui è stato dato il cosiddetto «passaporto grigio», un documento che certifica il loro particolare e atipico status. Ad oggi si stima che circa l'8 per cento della popolazione estone appartiene a questa categoria, si tratta di persone che hanno vissuto una parte considerevole della loro esistenza senza il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e senza che il Paese in cui abitano, lavorano e pagano le tasse li riconosca membri di una collettività;
   solo nell'ultimo periodo la situazione ha visto una lieve svolta positiva. Infatti, a seguito dell'ingresso dell'Estonia nello spazio Schengen (2007), è stata riconosciuta a tutti i residenti, indipendentemente dalla loro cittadinanza, la libera circolazione nell'area dell'Unione europea. Inoltre, l'Estonia ha recentemente adottato il principio dello ius soli, assicurando l'acquisizione della cittadinanza a tutti i nati in Estonia dopo il febbraio 1992; tuttavia, permangono problemi per i possessori del «passaporto grigio», ovvero i nati prima di quella data considerati ancora «non-cittadini»;
   gli effetti si ripercuotono anche nella quotidianità di questi individui che si trovano per ragioni varie, spesso di lavoro, in Italia e che incontrano ostacoli di ordine burocratico anche per le più semplici delle attività, come ad esempio l'iscrizione al sito on-line dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. In molti casi le amministrazioni comunali italiane non sapendo come affrontare il problema hanno inserito nei documenti ufficiali la cittadinanza estone, generando ulteriori difficoltà e incertezze;
   questa situazione anomala confligge con i principi alla base del costituzionalismo contemporaneo. In tempi remoti era normale che ciascun individuo godesse di un regime e di un trattamento legale correlati al suo gruppo di nascita e alla sua posizione sociale, ma ad oggi il principio di eguaglianza è proclamato nelle costituzioni, nei trattati internazionali e nelle carte dei diritti: è impensabile che tali discriminazioni possano verificarsi all'interno degli Stati membri dell'Unione europea;
   infatti, l'Unione europea nei Trattati sottolinea «il principio dell'uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi» (articolo 9 TUE) e ribadisce che «è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità» e che il «Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni» (articolo 18 TFUE). Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea l'articolo 21 sancisce che «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità»; a completare il quadro è l'articolo 22 secondo cui «l'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica». Nell'ordinamento italiano il principio di eguaglianza formale e il divieto di discriminazione sono previsti nei principi fondamentali della Carta costituzionale (articolo 3 Costituzione);
   tuttavia, come premesso, nonostante i valori enunciati permane all'interno dell'Unione e nei suoi Stati membri l'esistenza di questa particolare categoria di individui, i «non cittadini», che è difficilmente inseribile all'interno di schemi conosciuti, non potendo essere inclusa neanche nella tipologia degli apolidi. In tal modo si creano palesi disparità di trattamento fra individui e, al contempo, si avalla uno stato di incertezza del diritto e della sua applicazione –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di eliminare, sulla base dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico nazionale ed europeo quali il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione, tutti gli ostacoli di ordine burocratico che impediscono ai «non cittadini» lo svolgimento di una vita regolare e dignitosa in Italia;
   se ritenga opportuno adoperarsi in tutte le sedi istituzionali internazionali, nello specifico nell'ambito della Organizzazione delle nazioni unite e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ed europee, quali l'Unione europea e il Consiglio d'Europa, affinché si giunga a un superamento di questa situazione di incertezza e atipicità di modo che le palesi discriminazioni e disparità di trattamento descritte in premessa siano prontamente e definitivamente sanate. (4-10617)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   dal 1946 a oggi il maltempo in Sardegna ha ucciso 67 persone, 26 di queste solamente fra il 1999 e il 2013;
   fatta eccezione per l'alluvione di Sestu e Elmas che nel 1946 fece 30 vittime, l'80 per cento del totale è concentrata fra il 14 ottobre 1986 e il 18 novembre 2013, quindi in un periodo nel quale si era già prodotto, per la mano dell'uomo, quella violenta cementificazione e dissesto idrogeologico che oggi rende il territorio sardo fragilissimo;
   il 1o ottobre 2015 ancora una volta è stata la città di Olbia a subire le peggiori conseguenze dell'ondata di maltempo che si è scaricata sull'isola, rovesciando una massa impressionante d'acqua da sud a nord, che nelle aree centrosettentrionali della provincia di Nuoro e in Gallura, oscilla fra i 100 mm. e i 250 mm.;
   ciò che si continua a definire «eccezione» è divenuta la norma di un mutamento climatico ormai strutturale che – al cambio di stagione – espone il territorio a violenti temporali, tempeste, tifoni, «bombe d'acqua» che si riversano su troppi casi, in tutto il Paese, nei quali si è costruito senza tenere nella minima considerazione le caratteristiche del territorio, il corso dei fiumi e le sue foci, si è disboscato senza criterio e costruito senza sosta;
   il territorio italiano e quello sardo sono divenuti un luogo insicuro e ormai alla prima pioggia sempre più persone vivono nella paura;
   gli impegni presi a seguito dell'alluvione del 18 novembre 2013 da parte del Governo in materia di messa in sicurezza del territorio non sono stati mantenuti;
   poche decine di milioni di euro sono serviti al più a una parziale ricostruzione che – come dimostra il caso del ponte di Olbia sul rio Filigheddu (lo stesso di due anni fa e che ha funzionato da «tappo» favorendo perciò la nuova esondazione) – non ha risolto uno dei nodi strutturali (dighe incomplete, quartieri costruiti abusivamente sui letti dei fiumi e misteriosamente sanati, opere di mitigazione del rischio mai eseguite e altro);
   il Ministro Galletti, in visita la scorsa settimana ad Olbia, ha dichiarato di aver «stimato il fabbisogno immediato per quanto riguarda Olbia con progetti già in fase di esecuzione, che quindi possono partire, per un totale di 81 milioni che abbiamo inserito nell'accordo di programma che tra pochi giorni firmerò con la regione Sardegna. Di questi 16 milioni sono disponibili subito per gli interventi nelle zone che in queste ore risultano più colpite», omettendo però che lo stanziamento in questione era già stato previsto in seguito alla alluvione del 2013 –:
   quali iniziative strutturali e quali, invece, necessari per affrontare l'emergenza, immediati e reali, abbia intenzione di assumere il Governo.
(2-01103) «Piras, Scotto, Duranti, Ricciatti, Quaranta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva del Consiglio, del 19 luglio 2011 n. 70, 2011/70/Euratom, definisce il quadro normativo comunitario ai fini della gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   in particolare, l'articolo 11 della stessa, prevede che ciascuno Stato membro assicuri l'attuazione della succitata direttiva definendo un proprio programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla sua giurisdizione e tutte le fasi della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione allo smaltimento;
   la medesima direttiva prevede, altresì, l'obbligo per ogni Stato di aggiornare e rivedere periodicamente il proprio programma nazionale, l'istituzione di un'autorità di regolamentazione competente in materia di sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, e l'obbligo di trasmettere alla Commissione una relazione sullo stato di attuazione della direttiva, scadenza che doveva essere adempiuta entro il 23 agosto 2015;
   il Governo italiano, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 96 del 2013 (legge di delegazione europea 2013), ha emanato il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 45 che, a sua volta, ha istituito nel nostro ordinamento un «programma nazionale» per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla giurisdizione nazionale, e l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN);
   nonostante il progetto sia già al vaglio dei Ministeri competenti, l'Italia ad oggi non si è ancora dotata del programma nazionale disciplinato all'articolo 11 della direttiva 70/2011 che, sulla base di quanto previsto dal decreto legislativo n. 45, doveva essere adottato entro il 31 dicembre 2014. Inoltre l'autorità di regolamentazione competente (ISIN), che dovrebbe controllare la corretta gestione del combustibile radioattivo, non è ancora in pieno esercizio, e le sue funzioni sono attualmente di competenza del dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale dell'ISPRA;
   il 13 marzo 2015 l'Ispra ha consegnato ai Ministeri competenti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e Ministero dello sviluppo economico) la carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) alla localizzazione del deposito nazionale e parco tecnologico dei rifiuti radioattivi, effettuata dalla società di Stato SO.G.I.N. s.p.a. –:
   quali siano le motivazioni che ad oggi hanno impedito ai Ministri di ottemperare alle scadenze già definitive, stabilite in parte dalla direttiva n. 70 — 2011/70/Euratom, in altra parte dal decreto legislativo n. 45 del 31 dicembre 2014;
   quali iniziative i Ministri intendano adottare per colmare i ritardi che ormai si sono accumulati, e per rendere operativa in ogni sua parte la direttiva per la gestione delle scorie nucleari anche nel nostro Paese, considerando che l'attuale mancanza del programma nazionale e dell'istituzione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione potrebbero compromettere l'esito atteso dal decreto legislativo n. 45 per l'individuazione delle aree;
   quando i Ministri renderanno note all'opinione pubblica le aree territoriali potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale, e quali iniziative i Ministri intendano intraprendere per informare adeguatamente la popolazione interessata. (5-06562)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2015 l'Arpa di Vercelli, nell'ambito di una conferenza stampa, ha divulgato i risultati del progetto SESPIR (Sorveglianza epidemiologica sullo stato di salute della popolazione residente intorno a gli impianti di trattamento dei rifiuti), un complesso studio epidemiologico per rilevare gli effetti dell'inceneritore di Asigliano Vercellese, spento nel 2013 mentre veniva avviato dell'impianto di Gerbido (To), sulla salute dei cittadini residenti in prossimità di quell'impianto;
   l'obiettivo del suddetto studio, iniziato nel 2013 e reso possibile grazie ad un progetto CCM del Ministero della salute, era quello di evidenziare i possibili effetti sulla salute della popolazione residente in prossimità dell'impianto, i comuni di Vercelli e di Asigliano, con particolare riferimento ai dati di mortalità e morbilità nel periodo compreso tra il gennaio 1997 e il 31 dicembre 2012;
   nello specifico, l'indagine ha suddiviso la popolazione tra persone residenti nell'area di ricaduta dell'inceneritore, definiti «esposti», e le persone residenti fuori dall'area di esposizione, definiti «non esposti»;
   i risultati riferiti alla mortalità hanno mostrano rischi alla salute significativamente più elevati per la popolazione «esposta»; in particolare, è stata rivelata un'incidenza maggiore pari al 60 per cento per i tumori maligni, del 400 per cento per il tumore al colon-retto, del 190 per cento per il tumore al polmone, dell'80 per cento nei casi di depressione, del 190 per cento per ipertensione, del 90 per cento per le malattie ischemiche del cuore, del 50 per cento per le bronco pneumopatie cronico-ostruttive negli uomini;
   parimenti, i dati relativi alla morbilità (ricoveri ospedalieri) hanno messo in evidenza che la popolazione «esposta» ha avuto il 10 per cento in più di rischio per i ricoveri per diabete, il 10-20 per cento in più per le malattie degenerative del sistema nervoso centrale, il 30 per cento in più per le patologie epatiche croniche e cirrosi;
   a seguito della divulgazione dei risultati, il comune di Asigliano ha reso nota la volontà di voler promuovere una class action contro le società che hanno gestito l'inceneritore, la società Vercelli Energia e quella che ne detiene la proprietà, la multiutilyti Atena Patrimonio, spa, mentre il sindaco di Vercelli, dottoressa Maura Forte, ha reso noto di non voler più ospitare un inceneritore in suolo vercellese;
   l'8 luglio 2015, l'assessore all'ambiente della regione Piemonte, Alberto Valmaggia, rispondendo ad una interrogazione orale sulla questione, affermò che i dati forniti dall'Arpa di Vercelli avrebbero necessitato di ulteriori approfondimenti, anche per valutare la necessità di un intervento di bonifica nell'area dell'impianto, specificando, altresì, che la competenza a monitorare l'attività dell'impianto d'incenerimento era della provincia di Vercelli;
   allo stesso modo, l'assessore alla sanità Antonio Saitta, ha pubblicamente contestato lo studio dell'Arpa di Vercelli, in primo luogo criticando la struttura per aver agito per conto proprio senza coinvolgere la Asl di Vercelli e l'assessorato regionale, secondariamente annunciando la necessità di un'ulteriore indagine di approfondimento sulle conclusioni dell'Arpa e sottolineando il bisogno di individuare modalità appropriate di comunicazione alla cittadinanza, per evitare un erroneo utilizzo mediatico dei dati stessi;
   successivamente, il 5 agosto 2015 l'Arpa Piemonte ha provveduto alla rimozione dall'incarico di direttore dell'Arpa di Vercelli del dottor Giancarlo Cuttica, coautore dello studio in questione, adducendo come motivazione la riorganizzazione interna ai sensi della legge regionale n. 1 del 2015, tuttavia, a quanto risulta all'interrogante ha interessato solo il dottor Cuttica (sostituito dall'ingegner Bruno Barbera), non essendoci stati altri dislocamenti di personale;
   è quanto mai necessario, ad avviso dell'interrogante mettere in condizione l'opinione pubblica di conoscere i danni alla salute causati dall'azione degli inceneritori, soprattutto adesso che il Governo, in attuazione del «decreto Sblocca Italia», ha annunciato la costruzione di dodici nuovi impianti –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto espresso in premessa e alle evidenze scientifiche emerse dallo studio sopra citato e se non ritengano necessario avviare immediatamente degli studi similari a quello effettuato dall'Arpa di Vercelli in tutte le zone nazionali ove sono collocati gli altri inceneritori. (5-06564)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo 1986-1990, nel comune di Fabro (TR), in località Colonnetta, sono state depositate 1 milione e 500 mila tonnellate di ceneri di carbone, provenienti dalla centrale termoelettrica ENEL di La Spezia, grazie alla spola di 50 mila camion che fecero la spola tra le due località;
   la motivazione ufficiale del deposito di ceneri era quella di ricolmare una depressione naturale del terreno e poi costruire la predetta zona artigianale/commerciale di Fabro, oggi pressoché in disuso;
   lo stoccaggio delle ceneri di carbone è avvenuto in diverse fasi, e se all'inizio non esisteva né una normativa nazionale, né una normativa regionale in materia di rifiuti speciali, dal 1988 tale deposito è avvenuto in palese violazione prima della legge regionale n. 44 del 1987 che, classifica le ceneri derivanti dalla combustione di carbone come rifiuti speciali e in seguito delle leggi urbanistiche e dei vincoli paesaggistici esistenti sull'area interessata, ai sensi della legge n. 1947 del 1939, nonché della legge n. 431 del 1985;
   sulla vicenda sono state presentate diverse petizioni nonché un esposto alla magistratura di Orvieto a seguito del quale sono stati rinviati a giudizio il sindaco di Fabro Mario Fortinelli e l'allora assessore regionale all'ambiente Paolo Menichetti; entrambi in violazione della legge n. 915 del 1982, avrebbero consentito di fatto, grazie alle loro autorizzazioni all'impiego di ceneri a Fabro, la realizzazione di una discarica abusiva per rifiuti speciali. Con lo stesso è stato rinviato a giudizio, per aver realizzato una tale discarica abusiva, il signor Francesco Tamburella, presidente della società BIOERG alla quale l'ENEL ha affidato l'appalto per lo smaltimento delle ceneri;
   durante la fase di smaltimento delle ceneri, inoltre, è emerso, da diverse fonti stampa, che numerosi fusti di rifiuti tossici e nocivi siano stati depositati all'interno della colmata, ipotesi che verrebbe avvalorata dal ritrovamento in una zona prossima all'area di colmata di svariati bidoni «contaminati», abbandonati da ignoti;
   recenti analisi di campioni prelevati dal luogo dello stoccaggio delle ceneri lasciano emergere la possibilità che siano stati interrati nella stessa depressione anche rifiuti pericolosi di origine radioattiva;
   la regione Umbria, nell'adottare il piano generale dei rifiuti con la legge n. 44 del 1987 e ad avviso dell'interrogante con un'iniziativa non coerente con quella che era la legislazione nazionale prevista dalla legge n. 915 del 1982, ha classificato le ceneri di carbone come rifiuto speciale e ha previsto il reimpiego dietro semplice autorizzazione sindacale, ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 94 del 1992 –:
   di quali elemento dispongano in relazione a quanto esposto in premessa con particolare riguardo alla quantità di cenere effettivamente depositata nell'area di Fabro;
   se il Governo abbia assunto iniziative per effettuare delle analisi sulle ceneri e, in tal caso, quale sia la tipologia di sostanza presente nel terreno umbro;
   quale sia l'ammontare di quanto pagato dall'Enel alla società BIOERG;
   se siano a conoscenza delle ultime analisi effettuate sulle ceneri di Fabro, che hanno portato alla luce la possibile radioattività del materiale interrato e comunque come intenda tutelare, per quanto di competenza, la popolazione del luogo dal possibile contatto con le sostanze tossiche presenti nell'area.
(5-06570)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il comunicato n. 2116 del 31 agosto 2015 la giunta della provincia autonoma di Trento ha reso pubbliche le nuove regole in applicazione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) in riferimento alle distanze minime e alle misure di contenimento della deriva dei trattamenti per i prodotti fitosanitari nei frutteti vicini o contigui alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili. Il provvedimento è stato approvato in via preliminare dalla giunta provinciale in attesa del parere del consiglio delle autonomie locali per rispondere alla necessità di dare attuazione alle «Disposizioni per l'attuazione del Piano nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN) adottato con decreto interministeriale il 22 gennaio 2014» e che sono state approvate dalla giunta provinciale il 9 marzo 2015 (delibera n. 369);
   l'allegato al provvedimento del 31 agosto, denominato per esteso «Misure per l'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili», presenta una serie di disposizioni caratterizzate ad avviso degli interroganti da eccessiva genericità:
    a) all'articolo 2 «Prescrizioni del PAN per la preparazione delle miscele per i trattamenti sanitari» non è fornita una completa e chiara classificazione dei suoli impermeabili, nella parte relativa ai luoghi nei quali non possono essere svolte le operazioni di preparazione della miscela fitoiatrica. È assente infatti il valore del materiale (per esempio asfalto, terreno stabilizzato, terreno vegetale, ghiaioso, argilloso e altro) e del parametro k (coefficiente di permeabilità dei terreni in metri/sec) normalmente usato per definire la permeabilità;
    b) all'articolo 2 è assente inoltre un valore della distanza da tenere dai corsi d'acqua e dai pozzi per prelievo idrico. Tale mancanza mette a rischio la tutela dell'ambiente acquatico contro il potenziale inquinamento provocato da un accidentale sversamento di sostanze tossiche e contrasta il conseguimento degli obiettivi fissati nella direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    c) all'articolo 6 «Controlli e sanzioni» non vengono specificati né le autorità statali, provinciali e comunali né gli uffici locali deputati ai controlli. Tanto meno sono indicati gli strumenti e le risorse messe a disposizione per effettuarli;
    d) le sanzioni non risultano essere correlate alle prescrizioni contenute nel testo del documento e ne rimandano sommariamente l'applicazione al decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150;
    e) il rispetto delle prescrizioni è difficilmente controllabile sia per la disorganicità delle stesse sia per gli impedimenti oggettivi nei rilevamenti con particolare riferimento a: I) misurazione della sostanza attiva trasportata ed erogata dall'atomizzatore; II) verifica della compatibilità delle dotazioni e delle regolazioni dei dispositivi antideriva; III) rilevazione della direzione e dell'intensità del vento; e IV) esercizio delle funzioni di controllo sia nelle ore diurne che nella fascia oraria che va dalle ore 22:00 alle ore 6:00;
    f) è assente una classificazione univoca e rigorosa delle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili (AFPGV). Ad esempio queste sono elencate al comma 1 dell'articolo 3 e all'allegato 2 e non sembrano corrispondere a quelle del comma 4 dell'articolo 3;
   la nuova disciplina provinciale che si vorrebbe introdurre, a giudizio degli interroganti, riduce pertanto i livelli di sicurezza rispetto al piano d'azione nazionale (PAN) e va in senso contrario a quello delineato dal Sesto programma d'azione in materia di ambiente, con il quale il Parlamento europeo e il Consiglio hanno preso atto che occorre ridurre ulteriormente l'impatto dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente, ed in particolare quello dei prodotti fitosanitari. Risulta altresì essere peggiorativa rispetto al regolamento in vigore «Linee guida in materia di utilizzo sostenibile di fitosanitari» che fu approvato con la delibera della giunta provinciale del 19 maggio 2010, n. 1183 in particolare per i seguenti aspetti:
    a) nella definizione di aree agricole adiacenti alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili (AFPGV), a differenza di quanto disposto dal PAN all'azione A.5.6.3, risulterebbero omesse le aree confinati ai plessi scolastici (mantenendo solo quelle interne all'articolo 3.1 e allegato 2), le piste ciclabili, le zone di interesse storico, architettonico, archeologico, paesaggistico ed i cimiteri;
    b) risulterebbe omesso l'obbligo di avviso della popolazione con cartelli che indicano la sostanza attiva utilizzata, data e durata del divieto di accesso (≥ al tempo di rientro indicato in etichetta, se mancante ≥ a 48 ore nelle AFPGV), previsto nel PAN all'azione A.5.6;
    c) risulterebbe omesso l'obbligo di divieto di trattamento delle AFPGV con pesticidi con tempi di rientro ≥ a 48 ore e l'obbligo di vietarne l'accesso previsto nel PAN all'azione A.5.6;
    d) risulterebbe omesso l'obbligo di divieto di trattamento delle AFPGV con erbicidi (diserbanti) previsto nel all'azione A.5.6.1;
    e) risulterebbe omesso l'obbligo di privilegiare le misure di controllo a tutela dell'agricoltura biologica per i trattamenti con fungicidi, insetticidi o acaricidi previsto nel PAN all'azione A.5.6.2;
    f) risulterebbe omesso l'obbligo di vietare l'accesso alle aree trattate per almeno le 24 ore successive al trattamento senza gli specifici DPI (maschera, stivali, tuta impermeabile) a tutela degli agricoltori previsto nel PAN al azione A.5.7;
    g) risulterebbe omessa la regolamentazione delle aree protette come invece previsto nel PAN all'azione A.5.8;
    h) sono ridotte notevolmente le fasce di non utilizzo degli atomizzatori definite all'articolo 3 «Prescrizioni minime per garantire la corretta effettuazione dei trattamenti fitosanitari» della delibera della giunta provinciale 1183/2010. Nella fattispecie, pur in assenza il supporto scientifico, è stata azzerata la distanza di 30 metri per gli atomizzatori «antideriva». Ciò appare in contrasto con l'unico studio scientifico attualmente riconosciuto, il cosiddetto «Studio Lorenzin-Betta» del 1992 «Valutazione tossicologica del fenomeno di “deriva” nei trattamenti antiparassitari ed elementi per la minimizzazione del rischio», il quale dimostra che, nel caso di utilizzo di prodotti nocivi (ex-IIa classe) e in assenza di vento, per avere un rischio sanitario medio-basso, il trattamento antiparassitario con atomizzatori va effettuato a distanze superiori a 100 m dai bersagli sensibili (case, orti, giardini) e che, nonostante siano prese tali misure, il rischio nullo non esiste;
    i) non si prenderebbe il deposito della documentazione «antideriva» negli uffici comunali rendendo quindi impossibile ogni controllo preventivo sugli atomizzatori;
   la disciplina non prevede alcuna tutela per i luoghi in prossimità di aree trattate con pesticidi, quali: a) orti e campi dove si coltivano piante da frutto e ortaggi per l'autoconsumo e per fini non commerciali; b) aziende agricole biologiche; c) risorse idriche; d) aziende turistiche (alberghi, campeggi, agriturismi, alloggi privati). La disciplina, a giudizio degli interroganti, aumenta contemporaneamente il grado della minaccia sull'ambiente trentino, il quale è peraltro già compromesso come è stato evidenziato da recenti studi sulla realtà locale che hanno rilevato una presenza significativa di pesticidi in ben 20 corsi d'acqua in tutta la provincia di Trento, di cui 9 solo in Val di Non, e livelli di contaminazione elevati nell'organismo umano e nelle abitazioni e nei terreni adiacenti dei residenti nelle aree ad agricoltura intensiva. I documenti di riferimento sono: «Piano di Tutela delle Acque 2015» dell'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente (APPA) di Trento; «Il gusto amaro della produzione intensiva di mele. Un'analisi dei pesticidi nei meleti europei e di come soluzioni ecologiche possono fare la differenza» di Greenpeace, giugno 2015; «Presenza di fitofarmaci ad uso agricolo in aree residenziali della Val di Non» a cura del Comitato per il diritto alla salute in Val di Non (Tn), aprile 2012; «Indagine conoscitiva sul livello di esposizione non professionale a prodotti, fitosanitari in persone residenti in un'area a forte vocazione agricola della provincia di Trento» DGP n. 1154 dd 9 maggio 2008 – APSS Trento;
   in data 9 settembre 2015 sul portale Avaaz è stata lanciata una petizione dal titolo «Ritirare la nuova delibera sull'uso dei pesticidi in Trentino» la quale, a pochi giorni dalla pubblicazione, è già stata sottoscritta da centinaia di persone. La petizione denuncia la possibilità concessa agli atomizzatori di arrivare legalmente vicino alle case (fino a 0 m), l'impossibilità di esercitare il controllo le modalità con cui vengono erogati i trattamenti e i potenziali danni causati da una simile misura sull'attività turistica, sottolineando l'allarme sociale suscitato dalla nuova disciplina –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di assicurare la corretta attuazione del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, garantire la salute pubblica, rispondere alle esigenze delle popolazioni che vivono vicino alle aree agricole intensive, tutelare lo sviluppo dell'agricoltura biologica e garantire il rispetto del principio di precauzione attraverso una strategia strutturata di analisi dei rischi.
(4-10616)


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, affida ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il compito di adottare, entro il 12 dicembre 2014, ovvero 90 giorni dall'entrata in vigore del sopraddetto decreto-legge, disposizioni di riordino e semplificazione finalizzate a «rendere più agevole la realizzazione degli interventi», per quel che riguarda:
    a) la disciplina semplificata del deposito preliminare alla raccolta e all’end of wast delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto;
    b) la disciplina delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto;
   tra i quattro «principi e criteri direttivi», si segnala che la lettera d) del comma 1 dell'articolo 8 pone il «divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli previsti dall'ordinamento europeo» –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire notizie sull’iter di dette disposizioni di riordino della materia per le «terre e rocce da scavo» e su come intenda dare attuazione alla normativa sopra richiamata. (4-10625)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   LUIGI GALLO, PESCO, TONINELLI, TOFALO, FRUSONE e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 20 luglio 2015, nel secondo filone dell'inchiesta «Medea» della direzione distrettuale antimafia partenopea, è stata coinvolta la Lande srl di Napoli attiva negli scavi di Pompei, nel parco di Capodimonte e a Villa Adriana a Tivoli. Marco Cascella, amministratore della Lande srl, risulta indagato per corruzione e turbativa d'asta aggravata dal metodo camorristico, come riportato in un'inchiesta de Le cronache del salernitano pubblicata in data 21 luglio 2015;
   le stesse fonti ricordano che già nel 2011 la società Lande srl si era resa protagonista delle cronache giudiziarie «per i lavori nell'oasi Ferrarelle di Riardo: violazione delle norme sulla sicurezza, reati ambientali, autorizzazioni mancanti, distruzione e deturpamento di bellezze naturali le accuse della procura»;
   inoltre, nel 2010 in un'interrogazione al Senato della Repubblica del gruppo Italia dei Valori circa gli appalti post terremoto a L'Aquila fu resa nota un'informativa dei carabinieri sui rapporti d'affari (per il G8) tra Giardini e paesaggi e il consorzio stabile Novus: amministratore Mario Buffardi, «regista occulto è Antonio Di Nardo al quale fanno capo la Soa e la Promocert. Di Nardo ha avuto rapporti di affari con Carmine Diana, legato a Francesco Bidognetti del clan dei Casalesi». Nonostante i precedenti, la società a responsabilità limitata vince diversi appalti a Villa Adriana a Tivoli, durante il mandato da sindaco di Giuseppe Proietti, amministratore delegato dell'Ales, società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, già soprintendente alle antichità di Roma e soprintendente alle antichità di Pompei, nonché direttore generale alle antichità d'Italia e segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   come rinvenuto sul sito appalti-italia.it e appalti.dgmarket.com, la stessa società, in data 10 febbraio 2015, è risultata vincitrice di appalto ammontante a euro 546.769,80 che, ai sensi dell'articolo 53, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e dell'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, ha per oggetto la progettazione e l'esecuzione dei lavori relativi all'intervento denominato «Grande progetto Pompei – Italia per Pompei: regiones I, II, III valorizzazione, decoro e messa in sicurezza dei punti di accesso alle domus, sostituzione dei cancelli, delle transenne e degli allestimenti didattici dell'area archeologica di Pompei» – CIG: 5996117846; CUP: F62C14000280006;
   ad avviso degli interroganti, se l'annosa «questione Pompei», per la quale il primo firmatario del presente atto ha già posto quesiti all'attenzione del Ministro interrogato (si richiamano le interrogazioni a risposta in commissione nn. 5/03622, 5/05285 e 5/04911), fosse stata gestita in maniera attenta ed efficiente, se fosse stata data efficace attuazione alla previsione di cui al comma 5-bis dell'articolo 2 del decreto-legge n. 83 del 2014, relativa all'adozione di un piano di gestione dei rischi e di prevenzione della corruzione da parte del generale Nistri, avremmo visto tutelato il patrimonio artistico della nazione;
   altro caso di rilievo balzato alle cronache locali e nazionali è quello dell'arresto con accusa di corruzione, avvenuto nel 2013, di Annamaria Caccavo, rappresentante legale della società Caccavo s.r.l., che, in seguito all'inchiesta della procura di Torre Annunziata sull'appalto dei lavori di restauro del Teatro grande di Pompei, è stata interdetta a contrarre con la pubblica amministrazione;
   la Caccavo s.r.l. detiene il 98 per cento della quota societaria di Samoa restauri s.r.l., società che nel 2014 è risultata vincitrice di ben tre appalti per lavori di restauro agli scavi di Pompei (Regio VII per un ammontare di euro 5.457.867, Regio VIII per un ammontare di euro 6.212.000 e Casa della fontana piccola per un ammontare di euro 188.394) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e non ritenga necessario, al fine di tutelare e valorizzare il nostro patrimonio artistico, porre in essere iniziative volte a verificare la regolarità degli affidamenti, anche attraverso la costituzione di un apposito nucleo ispettivo. (3-01746)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TANCREDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   numerose realtà musicali, di rilevanza nazionale si sono viste privare idei contributi statali in conseguenza dei provvedimenti relativi ai finanziamenti per l'anno in corso e sino al 2017 relativi al fondo unico per lo spettacolo, a seguito di incongrue valutazioni assunte dalla commissione musica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, come dichiarato pubblicamente anche dal Sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni;
   nel territorio abruzzese è risultata ingiustamente penalizzata dai tagli dei finanziamenti una tra le più importanti istituzioni musicali della regione quale è la Società della musica e del teatro «Primo Riccitelli» di Teramo;
   a seguito della richiesta di accesso agli atti da parte della suddetta Società il dirigente di riferimento, in data 7 settembre 2015, ha comunicato di non poter mettere a disposizione la documentazione richiesta, non essendo ancora stato approvato il verbale del 1o luglio 2015, relativo alla seduta della Commissione musica; tale circostanza appare evidentemente incomprensibile, dal momento che, se ciò fosse vero, il decreto direttoriale di assegnazione – o non – dei contributi sarebbe stato emanato sulla base di determinazioni della commissione contenute in un verbale non formalmente approvato;
   la suddetta Società costituisce per il territorio abruzzese un patrimonio prezioso, da gestire con responsabilità e consapevolezza, a tutela di una insopprimibile continuità di promozione e diffusione della cultura musicale di rilievo internazionale, da consolidare ed elevare ulteriormente anche negli anni a venire;
   le stagioni concertistiche organizzate dalla suddetta Società sono state sempre contraddistinte da cartelloni di altissima qualità, ospitando concertisti di indiscusso prestigio internazionale, come testimoniato dal sempre numeroso riscontro di pubblico – comprensivo di una folta percentuale di giovani – e dalle precedenti erogazioni di denaro pubblico ottenute per ben ventisette anni dal, fondo unico per lo spettacolo ininterrottamente, in base a oggettivi criteri di merito e di indiscutibile qualità artistica delle proposte musicali formulate (cfr.www.primoriccitelli.it);
   l'esclusione dal finanziamento della Società Primo Riccitelli avrà effetti negativi e gravissimi sulla stagione concertistica 2015/2016 che non potrà essere più realizzata, con conseguente perdita di pubblico e di indotto economico; sulla copertura del deficit di bilancio originato dalla mancanza del finanziamento statale la cui comunicazione è avvenuta solo nel mese di agosto, ad attività; peraltro, quasi completamente attuata; sulla tutela dei dipendenti e sulla possibilità di realizzare nuove e altrettanto valide stagioni nei prossimi anni;
   l'ammissione da parte del Sottosegretario di un errore diffuso, che penalizza realtà storiche e fondanti l'identità musicale del nostro Paese (cfr. www.ilariaborletti.it) genera dubbi sulla congruità della complessiva valutazione svolta dalla commissione ministeriale per l'assegnazione dei contributi statali per il triennio 2015/2017 –:
   se la valutazione della gestione e della qualità artistica dei programmi musicali compiuta dalla commissione ministeriale per l'assegnazione dei contributi statali rientranti nel fondo unico per lo spettacolo 2015/2017 sia avvenuta con oggettivi criteri di merito e se la conseguente graduatoria sia derivata da un attento e approfondito vaglio del valore artistico-culturale delle proposte esaminate;
   quali iniziative si intendano assumere nei confronti delle istanze di tutte quelle realtà musicali che si sono viste privare dei contributi statali – o che hanno subito una consistente riduzione degli stessi – in conseguenza dei provvedimenti relativi ai finanziamenti fondo unico per lo spettacolo per l'anno in corso e per i prossimi due. (4-10608)


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Reggello, in provincia di Firenze, si trova il castello di Sammezzano, eclettica costruzione in stile moresco dall'architettura visionaria, impreziosita da forme fantasmagoriche e coloratissime, appartenente alla società Sammezzano Castle srl, ma attualmente è in stato di abbandono da circa trent'anni;
   il castello si trova in uno dei parchi più vasti della Toscana, in cui a metà dell'Ottocento Ferdinando Panciatichi vi fece piantare una grande quantità di specie arboree esotiche, come sequoie e altre resinose americane e numerose piante di interesse floriculturale, che ne valorizzano la ricchezza botanica;
   la storia del castello è assai antica e rilevante, può risalire all'epoca romana e continuare nei secoli successivi. Fu il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona, tuttavia, a progettarne l'aspetto attuale realizzando, tra il 1853 e il 1889, un'insolita e splendida struttura in stile moresco;
   nell'aprile del 2012, tuttavia, si è costituito il Comitato FPXA (Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragon) 1813-2013, un'associazione senza finalità di lucro che, pur non avendo la disponibilità del castello, collabora con la proprietà per organizzare aperture al pubblico. In particolare, essa promuove la conoscenza e lo studio della vita, idee ed attività svolte dal Marchese d'Aragona, con particolare riferimento all'architettura, all'ingegneria, la botanica, lo studio della storia del castello e del parco;
   attualmente, a causa del fallimento della Sammezzano Castle srl, castello e parco sono in vendita ed il 20 ottobre 2015 si terrà l'asta giudiziaria su base di 20 milioni di euro, nella quale il complesso sarà posto all'incanto, con notevoli danni sia per la memoria storica e culturale della zona che per il valore ambientale e turistico che il parco riveste per l'intera nazione;
   dalle ultime notizie, sembra che alcuni imprenditori cinesi siano interessati all'acquisito per trasformare la struttura in un albergo di lusso, con la conseguenza che i cittadini italiani e stranieri non potranno più godere, se non clienti, di questo importante sito storico, monumentale, ambientale e turistico;
   su sito intoscana.it un articolo informa che un gruppo di persone di San Giovanni Valdarno hanno avviato una raccolta di fondi su Kickstarter per provare ad acquisire il castello prima del 20 ottobre, giorno in cui è fissata l'asta per la vendita del complesso, e renderlo nuovamente accessibile al pubblico –:
   se le donazioni in favore del fondo istituito dai cittadini di San Giovanni Valdarno grazie al sistema di crowdfunding «Kickstarter» possano usufruire dei benefici fiscali introdotti dagli ultimi provvedimenti promossi dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in particolare del decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   se il Governo non ritenga, visti l'enorme valore culturale ed artistico e la potenzialità turistica del castello di Sammezzano e dell'area in cui si trova, di valutare l'opportunità di inserirlo tra i progetti oggetto di finanziamenti pubblici ai fini del recupero, della tutela e della fruizione dello stesso. (4-10613)


   FALCONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da accreditati organi di stampa locali si apprende della chiusura degli uffici novaresi della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Novara, Alessandria, e Verbano Cusio Ossola, dovuta — sembrerebbe — alla riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in Piemonte — regione territorialmente più grande d'Italia, seconda come numero di comuni — una seconda sede della Soprintendenza, quale appunto quella di Novara, ha rappresentato una grande opportunità per il territorio, ha abbreviato le distanze, garantendo una buona amministrazione del patrimonio culturale;
   tale chiusura non risulta ancora confermata, ma si deduce dall'invito rivolto a tutti gli addetti ai lavori di inviare le pratiche presso la sede principale di Torino –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'eventuale chiusura della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Novara, Alessandria, e Verbano Cusio Ossola e — in tal caso — come intenda attivarsi al fine di garantire una buona amministrazione del patrimonio culturale in territori molto vasti, come appunto è quello del Piemonte. (4-10622)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, copiose sentenze del giudice amministrativo hanno dichiarato illecite centinaia di nomine dirigenziali attribuite nell'arco degli ultimi quindici anni, presso le agenzie fiscali. Tuttavia, le autorità competenti e, in particolare, i Ministri dell'economia e delle finanze che si sono succeduti nel tempo, non hanno provveduto a ridurre la discrezionalità con la quale si attribuiscono, nell'ambito di tali enti, le funzioni dirigenziali riconosciute in assenza di regolari procedure;
   per ristabilire procedure lecite per l'attribuzione degli incarichi in questione, non è servita nemmeno la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, che ha dichiarato illegittimi circa 1200 dirigenti delle agenzie fiscali. Difatti, anche dopo tale pronuncia è seguito un irragionevole lungo periodo di totale inerzia durante il quale non sono stati adottati i necessari e dovuti provvedimenti affinché l'assegnazione delle funzioni dirigenziali avvenisse, come ha stabilito la Corte Costituzionale, ricorrendo all'istituto della reggenza regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, nelle more dell'espletamento di concorsi pubblici. Al riguardo, si mette in evidenza che tale norma è vigente e, dunque, applicabile in quanto mai abrogata, difatti, l'autorevole pronuncia dei giudici costituzionali ne ha imposto l'applicazione. Non ha fondamento, quindi, secondo l'interrogante quanto riferisce il Ministero dell'economia e delle finanze in risposta all'interrogazione 5/06243, dove lo stesso afferma rispetto alla norma in questione: «Tale previsione è superata dall'attuale ordinamento professionale del personale pubblico basato su aree funzionali di inquadramento e non più su qualifiche funzionali e, comunque, deve ritenersi implicitamente abrogata all'articolo 69 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Tale assunto è, a giudizio dell'interrogante, del tutto erroneo considerando che non vi è mai stata un'abrogazione esplicita dell'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, inoltre, si ricorda che vige il principio giuridico in base al quale una «lex generalis» non può inficiare una «lex specialis»;
   di conseguenza, non solo non si è dato seguito a quanto stabilito dai giudici costituzionali, ma si continua ad agire ad avviso dell'interrogante con procedure fortemente dubbie sul piano della legittimità, continuando ad affidare incarichi dirigenziali solo attraverso un riconoscimento fiduciario e in assenza di regolari procedure. Sul punto, infatti, in data 14 agosto 2015 è stato pubblicato il decreto legge n. 78 del 2015, recante disposizioni in materia di enti locali, convertito dalla legge n. 125 del 2015, che all'articolo 4-bis prevede «Disposizioni per la funzionalità operativa delle agenzie fiscali», stabilendo che per la copertura delle vacanze nell'organico dirigenziale, i dirigenti delle agenzie fiscali, previa procedura selettiva e per una durata non eccedente l'espletamento dei concorsi a dirigente e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016, possono attribuire le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti a funzionari di terza area con almeno 5 anni di esperienza nell'area stessa. Dunque, nelle more dell'espletamento dei concorsi, sono state istituite delle «posizioni organizzative speciali» in totale antitesi, sia con quanto statuito dalla sentenza della Corte Costituzionale rispetto all'applicazione dell'istituto della reggenza, sia con la normativa vigente concernente la delega di singoli atti dirigenziali;
   oltre ai gravi profili di dubbia legittimità rispetto alla previsione delle posizioni organizzative speciali istituite per l'esercizio delle posizioni dirigenziali vacanti, si evidenzia anche il costo per l'erario che comporterà questo provvedimento considerando che ai funzionari delegati sarà corrisposta una cospicua maggiorazione del trattamento economico;
   in sostanza, le agenzie fiscali hanno, secondo l'interrogante negligentemente, fatto trascorrere ben sei mesi senza applicare l'istituto della reggenza come previsto dai giudici costituzionali e, quindi, non hanno provveduto secondo legge a riparare alla grave situazione determinatasi, con l'illegittimità di centinaia di posizioni dirigenziali;
   ebbene, si è di fronte ad una situazione paradossale considerando che, non solo la decadenza delle cariche dirigenziali è conseguenza di una condotta illegittima posta in essere dalle agenzie fiscali, ma anche che, nel riparare alle conseguenze di tale grave condotta, i medesimi enti continuano ad agire secondo l'interrogante in un'evidente situazione di non conformità alla normativa vigente;
   ad avviso dell'interrogante, nel protrarsi di questa assurda vicenda vi sono considerevoli responsabilità del Ministro dell'economia e delle finanze che dovrebbe svolgere il suo ruolo di alta vigilanza come previsto per legge (decreto legislativo 300 del 1999) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro su quanto esposto in premessa e, in particolare, se intenda immediatamente e definitivamente intervenire affinché nell'ambito delle agenzie fiscali vengano attribuite secondo legge le funzioni dirigenziali relative alle posizioni vacanti, nelle more dell'espletamento dei concorsi pubblici e, quindi, venga applicato l'istituto della reggenza di cui all'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, come stabilito con l'autorevole pronuncia della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, a cui secondo l'interrogante negligentemente non è stato ancora dato seguito;
   se il Ministro intenda adottare le dovute iniziative normative rispetto al decreto-legge n. 78 del 2015, recante disposizioni in materia di enti locali, convertito dalla legge n. 125 del 2015, che all'articolo 4-bis, prevede «Disposizioni per la funzionalità operativa delle agenzie fiscali» e che, come specificato in premessa, presenta, secondo l'interrogante profili di dubbia legittimità.
(5-06572)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Marche ha circa 300 sportelli tra Marche, Lazio, Abruzzo, Emilia Romagna e Molise;
   al 31 dicembre 2013 risulta possedere un capitale sociale di euro 662.756.698,76 e circa 2.700 dipendenti;
   i dati pubblicati sul sito dell'istituto di credito risalgono a qualche tempo prima del commissariamento del Ministero dell'economia e delle finanze dovuto a un dissesto finanziario e a quella che appare all'interrogante una mala gestione dei dirigenti precedenti;
   Banca Marche versa in una situazione gravosa e incerta del proprio futuro;
   nonostante l'intervento del fondo interbancario sollecitato dalla Banca d'Italia a oggi nulla è dato sapere su come intende il Governo procedere al salvataggio prima dello scadere del commissariamento previsto per fine ottobre 2015;
   per salvare l'istituto di credito occorrerebbe almeno un miliardo di euro, ma come citava un articolo de Il Sole 24 Ore del 24 settembre 2015, mancano ancora i presupposti normativi e numeri certi per procedere con il piano di salvataggio;
   tuttavia, se dovesse essere recepita la direttiva «BRRD», Bank Recovery and Resolution Directive permettendo la conversione di obbligazioni subordinate in azioni, le famiglie e le imprese vedrebbero i loro risparmi e le loro obbligazioni trasformate in azioni, quindi la loro rapida svalutazione –:
   se sussista la possibilità di assumere iniziative di sostegno pubblico in modo da ridurre il rischio che siano utilizzate risorse delle famiglie e delle imprese per il salvataggio di Banca Marche;
   come ritenga di salvaguardare, per quanto di competenza, i correntisti e le aziende che hanno riposto la propria fiducia in questo istituto di credito e che ora attendono una risposta dalle istituzioni, in primis da parte del Governo.
(4-10623)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI e CERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   diciotto mesi fa, nel marzo 2014, due bambini di 7 e 8 anni, vennero allontanati dalla loro casa, su indicazione del Tribunale dei minori, con una modalità che è lecito definire violenta, almeno sotto il profilo psicologico. In molti infatti ricordano il blitz, a cui la stampa dell'epoca dette molto risalto, con cui ben otto volanti prelevarono a Battipaglia i due bambini per portarli in casa famiglia;
   causa ufficiale dell'allontanamento è stato il cattivo rapporto tra i genitori, le loro liti frequenti e il clima pesante di una vita di famiglia, a volte sospesa tra ansia e paura, ma caratterizzata anche da un buon rapporto personale dei bambini con ciascuno dei genitori preso separatamente, in particolare con la mamma;
   sul fatto sono state già presentate varie interrogazioni, anche al Ministro della salute, Beatrice Lorenzin;
   l'esito della vicenda resta ancora parzialmente confuso, almeno con riferimento alle cause dell'allontanamento e agli obiettivi della collocazione in casa famiglia;
   durante i mesi di collocazione in casa famiglia i bambini hanno ripetutamente espresso il desiderio di tornare a casa dalla madre e a scuola dai compagni, mostrando visibilmente il senso del loro disagio con una variegata sintomatologia che ha toccato il sonno, l'appetito, la curiosità intellettuale, il mondo dei giochi e delle relazioni con i coetanei, e altro;
   in questi mesi la madre dei bambini, Donatella Cipriani, sembra essere stata quella che ha maggiormente sofferto del distacco, almeno per quanto è dato di cogliere, secondo gli interroganti, dai fatti riferiti dai protagonisti della vicenda e apparsi in diverse occasioni sulla stampa; si tratta di una madre che, in questo momento, appare pesantemente penalizzata perché colpevole di aver ipotizzato gesti e abusi sessuali del padre sui figli;
   la madre si è battuta in tutti i modi possibili per ottenere il ritorno a casa dei bambini, dimostrando l'assoluta infondatezza dell'accusa di sindrome di alienazione parentale, che le era stata rivolta; la sindrome di alienazione parentale che gli scienziati considerano priva di qualsiasi fondamento scientifico e che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali non prende neppure in considerazione;
   finalmente, dopo 16 mesi, i bambini sono tornati a casa, ma non nella casa materna da cui erano partiti, bensì, con grande sorpresa di tutti, in quella paterna, nonostante il sospetto all'origine della separazione non sia mai stato chiarito: né confermato, né tanto meno confutato;
   la madre potrà vedere i bambini solo due volte la settimana in forma protetta, il che significa senza quel clima di spontaneità e di libertà che dovrebbe caratterizzare il rapporto di un figlio con sua madre; come se la responsabilità dei fatti che hanno condotto alla separazione fosse solo sua –:
   se intenda assumere iniziative normative affinché le procedure prevedano un'attenta valutazione, sia nel momento dell'allontanamento dei bambini dalla famiglia, che nel momento del successivo reinserimento, considerato che casi come quello citato in premessa si stanno rivelando assai più frequenti di quanto non sembri e che, nel caso di bambini così piccoli, ciò amplifica il disagio psicologico per il fatto stesso della separazione prolungata dalla famiglia prima e dell'ambiguità delle soluzioni successivamente.
(3-01743)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MARRONI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011: «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, all'articolo 44-bis, individua i criteri di definizione di un'opera incompiuta (1. Ai sensi del presente articolo, per «opera pubblica incompiuta» si intende l'opera che non è stata completata: a) per mancanza di fondi; b) per cause tecniche; c) per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge; d) per il fallimento dell'impresa appaltatrice; e) per il mancato interesse al completamento da parte del gestore. 2. Si considera in ogni caso opera pubblica incompiuta un'opera non rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, e che non risulta fruibile dalla collettività)»;
   l'articolo 44-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha previsto altresì l'istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dell'elenco-anagrafe nazionale delle opere pubbliche incompiute;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con decreto 13 marzo 2013, n. 42, definisce il «Regolamento recante le modalità di redazione dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute»;
   nell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute compare la «Città dello sport» di Tor Vergata denominata anche «Vela di Calatrava»;
   la città dello sport viene pensata e messa in cantiere per i mondiali di nuoto del 2009; con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 dicembre 2005 n. 3489 inerente a «Disposizioni urgenti per lo svolgimento nel territorio della provincia di Roma dei Mondiali di nuoto» viene fissato il limite di 120 milioni di euro (6o milioni derivanti dallo Stato e 6o dal comune di Roma «fondo nazionale per Roma Capitale») per la realizzazione della città dello sport;
   l'impegno complessivo di spesa, come riportato dall'articolo del Corriere della Sera del 9 marzo 2015 dal titolo «Città dello Sport, ecco il documento che fece quadruplicare i costi» aumenta nel progetto preliminare, raggiungendo i 240 milioni di euro; ma a seguito della necessità di adeguare l'impianto agli standard richiesti per la competizione olimpica nel 2007 vi è un ulteriore rincaro dei costi di realizzazione toccando quota 329 milioni di euro;
   il progetto definitivo autorizzato poi nel 2009, essendo state previste delle modifiche, prevede l'importo di 607.983.772 euro;
   i mondiali di nuoto del 2009 si sono svolti senza la realizzazione della città dello Sport di Tor Vergata;
   ad oggi sono stati spesi circa 200 milioni di euro e servirebbero altri 400 milioni per completare la struttura che versa in condizioni di progressivo degrado –:
   quali siano state e quali siano le criticità di tale opera nel suo lungo iter, nella progettazione, nell'affidamento dei lavori, nelle relative procedure e coperture finanziarie, nonché nella programmazione e continuazione dell'intervento in rapporto ai finanziamenti disponibili, considerato che tale opera è diventata un simbolo delle opere incompiute a Roma, e se quindi il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di intervenire per evitare che per tale opera vengano spesi ulteriori fondi statali senza una reale possibilità di completarla, anche con funzioni differenti, aggravando così il danno per la collettività. (5-06575)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a tutti gli abitanti della provincia e a quanti si recano ad Ascoli Piceno e a L'Aquila, è nota la pericolosità del ponte Santa Margherita nel comune di Borgo Velino, in provincia di Rieti. Un ponte con carreggiate eccessivamente strette che ha spesso fatto parlare di sé per gli innumerevoli incidenti stradali a volte mortali;
   predetto ponte, collocato sulla strada statale 4 Km 94+450, risale all'epoca mussoliniana, costituito da 3 campate, ad arco;
   la carreggiata stradale risulta della larghezza di ml. 6,05 nella parte centrale e di ml. 8,04 in corrispondenza degli imbocchi; è molto stretta e di difficile transito per i camion e le macchine che quotidianamente vi transitano, costretti a frenate e a rallentamenti. Ulteriori rallentamenti sono inoltre dovuti al transito dei pedoni che devono necessariamente invadere l'asse stradale, in quanto la struttura è sprovvista di un passaggio pedonale a loro dedicato;
   dal punto di vista strutturale, le indagini effettuate non hanno evidenziato segni di dissesto nelle componenti portanti (fondazioni, pile, archi e muri andatori), mentre i parapetti in muratura, sottoposti a violenti urti di veicoli in transito, si presentano collassati in diversi punti;
   da tempo oramai si parla di un progetto di adeguamento della struttura che tenderà al raggiungimento di adeguati standard di sicurezza stradale (demolizione e rifacimento parapetti esistenti che consentiranno anche un'ampliamento della struttura, rifacimento del manto stradale, sistemazione condotte e cavidotti e altro);
   in questo modo la piattaforma stradale passerebbe dagli attuali metri 6.05 a metri 8 circa con l'eliminazione della strettoia esistente –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, in merito ai fatti riferiti in premessa e quindi se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di prevedere in tempi certi l'inizio dei lavori di rifacimento e messa in sicurezza del ponte di Santa Margherita eliminando, in tal modo, un punto di estrema pericolosità in un tratto della strada statale Salaria. (5-06576)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, stabilisce che, in allegato al documento di economia e finanza (DEF), venga presentato il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) previsto dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001;
   l'XI allegato infrastrutture al documento di economia e finanza (DEF) del 2013, relativo al programma infrastrutture strategiche (PIS) per gli anni 2014-16, ha registrato l'intesa della Conferenza unificata il 16 aprile 2014 e successivamente, in data 1o agosto, parere favorevole da parte del CIPE;
   il XII allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014, trasmesso, al Parlamento il 3 ottobre 2014 – contenente la tabella 0 di avanzamento del programma infrastrutture strategiche – costituisce il quadro programmatico di riferimento per la programmazione comunitaria 2014-2020;
   il programma per le infrastrutture strategiche (PIS), nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2014, prende in considerazione 419 infrastrutture, per un impegno finanziario di 383 miliardi 857 milioni di euro; di questi, ben 285,2 miliardi sono relativi a interventi presenti nella tabella 0 del XII allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014;
   l'aggiornamento del programma delle infrastrutture strategiche (PIS) allegato al DEF 2015, reca le linee guida in base alle quali verrà definito, entro settembre 2015, un unico documento pluriennale di pianificazione (DPP), introdotto dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228, che includerà e renderà coerenti la pianificazione e la programmazione degli investimenti delle opere pubbliche;
   l'allegato infrastrutture al DEF 2015 presenta alcune novità rilevanti che rispondono a esigenze da tempo emerse a livello europeo e nazionale; il documento opera una significativa riduzione del numero delle opere strategiche identificando 25 opere prioritarie, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro;
   le suddette opere infrastrutturali prioritarie sono state selezionate – ai sensi di quanto disposto dal comma 1-bis dell'articolo 161 di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, inserito dall'articolo 41, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 – sulla base di una valutazione di coerenza con l'integrazione con le reti europee e territoriali, dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato;
   il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 – nella individuazione di quelle opere che possono essere definite le «priorità delle priorità» su scala nazionale sulla base dei criteri di effettiva rilevanza dal punto di vista delle analisi Swot – sembra prediligere gli interventi relativi alla rete ferroviaria riservando meno spazio al comparto stradale;
   esistono, ancora oggi, significative differenze nella densità e nella qualità delle infrastrutture stradali di interesse nazionale tra macro aree del Paese e le recenti notizie riguardanti gli ennesimi crolli e cedimenti in Sicilia (crollo del viadotto Imera I sull'autostrada A19 del 10 aprile 2015, cedimento del viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento del 30 dicembre 2014, crollo, lungo la strada statale 626, del viadotto Petrulla il 7 luglio 2014 e del viadotto Geremia Il in data 28 maggio 2009 e crollo del viadotto sul fiume Verdura lungo la strada statale 115 il 2 febbraio 2013) non fanno che confermare l'inadeguatezza, e in qualche caso l'assoluta carenza, degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle opere infrastrutturali, in particolare quelle stradali;
   sul tema, è stata già presentata un'interrogazione a risposta in Commissione – n. 5/03214 del 14 luglio 2014, prima firmataria la deputata Mannino Claudia – relativa all'attuazione del programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS spa; il Sottosegretario di Stato infrastrutture e trasporti ha ricordato che, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria, è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37,9 milioni di euro (ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi;
   lo schema di Contratto di programma di Anas 2015 – integrato da un piano quinquennale degli investimenti da realizzarsi nell'arco temporale 2015-2019 – prevede una spesa complessiva pari a circa 20 miliardi di euro, di cui 17,5 per nuovi interventi e 2,5 per manutenzione straordinaria;
   il decreto-legge n. 69 del 2013 cosiddetto «del fare» convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) ed il decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto «Sblocca Italia» convertito con modificazioni, dalla legge n. 164 dell'11 novembre 2014 hanno destinato al programma ponti, viadotti e gallerie circa 950 milioni di euro, di cui attualmente disponibili circa 850 milioni;
   sono, ad ogni modo, numerose le opere, soprattutto nel Mezzogiorno, contenute nella tabella 0 del XII allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014 – non ricomprese nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 – che, oltre a possedere una particolare rilevanza strategica, hanno ricevuto una piena copertura finanziaria e che, pertanto, sarebbero meritevoli di essere reinserite all'interno dell'elenco degli interventi considerati prioritari per il Paese;
   si ritiene – fermo restando le risorse nazionali e comunitarie da destinare alle opere infrastrutturali stradali – che gli oltre 300 miliardi di euro ottenuti dalla drastica riduzione del numero delle opere infrastrutturali strategiche dovrebbero poter essere utilizzati per colmare il gap infrastrutturale, ancora oggi esistente, tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese favorendo investimenti per attività di pianificazione volte alla ristrutturazione e al rilancio delle opere infrastrutturali esistenti –:
   se il Governo, alla luce della volontà di superare «la legge obiettivo», sia in grado di quantificare il possibile risparmio ottenuto dalla riduzione del numero delle opere infrastrutturali prioritarie operata dal programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 e se abbia già operato una scelta su come utilizzare dette risorse, tra interventi di messa in sicurezza del territorio – come dissesto e bonifiche – e nuove opere, come il ponte sullo stretto, sulla cui realizzabilità la Camera si è espressa favorevolmente. (5-06577)


   CASTIELLO e CATANOSO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema viario della regione Sicilia presenta, da diverso tempo, notevoli carenze sia sul piano della sicurezza che su quello infrastrutturale, in particolar modo per quanto riguarda i principali assi viari che collegano i maggiori punti di interesse dell'isola;
   il 5 ottobre 2015, l'autostrada Messina-Catania (A18), nel tratto compreso tra Roccalumera e Giardini Naxos, è stata chiusa a causa di una frana verificatasi all'altezza di Letojanni. Si tratta dello stesso tratto autostradale che già una settimana fa era stato interessato da un vasto smottamento arrivato dalla collina che sorge a ridosso dell'arteria autostradale e che aveva creato non pochi disagi, facendo arrivare massi e fango lungo la carreggiata;
   a causa della frana, si è resa necessaria la chiusura del tratto autostradale interessato, provvedendo al dirottamento del traffico di auto e mezzi pesanti sulla strada statale 114 e alla partenza di alcuni navi, con a bordo tir dal molo Norimberga di Messina con destinazione Catania;
   l'uscita autostradale di Taormina, risulta fondamentale poiché è presente un presidio ospedaliero, situato tra il comune di Giardini Naxos e Taormina, raggiungibile solo attraverso il tratto autostradale Messina Catania (A18) e la SP 114;
   dopo il crollo del viadotto Himera sull'autostrada Palermo-Catania, avvenuto sei mesi fa, la frana sulla Messina-Catania, l'unico tratto rimasto percorribile per il traffico commerciale, ha di fatto tagliato la Sicilia in tre parti, considerato che tutti i mezzi pesanti erano bloccati lungo la statale 114, a causa di un angusto sottopasso che ha reso arduo il transito dei camion;
   tale disagio, secondo quanto riportato da Ance Sicilia, ha generato notevoli disagi anche dal punto di vista commerciale, al punto che quasi tutte le province dell'isola hanno sofferto per la difficoltà di approvvigionamento di merci e generi di prima necessità, di materie prime e semilavorati per l'industria manifatturiera e di materiali per il settore delle costruzioni, a partire da cemento e ferro;
   i disagi sono perdurati per tutta la giornata, tanto che solo nella tarda serata è stato riaperto il tratto della A 18 lato mare, mentre il traffico dei mezzi pesanti e leggeri è stato consentito solo nella direzione di marcia da Catania a Messina, e i mezzi pesanti provenienti da Messina hanno continuato ad utilizzare il percorso alternativo;
   l'inadeguatezza del sistema viario rappresenta un colpo mortale all'economia degli enti locali e una dimostrazione dell'incapacità della regione di fronteggiare con azioni mirate una situazione insostenibile che va a sovrapporsi ad altri problemi irrisolti;
   alla luce della inefficiente gestione dell'assetto viario della regione Sicilia, sotto il IV Governo Berlusconi, il Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti e il Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli con apposito decreto hanno provveduto a togliere la gestione delle autostrade siciliane al Cas (Consorzio autostradale siciliane) per affidarle direttamente all'Anas;
   il Tar di Catania con ordinanza definitiva ha successivamente annullato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in modo da far rientrare il controllo della gestione delle autostrade siciliane direttamente nelle competenze del Consorzio autostradale siciliane –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere al fine garantire il ripristino dell'assetto viario dell'isola e se, a causa delle evidenti inefficienze gestionali, non intenda assumere iniziative per rivedere la competenza della gestione autostradale in Sicilia.
(5-06578)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI, RIZZO, TRIPIEDI, TURCO, SEGONI, BECHIS e D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autostrada A18, l'autostrada Catania-Messina, rappresenta uno snodo vitale per il trasporto siciliano: è l'unica via a disposizione dei mezzi, soprattutto pesanti, in partenza dalla parte orientale per raggiungere l'area occidentale;
   il 25 ottobre del 2007, dopo un violento temporale, una valanga di fango aveva invaso Messina e i centri della Sicilia nord-orientale, zona a elevato rischio idrogeologico; i danni materiali furono elevati ma non vi furono vittime. La circolazione ferroviaria sulla linea Messina-Catania rimase interrotta fino al 10 novembre 2007 con gravissimi disordini della circolazione dei treni costretti ad un lunghissimo percorso via Termini Imerese. In quell'occasione furono molti gli abitanti a denunciare il pericolo di nuovi crolli e smottamenti, allarme ripreso anche dalla trasmissione televisiva Striscia la Notizia;
   l'11 dicembre 2008, ancora un nuovo allarme maltempo interessò la zona;
   il 1o ottobre 2009, su Messina si è abbattuto un violento nubifragio che ha provocato lo straripamento dei corsi d'acqua e diversi eventi franosi, a cui è seguito lo scivolamento a valle di colate di fango e detriti. Già tre ore dopo l'inizio del nubifragio si segnalavano danni alle strade e alla ferrovia, fino a quando, vicino alla mezzanotte, avveniva il crollo di alcune palazzine tra Scaletta Zanclea e Giampilieri Superiore. In seguito all'evento franoso, che ha investito anche la strada statale 114 orientale sicula, l'autostrada A18 e la ferrovia Messina-Catania, numerosi paesi e frazioni sono rimasti totalmente isolati, mentre si interrompevano anche le comunicazioni d'ogni tipo, con Messina e il resto del Paese, di tutta l'area orientale e ionica della Sicilia. Per qualche giorno si sono potuti utilizzare solo i collegamenti marittimi, il che ha ostacolato pesantemente il raggiungimento delle località colpite. I centri più danneggiati sono stati Scaletta Marina, nel comune di Scaletta Zanclea e diverse località del comune di Messina (Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Molino, Santo Stefano di Briga, Briga Superiore e Pezzolo). Si è trattato di una vera e propria calamità naturale abbattutasi in una zona già colpita in precedenza da eventi franosi e alluvionali. La portata dei danni, fin da subito, si è rivelata seria e preoccupante: 31 le vittime accertate sepolte sotto il fango, incerto il numero dei dispersi, molte le persone rifugiate sopra i tetti e alcune delle frazioni raggiungibili soltanto a piedi o per via aerea, 1054 il numero degli sfollati. Il Consiglio dei ministri, successivamente, dichiarava lo stato di emergenza nelle zone colpite. Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso nella sua relazione alla Camera dei deputati il 7 ottobre affermava tra l'altro: «... L'impegno è stato massiccio, con l'impiego di 2.386 uomini anche dell'esercito e delle Forze dell'ordine, 567 mezzi, 100 ore di volo con 150 “sortite” degli elicotteri... Al momento... tutte le frazioni sono state raggiunte dai soccorritori e tutte le strade sono state riaperte e riattivate. Sono in corso accertamenti sull'agibilità degli edifici...»;
   tra le concause del disastro del 2009 si annoverano l'abbandono del territorio in termini di coltivazione agricola e gestione forestale, specie dopo i ripetuti incendi degli ultimi decenni che hanno depauperato le difese naturali del territorio, l'intensificarsi degli eventi di piogge torrenziali, l'estrema lentezza burocratica nella definizione e messa a punto dei piani di protezione ambientale e di messa in sicurezza del territorio, l'errata o carente valutazione delle aree a rischio, la riduzione delle dotazioni finanziarie;
   il 4 gennaio 2015 crollava il viadotto Scorciavacche 2, sulla Palermo-Agrigento, inaugurato il 23 dicembre 2014 e costato 13 milioni di euro: è solo un esempio di una lunga serie di simili episodi che si succedono da oltre dieci anni;
   il 9 settembre 2015, a Capo Alì, per l'ennesima frana, causata dal maltempo, la strada statale 114, all'altezza di contrada D'Avì, è stata invasa da pietre e terriccio, creando enormi disagi al territorio;
   a causa dell'estremo pericolo creato dalle continue frane che puntualmente vanno a crearsi nel tratto stradale che unisce il paese di Scaletta Zanclea, Itala ed Alì Terme, la viabilità è stata interrotta in entrambi i sensi di marcia – di fatto separando la riviera fonica e spezzando l'unica via di collegamento tra Messina e i centri a sud – al fine di scongiurare danni a quei cittadini che quotidianamente percorrono tale tratto stradale per raggiungere il posto di lavoro;
   a causa dei ritardi di interventi risolutori e definitivi, per i cittadini si sono ripresentati gravi disagi e reali difficoltà: disagi causati dalla caduta di massi e dalla successiva chiusura dell'arteria dall'assenza di percorsi alternativi alla statale, visto che l'unica possibilità per aggirare Capo Alì è rappresentata dagli svincoli di Tremestieri e Roccalumera dell'autostrada A18; anche dall'interruzione del servizio dei pullman di linea;
   sembra che l'Anas abbia provveduto alla riapertura del tratto compreso tra i chilometri 22,400 e 23,000, in corrispondenza di Capo Alì, nella giornata di mercoledì 23 settembre 2015, per consentire il ripristino della circolazione a senso unico alternato sulla corsia lato mare: una soluzione adottata per venire incontro alle esigenze del territorio – tagliato in due dopo la chiusura dell'unica via di collegamento della riviera ionica;
   da fonti di stampa si apprende che sono al lavoro i rocciatori specializzati, intervenuti all'altezza del chilometro 22,600 per la perlustrazione del costone e per procedere alle operazioni di disgaggio e disgregazione dei massi rimasti in bilico sulla collina di Capo Alì. Successivamente, si passerà alla posa delle nuove reti metalliche di contenimento: gli interventi, secondo le dichiarazioni dell'Anas, dovrebbero essere conclusi nel giro di una settimana, così da consentire la riapertura totale al transito della statale 114;
   proprio nei giorni in cui si ricordano 37 vittime dell'alluvione del 2009, nuove frane dimostrano la estrema fragilità del territorio: nella notte tra il 1o e 2 ottobre 2015, e ancora il 5 ottobre, il maltempo ha causato altre frane sull'autostrada A18 al chilometro 32, in direzione Catania, all'altezza di Letojanni. La situazione è gravissima: il tratto è stato chiuso e il traffico deviato sulla strada statale 114, all'altezza dello svincolo di Roccalumera provocando code interminabili; anche sulla strada provinciale 12, al chilometro 16, all'altezza della frazione di Scifi (Forza d'Agrò), negli stessi giorni si sono verificate frane che hanno isolato i centri collinari di Roccafiorita e Limina per diverse ore: la carreggiata è stata invasa da massi e terra;
   la Sicilia è spezzata in tre e di fatto l'ultima frana sulla A18 è un altro duro colpo per l'economia: tutti i mezzi pesanti sono bloccati tanto che le derrate alimentare saranno portate al macero e nonostante sia stata prevista la partenza di alcune navi, con a bordo i Tir dal molo di Norimberga (Messina) con destinazione Catania, le province dell'isola soffriranno per la difficoltà di approvvigionamento di generi di prima necessità, di materie prime e semilavorati per l'industria manifatturiera;
   il disastro delle strade siciliane è ben rappresentato dai seguenti numeri: quattro viadotti crollati negli ultimi sei anni, tredici tratti (tra statali ed autostradali) interrotti e soltanto 400 milioni di euro stanziati per la manutenzione straordinaria dall'Anas dal 2006 ad oggi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di ripristinare la sicurezza stradale e di accertare l'esistenza obiettiva di pericolo o di insidie nella strada descritta in premessa prevedendo, tra l'altro, una corretta valutazione delle aree a rischio e un aumento delle dotazioni finanziarie per completare l'anello autostradale siciliano;
   se il Ministro intenda intervenire affinché la messa in sicurezza delle strade assuma priorità nell'ambito del programma di interventi sulla viabilità in Sicilia, al fine di garantire una rete infrastrutturale adeguata ed assicurare così l'incolumità delle persone: condizioni necessarie per lo sviluppo economico dell'isola. (5-06568)


   DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recentemente la commissione tecnica della valutazione d'impatto ambientale ha rilasciato un parere negativo riguardante il progetto di autostrada Broni-Pavia-Mortara;
   l'asse di mobilità principale della provincia di Pavia riguarda la direttrice sud-nord e non est-ovest; l'autostrada risulta quindi sprovvista di utilità pratiche e non è funzionale alle esigenze logistiche del territorio;
   è già esistente un collegamento autostradale sull'asse est-ovest rispetto al quale la Broni-Pavia-Mortara offrirebbe un risparmio di tempo di percorrenza piuttosto contenuto, stimato in poco più di 10 minuti;
   il tracciato dell'autostrada pregiudicherebbe terreni di grande pregio agricolo, faunistico e naturalistico, in particolar modo nell'area, già compromessa, della Lomellina, nota a livello internazionale per le varie e pregiate qualità di riso;
   un ampio tratto dell'autostrada sarebbe rialzato, con la conseguente necessità di scavare nuove, enormi cave per il rifornimento dei materiali necessari alle relative opere edilizie. Di fatto, tale autostrada verrebbe a costituire una barriera che pregiudicherebbe l'interscambio in termini di biodiversità e naturali spostamenti faunistici, causando altresì la frammentazione di importanti corridoi ecologici;
   l’iter autorizzativo appare di dubbia legittimità costituzionale, trattandosi di autostrada interregionale e non regionale (considerato il collegamento con la «Stroppiana» in Piemonte), la competenza diretta, quindi, dovrebbe essere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e non della regione Lombardia. Tale profilo di incostituzionalità potrebbe dar adito a ricorsi in sede giudiziaria. Fu proprio il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota protocollata il 18 dicembre 2006 a sostenere che «la procedura in corso da parte di Regione non può ritenersi legittima»;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, durante un'audizione alla Camera ha affermato che l'interesse del suo Ministero è riqualificare e manutenere le infrastrutture esistenti evitando altre opere deleterie per il territorio italiano, già strutturato oltre le reali necessità –:
   se il Governo, alla luce del parere negativo già espresso dalla Commissione VIA sopra citata e della posizione già espressa dal responsabile del dicastero, non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere la realizzazione dell'opera, anche alla luce dell'esigenza di rivedere il piano delle opere infrastrutturali stradali. (5-06569)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nota situazione di disagio relativa al porto di Gioia Tauro potrebbe complicarsi ulteriormente poiché il gruppo Maersk tramite APM Terminals ha raggiunto un accordo con Perez y Cia per l'acquisizione della relativa quota di maggioranza nel gruppo marittimo di Barcellona TCB, con le rispettive attività di servizi container in Europa e America Latina. Grup Maritim TCB controlla 11 terminal per container con una capacità annuale di 4,3 milioni di TEU. TCB ha concessioni a Barcellona, Valencia, Castellon, Isole Canarie, Izmir (Turchia), Yucatan (Messico), Quetzal (Guatemala), Buenaventura (Colombia) e Paranagua (Brasile);
   la MSC del Gruppo Aponte ha manifestato un vivo interesse verso il terminal di Taranto, ormai fallito per l'addio dei coreani di Evergreen. Fonti di stampa hanno pubblicato la notizia dell'acquisto del 45 per cento del Trieste Marine Terminal, società del Gruppo «To Delta» che gestisce il terminal sul Molo VII;
   gli interessi dei maggiori operatori del porto di Gioia Tauro potrebbero deviare il proprio asse dall'importante porto calabrese ed, in effetti, la cessione delle quote azionarie del terminal Medcenter di Gioia Tauro da parte del Gruppo Maersk che ne deteneva il 33 per cento, confermano l'ipotesi;
   l'alleanza tra i due colossi dello shipping Maersk ed MSC, denominata 2M, al momento non ha prodotto alcun incremento di volumi su Gioia Tauro, anzi, gli stessi sono in netta discesa (il terminal rispetto allo scorso anno ha avuto una contrazione del 15 per cento in termini di contenitori movimentati ed il mese di agosto appena trascorso si attesta come uno dei più drammatici dall'inizio della crisi con appena 120.645 container movimentati, livelli così bassi non si toccavano ormai dall'inizio del 2012);
   i volumi di traffico su rotaia non hanno avuto l'incremento sperato, nonostante sia stato dimostrato proprio nei mesi scorsi, in occasione degli scioperi a Napoli, come l'infrastruttura ferroviaria sia in perfetta efficienza. Il traffico contenitori da Napoli è stato dirottato, infatti, su Gioia Tauro che nel 2008 lavorava 200 treni ogni mese;
   è chiaramente solo una scelta commerciale quella di non utilizzare lo snodo ferroviario già esistente nello scalo gioiese. Una scelta dettata puramente da interessi economici e privati dell'unico cliente-proprietario-concessionario che ormai è MSC del gruppo Aponte (che detiene al momento il 50 per cento delle azioni del terminal di Gioia Tauro avendo acquisito anche quota parte delle azioni di Maersk);
   sul tema delle concessioni occorre, comunque, effettuare una riflessione specifica verificando quale sia il reale livello di utilizzo delle banchine e degli spazi concessi a Medcenter Container Terminal spa la quale, a fronte di una concessione cinquantennale che scadrà il 2043, attualmente ne sfrutta poco più del 60 per cento ed ha attivato, di conseguenza, la cassa integrazione straordinaria per oltre 350 unità lavorative;
   l'attività di verifica dovrebbe essere svolta dal presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro secondo quanto previsto dall'articolo 8, lettera h), della legge n. 84 del 1994 e dagli articoli da 36 a 55 e 68 del codice della navigazione il quale, sentito il comitato portuale di cui all'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, potrà esercitare tutte le verifiche previste dalle norme sopra citate e gli spazi non adeguatamente utilizzati potrebbero essere dunque revocati per essere messi a gara internazionale ed in questo modo attrarre eventuali nuovi terminalisti nel porto di Gioia Tauro. Tutto ciò, però, non è possibile da realizzare perché è stata – ad avviso degli interroganti inspiegabilmente – commissariata da oltre un anno e mezzo;
   lo stato di protratto commissariamento impedisce l'applicazione all'autorità portuale di Gioia Tauro delle norme in materia di risanamento dei conti e di competitività previste dalle più recenti norme;
   ad esempio nell'avvio della XVII legislatura, è intervenuto, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali, l'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013;
   in materia, l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha previsto la destinazione su base annua, nel limite di 70 milioni di euro annui, dell'uno per cento del gettito dell'IVA relativa all'importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto rientrante nelle circoscrizioni delle autorità portuali;
   l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 è stato successivamente modificato dall'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013, prevedendo:
    a) l'innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell'uno per cento dell'IVA riscossa nei porti;
    b) la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
   l'articolo 22 ha inoltre consentito, stabilizzando e sviluppando la disciplina sperimentale introdotta anni 2010, 2011 e 2012 dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194 del 2009, alle autorità portuali di diminuire, fino all'azzeramento, ovvero di aumentare, fino a un tetto massimo pari al doppio, le tasse di ancoraggio;
   successivamente, l'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «decreto-legge destinazione Italia») ha consentito la destinazione della quota di IVA riscossa nei porti e trattenuta dalle autorità portuali anche a interventi cantierabili per la competitività dei porti italiani, interventi finanziati anche con risorse revocate dalla realizzazione di altre infrastrutture nonché erogate per interventi nelle aree portuali per i quali non si sia proceduto, entro due anni dall'erogazione del finanziamento, all'approvazione del bando di gara –:
   se i fatti esposti in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato alla luce di quanto sopra descritto affinché si determinino le condizioni per il superamento della situazione di commissariamento in cui versa l'autorità portuale di Gioia Tauro in quanto appare vitale l'istituzione di una «cabina di regia» non-emergenziale per rilanciare nel complesso l'area del porto di Gioia Tauro;
   per quale motivo non sia stato ancora nominato il presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro dopo oltre un anno di commissariamento;
   quali siano le ragioni che impediscono una diversificazione delle attività del porto, revisionando il piano regolatore e rivedendo gli spazi in funzione del loro reale utilizzo;
   se non sia preferibile adottare un'iniziativa normativa strutturale a livello centrale per l'abbattimento delle tasse di ancoraggio nei porti di transhipment italiani in modo che si possa competere alla pari con i porti della sponda africana che sono i diretti concorrenti di Gioia Tauro;
   se sia possibile assumere iniziative per prevedere un abbattimento delle accise sui carburanti così come accade in molti terminal europei;
   se sia possibile assumere iniziative per prevedere che parte dell'iva e/o dei dazi doganali dei contenitori in transhipment a Gioia Tauro rimangano nelle casse della regione Calabria, dal momento che tali entrate vanno a finanziare solo le regioni di altri porti e che dal porto di Gioia Tauro transitano circa 3 milioni di teus/anno ed il 95 per cento fa solo transhipment (cioè da nave a nave) generando ricchezza (dazi+iva) soltanto nel porto di arrivo o di partenza (import o export);
   se sia possibile chiarire come mai MSC (come su detto socio di Contship) a Gioia Tauro provveda al pagamento di una tariffa a container che è la più bassa d'Europa e che non consente neanche il recupero dei costi al terminal e se sia possibile una revisione di tutte le concessioni del porto, con regione e autorità portuale, che una volta verificati i piani industriali mettano a gara internazionale gli spazi non utilizzati. (5-06571)


   MAGORNO, COVELLO, BATTAGLIA, AIELLO, CENSORE e OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2015, la procura della Repubblica di Lamezia Terme (Catanzaro) ha aperto un'inchiesta sull'operato della Sacal, la società di gestione dell'aeroporto lametino;
   nel registro degli indagati vengono iscritte undici persone tra cui il direttore generale, il presidente, alcuni componenti dell'attuale consiglio di amministrazione, dipendenti e dirigenti della Sacal;
   le persone indagate, secondo le ipotesi investigative, sarebbero responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere, abuso d'ufficio, turbativa d'asta e turbata libertà di scelta del contraente;
   in particolare, la procura della Repubblica di Lamezia Terme (Catanzaro) contesta agli indagati di aver «posto in essere una serie di condotte illecite e violazioni di legge, con particolare riferimento alla normativa in materia di appalti pubblici»;
   il rappresentante della regione, l'avvocato Gaetano Pignanelli, e il rappresentante della provincia il presidente Vincenzo Bruno, nonché vari rappresentanti di associazioni, parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali, hanno richiesto più volte le dimissioni del consiglio di amministrazione della Sacal, al fine di porre fine a speculazioni e strumentalizzazioni, altamente penalizzanti non solo per la Società aeroportuale ma, anche e soprattutto, per la Calabria;
   il 18 agosto 2015, durante una riunione del consiglio di amministrazione della Sacal, pur confermando la piena fiducia nei confronti del presidente, tutti i consiglieri presenti hanno manifestato la volontà di rimettere il proprio mandato agli organi designanti;
   a tutt'oggi, però, il consiglio di amministrazione della Sacal non risulta essersi dimesso;
   a parere degli interroganti, le dimissioni del consiglio di amministrazione della Sacal rappresenterebbero un atto di responsabilità necessario sia per il prosieguo delle attività che per il rilancio dell'importante infrastruttura aeroportuale, che è stata inserita tra i 38 aeroporti di interesse nazionale oltre a essere stata identificata come scalo strategico per il bacino della Calabria –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda assumere nell'ambito delle proprie competenze, per il superamento di questa fase, nell'esclusivo interesse della Calabria, e della migliore gestione dell'aeroporto di Lamezia Terme (Catanzaro). (5-06579)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Malpensa è l'aeroporto intercontinentale di Milano considerato il principale scalo dell'Italia settentrionale;
   l'aeroporto è gestito su concessione statale dalla società aeroportuale «SEA S.p.a.» di Milano, azienda misto pubblico-privata, che ha come soci il Comune di Milano al 55 per cento, il fondo F2i, cui partecipa la Cassa depositi e prestiti, al 44 per cento e il comune di Busto Arsizio;
   S.E.A. s.p.a., essendo controllata dal comune di Milano, ha l'obbligo di rispettare le leggi in materia di gare d'appalto, trasparenza e controllo sull'esecuzione delle opere come previste nei capitolati d'appalto;
   l'aeroporto di Malpensa, inaugurato nel 1998, ha subito nel corso degli anni diversi interventi di ampliamento e ammodernamento: nel 2009 sono stati avviati i lavori di costruzione del terzo satellite, conclusi il 13 gennaio 2013, con un investimento, secondo le dichiarazioni di SEA s.p.a. reperibili dall'indirizzo http://www.seamilano.eu/it, di circa 300 milioni di euro;
   in seguito lo scalo è stato oggetto di restyling ed è stato inaugurato il 15 aprile 2015, con un investimento economico di 30 milioni di euro;
   il 15 maggio 2015 un forte temporale si è abbattuto in provincia di Varese creando danni e non pochi disagi anche all'Aeroporto di Malpensa;
   per quarantacinque minuti non ci sono stati né decolli né atterraggi: undici voli sono stati dirottati, cinque dei quali a Linate;
   lo scalo ha subito danni, come si evidenzia dalle foto e dai filmati pubblicati, tra i quali:
    crollo di una parte di controsoffitto, interessata dal restyling ultimato ad aprile 2015, presso la porta n.6 al piano arrivi, mentre gli addetti alle pulizie della società Romeo stavano tentando di aspirare l'acqua che cadeva copiosamente, mettendo a rischio la propria sicurezza e quella dei passeggeri presenti;
    allagamento del satellite «C», appena inaugurato, con conseguenti danni anche alle attività commerciali circostanti;
    allagamento dei vani ascensore;
    allagamento dello smistamento bagagli;
    allagamento di varie zone del piazzale degli aeromobili;
   in merito all'accaduto SEA s.p.a., che gestisce i servizi a terra, ha spiegato che la zona era stata evacuata ancor prima che accadesse il crollo senza alcun rischio per i passeggeri;
   per sicurezza SEA s.p.a. ha quindi fermato i traffici passeggeri;
   allagata anche la strada statale 336, che conduce all'Aeroporto, nel tratto che collega la città di Busto Arsizio con la zona di Malpensa;
   dalle informazioni in possesso dell'interrogante si può affermare che l'evento atmosferico avvenuto nel territorio di Busto Arsizio – Malpensa non ha provocato alcuna emergenza per la popolazione del territorio e non ci sono stati interventi da parte della protezione civile per la popolazione o le loro abitazioni private e commerciali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative abbia intrapreso per quanto di competenza, per verificare eventuali responsabilità;
   se siano state rispettate le normative edilizie in vigore e gli standard delle infrastrutture nell'aeroporto di Malpensa;   
   se intenda eseguire, per quanto di competenza, dei controlli sugli appalti riguardanti i lavori sulla costruzione del terzo satellite e sul restyling dell'intera struttura, avvalendosi del supporto dell'A.N.AC;
   in quale modo siano stati assegnati i lavori di collaudo sulle opere di costruzione del terzo satellite e i lavori di collaudo sulle opere di restyling;
   se le opere di manutenzione riguardante le reti idriche e alle griglie per la raccolta dell'acqua piovana eseguite alcuni giorni dopo l'evento dalla Global service siano state eseguite nel rispetto del contratto d'appalto;
   se siano state eseguite le opere di ripristino delle coperture dell'aerostazione e da chi siano stati eseguiti i lavori;
   se siano stati quantificati i danni e se tal evento abbia creato un danno economico allo Stato. (4-10601)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende la possibilità che, dal mese di dicembre 2015, potrebbero essere soppressi tutti i treni intercity, circa ottanta, inseriti nel contratto di servizio universale, sottoscritto tra Trenitalia s.p.a. e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti scaduto in data 31 dicembre 2014 e tuttora in prorogatio;
   Trenitalia s.p.a., infatti, a cui, ad oggi non risulterebbero essere stati pagati dal Ministero i corrispettivi dei servizi, per l'anno 2015, effettuati in proroga, potrebbe vedersi costretta a cancellare tali treni, ove non si giungesse ad un accordo;
   diverse delle tratte interessate, come ad esempio quelle delle relazioni Roma/Ancona, Perugia/Roma, Terni/Milano, Firenze/Roma, andrebbero ad incidere in maniera rilevante sulle condizioni di trasporto sia dei pendolari di tutte le città interessate sia delle regioni confinanti, interessate dalle soppressioni, e che, quotidianamente, usufruiscono di tali servizi;
   l'Umbria è di certo una delle regioni che più potrebbe risentire di un tale cambiamento, in quanto quegli intercity, per un territorio che si trova fuori dalle grandi tratte ferroviarie e autostradali, rappresentano il più delle volte l'unico raccordo con le grandi città italiane;
   da settimane ormai il Coordinamento comitati pendolari umbri, si sta muovendo per cercare di capire quali possano essere le alternative, a tali cancellazioni, magari attraverso, l'istituzione di altre tipologie di servizi ferroviari sulle suddette relazioni, poiché un tale disagio andrebbe a sommarsi ai già quotidiani ritardi, all'affollamento, all'aria condizionata non funzionante, alle soppressioni, alle linee interrotte da mesi — come quella della Ferrovia centrale umbra — e ai lavori infiniti –:
   se corrisponda al vero l'ipotesi di cancellazione dei circa 80 treni intercity paventata dalla stampa e dai comitati e se, nel caso di risposta affermativa, abbia pensato a soluzioni alternative per garantire il servizio e il diritto alla mobilità dei cittadini;
   a che punto sia la situazione dell'accordo tra Trenitalia e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quali siano i dettagli dell'eventuale nuovo contratto che sarà stipulato. (4-10602)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 aprile 2015 presso la stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, si è verificato un guasto ad un quadro elettrico;
   intorno alle 17.30, con grande probabilità, una scintilla, provocava uno scoppio e successivamente un piccolo incendio ai quadri elettrici della sala impianti, sicurezza e segnalamento della stazione stessa, mandando in tilt tutti i programmi di viaggio sulle direttrici Milano – Venezia, e Bolzano – Bologna;
   nell'immediatezza dell'evento la stazione di Porta Nuova si blocca completamente: non c’è più energia elettrica, i treni spengono le luci, così come tutti i terminali; i viaggiatori in attesa dei treni nella stazione perdono ogni orientamento a causa anche della mancanza di annunci sonori di aggiornamento sulla situazione, in quanto non v’è nemmeno l'energia per consentirli;
   nell'immediatezza, grazie all'intervento combinato dei dirigenti delle Ferrovie della Polizia municipale di Verona, dei vigili del fuoco e della polizia ferroviaria si riesce comunque garantire la sicurezza dei viaggiatori e lavoratori presenti in stazione;
   l'incendio di materie plastiche, quali le guaine dei cavi elettrici del quadro elettrico di comando delle segnalazioni provoca un denso e pungente fumo pregno di sostanze chimiche che rende l'aria irrespirabile;
   l'intervento immediato consente la creazione di presidi che smistano i viaggiatori in transito; è interdetta l'area dell'incendio e vengono altresì evacuati gli uffici di operatori e dirigenti della stazione;
   la polizia ferroviaria di Verona per mezzo del dirigente Maria Grazia Di Masi, spiega che il guasto elettrico ha generato il blocco dell'erogazione di energia e la conseguente paralisi della stazione con ovvie ripercussioni su tutto il traffico di treni in circolazione da e per la stazione di Verona;
   sin da subito ci si è resi conto che il guasto avrebbe provocato notevoli disagi;
   le condizioni di sicurezza che venivano man mano ripristinate hanno consentito la partenza solo di alcuni treni, i passeggeri ed i viaggiatori degli altri treni che, invece, non sarebbero potuti partire, sono stati comunque invitati a restare sul marciapiede senza salire sui treni;
   nella zona, prima del guasto, erano stati segnalati alcuni problemi di sbalzi di tensione elettrica anche negli uffici proprio all'interno della stazione;
   l'incendio, domato con l'utilizzo di estintori ad anidride carbonica, a detta di Walter Picco, caporeparto dei vigili del fuoco in servizio alla stazione, potrebbe presumibilmente essere stato provocato da una sovratensione ai quadri elettrici all'interno della sala controlli;
   una volta evacuati i fumi sono intervenuti i tecnici delle Ferrovie per ripristinare il funzionamento dei quadri elettrici;
   il dirigente delle Ferrovie, in servizio al momento dell'incendio, Enzo Mauli, riferisce che nella situazione venutasi a creare tutti i treni che si sono trovati in coda a Venezia, Bolzano, Milano, hanno accusato inevitabili ritardi poiché tutti i treni passano sulla stessa rotaia;
   un gruppo di 600 persone, sono state fatte scendere, nella stazione di Buttapietra (Verona), da un treno Freccia Argento, questi passeggeri hanno atteso a lungo che qualcuno li informasse su come proseguire il viaggio;
   un testimone ha spiegato alla stampa che al momento dell'arrivo dei bus che avrebbero dovuto caricare i passeggeri per concludere il viaggio si è creata una grande calca e i mezzi sono stati presi d'assalto;
   il guasto verificatosi nella trafficata stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia passeggeri, sia merci, delle direttrici nord-sud ed est-ovest, ha complessivamente causato ritardi di oltre due o in alcuni casi tre ore, con l'immaginabile grave disagio di tutti i passeggeri dei treni restati bloccati sui binari ed i viaggiatori nelle stazioni in attesa dei treni in arrivo e partenza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali strumenti intenda utilizzare per fare chiarezza sulla vicenda in merito ai dispositivi automatici di sicurezza in funzione nel sistema ferroviario anche approfondendo le eventuali responsabilità che possano venire ravvisate, in relazione alla sospensione del servizio ferroviario;
   se e quali azioni intenda intraprendere per verificare se il guasto verificatosi nella stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia da imputare alla scarsa manutenzione ovvero a quali altre cause osso sia riconducibile;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la stazione Porta Nuova di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (4-10628)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione in Italia che paga maggiormente il prezzo dell'isolamento non solo per la sua condizione geografica ma anche per un sistema di trasporto aereo che costringe i residenti a recarsi negli scali della penisola – diversi da Roma e Milano le cui tratte sono coperte dalle tariffe in continuità territoriale 1 (CT1) – con elevati costi economici e sociali;
   occorre uno sforzo per superare, come richiamato nelle mozioni approvate dai due rami del Parlamento, e da ultimo dal Consiglio regionale della Sardegna, gli svantaggi derivanti dall'insularità attraverso un modello di continuità aerea che sia molto più ampia di quella attuale;
   il mancato avvio della cosiddetta continuità territoriale 2 (CT2) — che copre le tratte tra la Sardegna e le città diverse da Roma e Milano — costringe i viaggiatori sardi a recarsi a Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo con le compagnie low cost che, affidandosi alle logiche del libero mercato, non sono sottoposte a nessun obbligo di garanzia dei voli e di tariffe calmierate;
   senza un accordo tra le istituzioni, anche nazionali, e le compagnie aeree, i disagi per i passeggeri sardi sono destinati ad aumentare, con la prevedibile cancellazione di alcune rotte, la diminuzione della frequenza dei voli e il conseguente incremento delle tariffe;
   la Francia, per garantire la continuità territoriale aerea e marittima della Corsica (poco più di 350 mila abitanti) investe quasi 130 milioni di euro l'anno. La Sardegna, che ha quattro volte gli abitanti della Corsica, per la continuità aerea ne spende, totalmente a carico del proprio bilancio, meno di 50;
   occorre quindi garantire il diritto alla mobilità dei sardi tutto l'anno, con tariffe agevolate da e per le più importanti città della penisola, senza al contempo penalizzare gli utenti non residenti;
   un sistema agevolato di tariffe per i non residenti, soprattutto nei periodi di bassa stagione, è infatti considerato un fattore capace di far crescere il turismo nell'isola e aiutare l'economia regionale;
   un modello misto che assicuri la mobilità e insieme lo sviluppo turistico deve quindi necessariamente prevedere sia la CT1 sia la CT2, con lo scopo di consentire ai sardi di viaggiare in piena libertà (anche per ragioni di lavoro e salute) e incentivare l'arrivo di turisti che possono consentire alle imprese locali di poter offrire prodotti e servizi a un mercato più ampio di quello attuale –:
   quali iniziative intenda assumere per assicurare ai sardi il diritto alla mobilità che l'attuale regime di continuità territoriale limita fortemente;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo con la regione Autonoma della Sardegna, i vettori aerei e le parti sociali per la definizione di un modello di continuità territoriale, che consenta a tutti – sardi e non – di viaggiare a costi sostenibili tutto l'anno, assicurando la mobilità da un lato e lo sviluppo turistico dall'altro, un sistema di continuità, che al pari di quello che la Francia assicura alla Corsica, possa contare su un importante apporto finanziario da parte dello Stato;
   quali iniziative intenda assumere affinché le rotte dalla Sardegna verso importanti città come Torino, Verona, Bologna, Napoli e Palermo siano coperte da tariffe agevolate attraverso un modello di continuità territoriale che oggi è assicurato solo per le città di Roma e Milano. (4-10629)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   risulta agli interpellanti che il 10 settembre 2015 sia stato presentato il piano di riduzione di 23 prefetture-UTG che, entro il 2016 saranno accorpate ad altre sedi di città vicine;
   la soppressione delle prefetture trascinerà con sé anche le questure e le caserme dei vigili del fuoco;
   i tagli, stando ai commenti riportati dagli organi della stampa, in più di un caso sembrerebbero allentare i presidi di sicurezza e legalità nei territori che ne sono maggiormente bisognosi – un esempio eclatante, la sopprimenda prefettura di Vibo Valentia, città il cui territorio, preme ricordare, è uno dei più martoriati dal fenomeno ‘ndranghetistico, per cui occorrerebbe una presenza costante delle istituzioni e delle forze dell'ordine, affinché sia garantita la sicurezza pubblica;
   ad avviso degli interpellanti risulta svilito e indebolito, un modello di sicurezza inteso quale segno permanente e tangibile della volontà di combattere la criminalità organizzata e le sue ingerenze, anche agli occhi dei cittadini che vivono nei territori che vi sono maggiormente esposti;
   tra l'altro, la corposa riduzione delle articolazioni territoriali non sembra essere accompagnata da una corrispondente riduzione della elefantiaca macchina burocratica centrale, delle posizioni dirigenziali o delle sedi;
   la riduzione delle prefetture UTG è prevista dalla legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni – cosiddetto «Madia», dal nome della Ministra proponente – e dispone una serie di criteri a rispettare per la scelta dei «tagli», tra i quali, espressamente, la presenza di criminalità;
   sempre la legge delega ha dettato i criteri per una contestuale riduzione degli uffici, delle posizioni dirigenziali e delle sedi dell'amministrazione centrale;
   i criteri indicati dalla legge delega risulterebbero del tutto disattesi dal suddetto piano di riduzione –:
   se non intenda rivedere il piano di riduzione delle prefetture-UTG, considerando le peculiarità e le necessità dei territori in ordine alla presenza della criminalità organizzata.
(2-01102) «Nesci, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti».

Interrogazioni a risposta immediata:


   VALERIA VALENTE, ROBERTA AGOSTINI, AMENDOLA, BOSSA, CAPOZZOLO, CARLONI, CHAOUKI, COCCIA, EPIFANI, FAMIGLIETTI, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, MANFREDI, MIGLIORE, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, SGAMBATO, TARTAGLIONE, VALIANTE, MARTELLA, BINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recrudescenza di quotidiani atti di criminalità, registrati sin dall'inizio del 2015 nella città di Napoli, coinvolgono sia onesti cittadini fuori dalle logiche malavitose, sia i giovanissimi (troppo spesso minorenni) componenti delle bande responsabili dei sempre più frequenti scontri armati nelle strade del centro storico, area intensamente popolata che ospita scuole, università e presidi sanitari, ai quali deve essere garantita la regolare attività in condizioni di piena sicurezza, così come al flusso di turisti e studiosi per i quali il centro storico napoletano è meta privilegiata;
   ha destato grave sconcerto il ferimento, nel quartiere Fuorigrotta, del sovrintendente Nicola Barbato, della squadra antiracket della squadra mobile di Napoli, nel corso di un'operazione per sventare un'estorsione;
   solamente pochi giorni prima erano stati commessi due ulteriori omicidi in strada e una delle vittime era un minorenne, ucciso da un proiettile esploso nella centrale Piazza Sanità, durante uno dei sempre più frequenti raid ad opera di bande criminali giovanili che agiscono nel centro storico cittadino, dove è in atto una faida tra contrapposti clan camorristici per il controllo del territorio;
   il rapporto annuale steso dalla procura nazionale antimafia sulla situazione napoletana conferma la drammatica presenza di «killer giovanissimi che si caratterizzano per la particolare ferocia»;
   il presidio costante del territorio e l'effettuazione di operazioni ad alto impatto sono stati individuati come elementi determinanti per porre fine alla guerriglia in atto tra bande, in particolare di minorenni animati da progetti di supremazia criminale e di comando sui ragazzi impiegati nello spaccio di stupefacenti e in altre attività illecite;
   è stato richiesto un intervento dello Stato anche da un gruppo di madri residenti nel rione Sanità, che invocano aiuto perché i loro figli siano sottratti a un destino delinquenziale;
   per fronteggiare l'insostenibile condizione di insicurezza in cui vivono i cittadini napoletani, il Ministro interrogato ha già incrementato la dotazione organica delle forze dell'ordine attualmente in servizio nella città di Napoli e, dopo la riunione del Comitato nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico del 29 settembre 2015, ha annunciato la riattivazione di 300 telecamere di videosorveglianza, delle 700 installate sul territorio cittadino, ipotizzando anche l'uso di droni per il controllo aereo dei quartieri Sanità, Rione Traiano e Scampia e del sottosuolo napoletano, spesso utilizzato a fini criminali;
   la prima risposta dello Stato è necessariamente la messa in sicurezza di queste aree da parte delle forze dell'ordine, esistendo sul territorio realtà sane che rappresentano presidi di legalità, che da sole non sono sufficienti se non si mobilitano forze e interventi in grado di modificare il contesto sociale in cui vivono questi giovanissimi malviventi –:
   quali siano i tempi e le modalità di realizzazione degli interventi già annunciati dal Ministro interrogato (ovvero riattivazione degli impianti di videosorveglianza, utilizzo dei droni, rafforzamento della pianta organica, attività di intelligence) e insieme se non ritenga il Ministro interrogato di attivare un coordinamento tra queste azioni, raccordando gli interventi con finalità sociale sulla scorta delle informazioni acquisite grazie alle operazioni di polizia. (3-01750)


   CIRIELLI, RAMPELLI, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nello schema di decreto del Presidente della Repubblica che contiene il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'interno sarebbero state cancellate 23 prefetture e altrettante questure;
   tale scelta, lungi dal rappresentare un'operazione di «razionalizzazione», pur condivisibile, si tradurrebbe in un'ulteriore e inaccettabile sforbiciata al dispositivo della sicurezza;
   ancora una volta si intende tagliare sui presidi territoriali, gli unici che garantiscono la presenza dello Stato nelle periferie della nazione;
   in particolare, alcune regioni subiranno riduzioni pesanti con zone lontane dal centro che rischiano di essere quasi abbandonate dallo Stato;
   la tagliola scatterà in tutta Italia: Teramo (accorpata a L'Aquila), Chieti (accorpata a Pescara), Vibo Valentia (accorpata a Catanzaro), Benevento (Avellino), Piacenza (Parma), Pordenone (Udine), Rieti (Viterbo), Savona (Imperia), Sondrio (Bergamo), Lecco (Como), Cremona (Mantova), Lodi (Pavia), Fermo (Ascoli Piceno), Isernia (Campobasso), Asti (Alessandria), Verbano-Cusio-Ossola (Novara), Biella (Vercelli), Oristano (Nuoro), Enna (Caltanissetta), Massa-Carrara (Lucca), Prato (Pistoia), Rovigo (Padova), Belluno (Treviso);
   la chiusura di prefetture e questure andrebbe ad aggiungersi alla soppressione di moltissimi presidi di polizia sul territorio, che già da tempo desta la preoccupazione della cittadinanza e degli agenti in merito alla possibilità di mantenere un adeguato livello di sicurezza nelle zone urbane e suburbane, anche alla luce della cronica mancanza di uomini e mezzi;
   invece di colmare i buchi che si creano nella sicurezza del nostro Paese, particolarmente evidenti di fronte all'emergenza sbarchi, si pensa solo a tagliare e il risultato è già sotto gli occhi di tutti: oggi non si è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e quali urgenti iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio della chiusura delle citate sedi, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini.
(3-01751)


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE e BARBANTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'acquisto da parte del comune di Roma dei terreni su cui far sorgere il campo rom di Castel Romano è un'operazione durata due anni e mezzo, da quando il comune guidato da Walter Veltroni si fece concedere in uso gratuito (il 12 settembre 2005) i suoli fino alla data in cui il comune di Roma, amministrato dal prefetto Mario Morcone, in qualità di commissario straordinario, decise di comprarli (il 10 marzo 2008);
   la procedura d'acquisto fu molto farraginosa a causa della dura opposizione del capogruppo di Rifondazione comunista nel consiglio comunale, Adriana Spera, con l'appoggio del Wwf, e dell'esito di un'inchiesta, resa pubblica dalla trasmissione televisiva Report e dal giornale Il Manifesto, in cui si evidenziò che i romani avevano sostenuto una spesa pari a un milione e cinquecentomila euro per dei terreni valutati circa seicentocinquantamila euro;
   il 12 settembre 2005 il comune di Roma venne gratuitamente immesso nel possesso dell'area dove avrebbe fatto sorgere il campo nomadi di Castel Romano e dopo tre giorni, il 15 settembre 2005, iniziò lo sgombero del campo nomadi di Vicolo Savini, trasferendo i suoi abitanti nella nuova area di Castel Romano;
   nel novembre 2006, dopo circa un anno, il comune di Roma diede vita ad un accordo con Gianfranco Bartoli, Vincenzo Grossi, Sergio Galletti e la Ediltrigoria, proprietari dei terreni, che gli erano stati concessi in uso per costruire il campo nomadi di Castel Romano e per acquistare i suddetti 23 ettari di terreno al prezzo di 1,515 milioni di euro;
   nel febbraio 2007 il direttore del dipartimento del patrimonio del comune di Roma diede parere favorevole all'acquisto dei terreni e a marzo 2007 arrivò il nulla osta del ragioniere del comune;
   tuttavia, mentre il via libera all'acquisto dei terreni da parte delle commissioni capitoline VI e VII fu emanato nel giugno del 2007, le dimissioni del sindaco Walter Veltroni del 13 febbraio 2008 e la conseguente decadenza del consiglio capitolino, di cui Adriana Spera faceva parte, diedero nuovo slancio all'operazione;
   il Ministro dell'interno in carica in quel periodo, il 26 febbraio 2008, nominò commissario straordinario del comune di Roma il prefetto Mario Morcone, al quale spettava il compito di guidare la città fino alle successive elezioni;
   in meno di due settimane dal suo insediamento, il 10 marzo 2008, il prefetto Morcone, che attualmente ricopre il ruolo di capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, firmò la deliberazione che autorizzava il comune all'acquisto dei terreni che gli erano stati dati in uso gratuito per sistemare i rom;
   il prezzo era stato concordato nel 2006 e le commissioni capitoline competenti avevano approvato l'operazione portando il commissario a firmare la delibera per l'acquisto, anche se la cifra pattuita con i proprietari era onerosa. Infatti, in quel periodo l'Agenzia del territorio stabiliva valori decisamente più bassi per terreni simili nella stessa zona;
   il prezzo concordato dal comune di Roma con i venditori era di 5 euro al metro quadrato per il bosco (per una superficie complessiva di circa 11 ettari) e di 8 euro per il prato (con una superficie di altri 11 ettari), a fronte di valori agricoli medi riportati nelle tabelle dell'Agenzia del territorio compresi tra gli 1,9 e i 2,2 euro per il bosco e di 3,4 euro al metro per il prato, pagando quindi una cifra pari a 1,5 milioni di euro per dei terreni che, secondo l'Agenzia del territorio, ne valevano circa 645 mila;
   la decisione di acquistare un terreno boscoso, che sorge in una riserva naturale, per costruire un campo nomadi avrebbe comportato l'abbattimento degli alberi a fronte di una decisione dell'ente regionale Roma natura, che vigilava sulla riserva, che prevedeva che per realizzare il campo rom non si poteva recare danno alla flora esistente, né doveva essere modificato in modo permanente l'assetto del territorio –:
   se risultino agli atti le ragioni della condotta del commissario prefettizio Morcone e, nell'eventualità positiva, se il Ministro interrogato intenda tener conto di tale vicenda in relazione all'attuale incarico conferito al prefetto Morcone. (3-01752)


   QUARANTA, COSTANTINO, RICCIATTI e PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il presidio No borders è attivo da più di 100 giorni, accoglie un centinaio di migranti ed è gestito da attivisti italiani e francesi che assistono gratuitamente e volontariamente i profughi;
   la Francia continua con le riammissioni: tra i 50 e 100 profughi riammessi ogni giorno dalla gendarmeria francese verso l'Italia;
   all'alba del 30 settembre 2015 poliziotti e carabinieri con decine di blindati – mezzi vari, tra cui anche alcune ruspe – hanno iniziato lo sgombero del presidio No borders a Ventimiglia, a pochi metri dalla frontiera con la Francia;
   nella stessa giornata era previsto un incontro serale promosso dal vescovo Suetta, anche al fine di cercare soluzioni alternative di accoglienza al presidio No borders;
   durante lo sgombero 20 profughi sono stati condotti coattivamente a Genova e da qui in aereo al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari. Si tratta di sudanesi, eritrei, afghani e pachistani appena riammessi dalla Francia;
   a seguito dell'azione un centinaio di persone, migranti e attivisti italiani e francesi, si sono ritirati sugli scogli, proprio come era accaduto mesi fa quando la Francia aveva chiuso la frontiera, generando una situazione potenzialmente molto pericolosa;
   un cordone di poliziotti di fatto impediva lo spostamento dagli scogli, salvo l'identificazione dei profughi e la denuncia dei no border;
   sugli scogli c'erano diversi minori e questa situazione di pericolo è durata circa dodici ore, fin dalle 5 del mattino e in tutto questo tempo non hanno potuto mangiare né bere, se non l'acqua portata alle 12 dalla Caritas e dal vescovo Suetta;
   la situazione è rimasta in stallo fino al tardissimo pomeriggio, quando migranti e attivisti hanno accettato di lasciare gli scogli in cambio del libero passaggio senza identificazioni e arresti;
   la situazione si è sbloccata solo, a quanto si apprende da fonti giornalistiche, grazie all'intervento e alla mediazione di monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo e Ventimiglia, che si è impegnato per risolvere la situazione fin dal mattino;
   il centro della Croce rossa allestito vicino alla stazione di Ventimiglia era già pieno ben al di sopra della capienza regolamentare e adesso dovrà farsi carico anche del centinaio di profughi che erano ospitati dal presidio No borders;
   a quanto si apprende da organi di stampa, diversi attivisti del campo No borders sono stati raggiunti nelle ultime settimane da 20 denunce per manifestazione non autorizzata e occupazione abusiva di suolo pubblico, oltre che da 8 fogli di via che vietano di permanere in città per tre anni;
   fra le motivazioni alla base dell'atto amministrativo sopra citato (e che in caso di violazione si riconfigurerebbe in reato penale) vi è la considerazione degli attivisti come soggetti «socialmente pericolosi». Si legge, inoltre, che la decisione viene presa «ritenuto che in quel comune non vi ha residenza né alcuna regolare occupazione lavorativa, e che si reca allo scopo di reiterare quei reati che creano allarme sociale, nonché valutata l'urgente necessità di allontanare (il soggetto) dal comune di Ventimiglia, in quanto si ha fondato motivo di reputarlo elemento pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica»;
   in una situazione straordinaria come quella che sta vivendo il Paese, dato il flusso migratorio che interessa tutto il Mediterraneo, ogni forma di solidarietà e di aiuto diretto ed indiretto è necessaria ed indispensabile –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuna l'operazione alla luce dei risultati ottenuti, visto che ha impegnato un numero ingente di uomini e mezzi per l'intera giornata senza aver trovato soluzioni alternative, tali a garantire più sicurezza per tutti, sia per le forze dell'ordine che per i migranti e gli attivisti, oltre che meno onerose per la collettività, avviando un'indagine, nell'ambito delle proprie competenze, volta ad acclarare la fondatezza delle motivazioni alla base dei provvedimenti in oggetto. (3-01753)


   MISURACA e DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i più recenti sviluppi della questione migratoria vedono una crescente tensione in alcune comunità locali interessate dai trasferimenti dei migranti richiedenti asilo, anche alimentata da dichiarazioni strumentali di esponenti politici che hanno avuto l'effetto di fomentare manifestazioni di piazza e disordini fortunatamente contenuti dalle forze di polizia;
   uno dei punti che viene sollevato dalle autorità locali è il mancato coinvolgimento nelle attività di distribuzione dei migranti richiedenti asilo, che si riverbera dunque in un difetto di collegamento tra «centro» e «periferia», con una tendenziale emarginazione di quest'ultima rispetto a scelte che verrebbero «calate dall'alto»;
   questo stato di cose rischia di rendere ancora più critico il quadro nel prossimo futuro, esacerbando le varie forme di protesta e indirizzandole verso una deriva xenofoba assolutamente da scongiurare –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per incidere positivamente sul nodo della «governance» delle politiche migratorie per ciò che attiene specificatamente ai rapporti tra il Governo, le regioni e le autonomie locali, scongiurando che la questione migratoria divenga un tema divisivo sul piano sociale e istituzionale. (3-01754)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO e CASELLATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane in Veneto ed in particolare nel comprensorio Trevigiano si registra Cina recrudescenza di furti e rapine;
   molto scalpore ha suscitato l'episodio, riportato anche dalle cronache nazionali, che, nella notte del 30 settembre 2015, ha visto vittima l'imprenditore Antonio Pasqual di Meduna di Livenza immobilizzato e rapinato al suo rientro a casa;
   il 29 settembre 2015, a Treviso, tre ladri hanno fatto irruzione nella villa in cui vivono Armando Sasso e la moglie Cristina, titolari della Wigwam srl di Villorba, azienda che commercializza piastrelle e ceramiche per la casa, anche in questo caso i banditi sono fuggiti con una cospicua refurtiva facendo perdere le proprie tracce;
   la settimana prima due bar erano stati rapinati presso le frazioni Casier di Dosson e di Olmi di San Biagio di Callata, dove i rapinatori sono fuggiti con contante legato agli incassi dei bolli auto e gratta e vinci;
   ed ancora, sempre negli ultimi tempi, furti e rapine si sono registrati anche nel centro storico di Treviso, da Beltrame, in piazza dei Signori, al Bar Nazionale, di corso del Popolo, da De Checchi di Borgo Mazzini, al bar Da Franco, in Riviera, ma anche a Sant'Antonino e in altre vie periferiche esasperando un clima di assoluta insicurezza tra gli operatori commerciali e l'opinione pubblica;
   Pietro Tedesco, direttore dell'Ascom Confcommercio di Treviso, con una nota ufficiale, a nome degli associati, esasperati dal ripetersi di simili episodi ha chiesto ufficialmente di cambiare la normativa vigente al fine di assicurare l'effettività della pena;
   particolare allarme, infatti, ha suscitato, nel comprensorio, la notizia dell'arresto di due 20enni romeni a Lanzago di Silea, autori di un furto, tra l'altro già condannati ad una pena di due anni di reclusione con sospensione, e rimessi in libertà col solo obbligo di firma;
   secondo gli inquirenti, i soggetti arrestati, di cui in premessa, potrebbero essere gli autori anche di altri furti messi a segno negli ultimi tempi a Treviso;
   a fronte dei quanto riportato in premessa appare opportuna ed urgente una iniziativa del Governo per evitare che quanto accaduto sia interpretato dai cittadini quasi come una impunità, e per garantire, invece, la certezza della pena –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare, in tempi rapidi, al fine di rafforzare il presidio delle forze dell'ordine di stanza a Treviso e assicurare in modo più efficace e capillare le attività di prevenzione e controllo sul territorio, e se, in considerazione di quanto emerge dalle premesse, non intenda, altresì, valutare la possibilità di assumere iniziative per rivedere la normativa vigente, con l'obiettivo di assicurare la effettività della pena. (5-06565)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il 29 settembre il Ministro interrogato e il capo della polizia Alessandro Pansa hanno partecipato alla festa organizzata a Catania in occasione della ricorrenza di, San Michele Arcangelo, finanziata con denaro pubblico;
   tali festeggiamenti non si limitavano esclusivamente alla funzione religiosa: sono proseguiti con banchetti ed eventi musicali in cui erano coinvolti oltre 90 musicisti che compongono la banda della polizia di Stato, suscitando l'indignazione degli agenti di polizia che, a fronte di tale investimento, tramite il comunicato stampa diramato dalle organizzazioni sindacali Siulp, Siap e Ugl-Polizia, evidenziano e contestano la riduzione delle spese per l'acquisto delle divise, i tagli sugli straordinari dei poliziotti, le diminuzioni delle somme destinate alla riparazione dei veicoli utilizzati per il controllo del territorio, il decremento della spesa per le pulizie effettuate presso gli uffici e l'esigenza di trovare una struttura che possa unificare gli uffici di polizia della città di Catania attualmente dislocati le cui spese annuali ammontano a circa 4 milioni di euro per sanare gli sprechi;
   alle critiche degli agenti, si sono accodati anche i commercianti, gli artigiani e gli esercenti che reclamano maggiore sicurezza visti i reati che quotidianamente denunciano e dei quali sono vittime;
   le polemiche sollevate hanno interessato anche i cittadini e i residenti del centro storico della città di Catania che, ignari dell'evento non debitamente preannunciato, hanno subito le conseguenze delle misure di sicurezza e di ordine pubblico adottate per consentire i festeggiamenti;
   sulla testata online «Il Post Viola» si apprende che circa 48 vetture in coda durante la parata abbiano, avuto funzione di scorta al Ministro interrogato, al capo della polizia Alessandro Pansa, al sindaco Enzo Bianco e alle altre personalità politiche presenti alla manifestazione, per raggiungere a fini privati il ristorante Pitti sito a ridosso di Piazza Manganelli resa parcheggio riservato al e vetture in questione, dopo aver rimosso e multato le vetture dei residenti di zona che, a quanto è dato sapere, non erano stati avvisati per tempo del divieto di sosta straordinario indetto il 29 settembre 2015;
   si ritiene che l'evento in questione sia stato caratterizzato da un inconcepibile sfarzo, reso evidente, tra l'altro, non solo dalla presenza di una moltitudine di vetture di servizio, ma addirittura anche di una Lamborghini con i colori d'istituto di proprietà dello Stato –:
   a quanto ammonti complessivamente la somma utilizzata per coprire le spese organizzative dell'evento, comprensive delle indennità di missione e delle strutture alberghiere e ricettive impiegate per ospitare le alte cariche dello Stato partecipanti;
   se non ritenga il Ministro interrogato che i costi dell'evento in questione siano oltremodo onerosi, anche considerando che poi si adducono esigenze di spending review rispetto a quelli che l'interrogante ritiene assurdi tagli effettuati al comparto sicurezza;
   se non ritenga che l'evento in questione abbia cagionato un ingiusto disagio ai cittadini che hanno subito multe e rimozioni delle vetture, perché non debitamente avvisati del disposto divieto di sosta straordinario. (4-10610)


   TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a causa anche dei tagli effettuati per anni in relazione al recupero delle quiescenze «turn over» e di un reale e concreto potenziamento mai avvenuto, si trova a rispondere quotidianamente alle varie casistiche di interventi con personale operativo ridotto ai minimi termini a forte discapito della qualità del servizio offerto alla cittadinanza;
   nel complesso, le 2000 unità ottenute nel corso degli anni, non sono riuscite a dare respiro alla carenza di personale ancora presente nel Corpo nazionale vigili del fuoco;
   nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2015 è stato pubblicato il decreto ministeriale 30 aprile 2015 n. 103, regolamento recante modifiche delle dotazioni organiche del Corpo nazionale vigili del fuoco ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 13 ottobre 2005 no 217, il quale dalla data del 25 luglio 2015 autorizzava il dirottamento dei fondi e l'incremento in pianta organica dei ruolo vigili del fuoco;
   detto incremento risulterebbe possibile e di rapida applicazione attraverso la copertura economica risultante dalla trasformazione nell'ambito della pianta organica teorica, dei 300 vice ispettori che secondo quanto già deciso, devono essere convertiti in equivalenti unità di vigili, portando quindi all'assunzione di 300 nuovi vigili del fuoco;
   nei primi mesi del 2015 il Ministro interrogato firmava il decreto 30 aprile 2015, n. 103 autorizzando l'ampliamento in pianta organica delle 300 unità –:
   quale sia la tempistica prevista affinché queste 300 unità possano essere trasformate in assunzioni concrete da destinare alle graduatorie in corso di validità. (4-10612)


   MOLTENI e GUIDESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sono stati adottati, seppure in maniera non organica e attraverso successivi interventi normativi, una serie di provvedimenti tesi a favorire l'aggregazione e la fusione dei comuni, ed in generale la loro crescita dimensionale;
   tali disposizioni sono state costruite sulla base di presupposti di risparmio di spesa e della realizzazione di economie di scala nell'erogazione dei servizi di base, a tale scopo anche sacrificando l'aderenza del perimetro amministrativo alla eredità storico-demografica delle comunità civiche e spesso drenando verso il bilancio dello Stato le eventuali economie realizzate dai comuni;
   molti amministratori hanno scelto la strada dell'aggregazione o della fusione, spinti anche dalla difficoltà di elaborare bilanci non negativi stanti i tagli al fondo per lo sviluppo e la coesione, i vincoli del patto di stabilità e le difficoltà di riscossione di alcune nuove imposte locali definite dal legislatore, quali ad esempio l'IMU delle zone agricole non montane;
   l'articolo 1 della legge n. 56 del 2014 detta una serie di misure agevolative per le fusioni di comuni, tra le quali l'estensione al nuovo comune delle norme di maggior favore previste per comuni con meno di 5.000 abitanti, la possibilità per il nuovo comune di utilizzare i margini di indebitamento consentiti anche ad uno solo dei comuni originari e altro;
   si prevede inoltre che le regioni possano individuare misure di incentivazione alle unioni e fusioni nella definizione del patto di stabilità interno verticale;
   la già citata legge n. 56 del 2014 ha introdotto una nuova modalità di fusione di comuni, ossia della fusione per «incorporazione», da parte di un comune incorporante, di un comune contiguo «incorporato». Fermo restando quanto previsto dal TUEL (l'incorporazione è disposta con legge regionale e si procede a referendum tra le popolazioni interessate), il nuovo procedimento prevede che il comune incorporante mantenga la propria personalità e i propri organi, mentre decadono gli organi del comune incorporato;
   da ultimo, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 450) ha introdotto ulteriori forti incentivi per indurre alla fusione di comuni. In primo luogo, ai comuni istituiti a seguito di fusioni che abbiano un rapporto della spesa per il personale sulla spesa corrente inferiore al 30 per cento non si applicano, nei primi 5 anni dalla fusione, i vincoli per l'assunzione di personale a tempo determinato. Inoltre, ad essi si applicano le regole del patto di stabilità interno dal quinto anno successivo a quello della loro istituzione (anziché dal terzo come previsto per gli altri enti);
   proprio con riguardo alle disposizioni previste dalla ultima legge di stabilità, parrebbe emergere una incertezza, se non una vera e propria confusione normativa, relativa alla loro applicazione a tutte le fusioni, comprese le fusioni per incorporazione: infatti, in provincia di Como, due comuni (San Fermo e Cavallasca) che hanno avviato le pratiche per una fusione per incorporazione hanno chiesto formalmente al Ministero dell'interno se lo sblocco del patto vaga anche per questa tipologia di fusione. In base alla risposta ricevuta il 18 settembre 2015, secondo il Ministero dell'interno, che richiama anche una sentenza della Corte Costituzionale, la fusione per incorporazione «...non ha ad oggetto l'istituzione di un nuovo ente territoriale... le disposizioni che fanno riferimento al Comune istituito a seguito di fusione non sarebbero riferibili al comune incorporante, in quanto lo stesso non costituisce un nuovo ente». E continua: «Ciò premesso, si ritiene che alla fattispecie della fusione per incorporazione non si applichi l'esenzione dal rispetto delle regole del patto di stabilità interno»;
   si tratta di un parere tuttavia contestato da esponenti dell'ANCI;
   stante la già difficile quotidianità degli amministratori locali ed i vincoli di bilancio al quale sono tenuti a sottostare, appare necessario ottenere un chiarimento su quale normativa si applichi alle fusioni per incorporazione –:
   se le norme incentivanti per le fusioni di comuni, ed in particolare quanto previsto dalle leggi n. 56 del 2014 e n. 190 del 2014, si applichi anche alle fusioni per incorporazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno nel più breve tempo possibile assumere iniziative per un chiarimento interpretativo su quanto citato in premessa. (4-10620)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-04147, pubblicato nei resoconti della Camera dei deputati il 21 marzo 2014, l'interrogante poneva all'attenzione del Ministro interrogato la questione delle carenze nell'organico del nucleo sommozzatori di Catania;
   in data 6 marzo 2015, il sottosegretario di Stato per l'interno Gianpiero Bocci rispondeva all'interrogazione giustificando la oggettiva minore operatività del nucleo sommozzatori di Catania con le «connotazioni ben precise, che non richiedono una diffusione capillare sul territorio..(omissis)... l'individuazione dei nuclei oggetto di riorganizzazione, pertanto, si basa sulla valutazione di diversi elementi tra i quali vanno evidenziate, soprattutto, le criticità connesse all'organico ridotto ed ai turni di servizio coperti... (omissis)... l'esiguità dell'organico rende, inoltre, difficoltosa l'organizzazione dell'attività di addestramento che, per questa particolare tipologia di servizio di soccorso, risulta essere quanto mai indispensabile... (omissis)...si evidenzia che il potenziamento del suddetto nucleo con copertura anche dei turni notturni non è al momento compatibile con le risorse del corpo nazionale»;
   con nota del 16 settembre 2015, n. 18959, le organizzazioni sindacali sono state convocate presso la direzione regionale siciliana, per discutere la riorganizzazione dell'orario di lavoro presso il nucleo sommozzatori di Catania;
   nel corso della riunione, è emersa la volontà del direttore regionale di dare applicazione a quanto previsto dalla circolare n. 8 EM/2015 con riguardo alla turnazione da far effettuare al personale sommozzatore, indicato per il nucleo con organico ridotto in 12/36, al fine di garantire la presenza nelle ore diurne;
   i rappresentati sindacali, giustamente a giudizio dell'interrogante, hanno manifestato la propria contrarietà a tale modifica, perché convinti che la presenza dei sommozzatori debba essere prevista anche nelle ore notturne, evidenziando che proprio il nucleo di Catania ha effettuato gli ultimi tre interventi utili a salvare vite umane proprio nei turni di notte;
   oltre a questo, al fine di modificare la volontà del direttore, le stesse hanno evidenziato che la circolare 8, pone il nucleo di sommozzatori di Catania, insieme con quello di Sassari, in una fase di osservazione e che per questo, vi sono ancora margini entro i quali agire per modificare la stessa;
   a giudizio delle organizzazioni sindacali del personale dei vigili del fuoco e dell'interrogante, il nucleo di Catania dovrebbe prevedere la stessa dotazione organica di quello di Palermo e ciò per una serie di ragioni che sono state esposte in quella occasione: la regione Sicilia è la più grande isola d'Italia e geograficamente rappresenta la porta d'ingresso per l'Europa per tutti i migranti che per giungervi utilizzano i natanti più disastrati incappando spesso in incidenti in cui perdono pure la vita; ciò prevede l'impiego dei sommozzatori del nucleo catanese perché geograficamente più vicino. Catania è l'unica sede siciliana ove è presente il reparto volo e la combinazione dei 2 nuclei è possibile ottenerla in tempi celerissimi, assicurando un soccorso celere ed efficiente a chi potrebbe trovarsi in difficoltà. L'aeroporto di Fontanarossa si trova sul mare e i velivoli sono vicinissimi allo stesso. Dalle ore 20,00 e fino alle 5,00 del mattino, quotidianamente, atterrano oltre 50 voli per cui risulta inaccettabile ipotizzare la chiusura del nucleo sommozzatori nelle ore notturne. Il nucleo sommozzatori di Catania copre, in virtù delle distanze, sei delle nove province della regione siciliana alcune delle quali, come Enna, hanno nel proprio territorio numerosi laghi artificiali;
   le motivazioni appena indicate, a giudizio dell'interrogante e dei rappresentanti sindacali dei vigili del fuoco, sono meritorie di analisi ed approfondimenti concreti, perché una regione atipica come la Sicilia non può essere, con riguardo al soccorso, minimamente paragonata alle altre regioni italiane;
   occorre, a giudizio dell'interrogante e dei rappresentanti sindacali dei vigili del fuoco, che il confronto sindacale debba proseguire con il capo del Corpo, con il direttore centrale per l'emergenza, con il direttore centrale della formazione e del personale, proprio in virtù della risposta del sottosegretario Bocci al precedente atto di sindacato ispettivo indicato in premessa, al fine di individuare ogni utile soluzione tesa ad incrementare organico nel nucleo sommozzatori di Catania rendendolo in grado di operare nei quattro turni –:
   quali iniziative e provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-10626)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 settembre 2015, il sindaco del comune di Montefiore Conca (RN), Valli Cipriani, ha disposto la chiusura degli uffici comunali per il giorno 2 ottobre 2015;
   a quanto risulta all'interrogante, la comunicazione della chiusura è stata data con l'affissione negli uffici di semplici fogli A4, su carta intestata del comune di Montefiore Conca, timbrati e firmati dal sindaco;
   nella stessa comunicazione vengono citate le motivazioni della chiusura degli uffici comunali, ovvero «per protesta contro la politica irresponsabile dei tagli, l'aumento delle tasse e la riduzione del servizi», aggiungendo che si garantiranno i servizi essenziali;
   il sito internet del comune di Montefiore, nella sezione «comunicazioni ufficiali», non riporta in alcun modo la comunicazione della chiusura degli uffici;
   la garanzia dei servizi essenziali è prevista da norme atte a garantire di non interrompere i servizi stessi e a non creare disagi ai cittadini e agli utenti, come accade in caso di scioperi;
   pare di estrema gravità che un sindaco chiuda al pubblico gli uffici comunali per un'azione di protesta che, dalle motivazioni, risulta rivolta al Governo –:
   se di tale chiusura sia stata data adeguata comunicazione ai soggetti istituzionali competenti, a partire dalla Prefettura di Rimini;
   se risulti che la medesima chiusura sia stata pubblicizzata nelle forme e nei modi necessari;
   se il Ministro intenda adottare iniziative, anche normative, al fine di evitare casi come quello citato in premessa in cui, ad avviso dell'interrogante, si potrebbe configurare una interruzione del pubblico servizio. (4-10627)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   con la circolare Prot. AOODPIT n. 1972 del 15 settembre 2015 a firma del dirigente Rosa De Pasquale, il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione ha diramato alcune note esplicative sulle numerose «... richieste di chiarimenti, sia da parte di dirigenti scolastici e docenti che di genitori, riguardo a una presunta possibilità di inserimento all'interno dei Piani dell'offerta formativa (POF) delle scuole della cosiddetta «Teoria del Gender» che troverebbe attuazione in pratiche e insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici...»;
   secondo la circolare «... i maggiori dubbi dei genitori scaturiscono da una non corretta interpretazione del comma 16 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 di riforma del sistema scolastico (cosiddetto La Buona Scuola) che recita testualmente: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei princìpi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenta di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119...»;
   secondo la circolare, la norma contenuta nel comma 16 dell'articolo della legge n. 107 del 2015 è attuativa del disposto costituzionale contenuto nei seguenti articoli della Carta: articolo 3 (parità dei cittadini di fronte alla legge); articolo 4 (diritto al lavoro); articolo 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ed uguaglianza morale e giuridica dei coniugi); articolo 37 (diritti della donna lavoratrice ed obbligo dello Stato ad assicurare le condizioni di lavoro necessarie per l'adempimento della sua essenziale funzione di madre); articolo 51 (accesso paritario dei cittadini ai pubblici uffici);
   secondo la circolare tale norma è anche attuativa del diritto europeo «... che proibisce la discriminazione per ragioni connesse al genere, alla religione, alle convinzione personali, handicap, età, orientamento sessuale o politico...», nonché, della Strategia di Lisbona 2000. Tali impegni sono da considerarsi in connessione e a integrazione della, «... collaborazione con l'Alleanza Europea per il contrasto all'istigazione all'odio...» un progetto coordinato con l'Alleanza parlamentare contro l'odio (No Hate Alliance) del Consiglio d'Europa;
   secondo la circolare «... la finalità del suddetto articolo non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze chiave di Cittadinanza, nazionale, europea e internazionale...»;
   secondo la circolare «... è opportuno sottolineare che le leggi citate, come riferimento nel comma 16 della legge 107 non fanno altro che recepire in sede nazionale quanto si è deciso nell'arco di anni, con il consenso di tutti i Paesi, in sede Europea, attraverso le Dichiarazioni, e, in sede Internazionale, con le Carte...»;
   espressamente la circolare chiarisce che «... il personale scolastico, a cui è affidato il compito di educare i nostri ragazzi anche su queste delicate tematiche, deve essere debitamente formato e aggiornato, così come previsto anche dalla legge 128/2013 (di conversione del decreto-legge n. 104 del 2013 ndr) che, all'articolo 16, comma 1, lettera d) pone all'attenzione delle scuole la necessità di favorire (nei docenti ndr.): l'aumento delle competenze relative all'educazione all'affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93»;
   secondo la circolare inoltre «... alle scuole spetta il compito... sulla base dell'autonomia didattica e gestionale loro attribuita, di predisporre azioni nel rispetto di Linee di indirizzo generale che saranno appositamente divulgate dal MIUR. Tali linee... saranno elaborate con il contributo di rappresentanti di associazioni ed esperti riuniti in un apposito tavolo di lavoro che sarà istituito presso il Miur...»;
   secondo la circolare infine ai genitori spetta «... il compito fondamentale di partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli sulla base dell'articolo 30 della nostra Costituzione... (diritto/dovere dei genitori a istruire ed educare i figli)... che si sostanzia nel diritto, ma anche nel dovere di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del POF... in modo da... scegliere la scuola dei propri figli dopo aver attentamente analizzato e valutato le attività didattiche, i progetti e le tematiche che i docenti affronteranno»;
   a seguito dell'emanazione della circolare, nel perdurare delle polemiche, il 16 settembre 2015 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca interpellato a Radio 24, ha dichiarato che «chi ha parlato e continua a parlare di «teoria gender» in relazione al progetto educativo del Governo Renzi sulla scuola compie una truffa culturale e voglio dire con chiarezza che ci tuteleremo con gli strumenti adeguati...» tra i quali «... la responsabilità irrinunciabile di passare anche a strumenti legali...»;
   su Facebook il sottosegretario Faraone ha aggiunto: «Gender ? Strane pratiche ? Paure ? Sono parole che hanno a che fare con tempi bui e concezioni medievali. Le nostre parole sono tolleranza, rispetto, diritti, inclusione delle diversità, conoscenza, consapevolezza, autodeterminazione»;
   a fronte di quanto sinora esposto è opportuno inoltre precisare quanto segue:
    l'ideologia gender porta avanti le sue convinzioni in maniera esplicita ed aggressiva, tant’è che Papa Francesco l'ha definita «un'operazione di colonizzazione ideologica»; come tutte le ideologie, essa non ha alcun fondamento scientifico (anzi, è scientificamente dimostrato il contrario) e tende, non al contraddittorio con chi la pensa diversamente, ma all'esclusione del dissenso, anche con l'uso di strumenti giudiziari;
    malgrado le rassicurazioni del Ministro sopra richiamato, nella Convenzione di Istanbul, a cui il Piano contro la violenza sessuale e di genere fa esplicito riferimento, con il termine «genere» ci si riferisce, non già al sesso maschile o femminile, ma a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti, mentre tra gli obiettivi prioritari del Piano oggi vigente vi è dichiaratamente anche quello di superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, e di favorire l'inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica;
    il rischio è aggravato dalla previsione dell'articolo 16, comma 1, lettera d) del decreto-legge n. 104 del 2013) (espressamente citato nella circolare) che pone all'attenzione delle scuole la necessità di favorire nei docenti (e di conseguenza negli studenti) «l'aumento delle competenze relative all'educazione all'affettività..., e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione, di quanto previsto dall'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93...» tali tematiche sono integralmente richiamate, attraverso il riferimento all'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 2013, dal comma 16 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, che il Ministro ha inteso difendere;
    la questione non riguarda solo di quanto scritto nel comma 16 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, ma il combinato disposto delle tre norme: il suddetto articolo 1, comma 16 della legge n. 107 del 2015; l'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 e l'articolo 16, comma 1, lettera d) del decreto-legge 12 settembre 2013 n. 104; inoltre rileva al riguardo la Convenzione di Istanbul, che, ad avviso degli interroganti, genera un rischio, imposto per legge, di diffusione della «teoria gender» nelle scuole;
    si tratta di un rischio non solo in fieri, ma anche attuale, immanente e concretizzatosi, ben dell'introduzione nell'ordinamento del comma 16, dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, in numerosissimi episodi verificatisi già dal 2013 e denunziati mediante svariati atti di sindacato ispettivo (Interpellanze 2-00915, 200897, 2-00369 Camera e 2-00225, 2-00224, 2-00205, 2-00184, 2-00107, 2-00106 Senato. Interrogazioni a risposta orale 3-01646, 3-01566, 3-01389, 3-00861, 301709, 3-01359 Camera e 3-01247 Senato. Interrogazioni a risposta scritta 4-10493, 4-10290, 4-09429, 4-08770, 4-08371, 4-07030, 4-04161 Camera. Interrogazioni a risposta in Commissione 5-05040, 5-03254, 5-02467 Camera; e ci si è limitati allo strettamente attinente); in tali atti nei quali si denuncia come i concetti di «educazione all'affettività» e di «superare gli stereotipi di genere» si siano tradotti nell'adozione acritica della «teoria del gender» e in un «metodo educativo» nel quale si è tentato di introdurre modelli di sessualità precoce ed indistinta, nonché di azzerare le differenze di genere, invece di sottolinearle nel rispetto reciproco operando una sorta di «entropia cultural-sessuale obbligatoria», che tende a femminilizzare i maschi e a mascolinizzare le femmine;
    venendo ai contenuti della circolare sopra richiamata, si rileva che questa:
     a) sbaglia tutti i riferimenti costituzionali, ad eccezione di quello relativo all'articolo 3 sulla parità dei sessi, sintomatico; peraltro è da sottolineare che il riferimento all'articolo 30 della Costituzione sul diritto dei genitori ad educare i propri figli, sia relegato alle ultime righe, invece di essere evidenziato tra i riferimenti principali; inoltre appare «grottesco», agli interroganti addirittura il richiamo all'articolo 29 della Costituzione sul valore sociale della famiglia, cioè quanto di più disatteso ci sia nelle scuole, per la cui tutela invece non ci sono né piani, né fondi, né ministri o sottosegretari che invece minacciano anche l'eventuale ricorso alle vie legali;
     b) omette di esaminare gli effetti del combinato disposto delle norme vigenti sul tema oggetto della circolare; tali norme sono infatti citate in ordine sparso e disorganicamente;
     c) a giudizio degli interroganti ammette quello che sta negando e cioè che la legge n. 107 del 2015 contenga il riferimento alla «ideologia del gender», laddove parla acriticamente del «superamento degli stereotipi di genere», dando così ulteriore veste legale al «grimaldello» sino ad oggi utilizzato per far entrare nelle scuole quella che appare agli interroganti una impostazione culturale nefasta, antiscientifica, devastatoria, totalitaria e frutto di aberrazione culturale;
    d) omette, nella pedante elencazione degli atti internazionali (alcuni dei quali tutt'altro che attinenti al tema), che ci obbligherebbero ad adottare la suddetta impostazione culturale (tra i quali peraltro dimentica di citare il Position Statement dell'Unicef del novembre 2014), di riferire che altrettanti atti internazionali – espressamente citati negli ordini del giorno accolti dal Governo al disegno di legge «buona scuola» (Camera n. 9/2994-A/046 e 9/2994-B/5) – tutelano il diritto dei genitori ad educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e sociali;
    e) ignora i problemi che l'attuale interpretazione della legge potrà generare alle famiglie laddove tra le righe afferma a giudizio degli interroganti che, se ad esse non piace il POF di una scuola, possono sempre cambiare scuola, senza chiarire che, su questo punto, i POF saranno uguali in tutte le scuole, dovendo applicare le linee guida ministeriali;
   si prende atto, con estremo favore che il Ministro Giannini ha assicurato:
    che il comma incriminato «va in direzione opposta all'annullamento della distinzione tra uomo e donna, che è in natura e cultura. Fa riferimento a principi di sensibilizzazione nei ragazzi alla prevenzione alla violenza di genere e ai reati e attacchi dettati dall'omofobia»;
    che, in aggiunta a quanto riportato dalla circolare stessa; «... le Linee guida del POF... saranno elaborate con il contributo di rappresentanti di associazioni ed esperti riuniti in un apposito tavolo di lavoro che sarà istituito presso il MIUR –:
   quali «rappresentanti di associazioni ed esperti» parteciperanno alla stesura delle linee guida del POF;
   se non ritenga opportuno che all'elaborazione di tali linee guida prendano parte anche le associazioni a difesa della famiglia e i rappresentanti delle diverse confessioni religiose che operano nella scuola, precisando che, peraltro, il comma 5 dell'articolo 3 del decreto Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, come modificato dal comma 14 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, già prevede per la redazione del POF la consultazione delle «diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio» e l'apporto propositivo «delle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti»;
   se il Ministro interrogato condivida che, nella multiculturale scuola italiana, tentare di imporre «l'educazione all'affettività e il «superamento degli stereotipi» secondo le metodologie sino ad oggi utilizzate, ai ragazzi musulmani o di religione ebraica o induisti (in India il 13 dicembre 2013 l'omosessualità è stata ripenalizzata) o buddhisti, genererebbe un'altissima conflittualità, della quale, nella crescente conflittualità generale, non si sente alcun bisogno;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno stemperare i toni, invitando al dibattito, piuttosto che prospettare improbabili vie legali, contro coloro che paventano il ripetersi di deleterie esperienze educative e un rischio di crescita delle tensioni in ambito scolastico;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno dedicare un piano e dei fondi per la diffusione nella scuola del valore della «essenziale» funzione della maternità, che è costituzionalmente tutelata (articolo 37 della Costituzione), al pari di quello della parità tra cittadini;
   quale peso avranno, in sede di redazione delle linee guida:
    a) le «Linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 22 novembre 2012, nonché il Patto educativo di corresponsabilità di cui all'articolo 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249;
    b) gli impegni previsti dagli ordini del giorno 9/02994-A/046, accolto il 20 maggio 2015, e 9/2994-B/5, accolto l'8 luglio 2015, nel corso del dibattito sulla legge n. 107 del 2015, di «garantire che l'attività di sensibilizzazione di docenti, studenti e famiglie sulla parità dei sessi, contro la violenza di genere e tutte le discriminazioni, venga condotta in conformità dell'articolo 30 della Costituzione e delle convenzioni internazionali sul diritto dei genitori ad educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche, garantendo il diritto dei genitori alle scelte educative dei propri figli.» e di «a prevedere che le disposizioni applicative del comma 16 del provvedimento in esame e delle parti del suddetto Piano destinate alla scuola, siano adottate con il concorso di tutti gli attori del mondo scolastico e sociale.»;
    c) le previsioni del comma 17 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, sulla trasparenza e sulla pubblicità dei piani triennali dell'offerta formativa: trasparenza e pubblicità da estendere peraltro, a giudizio degli interroganti, alle attività extracurricolari, ove si consideri che molte scuole hanno nascosto con quelle che appaiono fumose comunicazioni, i reali contenuti delle attività riguardanti il «superamento degli stereotipi di genere» e di contrasto alla «violenza di genere»;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, nella redazione delle Linee guida per la formazione del POF, prevede che, in sede di applicazione degli indirizzi in materia di «educazione all'affettività» e di «superamento degli stereotipi di genere», sia espressamente vietata la distribuzione di volumetti, fascicoli, dispense e simili nei quali, secondo gli interroganti, con la scusa di contrastare la violenza di genere o gli stereotipi di genere si tenti:
    a) di «esplorare e verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere» e ad «attuate un primo intervento, che permetta ai bambini/e di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo loro anche un punto di vista alternativo rispetto a quello stereotipico/tradizionale»;
    b) di diffondere tra i bambini idee quali «2 pinguini maschi sono in grado di fare l'uovo e di conseguenza 2 donne, con un semino donato, sono in grado di avere figli e costituire una famiglia» o tra i più grandi che «uno degli effetti indesiderati del sesso è la gravidanza»;
    c) di «criminalizzare» chi dissente, con argomenti e osservazioni offensivi nei confronti di coloro – intellettuali, associazioni delle famiglie e rappresentanti dello Stato – che mettono in discussione questa impostazione educativa, indicati come colpevoli di alimentare atteggiamenti omofobi, e soprattutto nei confronti della religione cristiana, dimenticando l'enorme impegno che la Chiesa cattolica e quella protestante profondono nel difendere i diritti degli omosessuali nei Paesi dove l'omosessualità è reato;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno che, tramite gli indirizzi delle Linee guida per la formazione del POF debbano essere altresì vietati:
    a) l'adozione nelle scuole di giochi di ruolo o recite scolastiche (in particolare nella scuola dell'infanzia, nelle elementari e nelle medie) dove i ragazzi siano obbligati a simulare di essere del sesso opposto o a vestirsi con abiti del sesso opposto o a fare dichiarazioni di amore omosessuale o a insultare pubblicamente forze politiche pro famiglia;
    b) l'adozione di testi nelle scuole che appaiono «gay friendly» o «gay oriented», come libri di storia, di italiano e di letteratura, senza che questi siano prima concordati con i genitori, ivi compresa l'adozione di «fiabe omosessuali» per i più piccoli;
    c) almeno fino alla terza classe del liceo, l'adozione di libri o letture scolastiche incentrati su amori omosessuali, se non concordati con i genitori, prevedendo che, dalla medesima classe queste letture siano controbilanciate con letture sui valori costituzionalmente tutelati della famiglia e della maternità;
    d) almeno fino alla terza classe del liceo, l'accesso di esponenti delle associazioni LGBT o altri «esperti» similari a scuola a parlare di amori omosessuali, masturbazione, posizioni del Kamasutra, stimolazioni varie e altre piacevolezze, prevedendo che, dalla medesima classe, questi accessi siano controbilanciati, anche in regime di contraddittorio, con quelli delle associazioni che difendono i valori della famiglia e della maternità;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno che, tramite gli indirizzi Linee guida per la formazione del POF debba essere altresì vietato considerare «l'educazione all'affettività» quale sinonimo di «educazione alla genitalità», priva di riferimenti etici e morali, che induca una sessualizzazione precoce dei ragazzi;
   in connessione con il punto precedente, se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per evitare l'adozione di quelle che appaiono agli interroganti le aberranti prescrizioni contenute nel documento elaborato nel 2010 dall'ufficio regionale per l'Europa dell'Organizzazione mondiale della sanità e dal Centro federale della Germania per l'educazione alla salute, con sede a Colonia, e intitolato «Standard per l'educazione sessuale in Europa» (redatto da «specialisti del settore»), dove si prevede, tra l'altro, che:
   dagli 0 ai 4 anni, si trasmettano ai bambini informazioni sulla masturbazione infantile precoce;
   dai 4 ai 6 anni, si trasmettano informazioni sulla masturbazione, sul significato della sessualità e si aiutino i bambini a sviluppare il concetto: il mio corpo mi appartiene. Inoltre, si trasmettano informazioni sull'amore tra persone dello stesso sesso, sulla scoperta del proprio corpo e dei propri genitali;
   dai 6 ai 9 anni, si trasmettano informazioni sulla masturbazione, sull'autostimolazione, sui rapporti sessuali, sull'amore verso persone dello stesso sesso, sui metodi contraccettivi;
   dai 9 ai 12 anni, si trasmettano informazioni sulla masturbazione, sull'eiaculazione, sull'uso di preservativi, sulla prima esperienza sessuale, sull'amore verso persone dello stesso sesso;
   dai 12 ai 15 anni, si rendano i bambini in grado di riconoscere i segni della gravidanza, di procurarsi contraccettivi nei contesti appropriati, ad esempio recandosi da personale sanitario, si trasmettano informazioni su come fare coming out;
   a partire dai 15 anni, si trasmettano informazioni sull'aborto, sulla pornografia, sull'omosessualità, sulla bisessualità, sull'asessualità.
(2-01100) «Pagano, Binetti».

Interrogazione a risposta orale:


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto I.I.S.S. L. Russo di Caltanissetta, sorto come istituto tecnico femminile in sostituzione dell'indirizzo Generale Femminile, nell'anno scolastico 1981/82 attiva l'indirizzo ordinario per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere e nell'anno scolastico 1988/89, autorizzato con decreto ministeriale del 30 settembre 1989, gli indirizzi sperimentali (ex articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 419 del 1974) biologico-sanitario, che rilascia una maturità scientifica, e linguistico moderno che rilascia una maturità linguistica;
   con decreto ministeriale n. 383 del 7 ottobre 1998 assume la denominazione di Istituto tecnico per attività sociali. Con questo progetto l'I.T.A.S. «L. Russo», oggi I.I.S.S. «L. Russo», ha riutilizzato strutture e competenze già presenti al suo interno, impegnando fino ad oggi docenti della classe di concorso 60/A (ex 86/A) per l'insegnamento di tutte le discipline scientifiche (chimica inorganica, chimica organica, biochimica, biologia, zoologia, anatomia, fisiologia e patologia umana, educazione e tutela ambientale, microbiologia, biologia applicata, scienze della terra e geografia);
   dall'anno scolastico 2010/11, a seguito del riordino del secondo ciclo di istruzione, l'istituto diventa I.I.S.S. con gli indirizzi tecnico tecnologico chimica, materiali e biotecnologie con articolazione biotecnologie sanitarie, tecnico-economico amministrazione, finanza e relazioni internazionali per il marketing e liceo linguistico;
   in seguito al compimento delle operazioni di mobilità ad avviso dell'interrogante, disattendendo quanto stabilito dalle apposite circolari ministeriali n. 37 del 13 aprile 2010, n. 21 del 14 marzo 2011, n. 2320 del 29 marzo 2012 e n. 2916 del 21 marzo 2013, circ. n. 34 del 1o aprile 2014, nella scuola le cattedre di chimica, da sempre attribuite alla 60/A, sono state attribuite già dall'anno scolastico 2010/11 alla classe di concorso 13/A con immissione in ruolo di nuovi docenti;
   per l'anno scolastico 2013/14 l'organico di diritto nella provincia ha previsto la disponibilità di 4 cattedre della classe 13/A (chimica e tecnologie chimiche), di una cattedra della classe 12/A (chimica agraria) e per la classe 60/A di una sola cattedra; ciò a fronte di ben quattro insegnanti di 60/A dichiarati soprannumerari che si sono così aggiunti agli altri quattro della medesima classe titolari sulla dotazione organica provinciale, e quindi soprannumerari degli anni precedenti;
   in sede di operazioni di mobilità le cattedre di 13/A sono state assegnate ai docenti di chimica immessi in ruolo il settembre precedente e che, in quanto neo-assunti in prova, erano privi di sede definitiva;
   la cattedra di 12/A è stata assegnata ad un insegnante in dotazioni organica provinciale della medesima classe di concorso: pertanto, a causa delle assunzioni di 13/A effettuate negli ultimi due anni, non previste e in opposizione alle circolari emanate, l'amministrazione periferica della provincia, di fatto non curandosi di salvaguardare le titolarità, specialmente in quelle scuole dove la chimica era stata precedentemente insegnata da docenti di 60/A, ha determinato, con tale operato, una serie di soprannumerari di 60/A per i quali non sono residuate, per l'anno scolastico successivo, cattedre che potessero riassorbirli (eccetto uno). Tale condotta ha fatto sì che gli insegnanti di 60/A in dotazioni organica provinciale, in appena due anni, siano passati da quattro a dieci unità;
   tale situazione si è verificata anche in altri istituti tecnici della provincia in cui alcune delle ore di scienze integrate-chimica sono state attribuite solo in parte alla classe di concorso 60/A per la salvaguardia della titolarità, ma comunque sempre non sufficienti alla copertura dell'orario di una cattedra, tanto che i docenti della 60/A hanno completato la cattedra con ore a disposizione per la sostituzione dei colleghi assenti;
   di contro, le rimanenti ore di scienze integrate-chimica e chimica organica e biochimica sono state attribuite alla 13/A e date a docenti con contratto a tempo determinato. In un altro istituto invece le ore residue di scienze naturali, che potevano essere attribuite sia alla classe 60/A sia alla 13/A, perché classi di concorso atipiche per l'indirizzo di studi, sono state assegnate esclusivamente ad un insegnante della classe di concorso 13/A;
   nell'anno scolastico 2013/14, l'organico dell'I.I.S.S. L. Russo ha previsto i seguenti titolari: 11 docenti di 60/A, 1 docente di 12/A, 3 docenti 13/A, 1 docente di 40/A, 1 docente di 57/A;
   per l'anno scolastico 2014/15, sulla base delle classi autorizzate, della sperimentazione venuta meno nelle V classi e per quanto esposto sopra, sempre nell'I.I.S.S. L. Russo sono stati individuati altri 2 docenti soprannumerari della classe 60/A che si sono aggiunti agli 8 dotazioni organica provinciale già esistenti nella provincia di Caltanissetta che, a loro volta, si aggiungeranno agli oltre 300 presenti in tutta Italia;
   per l'anno scolastico 2015/16, un docente titolare presso l'I.I.S.S. L. Russo nella classe di concorso A013, è stato trasferito da Caltanissetta a Gela. Il suo posto, da lui precedentemente coperto, è stato assegnato, su trasferimento, ad una insegnante proveniente da altra provincia e della medesima classe di concorso (A013). Tale posto poteva essere utilizzato per il rientro di un docente di A060 ex titolare nella scuola e attualmente in dotazioni organica provinciale –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quale iniziativa il Ministro interrogato intenda assumere a fronte della forte penalizzazione cui la classe di concorso 60/A è stata sottoposta e come si intenda agire per far sì che la stessa classe di concorso 60/A possa continuare ad insegnare le citate materie. (3-01744)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104, all'articolo 13, comma 3, cita: «Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati»;
   la sentenza del 23 luglio 2013, n. 3950, del Consiglio di Stato ha accertato definitivamente che l'assistenza educativa e il trasporto per gli studenti delle scuole superiori e dei corsi di formazione professionale spettano alle province, che da allora vi hanno provveduto grazie a stanziamenti ordinari ministeriali e straordinari delle regioni;
   tale atto normativo non prevede in modo esplicito che i servizi per garantire l'accesso all'istruzione degli studenti disabili rientrino tra le funzioni fondamentali e che questi rimangano in capo ai nuovi enti di area vasta, provocando una pericolosa situazione per la cui soluzione, al momento, non si sono offerti provvedimenti risolutori provocando un diffuso disagio sociale;
   la legge n. 56 del 2014, la cosiddetta «legge Del Rio», ha stabilito che, entro il 31 dicembre 2014, dovevano essere abolite le competenze delle province inerenti l'assistenza scolastica agli alunni con disabilità visiva e uditiva totale nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché l'assistenza per il trasporto gratuito agli alunni con diverse disabilità frequentanti le scuole secondarie di secondo grado;
   la suddetta legge prevedeva che, entro lo stesso periodo temporale, fossero approvate apposite norme che riattribuissero agli enti locali di nuova formazione, città metropolitane e consorzi intercomunali, le competenze delle province;
   ad oggi, come si evince dalla Carta dei Servizi promossa dalla provincia di Avellino, il servizio di trasporto per disabili è attribuito, dal punto di vista gestionale, all'ente provinciale ma esso risulta sospeso per mancanza di fondi anche se il bilancio di previsione 2015-2016, recentemente approvato, ha postato nell'apposito capitolo contabile la relativa imputazione di spesa, risultata del tutto inadeguata rispetto alle reali esigenze territoriali, come confermato dal Sindaco del comune di Atripalda (Avellino), anche nelle vesti di presidente del Consorzio dei servizi sociali A5, che in tale sede rendeva noto come il Ministero competente non avesse provveduto a trasferire nessuna risorsa finanziaria;
   in data 19 settembre 2015 il consorzio A5 ha bandito un mero «Avviso esplorativo per manifestazione interesse» per l'affidamento del servizio di trasporto alunni diversamente abili presso gli istituti scolastici relativamente all'anno scolastico 2015-2016, prevedendo una scadenza del bando a dir poco ravvicinata, ossia del 22 settembre 2015;
   ad oggi, quindi, nessun comune del consorzio A5 ha attivato questo importante servizio sociale di garanzia del diritto allo studio per gli studenti diversamente abili, e tale grave inadempienza istituzionale ha interessato in ambito provinciale 1.500 alunni, e ben 6.000 alunni in quello regionale –:
   se e quali iniziative urgenti per quanto di competenza il Ministero interrogato intenda intraprendere al fine di garantire il principio costituzionale del diritto allo studio per gli alunni diversamente abili nella provincia di Avellino e nel resto della regione Campania, in modo da consentire loro di iniziare quanto prima a frequentare la scuola;
   quali siano le entità dei finanziamenti previsti dal Governo per le province e le relative modalità di erogazione per l'anno scolastico 2015-2016, al fine di effettuare il servizio di trasporto alunni diversamente abili;
   se, nel caso essi risultino inadeguati rispetto alle reali esigenze che si registrano nei territori provinciali, il Governo non intende provvedere con urgenza a una loro congrua ridefinizione, in occasione dell'elaborazione del disegno di legge di stabilità per il 2016;
   se non si intraveda la necessità di assumere iniziative volte a chiarire le competenze nella gestione dei servizi di supporto organizzativo, per garantire il servizio di istruzione per gli alunni diversamente abili. (5-06567)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la dirigente scolastica del liceo Salvemini di Bari ha organizzato per il giorno 1o ottobre 2015 una messa nell'Aula Magna dell'Istituto. A causa della messa, il normale orario scolastico è stato modificato, dal momento che le lezioni sono finite alle 11,45. Alcune associazioni studentesche hanno protestato per la scelta, ottenendo come risposta che nessuno è obbligato ad andare a messa;
   la normativa in vigore non consente che nelle scuole pubbliche statali vengano effettuate visite pastorali, preghiere, messe e benedizioni. La programmazione di atti di culto è consentita, infatti, solo al di fuori dell'orario delle lezioni. La Corte Costituzionale, inoltre, con la sentenza n. 203/1989, dopo aver affermato che i principi supremi dell'ordinamento costituzionale hanno una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi, ha stabilito che la laicità dello Stato è un principio supremo che definisce la forma di Stato e che vanno sempre salvaguardati i principi di libertà religiosa, in un regime di pluralismo confessionale e culturale;
   pertanto, le celebrazioni di riti e le pratiche religiose non sono assimilabili alla semplice cultura religiosa, ma essi sono il colloquio rituale che il credente ha con la propria divinità. Tali riti, quindi, dovrebbero compiersi nei luoghi a essi destinati, che sono le chiese, e soprattutto, come stabilito dalla Corte Costituzionale e, successivamente, dal Ministero, non sono «previsti in luogo e in sostituzione delle normali ore di lezione» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se non ritenga necessario intervenire con, atti, iniziative normative o anche circolari, da mandare agli uffici scolastici regionali e ai provveditorati, in cui vengano chiariti una volta per tutte gli indirizzi riguardo alla celebrazione di ritualità religiose durante gli orari scolastici. (4-10611)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di stampa apparso su Repubblica in data 30 settembre 2015 «Quella fuga dei pensionati dall'Italia per pagare meno tasse», si evince: «(...) 400 mila pensioni che l'Istituto versa all'estero. Fra il 2010 e il 2014, il numero dei pensionati che hanno lasciato l'Italia è lievitato da 5.345 a 16.420 (...)»; e ancora: «Dal rapporto emergono però altri due fenomeni: il primo è che, non avendo raggiunto i requisiti minimi, molti immigrati che lavorano in Italia versandovi i contributi, non riescono poi ad incassare la pensione. Il «tesoretto» ammonta già a 3 miliardi ed è in netta crescita: (...) Tito Boeri suggerisce di utilizzare le risorse in politiche per l'integrazione. L'altro riguarda i 206 milioni l'anno che l'Inps versa all'estero come integrazione al minimo e maggiorazioni sociali.»;
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 5-03020 – a cui non è stata data alcuna risposta – si rilevavano molteplici criticità in merito ai cosiddetti «contributi-silenti» in quanto il lavoratore iscritto alla gestione separata INPS, che cessi la propria attività prima del perfezionamento del requisito contributivo prescritto per la liquidazione di un autonomo trattamento pensionistico, è ascrivibile alla più ampia categoria dei contributi «silenti»;
   nell'interrogazione suddetta si evince inoltre che «i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati»;
   nella risoluzione in commissione n. 7-00300, venivano illustrate le suddette criticità e si richiedeva un impegno da parte del Governo ad assumere ogni iniziativa, al fine di adottare gli opportuni atti normativi per consentire l'utilizzo dei contributi «silenti» per corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni, prescindendo dai requisiti minimi richiesti, sollecitando altresì una ricognizione al fine di quantificare l'ammontare totale dei contributi «silenti»;
   a seguito del cambio di presidenza avvenuta in INPS, l'interrogante si augura una maggiore trasparenza e cooperazione rispetto alle precedenti gestioni, al fine di raggiungere le migliori soluzioni a tutela di tutti i lavoratori, avendo altresì a disposizione dati certi su cui predispone al meglio eventuali proposte legislative;
   a seguito della suddetta dichiarazione del presidente dell'INPS, Tito Boeri, nella quale si esplicitano cifre esatte – 3 miliardi di euro – che potrebbero essere destinate a scopi specifici, l'interrogante ritiene opportuno richiedere la stessa trasparenza e precisione nelle stime per i cosiddetti «contributi silenti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire – alla luce delle suddette dichiarazioni del presidente dell'INPS, Tito Boeri – al fine di quantificare l'ammontare esatto dei cosiddetti «contributi silenti» e se non ritenga di adottare le opportune iniziative normative al fine di consentire l'utilizzo dei contributi silenti prescindendo dai requisiti minimi al fine di corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni al raggiungimento dei requisiti di legge;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e urgente far luce sulla ormai nota vicenda dei «contributi silenti», chiedendo una maggiore trasparenza – anche alla luce delle numerose dichiarazioni del presidente dell'Inps – sull'ammontare esatto e una stima su come tale importo potrà evolversi nei prossimi 10 anni. (4-10607)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAPELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) ha incaricato la struttura Sin Sofiter di realizzare il secondo ciclo di refresh2 per l'aggiornamento della banca dati grafica, come richiesto dai servizi della Commissione europea al fine di riscontrare modifiche sull'utilizzo del suolo rispetto all'anno 2010;
   il progetto è volto alla certificazione preventiva delle superfici territoriali delle aziende agricole italiane, con l'obiettivo di intercettare preventivamente errori o anomalie nell'ambito delle dichiarazioni degli agricoltori per l'accesso agli aiuti comunitari;
   in sostanza s'intende così sfruttare pienamente i fondi comunitari assegnati all'Italia, evitando sanzioni da parte della Commissione europea;
   su queste basi Agea, organismo pagatore, ha avviato una procedura rivolta ad ogni singolo agricoltore che presenti domanda per l'accesso ad aiuti e premi comunitari;
   la procedura sopra citata consiste nel raffronto su quanto dichiarato dallo stesso agricoltore, sia per quel che riguarda la consistenza totale dell'azienda, sia per quel che concerne l'utilizzo del territorio su tutte le particelle presenti nel fascicolo aziendale del produttore;
   Agea, senza aver tenuto nel giusto conto le peculiarità dell'agricoltura della Sardegna e in generale quelle di tutti i territori dove sia presente un'estesa macchia mediterranea, ha disposto che i suoi tecnici rilevatori per la classificazione dei suoli tengano presente più le percentuali di copertura vegetale che le caratteristiche reali del territorio;
   sono stati, quindi, applicati codici di pascolamento non adatti alla specificità del territorio sardo;
   i codici di pascolamento sono codici di utilizzo del suolo dichiarati dall'allevatore nel momento in cui presenta la domanda. Si devono quindi dichiarare le singole particelle condotte e il titolo di conduzione per ciascuna di esse. Per ogni singola particella viene indicata sia la superficie catastale complessiva che la superficie agricola utilizzata;
   in Sardegna, ma anche nelle altre regioni dove prevale la macchia mediterranea, i nuovi codici hanno portato ad una significativa riduzione della superficie agricola utilizzata, che ha comportato la perdita per l'agricoltura sarda di svariati milioni di euro, mentre è anche concreto il rischio che gli agricoltori sardi si trovino costretti a restituire quanto sinora ricevuto o sottoposti a sanzioni del tutto ingiustificate;
   la decisione di Agea rischia, inoltre, di avere ripercussioni sulla nuova politica agricola comune, dato che le assegnazioni dei nuovi titoli avverranno sulla base degli importi che gli agricoltori percepiranno nel 2014 e sulla superficie agricola utilizzata dichiarata nel 2015;
   l'aggiornamento dei codici sta, quindi, provocando danni economici agli agricoltori ed ai contadini sardi, dato che tali decisioni ignorano e privano di valore l'ambiente endemico della Sardegna, come il pascolo arborato/macchia mediterranea che è peculiarità del paesaggio e anche ciò che determina l'unicità della qualità e del gusto dei prodotti sardi;
   e questo nonostante l'articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1037/2013 del 17 dicembre 2013 che consente agli Stati membri di «considerare prato permanente i territori pascolabili che rientrano nell'ambito delle pratiche locali tradizionali, qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti l'erba e le altre piante erbacee da foraggio», che è esattamente la situazione della Sardegna –:
   quali iniziative di sua competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare che per un errato calcolo dell'organismo pagatore Agea vengano pesantemente danneggiati gli agricoltori della Sardegna e quelli delle altre regioni con situazioni analoghe, evitando anche che al danno si aggiunga la beffa della restituzione forzosa di quanto percepito e salvaguardando le tradizioni dell'agricoltura e le radici storiche del pascolamento, attività che si è sviluppata nei secoli in accordo con le peculiarità del territorio, dominato dalla macchia mediterranea e da superfici boschive.
(3-01747)


   PALESE, CIRACÌ, DISTASO e MARTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 ore, il 3 ottobre 2015, con una lettera del Commissario europeo alla salute Aindriukakis, inviata al Ministro interrogato, è stata notificata l'apertura della procedura d'infrazione dell'Unione europea, nei riguardi del nostro Paese, a causa delle misure adottate dall'Italia per contrastare l'epidemia della Xylella fastidiosa, che sta devastando da diverso tempo gli ulivi del Salento, giudicate insoddisfacenti;
   il quotidiano economico, al riguardo, evidenzia come nella medesima lettera il Commissario europeo riporti in maniera esplicita la visita effettuata nel Salento a luglio 2015, per verificare personalmente lo stato di applicazione delle misure di salvaguardia richieste dalla Commissione europea volte a frenare la diffusione del batterio, definite senza mezzi termini deludenti;
   l'avvio della procedura d'infrazione sulla gestione dell'emergenza Xylella, che da più di anno dall'epidemia del batterio sta infettando gli areali di coltivazione di uliveti, in tutto il territorio salentino e anche in altre parti della regione Puglia, distruggendo senza mezzi termini un'intera economia locale, rappresenta, ad avviso degli interroganti, l'ennesimo e deprecabile comportamento del Governo italiano, in ambito europeo, le cui misure, a partire dal varo del primo «piano Silletti» per affrontare l'emergenza, si sono rivelate inefficaci e deludenti –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare l'avvio della procedura d'infrazione comunitaria nei riguardi dell'Italia, causata dai ritardi nell'attuazione del piano per contrastare la Xylella nel Salento, e, in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie intenda conseguentemente adottare al fine di accelerare il contrasto al fenomeno, su cui gli interventi sino ad oggi intrapresi hanno dimostrato una scarsa efficacia, oltre che generato una notevole confusione tra gli agricoltori, in merito ai provvedimenti normativi sin qui adottati. (3-01748)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2015 la Campania è stata interessata da eventi atmosferici che hanno duramente colpito, in particolare, la provincia di Avellino;
   la violenta grandinata, le piogge copiose e il vento impetuoso hanno causato danni ingenti alle produzioni agricole, in particolare ai vigneti dei quali l'Irpinia è particolarmente ricca;
   tale circostanza si è verificata, purtroppo, in un periodo cruciale della coltivazione che è quello che precede la raccolta;
   vigneti, uliveti, noccioleti, alberi da frutto: intere coltivazioni di stagione sono andate distrutte dopo la grandinata di sabato 5 settembre 2015. Gli imprenditori raccontano di danni ingenti, che si aggiungono a quelli determinati dal caldo torrido nel mese di luglio 2015;
   significativi sono i danni subiti anche in ragione della violenza del vento e della pioggia caduta copiosa, in particolare sui comuni dell’hinterland irpino, dove si sono registrati allagamenti di fiumi di acqua misti a fango e fogliame che hanno invaso le strade e le abitazioni;
   conseguenze si sono verificate anche nel Vallo di Lauro dove la grandine ha arrecato danni alla produzione agricola locale, in particolare ai noccioleti e ai castagneti;
   a giudizio dell'interrogante esistono i presupposti per valutare se sussistano i requisiti necessari alla dichiarazione dello stato di calamità ai sensi della legge in vigore;
   è palese che, ormai, le tempeste, le grandinate fuori stagione e le trombe d'aria sono diventate una costante. Serve una programmazione oculata e strutturata, con risorse da mettere a disposizione dei coltivatori sempre più in difficoltà;
   l'interrogante ha chiesto al presidente della giunta regionale, Vincenzo De Luca, di attivare le procedure necessarie ad operare una ricognizione dei danni subiti dai comuni irpini, così duramente colpiti dal maltempo;
   a giudizio dell'interrogante, mai come in questa fase occorre che le istituzioni siano vicine alle aziende agricole che non solo patiscono gli effetti della crisi economica, ma subiscono ora anche i danni derivanti dalle intemperie –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover procedere alla dichiarazione dello stato di eccezionali avversità atmosferiche per i comuni della provincia di Avellino così duramente colpiti dal maltempo, nonché di dover adottare le iniziative necessarie a garantire un ristoro dei danni patiti dagli agricoltori e dalle aziende vitivinicole e da quelle operanti nel settore della castanicoltura e della produzione di nocciole. (3-01749)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre la Commissione europea ha reso pubblica la proposta di regolamento 2015/0218 che autorizza un accesso temporaneo supplementare dell'olio d'oliva tunisino nel mercato dell'Unione europea. La Commissione europea propone di mettere a disposizione, fino alla fine del 2017, un contingente tariffario, senza dazio unilaterale, di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea. La quota supplementare sarà in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate già previste dall'accordo di associazione Unione europea-Tunisia firmato nel 1995. Questa proposta ricade sotto la competenza esclusiva dell'Unione europea in ottemperanza all'articolo 3 del TFUE;
   a questa ulteriore quota di olio tunisino autorizzata ad entrare nell'Unione europea senza il pagamento di alcun tipo di dazio doganale, si deve aggiungere l'olio che l'Unione importa dal Regno del Marocco in ragione dell'accordo firmato nel 2012;
   il Marocco è diventato uno dei maggiori produttori mondiali di olio d'oliva, avendo, peraltro, quasi raddoppiato la produzione netta negli ultimi sei anni, arrivando ad oltre 1,5 milioni di tonnellate, delle quali 120-140 mila di olio d'oliva extravergine;
   sia in termini di produzione che di esportazione il Marocco occupa quest'anno il quinto posto nel mondo. In particolare, per quanto riguarda la produzione si posiziona dopo Spagna, Tunisia, Italia e Grecia;
   nel complesso, la qualità dell'olio d'oliva marocchina viene definita soddisfacente ed il suo riconoscimento sta guadagnando sempre più terreno nel mercato globale, in particolare negli Stati Uniti e secondo la direzione studi e previsioni finanziarie (DPEF) del Marocco i principali clienti del Regno sono l'Unione europea e gli stessi Stati Uniti con percentuali rispettivamente del 50 per cento e 37 per cento. Risultano confermate, quindi, le preoccupazioni espresse dai produttori italiani nel corso dell'entrata in vigore dell'accordo di libero scambio con l'Unione europea;
   è da rilevare, peraltro, che la capacità produttiva attuale della superficie destinata ad olivi, che sono la principale coltivazione frutticola del Paese, stimata in 590.000 ettari, resta ben lontana dal suo reale potenziale;
   il settore, infatti, deve ancora affrontare alcune carenze come la debolezza delle tecnologie impiegate ed il deprezzamento della qualità della materia prima. Inoltre, la stessa direzione studi e previsioni finanziarie sostiene che gli impianti di trasformazione non sono affiancati da un buon controllo di qualità;
   da un documento di Confagricoltura in merito all'Accordo tra l'Unione europea ed il Regno del Marocco emergono tre considerazioni principali: gli interscambi commerciali tra Unione europea e Marocco sono decisamente destinati ad essere completamente liberalizzati e già per la maggior parte delle merci prodotte sia nel Regno che in Europa sono stati eliminati i dazi doganali; l'accordo è favorevole al Marocco ben più che all'Europa nel suo insieme, in particolare per il settore ortofrutticolo; all'interno dell'Europa è maggiormente favorevole ad alcune produzioni dei Paesi continentali piuttosto che di quelli mediterranei;
   con l'applicazione dell'accordo si assisterà ad una notevole riduzione o totale eliminazione dei dazi doganali in particolare per produzioni orticole, frutticole ed agrumicole. Ovvero alcune produzioni tipiche del territorio italiano provenienti dal Marocco potranno entrare nel mercato europeo a condizioni più competitive di quelle attuali;
   si nota anche che tra le merci prodotte in Europa ed esportate verso il Marocco vi sono ad esempio l'olio extravergine di oliva, le carni ed i salumi per i quali i dazi vengono ridotti od annullati solo per quantità estremamente limitate. Tant’è che tali merci sono inserite nella tabella 6 dei così detti «Prodotti non liberalizzati». Ovvero, questi beni resteranno meno competitivi se prodotti nella Unione europea rispetto a quelli prodotti fuori dall'Europa. Per andare in concreto: al consumatore marocchino converrà, in termini economici, acquistare l'olio di oliva tunisino piuttosto che quello italiano;
   pur comprendendo le motivazioni solidaristiche e la volontà di aiutare la ripresa dell'economia tunisina e nord-africana in generale, dopo i duri colpi inferti dal terrorismo, la Commissione europea, a giudizio dell'interrogante, non ha tenuto in debito conto le evidenti ripercussioni negative per i produttori ortofrutticoli europei, in particolare per quelli dell'olio, che in Italia sono stati duramente colpiti dalla crisi economica e dai danni provocati dalla Xylella;
   l'Unione europea, a giudizio dell'interrogante, dovrebbe rinegoziare l'accordo con il Marocco ed il nord-Africa tutto, evitando che le politiche solidaristiche nei riguardi delle popolazioni africane e dello sviluppo delle loro economie vadano ad esclusivo svantaggio della economia, dei produttori e dei consumatori italiani, i quali hanno diritto a prodotti sani, genuini e sicuri da qualunque punto di vista –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-10618)


   REALACCI, OLIVERIO, MONGIELLO e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   domenica 4 ottobre 2015 la trasmissione «Presa Diretta» di RaiTre, condotta da Riccardo Iacona, ha proposto una approfondita inchiesta sulla pesca e in particolare, tra i vari servizi, sul «tonno rosso»;
   il «tonno rosso», o Thunnus thynnus, è una specie marina pregiatissima, diffusa nelle acque tropicali, subtropicali e temperate dell'Oceano Atlantico, nel mar Mediterraneo e nel mar Nero meridionale. Frequenta soprattutto le acque al largo e si avvicina alle coste solo in determinati periodi, diversi da luogo a luogo ed in determinati punti, di solito nei pressi di isole o promontori. A causa della pesca intensiva è a rischio di estinzione e rientra nella lista rossa delle Nazioni Unite e Greenpeace, che segnala le specie marine più sensibili sconsigliandone il consumo o il consumo moderato;
   la sopracitata inchiesta parte dal fenomeno migratorio del «tonno rosso» che dall'Atlantico, attraversa lo Stretto di Gibilterra per venire a deporre le uova nelle acque più calde del Mediterraneo. Da secoli, i pescatori conoscono il periodo in cui i banchi di tonni passano davanti alle coste italiane e li fanno convogliare nelle tonnare: un complesso sistema di reti che permette di intrappolare i pesci. Le reti vengono poi portate verso la superficie dove vengono catturati: la famosa mattanza dei tonni che rappresenta un vero e proprio evento, sopratutto turistico, per i tanti pescatori sardi e siciliani. Ma anziché essere pescati e commercializzati in Italia, i tonni rossi vengono trascinati ancora vivi nelle reti fino a Malta, dove finiscono negli allevamenti locali, ingrassati, pescati e infine rivenduti sul mercato giapponese. Per Malta si tratta di un commercio estremamente redditizio, che vale circa il 2 per cento del prodotto interno lordo nazionale. L'ultimo record per il prezzo del tonno rosso al chilogrammo risale al 5 gennaio 2012: presso Tsukiji, a Tokyo, è stato battuto all'asta un esemplare di 269 chilogrammi a circa 2100 euro/chilogrammo, per un totale di 565.000 euro;
   va inoltre sottolineato che, nel Mediterraneo, il tonno rosso si pesca attraverso il sistema delle quote: una limitazione imposta dall'Unione europea una decina di anni fa dopo che questa specie è stata considerata a rischio di estinzione. A Malta, tuttavia, i tonni non arriverebbero se non fossero letteralmente rimorchiati dalle acque sarde e siciliane: l'isola del Mediterraneo, infatti, non rientra nelle rotte naturali di questa specie;
   in Italia, queste quote – 2000 tonnellate all'anno – sono state comprate da pochi grandi armatori, che convogliano i tonni nelle gabbie e li vendono ai broker maltesi che a loro volta rivendono il pesce sui mercati asiatici, in particolare su quello giapponese, ottenendo ricavi altissimi. Lo scorso maggio l'Unione europea ha stabilito che, a fronte di una ripopolazione del Mediterraneo di tonno rosso, l'Italia potrà aumentare le sue quote del 20 per cento. Quote che però sono state ridistribuite a chi già le possedeva, a scapito dei piccoli pescatori che non possono pescare tonno rosso da anni. Se un pescatore, che non possiede le quote per pescare quel particolare tipo di pesce, pesca per errore alcuni tonni rossi, è infatti costretto a denunciare il fatto alle autorità competenti, che fanno scattare le sanzioni. Per questo molti pescatori che si ritrovano attaccato all'amo un tonno, preferiscono gettarlo via, in mare: un doppio spreco, per la natura e per chi, di pesca, ci vive. Oppure, come spesso avviene, preferiscono sezionarlo direttamente sul peschereccio e poi venderlo abusivamente «in nero», con il rischio che la carne si contamini per una cattiva conservazione. Nel mercato legale nazionale infatti di tonno rosso se ne mangia paradossalmente ben poco o tutt'al più pescato nell'Oceano Indiano, congelato e «colorato»;
   la carne del tonno rosso è di colore rosso scuro. Si tratta di una pigmentazione naturale, tipica della carne di questa specie ittica. Ma il consumatore italiano ha cominciato a pensare che quella colorazione così scura sia un segnale della scarsa freschezza del pesce. Quindi, per poter essere «appetibile» al consumatore, la carne del tonno viene trattata con nitrati e nitriti per darle un colore «migliore» e farlo sembrare «fresco» quando magari è vecchio di giorni. Al contrario, se invece si potesse mangiare il tonno rosso pescato in Italia, tutto il processo di commercializzazione del pesce sarebbe più rapido, portando sulle tavole un prodotto veramente fresco e senza additivi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se non intendano ridiscutere il sistema delle quote di pesca a tutela della sopracitata specie di tonno, così come della pesca nazionale e dei piccoli imprenditori della pesca che versano in grave stato di crisi;
   se a livello comunitario non intendano altresì farsi promotori di un'iniziativa politica di tutela delle specie ittiche del Mediterraneo, a cominciare dal tonno rosso, nei confronti di tutti i Paesi rivieraschi dai quali sovente, specie per Tunisia, Libia ed Egitto, non essendoci limitazioni alla pesca, provengono i casi di concorrenza sleale verso i pescatori comunitari, con il rischio di desertificare, come sostenuto dalla comunità scientifica, entro 2050 il Mare Nostrum.
(4-10619)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la puntata del 4 ottobre 2015 della trasmissione televisiva «Le Iene» ha mandato in onda un servizio sulle cosiddette «ticket redemption machine», ovvero slot e giochi per minori, basati sulla erogazione di una sequenza di ticket a seconda della vincita; questi ticket accumulati danno la possibilità di ottenere vari premi, i quali costituiscono un parziale riscatto (redemption) dei fondi spesi;
   già nel 2012 si è assistito ad un articolato dibattito sulla stampa e fra i portatori di interesse di quelle che vengono definite le slot machine dei bambini, rispetto alla potenziale pericolosità delle macchine, per le conseguenze psicologiche, culturali, oltre che economiche che la frequenza delle giocate possono apportare ai minori. I proprietari delle slot machine, ad esempio, basano la difesa del sistema sul fatto che non c’è alcun corrispettivo o premio in denaro; pertanto, ritengono che le ticket redemption non possano essere assimilate al gioco d'azzardo;
   il confine simbolico e di significato fra una vincita in denaro e una vincita di ticket che, poi, danno diritto a dei premi è davvero molto labile. Si tratta comunque di un corrispettivo che dà diritto ad un oggetto, peraltro, con lo stesso principio del denaro: più ticket si accumulano, più grande sarà il premio cui si ha diritto; esattamente lo stesso principio del possesso del denaro;
   psicologi e medici sono concordi nel ritenere che non sia solo ed esclusivamente la posta in palio a definire la caratteristica dell'azzardo e, di conseguenza, la possibilità di ammalarsi di dipendenza dal gioco, quanto il meccanismo stesso, basato proprio sul concetto di scommessa e sulla ripetitività dell'atto, che induce al gioco compulsivo;
   dal servizio televisivo proposto, per altro, si evince in maniera chiara come molte di queste sale per minori siano ubicate in locali attigui alle sale per adulti, dove si compie il passo successivo, ovvero quello del gioco con vincite in denaro. Pare inutile sottolineare come la vicinanza fisica dei luoghi possa essere anche questa considerata dannosa per i minori, che in qualche modo verrebbero così avviati ad un processo di «educazione» al gioco d'azzardo sino dalla tenera età;
   il tema è stato anche oggetto di diverse interrogazioni e interpellanze parlamentari, ma sino ad oggi nulla o quasi è praticamente stato fatto dal Governo per arrestare un processo pericoloso per la salute dei bambini e dei minori –:
   se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative per impedire la diffusione delle «ticket redemption machine»;
   se il Ministro non ritenga che le «ticket redemption machine» possano contribuire alla diffusione della «ludopatia» nei minori;
   quali concrete e cogenti iniziative di contrasto alla diffusione della «ludopatia» nei bambini intendo mettere in atto.
(4-10604)


   PAOLO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i canili di Roma e l'oasi felina di Porta Portese sono in attesa di gestione degli spazi e dei suoi ospiti, nonché di un servizio veterinario che risponda oggettivamente alle funzioni previste dalla normativa vigente in riferimento alla operatività h 24 e all'intervento di soccorso per animali randagi rinvenuti in strada, prestazione attualmente del tutto carente e spesso inadeguata;
   i canili di Roma, dal 1997, fin ora, hanno funzionato con un affidamento diretto della loro gestione. Secondo l'associazione Earth, «la cifra erogata dal comune di Roma all'associazione (ONLUS) volontari del canile di Porta Portese per l'anno 2006, secondo quanto dichiarato dalla stessa associazione, è di 4,5 milioni di euro. Il comune ha pagato ad AVCPP anche le utenze ed i veterinari. L'associazione ha complessivamente introitato nel periodo 2005-2009 un ammontare pari a euro 15.850.000. Basta fare una rapida ricerca sul sito del comune di Roma Capitale per accorgersi che, in tema di animali, per l'anno 2014 il comune non ha previsto alcun bando pubblico. Sono, infatti, tutte convenzioni e affidamenti diretti: cifre astronomiche: 9.389.295 di euro alle associazioni e più del 57 per cento dei fondi è in mano ad AVCPP»;
   il bando del comune di Roma per la gestione dei canili di Roma (Vitinia Ex Poverello, Muratella, Ponte Marconi ex Cinodromo, area felina di Portaportese) è stato vinto secondo fonti di stampa e secondo le più importanti associazioni nazionali animaliste quali Animalisti Italiani, Enpa e Lav dalla ditta privata Mapia di Bari, una ditta multiservizi che nello specifico gestisce il canile di Bari, con 1200 cani ed anche lo stabulario dell'Università di Bari del dipartimento di scienze mediche di base, neuroscienze e organi di senso, per il «servizio di stabulazione, mantenimento e cura di animali da laboratorio» per un importo di 15.850,45 euro a semestre (fonte Lav vedi sopra), nonché si occupa di smaltimento di rifiuti, servizi di derattizzazione e disinfestazione, manutenzione del verde, servizi di pulizie;
   la Mapia multiservizi, a quanto si apprende, dovrà operare per una durata trimestrale, in attesa della gara europea che sarà pubblicata a gennaio;
   i compiti previsti per la gestione delle strutture del comune di Roma (Muratella, Ex Poverello, ex Cinodromo e Oasi Felina di Portaportese) della Mapia sono: la direzione completa delle strutture, la pulizia delle gabbie e dell'esterno, l'acquisto e la distribuzione del cibo e delle «cure» agli animali;
   la gara che si è aggiudicata la Mapia multiservizi è stata pubblicata sul sito del comune di Roma il 31 luglio 2015 (con scadenza della presentazione delle domande il 12 agosto), ma si tratta del bando fotocopia sospeso in autotutela dal comune di Roma nel 2014 in ragione del fatto che alla gara partecipò anche la cooperativa 29 Giugno di Salvatore Buzzi, coinvolto nello scandalo di Roma Capitale;
   la logica del bando è ancora quella basata sull'offerta al ribasso. La sopravvivenza degli animali è quindi strettamente connessa ad un sistema che non può garantire in alcun modo la gestione dei cani nel rispetto dei minimi criteri di benessere, come lo stesso Ministero della salute ha più volte ribadito in numerosi incontri pubblici e con le associazioni portatrici di interessi a tutela degli animali;
   esiste un ricorso già presentato al Tar l'11 settembre 2015 dalla associazione volontari del canile di Porta Portese. Tra i motivi sono state evidenziate gravissime irregolarità: cifre non congrue per il benessere animale e per pagare i servizi professionalizzati richiesti in gara, mancata presenza di un importo fisso e non suscettibile di ribassi per le spese per la sicurezza, clausola di salvaguardia degli operatori non reale, assenza del punto di primo soccorso gatti, unico a Roma, che ha ricoverato curato e fatto adottare 7000 gatti feriti e malati in 10 anni;
   la Lav, in passato, ha presentato diversi esposti contro la ditta Mapia per l'inadeguata gestione dei cani presso i canili convenzionati di Bari;
   è stato divulgato un documentario relativo alla struttura di Bari attualmente gestita dalla ditta Mapia e che si commenta da sé per le forti immagini che descrivono la situazione reale in cui versano oltre 1200 cani;
   i lavoratori delle sopracitate strutture e dell'associazione volontari del canile di Portaportese hanno occupato la struttura del canile della Muratella per evidenziare le incongruenze e quelle che a loro avviso potrebbero essere le eventuali carenze nella gestione –:
   se i Ministri interrogati, in considerazione dell'evidente interesse che, a giudizio degli interroganti, può avere la malavita nella gestione dei canili (rileva in proposito l'interessamento dimostrato in materia dalla cooperativa gestita da Buzzi) e della palese gestione ad affidamento diretto che risulta all'interrogante esistita finora, non ritengano di dover intervenire ognuno, per le proprie competenze, per assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di tutela degli animali e per evitare che a fare le spese di circostanze come quelle descritte in premessa siano, ancora una volta, cani e gatti, esseri senzienti che non possono e non devono essere merce di scambio di interessi umani ed altresì i cittadini contribuenti;
   se il Ministro della salute ritenga adeguata l'attuale normativa in materia di funzionamento delle gare spesso al ribasso nella gestione dei canili e dei gattili e di ogni prestazione fornita agli stessi, e se non intenda assumere iniziative normative per porre fine, in modo pragmatico ed efficace, a questo metodo che, a parere degli interroganti, non solo non si rivela adatto per garantire il funzionamento delle strutture descritte in premessa, ma determina inevitabilmente il mancato rispetto delle minime esigenze di benessere degli animali, oltre che risolvere di fatto un contrasto con la normativa vigente. (4-10631)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel palio di Asti hanno perso la vita 14 cavalli solo negli ultimi anni (Fonte Lav) e durante il palio del 20 settembre 2015 si è ferito un cavallo, la cui morte avvenuta tramite eutanasia e provocata la sera stessa del palio, è stata invece tenuta nascosta per giorni;
   un cavallo deceduto a causa delle lesioni riportate durante la partecipazione al palio era un purosangue inglese nato nel 2008 in Irlanda e che ha effettuato 47 corse durante la sua carriera dal 2010 al 2013, denominato «Doctor Cini» alias «Davide Umberto» e correva per il rione San Secondo, «si tratta della quattordicesima vittima ufficiale del palio di Asti; inoltre, la morte del cavallo è stata inizialmente tenuta nascosta; ma non solo, è stato anche affermato che il cavallo sia stato sottoposto ad un presunto intervento chirurgico che in realtà risulta da fonti giornalistiche non essere mai stato effettuato»;
   lo stesso Sindaco di Asti ha espresso le sue valutazioni in merito garantendo il rispetto degli accorgimenti previsti nell'Ordinanza che regola i palii e le manifestazioni equestri;
   alcuni recenti episodi che hanno causato la morte di altri cavalli al palio di Asti risalgono, uno, al 2013 quando Mamuthones morì davanti a diecimila spettatori fratturandosi la colonna (per questo caso è in corso un processo a carico del Fantino Bartoletti detto «Scompiglio», indagato per maltrattamenti), e, un altro, al 2009 quando una femmina che correva per Castell'Alfero subì una frattura durante la corsa e vista la gravità della stessa si ritenne di dover ricorrere all'eutanasia;
   la Commissione veterinaria del palio ha il compito di verificare che ogni aspetto previsto dalla normativa vigente sia rispettato in ogni minimo dettaglio;
   la normativa vigente fornisce elementi specifici e disciplina i palii, tra cui si evidenzia in particolare l'ordinanza 7 agosto 2014 riguardante la proroga e la modifica dell'ordinanza 4 settembre 2013, recante «Proroga e modifica dell'ordinanza 21 luglio 2011, recante “Ordinanza contingibile ed urgente che sostituisce l'ordinanza ministeriale 21 luglio 2009, concernente la disciplina di manifestazioni popolari pubbliche o private nelle quali vengono impiegati equidi, al di fuori degli impianti e dei percorsi ufficialmente autorizzati”». (14A06865) (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 208 dell'8 settembre 2014 e che prevede in particolare che: «1. Le manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico, incluse le prove, nelle quali vengono utilizzati equidi, ad eccezione di mostre sfilate e cortei, devono garantire i requisiti di sicurezza e salute per i fantini e per gli equidi, in conformità alla presente ordinanza e all'allegato A che ne costituisce parte integrante.»;
   l'ordinanza sopracitata introduce misure per la prevenzione e dà specifiche indicazioni sul doping, come devono essere costruiti i percorsi, i fondi e predisposte le paratie –:
   se il Ministro sia informato dei fatti descritti in premessa ed in particolare della vicenda del cavallo Davide Umberto;
   se il Ministro ritenga che, in considerazione dei dati e delle circostanze sopra descritte e degli altri innumerevoli decessi di cavalli, avvenuti durante altri palii negli ultimi anni, e in virtù delle normative specifiche vigenti in materia, non sia necessario assumere iniziative normative volte a garantire più efficacemente l'incolumità dei cavalli;
   se i Ministri interrogati, in ragione della normativa cogente e considerato, in particolare, il principio del riconoscimento degli animali come esseri senzienti che vige nel nostro ordinamento – anche grazie alla ratifica del Trattato di Lisbona in Italia – e ritenuto anche che appaiono numerosi gli atti che possono essere considerati come veri e propri delitti di maltrattamento e uccisione di animali, previsti dal nostro codice penale, non ritengano di dover approfondire la questione del trattamento degli equidi in occasione di manifestazioni pubbliche come quelle descritte in premessa e di assumere iniziative volte a riformare la normativa in materia, in modo tale da impedire che avvengano decessi evitabili per animali che sono tutelati e per cui l'opinione pubblica prova empatia e rispetto. (4-10632)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   riguardo al riordino delle province, sono trascorsi diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge cosiddetta «Delrio» e dieci mesi dalla legge di stabilità per il 2015, che ha tagliato il personale del 50 per cento e ha previsto la riduzione delle risorse finanziarie, quale contributo alla manovra di finanza pubblica;
   le province risultano in stallo per quanto riguarda la procedura di mobilità – 43 mila dipendenti coinvolti, 50 mila calcolando lei regioni autonome, più le migliaia di persone che hanno vinto un concorso in altri enti pubblici ed ora si incroceranno per la ricollocazione degli esuberi; sono a rischio dissesto molte di esse;
   in sostanza, la mobilità non è partita, i bilanci dei suddetti enti sono stati tagliati, i costi sono ancora a loro carico, dunque i servizi, in alcuni casi, languono per coprire le spese di personale, in altri casi non, ci sono neanche le risorse per coprire gli emolumenti dei dipendenti;
   gli interpellanti guardano spesso il cosiddetto «portale della mobilità» inaugurato dal Governo, in modo da seguire, come era stato annunciato, le procedure «in diretta», ma esso risulta più o meno vuoto rispetto alla tabella di marcia;
   molte regioni risultano inadempienti rispetto al riordino delle funzioni delle loro province e, in assenza di ciò, per le province è impossibile tirare le somme ed indicare gli eventuali «esuberi»;
   oltre allo stallo della procedura, ciò che preme in particolare agli interroganti è la situazione finanziaria delle province le cui condizioni di bilancio non consentono l'esercizio delle funzioni che sono chiamate comunque a svolgere e compromettono o hanno già compromesso l'erogazione dei servizi connessi e soprattutto, la corresponsione dei trattamenti economici al personale in organico;
   l'allarme «default» per molte province è stato lanciato parecchi mesi fa –:
   quali siano, ad oggi, le prospettive della procedura di mobilità e come intenda risolvere, per quanto di competenza, la questione che vi è strettamente connessa, vale a dire le gravi ricadute sulla sostenibilità dei servizi ai cittadini e sul personale in organico.
(2-01101) «D'Ambrosio, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, Dieni, Toninelli».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Palermo vi era una carenza di personale con ruolo dirigenziale, anche a causa di un precedente bando, risalente al 1998 per otto posti per ingegneri dirigenti, che nel 2011 è stato annullato: per tale ragione la giunta del comune con propria delibera n. 240 del 18 dicembre 2014 aveva deciso l'assunzione di nuovi dirigenti; tuttavia, tale delibera nasceva già viziata nella forma in quanto non aveva ricevuto il parere di regolarità amministrativa da parte del segretario comunale;
   il 28 dicembre 2014 veniva pubblicato il relativo avviso per «Selezioni Pubbliche per il conferimento di quattordici incarichi dirigenziali a tempo determinato per anni uno»; ulteriori requisiti specifici richiesti in relazione al tipo di professionalità del posto a ricoprire venivano poi elencati nell'allegato B al medesimo avviso: questo avviso di selezione a parere degli interroganti sarebbe gravido di irregolarità, così come osservato dal segretario generale nonché responsabile della prevenzione della corruzione del comune di Palermo, il quale ha segnalato che i requisiti richiesti per le singole posizioni offerte rischiavano «di apparire personalizzati e potenzialmente identificativi dei soggetti incaricandi», evidenziando altresì la «irragionevolezza di alcuni requisiti di accesso»;
   tali irregolarità risultano amplificate dall'assenza di una commissione esaminatrice: infatti, tramite deliberazione della giunta comunale n. 207 del 2 dicembre 2014, è stato modificato il regolamento che disciplina le commissioni concorsuali, in particolare stabilendo che i vincitori dei bandi di concorso per personale siano esaminati e selezionati dal sindaco, a suo insindacabile giudizio, contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente che impone l’«adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire» e disciplina la «composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso [...] che non ricoprano cariche politiche»;
   l'assenza di criteri numerici o di giudizio per la valutazione dei titoli, la mancanza di una commissione esaminatrice e l'assenza di una graduatoria, secondo gli interroganti, pregiudicano irrimediabilmente il risultato della selezione stessa, in quanto ciò ha prodotto come risultato una mera lista dalla quale il sindaco ha potuto liberamente attingere secondo la propria volontà;
   esaminando i nomi dei vincitori emerge che dei 14 vincitori, 13 risultano essere funzionari interni al comune di Palermo e di questi ben 9 sono rappresentati da soggetti che ricoprivano, spesso nel medesimo ufficio per il quale sono stati selezionati come dirigenti, ruolo di «referenti», con funzione di interfaccia e coordinamento dei relativi uffici: tale posizione, creata appositamente e non prevista dalla normativa, è stata assegnata a funzionari del comune conferendo loro una posizione sovraordinata rispetto a colleghi di pari livello; inoltre, si registra che sono pervenute per la selezione oltre 800 domande, tra le quali si presume anche talune da parte di soggetti aventi esperienza pluriennale in posizioni dirigenziali;
   due dei funzionari poi selezionati per la posizione di dirigente, Mario Li Castri, considerato «braccio destro» del vice sindaco Emilio Arcuri, e Giuseppe Monteleone, risultavano indagati già nel gennaio 2015 per abusivismo, ben prima della scelta da parte del sindaco dei nuovi dirigenti: nonostante questo, il 15 giugno 2015 è stata pubblicata la loro selezione e 3 giorni dopo, il 18 giugno, è arrivata la notizia del giudizio immediato per i due soggetti, i quali devono rispondere di abusivismo edilizio e falso ideologico;
   il T.U.EL. stabilisce che lo statuto dell'ente locale può prevedere che un posto dirigenziale venga ricoperto mediante contratto a tempo determinato, in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica: tuttavia, poiché prima della selezione pubblica di dirigenti a tempo determinato nelle disponibilità del comune vi era un solo dirigente tecnico a tempo indeterminato, ne consegue che 12 su 13 dirigenti tecnici siano attualmente a tempo determinato, ben al di sopra della soglia prevista dalla legge –:
   se, a fronte di quanto esposto in premessa, il Ministro intenda adottare le iniziative di competenza, incluse le funzioni ispettive di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di assicurare l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa e, più in generale, il rispetto dei principi di cui all'articolo 97 della Costituzione. (5-06573)


   SISTO e GELMINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   sussistono specifiche e urgenti problematiche in materia di personale nell'ambito dell'amministrazione economico-finanziaria, chiamata, anche sulla scorta di norme di recente approvazione (legge n. 9 del 2014), ad un potenziamento delle attività connesse al controllo ed al contrasto dell'evasione fiscale nonché alla prevenzione degli illeciti tributari ed extra tributari;
   è quanto mai doveroso potenziare le attività connesse al monitoraggio della spesa pubblica, le funzioni di controllo e di contrasto dell'evasione fiscale, le attività di prevenzione agli illeciti tributari ed extra tributari;
   nel corso degli ultimi anni l'Agenzia delle dogane, in concomitanza con la crisi economica mondiale, ha svolto un ruolo essenziale di regolatore dei traffici internazionali puntando su controlli mirati a tutela dell'erario comunitario e nazionale oltre che su tutte le attività di tutela del cittadino sia dal punto di vista della sicurezza dei prodotti, della tutela dei marchi che della tutela della salute;
   le qualità dell'amministrazione doganale, inoltre, potrebbero rendere più competitive le aziende italiane, specialmente i porti italiani che dovranno dimostrarsi concorrenziali con i porti del Nord Europa, attirando nuovi traffici commerciali e di conseguenza tutto l'indotto lavorativo che ad essi è collegato;
   è necessario dare la possibilità all'amministrazione economico-finanziaria, con particolare riguardo all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, di poter colmare le acclarate carenze (oltre 600 unità) di personale nella III area funzionale, tramite assorbimento mediante scorrimento, delle procedure concorsuali per l'accesso alla medesima III area già bandite, potendosi così avvalere, da subito, di professionalità con qualificata esperienza, ora tanto più necessarie per consentire alla amministrazione fiscale di rispondere alle richiamate necessità di maggiore e più assorbente impegno, peraltro imposte dalla normativa di recente approvazione –:
   se il Governo intenda autorizzare l'amministrazione economico-finanziaria, almeno per quanto riguarda l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, allo scorrimento delle graduatorie relative alle procedure concorsuali interne già bandite, e ad utilizzare tali graduatorie nel rispetto dei limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente, con priorità rispetto alle procedure di reclutamento tramite mobilità intercompartimentale e/o comando, e se si intendano assumere iniziative per prorogare, ove i tempi di adempimento lo rendessero necessario, le graduatorie in scadenza. (5-06574)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, CRIPPA, DAGA, MANNINO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'unione europea tende a marginalizzare il ruolo degli inceneritori nel processo di gestione dei rifiuti, contestando in tal senso la normativa italiana che riconosce anche ai termovalorizzatori gli incentivi (CIP6 e certificati verdi), riferiti alla produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   è ormai lampante che la combustione dei rifiuti sia una tecnologia onerosa e poco efficiente per la produzione dell'energia necessaria a soddisfare il fabbisogno elettrico; infatti, da evidenze scientifiche e tecniche la produzione elettrica è in massima parte rimessa nell'impianto di incenerimento per il sostanziale mantenimento energetico dell'impianto stesso o degli impianti della filiera che preparano il combustibile. La procedura «energivora», attraverso lo smaltimento rifiuti, risulta inutile e pericolosa per la salute dei cittadini ed è causa di inquinamento ambientale, ed è conseguenza logica delle diseconomie energetiche presenti su scala nazionale;
   la fermezza nelle scelte a favore dell'incenerimento dei rifiuti è data proprio dall'incentivazione tariffaria dell'energia prodotta da tale tipo di impianti prevista dalla normativa italiana, che comprende i termovalorizzatori tra i beneficiari di incentivi; l'incenerimento dei rifiuti è la pratica con minima sostenibilità nell'ambito della gerarchia europea dei rifiuti, che privilegia invece il recupero di materia;
   ad avviso degli interroganti in contrasto con le direttive europee, l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, si dispone che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico, fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il primo impianto italiano di incenerimento, funzionale anche al recupero energetico, è l'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti di Padova-San Lazzaro, messo in funzione nel 1962, con potenzialità nominale del forno di 140 t/giorno e generazione di 1,4 MWh/giorno. L'impianto venne successivamente ampliato e modificato per adeguarlo alla normativa sopravvenuta, fino ad assumere l'attuale conformazione; con tre linee di incenerimento, una capacità nominale complessiva di 600 t/giorno di rifiuti e una produzione di energia elettrica (al netto dell'autoconsumo) superiore di 95 GWh/giorno;
   da cronaca di Stampa (Corriere di Verona 10 febbraio 2012) l'ingegnere Sergio Trapanotto, artefice della III linea dell'impianto di San Lazzaro, dichiara: «mi raccomando si chiama inceneritore non termovalorizzatore, alla gente bisogna dire la verità. La verità è che l'impianto non serve a produrre energia ma a bruciare rifiuti. Ciò che ricaviamo dalla produzione di energia è marginale, non basterebbe a sostenere i costi»;
   il termovalorizzatore di via Manin, a Sesto S. Giovanni, è composto di tre linee d'incenerimento parallele, ciascuna con potenzialità pari a un terzo di quanto autorizzato, che consentono di produrre energia elettrica (che, per la parte eccedente gli autoconsumi interni, è ceduta alla rete elettrica nazionale) ed energia termica (che è utilizzata per il teleriscaldamento della città di Sesto San Giovanni). Esso, seppur di taglia piccola, ha le migliori tecnologie di settore e dal 2004 è gestito direttamente dalla società CORE, proprietaria dell'impianto. In totale, vengono trattate nell'impianto di via Manin circa. 70.000 t/anno. Complessivamente la popolazione equivalente servita dal termovalorizzatore CORE può essere stimata in circa 350.000 abitanti;
   come è noto, a partire dal 21 settembre 2010 è scaduta la convenzione CIP6/92 e, quindi, l'impianto di Sesto S.Giovanni è passato alla condizione di autoconsumo dell'energia prodotta e necessaria al suo funzionamento, cedendo la quota residua ai prezzi del mercato libero dell'energia elettrica;
   il costo dell'incentivazione alle fonti assimilate (inceneritori compresi) nel 2014, secondo dati rilasciati dal Gestore servizi energetici (GSE spa), è pari a 1,298 miliardi di euro, pagati dai cittadini nella componente a3 della bolletta elettrica;
   il 27 settembre 2012 al lab-meeting di Ravenna «no Ambiente», la dottoressa Anna Moretto, dell'Ente di Bacino Padova 2, durante la presentazione dell'analisi sulle tariffe degli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, mette, in risalto, nello specifico dell'impianto di incenerimento di Padova, come su una quantità di energia prodotta nell'anno 2010 pari a 15.275.616 kWh, 8.241.318 kWh sono utilizzati per autoconsumo per il funzionamento dell'impianto di incenerimento, 6.794.336 kWh sono ceduti al gestore dell'impianto di produzione CDR e compost presenti nell'impianto stesso e i rimanenti 239.962 kwh sono ceduti in rete al Gestore rete trasmissione nazionale (GRTN);
   il caso degli inceneritori di Padova e di Sesto San Giovanni porta a ipotizzare come la produzione energetica da incenerimento dei rifiuti costituisca una modalità non sostenibile sia nella gestione dei rifiuti stessi che sul versante energetico; infatti risulta che oltre all'autoconsumo diretto, una porzione considerevole dell'energia prodotta venga utilizzata in impianti connessi alla selezione dei rifiuti per l'immissione nell'inceneritore stesso (CDR; va chiarita, pertanto, l'eventuale incentivazione della produzione di questa quota energetica (dai dati della professoressa Moretto sembrerebbe più redditizio il consumo da parte degli impianti della filiera che la cessione in rete;
   il giorno 30 settembre 2015 è stata presentata in Commissione ambiente l'interrogazione a risposta immediata (n. 5-06513). Tuttavia, la risposta del Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare è risultata del tutto insufficiente alle richieste espresse nel dispositivo –:
   se il Ministro dello sviluppo economico, per quanto di propria competenza, non ritenga di assumere opportune iniziative di osservazione costante e riesame della normativa in materia di erogazione degli incentivi per le energie rinnovabili, con particolare attenzione agli incentivi economici riconosciuti ai gestori degli impianti di incenerimento di rifiuti (CIP6 e «certificati verdi») per la mera cessione in rete dell'energia prodotta al GRTN, attraverso attenta valutazione della reale quantità di energia ceduta in rete, dell'energia autoconsumata o utilizzata negli impianti della stessa filiera, dell'indice di ritorno energetico (EROEI) e della valutazione economica globale dell'incenerimento dei rifiuti;
   se il Governo, considerate le criticità su emerse, non ritenga necessario assumere opportune iniziative di verifica e comparazione economica durante il tempo in cui sono stati erogati gli incentivi per le energie rinnovabili e dopo la scadenza di tale stanziamento (CIP6 e «certificati verdi»), in virtù del principio di sostenibilità economica degli impianti di incenerimento;
   se i Ministri, per quanto di competenza, non ritengano opportuno disporre verifiche sugli esiti delle attività di produzione energetica, atte a dimostrare la reale necessità di garantire la sicurezza nazionale attraverso la gestione dei rifiuti finalizzata all'autosufficienza, affinché essa stessa non comporti il depauperamento delle risorse economiche e ambientali necessarie alla realizzazione della filiera virtuosa dei rifiuti. (5-06563)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alitalia Maintenance Systems è l'unica azienda in Italia ad eseguire manutenzione su motori aeronautici di grandi dimensioni;
   la società è partecipata al 15 per cento da Alitalia CAI S.p.A., al 19 per cento da European Advanced Technology S.A., società israeliana che svolge i medesimi compiti, e al 66 per cento da Iniziativa Prima spa;
   ad oggi, AMS è il manutentore esclusivo dei motori Alitalia per la flotta A320, con un contratto in vigore fino al 2022;
   in base agli accordi contrattuali, qualora AMS non dovesse essere più in grado di operare, il socio israeliano dovrebbe farsi carico delle attività non svolte da AMS, con la conseguenza che i motori di Alitalia verrebbero revisionati a Tel Aviv;
   l'Alitalia fa revisionare una media di venti motori all'anno, per un costo di tre milioni di euro l'uno e, quindi, il fatturato annuo generato dalla revisione dei motori dei velivoli Alitalia è pari a sessanta milioni di euro che, in caso di fallimento di AMS, passerebbero al socio israeliano;
   il socio israeliano, insieme agli altri soci presenti nel consiglio di amministrazione di AMS, ha deliberato la proposta di istanza di fallimento in proprio della società;
   il salvataggio dell'azienda richiede, oggi, un versamento di una quota pari a dieci milioni di euro per acquisire la maggioranza di un'azienda che, puntando su motori Alitalia e su un minimo di volumi di clienti terzi, potrebbe facilmente arrivare a fatturare cento milioni di euro l'anno;
   con un investimento di circa quattro milioni di euro l'officina potrebbe essere rinnovata e portata ad acquisire nuove capability industriali su motori aeronautici civili e militari e su motori industriali, fatto che consentirebbe di raddoppiare il bacino dei potenziali clienti disponibili sul mercato, garantendo un ritorno dell'investimento in meno di un biennio;
   viceversa, la chiusura di AMS comporterebbe la perdita di un know how unico nel Paese ed avrebbe un impatto negativo su molte aziende italiane ad essa collegate e che da essa prendono commesse, quali la ECOR Research di Schio, la MetalPlasma di Brescia, la Sift e l'Eurcomas di Roma, la Fantini di Frosinone, la Prema, la Platanet, la Civitella Galvaniche, la SanafullSystems di Roma, e molte altre;
   attualmente si attende il verdetto del tribunale di Roma in merito al concordato preventivo, faticosamente elaborato con i creditori e all'eventuale fallimento della società –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento alla vicenda di cui in premessa, anche nell'ambito del tavolo di trattativa già convocato, al fine di salvaguardare una importante realtà industriale del Paese e mantenere i livelli occupazionali. (4-10630)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Benamati e altri n. 1-00996, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pastorelli.

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Vargiu e altri n. 1-00995, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capelli e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Vargiu, Capelli, Mazziotti Di Celso, Galgano».

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Capozzolo e altri n. 7-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Capone, Mariano.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Martella e altri n. 4-10363, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Naccarato.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interpellanza Chiarelli n. 2-01090, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 489 del 24 settembre 2015.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le detrazioni per carichi di famiglia spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscano possiedano un reddito complessivo non superiore ad euro 2.840,51;
   l'importo del reddito come sopra indicato, è stato fissato nel lontano 1986 dal Governo Craxi ed è rimasto immutato sino ad ora, ossia per ben 29 anni e nonostante l'innegabile aumento del costo della vita e l'introduzione dell'euro;
   per effetto quindi di quanto statuito all'articolo 12 del testo unico sulle imposte dei redditi, quando uno dei due genitori muore, la pensione di reversibilità va anche ai figli pro quota, ma, se l'importo del rateo pensionistico spettante a ciascuno dei figli supera euro 2.840,51 all'anno, gli orfani perdono anche il diritto di restare a carico dell'altro genitore;
   il genitore superstite si ritrova vedovo, senza i figli a carico ed impedito dal poter detrarre le spese mediche, sportive, universitarie e quant'altro e ciò per una norma vecchia di trent'anni non adeguata all'attuale potere di acquisto della moneta;
   la situazione che deriva dal decesso di un genitore è dunque fortemente dannosa per il nucleo familiare superstite che, oltre a dover affrontare il grave lutto, per la legge italiana cessa di essere considerato ancora famiglia;
   vi è dunque palese sperequazione tra la situazione familiare ove siano viventi entrambi i genitori e quella in cui vi sia un solo genitore superstite;
   nel primo caso, i redditi dei due genitori non vengono a cumularsi, i figli sono portati a carico, i genitori godono delle detrazioni e possono dedurre le spese che il loro mantenimento comporta;
   diversamente, il genitore vedovo, pur percependo una frazione ridotta di pensione di reversibilità, si vede privato delle stesse agevolazioni previste nel primo caso esaminato allorquando dovrebbe essere maggiormente tutelato dallo Stato;
   il genitore superstite inoltre per effetto della «legge Dini» n. 335 del 1995 è costretto a subire l'ulteriore ingiustizia di veder cumulati ai fini Irpef il reddito derivante dalla propria attività lavorativa con quello relativo alla frazione di pensione di reversibilità goduta e ciò con un aggravamento della sua posizione fiscale nei confronti dello Stato;
   mentre infatti erano in vita entrambi i genitori ciascuno di essi era tenuto al versamento dell'Irpef in proporzione al proprio reddito prodotto, in caso di decesso di un genitore, invece, il superstite si vede applicare il cumulo fra la pensione di reversibilità ed il reddito derivante dalla propria attività lavorativa con un aggravio di imposte secondo l'interpellante incostituzionale che porta quest'ultimo a versare l'Irpef sulla base di un artificioso aumento dello scaglione;
   le pensioni indirette o di reversibilità sono previdenza e quindi salario differito e contributi versati da chi non c’è più e non provvidenza intesa come assistenzialismo e meritano quindi un trattamento adeguato alla situazione, posto che l'attuale coacervo di leggi spesso contraddittorie determinano ad avviso dell'interpellante profili di incostituzionalità fiscale (violazione dell'articolo 53 della Costituzione) e di ineguaglianza (violazione dell'articolo 3 della Costituzione) –:
   se ed in che modo, ma soprattutto in che tempi, intendano risolvere concretamente la situazione di forte sperequazione fiscale a cui sono soggetti i genitori superstiti sia in ordine al cumulo dei redditi (pensione di reversibilità e proprio reddito da lavoro) che fa scattare aumenti dello scaglione Irpef, sia in ordine al sistema delle detrazioni, sia con riferimento al limite massimo di reddito per godere di esse;
   se intendano seriamente prendere in considerazione l'innalzamento del limite massimo di reddito per i genitori vedovi affinché possano godere delle detrazioni per i propri figli e assumere iniziative per prevedere per gli stessi genitori vedovi la separata tassazione del reddito pensionistico e di quello derivante dalla propria attività lavorativa.
(2-01090) «Chiarelli».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Marroni n. 4-09885 del 17 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-09911 del 20 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Artini n. 4-10191 del 5 agosto 2015;
   interrogazione a risposta scritta D'Agostino n. 4-10302 del 10 settembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Capone n. 5-06425 del 18 settembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Barbanti n. 4-10550 del 30 settembre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Turco e altri n. 5-05544 dell'8 maggio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10628;
   interrogazione a risposta in Commissione Mura n. 5-05844 del 18 giugno 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10629.