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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 28 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    nel quadro complessivo di crisi economica di questo periodo, uno dei fattori che determinano il blocco dello sviluppo del Paese è sicuramente la carenza e l'inadeguatezza delle infrastrutture nel settore dei trasporti;
    il sistema infrastrutturale del Sud Italia, secondo quanto evidenziato anche dai rapporti Istat e Svimez, risulta decisamente meno sviluppato rispetto al resto del Paese e tra le regioni del Mezzogiorno che soffrono maggiormente questo divario vi è certamente la Calabria;
    in Calabria, così come peraltro riscontrato in altre regioni del Sud Italia, il complesso sistema dei trasporti e dei collegamenti con il resto del Paese composto da strade, autostrade, ferrovie, da porti ed aeroporti, sconta un pesantissimo quadro di perduranti ritardi e di inefficienze nell'ammodernamento e sviluppo della rete regionale;
    la carenza delle reti infrastrutturali dei trasporti calabresi riveste, ormai da diverso tempo, il carattere della precarietà, provocando notevoli disagi sia ai residenti in Calabria sia ai turisti, nonché a tutti coloro che si trovano a transitare nella medesima regione;
    addirittura nel rapporto Svimez del 2008, il sistema infrastrutturale del Sud Italia è definito come un «non sistema dei trasporti» presentandosi periferico e diviso, non solo rispetto al cuore del sistema produttivo nazionale, ma anche rispetto alle opportunità del Mediterraneo e dei traffici provenienti dall'Oriente. Il Sud Italia è caratterizzato da carenza di collegamenti per la mobilità interregionale e per la logistica territoriale e dall'assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto;
    a determinare questo stato è certamente anche la rilevante differenza di investimenti nel settore delle infrastrutture tra Nord e Sud, a vantaggio delle regioni del Centro-Nord, indotta non solo dalla mancata spesa dei fondi statali e comunitari assegnati alle regioni del Mezzogiorno, che in molti casi non hanno avuto la capacità di spenderli bene o nei tempi programmati, ma anche da evidenti tagli alle risorse, da distrazione dei fondi utilizzati e dalla sostituzione di fondi di competenza nazionale con fondi comunitari;
    come evidenzia il rapporto annuale del Cresme sull'attivazione della «legge obiettivo», al 31 dicembre 2014, infatti, risulta una sperequazione tra gli investimenti infrastrutturali al Centro-Nord per 192.137 milioni di euro, pari al 67,4 per cento del totale, e per 90.469 milioni di euro per il Sud, pari al 31,7 per cento;
    per quanto riguarda la riduzione delle risorse, sarebbe da evidenziare il taglio di quelle destinate alla coesione territoriale operato tramite la legge di stabilità per il 2015, che ha ridotto di 4,5 miliardi di euro l'importo delle risorse destinate al piano di azione e coesione, che finanzia in gran parte infrastrutture nel Mezzogiorno, e ha ridotto di 1,8 miliardi di euro le risorse del fondo sviluppo e coesione, di cui 540 milioni di euro relativi alle 6 regioni del Mezzogiorno a statuto ordinario;
    per quanto riguarda poi l'utilizzo delle risorse per scopi diversi, secondo quanto si evince dalle analisi del bilancio dello Stato, risulta che, nel corso degli ultimi anni, si sia verificata una distrazione delle risorse destinate alle infrastrutture da una molteplicità di capitoli ordinari a pochi «maxi-capitoli», con una crescente concentrazione delle risorse nei maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione;
    le stime dell'Ance, di Confindustria e del Cresme evidenziano la grande portata delle risorse distratte dai capitoli ordinari: i due maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione rappresentano oggi tra il 40 ed il 45 per cento delle risorse destinate ogni anno dallo Stato alle infrastrutture e all'adeguamento del territorio. Appare, dunque, strategico il celere utilizzo di queste risorse proprio in ragione del contesto in cui versa il nostro Paese e soprattutto il Sud, nel quale le risorse pubbliche a disposizione dell'infrastrutturazione sono ai livelli minimi degli ultimi 20 anni;
    come già premesso, i problemi che interessano maggiormente il sistema infrastrutturale dei trasporti della regione Calabria riguardano le principali arterie stradali, ovvero l'autostrada A3, la strada statale n. 106 e la strada statale n. 18, e i collegamenti ferroviari;
    in particolare, i tre collegamenti stradali risultano da molti anni interessati da continui lavori di manutenzione e di messa in sicurezza e, di conseguenza, sono causa di notevoli disagi per automobilisti e trasportatori;
    l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è ormai da anni oggetto di interminabili lavori di rifacimento e manutenzione, nonostante rappresenti il collegamento stradale più importante della regione Calabria: è, infatti, il principale asse di trasporti del Sud Italia, è di enorme importanza economica e commerciale per tutto il Meridione, in quanto unica arteria che percorre il versante sud-occidentale della penisola, nodo di traffico di enorme rilievo per i collegamenti e l'approvvigionamento di merci e beni di prima necessità, ed è l'unica di grande scorrimento che collega la Sicilia alla rete autostradale italiana ed europea;
    la precarietà dell'infrastruttura e i continui lavori di miglioramento e di manutenzione nel corso degli anni sono, ovviamente, causa di numerosi incidenti e decessi, tanto che nel volume «Incidentalità nelle regioni d'Italia (2013)» dell'Istat l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria risulta tra la prime dieci per numero di sinistri;
    nonostante i tangibili miglioramenti apportati nel corso del tempo, l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria resta, dopo ben 49 anni, il cantiere più lungo di tutta Europa e il suo stato è causa di pesanti ricadute non solo sull'economia ma anche sul comparto turistico;
    è necessario, però, evidenziare il recente, seppur ancora non sufficiente, impegno del Parlamento e del Governo volto a supportare il completamento delle opere relative all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria tramite il decreto-legge «sblocca Italia»: il Ministro dell'economia e delle finanze, infatti, ha firmato a marzo 2015 il decreto interministeriale che finanzia gli ultimi due miliardi di euro del pacchetto totale di 3,9 miliardi di euro, destinato dal decreto-legge «sblocca Italia» alle infrastrutture. A valere su queste risorse, sono stati destinati 381 milioni di euro per lavori di ammodernamento e adeguamento dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano (incluso) allo svincolo di Altilia, e 38 milioni di euro per lo svincolo Lauretana Borrello;
    l'altro collegamento stradale primario per la Calabria è rappresentato dalla strada statale n. 106, strada che collega Taranto con Reggio Calabria, fondamentale per i collegamenti tra la Calabria, la Puglia e l'autostrada A14, oltre che per il trasporto interno fra l'area della Sibaritide, il Crotonese, lo Ionio catanzarese, la Locride e il versante sud-orientale dell'Aspromonte;
    anche in questo caso, i lavori di ammodernamento procedono lentamente a causa di problemi burocratici e procedurali diversi e le sue condizioni la rendono insicura, tanto da essere considerata dal predetto studio dell'Istat come «la strada più pericolosa d'Italia» a causa degli altissimi indici di lesività e mortalità;
    la strada statale n. 106 (491 chilometri di cui 405 ricadenti nella regione Calabria) risulta, infatti, inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico a causa di rilevanti problemi infrastrutturali, della presenza di lunghi tratti a due corsie di marcia a frequenti accessi non autorizzati, fuori norma o non segnalati, di un manto stradale in pessime condizioni ad attraversamenti dei centri abitati e di un'illuminazione spesso carente;
    la strada statale n. 18 «Tirrena inferiore» (535 chilometri di cui 236 in territorio calabrese) risulta chiusa in più punti a causa di lavori di manutenzione con la presenza di una miriade di sensi unici alternati; anche in questo caso, il precario stato della terza arteria calabrese produce effetti negativi su trasporti, economia e turismo;
    per quanto riguarda il sistema infrastrutturale ferroviario, vi è da riscontrare l'insufficiente posizionamento nella rete nazionale ad alta velocità, benché i servizi di quest'ultima siano notoriamente operati in regime di libero mercato. In ogni caso, resta, e andrebbe risolto, il problema del mancato collegamento ferroviario ad alta velocità: nello specifico, non risulta alcun treno Frecciarossa che colleghi la Calabria al resto d'Italia, mentre il trasporto ferroviario semi-veloce è limitato ad un solo Frecciargento e due Frecciabianca;
    nonostante sussistano disservizi evidenti, c’è da evidenziare l'impegno dello Stato ad accogliere e a tentare di risolvere le problematiche esistenti. Infatti, l'offerta ferroviaria riguardante la Calabria, sovvenzionata dallo Stato attraverso il contratto di servizio pubblico per i servizi ferroviari passeggeri per la media e lunga percorrenza, è stata oggetto di attenta analisi nel corso del precedente contratto di servizio pubblico per i servizi ferroviari passeggeri per la media e lunga percorrenza 2009-2014 per soddisfare, per quanto possibile, le richieste pervenute dalle istituzioni locali, che hanno rappresentato le esigenze degli utenti calabresi, anche nel limite delle risorse disponibili e del rispetto degli impegni assunti nel contratto vigente. Altrettanto si punta ad effettuare nella riprogrammazione dell'offerta nel nuovo contratto di servizio a media e lunga percorrenza che si intenderebbe affidare quanto prima;
    un problema considerevole sembrerebbe rappresentato anche dalla mancanza di un trasporto ferroviario adeguato sulla dorsale jonica. I servizi, infatti, vengono erogati quasi esclusivamente lungo la dorsale tirrenica in quanto dotata di una rete infrastrutturale migliore rispetto a quella jonica, caratterizzata da un unico binario non elettrificato con corse operate su base regionale;
    per quanto concerne le problematiche di potenziamento del sistema portuale, c’è da evidenziare lo stato del porto di Gioia Tauro che necessità di miglioramenti al fine di poter rappresentare un moderno sistema logistico per il trasporto delle merci ed un collegamento marittimo efficiente verso l'Europa;
    anche in questo caso è recente l'impegno politico del Governo, seppur con obiettivi non raggiungibili nel breve termine. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, infatti, ha pubblicato a settembre 2015 il programma operativo nazionale infrastrutture e reti 2014-2020, stipulato nell'autunno 2014 tra la Commissione europea e l'Italia. Il programma ha un budget complessivo di 1,8 miliardi di euro, di cui il 75 per cento rinveniente dal fondo europeo di sviluppo regionale, cioè 1,382 miliardi di euro, e il 25 per cento di cofinanziamento nazionale, 460 milioni di euro circa, come stabilito dall'accordo di partenariato; la finalità del piano è la promozione di sistemi di trasporto sostenibili e l'eliminazione delle strozzature nelle principali infrastrutture di rete, attraverso il finanziamento di progetti collocati in 5 regioni del Sud, tra cui la Calabria;
    proprio nell'ambito del predetto piano, è stato inserito il polo logistico di Gioia Tauro per investimenti finalizzati ad accogliere navi di nuova generazione, potenziandone la dotazione infrastrutturale con priorità attribuita all'approfondimento dei fondali e all'ampliamento della lunghezza delle banchine e della dotazione dei piazzali;
    per quanto riguarda la situazione dei collegamenti aerei, vi è da registrare, da un lato, la scarsa attenzione dei vettori rispetto ai servizi offerti ai cittadini della regione Calabria, con riferimento ai carenti collegamenti aerei e all'inadeguatezza del servizio aeroportuale, e dall'altro l'impossibilità dello Stato stesso ad intromettersi nelle scelte operative e gestionali dei vettori ai sensi del regolamento (CE) 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008. Secondo il provvedimento, infatti, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nell'Unione europea, qualsiasi determinazione in merito alle rotte da realizzare e agli operativi con i quali svolgere i servizi sulle rotte stesse è ricondotta unicamente alla libera valutazione del vettore;
    il Consiglio dei ministri ha approvato, però, ad agosto 2015 uno schema di decreto del Presidente della Repubblica recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione. In linea con quanto riportato nello schema di piano nazionale degli aeroporti, tale schema di decreto del Presidente della Repubblica ha suddiviso gli scali nazionali in 38 aeroporti di interesse nazionale, tra cui Lamezia Terme, Crotone e Reggio Calabria, e ha individuato 12 aeroporti strategici, tra i quali quello di Lamezia Terme;
    gli aeroporti così individuati rappresentano, dunque, nodi essenziali per l'esercizio delle competenze esclusive dello Stato, tenendo conto delle dimensioni e della tipologia del traffico, dell'ubicazione territoriale e del ruolo strategico dei medesimi, nonché di quanto previsto nei progetti europei Ten. Il provvedimento è finalizzato allo sviluppo del settore all'interno di una governance che contemperi le esigenze della domanda di traffico nazionale e internazionale con quelle di sviluppo dei territori, di potenziamento delle infrastrutture necessarie, di utilizzo proficuo delle risorse pubbliche impiegate e di efficientamento dei servizi di navigazione aerea e degli altri servizi resi in ambito aeroportuale;
    l'impegno del Governo a voler risolvere le annose problematiche relative al settore dei trasporti del Sud Italia, e quindi anche di quelle attinenti alla Calabria, si evince dal recente annuncio di futuri patti operativi con regioni e città metropolitane del Sud, al fine di selezionare e realizzare in tempi certi e brevi una serie di grandi opere che saranno oggetto del nucleo fondamentale del nuovo documento pluriennale di programmazione, le cui risorse saranno probabilmente da ricercare tra fondi strutturali europei della nuova programmazione 2014-2020, fondi nazionali di cofinanziamento e fondo di sviluppo e coesione;
    il recente incontro tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione Calabria, nel corso del quale si è discusso delle possibili soluzioni ai problemi relativi al settore dei trasporti, è la prova tangibile dell'interessamento dell'Esecutivo al miglioramento definitivo delle infrastrutture calabresi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ridurre gradualmente e secondo obiettivi definiti e programmati il divario infrastrutturale nel settore dei trasporti tra le regioni del Sud Italia e quelle del Centro-Nord, con particolare riferimento alla rete autostradale e ferroviaria;
   ad assumere iniziative per completare i lavori di sviluppo infrastrutturale progettati da Rete ferroviaria italiana, con particolare riferimento alla necessità di potenziare i servizi e i collegamenti di Trenitalia nelle regioni del Sud Italia, al miglioramento dell'alta velocità e dell'alta capacità e all'introduzione di nuove tratte veloci in aree del Mezzogiorno ancora non coperte;
   a garantire che la programmazione infrastrutturale rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei e fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 e 2014-2020, evitando di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
   a rafforzare l'azione dell'Agenzia di sviluppo e coesione nel supportare efficacemente le regioni del Mezzogiorno, e della Calabria in particolare, nella programmazione dei fondi europei affinché essa sia strutturata e coerente con gli obiettivi e, soprattutto, integrata tra le stesse regioni e affinché possa garantire la tempestiva redazione dei relativi progetti, promuovendo la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli interventi e della conseguente spesa;
   ad istituire un tavolo permanente per la predisposizione e l'attuazione di un piano di emergenza per i trasporti in Calabria;
   a valutare la fattibilità tecnica ed economica per il potenziamento della rete ad alta velocità per la regione Calabria, con particolare riferimento all'istituzione dell'alta velocità tra Battipaglia e Reggio Calabria e dell'ammodernamento e miglioramento dei servizi ferroviari della fascia ionica;
   ad attuare ogni utile iniziativa al fine di definire, in tempi brevi e certi, l’iter conclusivo dei lavori dell'intero tratto dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria;
   ad adottare misure volte al miglioramento del sistema infrastrutturale stradale della regione Calabria, con particolare riferimento a interventi di ammodernamento e di messa in sicurezza della strada statale n. 106 e della strada statale n. 18;
   ad adottare ogni utile iniziativa al fine di migliorare e potenziare l'infrastruttura portuale di Gioia Tauro nell'ambito delle previsioni del «piano operativo nazionale trasporti»;
   a valutare l'opportunità di attivare le procedure per il riconoscimento della zona economica speciale per l'area di Gioia Tauro, al fine di accelerare lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio, nonché per potenziare le attività e la competitività del porto rispetto agli altri scali transfrontalieri;
   a valutare l'opportunità di istituire un'autorità portuale unica per tutta la portualità calabrese e di favorire il collegamento ferroviario con i porti di Corigliano e Crotone, nonché la realizzazione del gateway a Gioia Tauro;
   a valutare l'opportunità di realizzare investimenti per il miglioramento e il potenziamento delle infrastrutture degli aeroporti calabresi e dei relativi collegamenti.
(1-01001) «Matarrese, Monchiero, Dambruoso, D'Agostino, Vargiu, Antimo Cesaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è stata istituita attraverso gli accordi di Marrakech il 15 aprile 1994, durante l’Uruguay Round, trasformando il precedente accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio denominato GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) in un'organizzazione internazionale dotata di personalità giuridica;
    la governance dell'OMC si divide in organi amministrativi e organi decisionali, che rappresentano gli Stati membri. Gli organi decisionali sono: la conferenza ministeriale, che si riunisce ogni due anni e ha il potere di decidere su qualsiasi questione; il consiglio generale, incaricato di svolgere le funzioni dell'Organizzazione quando la conferenza non è riunita, di risolvere le controversie e di controllare le politiche commerciali;
    ai sensi dell'articolo IX dell'accordo istitutivo, l'OMC si attiene alla prassi decisionale del consensus secondo la quale una decisione s'intende adottata, senza ricorrere al voto, se nessuno dei membri presenti in seduta si oppone formalmente alla delibera e si decide votando a maggioranza solo se risulta impossibile raggiungere il consenso. Tuttavia, anche se il ricorso al voto è quasi sempre ammesso sul piano formale, nella prassi esso è precluso dalla stretta osservanza, da parte dei membri, della regola non scritta secondo cui le decisioni di un certo rilievo si prendono esclusivamente per consensus;
    l'Unione europea (le Comunità europee nella terminologia ufficialmente in uso presso l'OMC) è membro originario dell'OMC e ne rappresenta tutti gli Stati membri in virtù della competenza esclusiva in materia di politica commerciale assegnata all'Unione;
    il 12 dicembre 2001 la Cina, a seguito di lunghe trattative, è entrata a far parte dell'OMC attraverso la sottoscrizione di un accordo di accesso. Nonostante la Cina sia stata ammessa nell'Organizzazione, non ha ricevuto il riconoscimento di economia di mercato, pertanto il predetto accordo prevede, in particolare al suo articolo 15, delle restrizioni specifiche (misure antidumping) che gli altri membri dell'OMC possono applicare nei confronti di questo Stato, derogando parte degli accordi presi. Il predetto articolo 15 dell'accordo di accesso sembrerebbe prevedere, seppure con interpretazioni discordanti, che la maggior parte delle suddette deroghe dovrebbero decadere dopo 15 anni dall'ingresso della Cina nell'organizzazione, ovvero nel dicembre 2016;
    il regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri dell'Unione europea, definisce, all'interno dell'Unione medesima, il calcolo del dumping, la procedura relativa all'apertura e allo svolgimento successivo delle inchieste, l'istituzione di misure provvisorie e definitive, nonché la durata e il riesame delle misure antidumping. Il regolamento ha trasposto le norme antidumping contenute nell'accordo sull'applicazione dell'articolo VI dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994. Il regolamento prevede che sia la Commissione europea a valutare l'esistenza di misure di dumping,

impegna il Governo

ad attivarsi urgentemente nelle opportune sedi istituzionali, siano esse interne all'Unione europea o nell'ambito della partecipazione diretta o indiretta all'Organizzazione mondiale del commercio affinché alla Cina non venga riconosciuto lo status di economia di mercato e quindi non decadano le misure protettive interne all'Unione europea, in particolare per i settori chiave dell'economia italiana, che il riconoscimento delle Cina quale economia di mercato comporterebbe.
(1-01002) «Gallinella, Nuti, Ferraresi, Manlio Di Stefano, Frusone, Caso, Pesco, Simone Valente, Mannino, Dell'Orco, Da Villa, Cominardi, Grillo, L'Abbate, Battelli».


   La Camera,
   premesso che:
    con la presentazione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il Governo italiano si appresta a rivedere al rialzo le stime di crescita per il Paese (+0,9 per cento; migliorano sensibilmente anche il dato sull'export (+6,3 per cento) e – secondo le ultime previsioni di Confcommercio – quello relativo ai consumi (+2,1 per cento);
    affinché queste tendenze positive diventino un dato strutturale è necessario un insieme di interventi volti principalmente a rilanciare gli investimenti pubblici;
    rispetto a questo obiettivo, si rivela strategica la possibilità degli enti locali di attivare la spesa in conto capitale;
    in conseguenza di numerosi interventi normativi finalizzati al risanamento dei conti e alla progressiva diminuzione dell'indebitamento, alcuni enti locali sarebbero nelle condizioni di estinguere anticipatamente i mutui contratti;
    le procedure per svolgere questa operazione, sia presso la Cassa depositi e prestiti sia presso altri 2 istituti bancari, possono prevedere la corresponsione di un indennizzo oltre alla restituzione del capitale residuo;
    l'entità dei suddetti indennizzi supera spesso, per i mutui a tasso fisso, il 15 per cento del capitale da rimborsare, configurandosi come una sorta di «penalità»;
    sull'argomento, in particolare sugli indennizzi dovuti per l'estinzione dei mutui erogati dalla Cassa depositi e prestiti, sono già stati presentati numerosi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo: l'interrogazione a risposta immediata in commissione finanze n. 5-00975, l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-01410, l'interpellanza urgente n. 2-00922 e la mozione n. 1-00861;
    il Governo ha sempre sostenuto che l'indennizzo, previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari regolati a tasso fisso, concessi dalla Cassa depositi e prestiti, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista, necessaria ai fini della concessione del finanziamento e i tassi di mercato, vigenti al momento del rimborso anticipato. Pertanto, a fronte di una sua riduzione, potrebbero verificarsi significative conseguenze per la Cassa depositi e prestiti in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
    questo orientamento, però, non è stato sufficientemente suffragato dall'analisi e dalla presentazione di dati disaggregati, su un campione realmente rappresentativo;
    l'importanza dell'ammontare dell'indennizzo disincentiva la conclusione di una operazione che consentirebbe agli enti locali di ridurre l'indebitamento pubblico e di spendere l'avanzo di amministrazione, altrimenti non utilizzabile, visti i limiti imposti dal patto di stabilità;
    in un contesto di grande criticità della finanza locale sarebbe importante consentire agli enti territoriali la possibilità di destinare tutte le risorse potenzialmente attivabili agli investimenti e alla crescita,

impegna il Governo:

   a presentare una relazione al Parlamento che contenga i dati disaggregati relativi ai mutui accesi dagli enti territoriali con i diversi istituti bancari e con Cassa depositi e prestiti (con particolare riferimento alle seguenti classi demografiche: da 0 a 5000 abitanti, da 5000 a 15.000 e oltre i 15.000 abitanti e l'ammontare medio per comparto, specificando quale sia il tasso di interesse medio applicato e l'entità media dell'indennizzo;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per contenere l'entità dell'indennizzo, nella misura massima del 7 per cento rispetto al capitale da rimborsare, e ad attivare, anche attraverso la sottoscrizione di un accordo con l'Associazione bancaria italiana, tutti gli strumenti necessari per ridurne il più possibile l'importo.
(1-01003) «Fragomeli, Marchi, Galperti, Giuseppe Guerini, Giulietti, Rampi, Gadda, Borghi, Lodolini, Fossati, Cominelli, Gasparini, Manfredi, Fabbri, Moretto, Patriarca, D'Incecco, Antezza».


  La Camera,
   premesso che:
    in Calabria sono presenti tre arterie stradali, l'autostrada A3, la strada statale n. 106 «Jonica» e la strada statale n. 18, che collegano la regione al resto d'Italia e tutte e tre sono attualmente e contemporaneamente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza, con disagi notevoli per automobilisti ed autotrasportatori;
    il tratto cosentino dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è chiuso per verifica tecnica a seguito del crollo del vecchio «viadotto Italia» costato, peraltro, la vita ad un giovane operaio venticinquenne;
    a seguito del crollo del viadotto la procura di Castrovillari ha disposto una perizia per accertare l'entità dei danni riportati dal nuovo ponte che gli corre accanto, investito dal tracollo di un troncone del primo, costringendo quindi alla deviazione del flusso veicolare su percorso alternativo;
    la strada statale n. 106, cosiddetta Jonica, è del tutto inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico a causa di una serie criticità infrastrutturali storiche dovute ad un'errata progettazione della stessa, oltre che per la carente illuminazione, la pessima manutenzione del manto stradale, la presenza di un guard-rail completamente fuori norma e una cartellonistica stradale a tratti fatiscente e in stato di degrado, e per questi motivi detiene il triste primato di essere la strada più pericolosa d'Italia, tanto da essere stata soprannominata «strada della morte»;
    i lavori del «megalotto3», che interessano proprio la strada statale n. 106 nel tratto tra Sibari e Crotone, non sono ancora stati approvati e tantomeno dati in appalto;
    la strada statale n. 18 «Tirrena inferiore» è chiusa in più tratti a causa di lavori di manutenzione ed è attualmente interessata da percorrenza a senso unico alternato in tratti saltuari;
    da decenni si susseguono richieste d'investimento nel miglioramento della rete infrastrutturale calabrese senza trovare accoglimento, al punto che sono decenni che, tra rinvii e mancate approvazioni, vengono negati alla strada statale n. 106 Jonica i lavori di ampliamento previsti nel «megalotto 3» di cui sopra;
    le difficoltà infrastrutturali del territorio calabrese sono aggravate da aeroporti regionali del tutto inadeguati a far fronte alla crescente domanda di servizi e dal fatto che la carente rete ferroviaria sta subendo un ulteriore aggravio a causa dell'incomprensibile scelta di Trenitalia di chiudere le stazioni sulla tratta jonica, con conseguente soppressione dei treni, in ossequio ad un'illogica spending review;
    per quanto attiene agli scali aeroportuali, versano in grande difficoltà sia l'aeroporto di Foggia, che continua ad essere in attesa che siano realizzate le necessarie opere di allungamento della pista, sia quello di Crotone, gravato da criticità economiche e difficoltà di gestione in seguito alla sentenza di fallimento della sua società di gestione;
    inoltre, l'aeroporto di Crotone allo stato sembra essere stato escluso dal contratto di programma dei servizi di Enav per il triennio 2016-2018, nonostante esso sia classificato tra gli scali a rilevanza nazionale nell'ambito del «piano nazionale degli aeroporti» e che lo stesso piano prevedesse un potenziamento di tali scali sia dal punto di vista delle infrastrutture sia per quanto riguarda l'accessibilità ad essi, ai fini del miglioramento sia della domanda sia della qualità dei servizi;
    anche in considerazione del regolamento europeo «Orientamenti della Commissione europea sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree» del marzo 2014, lo scalo crotonese deve essere messo in grado di poter competere con gli altri scali nazionali, anche dal punto di vista dei servizi e dei relativi costi, e appare incomprensibile il motivo per il quale sia l'unico scalo di interesse nazionale che abbia dovuto sottoscrivere un contratto di natura privatistica e oneroso con l'Enav;
    dal mese di novembre 2014 al giugno 2015 lo scalo crotonese ha movimentato oltre centocinquantamila passeggeri e si è confermato come uno scalo importantissimo per concorrere a far uscire il crotonese dall'isolamento territoriale, anche in previsione di un ulteriore aumento dei suoi utenti;
    a fronte delle enormi difficoltà legate ad una carente e ormai insostenibile rete stradale e ferroviaria, l'aeroporto di Crotone rappresenta una delle più importanti infrastrutture della Calabria ionica centro-settentrionale, insistendo su un'area con un bacino di utenza di circa 450.000 abitanti, pari circa il 25 per cento dell'intera popolazione calabrese;
    le carenze infrastrutturali rendono altamente difficoltosa la fruibilità del territorio e determinano gravi disagi per le attività produttive del territorio calabrese, in particolar modo per l'agricoltura ed il turismo, soprattutto nei mesi estivi;
    la regione Calabria è quasi completamente isolata dal resto della penisola per l'inadeguatezza delle infrastrutture dei trasporti alle esigenze del territorio, per quanto riguarda sia i trasporti aeroportuali, sia i trasporti su gomma, sia i trasporti su strada ferrata;
    il ritardo infrastrutturale concorre a determinare la crisi del sistema economico e produttivo della regione, con l'aumento della povertà e della disoccupazione, e ad allargare il divario rispetto alle regioni settentrionali italiane ed europee in termini di mancanza di competitività e di sviluppo dei territori;
    il piano di interventi infrastrutturali presentato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla Commissione europea nel mese di febbraio 2015, composto da settantuno progetti per un costo totale di sei miliardi di euro, rispetto al quale è stata avanzata la richiesta di contributo comunitario per quasi due miliardi e mezzo di euro da spendere entro il 2020, contiene opere solo in minima parte localizzate nel Sud Italia;
    la debolezza del sistema di trasporto in Calabria e in Sicilia è stato più volte evidenziato nel corso del dibattito relativo all'ipotesi della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina;
    l'aggiornamento dell'anagrafe delle opere pubbliche incompiute di interesse nazionale, recentemente pubblicato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha messo in luce come, delle 649 opere pubbliche che non sono state completate in Italia, il primato assoluto, con 93 opere incompiute, spetta proprio alla Calabria,

impegna il Governo:

   a varare tempestivamente un piano organico di sviluppo infrastrutturale per la Calabria, che favorisca il rilancio dell'economia e il miglioramento della competitività;
   a disporre con urgenza la cantierizzazione delle opere di completamento, sistemazione e ammodernamento della rete stradale e ferroviaria della Calabria, a tal fine prevedendo i necessari stanziamenti di risorse;
   in questo quadro, ad elaborare procedure e meccanismi che consentano la piena e tempestiva utilizzazione di tutte le risorse disponibili rivenienti dalla programmazione comunitaria;
   ad adottare ogni iniziativa utile in materia di vigilanza e controllo sulla gestione degli appalti e sulla loro esecuzione, nonché con riferimento al rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro nei cantieri della regione;
   a sostenere lo sviluppo degli aeroporti minori della regione, anche in considerazione della fondamentale funzione di traino che essi esercitano sull'economia locale.
(1-01004) «Rampelli, Cirielli, Taglialatela, Giorgia Meloni, La Russa, Maietta, Nastri, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La Commissione XI,
   premesso che:
    l'Unione europea, con atti di indirizzo, nel 2001 ha censurato il comportamento dell'amministrazione italiana, in quanto l'unica in Europa a non aver previsto nell'ordinamento pubblico l'area dei quadri, così come ampiamente disciplinato nell'impiego privato. Al riguardo, si ritiene necessaria l'introduzione nella pubblica amministrazione di una figura analoga a quella ben nota dei quadri nel lavoro privato, a cui siano riconosciute elevate responsabilità funzionali ed elevata preparazione professionale;
    la mancanza di tale figura ha determinato la proliferazione dell'affidamento fiduciario di incarichi e funzioni dirigenziali, generando un duplice ordine di storture:
   a) la corresponsione di indennità di funzioni dirigenziali costituenti aggravio per le casse dell'erario;
   b) l'attribuzione fiduciaria di incarichi ad personam in favore di soggetti non titolati, come ha dimostrato la recente sentenza, n. 37 del 2015, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi circa 1200 dirigenti delle agenzie fiscali;
    a tale riprovevole prassi, è possibile porre rimedio proprio attraverso l'istituzione di un'area contrattuale del tutto omologa a quella dei cosiddetti quadri che, come è noto, costituiscono il cuscinetto tra la classe impiegatizia e quella dirigenziale nell'ambito del lavoro privato;
    come predetto, l'assenza di tale figura era stata già censurata dal Parlamento europeo, a seguito dell'audizione, a Bruxelles, dei vertici della Dirstat, e ciò aveva condotto l'Italia ad adottate una norma, rimasta poi inattuata (articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), per l'introduzione dei vicedirigenti, figura rientrante nell'area-quadri. Sul punto, nel 2012, il Tar impose al Governo pro tempore di istituire la vicedirigenza, decisione ribadita anche dal Consiglio di Stato, che nominò persino un commissario, ad acta per ottemperare a questo obbligo. Tuttavia, nel medesimo anno, il Governo Monti, con decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ha abrogato la vicedirigenza determinandomi ad avviso del firmatario del presente atto un evidente conflitto istituzionale con i magistrati amministrativi. La questione attualmente pende anch'essa davanti alla Corte costituzionale;
   tanto premesso, prima della decisione dei giudici costituzionali, si ritiene opportuno che sia il Governo a reintrodurre la figura dei quadri all'interno dell'ordinamento pubblico,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative di competenza per definire le opportune disposizioni integrative del decreto legislativo, 30 marzo 2001, n. 165, al fine di introdurre l'area quadri nell'ordinamento del pubblico impiego e la conseguente figura giuridica.
(7-00787) «Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione del consiglio comunale di Prato n. 43 del 23 giugno 2011 è stata approvata la variante al regolamento urbanistico ai sensi dell'articolo 55 della legge regionale n. 1/05 per la modifica dell'assetto urbanistico del viale Leonardo da Vinci (cosiddetta declassata) e la localizzazione di un polo espositivo multifunzionale;
   con deliberazione del consiglio comunale n. 63 del 3 agosto 2011 è stato approvato il progetto preliminare dell'intervento di raddoppio del tratto di viale Leonardo da Vinci compreso tra via Marx ed il sottopasso di via Nenni, mediante la realizzazione di un viadotto sopraelevato. Si specifica che il problema di come risolvere il raddoppio è stato oggetto di approfonditi studi di fattibilità da parte dell'ufficio comunale, fino da quando fu redatto e sottoposto all'attenzione del consiglio comunale il PUM 2002-2004. Emerge che il problema principale delle code, e quindi dei costi sociali, è da imputarsi alla strettoia, in quanto la strada passa da due ad unica corsia. Questo induce costi sociali in termini di perdita di tempo, di costi di carburante e di inquinamento assolutamente insostenibili. Di conseguenza, delle varie soluzioni possibili per il raddoppio, è stata prescelta la soluzione a viadotto piloti, in quanto la soluzione di raddoppio interrato avrebbe impattato con il sistema fognario urbano ed in particolare con il collettore fognario che drena tutta la città a nord; lo spostamento di questo collettore avrebbe costi notevoli, oltre che esporre il sistema ad un elevato rischio idraulico. Di conseguenza, è stato redatto progetto preliminare per la realizzazione del raddoppio tra via Marx via Nenni, con soluzione in Piloti, cioè con viadotto a doppia corsia di marcia per ogni carreggiata, e cavalcavia in corrispondenza di via Roma e via del Purgatorio, mentre le rampe di arroccamento sono delimitate da pareti a retta (cioè da via Nenni a via del Purgatorio e da via Marx a via Roma);
   l'opera è stata inserita nell'accordo di programma Stato-regioni, stipulato il 16 giugno 2011 tra il Governo e la regione Toscana, per un importo di 16 milioni di euro interamente a carico dello Stato;
   con deliberazione della giunta comunale n. 361 del 13 settembre 2011 è stato impartito agli uffici, tra l'altro, l'indirizzo di redigere un progetto definitivo a stralcio del complessivo progetto di raddoppio del viale Leonardo Da Vinci, afferente al tratto compreso tra via del Purgatorio e via Nenni, in considerazione della necessità di eseguire quanto prima gli interventi occorrenti a migliorare la visibilità e la sicurezza dell'immissione nel sottopasso di via Nenni dalla cosiddetta declassata;
   con deliberazione della giunta comunale n. 267 del 17 settembre 2013 sono stati approvati il progetto esecutivo del primo stralcio funzionale (prima fase) di tale opera, afferente agli interventi da eseguire sulle rampe di accesso al cavalcavia al fine di migliorare la sicurezza della circolazione nel tratto in rilevato compreso tra via del Purgatorio e l'imbocco del sottopasso di via Nenni, ed il progetto definitivo in linea tecnica della seconda fase dell'intervento, relativa alla realizzazione del viadotto a dieci campate tra via Marx e via del Purgatorio;
   con determinazione dirigenziale n. 3082 del 29 ottobre 2013, successivamente integrata con D.D. n. 1093 del 5 maggio 2014, sono stati aggiudicati alla ditta CO.GE.VI. srl i lavori della prima fase dell'intervento di raddoppio della cosiddetta declassata per un importo complessivo di euro 685.927,16, comprensivo di iva ed oneri per la sicurezza;
   con deliberazione della giunta comunale n. 205 dell'8 luglio 2014 si è ritenuto necessario e di preminente interesse pubblico valutare la fattibilità di una diversa soluzione progettuale per la realizzazione del predetto intervento di raddoppio, la quale contempli un sottoattraversamento interrato nella zona del soccorso anziché il sovrappasso previsto dal progetto approvato con D.G.C. n. 267/2013;
   le motivazioni: la variante al regolamento urbanistico approvata definitivamente con D.C.C. n. 43/2011 era stata avviata per tradurre e dettagliare gli obiettivi ed i fabbisogni individuati dal piano strutturale, che nell'ambito di un complesso ridisegno urbanistico funzionale delle aree che lambiscono l'asse della cosiddetta declassata, prevedeva la realizzazione di alcune opere pubbliche di infrastrutturazione generale la cui realizzazione era ritenuta indispensabile per assicurare la sostenibilità urbanistica ed ambientale degli interventi previsti nei singoli comparti. Inoltre, i promotori avrebbero dovuto concorrere alle spese della loro realizzazione attraverso la corresponsione di un «contributo di sostenibilità». In particolare, il regolamento urbanistico all'articolo 109 delle N.T.A. «Progetto Norma 11.2 Declassata» elenca fra le opere e le attrezzature d'interesse pubblico da realizzare anche attraverso il «contributo di sostenibilità» dei privati l'interramento di viale Leonardo da Vinci lungo il tratto tra via C. Marx e via P. Nenni;
   si dispone, di conseguenza, la sospensione dei lavori in considerazione del fatto che la prosecuzione degli stessi sarebbe suscettibile di rendere sempre più irreversibile la situazione e sempre più difficile individuare una diversa soluzione progettuale e si commissiona uno studio di fattibilità che analizzi in modo compiuto la sostenibilità ed il rapporto tra costi e benefici, anche sotto il profilo della possibilità del mantenimento del finanziamento già previsto per tale opere pubblica e di una diversa soluzione progettuale, la quale contempli il raddoppio della cosiddetta declassata mediante la realizzazione di un sottopasso interrato in luogo del prescelto sovrappasso;
   dallo studio di fattibilità emergono anche taluni elementi di criticità della soluzione interrata: il costo della realizzazione per la necessità di rimozione del rilevato esistente e dello scavo, del costo di smaltimento idraulico e del contenimento della risalita della falda e quindi di gestione delle terre. Su quest'ultimo aspetto si richiamano lavori di scavo della falda nel caso di perforazione di pali che interessi livelli della falda stessa con aggravio dei relativi costi. Maggiore dovrebbe essere il livello di sicurezza da rischio idraulico e il contenimento di risalita della falda freatica. A ciò si aggiungerebbe l'impatto sugli edifici circostanti e sulla circolazione per la necessità di chiudere al traffico il tratto della declassata per un lungo periodo di tempo e, conseguentemente, appesantire il traffico e congestionare le strade urbane. Aumenterebbe altresì l'impatto finanziario, il costo di gestione che richiederebbe un attento presidio degli impianti di sollevamento, oltre alla necessità di opere complementari con connesse problematiche di natura espriopriativa;
   nelle more si impone la necessità di eseguire taluni lavori urgenti di messa in sicurezza del cantiere e della viabilità e si presentano anche problematiche connesse ai danni all'impresa per la risoluzione anticipata del contratto e il costo di demolizione delle opere già realizzate;
   nell'ambito del descritto contesto, si pone anche una questione attinente ai finanziamenti dell'opera, atteso che si apprende, da fonti di stampa, dell'arrivo dei fondi per costruire il sottopasso del soccorso. Vale a dire 31 milioni di euro così ripartiti: 11 milioni all'Anas, 5 al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 6 alla regione e 9 al comune di Prato;
   in data 28 gennaio 2015, in particolare, il CIPE ha approvato opere ferroviarie, ha sbloccato fondi per la metanizzazione del Mezzogiorno, e ha dato il via libera ai criteri di cofinanziamento nazionale dei programmi operativi finanziati dai fondi strutturali europei e alle modalità di attuazione della strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, individuando, ferme restando le verifiche di compatibilità con la normativa comunitaria, le possibili fonti di finanziamento nelle residue disponibilità della programmazione del fondo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 per l'opera stradale per il miglioramento della viabilità urbana relativa al sottopasso di Prato;
   l'Autorità nazionale anticorruzione, evocata sulla questione da un esposto, nell'adunanza del 13 maggio 2015, ha ravvisato nelle procedure adottate dalla stazione appaltante, per la realizzazione dell'intervento relativo al raddoppio di viale Leonardo da Vinci, le violazioni alle disposizioni vigenti in materia, in ordine alle seguenti questioni:
    a) dell'autonoma funzionalità, fruibilità e utilità correlata all'interesse pubblico delle opere previste con il progetto esecutivo di primo stralcio, indipendentemente dalla realizzazione dell'opera complessiva;
    b) del soggetto che certifica la funzionalità, fruibilità e fattibilità del 1o stralcio e a quella circa gli elementi contenuti nel progetto esecutivo di 1o stralcio e in quello definitivo di 2o stralcio;
    c) dell'affidamento diretto alla Soc. Iride srl dell'incarico per la redazione degli atti necessari alla valutazione di impatto ambientale per l'opera di che trattasi;
    d) della mancata approvazione e mancato finanziamento del progetto posto a base di gara, relativamente al 1o stralcio;
    e) del travalicamento, da parte del Rup, del mandato conferito con deliberazione della giunta comunale n. 361 del 13 settembre 2011, per la predisposizione di un progetto esecutivo relativo al 1o stralcio;
   l'Autorità nazionale anticorruzione, con la delibera citata, ha disposto altresì l'invio, da parte dell'ufficio vigilanza lavori, della deliberazione al comune di Prato, nelle persone del sindaco e del responsabile unico del procedimento, chiedendo agli stessi di comunicare eventuali provvedimenti conseguenti che intendono adottare entro il termine di 30 giorni dalla ricezione della deliberazione;
   l'Autorità nazionale anticorruzione, con la delibera citata, ha disposto infine di trasmettere il provvedimento assunto alla procura della Corte dei conti, al fine di verificare la sussistenza di danno erariale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa riferire sull'attuale stato di realizzazione dell'opera, dando specificamente conto dello stato della sicurezza dei luoghi interessati e di quelli adiacenti;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per quanto di competenza, possa riferire sull'immanenza di ragioni di interesse pubblico e/o necessità a fondamento del mutamento della scelta per la modalità di realizzazione dell'opera;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, possano riferire circa il preciso ammontare dei finanziamenti stanziati per l'opera in questione, specificando lo stato di stanziamento e la necessità, se sussistente, di un vincolo di coerenza fra il finanziamento concesso e la specifica modalità di realizzazione dell'opera e verificando altresì se il mutamento di scelta possa comportare ulteriori esborsi statali. (5-06503)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Papa Francesco, con l'emanazione della Bolla papale «Misericordiae vultus» ha indetto, in data 11 aprile 2015, il Giubileo straordinario, con apertura il prossimo 8 dicembre 2015;
   con la deliberazione n. 274 del 6 agosto 2015 la Giunta Capitolina ha approvato il «Piano degli interventi per il Giubileo»;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il Governo ha affidato al prefetto Gabrielli il coordinamento delle attività riguardanti l'Anno Santo;
   il piano di interventi previsti dal comune di Roma è stato approvato dal Consiglio dei ministri ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 61 del 2012 e verrà attuato mediante ordinanze del sindaco «anche in deroga ad ogni disposizione di legge e comunque nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico», nei limiti e con i criteri indicati nella medesima deliberazione del Consiglio dei ministri;
   stando ad atti di sindacato ispettivo presentati in assemblea capitolina, i tecnici avrebbero fatto ampio ricorso alla procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori ex articolo 123 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   sembrerebbe che, al fine di rientrare nella cifra di cui alla soglia prevista dall'articolo 123 del decreto legislativo n. 163 del 2006 nelle procedure per la realizzazione delle opere sull'intero tratto del lungotevere si sia provveduto a dividere in più interventi un'unica opera il cui importo scenderebbe così sotto il milione di euro per ogni singolo intervento –:
   se, per il tramite del prefetto Gabrielli, il Governo sia a conoscenza della procedura utilizzata e se sia stato informato dalle modalità con le quali si sia provveduto a suddividere in più interventi un'unica opera, con il rischio di incorrere nel cosiddetto frazionamento della spesa;
   se quanto sopra esposto rispondesse al vero, quali iniziative di competenza il Governo, anche per il tramite del prefetto Gabrielli, intenda porre in essere al riguardo. (4-10518)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 381 del 29 settembre 1999, è stato istituito l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), con annesse disposizioni concernenti gli enti di ricerca, quale ente non strumentale, avente personalità giuridica di diritto pubblico, con una propria autonomia scientifica, amministrativa, finanziaria e organizzativa;
   all'articolo 2 del suddetto decreto, al capo «a)» si indica, tra l'altro, che l'INGV promuove ed effettua, anche nell'ambito dell'Unione Europea e di organismi internazionali, attività di ricerca nel campo delle discipline geofisiche e della vulcanologia, compreso quelle attinenti l'ampio spettro della prevenzione dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche, anche in collaborazione con università e con altri soggetti pubblici e privati nazionali e internazionali;
   sempre nel succitato decreto, articolo 2 comma 2, si precisa che l'INGV è componente del Servizio nazionale della Protezione Civile e per le sue attività operative di studio e ricerca sono svolte attraverso un regime di convenzione con il Dipartimento della protezione civile;
   questo istituto contempla, tra le sue possibilità, l'opportunità di concludere delle convenzioni con strutture pubbliche, ma anche private, anche sotto forma di attività di consulenza che si rivelano delle vere e proprie operazioni aziendali di natura commerciale, utili alla finanziarizzazione dell'ente;
   tra le numerose attività che hanno prodotto convenzioni, partenariato, incarichi di servizio e contratti di collaborazione, dietro corrispettivo di finanziamenti o compensi all'INGV, ve ne sono diversi di particolare rilievo, stipulati con enti pubblici e privati, tra i quali si segnalano:
    Itw & LW – Geotermia s.p.a;
    Scuola edile spezzina;
    Autorità portuale di La Spezia;
    Gem Fudation;
    Enel ingegneria e ricerca s.p.a;
    Enel Servizi;
    Petroleo Brasiliero S.A;
    DLR German Eurospace Center;
    Regione Sicilia;
    Total E. & P. Italia s.p.a;
   nell'ambito del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, denominato «Nusco» l'attività di esplorazione relativamente al pozzo situato in Irpinia e denominato «Gesualdo» è svolta dalla società «Compagnia generale Idrocarburi – CO.GE.ID. S.p.A.» con sede legale in Roma alla via Cavour n. 44;
   la suddetta società petrolifera è stata oggetto di una formale richiesta avanzata dalla regione Campania, con nota protocollare 2013.0251404, con la quale si chiedevano chiarimenti di merito al fine di perfezionare la procedura della relativa Valutazione di Impatto Ambientale;
   in particolare la regione Campania al fine di determinare lo stato vibrazionale «ante operam» proponeva alla suddetta società di idrocarburi di concertare con l'ente locale e l'INGV l'installazione di una rete di registrazione sismica locale da rendere operativa almeno 30 giorni prima, dell'avvio della cantierizzazione del pozzo di trivellazione;
   sempre la regione Campania invitava il soggetto attuatore della ricerca esplorativa ad attivare forme di collaborazione con l'INGV finalizzata a valorizzare le conoscenze acquisite;
   la società CO.GE.ID. s.p.a a sua volta chiedeva, attraverso una comunicazione del 5 luglio 2013, all'INGV di voler confermare modalità, termini e condizioni di una eventuale collaborazione finalizzata a corrispondere a quanto richiesto dalla regione Campania, rendendosi immediatamente disponibili ad attivare un tavolo tecnico di lavoro;
   sempre nella medesima comunicazione si chiedeva, inoltre, alla regione Campania di esprimersi in ordine al ruolo e all'estensione del coinvolgimento dell'INGV e al merito delle congruità tecnico-operative del programma di collaborazione;
   l'INGV di Grottaminarda (Avellino) con l'ausilio dell'Amra (Centro di competenza per l'analisi del monitoraggio del rischio ambientale), di Bigea (Università di Bologna) e della Biogem, una società consortile tra Cnr e vari altri enti, tra i quali la Camera di commercio di Avellino e la Comunità montana dell'Ufita, nonché il «Petroleum Institute» di Abu Dhabi, hanno organizzato un campo scuola di formazione estivo che si è tenuto a Grottaminarda (Avellino) dal 2 all'8 agosto 2015 e aperto, come si legge dal bando rigorosamente in inglese, a 20 studenti di varie nazionalità con un costo di iscrizione pari a 500.00 euro;
   le tipologie di studi che saranno svolti in loco saranno utilizzati in sistemi, come quello dei vibrosies, utilizzati anche dalle compagnie petrolifere in occasione dei cosiddetti «rilievi sismici», e cioè quella fase che di solito preclude la scelta per l'ubicazione di un pozzo;
   a conforto di quanto esposto sono le parole del professor Benedetto De Vivo – ordinario in geochimica ambientale presso l'Università di Napoli Federico II e Adjunct professor presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA il quale, in un'intervista rilasciata a un organo di informazione scientifica on line afferma: «... che l'INGV sia l'organo tecnico al quale la Protezione Civile fa riferimento e che da questa riceva cospicui fondi, proprio in relazione alle attività di sorveglianza sia vulcanica che sismica del territorio, finalizzata appunto alla salvaguardia e alla sicurezza dei cittadini... Si tratta, in verità, di un palese conflitto di interesse, mai sanato, laddove la Protezione Civile finanzia di fatto un Organo di sorveglianza (e anche di ricerca) che dovrebbe essere super partes e che, come tale, non dovrebbe assolutamente potere svolgere attività di consulenza finalizzate ad attività industriali che mettono a rischio la sicurezza dei cittadini» –:
   se nel rapporto tra l'INGV e il Dipartimento della protezione civile che finanzia di fatto un proprio organo tecnico di riferimento, adibito alla sorveglianza e alla ricerca sismica e vulcanica, che in teoria dovrebbe essere super partes e che, come tale, non dovrebbe assolutamente potere svolgere attività di consulenza finalizzate ad attività industriali che potenzialmente possono mettere a rischio la sicurezza dei cittadini, come nella fattispecie delle trivellazioni petrolifere in ambito urbano, non si individuino quelli che l'interrogante giudica elementi di un palese conflitto di interesse che va rimosso alla radice rivedendo l'ambito normativo di riferimento e la disciplina dei rapporti negoziali dell'INGV in particolare con gli operatori economici privati. (4-10519)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DALLAI, MARIANI, BRAGA, DONATI, MARCO DI MAIO, NARDI, GADDA, DE MENECH, SANI e CENNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da anni le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura e alla zootecnia da alcune specie di fauna selvatica o inselvatichita (in particolare gli ungulati che causano circa il 90 per cento dei danni totali), hanno assunto dimensioni allarmanti, con gravi ripercussioni che incidono inevitabilmente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole (in particolare delle imprese di medie e piccole dimensioni che vedono compromesso gran parte del reddito e di imprese che vantano produzioni di grande qualità ed eccellenza come il settore vitivinicolo) su vaste aree compromettendo l'equilibrata ed integrata coesistenza sostenibile tra attività umane e specie animali;
   la necessità di affrontare e risolvere il problema è stata, nel corso degli anni, sollecitata dalle associazioni agricole di categoria, dagli enti locali territoriali e dalla Conferenza delle regioni;
   il fenomeno dei danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche continua ad avere i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di efficaci misure preventive e di contrasto;
   nel corso della XVI Legislatura è stata svolta una indagine conoscitiva sui danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche. L'attività conoscitiva aveva già fatto emergere la dimensione allarmante dei danni provocati all'agricoltura dalla fauna selvatica, evidenziandone l'impatto sull'attività economica delle imprese agricole. Tra le questioni emerse nel corso dell'indagine, risulta la carenza in ordine alla disponibilità di dati certi ed affidabili del fenomeno e la conseguente necessità che la raccolta e l'organizzazione di tali dati avvenga secondo protocolli condivisi ed uniformi;
   secondo le stime raccolte, le perdite economiche (sicuramente approssimative e non individuate attraverso un apposito censimento scientifico) causate dalla fauna selvatica alle colture e indicate da alcune associazioni di categoria ammontano a circa 100 milioni di euro annui;
   appare evidente che ogni strumento o azione efficace per contrastare adeguatamente tale fenomeno debba essere basato su azioni che fondino i propri presupposti su una conoscenza scientifica;
   dal punto di vista giuridico la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato, così come disposto dalla legge n. 157 del 1992;
   sempre la legge n. 157 del 1992 attribuisce alle regioni la competenza in materia di normativa, di programmazione e gestione dell'attività venatoria (nel rispetto dei principi generali della legislazione quadro nazionale e delle norme internazionali recepite). Queste hanno per lo più normato ed attivato in materia le amministrazioni provinciali e gli Ambiti Territoriali a caccia, con il fine di svolgere attività di prevenzione e di prelievo della fauna presente in eccesso;
   l'articolo 7 della legge numero n. 157 del 1992, ha attribuito all'Infs (Istituto nazionale per la fauna selvatica) il ruolo di supporto scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province, per l'elaborazione delle norme in materia di attività venatoria. L'Istituto nazionale per la fauna selvatica, poi soppresso, aveva infatti il compito: di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali, sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio nazionale; di effettuare e di coordinare l'attività di inanellamento a scopo scientifico sull'intero territorio italiano; di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con quelli dei paesi della Comunità economica europea aventi analoghi compiti e finalità; di collaborare con le università e gli altri organismi di ricerca nazionali; di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome; di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome;
   l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), istituito con la legge n. 133 del 2008, svolge oggi le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, che erano di competenza dell'ex Infs;
   da quanto risulta all'interrogante, gli ultimi dati ufficiali, elaborati dall'Ispra e relativi alla presenza di fauna selvatica e in particolare degli ungulati, risalgono al 2009 mentre le proposte di linee guida per contrastare l'impatto degli ungulati sulle culture agricole e forestali sono ferme al 2011. È quindi evidente che, in virtù della crescita esponenziale dei danni della fauna selvatica, registrato negli ultimi anni, queste indicazioni scientifiche non permettano oggi di elaborare azione efficaci per contrastare adeguatamente tale fenomeno e che sia necessario un immediato aggiornamento;
   tale aggiornamento di numeri e proposte appare ancora più urgente se consideriamo la non omogeneità delle leggi regionali attualmente in discussione nei differenti consigli. Documenti che potrebbero risultare anche controproducenti e non in linea con la citata legge n. 157 del 1992, perché non basati sui più recenti dati e criteri scientifici;
   la Camera dei deputati è già intervenuta recentemente su questo tema con l'approvazione della risoluzione n. 8-0003 in materia di iniziative per i danni causati all'agricoltura dalla fauna selvatica o inselvatichita: l'atto impegnava, tra l'altro, il Governo:
    a porre in essere attività di monitoraggio, studio e ricerca per gestire l'emergenza;
    ad affidare all'Ispra il compito di definire un protocollo operativo e una banca dati per la raccolta a livello nazionale dei dati sui danni recati dalla fauna selvatica alle attività agricole;
    a concordare con le regioni le modalità di gestione operativa da seguire;
   presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (istituito con decreto ministeriale n. 7445 del 4 aprile 2014) è attivo un «Tavolo di confronto» con il compito di esaminare le principali criticità della legge n. 157 del 1992. Nel corso delle riunioni sono state valutate, anche con l'ausilio tecnico-scientifico dell'Ispra, delle ipotesi di modifiche delle attuali norme, al fine di superare le rilevate criticità, con riferimento, in particolare, ai periodi e alle modalità di prelievo in selezione nonché alla gestione venatoria del cinghiale –:
   se i ministri interrogati non ritengano necessario dare mandato ad Ispra di redigere un censimento aggiornato della presenza, ad oggi della fauna selvatica e in particolare degli ungulati, sul territorio nazionale per poter elaborare linee guida efficaci, a supporto delle regioni, atte a consentire una diffusione equilibrata delle specie animali e prevenire e contrastare il fenomeno dei danni provocati alle attività agricole. (5-06500)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo scandalo del software «civetta» installato sulle auto a motore diesel prodotte dal gruppo automobilistico tedesco o Volkswagen per ingannare i test antinquinamento ha sollevato anche in Italia interrogativi sul rischio di eccessive emissioni nocive da parte di auto ritenute «ecofriendly»;
   il Fatto Quotidiano del 24 settembre 2015, in un'inchiesta di Marco Palombi e Carlo Tecce, ha pubblicato una lettera inviata a luglio dal capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone ai Ministri Gian Luca Galletti, Beatrice Lorenzin, Graziano Delrio, in cui si fa esplicito richiamo ai rischi per la salute e alla vicenda di autorizzazioni e certificazioni anomale. Più specificamente tra l'altro si legge: «le indagini confermano tutti i dubbi sui Filtri antiparticolato (Fap) montati sulle (auto diesel per ridurre le emissioni». «Il Fap oltre a immettere nell'aria altre sostanze nocive determina la trasformazione del particolato in nanoparticolato, ossia polveri sottilissime non misurate dai dispositivi di monitoraggio in uso, ma ben più nocive per la salute umana». E ancora «rilascio delle omologhe (autorizzazioni) dei Fap è avvenuto per anni, e si ha modo di ritenere che avvenga ancora, senza alcuna verifica del corretto funzionamento dei suddetti sistemi nel lungo periodo». Inoltre «Il ministero dell'Ambiente, così come quello della Salute, non risultano aver mantenuto alcuna interlocuzione con quello dei Trasporti nella fase di attuazione della normativa». Da ultimo «Non esiste al ministero dell'Ambiente alcuno studio specifico relativo all'impatto concreto dei Filtri antiparticolato sulla qualità dell'aria e la salute umana»;
   risulterebbe quindi, come si evince in vari contenuti della rete e sui social network che il procuratore Pignatone avrebbe avvertito sin dall'8 luglio 2015 i Ministeri competenti della possibilità che auto diesel vendute come ecologiche inquinino in realtà più delle altre per effetto di decreti legislativi applicati in modo scorretto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per un disinteresse dei dicasteri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il Ministro Delrio ha dichiarato alla stampa all'indomani dello scandalo che, nelle more di un'indagine approfondita e dei dati sulle auto coinvolte, verranno effettuati «dei controlli a campione su almeno mille macchine diesel di tutti i marchi»  –:
   se i Ministri interrogati intendano chiarire se e come si sia dato seguito, per quanto di competenza, all'allarme lanciato dal procuratore capo della Repubblica di Roma;
   quali verifiche siano state finora compiute sulle procedure di autorizzazione e sui dispositivi antiparticolato consentiti per l'omologazione, secondo la normativa vigente in materia di autoveicoli in Italia. (4-10511)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 l'apporto del credito d'imposta cinematografico (tax credit) ha superato il contributo diretto alla produzione cinematografica, 95 milioni di euro il primo, 91 milioni il secondo. Un risultato importante, dietro a cui si cela però un utilizzo che appare disinvolto e che nulla sembra avere a che fare con l'investimento imprenditoriale nel settore. Il meccanismo è stato perfezionato dal 2007 (anno in cui il tax credit è stato introdotto), ed è diventato uno standard;
   si tratta di un meccanismo applicato in quasi tutti i casi di tax credit esterno ed è molto semplice. Un imprenditore esterno al settore cinematografico versa 100 quale quota associativa parziale in una produzione cinematografica. Il 40 per cento di tale quota è la misura dello sconto fiscale cui l'impresa ha immediato diritto. Il recupero del rimanente 60 per cento dovrebbe essere legato a eventuali utili del film, cioè dovrebbe prevedere la partecipazione ad un «rischio»;
   quello che invece avviene ormai normalmente, anche grazie a società specializzate e professionisti, è che quei 100 formalmente versati al produttore cinematografico finiscono su un conto corrente bloccato e, come indicato da opportune clausole contrattuali, ritornano per l'80 per cento all'investitore e solo per il 20 per cento al produttore per essere utilizzati nella realizzazione del film. In questo modo l'imprenditore, erogando 20 e non 100, e usufruendo del tax credit di 40, invece di rischiare guadagna subito il 20 per cento, che azionato cinque volte l'anno consente di raddoppiare il capitale;
   le cose non cambiano nella sostanza neanche quando l'interlocutore è un istituto bancario: si stima che, in quel caso, il guadagno medio è del 15 per cento rispetto alla cifra investita. Alcuni istituti, poi, obbligano il produttore, contrattualmente, a rifondere l'eventuale somma non recuperata;
   il fenomeno pare aver assunto proporzioni sconcertanti e si basa su una «falla» della legge che assegna il tax credit sulla base di una dichiarazione, ma poi non verifica se le somme indicate siano state integralmente utilizzate per la produzione del film. Rapportando il fenomeno agli oltre 90 milioni di euro di benefici riconosciuti, ciò vuol dire che ai produttori ne sono arrivati oltre 18, mentre lo Stato ha contribuito con oltre 36 milioni di tax credit (il 40 per cento che in realtà non hanno apportato alcun reale beneficio per il settore;
   tuttavia, questo meccanismo non può funzionare se non grazie alla rete di silenzi nella quale appaiono coinvolte quasi tutte le parti in causa, ognuna delle quali riceve un beneficio, che grava sulla finanza pubblica. Ai produttori, soprattutto quelli deboli, arrivano pochi soldi, ma siccome sono «regalati», nessuno protesta –:
   se il Ministro interrogato disponga di informazioni sulla veridicità di quanto esposto in premessa e, ove queste avessero un fondamento, se non ritenga opportuno, nel prossimo disegno di legge di stabilità, introdurre disposizioni volte a consentire che le risorse per il tax credit cinematografico siano effettivamente e integralmente erogate per la produzione e la realizzazione di film. (4-10517)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   mentre il Sud è in affanno, così come testimoniano tutti gli indicatori statistici, da quelli del rapporto Svimez alle sintesi dell'Istat, in pieno agosto 2015 è stato varato dal Governo un provvedimento che si muove all'incontrario rispetto alla necessaria spinta da imprimere all'impresa meridionale e alle giovani generazioni di imprenditori. Si tratta del provvedimento riguardante il taglio dei finanziamenti per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità (di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000) deciso prima della ripresa settembrina e operante da agosto 2015 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
   nel mese di agosto 2015 si leggeva, infatti, sul sito ufficiale dell'Agenzia statale Invitalia che «per l'esaurimento delle risorse finanziarie, dal 9 agosto 2015 non è più possibile presentare nuove domande di ammissione alle agevolazioni per l'Autoimpiego»; in sostanza è accaduto che si sono chiuse le opportunità per quei giovani che puntavano ad un sostegno dello Stato per crearsi un lavoro mettendo a frutto un progetto scaturito da un'idea di impresa; ciò ha conseguenze rilevanti perché in attesa che i progetti strategici infrastrutturali, assolutamente indispensabili, per il Sud siano attivati, e stata, in questi ultimi anni, solo l'iniziativa dal basso, dei singoli, a creare posti di lavoro nel Mezzogiorno, come è possibile evincere dagli stessi, dati di Invitalia, ad esempio solo un anno fa a Brindisi, in una occasione pubblica, è stato spiegato da Invitalia che autoimpiego e autoimprenditorialità hanno funzionato egregiamente nelle regioni meridionali, favorendo la creazione di 165 mila nuovi posti di lavoro, in dieci anni, con un investimento di tre miliardi e mezzo, senza poi calcolare l'effetto virtuoso sull'indotto. Si è trattato, peraltro, di una delle poche misure apprezzate dall'Unione europea, come è emerso da un rapporto dell'aprile 2015;
   giova ricordare, tra l'altro, che l'intervento agevolativo in favore delle giovani imprese meridionali consta di micro-finanziamenti erogati, per metà, a fondo perduto e, per metà, a tasso agevolato, dunque adoperando una modalità particolarmente responsabilizzante per il ricevente;
   appare assai controverso e contraddittorio, a parere dell'interrogante dunque, un atteggiamento del Governo volto, da un lato, a riconoscere la centralità delle problematiche che affliggono il Mezzogiorno d'Italia, e, dall'altro, ad abolire una delle pochissime occasioni di autoimpiego offerte dal nostro ordinamento –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per consentire l'immediato ripristino dell'operatività della misura prevista dal decreto legislativo n. 185 del 2000, rifinanziandone la capienza.
(4-10515)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2015, era stato programmato il trasferimento di cento detenuti delle sezioni di alta sicurezza di Padova presso altri istituti;
   a seguito della mobilitazione di molte realtà del volontariato, cooperative, operatori, scuola e università, l'associazione «Ristretti Orizzonti» e, anche grazie a una nuova circolare sulle «declassificazioni», alcuni trasferimenti sono stati evitati;
   molti ancora rischiano di vedere vanificato il percorso trattamentale fino a ora svolto, a causa di valutazioni sulla personalità che si rifanno a episodi ormai di venti o trent'anni addietro;
   la casa circondariale di Padova è un carcere-laboratorio, dove si sperimentano forme di pena «dignitose e sensate», tese alla rieducazione del detenuto. Vi è l'umanizzazione vera dei rapporti delle persone detenute con le famiglie, attraverso due telefonate in più per tutti, la possibilità di chiamare indistintamente telefoni fissi e cellulari, l'uso di Skype per i colloqui, anche per i detenuti di alta sicurezza, se le famiglie sono troppo lontane. La non declassificazione potrebbe comportare il trasferimento immediato in altro istituto di detenuti che da anni sono in 41-bis e che nella casa di reclusione hanno già avviato percorsi rieducativi con ottimi risultati;
   a differenza di ciò che si potrebbe intendere, la declassificazione non dà grandi vantaggi, anzi, è una vita per certi versi ancora più dura per chi, abituato ai «ghetti rassicuranti» dell'alta sicurezza, si ritrova nelle sezioni comuni: perde, se ce l'aveva, la cella singola (l'unica condizione accettabile per chi ha una pena lunga o l'ergastolo), si deve confrontare con un mondo di sofferenza, confusione, incertezza, come sono oggi le sezioni di media sicurezza;
   quindi chi chiede di essere declassificato chiede di perdere qualche piccolissimo vantaggio, ma anche uno status di «cattivo per sempre», e accetta di confrontarsi con le contraddizioni, i disagi, il disordine delle sezioni comuni;
   si ritiene dunque necessario rivedere tutta la materia in ordine ai circuiti, soprattutto per la parte che riguarda i metodi e i giudizi ai fini della declassificazione, con particolar riguardo alle parole «rieducazione» e «trattamento individualizzato», espressamente riportate dalle norme penitenziarie e più volte invocate dallo stesso Ministro della giustizia, che proprio nella sezione di Padova hanno trovato attuazione, laddove, nella gran parte degli istituti di pena del nostro Paese altro non sono che lettera morta –:
   quali siano gli orientamenti del ministro interrogato in merito ai fatti esposti in premessa;
   se non intenda per quanto di competenza, porre immediatamente rimedio alla situazione al fine di salvaguardare la condizione di tutte le persone ospitate nella sezione alta sicurezza del carcere di Padova che hanno in atto positivi percorsi di trattamento. (5-06502)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   BARGERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a fronte del nuovo contratto di servizio tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Trenitalia, da cui risulterebbe la cancellazione degli intercity Torino-Genova, servizio che il Ministero intenderebbe rivedere nell'ottica di una necessaria riduzione di costi (l'ipotesi peggiore è la cancellazione di tutti gli intercity, l'ipotesi migliore è il dimezzamento dei servizi attuali), la regione Piemonte ha predisposto una controproposta a seguito di consultazione con Assoutenti Piemonte, Assoutenti Liguria e i comitati pendolari di territorio delle due regioni interessate, che permetterebbe, di fatto, di garantire gli attuali livelli di servizio a metà del costo e con minori esborsi per i viaggiatori;
   la tratta Torino-Genova è utilizzata da molti pendolari e cittadini delle province di Torino, Asti Alessandria e Genova cui deriverebbe un grave disagio, con un impatto negativo sia dal punto di vista economico per i cittadini che dovrebbero ricorrere a forme di mobilità privata, sia dal punto di vista ambientale con maggiori emissioni per lo spostamento dalla modalità di trasporto ferroviario a quella privata su gomma che ne deriverebbe;
   l'operazione proposta dalla regione Piemonte e dalle associazioni di consumatori si inserisce nel quadro del progressivo miglioramento — già in gran parte attuato — del servizio di regionali veloci fra Torino e Genova, il quale, se ulteriormente potenziato, permetterebbe di sostituire in toto gli intercity di cui si propone la cancellazione, coniugando risparmio economico e mantenimento dei livelli di servizio;
   si tratterebbe, in sostanza, di trasferire sul contratto di servizio fra Trenitalia e regione Piemonte circa il 50 per cento del corrispettivo economico — oggi circa 13 milioni — che lo Stato trasferisce a Trenitalia per i suddetti servizi Intercity;
   la Regione Piemonte si impegnerebbe, a fronte di ciò, ad attivare un servizio di regionali veloci in grado di rispondere interamente alle necessità dell'utenza privata degli odierni servizi intercity, garantendo tempi di percorrenza paragonabili al servizio che verrebbe soppresso e a tariffe più economiche per i cittadini (biglietto regionale) –:
   come intenda procedere per evitare un grave disservizio e pregiudizio per i cittadini e utenti piemontesi e liguri e i loro territori mantenendo gli attuali collegamenti o, in seconda istanza, se intenda accogliere le proposte presentare dalla regione Piemonte. (4-10514)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   ASSOCANAPA, coordinamento nazionale per la canapicoltura, con una lettera del 19 settembre 2015, a firma del presidente Felice Giraudo, indirizzata al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell'interno, Ministero della salute e al Ministero dell'economia e delle finanze, dall'oggetto «Accertamenti e interventi su coltivazioni di canapa industriale – SEGNALAZIONE URGENTE», sollevava che: «Con il diffondersi delle coltivazioni di canapa da fibra si sono quest'anno moltiplicati gli interventi delle Forze dell'Ordine nell'accertamento della regolarità delle colture. Nella grandissima maggioranza dei casi (circa un centinaio) la nostra associazione è stata contattata dagli stessi ufficiali responsabili di stazioni, tenenze, capitanerie di carabinieri, polizia di Stato, finanza, questure i quali hanno richiesto normativa, altra documentazione, dati relativi alle vendite di seme. In tutti questi casi i controlli sono stati eseguiti regolarmente applicando, quando è stato ritenuto opportuno determinare il THC della coltivazione, il metodo europeo che ha confermato la liceità delle coltivazioni stesse. In una decina di casi si sono però verificati comportamenti delle forze dell'ordine che a nostro avviso non sarebbero tollerabili neppure se davvero si fosse trattato di canapa da droga. Ci riferiamo a sequestri operati di fatto, ad oggi fortunatamente tutti salvo uno rientrati per riconoscimento da parte degli stessi ufficiali/agenti. (...) Rimane un caso ancora aperto in comune di Bassano Romano (Viterbo) dove un nostro associato è stato arrestato con arresto convalidato dal Magistrato e dal Tribunale del Riesame di Roma e si trova ancora in detenzione (a distanza di 20 giorni) dopo che la Questura di Viterbo è intervenuta su una coltivazione di varietà Felina 32 regolarmente comunicata alla stazione carabinieri di Bassano Romano. Questa associazione purtroppo è venuta a conoscenza dei fatti soltanto il 4 settembre ed è intervenuta con la lettera protocollo 112 del 5 settembre 2015, trasmessa soltanto il giorno 8 settembre 2015 (...). Sta di fatto che un primo prelievo è stato eseguito con un grande dispiegamento di forze senza rilasciare parte del campione all'interessato per l'eventuale controanalisi e senza utilizzo del metodo con il quale si misura il THC di una coltivazione. Dopo l'intervento dell'avvocato di fiducia dell'arrestato lunedì 14 settembre scorso è stato fatto un secondo prelievo seguendo un protocollo diverso da quanto prescritto dal Regolamento Europeo per il controllo del THC delle coltivazioni e ancora senza rilasciare parte del campione all'interessato che è ora in attesa dell'esito dell'esame affidato ai Laboratori della Direzione Centrale Anticrimine (...). Nella situazione la difesa dell'arrestato, che si trova tuttora in stato di detenzione, non ha mezzi per contestare una eventuale esame sbagliato non solo, ma non risulta a questa Associazione che in Italia esistano laboratori certificati per determinare il THC di una coltivazione. Esiste infine il timore che un'eventuale distruzione della coltivazione di cui hanno parlato i giornali, disposta sulla base di un esito analitico frutto di un procedimento non corretto di prelievo e conservazione/preparazione dei campioni, elimini di fatto la possibilità di provare che la coltivazione è da fibra complicando ulteriormente la già difficile posizione dell'autore della coltivazione»;
   nel nostro Paese la coltivazione della canapa da fibra, detta anche «canapa industriale» è lecita, senza necessità di autorizzazione preventiva, e in particolare i requisiti per la liceità della coltivazione sono: che il coltivatore documenti (con fattura di acquisto e cartellino) di avere seminato varietà di canapa iscritta nel catalogo europeo dei semi nel quale per la specie Cannabis sono iscritte le varietà il cui costitutore ha dimostrato che il tenore di THC della coltivazione è inferiore allo 0,2 per cento; che il coltivatore dimostri di avere presentato comunicazione della semina alla stazione delle forze dell'ordine più vicina (nel caso riportato dagli interpellanti, alla stazione carabinieri di Bassano Romano); 
   alla data di oggi, l'interessato non si trova più in stato detentivo, ma dopo aver scontato ingiustamente ben 21 giorni di reclusione;
   il procedimento di prelievo della canapa adottato nel caso dalla questura, come riportato da Assocanapa, non pare affatto conforme al metodo attualmente previsto per l'accertamento della quantità di THC presente in una coltivazione di canapa; Il metodo di prelievo, di conservazione del campione e di analisi, infatti, è quello descritto nell'allegato 1 del regolamento (CE) N. 1122/2009 della commissione che non appare rispettato nel caso descritto, e invece utilizzato non solo dal CRA CIN di Bologna, incaricato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del controllo (amministrativo) del tenore di THC delle coltivazioni ai sensi dei regolamenti europei, ma anche da carabinieri e guardia di finanza nei loro interventi su coltivazioni ritenute sospette;
   inoltre ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni, come modificato con legge n. 73 del 2014, è esclusa espressamente l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 quanto al sequestro delle coltivazioni di canapa da fibra, e dunque non è consentito il sequestro (e tantomeno la distruzione) di coltivazioni, senza che prima sia stato accertato, in via definitiva, che si tratti di stupefacente: invece, a quanto consta agli interpellanti, non rispettata nel caso avvenuto a Bassano Romano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riferiti in premessa e se non ritengano che, nei confronti del coltivatore di Bassano Romano, le azioni intraprese non corrispondano a quanto previsto dalla normativa vigente in materia;
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza, non ritengano di intervenire tempestivamente sul tema del sequestro delle sostanze, facendo in modo che venga garantito il rispetto della corretta procedura;
   quali tipi di iniziative intendano intraprendere per far sì che simili episodi non abbiano più a ripetersi.
(2-01092) «Zaccagnini, Daniele Farina, Sannicandro».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   per motivi legati al momento storico e al contenimento delle spese, «ul Casermun» come viene chiamata a Gallarate la caserma dell'Aeronautica militare, chiude e il 2o deposito, che in essa ha sede, sarà trasferito nella base dell'Aeronautica militare di Cameri;
   la chiusura del deposito, prevista per il 31 dicembre 2015, e il trasferimento delle attività di supporto logistico e di magazzino dei pezzi di ricambio a esso connesso, segna per la città di Gallarate la fine di un'epoca che l'ha vista al centro dell'attività e dello sviluppo dell'Aeronautica militare sin dalle origini;
   nella variante al piano di governo del territorio recentemente approvata dall'amministrazione comunale gallaratese è prevista una zona terziaria per incubatore di start up e simili;
   vi è un'inspiegabile accelerazione sul programma di trasferimento dei militari da Gallarate a Cameri e Ghedi, che non corrisponde a una altrettanto veloce chiusura dei dormitori della caserma;
   la caserma gallaratese è situata lungo una delle arterie principali della città in direzione di Busto Arsizio ed è raggiungibile anche direttamente da binari ferroviari;
   circolano voci insistenti in merito alla possibilità che tale velocizzazione nello spostamento dei militari sia finalizzata al trasferimento di migranti all'interno della caserma stessa;
   a Gallarate sono già ospitati un centinaio di richiedenti asilo presso diverse strutture private;
   l'ipotesi di trasferire altre centinaia di migranti sarebbe drammatica per una città come Gallarate che già ha una percentuale di stranieri regolari tra le più alte in Italia (15,8 per cento — dati ISTAT del 1o gennaio 2015), tanto più che gli eventuali nuovi arrivati sarebbero tutti ghettizzati all'interno di un luogo chiuso e recintato;
   il sindaco di Gallarate a quanto consta all'interrogante ha dichiarato mesi fa, durante una seduta del Consiglio Comunale, di essere stato contattato da due funzionari del Viminale in merito a questa ipotesi –:
   se sia effettivamente previsto di utilizzare la caserma dell'Aeronautica militare di Gallarate per trasferirvi dei migranti irregolari richiedenti asilo;
   se vi siano stati contatti con l'amministrazione comunale di Gallarate a questo riguardo; se il sindaco di Gallarate sia stato informato sul futuro impiego della caserma. (4-10509)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un noto programma televisivo, il responsabile nazionale e quello provinciale di Ravenna del Sindacato autonomo di polizia hanno descritto le gravi difficoltà che i reparti della Polizia di Stato incontrano nel collegarsi tra loro e con la propria centrale operativa;
   il problema fondamentale sarebbe rappresentato dalla carenza di copertura radio nella provincia di Ravenna, che impedirebbe alle volanti in azione sia di mantenere il contatto con la centrale operativa sia di comunicare tra loro nel corso dell'attività operativa;
   essendo la copertura radio discontinua, «a macchia di leopardo», gli equipaggi delle volanti sarebbero spesso costretti a contattare la centrale operativa ravennate utilizzando le utenze private dei loro telefoni cellulari, componendo il 113 anche in costanza d'emergenza;
   tale circostanza rappresenta un ulteriore inutile elemento di rischio aggiuntivo rispetto a quelli normalmente implicati dall'azione operativa di polizia sul territorio –:
   quali iniziative, e in che tempi, il Governo intenda assumere per garantire alle forze di polizia operanti nel territorio ravennate la disponibilità di un'efficiente rete di comunicazioni radio, ponendo fine ai problemi generalizzati in premessa, che accrescono inutilmente i rischi dell'attività operativa. (4-10512)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 settembre 2015 le organizzazioni sindacali FLC CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA, SNALS, GILDA di Ravenna hanno scritto al prefetto, dottor Russo per segnalare come la legge di stabilità 2015 abbia comportato vincoli sulla sostituzione del personale scolastico in caso di assenza temporanea che rischiano di compromettere il corretto funzionamento della scuola, a partire da quella dell'obbligo;
   in particolare, la circolare 2541 del 10 agosto prevede che non si provveda a sostituzione:
    del personale docente, per il primo giorno di assenza del titolare;
    del personale assistente amministrativo, salvo l'ipotesi in cui l'esigenza di sostituzione nasca presso istituzioni scolastiche il cui organico di diritto abbia meno di tre posti;
    del personale assistente tecnico in nessuna occasione;
    del personale appartenente al profilo di collaboratore scolastico, per i primi sette giorni di assenza;
   è del tutto evidente che queste indicazioni rischiano di compromettere il normale funzionamento degli istituti, oltre a ledere il diritto fondamentale all'istruzione di bambini e ragazzi;
   si pensi solo a cosa potrà succedere e sta già accadendo nelle scuole dell'infanzia e primarie in caso di assenza contemporanea di più insegnanti, con classi smembrate e i bambini trasferiti e abbandonati in aule non loro;
   oppure, come segnalato nella lettera delle organizzazioni sindacali, a cosa significhi l'assenza per una settimana dell'unico collaboratore scolastico, in termini apertura della scuola, di vigilanza sugli accessi nei corridoi e nei servizi, di cura della persona e di assistenza all'handicap;
   le organizzazioni sindacali poi fanno correttamente notare che «qualunque sarà la soluzione adottata dai Dirigenti Scolastici in caso di emergenza, il loro comportamento potrebbe risultare illegittimo in quanto configurabile come:
    interruzione di pubblico servizio, qualora si chiudessero i plessi quando le assenze non consentissero il regolare svolgimento delle attività didattiche;
    inadempienza rispetto alla loro funzione di garanti della sicurezza e del decoro dei locali, se per mancanza di personale non fossero in grado di assicurare i servizi minimi;
    violazione delle norme contrattuali, nel caso in cui si richiedessero prestazioni in deroga al contratto nazionale vigente per compensare i servizi rimasti “scoperti” al personale rimasto in servizio;
    danno all'erario, in caso di nomina dei supplenti, contraria alle disposizioni di cui sopra»;
   queste considerazioni dimostrano quanto norme sbagliate nell'impostazione possano produrre effetti ancora peggiori nell'applicazione, con grave danno per le bambine e i bambini italiani –:
   se si abbia notizia di altre analoghe segnalazioni da territori diversi;
   se si ritenga che l'allarme lanciato sia fondato e quali iniziative si intendano adottare sul piano normativo e regolamentare per impedire il rischio di paralisi della scuola italiana e quindi la negazione di un diritto costituzionale. (4-10513)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di notizie apprese dai media locali sulle gravissime condizioni di una scuola superiore della provincia di Pavia, l'istituto superiore Ciro Pollini di Mortara, alcune settimane fa l'interrogante si è recato presso la stessa, in accordo con la dottoressa Elda Frojo, dirigente scolastica dell'istituto;
   quello che l'interrogante ha potuto constatare personalmente è stato spaventoso: nell'istituto sono collocate ventuno classi, per un totale di circa 500 studenti, all'interno di un fabbricato il cui livello di degrado e stato di abbandono, nonostante la presenza di studenti in gran parte minorenni e nonostante lo svolgimento dell'ordinaria attività scolastica, risulta inverosimile, quasi come se la scuola si trovasse in una zona di guerra. Da tutto ciò l'interrogante ha riscontrato personalmente evidenti pericoli per la salute, oltre che il gravissimo disagio psicologico e morale, costantemente incombente sugli studenti e tutti coloro che a vario titolo lavorano nell'istituto;
   questa situazione, che, secondo quanto riferito dalla dirigente scolastica, è tale sin dal 2004, è stata di fatto ignorata dalle istituzioni competenti a tutti i livelli, nonostante le numerose e documentate segnalazioni, ciò che ha aggravato la situazione per studenti, insegnanti e genitori che si sono ritrovati uniti nell'avvilente sensazione di impotenza provocata dalla totale assenza di risposte da parte di chi è istituzionalmente preposto alla cura di queste problematiche;
   per questo motivo, anche a fronte degli stanziamenti effettuati dal Governo nell'ambito del programma di edilizia scolastica, ma più in generale, a fronte della volontà di intervento nell'essenziale ambito della vita e del futuro del Paese che è la scuola manifestata traverso la recente approvazione della legge di riforma in materia, è necessario che il Governo dia conto degli interventi per situazioni come quella relativa all'istituto scolastico in questione, e di tutte le situazioni analoghe –:
   se il Governo sia a conoscenza del caso di cui in premessa e di casi analoghi, se disponga di un archivio di segnalazioni di casi di degrado e pericolosità di istituti scolastici, la cui evidente gravità è manifesta come nel caso di cui in premessa, e in quali modi stia agendo o intenda agire per porvi rimedio. (4-10516)


   GIANCARLO GIORDANO e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sono ormai trascorse oltre due settimane dall'avvio e conclusione della cosiddetta fase «B» del piano straordinario di assunzioni del personale docente previsto dalla legge n. 13 luglio 2015, n. 107;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dichiarato, così, di aver portato a termine «brillantemente» questa parte del processo di stabilizzazione del personale precario dopo le prime cosiddette fasi «0» e «A», rispettivamente riferite alla copertura, già prevista, del «turnover» (pensionamenti, e altro) per 36.627 posti e di ulteriori 10.849 cattedre, tra posti comuni e di sostegno;
   tuttavia ad oggi, a conclusione delle operazioni formalmente avvenuta, ancora non è stato reso pubblico alcun elemento di conoscenza giuridicamente valido e trasparente per docenti precari interessati e in attesa di stabilizzazione, se non alcuni dati di carattere generale emersi dalla conferenza stampa del ministro: posti coperti e/o ancora rimasti vacanti, proposte di assunzione inviate (fase «B») e accettate e altro;
   risultano, altresì, numerose sollecitazioni da parte sindacale, volte a chiedere la pubblicazione del dettaglio delle operazioni inerenti alle stabilizzazioni, mentre la stampa e le stesse organizzazioni rappresentano situazioni nei vari territori di denunce di docenti, senza titolo di sostegno assegnati su posto di tale ruolo, docenti assunti nelle fasi precedenti a cui viene comunicato il passaggio all'ultima fase «C», docenti che a parità di punteggio e di collocazione delle destinazioni, hanno avuto risposte antitetiche sul territorio italiano e altro;
   contravvenendo ai più elementari e consolidati principi di trasparenza che devono sempre caratterizzare l'agire di tutta la pubblica amministrazione il Ministero, invece, non ha ancora reso disponibili gli elenchi provinciali/graduatorie dei precari aventi diritto alle proposte di assunzione previste dalla fase «B» e in tal modo per gli interessati non è possibile prendere visione degli elementi e punteggi utilizzati per le operazioni di nomina;
   queste situazioni segnalate evidenziano e rafforzano i dubbi sull'efficacia degli strumenti adottati che, al di là dei ricorsi che saranno inevitabilmente avviati dagli interessati, potrebbero secondo gli interroganti mettere in moto anche una denuncia complessiva per omessa ottemperanza alla legge sulla trasparenza –:
   quando il Ministro intenda pubblicare gli elenchi/graduatorie provinciali utilizzati nella fase «B» del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107;
   quando il Ministro intenda provvedere alla pubblicazione degli elenchi/graduatorie da utilizzare nella fase «C» del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107. (4-10520)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la protezione della fauna e dell'ambiente, nel nostro Paese, è stata carente e lacunosa e la stessa Unione europea, attraverso comunicazioni istituzionali e, nei casi più gravi, procedure di infrazione, ha invitato il nostro Paese al rispetto delle direttive in materia;
   il tema dei danni all'agricoltura ed agli allevamenti richiede risposte razionali ed efficaci per garantire la sicurezza delle attività economiche. Elemento fondamentale in tal senso deve essere la garanzia di rapido risarcimento di coloro che sono danneggiati, evitando le lungaggini burocratiche che possono rappresentare un aggravamento del danno riportato;
   le modalità per il risarcimento di tali danni alle culture agricole, argomento da tempo oggetto di attenzione ed approfondimenti anche in sede parlamentare, è specificamente previsto dall'articolo 6 della legge n. 157 del 1992 inerente a «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»;
   tale articolo dispone la costituzione a livello regionale di un fondo alimentato con una percentuale dei proventi delle tasse di concessione regionale pagate dai cacciatori per l'esercizio dell'attività venatoria (articolo 23);
   l'applicazione da parte delle amministrazioni regionali di tale disposizione legislativa ha fino ad oggi consentito il ristoro, seppure con varie vicissitudini in modo parziale e costantemente in ritardo, dei sempre crescenti danni provocati dalla fauna selvatica;
   la regione Piemonte, in particolare, interpretando quanto previsto nel documento informativo della Commissione dell'Unione europea n. 204/C-2014/01 inerente a «orientamenti dell'UE per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali 2014/2020», ha deliberato, il 31 luglio 2015, una diversa impostazione considerando in regime de minimis i ristori per esclusione rispetto a quanto stabilito dal paragrafo 1.2.1 degli orientamenti comunitari;
   tale diversa impostazione prefigura per le imprese agricole incolpevolmente colpite da tali eventi una situazione inaccettabile in termini sia di vincoli normativi che di penalizzazione economica;
   la fauna selvatica, in precedenza considerata «res nullius», i cui danni erano quindi equiparabili a quelli dovuti a fatto naturale quale un fulmine o un'alluvione, è invece oggi «patrimonio indisponibile dello Stato» di cui lo stesso, come più volte sottolineato anche dalla Corte di Cassazione in procedimenti inerenti al risarcimento dei danni da essa procurati, è responsabile al pari dei danni causati da ciò su cui è titolare del diritto di proprietà;
   con una risoluzione, n. 8-00085 approvata in data 29 ottobre 2014, il Governo si era già impegnato ad assumere ogni possibile iniziativa normativa per scorporare il risarcimento o l'indennizzo, per i danni i causati da alcune specie selvatiche o inselvatichite, in particolare dai suidi, dalla quota massima (nell'arco di tre esercizi fiscali) prevista per gli aiuti alle aziende agricole rientranti nel regolamento de minimis –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, in considerazione degli aggravi che ricadono tanto sulle aziende quanto sugli istituti venatori a seguito di una simile interpretazione del documento comunitario di cui in premessa, di dover urgentemente richiedere alla Commissione europea ogni utile chiarimento relativo alla sua corretta interpretazione e, eventualmente, intraprendere ogni iniziativa affinché i danni da fauna selvatica vengano ricollocati nell'ambito di una normativa europea meno sfavorevole alle imprese agricole. (5-06501)


   MONGIELLO, VICO, PELILLO, BOCCIA, MICHELE BORDO, CAPONE, CASSANO, GINEFRA, GRASSI, LOSACCO, MARIANO, MASSA e VENTRICELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a causa dell'innalzamento anomalo ed eccezionale delle temperature degli ultimi mesi, anche gli equilibri termici dei corpi idrici marini hanno subito rilevanti anomalie. In particolare le acque marine delle zone costiere della Puglia hanno subito innalzamenti termici che le hanno portate ad avere livelli costanti di oltre 34 gradi centigradi;
   il fenomeno eccezionale ha provocato gravi danni soprattutto all'attività di acquacoltura condotta nel mare di Taranto, luogo di primaria rilevanza per la sua peculiare vocazione alla mitilicoltura condotta con metodi naturali;
   i mitilicoltori tarantini sono in stato di allarme; l'aumento anomalo delle temperature per un periodo prolungato sta danneggiando gravemente il settore, causando perdite che vanno dal 60 all'80 per cento della produzione di mitili adulti, con un netto incremento rispetto agli ultimi anni;
   quasi 400 tonnellate di prodotto, pronto per andare sui mercati nazionali ed esteri, è andato distrutto;
   oltre alla perdita del prodotto vendibile, è andato perso anche il seme delle ostriche, con la conseguenza che anche la produzione dell'anno 2016 rischia di essere compromessa assieme al lavoro dei molti miticoltori locali;
   vale la pena ricordare che le ostriche tarantine sono allevate al naturale, col seme innestato e l'allevamento in mare. È questa una unicità del Tarantino ed il suo punto di forza rispetto al prodotto francese, che è basato su un procedimento costruito in laboratorio. Purtroppo, il caldo perdurante ha distrutto gran parte di questa pregiata produzione svuotando le ostriche del loro frutto;
   a quanto risulta all'interrogante la Regione Puglia si starebbe attivando per proporre la declaratoria dell'eccezionalità del fenomeno per poi chiedere al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali la dichiarazione dell'esistenza del carattere di eccezionalità di tale calamità naturale, individuando i territori danneggiati e le provvidenze sulla base della richiesta;
   le stime dei miticoltori attestano al riguardo una perdita di circa trentamila tonnellate di cozze divenute inutilizzabili, per un valore del danno valutato in oltre 15 milioni di euro;
   per fare fronte alle criticità prodotte dall'evento eccezionale di cui trattasi, sarebbe urgente disporre l'attivazione delle misure previste al riguardo, mediante l'utilizzo del Fondo di solidarietà nazionale, consistenti, tra l'altro, in:
    contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato sulla base della produzione lorda vendibile media ordinaria;
    proroga delle operazioni di credito agrario, ossia proroga, per 24 mesi, della scadenza delle rate delle operazioni di credito agrario di esercizio e di miglioramento e di credito ordinario;
    agevolazioni previdenziali, ossia l'esonero parziale del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali propri e per i lavoratori dipendenti, in scadenza nei dodici mesi successivi alla data in cui si è verificato l'evento –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, per le parti di competenza, quali iniziative intendano assumere per fare fronte alle conseguenze di tali fatti, che hanno provocato danni all'economia ed all'ambiente marino delle coste tarantine;
   se, in particolar, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non intenda avviare iniziative, in collaborazione con la regione Puglia, affinché sia urgentemente dichiarato lo stato di eccezionalità della calamità naturale consistita nell'incremento anomalo della temperatura della acque d mare di Taranto, così da permettere l'attivazione delle misure risarcitorie e di sostegno, previste dal fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004, in favore dei miticoltori tarantini;
   se, in particolare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario, per quanto di competenza, attivare operazioni di indagine e di ricerca volte alla migliore comprensione del fenomeno, in maniera da poter predisporre misure di prevenzione e di contrasto nel caso in cui tali avversità dovessero ripetersi nei prossimi anni;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario predisporre, in collaborazione con le istituzioni regionali, iniziative atte a prevedere un piano straordinario di rilancio del settore. (5-06504)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la rivista specializzata L'Informatore agrario, nei numeri 31/2015 e 35/2015, ha ampiamente descritto le problematiche dell'avvio del primo distretto del pomodoro da industria del centro-sud;
   partito sotto i migliori auspici nei primi mesi di quest'anno, era stato accolto con favore da tutti gli attori della filiera del pomodoro nella prospettiva di maggiori guadagni, di migliore qualità del prodotto finale e di un aumento della produzione per gli anni a venire;
   purtroppo, nel mese di agosto 2015, un gruppo importante di produttori è uscito dal distretto a causa, a suo dire, di evidenti e gravi inadempienze delle regole contrattuali da parte delle imprese di trasformazione socie dello stesso distretto;
   l'esito negativo, e che si spera possa trovare una giusta risoluzione, del distretto del pomodoro da industria del centro-sud fa il paio agli indubbi successi di quello del nord, partito dalle province di Parma, Piacenza e Cremona;
   a giudizio del professor Canali e dell'interrogante, le cause della crisi del distretto del centro-sud stanno nella mancata comprensione che il futuro della filiera può essere trovato solo grazie a relazioni non solo corrette, ma anche di collaborazione lungimirante tra le sue diverse componenti;
   le filiere si costruiscono e crescono solo quando comprendono che è necessario «collaborare per competere»;
   copiare, sic et simpliciter, i successi e le forme del distretto del nord non basta;
   il distretto non può essere, anche dal punto di vista tecnico ed operativo, solo un'appendice di una parte del mondo industriale. Le regole che le parti si danno sono l'elemento centrale per la crescita della filiera e una struttura organizzativa minima ma indipendente e capace di verificarle e farle rispettare, perché tutte le parti sono consapevoli che ciò è più utile, è altrettanto decisiva;
   a giudizio dell'interrogante, il Ministro interrogato deve farsi promotore di un'idonea iniziativa per far sì che gli attori della filiera si siedano attorno ad un tavolo per ripristinare regole, comportamenti e strutture del distretto del pomodoro da industria del centro-sud –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-10510)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più diffuso il fenomeno del nomadismo bovino e dell'abbandono di animali precedentemente allevati e con esso la contestuale riproposizione di inaccettabili ordinanze di abbattimento degli stessi;
   tali ordinanze spesso sono del tutto illegittime, sono infatti impugnate dalle associazioni e conseguentemente in molti casi le amministrazioni sono costrette a ritirarle;
   le ordinanze per loro natura hanno il carattere di contingibilità ed urgenza e, invece, in molti casi, queste sono emanate nonostante la normativa vigente al riguardo fornisca esaustivi precetti e stabilisca le responsabilità e le azioni da compiere; tali azioni avrebbero dovuto essere messe in pratica da tempo, mentre invece si agisce dopo anni di negligenza, incuria, abbandono e mal gestione di animali, segnalati già da tempo sul territorio e di cui, evidentemente, le aziende sanitarie locali e il Sindaco – massima autorità sanitaria sul territorio – avrebbero l'obbligo di occuparsi nei tempi previsti ed adeguati, senza dover ricorrere a questi strumenti per evidenti responsabilità pregresse;
   i presupposti per l'emanazione di tali ordinanze sono rappresentati dalle situazioni di necessità, di carattere eccezionale e imprevedibile che non possono essere affrontate con gli strumenti ordinari che l'ordinamento prevede; pertanto tali circostanze legittimano la pubblica amministrazione ad esercitare poteri extra ordinem;
   animali abbandonati sul territorio come i bovini non possono in alcun modo essere definiti «animali pericolosi» per la salute e per l'incolumità pubblica poiché e ben noto che le caratteristiche etologiche di queste specie non possono in alcun modo essere definite tali, diversamente ogni allevamento dovrebbe essere autorizzato ai servizi della legge 150 del 1992, che identifica una lunga lista di specie animali pericolose per la salute e l'incolumità pubblica di cui è vietata la detenzione ai privati;
   tale definizione di «animali pericolosi» viene utilizzata secondo gli interroganti in modo chiaramente manipolatorio, con la finalità di poter utilizzare l’escamotage che la norma consente per poter ricorrere all'abbattimento senza aver messo in atto banali pratiche necessarie a ricondurre gli animali in idonei spazi sotto controllo anche sanitario, evitando così anche l'eventuale e pretestuoso rischio della loro presenza su strada;
   i bovini, eppur lasciati liberi e non governanti, non possono essere in alcun modo definiti «inselvatichiti», come spesso purtroppo vengono definiti erroneamente dal punto di vista scientifico nelle ordinanze, in ragione della loro natura di animali addomesticati da millenni, di erbivori mansueti, non aggressivi o predatori. Tali caratteristiche etologiche sono per altro dimostrate da innumerevoli immagini presenti in rete che, ad esempio nel caso dei bovini, oggetto dell'ordinanza del Comune di Palau del 16 aprile 2015 testimoniano la totale assenza di comportamenti aggressivo-predatori potenzialmente riconducibili a specie considerate per l'appunto «pericolose»;
   di tali animali – bovini e altre specie animali di allevamento abbandonati sul territorio –, è bene rammentarlo, sono sempre responsabili i loro proprietari, quanto l'autorità sanitaria e il sindaco;
   a fronte di un fenomeno che ormai in Italia è divenuto dilagante, è desolante pensare che le pubbliche istituzioni non sono in grado di adattare altri provvedimenti che non siano quelli finalizzati all'abbattimento, metodo tanto odioso e deprecabile che è utilizzato solo in Paesi incivili;
   tali provvedimenti, condannati dalla collettività nazionale ed internazionale, rappresentano un grave segnale di incapacità gestionale sul quale è d'obbligo indagare;
   in particolare, l'ordinanza Comunale di Palau-Olbia (del 16 aprile 2015) che interessa un branco di circa 20 esemplari abbandonati già dal 1996, a causa del decesso del proprietario, e divenuti motivo di attrazione turistica per le loro pacifiche abitudini e la frequentazione delle spiagge senza aver mai manifestato alcun comportamento «pericoloso», in assenza di eredi tali animali sono divenuti patrimonio dello Stato di cui il sindaco è il rappresentate sul territorio; ciò ha di fatto causato l'uccisione efferata e barbara degli animali ritrovati sgozzati ed ancora agonizzanti, come riportato ampiamente dai media;
   spesso, come il caso di Palau dimostra, i distretti oggetto di nomadismo bovino nel nostro territorio sono riconosciuti a livello internazionale come paradisi per il turismo e queste vicende e i correlati inaccettabili provvedimenti a carattere d'urgenza creano evidentemente un danno a questo settore –:
   se i Ministri interrogati non intendano promuovere, per quanto di competenza, iniziative volte a prevenire simili episodi, che certamente non sono all'altezza di un Paese rispettabile nel quale si sia capaci di prevenire piuttosto che di agire sempre nell'urgenza;
   se i Ministri interrogati non intendano promuovere azioni mirate e definitive volte a contrastare il fenomeno del dell'abbandono e del nomadismo bovino;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del triste fenomeno dell'abbandono bovino che interessa soprattutto quei vitelli che non vengono utilizzati nell'industria della carne e in quella del latte e, per questo, sono allontanati – quando non uccisi con modalità di dubbia legittimità – dagli allevamenti;
   se i Ministri interrogati non intendano promuovere iniziative straordinarie al fine di verificare la corretta e obbligatoria apposizione del marchio auricolare di identificazione per i bovini e altri animali destinati all'allevamento, anche in considerazione del fatto che essa è alla base della prevenzione di possibili reati commessi ai danni di tali animali;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative affinché questi poveri animali siano trattati alla stregua di «esseri senzienti», come dovrebbero in base alla legge, e non, unicamente, come oggetti e quindi come una voce di costo, o ancora come un peso, un gravame, di cui i loro proprietari vogliono liberarsi il prima possibile, incuranti del fatto che, percependoli in tal modo, non solo di fatto violano la vigente normativa che disciplina il settore — e che prevede in particolare per essi l'apposizione del marchio auricolare per la loro identificazione –, ma commettono anche una lunga serie di azioni di dubbia legittimità, a danno degli animali e della collettività. (4-10508)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-06442, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paolo Rossi, Busto, Ciracì, Pesco, Lupo, Spessotto, La Marca, Carloni, Lorefice, Colonnese, Sibilia, D'Uva, Cristian Iannuzzi.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Fragomeli n. 1-00861 del 12 maggio 2015.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Lorefice e altri n. 4-10506 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 490 del 25 settembre 2015.

  Alla pagina 28995, seconda colonna, dalla riga trentesima alla riga trentaquattresima deve leggersi: “il 21 settembre 2015 un operaio di 52 anni Antonino Gangi dipendente della ditta «Somak», originario di Taormina, è morto in un incidente mentre lavorava in una nave d'appoggio della piattaforma petrolifera”, e non come stampato.