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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 24 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la Calabria si pone obiettivi europei per la crescita, lo sviluppo, i servizi e le infrastrutture, la competitività del sistema produttivo;
    la Calabria può assumere una collocazione nell'Europa, tale che da realtà problematica, periferica e marginale possa diventare un territorio privilegiato del Mediterraneo, grande bacino di scambi, frontiera di possibilità da cogliere;
    tali opportunità sono drasticamente ridotte dalle molteplici carenze di infrastrutture e servizi per lo sviluppo, derivanti da anni di politica caratterizzata dall'assenza di una visione strategica capace di guidare la crescita della competitività del sistema economico, del benessere dei cittadini, della vivibilità del territorio, carenze che devono essere opportunamente colmate al fine di uscire dalle regioni (ex) Obiettivo convergenza;
    in riferimento al settore dei trasporti e della logistica tali carenze sono causa di:
     a) difficoltà di movimento da e per la regione nei collegamenti interregionali, nazionali e internazionali, sia per il trasporto delle merci sia per i viaggiatori;
     b) bassissima accessibilità interna a vaste aree della regione, sia per quanto concerne le merci sia per quanto attiene alle persone;
     c) assenza di un adeguato sviluppo economico della regione;
     d) disparità economiche e sociali tra i cittadini, che non vedono egualmente riconosciuto il diritto alla mobilità;
    le principali arterie stradali calabresi (autostrada A3, strada statale 106 e strada statale 18) sono interessate da lavori di manutenzione e/o di messa in sicurezza con la conseguenza di notevoli disagi per automobilisti e trasportatori, in particolare:
     per quanto riguarda la A3 sussistono una condizione emergenziale, tra gli svincoli di Laino Borgo e Mormanno a causa del crollo del «viadotto Italia», e condizioni di criticità diffuse dovute alla presenza di cantieri, di un tratto ancora da cantierizzare e di uno in fase di ammodernamento, nonostante la volontà di accelerazione dichiarata dal Governo Nazionale;
     per la strada statale 106 jonica si riscontrano problematiche rilevanti in merito all'alto rischio di incidenti, una realtà che rende strategico il valore della messa in sicurezza dell'attuale tracciato, nelle more della completa realizzazione dell'arteria nella nuova sede;
     infine, per quanto riguarda la strada statale 18, di grande valore strategico essendo l'unica arteria alternativa all'A3, si rilevano puntuali criticità e diffuse condizioni di insicurezza in particolare negli attraversamenti dei nuclei urbani costieri;
    quanto alla rete ferroviaria calabrese le linee di rilevanza nazionale e internazionale costituiscono parte integrante del TNT-T (Trans-European Networks – Transport), ed in particolare:
     la linea ferroviaria tirrenica appartiene al corridoio TEN-T 5 (corridoio scandinavo-mediterraneo) che si estende dal confine russo-finlandese, a nord dell'Europa, fino a Malta, nel Mediterraneo, attraversando il porto di Gioia Tauro;
     le linee Cosenza-Sibari e Lamezia-Catanzaro Lido appartengono alla rete TEN-T e sono classificate come «rete Comprehensive»;
    nonostante le opportunità derivanti dalla programmazione europea, permangono gravi criticità ed in particolare:
     la rete ferroviaria calabrese è elettrificata e a doppio binario lungo la linea tirrenica e per una modesta parte (fino a Melito P.S.) della linea jonica;
     la restante parte della linea jonica non è elettrificata ed è a singolo binario; lungo la linea jonica sono in corso dismissioni di stazioni con la conseguente drastica riduzione della capacità dovuta alla maggiore distanza tra le stazioni di interscambio per la precedenza;
     relativamente al trasporto delle persone, la rete ferroviaria calabrese non appartiene alla rete ad alta velocità italiana; non è stato predisposto, o comunque non è disponibile, uno studio di fattibilità in termini tecnici, finanziari ed economici;
     nel tratto Battipaglia-Reggio Calabria della rete esistente, al momento sono previsti soltanto interventi per la velocizzazione che comunque produrrebbero modeste riduzioni del tempo di viaggio;
     relativamente al trasporto delle merci, la sagoma limite attuale del tratto ferroviario appartenente alla rete core non consente il passaggio di container marittimi, e le previsioni di risagomatura delle gallerie ferroviarie comunque non consentiranno il passaggio dei semirimorchi su carri ferroviari standard;
     le caratteristiche infrastrutturali attuali non consentono di fare viaggiare treni con standard europeo di lunghezza almeno pari a 750 metri;
     i limiti suddetti rappresentano un vincolo per lo sviluppo del porto di Gioia Tauro;
    nelle more della realizzazione di interventi infrastrutturali sulla rete ferroviaria, le linee attuali non sono utilizzate in modo ottimale e in particolare:
     relativamente al trasporto delle persone, esiste un solo servizio ferroviario al giorno classificato «Freccia Argento» che collega la Calabria con la Capitale; in particolare, con questo unico servizio, è possibile raggiungere Roma impiegando più di 5 ore da Reggio Calabria, 4 ore Lamezia Terme e 3,5 ore da Paola; dalle altre città capoluogo è possibile raggiungere la capitale con tempi di viaggio superiori alle 4,5 ore e con almeno un cambio; in particolare, nel caso peggiore, dalla città di Crotone è possibile raggiungere la Capitale con almeno 8 ore e almeno un cambio;
     con la rete esistente, a costo zero per lo Stato, potrebbe essere realizzato un treno che in circa 4 ore collega Villa San Giovanni con Roma, Lamezia in tre ore, Paola in 2,5 ore;
     con la rete esistente, potrebbe essere realizzato un servizio di collegamento con navetta su gomma tra la stazione ferroviaria di Lamezia Terme e l'Aeroporto di Lamezia Terme, per garantire ai viaggiatori su treno il collegamento con il principale scalo aeroportuale della Calabria;
     relativamente al trasporto delle merci, la rete ferroviaria principale costituisce parte integrante dei corridoi europei commerciali per il trasporto delle merci (Rail Freigth Corridors, RFC) ed in particolare la linea ferroviaria tirrenica e la Paola-Cosenza-Sibari) con la prosecuzione jonico-adriatica, appartengono al corridoio RFC 3 (corridoio ScanMed) che si estende dal Mare del Nord (Stoccolma/Oslo) al mar Mediterraneo (Palermo), attraversando il porto di Gioia Tauro; ad oggi non sono accessibili informazioni ufficiali su quanti e quali percorsi (e tracce orarie) siano predisposti sul RFC 3, che si attiva nel novembre 2015;
    nel settore aeroportuale la Calabria è dotata di tre aeroporti (Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone) nei quali sono in corso di realizzazione interventi di potenziamento strutturale in grado di migliorarne la capacità e l'efficienza gestionale e l'integrazione con la rete nazionale ed internazionale ed in particolare:
     a) per l'aeroporto di Lamezia il prolungamento della pista di volo;
     b) per l'aeroporto di Reggio Calabria l'adeguamento ed il rifacimento parziale dell'aerostazione con la creazione di nuovi gate e spazi più razionali per i servizi;
     c) per l'aeroporto di Crotone l'adeguamento funzionale e distributivo dell'aerostazione;
    il Mezzogiorno e la Calabria con la loro collocazione geografica proiettata nel Mediterraneo costituiscono la frontiera più avanzata di un bacino attraversato da quasi un terzo delle merci che si producono nel mondo ed in particolare;
    il porto di Gioia Tauro è il porto appartenente alla rete TEN-Tcore più a sud della penisola italiana, connesso tramite il corridoio TEN-T 5 ai più importanti mercati europei;
    il porto di Gioia Tauro, anche per le sue caratteristiche strutturali, che lo caratterizzano come la più grande infrastruttura portuale di transhipment della sponda europea del Mediterraneo, può essere una formidabile opportunità per lo sviluppo delle relazioni economiche e commerciali, e per il sistema delle imprese italiane ed europee, costituendo uno dei porti di riferimento del «Southern Range»;
    nonostante le opportunità derivanti dalla programmazione europea, permangono gravi criticità e pertanto è necessario:
     consolidare il ruolo di transhipment di Gioia Tauro, attivando adeguate politiche nazionali per le tasse di ancoraggio e le accise;
     attivare un gateway con dimensioni adeguate alla lunghezza dei treni standard europei (750 metri), pronto a supportare i treni di lunghezza sino a 1000 metri, come quelli attivi o in corso di attivazione nei corridoi Nord-Sud che attraversano Francia e Germania, avviando subito il potenziamento della dorsale tirrenica per l'allaccio all'alta capacità ferroviaria nazionale e alle reti TEN-T, e adeguando la rete infrastrutturale per consentire il passaggio dei container marittimi e dell'autostrada viaggiante;
     creare le condizioni per il potenziamento ed il decollo delle attività economiche del porto e del retro porto con azioni finalizzate di tipo finanziario, semplificativo e di «governance unitaria» anche in relazione alla proposta di nuovi organismi di autorità dei porti e dalla proposta di «zona economica speciale» della regione Calabria;
     avviare, al contempo, una logistica distributiva, connessa al regional port e una logistica per la produzione, soprattutto in riferimento alle produzioni che riguardano principalmente l'agricoltura e l'agroalimentare;
     avviare attività da effettuare sulle produzioni agroalimentari internazionali che interessano i grandi mercati europei, costituendo un polo del freddo capace di partecipare in modo economicamente valido ai rifornimenti dei mercati europei, attualmente tutti basati nei porti del northern range;
     sviluppare una programmazione adeguata per il porto di Reggio Calabria, inserito nella rete europea, per i grandi porti di Corigliano e Crotone, spesso oggi utilizzati per allocare i relitti di naviglio e per sviluppare i ruoli specifici dei porti di Vibo, Palmi e Saline;
     porre l'attenzione sull'attraversamento dello Stretto, in particolare per le interferenze con il centro abitato di Villa San Giovanni sia dal punto di vista infrastrutturale almeno con la presa in considerazione dello scenario multimodale alternativo; sia dal punto di vista dei servizi con la stabilizzazione dell'attraversamento di breve percorrenza tramite navi veloci; sia dal punto di vista dei servizi ferroviari con l'utilizzo di navi ferroviarie di nuova generazione, con cui si abbattano i tempi di attraversamento;
    nell'ambito delle relazioni interregionali ha un particolare rilievo il rapporto tra la Calabria e la Sicilia, anche alla luce del processo di realizzazione della città metropolitana di Reggio Calabria ed in particolare:
     il sistema dei collegamenti tra le due sponde costituisce un fattore importante per lo sviluppo di un'area gravitante sulle città di Reggio Calabria, Messina e Villa San Giovanni con ricadute positive su ambedue le regioni;
     il flusso complessivo di traffico passeggeri e merci in tutte le modalità di trasporto e con le varie tipologie di servizi, si è modificato ed è globalmente cresciuto senza un parallelo adeguamento ed innovazione di mezzi e tecnologie;
    la Calabria ed il Sud possono assolvere ad una funzione strategica per la logistica, gli scambi, i flussi di merci e i trasporti nelle politiche di internazionalizzazione del nostro Paese,

impegna il Governo:

   a dare impulso a tutti i programmi in corso da parte dei Ministeri competenti e/o degli enti e delle società partecipate e a integrare la programmazione degli investimenti per la Calabria nel settore delle infrastrutture e della logistica adoperandosi affinché siano potenziati i collegamenti lungo le principali direttrici nazionali e regionali, assicurando una integrazione modale con porti, aeroporti e stazioni ferroviarie;
   a tenere in adeguata considerazione la regione Calabria nell'ambito dell'annunciato «master plan» per lo sviluppo del Mezzogiorno;
   a rendere rapidamente operativa l'IGC (intesa quadro generale) tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Calabria sia in riferimento agli interventi strategici di rilevanza sovra regionale (corridoi stradali ed autostradali con la riqualificazione e la messa in sicurezza della strada statale 106; la risoluzione delle criticità puntuali sul corridoio tirrenico strada statale 18; corridoi ferroviari con la linea tirrenica, la linea ferroviaria ionica da Taranto a Reggio Calabria, il sistema portuale calabrese e Gioia Tauro, il sistema aeroportuale) sia in riferimento ad interventi di rilevanza regionale ma strettamente interagenti con le infrastrutture strategiche (potenziamento dei collegamenti trasversali; completamento della traversale delle serre; corridoi ferroviari con il completamento della trasversale Lamezia Terme-Catanzaro Lido; servizi ferroviari e marittimi a carattere regionale);
   ad adottare con urgenza ogni iniziativa finalizzata a pervenire alla definitiva conclusione di tutti i lavori connessi all'autostrada Salerno-Reggio Calabria, definendo al contempo delle soluzioni per rilanciare la rete infrastrutturale dei trasporti calabresi, stabilendo tempi certi per la soluzione delle maggiori criticità e attuando, per le parti di propria competenza, le opportune iniziative affinché, in tempi rapidi, siano ammodernati o ricostruiti i 20,5 chilometri che necessitano ancora di intervento e siano cantierizzati i rimanenti 98,65 chilometri;
   a pianificare, per quanto attiene alla direttrice jonica, la realizzazione dell'arteria in nuova sede impegnando le necessarie risorse per i lavori di completamento del Megalotto 1 (tratto Locri-Siderno) per il tratto tra Locri e Ardore e megalotto 3 «Sibari SS534-Roseto Capo Spulico» nonché a concludere, nei tempi più brevi possibili, le procedure già avviate ed attualmente in corso presso il CIPE sui progetti relativi ai megalotti 9 «Crotone Aeroporto-Mandatoriccio» e 8 «Mandatoriccio-Sibari» ed a stanziare le occorrenze finanziarie necessarie per la loro realizzazione;
   a predisporre congiuntamente alla regione Calabria, nell'immediato, uno studio di fattibilità per l'alta velocità per il percorso di connessione tra l'AV/AC Roma-Salerno, e la Messina-Catania-Palermo, considerando le varie opzioni alternative di percorso e le differenti opzioni tecniche che consentano di individuare una soluzione snella (lean) per l'alta velocità, in linea con i costi delle reti francesi e spagnole;
   a pervenire, per quanto riguarda la direttrice ferroviaria ionica, ad un percorso di attuazione che consenta di conseguire in tempi certi l'istituzione del «rango C» su tutta la linea ferroviaria;
   a predisporre, nel contempo, le progettazioni per i tracciati ferroviari nel nodo di Lamezia con l'interconnessione diretta tra stazione ferroviaria ed aerostazione, in linea con un hub di livello europeo, come risulta dalle stesse indicazioni date per i nodi principali della rete aerea nell'ambito della rete TENT core;
   a potenziare, in considerazione delle carenze infrastrutturali ferroviarie e stradali che caratterizzano la direttrice ionica, l'aeroporto di Crotone, prevedendo, innanzitutto, così come avviene per tutti gli aeroporti di rilevanza nazionale, l'esonero dagli oneri di servizio e a favorire la mobilità pubblica dei territori con lo scalo aeroportuale;
   a dotare l'aeroporto dello stretto di un piano industriale in grado di superare le criticità di gestione e garantire la presenza di una molteplicità di vettori sulle rotte nazionali, l'adeguamento dell'aerostazione, un collegamento diretto con l'utenza siciliana con la messa a norma dell'approdo, trasporti marittimi veloci e dedicati e l'accessibilità ferroviaria dalle zone ionica e tirrenica;
   a favorire la realizzazione di sistemi di mobilità sostenibile nelle principali aree urbane della regione, in linea con gli altri territori europei, attraverso la realizzazione di collegamenti metropolitani su ferro per le aree urbane a maggiore concentrazione di popolazione negli abitati di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria tali da ridurre i livelli di emissione di inquinanti nel territorio;
   ad adottare ogni iniziativa di propria competenza volta a favorire uno sviluppo dei trasporti in grado di sostenere l'incremento del livello di occupazione nella regione, la coesione territoriale e la sicurezza dei cittadini e di contrastare lo spopolamento del territorio;
   a definire e realizzare per il trasporto sullo stretto un sistema multimodale in grado di garantire, a costi contenuti, la mobilità delle persone e delle merci, con le differenti modalità, predisponendo risorse adeguate definitive per i servizi passeggeri interregionali di attraversamento;
   ad avviare, nel breve termine, servizi passeggeri ferroviari che utilizzino al meglio la rete ferroviaria italiana e ad assumere ogni utile iniziativa volta a garantire il reale godimento da parte dei cittadini calabresi del diritto alla mobilità;
   a vigilare affinché sia eliminato il rischio di infiltrazioni malavitose nell'affidamento di appalti e delle concessioni pubbliche per le opere in corso di esecuzione nel territorio calabrese, in attesa della definitiva approvazione della nuova disciplina che innova e rende più cogenti le norme sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto, in attuazione di tre direttive del Parlamento europeo e del Consiglio.
(1-00999) «Bruno Bossio, Magorno, Aiello, Battaglia, Censore, Covello, D'Attorre, Oliverio, Stumpo, Falcone».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    i vigili del fuoco cosiddetti discontinui sono parte del personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (C.N.V.V.F.) e, pertanto, sono iscritti in appositi elenchi istituiti presso i comandi provinciali. Gli stessi rappresentano una figura strategica fondamentale del comparto, a cui è riconosciuto un indispensabile ruolo che consente di svolgere efficacemente il soccorso pubblico;
    i vigili del fuoco discontinui – superando corsi, prove fisiche e attitudinali – hanno ricevuto la medesima formazione dei loro colleghi permanenti, e, difatti, ne sono equiparate le funzioni, mentre, è diverso l'inquadramento presso il Corpo, poiché svolgono il loro servizio in modo precario, in assenza, dunque, di un rapporto d'impiego con l'Amministrazione pubblica;
    non solo si tratta di vigili del fuoco precari, ma a causa dei continui tagli alle risorse del comparto sicurezza è stata prevista una diminuzione dei giorni di richiamo in servizio di tale personale, da 20 a 14 giorni, e ciò ha determinato un'incisiva diminuzione del corrispettivo, già modesto, che percepiscono;
    attualmente, si prevede la chiusura di numerosi distaccamenti volontari presso i quali prestano servizio i vigili del fuoco discontinui, il che comporterà la perdita di lavoro per circa 15.000 precari, con le immaginabili gravi conseguenze che si ripercuoteranno anche sulle loro famiglie. Difatti, a quanto sembra, non vi è alcuna volontà dell'Amministrazione di stabilizzare o ricollocare tale personale, anzi, a quanto è dato sapere, il Ministero dell'Interno intende sopprimere, definitivamente, questa figura operativa dall'organigramma del C.N.V.V.F.;
    ebbene, si ritiene assurdo che l'esecutivo voglia determinare la perdita di lavoro di migliaia di persone che hanno prestato un indispensabile servizio, per la sicurezza dei cittadini e del nostro Paese, rivelatosi decisivo per la salvezza di vite umane in molte occasioni. Inoltre, è paradossale che per supplire alla mancanza di personale che si determinerà nel C.N.V.V.F. dovranno essere indetti dei nuovi concorsi pubblici con ulteriore ed inutile spreco di denaro pubblico. Si deve, invece, intervenire per adottare idonei provvedimenti per ricollocare il personale discontinuo, altrimenti verrebbe irragionevolmente dispersa la competenza di persone, dapprima formate dall'amministrazione pubblica e poi dalla stessa rese disoccupate;
    ebbene, con l'obiettivo di tutelare i vigili discontinui devono essere adottati urgenti provvedimenti:
    innanzitutto, a coloro che fanno parte del personale discontinuo andrebbe riconosciuto lo “status di precari”, affinché possano essere ricollocati in altre amministrazioni qualora non riescano ad entrare a far parte stabilmente del C.N.V.V.F.; per favorire l'assunzione dei vigili discontinui anche nel settore privato dovrebbero essere riconosciuti sgravi fiscali per le aziende del settore antincendio, che intendono acquisire personale; in considerazione della competenza e dell'esperienza assunta dai vigili discontinui, va elaborato un programma a lungo termine che preveda criteri per i quali si riconosca, a determinate condizioni, la priorità di detto personale nei bandi pubblici per vigili del fuoco; per quanto concerne i vigili discontinui che successivamente dovessero essere dichiarati non idonei ad espletare il servizio, si potrebbe prevedere la ricollocazione all'interno del personale non operativo,

impegna il Governo

a promuovere urgenti iniziative per salvaguardare il ruolo dei vigili del fuoco cosiddetti discontinui, al fine di adottare idonei provvedimenti che consentano la stabilizzazione degli stessi, senza apporre limiti di età anagrafica, presso il C. N.V.V.F. o comunque la ricollocazione in ulteriori enti o aziende.
(7-00781) «Mucci, Rizzetto, Baldassarre, Artini, Barbanti, Bechis, Prodani, Segoni, Turco».


   La III Commissione,
   premesso che:
    il 20 maggio 2015 in seduta plenaria a Strasburgo il Parlamento europeo ha emendato la «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema europeo di autocertificazione dell'esercizio del dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori responsabili di stagno, tungsteno, tantalio, dei loro minerali e di oro, originari di zone di conflitto e ad alto rischio (COM(2014)0111 - C7-0092/2014 - 2014/0059(COD);
    la proposta modificata dal Parlamento europeo comporta la tracciabilità obbligatoria dei minerali insanguinati lungo tutta la catena;
    il 14 luglio 2015 il Parlamento europeo ha ottenuto dalla Commissione parlamentare per il commercio internazionale, competente nel merito, il mandato per avviare il negoziato tra Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea;
    la citata proposta dovrà essere «mediata» con le posizioni della Commissione e del Consiglio dell'Unione europea, che sembrano propendere per una tracciabilità volontaria e quindi inefficace;
    il Parlamento italiano è l'unico insieme a quello ceco a essersi espresso sulla questione;
    la proposta non crea obblighi gravosi per le piccole e le medie imprese, ma obbliga le grandi ditte informatiche, tecnologiche e automobilistiche a fare i conti con la loro catena di fornitura;
    lo sviluppo delle telecomunicazioni, dell'elettronica di punta e della telefonia mobile ha reso indispensabili molti minerali «sporchi di sangue», ossia provenienti da Paesi in guerra, dove le estrazioni minerarie finanziano i signori della guerra e i gruppi armati: un esempio è costituito dal coltan, una sabbia nera, leggermente radioattiva, formata dai minerali colombite e tantalite, da cui si estrae il tantalio, metallo raro che viene usato nell'industria della telefonia mobile, nella componentistica dei computer e in quella degli aerei;
    il coltan viene estratto nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo, la zona del Kivu, che confina con Ruanda, Burundi e Uganda, che è di gran lunga la zona più ricca in assoluto di minerali e risorse di tutto il territorio congolese;
    la distanza dalla capitale ha reso il Kivu terra di nessuno, consentendo ai Lords of war (i cosiddetti signori della guerra) di diventare i principali interlocutori delle multinazionali;
    chi compra il coltan non si preoccupa della provenienza o se il mercato è clandestino e senza controlli: chi lo estrae, adulti ma anche bambini, lo fa spesso scavando a mani nude, con conseguenti frane e incidenti quotidiani. Ogni giorno decine di bambini muoiono e non esiste alcun censimento. La loro età si abbassa di anno in anno e progressivamente sviluppano, a causa della radioattività, malattie del sistema linfatico che ne causano la morte;
    le guerre sviluppate attorno all'accaparramento del coltan ha portato milioni di morti e migliaia di bambini soldato che quando non combattono scavano la terra alla ricerca del minerale;
    le norme relative al «Dovere di diligenza dell'UE nella catena di approvvigionamento» saranno basate sulle linee guida dell'OCSE relative al dovere di diligenza, progettate per aiutare le aziende a rispettare i diritti umani e a evitare di contribuire all'insorgere di conflitti attraverso i loro acquisti di minerali provenienti da zone colpite da conflitti e ad alto rischio;
    un piccolo passo è stato fatto con il Kimberley Process (KPCS), un accordo di certificazione del 2000 ma che riguarda i diamanti questo è volto a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare guerre civili,

impegna il Governo:

   a sostenere in seno al Consiglio dell'Unione europea la tracciabilità obbligatoria dei minerali, ovvero, nel quadro del suddetto regolamento e conformemente alle linee guida dell'OCSE, ad assumere iniziative per obbligare le imprese ad adottare a valle tutte le misure ragionevoli per identificare e affrontare i rischi nella loro catena di approvvigionamento dei minerali e dei metalli contemplati dallo stesso, anche tramite l'obbligo d'informazione sulle loro prassi di diligenza ragionevole per un approvvigionamento responsabile;
    a sostenere un monitoraggio del regolamento tramite una revisione che avvenga due anni dopo la sua applicazione e successivamente ogni tre anni, anziché dopo tre e sei anni rispettivamente, come proposto dalla Commissione europea.
(7-00784) «Spadoni, Battelli, Manlio Di Stefano, Grande, Del Grosso, Sibilia, Scagliusi, Di Battista».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, stabilisce che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia»), «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
    il testo dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 35 è stato trasmesso il 27 aprile 2015 dal Ministero dell'ambiente alla Presidenza del Consiglio dei ministri che ha provveduto (nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015) ad avviare l'iter per l'acquisizione del previsto parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
    lo schema reca anche l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili;
    molte sono le criticità che però la proposta presenta sia dal punto di vista tecnico sia di coerenza con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014;
    le informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poste alla base dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla disponibilità di impianti attivi o autorizzati come impianti di incenerimento riguardano infatti il periodo antecedente agli obblighi di adeguamento derivanti dalla attuazione dell'articolo 35 stesso, in particolare i commi 3 e 5 nonché, in taluni casi, Piani Regionali di gestione rifiuti da adeguare e non adeguati nei termini previsti dall'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (12 dicembre 2013) ovvero, per quelli adeguati, una loro non congrua valutazione;
    le conclusioni relative al fabbisogno impiantistico partono da informazioni e dati che non essendo sempre aggiornati risultano ancora «al netto» dell'intervento normativo dei commi 3 e 5 dell'articolo 35 del decreto dello «Sblocca Italia» e della capacità effettivamente trattabile dai singoli impianti;
    lo schema finisce così, secondo il firmatario del presente atto di indirizzo, per essere in contrasto con la logica degli avvenimenti intercorsi e con la consistente diminuzione del fabbisogno residuo di incenerimento che deriva dall'attuazione dei Piani e da una loro più corretta interpretazione;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha utilizzato una modalità di calcolo del fabbisogno di smaltimento (rectius, di recupero) finale che talora non ha tenuto conto in modo corretto dello scenario dei piani regionali gestione rifiuti; tipico è il caso della regione Marche il PRGR della quale pone l'obiettivo di riduzione della produzione dei rifiuti del 6,2 per cento al 2020 a fronte di una raccolta differenziata almeno del 70 per cento; gli scenari del piano ipotizzano inoltre un 20 per cento circa di materiali di recupero dal flusso dei rifiuti urbani avviati al trattamento e che vanno perciò sottratti dalla quota dell'incenerimento così come il 30 per cento di CSS-combustibile e altro; sono insomma situazioni che modificano (da 200.000 a circa 85.000 tonn/anno il dato finale ipotizzato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri); analoghe situazioni si rinvengono anche con riferimento ad altri Piani regionali;
    lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di individuare il fabbisogno residuo ha assunto come riferimento la produzione di rifiuti urbani indifferenziati e lo ha calcolato sulla base di una raccolta differenziata del 65 per cento che però, ai sensi dell'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle gerarchie comunitarie di gestione, è solo un «obiettivo minimo» e non «un vincolo da non superare...», tant’è che alcune regioni (esempio anche il Veneto) hanno programmato soglie più elevate;
    è doveroso ricordare che la Corte Costituzionale, pur quando ha riconosciuto la prevalenza della specifica disciplina statale in presenza di esigenze ambientali incomprimibili, ha comunque ammesso la residua potestà delle regioni di assicurare livelli di tutela maggiori di quelli previsti dallo Stato (Sentenza 58/2013);
    lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri computa una necessità di incenerimento del 10 per cento dei rifiuti da raccolta differenziata; le percentuali di scarti, nei modelli domiciliari (quelli di riferimento per il conseguimento degli obiettivi nazionali di raccolta differenziata, e soprattutto per quelli incrementali ora in discussione nell'ambito del dibattito sulla economia circolare a livello di Unione europea) sono però inferiori, a volte marcatamente inferiori; non tutti gli scarti da attività di riciclaggio sono inceneribili (esempio gli scarti da vetrerie) e gran parte degli scarti inceneribili sono invece anche riciclabili (es. le plastiche eterogenee) in modo più coerente con le gerarchie dell'Unione europea di gestione dei rifiuti ed anche traendone un migliore profitto economico;
    gli scenari europei porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero di materia che non potranno coesistere con una situazione di infrastrutturazione «pesante» basata esclusivamente sugli inceneritori, impianti finanziariamente sostenibili solo con un'alimentazione con flussi «certi» di rifiuti urbani per 20-30 anni;
    viene poi assunta una produzione del 65 per cento di CSS dagli impianti di pretrattamento; è un dato che appare decisamente eccessivo rispetto alla realtà degli stessi impianti di produzione e che non tiene neppure conto dei quantitativi di CSS che rispondendo alle condizioni di cui all'articolo 184-ter del T.U.A. sono utilizzabili in cementifici o centrali termoelettriche (decreto ministeriale 14 dicembre 2013) e che vanno dunque sottratti al computo delle necessità, complessive di incenerimento come rifiuti;
    lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non sembra aver tenuto in debito conto nemmeno delle politiche regionali che hanno previsto la «riduzione» dei rifiuti urbani prodotti attraverso azioni incisive di prevenzione e riciclo. È assunta solo un’«invarianza del quantitativo di rifiuti urbani» ma non viene valutato l'effetto dei programmi di prevenzione/riduzione del rifiuto resi obbligatori dall'articolo 29 della direttiva 2008/98, del decreto direttoriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 ottobre 2013 recante «Adozione e approvazione del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti»;
    il profilo più rilevante che richiede un atto parlamentare sull'argomento sta nel fatto che la ratio dell'articolo 35 non è quella di voler soddisfare il fabbisogno residuo solo con l'incenerimento. Il richiamo esplicito alle pianificazioni regionali sovente incentrate su soluzioni organizzative (es. massimizzazione del «porta a porta», riciclo e recupero) significa che non si sono voluti precludere comunque scenari diversi dalla soluzione «unica» della termodistruzione invece ipotizzata nello scherma di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
    in altri termini l'obiettivo non era (e non può divenire ora con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «attuativo») quello di ottenere l'autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani mediante la costruzione esclusivamente di inceneritori in ogni «macro Area» e, all'interno di ciascuna di esse, in quasi tutte le regioni;
    il fatto che ogni regione non necessariamente debba essere autosufficiente solo mediante inceneritori è dimostrato dalla possibilità di conferire i rifiuti urbani alla termodistruzione anche fuori quella di produzione (articolo 35, comma 7, decreto-legge 133 del 2014);
    la criticità dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sta nell'avere invece assunto lo scenario dell'incenerimento con recupero di energia come unica soluzione finale, mentre la stessa direttiva comunitaria e la normativa nazionale la pongono solo come «un'opzione» seppur gerarchicamente da preferire allo smaltimento in discarica ma non certo nei termini ultimativi e alternativi ad ogni altra soluzione;
    l'ordine di priorità nella gerarchia delle soluzioni non significa che una esclude tassativamente l'altra perché se così fosse sarebbe lecito chiedersi perché non si concentrino le risorse e le azioni solo sulla prevenzione, riciclo e recupero;
    vi sono nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri anche altre criticità, di carattere tecnico-normativo;
    le tabelle allegate allo schema di decreto riportano i quantitativi trattabili in termini di tonnellate per anno;
    l'introduzione dello scenario dell’«incenerimento dei rifiuti urbani» come unico e vincolante scardinerebbe in molte regioni le politiche virtuose finora realizzate e quelle programmate di prevenzione della produzione di rifiuti, di riciclo e recupero, sarebbe antieconomica e in contraddizione con gli indirizzi di programmazione locale;
    essa comporta anche significative ripercussioni sulla programmazione regionale; vedasi, ad esempio, quella della Lombardia, in particolare sull'autosufficienza riguardante lo smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati e in relazione ad obiettivi strategici come la decommissioning di alcuni impianti per la quale quella regione ha attivato tavoli di lavoro con operatori e amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva competenza;
    inoltre, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE, i piani e programmi che sono elaborati per il settore della gestione dei rifiuti sono soggetti ad una valutazione ambientale strategica la quale deve precedere «tutti i piani e i programmi che sono elaborati (...) per la valutazione della gestione dei rifiuti» (negli stessi termini dispone l'articolo 6, comma 2, lettera a), dell'attuativo decreto legislativo n. 152/2006);
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione rientra appieno in questa casistica e non può esimersi dalla VAS né il singolo inceneritore, potrebbe sottrarsi ai criteri localizzativi dei piani regionali e soprattutto alla idoneità/non idoneità delle aree, al rispetto dei vincoli ambientali e paesaggistici che il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha demandato a regioni e province (si pensi alle aree PAI, ZPS, DOC, DOP, Z.T.B., Rete Natura 2000 - direttiva Habitat 92/43/CEE, direttiva/uccelli 79/409/CEE, aree boscate e altre);
    in altri termini: l'articolo 35, del decreto-legge n. 133 del 2014, contempla un vero e proprio programma integrato nazionale per la gestione dei rifiuti urbani e speciali mediante impianti di recupero energetico. La norma stabilisce, infatti, che gli impianti di recupero inseriti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, sono qualificati come infrastrutture di preminente interesse nazionale, che i medesimi devono essere autorizzati ad operare a saturazione del carico termico, che dovranno rispondere alle caratteristiche degli impianti R1, e che, non sussistendo vincoli di bacino, all'interno degli stessi dovrà essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani provenienti dall'intero territorio nazionale;
    l'articolo 4 della direttiva 2001/42/CE (cosiddetta direttiva VAS), rubricato «obblighi generali», stabilisce inoltre che «la valutazione ambientale di cui all'articolo 3 deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa»;
    ai sensi degli articoli da 5 a 12 della menzionata direttiva, poi, la procedura di valutazione ambientale strategica deve comprendere lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e il monitoraggio;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri appare dunque in contrasto con i suddetti obblighi della direttiva VAS, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver dato luogo alla necessaria procedura di VAS, con ciò violando gli scopi perseguiti dal legislatore europeo;
    il mancato assoggettamento alla VAS, anche alla luce della necessità di definire criteri univoci per la distribuzione territoriale degli impianti, e per la valutazione degli impatti discendenti dalle scelte localizzative da assumere comporta l'elusione delle finalità perseguite dalla direttiva comunitaria, quali quella di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e della approvazione dei piani e programmi, assicurando che i medesimi siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile;
    la previsione in una «rete nazionale» impiantistica strategica non può però prescindere dal tener conto, in un rapporto di leale collaborazione istituzionale, del potere programmatorio e regolamentare delle regioni, anche in relazione al progressivo passaggio da impianti di smaltimento di rifiuti tramite combustione a veri e propri impianti di recupero energetico ed al fatto che dalla lettura congiunta dell'articolo 182, comma 3, dell'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 così come convertito dalla legge n. 164 del 2014, gli impianti non sono vincolati al trattamento dei soli rifiuti prodotti nel territorio (ATO, regione, macroarea) qualora si tratti di rifiuti speciali, fossero pure derivanti dai rifiuti urbani;
    la ripartizione in macro-aree basata su meri criteri teorici e che non tiene conto della viabilità e della contiguità dei territori, delle relazioni e accordi interregionali intercorsi negli anni e di assetti organizzativi consolidati non sembra poi rispondere ad una logica di razionalizzazione del settore;
    un inceneritore in regioni in cui allo stato attuale della produzione di rifiuti urbani la raccolta differenziata ha superato (esempio Trentino Alto Adige) o è già prossima (esempio Marche) all'obiettivo del 65 per cento (esempio Marche) e nelle quali vi è ancora disponibilità di discariche autorizzate (quindi «conformi alla legge») e previste dai PRGR adeguati al decreto legislativo n. 152 del 2006 determinerebbe la necessità di rivedere tutti i piani di ammortamento finanziario delle discariche, di quelli per la gestione post-mortem e di ripristino ambientale con oneri che andrebbero a cumularsi a quelli, oltremodo ingenti, per realizzare un impianto di incenerimento, costi che si tradurrebbero in un aumento della tassazione per i cittadini,

impegna il Governo:

   a riesaminare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inoltrato alle regioni e province autonome con nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015 ed a riproporne uno che sia più coerente con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 e che sia basato su un'altra e più aggiornata fase di raccolta delle informazioni per verificare gli effetti, in termini di aumento della capacità operativa degli impianti di incenerimento derivanti dagli adeguamenti e verifiche previsti dai commi 3 e 5 del medesimo articolo, nonché ad elaborare una programmazione che tenga conto delle variazioni nel frattempo intervenute o già previste sui territori in attuazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti;
   ad assumere iniziative volte a non prevedere la realizzazione di inceneritori in quelle regioni che hanno già fissato obiettivi di raccolta differenziata superiori al 65 per cento, almeno fino al raggiungimento della percentuale prevista e comunque solo se il quantitativo residuale dovesse infine essere superiore alla «taglia minima» di 100.000 tonn/a.
(7-00780) «Carrescia, Preziosi, Manzi, Giovanna Sanna, Zardini, Cominelli, Carocci, Tullo, Bratti, Carella».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il settore della locazione senza conducente di veicoli ha assunto un ruolo di crescente rilevanza nel contesto economico. Il computo, infatti, immatricola il 23 per cento del mercato nazionale (dato consolidato maggio 2015) e fornisce – con costi ridotti e determinati – servizi per la mobilità e i trasporti di 65.000 aziende e 2.700 pubbliche amministrazioni, nonché per le crescenti esigenze del turismo nazionale e internazionale (5 milioni di contratti/annui);
    il settore ha un importante ruolo anche in ambito ambientale: impiega una flotta, composta di circa 700.000 veicoli tra auto e mezzi commerciali, al 90 per cento già Euro 5/6, immatricola l'80 per cento delle auto elettriche e immette sul mercato dell'usato 250.000 veicoli/anno di nuova motorizzazione, contribuendo allo svecchiamento del parco auto nazionale;
    nella profonda crisi che tuttora attraversa il settore automotive, il comparto del noleggio è l'unico ad aver aumentato negli ultimi 5 anni i livelli occupazionali (30.000 dipendenti diretti ed indiretti), garantendo per l'Erario maggiori entrate (nel 2014 quasi 2 miliardi di euro);
    nell'ambito generale di misure di contrasto alle intestazioni fittizie e all'elusione fiscale, il legislatore ha introdotto – con legge n. 120 del 2010 – all'articolo 94, comma 4-bis, del codice della strada l'obbligo di dichiarare ogni atto o fatto giuridico comportante, tra l'altro, la disponibilità del veicolo per un periodo superiore a 30 giorni. In particolare, l'obbligo di dichiarazione grava sull'avente causa e deve essere effettuato entro 30 giorni dal verificarsi dell'atto/fatto presso gli uffici della motorizzazione civile, al fine dell'annotazione sulla carta di circolazione e della registrazione al PRA. In caso di omissione la disposizione prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 653 a 3.267 euro con ritiro della carta;
    l'applicazione di tale disposizione ai veicoli a noleggio senza conducente costituisce un onere sia per il locatore, sia per il locatario. Si tratta di un adempimento pleonastico poiché la ratio sottesa alla disposizione in questione risulta già salvaguardata dall'obbligo di comunicazione annuale alla pubblica amministrazione, da parte delle aziende del settore, di dati esaurienti sui soggetti locatari (complete generalità nonché i corrispettivi della locazione), prescritto dal provvedimento delle Agenzia delle entrate del 21 novembre 2011;
    peraltro, le finalità di controllo da parte della pubblica amministrazione, potrebbero essere diversamente e molto più semplicemente perseguite, senza aggravi particolari, con la previsione dell'obbligo in capo al conducente di disporre a bordo dello stesso di copia del contratto di locazione, o di altro titolo dal quale risulti la disponibilità in locazione del veicolo, in modo da consentire agli operatori che effettuano i controlli su strada di compiere un accertamento immediato; come già previsto dal codice della strada per casi simili, il contratto di locazione del veicolo o il diverso titolo di disponibilità dello stesso potrebbero essere autenticati dal medesimo proprietario (o del locatore del veicolo) con sottoscrizione dello stesso;
    al fine di superare le difficoltà applicative dell'articolo 94, comma 4-bis, sgravando i consumatori nonché gli operatori del mercato degli oneri burocratici imposti, nella scorsi legislatura, l'8 febbraio 2011, la Commissione trasporti della Camera ha approvato la risoluzione 8-00108, a firma dell'onorevole Velo e dell'onorevole Valducci;
    tale risoluzione evidenziava la necessità di non appesantire inutilmente i costi delle attività di locazione, utilizzando unicamente flussi informatici, senza la complicata e dispendiosa apposizione di etichette sulla carta di circolazione. In particolare, con l'atto approvato, la Commissione Trasporti impegnava il Governo:
     «ad interpretare, in sede di predisposizione del decreto del Presidente della Repubblica recante disposizioni attuative dell'articolo 94, comma 4-bis, del codice della strada, come introdotto dall'articolo 12, comma 1, lettera a), della legge 29 luglio 2010, n. 120, nel senso che, nel caso di locazione senza conducente, al fine di assicurare le finalità proprie di tale disposizione possa, procedersi al solo aggiornamento dell'archivio nazionale dei veicoli attraverso l'annotazione, nella stessa banca dati, del nominativo del locatario e della scadenza del contratto, al fine di assicurare — in sede di controllo — la certa ed univoca attribuibilità del veicoli a chi effettivamente ne dispone, ed al contempo non appesantire le pratiche commerciali delle aziende di locazione con adempimenti (quali l'emissione della carta di circolazione aggiornata) che di fatto segnerebbero una battuta di arresto nella necessaria dinamicità delle stesse;
     a prevedere che — a fronte dell'avvenuta comunicazione — venga contestualmente rilasciata al locatario una ricevuta che il locatario stesso ha l'onere di tenere con sé, unitamente alla fotocopia della carta di circolazione, durante la circolazione, al fine di comprovare l'assolvimento degli obblighi di cui al più volte menzionato articolo 94, comma 4-bis, del codice della strada.»;
    in seguito, è stato approvato il regolamento attuativo, (decreto del Presidente della Repubblica n. 198 del 2012) dell'articolo 94, comma 4-bis, della legge 120 del 2010, previsto dall'articolo 11, comma 5, della stessa legge, prevedendo l'inserimento dell'articolo 247-bis nel decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, recante regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada. La disposizione introdotta prevede l'assolvimento dell'obbligo su indicato con comunicazione telematica all'Archivio Nazionale dei Veicoli;
    successivamente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, preso atto delle peculiarità del settore, ha approntato con proprie circolari del 10 luglio e del 27 ottobre 2014 alcune semplificazioni, nelle quali si tiene anche conto di quanto indicato nella risoluzione della Commissione trasporti n. 8-00108, a firma dell'onorevole Velo e dell'onorevole Valducci;
    in relazione a chiare necessità di tutela dell'attività, varie aziende del settore hanno comunque promosso ricorso al TAR del Lazio, adducendo pregiudizi gravi e irreparabili derivanti loro dall'applicazione della disciplina in materia. Infatti, nonostante le semplificazioni adottate con le circolari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da ultimo citate, la regolamentazione presentava ancora aspetti di complessa attuazione, tali da rendere oltremodo gravosa l'operatività non solo delle aziende del mercato, ma specialmente di quelle clienti e dei consumatori singoli;
    per di più, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con circolare del 9 marzo 2015, stante il pendente giudizio amministrativo, ha provveduto – in via di autotutela – alla revoca delle istruzioni contenute nelle circolari del 10 luglio e 27 ottobre 2014, con specifico riferimento al settore della locazione di veicoli senza conducente; giova quindi sottolineare che di fatto, ancora oggi, a legislazione vigente quanto previsto dalla risoluzione Velo – Valducci non è attuato;
    avverso la succitata circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 marzo 2015 è stata promossa impugnativa al TAR Lazio che, tuttavia, con ordinanza dell'8 maggio 2015 non ha accolto in via preliminare l'istanza sospensiva. L'intera questione è quindi ancora pendente, e si attende l'udienza di merito;
    la revoca in autotutela da parte dell'amministrazione delle precedenti circolari, chiarificatrici quantomeno su alcuni punti, e il giudizio tuttora pendente hanno aggravato la situazione di confusione e di incertezza normativa di tutto il settore, sia dal lato delle imprese e degli operatori, sia dal lato dei consumatori;
    si tratta palesemente di una situazione in cui l'eccesso di regolamentazione e la stratificazione di provvedimenti legislativi e regolamentari non omogenei e non coordinati tra loro hanno prodotto un contesto di grave pericolo e di incertezza per il mercato, senza produrre alcun beneficio conseguente per l'amministrazione. Una situazione quindi di cui la politica deve prendere atto per adottare le conseguenti scelte legislative a tutela del settore dell'industria dell'autonoleggio e dei consumatori,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per risolvere le problematiche per il settore della locazione dei veicoli senza conducente derivanti dall'applicazione dell'articolo 94, comma 4-bis, del codice della strada, prevedendo una più agevole ed efficiente disciplina per il settore, che tenga conto delle peculiarità del comparto, nonché eliminando ogni onere gravante sulle imprese di noleggio e sui clienti delle stesse, preordinato al perseguimento di finalità già ampiamente soddisfatte attraverso altre disposizioni.
(7-00782) «Garofalo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia ad oggi si contano circa 9.000 aziende dedite all'allevamento di chiocciole, comunemente ed impropriamente chiamate lumache, con un consumo, riferito all'anno 2013, di oltre 40.000 tonnellate di cui il 78 per cento vivo e fresco, il 14 per cento surgelato e l'8 per cento conservato sotto forma di prodotti precotti;
    il mercato, già da sempre in grado di assorbire con facilità la produzione anche in considerazione del crescente uso che se ne fa in molte tradizioni gastronomiche regionali e dell'aumento dei segmenti di mercato interessati alla vendita dei derivati quali il cosmetico e il farmaceutico, è andato crescendo nel corso del tempo, aprendo nuovi consistenti spazi al consumo, oggi per circa il 61 per cento coperto dall'importazione da Paesi dell'Est Europa e del Maghreb, nei quali, stagionalmente, avviene ancora la raccolta in natura;
    stanti i presupposti economici perché l'allevamento della lumaca si sviluppi è tuttavia indispensabile che tale segmento di mercato venga sottoposto agli adeguati controlli igienico-sanitari e chimici anche attraverso una accurata conduzione tecnica degli impianti sia con riferimento all'aspetto alimentare che a quello genetico della specie allevata;
    da alcune segnalazioni provenienti dagli operatori del settore risulta che solo pochi allevamenti sono dotati di un piano di autocontrollo HACCP e che i controlli svolti dalle competenti ASL sono spesso carenti; non esiste inoltre una registrazione obbligatoria degli allevamenti né, conseguentemente, un registro anagrafe;
    è stato recentemente predisposto ed inoltrato all'attenzione del Ministero della salute, un manuale di buone pratiche di allevamento, redatto da un gruppo di lavoro composto, tra gli altri, da esperti in diritto e legislazione veterinaria, che rappresenta una valida guida per la conduzione degli allevamenti di chiocciole con caratteristiche microbiologiche e chimiche favorevoli al consumo umano nonché agli altri utilizzi in ambito cosmetico e farmaceutico,

impegna il Governo:

   a intraprendere, anche in collaborazione con le regioni, ogni utile iniziativa volta a sostenere e rilanciare l'elicicoltura nazionale, in particolare attraverso il potenziamento dei controlli sugli allevamenti, sul prodotto finito e sulle procedure di controllo e sorveglianza attuate dall'operatore del settore alimentare (manuale di autocontrollo);
   ad assumere iniziative per istituire una struttura nazionale unica per la gestione dei dati anagrafici provenienti dalle singole regioni (banca dati) per un approccio completo e integrato alla sicurezza alimentare (stable-to-table approach), posto il continuo aumento della domanda di tale prodotto e la conseguente attrattiva del mercato.
(7-00783) «L'Abbate, Parentela, Gagnarli, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il 20 settembre 2015, un esteso incendio di probabile origine dolosa è divampato all'interno dell'area marina protetta di Capo Caccia vicino ad Alghero, nell'ambito del Parco naturale regionale «Porto Conte» (Sassari) ed ha devastato oltre quindici ettari di vegetazione e distrutto 250 camper e roulotte parcheggiati nei campeggi (ormai dismessi) di Sant'Igori e di Sant'Imbenia e nelle aree attrezzate del camping La Stalla;
   l'incendio è divampato alle 2 circa del mattino nella località di Sant'Imbenia e, a causa del forte vento di maestrale, si è velocemente propagato all'intera area, investendo la rigogliosa pineta che circonda la spiaggia di Mugoni, tra le più belle e frequentate della Riviera del Corallo. Le operazioni di soccorso sono durate molte ore ed hanno visto impegnata la Protezione civile regionale e comunale, sei squadre dell'Ente Foreste, giunte da varie parti del territorio circostante, una squadra dei Vigili del fuoco di Alghero e due di Sassari, con sei mezzi messi in campo, oltre a due canadair e due elicotteri provenienti da Anela e Bosa;
   i camping di Sant'Imbenia e Sant'Igori insistevano su un aerea sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale e sono da anni al centro di una vicenda giudiziaria, in seguito alla quale – nel 2010 – sono stati posti sotto sequestro dagli agenti del Corpo forestale della polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Alghero e della Stazione forestale di Alghero;
   il Parco naturale regionale «Porto Conte», istituito con legge regionale n. 4 del 26 febbraio 1999, ha un'estensione di 7.410 ettari e ricade nel PPR (Piano paesaggistico regionale). Al suo interno è ricompresa la foresta demaniale «Le Prigionette», una parte del Parco Geominerario della Sardegna, il Sito di Importanza Comunitaria – SIC «Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta Giglio» e la Zona di Protezione Speciale – ZPS di Capo Caccia;
   l'esistenza del Parco come area protetta assicura una gestione unitaria ad un ecosistema particolarmente delicato e vulnerabile che ospita importanti specie di flora endemica (fiordaliso spinoso, l'astragalo di Terracciano, ginestra sarda, stregona spinosa, giglio marino, silene nodulosa, ginepro, lentisco, fillirea, olivastro, euforbia arborescente, finocchio marino, camforosma, senecio, malvone delle rupi, lecceti, corbezzolo, pungitopo, asparago pungente, e altro) e fauna, in particolare uccelli migratori in via di estinzione;
   secondo «Natura 2000», il Parco rappresenta uno dei siti più importanti del Mediterraneo per la nidificazione del grifone e dell'uccello delle tempeste. In esso trovano ospitalità numerose colonie di berte maggiori e berte minori; i marangoni dal ciuffo, i gabbiani corsi, il falco pellegrino, la poiana, il barbagianni, il corvo imperiale, la pernice sarda, lo scricciolo e altro. Tra i mammiferi: il cinghiale, la donnola, il daino, la volpe e alcuni esemplari di cavalli e gli asinelli dell'Asinara; tra gli anfibi e i rettili: la testuggine comune e marginat;
   l'alta vulnerabilità del Parco naturale regionale «Porto Conte» è registrata nello stesso documento di identificazione del sito Natura 2000, laddove viene segnalato il pericolo di incendio per le formazioni forestali dei ginepreti nell'area terrestre;
   dopo il vasto incendio del 20 settembre 2015, si sta valutando l'entità dei danni e delle risorse necessarie per le prime complesse operazioni di bonifica e per il recupero e la fruibilità di una località a grandissimo richiamo ricreativo e turistico;
   sette anni fa, la stessa area fu colpita da un altro incendio, anch'esso di origine dolosa;
   la Sardegna ha una superficie territoriale di circa 2.400.000 ettari, mentre la sua superficie forestale ammonta complessivamente, comprendendo anche le macchie, a circa un milione di ettari, con un indice di boscosità del 45 per cento. In tale quadro, uno dei fattori negativi che arrecano rilevanti danni al suo ambiente naturale, sotto il profilo paesaggistico, idrogeologico ed economico, rimane sicuramente l'incendio boschivo;
   ogni estate la Sardegna è chiamata ad affrontare l'emergenza incendi e si stima che ogni anno si verificano nell'isola una media di oltre 3 mila eventi che percorrono 13.000 ettari di campagne. Nonostante il potenziamento delle strutture e degli strumenti tecnologici di contrasto, l'intera Sardegna continua tuttavia ad essere teatro di atti incendiari e fenomeni di insorgenza del fuoco selvaggio;
   pur con alcune ciclicità, il fenomeno tende drammaticamente a rimanere stabile nel tempo e nelle varie realtà geografiche, tanto che vaste zone della regione vanno assumendo i caratteri di vero e proprio predeserto;
   per fronteggiare questa calamità la regione autonoma Sardegna e lo Stato impegnano annualmente nella sorveglianza e nella lotta attiva al fuoco ingenti risorse finanziarie, che drenano le già scarse risorse a disposizione, sottraendole allo sviluppo e agli altri impieghi produttivi;
   la macchina operativa antincendio ha raggiunto elevati livelli di operatività ed efficacia sul piano della tempistica e del contenimento dei danni, ma per sua natura non è nella possibilità di incidere sulle cause che alimentano il fenomeno;
   su queste ultime, l'apporto conoscitivo dell'attività investigativa ha individuato e inventariato un'ampia gamma di cause specifiche che caratterizzano storicamente gli incendi nella regione Sardegna;
   da tale indagine, è emerso che tra le cause colpose vi sia: un uso indolente di apparecchi meccanici, a fiamma o elettrici; la mancata custodia e/o la mancata bonifica dei residui di fuochi accesi in aree di campagna da parte di gitanti, campeggiatori, allevatori, agricoltori; abbruciamento abusivo di stoppie; carenza nella manutenzione di elettrodotti o altre linee elettriche; violazione delle norme nella gestione delle discariche da rifiuti solidi urbani, carenza nella manutenzione dei convogli ferroviari; getto in aree rurali di fiammiferi o mozziconi di sigaretta accesa da parte di allevatori e/o agricoltori ovvero di automobilisti; mancanza di cautela nell'apertura o ripulitura di viali parafuoco; brillantamento di mine o esplosivi o getto di petardi, razzi o fuochi artificiali, e altro;
   tra le cause dolose più frequenti sono individuate: apertura/rinnovazione e miglioramento dei pascoli; conflitti e/o vendette tra privati allevatori e pastori e tra questi e la pubblica amministrazione; ripulitura di terreni per lavori colturali agricoli; piromania; ritorsioni per motivi di caccia o bracconaggio; atti commessi da minorenni per gioco o divertimento; atti volti a garantire la continuità occupazionale nei cantieri di rimboschimento ovvero per essere inclusi nelle squadre antincendio; speculazione edilizia; protesta contro licenziamenti o assunzioni nei cantieri forestali; per stato di ubriachezza; per fini di truffa, per fini di deprezzamento di aree turistiche onde acquisirle a prezzi inferiori a quelli di mercato, per fatti di terrorismo politico, e altro;
   la via della deterrenza giudiziaria può costituire un valido argine alla reiterazione dei delitti improntati ad una matrice prettamente criminale, ma si rivela inadeguata per fronteggiare gli incendi che affondano le loro motivazioni nei bisogni «figli» della comunità regionale, senza i quali non sarebbero altrimenti comprensibili i dati sulla persistenza del fenomeno;
   una strategia che si risolva in politiche di soli vincoli o proibizioni sulle aree percorse dal fuoco non si è rivelata una scelta di successo;
   la fase emergenziale deve essere pertanto accompagnata dalla promozione di politiche territoriali e ambientali capaci di affrontare e rimuoverei bisogni, gli interessi e superare ogni altra causa, anche culturale, come quella che può dar luogo a comportamenti colposi e dolosi prima ricordati, alcuni dei quali più tradizionali ed altri più recenti, ormai sufficientemente noti anche attraverso l'attività investigativa e di monitoraggio amministrativo, svolta in forme e con modalità specializzate dal Corpo forestale e di vigilanza ambientale della regione autonoma Sardegna –:
   se il Governo intenda predisporre un piano di intervento che individui i possibili rimedi normativi, amministrativi, tecnici e culturali per rimuovere o mitigare i moventi che alimentano il drammatico fenomeno degli incendi in Sardegna, a partire da una intensificazione del controllo del territorio per rimediare all'isolamento di intere zone (perciò stesso esposte all'opera dei criminali incendiari) attraverso: l'introduzione di attività sperimentali di monitoraggio satellitare dei possibili focolai; l'incremento delle reti di avvistamento nelle campagne; il riposizionamento di un'organizzazione diffusa delle diverse forze di polizia; il potenziamento dell'operatività del Corpo forestale dello Stato (anche attraverso raccoglimento delle istanze di trasferimento in Sardegna dei numerosi agenti temporaneamente dislocati in altre regioni) e la pianificazione di opportuni servizi di pattugliamento; un rilancio delle campagne di sensibilizzazione contro gli incendi già avviate negli anni passati, volte ad individuare cause, motivazioni e condizioni predisponenti l'insorgenza del fuoco selvaggio e delle modalità di loro rimozione.
(2-01089) «Vargiu».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le detrazioni per carichi di famiglia spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscano possiedano un reddito complessivo non superiore ad euro 2.840,51;
   l'importo del reddito come sopra indicato, è stato fissato nel lontano 1986 dal Governo Craxi ed è rimasto immutato sino ad ora, ossia per ben 29 anni e nonostante l'innegabile aumento del costo della vita e l'introduzione dell'euro;
   per effetto quindi di quanto statuito all'articolo 12 del testo unico sulle imposte dei redditi, quando uno dei due genitori muore, la pensione di reversibilità va anche ai figli pro quota, ma, se l'importo del rateo pensionistico spettante a ciascuno dei figli supera euro 2.840,51 all'anno, gli orfani perdono anche il diritto di restare a carico dell'altro genitore;
   il genitore superstite si ritrova vedovo, senza i figli a carico ed impedito dal poter detrarre le spese mediche, sportive, universitarie e quant'altro e ciò per una norma vecchia di trent'anni non adeguata all'attuale potere di acquisto della moneta;
   la situazione che deriva dal decesso di un genitore è dunque fortemente dannosa per il nucleo familiare superstite che, oltre a dover affrontare il grave lutto, per la legge italiana cessa di essere considerato ancora famiglia;
   vi è dunque palese sperequazione tra la situazione familiare ove siano viventi entrambi i genitori e quella in cui vi sia un solo genitore superstite;
   nel primo caso, i redditi dei due genitori non vengono a cumularsi, i figli sono portati a carico, i genitori godono delle detrazioni e possono dedurre le spese che il loro mantenimento comporta;
   diversamente, il genitore vedovo, pur percependo una frazione ridotta di pensione di reversibilità, si vede privato delle stesse agevolazioni previste nel primo caso esaminato allorquando dovrebbe essere maggiormente tutelato dallo Stato;
   il genitore superstite inoltre per effetto della «legge Dini» n. 335 del 1995 è costretto a subire l'ulteriore ingiustizia di veder cumulati ai fini Irpef il reddito derivante dalla propria attività lavorativa con quello relativo alla frazione di pensione di reversibilità goduta e ciò con un aggravamento della sua posizione fiscale nei confronti dello Stato;
   mentre infatti erano in vita entrambi i genitori ciascuno di essi era tenuto al versamento dell'Irpef in proporzione al proprio reddito prodotto, in caso di decesso di un genitore, invece, il superstite si vede applicare il cumulo fra la pensione di reversibilità ed il reddito derivante dalla propria attività lavorativa con un aggravio di imposte secondo l'interpellante incostituzionale che porta quest'ultimo a versare l'irpef sulla base di un artificioso aumento dello scaglione;
   le pensioni indirette o di reversibilità sono previdenza e quindi salario differito e contributi versati da chi non c’è più e non provvidenza intesa come assistenzialismo e meritano quindi un trattamento adeguato alla situazione, posto che l'attuale coacervo di leggi spesso contraddittorie determinano ad avviso dell'interpellante profili di incostituzionalità fiscale (violazione dell'articolo 53 Cost.) e di ineguaglianza (violazione dell'articolo 3 Cost.);
   con una nota del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Governo ha presentato un emendamento alla legge di stabilità che dà più tempo alle regioni statuto speciale per programmare e riorganizzare le amministrazioni pubbliche secondo le norme previste dal decreto n. 101 per l'inserimento stabile dei precari nelle pubblica amministrazione;
   è stata da poco resa nota la relazione della Commissione europea nelle cause riunite C-22/13 e da C-61/13 a C-63/13 (Mascolo e a.) pendenti presso la Corte di Giustizia dell'Unione europea, nella quale senza mezzi termini viene messo in evidenzia come la normativa italiana violi la direttiva comunitaria 1999/70/CE, aprendo uno spiraglio sulla stabilizzazione per migliaia di precari non solo del settore scolastico, ma di tutto il pubblico impiego;
   la Commissione rispondendo ad uno dei quesiti posti dal giudice remittente del tribunale di Napoli censura il comportamento dello Stato italiano di reiterare e prorogare oltre i 36 mesi i contratti di lavoro dei precari senza che vi sia certezza sull'effettivo espletamento di procedure concorsuali, di fatto smentendo tra l'altro la sentenza 10127/2012 della Corte di Cassazione;
   se queste tesi della Commissione venissero accolte dalla Corte di giustizia, l'esito di tutti i giudizi pendenti presso i tribunali italiani sarebbero scontati, in quanto i giudici nazionali sarebbero costretti ad applicare l'articolo 5, comma 4-bis, della legge n. 368 del 2001, prevedendo una misura non soltanto proporzionata, ma sufficientemente effettiva e dissuasiva per la prevenzione dell'abuso dei contratti a termine, attraverso la conversione del contratto;
   lo Stato italiano ad oggi viene a trovarsi in uno stato di totale inadempimento rispetto alla direttiva 1999/70/CE per tutto il settore pubblico. Ad aggravare le cose è l'articolo 4, punto 9, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, che prevede la possibilità di «prorogare, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia, i contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che hanno maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, almeno tre anni di servizio alle proprie dipendenze, violando così il decreto legislativo n. 368 del 2001 che è la norma di recepimento dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, attuato con la Direttiva 1999/70/CE»;
   il succitato articolo 4 consente la proroga dei contratti «fino al completamento delle procedure concorsuali e comunque non oltre il 31 dicembre 2015», non garantendo però, al personale precario una sicura stabilizzazione del rapporto di lavoro;
   appare scontato il fatto che i lavoratori precari, una volta risultati non vincitori di concorso oppure nelle more dell'espletamento dello stesso, si rivolgeranno al giudice del lavoro per veder riconosciuta l'illegittimità del termine apposto sui contratti di lavoro e la loro reiterazione abusiva, alimentando il numero dei contenziosi nei tribunali ed esponendo lo Stato italiano a piogge di risarcimenti così come previsto dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 oppure alla conversione del contratto di lavoro;
   ormai è pacifico che un lavoratore precario costi alla collettività molto più di un lavoratore a tempo indeterminato, basti pensare al fatto che una volta cessato il contratto, l'amministrazione deve corrispondergli il trattamento di fine servizio e se questo lo richiede tramite il giudice del lavoro, anche le fasce stipendiali –:
   se ed in che modo, ma soprattutto in che tempi, intendano risolvere concretamente la situazione di forte sperequazione fiscale a cui sono soggetti i genitori superstiti sia in ordine al cumulo dei redditi (pensione di reversibilità e proprio reddito da lavoro) che fa scattare aumenti dello scaglione Irpef, sia in ordine al sistema delle detrazioni, sia con riferimento al limite massimo di reddito per godere di esse;
   se intendano seriamente prendere in considerazione l'innalzamento del limite massimo di reddito per i genitori vedovi affinché possano godere delle detrazioni per i propri figli e assumere iniziative per prevedere per gli stessi genitori vedovi la separata tassazione del reddito pensionistico e di quello derivante dalla propria attività lavorativa.
(2-01090) «Chiarelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende di uno schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dell'Interno»;
   tale provvedimento, deciso nell'ambito dei decreti attuativi di prossima emanazione relativi alla riforma della pubblica amministrazione, prevede la soppressione di ben 23 prefetture, con contestuale accorpamento – in dettaglio – di quella di Teramo all'Aquila, di Chieti a Pescara, di Vibo Valentia a Catanzaro, di Benevento ad Avellino, di Piacenza a Parma, di Pordenone ad Udine, di Rieti a Viterbo, di Savona a Imperia, di Sondrio a Bergamo, di Cremona a Mantova, di Lodi a Pavia, di Lecco a Como, di Fermo ad Ascoli Piceno, di Isernia a Campobasso, di Asti ad Alessandria, di Verbano Cusio Ossola a Novara, di Biella a Vercelli, di Oristano a Nuoro, di Enna a Caltanissetta, di Massa Carrara a Lucca, di Prato a Pistoia, di Rovigo a Padova e di Belluno a Treviso;
   in particolare, dunque, si passerebbe dalle attuali 103 prefetture presenti sul territorio a sole 80 unità;
   i tagli, peraltro, riguarderebbero anche le questure ed i comandi dei vigili del fuoco delle sedi interessate;
   tale proposta di riduzione non può che destare perplessità traducendosi, evidentemente, in un significativo ridimensionamento dei presidi di legalità e sicurezza presenti sul territorio e in gravi disservizi per i cittadini;
   peraltro nello schema di decreto è assente del tutto la disciplina dei lavoratori delle Prefetture;
   la riorganizzazione degli uffici territoriali, in tal modo prevista – e in un momento tanto delicato, ad esempio per quanto attiene anche l'emergenza migranti – non può che essere sbagliata e intempestiva, facendo registrare un notevole e drammatico arretramento dello Stato rispetto alle esigenze dei territori;
   è evidente che una eventuale riorganizzazione delle prefetture non possa che avvenire tenendo conto dei flussi migratori e dei tassi di criminalità, e che misure quali quelle previste dallo schema di decreto in questione rappresentino esclusivamente tagli insensati che non garantiranno affatto adeguate risposte alle esigenze dei territori –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga opportuno rivedere al più presto i contenuti dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dell'Interno», eliminando la parte relativa alla riduzione del numero delle Prefetture, o quantomeno non intenda rinviare il provvedimento dopo un confronto con le realtà territoriali.
(2-01091) «Quaranta, Costantino, Ricciatti, Scotto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a Roma il 15 settembre 2015 è stato presentato dalla Caritas Italiana il Rapporto 2015 «Le politiche contro la povertà in Italia – Dopo la crisi costruire il Welfare»;
   secondo il suddetto rapporto (pagina 17) negli ultimi sette anni il numero delle persone in povertà assoluta in Italia è più che raddoppiato, passando dagli 1,8 milioni del 2007 ai 4,1 milioni del 2014;
   viene definita povertà assoluta la condizione in cui vivono persone e famiglie che non riescono ad accedere a beni fondamentali per condurre una vita dignitosa: alimentazione, abitazione, istruzione, svago. Il metro più diffuso per calcolarla è un paniere stabilito dall'Istat e rivisto ogni 10 anni;
   l'Istat configura la povertà assoluta come l'impossibilità di accedere «all'insieme di beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali, per una determinata famiglia, per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile»;
   come evidenzia il suddetto rapporto, la crisi economica e le politiche con cui è stata gestita hanno in parte modificato le caratteristiche della povertà in Italia, stabili da più di quarant'anni. Se a trovarsi in povertà erano storicamente soprattutto nuclei familiari residenti nel Meridione, composti da genitori disoccupati e almeno tre figli o da anziani, con la crisi la povertà si amplia e colpisce in maniera più significativa anche nel Nord Italia, soprattutto nuclei familiari giovani, con almeno due figli e in cui un genitore lavora;
   il rapporto Caritas afferma convintamente a pagina 17 che «la responsabilità dello Stato centrale rispetto alla tutela dei diritti dei poveri si sarebbe potuta esercitare, e non si è finora esercitata, attraverso l'introduzione di una misura universale contro la povertà. Questa assenza, all'origine anche dei problemi di frammentazione e parzialità delle misure esistenti, sarebbe più che mai da colmare e il tema sembra solo ora guadagnare attenzione nel dibattito pubblico, grazie a diverse iniziative di movimenti, associazioni e partiti politici»;
   oltre alla mancanza di una misura universale di sostegno economico contro la povertà, il rapporto sottolinea come dall'inizio della crisi i fondi nazionali per le politiche sociali siano stati più che dimezzati, passando dai 3.169 milioni di euro del 2008 ai 1.233,70 milioni di euro del 2015, mentre nella legge di stabilità del 2014 si è provveduto alla cancellazione del fondo per l'acquisto dei beni alimentari per i più bisognosi (Fead);
   il Governo nazionale risulta inoltre responsabile «di una mancata incentivazione di forme di mercato privato del welfare» (pagina 19 del citato rapporto);
   il rapporto Caritas analizza poi nel dettaglio gli interventi di politica sociale messi in campo dal Governo Renzi nel suo primo anno e mezzo di attività, sottolineando come «il consolidamento degli stanziamenti sul sociale fissati nella legge di stabilità 2015 che prevedono, rispetto allo scorso anno, la stabilizzazione di alcuni fondi (in modo particolare il Fondo per le politiche sociali, il Fondo per la non autosufficienza e il rifinanziamento della carta acquisti ordinaria), nonché l'introduzione di alcune nuove misure (assegno nuovi nati e assegno per le famiglie numerose) confermano l'orientamento categoriale e disorganico che ha da sempre caratterizzato le scelte di politica sociale nel nostro paese: strumenti singoli che intervengono su target di beneficiari definiti, non sono specificamente progettati per il target della povertà assoluta e che non si inseriscono in un quadro coerente di interventi complessivi su quest'ultima»;
   a pagina 27 del citato rapporto, la Caritas afferma inequivocabilmente che «con più di 4 milioni di persone in povertà assoluta, non è più rinviabile l'adozione di una misura nazionale contro la povertà, che avrebbe dovuto essere assunta già tempo fa»;
   a causa delle scarse politiche di welfare pubblico, la povertà assoluta, che in passato interessava soprattutto anziani, disoccupati e famiglie numerose, si sta estendo anche a giovani e occupati, deteriorando sempre più le condizioni di vita dei nuovi poveri;
   il succitato rapporto evidenzia come l'attuale sistema di interventi pubblici risulti infatti essere del tutto inadeguato per volume di risorse economiche dedicate con una distribuzione della spesa pubblica decisamente sfavorevole ai poveri: al 10 per cento della popolazione con minore reddito è destinato il 3 per cento della spesa sociale complessiva e il 7 per cento della spesa per protezione sociale non pensionistica; inoltre, l'Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà che risulta essere inferiore alla media dei paesi dell'area-euro: solo lo 0,1 per cento del prodotto interno lordo rispetto allo 0,5 per cento che rappresenta la media dei paesi dell'Eurozona, pari ad una spesa inferiore a quella della media dell'Unione europea in misura dell'80 per cento;
   il rapporto definisce poi insufficienti (pagine 37-44) gli interventi a supporto al reddito delle famiglie introdotti dal Governo Renzi, come ad esempio il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebé per famiglie con figli entro i tre anni, il bonus per le famiglie numerose e l'Asdi (l'assegno di disoccupazione destinato a coloro che, dopo aver fruito della «Naspi» per la sua intera durata, entro il 31 dicembre 2015, risultino ancora privi di occupazione e si trovino in una condizione economica di bisogno); solo il 5,5 per cento dei nuclei in povertà assoluta è uscito dalla povertà per effetto di queste misure, mentre solamente il 5,7 per cento della popolazione ha potuto constatare un lieve incremento del proprio reddito, visto e considerato che solo il 22 per cento dei nuclei in povertà ha potuto ottenere una delle tre misure varate dal Governo;
   anche l'annunciato pacchetto di riduzione delle imposte avrà secondo il rapporto Caritas (pagine 49 e seguenti) un'utilità quasi nulla per le fasce di popolazione meno abbiente, dal momento che «solo il 35 per cento delle famiglie in povertà assoluta paga la Tasi, mentre la rimodulazione degli scaloni Irpef prevista per il 2018 avrà scarsi effetti per la maggioranza delle famiglie povere, dal momento che analizzando la percentuale di famiglie che pagano un'Irpef positiva, quella per le quali è zero, e quella delle famiglie che ricevono un credito di imposta dopo l'introduzione del bonus degli 80 euro al mese, si evidenzia come nel primo 5 per cento delle famiglie, tutte di fatto in povertà assoluta, pochissime paghino l'Irpef, ed anche nel secondo ventile solo il 20 per cento circa risulti contribuente netto»;
   il rapporto Caritas nota in particolare (pagina 98) la funzione di «catalizzazione dell'attenzione e di stimolo alla competizione politico-elettorale rispetto alla maggioranza di governo da parte del MoVimento 5 Stelle, che ha collocato il reddito minimo tra le sue priorità. Per il tipico effetto di «trascinamento» da parte di forze politiche all'opposizione rispetto ai partiti di maggioranza, la salienza nel dibattito politico e nel mercato elettorale delle misure contro la povertà è aumentata sensibilmente, con una dinamica di fatto impensabile fino a qualche anno fa» –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo, e secondo quali tempistiche, per contrastare efficacemente l'indigenza con azioni che vadano nella direzione dell'istituzione di una misura universale di sostegno economico contro la povertà come il reddito minimo, auspicata più volte dal rapporto Caritas di cui in premessa. (5-06469)


   VALIANTE, LUCIANO AGOSTINI, CAPOZZOLO, CARLONI, FOLINO e GIGLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in vista della ormai prossima riforma del sistema delle banche di credito cooperativo (bcc) alla luce di alcune riflessioni, scambiate con operatori del settore, gli interroganti sottopongono all'attenzione del Governo alcune considerazioni;
   le banche di credito cooperativo, nate dall'esperienza delle casse rurali, ispirate alla cooperazione mutualistica, sono presenti da oltre 150 anni sul territorio, sopratutto al Sud, contando circa 376 banche, 4.441 sportelli, 6 milioni di clienti e 1,2 milioni di soci, raccolgono il piccolo risparmio e rappresentano spesso il vero ed unico interlocutore bancario locale;
   molti operatori del settore lamentano, riguardo alla riforma prospettata, il rischio che quel tipo di banche, alterando completamente la loro essenza, omologandosi agli altri istituti di credito, diventino non più organismi autonomi e propositivi con peculiarità specifiche e proprie ma semplici sportelli di altri istituti con un molto probabile esubero di circa 3000 unità di personale;
   gli stessi rappresentati del settore, ribadendo la non convenienza di dotarsi di struttura giuridica diversa da quella che i soci hanno liberamente scelto e mantenuto, sottolineano che le difficoltà oggi per il sistema delle banche di credito cooperativo dipendono dalla contingenza economica di una crisi che si protrae ormai da alcuni anni e dalla imprudente gestione di alcune banche di credito cooperativo, suggerendo per la ripresa di eliminare gli sprechi, potenziando il fondo di garanzia, di utilizzare al meglio gli organismi di primo e di secondo livello, e di mettere in rete i servizi facendo economie di scala ripartendo proprio dallo spirito cooperativo come valore aggiunto. Appare, pertanto, necessario salvaguardare la possibilità e il diritto delle piccole banche ad occupare il mercato proprio perché maggiormente e storicamente utili alle comunità locali sopratutto in un momento storico di «desertificazione» delle zone interne (oggi il 75 per cento del territorio nazionale e il 25 per cento della popolazione) e dei piccoli centri, momento in cui, tra l'altro, anche le Poste saranno quotate sul mercato azionario con eventuali conseguenze di chiusura degli uffici;
   ancora oscuri appaiono alcuni punti della riforma e della concretizzazione della stessa; infatti in una nota del presidente di Federcasse Alessandro Azzi, indirizzata ai presidenti e direttori delle banche del credito cooperativo in data 3 settembre 2015 si legge che: «una fase storica del credito cooperativo si va chiudendo» si parla genericamente di «ulteriore sviluppo della mutualità bancaria», di «contenuti discussi e condivisi», di «superare i limiti della piccola dimensione», di «perdita di qualche porzione di autonomia... in cambio di dosi maggiori di stabilità» e ancora «ciascuna banca di credito cooperativo sarà libera di accettare o meno il modello ma se deciderà di trasformarsi in spa o in popolare... perderà il patrimonio», come dire che chi non vuole sottostare dovrà andare via –:
   alla luce delle sopraesposte considerazioni quale contributo concreto il Governo abbia intenzione di apportare, auspicabilmente coinvolgendo gli istituti bancari toccati dalla riforma, per tutelare e preservare il mondo del credito cooperativo considerando il valore ed il ruolo che lo stesse ricopre per lo sviluppo e l'occupazione. (5-06470)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'obiettivo della messa in sicurezza sismica degli edifici scolastici costituisce elemento di interesse prioritario nell'ambito dell'azione pubblica diretta alla riduzione del rischio sismico;
   per assicurare il conseguimento di tale obiettivo, lo Stato ha reso disponibili nel tempo diverse linee di finanziamento, di natura sia ordinaria che straordinaria, il cui utilizzo ha consentito la realizzazione, da parte delle differenti amministrazioni pubbliche competenti, di numerosi interventi di adeguamento antisismico del patrimonio edilizio destinato allo svolgimento delle attività didattiche di ogni ordine e grado –:
   vista la presenza di linee di finanziamento disponibili, quali amministrazioni locali abbiano richiesto accesso a programmi di adeguamento antisismico nella regione Veneto con particolare riferimento alla provincia di Padova.
(4-10472)


   BOLOGNESI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2014 il Presidente del Consiglio ha firmato la direttiva per il versamento straordinario all'archivio centrale dello Stato di atti relativi alle stragi che vanno dal 1969 al 1984 contenuti negli archivi correnti e di deposito delle amministrazioni dello Stato procedendo «preliminarmente alla declassifica degli atti»;
   dopo un anno dalla direttiva, i versamenti dei documenti hanno esiti alterni da parte delle amministrazioni interessate; alcune hanno depositato – come i Ministeri dell'interno e degli affari esteri e della cooperazione internazionale – a giudizio dell'interrogante poco e male, altre procedono a rilento;
   sono emerse numerose criticità procedurali nell'applicazione della direttiva;
   le amministrazioni non forniscono un elenco dei documenti sulle stragi detenuti nei loro archivi correnti e di deposito – come previsto anche dalla direttiva del Presidente del Consiglio pro tempore Mario Monti – utile ad effettuare una comparazione con quelli realmente versati, impedendo una verifica della correttezza e completezza del versamento e l'esclusione di eventuali omissioni di deposito di atti;
   le amministrazioni (Ministeri e servizi di informazione per la sicurezza) devono versare tutta la documentazione sulle stragi in loro possesso – come la stessa direttiva dispone – senza operare alcuna pre-selezione degli atti che preluderebbe ad una possibile arbitraria esclusione dal versamento di uno o più documenti;
   a quanto risulta all'interrogante le amministrazioni effettuano le operazioni di versamento senza la vigilanza di una commissione di sorveglianza prevista dalle disposizioni che regolano la tutela dei beni archivistici a cui fa riferimento la stessa direttiva;
   per quanto risulta all'interrogante il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha risposto ai familiari delle vittime delle stragi di non avere «nulla con la dicitura “Piazza della Loggia”, “Piazza Fontana” o altre stragi e pertanto non versiamo nulla», offendendo così ad avviso dell'interrogante l'intelligenza dei cittadini italiani e la memoria delle vittime dato che sono giudiziariamente noti i rapporti di depistatori, come Licio Gelli, e terroristi neofascisti con i Paesi del Sudamerica e con i regimi di Grecia, Spagna e Portogallo e pertanto le ambasciate a giudizio dell'interrogante non possono non avere ricevuto segnalazioni e/o informazioni in merito a fatti criminali così rilevanti;
   i familiari delle vittime delle stragi attendono, a distanza di un anno dalla direttiva, che il Ministero dell'interno versi all'Archivio centrale dello Stato le carte dell'ex ufficio affari riservati (quelle rinvenute in via Appia nel 1996), dal 1965 in poi, in cui si trovano sicuramente – lo si sa dalle perizie effettuate per conto della magistratura – atti che riguardano la strage di piazza Fontana;
   ai familiari delle vittime delle stragi non interessa che gli apparati versino faldoni con l'etichetta «Piazza della Loggia» se all'interno poi si trovano solo vecchie e inutili informative, segnalando che un Ministero o un servizio segreto, allora, non raccolse informazioni su chi piazzò la bomba o chi coprì gli esecutori;
   risulta che alcune amministrazioni, quali DIS, AISE, AISI, Ministero affari esteri, hanno versato all'archivio centrale dello Stato solo documenti in formato digitale senza le relative copie cartacee che consentono di verificare la completa corrispondenza e veridicità degli atti stessi;
   a distanza di sette anni dalla direttiva firmata dal Presidente del Consiglio Romano Prodi nel 2008, le amministrazioni non hanno ancora completato il versamento della documentazione relativa al sequestro e all'uccisione dell'onorevole  Aldo Moro;
   la limitazione della declassificazione della documentazione relativa ai fascicoli intestati alle stragi sta portando a paradossali smembramenti di fondi e fascicoli escludendo dal versamento atti rilevanti, anche se non nominalmente legati agli eccidi compresi nella direttiva –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri intenda adottare provvedimenti risolutori delle criticità che impediscono la completa applicazione della direttiva, per contrastare comportamenti omissivi da parte delle amministrazioni citate, e per evitare un'arbitraria facoltà data a chi fino ad oggi abbia inteso coprire le carte sulle stragi di scegliere a suo piacimento quali versare, attraverso quello che secondo l'interrogante costituirebbe un depistaggio del «faldone vuoto»;
   se intenda assumere iniziative per fare in modo che le amministrazioni forniscano – come già previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio pro tempore Monti – un elenco completo dei documenti contenuti nell'archivio corrente e di depositi relativi alle stragi;
   se intenda assumere iniziative per disporre un ampliamento della direttiva prevedendo una declassificazione automatica annuale, dopo venticinque anni dalla loro emanazione, di tutti i documenti contenuti negli archivi delle amministrazioni seguendo criteri temporali, (ad esempio 1947 in poi) sul modello dell’Executive Order 12958, promulgato dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nell'aprile del 1995, affermando così il principio che in questo Paese la verità non è una concessione, ma un diritto da garantire ad ogni cittadino. (4-10486)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Montesano sulla Marcellana e in particolare presso la frazione scalo del suddetto comune in provincia di Salerno è prevista, da parte della società Terna, la realizzazione di una stazione elettrica ad alta tensione da 380 kilowatt su un'area di 70 mila metri quadrati;
   la procedura amministrativa, in relazione alla mancanza della valutazione d'impatto ambientale da parte della regione Campania, è attualmente sospesa;
   la comunità locale è fortemente preoccupata in merito alla realizzazione di tale impianto soprattutto in considerazione dei rischi per la salute a causa dell'esposizione a potenti campi elettromagnetici;
   la stazione verrebbe, inoltre, ad essere realizzata a circa 400 metri dal centro abitato e a poche centinaia di metri da tre plessi scolastici, dell'infanzia, della primaria e secondaria dell'obbligo e, dell'istituto tecnico per il turismo;
   oltre a quanto esposto in premessa si registrano orientamenti contrari anche da parte della regione Campania –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza e anche in considerazione della partecipazione statale in Terna, per scongiurare la realizzazione di tale infrastruttura energetica presso l'area individuata nel territorio di Montesano sulla Marcellana e se non si intenda verificare la possibilità di ubicarla presso altro sito. (5-06467)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del Fatto Quotidiano dell'11 luglio 2015 dal titolo «Brindisi, lo studio: Centrale Enel di Cerano provoca fino a 44 morti l'anno» si apprende che tre ricercatori del Cnr di Lecce e Bologna, Cristina Mangia, Marco Cervino ed Emilio Gianicolo, hanno pubblicano sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health gli esiti di un lavoro sui decessi nella zona della centrale a carbone dell'Enel Federico II di Brindisi in località Cerano, rilevando che nella Puglia meridionale ogni dodici mesi fino a 44 decessi sarebbero da collegare all'inquinamento. Fino a un massimo di quattro morti ogni 100 mila abitanti si potrebbero evitare, se non ci fossero le emissioni inquinanti della centrale termoelettrica a carbone Federico II, tra le più grandi d'Europa;
   secondo la fonte stampa, il CNR avrebbe dichiarato che: «Se viene considerato anche il particolato secondario, aumenta l'area geografica interessata dalle ricadute e dunque la popolazione esposta all'inquinamento originato dalla centrale termoelettrica. Aumenta, conseguentemente, il numero dei decessi a questa attribuibile. Se si considera solo il particolato primario, che ha il suo massimo di concentrazione ad una distanza di circa sei chilometri dalla fonte. Se si esplorano anche gli effetti del particolato secondario, i cui picchi si registrano ad una distanza tra i dieci e i trenta chilometri, il numero delle morti oscilla da un minimo di 7 ad un massimo di 44»;
   nelle conclusioni del suddetto studio si apprende che «Emerge in modo inequivocabile come in presenza di emissioni provenienti da installazioni industriali che portano alla formazione di particolato secondario, questo debba essere considerato nelle valutazioni di impatto ambientale e sanitario. L'indagine condotta nel caso di studio specifico della centrale di Brindisi ha evidenziato, infatti, che ignorare il ruolo del particolato secondario conduce ad una sottostima notevole dell'impatto che la centrale ha sulla salute delle popolazioni»;
   attualmente presso la procura a Brindisi, è in corso un processo per la dispersione delle polveri di carbone e contestualmente si sta indagando sugli effetti dell'inquinamento industriale sui cittadini;
   sempre da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 15 luglio 2015 dal titolo «Centrale Enel di Brindisi, il direttore dell'Arpa Assennato chiede la revoca del “bollino verde” (approvato dall'Arpa)» si apprende che secondo il direttore dell'ARPA Puglia, Giorgio Assennato, l'impianto Enel di Brindisi non avrebbe mai dovuto ricevere parere favorevole dell'Arpa per ottenere la certificazione Emas «per il pieno rispetto della legalità ambientale». Assennato aggiungerebbe che: «sarebbe bastato tenere in considerare la Dichiarazione ambientale del 2014 in cui è espressamente scritto che c’è un procedimento penale in corso. L'esistenza di quel processo, che vede imputati 13 dirigenti della centrale per “getto di cose pericolose” con riferimento allo spargimento sui terreni e nelle case circostanti l'impianto del carbone stoccato nel parco minerario, sarebbe stato sufficiente per negare l'Emas all'Enel»;
   la centrale a carbone Federico II di Brindisi ha invece ricevuto la certificazione il 24 marzo 2015 e al momento, nonostante la revoca in autotutela del parere dell'Arpa, sarebbe ancora in possesso della stessa come risulta dal sito dell'Ispra;
   con il protocollo DVA – DEC – 2012 – 0000253 comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – serie generale n. 149 del 28 giugno 2012, è stata rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio della centrale termoelettrica Federico II di Brindisi. Con il protocollo DVA-2015-0004908 del 23 febbraio 2015 si è avviato il procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata nel 2012;
   il «principio di precauzione» è citato nell'articolo 191 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (UE) e detto principio è presente anche nel decreto legislativo 52 del 2006. Il suo scopo è garantire un alto livello di protezione dell'ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di salvaguardare la salute dei cittadini e l'ambiente in cui essi vivono nei territori coinvolti da tutte le emissioni inquinanti, e specificatamente dal particolato primario e dal particolato secondario, della centrale termoelettrica a carbone Federico II di Brindisi;
   quali siano le motivazioni per cui nel sito web dell'Ispra, la centrale a carbone Federico II di Brindisi goda ancora della certificazione Emas nonostante la revoca in autotutela del parere dell'Arpa Puglia;
   se il Ministro della salute intenda promuovere, per quanto di propria competenza, studi epidemiologici per attestare l'impatto sanitario prodotto dall'inquinamento industriale nelle provincia di Brindisi;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per via della complessa e compromessa situazione ambientale in cui versa il sito di interesse nazionale di Brindisi, al fine di rispettare il «principio di precauzione» nell'interesse della popolazione coinvolta, intenda ritirare l'autorizzazione integrata ambientale alla centrale termoelettrica Federico II di Brindisi. (5-06484)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che la Sogin (Società per la gestione degli impianti nucleari) ha consegnato l'11 gennaio 2015 all'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, la proposta di una «Carta delle aree potenzialmente idonee» (Cnapi) ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e un parco tecnologico che come si evince dal sito della Sogin, sarà un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività di decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi, e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   dalle medesime fonti stampa si apprende che, nei siti idonei, rientra una piana dell'Arneo, ubicata nella comunità di Nardò, in provincia di Lecce, in conformità dal punto di vista geologico e geomorfologico con i criteri localizzativi diffusi nel giugno 2014 dall'Ispra nel documento denominato Guida Tecnica n. 29 «Criteri per la locazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
   dalle stesse fonti giornalistiche si evince che la conca a nord-ovest di Nardò, al confine con la provincia di Taranto, secondo i geologi, assorbe le scosse telluriche: il rischio sismico in quel comprensorio è considerato bassissimo;
   si prevede la costruzione di una infrastruttura di superficie nell'area della piana dell'Arneo, ove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi e che consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività: la sua realizzazione consentirà di completare lo smantellamento degli impianti nucleari italiani (Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano, in funzione fino al referendum del 1987) e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca;
   insieme al deposito nazionale sarà realizzato il parco tecnologico: un centro di ricerca dove svolgere attività nel campo dello smantellamento delle centrali nucleari italiane dismesse;
   dalle medesime fonti stampa si apprende che l'Ispra ha due mesi di tempo per verificare l'applicazione dei criteri da parte di Sogin e per validare la Carta;
   ad avviso degli interroganti il territorio salentino è stato negli ultimi mesi meta anche di rifiuti tossici e pericolosi, mentre non va dimenticato che il triangolo Brindisi-Lecce-Taranto è sottoposto, ormai da anni, a una pressione ambientale fortissima ed è caratterizzato anche dall'aumentata incidenza di patologie tumorali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intendano assicurare la tutela e la salvaguardia ambientale del territorio considerato, assicurando in particolare che l'individuazione dei siti idonei per ospitare depositi per rifiuti radioattivi non comprometta irreversibilmente aree di grande importanza;
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di tutelare la salute dei cittadini in relazione a quanto riportato in premessa. (4-10483)


   TANCREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in regione Abruzzo è ubicata l'area marina protetta Torre del Cerrano, istituita nel 2010 e governata da un consorzio di gestione formato dai comuni di Pineto e Silvi, provincia di Teramo e regione Abruzzo;
   detto consorzio ha conseguito in brevissimo tempo importanti risultati, come quello di essere il primo parco marino certificato a livello europeo e, più in generale, si connota come esempio di gestione virtuosa ed integrata con la comunità locale;
   attualmente detto consorzio versa in una fase di rinnovo delle cariche ed ha avviato, contestualmente, l’iter di riforma statutario sia per obblighi di legge (decreto-legge n. 78 del 2010, cosiddetta «Manovra Tremonti»), sia per esigenze di ammodernamento della stessa «carta»;
   senza le citate necessarie modifiche, da perfezionarsi nei termini e nei modi di legge, non è possibile rinnovare il Consiglio di amministrazione del Consorzio, stante l'evidente irrazionalità e, dunque, illegittimità di un mero adeguamento normativo alla «Manovra Tremonti» sopra citata, nell'ambito di un impianto statutario ideato per soddisfare criteri di rappresentatività non più attuali;
   allo stato, il comune di Pineto (titolare del 45 per cento delle quote) non potrebbe nominare alcun membro di propria fiducia, con ciò determinando una situazione di palese illogicità dello statuto, rilevante anche ai fini del buon andamento dell'ente;
   per ovviare a tale situazione sono stati formulati bandi che, di fatto, escludono la consorziata provincia di Teramo dalla designazione spettantele di diritto, a favore, secondo l'interrogante, artificiosamente, del comune di Pineto, come se la stessa provincia fosse uscita dalla compagine consortile (circostanza mai realizzatasi e comunque in contrasto con l'ultimo deliberato provinciale del 14 settembre 2015);
   tali bandi, a quanto consta all'interrogante, non richiedono il possesso, in capo ai candidati, del requisito della particolare qualificazione «per le attività in materia di conservazione della natura» previsto dalla legge n. 394 del 1991 (articoli 9 e 20), con ciò determinando il rischio di nomina di inesperti nella suddetta materia e dunque la palese illegittimità delle stesse nomine;
   tale situazione rischia di trascinare un ente sano e virtuoso, come quello dell'area marina protetta Torre del Cenano, in una situazione di palese illegittimità, tale da inficiare quanto di buono fatto sinora –:
   di quali elementi disponga il Governo e quali iniziative di competenza intenda assumere per assicurare il regolare ed efficace funzionamento dell'area marina protetta, ad avviso dell'interrogante messa a rischio dalla situazione critica verificatasi nell'ambito del Consorzio di Gestione dell'Area Marina Protetta Torre del Cerrano. (4-10490)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRESCIA, DE LORENZIS, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, D'UVA e CARIELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'atleta di Taranto è il soprannome dato ad un uomo vissuto nella città magnogreca, presumibilmente nel V secolo a.C., campione di molti giochi, panatenaici nella specialità del Pentathlon;
   il 9 dicembre 1959 fu rinvenuto a Taranto il sepolcro intatto dell'atleta tarantino, considerato la maggiore testimonianza dell'arte funeraria ionica di età arcaica conservata nel MArTA (museo nazionale archeologico di Taranto), un unicum nel suo genere poiché nessun altro atleta dell'antichità è ritornato alla luce con il suo sepolcro intatto;
   l'importanza di tale ritrovamento è confermata da un documentario con ricostruzioni dettagliate a cura del National Geographic e dalla richiesta della Cina di esporre l’«Atleta di Taranto» nella mostra Games and Athletes in the Ancient World allestita al World Art Museum di Pechino, nell'ambito delle iniziative collaterali ai XXIX Giochi olimpici nel 2008;
   in tale occasione una copia dello scheletro e del sarcofago in tufo, realizzata dalla Soprintendenza archeologica di Taranto con la tecnica del laser-scanner, insieme al corredo funerario composto da tre splendide anfore panatenaiche, stilisticamente attribuibili al pittore di Kleophrades con figure nere su sfondo rosso e scene legate allo sport, è stata inviata a Pechino. Le anfore erano il premio simbolico per gli atleti vincitori e contenevano l'olio ricavato dagli uliveti sacri dell'Attica. In tale occasione l'ambasciatore italiano a Pechino, Riccardo Sessa, ha definito l'atleta di Taranto come «l'unica diretta testimonianza di un atleta che ha vissuto e praticato le Olimpiadi nell'antica Grecia»;
   da notizia di stampa riportata il 27 luglio 2015 sulla rivista web CosmoPolis – Il Giornale dei Popoli Mediterranei si apprende che i vertici del MArTA avrebbero programmato l'esposizione della tomba dell’«Atleta di Taranto» entro l'aprile 2015;
   di fatto, tale aspettativa non si è mai realizzata poiché la tomba dell’«atleta di Taranto» non è attualmente visitabile, nonostante si trovi all'interno del Museo Nazionale Archeologico di Taranto –:
   se intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di individuare le motivazioni ostative che di fatto impediscono al pubblico di visitare il prezioso reperto archeologico;
   se abbia intenzione di valorizzare l'atleta di Taranto mediante iniziative appropriate, volte a rendere noto il prestigio del reperto archeologico a livello nazionale. (5-06464)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'ARIENZO e CAMANI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Caporal Maggiore in congedo G.R., arruolatasi VFB nell'Esercito Italiano il 19 aprile 2004, è stata oggetto di abusi sessuali da parte del M.llo E.I. T.B. il 16 marzo 2006 durante il servizio in svolgimento presso presso il 14esimo Rgt «Alpini Venzone»;
   immediatamente dopo la denuncia dei fatti al proprio comandante, il Caporal Maggiore G.R. è oggetto di intimidazioni di vario tipo, ivi compresi scritti sui registri di servizio e avvertimenti minacciosi al telefono;
   in quella condizione ambientale minacciosa, il Caporal Maggiore comincia a risentirne psicologicamente. In particolare, rileva come il maresciallo autore degli abusi continuasse a prestare servizio presso la medesima sede e, quindi, in contatto con la vittima, nonostante questa avesse i chiesto di essere allontanata ad altra sede;
   a fronte di una situazione insostenibile, G. R. dal 14 luglio 2006 avvia un percorso di cura per disturbo post traumatico da stress successivo ad un evento traumatico;
   in data 5 ottobre 2006 il Caporal Maggiore G.R. presenta domanda per il transito in servizio permanente, ma alla convocazione ricevuta per il 10 giugno 2008 del concorso per l'ammissione in servizio permanente effettivo non riesce a partecipare in quanto ancora in cura;
   dal 9 marzo 2012 G.R. è perfettamente ristabilita e chiede di tornare al servizio del Paese ed in particolare di riconoscerle l'impossibilità di partecipazione al concorso bandito per 1750 VFB il 10 giugno 2008 per il transito in SPE;
   il reintegro nella Forza armata restituirebbe la dignità di donna e di soldato e riconoscerebbe il forte senso civico e del dovere per aver denunciato fatti estranei alla «cultura» militare –:
   quali azioni ed iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per consentire il reintegro del Caporal Maggiore G. R. nell'Esercito italiano. (5-06474)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO, ALBERTI, FICO, RUOCCO, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi del 28 marzo 2015, dal titolo «Dirigenti incaricati, i delegati a rischio di misure disciplinari», a firma di Cristina Bartelli si legge testualmente: «In questo scenario di estrema confusione organizzativa, arriva anche la segnalazione di una soluzione limite che aggira la sentenza della Corte Costituzionale. È il caso di un dirigente aggiunto che sebbene funzionario assunto dall'Agenzia delle entrate, è stato messo in aspettativa e dalla stessa agenzia investito dell'incarico di dirigente esterno. Per farlo l'Amministrazione si è avvalsa della possibilità offerta dall'articolo 19, comma 6, sui dirigenti esterni, peraltro utilizzata anche dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze. Una soluzione che fa salvi, per così dire capri e cavoli, in quanto è al riparo dalle censure della Corte Costituzionale e consente al funzionario incaricato di mantenere inalterata anche la retribuzione»;
   sul sito dell'Agenzia delle entrate è pubblicato l'elenco dei dirigenti provenienti dall'esterno non inseriti nei ruoli al 1o agosto 2015;
   in effetti, nel detto elenco risultano, a quanto consta agli interroganti, anche i nominativi di alcuni dirigenti la cui nomina è stata dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 25 marzo 2015;
   le indiscrezioni riportate dalle fonti di stampa sembrano dunque essere confermate dai dati e dalle informazioni pubblicate sul sito istituzionale dell'Agenzia –:
   se trovino conferma i fatti descritti in premessa. (5-06476)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSIN e CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4541 del 2015, accogliendo il ricorso dell'Agenzia del territorio-Agenzia dell'entrate contro la sentenza della commissione tributaria regionale di Veneto-Mestre 80/06/11 del 5 ottobre 2011 che rigettava l'appello dell'amministrazione ferroviaria relativo al nuovo classamento di un immobile di pertinenza di una società di gestori funiviari del Veneto, ha sostanzialmente affermato l'illegittimità della tipologia catastale assegnata all'immobile per la non sussistenza del presupposto del classamento come «mezzo pubblico di trasporto»;
   ne è derivato che gli impianti di risalita hanno visto riclassificare i propri immobili, con conseguente ridefinizione della rendita catastale incidente nel calcolo dell'Imposta municipale unica; le considerazioni di diritto che hanno portato ad un simile dispositivo non sembrano però del tutto condivisibili;
   la nota protocollare 90253 del 19 novembre 2007 della direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità immobiliare ha chiarito che non siano da censire nella categoria E/1 «gli impianti di risalita quali: funivie, sciovie, seggiovie e simili, quando hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale in quanto non assimilabile a servizio di trasporto, ma al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico-escursionistici»; in tale caso, quindi, la categoria catastale adeguata sarebbe la D/8 in cui sono ricompresi i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni» e non la categoria E/1 ricomprensiva invece delle «stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi aerei ed impianti di risalita in genere»;
   sebbene queste infrastrutture svolgano infatti funzione di sostegno ad attività economiche a scopo commerciale, soprattutto con fini sportivi, non si può però certo considerare questa funzione come prevalente ma accidentale, essendo, queste, le uniche strutture che permettano il raggiungimento di aree del territorio altrimenti inaccessibili;
   già nel 1977, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1977, n. 616, che trasferiva alle regioni le funzioni amministrative relative ai servizi pubblici di trasporto esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie, l'articolo 84 definiva quali «servizi pubblici di trasporto di persone e di merci» quelli esercitati con «linee tranviarie, metropolitane, filoviarie, funicolari e funiviari di ogni tipo»;
   oltre alle argomentazioni giuridiche, non si possono poi non tenere in considerazione le gravi conseguenze economiche che questa sentenza sta avendo in un settore che è un comparto strategico dell'economia delle zone montane, già duramente colpito dalla crisi economica e continuamente soggetto all'imprevedibilità delle condizioni meteorologiche;
   l'imposizione del pagamento dell'IMU decreta la morte della categoria, una parte essenziale dell'imprenditoria di montagna; gli impianti di risalita svolgono infatti sul territorio un'attività complessa e articolata che va dall'esercizio del trasporto, all'apprestamento dell'innevamento, all'attrezzaggio in sicurezza delle aree sciabili, con forti investimenti anche in infrastrutture di carattere generale (parcheggi, bacini idrici, manutenzione di strade, e altro); senza considerare che il settore attrae turisti italiani e stranieri, alimentando così un importante indotto a vantaggio di molteplici operatori quali albergatori, commercianti, maestri di sci; inoltre, attraverso i costanti ed ingenti investimenti diretti, genera opportunità di reddito per le imprese locali, avviando un processo virtuoso di moltiplicazione finanziaria, con evidenti benefici sia in termini di benessere sociale, che, indirettamente, in termini di introiti per le casse dello Stato;
   il fatturato medio lordo del settore si attesta attorno ai 900 milioni di euro, con un indotto a favore della filiera calcolato tra le 5 e le 7 volte a seconda del contesto geografico e della vocazione turistica della località montana; circa il 30 per cento degli incassi viene riversato sul territorio sotto forma di acquisto di beni e servizi forniti da aziende locali, mentre un altro 30 per cento viene erogato ai dipendenti sotto forma di salari e contributi; in un panorama alpino che vede i comuni di montagna morire lentamente per abbandono, è evidente l'importante ruolo economico e sociale svolto delle aziende funiviarie, che evitano lo spopolamento delle aree decentrate ed attraggono capitali dall'estero;
   a fronte di questi numeri si deve però evidenziare che il settore sta affrontando notevoli difficoltà, determinate da un incremento degli oneri gestionali che erode sempre più i margini operativi; è sufficiente pensare all'aumento dei costi del personale, dell'energia elettrica e dell'innevamento programmato (circa 30.000 euro per ogni ettaro di pista, con una superficie totale da innevare che, per fare un esempio, solo in provincia di Trento è pari a 1.300 ettari), o ai continui investimenti obbligatori nella sicurezza e nel rinnovo degli impianti, indispensabili per mantenere anche in futuro un vantaggio competitivo sui concorrenti e per attrarre la sempre più esigente clientela straniera o all'aumento dell'IVA dal 4 al 10 per cento del pellet, principale combustibile utilizzato in queste aree per il riscaldamento, considerato un bene di prima necessità in aree climaticamente difficili come quelle montane, e alla stangata dell'IMU sui terreni agricoli che colpisce i tantissimi proprietari di terreni agricoli non ricompresi nell'esenzione senza alcuna considerazione per la bassissima redditività di questi appezzamenti ubicati a ridosso o all'interno di aree geograficamente – ma non giuridicamente – considerate montane, normalmente svantaggianti per le colture;
   gli operatori sono così costretti ad affrontare significative criticità sia gestionali sia di contesto e, considerata la variabilità degli incassi dovuta ad una congiuntura economica a dir poco sfavorevole, anche la programmazione di lungo periodo è sempre più difficoltosa;
   se il pagamento dell'Imu sulle attività commerciali è sicuramente comprensibile, quello sugli impianti di risalita appare agli interroganti assurdo, dato che tutte le leggi regionali che regolano i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie li definiscono come «funiviari in servizio pubblico per il trasporto di persone nei quali una o più funi vengono utilizzate per costruire vie di corsa e per regolare il moto, anche su apposita sede terrestre, dei veicoli destinati al trasporto di persone o per trainare le persone su apposita pista –:
   se non ritenga doveroso, al fine di tutelare la sopravvivenza di un comparto strategico per l'economia turistica della montagna come quello dell'impiantistica di risalita, intervenire con le opportune iniziative, anche di carattere interpretativo, al fine di specificare che i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie rientrano a tutti gli effetti fra i mezzi di trasporto pubblico e pertanto sono soggetti alle stesse agevolazioni fiscali. (4-10479)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il preannunciato intervento da parte del Presidente del Consiglio sul sistema fiscale immobiliare che dovrebbe prevedere l'abolizione delle due imposte, IMU e Tasi, dovute per le abitazioni principali, ha fatto riemergere il vulnus che un tale tipo di operazione comporterebbe sul piano dell'equità, visto che, stando ai dati diffusi da alcuni organismi di settore, un taglio indiscriminato generalizzato delle imposte sulla casa comporterebbe dannosi effetti redistributivi, andando a tutto vantaggio dei decili di reddito più elevati, che da soli, come risulta da un'elaborazione dei dati sulla distribuzione delle abitazioni di residenza nel nostro Paese svolta dalla Banca d'Italia, concorrono ad oltre il 40 per cento del relativo gettito;
   sempre secondo la stessa fonte, la ricchezza netta media delle famiglie italiane sarebbe pari a circa 373 mila euro, con le attività reali che rappresentano circa il 70 per cento (circa 6,2 mila miliardi di euro), e fra queste la ricchezza in abitazioni è circa 228 mila euro in media per famiglia, il 77 per cento della quale, 4,2 miliardi di euro, è rappresentato da immobili adibiti ad abitazione principale;
   tutti i dibattiti che si sono intrecciati negli ultimi tempi hanno ignorato il ruolo che le suddette imposte hanno svolto fino ad oggi e cioè quello di rappresentare una pragmatica ed immediata risposta seppur non ottimale (per gli economisti la cosiddetta second best), all'esigenza di tassare il patrimonio in un Paese profondamente pervaso dall'evasione fiscale, nel quale il 30 per cento dell'attività economica è sommersa ma anche nel quale, come si è visto, l'80 percento della popolazione vive in una casa di proprietà seppur con un elevato grado di concentrazione; molte famiglie, infatti, come si è visto, detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, a fronte di un 10 per cento delle stesse che detiene il 41 per cento della ricchezza totale;
   l'obiettivo di perseguire tout court una riduzione della pressione fiscale complessiva non deve però tradire quello di realizzare contestualmente una maggiore equità, progressività ed efficienza nella distribuzione del prelievo; nel settore immobiliare per aumentare l'equità sarebbe cruciale la riforma del catasto, già prevista nella legge di delega fiscale ma il Governo, accortosi dalle simulazioni sugli effetti dell'algoritmo che avrebbe dovuto rivedere i valori catastali e che le rendite sarebbero cresciute in misura esponenziale, toccando quindi gli interessi dei pochi e facoltosi abbienti, ad avviso dell'interrogante ha preferito congelare;
   la mancata revisione dei valori catastali ha determinato, nel passaggio dell'aliquota standard dal 4 per mille (Imu 2012) all'1 per mille, salvo le variazioni deliberate dai comuni (Tasi 2014), da una parte un forte vantaggio per le abitazioni di maggior valore catastale e, dall'altra, prevedendo anche un prelievo a carico degli affittuari, un peggioramento delle condizioni economiche di questi ultimi, spesso giovani coppie o studenti, a volte in misura anche superiore a quella dei proprietari stessi –:
   se anche i dati in possesso del Ministro rispecchino, confermandola, la suddetta composizione della ricchezza immobiliare italiana, quale sia il valore medio della rendita catastale degli immobili, e, se disponibile, anche quello riferibile alle rilevazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare, relativamente agli immobili detenuti dai contribuenti appartenenti a ciascuna delle cinque fasce di reddito — fino a 10.000 euro, da 10.000 a 26.000 euro, da 26.000 a 55.000 euro, da 55.000 a 75.000 euro ed oltre 75.000 — ed inoltre, quanti nuclei familiari rientrino all'interno delle stesse. (4-10480)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'UEPE di Cagliari e sede di servizio di Oristano di cui si ha responsabilità e direzione, sovrintende l'esecuzione delle misure alternative alla detenzione, partecipa alle attività istituzionali nei cinque istituti penitenziari presenti nel territorio di competenza (casa circondariale di Cagliari-Uta, di Lanusei, di Oristano e Case di Reclusione di Is Arenas-Arbus e di Isili) oltre a fornire la propria consulenza professionale alla magistratura di sorveglianza per i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario e il tribunale ordinario per i provvedimenti relativi alla messa alla prova, di cui al decreto legislativo n. 67 del 2014;
   sono numerose le problematiche rilevate nell'UEPE di Cagliari e della sede di servizio di Oristano:
    a) l'ufficio di esecuzione penale esterna, sede di dirigenza come indicato nella Tabella A del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, ha autonomia contabile, ma di fatto essa non è attuata. Allo stato l'ufficio è dipendente contabilmente dalla casa circondariale di Cagliari, e tale condizione è di grave pregiudizio per la gestione e organizzazione delle attività e azioni da porre in atto, dovendo «mendicare» ogni intervento contabile. Furono assegnati n. 2 unità contabili vincitori di concorso e fu già data autonomia contabile a questo ufficio EPE, dove il direttore, dirigente penitenziario, avrebbe dovuto essere «il funzionario delegato»; il personale contabile assegnato è confluito verso la casa circondariale di Cagliari. È stata inoltrata richiesta al DAP – direzione generale del bilancio e della contabilità e direzione generale esecuzione penale esterna il 21 settembre 2013;
    b) sussiste un guasto dei termocondizionatori: è stato segnalato al provveditorato regionale in data 12 giugno 2015 e successivamente la richiesta è stata reiterata in data 29 giugno 2015 e 9 luglio 2015; veniva richiesto l'acquisto di n. 2 condizionatori portatili per un costo di euro 1000,00. Il provveditorato regionale ha autorizzato l'acquisto di 10 ventilatori per un importo di euro 300,00 che non risolvono il problema in quanto, oltretutto, si dovrà procedere per il periodo invernale all'acquisto di 10 stufe. La ditta Vuellegi proprietaria dell'immobile, obbligata alla riparazione del danno secondo il codice civile, si è rifiutata di eseguirlo in quanto allo stato non vi è un contratto di locazione in essere, essendo scaduto il 31 maggio 2013;
    c) l'ufficio allo stato è privo di numerosi stampati necessari per la corretta sistemazione e conservazione delle pratiche. Considerando l'entrata in vigore della legge sulla messa alla prova il numero di pratiche è notevolmente aumentato (si consideri che normalmente questo ufficio in un anno apre circa 600-700 nuovi fascicoli – alla data del 10 agosto 2015 sono stati aperti 1052 nuovi fascicoli per una proiezione annuale di circa 1500-1600). La richiesta di approvvigionamento è stata inoltrata al DAP-SADAV servizio approvvigionamento e distribuzione in data 11 marzo 2015, ed è stata prontamente evasa, ma non si è ancora in possesso del materiale in quanto il provveditorato regionale non ha organizzato il ritiro;
    d) gli interventi di manutenzione sull'immobile sono rari, a fronte delle richieste avanzate, per mancanza di fondi. Negli ultimi 15 anni si è provveduto alla sistemazione di alcuni infissi per evitare che piovesse dentro l'ufficio con una spesa di circa 1.500 euro. Altri interventi sarebbero necessari come la ritinteggiatura, mai effettuata dal 1993, per la quale è stata richiesta più volte negli ultimi anni l'assegnazione di fondi, per una spesa da distribuire nel corso del triennio. Anche questa richiesta non è stata evasa;
    e) per quanto riguarda la dotazione del personale, mancano rispetto alla pianta organica prevista, 1 psicologo, 1 funzionario contabile, 1 funzionario amministrativo, 1 funzionario contabile e 3 unità del personale amministrativo –:
   se sia a conoscenza di queste situazioni;
   quali iniziative intenda adottare per:
    a) l'assegnazione di personale di tutte le figure professionali oggi assenti;
    b) incrementare il personale di servizio sociale e amministrativo-contabile, con l'inserimento di un maggior numero di esperti psicologi e di educatori per lo svolgimento del lavoro multiprofessionale previsto dalla normativa vigente;
    c) l'attuazione per l'U.E.P.E. di Cagliari dell'autonomia contabile;
    d) l'aggiornamento del personale in percorsi formativi mirati per il personale tecnico di servizio sociale, amministrativo e di polizia penitenziaria, sia in materie riferite ai rispettivi profili professionali che di adeguamento alle conoscenze informatiche;
    e) l'inserimento in pianta organica degli U.E.P.E. di unità di personale di polizia penitenziaria. (4-10478)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 luglio 2015 così come riportato da più organi di stampa, dopo un mese di lavori di sistemazione, il Movimento 5 Stelle, ha annunciato l'apertura al traffico di quella che «pomposamente» hanno chiamato «Via dell'onestà». Si tratta di una trazzera, realizzata dal comune di Caltavuturo, cioè di una strada nei campi, usata per raggiungere i fondi agricoli della zona, e che quindi ha la certificazione solo per il passaggio dei trattori. Il suo scopo, secondo gli esponenti del movimento, è di superare il viadotto Himera della A19, bloccato da quando il 10 aprile 2015 il viadotto ha parzialmente ceduto e il traffico è stato deviato sulle strade locali. In questa maniera si ridurrebbero – dicono – i tempi di percorrenza per chi deve andare verso Tremonzelli o verso Scillato, che sono i due punti della SP24 e della SS643 messi in comunicazione;
   a detta dell'interrogante, l'iniziativa comporta alcune controindicazioni, prima fra tutte: una mulattiera, non è una strada. Non c’è alcuna certificazione come strada transitabile, nessun collaudo, nessuna sicurezza. E quindi ci sono una serie di limitazioni: i veicoli non potranno superare i 20 chilometri all'ora; potranno viaggiare solo moto e vetture di peso inferiore alle 3,5 tonnellate; le moto potranno viaggiare solo verso Scillato, la strada ha pendenze del 27 per cento che sono al di sopra delle capacità dei motorini; per loro sarà comunque pericolosissima la discesa; divieto di sorpasso su tutto il tratto e c’è un punto dove la strada non permette a due auto di passare affiancate e quindi è stato istituito il senso unico alternato governato da semafori. Il tutto in un chilometro circa di strada. I lavori sarebbero stati molto superficiali: uno strato di asfalto sulla strada, con canali di gronda ai lati, e il guardrail. Ma non c’è niente che regga il passaggio delle auto. Al punto che lo stesso sindaco di Caltavuturo ha annunciato che nei prossimi 15 giorni personale del comune monitorerà il traffico sulla mulattiera e, se necessario, verranno presi provvedimenti di chiusura temporanea in certe ore del giorno;
   in data 30 giugno 2015, il quotidiano La Repubblica con un articolo a firma di Antonio Fraschilla, dal titolo: – «Frana A19, Guardabassi boccia la trazzera dei grillini: “Inadeguata”» – nel quale si descriveva come: – «[...] Avevamo verificato il percorso della regia trazzera di Caltavuturo ma non era rispondente alle nostre esigenze. L'abbiamo ritenuta del tutto inadeguata. Anche dal versante opposto si vede a vista d'occhio che non potrebbe esser percorsa da mezzi pesanti, probabilmente sarebbe pericolosa anche per mezzi leggeri. Per questo abbiamo scartato questa ipotesi fin dall'inizio». A dirlo è il commissario Marco Guardabassi, scelto da Roma per risolvere il caso A19. [...] Guardabassi boccia anche una seconda proposta fatta dai grillini, oltre alla trazzera di Caltavuturo, per realizzare la bretella in un percorso alternativo rispetto a quello immaginato dall'Anas e dalla Protezione civile nazionale: «Sulla bretella, invece, una delle alternative coincideva con una proposta dal Movimento 5 Stelle – ha aggiunto Guardabassi –, ma è stata scartata anche questa perché prevedeva l'utilizzo del ponte Bailey di tipo militare e l'utilizzo del Genio militare, ma anche questo non sarebbe stato risolutivo perché c'erano dei costi e i militari non hanno tutti i macchinari necessari, e inoltre questa proposta dei Cinquestelle non prevedeva l'adeguamento della strada provinciale 24, che per noi invece è necessario. Infine abbiamo dovuto escludere quel versante di destra perché i geologi ci dicono che su quel lato c’è un corpo di frana molto vasto e attivo. I geologi ci hanno vincolato a prendere in considerazione il lato sinistro. Insomma, quella del M5S era un'ipotesi che abbiamo esplorato, anche affascinante, ma non praticabile»;
   secondo quanto recita il codice della strada – TITOLO II – della costruzione e tutela delle strade, all'articolo 13 (Norme per la costruzione e la gestione delle strade): «1. ((...)). Le norme devono essere improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada, alla riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico per la salvaguardia degli occupanti gli edifici adiacenti le strade ed al rispetto dell'ambiente e di immobili di notevole pregio architettonico o storico. Le norme che riguardano la riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico sono emanate nel rispetto delle direttive e degli atti di indirizzo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che viene richiesto di specifico concerto nei casi previsti dalla legge. 2. La deroga alle norme di cui al comma 1 è consentita solo per specifiche situazioni allorquando particolari condizioni locali, ambientali, paesaggistiche, archeologiche ed economiche non ne consentono il rispetto, sempre che sia assicurata la sicurezza stradale e siano comunque evitati inquinamenti» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e se non reputino che la trazzera cementificata, di epoca medioevale, possa essere ascritta al patrimonio paesaggistico e naturale disciplinato altresì dal decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se i Ministri non reputino di far proprie le considerazioni del Guardabassi, così come descritte in premessa, avvalorate dal giudizio dei geologi che hanno bocciato il progetto, rintracciando in esso scarsa sicurezza stradale e rischio idrogeologico con possibilità di frane e scarso drenaggio del terreno;
   se i Ministri, alla luce del fatto che l'ANAS dopo il crollo della A19 ha già presentato un progetto alternativo, la bretella di emergenza lunga circa tre chilometri, che sfrutterà lo svincolo di Scillato e la costruenda bretella per bypassare il tratto chiuso della A19, percorrendo la SP24 che sarà transitabile in entrambi i sensi di marcia, non reputino che, una volta ultimati i lavori, la trazzera dovrà essere ripristinata nel suo scopo originale, con ciò causando un eventuale spreco di denaro pubblico, oltre che un danno ambientale ormai in atto;
   se i Ministri dispongano di aggiornamenti riguardo ai tempi e alle modalità di adeguamento della strada provinciale 24 o alle modalità con le quali la viabilità verrà ripristinata. (3-01724)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei territori di Rimini e Riccione è in corso di realizzazione il collegamento diretto delle due stazioni ferroviarie (chiamato TRC-trasporto rapido costiero) tramite una linea filoviaria della lunghezza di circa dieci chilometri su infrastruttura, dedicata, in affrancamento ai binari dei treni;
   l'opera rientra nel programma delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo, legge n. 443 del 2001, approvato con delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121 (Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2002 S.O.);
   con delibera 20 dicembre 2004, n. 86 (Gazzetta Ufficiale n. 109 del 2005), il CIPE ha approvato, con prescrizioni, il progetto preliminare del «trasporto rapido costiero (TRC) Rimini Fiera-Cattolica – 1o stralcio funzionale tratta Rimini FS – Riccione FS», individuando nell'Agenzia Tram (oggi AM-Agenzia Mobilità) il soggetto aggiudicatore;
   successivamente, con delibera 29 marzo 2006, n. 93, il CIPE ha approvato, con le prescrizioni proposte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, anche ai fini dell'attestazione della compatibilità ambientale dell'opera e della dichiarazione di pubblica utilità, il progetto definitivo del 1o stralcio funzionale dell'opera;
   le prescrizioni del Ministero del infrastrutture e dei trasporti, cui è condizionata l'approvazione del suddetto progetto, sono riportate nell'allegato 1, che forma parte integrante della delibera CIPE, e devono essere assolte nella redazione del progetto esecutivo;
   con la stessa delibera CIPE è stato altresì approvato il programma delle interferenze, predisposto ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 190 del 2002;
   nelle clausole finali è previsto che il Ministero del infrastrutture e dei trasporti provvederà ad assicurare, per conto del CIPE, la conservazione dei documenti componenti il progetto definitivo e che, testualmente, «il soggetto aggiudicatore provvederà, prima dell'inizio lavori, a fornire assicurazioni al predetto Ministero sull'avvenuto reperimento, nel progetto esecutivo, delle prescrizioni riportate nel menzionato allegato: il citato Ministero procederà a sua volta, a dare comunicazione al riguardo alla Segreteria di questo Comitato»;
   inoltre, e previsto che il Ministero del infrastrutture e dei trasporti «provvederà a svolgere le attività di supporto intese a consentire a questo Comitato di espletare i compiti di vigilanza sulla realizzazione delle opere ad esso assegnati dalla normativa citata in premessa, tenendo conto delle indicazioni di cui alla delibera n. 63 del 2003», con la quale il CIPE ha formulato, tra l'altro indicazioni di ordine procedurale riguardo alle attività di supporto che il Ministero del infrastrutture e dei trasporti è chiamato a svolgere ai fini della vigilanza sull'esecuzione degli interventi inclusi nel 1o programma delle infrastrutture strategiche;
   la città di Riccione da questa citata opera vede il proprio paesaggio urbano fortemente segnato dal punto di vista dell'impatto ambientale;
   vi sono progetti già segnalati all'attenzione del Ministero che prevedono la possibilità di sostituire i viadotti con la tecnologia della semaforizzazione automatizzata con prevalenza alla linea pubblica per risolvere il nodo dell'intersezione viaria, garantendo sostanzialmente inalterati i tempi di percorrenza;
   la suddetta variante non necessita dell'utilizzo di ulteriori aree e soprattutto non richiede l'attribuzione di nuovi finanziamenti, anzi consente anche una riduzione dei costi e dei tempi di realizzazione, mitigandone anche l'impatto dal punto di, vista ambientale e paesaggistico –:
   se, alla luce degli elementi esposti in premessa, sia intenzione del Ministro prendere in considerazione la citata proposta di variante per la conclusione dei lavori del trasporto rapido costiero.
(5-06466)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 luglio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dipartimento per i Trasporti, la navigazione, gli affari generali e il personale, ha emanato una circolare in ordine all'ambito applicativo del decreto, dallo stesso adottato di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 79 del 2 marzo 2012, che reca misure generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili finalizzate alla protezione di aree sensibili nel mare territoriale. Detto decreto dispone che nella fascia di mare che si estende per due miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali, marini e costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, e all'interno dei medesimi perimetri sono vietati la navigazione, l'ancoraggio e la sosta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza lorda. Resta, in ogni caso, la possibilità per le autorità marittime competenti, in relazione alla tipologia dei traffici che ordinariamente interessano le fasce di mare individuate, di disporre, per la fascia esterna ai predetti perimetri, limiti di distanza differenti allo scopo di garantire la sicurezza anche ambientale della navigazione e per l'accesso e l'uscita dai porti;
   nella richiamata circolare si precisa, invece, che l'ambito di applicazione del decreto è limitato al «naviglio mercantile», intendendo il solo riferimento a quelle navi adibite al trasporto merci e passeggeri che costituiscono il carico utile della nave stessa. Se ne distingue (e quindi si esclude dal campo applicativo della richiamata normativa del 2012) il «naviglio da diporto» che, «prescindendo dalla dimensione», è destinato a scopi sportivi e ricreativi. Per cui si finirebbe per operare un discrimine fra le unità ammesse alla navigazione e al transito fondato sul numero delle persone ma disancorato dalla considerazione delle dimensioni dell'unità stessa che, invece, costituisce il dato di maggiore impatto specie sulla sicurezza e sull'ambiente dei luoghi interessati, come dimostrano i tragici eventi legati al naufragio della Costa «Concordia» e il problema delle «grandi navi» a Venezia;
   tali determinazioni sono altresì condivise dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la nota n. 13438 dell'8 luglio 2015 per cui il campo applicativo del decreto n. 79 sarebbe limitato alle sole unità mercantili;
   a fondamento si porrebbe la considerazione di un possibile «disequilibrio applicativo» per chi esercitasse un'attività diportistica pura con «ripercussioni negative sulle economie locali» — secondo quanto si legge nel recente provvedimento ministeriale — cui si aggiungerebbe — secondo fonti di stampa — la volontà di approntare una misura per venire incontro alle lamentele delle capitanerie di porto per il gran numero dei controlli da svolgere e sulla possibile disaffezione dei fruitori di «mega yacht» rispetto alle attività ed alle infrastrutture turistiche nei luoghi interessati;
   tra le condizioni enucleate, infatti, si menziona la circostanza che, ai fini dell'esclusione dall'applicazione del decreto, le unità, pur classificate come passenger ship, «di fatto svolgono attività diportistica sia nella fattispecie del cosiddetto diporto puro sia nella configurazione di unità da diporto commerciale». Ai fini dell'accertamento di tali ultime circostanze, in forza della semplificazione operata nel citato provvedimento, sarebbe sufficiente una dichiarazione del comandante e del proprietario/armatore nella quale venga espressamente dichiarato sotto la propria responsabilità quanto precede. Ne seguirà un visto dell'autorità marittima competente –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano in grado, a fronte delle recenti determinazioni assunte con i richiamati provvedimenti, di fornire elementi specifici a garanzia della sicurezza delle persone, dei luoghi interessati e dell'ambiente ed in particolare se ritengano sufficiente, a fini di sicurezza, l'operata semplificazione delle procedure di dichiarazione;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa fornire elementi in ordine al numero di dichiarazioni ricevute sulla sussistenza delle condizioni per l'esclusione dal campo applicativo del decreto n. 79 e sugli esiti degli eventuali controlli disposti sulle stesse;
   se i Ministri interrogati intendano rivalutare le rispettive determinazioni assunte in merito alla questione dell'ambito applicativo del decreto n. 79 del 2012, in considerazione delle esposte problematiche di sicurezza ed ambientali e, se del caso, ritengano di includere come condizione per l'operatività dell'esclusione dell'ambito applicativo del decreto non solo il numero delle persone ma anche la valutazione delle dimensioni dell'unità navali. (5-06475)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i trasporti pubblici sia locali che nazionali sono fondamentali per lo sviluppo economico dei territori e necessitano di essere potenziati e migliorati, soprattutto nei territori a forte richiamo turistico ed economico;
   il trasporto delle biciclette nei treni è disciplinato dal decreto legislativo n. 70 del 17 aprile 2014, recante «disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1371/2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario», entrato in vigore il 21 maggio 2014;
   l'articolo 6 del suddetto decreto legislativo n. 70 del 2014 riguarda il trasporto delle biciclette a bordo dei treni, disciplinato anche dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1371/2007 e prevede sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle imprese ferroviarie, nel caso in cui non venga rispettato il diritto dei passeggeri di portare sul treno biciclette facilmente maneggiabili;
   da fonti di stampa si apprende che le regioni che permettono ad oggi il trasporto gratuito delle bici sui treni regionali sono la Puglia, la Campania, l'Abruzzo, le Marche e la Liguria. In Lombardia e Toscana si può trasportare la propria bicicletta ma occorre abbonarsi annualmente;
   sui treni nazionali (freccia bianca, freccia rossa, freccia argento, intercity e intercity notte) nonostante sul sito di Trenitalia sia presente una pagina intitolata «In treno con la bici», è vietato portare le biciclette salvo il caso in cui le stesse non siano smontate e contenute in apposita sacca le cui dimensioni da regolamento non devono essere superiori a 80 x 110 x 40 cm;
   i treni internazionali, invece, sono abilitati al servizio citato: il trasporto della bici montata, in genere, avviene utilizzando appositi bagagli;
   dalla petizione popolare a firma di Sara Poluzzi, del 4 gennaio 2015 presentata sulla piattaforma online Change.org (scritta per chiedere di poter trasportare la bici sul treno con un abbonamento nazionale mensile o annuale agevolato) si apprende che è crescente il numero di pendolari in Lombardia che utilizzano la bici ed il treno quotidianamente ed è ormai condivisa nella società la necessità di favorire pratiche virtuose che hanno effetti benefici sull'ambiente, la mobilità, la salute;
   dalla medesima petizione si evince che nelle restanti regioni d'Italia, il trasporto sui treni regionali costa oltre i 3,5 euro giornalieri pari a circa 1000 euro annuali; in Emilia Romagna l'abbonamento annuale di 122 euro — nato da un accordo tra FIAT e Trenitalia è stato di recente annullato, in Lombardia, invece, l'abbonamento costa 60 euro;
   sempre da notizie di stampa si apprende che la Federazione europea dei, ciclisti (ECF) ha calcolato che nel periodo 2014-2020 sono disponibili per gli Stati circa 6 miliardi di euro per finanziare progetti di ciclabilità. Ad oggi si contano progetti per un ammontare pari a poco più di 2 miliardi, di cui l'Italia detiene solo il 4 per cento, quindi non è una questione di mancanza di fondi (che ci sono e non sono utilizzati oppure vengono richiesti e spesi in altre grandi opere meno sostenibili) ma di mancanza di progetti per utilizzare questi fondi –:
   quali iniziative intenda, per quanto di competenza, il Ministro interrogato porre in essere al fine di impegnare Trenitalia, in qualità di maggiore operatore ferroviario sul mercato, a garantire e rendere omogenea a livello nazionale la possibilità per i passeggeri di acquistare abbonamenti mensili ed annuali per il trasporto su velocipedi a due ruote in utilizzo condiviso. (5-06477)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stato proposto dall'autorità portuale di Brindisi un progetto di banchinamento della spiaggia di Sant'Apollinare, denominato «Opere di completamento accosti portuali per navi Ro-Ro di S. Apollinare nel Porto di Brindisi», già inserito nel 2006 nel piano regolatore portuale con variante approvata D.R.G. n. 1190 del 4 agosto 2006, successivamente oggetto di una procedura di adeguamento tecnico funzionale (ATF) con autorizzazione paesaggistica D.R.G. n. 2492 del 27 novembre 2012, concessa in deroga alle prescrizioni del PUTT/P regionale;
   in seguito all'adeguamento tecnico, il progetto consiste nel banchinamento della spiaggia per la realizzazione di cinque nuovi accosti per navi traghetto cariche di camion con l'inserimento di una banchina, due pontili ed una piastra di collegamento in connessione al terminal Costa Morena e la rettifica e messa in sicurezza della diga di Punta Riso e Bocche di Puglia;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva già determinato con nota prot. 16338 del 7 luglio 2011 l'esclusione del progetto di adeguamento tecnico funzionale dalla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). È seguito il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, quello dell'autorità di bacino della Puglia ed il parere paesaggistico in deroga della giunta regionale. In ultimo, l'approvazione della giunta;
   l'esigenza che si assumeva a fondamento del progetto proposto ed elaborato era la riduzione delle interferenze tra il traffico portuale e quello urbano e tra le diverse tipologie presenti di traffico portuale per rendere più fluido il complesso di collegamenti trasportistici tra il porto e le direttrici di comunicazioni nazionali ed europee;
   sussistono implicazioni ambientali, essendo state disposte specifiche prescrizioni in sede di pronuncia ministeriale di compatibilità ambientale e paesaggistica, anche sollecitate dalla considerazione della presenza di un parco archeologico, Punta delle Terrare, età del bronzo e di un insediamento romano, sempre a condizione che non si addivenisse ad una soluzione alternativa;
   lo stesso Consiglio superiore dei lavori pubblici indicava la necessità che l'autorità portuale approfondisse i contenuti previsti dal protocollo per la gestione ambientale del cantiere, adottando tutte le misure di mitigazione al fine di contenere la diffusione delle polveri e le emissioni di rumore e predisponesse piani di monitoraggio ambientale (con riferimento alle componenti rumore atmosfera e ambiente marino) e piani di monitoraggio del clima acustico, della qualità dell'aria e delle acque, oltre che un piano di sicurezza per sversamenti;
   la pronuncia di compatibilità ambientale relativa alla variante del piano regolatore portuale del porto di Brindisi risulta ormai assai risalente (di oltre dieci anni) e la determinazione di esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale riguarda un progetto in parte diverso da quello originario, oggetto del parere di compatibilità ambientale a suo tempo rilasciato;
   nel contesto del descritto iter procedimentale, si è avuta notizia da fonti di stampa che in un primo tempo i fondi fossero stati bloccati per l'incompletezza della documentazione, ma che poi i fondi Cipe per gli accosti a Sant'Apollinare siano stati sbloccati –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa fornire informazioni sull'attuale stato dell’iter procedimentale in ordine al progetto di banchinamento della spiaggia di Sant'Apollinare, anche con riferimento alla progettazione esecutiva e al rispetto delle prescrizioni di tutela imposte;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla luce delle considerazioni di cui in premessa, ritenga di disporre una nuova verifica di compatibilità ambientale sia con riferimento al nuovo progetto sia al fine di verificare l'eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa dar puntuale contezza dei fondi stanziati per le opere in questione, specificando le ragioni del precedente blocco dell'erogazione e quelle della successiva concessione, precisando le cifre effettivamente erogate. (5-06478)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2015 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha diffuso una nota stampa in cui si da notizia che il Ministro Delrio ha nominato 3 nuovi commissari straordinari, Francesco Palmiro Mariani, il Capitano di vascello Mario Valente e il professor Sergio Prete rispettivamente commissari delle autorità portuali pugliesi di Bari, Brindisi e Taranto;
   dalla nota stampa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si apprende che le nomine sono state necessarie a seguito della scadenza dei mandati dei rispettivi ex presidenti delle autorità portuali sopracitate e la nomina di commissario straordinario sarà per un periodo di 6 mesi;
   l'articolo 7 della legge n. 84 del 1994 determina gli organi dell'autorità portuale e, al comma 4, si sanciscono le modalità di nomina del commissario che esercita, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni conferitegli con decreto (di cui al comma 3) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. La nomina del Commissario viene effettuata nel caso in cui di vengono disposti la revoca del mandato del presidente dell'autorità portuale e lo scioglimento del comitato portuale qualora:
    il comitato portuale non approvi entro centoventi giorni dal suo insediamento, su proposta del presidente, il piano operativo triennale, soggetto a revisione annuale, concernente le strategie di sviluppo delle attività portuali e gli interventi volti a garantire il rispetto degli obiettivi prefissati;
    il conto consuntivo evidenzi un disavanzo;
   l'articolo 8 della legge n. 84 del 1994 determina le funzioni e i compiti del presidente dell'autorità portuale e, al comma 2, prevede che il presidente resti in carica quattro anni e possa essere riconfermato una sola volta;
   Francesco Palmiro Mariani nominato commissario dell'autorità portuale di Bari ha già svolto 2 mandati da presidente della medesima autorità portuale intervallati da due tranche di sei mesi da commissario ed ora è nominato nuovamente commissario straordinario. Il professor Sergio Prete dopo la nomina a presidente dell'autorità portuale di Taranto avvenuta con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti n. 233 in data 7 giugno 2011, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2012, è già stato nominato una prima volta come Commissario straordinario del porto di Taranto –:
   quali siano le motivazioni della nomina dei 3 commissari delle autorità portuali pugliesi di Bari, Brindisi e Taranto e se queste nomine rispettino la normativa di settore, ovvero quanto stabilito dall'articolo 17 della legge n. 84 del 1994.
(5-06480)


   PIRAS, DURANTI, QUARANTA, RICCIATTI, FRANCO BORDO, MELILLA e PANNARALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autorità portuale di Cagliari è commissariata ormai dal 26 settembre 2013, condizione particolarmente delicata, constatati gli effetti che essa sta producendo in termini di governo della medesima e di qualità dei servizi offerti;
   si segnala, in particolare, quanto accade alla «Compagnia Portuale» («CLP»), azienda nella quale si fa sempre più incerta e precaria la condizione dei lavoratori, circa 73 unità, che hanno iniziato a manifestare un crescente disagio attraverso le loro rappresentanze sindacali circa il futuro, ivi compreso il mantenimento del posto di lavoro;
   la «CLP» infatti versa in una condizione di pesante esposizione debitoria, circa 2,2 milioni di euro, conseguentemente agli esposti presentati alla direzione provinciale del lavoro per mancate retribuzioni, in particolare della tredicesima 2014 e della quattordicesima 2015, per carenza di liquidità;
   negli ultimi dieci anni la «CLP» risulta non aver mai versato il Tfr ai lavoratori;
   dopo dieci anni di lavoro i dipendenti non hanno ancora gli spogliatoi, a differenza delle altre aziende portuali;
   a quanto risulta agli interroganti, contrariamente all'accordo di secondo livello siglato da Sindacato confederale, autorità portuale e compagnia portuale, che prevede una quota massima del 20 per cento di utilizzi di lavoro a tempo parziale e/o precario, risulta attualmente impiegata una quota pari al 49 per cento sul totale dei dipendenti;
   tale condizione di precarietà rischia – sulla base di quanto disposto dalla vigente legge dei porti – di far perdere alla «CLP» i requisiti minimi indispensabili per lo svolgimento delle attività;
   lo stato di protratto commissariamento impedisce l'applicazione all'autorità portuale di Cagliari, quindi alla «CLP», delle norme in materia di risanamento dei conti e di competitività previste dalle più recenti norme (e già utilizzate a Genova);
   sono numerosi infatti e recenti gli interventi in materia;
   nell'avvio della XVII legislatura è intervenuto, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali, l'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013;
   in materia, l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha previsto la destinazione su base annua, nel limite di 70 milioni di euro annui, dell'uno per cento del gettito dell'IVA relativa all'importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto rientrante nelle circoscrizioni delle autorità portuali;
   a modificare l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 interviene l'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013, prevedendo: a) l'innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell'uno per cento dell'IVA riscossa nei porti; b) la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
   l'articolo 22 ha inoltre consentito, stabilizzando e sviluppando la disciplina sperimentale introdotta anni 2010, 2011 e 2012 dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194 del 2009, alle autorità portuali di diminuire, fino all'azzeramento, ovvero di aumentare, fino a un tetto massimo pari al doppio, le tasse di ancoraggio;
   successivamente, l'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «decreto-legge destinazione Italia») ha consentito la destinazione della quota di IVA riscossa nei porti e trattenuta dalle autorità portuali anche a interventi cantierabili per la competitività dei porti italiani, interventi finanziati anche con risorse revocate dalla realizzazione di altre infrastrutture nonché erogate per interventi nelle aree portuali per i quali non si sia proceduto, entro due anni dall'erogazione del finanziamento, all'approvazione del bando di gara –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere per affrontare la drammatica situazione in cui versa la «Compagnia Portuale (CLP)» e, più in generale, gran parte dell'indotto legato alla attività della autorità portuale di Cagliari;
   se vi siano le condizioni per il superamento della situazione di commissariamento in cui versa l'autorità portuale di Cagliari. (5-06486)

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società di manutenzione e revisione di motori aeronautici Alitalia Maintenance Systems ha chiesto il concordato preventivo con i creditori ai sensi della legge fallimentare;
   al fine di ottenere l'omologa del concordato erano attesi nuovi investitori, tra cui la società giordana Panmed Energy, che non ha mantenuto gli impegni con la prestazione delle necessarie fidejussioni;
   il giudice del tribunale fallimentare, nell'udienza del 22 settembre 2015, ha concesso una ulteriore dilazione di 48 ore, che scadranno il 24 settembre 2015, per la prestazione delle suddette fidejussioni da parte dell'investitore;
   scaduto tale termine, il, giudice ha fissato udienza per il 29 settembre 2015, all'esito della quale, se non saranno pervenute le necessarie fidejussioni si troverà costretto a dichiarare il fallimento della società;
   il fallimento della suddetta società comporterebbe il licenziamento di circa 240 dipendenti e la dispersione di un patrimonio di know-how e di capacità accumulatesi in decenni di attività a favore di Alitalia e altre compagnie ed unico in Italia nel suo genere –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano intraprendere per scongiurare il fallimento di questa importante società, che oltre a causare un ulteriore depauperamento di capacità produttiva del Paese, porterebbe con sé le sorti di circa 240 lavoratori e delle loro famiglie. (4-10485)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la relazione sul secondo semestre del 2014 presentata nei giorni scorsi dalla direzione investigativa antimafia in Parlamento conferma che le attività criminali preminenti in Basilicata sono quelle legate al traffico di stupefacenti, con particolare riguardo all'area tirrenica, condizionata dalla contiguità con la Campania e con la Calabria;
   nel materano negli ultimi tempi si è manifestata un’escalation di atti intimidatori ed incendiari nei confronti degli imprenditori agricoli, artigiani e commercianti che hanno aumentato i timori della comunità di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico;
   nel potentino la direzione investigativa antimafia segnala la presenza di diversi sodalizi criminali dediti al traffico di stupefacenti con la disponibilità di armi, e si registrano anche episodi di danneggiamento di mezzi ed infrastrutture produttive che mirano ad assoggettare le aziende e gli imprenditori del luogo;
   alla malavita autoctona, riconducibile a gruppi criminali locali, si somma quella organizzata riferibile alle associazioni mafiose radicate nel Mezzogiorno, e trova un suo spazio di manovra anche quella di matrice etnica, sempre più diffusa, in conseguenza di consistenti flussi migratori dall'Europa orientale e da altri continenti;
   oltre all'incremento di quasi il 30 per cento dei reati contro il patrimonio, sono in crescita le denunce per usura ed estorsione nonostante molti casi restino nell'ombra per paura o omertà. C’è anche un aumento dei reati in materia ambientale, che segna un +9,7 per cento con riferimento al traffico di rifiuti ed è aggravato dall'inquinamento del sottosuolo con pericolo per le falde acquifere che mette in serio pericolo la sicurezza e l'incolumità dei cittadini –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro al fine di attivare una rete più capillare di controlli per evitare il rischio di infiltrazioni illecite provenienti dalle regioni limitrofe e ripristinare un clima di maggiore sicurezza per i cittadini lucani. (3-01723)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO, VERINI, FIORIO, MICCOLI e MARCON. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 26 settembre 2015, presso l'Hotel dei Congressi a Roma, si terrà un convengo internazionale dal titolo «Mediterraneo solidale» organizzato dalla Onlus Sol. Id. (Solidarieté — Identités);
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che siano stati invitati come relatori alcuni esponenti di spicco del partito politico sciita libanese «Hezbollah» come Rima Fakhri, membro del consiglio politico, e Sayyed Ammar Al Moussaw, responsabile delle relazioni internazionali;
   parteciperebbero, altresì, a tale convegno alcuni discussi militanti del movimento politico italiano «CasaPound» tra i quali: Alberto Palladino detto «Zippo», più volte avvistato nel Donbass nel corso del conflitto ucraino-russo e condannato nel luglio 2012 a due anni e otto mesi per aver guidato quindici camerati, con il casco in testa e la spranga in mano, contro tre militanti del Pd, tra cui l'attuale presidente del III municipio del comune di Roma; e Franco Nerozzi, ex giornalista che ha patteggiato a Verona una condanna a un anno e dieci mesi dopo esser stato accusato di terrorismo internazionale e dopo essere stato fotografato in un addestramento militare in Birmania e aver contribuito a progettare un golpe alle Isole Comore;
   sembrerebbe inoltre che uno dei collaboratori più importanti e assidui delle attività estere svolte dalla Onlus Sol. Id. (Solidarieté — Identités), la ONG organizzatrice del convegno, sia Gianluca Iannone, fondatore e presidente di CasaPound Italia, condannato in primo grado a 4 anni nei 2009 per aggressione ai danni di un carabiniere in borghese durante una rissa il 25 aprile 2004 e protagonista nel luglio del 2012 di un'aggressione al giornalista Filippo Rossi;
   si è poi recentemente appreso che la stessa regione Lazio, in relazione al sopracitato convegno, dopo esser venuta a conoscenza della partecipazione all'iniziativa di soggetti riconducibili ad organizzazioni indicate nella risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2005 sulla situazione in Libano, ha immediatamente revocato il patrocinio gratuito all'evento;
   in tale risoluzione, infatti, il Parlamento europeo aveva affermato che esistono prove inconfutabili dell'azione terroristica da parte di militanti del movimento politico libanese denominato «Hezbollah» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle generalità di tutti i relatori al citato convegno, se l'ingresso in Italia e la partecipazione dei relatori stranieri a tale convegno avvenuti in conformità delle norme vigenti, e quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati l'avvicinamento in atto tra alcuni esponenti di vertice dell'organizzazione politica libanese «Hezbollah» e i movimenti estremisti della destra italiana che militano intorno a Casa Pound; se tale riavvicinamento possa preludere a ridisegnare la geografia dei gruppi estremisti affiliati a movimenti di matrice terroristica. (5-06472)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo lo schema di decreto recante «Regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'Interno» adottato dal ministero dell'interno il 10 settembre 2015, verranno cancellate 23 prefetture in tutta Italia, che entro il 2016 saranno accorpate ad altre sedi di città vicine;
   il provvedimento colpirà le seguenti sedi degli uffici territoriali del governo: Teramo (accorpata a L'Aquila), Chieti (accorpata a Pescara), Vibo Valentia (accorpata a Catanzaro), Benevento (Avellino), Piacenza (Parma), Pordenone (Udine), Rieti (Viterbo), Savona (Imperia), Sondrio (Bergamo), Lecco (Como), Cremona (Mantova), Lodi (Pavia), Fermo (Ascoli Piceno), Isernia (Campobasso), Asti (Alessandria), Verbano-Cusio-Ossola (Novara), Biella (Vercelli), Oristano (Nuoro), Enna (Caltanissetta), Massa-Carrara (Lucca), Prato (Pistoia), Rovigo (Padova), Belluno (Treviso);
   preme evidenziare che se il piano fosse attuato rimarrebbe privo del presidio di sicurezza rappresentato dalla prefettura il territorio di entrambe le province lombarde di Cremona e Lodi;
   preme a questo proposito evidenziare altresì come le province lombarde siano tra le più sensibili all'infiltrazione ed espansione di fenomeni di criminalità organizzata, secondo quanto rilevato nel primo rapporto sulle aree settentrionali redatto per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso a cura dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'Università degli Studi di Milano, per il quale: «La Lombardia è una regione di insediamento storico delle organizzazioni mafiose: da decenni ospita e accoglie, in forme e in misure diverse, tutte le più importanti, che vi si sono stabilite non solo per le molte possibilità di arricchimento, attraverso investimenti nelle attività legali [...] e illegali [...], ma anche a causa della scarsa resistenza ambientale. Infatti la disattenzione istituzionale e sociale al fenomeno mafioso, da cui la regione si è a lungo considerata esente, e i diversi “coni d'ombra” di cui il fenomeno mafioso ha beneficiato [...] hanno permesso alla criminalità organizzata di insediarsi senza incontrare forti ostacoli» e «Nella fascia meridionale della regione, si individua [...] una più recente e preoccupante pressione: la provincia di Lodi si trova a sud di quella di Milano, e sembra svolgere contemporaneamente una funzione di nicchia protetta e di area di avvicinamento all'hinterland milanese. Le province di Mantova e Cremona [.. .] confinano con le province emiliane a maggiore presenza mafiosa, i cui clan tendono a divenire proiezione in terra lombarda»);
   a questo si deve aggiungere altresì che il ruolo svolto dalle prefetture in questo particolare momento è quanto mai essenziale a causa dello sviluppo recente ed esponenziale del fenomeno migratorio, in relazione al quale gli uffici territoriali del Governo stanno svolgendo una nuova ed estremamente elevata mole di lavoro data l'intensità con la quale tale fenomeno si sta notoriamente espandendo e la sua incidenza, in particolare nelle regioni settentrionali;
   inoltre, per quanto riguarda in particolare la provincia di Cremona, la segreteria provinciale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) ha denunciato la possibile chiusura con accorpamento, oltre che della prefettura, anche della questura e del comando dei vigili del fuoco (secondo quanto riportato nell'articolo «anche per la questura chiusura e accorpamento», a firma di Gilberto Bazoli, su La Provincia di Cremona dell'11 settembre 2015) di Vibo Valentia dopo una riunione presieduta con il Vice capo della polizia, dottor Matteo Piantedosi; «ancora una volta si intende tagliare sui presidi territoriali e non sulla elefantiaca macchina burocratica centrale», considerando che la soppressione delle prefetture porterà a un inevitabile depotenziamento anche delle questure e delle caserme dei vigili del fuoco, come sottolineato anche dal Conapo (sindacato autonomo dei Vigili del fuoco);
   al proposito, sottolinea ancora il sindacato, «nulla è stato detto su quale sarà il modello di sicurezza che verrà attuato nelle 23 province che non avranno più la Questura. Le timide assicurazioni che non vi saranno riduzioni organiche né taglio di posti di funzione non ci convincono e non appaiono coerenti con il nuovo modello proposto dal Regolamento in discussione –:
   se non ritenga opportuno rivedere la soppressione delle 23 prefetture, in particolare in territori contigui e caratterizzati dalle criticità di cui in premessa come quelli della provincia di Lodi e della provincia di Cremona, in cui è necessario e doveroso salvaguardare la presenza delle istituzioni, nella lotta alla criminalità organizzata e alle stile ingerenze, nonché per fronteggiare adeguatamente il fenomeno migratorio;
   se abbia fondamento la notizia della soppressione della questura e del comando dei vigili del fuoco nella città di Cremona e, in caso affermativo, quale sarà il modello di sicurezza che verrà attuato nella provincia;
   quali iniziative intenda assumere affinché venga garantito il controllo necessario alla sicurezza nei territori periferici. (5-06479)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 settembre 2015, sul sito online «ansa.it», veniva pubblicata la notizia riguardante uno studio presentato in occasione del Meeting 2015, realizzato dalla stessa Confesercenti in collaborazione con l'istituto di ricerca Ref, sul fenomeno dell'abusivismo commerciale;
   lo studio ha evidenziato che l'abusivismo commerciale ha assunto proporzioni colossali, arrivando ad un giro d'affari di oltre 21 miliardi di euro;
   i dati indicano che nel 2014, il valore stimato degli articoli sequestrati agli abusivi è stato di 913 milioni di euro, ma la stima del fenomeno, stando alla percezione degli operatori regolari, risulta essere di 21,4 miliardi, con un danno erariale di 11,1 miliardi;
   l'associazione che ha curato lo studio ha spiegato che la crisi economica ha incentivato l'abusivismo e che il fenomeno è cresciuto per via del fatto che i consumatori possono cercare di ottenere vantaggi nei costi, rinunciando al canale distributivo regolare;
   nello studio viene evidenziato che se non vi fossero attività abusive, l'erario recupererebbe abbastanza tasse non solo per finanziare il taglio di imu e tasi sulla prima casa, ma anche il raddoppio della platea di beneficiari del bonus da 80 euro in busta paga introdotto con la legge di stabilità per il 2015. Inoltre, con la regolarizzazione, a guadagnarci sarebbe anche l'occupazione con 32 mila posti di lavoro aggiuntivi stimati;
   a giudizio degli interroganti e per quanto sopra riportato, le attuali misure di contrasto all'abusivismo commerciale adottate dal Governo sono da considerarsi assolutamente deboli e decisamente poco incisive –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e quali iniziative abbia previsto il Governo al fine di combattere con efficacia il fenomeno dell'abusivismo commerciale tutelando così il comparto delle piccole e medie imprese. (5-06481)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada provinciale di Montedivalli (comune di Podenzana) in provincia di Massa Carrara, lunga sette chilometri dal bivio di Montedivalli sino al valico di Genicciola, presenta numerosi e gravi cedimenti del piano viario;
   il movimento franoso più consistente si trova in località Fogana e ha di fatto interrotto l'accesso a 5 frazioni poste a monte;
   l'interruzione della viabilità lascia, ormai da tempo, circa 200 abitanti nell'impossibilità di accedere agevolmente ai servizi essenziali (medico-sanitari, alimentari, e altri) le famiglie con figli si trovano costrette a intraprendere spostamenti lunghi e pericolosi per raggiungere la scuola, che dista pochi chilometri ma è servita solo dalla strada provinciale 20;
   la sicurezza viaria risulta determinante per promuovere uno sviluppo sostenibile per la frazione di Montedivalli e, quindi, per il comune di Podenzana, basato sulle attività turistico-ricettive di sviluppo nei settori dell'ambiente, della cultura e dell'agricoltura biologica;
   la frana in località Fogana è molto pericolosa e potenzialmente distruttiva, l'unica azione è quella che l'interrogante giudica la «finta chiusura» della strada da parte dell'amministrazione provinciale di Massa Carrara che con la sistemazione di una transenna ha imposto il divieto di transito, senza bloccare realmente la viabilità;
   gli abitanti della zona continuano ad utilizzare la strada per necessità e per mancanza di una programmazione concreta nei lavori di ripristino;
   data la gravità della condizione, le continue allerte meteorologiche e il totale abbandono, già nell'ottobre del 2014 la provincia di Massa Carrara con delibera del commissario straordinario ha inviato agli uffici regionali del genio civile di Massa-Carrara sei progetti relativi alla viabilità della Lunigiana e che tra questi sono stati preventivati 966.900 euro per lavori di consolidamento del movimento franoso del versante in località Fogana in corrispondenza del chilometro 4+300 lungo la strada provinciale n. 20 di Montedivalli nel comune di Podenzana;
   ad oggi la regione Toscana non ha fondi per far fronte a tutte le richieste pervenute e solo una parte dei progetti ritenuti ammissibili prenderà avvio –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per mettere quantomeno in sicurezza la strada e garantire l'incolumità dei cittadini e degli utenti, valutando l'ipotesi di convocare un tavolo istituzionale con le parti interessate. (4-10471)


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di agosto 2015 per circa dieci giorni, dal 7 al 17 agosto, si è svolto in Basilicata a cavallo tra i territori di Craco e Ferrandina presso una contrada denominata «Codola» un rave party;
   la zona scelta per questo raduno è ubicata in un'area pianeggiante non facilmente raggiungibile se non attraverso una strada interpoderale;
   in questi dieci giorni circa un migliaio di giovani hanno partecipato a questo evento giunti da ogni parte d'Italia;
   nonostante il luogo isolato la musica ad altissimo volume si sentiva anche a distanza di chilometri e poiché si parla di aree rurali anche le legittime proteste, da parte di privati cittadini e di operatori economici, si sono frazionate, anche perché non era chiaro chi fosse l'interlocutore istituzionale a cui far pervenire le rimostranze;
   non è dato sapere se siano state concesse autorizzazioni e se e quali controlli siano stati effettuati anche perché si sa che esiste una precisa normativa che regolamenta tali eventi considerati «sensibili» dal punto di vista dell'ordine pubblico –:
   se il Ministro fosse a conoscenza di tale evento, se e quali istituzioni abbiano concesso le necessarie autorizzazioni, se nel corso del suddetto periodo siano stati effettuati controlli e quali iniziative di competenza intenda assumere ove tale manifestazione dovesse ripresentarsi.
(4-10473)


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i sindacati di polizia hanno evidenziato il fenomeno dei suicidi di operatori delle forze dell'ordine. Fenomeno che riguarda in particolare gli operatori della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza;
   spesso il suicidio (e il tentato suicidio) avviene tramite l'uso della pistola di ordinanza;
   il fatto è conosciuto da diversi anni, ma viene sottovalutato ascrivendolo esclusivamente ad incidenze esterne, evitando così ogni intervento mirato alla sfera lavorativa. I rappresentanti degli operatori delle forze preposte all'ordine pubblico, non contestano l'attività in seno alla direzione centrale di sanità, agli studi ed alle «autopsie psicologiche» dei singoli episodi (in risposta ad una precedente lettera del 2010, il prefetto Manganelli diceva che i suicidi non erano riconducibili a cause e a disagi di tipo lavorativo), ma sottolineano che il fenomeno è quasi ignorato sia professionalmente che umanamente. I dati sono allarmanti poiché il tasso dei decessi è alto, sicuramente superiore rispetto alla media della popolazione e non risulta che siano state prese le doverose precauzioni e provvedimenti. Nel resto d'Europa, dove l'attenzione alla questione è maggiore, questi fenomeni sono in netto calo e con incidenze sicuramente minori rispetto a quanto avviene in Italia che, nello specifico, rappresenta il fanalino di coda;
   secondo le autorità competenti le cause non sono da accreditarsi alla professione. Ma le depressioni legate a fatti personali sono aggravate dalla particolarità del mestiere che è intriso di tensioni lavorative, mobbing diffuso, e lacunoso per la insufficiente attenzione psicologica necessaria a chi ha, per mestiere, l'obbligo dell'uso dell'arma da fuoco, che richiede fermezza, competenza, capacità di distacco psichico;
   i sindacati di polizia propongono di portare queste tematiche all'interno del circuito di aggiornamento professionale, come avviene nel resto d'Europa, in modo da poter discutere prima le soluzioni possibili. Richiedono anche la costituzione di una commissione d'inchiesta in cui poter discutere assieme alle rappresentanze del personale i risultati e le conclusioni che la direzione centrale di sanità, assieme al centro di neurologia e psicologia medica del servizio operativo centrale, ha raccolto in questi anni, facendo anche tesoro e uso adeguato della normativa già esistente sulla tutela e sicurezza del lavoro ed in particolare di quelle norme, previste dalla legge n. 65 del 1986, che incidono in particolare sulla salute degli operatori delle forze di polizia –:
   se i Ministri interrogati riscontrino il carattere di emergenza della questione posta dai rappresentanti dei lavoratori delle forze di polizia e quindi come, nel tempo più breve possibile, intendano mettere in atto le misure utili alla prevenzione del fenomeno nel senso più opportuno per i lavoratori del settore;
   se non ritengano opportuno dare le necessarie indicazioni affinché si verifichi, e sia reso noto il numero dei decessi nel settore dal 2008 ad oggi, poiché i dati affermano che solo nel semestre gennaio/giugno 2015 si sono verificati 20 suicidi e nulla si sa dei tentati suicidi, tenendo conto che i dati, al contrario di quanto richiederebbero i criteri della trasparenza, se esistono, sono non sufficientemente pubblicizzati e spesso tenuti con riserbo non riconoscendo la concausa di servizio. (4-10474)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   così come riportato ormai quotidianamente dagli organi di stampa, la città di Pomigliano d'Arco è soggetta ad una escalation di violenza che non accenna a placarsi;
   il 6 agosto ci sono state due rapine in meno di 5 minuti. Nel mirino sono finiti un'edicola su via Nazionale delle Puglie e un imprenditore;
   il 29 agosto a Castello di Cisterna al confine di Pomigliano i rapinatori Gianluca Ianuale e Marco Di Lorenzo uccidono l'immigrato ucraino Anatolij Korol, davanti alla figlioletta;
   dieci giorni dopo a Pomigliano, a poche centinaia di metri dai luoghi della tragedia di Castello di Cisterna, cinque delinquenti armati di pistola, a bordo di due scooter e di un'automobile, inseguono, bloccano e rapinano la titolare di una tabaccheria in via Mauro Leone derubandola di ben 7.000 euro;
   inoltre, occorre considerare che la città di Pomigliano sta diventando un polo della «movida» dell’hinterland nolano e vesuviano: molto spesso, tuttavia, la situazione sfugge al controllo e si ripetono con frequenza risse, nonché atti di violenza gratuita ai danni di giovani e giovanissimi;
   in altre parole, sta dilagando un vero e proprio fenomeno di bullismo con baby gang e numerosissimi atti di violenza, a tal punto che, purtroppo, in molti casi le vittime non ritengono nemmeno di sporgere denuncia;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, la situazione che si è venuta a creare ha creato una situazione di fortissima preoccupazione nei commercianti, che chiedono misure urgenti volte a fronteggiare la criminalità, dal momento che molto spesso gli episodi di violenza colpiscono i loro esercizi commerciali o i loro clienti, creando un evidente danno alla loro attività;
   un ulteriore aspetto che desta forte sgomento nella comunità locale è quanto sta avvenendo presso il cimitero di Pomigliano d'Arco, con numerosissime tombe profanate, lastre spaccate e vandalizzate a colpi di mazza: nella mattinata di giovedì 17 settembre i cittadini hanno trovato il cimitero vecchio (situato di fronte quello, di costruzione più recente, in via Abate Felice Toscano) oltraggiato da un gruppo di ladri e balordi. In alcuni casi i sepolcri sono stati letteralmente scoperchiati, portando alla luce le ossa ed i resti umani custoditi all'interno. Lo scopo del raid sarebbe stato, secondo le ricostruzioni, il furto di ottone e rame utilizzato per la costruzione di acquasantiere, vasi e pomelli attaccati ai loculi;
   infine, occorre segnalare quanto sta avvenendo presso i treni della Circumvesuviana, laddove si verificano furti e cannibalizzazioni di ogni tipo: è stato denunciato il furto delle porte delle stazioni non sorvegliate dal personale oltre che il furto delle batterie necessarie al funzionamento della segnaletica lungo le linee durante la corsa dei treni, che sarebbe avvenuto negli ultimi giorni nella tratta tra le stazioni di Pomigliano d'Arco e Vittorio Veneto;
   la situazione della Circumvesuviana sta degenerando al punto che l'EAV — secondo quanto si apprende da fonti di stampa – starebbe correndo ai ripari avviando un piano sicurezza che nel prossimo futuro dovrebbe portare a risultati concreti, con l'impiego di maggior personale delle forze dell'ordine e controlli più intensi;
   alla luce di quanto esposto appare assolutamente necessario predisporre delle contromisure a questa ondata di violenza che mina alle fondamenta la sicurezza della popolazione, ad esempio installando un adeguato sistema di videosorveglianza che potrebbe rappresentare non solo un deterrente agli atti criminosi, ma soprattutto un utilissimo strumento di contrasto del crimine –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti riportati e quali siano i suoi orientamenti in merito alla sempre più grave situazione;
   se non ritenga urgente e necessario intervenire affinché, con una sinergia comune, che coinvolga istituzioni, magistratura e forze dell'ordine, si adottino le necessarie iniziative per impedire che si perpetuino i sempre più preoccupanti atti di violenza che stanno minando la sicurezza e la tranquillità dei cittadini;
   se non ritenga necessario prevedere un rafforzamento e un potenziamento dei presidi di forze nell'ordine;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per l'attivazione di ulteriori fondi aggiuntivi per dotare i territori di strumenti tecnici idonei al controllo del territorio come, per esempio, reti di videosorveglianza all'avanguardia. (4-10484)


   RONDINI e GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal luglio del 2014 presso l'Ambra hotel di San Zenone al Lambro in provincia di Milano, vengono alloggiati più di 150 immigrati «richiedenti asilo»;
   in questo anno in cui hanno soggiornato diverse sono state le criticità che si sono registrate all'interno della struttura, tra cui aggressioni agli operatori;
   il 23 settembre 2015 a sorpresa i militari della compagnia di San Donato milanese hanno proceduto ad una serie di controlli per verificare la presenza dei «richiedenti asilo» all'interno della struttura;
   il servizio era stato organizzato proprio per verificare la presenza di droga all'interno dell'hotel. Non a caso sono state impiegate le unità cinofile del nucleo di Casatenovo, che hanno supportato i quindici militari al lavoro nel corso della mattinata;
   il risultato delle perquisizioni riporta che due persone sono state trovate in possesso di hashish e marijuana, una delle quali è stata denunciata. In tutto sono stati sequestrati 8 grammi di hashish e altrettanti di marijuana;
   sono state identificate le persone presenti, verificata la loro posizione. Inoltre è stato denunciato un ventiseienne della Sierra Leone trovato con 8 grammi di hashish. In possesso di due dosi, di hashish e marijuana, è stato trovato anche un diciannovenne del Gambia. Non solo, nello scantinato sono stati rinvenuti altri 8 grammi e mezzo di marijuana di dubbia provenienza, anch'essi posti sotto sequestro –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere iniziative per la chiusura di una struttura che è tenuta sotto stretto monitoraggio dalle forze dell'ordine per le ampie presenze di immigrati all'interno, o in subordine per la revoca della concessione a chi si occupa della gestione della struttura per manifesta incapacità nella gestione e nella vigilanza. (4-10487)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 16 e il 17 settembre 2015, in via Nunzio Nasi nel quartiere «Ballarò» a Palermo, ignoti hanno appiccato le fiamme al «Pub Ballarò» provocando ingenti danni alla struttura;
   il «Pub Ballarò» è stato affidato in gestione alla cooperativa «Insieme si può» dopo il sequestro da parte dell'autorità giudiziaria che ha scoperto la riconducibilità dell'esercizio commerciale già denominato «Cu mancia fa muddiche» al boss di cosa nostra Gianni Nicchi;
   prima dell'attentato incendiario si erano registrate numerose altre intimidazioni, in particolare nel mese di settembre si registravano danneggiamenti al sistema di illuminazione esterna e un'irruzione nella struttura che causava danni ingenti ai macchinari custoditi dentro l'edificio;
   nonostante lo sforzo attivo e costante di numerosissime associazioni operanti nel quartiere del centro storico palermitano non si può non registrare un preoccupante fenomeno di incuria e di scarsa sicurezza;
   la carenza di servizi essenziali nel quartiere «Albergheria-Ballarò» contribuisce a rendere lo stesso ad alta densità di fenomeni di esclusione sociale che stanno alla base di numerose problematiche registrate;
   la grave situazione non appare risolvibile esclusivamente con azioni di controllo del territorio o con il semplice, per quanto doveroso, aumento dei controlli da parte delle forze dell'ordine;
   sulla necessità di interventi urgenti e strutturali in ambito sociale si sono più volte espresse le associazioni che operano nel territorio del quartiere, in ultima istanza durante un'assemblea svoltasi nella giornata del 22 settembre 2015 –:
   se il Governo non ritenga doveroso che un bene sequestrato, oggetto di precedenti atti intimidatori, come nella vicenda citata in premessa, debba essere adeguatamente monitorato e tutelato al fine di evitare ulteriori attentati come poi verificatisi nel caso del «Pub Ballarò»;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo per impedire ulteriori azioni ai danni del «Pub Ballarò»;
   quali iniziative, di concerto con le autorità cittadine, il Governo intenda intraprendere sul piano della sicurezza e del controllo del territorio nel quartiere «Albergheria-Ballarò» di Palermo;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, alla luce della gravissima condizione sociale nel quartiere «Albergheria-Ballarò» di Palermo, per favorire fenomeni e pratiche di inclusione sociale, in particolare per quanto riguarda i fenomeni di elusione e abbandono dell'obbligo scolastico;
   se il Governo non ritenga necessario, e in che modo, aiutare nel loro compito le numerose associazioni che operano nel quartiere «Albergheria-Ballarò» di Palermo, le quali svolgono una fondamentale opera di contrasto all'illegalità. (4-10488)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 giugno 2015 il comune di Padova ha stipulato una convenzione con l'associazione sportiva Vecchio Appiani, presieduta dal signor Igor Clementi, per la gestione di un'area pubblica adiacente allo Stadio Euganeo, al fine di organizzare servizi di supporto e intrattenimento per i tifosi;
   il signor Igor Clementi, concessionario dell'area pubblica, è un soggetto con significativi precedenti penali per reati connessi alle manifestazioni sportive;
   in particolare, soltanto a titolo di esempio, Clementi era tra gli ultras padovani condannati per la brutale aggressione di un tifoso della Cremonese del 2 dicembre 2007;
   in quell'occasione un gruppo di ultras padovani, tra cui anche Clementi, aveva selvaggiamente colpito, con calci, pugni, spranghe e bastoni, il trentacinquenne di Pizzeghettone in provincia di Cremona, Stefano Gagliardi, che aveva riportato la frattura dell'osso frontale e dello zigomo, oltre allo spappolamento della milza, e a cui era stata diagnosticata una invalidità permanente del 25 per cento;
   per quella vicenda il Clementi aveva patteggiato una condanna di 2 anni di reclusione;
   un altro esempio significativo è costituito dall'aggressione avvenuta nei pressi dello stadio Euganeo, prima della partita Padova-Foggia del 12 dicembre 2007, soltanto 10 giorni dopo, in relazione alla quale Clementi ha ricevuto una condanna, per lesioni personali, a 10 mesi di reclusione;
   la concessione dell'area pubblica adiacente allo stadio, da parte dell'amministrazione padovana, pone, ad avviso degli interroganti, interrogativi gravi sotto il profilo dell'opportunità e della legittimità;
   il comune di Padova, attraverso la detta concessione, ha adottato secondo gli interroganti un atto che è in contrasto con le finalità educative proprie degli enti pubblici, perché costituisce un riconoscimento nei confronti di soggetti che hanno dimostrato grave dispregio della legge e attitudine alla violenza, proprio nel contesto delle manifestazioni sportive;
   inoltre, la concessione, ad opinione degli interroganti, indebolisce e vanifica gli sforzi dell'autorità di pubblica sicurezza nella prevenzione e nel contrasto della violenza negli stadi –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro possa verificare, attraverso gli uffici territoriali del Governo e dell'autorità di pubblica sicurezza, se il signor Igor Clementi sia destinatario di un provvedimento di divieto di accedere alle manifestazioni sportive;
   in caso affermativo, se il Ministro, attraverso le strutture territoriali, intenda verificare se questo provvedimento amministrativo sia compatibile con la concessione adottata dalla giunta comunale di Padova;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per evitare che soggetti con gravi precedenti penali, connessi a violenze esercitate in occasione di manifestazioni sportive, possano essere destinatari di concessioni come quelle di cui in premessa. (4-10491)


   PAGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o settembre 2015 alle ore 17, nell'aula consiliare del comune di Monreale, circa sessanta persone erano presenti per partecipare ad un convegno, relativo alle riforme introdotte dalla recente riforma della scuola (cosiddetta «La buona scuola») ed ai possibili progetti scolastici da esso introdotti;
   la conferenza era organizzata dal Comitato «Si alla Famiglia» e da alcuni genitori fortemente interessati alla teoria del Gender ed alle possibili ricadute sulla educazione scolastica;
   quali relatori erano stati invitati il dottor Nino Amato neurologo e l'avvocato Maria Letizia Russo, docente, entrambi di Alleanza Cattolica e del Comitato «Si alla Famiglia», presentati dalla signora Tiziana Piedimonte, referente regionale del «Comitato articolo 26» Palermo;
   già durante l'intervento del dottor Nino Amato, incentrato sugli aspetti scientifici della differenziazione sessuale, gruppi di persone hanno disturbato il corso della relazione, che è stata portata a termine faticosamente;
   il secondo intervento, invece, avente per titolo «Gender: consigli per i genitori», è stato letteralmente impedito;
   sia i relatori sia gli organizzatori hanno tentato di dissuadere i disturbatori invitandoli ad attendere la fine delle relazioni, a cui avrebbe fatto seguito il dibattito, senza successo;
   in più occasioni, tali soggetti, il cui scopo evidente era quello di impedire il libero esercizio della libertà di opinione, hanno apostrofato pesantemente i relatori senza che gli stessi potessero replicare;
   l'azione di disturbo ha tra l'altro impedito ai partecipanti alla conferenza di ottenere le informazioni che si aspettavano dall'incontro di studio, ed alcuni dei presenti, con bambini al seguito, una, volta resisi conto di quello che stava accadendo, si sono allontanati;
   i relatori, nel constatare la totale assenza di senso civico e della libertà dei gruppi filo-gay non hanno potuto far altro che sospendere il momento di riflessione, studio e approfondimento voluto da famiglie sensibili al tema dell'educazione e preoccupate per il futuro dei propri figli;
   una delle organizzatrici, la signora Alessandra Anselmo, alcuni giorni prima dell'incontro, si era recata presso la locale stazione dei carabinieri per comunicare l'iniziativa e chiedere garanzie circa la tutela delle forze dell'ordine così come da circolare dei Ministro dell'interno, segnalando che già altre decine e decine di volte ci fossero stati atti di intolleranza se non di violenza da parte dei gruppi facenti capo alle lesbiche, gay, transessuali bisex, comunemente chiamate LGBT;
   presso la stazione dei carabinieri, veniva dichiarato che non era necessaria una presenza sul posto dell'Arma, atteso che si trattava di un incontro di genitori;
   Alleanza Cattolica e il Comitato «Si alla famiglia», spesso insieme ad altri organismi, organizzano in tutta Italia con frequenza convegni e conferenze su questi temi. È prassi corrente, più volte fatta presente in atti parlamentari, che i siti dell'associazionismo gay segnalino questi eventi chiedendo ai propri militanti di interrompere le manifestazioni e provocano i relatori. La macchina propagandistica afferma sui loro siti che occorre «evitare con tutti i mezzi» che si tengano iniziative sgradite e considera gli organizzatori di queste iniziative una sorta di «Ku Klux Klan anti-omosessuale, che strumentalizza la religione»;
   nel rispondere ad atti parlamentari su vicende analoghe il Governo ha espressamente dichiarato che: «L'impegno delle Forze dell'ordine è continuamente teso a garantire la libertà, a garantire l'autonomia nell'espressione del proprio pensiero da parte dei cittadini e, quindi, in una parola a garantire i diritti costituzionalmente definiti» (sottosegretario Bubbico, Aula della Camera 27 settembre 2013);
   a Monreale in particolare, oltre a essere stati messi in atto comportamenti di dubbia liceità, si è impedito l'esercizio di diritti costituzionalmente tutelati, come la libertà di manifestare il pensiero, la libertà di riunirsi pacificamente, la libertà di ricerca; i siti omosessuali a loro volta, hanno posto in essere un'azione di istigazione che deve ritenersi altrettanto dubbia sotto il profilo della legalità –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sull'episodio esposto in premessa;
   per quali motivi le forze dell'ordine, preventivamente avvertite, non siano intervenute in applicazione della circolare del Ministero dell'interno diramata a seguito di precedenti ed analoghi episodi di aggressione subiti da associazioni che come Alleanza Cattolica si occupano di formazione e di studio in difesa del valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna;
   quali ulteriori iniziative di prevenzione il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi sempre più frequente di episodi simili a quello esposto in premessa. (4-10493)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il nuovo anno accademico sta per avere inizio e la situazione che si prospetta per le accademie, i conservatori di musica, gli istituti superiori di studi musicali e gli istituti superiori di per le industrie artistiche è ancora più complessa degli altri anni; infatti nonostante le dichiarazioni di intenti per arrivare ad una conclusione nell'ambito del provvedimento legislativo cosiddetto «buona scuola», la situazione dei precari dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica rimane ad oggi irrisolta;
   il nuovo anno si apre all'insegna delle incertezze che caratterizzano il comparto da troppo tempo, le problematiche non risolte, ormai diventate emergenze, rischiano di minare la tenuta dell'intero sistema: precari e graduatorie nazionali (ex legge n. 143 del 2004 e legge n. 128 del 2013), riassetto della docenza (II fascia) e contrattazione sospesa, statizzazione ISSM (ex IMP), ordinamento degli studi – biennio di secondo livello ancora in fase sperimentale –, attivazione della ricerca, cioè, in definitiva, il compimento della legge di riforma in cantiere da ben sedici anni;
   l'elevato numero di pensionamenti previsti per l'anno accademico che si sta aprendo e per i prossimi anni non avrà un corrispondente numero di aventi diritto utili per le assunzioni a tempo indeterminato, visto che nelle graduatorie ad esaurimento, graduatorie esami e titoli e graduatorie ex lege n. 143 del 2004 non è rimasto praticamente più nessuno e, inoltre, che la graduatoria ex lege 128 del 2013 non fosse sufficiente a ricoprire le necessità degli istituti non era un mistero per nessuno, infatti in molti casi si sta provvedendo autonomamente, con la pubblicazione di bandi, alla costituzione delle graduatorie d'istituto;
   con apposito decreto del Presidente della Repubblica del 16 agosto 2014 sono state autorizzate le immissioni in ruolo di una percentuale dei docenti delle citate graduatorie nazionali gemelle ex lege n. 143 del 2004 (gemelle per modalità di reclutamento anche se bastavano due soli anni di servizio, mentre per le ultime graduatorie nazionali ne occorrevano almeno tre) trasformatesi ad esaurimento per effetto del citato decreto-legge n. 104 del 2013, il quale ha disciplinato in modo diverso e, a giudizio dell'interpellante, con modalità di dubbia costituzionalità, la situazione di docenti appartenenti allo stesso comparto e con i medesimi requisiti;
   a questo caos si somma l'uso indiscriminato della pratica delle conversioni degli insegnamenti, una pratica che non sempre è giustificata dalle necessità dettate dall'offerta formativa, e che è ostacolo all'utilizzo prioritario delle graduatorie nazionali;
   nonostante quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 26 novembre 2014 – relativa alla reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi – la Corte Costituzionale non ha ancora deciso, rimandando il pronunciamento a data da definire;
   la maggior parte dei docenti che hanno maturato oltre 36 mesi di servizio hanno intrapreso azioni legali nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a fronte dei principi di legge esposti e a tutela della stabilità lavorativa; in molti casi i tribunali del lavoro di competenza territoriale si sono già espressi a loro favore;
   le rappresentanze sindacali hanno chiesto da tempo al Ministro l'istituzione di un tavolo di confronto e le segreterie nazionali FLC CGIL, CISL Università, UIL RUA e Unione Artisti UNAMS hanno formalmente richiesto un incontro –:
   quali iniziative intenda adottare nell'immediato per assorbire tutto il precariato del settore dell'alta formazione artistica e musicale già in possesso dei necessari requisiti previsti dalle norme italiane ed europee;
   se non ritenga urgente e opportuno aprire un tavolo di confronto con docenti e rappresentanze sindacali al fine di pervenire ad una proposta organica e risolutiva per il futuro dell'alta formazione artistica e musicale.
(2-01088) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dal 1968 sono state istituite le scuole materne statali, il primo segmento dell'istruzione italiana nel percorso formativo unitario dai 3-14 anni, con lo scopo di far acquisire gradualmente ai bambini un'autonomia di giudizio, di osservazione e riflessione ampliando le sue conoscenze nella comunicazione e nella partecipazione alla vita sociale;
   il percorso formativo della scuola dell'infanzia è stato, inoltre, sancito recentemente dalle indicazioni nazionali del 2007 e del 2012;
   l'insegnante di scuola di infanzia è una figura professionale di elevata responsabilità che ha svolto un corso di laurea in scienze della formazione primaria e successivamente superato i relativi concorsi a cattedre, seguiti da un periodo di tirocinio, svolto presso istituzioni scolastiche, per integrare competenze teoriche e competenze operative;
   il docente dell'infanzia, inoltre, deve avere una perfetta padronanza delle nozioni fondamentali di puericoltura, igiene, psicomotricità, neuropsichiatria infantile, psicologia dell'età evolutiva, pedagogia e tecniche di animazione;
   le indagini internazionali sull'apprendimento (PISA 2012 e PIRLS 2011) evidenziano che i successi scolastici degli adolescenti sono raggiunti in maniera precipua da coloro che nell'infanzia hanno fruito di servizi educativi di qualità;
   il 3 settembre 2014, all'interno del dossier «Buona Scuola», il Governo promise di realizzare 148 mila immissioni al 1o settembre 2015, computando pertanto il numero complessivo dei docenti inseriti nelle graduatorie a esaurimento e nelle graduatorie di merito del concorso 2012, incluso il personale della scuola dell'infanzia;
   il personale precario della scuola dell'infanzia, presente nelle graduatorie a esaurimento e nelle graduatorie di merito del concorso 2012, attualmente escluso dal piano di assunzioni relativo all'anno scolastico 2015-2016, risulta essere di oltre 23 mila unità;
   la fase B del piano straordinario di immissione in ruolo ha visto l'assunzione di circa 400 docenti della scuola dell'infanzia in possesso del titolo di sostegno, mentre è stata negata al suddetto personale la partecipazione alla fase C del piano, quella del cosiddetto «organico del potenziamento»;
   il Governo, attraverso una delega in «bianco», si è impegnato a varare entro i successivi 18 mesi un «Sistema integrato di educazione ed Istruzione dalla nascita fino a 6 anni» promettendo ai docenti della scuola dell'infanzia future immissioni in ruolo all'interno del nuovo sistema integrato 0-6 anni;
   la sorte dei docenti della scuola dell'infanzia viene aggravata anche dall'articolo 79 della legge n. 107 del 2015 in cui si statuisce che: «Il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l'insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purché non siano disponibili nell'ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso»;
   la legge n. 107 del 2015 consente l'utilizzo del personale docente inserito all'interno del cosiddetto organico del potenziamento anche su classi di concorso diverse da quelle per cui il docente è in possesso del relativo titolo di abilitazione nonché la possibilità di utilizzo del medesimo personale su gradi di scuola diversi;
   i docenti della scuola dell'infanzia, oltre ad essere rimasti esclusi, secondo gli interroganti illegittimamente, dal piano di immissioni in ruolo attualmente in corso, saranno danneggiati dal meccanismo dell'organico del potenziamento che consentirà anche a docenti di classi di concorso e di gradi d'istruzione diversi di ricoprire i posti a loro destinati;
   la possibile indizione di un nuovo concorso nel 2016 andrebbe a saturare ulteriormente le graduatorie del personale dell'infanzia –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere ai fini di tutelare i diritti dei docenti della scuola dell'infanzia inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie di merito del concorso 2012 ed esclusi dalle stabilizzazioni per l'anno scolastico 2015/2016. (5-06468)


   D'UVA, VACCA, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) sovraintende al sistema pubblico nazionale di valutazione della qualità delle università e degli enti di ricerca, cura la valutazione esterna della qualità delle attività dell'università e degli enti di ricerca destinatari di finanziamenti pubblici e indirizza le attività dei nuclei di valutazione e, infine, valuta l'efficacia e l'efficienza dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione alle attività di ricerca e innovazione;
   tra i compiti essenziali dell'Agenzia figurano la valutazione della qualità dei processi, i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione, ricerca, trasferimento tecnologico delle attività delle università e degli enti di ricerca, nonché la definizione di criteri e metodologie per la valutazione delle sedi e dei corsi di studio, ivi compresi i dottorati di ricerca, i master e le scuole di specializzazione, ai fini dell'accreditamento periodico delle strutture da parte del Ministro;
   tra le funzioni di fondamentale rilievo vi è l'elaborazione, su richiesta del Ministro, dei parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali, ivi inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi, compito che negli ultimi anni risulta essere essenziale per la determinazione dei finanziamenti da erogare all'università italiane per assicurarne il corretto funzionamento;
   tuttavia, una evidente distorsione dell'applicazione di tali normative, che trovano il loro fondamento nella legge 30 dicembre 2010, n. 240, «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», cosiddetta legge Gelmini, ha comportato nel corso degli anni una progressiva scissione funzionale, organizzativa ed economica tra gli atenei italiani, con particolare evidenza tra quelli situati nei territori settentrionali e quelli meridionali del territorio dello Stato;
   l'esasperata ricerca del merito, a discapito della crescita unitaria di tutto il sistema universitario, basata sulla valutazione non del tutto oggettiva anche attraverso i sistemi adottati a tali fini dall'Agenzia di valutazione dei sistema universitario e della ricerca (Anvur), e strettamente connessa ai finanziamenti da erogare per il regolare funzionamento delle strutture, ha generato, di fatto, una lotta tra centri del sapere che anziché crescere come insieme continuano il loro progressivo allontanamento;
   è proprio attraverso l'articolo 4 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, che viene sancito il principio secondo il quale «Il Ministero, nel rispetto della libertà di insegnamento e dell'autonomia delle università, indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonché con la valutazione dei risultati conseguiti»;
   tali disposizioni normative evidenziano come l'attuale sistema si basi sullo stanziamento di maggiori fondi agli atenei considerati meritevoli secondo i criteri di valutazione elaborati dall'Agenzia, somme e finanziamenti premiali che, tuttavia, non risultano essere ulteriori e diversi rispetto al fondo di finanziamento ordinario (FFO), ma direttamente sottratti dagli stanziamenti previsti per il funzionamento ordinario degli atenei ritenuti meno efficienti;
   risulta evidente come una valutazione del merito effettuata tra atenei che progressivamente vedono ridurre le somme erogate per il loro funzionamento essenziale, e atenei che, già considerati eccellenti, possono godere di somme ulteriori sottratte proprio ai propri «competitor», continuerà a creare situazioni di grandi differenze tra le università del Nord e quelle Sud;
   il 18 marzo 2014, infatti, proprio l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha presentato il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», evidenziando un quadro assolutamente allarmante sullo stato del nostro sistema universitario nazionale e, più in generale, dell'offerta formativa;
   dal «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia» è possibile verificare come le immatricolazioni risultino in calo del 10 per cento nelle regioni del Nord Italia, del 25 per cento delle regioni del Sud e, infine, del 30 per cento nel Mezzogiorno;
   in data 27 luglio 2015, il quotidiano consultabile online «il Sole24ore», riportava alcuni dati allarmanti che ben evidenziavano tali differenze territoriali, evidenziando come «accanto a università che si sono viste ridurre l'assegno di quasi un terzo ci sono (pochi) atenei che addirittura poggiano su fondi più robusti del passato. Ai due capi della classifica si incontrano da un lato Messina e Palermo, che nel 2015 hanno ricevuto il 30 per cento abbondante in meno rispetto ai fondi statali su cui avevano potuto contare sette anni prima, e dall'altro Bergamo e il Politecnico di Torino, che possono contare rispettivamente su un +11,4 per cento e su un +7,3 per cento»;
   tali evidenze continuano ad avere effetti disastrosi proprio a causa dei nuovi finanziamenti calibrati sulla valutazione e sul merito che, sul medio periodo, avranno il solo effetto di portare alla chiusura controllata di questi atenei, costringendo, di fatto, gli studenti meridionali ad un livello non adeguato di preparazione, e un sistema italiano che cresce non più nel suo insieme ma limitato a poche realtà considerate «eccellenti»;
   per tali motivi, di fondamentale importanza risulta essere la composizione del consiglio direttivo dell'Agenzia di valutazione per garantire corretto funzionamento, l'imparzialità e la necessaria rappresentanza territoriale dei suoi membri, assicurando che l'attuazione delle politiche in essere non allontani ulteriormente, e in maniera definitiva, gli atenei italiani, assicurando che l'eccellenza non venga garantita a danno di tutto il sistema universitario;
   in data 25 aprile 2015 il comitato di selezione ha emanato il bando di selezione attuando le disposizioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010, n. 76, in merito alla raccolta delle candidature a membro del consiglio direttivo dell'Anvur;
   secondo il bando di selezione ogni candidato presenta la candidatura mediante scheda in formato elettronico sul portale del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca corredata da curriculum vitae dettagliato in cui si evidenzi il possesso dei requisiti riportati nelle disposizioni richiamate in premessa (non oltre trentacinquemila caratteri spazi inclusi);
   un elaborato scritto che illustri sinteticamente le principali linee d'intervento, indirizzi di gestione, strategie di sviluppo, criteri e metodi di valutazione dell'Agenzia in base ai quali il candidato intenda orientare la propria funzione, nel caso in cui assuma il ruolo di componente del consiglio direttivo dell'ANVUR (non oltre diciottomila caratteri spazi inclusi);
   eventuali pubblicazioni che il candidato ritenga significative in relazione alla domanda e, comunque, in numero non superiore a tre, trasmesse in formato elettronico;
   il comitato di selezione ha scelto la rosa di nomi, secondo il bando, sulla base di alta e riconosciuta qualificazione ed esperienza nel campo dell'istruzione superiore e della ricerca, nonché della valutazione, provenienti da una pluralità di ambiti professionali e disciplinari;
   i 15 selezionati per la nomina sono: Fabio Beltram, Daniele Checchi, Raffaele Di Raimo, Mario Diani, Maria Cristina Marcuzzo, Guido Martinelli, Maria Luisa Meneghetti, Paolo Miccoli, Luigina Mortari, Paolo Rossi, Raffaella Rumiati, Guido Saracco, Giorgio Sesti, Susanna Terracini, Maurizio Vichi;
   in data 6 agosto 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, ha approvato l'avvio della procedura per la nomina di Daniele Checchi, Paolo Miccoli, Raffaella Rumiati e Susanna Terracini a componenti del consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, scegliendo tali esponenti tra 121 candidati segnalati dal comitato di selezione dell'Anvur;
   il 16 settembre 2015 la 7a Commissione del Senato ha espresso parere favorevole sulla nomina di tutti e quattro i candidati, non conoscendosi, infatti, le motivazioni che hanno portato alla selezione di queste personalità a fronte di 121 candidati;
   benché per una corretta valutazione si sarebbe resa necessaria la trasmissione della documentazione dei lavori svolti dal comitato di selezione per l'individuazione della rosa di 15 nomi alla Commissione parlamentare competente, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha invece deciso di non procedere alla pubblicazione dei relativi verbali, ad avviso dell'interrogante costringendo di fatto la stessa Commissione ad assumere una decisione senza la necessaria verifica del buon andamento del concorso;
   si rileva come dei tre consiglieri dell'Anvur già eletti, solo uno risulti essere un possibile riferimento di atenei del Meridione, cosa che comporta, per tali motivi, un evidente squilibrio territoriale nella rappresentanza dell'Agenzia, essendo ben 6 i consiglieri certamente legati, per propria estrazione, ad università situate nel Settentrione d'Italia;
   infine, il professor Paolo Miccoli, indicato dal Ministro Giannini come uno dei quattro nuovi membri del consiglio direttivo dell'Anvur, risulta essere al centro di alcune polemiche, dal momento che alcune linee programmatiche esposte nell'elaborato propedeutico alla sua selezione, sembrerebbero identiche a passaggi di alcuni testi facilmente reperibili su Diritto.it, così come riportato in un articolo apparso sul sito di informazione universitaria «Roars.it», fatto che, se confermato, porrebbe con urgenza la necessità di una idonea verifica sulla correttezza delle selezioni, alimentando forti dubbi sui metodi e sui criteri di valutazione dell'Agenzia;
   in data 15 settembre 2015, in occasione della conferenza tenutasi a Bruxelles dal titolo «Science meets Parliaments», il presidente dell’All European Academies (ALLEA), federazione di 58 accademie nazionali delle scienze umane, e in più di 40 Paesi europei, ad espressa domanda del primo firmatario del presente atto circa la possibilità di ridistribuire equamente le risorse tra gli atenei, replicava considerando ragionevole una politica fatta di investimenti proprio laddove è alta la necessità finanziaria a garantire un corretto funzionamento, anziché disporre finanziamenti eccessivi ad atenei che già hanno ottenuto livelli di eccellenza –:
   se intenda rendere noti i criteri di selezione dei candidati, nonché dei relativi verbali redatti sia in sede di valutazione degli elaborati, che in sede di nomina dei quattro consiglieri così come indicati dal Ministero, e quali siano le motivazioni che hanno indotto alla mancata pubblicazione dei verbali dei lavori del comitato di selezione;
   se ritenga di valutare la possibilità di assicurare al consiglio direttivo dell'Anvur, per i fatti esposti in premessa, una maggior rappresentatività di tutte le università italiane, assicurando che all'interno dell'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca possano essere adottate tutte le politiche necessarie per arginare il progressivo allontanamento degli atenei;
   se intenda assumere iniziative per verificare la correttezza e la bontà degli elaborati prodotti dagli aspiranti consiglieri, assicurando che l'Agenzia Anvur, la quale ha il compito di garantire il merito attraverso le proprie valutazioni, non perda credibilità attraverso l'eventuale erronea valutazione dei suoi rappresentanti. (5-06483)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 34 della Costituzione a tutti deve essere garantito il diritto all'istruzione e lo stesso principio è ribadito dalla convenzione dell'ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18;
   la docenza di sostegno costituisce pertanto, la risposta della società alle esigenze di crescita e di benessere degli alunni con disabilità;
   la legge n. 296 del 2006 e la legge n. 244 del 2007 (Finanziaria 2008) hanno individuato un parametro che, a livello nazionale, non può superare il rapporto medio di un insegnante ogni due alunni con disabilità, disattendendo un principio fondamentale (con finalità di integrazione e inclusione) per cui non debba esserci più di un alunno disabile per classe;
   nell'anno scolastico 2014/2015 gli alunni con disabilità erano 210.909, mentre per l'anno scolastico appena iniziato il numero salirà e a fronte di questo incremento, il contingente finale è comunque previsto in poco più di 110 mila professori e maestri. Nel nostro Paese, infatti, uno studente con disabilità è costretto a partecipare, in media, a sole 14 ore di didattica a scuola, a fronte delle 30 complessive. Per molti ragazzi neppure questo, come per Mara che ha 11 anni e che il primo giorno, all'Istituto comprensivo Forum Novum di Torri in Sabina, in provincia di Rieti, in occasione di un passaggio importante, quello dalle elementari alle medie, è dovuta restare in classe con la mamma, perché affetta da disabilità grave. Infatti, non era presente né l'insegnante di sostegno, né l'Aec (assistente educativo culturale) e perciò la madre non si è sentita di lasciare la figlia in classe da sola, perché ha bisogno di una persona che stia con lei, in quanto non può muoversi ed è sorda;
   dal comune hanno assicurato che stanno facendo il possibile e che presto Mara avrà l'assistente educativo culturale. Nel frattempo si arrangiano gli insegnanti e addirittura il preside si è reso disponibile a passare qualche ora con la ragazza, ma è una situazione insostenibile;
   Mara ha chiesto alla madre di non restare a scuola con lei, perciò Cristina ha deciso di pagare di tasca sua una assistente e il sindaco ha promesso di rimborsarla;
   inoltre Mara non può andare con lo scuolabus insieme al fratello e agli altri compagni, perché sul mezzo manca l'assistente e, anche se hanno assicurato che provvederanno a trovarne uno, la madre dovrà assumersi la responsabilità, dato che mancano le attrezzature adeguate per il trasporto della ragazza;
   quanto accaduto purtroppo non è un caso isolato, nei giorni scorsi ha fatto notizia il papà che, in provincia di Lecco, si è incatenato per denunciare la mancata nomina dell'insegnante di sostegno per la figlia, affetta da sindrome di Down;
   inoltre, da un anno con il preside si facevano riunioni per organizzare l'arrivo di Mara alle medie, era stata anche definita una fase di passaggio con l'Aec delle elementari, ma tutto questo è stato impossibile;
   con l'assistente privata della ragazza, l'inizio non è stato dei migliori, infatti, al carico emotivo ordinario di un bambino che arriva in un posto nuovo, deve aggiungersi l'ansia per come verrà accolta da persone che non la conoscono;
   finora la madre non ha avuto notizie su quello che accadrà nei prossimi giorni né dalla scuola, né dal Comune, ma se non dovessero esserci entrambe le figure che spettano alla figlia di diritto, minaccia di recarsi a scuola con i Carabinieri, denunciando che alla figlia viene impedito di frequentare la scuola dell'obbligo –:
   se sia a conoscenza del caso sopra citato, quali siano le iniziative che si intendono attuare al fine di rendere effettivo il diritto allo studio sancito dalla Costituzione e quali siano le cause che portano al verificarsi di questa come altre situazioni analoghe;
   se quanto corrisposto dalla signora Cristina Giarrusso all'insegnante privato per l'assistenza alla figlia disabile, vista l'assenza dell'insegnante di sostegno a cui avrebbe diritto, le verrà mai rimborsato;
   come mai, visto che l'inizio dell'anno scolastico è una data certa, non siano riusciti ad organizzare il servizio di sostegno, l'assistente educativo culturale e il trasporto dei ragazzi disabili;
   per quali ragioni l'iter per le assunzioni del personale di sostegno per l'anno scolastico 2015/16 non abbia preso in considerazione le esigenze specifiche degli istituti scolastici, risultando anche quest'anno notevolmente sottodimensionata rispetto alle reali necessità, tenuto conto che le norme contenute nel testo la «Buona scuola» di cui alla legge n. 107 del 2015 non risolvono le problematiche legate all'assunzione degli insegnanti di sostegno che, per il nuovo anno scolastico 2015/2016, non sembrerebbero sufficienti a coprire le ore necessarie nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie;
   ponendo l'accento sul ruolo cruciale della continuità didattica ed educativa al fine di garantire e tutelare l'effettivo godimento del diritto all'istruzione per tutti i cittadini, con particolare attenzione, a quanti hanno oggettive difficoltà, se il Ministro intenda impegnarsi al fine di garantire una maggiore tempestività nell'assegnazione delle risorse professionali di supporto agli alunni con disabilità, che tenga conto del fabbisogno di organico e delle effettive esigenze di ciascuno, onde evitare che ogni anno, all'apertura dell'anno scolastico, si verifichino innumerevoli casi di bambini e famiglie senza insegnanti di sostegno;
   quali siano le iniziative del Governo, per quanto possibile dettagliandone le tempistiche relative, atte ad assicurare la continuità didattica ed educativa per gli alunni con oggettive difficoltà di apprendimento e se si intendano prevedere risorse per tale finalità nel prossimo disegno di legge di stabilità. (4-10477)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22 ha disciplinato la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati in attuazione del Jobs Act, prevedendo la progressiva sostituzione di «ASPI» e «MiniASPI» con la «Naspi»;
   questa nuova prestazione a sostegno del reddito è entrata in vigore il 1o maggio del 2015, ma l'INPS ha iniziato ad erogarla solo dopo il 15 luglio;
   è inoltre sorto un gravissimo problema: per quanto concerne le migliaia di persone che hanno fatto domanda di ottenere l'indennità in un'unica soluzione ai fini di avviare una nuova impresa individuale come previsto dallo stesso decreto legislativo che ha introdotto la «Naspi», non vi è alcuna possibilità di erogazione del sussidio da parte dell'INPS;
   ad oggi, infatti, le sedi territoriali dell'INPS non hanno ancora ricevuto da parte dei sistemi informativi l'applicativo necessario a lavorare tali domande e, conseguenzialmente, a liquidarle;
   a quattro mesi di distanza dall'entrata in vigore del nuovo ammortizzatore sociale, dunque, l'istituto preposto all'erogazione non può dar seguito ad un ampio numero di domande perché gli uffici dei sistemi informativi non risolvono il problema con celerità;
   per chi è in attesa dell'indennità in unica soluzione ai fini di avviare una nuova impresa individuale il ritardo nell'erogazione può rappresentare un danno gravissimo;
   va peraltro sottolineato come l'INPS, nell'impossibilità di pagare tali indennità, non sia neppure in grado di erogare anticipi, poiché la procedura attuale non li prevede;
   ovvia conseguenza di ciò è che chi si trova in questa situazione (e che dunque non percepisce alcuna forma di reddito da quando è rimasto senza lavoro) è costretto ad attendere, senza poter nemmeno sapere quanto quest'attesa sia destinata a durare;
   sono evidenti le conseguenze di tale situazioni su migliaia di bilanci familiari e le difficoltà che ne scaturiranno;
   l'ottenimento dell'indennità in un'unica soluzione ai fini di avviare una nuova impresa individuale non è una concessione che per questo può essere anche lungamente attesa, bensì un diritto acquisito da tutti i lavoratori che, avendo pagato i propri contributi previdenziali, hanno la sfortuna di essersi ritrovati da un giorno all'altro senza un'occupazione e che decidono ciononostante di rischiare la propria indennità di disoccupazione pur di ricominciare a lavorare;
   senza l'erogazione della «Naspi» da parte dell'INPS chi ha fatto richiesta non può iniziare a lavorare, poiché i fondi in questione nella maggior parte dei casi verrebbero utilizzati per l'acquisto di macchinari e strumenti necessari all'avvio di attività che, a causa di questa disfunzione, rischiano di fallire ancor prima di cominciare;
   laddove a causa dei mancati pagamenti da parte dell'INPS qualcuna di quelle persone che hanno fatto richiesta dell'erogazione in unica soluzione dovesse a sua volta mancare un pagamento verso una banca o altro, si ritroverebbe immediatamente segnata nelle banche dati dei cattivi pagatori, con conseguente preclusione di un eventuale accesso al credito della propria futura azienda;
   un fatto così grave non avverrebbe per colpa della crisi o del singolo richiedente, ma, ad avviso dell'interrogante, per l'incapacità dell'INPS di far fronte ai suoi impegni –:
   se non ritenga il Ministro urgente e doveroso intervenire immediatamente al fine di sbloccare la situazione così che i sistemi informativi facciano pervenire alle sedi territoriali l'applicativo necessario alla lavorazione delle domande di erogazione dell'indennità in un'unica soluzione ai fini di avviare una nuova impresa individuale. (4-10475)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società bresciana, fondata addirittura prima dell'unità d'Italia, Eredi Gnutti Metalli, in origine focalizzata sulla produzione di armi bianche e col tempo specializzatasi nelle barre, in ottone e nei nastri in rame e ottone, ha annunziato, il 18 settembre 2015, l'intenzione di voler chiudere la sede dello stabilimento di Gardignano, frazione di Scorzè, presente dal 1961, nel miranese e trasferire gli impianti a Brescia;
   i lavoratori della fonderia Ilnor, che hanno proclamato uno sciopero il 22 settembre, chiedono il ritiro dell'ipotesi di chiusura, rivolgendosi alle istituzioni per ricercare una soluzione positiva della vertenza;
   l'azienda attualmente occupa 132 persone, quasi tutte risiedenti nel miranese. Secondo le notizie trapelate dai vertici della società sarebbero venticinque i dipendenti che dovrebbero perdere il lavoro a breve: ossia gli addetti del reparto che dovrebbe per primo essere trasferito nella città lombarda. Un passaggio che viene considerato come un possibile inizio di chiusura definitiva dell'attività dello stabilimento veneziano. Le preoccupazioni dei lavoratori sono dettate anche dal fatto che la notizia arriva in un momento particolare, cioè dopo quasi tre anni di contratti di solidarietà;
   in un contesto come quello veneto, segnato dal susseguirsi continuo di crisi e chiusure aziendali e condizionato dall'attuale fase di crisi economica, la chiusura dello stabilimento di Gardignano rappresenterebbe un altro durissimo colpo per il territorio, impoverendolo di posti di lavoro, con evidenti ricadute sull'intero sistema economico –:
   se i Ministri interrogati intendano adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, anche attraverso l'apertura di un tavolo di confronto che coinvolga le istituzioni locali, regionali e le associazioni sindacali maggiormente rappresentative, affinché vengano adottate soluzioni immediate per il mantenimento degli attuali livelli occupazionali. (4-10489)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione alcuni giorni fa hanno dato notizia della proposta da parte delle competenti autorità europee di dare il via libera all'importazione di 35 mila tonnellate di olio d'oliva extra proveniente dalla Tunisia con l'obiettivo di sostenere la ripresa economica del Paese africano;
   attualmente la quota annuale spettante alla Tunisia è di 56.700 tonnellate;
   ove l'incremento fosse confermato è evidente che rischierebbe di infliggere un duro colpo al settore olivicolo nazionale;
   nel momento in cui meritoriamente il Governo ha stanziato ben 32 milioni di euro per il nuovo piano nazionale e 11 milioni di euro per contrastare il fenomeno Xylella questa decisione europea potrebbe compromettere quanto di buono realizzato nel corso di questi mesi;
   va inoltre tenuta nella dovuta considerazione che la suddetta decisione andrebbe a sommarsi, nei suoi esiti negativi, anche al perdurare dell'embargo adottato nei confronti della Russia, uno dei principali Paesi importatori dei prodotti agroalimentari italiani;
   la valutazione complessiva sulla decisione europea non può non ricomprendere anche la competitività alterata dai meccanismi di retribuzione in base ai quali un lavoratore tunisino in regola nel suo Paese guadagna mediamente dai 15 ai 20 euro giornalieri meno di un connazionale irregolare nel nostro Paese il cui guadagno oscilla tra i 25 e i 35 euro al giorno; ove fosse in regola la sua paga oscillerebbe tra i 60 e i 70 euro giornalieri;
   le organizzazioni di categoria hanno già annunciato iniziative forti di protesta, minacciando addirittura il blocco dei porti, al fine di tutelare produzione e qualità dell'olio made in Italy –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, in sede comunitaria, al fine di evitare che misure di sostegno in favore della Tunisia possano ripercuotersi negativamente sul comparto agricolo italiano, in particolar modo per quanto concerne il settore dell'olivicoltura. (5-06465)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a ciò che risulta all'interrogante, la Commissione europea sta cedendo alle pressioni delle multinazionali biotech per ridurre al minimo i controlli sanitari e di sicurezza sulle importazioni di colture OGM. Lo ha scoperto Friends of the Eatfth Europe, che ha pubblicato la lettera inviata da Bernhard Url, direttore esecutivo dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), a Ladislav Mirko, capo della DG SANCO (direzione generale salute e consumatori) della Commissione europea. Si tratta di una risposta dell'EFSA alla seguente richiesta della Commissione: «è possibile aggirare i controlli di sicurezza alimentare in caso di importazione di prodotti contaminati da OGM ?» L'oggetto della missiva, infatti, dà esplicitamente mandato all'EFSA di indagare su una «possibile deroga rispetto agli attuali requisiti» necessari all'approvazione di alimenti e mangimi con bassi livelli di OGM;
   al momento, le importazioni di alimenti che contengono tracce di organismi transgenici non autorizzati in Unione europea vengono vietate: le regole ammettono al massimo una presenza di OGM dello 0,9 per cento, ma solo in caso di colture autorizzate nel continente (riportate nel registro europeo). Se verrà indebolita la normativa sui controlli, Friends of the Earth è convinta che alimenti e mangimi potrebbero subire la contaminazione fino allo 0,9 per cento anche da parte di organismi non autorizzati in Europa. Ovviamente, senza che tutto ciò venga indicato in etichetta;
   il gruppo ambientalista è convinto che dietro alla richiesta di informazioni contenuta nella lettera vi siano le pressioni di grandi corporation dell'agroalimentare per l'approvazione del TTIP, l'accordo di libero scambio in fase negoziale fra Stati Uniti e Unione europea. La Commissione europea ha ripetutamente affermato che leggi sulla sicurezza alimentare in Europa non saranno influenzate dal TTIP, ma da questi documenti emerge una realtà diversa, che le dichiarazioni pubbliche tendono a non evidenziare le ipotesi di Friends of the Earth sono rafforzate dalle e-mail pubblicate nel mese luglio 2015 sul sito del Corporate Europe Observatory. I messaggi raccontano di un incontro fra lobby dell'industria e delegati europei, il 17 marzo 2014 a Washington, svelando la strategia delle multinazionali del biotech: le associazioni Seed, ASTA ed ESA, trainate dalle ben note Monsanto, Syngenta, Bayer, BASF, Limagrain e Du Pont/Pioneer, stanno spingendo per ottenere che i prodotti transgenici cosiddetti di «prossima generazione» sfuggano alla legislazione europea e vengano perciò autorizzati senza alcuna etichettatura;
   qualche giorno dopo il meeting, il 21 marzo, i delegati europei hanno inviato una email ai colleghi della DG SANCO con le richieste delle aziende: «Le associazioni semi si concentrano su tre temi prioritari per il TTIP: aspetti fitosanitari e ruolo che il gruppo di lavoro bilaterale può svolgere in questo senso, nuove tecniche di coltivazione delle piante (non vedono specifiche esigenze di regolamentazione) e presenza di OGM nelle sementi convenzionali»;
   intanto, in data 3 settembre 2015, la commissione agricoltura del Parlamento europeo ha bocciato la controversa proposta di un nuovo regolamento sulle importazioni di alimenti e mangimi transgenici che permetterebbe agli Stati membri di vietarne l'uso sul proprio territorio. Il parere contrario dell'AGRI Committee è passato con 28 voti a favore, 8 contrari e 5 astenuti e ora il testo attende l'esame della commissione ambiente (ENVI Committee), titolare del dossier. Si attende un suo pronunciamento il 12-13 ottobre 2015 per portare finalmente il testo in plenaria il 26-29 ottobre:
   il «no» falla proposta della Commissione europea era arrivato anche durante l'ultimo Consiglio dei ministri dell'agricoltura europei (Italia compresa) tenutosi il 13 luglio 2015;
   l'Europarlamento si sta indirizzando verso lo scontro con la Commissione, come conferma lo stesso relatore del provvedimento, l'italiano Giovanni La Via (Pd/S&D): «L'orientamento dei gruppi è quello di respingere la proposta. Un mercato interno a macchia di leopardo sarebbe un mercato interno in cui non avremmo l'industria mangimistica in alcuni Paesi, perché senza proteine vegetali, oggi quasi, esclusivamente OGM, non avremmo un'industria mangimistica»;
   le ragioni dei verdi sono differenti da quelle di socialdemocratici e popolari, e si fondano sul timore che la facoltà di bloccare gli OGM a livello nazionale (opt-out) sia una illusione. Il leader storico dei Verdi, José Bové, contesta Bruxelles «perché dimentica cinicamente che le merci circolano liberamente da un Paese all'altro e che più nulla sarebbe controllabile»;
   a causa delle regole del mercato unico, che prevedono la libera circolazione delle merci in tutta l'Unione, ingredienti geneticamente modificati o alimenti a base di OGM non possono essere bloccati a livello nazionale. Inoltre, le misure di opt-out dovrebbero basarsi su valutazioni diverse da quelle già prodotte dall'EFSA, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare. Paradossalmente, uno Stato membro che decidesse di porre il veto, non saprebbe poi come farlo rispettare, dovendo muoversi in una cornice normativa ambigua e porosa. Gli europarlamentari chiedono di formularne una nuova e migliore, ma il rappresentante della Commissione europea, Ladislav Mik, già a luglio aveva tagliato corto: «Il nostro commissario [Vytenis Andriukaitis] ha già dato una risposta molto chiara: non abbiamo alcun piano B. Se la proposta sarà respinta, ci fermeremo al contesto attuale». Esso prevede l'autorizzazione automatica se il Parlamento non raggiunge una maggioranza qualificata su un tema;
   nel parere approvato dalla Commissione agricoltura il 4 dicembre 2014 sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici si sottolinea che «l'Italia, che si colloca tra i primi dieci produttori mondiali di biologico con una superficie di 1,2 milioni di ettari e 40.000 aziende dedicate in via esclusiva al biologico e in Europa, dopo la Spagna, al secondo posto, considera di primario interesse il settore biologico; nel perseguire l'obiettivo condivisibile della Commissione di migliorare la normativa sulla base di principi e disposizioni di base trasversali, chiari e semplificati che dovrebbero rendere il settore più attraente, considerate le prospettive di mercato positive, occorre tenere conto delle specificità dell'agricoltura biologica italiana e mediterranea nel suo complesso, che presenta caratteristiche diverse rispetto a quella dei Paesi del nord Europa» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati e quali iniziative intenda intraprendere; se non reputi di dover fare proprie le considerazioni dell'associazione ambientalista Friends of the Earth Europe, così come descritte in premessa, che evidenziano come in materia di Ogm ci sia uno sbilanciamento politico a favore delle multinazionali biotech, incentivato dalle negoziazioni circa l'approvazione del trattato di libero scambio fra Europa ed USA, il TTIP, che al contrario di quello che è stato ufficialmente dichiarato riguarderebbe anche la sicurezza alimentare, mettendo in discussione gli standard qualitativi italiani;
   se il Ministro interrogato in materia di etichettatura degli alimenti, alla luce del citato parere espresso ed approvato dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati, in data 4 dicembre 2014 sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, non intenda farsi portavoce in sede europea di una posizione atta a tutelare il prodotto made in Italy e a garantire l'etichettatura sul territorio italiano dei prodotti contenenti OGM, per agevolare la massima trasparenza e informazione nella scelta dei consumatori»;
   se il Ministro interrogato, alla luce del dibattito in seno alla comunità europea circa la proposta di un nuovo regolamento sulle importazioni di alimenti e mangimi transgenici che permetterebbe agli Stati membri di vietarne l'uso sul proprio territorio, non reputi così come evidenziato dalla stessa Commissione agricoltura del parlamento europeo, che in essa vi sia scarsa chiarezza ed altresì una reale minaccia per la sicurezza agroalimentare, alla luce del fatto che il divieto di OGM nei prodotti alimentari sarebbe solo sul loro utilizzo, non sulle importazioni;
   se il Ministro in materia di OGM, non reputi che le misure di opt-out dovrebbero basarsi su valutazioni diverse da quelle già prodotte dall'EFSA, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare;
   se il Ministro non intenda al più presto pronunciarsi per l’opt-out in materia di coltivazioni Ogm e assumere iniziative per rendere l'Italia un Paese Ogm-free. (5-06485)

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI, DISTASO, ALTIERI, MARTI, CHIARELLI, CIRACÌ e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2015 la Commissione europea ha presentato una proposta volta a consentire l'accesso temporaneo supplementare di olio d'oliva tunisino nel mercato della Unione europea per sostenere la ripresa nell'attuale periodo di difficoltà in cui si trova il Paese nordafricano;
   questa decisione, come affermato dagli stessi operatori del settore, è grave per i produttori e per il mercato dell'olio extra vergine di oliva di qualità perché di fatto, alle 57mila tonnellate già previste da un precedente accordo stipulato con la Tunisia, se ne aggiungeranno altre 35 mila tonnellate;
   questo scenario è a parere degli interroganti motivo di profonda preoccupazione in quanto gli effetti sull'olivicoltura italiana sarebbero disastrosi dal punto di vista economico, per la concorrenza sul mercato di un prodotto ad un prezzo inferiore e di qualità non eccellente, e i consumatori italiani potrebbero non essere sufficientemente informati sulla qualità e la provenienza dell'olio acquistato, soprattutto, attraverso i grandi marchi;
   i produttori di olio extra vergine di oliva vivono già oggi una stagione difficile, specialmente nel territorio straordinariamente fecondo del Salento alle prese ancora con il contagio del batterio «Xylella fastidiosa»;
   quanto sopra esposto va inoltre letto nel contesto più ampio di una politica europea che non tiene conto dei riflessi che certe iniziative possono avere sul piano economico, come dimostrato pochi mesi fa dalla diffida all'Italia per la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, un'altra eccellenza del made in Italy agroalimentare –:
   quali eventuali iniziative ritenga di assumere, nell'ambito dell'Unione europea, in merito a quanto esposto in premessa e a tutela di un'eccellenza italiana che rappresenta, al tempo stesso, un importante impulso a livello economico. (4-10482)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 luglio, 2014, il quotidiano on line «Radiogiornale» riportava la seguente lettera a firma di Dr. Gian Piero Baldi, Presidente Associazione «Bio Ambiente cura e salvaguardia del territorio di Tarquinia e dell'Alto Lazio», Medico ISDE (Associazione internazionale medici per l'ambiente – ISDE Italia), dal titolo: «La morte dagli impianti a biogas: il Botulismo» nella quale si descriveva come: «Quale Presidente dell'Associazione Bio Ambiente, vi scrivo in merito alla realizzazione dell'impianto a Biogas a Tarquinia, proposto dal Consorzio Pellicano ed attualmente in corso di Valutazione di Impatto Ambientale presso la Regione Lazio, [...] il botulismo è una malattia mortale legata ad un batterio chiamato Clostridium botulinum che è usualmente presente nel digestato (rifiuto finale della digestione batterica anaerobica) delle centrali a biogas. È stato infatti riscontrato che il ciclo di digestione di queste centrali non neutralizza completamente la carica batterica del materiale organico che vi entra. Ciò significa che alla fine del ciclo di digestione, il batterio è ancora presente nel digestato che viene troppo spesso comunemente usato come fertilizzante per il terreno e quindi disperso sul territorio. Il botulismo è provocato da una neurotossina, prodotta dal Clostridium botulinum, che provoca una paralisi flaccida dei muscoli, in conseguenza alla mancanza di trasmissione nervosa con evoluzione fatale per il soggetto intossicato. Già nel maggio del 2011 la più importante rivista germanica di fauna, caccia e cinofilia dedicò alla questione un'inchiesta con il titolo shock: Tod aus der biogasanlage che tradotto significa: La morte dagli impianti a biogas. Il Prof. Boehnel dell'Università di Gottinga ha dimostrato come la presenza di Clostridium botulinum e di altri patogeni nei digestati possa verificarsi in quantità molto pericolose. Mentre le condizioni (temperature, pH, e altro) della massa del digestore possono essere note e controllate nulla si sa di quanto accade nel «cappellaccio» al di sopra della massa e sul fondo del «bio» digestore, dove le condizioni di crescita per il Clostridium botulinum diventano favorevoli. La Germania aveva investito sul biogas molto prima dell'Italia, pertanto è stato possibile effettuare molti studi epidemiologici. Da detti studi risulta che la mappa della dislocazione delle centrali a biogas sia correlata sul territorio tedesco alla manifestazione di numerosi casi di botulismo. Tale grave patologia può provocare ed ha provocato la morte di numerosi animali selvatici e di allevamento. L'infezione può essere acuta, oppure cronica. Nel primo caso si ha la moria, anche in pochi giorni, dell'animale o degli animali colpiti. Nel secondo caso, la malattia può durare mesi.[...] a Trebaseleghe (Padova) nel maggio 2013, si è verificata una moria di 50 vacche a causa di intossicazione da botulino. Il contagio e la moria di animali ha comportato il sequestro di tale allevamento ad opera dell'Azienda Sanitaria Locale. A 4 chilometri dall'azienda agricola erano in funzione 4 centrali a Biogas;
   da un approfondimento sul tema ambientale degli impianti a biogas e biomassa è emerso che molte delle norme che disciplinano i procedimenti autorizzativi di tali impianti sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, dal Consiglio di Stato, dalla Unione europea;
   si veda la sentenza n. 93/2013 del 22 maggio 2013 della Corte costituzionale che «boccia» in quanto incostituzionale l'esclusione degli impianti a biogas dalla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA sancita dalla legge della regione Marche del 26 marzo 2012, n. 3 (ovvero l'esclusione in base alla sola soglia dimensionale degli impianti a biogas dalle valutazioni ambientali previste dalla legge per tutelare ambiente, salute, diritto all'informazione ed alla azione nei procedimenti, e tutti gli altri diritti dei cittadini, come riferito dalla direttiva 2011/92/UE in materia di VIA). Su questo tema anche diverse sentenze del Consiglio di Stato tra cui la n. 1324 del 5 marzo 2013 e la n. 175/2012 dalle quali si deduce che la realizzazione di impianti di questo genere va avviata considerando il contesto dei piani territoriali e, dunque, le caratteristiche di ogni singolo territorio. Un altro elemento di verifica e di riflessione viene dal Commissario europeo all'ambiente Janez Potočnik che risponde all'interrogazione dell'eurodeputato Andrea Zanoni sugli eventuali effetti tossici del digestato prodotto dagli impianti a biogas, il quale sostiene: «I digestati derivanti dalla produzione di biogas sono considerati rifiuti prodotti, pertanto rientrano nell'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti.» Tuttavia, come ha precisato lo stesso Potočnik, «il Centro comune di ricerca sta lavorando sui criteri tesi a stabilire quando un rifiuto cessa di essere tale per i rifiuti biodegradabili sottoposti a trattamento biologico, e il digestato rientra in questa categoria di rifiuti». Significa che «questo lavoro preparatorio potrà portare in futuro all'elaborazione di un regolamento specifico che definirà le circostanze in cui digestato cessa di essere un rifiuto» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere e se le autorità italiane applicheranno alla lettera le disposizioni della normativa europea sui rifiuti affinché sui campi non vengano sparse sostanze potenzialmente nocive per gli animali, l'ambiente e la salute dei cittadini;
   se i Ministri interrogati non ritengano di fare proprie le risultanze scientifiche fornite dall'Isde così come specificato in premessa e di assumere iniziative per incentivare la ricerca su tali temi al fine di avere un quadro completo circa gli effetti degli impianti a biogas;
   se i Ministri interrogati non intravedano delle contraddizioni tra le normative statale, regionale e comunitaria e dunque se non ritengano di assumere iniziative per introdurre un principio precauzionale tale da recepire adeguatamente la normativa europea così come descritta in premessa. (3-01722)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLONNESE, BARONI, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interruzione volontaria di gravidanza, detta anche Ivg, è la scelta di non portare a termine la gravidanza. Con la legge n. 194 del 1978 l'interruzione volontaria di gravidanza viene riconosciuta come una pratica legale, consentita entro 90 giorni dall'ultima mestruazione, mentre tra il quarto e il quinto mese è permessa solo in caso di gravi malformazioni e pericolo di vita per la donna. Prima di allora l'aborto era considerato un reato dal codice penale e come tale punibile con la reclusione. Per il timore di incorrere in condanne penali, molte donne che ricorrevano all'aborto clandestino non si rivolgevano agli ospedali, in caso di complicanze dovute alle scarse condizioni igieniche degli strumenti utilizzati. Capitava spesso che l'infezione post-operatoria degenerasse in setticemia e le donne arrivavano in ospedale troppo tardi, quando ormai non c'era più nulla da fare. Obiettivo primario della legge è la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell'aborto attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire nell'ambito delle politiche di tutela della salute delle donne. La donna deve esprimere la propria volontà alla presenza di un medico del consultorio familiare di zona, o di altra struttura socio-sanitaria pubblica o privata, o ancora di un medico di sua fiducia;
   la reale applicazione della legge n. 194 incontra ancora oggi numerosi ostacoli e per molte donne, oltre alle ovvie conseguenze emotive e psicologiche di tale scelta, si sovrappongono problemi dovuti ai disservizi sanitari in materia;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero della salute, relazione del ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza del 2014 (dati 2012/2013) si evincono valori elevati di obiezione di coscienza, specie tra i ginecologi (69,6 per cento, cioè più di due su tre) con una tendenza alla stabilizzazione, dopo un notevole aumento negli anni a livello nazionale, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento nel 2009, al 69,3 per cento nel 2010 e 2011 e al 69,6 per cento nel 2012. Tra gli anestesisti la situazione è più stabile con una variazione da 45,7 per cento nel 2005 a 50,8 per cento nel 2010, 47,5 per cento nel 2011 e 2012. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 45,0 per cento nel 2012. Si osservano notevoli variazioni tra regioni. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi sono presenti principalmente al sud: 90,3 per cento in Molise, 89,4 per cento in Basilicata, 87,3 per cento provincia autonoma di Bolzano, 84,5 per cento in Sicilia, 81,9 per cento nel Lazio, 81,8 per cento in Campania e 81,5 per cento in Abruzzo. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di 78,3 per cento in Molise, 77,4 per cento in Sicilia, 71,5 per cento nel Lazio e 71,3 per cento in Calabria). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 90,1 per cento in Molise e 80,9 per cento in Sicilia. Nei fatti questi numeri dimostrano quanto il diritto della donna ad abortire sia ostacolato in diversi modi a seconda della regione di residenza. Inoltre, una forte sperequazione tra medici obiettori e non-obiettori, a favore dei primi, introduce delle forti criticità come le lunghe liste di attesa, che costringono chi ha necessità di abortire, ad aspettare per un turno che può non arrivare mai. Persino nelle grandi città ci sono strutture che hanno solo uno o due ginecologi non obiettori. A Roma, ad esempio, nei 7 ospedali che eseguono aborti terapeutici, gli «abortisti» sono in media 2. Al Secondo Policlinico di Napoli, appena 3 su 60. Ad aspettare oltre due settimane è il 40 per cento delle donne e, in alcuni casi, l'attesa dura anche un mese e più, come denuncia la «Lega ginecologi» la conseguenza è che le donne spaventate hanno ricominciato a prendere l'aereo per rivolgersi a strutture estere, mentre qualche obiettore in ospedale ha tirato fuori dai cassetti del suo studio privato gli strumenti per abortire. Per non parlare dell'uso dei farmaci non legali, dei fiorire delle pillole abortive sul mercato nero e degli aborti fai da te delle immigrate straniere. Insomma, torna l'incubo delle «mammane» (donna che assiste le partorienti negli aborti clandestini), quel fantasma combattuto ma mai del tutto sconfitto dalla legge n. 194. Ci sarebbe una parte consistente di medici che obietta per motivi che con la coscienza non hanno nulla a che fare in quanto malvisti quando non vessati dai colleghi obiettori, tanto più quando primario o il direttore dell'ospedale sono anch'essi obiettori: non si fa carriera, tutto il giorno in trincea a fare aborti. E così qualcuno, per non «finire al confino», sceglie «no». A farne le spese ovviamente sono le donne, che si ritrovano meno medici a disposizione, liste di attesa più lunghe e interventi non di rado fissati allo scadere del 90o giorno;
   risulta agli interroganti che vessazioni ben peggiori siano subite dalle donne che si recano nei presidi ospedalieri che attuano questa pratica: respinte, trattate con sufficienza in reparti spesso fatiscenti, ubicati nei sotterranei (come al S. Camillo di Roma) oppure in promiscuità in reparti di ostetricia e ginecologia (come al Policlinico di Napoli), senza alcuna privacy, esposte ad una gogna moralistica che spesso viene espressa con scritte, a dir poco offensive lungo i corridoi o nelle sale di aspetto del reparto preposto;
   il giorno 11 giugno 2013 è stata approvata la mozione a prima firma Lorefice n. atto 1/00078 che sia impegnato il Governo a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, e in particolare quanto previsto dall'articolo 9, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne; nonché ad assumere iniziative con le amministrazioni regionali allo scopo di istituire tavoli di monitoraggio a livello locale, anche con la partecipazione di rappresentanti di associazioni per la tutela della salute delle donne, per verificare l'attuazione della legge n. 194 del 1978, allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero dei consultori sul territorio, nelle loro attività, sulla formazione degli operatori presenti nei consultori, nelle strutture ospedaliere che effettuano interruzione volontaria di gravidanza, sul numero di operatori coinvolti nell'interruzione volontaria di gravidanza per ogni struttura ospedaliera, sul numero delle strutture nelle quali non si effettuano attività di interruzione volontaria di gravidanza –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, onde superare i disservizi sanitari che ostacolano la corretta applicazione della legge;
   come intenda intervenire per garantire dignità alle donne che ricorrono a questa pratica sicuramente già di per se psicologicamente dolorosa, magari nei rispetto della parola che il testo della legge ripete per ben quattro volte. (5-06471)


   CAPONE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2013, in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, veniva approvato in sede congiunta dalle Commissioni lavoro e affari costituzionali l'emendamento n. 4148, a prima firma On. Teresa Bellanova, che consentiva l'accesso alle procedure concorsuali ai medici occupati nei servizi di pronto soccorso da dieci anni e in ogni caso con almeno 5 anni di prestazione, e soggetti a continue proroghe. Più nel dettaglio al comma 10, terzo periodo, si aggiungeva la precisazione: «nonché per il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, con almeno 5 anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza»;
   tale emendamento interessava la platea dei professionisti cosiddetti «ex stabilizzati», già assunti ma con la stabilizzazione venuta meno per l'effetto combinato della pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale sulla legge regionale pugliese 4/2010 e nel dettato confermava quanto già precedentemente sancito nella legge 29 dicembre 2000, n. 401 «Norme sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario», articolo 2, comma 2: «la riserva di cui al comma 1 opera a favore dei soggetti i quali, anche in carenza della specializzazione nella disciplina richiesta dal citato regolamento emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 483 del 1997, nei cinque anni precedenti la data di entrata in vigore della presente legge abbiano prestato servizio...»;
   l'approvazione dell'emendamento sopra citato interveniva dunque a sanare una situazione palesemente paradossale: questi medici, infatti, erano già stati assunti e stabilizzati ma, per effetto della pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale sulla legge regionale della Puglia 4/2010, erano precipitati nel limbo della precarietà pur continuando a prestare la loro opera nei nosocomi del Paese;
   successivamente l'11 dicembre 2014, ad una specifica sollecitazione dell'interrogante circa i tempi, il Sottosegretario De Filippo confermava come fosse in dirittura d'arrivo il decreto che avrebbe reso possibile ai cosiddetti medici ex stabilizzati dei pronto soccorso l'accesso alle procedure concorsuali a tempo indeterminato, «ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza», in virtù della prestazione continuativa, di almeno cinque anni, negli stessi Presidi;
   in effetti in sede di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2015) «Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l'assunzione di personale precario del comparto sanità», all'articolo 2, dedicato alle «Procedure concorsuali riservate», si disponeva «gli enti entro il 31 dicembre 2018 possono bandire procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato del personale di cui all'articolo 1». Si specificava inoltre: tali procedure sono riservate, tra l'altro, anche «al personale che alla data del 30 ottobre 2013 abbia maturato negli ultimi cinque anni almeno tre anni di servizio, anche non continuativo, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, anche presso enti del medesimo ambito regionale diversi da quello che indice la procedura»;
   desta dunque grande perplessità, anche relativamente alla mole di legittimo contenzioso che potrebbe derivarne, quanto contenuto nel documento «Linee Guida per l'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015» ratificata in sede di Conferenza delle regioni in data 9 settembre 2015 che contraddice lo spirito e il dettato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inspiegabilmente definendo lo stesso «laconico» quanto alla disposizione oggetto della presente interrogazione, che viene secondo l'interrogante palesemente contraddetta e di fatto vanificata indicando come «il personale interessato deve comunque essere in possesso di una specializzazione, anche se non equipollente o affine a medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza»;
   in effetti tale indicazione rischia di creare un vulnus nell'applicazione coerente e corretta della norma, e un danno alla categoria dei cosiddetti ex stabilizzati, peraltro ingenerando nella scrittura dei bandi di concorso una situazione a macchia di leopardo come si evince da concorsi banditi successivamente e di inusuale confusione. Talché, come si evince da una pur sommaria verifica, gli stessi rischiano di articolarsi confusamente circa l'attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ledendo in tal modo un diritto sancito per legge ed esponendo peraltro le aziende ospedaliere e in ogni caso gli enti titolari dei concorsi a sgradevoli contenziosi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze e alla luce di quanto in premessa, per garantire un diritto espressamente motivato in termini di legge e la corretta attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015; se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente assumere ogni iniziativa di competenza per una parziale correzione di quanto contenuto nelle linee guida stante la loro natura non giuridicamente vincolante e allo stesso tempo gli esiti di dubbia legittimità che in ogni caso potrebbero determinarsi in seguito ad una loro applicazione; se il Ministro interrogato a questo punto non ritenga necessario ribadire l'interpretazione della norma garantendone una corretta attuazione, specificando l'accesso ai concorsi a tutela di quei medici dei pronto soccorso senza alcuna specializzazione ma con adeguata professionalità di servizio che hanno già guadagnato sul campo e nel tempo vista sancita per legge la professionalità adeguata. (5-06482)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stato presentato l'elenco di 208 prestazioni a maggior rischio inappropriatezza, e quindi di spreco, individuate dal ministero della salute. L'elenco, allungato rispetto alla prima ipotesi e già illustrato alle società scientifiche dei medici, è stato presentato ai sindacati dei camici bianchi per fare le loro osservazioni;
   una volta ottenuto il parere positivo del Consiglio superiore di sanità, che ha già dato un via libera preliminare, il testo andrà verso l'approvazione. Quando sarà in vigore, chi vorrà sottoporsi alle prestazioni incluse nell'elenco le potrà ottenere solo in certi casi a carico del servizio sanitario: se non ricorrono le condizioni elencate nel documento del Ministero, dovrà pagare di tasca propria;
   le prestazioni a rischio spreco perché non appropriate, per le quali i pazienti dovrebbero pagare, diventano dunque 208. La lista del Ministero cresce di 25 voci. L'idea alla base del provvedimento è quella di passare gratuitamente (o con il ticket) solo le prestazioni che hanno un'indicazione specifica e quindi sono davvero utili. I medici che prescriveranno accertamenti considerati inappropriati andranno incontro a una sanzione pecuniaria;
   il grosso dell'operazione, il cui obiettivo è portare a un risparmio per le casse pubbliche ed alla riduzione degli sprechi, riguarda probabilmente le risonanze magnetiche, cioè gli esami più a rischio di inappropriatezza;
   quando il provvedimento sarà in vigore, l'esame della colonna vertebrale senza mezzo di contrasto verrà passato dal servizio sanitario solo se, in assenza di sindromi neurologiche o sistemiche, il dolore alla schiena resiste alla terapia e va avanti per almeno 4 settimane;
   oltre alle risonanze magnetiche della colonna e delle articolazioni vi sono altri esami come tac, esami di laboratorio e genetici, test allergici;
   vi sono previsioni stringenti anche per alcune tac, ammesse solo se giustificate da sospetti di patologie oncologiche e da traumi. Nella lista sono molte le prestazioni odontoiatriche, già oggi, comunque, molto difficili da ottenere nella maggior parte delle aziende sanitarie e ospedaliere, dove si è costretti ad attese assai lunghe. La maggior parte — ad esempio estrazioni, applicazioni di corone e inserimento di protesi — saranno a carico del sistema pubblico se il paziente è in condizioni di vulnerabilità sociale e sanitaria. Nell'elenco ci sono anche moltissimi esami di laboratorio, e anche tanti test e trattamenti allergologici e dermatologici;
   il provvedimento incontra l'assoluta contrarietà dei medici per i quali «Questo meccanismo rischia di rompere il rapporto tra i medici e i cittadini anche perché i pazienti dovranno pagare di tasca propria varie prestazioni in determinate situazioni»;
   anche i medici di famiglia, cioè i professionisti che fanno il maggior numero di prescrizioni, scendono in campo: «Siamo assolutamente critici sulla previsione di sanzioni pecuniarie per i medici nell'ambito del decreto in preparazione sull'appropriatezza delle prestazioni, e alzeremo i toni della nostra protesta. Così si riduce il ruolo del medico. I colleghi del Consiglio superiore di sanità, che hanno prodotto un parere scritto favorevole a questo provvedimento, si assumeranno la responsabilità rispetto al mondo scientifico delle scelte di erogabilità e appropriatezza che hanno validato» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione che si sta venendo a creare non intenda intervenire al fine di evitare che il provvedimento si riveli nei fatti, da un lato, un meccanismo sanzionatorio rispetto alle prescrizioni cosiddette «inappropriate», che spaventa il medico e lo fa lavorare male, e dall'altro, un danno al malato che vedendosi negare la Tac o l'esame rinuncerà a curarsi del tutto o sarà costretto a nuovi ed elevati costi per le indagini che potrebbero essere fondamentali per la propria salute. (4-10476)


   DALL'OSSO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una malattia si definisce rara quando si attesta la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione che non supera una soglia stabilita;
   in Unione europea la soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione: ossia si hanno 5 casi di malattia su 10.000 persone ed il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma la stessa cifra cresce con l'avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica;
   sono considerate malattie rare: il deficit di tessuto limbare corneale, Citomegalovirus Emofilia, Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF), Ipercolesterolemia Familiare (FH), Ipertensione arteriosa polmonare, Malattia di Fabry, Malattia di Gaucher, Malattia di Pompe, Malattie metaboliche, Mucopolisaccaridosi I (MPS I), Acromegalia, Albinismo, Algodistrofia, Alport, Angioedema Ereditario, Atassia di Friedreich, Distrofia Muscolare di Duchenne, Fibromialgia, Fibrosi Cistica, Immunodeficienze, Iperchilomicronemia LAM, Linfangioleiomiomatosi, Leucemia linfoblastica acuta (LLA), Leucemia mieloide cronica, Linfedema Ereditario, Lipodistrofia MPS IV, Sindrome di Morquio MPS VI, Sindrome Maroteaux, Lamy MPS VII, Malattia di Sly, Malattia di Huntington, Malattia di Kennedy, Malattia di von Willebrand, Malattie rare della retina, Miastenia, Narcolessia, Neuropatia motoria multifocale (MMN), Nevralgia del Pudendo, Policitemia Vera, S.L.A. – Sclerosi Laterale Amiotrofica, SM — Sclerosi Multipla, SMA – Atrofia Muscolare Spinale, Sclerosi Sistemica, Sindrome Emolitico Uremica Atipica, Sindrome da Stanchezza Cronica, Sindrome dell'X fragile, Sindrome di Cushing, Sindrome di Guillain Barrè, Sindrome di Hunter, Sindrome di Marfan, Sindrome di Ondine, Sindrome di Prader Willi, Sindrome di Rett, Sindrome di Williams, Talassemia, Wilson (malattia di Wilson);
   la sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) comprende una serie di patologie ereditarie contraddistinte da lassità dei legamenti e iperelasticità della cute, colpendo prevalentemente il tessuto connettivo, con la presenza di un collagene mutato;
   gli affetti dalla sindrome generalmente hanno un'aspettativa di vita non ottimale, di circa 50 anni;
   molte delle cure per tale patologia debbono essere effettuate privatamente, con particolare aggravio economico e morale per i soggetti che ne sono colpiti;
   nonostante la malattia sia palesemente degenerativa, è ben arduo poter conseguire un riconoscimento di uno stato di invalidità tale da poter acquisire qualche beneficio a sollevamento della gravosa condizione –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto in relazione alla indagine conoscitiva della XII Commissione permanente affari sociali delle camere relativa alle malattie rare;
   se sia intenzione del Governo creare un fondo permanente delle malattie rare sino ad ora riconosciute;
   se il Governo intenda assumere iniziative per offrire la possibilità, a tutti i diversamente abili, di ottenere un lavoro adeguato alla loro condizione di salute o, in alternativa, l'emissione di un assegno di cura da aggiungere alla pensione, al fine di raggiungere un sussidio complessivo di 800 euro mensili;
   se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative a carattere normativo volte a modificare le procedure per la nomina delle commissioni d'invalidità, garantendo che siano costituite commissioni valutative dello stato d'invalidità chiamate ad hoc per le malattie rare, formate da molteplici specialisti (medico di medicina generale, fisiatra, ortopedico, geriatra, dermatologo, chirurgo vascolare, chirurgo vertebrale, genetista, psichiatra e neurologo) considerando anche il fatto che in Italia, ad oggi, i malati rari sono oltre 7.500;
   se il Governo intenda assumere iniziative per l'applicazione dell'Iva agevolata al 4 per cento sull'acquisto di beni indispensabili (arredamenti e materassi) e su tutti i prodotti tecnologici, che sicuramente aiutano le persone con disabilità grave ad affrontare meglio le difficoltà quotidiane (cellulari, e altro);
   se il Governo abbia allo studio la modifica volta all'applicazione dell'iva agevolata al 10 per cento sui contratti di fornitura elettrica e di gas (cosa attualmente non consentita dai fornitori) e sui contratti per adsl veloce e fibra ottica per coloro i quali fruiscano dei benefici della legge n. 104 con gravità;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire pienamente il diritto di cura, come previsto dall'articolo 32 della Costituzione. (4-10492)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane garantisce l'espletamento del «servizio universale» sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, grazie al quale riceve importanti contributi;
   il contratto medesimo impegna Poste Italiane a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   tra le finalità dichiarate dalla società ci sono, come confermato anche dalla nuova governance, l'attenzione all'innovazione e alle persone e la «vicinanza territoriale»;
   il nuovo piano industriale punta a riorganizzare il servizio sull'intero territorio nazionale in base alla effettiva domanda dei cittadini;
   il piano prevede un totale di 1064 interventi, 455 sportelli postali da chiudere, i più piccoli, e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici;
   il piano del gruppo prevede la possibilità che la posta venga consegnata a giorni alterni nel 25 per cento del territorio nazionale e ritocchi sulle tariffe, sui quali l'Agcom ha chiesto delle correzioni e aperto due consultazioni pubbliche;
   il piano industriale non prevede, inoltre, nuove aperture di sportelli bancomat «bancoposta»;
   tale piano, come osservato da più parti, rischia di penalizzare le fasce più deboli della popolazione e non è stato concordato con gli enti locali interessati, che vedranno i propri territori privati di un servizio fondamentale;
   particolarmente penalizzate sono le comunità che abitano nei piccoli comuni, nelle aree rurali in zone montane o marginali o quei territori dove forte è la presenza degli anziani che non hanno la possibilità di spostarsi da un centro abitato all'altro se non con l'ausilio di terze persone;
   più che a una razionalizzazione si assiste quindi a un vero e proprio taglio di un servizio pubblico essenziale, con la chiusura di uffici in aree del Paese fortemente disagiate e penalizzate;
   in Sardegna è prevista la chiusura di due uffici, mentre per altri 14 è stata prevista la riduzione di orario che rischia di produrre gravi effetti in territori isolati e colpiti dal fenomeno dello spopolamento abitativo;
   tale ridimensionamento è soltanto l'ultimo di una serie che hanno già portato alla chiusura di numerosi sportelli postali nell'isola: il timore è che Poste Italiane possa procedere alla chiusura di altri uffici in Sardegna, penalizzando ulteriormente comunità che negli ultimi anni hanno visto una drastica riduzione dei servizi essenziali (presidi di carabinieri, sportelli bancari, farmacie e altri);
   è di tutta evidenza che nei piccoli comuni, nelle aree interne – e in particolare in quelle in via di spopolamento – i servizi non possono essere organizzati nello stesso modo rispetto alle città e ad altre zone ad alta densità di popolazione;
   è incomprensibile, anche per gli effetti che è destinata a produrre, la decisione di chiudere la filiale di Cortoghiana, centro sardo di tremila abitanti che non può rinunciare a un servizio indispensabile;
   nel comune di Ardara l'attività degli sportelli passerà da 6 a 3 giorni alla settimana, orari dimezzati anche per l'ufficio di Ballao, mentre a Borutta gli impiegati riceveranno gli utenti soltanto due giorni alla settimana invece di tre. La filiale di Cheremule passerà al part-time chiudendo per tre giorni a settimana. A Esporlatu l'orario accorciato sarà ulteriormente ridotto, le tre aperture settimanali scenderanno a due. Identico ridimensionamento interesserà gli uffici di Genuri, Modolo e Turri. A Ozieri e Pauli Arbarei le saracinesche si alzeranno per tre giorni ogni settimana, un giorno in meno rispetto a ora. A Tuili e Nurallao si passerà da 6 giorni a 3 giorni. Infine a Nughedu San Nicolò e Romana da 6 a 4 giorni;
   è tutt'altro che infondato il timore che alla riduzione di orario possa seguire la chiusura dei 14 uffici postali tutti situati in piccoli comuni della Sardegna;
   il servizio postale rappresenta, soprattutto per la popolazione anziana, l'unico presidio in termini di servizio finanziario accessibile localmente;
   Poste Italiane oltre a molteplici servizi tradizionali offre anche importanti servizi bancari: conti correnti, libretti di risparmio, carte di credito, carte prepagate, investimenti obbligazionari, oltre ai pagamenti delle pensioni;
   a oggi non è chiaro come Poste Italiane intenda mantenere il livello di servizi ai cittadini in quei comuni dove è prevista la chiusura degli uffici postali;
   non convincono le rassicurazioni di Poste che, come si legge in un documento presentato in Parlamento, afferma: «Il 90 per cento dei Comuni coinvolti nel piano chiusura ha già oggi il postino telematico. Il progetto Postino telematico in corso di realizzazione, raggiungerà un livello di copertura del 100 per cento del territorio nel 2016» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in particolare, per impedire la chiusura e la riduzione di operatività di diversi e ulteriori uffici postali della Sardegna;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per assicurare l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in quelle aree del Paese che, come le zone interne e i piccoli comuni della Sardegna, sono fortemente penalizzate a causa dell'isolamento, della bassa densità della popolazione, dell'ampiezza e morfologia del territorio, della cronica inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità.
(5-06473)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Società Bridgestone Italia s.p.a., con stabilimento sito nella zona industriale di Bari (Modugno), in data 13 giugno 2013 siglava un protocollo di intesa tra Ministero dello sviluppo economico (MISE), Ministero del lavoro e delle politiche sociali, istituzioni, azienda, organizzazioni sindacali e rappresentanze sindacali unitarie, avente ad oggetto le «Linee guida per l'implementazione della cosiddetta soluzione interna finalizzata al mantenimento dello stabilimento dell'impianto di Modugno», evitando in tal modo la chiusura dello stabilimento comunicata il 4 marzo 2014;
   il 31 luglio 2013 veniva redatto un documento di sintesi a seguito di sei incontri attuativi di tavolo tecnico seguiti alla redazione del protocollo d'intesa avvenuta in data 13 giugno 2013;
   in data 30 settembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva sottoscritto l'accordo ufficiale tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INVITALIA, regione Puglia, provincia di Bari, comune di Bari, Bridgestone Italia s.p.a., FEMCA, CISL, FILCTEM CGIL, UILTEC UIL, UGL Chimici, FAILC CONFAIL, rappresentanza sindacale unitaria di stabilimento, che prevedeva il mantenimento dello stabilimento a fronte di un piano di industrializzazione, il quale interveniva pesantemente sul costo del lavoro e su alcuni istituti di contrattazione aziendale (esempio il premio di produzione), istituti individuali (esempio superminimi, scatti di anzianità) e anche istituti di CCNL (esempio indennità di turno);
   il 14 e il 25 maggio 2015 si sono tenuti due incontri, rispettivamente presso Confindustria e Ministero dello sviluppo economico, durante i quali l'azienda ha ribadito la necessità del completamento delle uscite volontarie incentivate entro il 2015 e la definizione delle azioni sul costo del lavoro per raggiungere l'obiettivo previsto dall'accordo del 2013 da finalizzare tramite un accordo definitivo entro e non oltre il 30 settembre 2015;
   a causa della criticità della situazione la rappresentanza sindacale unitaria, di fabbrica insieme alle segreterie territoriali e nazionali, nel corso dell'incontro al Ministero dello sviluppo economico del 25 maggio 2015 si decideva di istituire un coordinamento nazionale Bridgestone per proseguire nel difficile percorso di trattativa con la Compagnia;
   in data 14 luglio 2015 si teneva un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico preceduto da un confronto tra Coordinamento nazionale e rappresentanti di Bridgestone Europe, con l'obiettivo di chiedere alla compagnia la «Attualizzazione» del piano industriale di Bridgestone per lo stabilimento di Bari considerando tutte le possibili variazioni migliorative rispetto alle condizioni con cui è stato firmato l'accordo del 30 settembre 2013 (variazioni di tipo politico, economico ma anche legato all'importanza del progetto in corso a Bari e dei suoi possibili sviluppi futuri, in termini di volumi ed innovazione tecnologica e di prodotto);
   il 23 luglio 2015, in occasione dell'incontro al Ministero dello sviluppo economico l'azienda si presentava con un documento denominato «Ipotesi di accordo», pronto per essere firmato e rispetto al quale la rappresentanza sindacale unitaria provava a riformulare alcune richieste per migliorare le condizioni salariali proposte (nello specifico: contributo dirigenti, contributo superminimi più alti, ricerca possibili altre voci di costo non lavoro) e per agevolare le uscite volontarie;
   la risposta dell'azienda produceva solo risultati minimi e non risolutivi, con l'apertura a piccoli incrementi agli incentivi per la mobilità volontaria e un leggero incremento dell'indennità di turno residua solo per la notte (nella fattispecie si è passati dall'iniziale 5 per cento al 10 per cento rispetto al 28 per cento previsto dal CCNL);
   i lavoratori si esprimevano mediante consultazione referendaria in merito alle «chiamate per rinuncia agli elementi individuali» avviate dall'azienda con il seguente risultato: «343 lavoratori su 748 si sono espressi contrari alla rinuncia degli elementi individuali; dei restanti, 235 sono risultati favorevoli e 170 astenuti o non votanti»;
   nonostante l'esito referendario la società Bridgestone Italia s.p.a in data 30 luglio 2015 inviava a tutti i suoi dipendenti una lettera con allegata proposta di scrittura privata, con la quale si invitavano gli stessi a rinunciare agli elementi retributivi individuali. Condizione, quest'ultima, considerata come imprescindibile ai fini della prosecuzione delle trattative con i sindacati atte a scongiurare il pericolo di chiusura dell'azienda;
   il contenuto della lettera di cui sopra si configura come un vera e propria forma di «ricatto occupazionale» nei confronti dei lavoratori;
   in data 2 settembre 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico si teneva un incontro per definire le questioni relative al proseguimento del percorso e venivano organizzate assemblee di fabbrica;
   successivamente alla firma dell'accordo del 30 settembre 2013 e del precedente protocollo del 13 giugno 2013, beneficiando del contratto di sviluppo Invitalia-Bridgestone per il rilancio, il potenziamento e la modernizzazione dello stabilimento di Modugno, l'azienda ha investito 41,3 milioni di euro, di cui 12,4 finanziati da Invitalia con un contributo a fondo perduto e ha avviato su Modugno (Ba) l'importante progetto general use;
   il succitato progetto general use, in soli 18 mesi, ha consentito a Bridgestone di industrializzare già 250 nuove «misure» di pneumatici (diverse tipologie di prodotto) ristrutturando, quindi, tecnologicamente in maniera significativa i processi produttivi e i prodotti;
   al momento i nuovi prodotti realizzati nello stabilimento di Modugno (Ba) stanno generando un evidente interesse da parte del mercato, tanto da consentire a Bridgestone di richiedere già per il 2015 un incremento di volume produttivo di quasi 500.000 pezzi (passando da 2,8 milioni di coperture a 3,3 milioni circa) consentendo una riduzione dei costi generali della fabbrica e una progressiva e piena ripresa dello stabilimento produttivo;
   per effetto delle risorse pervenute dal contratto di sviluppo che hanno determinato un incremento di volume produttivo, le condizioni aziendali e produttive dello stabilimento sono cambiate in positivo rispetto all'anno 2013;
   appare fortemente pretestuosa la richiesta dell'azienda di persistere con una pesante riduzione del costo del lavoro, a valere solo sui lavoratori, nonostante i risultati positivi ottenuti con il supporto delle istituzioni e degli stessi prestatori di lavoro che, condividendo il management aziendale e la proprietà la gestione della crisi del 2013, hanno già sopportato dei sacrifici in termini di interventi sul costo del lavoro che hanno inciso su diversi istituti di CCNL (tra questi indennità di turno, ferie, permessi, malattia);
   nel caso in cui l'azienda dovesse continuare a propendere per una politica di «tagli salariali» trasversali, sarebbe opportuno che gli stessi debbano estendersi alle figure dirigenziali, considerato che ad oggi non è possibile reperire alcun atto formale relativo all'anno 2015 che certifichi i suddetti tagli, sicché pare che tali posizioni non siano interessate da alcuna riduzione salariale o di benefit;
   tali elementi concorrono a delineare un quadro drammatico e poco chiaro nella gestione della crisi socio-occupazionale della vertenza Bridgestone, avallato da una gestione politico amministrativa che sembra non tener conto dei fondamentali principi comunitari e statali in materia di lavoro e sicurezza del lavoro, danneggiando le famiglie dei lavoratori coinvolte –:
   se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di individuare se e quali strumenti agevolativi siano stati fruiti dallo stabilimento Bridgestone Italia s.p.a di Modugno (Ba) a livello nazionale;
   se il Governo abbia intenzione di verificare se e in quali termini il piano di produzione definito da Bridgestone Europe per gli anni 2014-2015-2016 (di cui all'articolo 1.1 del protocollo del 13 giugno 2013) abbia subito o meno variazioni rispetto alle previsioni iniziali in seguito all'investimento realizzato con il succitato contratto di sviluppo che ha iniettato risorse per 41,3 milioni di euro;
   se il Governo intenda assumere con urgenza ogni iniziativa necessaria a tutela dei lavoratori i quali, nonostante l'incremento del volume d'affari dell'azienda dovuto alle risorse fornite dal contratto di sviluppo, risultano essere ancora soggetti a una politica aziendale di riduzione del costo del lavoro. (4-10481)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Di Salvo e altri n. 1-00988, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Monchiero, Antimo Cesaro, Paola Boldrini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni n. 5-06051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carocci.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Crivellari e altri n. 5-06354, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente e Cozzolino n. 5-06421, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spadoni.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-10442, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta orale Zaccagnini  n. 3-01692, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 481 del 14 settembre 2015.

   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 settembre 2015, così come riportato da più organi di stampa, si è tenuta a Foggia una manifestazione di protesta dei braccianti agricoli, i quali hanno denunciato le condizioni di sfruttamento sia a sfondo lavorativo che razzista cui i lavoratori sono sottoposti;
   la rete che si è mobilitata ha dichiarato che: «... i responsabili di questa situazione sono i commercianti all'ingrosso e al dettaglio e le industrie agroalimentari favorite dalle istituzioni. È da loro che pretendiamo risposte. Per questo oggi siamo scesi in piazza, uniti senza distinzione di nazionalità, per dire no allo sfruttamento in agricoltura. Non è possibile che un lavoratore debba guadagnare appena 3 euro a cassone (300 kg) di pomodori, e per raggiungere un salario dignitoso ne deve riempire almeno 25. L'indice di sfruttamento è altissimo. Ecco perché noi chiediamo alle istituzioni di far rispettare il contratto collettivo nazionale, introducendo il pagamento a ore e non a cottimo. Diciamo no al caporalato e chiediamo il rilascio dei permessi di soggiorno...»;
   «... un chilo di pomodori raccolto in Puglia viene pagato meno di 8 centesimi al chilo. Non coprono i costi di produzione e di raccolta, ma alimentano una catena dello sfruttamento che occorre spezzare...». È la denuncia del presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, che indica le priorità da seguire nella lotta allo sfruttamento del lavoro agricolo: «... condanna assoluta del caporalato e confronto serio su costi di produzione e prezzi (...) benvenute tutte le norme per sconfiggere il caporalato – aggiunge il presidente della Coldiretti – ma il ragionamento dei prezzi, costi di produzione e ciò che si deve riconoscere ai produttori, è parallelo per sconfiggere il caporalato»;
   in tema di sfruttamento dei braccianti agricoli vi è da portare all'attenzione dei Ministri interrogati un fatto particolare: la questura di Foggia da più di un anno richiede proprio la residenza per poter rinnovare il permesso di soggiorno, nonostante non sia un requisito previsto dalla normativa (articolo 7 commi 7 e 8 TUI, decreto legislativo n. 286 del 1998). Di conseguenza, accade che diverse centinaia di persone che si trovano nella provincia foggiana hanno perso e stanno perdendo un valido titolo di soggiorno e vengono così costrette alla marginalizzazione e all'illegalità. La rete di autorganizzazione dei braccianti afferma che: «... la legge italiana prevede in questo caso l'iscrizione anagrafica come senza fissa dimora. Per questo chiediamo che tutti i comuni della provincia di Foggia istituiscano un indirizzo fittizio e applichino la normativa...»;
   sarebbe quantomai necessario verificare nelle filiere di prodotto agroalimentare la presenza di «cartelli» finalizzati a fissare un bassissimo prezzo all'origine –:
   se i Ministri interrogati non reputino opportuno assumere iniziative affinché la questura di Foggia faccia rispettare il testo unico sull'immigrazione, (articolo 7, commi 7 e 8, TUI, decreto legislativo n. 286 del 1998), che non obbliga alla fissa dimora ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno e, altresì, se i Ministri interrogati nell'agire della questura di Foggia non intravedano il rischio di incrementare il mercato dello sfruttamento della manodopera straniera, in quanto sprovvista di permesso di soggiorno, quindi maggiormente soggetta a fenomeni di marginalizzazione e caporalato;
   se i Ministri interrogati non reputino di fare proprie le rivendicazioni di associazioni, braccianti agricoli e sindacati circa l'applicazione del contratto collettivo nazionale così come descritto in premessa, e se non ritengano necessario un intervento pubblico per un riequilibrio del prezzo del prodotto all'origine in favore dei produttori;
   se non reputino di dover effettuare i dovuti controlli fiscali presso le grandi imprese della produzione e della distribuzione di prodotti agricoli, al fine di procedere su più fronti d'azione per destrutturare una delle componenti che favorisce il fenomeno del caporalato nella sua complessità;
   se non ritengano necessario attivare forme di intermediazione legale attraverso la «Rete del lavoro agricolo di qualità», implementandolo con il collocamento pubblico e il trasporto pubblico dei braccianti, in modo da sostituire il servizio di reperimento di manodopera a basso costo che il caporalato svolge in determinati territori e stagioni;
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire i dati relativi a quali e quanti prefetture abbiano rilasciato o stiano rilasciando i permessi di soggiorno a chi non è munito di residenza utilizzando il nuovo sistema di autocertificazione come già previsto dal testo unico sull'immigrazione (articolo 7, commi 7 e 8, del decreto legislativo n. 286 del 1998) (3-01692)

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Ciracì n. 4-08045, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 378 del 19 febbraio 2015.

   CIRACÌ, MARTI e FUCCI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la gestione amministrativa del comune di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, a quanto consta all'interrogante si è caratterizzata per continue violazioni della normativa in materia di contratti pubblici, per inadempienze relative alle disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della legalità e sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni, per abusi sul lavoro interinale, per irregolarità sulle procedure di gare, per inadempienze relative all'acquisto mediante mercato elettronico e per applicazione di dubbia regolarità della legge n. 381/8 novembre 1991 in materia di cooperative sociali;
   a riprova di ciò il Collegio dei Revisori del comune di Ceglie Messapica, con un esposto inviato al Ministero dell'economia e delle finanze e alla procura regionale Puglia della Corte dei Conti, del 6 febbraio 2015, protocollata al comune di Ceglie Messapica con n. 3594, ai sensi dell'articolo 239 comma 1 lettera e), del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, denunciava ai competenti organi giurisdizionali gravi irregolarità nella gestione amministrativa del comune di Ceglie Messapica, e nella stessa nota i Revisori evidenziava chiaramente, punto per punto, le irregolarità elencate nell'esposto dell'8 novembre 2014 di alcuni consiglieri comunali;
   nei primi giorni di novembre, in virtù delle gravi inadempienze dell'amministrazione comunale di Ceglie Messapica, tre consiglieri comunali hanno presentato nel novembre 2014, a diversi organi di controllo (Ministro delle economie e delle finanze-Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, ANAC/AVCP Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ISPETTORATO FUNZIONE PUBBLICA, Albo Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, Presidente della Sezione regionale Puglia di controllo della Corte dei Conti, S.E. Prefetto di Brindisi, Presidente dei Revisori dei Conti del Comune di Ceglie Messapica), un dossier-denuncia, ampiamente e puntualmente documentato, nel quale sono state evidenziate e documentate le presunte e gravi irregolarità commesse dagli organi amministrativi del Comune nella gestione del personale, nella gestione economico-finanziaria, negli affidamenti degli appalti, che stanno determinando l'avvio di diversi contenziosi e si cita fra tutti la sentenza del TAR n. 33/2015 del 7 gennaio 2015 con la quale il TAR dichiara «l'illegittimità degli atti impugnati...» condannando il Comune di Ceglie Messapica «in persona del Sindaco pro-tempore, al risarcimento dei danni nei confronti della società ricorrente». La vicenda parte da circa un anno fa quando l'Amministrazione Comunale di Ceglie Messapica con deliberazione di Giunta Comunale n. 38 del 28 febbraio 2014 chiedeva «di verificare l'eventuale necessità di reincarico agli stessi patti e condizioni» alla ditta precedentemente affidataria. Il TAR si esprime rilevando che le procedure adottate dall'amministrazione violano «immotivatamente i superiori interessi (sanciti anche quali principi comunitari) della concorrenza e della massima partecipazione», e che «un tale modus operandi viola palesemente i principi generali della trasparenza e della par condicio»;
   l'Autorità di vigilanza in materia di appalti pubblici (oggi l'ANAC), e la giurisprudenza penale ed amministrativa, hanno sempre stigmatizzato il ricorso delle stazioni appaltanti a pratiche fraudolente per aggirare le disposizioni in materia di aggiudicazione di appalti (come, ad esempio, il surrettizio frazionamento dell'appalto, l'ingiustificato ricorso ad affidamenti diretti, la ripetuta concessione di proroghe, l'assenza della necessaria motivazione, a valle ed a monte, dell'affidamento dell'appalto, ed altro), rimarcando la necessità di rispettare anche nell'affidamento degli appalti cosiddetto «sottosoglia» le regole e le prassi utili al rispetto sostanziale ed effettivo delle norme e dei principi in materia. È di pochi giorni fa il rapporto dell'Authority sui capoluoghi regionali, la quale evidenzia che, a dispetto dell'eccezionalità prevista per l'affidamento diretto, questo rappresenta il 60 per cento di tutti gli appalti nazionali, segnalando una criticità per l'utilizzo eccessivo di tale procedura;
   sarebbe infatti accaduto che l'amministrazione comunale di Ceglie Messapica non si sia limitata alla reiterata violazione delle norme e dei principi in materia, di cui si è fatto innanzi un rapido cenno, che pure sarebbe già sufficiente, ma, a quanto risulta all'interrogante, i soggetti beneficiari delle utilità economiche legate a tali condotte illegittime siano stati troppo frequentemente gli stessi;
   l'albo nazionale dei segretari Comunali e Provinciali in data 13 novembre 2014 invia una nota al Segretario Comunale con la richiesta di informazioni inerenti il Dossier-Denuncia;
   lo stesso dipartimento della funzione pubblica in data 17 novembre 2014 chiedeva un puntuale riscontro all'esposto rammentando la sentenza della Corte dei Conti – sez. giurisdizionale Tosca n. 217 del 7 maggio 2012 che, nonostante la soppressione del parere di legittimità su ogni proposta di delibera, «non esclude che permangono in capo al segretario tutta una serie di compiti ed adempimenti che lo impegnano ad un corretto svolgimento degli stessi, pena la soggezione alla azione di responsabilità amministrativa...»;
   con nota del dipartimento della funzione pubblica n. 11032 P-4 del 18 febbraio 2015 i consiglieri comunali, che con il loro esposto del 7 novembre 2014 avevano denunciato e documentato una serie di irregolarità, vengono informati che «oltre alla problematiche relative ai contratti e gare (videosorveglianza e servizi integrati) per i quali è in corso un'istruttoria avviata dall'ANAC» sono segnalate l'avvio di istruttorie su altre irregolarità poste in essere dall'Amministrazione ed opportunamente segnalate dal Collegio dei Revisori dei Conti;
   l'Autorità Nazionale Anticorruzione inviava al Comune di Ceglie Messapica con rif. 109/2015 una nota avente per oggetto «Richiesta informazioni al responsabile della Prevenzione della Corruzione» nella quale si fa riferimento ai «fatti esposti, piuttosto circostanziati, che riguardano principalmente arbitrarie erogazioni di compensi accessori al personale, contributi nei confronti di enti di diritto privato (fondazioni, associazioni e altro) nonché di criticità negli affidamenti degli appalti, peraltro dettagliatamente rappresentati in una nota del collegio dei revisori dei Conti...» chiedendo comunicazioni in merito a quanto esposto nel termine di 20 giorni e della quale eventuale risposta non si ha alcuna contezza;
   inoltre l'ANAC ufficio vigilanza anticorruzione con i lavori del Consiglio del 17 giugno 2015 esamina e delibera in conformità alla proposta dell'ufficio in merito alle segnalazioni dei consiglieri comunali signori Danilo D'Ippolito, Gianpiero Gallone e Fabrizio Gatti del comune di Ceglie Messapica (BR) con riguardo a presunte irregolarità che coinvolgono diversi settore dell'amministrazione comunale;
   la stessa Autorità nazionale anticorruzione con prot. N. 20577 del 24 giugno 2015 inviava una diffida ai sensi della delibera ANAC n.146/2014 al comune di Ceglie Messapica evidenziando le carenze accertate del piano di prevenzione della corruzione dello stesso ente;
   la Corte dei Conti sezione regionale per il controllo della Puglia, inviava nota prot. n. 3025 dell'8 settembre 2015 con richieste di chiarimenti e valutazioni sulle criticità emerse dall'esame della relazione al rendiconto 2011, 2012 e 2013, redatte dall'organo di revisione contabile dell'ente;
   si evidenzia che il comune di Ceglie Messapica non ha inviato per l'anno 2014 la certificazione relativa al patto di stabilità al Ministero dell'economia e delle finanze e che rendiconto e bilancio sono stati entrambi approvati con il parere contrario del collegio dei revisori dei conti;
   la gravità assoluta dei fatti che riguardano il comune di Ceglie Messapica viene fotografata dal procedimento UVMAC/S/109/2015 dell'Autorità nazionale anticorruzione, Ufficio vigilanza sulle misure anticorruzione ad oggetto: procedimento sanzionatorio nel confronti del comune di Ceglie Messapica ex articolo 19 del decreto legislativo 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014 n. 114, e comunicazione di avvio del procedimento per sanzione per omessa adozione del piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC), in quanto, quello pubblicato sul sito del comune risulta essere una riproduzione integrale di quello adottato dal comune di Cellino San Marco (BR) che, si rammenta, trattasi di comune sciolto per infiltrazioni mafiose;
   appare gravissima la situazione a cui è sottoposto l'ente che vede il perpetuarsi di condotte illegittime, il continuo succedersi di danni erariali, il depauperamento del bilancio comunale, con grave pregiudizio agli interessi della collettività e pertanto con la perdita di credibilità dell'istituzione locale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tali gravi fatti e se, a fronte delle numerose irregolarità denunciate da più parti, che sono bene note sia all'ANAC sia all'Ispettorato della funzione pubblica, sia alla procura della sezione regionale Puglia di controllo della Corte dei Conti, sia al prefetto di Brindisi, siano state avviate le indispensabili procedure per un'ispezione della ragioneria generale dello Stato, possibilmente congiunta con l'ANAC come da protocollo sottoscritto tra Anac e Ministero dell'economia e delle finanze in data 11 febbraio 2015, al fine di impedire il perpetuarsi di gravi violazioni e il reiterarsi di danni economici per il comune di Ceglie Messapica. (4-08045)

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Fraccaro n. 4-10428, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 486 del 21 settembre 2015.

   FRACCARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 1973 del 16 aprile 2015 e l'ordinanza n. 3909/15 del 31 agosto 2015, il Consiglio di Stato ha riconosciuto ai diplomati magistrali prima del 2002 il diritto di essere iscritti nelle graduatorie della scuola primaria e dell'infanzia, al fine di poter assumere contratti a tempo determinato e indeterminato, in ragione del loro titolo abilitante conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002. Il Consiglio di Stato ha quindi definitivamente sancito l'obbligo di inserire i docenti in possesso di questo titolo nelle graduatorie permanenti oggi ad esaurimento;
   in data 29 luglio 2015 la provincia autonoma di Trento pubblica una graduatoria provinciale con una quarta fascia aggiuntiva che riserva ai soli laureati in scienze della formazione primaria;
   dalla medesima graduatoria si apprende che gli esclusi dalle graduatorie provinciali per titoli (G.A.E. – graduatorie a esaurimento), nei quali sono compresi i diplomati magistrali ante 2002, sono circa 300. Tali lavoratori sono stati scavalcati nelle graduatorie, in alcuni casi dopo 12 anni di supplenze, dai laureati in scienze della formazione e sono stati costretti a inoltrare domanda di disoccupazione in attesa della sentenza che il Tar dovrebbe pronunciare il 22 ottobre 2015, a seguito di un ricorso presentato dagli stessi. Tale sentenza, se sarà favorevole ai diplomati magistrali, riaprirà le graduatorie ad anno scolastico già avviato;
   sulla base di dati pubblicati dalla stampa locale, e non smentiti dagli uffici provinciali, si apprende che su 228 insegnanti presenti nella graduatoria, 129 abbiano ottenuto l'assegnazione in ruolo. Gli insegnanti assunti con 0 ore di insegnamento risulterebbero essere 66, ovvero il 51,16 per cento del totale, mentre i docenti esperti con oltre 4 anni di insegnamento alle spalle che trovano una cattedra sarebbero solo 20, cioè il 15,5 per cento. Tra gli altri assunti, vi sono 13 assegnatari con 1 anno di servizio, 21 con 2 anni, 2 con 3 anni e 7 con 4 anni di esperienza lavorativa pregressa;
   in occasione della visita a Trento in data 9 settembre 2015, la Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca Giannini, in un incontro informale con i rappresentanti dei precari, ha pubblicamente affermato che anche la provincia di Trento deve allinearsi al resto del Paese adeguandosi, alle sentenze degli organi giurisdizionali, sostanzialmente stigmatizzando così il comportamento discriminatorio della provincia di Trento nei confronti di docenti esperti tanto da far perdere loro il posto di lavoro a favore di insegnanti con zero ore di insegnamento;
   inoltre tutti i docenti abilitati con procedure PAS e TFA in provincia di Trento non solo vengono esclusi da questa quarta fascia aggiuntiva delle graduatorie provinciali, ma addirittura vengono relegati in una terza fascia d'istituto per docenti non abilitati, contrariamente a quanto accade in tutto il resto d'Italia e persino della stessa provincia di Bolzano anche parimenti autonoma –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato ritenga di assumere per rimediare all'esclusione dalle graduatorie di coloro che hanno conseguito il diploma di scuola magistrale prima del 2002 e degli abilitati PAS e TFA che subiscono tali discriminazioni. (4-10428)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Brunetta n. 2-00850 del 17 febbraio 2015;
   interpellanza urgente Brunetta n. 2-00941 del 21 aprile 2015;
   interpellanza urgente Quaranta n. 2-01079 del 15 settembre 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Paglia n. 5-06453 del 23 settembre 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Busin n. 5-06454 del 23 settembre 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco n. 5-06455 del 23 settembre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Pagano n. 3-01709 del 21 settembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10493;
   interrogazione a risposta orale Bolognesi n. 3-01540 del 12 giugno 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10486.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, RIZZO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con ordini del giorno, accolti dal Governo, rispettivamente al Senato e alla Camera in data 9 e 24 ottobre 2013, nonché con la risposta del Ministro del 19 dicembre 2013 all'interrogazione a risposta scritta in Commissione difesa della Camera n. 5/01121, l'esecutivo si è impegnato a porre in essere la razionalizzazione della giustizia militare anche valutando l'opportunità di avviare una riduzione della consistenza degli organici della magistratura militare e del relativo personale per calibrarli sulle effettive esigenze di servizio, e di conseguenza a considerare la soppressione dei tribunali militari e delle procure militari della Repubblica di Verona e di Napoli, nonché del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma, con transito integrale del relativo personale magistratuale e di cancelleria agli uffici giudiziari ordinari in carenza organica –:
   a quale concreto stadio si trovi l'azione di razionalizzazione della giustizia militare anche in relazione all'annunciata costituzione, nella risposta all'interrogazione richiamata, di un gruppo di lavoro per la verifica delle ipotesi di razionalizzazione dell'ordinamento giudiziario militare. (4-04687)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di conoscere a «quale concreto stadio si trovi l'azione di razionalizzazione della giustizia militare».
  Faccio presente, a tal riguardo, che nel disegno di legge di stabilità 2015 era stata inserita apposita previsione normativa volta ad una razionalizzazione in senso riduttivo (ulteriore a quella già realizzata con la legge 24 dicembre 2007, n. 244) degli uffici giudiziari militari. Detto intervento, stralciato nel corso dei lavori parlamentari in ragione della sua natura ordinamentale, è confluito, col medesimo testo, in un autonomo disegno di legge (A.C. 2679-undecies) assegnato in sede referente alla IV Commissione difesa della Camera, che non ne ha ancora avviato l'esame. Il provvedimento prevede la soppressione dei tribunali militari di Napoli e Verona, del tribunale militare e dell'ufficio militare di sorveglianza, nonché la riduzione dell'organico dei magistrati militari e del personale civile della difesa impiegato negli uffici giudiziari militari, con conseguente transito delle unità in eccesso nei rispettivi ruoli del Ministero della giustizia.
  Inoltre, in materia di riforma della giustizia militare, è stato presentato nell'ottobre 2014 un disegno di legge costituzionale (ad iniziativa dell'onorevole Dambruoso ed altri), finalizzato alla modifica degli articoli 102 e 103 della Carta, funzionale alla definitiva soppressione dei tribunali militari e alla contestuale istituzione di sezioni specializzate per i reati militari presso i tribunali ordinari.
  L'iniziativa in parola, assegnata all'esame della I Commissione Affari Costituzionali della Camera, coltiva la prospettiva di affrontare in maniera risolutiva la questione della giustizia militare, attraverso la definitiva soppressione dei relativi organi giurisdizionali e la rimessione delle rispettive competenze alla magistratura ordinaria, secondo lo schema, già noto all'ordinamento, delle sezioni specializzate per materia, a similitudine di quanto già fatto proprio dagli ordinamenti di diversi Paesi europei, quali Francia, Portogallo, Olanda e Ungheria.
  Nell'azione di razionalizzazione dell'ordinamento giudiziario militare il Dicastero terrà nella massima considerazione le esigenze e la tutela delle condizioni del personale interessato, coniugandola alle esigenze di sicurezza della nazione.
  Sulla scorta di tali valutazioni, è intendimento della Difesa seguire con ogni attenzione il dibattito parlamentare che verrà avviato all'argomento al fine di apportare ogni possibile contributo tutelando, altresì, la specificità della condizione militare.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BRATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un tragico incidente del lontano luglio 2006, presso la caserma di Ferrara, per una disattenzione drammatica ha colpito il vigile del fuoco Marco Galan il quale rimase schiacciato da un camioncino mentre stava verificando un cavo di acciaio, teso e non visibile collegato ai due mezzi;
   un furgone venne fatto entrare nel piazzale dove Galan stava lavorando, l'autista non vide il cavo e lo agganciò trascinando i mezzi: uno di questi colpì Galan schiacciandolo e solo il suo fisico eccezionale gli permise di superare il trauma, pur tuttavia costringendolo a vivere in uno stato di coma permanente;
   la vicenda giudiziaria si è conclusa con la condanna definitiva per lesioni, dell'ex comandante dei Vigili del fuoco, all'epoca del fatto, Michele De Vincentis e per la violazione di norme di sicurezza. E così facendo i giudici romani hanno reso esecutiva la provvisionale danni che ha permesso di garantire a Marco Galan cure continuative e specialistiche;
   la sentenza definitiva, confermando quelle di primo grado, di appello e di fatto l'indagine del pubblico ministero Di Benedetto della procura di Ferrara, ha accolto il principio che nella caserma di via Verga, comando provinciale dei vigili del fuoco, nel luglio 2006 non erano rispettate le più elementari norme di sicurezza e che chiunque, poteva accedere all'interno senza nessuna regolamentazione e senza rispettare percorsi obbligati. E questa fu la causa dell'incidente di cui fu vittima Marco Galan  –:
   se la vicenda giudiziaria che ha colpito il De Vincentis non sia incompatibile, almeno come opportunità, dell'aver beneficiato in questi anni di avanzamenti di carriera, e non ultimo dell'assegnazione di un comando importante e prestigioso come quello di Verona;
   se in ogni caso sia stata valutata dagli organi competenti la posizione del De Vincentis riguardo al tragico incidente che ha colpito Marco Galan.  (4-05820)

  Risposta. — L'infortunio occorso al vigile coordinatore Marco Galan in data 26 luglio 2006, presso il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Ferrara, è avvenuto in occasione di una verifica tecnica sul cavo in acciaio in dotazione al verricello di un veicolo di servizio.
  Nella circostanza un cavo completamente teso tra due veicoli dei vigili del fuoco è stato agganciato accidentalmente, con la parte anteriore, da un automezzo proveniente dall'esterno, un furgone Ducato condotto da un corriere postale. Tale automezzo, entrato nel piazzale per la consegna di materiale, non avvedendosi della presenza del cavo teso e procedendo a una velocità stimata in 42 chilometri orari – ritenuta in sede processuale dal consulente tecnico di ufficio «incongrua per le condizioni dei luoghi» – ha trascinato per diversi metri i due veicoli, uno dei quali ha colpito il signor Galan – causandogli gravissime lesioni permanenti –, poi dispensato per inidoneità fisica dal 13 febbraio 2008.
  Questa Amministrazione, che ha riconosciuto dipendenti da causa di servizio le lesioni derivanti dall'infortunio, ha posto subito in essere le procedure previste dalla legislazione vigente per la concessione dei benefici economici spettanti all'interessato, tra i quali quelli derivanti dal riconoscimento di «vittima del dovere», la concessione dell'equo indennizzo di 1o categoria, la pensione privilegiata e il rimborso periodico delle spese di cura.
  Sotto il profilo della responsabilità personale, l'ex comandante di Ferrara ingegner Michele De Vincentis è stato condannato in sede penale in primo grado, con rito abbreviato, per lesioni colpose conseguenti alla violazione della normativa antinfortunistica, a otto mesi di reclusione con la condizionale e al pagamento di una provvisionale a favore del dipendente e dei suoi genitori (175 mila euro), rinviando, in sede civile, l'esame dei profili risarcitori.
  Con sentenza in data 12 luglio 2011, divenuta esecutiva in data 24 gennaio 2013, la Corte d'appello di Bologna, concedendo le circostanze attenuanti generiche, ha, tuttavia, rideterminato la pena con una riduzione della reclusione a due mesi, ferma restando la condanna al pagamento della provvisionale stabilita in primo grado.
  Sul piano civilistico la vicenda è stata definita in via transattiva con il risarcimento del danno non patrimoniale riconosciuto dall'Amministrazione in favore di Marco Galan e dei suoi genitori.
  In relazione ai quesiti posti dall'interrogante, si segnala che la posizione dell'ingegner De Vincentis è stata oggetto di attenta valutazione da parte dell'Amministrazione. Nella vicenda va comunque tenuto in debita considerazione il profilo della corresponsabilità del conducente del furgone postale entrato nel piazzale della caserma a 42 chilometri orari.
  Fatte salve le eventuali determinazioni in tema di responsabilità amministrativa del pubblico dipendente spettanti alla competente Autorità, si rappresenta che, sotto il profilo disciplinare la natura colposa del reato esclude, allo stato della normativa vigente, che si possano applicare nei confronti dell'interessato le norme contrattuali vigenti in materia di recesso dal rapporto di lavoro.
  La fattispecie di reato in questione non rientra, peraltro, nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione per i quali la legge n. 97 del 2001, novellando il codice penale, ha previsto che alla relativa condanna consegua l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego.
  Per quanto concerne il conferimento all'ingegner De Vincentis dell'incarico di comandante provinciale dei vigili del fuoco di Verona, si fa presente che tale assegnazione è relativa ad un posto di funzione di fascia inferiore (D) rispetto a quello (di fascia C) ricoperto in precedenza presso gli uffici centrali del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BRUNO BOSSIO, MAGORNO e STUMPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2015 circa 35 richiedenti asilo, ospiti di un'apposita struttura, hanno bloccato per quasi quattro ore la strada provinciale 511 che collega Pizzo Calabro a Tropea, in Calabria, posizionando massi sulla carreggiata e causando ritardi e deviazioni del traffico;
   la protesta intendeva sollecitare, tra le altre richieste una maggiore celerità nel rilascio dei permessi di soggiorno e la possibilità che la questura conceda documenti per i lavoratori così da potersi rendere utili senza dover trascorrere le giornate senza alcun impegno particolare;
   è del 18 marzo, invece, la notizia della protesta dei migranti ospiti del CARA di Isola Capo Rizzuto (Crotone): le condizioni in cui sono costretti i richiedenti asilo collocati nella struttura ha costretto centinaia di essi a bloccare la statale 106 ed i voli dell'aeroporto di Crotone pur di attirare l'attenzione sul loro caso;
   il CARA Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto (Crotone) è, attualmente, il più grande centro d'accoglienza per richiedenti asilo d'Italia e da oltre dieci anni la sua gestione è affidata alla Confederazione nazionale «Misericordie d'Italia»;
   l'ultima gara d'appalto di validità triennale è stata vinta dalle «Misericordie» nel 2012 per un importo complessivo di 28.021.050 euro Iva esclusa;
   la cifra complessiva erogata dallo Stato per ogni ospite è di 21,4 euro al giorno, di cui 2,50 da erogare sotto forma di pocket money, vale a dire la quota giornaliera che spetta al migrante e che lo Stato affida ai gestori del centro affinché la eroghino agli ospiti della struttura;
   la cifra erogata, secondo l'indagine «Arcipelago CIE» dell'Associazione Medici per i diritti umani sarebbe la più bassa d'Italia;
   il 22 maggio 2015 è stata effettuata una visita al suddetto Centro dalla sottoscritta, dall'onorevole Nicola Stumpo, dal dirigente regionale del PD della Calabria Giovanni Manoccio, da Manlio Caiazza, Segretario dei Giovani Democratici della città di Crotone e da Gaspare Galli dirigente dei Giovani Democratici;
   dalla visita apprendemmo che il CARA di Crotone ospitava 1.700 persone, a fronte di una capacità di accoglienza di 729 posti;
   il direttore Francesco Tipaldi informava altresì la delegazione che il complesso poteva in realtà contare su 124 posti in più rispetto a quelli previsti considerando i posti del CIE (Centro di identificazione ed espulsione), ma che questo risultava essere chiuso per inagibilità a seguito della morte, il 10 agosto 2013, di un trattenuto 31enne marocchino e della rivolta che ne seguì, il 12 agosto;
   nel corso della visita fu possibile rendersi conto delle difficili condizioni della struttura a partire dalla sua posizione in una località distante dal centro abitato, a ridosso della strada statale 106 di cui è difficile e pericoloso l'attraversamento pedonale per l'assenza di strisce, di isole o fermate di autobus;
   di questi ospiti solo 250 dormono in edifici in muratura mentre gli altri sono alloggiati in vecchi container sovraffollati in cui la separazione tra uomini e donne e gruppi familiari, prevista dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004, non è sempre garantita;
   il sovraffollamento produce spesso contrasti tra le diverse etnie, di cui è ultimo ma non unico esempio la maxi-rissa registratasi il 4 giugno 2014 tra afgani e pakistani che ha visto coinvolte oltre 400 persone e procurato trenta feriti tra gli ospiti del CARA;
   tale rissa è conseguenza diretta della mancanza di danaro dovuta alla circostanza che l'erogazione del pocket money si concretizza illecitamente nella distribuzione di due pacchetti di 10 sigarette a settimana come equivalente dell'intero importo dovuto;
   le condizioni igieniche risultarono assolutamente inadeguate a causa della mancanza di pulizia e del danneggiamento dei sanitari, senza contare l'assenza di riscaldamento, tutti servizi che il gestore è tenuto ad assicurare secondo il capitolato d'appalto, approvato con decreto ministeriale 21 novembre 2008, articolo 1, n. 3, lettera e) che, se non adeguatamente prestati, possono essere causa (articolo 19 del medesimo capitolato) di risoluzione del contratto;
   il personale impiegato è certamente insufficiente e fornito di competenze professionali assolutamente inadeguate rispetto alla complessità della situazione del centro;
   il servizio di mediazione culturale non garantisce la copertura delle principali lingue parlate dagli ospiti presenti nel centro come, del resto, il servizio d'informativa legale, relativa ai diritti/doveri dell'ospite nonché alla procedura di asilo, che è insufficiente e spesso incomprensibile agli ospiti;
   nel 2014 sono stati consegnati al Ministero dell'interno i risultati del secondo rapporto di monitoraggio su CIE e CARA effettuato dalle organizzazioni della rete Praesidium che pare presentarsi peggiore del primo rapporto datato 20 e 25 settembre 2013 e contenente i dati dei primi due monitoraggi;
   le criticità emerse sul CARA di Crotone sono state oggetto da una documentata inchiesta giornalistica curata da Raffaella Cosentino e Alessandro Mezzaroma ed apparsa su Repubblica.it il 6 maggio 2014 con il titolo «Milioni sulla pelle dei rifugiati»;
   più di recente, a Crotone è stata fatta incetta, fin dalle prime ore di vendita, da parte di alcune persone, di tutte le copie del settimanale L'Espresso nel quale era annunciato (sebbene poi in realtà pubblicato sulle pagine online dello stesso settimanale) un ennesimo articolo che ricostruiva gli affari delle Misericordie di Isola Capo Rizzuto, come da notizia dello stesso L'Espresso online del 2 marzo;
   in particolare per quanto riguarda il CARA di Crotone nell'inchiesta veniva evidenziata l'incongruità dell'erogazione in «beni e servizi» del cosiddetto pocket money perché «facendo un calcolo approssimativo di 2,50 euro per una media di 1.500 persone, si arriva alla somma di 3.750 euro al giorno che moltiplicato per 21 mesi (il periodo medio di permanenza degli ospiti nel centro), cioè 630 giorni, fa oltre due milioni di euro»;
   in seguito all'articolo la «Misericordie» replicava citando una nota della prefettura di Crotone del 19 marzo 2013 dalla quale si evinceva che, a seguito della verifica sulle singole schede del buono economico, limitatamente ad un campione di 3.000 soggetti, la minore erogazione di «Misericordie» fosse di appena 9.653,61 euro rispetto agli oltre 2.000.000 stimati nell'articolo citato, cifra tra l'altro restituita da «Misericordie» stessa –:
   quali siano i risultati del secondo rapporto di monitoraggio della rete Praesidium su CIE e CARA consegnato nel 2014 al Ministero dell'interno e finora non divulgato;
   quali iniziative si intendano assumere affinché venga reso noto il rapporto della prefettura di Crotone citato come nota del 19 marzo 2014 dalla replica di «Misericordie» all'articolo di inchiesta di Repubblica.it;
   quali provvedimenti l'ente gestore, la questura di Crotone e il Ministero dell'interno intendano assumere per migliorare l'accoglienza e affinché siano applicate le norme del capitolato d'appalto sulla dotazione minima personale, sull'assistenza 24h su 24h da garantire con l'impiego di figure professionali adeguate e, più in generale, su tutti i servizi a carico dell'ente gestore su cui la prefettura (ex articolo 22 capitolato d'appalto) è tenuta a vigilare, considerando che la mancata o inesatta esecuzione del contratto, se rilevati in sede ispettiva, di controllo e di monitoraggio o lamentati dagli utenti, devono portare ad una penale di almeno il 3 per cento del corrispettivo mensile (ex articolo 16 del capitolato d'appalto);
   quali iniziative si intendano assumere affinché si proceda alla riforma del cosiddetto pocket money che presso il CARA di Sant'Anna attualmente è erogato (quando è erogato) in beni e servizi invece che in danaro, una procedura che non garantisce né l'emancipazione degli ospiti, impossibilitati ad acquistare beni e servizi al di fuori dal Centro, né favorisce l'integrazione sociale ed economica dei migranti con la comunità locale;
   quali misure si intendano adottare per velocizzare le pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato ai migranti che ne fanno richiesta, essendo ormai i tempi per espletare tale procedura fisiologicamente più lunga di quella prevista dalla legge. (4-08566)

  Risposta. — Il primo degli episodi ai quali fa riferimento l'interrogante ha avuto luogo lo scorso 18 marzo, quando, intorno alle 12,30, circa 50 cittadini extracomunitari ospitati nella struttura ricettiva «Hotel Costabella» nel corso di una protesta hanno occupato la carreggiata della strada provinciale – che collega i Comuni di Briatico e Tropea, nella provincia di Vibo Valentia – bloccando la circolazione dei veicoli in entrambi i sensi di marcia.
  La contestazione voleva richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni su presunti ritardi che si sarebbero verificati nell’
iter di regolarizzazione della loro posizione. Verso le 16.30, la manifestazione si è infine conclusa, permettendo il regolare ripristino del traffico locale.
  Si precisa al riguardo che i centri di accoglienza temporanea per i richiedenti asilo attivati sul territorio di Vibo Valentia fanno capo a tre enti gestori: «Stella del Sud – Società Cooperativa Sociale», con sede a San Nicola da Crissa, che utilizza una struttura alberghiera sita in Brognaturo; «Cooperativa Sud per l'Europa», con sede a Mileto, che utilizza una struttura alberghiera sita in Serra san Bruno e appartamenti dislocati nei comuni della provincia; «Arci Pesca Fisa» – Sezione di Vibo Valentia, che utilizza una struttura alberghiera sita in Briatico e alcuni appartamenti dislocati nella provincia.
  Con riferimento agli ospiti di tali strutture, all'epoca della protesta la situazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale era la seguente:
   numero dei migranti presenti nei centri: 536;
   numero dei richiedenti in attesa di audizione da parte della commissione territoriale: 272;
   numero dei richiedenti in attesa di esito da parte della commissione: 46;
   numero dei titolari di protezione internazionale o umanitaria: 38;
   numero di migranti a cui era stato denegato il riconoscimento e che avevano presentato ricorso o erano in termini per presentarlo: 180.

  Per quanto riguarda invece la protesta dello scorso 16 marzo dei migranti ospiti del CARA di Isola Capo Rizzuto, si rappresenta preliminarmente che, all'indomani di essa, la Prefettura di Crotone, nell'ottica di una pacifica e civile convivenza ha promosso un confronto presso lo stesso CARA al quale hanno partecipato i leaders delle comunità più rappresentate e i rappresentanti dell'ente gestore.
  La finalità ultima dell'incontro è stata quella di definire percorsi di accoglienza condivisi, con la messa a punto di iniziative gestionali che, nel rispetto del capitolato prestazionale, potessero incontrare il favore degli stessi migranti e consentire un continuo miglioramento qualitativo degli standard di accoglienza.
  Passando a rispondere ai quesiti contenuti nell'interrogazione, si rappresenta che dal punto di vista strutturale, il CARA di Crotone è interessato da tempo da un complesso progetto di riqualificazione che ha consentito la totale dismissione dei vecchi
container con moderni moduli abitativi, pienamente rispondenti agli standard di un centro di accoglienza ove i richiedenti asilo devono essere ospitati per il tempo necessario all'esame della domanda di protezione. Sono state anche attivate due ampie mense e un'infermeria rispondente a tutti i requisiti di sicurezza sanitaria e tutela della privacy.
  Sono stati inoltre completati alcuni interventi di urbanizzazione e adeguamento ambientale e igienico-sanitari, anche esterni al Centro, come il percorso pedonale e l'illuminazione della strada statale 106. Dinanzi al suo ingresso, poi, lungo la strada statale 36 è stata prevista una fermata dell'autobus di linea e sono stati garantiti servizi bus integrativi delle corse pubbliche per il raggiungimento dei comuni di isola Capo Rizzuto e Crotone.
  Sotto il profilo dei controlli sulla gestione del centro, la Prefettura di Crotone ha recentemente riformulato la composizione della Commissione di vigilanza, arricchendola con la partecipazione di nuove professionalità che coadiuvino quelle provenienti dalle diverse amministrazioni pubbliche. Contestualmente, ha istituito un Nucleo interno di supporto alla Commissione stessa, composto da soli dipendenti della Prefettura, nell'ottica di incrementare il controllo attraverso accessi al CARA, oltreché alla documentazione del gestore.
  I controlli effettuati non sono stati meramente formali o cartolari. In due casi, ci sono stati esiti concreti a carattere sanzionatorio nei confronti del gestore per accertate violazioni contrattuali.
  Per quanto concerne, invece, i rilievi avanzati dalle Agenzie umanitarie in occasione del monitoraggio
Praesidium, si evidenzia che il punto saliente riguarda l'asserita mancata erogazione, per un periodo indicato dal 2011 al maggio 2013, del pocket money dovuto a ciascun immigrato, individuato in una tipologia di beni da erogare all'interno del Centro a cura del gestore, esemplificata nel capitolato d'appalto che disciplina i servizi nei CARA, del valore corrispondente a 2,50 euro giornalieri. In particolare, l'interrogazione fa riferimento ai risultati del rapporto relativo alla prima visita effettuata dalla commissione Praesidium nel luglio 2013. Sulla base del flusso di ospiti registrato in tale periodo, viene quantificato in circa 2 milioni di euro l'importo non pagato dal gestore, su una stima di permanenza, non suffragata dall'esperienza concreta registrata, pari a 21 mesi.
  In merito a ciò, si fa presente che per verificare eventuali irregolarità nell'erogazione del buono (che, si ribadisce, in base al contratto, è composto da beni del valore di 2,50 euro
pro capite/pro die e non da denaro), la Prefettura di Crotone ha esaminato dapprima un campione di circa 3.000 schede personali e successivamente le rimanenti 3.500 schede (con un controllo documentale integrale che include l'annotazione dei beni distribuiti) degli immigrati ospiti del CARA a partire dall'agosto 2011 e fino al ripristino del sistema mediante badge. Dall'indagine sono emerse incongruenze pari a circa 20 mila euro, già recuperate dalla Prefettura nei confronti del gestore, oltre alla contestazione di addebiti nei confronti dello stesso nelle forme previste dalla convenzione.
  Per rendere tracciabili le somministrazioni del
pocket money, è stato previsto prima di tutto il ripristino, a partire dal mese di giugno 2013, di un sistema informativo a mezzo badge (che era andato distrutto nell'agosto del 2011 nel corso di una protesta degli ospiti del centro) che registra sulla tessera personale del migrante l'erogazione delle prestazioni e dei servizi resi contrattualmente dal gestore (compresa la corresponsione del buono economico).
  Recentemente poi, per agevolare la periodica attività di monitoraggio svolta dal nucleo ispettivo della Prefettura, sono state impartite al gestore precise e dettagliate direttive per il consolidamento di quelle che sono ritenute buone prassi di gestione. È stata inoltre adeguata la cartellonistica nei luoghi maggiormente frequentati dai migranti, che riassume nelle lingue tra loro più diffuse quelli che sono i principali diritti all'interno del CARA.
  Sempre nella prospettiva di una gestione improntata alla massima tracciabilità, è stato quindi richiesto che ad ogni somministrazione – sia essa compresa nel
pocket money, nel kit igienico o nel kit vestiario – avvenga il rilascio di un apposito scontrino in duplice copia, quale memorandum della consegna al migrante e della custodia presso il gestore. Tale modalità costituisce uno strumento di pronta verifica dei quantitativi e della tipologia dei beni corrisposti attraverso un riscontro di conformità con la matrice trattenuta dal gestore.
  Per migliorare le condizioni di permanenza dei migranti è stato anche richiesto al gestore di aumentare in modo considerevole, all'interno del paniere esemplificativo dei beni che compongono il
pocket money, il numero delle schede telefoniche opportunamente ricaricate. In tal modo, oltre ad offrire un servizio utile agli ospiti del centro, è possibile verificare la corrispondenza del pocket money dovuto al saldo di volta in volta ricaricato. Inoltre, per uno screening approfondito del regime di distribuzione, le schede di dotazione sono state diffuse in lingua inglese, francese e arabo (con la previsione, per le lingue diverse, che la fornitura si svolga alla presenza di un interprete).
  È in corso di verifica, da ultimo, la fattibilità (a mezzo di un sistema
hardware) dell'accentramento, presso postazioni interne ai locali della prefettura, delle funzioni di controllo delle prestazioni e dei servizi all'interno del centro governativo, con lo specifico obiettivo di un sempre disponibile e aggiornato quadro informativo. Ciò consentirebbe un'immediata disponibilità, da parte della Prefettura, di elementi d'informazione sempre aggiornati per le verifiche relative alla corretta esecuzione contrattuale.
  Concludendo con il
pocket money, si informa che il Ministero dell'interno ha dedicato a tale tema un'apposita circolare, datata 25 agosto 2014, con cui è stato disposto che le prefetture, da un lato, esercitino un'attenta vigilanza sulla distribuzione del contributo, esigendo dai gestori la dovuta rendicontazione; dall'altro, tengano informata la competente struttura ministeriale della modalità adottata per la corresponsione del contributo medesimo in ciascun centro di accoglienza.
  Da ultimo, in merito a quanto evidenziato circa i lunghi tempi di soggiorno presso il CARA di Isola Capo Rizzuto, si segnala la piena operatività della neoistituita sezione della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiati, con sede a Reggio Calabria, che, nel consolidato regime delle audizioni giornaliere, si prevede riuscirà a contrarre ulteriormente i termini di gestione delle istanze, attualmente di circa 5 mesi.
  Più generale, in risposta al quesito relativo alle iniziative che si intendono adottare per accelerare le pratiche di riconoscimento dello
status di rifugiato ai migranti che ne fanno richiesta, si informa che l'anno scorso il Governo, in virtù di un provvedimento legislativo d'urgenza, ha disposto il raddoppio delle commissioni territoriali e delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40; ha introdotto, inoltre, i colloqui one to one in luogo dei colloqui collegiali.
  Tali misure sono andate a regime da poco a causa dei tempi tecnici necessari all'avvio delle nuove commissioni e sezioni e alla formazione dei relativi componenti. Tuttavia esse hanno già prodotto i primi apprezzabili risultati. Dall'inizio dell'anno le istanze definite dalle Commissioni territoriali sono state circa 30.000 mila con un aumento di circa il 52 per cento rispetto all'analogo periodo del 2014. E si attendono risultati ancora più significativi nel prosieguo, atteso che le Commissioni stanno operando ora a pieno ritmo.
  Ulteriori benefici al sistema potranno derivare dalla reintroduzione sia del termine per la decisione dell'istanza di sospensiva (cinque giorni), sia del termine per la definizione del ricorso giurisdizionale (sei mesi), reintroduzione prevista dal citato decreto legislativo, approvato in via preliminare dal Governo e attualmente all'esame delle Camere per il prescritto parere, che recepisce due direttive europee in tema di protezione internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CAPELLI e LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   stante l'ultimo censimento l'Italia è il quarto Paese dell'Unione europea per popolazione, dopo Germania, Francia e Regno Unito;
   l'ultimo censimento registra, infatti, oltre 60 milioni gli abitanti nel nostro Paese, con una densità demografica di oltre 200 persone per chilometro quadrato, la più alta d'Europa;
   attualmente il personale operativo del corpo nazionale dei vigili del fuoco, infatti, conta circa 28 mila unità, mentre ne sarebbero necessarie almeno altre 15 mila per garantire una vera efficienza, considerando anche il turn over annuale per i pensionamenti, che si aggira sulle 500 unità annue;
   la riforma dovuta alla legge 252 del 2004 ha, di fatto, colpito duramente il corpo nazionale dei vigili del fuoco, collocandolo in un sistema più vicino alle logiche della pubblica sicurezza piuttosto che a quelle del soccorso e dell'incolumità delle persone, come sarebbe naturale;
   in venti anni, in realtà, un servizio essenziale per la popolazione è stato messo in ginocchio da politiche di tagli, che hanno ridotto almeno del 40 per cento i fondi dedicati al corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   i risultati sono sotto gli occhi di tutti: organici ormai ridotti all'osso, inferiori a quelli europei in maniera più che preoccupante: si calcola che vi sia 1 vigile del fuoco ogni 15 mila italiani, mentre nel resto dell'Europa il rapporto è di 1 a 1.000;
   l'intera popolazione italiana censita, dovrebbe essere servita dal servizio antincendio di 29.500 vigili del fuoco, oltre al migliaio di unità del personale Sati, direttivi non coinvolti negli eventi di soccorso;
   in realtà alla cifra di 29.500 va sottratto un 20 per cento fisiologico di assenze, che porta la cifra a 23.600 unità, divise in quattro turni da 5.900 vigili del fuoco, cui, ancora, vanno sottratte le 2.000 unità di servizio negli aeroporti (35 in tutta Italia), che non possono essere utilizzate per le «normali emergenze»;
   con questo organico ridotto i vigili del fuoco devono ogni giorno fare fronte a circa 750 mila interventi annui in tutto il territorio, per una media di circa 2.060 al giorno. Non c’è da meravigliarsi poi se anche una semplice forte pioggia mette in crisi grandi città. Nel febbraio 2014, ad esempio, a Roma c'erano 187 vigili del fuoco che dovevano affrontare l'emergenza creata a circa 4 milioni di abitanti da un abbondante nubifragio;
   al contrario di quanto auspicabile, il progetto di riordino del Governo, pubblicato ormai un anno fa, nell'aprile 2014 con un modello organizzativo basato su turnover limitato, spending review, innalzamento dell'età pensionabile, ulteriori riduzioni di risorse per uomini e mezzi;
   al contrario appare evidente la necessità di potenziare in tempi rapidi le dotazioni organiche dei vigili del fuoco, in modo da cercare quantomeno di avvicinare quegli standard europei dai quali oggi, come detto, siamo lontanissimi, o come previsto anche dallo studio tecnico denominato «Soccorso Italia in venti minuti»;
   un contributo importante al riguardo sarebbe dato dalla stabilizzazione dei numerosi vigili del fuoco «discontinui» che hanno un importante ruolo nel Corpo, ma che vivono una situazione di perenne, inaccettabile, precariato;
   siamo di fronte ad un assurdo: moltissime professionalità di alto livello, infatti, non vengono prese in considerazione e si tende, anzi, a tagliare proprio quei «discontinui» che, invece, sono fondamentali;
   in particolare, esiste un assurdo limite di età, 37 anni, superato il quale diviene impossibile l'assunzione anche di chi sta prestando servizio nel corpo dei vigili del fuoco come discontinuo da molti anni, accumulando un'esperienza che non deve essere sprecata per cavilli burocratici;
   intervenendo concretamente su sprechi e spese inutili, invece, sarebbe possibile procedere in tempi rapidi all'assunzione a tempo indeterminato di queste figure professionali, cancellano un'ingiusta condizione di precarietà da parte di chi da tempo sta lavorando per affrontare le numerose emergenze di un Paese strutturalmente fragile, e dall'altra contribuendo a risollevare, almeno in parte, i numeri deficitari del personale dei vigili del fuoco cui si è fatto riferimento poco sopra;
   il tema dei discontinui va, comunque, affrontato. Qualora fosse impossibile assumere a tempo indeterminato il personale precario del corpo dei vigili del fuoco che ha già prestato servizio sino ad oggi, sarebbe utile prevedere percorsi semplificati per assunzioni nel pubblico impiego e nel privato, utilizzando l'addestramento, le conoscenze e le esperienze acquisite nel soccorso e nelle emergenze, come bagaglio professionale da sfruttare come titolo in più per qualsiasi posto di lavoro;
   sarebbe anche possibile pensare all'estensione della riserva di posti in tutti i concorsi della pubblica amministrazione, così come già previsto per i volontari delle forze, con la differenza che i discontinui del corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno una formazione per quel che riguarda l'antincendio e la gestione dell'emergenza che possono essere utilissimi in ogni posto di lavoro;
   numerosi sono i discontinui che lavorano da almeno venti anni nel corpo nazionale dei vigili del fuoco. Si tratta con tutta evidenza di un lavoro usurante che dovrebbe consentire uno scivolo pensionistico per coloro che, dopo così tanto tempo di lavoro precario, intendessero andare in pensione, anche tenendo conto del fatto che nel corso degli anni il numero di giorni di lavoro di molti di questi discontinui è sceso sotto il 78 giorni annui, soglia minima per la mini-Aspi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza non ritengano necessario agire per affrontare concretamente una situazione, quella dei cosiddetti «discontinui» del corpo nazionale dei vigili del fuoco che non solo costringe moltissime persone valide a vivere una vita di costante precarietà, in un lavoro certamente non facile quale quello di vigile del fuoco, ma che se affrontata con mezzi concreti, potrebbe contribuire in modo significativo alla risoluzione del gravissimo deficit di personale nel corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-08874)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno ha avvertito da sempre l'esigenza di non disperdere le professionalità acquisite dal personale volontario negli anni di servizio. Ciò è testimoniato, da un lato, dalla previsione a regime, in favore di tale categoria, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco; dall'altro, dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto del 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Tale procedura, che è derogatoria del principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, è ancora aperta e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2016, in virtù della concorde volontà del Parlamento e del Governo.
  A tutt'oggi, essa ha consentito di immettere nei ruoli dei vigili del fuoco permanenti oltre 3 mila volontari e consentirà di immetterne altri 300 nel secondo semestre dell'anno in corso, nell'ambito dell'operazione di incremento della dotazione organica di cui all'articolo 3, comma 3-
nonies, del decreto-legge n. 90 del 2014. Inoltre, fino alla data di validità della graduatoria di stabilizzazione (fissata attualmente – come detto – al 31 dicembre 2016), il 50 per cento delle assunzioni nella qualifica di vigile del fuoco, che potranno essere effettuate a titolo di turn over, saranno riservate ai volontari utilmente collocati nella graduatoria medesima.
  Ai fini di ulteriori stabilizzazioni, saranno necessari, invece, mirati interventi legislativi, che dovranno farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria, oltreché di realizzare un equilibrato bilanciamento delle varie aspirazioni e interessi coinvolti.
  Per quanto concerne l'età, si rappresenta che il limite di 37 anni per la partecipazione dei concorsi riservati ai vigili volontari è espressamente disciplinato dalla legge n. 246 del 2000, concernente il «Potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco».
  Si tratta, peraltro, di un limite significativamente superiore a quello richiesto dal concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco permanente (30 anni), proprio in considerazione dell'esperienza maturata dai vigili volontari nel Corpo nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della partita AS Roma-Feyenoord Rotterdam, tenutasi il 19 febbraio 2015, la presenza di facinorosi giunti a Roma a seguito della tifoseria della squadra ospite ha provocato, nelle ore precedenti allo svolgimento della competizione, un grave turbamento dell'ordine pubblico che ha portato a danni consistenti, alla deturpazione di vaste aree della città e a danneggiamenti che, hanno coinvolto anche monumenti di particolare interesse storico e culturale, come la fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna;
   per la suddetta fontana sono state prodotte delle conseguenze definiti come «irreparabili» dagli esperti;
   a seguito degli scontri e alle polemiche che sono seguite, tra cui le accuse del sindaco Ignazio Marino ai responsabili dell'ordine pubblico, il questore di Roma, convocava, il 20 febbraio 2015, una conferenza stampa con gli altri vertici delle forze dell'ordine;
   in essa dichiarava, secondo le agenzie stampa, «preferisco lattine, sporcizia qualche segno sul muro in più, sentir dire che la Polizia ha ritardato a intervenire, piuttosto che rischiare di innescare una débàcle nella piazza, perché io, signori, di morti non ne faccio»;
   aggiungeva poi «abbiamo portato i tifosi allo stadio e li abbiamo fatti uscire in condizione di totale sicurezza, tornando indietro rifarei le stesse scelte» –:
   se condivida quanto dichiarato dal questore di Roma Nicolò D'Angelo, ossia che le forze di polizia, nell'occasione sopra descritta, non potessero agire in altro modo;
   se conseguentemente, sia lecito attendersi, durante prossime manifestazioni sportive che coinvolgano numeri significativi di facinorosi, ulteriori casi in cui il Ministero dell'interno non possa offrire garanzie sulla salvaguardia del decoro urbano e dei monumenti. (4-08085)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto l'interrogante, nel richiamare l'attenzione sugli incidenti avvenuti a Roma in occasione dell'incontro di calcio Roma-Feyenoord del 19 febbraio scorso, ha rivolto al Ministro dell'interno alcune sollecitazioni relative all'efficacia dei servizi di polizia in occasione di eventi sportivi.
  Si ritiene opportuno, innanzitutto, riassumere i fatti oggetto dell'interrogazione, al fine di evidenziare la professionalità, l'impegno e l'equilibrio dimostrati dalle forze di polizia nell'occasione.
  L'incontro di calcio in questione è stato oggetto di attenta preparazione sotto il profilo del dispositivo di ordine pubblico da mettere in campo prima, durante e dopo la manifestazione.
  Già dal mese di gennaio erano giunte segnalazioni da parte degli organismi di polizia olandese sulla circostanza che l'incontro con il Feyenoord avrebbe potuto attirare nella capitale più di 5.000 supporter della squadra di Rotterdam, di cui circa 250 considerati particolarmente pericolosi.
  La collaborazione internazionale di polizia è stata attivata per tempo ed è anche proseguita nel corso degli eventi, come dimostra il fatto che sei funzionari olandesi sono stati inviati al seguito della squadra.
  In considerazione del notevole afflusso di tifosi stranieri, il dispositivo di sicurezza ha previsto l'intensificazione dei controlli di polizia nei punti nevralgici della città, in particolare, per il filtraggio delle tifoserie e l'immediata individuazione di persone e gruppi potenzialmente pericolosi. Misure precauzionali sono state disposte anche con riferimento ai luoghi di transito dei tifosi olandesi, considerato peraltro che il loro arrivo a Roma è avvenuto con vari mezzi di trasporto e in gruppi sparsi.
  Il piano di sicurezza prevedeva che i supporter olandesi venissero convogliati nel
meeting point istituito dalla questura di Roma presso piazzale delle Canestre, all'interno di villa Borghese, e che da lì si dirigessero ordinatamente verso l'Olimpico scortati da personale delle Forze dell'ordine, anche per evitare il contatto con frange dei gruppi ultrà romanisti e dare vita a possibili scontri.
  Il pericolo maggiore era rappresentato da possibili agguati che, secondo le informazioni disponibili, sarebbero potuti avvenire lungo la via Flaminia nel caso che gruppi di supporter olandesi avessero deciso, come era stato preannunciato, di dirigersi a piedi verso lo stadio Olimpico.
  Tale rischio è diventato concreto allorché migliaia di tifosi olandesi (circa 3.000), venuti spontaneamente e a piccoli gruppi a radunarsi in piazza di Spagna, manifestavano l'intenzione di mettersi in marcia e muovere il corteo verso l'Olimpico, passando per piazza del Popolo e percorrendo proprio via Flaminia. È in questo frangente che gli operatori di polizia hanno profuso il loro sforzo per indirizzare i tifosi presso il prestabilito punto di raccordo, incanalandoli nella attigua via di San Sebastianello, allo scopo di evitarne il passaggio per la scalinata di Trinità dei Monti.
  Mentre una metà della tifoseria olandese si indirizzava, secondo le istruzioni impartite, verso piazzale delle Canestre, l'altra metà, in evidente stato di ebbrezza, invece, intenzionata a non ottemperare, dava vita ad un fitto lancio di oggetti contundenti, bombe carta e fumogeni all'indirizzo delle forze dell'ordine, costrette a quel punto ad azioni di alleggerimento.
  I tafferugli provocati dal comportamento aggressivo delle frange più violente della tifoseria olandese avvenivano in pieno centro e in un'ora di punta, quando piazza di Spagna registra di solito uno dei picchi più alti di passanti e turisti.
  In questo momento sono stati compiuti atti di vandalismo ed è stato deturpato il monumento della «Barcaccia».
  Nell'occasione Roma era presidiata, oltre che dal dispositivo ordinario di controllo territoriale, da un'aliquota aggiuntiva di 1.800 uomini della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza, dei quali un terzo era preposto al controllo del centro storico, dove si era andata concentrando la presenza della tifoseria olandese e dove sono scoppiati gli scontri.
  L'azione delle forze di polizia, rigorosamente improntata alla regola del contenimento del danno – soprattutto in considerazione del fatto che vi era in gioco l'incolumità dei cittadini, del tutto estranei agli scontri e inconsapevoli del pericolo –, ha comunque portato a neutralizzare alcuni degli hooligan più violenti: sei olandesi, infatti, sono stati tratti in arresto e deferiti all'autorità giudiziaria per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. I provvedimenti sono stati tutti convalidati e il gip ha accolto la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora a Roma, eseguita nelle ore successive. Diciannove agenti delle Forze dell'ordine e cinque tifosi sono rimasti contusi nei tafferugli.
  Anche nelle serate precedenti, del 17 e del 18 febbraio, le intemperanze dei tifosi olandesi, avvenute a Campo de’ Fiori, sono state affrontate con lo stesso tipo di approccio, e, nell'occasione sono stati arrestati 23 supporter del Feyenoord, giudicati dal tribunale di Roma con rito direttissimo e condannati per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e rissa. Nei loro confronti è stata anche applicata la misura cautelare del divieto di dimora nel territorio del comune di Roma e, a carico di 22 di essi, è stato emesso il provvedimento di divieto di accesso a manifestazioni sportive, noto come DASPO.
  Lo svolgimento della partita è avvenuto in una cornice di compostezza e senza che si registrassero fatti di rilievo o di significato particolare per l'ordine pubblico, grazie anche all'imponente dispositivo di controllo concentrato nelle adiacenze dell'Olimpico e lungo le vie di accesso allo stadio.
  In merito alle iniziative finalizzate ad evitare il ripetersi di episodi del genere, posso assicurare che l'impegno delle Forze di polizia nel contrasto e nella prevenzione del fenomeno della violenza in occasione di eventi sportivi è ai massimi livelli.
  Ricordo, innanzitutto, che è attivo da tempo un articolato sistema di governo delle manifestazioni sportive sotto i profili dell'ordine e della sicurezza pubblica.
  Il sistema è imperniato, a livello centrale, sull'osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, che tra i suoi molteplici compiti annovera anche quello della valutazione del rischio dell'evento sportivo, partita per partita.
  Quando la manifestazione è considerata di particolare rilievo sotto il profilo del rischio, entra poi in azione un apposito organismo interforze e interdisciplinare, il comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive, che provvede a tenere i necessari contatti con le autorità provinciali di pubblica sicurezza e a diramare le direttive occorrenti per la gestione dell'evento.
  Inoltre, a livello periferico, da tempo sono operative, presso le Digos di tutta Italia, unità specializzate della polizia di stato che mantengono una costante attenzione sul fenomeno e contatti con società e tifoserie.
  Si tratta di un sistema collaudato che ha prodotto risultati apprezzabili in termini di drastica riduzione di scontri e feriti e di incremento dei provvedimenti di deferimento all'autorità giudiziaria, in particolare a seguito delle rigorose misure legislative adottate nel 2007 dopo i gravi fatti della partita Catania-Palermo, che provocarono la morte dell'ispettore capo Filippo Raciti.
  Si confida ora che il provvedimento adottato in via d'urgenza lo scorso anno possa aiutare ancor di più le autorità pubbliche a stroncare il tentativo di far rientrare la violenza devastatrice negli stadi.
  Si fa riferimento al decreto-legge n. 119 del 2014 con cui sono state affinate le potenzialità applicative del DASPO e al contempo sono state introdotte soluzioni innovative, come il divieto di trasferta e la chiusura delle curve casalinghe.
  Soprattutto con queste ultime due misure, a cui si è fatto già ricorso, da un lato, con gli ultrà dell'Atalanta e, come detto, della Juventus, dall'altro, con gli ultrà di Roma, Lazio e Brescia, si è inteso colpire tutte le frange più pericolose ed estremiste, alla costante ricerca dello scontro fisico con le forze di polizia e le tifoserie contrapposte.
  Pur essendo prematuro stilare bilanci, nella corrente stagione calcistica sono stati conseguiti importanti risultati in termini di aumento dei DASPO emessi e di arresti effettuati, nonché di riduzione del numero dei feriti tra le forze di polizia tra i tifosi e tra gli
steward.
  Si tratta di dati confortanti, ma che comunque evidenziano il persistere di una sottocultura violenta e prevaricatrice sulla quale occorre intervenire anche con specifiche campagne sociali e di sensibilizzazione. L'osservatorio del Viminale non manca di attivare proprie iniziative anche in questo campo, favorendo l'interazione con le società, gli enti nazionali e quelli locali.
  Più in generale, l'obiettivo che il Governo intende perseguire è quello di restituire lo spettacolo calcistico ad una dimensione di normalità e serenità, che invogli anche ad una maggiore frequentazione e riporti le famiglie agli stadi.
  Per il suo pieno raggiungimento, il Ministero dell'interno conta sulla collaborazione delle società sportive che hanno tutto l'interesse a recidere i pericolosi intrecci con gli ambienti più violenti del tifo, liberandosi da ogni possibile forma di condizionamento in grado di lederne gli interessi commerciali e d'immagine.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Monica Sabatino, al cui nome era collegata la lista «Rosa Arcobaleno», è stata eletta sindaco di Amantea (Cosenza) alle ultime consultazioni amministrative del 25 maggio 2014;
   il di lei padre, Giuseppe Sabatino, è responsabile del settore finanziario del comune di Amantea e vicesegretario generale dell'ente;
   l'incarico di vicesegretario generale fu conferito al Sabatino con delibera di giunta municipale del 16 gennaio 1992, senza alcuna interruzione del medesimo, come risulta da apposito documento, protocollo n. 12095 del 25 luglio 2014, rilasciato dal segretario generale del comune di Amantea, dottoressa Maria Luisa Mercuri, al consigliere comunale in carica Francesca Menichino, del Movimento Cinque Stelle;
   nella veste di segretario generale vicario e quindi di notaio del comune di Amantea, il Sabatino – figura in atti del municipio – ha firmato diversi contratti e verbalizzato consigli e giunte comunali, esercitando in costanza temporale le funzioni proprie del ruolo, sia in assenza del segretario generale titolare che durante la cessazione della convenzione «Segreteria comunale Comuni di Amantea, Falerna, Cleto e San Lucido», costituita dal comune di Amantea con deliberazione consiliare del 21 novembre 2013, che prevedeva un unico segretario generale per tutti gli enti sottoscrittori, rimanendo sempre in carica, per il municipio di Amantea, il vicesegretario generale Sabatino;
   il comune di Amantea prese atto della suddetta cessazione con deliberazione del consiglio comunale del 17 aprile 2014, presieduto da Monica Sabatino nella sua veste di presidente dell'organismo municipale;
   il 25 aprile 2014 è iniziata ad Amantea la campagna elettorale per il rinnovo degli organi di governo locale;
   con proprio decreto del 22 maggio 2014, il prefetto di Catanzaro prese atto della stipula di nuova convenzione di segreteria comunale unica, sottoscritta dai comuni di Falerna (Catanzaro), Amantea e Cleto (Cosenza) in data 5 maggio 2014;
   la deliberazione n. 70 del 14 maggio 2014, avvenuta in vacatio del segretario generale Mercuri, conseguente all'avvenuta cessazione del riferito accordo fra comuni, porta espressamente la firma di Giuseppe Sabatino quale «segretario generale» del comune;
   la candidata Monica Sabatino, proprio a seguito dell'esame di eleggibilità e di compatibilità degli eletti di cui alla deliberazione consiliare n. 12 del 10 giugno 2014, ha potuto assumere le funzioni di sindaco del comune di Amantea;
   nella fattispecie, a parere dell'interrogante si ravvisa in tutta evidenza la violazione dell'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel), che stabilisce che non può essere eletto alla carica di sindaco chiunque abbia «ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di segretario comunale o provinciale»;
   la ratio della predetta norma sta nell'escludere a priori eventuali alterazioni del fatto democratico delle elezioni, che potrebbero derivare da parenti o affini di secondo grado che ricoprano il ruolo di segretario generale;
   nel rispondere all'esposto del consigliere comunale Menichino, del Movimento Cinque Stelle, la prefettura di Cosenza, con nota del 24 luglio 2014, ha significato che la norma di cui all'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel), abbisogna di verifica «delle situazioni di fatto riscontrate presso gli enti locali», così rivolgendosi al Ministero dell'interno per un parere di merito;
   dagli atti che l'interrogante ha potuto visionare non vi è dubbio alcuno sul fatto, riscontrato e riscontrabile, che Giuseppe Sabatino, padre dell'eletto sindaco Monica Sabatino, abbia esercitato dal 1992 le funzioni di segretario generale del comune di Amantea, in particolare non da vicario ma da effettivo facente funzioni nel suddetto periodo di vacatio del segretario generale titolare Maria Luisa Mercuri –:
   se non ritenga di promuovere con urgenza l'azione ex articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, affinché sia riconosciuta l'ineleggibilità di Monica Sabatino alla carica di sindaco di Amantea, per violazione dell'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel). (4-05796)


   NESCI, PARENTELA, DIENI, COLONNESE, DADONE, CARINELLI, SPESSOTTO, SIBILIA, DI BATTISTA, FRUSONE, SPADONI, GRANDE, DEL GROSSO, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, TOFALO, TERZONI, DAGA, GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, DA VILLA, PRODANI, FANTINATI, VALLASCAS, PESCO, CIPRINI, RIZZETTO, MUCCI, D'AMBROSIO, LUIGI DI MAIO, FRACCARO, FICO, BARONI, DALL'OSSO, CECCONI, BATTELLI, D'UVA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, GRILLO, FERRARESI, BARBANTI, ALBERTI, VILLAROSA, PISANO, CANCELLERI, BRUGNEROTTO, MARZANA, LOMBARDI, TONINELLI, COZZOLINO, CHIMIENTI, PETRAROLI e CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2014, intorno alle ore 12,45, proprio alla vigilia della seduta del consiglio comunale di Amantea (Cosenza), convocato in via straordinaria per venerdì 8 agosto con all'ordine del giorno le tariffe di Tasi e Tare nonché le linee programmatiche del bilancio dell'ente, il consigliere Francesca Menichino, del Movimento Cinque Stelle, si è recata negli uffici municipali per chiedere lo schema di delibera relativo ai costi dei suddetti servizi;
   lì, come da allegata esposizione dei fatti redatta e protocollata presso i carabinieri della locale stazione, il suddetto consigliere comunale ha raggiunto, accompagnata dal dottor Carlo Diana del Meet Up di Amantea, l'ufficio del responsabile del settore finanziario, dottor Giuseppe Sabatino, padre del sindaco pro tempore Monica Sabatino;
   insieme al Diana, Menichino ha chiesto copia dello schema summenzionato;
   di seguito, il Sabatino avrebbe risposto che non era in possesso del richiesto schema di delibera, poiché l'aveva in unica copia soltanto l'assessore comunale al ramo, Sergio Tempo;
   risulta agli interroganti che a richiesta di delucidazioni da parte del Diana, Sabatino avrebbe alzato il tono della voce, inspiegabilmente dirigendosi, indispettito, verso l'interlocutore, e quindi avrebbe colpito con uno schiaffo il consigliere Menichino, infine accorrendo dipendenti comunali e lo stesso sindaco;
   risulta poi che visibilmente scossa e scioccata, Menichino si sia diretta presso il pronto soccorso di zona, accompagnata dal Diana;
   con interrogazione a risposta scritta n. 4-05796, presentata nella seduta della Camera n. 280 del 6 agosto 2014, l'odierna interrogante ha chiesto al, Ministro dell'interno «se non ritenga di promuovere con urgenza l'azione ex articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, affinché sia riconosciuta l'ineleggibilità di Monica Sabatino alla carica di sindaco di Amantea, per violazione dell'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel)»;
   la predetta richiesta è stata formulata in considerazione del fatto che, a parere dell'interrogante, non vi è dubbio, scorrendo gli atti del comune di Amantea, che Giuseppe Sabatino, padre dell'eletto sindaco Monica Sabatino, abbia esercitato dal 1992 le funzioni di segretario generale del comune di Amantea, non da vicario ma da effettivo facente funzioni in diverse e documentate circostanze;
   per quanto testé rappresentato, a parere dell'interrogante si configura l'ipotesi di ineleggibilità del sindaco, nella fattispecie Monica Sabatino, prevista dal succitato articolo 61 del Testo unico degli enti locali;
   Menichino ha esperito azione formale, come risulta anche da notizie stampa, per il riconoscimento della riferita ineleggibilità, su cui le testate giornalistiche calabresi hanno riportato le iniziative, anche parlamentari, del Movimento Cinque Stelle;
   in più circostanze l'odierna interrogante e il consigliere Menichino hanno rilevato in pubblico – come pure risulta alle cronache della stampa calabrese – un atteggiamento non collaborante e politicamente ostile da parte del sindaco di Amantea, in relazione alla vicenda del sequestro del porto della città, per cui è pendente un'altra interrogazione parlamentare firmata anche dall'odierna interrogante e nella quale vicenda si inseriscono fatti di criminalità organizzata già rilevati dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nell'ambito dell'operazione cosiddetta Nepetia;
   come risulta alle cronache locali, lo scorso 19 luglio, in piazza del Commercio ad Amantea, la consigliera Menichino e l'interrogante hanno discusso pubblicamente del caso del porto di Amantea, in una specifica iniziativa in cui hanno anche considerato i doveri precipui dell'istituzione comune  –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, in relazione alla vicenda che ha visto coinvolta il consigliere Menichino nell'esercizio delle proprie funzioni, alla luce di quanto esposto in premessa.
(4-05879)

  Risposta. — A seguito delle ultime consultazioni amministrative tenutesi in data 25 maggio 2014, è stata proclamata eletta alla carica di sindaco del comune di Amantea la dottoressa Monica Sabatino.
  In sede di prima riunione del consiglio comunale, indetto ai fini della convalida degli eletti contestualmente alla verifica della sussistenza di eventuali cause di incompatibilità alle cariche elettive, è stata sollevata eccezione di ineleggibilità nei confronti della neo eletta sindaco, ai sensi delle disposizioni dell'articolo 61 del decreto legislativo n. 267/2000 (Testo Unico Ordinamento Enti locali). A conclusione della seduta, il Consiglio comunale ha respinto l'eccezione.
  All'esito dell'istruttoria esperita dopo un esposto sull'argomento, è emerso che la neo eletta sindaco è effettivamente legata da rapporto di diretta parentela con il responsabile del settore economico finanziario del comune di Amantea, nonché vicesegretario comunale in caso di assenza od impedimento della titolare dell'ufficio di segreteria.
  Tanto premesso in via di fatto, si osserva quanto segue.
  Le cause di ineleggibilità sono previste allo scopo di garantire l'uguale e libera espressione del voto tutelata dall'articolo 48, primo comma, della Costituzione, rispetto a qualsiasi possibilità di
captatio benevolentiae esercitarle dal candidato o di metus potestatis nei confronti dello stesso. Il fondamento costituzionale delle stesse va anche ravvisato nell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, dal quale si desume che il diritto di accesso alle cariche elettive non è incondizionato, ma può essere esercitato solo in presenza dei requisiti stabiliti dalla legge.
  Inoltre, per giurisprudenza costante (Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Corte di cassazione, Sezione I civile, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504), le norme del Testo Unico Ordinamento Enti locali in materia di incompatibilità ed ineleggibilità degli amministratori degli enti locali, sostanziandosi in una limitazione del diritto di elettorato passivo, sono di stretta interpretazione ed applicazione.
  Per questo motivo e atteso che l'articolo 61 del Testo Unico Ordinamento Enti locali fa esclusivo riferimento, ai fini dell'ineleggibilità, alla figura del «segretario comunale o provinciale», si ritiene ragionevolmente non configurabile, nel caso di specie, la prospettata causa ostativa all'assunzione del mandato elettorale.
  Ciò anche in virtù della considerazione che il segretario comunale ha una stabilità o quanto meno un'abitualità di svolgimento di mansioni che non appare ravvisabile con riguardo alla figura del vicesegretario comunale, il quale, come è noto, è istituzionalmente deputato a svolgere le mansioni di segretario comunale solo in caso di assenza o impedimento temporaneo di quest'ultimo (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 13 marzo 1997, n. 2258).
  La predetta opzione ermeneutica ha trovato conferma nell'ordinanza emessa nella causa civile iscritta al n. 1392 del ruolo generale del 2014, con la quale il Tribunale di Paola, investito della questione in argomento, ha ritenuto che le figure del segretario e del vice segretario comunale non siano sovrapponibili, né sotto il profilo normativo né dal punto di vista funzionale e non siano, pertanto, equiparabili ai fini dell'operatività della causa ostativa contemplata dal più volte citato articolo 61.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Cariati ha inteso aderire alla procedura di Riequilibrio Finanziario Pluriennale di cui agli articoli 243-bis s.s. del Testo Unico Enti Locali con i seguenti provvedimenti: Delibera di Giunta Municipale n. 028 del 14 marzo 2013: «Adesione alla procedura di Riequilibrio Finanziario Pluriennale – Proposta di deliberazione consiliare»; Delibera di C.C. n. 05 del 23 marzo 2013: «Adesione alla procedura di Riequilibrio Finanziario»; Delibera di C.C. n. 19 del 22 maggio 2013: «Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale – Approvazione»; Delibera di C.C. n. 31 del 21 ottobre 2013 «Piano di Riequilibrio Pluriennale – Rideterminazione per gli effetti del decreto-legge n. 35 del 2013»;
   ai sensi del comma secondo, articolo 243-bis Tuel, la deliberazione n. 19 del 2013 di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è stata trasmessa, nel termine previsto di 5 giorni dalla data di esecutività della stessa, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno;
   nonostante il comma primo, dell'articolo 243-quater preveda che la Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali del Ministero dell'interno, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione del piano, debba svolgere la necessaria istruttoria, ad oggi non si conosce l'esito della procedura avviata;
   la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione Catanzaro, n. 904/2013 confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 00209/2014 depositata in data 17 gennaio 2014 ha annullato la delibera del Consiglio comunale di Cariati n. 63 del 29 novembre 2012 con oggetto «Salvaguardia degli Equilibri di Bilancio e Ricognizione Stato di Attuazione dei Programmi esercizio 2012 – articolo 193 decreto legislativo n. 267 del 2000», nonché ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, tra cui certamente sono ricomprese le delibere consiliari n. 19 del 22 maggio 2013, n. 31 del 21 ottobre 2013;
   il comune di Cariati avrebbe disatteso il Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale con l'adozione di successive delibere consiliari non rispettose degli impegni assunti: su tutte la delibera consiliare n. 31 del 21 luglio 2014 avente ad oggetto «approvazione Rendiconto Finanziario Esercizio 2013» con il quale si evincerebbe un notevole peggioramento del disavanzo di amministrazione del 2013 rispetto a quello dell'anno: precedente (disavanzo 2012: euro 1.251.599,41; disavanzo 2013: euro 1.866.445,40);
   la delibera n. 31 del 2014, ad esempio avrebbe subito pareri negativi tecnico-contabili da parte del responsabile dell'area finanziaria comunale;
   nel Rendiconto di Bilancio 2013 e nel Bilancio di Previsione 2014 del comune di Cariati risulterebbe erroneamente contabilizzata l'anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2013;
   alcuni consiglieri di minoranza dell'Ente avrebbero già informato e trasmesso tutti gli atti della vicenda agli organi preposti della Prefettura di Cosenza, del Ministero dell'interno, della Sezione Regionale e della Procura Regionale della Corte dei Conti della Calabria –:
   quali iniziative di competenza si intendano adottare in relazione al processo di indebitamento del comune di Cariati ed al fine di ottenere la conclusione dell’iter amministrativo-contabile evidenziato in premessa ed avviato ai sensi dell'articolo 243-bis. (4-07432)

  Risposta. — In relazione a quanto rappresentato dell'interrogante si fa presente che il 29 novembre 2012 il consiglio comunale di Cariati ha adottato, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico enti locali), la delibera n. 63 avente ad oggetto la salvaguardia degli equilibri di bilancio e la ricognizione dello stato di attuazione dei programmi per l'anno 2012. La stessa è stata annullata con la sentenza del TAR di Catanzaro n. 904 del 2013, di seguito confermata con la sentenza del Consiglio di Stato n. 209 del 2014.
  All'esito di tali contenziosi ed in esecuzione ai relativi giudicati, la Prefettura di Cosenza ha attivato tutte le procedure di competenza che si sono concluse, dopo la formale diffida all'Ente, con la riapprovazione da parte del predetto consiglio comunale – con delibera n. 18 del 16 maggio 2014 – della delibera precedentemente annullata.
  Successivamente, in sede di verifica dell'approvazione del conto consuntivo per l'anno 2013, essendo stata accertata l'inadempienza dell'ente entro i termini di legge, la Prefettura – ai sensi dell'articolo 141, comma 2, del citato testo unico enti locali – in data 1o luglio 2014, ha emanato nei riguardi dell'ente una nuova diffida a provvedere. Anche in questo caso l'amministrazione comunale di Cariati ha provveduto nei termini della diffida, adottando la delibera di approvazione n. 31 del 21 luglio 2014.
  Quanto appena detto testimonia dell'attenzione con cui la Prefettura di Cosenza sta seguendo la complessa vicenda del Comune di Cariati, che è stata oggetto, peraltro, di numerosi esposti e segnalazioni da parte dei consiglieri di minoranza.
  Al momento, l'assiduo monitoraggio della situazione finanziaria dell'ente e dei relativi equilibri di bilancio non ha evidenziato la sussistenza delle condizioni per l'applicazione delle disposizioni del testo unico enti locali relative alla sospensione del consiglio comunale per il successivo scioglimento dello stesso.
  Per quanto riguarda la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico enti locali, si fa presente che il comune di Cariati ha aderito alla medesima con delibera del consiglio comunale n. 5 del 23 marzo 2013 e, il 13 maggio dello stesso anno, ha chiesto di accedere al fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali (articolo 243-ter del testo unico enti locali). Successivamente, l'ente ha approvato (delibera n. 19 del 22 giugno 2013) il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRF) con durata decennale 2013-2022.
  Il 9 luglio 2013 la Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali (di cui agli articoli 155 del testo unico enti locali e 3 del decreto-legge n. 174 del 2012) ha approvato la dotazione organica. Con delibera n. 31 del 21 ottobre 2013 (adottata ai sensi dell'articolo 1, comma 15, del decreto-legge n. 35 del 2013) l'amministrazione comunale ha rimodulato il PRF.
  Successivamente, in data 26 giugno 2014, il comune di Cariati ha perfezionato il contratto con la Cassa depositi e prestiti e, di conseguenza, ha ulteriormente rimodulato il PRF.
  Il 17 giugno 2015 il piano è stato approvato dalla predetta Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali e il successivo 30 giugno è stato inoltrato alla Corte dei Conti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PAGANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sui treni e nelle stazioni vi è stata, in questi anni, una crescita dei fenomeni di criminalità come aggressioni, furti, rapine e atti vandalici gravi e negli ultimi tempi si sono susseguiti episodi in cui personale ferroviario ha subito atti di violenza mentre stava svolgendo le proprie mansioni;
   i tagli operati dallo Stato hanno avuto gravi ricadute, in termini di risorse e di strumentazione, che hanno portato ad una progressiva chiusura dei posti di polizia ferroviaria, tanto da generare l'impossibilità di richiedere interventi della PolFer su alcuni tragitti a causa della mancanza di presidi sulle tratte effettuate dai treni;
   vi è stata una riduzione eccessiva del personale che si trova, il più delle volte, da solo in situazione di emergenza in quanto l'equipaggio del treno è spesso composto da un unico macchinista alla guida del treno ed un unico capotreno sul resto del convoglio, condizione che non è sufficiente a garantire la sicurezza dei lavoratori stessi né quella degli utenti;
   tali condizioni hanno compromesso l'ordinario e sereno svolgimento delle attività del personale viaggiante e la percezione degli utenti circa la sicurezza dei convogli –:
   se siano in programma interventi volti all'individuazione delle situazioni di rischio per adottare misure idonee a ripristinare condizioni di sicurezza che garantiscano l'incolumità di agenti e viaggiatori. (4-09882)

  Risposta. — La questione posta dall'interrogante, riguardante la sicurezza sia dei viaggiatori che del personale in servizio sui treni, attiene a un settore strategico per la mobilità nel paese caratterizzato da imponenti volumi di traffico.
  Sono infatti più di tre milioni e mezzo le persone che quotidianamente transitano nelle oltre 2.500 stazioni italiane ed oltre 8.000 i convogli giornalmente circolanti sulle linee ferroviarie nazionali.
  La sicurezza delle persone è garantita da 4.400 unità della Polizia ferroviaria attraverso assidui e mirati controlli, in coordinamento con le altre Forze di polizia territorialmente presenti.
  Nel primo semestre del corrente anno, sono stati effettuati quasi centomila servizi di vigilanza presso le stazioni ferroviarie; oltre 25 mila servizi di scorta a bordo treno, quasi 8 mila servizi antiborseggio in abiti civili e oltre 16 mila pattugliamenti lungo le linee ferroviarie.
  Sono, altresì, assicurati quotidianamente servizi a bordo dei convogli notturni.
  Si rappresenta, inoltre, che i servizi di vigilanza sono stati intensificati soprattutto su quei convogli ed in quelle tratte ove si sono rilevate maggiori criticità.
  A tal fine, con cadenza mensile, o all'insorgere di problematicità, sono individuati, congiuntamente alle componenti delle Ferrovie dello Stato italiane, i treni ritenuti critici sulla base dell'indice di delittuosità e dell'esposizione degli stessi a potenziale rischio di aggressioni.
  La Polizia ferroviaria provvede ad effettuare scorte mirate sui convogli segnalati, nonché servizi negli scali ferroviari interessati dal transito dei convogli medesimi, realizzando in tal modo un efficace dispositivo di filtraggio già all'atto della partenza.
  Grazie alle misure messe in campo, nel primo semestre di quest'anno si è registrata una riduzione degli episodi di criminalità predatoria, con un calo dei furti del 7 per cento rispetto ad analogo periodo del 2014.
  Gli altri dati di delittuosità lasciano emergere una diminuzione dei furti di rame, del lancio di oggetti contro i treni, delle frodi ai danni delle imprese ferroviarie e l'aumento di altri fenomeni come i danneggiamenti e le aggressioni al personale ferroviario, a fronte invece di un calo degli episodi di aggressione ai danni dei viaggiatori.
  Riguardo a quest'ultimo aspetto – le aggressioni –, si informa che, nella quasi totalità dei casi, i responsabili di condotte criminose sono stati tratti in arresto e deferiti all'autorità giudiziaria sia dagli operatori della Polizia ferroviaria che da quelli di altre Forze di polizia.
  Nel contesto appena delineato, risultano essenziali sia le sinergie informative ed operative con le imprese ferroviarie, sia le tecnologie a disposizione, tanto come fattore deterrente quanto per l'individuazione di eventuali responsabili di atti illeciti.
  Al riguardo, risulta attivo un numero telefonico di emergenza «1600» che mette in contatto diretto il personale ferroviario con la sala operativa della Polizia ferroviaria più vicina per garantire un intervento più immediato delle pattuglie.
  Inoltre, molte stazioni ferroviarie e taluni treni sono dotati di impianti di video sorveglianza.
  Infine, si informa che, in concomitanza con il periodo estivo e il conseguente maggior afflusso di viaggiatori, è stata disposta un'ulteriore intensificazione dei servizi di specialità. Inoltre, la Polizia ferroviaria e le Ferrovie dello Stato italiane hanno rilanciato una campagna di sensibilizzazione per richiamare l'attenzione dell'utenza ferroviaria sui comportamenti maggiormente esposti al pericolo di furti o truffe.
  Si ritiene che il quadro delle misure e dei risultati appena illustrati testimoni dell'attenzione che questa amministrazione rivolge alla sicurezza lungo la rete ferroviaria nazionale.
  Il Ministero dell'interno è impegnato a raggiungere standard sempre più elevati sia facendo leva sul consolidamento della collaborazione con le imprese ferroviarie sia, in prospettiva, attraverso la riorganizzazione della Polizia ferroviaria alla luce del mutato scenario dei traffici, la cui fisionomia – come noto – è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute, da semplici luoghi di transito, punti di incontro e di allocazione di attività commerciali.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della «Procedura aperta volta alla conclusione di un accordo quadro tra la prefettura di Roma e più soggetti economici operanti nella Provincia di Roma, per il periodo 1° maggio 2015 – 31 dicembre 2015, per assicurare i servizi di accoglienza ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale e la gestione dei servizi connessi», sembra essere in atto anche la trasformazione della ex scuola privata Socrate, nel quartiere di Casale San Nicola, nel XV municipio per essere destinata ad ospitare circa un centinaio di profughi richiedenti asilo;
   l'edificio non possiede i requisiti necessari per ottenere l'abitabilità per così tante persone ed è ubicato in un luogo isolato e privo delle opere di urbanizzazione primaria;
   in particolare, manca l'illuminazione delle strade, il manto stradale è dissestato a causa della presenza sulle banchine di filari di pini, ed è assente la rete fognaria;
   nell'edificio non sono rispettate le condizioni minime di sicurezza sotto il profilo della prevenzione degli incendi, perché vi è un tetto in legno e manca l'alimentazione idrica adeguata per idranti;
   durante la risposta ad un atto di sindacato ispettivo, lo scorso 20 maggio il Ministro per le riforme costituzionali ha affermato che «con riferimento nello specifico alla frazione de La Storta, è noto che, tuttora, sono in corso verifiche e accertamenti proprio per garantire che la struttura che dovrà accogliere i migranti sia completamente a norma sia per quanto riguarda l'antincendio, sia per quanto riguarda l'urbanizzazione primaria. Quindi, sicuramente si stanno facendo tutti i controlli per garantire la sicurezza e la salute di tutti, da chi viene accolto a chi vive nella zona»;
   secondo quanto segnalato in un esposto presentato al XV Municipio di Roma nel cantiere non è esposto alcun cartello con le indicazioni specifiche dei lavori in corso e della responsabilità degli stessi. Sempre dallo stesso esposto si evince che tale mancanza deriverebbe dalla presentazione di una semplice CIL integrata poi da una CILA «la cui validità deve essere nulla laddove non vengano soddisfatti i requisiti nell'allegato prospetto vincoli;
   i residenti all'interno del comprensorio e nelle zone limitrofe hanno già sottoscritto una segnalazione nella quale evidenziano la propria preoccupazione in ordine al progetto, soprattutto con riferimento alla sicurezza nella zona;
   nell'area di Roma nord ci sono già uno dei più estesi campi nomadi sulla Via Tiberina, un Centro di accoglienza per immigrati sito in Via di Grottarossa e un sito di transito per rifugiati istituito all'interno del «Camping Tiber», a Primaporta;
   soprattutto nei primi due di questi centri si sono verificati con frequenza disordini, e si teme che la creazione di una ulteriore struttura di accoglienza, perlopiù in condizioni di estrema disagiatezza, possa portare il territorio a saturazione –:
   se non ritenga, in attesa dei risultati delle verifiche di compatibilità di cui alla risposta del Ministro, di valutare, per quanto di competenza, un sito alternativo. (4-09305)

  Risposta. — La problematica alla quale fa riferimento l'interrogante si inserisce in un contesto di tensione creatosi attorno al piano di sistemazione logistica dei richiedenti asilo. In particolare, l'interrogazione segnala la preoccupazione di alcuni residenti del quartiere romano di Casale San Nicola per l'impiego dell'edificio dell'ex scuola privata Socrate, quale struttura di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti asilo.
  Il malcontento è poi sfociato nei disordini che hanno avuto luogo il 17 luglio 2015, quando alcuni residenti del quartiere hanno inscenato una manifestazione contro il trasferimento di un gruppo di immigrati nella predetta struttura. Alla protesta hanno preso parte attiva anche elementi dell'estremismo di destra, che indossavano caschi da motociclista a scopo di travisamento.
  Nell'occasione, si è reso necessario l'intervento delle Forze di polizia volto a contrastare comportamenti che erano già trascesi a vie di fatto, concretandosi nella realizzazione di un blocco stradale per impedire il passaggio dei migranti, nell'armare una sassaiola all'indirizzo degli operatori di polizia e nel ferire, infine, un funzionario della Polizia di Stato e altri 13 poliziotti presenti sul posto.
  Occorre ricordare inoltre che l'individuazione della struttura ricettiva era avvenuta d'intesa con il Presidente del XIV municipio, dopo aver valutato l'inadeguatezza di altre soluzioni logistiche; sicché la comunità locale è stata coinvolta nella vicenda fin dall'inizio e attraverso il suo massimo rappresentante.
  Si rappresenta infine, su un piano più generale, che il prefetto di Roma, nella sistemazione logistica dei richiedenti asilo, sta operando secondo una logica di decongestionamento delle zone a maggiore concentrazione di migranti, utilizzando piccole strutture – spesso ubicate nei centri minori della provincia di Roma – dove possono risultare anche più agevoli le attività di integrazione. Si tratta di un'attività capillare che ha visto il prefetto recarsi di persona in diversi municipi della capitale, dove ha manifestato un'ampia e apprezzata disponibilità al dialogo e al confronto con le realtà locali.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già ne primi anni Duemila il dipartimento di epidemiologia dell'Asl RM/E, nel corso di un'analisi volta ad accertare lo stato di contaminazione causato dai rifiuti tossici degli insediamenti industriali esistenti nella Valle del Sacco, verificò che almeno cinquecento cittadini residenti a ridosso del fiume Sacco, tra le province di Roma e Frosinone, presentavano livelli nel sangue di beta esaclorocicloesano di molto superiori alla media. Delle 440 persone individuate e contattate, secondo le stime del tempo, il 55 per cento dei casi risultava contaminato in maniera praticamente irreversibile;
   il beta esaclorocicloesano (gb-HCH) è un prodotto di sintesi del lindano, un fitofarmaco bandito nel 2001 perché potenzialmente nocivo per la salute umana e animale e altamente inquinante. Il  gb-HCH ha una vita lunga, è solubile nei grassi e non può essere metabolizzato dal corpo umano. Pare che nelle donne possa venire espulso ma solo durante l'allattamento mettendo a rischio la salute del bambino. Un'acuta esposizione al  gb-HCH sia negli uomini che negli animali può provocare gravi danni al sistema nervoso centrale e molti studi correlano l'esposizione a questa sostanza tossica all'insorgere di diabete, di problemi funzionali alla tiroide e all'apparato riproduttivo. Lo stesso dipartimento dell'Asl RM/E rilevò allora un aumento del tasso dei tumori per quei lavoratori dell'area industriale di Colleferro, esposti a sostanze tossiche quali prodotti chimici e amianto;
   quella che emerse nella Valle del Sacco fu una vera e propria emergenza ambientale. Da qui, nel 2006, fu dichiarato lo «stato di emergenza socio-economico-ambientale» per la Valle del Sacco, e, in  particolare, per  i  comuni  di Colleferro, Gavignano, Segni, Paliano, Anagni, Sgurgola, Morolo, Supino, Ferentino, poi prorogato a più riprese fino ad oggi;
   il dato più preoccupante che emerge dallo studio citato è che la contaminazione non riguarda più solo le popolazioni che vivono a ridosso del fiume, si pensa che ancora avvenga anche attraverso la catena alimentare (carni, latte, verdure, formaggi), facendo temere così, a distanza di anni, un notevole aumento della popolazione contagiata o a rischio di contagio;
   fin dai primi del Novecento la zona della Valle del Sacco ha avuto uno sviluppo industriale non adeguatamente controllato, aiutato a partire dagli anni ’50 dal suo inserimento nelle aree finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno. Il grande afflusso di capitali e finanziamenti verso quelle aree indusse molte imprese chimiche e farmaceutiche a costruire impianti in quella zona. Già prima un'antica industria nazionale, la Snia Bdp, aveva lì il proprio stabilimento dove si mescolavano al fine di produrre esplosivi per le guerre mondiali, pesticidi e altro, sostanze chimiche molto dannose e amianto. Nel 1990 la procura di Velletri ordinò la perimetrazione e il sequestro dell'area industriale ex Bpd di Colleferro, scoprendo centinaia di fusti tossici interrati nelle discariche Arpa 1, Arpa 2 e Cava di Pozzolana. Nel 1992 inizia il processo a carico della Bpd Difesa e Spazio e della Chimica del Friuli con l'accusa di «stoccaggio e smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali», unito al timore che le sostanze tossiche interrate potessero aver contaminato la falda acquifera. Il procedimento si concluse con la condanna alla bonifica della zona. Dopo la chiusura della Snia Bpd, diverse altre industrie catalogate come pericolose sulla base della direttiva europea Seveso 2 hanno continuato ad operare nella zona;
   una testimonianza interessante fu quella di Luigi Mattei, operaio della zona di Colleferro dal 1962 al 1981, che raccontò come rifiuti di ogni tipo venivano condotti nelle discariche Arpa 1 e 2. Ricorda di avere lui stesso portato alle discariche fusti contenenti materiali liquidi tossici – fusti non sigillati, in molti casi arrugginiti e lesionati che venivano usati come semplici contenitori al solo scopo di trasportare i rifiuti di lavorazione – ma anche amianto, piombo, rame, zinco e resina. Il tutto veniva poi coperto da terreno preso dalle colline circostanti. Ricorda inoltre che molti rifiuti interrati venivano anche da altre fabbriche. Il signor Mattei sostiene, inoltre, che almeno fino al 1981 accanto ad ogni reparto di produzione (ad esempio, il reparto insetticida, agricolo, delle resine, dell'amianto) esistevano piccole discariche a cielo aperto dove venivano buttati i rifiuti di quella singola produzione. Oggi pare che quelle aree siano state coperte da nuove costruzioni, ma il signor Mattei, intervistato, non si sente di escludere che lì sotto possano trovarsi ancora resti di quei materiali tossici;
   sono numerosi, inoltre, i fattori di pressione antropica sull'importante via d'acqua rappresentata dal fiume Sacco. Sono 52 i comuni che consegnano i loro scarichi nel fiume Sacco o in qualche suo affluente, 27 completamente ed i restanti solo per una parte. Ed è subito evidente come sia fortissimo, eccessivo, il carico inquinante industriale: sul corpo idrico principale sono ben 88 gli scarichi industriali non trattati su un totale di 163 comprendendo quelli civili, oltre la metà quindi. È il più alto numero in assoluto per i 38 macro-bacini individuati dal recente piano di tutela delle acque della regione Lazio, con 663.458 gli abitanti equivalenti (AE) trattati da scarichi industriali, per un refluo annuo di oltre 17 milioni di metri cubi. Un altro primato del Sacco è quello relativo ai fondi necessari per l'ammodernamento degli impianti industriali: oltre 100 milioni di euro, la cifra più alta a livello regionale;
   a questi dati si aggiungono quelli relativi agli scarichi urbani e civili: sono 75 gli scarichi, 251.076 gli abitanti equivalenti, scarsamente depurati, visto che il 32,15 per cento della popolazione scarica direttamente nel fiume senza trattamento, e solo il 74,28 per cento della popolazione è servita da fognature. Visti questi dati non c’è da stupirsi nel trovare che in quattro stazioni sulle cinque monitorate i livelli degli indici di qualità delle acque siano davvero pessimi: l'IBE (indice biotico esteso), il LIM (livello inquinamento espresso da macrodescrittori) e il SECA (stato ecologico corsi acqua) sono sempre a valori elevatissimi, tra 4 e 5 che è il valore massimo;
   inquietanti sono anche i metri di schiuma bianca che più volte gli operatori dei telegiornali nazionali e regionali hanno filmato, anche nelle scorse settimane, nel fiume Sacco e che riportano alla mente i gravissimi fatti di inquinamento che hanno pesantemente colpito i cittadini, gli agricoltori e gli allevatori di quell'area, sin dal 2005;
   la prima segnalazione recente della presenza quest'anno di schiuma bianca sul fiume Sacco nella città di Ceccano risale al 23 marzo 2014, con il letto del fiume ricoperto da uno strato esteso di schiuma biancastra, che nel tratto del «Ponte Berardi» verso valle appariva ancora più visibile e compatto, tanto da nascondere quasi completamente il fluire dell'acqua del fiume. Da allora, nel mese di aprile e maggio 2014, quasi tutti i fine settimana si riscontra uno stato oleoso che galleggia sul fiume, con odori nauseabondi, l'ultima volta domenica, 18 maggio 2014. I sopralluoghi, le segnalazioni e gli esposti non sono riusciti fino ad ora a fermare il fenomeno, che sarebbe connesso direttamente, così come hanno accertato anche gli agenti della polizia municipale, a sversamenti industriali che si ripetono puntualmente nella notte tra sabato e domenica. Sono stati peraltro coinvolti gli agenti della municipale, che si sono attivati allertando l'Arpa, la polizia provinciale, la forestale ed i carabinieri;
   appartenente all'acquifero del sistema dei monti Lepini – gruppo dei monti Simbruini, Ernici, Cairo e delle Mainarde – acquifero minore del fiume Sacco, il bacino presenta un significativo indice di vulnerabilità dal punto di vista idrogeologico: il 29 per cento è infatti a vulnerabilità molto elevata, ponendo così il Sacco tra i primi 10 bacini maggiormente vulnerabili sui 38 complessi individuati, per il 16 per cento l'indice è elevato, per l'1 per cento alto, per il 31 per cento medio, per l'8 per cento basso e per il 15 per cento molto basso. Sono 157 le sorgenti presenti, con una portata abbastanza interessante: 32 maggiori di 20 litri/secondo, 108 minori di 20 litri/secondo, 17 senza dati, sono 46 le captazioni di pozzi ad uso idropotabile e 9 le captazioni di sorgenti ad uso idropotabile, per quanto riguarda i prelievi idrici acque sotterranee. Ma anche 28 le aree destinate ad attività estrattive, le cave, nel bacino;
   dai risultati di una passata indagine svolta dall'ARPA Lazio, nell'ambito di un monitoraggio nazionale sul latte, si apprende che sui suoli agricoli lungo tutta l'asta del fiume Sacco e in particolare nei comuni di Colleferro, Segni, Gavignano, in provincia di Roma, Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in quella di Frosinone, fu trovato  gb-HCH. In particolare, una concentrazione altissima fu rilevata in una zona del comune di Ceccano la quale, stranamente, aumenta man mano che ci si allontana dalle sponde del fiume Sacco – contrariamente a quanto avviene nelle altre zone interessate dall'indagine – e ci si avvicina a un'area sbancata ai tempi dei lavori della TAV. Pare infatti che la movimentazione dei terreni per la costruzione della linea ferroviaria veloce Roma-Napoli abbia comportato la movimentazione di grandi quantità di terreno disperdendo nell'aria le sostanze tossiche custodite nel terreno;
   molte sono le testimonianze riguardo alla pericolosità dei terreni movimentati durante la costruzione della Tav. Ad esempio il coltivatore Paolo Speziali ricorda: «Ci hanno chiesto se potevano darci terreno vegetale per un rinterro. Io ho chiesto alla Tav di fare delle analisi per controllare che non ci fossero sostanze inquinanti». Le analisi effettuate dalla Tecnoprogetti srl mostravano che la terra era non contaminata. «La Tav aveva incaricato un laboratorio privato – continua a spiegare Paolo Speziali – che ha analizzato i campioni di terra presa dai cantieri. Mi hanno portato la terra assieme alle analisi negative, e invece c'era il  gb-HCH»;
   è utile ricordare anche il noto episodio del 2005 che ha riguardato la morte di mucche a causa di arsenico presente in uno degli affluenti del fiume Sacco. A seguito di tale accadimento è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 maggio 2005, per il territorio che comprende i comuni di Colleferro, Segni e Gavignano in provincia di Roma, e i comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in provincia di Frosinone. Di questo territorio si è occupato l'ufficio commissariale per l'emergenza nel territorio del bacino del fiume Sacco tra le province di Roma e Frosinone, commissario lo stesso presidente della regione Lazio, con tutte le azioni necessarie: caratterizzazione siti, eradicazione allevamenti e coltivazioni, avvio bonifica;
   nel dicembre del 2005 l'area della Valle del Sacco colpita dall'emergenza venne inserita nel piano delle bonifiche di interesse nazionale (SIN). In quell'occasione venne anche nominato un commissario straordinario per la Valle del Sacco. In seguito in forza del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, datato 11 gennaio 2013, le bonifiche della Valle del Sacco sono passate di competenza regionale, trasferendo l'azione ai comuni interessati dalla precedente perimetrazione;
   con il decreto 31 gennaio 2008 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «Perimetrazione del sito di interesse nazionale del bacino del fiume Sacco», pubblicato Gazzetta Ufficiale n. 100 del 29 aprile 2008, si definì una perimetrazione provvisoria del sito di bonifica di interesse nazionale del «Territorio del bacino del fiume Sacco» (diverso dal precedente). Nello stesso decreto si stabiliva che entro 120 giorni dalla pubblicazione del decreto, l'ARPA Lazio «valida le aree all'interno del perimetro provvisorio di cui al precedente punto 1 da sottoporre ad interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale, riguardanti: le aree inserite nel piano regionale di bonifica articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, le aree oggetto di attività potenzialmente inquinanti, individuate nell'allegato 1 del decreto ministeriale 16 maggio 1989, le aree oggetto di notifiche ai sensi della normativa in materia di bonifiche, le aree interessate da rilasci incidentali o dolosi di sostanze pericolose, le aree industriali dismesse, le aree, anche a destinazione agricola, interessate da spandimento non autorizzato di fanghi e residui pericolosi, nonché le aree oggetto di contaminazione passiva causata da ricaduta atmosferica di inquinanti, ruscellamento di acque contaminate, abbandono o seppellimento di rifiuti, in relazione all'inquinamento comportante, tra l'altro, potenziali conseguenze ambientali per le quali è oltremodo urgente e indifferibile procedere ai necessari accertamenti al fine di porre in essere i citati adeguati interventi delle aree inquinate interessate, così come risultanti dalle documentazioni pervenute da ogni singolo comune. Inoltre, sulla base dei medesimi criteri e negli stessi termini l'ARPA Lazio individua le aree da sottoporre ad interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale per i comuni di Arcinazzo Romano, Artena, Carpineto Romano, Cave, Ceccano, Genazzano, Gorga, Labico, Olevano Romano, Pastena, Piglio, Rocca Massima, Rocca Priora, Torrice e Valmontone, che non hanno fornito alcun riscontro alle richieste delle citate Conferenze di Servizi sull'argomento»;
   attualmente sono 117.084 gli ettari da bonificare nel sito della Valle del Sacco: un azione ancora in corso che vede da parte della regione Lazio un nuovo stanziamento di fondi per estendere il programma di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica ad un ulteriore campione di 600 residenti nell'area di Colleferro e Ceccano. Allarmati dal perdurare di questa situazione di emergenza, liberi cittadini hanno promosso una raccolta firme affinché «il sito inquinato della valle del Sacco» torni ad essere SIN «sito di interesse nazionale»;
   l'area della Valle del Sacco dal 2006 ha poi cambiato nome, diventando Valle dei Latini. Lo scopo della delibera sul fondo unico di investimento approvata dalla giunta regionale del Lazio è di riqualificare l'area attraverso il rilancio e lo sviluppo della filiera agroenergetica. L'intento è quello di unire sostenibilità ambientale e sviluppo ecocompatibile dando nuovo vigore a un luogo devastato dalla mancanza di controlli;
   la Valle dei Latini, infatti, ha una fortissima vocazione agricola e zootecnica, come dimostrano i dati: con ben 60.411 ettari di superficie agricola utilizzata (SAU), il 39,4 per cento su un totale di 153.459 ettari di superficie totale, il bacino del fiume Sacco è secondo solo al medio corso del Tevere per numero di ettari dedicati all'agricoltura e alla zootecnia;
   nell'ambito delle attività di bonifica occorrerebbe, tra l'altro, verificare il funzionamento del depuratore di Anagni sequestrato nel gennaio 2014 dai carabinieri del NOE, posto che la situazione della depurazione nella Valle del Sacco è tuttora insoddisfacente;
   da ultimo sarebbe opportuno concentrare le risorse sul consolidamento delle misure previste dalla creazione del distretto rurale e agroindustriale puntando sullo sviluppo ecocompatibile della Valle del Sacco e sulla costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in modo da riqualificare il territorio e renderlo competitivo a livello nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e se, per quanto di competenza e per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e delle agenzie territoriali specializzate afferenti al suo dicastero, non intenda verificare l'attuale stato del livello di inquinamento della Valle del Sacco, inclusi gli sversamenti di inquinanti filmati in «schiuma bianca» dalla stampa recente;
   se il Ministro non intenda poi acquisire elementi sui risultati ottenuti dalle procedure di bonifica fino ad oggi e monitorare come siano state investite le risorse ad essa destinate e se non intenda valutare l'opportunità di reinserire la Valle del Sacco nei siti inquinati di interesse nazionale; se risulti che si sia proceduto alla completa rimozione dei fusti interrati illegalmente e del terreno contaminato che la gestione commissariale avrebbe dovuto avviare da subito per limitare i gravi danni alla salute dei cittadini e all'ambiente che il dipartimento di epidemiologia dell'Asl RM/E ha rilevato delle ultime settimane;
   se non si intenda altresì avviare immediatamente nuove indagini epidemiologiche in quei comuni prospicienti il fiume Sacco che continuano a praticare attività agricole e di allevamento;
   se non si intenda avviare, per quanto di competenza, un capillare monitoraggio dell'impatto dei molti fattori antropici sul territorio della Valle del Sacco, operando controlli sulle imprese ivi esistenti e sugli scarichi, ben 88, che attualmente si riversano nel fiume Sacco, reprimendo gli abusi. (4-04943)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali segnalate dagli interroganti, riguardanti il Sito di interesse nazionale Valle del Sacco, si rappresenta quanto segue.
  Il SIN del bacino del fiume Sacco è stato inserito tra i Siti di interesse nazionale da bonificare di competenza del Ministero dell'ambiente con la disposizione introdotta all'articolo 11-
quaterdecies, comma 15 della Legge n. 248 del 2005.
  L'area in questione è quella interessata dall'emergenza ambientale ricadente all'interno del territorio del bacino del fiume Sacco. Il sito è stato perimetrato con decreto ministeriale n. 4352 del 31 gennaio 2008. L'emergenza ambientale è scaturita dalla presenza di isomeri di esaclorocicloesano riscontrati nel latte di alcune aziende zootecniche e, successivamente, riscontrati nelle aree prospicienti l'argine fluviale del citato fiume. La contaminazione sarebbe dovuta alla percolazione dei suddetti agenti chimici situati nell'area del comune di Colleferro, occupata fino a trenta anni fa da un'industria chimica, dove sono stati rinvenuti fusti interrati e scarti di lavorazioni.
  Si evidenzia che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2005 è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel territorio del bacino del fiume Sacco e con successiva Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2005, n. 3441 è stato nominato un Commissario per gli interventi urgenti finalizzati al superamento della fase dell'emergenza nel territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano della provincia di Roma, e dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino della provincia di Frosinone.
  Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, il Ministero dell'ambiente ha comunicato alla regione Lazio di aver effettuato la necessaria ricognizione «attraverso la quale è stato accertato che il SIN “Bacino del Fiume Sacco” e “Frosinone” non presentano tutti i requisiti (attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie) di cui al comma 2 dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificato dall'articolo 36-
bis della Legge n. 134 del 2012».
  Il decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013 non ha limitato la necessità di procedere alla bonifica all'interno dei siti, ma ha trasferito alla Regione Lazio, che subentra nella titolarità dei procedimenti, le risorse finanziarie, la competenza per le necessarie operazioni di verifica nonché l'eventuale bonifica all'interno del sito.
  Con sentenza n. 7586 del 2014 del 17 luglio 2014, il TAR Lazio ha annullato il decreto ministeriale Ambiente Prot. n. 0000007 dell'11 gennaio 2013 nella parte che escludeva dai Siti d'interesse nazionale la valle del Sacco. Pertanto, a partire da quella data, la titolarità del procedimento veniva assegnata al Ministero dell'ambiente. Avverso tale sentenza è stato proposto gravame al Consiglio di Stato.
  Nel frattempo è stata avviata l'istruttoria per individuare il perimetro del Sito d'interesse nazionale in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36-
bis comma 3 della legge n. 134 del 2012.
  In merito si sono svolte le seguenti riunioni istruttorie con la Regione Lazio, Agenzia regionale per la protezione ambientale Lazio e i comuni interessati:
   riunione tecnica, in data 8 settembre 2014, nel corso della quale è stata richiesta alla regione Lazio una proposta di perimetrazione del Sito d'interesse nazionale;
   riunione tecnica, in data 25 novembre 2014, nel corso della quale la regione Lazio è stata sollecitata a trasmettere la proposta di perimetrazione richiesta durante la riunione dell'8 settembre 2014;
   conferenza di servizi istruttoria, in data 19 gennaio 2015, finalizzata ad esaminare la proposta di perimetrazione trasmessa dalla regione Lazio. All'esito sono state richieste alcune integrazioni al documento esaminato ed è stata fissata alla data del 12 febbraio 2015 una nuova conferenza di servizi;
   conferenza di servizi istruttoria del 12 febbraio 2015 che ha analizzato le richieste pervenute da parte dei comuni che hanno segnalato alcune situazioni di criticità. In merito la conferenza di servizi, in considerazione delle problematiche rappresentate nella documentazione acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte dei comuni, ha individuato alcune delle criticità segnalate da inserire, previa verifica da parte della regione Lazio, nella perimetrazione del SIN;
   in ultimo conferenza di servizi istruttoria del 10 luglio 2015 che ha esaminato una nuova proposta di perimetrazione che tiene conto degli esiti delle suddette conferenze di servizi e riunioni tecniche tenutesi sulla tematica in questione nonché di alcune osservazioni fornite dalla direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (nota prot. n. 7554/STA del 29 maggio 2015). La proposta è stata ritenuta condivisibile e sono stati chiesti ulteriori approfondimenti/integrazioni che saranno discussi/e durante la prossima conferenza di servizi fissata per il 10 settembre 2015.

  Successivamente, all'approvazione del perimetro si procederà ad un aggiornamento dello stato delle attività di bonifica condotte dai precedenti titolari del procedimento nonché all'attivazione di tutte le necessarie misure non ancora attuate e necessarie alla bonifica delle matrici ambientali impattate.
  Allo stato attuale, il Ministero dell'ambiente non dispone di alcun elemento circa la presenza di «schiuma bianca» nelle acque del fiume Sacco.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'allarme lanciato da Legambiente su 37 sacchetti per la spesa prelevati presso diversi punti vendita della «grande distribuzione organizzata» in sette regioni italiane (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Lazio, Lombardia e Veneto), ben 20, pari al 54 per cento del totale, sono risultati non conformi alla legge n. 28 del 2012, che ha messo al bando gli shopper non compostabili. Questo risultato è emerso dalla campagna di monitoraggio organizzata da Legambiente, grazie al lavoro dei suoi circoli locali e comitati regionali, effettuata tra la fine di novembre 2014 e le vacanze natalizie per valutare il rispetto della sopraddetta legge che ha permesso all'Italia di mettere al bando i sacchetti di plastica e che purtroppo però continuano ad essere ancora molto diffusi;
   le difformità sono state riscontrate in 5 regioni dove sono stati prelevati i sacchetti non conformi alla legge in vigore: in Campania (7 sacchetti), Basilicata (6), Puglia (3), Calabria (3) e Lazio (1). Mentre i sacchetti prelevati in Lombardia e Veneto sono invece risultati regolari. A livello provinciale la situazione è la seguente: Potenza (6 sacchetti fuori legge), Avellino, Bari e Napoli (3), Vibo Valentia (2), Benevento, Catanzaro e Roma (1). Suddividendo i 20 casi di sacchetti «fuori legge» per punti vendita delle aziende della grande distribuzione, si ottiene, secondo Legambiente, questa classifica: Sigma (5 sacchetti non conformi), A&O (3), Crai, Eurospin e Sisa (2), Conad, Despar/Eurospar, Eurocisette, Imagross, M.A. Supermercati/Gros, Maxisidis/Intersidis (1);
   i sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organico dei rifiuti, devono avere la scritta «biodegradabile e compostabile» e sul sacchetto la citazione dello standard europeo «UNI EN 13432:2002», da ultimo il marchio di un ente certificatore, che tutela il consumatore come soggetto terzo. I sacchetti che non riportano queste specifiche danno altresì un'informazione sbagliata e non sono conformi alla legge;
   secondo la normativa nazionale e comunitaria un materiale plastico per essere definito compostabile deve obbligatoriamente rispettare le caratteristiche di: biodegradabilità: capacità del materiale di essere convertito in anidride carbonica (CO2), grazie all'azione di microrganismi, pari al 90 per cento totale da raggiungere entro 6 mesi (180 giorni); disintegrabilità: frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale; la frazione visibile deve essere inferiore al 10 per cento della massa iniziale; assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; assenza di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost finale;
   la legge in vigore permette peraltro di ridurre l'inquinamento da plastica e di migliorare la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost di qualità, promuovendo per la loro produzione una virtuosa riconversione industriale verso innovativi processi di chimica verde da fonti rinnovabili, come già avvenuto, ad esempio, nel polo industriale di Porto Torres;
   per chi commercializza sacchetti non conformi o false «buste-bio», dal 21 agosto del 2014, le sanzioni amministrative pecuniarie vanno dai 2.500 euro ai 25.000 euro. La multa può essere aumentata fino al quadruplo del massimo, ovvero 100.000 euro se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l'asporto oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore (articolo 4, legge n. 28 del 2012) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e se essi intendano verificare se ciò corrisponda al vero; quali iniziative urgenti intendano mettere in campo affinché in tutte le regioni d'Italia sia data piena effettività alle norme del decreto-legge n. 2 del 2012 sui sacchetti biodegradabili e compostabili e se non si intendano assumere iniziative anche per tramite degli organismi governativi competenti per provvedere a sanzionare le citate irregolarità, già riscontrate. (4-07537)

  Risposta. — In tema di sacchi per asporto merci monouso l'Italia si è da tempo orientata, con l'utilizzo di appositi strumenti normativi, verso la loro eliminazione dal commercio, ad eccezione di quelli conformi ai requisiti di biodegradabilità e compostabilità contenuti nella norma UNI EN 13432:2002 (è attualmente vigente il divieto di commercializzazione previsto dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 2 del 2012 convertito in legge n. 28 del 2012).
  Le caratteristiche di biodegradabilità è di compostabilità garantiscono che le borse di plastica, dopo il loro utilizzo, possano essere conferite in impianti per la produzione di compost ed al tempo stesso, qualora siano oggetto di dispersione accidentale, tali borse non comportano impatti significativi sull'ambiente. Difatti il sistema di gestione dei rifiuti organizzato in Italia valorizza il flusso dei rifiuti compostabili attraverso una adeguata rete di raccolta e di impianti di compostaggio.
  Sul tema della commercializzazione dei sacchetti non conformi ai requisiti di legge, il Ministero dell'ambiente è stato di supporto nell'inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Torino, su sacchetti di plastica monouso immessi in commercio in violazione delle norme vigenti, fornendo materiale istruttorio su espressa richiesta del pubblico ministero dottor Raffaele Guariniello. La suddetta inchiesta ha riguardato il reato di commercializzazione di sacchetti in plastica con indicazioni ingannevoli per il consumatore, in quanto venivano commercializzati sacchetti con l'indicazione «biodegradabili» e «compostabili», pur non essendo gli stessi conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002.
  Sulla tematica in questione, il Ministero dell'ambiente ha chiesto un approfondimento tecnico all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha prodotto un parere in merito alla nozione di «biodegradabilità» dei sacchi per asporto merci e alla valenza della norma UNI EN 13432:2002.
  Detto parere, trasmesso dal Ministro dell'ambiente alla procura di Torino, ha evidenziato che la norma armonizzata UNI EN 13432:2002, cui si riferisce il decreto ministeriale 18 marzo 2013 per individuare le sole tipologie di sacchetti monouso commercializzabili, «fornisce indicazioni sulla verifica della biodegradabilità dell'imballaggio, nonché della sua capacità di andare incontro a disintegrazione, solo in termini di biodegradazione controllata, di tipo aerobico o anaerobico, presso impianti di trattamento».
  Altresì «la capacità di subire una degradazione per effetto di un processo di compostaggio rappresenta un elemento di valutazione della sua biodegradabilità in determinate condizioni, ma non può essere inteso come un criterio di valutazione assoluta. Una plastica può essere infatti biodegradabile ma non compostabile, ovvero potrebbe richiedere tempi di disintegrazione e degradazione più lunghi rispetto a quelli previsti dal processo di compostaggio (...). La norma UNI EN 13432:2002 individua quindi la biodegradabilità del materiale in riferimento ad una specifica modalità di trattamento dello stesso e non nei termini più generali di degradazione in qualsiasi condizione ambientale, quale ad esempio lo smaltimento incontrollato».
  ISPRA conclude comunque che «quanto riportato nella norma UNI EN 13432.2002, pur rappresentando un criterio di valutazione della biodegradabilità in determinate condizioni e non un criterio assoluto di valutazione della stessa, può comunque costituire un valido approccio di verifica, tenuto conto che l'imballaggio monouso biodegradabile e compostabile è tipicamente destinato, al termine del suo ciclo di vita, agli impianti di trattamento biologico o meccanico-biologico dei rifiuti», precisando che «gli unici criteri di verifica della biodegradabilità dei sacchi monouso per l'asporto di merci risultano essere quelli stabiliti alla norma UNIEN 13432:2002».
  Con riferimento all'eventualità di una campagna informativa inerente il settore in discorso, il Ministero dell'ambiente è aperto ad ogni eventuale iniziativa da parte dei soggetti interessati preordinata a favorire l'informazione dei consumatori e degli altri soggetti coinvolti nella filiera. Per effetto della legge n. 116 del 2014 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea» è applicabile il regime sanzionatorio (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 euro a 25.000 euro) relativo alla commercializzazione di sacchetti con l'indicazione «biodegradabili» e «compostabili» non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002.
  Si evidenzia in conclusione che il regime sanzionatorio non contempla disposizioni transitorie, nel mentre il regime dei controlli è demandato alle competenti autorità.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI, BRATTI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni è stato richiesto agli Stati membri dell'Unione europea un impegno sempre maggiore e incisivo verso la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti, oltreché il riuso e la raccolta differenziata di qualità;
   il quadro normativo generale sui rifiuti è indicato dalla Commissione europea attraverso la direttiva 2008/98/CE e punta a creare una società «waste free», dove crescita economica e produzione di rifiuti smettano di andare di pari passo e cioè siano inversamente proporzionali. Obiettivo della direttiva 2008/98/CE è proteggere l'ambiente e la salute umana e animale attraverso: la riduzione degli impatti negativi derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti, un minore e più efficace utilizzo delle risorse. A tutti gli Stati dell'Unione europea è richiesto di attivarsi per fare in modo che, entro il 2020, si avviino politiche di prevenzione del rifiuti e almeno il 50 per cento dei rifiuti domestici o simili (come carta, plastica, vetro, metalli) venga riciclato o riutilizzato per ottenere nuovi prodotti: una parte importante delle politiche sull'economia circolare che anche l'Unione europea intende implementare;
   a livello nazionale la principale fonte normativa sulla gestione dei rifiuti è data decreto legislativo n. 152 del 2006 «Norme in materia ambientale», detto anche testo unico ambientale, che attua la direttiva 2008/98/CE e altre direttive comunitarie. Anche in questi mesi il Parlamento italiano sta licenziando nuovi strumenti normativi affinché in tutta la Penisola possano messe in campo nuove strategie di prevenzione dei rifiuti, unitamente all'aumento del riciclo e del riuso degli scarti;
   infatti, se in Italia dal punto di vista del riciclo e del riuso alcuni passi avanti sono stati fatti, pur permanendo delle disomogeneità in alcune aree del Paese, poco è stato fatto sotto il profilo della prevenzione dei rifiuti;
   la prevenzione dei rifiuti e il riuso sono inoltre settori chiave della green economy e soprattutto dell'economia nazionale. Nel 2013 in Europa alcune «buone pratiche» messe in campo hanno prodotto valore aggiunto per miliardi di euro e hanno già tagliato, stando all'Agenzia europea per l'ambiente, 38 milioni di tonnellate di CO2, contribuendo a creare migliaia di posti di lavoro stabili. Secondo il rapporto Green Italy 2014 l'Italia presenta inoltre alcune specificità che ne fanno un caso unico in Europa. L'Italia è prima, infatti, nel Vecchio Continente per quanto riguarda il recupero industriale di metalli, carta, plastica, vetro, legno, tessili, gomma; ad esempio, su 163 milioni di tonnellate avviate a recupero industriale in Europa, 24,1 sono quelle della sola Italia, medaglia d'argento va invece alla Germania con 22,4 milioni di tonnellate. Se alla lista dei rifiuti recuperati si aggiungono anche quelli chimici, i fanghi e alcune altre tipologie, ad esclusione di minerali e vegetali, il nostro Paese si colloca comunque al 2° posto alle spalle della Germania. Si tratta dell'utilizzo nell'industria italiana delle materie prime seconde provenienti sia dalla raccolta di rifiuti urbani e speciali interna al Paese che importate. Lo scorso anno i dati della campagna per la raccolta differenziata «Comuni ricicloni» di Legambiente, descrivono poi come 300 i comuni «Rifiuti free», dove cioè la popolazione riduce e ricicla più del 90 per cento dei rifiuti che si producono mediamente. Anche Milano nel 2014 ha superato la soglia del 50 per cento di differenziata, prima in Italia e seconda, dopo Vienna, in Europa tra le città sopra il milione di abitanti;
   il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 «Norme in Materia ambientale», all'articolo 180, comma 1-bis, prevede quanto segue: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta entro il 31 dicembre 2012, a norma degli articoli 177, 178, 178-bis e 179, un programma nazionale di prevenzione dei rifiuti ed elabora indicazioni affinché tale programma sia integrato nei piani di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199. In caso di integrazione nel piano di gestione, sono chiaramente identificate le misure di prevenzione dei rifiuti. Entro il 31 dicembre di ogni anno, a decorrere dal 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta alle Camere una relazione recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti»;
   ad oggi la relazione di aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti, non è stata ancora presentata –:
   se il Ministro sia a conoscenza del ritardo di presentazione della predetta relazione e quali iniziative urgenti intenda assumere affinché essa sia trasmessa con celerità alle Camere. (4-07771)

  Risposta. — Con riferimento a quanto richiesto si rappresenta che la relazione di cui all'articolo 180, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, è stata presentata dal Ministro il 14 gennaio 2015, annunciata nella seduta n. 378 del 19 gennaio 2015.
  L'atto è stato assegnato alla 13a Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali).

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quando si apprende nei giorni scorsi da numerose agenzie stampa nazionali e da un articolo del 15 maggio di Qualenergia, la Commissione europea richiama il nostro Paese per il ritardo nell'introdurre tasse modulate secondo il principio del «chi inquina paga», come ad esempio la carbon tax, e nel rimuovere aiuti dannosi per l'ambiente, come il sostegno alle fonti fossili;
   è uno dei richiami contenuti nell'ultimo documento con le Country Specific Raccomendations, diffuso mercoledì, nel quale si contesta al nostro Paese per il ritardo nell'introdurre tasse modulate secondo il principio del «chi inquina paga», come la carbon tax, e nel rimuovere aiuti dannosi per l'ambiente, come quelli alle fossili;
   in Italia, si legge nel documento, «rimangono lettera morta la revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente. L'Italia ha anche istituito un comitato per la fiscalità ambientale e questi diversi aspetti sono peraltro contemplati dalla legge delega di riforma fiscale, la cui attuazione è stata tuttavia rimandata per l'assenza di decreti legislativi attuativi»;
   il riferimento della Commissione europea è a quanto previsto dall'articolo 15 della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23). Il Governo, si legge in quel testo, è delegato a introdurre nuove forme di fiscalità «finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull'energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo». Il gettito, secondo la delega, dovrà essere destinato «prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili, nonché alla revisione del finanziamento dei sussidi alla produzione di energia da fonti rinnovabili»;
   il sopraddetto documento dell'Unione europea sottolinea da ultimo il fatto che la citata delega rischi di rimanere inattuata e, dunque, anche la tassazione ambientale, ad esempio quella sulla CO2, possa non concretizzarsi: l'articolo di legge citato infatti rimanda alla proposta di modifica della direttiva europea in materia di tassazione dei prodotti energetici (2003/96/CE): proposta però è stata ritirata a fine dicembre;
   secondo una prudente stima del Coordinamento FREE – fonti rinnovabili ed efficienza energetica in Italia una carbon tax limitata ai carburanti per il trasporto di 30 euro a tonnellata di CO2, a fronte di un rincaro della benzina di 0,7 eurocent al litro, pari allo 0,5 per cento, produrrebbe entrate per 2,5-3 miliardi all'anno –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri interrogati intendano dare quanto prima risposta alla citata recente raccomandazione della Commissione europea ed emanare con celerità i decreti legislativi attuativi relativi alla citata delega fiscale in materia di tassazione ambientale e incentivi alle fonti fossili;
   se e quali iniziative normative intendano mettere in campo per colmare interamente le lacune normative sopracitate. (4-09217)

  Risposta. — Con la legge n. 34 del 2015 (articolo 1, comma 2), di conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, la delega fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014 n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita), è stata prorogata fino al 26 giugno 2015, data in cui si è esaurita.
  Per quanto di interesse l'articolo 15 della suddetta Delega Fiscale («fiscalità energetica ed ambientale») non è stato attuato in quanto il riferimento che legava politicamente – ma con meccanismi legalmente incerti – parte della sua attuazione alla revisione della direttiva europea sulla Tassazione dell'energia (ETD) ha creato incertezza. Il ritiro da parte della nuova Commissione europea della proposta di revisione dell'ETD (avvenuto a dicembre 2014) ha di fatto bloccato l'elaborazione di proposte da parte del Governo.
  Come noto, la fiscalità ambientale riguarda anche l'articolo 4 (erosione e spese fiscali) dove un certo numero di misure di agevolazione, esenzione e riduzione costituiscono sussidi ambientalmente dannosi (in particolare, ma non solo, i «fossil fuel subsidies» della terminologia OCSE e G20) e la cui eliminazione progressiva potrebbe essere tecnicamente e politicamente fattibile.
  Ad ogni buon conto si rappresenta che, in occasione del semestre di presidenza italiana dell'UE, il Ministero dell'ambiente ha commissionato uno studio comparato sugli aspetti giuridici della fiscalità ambientale in Europa e nei Paesi europei. Detto studio, denominato: «Rapporto Di Pietro» («Fiscalità ambientale in Europa e per l'Europa», convenzione con il CRIFSP-SEAST (Centro di Ricerca e Formazione sul Settore Pubblico – Scuola Europea di Alti Studi Tributari) dell'Università di Bologna, nell'ambito del Protocollo d'Intesa tra l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) ha esaminato la situazione in 17 paesi Europei, inclusa l'Italia, fornendo molte e ricche considerazioni sui diversi approcci rispetto alla fiscalità ambientale, sulle tecniche legali esistenti nei singoli paesi e sul potenziale a livello europeo.
  Le risultanze del citato rapporto Di Pietro appaiono in sintonia con le analisi e valutazioni economiche delle maggiori organizzazioni internazionali, quali le Raccomandazioni del rapporto OCSE sulle perfomance ambientali dell'Italia, la Nota dell'EEA (Agenzia Europea dell'ambiente) sul potenziale di una riforma fiscale ecologica in Italia, nonché gli studi di eunomia e università di Aarhus, del FMI e dalla Banca Mondiale, le analisi di Green Budget Europe e dello IEEP (Institute of European Environmental Policies). Corrispondono anche alle Raccomandazioni degli stati generali della Green Economy organizzati dalla fondazione per lo sviluppo sostenibile sotto gli auspici dei Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico.
  Il sottoscritto ha aperto un tavolo di lavoro informale con il Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio. Tra le ipotesi allo studio è stata proposta, la proroga o il rilancio – con riformulazione – della delega fiscale per quanto riguarda la fiscalità con impatto ambientale (inclusa quella energetica e climatica) tramite un disegno di legge governativo ad hoc o tramite il Green Act in preparazione.
  Il Governo è consapevole che una riforma fiscale ambientale offre numerose opportunità fra le quali occorre costruire il mix appropriato, ad esempio:
   l'abbattimento delle tasse sul lavoro (ad es. allargamento del «bonus fiscale» ai pensionati, come ipotizzato dal Presidente del Consiglio; riduzione Irpef e/o contributi sociali);
   la riduzione del debito pubblico;
   il finanziamento delle politiche ambientali (ad es. idrogeologico e clima);
   il finanziamento dell'eco-innovazione ad alto contenuto occupazionale nei settori colpiti dall'aumento di tassazione per incoraggiarne la transizione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI, PELLEGRINO, ZARATTI, PIRAS, MELILLA e QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 257 del 1992 stabilisce la cessazione dell'impiego dell'amianto a causa della sua pericolosità per la salute pubblica, dovuta alla natura fibrosa che, anche se a bassissime concentrazioni, può provocare patologie gravi che interessano prevalentemente l'apparato respiratorio, come l'asbestosi, il carcinoma polmonare; e il mesotelioma;
   in data 20 novembre 2014, l'agenzia di stampa ANSA ha riportato la mappa del piano nazionale amianto aggiornato al luglio 2014;
   nell'articolo viene segnalato come su 33.610 siti di amianto, ne sono stati bonificati solo 832, riscontrando un evidente e grave ritardo rispetto all'entrata in vigore della legge 257 del 1992;
   la mappatura effettuata dal Ministero segnala la regione Marche come uno dei territori a più alta intensità di siti di amianto; tuttavia, a quanto riportano le fonti di stampa, pare che in diverse aree del Paese vi sia un vero e proprio «black out informativo», un'assenza di dati che determina incertezza sulla reale concentrazione di amianto nel nostro Paese;
   dal rapporto del registro nazionale mesoteliomi, edito nel 2010, emerge che in Italia, fino al 2004, sono stati registrati 9.166 casi di mesotelioma maligno, ma anche in questo caso il dato non rappresenta l'esatta gravità della situazione, giacché il periodo di incubazione della patologia può arrivare sino a 40 anni;
   sempre la legge 257 del 1992 prevede che ogni regione deve adottare un piano regionale amianto per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contenenti amianto;
   la tutela ambientale e le opere di prevenzione e bonifica sono, quindi, regolate da normative regionali che rispecchiano le differenti direttive politiche – e sensibilità – delle diverse regioni; pertanto, non solo dal punto del censimento, ma anche delle azioni concrete, la bonifica dall'amianto è sensibilmente differente da regione a regione, prevedendo, allo stesso modo, finanziamenti molto differenziati sia per il censimento dei materiali contenenti amianto, sia per la formazione e l'informazione, sia per le bonifiche e la sorveglianza sanitaria;
   l'associazione Legambiente si era fatta promotrice, insieme all'associazione AzzeroCO2, della campagna «Eternit Free», volta allo smaltimento dell'amianto con contestuale sostituzione di pannelli fotovoltaici. La campagna aveva l'obiettivo di promuovere la sostituzione di tetti in Eternit con impianti fotovoltaici presso le aziende del territorio beneficiando degli incentivi speciali introdotti con il decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 e costituendo appositi gruppi di acquisto per i pannelli fotovoltaici al fendi avere consistenti risparmi rispetto al valore di mercato degli impianti –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per accelerare ed uniformare tra le varie realtà territoriali le procedure di bonifica dall'amianto;
   quali azioni intenda intraprendere il Ministro per colmare il «black out informativo» sulla reale situazione dei siti di amianto in Italia;
   se non ritenga utile prendere in considerazioni misure incentivanti, come quella riportata in premessa, al fine di attivare un circolo virtuoso per lo smaltimento dell'amianto e per il potenziamento della produzione di energia da risorse rinnovabili. (4-07027)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali segnalate dalla interrogante, concernenti il piano nazionale amianto, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto ministeriale 101 del 18 marzo 2003 attribuisce alle Regioni, che si avvalgono degli organismi locali di salvaguardia della salute e dell'ambiente (agenzia regionale per la protezione ambientale e azienda sanitaria locale), la competenza per l'individuazione sul territorio di situazioni di rischio collegate alla presenza di amianto.
  Il Ministero dell'ambiente, si occupa in modo diretto della raccolta dati sulla mappatura dell'amianto stabilita dal citato decreto ministeriale. Fino al 2010 la raccolta dei dati è stata curata dall'Inail e riportava un totale di circa 24.000 siti con presenza di amianto.
  Nel 2014 i dati sono stati raccolti e verificati dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente che sul sito web www.bonifiche.minambiente.it ha pubblicato la mappa sullo stato delle bonifiche dei siti.
  I dati raccolti dalle regioni sono stati, pertanto, uniformati agli standard definiti nelle procedure del decreto ministeriale 101. Rimane ancora da colmare una disomogeneità territoriale nei procedimenti di bonifica che è direttamente correlata ad una non omogenea distribuzione nonché ad una carenza di discariche di rifiuti pericolosi sul territorio nazionale.
  In questi anni la ricerca per il trattamento o l'inertizzazione dell'amianto sta facendo progressi, ma ancora i costi per tali soluzioni alternative non sono competitivi rispetto allo smaltimento tradizionale.
  A partire dal mese di giugno 2015 i dati relativi all'amianto sono stati pubblicati (open data) sul sito del Ministero dell'ambiente al seguente link: http://www.bonifiche.minambiente.it/piano–amianto.html.
  Il data base aggiornato contiene i dati editabili trasmessi dalle regioni, distinti tra dati che contengono l'attribuzione del punteggio relativo alla categoria di rischio ai sensi del già menzionato decreto ministeriale e dati che non contengono attribuzione di punteggio. Non sono oggetto di pubblicazione le informazioni sensibili trasmesse unitamente ai dati. Eventuali anomalie nei dati riportati riferibili a coordinate geografiche o altro possono essere segnalate al seguente indirizzo di posta elettronica amianto@minambiente.it.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 19 aprile 2015 il quotidiano Il Mattino ha pubblicato un'inchiesta giornalistica dal titolo «Giallo a San Vitaliano: fumi killer come in Cina, nessuno sa perché»;
   il reportage firmato dall'inviato Paolo Barbuto denuncia una situazione allarmante relativa alla percentuale record delle polveri sottili presenti in atmosfera e rilevate da una centralina installata dall'Arpac all'interno di una scuola di via Risorgimento;
   secondo quanto emerge dalla ricostruzione giornalistica il comune della provincia di Napoli è ai primissimi posti nella classifica mondiale dei territori più inquinati: «San Vitaliano è il Comune più avvelenato dalle polveri sottili: record italiano, primato europeo e nella top ten dei luoghi più avvelenati del mondo»;
   i dati sono pubblicati ogni giorno sul sito internet dell'ArpaC nella sezione relativa al monitoraggio della qualità dell'aria. Scrive ancora Barbuto: «Il dato impressionante riguarda la misura del Pm10: si calcola quante particelle velenose sono sospese nell'aria, se ce ne sono più di 50 microgrammi per metro cubo, scatta l'allarme. Ogni comune d'Italia può superare questa soglia solo 35 volte all'anno, se non vengono presi provvedimenti scatta il deferimento all'autorità; a San Vitaliano quel limite è stato superato 51 volte in 100 giorni...»;
   secondo quanto riportato dal giornalista la causa dell'alto indice di inquinamento non sarebbe ancora stata individuata;
   il comune di San Vitaliano è l'unico ad avere una centralina per il rilevamento della qualità dell'aria, che ad oggi non è dato sapere cosa accade nei centri immediatamente limitrofi e soprattutto la grave condizione mette a rischio la salute di decine di migliaia di cittadini –:
   se, alla luce dell'anomalia descritta in premessa, non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza per individuare le ragioni del perdurante allarme e mettere in campo ogni iniziativa utile a tutelare la salute della popolazione residente. (4-08884)

  Risposta. — A seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 155 del 2010, di recepimento della direttiva 2008/50/CE del 21 maggio 2008, la regione Campania ha provveduto ad adeguare la zonizzazione del territorio regionale e la rete di monitoraggio della qualità dell'aria in base a quanto richiesto dalla norma.
  In particolare, in base alla nuova zonizzazione del territorio regionale, il comune di San Vitaliano è stato inserito nella zona denominata «Agglomerato Napoli-Caserta – ITI507», comprendente il territorio della provincia di Napoli e l'insieme di alcuni comuni contigui della provincia di Caserta.
  Con riferimento invece alla rete di monitoraggio, il progetto di revisione della rete prevede che nella provincia di Napoli la valutazione della qualità dell'aria ambiente sia effettuata tramite nove stazioni fisse di monitoraggio della qualità dell'aria come riportato nella tabella seguente.

Provincia Comune Nome Stazione Classificazione Stazione Inquinanti monitorati (As (arsenico); BaP (benzo(a)pirene); CO (ossido di carbonio); Cd (cadmio); N02 (biossido di azoto); Ni (nichel); O3 (ozono); PM10 (materiale particolato <10 μm); PM2.5 (materiale particolato <2.5 μm); C6H6 (benzene); Pb (piombo); SO2 (biossido di zolfo))
Napoli Acerra Acerra Z.I. Suburbana
Industriale
SO2, NO2, PM10, PM2.5, Pb, C6H6,CO, As, Ni, Cd, BaP
Napoli Pomigliano d'Arco Area ASI Suburbana
Industriale
SO2, NO2, PM10, PM2.5, C6H6, CO, As, Ni, Cd, BaP
Napoli Portici Parco Reggia Urbana Fondo NO2, PM10, PM2.5, C6H6, O3, As, Ni, Cd, BaP
Napoli Pozzuoli Villa Avellino Urbana Fondo SO2, NO2, PM10, PM2.5, O3
Napoli Volla Volla
(Tirrenopower)
Suburbana
Industriale
NO2,PM 10, PM2.5, CO
Napoli San Vitaliano Scuola
Elementare
Marconi
Urbana Fondo SO2, NO2, PM10, PM2.5, Pb, C6H6, O3, As, Ni, Cd, BaP
Napoli Casoria Scuola
Palizzi (CAM)
Suburbana Fondo NO2, PM10, PM2.5, O3
Napoli Acerra Scuola Caporale Urbana Traffico NO2, PM10, PM2.5, C6H6, CO
Napoli Torre
Annunziata
Scuola
Media Pascoli
Suburbana Fondo NO2, O3

  Pertanto secondo il progetto di adeguamento della rete regionale di rilevamento della qualità dell'aria, nel comune di San Vitaliano è attiva, da settembre 2014, la stazione di monitoraggio denominata «Scuola Elementare Marconi», presso cui attualmente sono monitorati gli inquinanti biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2), materiale particolato (PM10 e PM2.5), ozono e benzene.
  Come si può vedere dalla tabella seguente, i dati di qualità dell'aria al mese di giugno 2015, pubblicati sul sito internet dell'Arpa Campania www.arpacampania.it/aria, confermano, presso la stazione di San Vitaliano, numerosi superamenti per il PM10 del limite di legge sulla media giornaliera, concentrati in particolare nei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Tali superamenti tendono poi a ridursi notevolmente nei mesi successivi.
  Per quanto riguarda le altre stazioni attive nella provincia di Napoli al mese di giugno 2015, si osserva un minore numero di superamenti del valore limite giornaliero del PM10. In particolare presso la stazione situata nel comune di Casoria, denominata «Scuola Palizzi», individuata dalla nuova rete regionale come stazione di supporto alla stazione di San Vitaliano per assicurare, in caso di rotture o malfunzionamenti degli strumenti, la continuità del monitoraggio e non avere perdita di dati utili per la valutazione della qualità dell'aria, come previsto dal decreto legislativo n. 155 del 2010, il valore limite giornaliero, al 30 giugno 2015, è stato superato per 29 giorni.

PM10 Numero di superamenti del valore limite giornaliero 50 μg\m3 Anno 2015
Stazione Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Dal 01/01/2015
al 30/06/2015
San Vitaliano Scuola Elementare Marconi 20 19 12 7 2 1 61
Casoria Scuola Palizzi 11 7 7 3 1 0 29
Acerra Zona Industriale 9 2 1 0 0 0 12
Pomigliano d'Arco Area ASI / / / / 10 6 16
Acerra Scuola Caporale 15 4 7 4 2 0 32

  Per gestire la situazione di criticità che si è manifestata nel comune di San Vitaliano nei primi mesi del 2015, la regione avrebbe potuto avviare un'istruttoria propedeutica all'eventuale adozione di un «Piano di azione», di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 155 del 2010, in cui si prevedono provvedimenti di emergenza, non aventi carattere strutturale, da adottare nel breve termine per la riduzione del rischio di superamento dei livelli fissati dalla normativa.
  In ogni modo si fa presente che, secondo la norma nazionale in materia di qualità dell'aria, le regioni sono tenute ad effettuare annualmente la valutazione della qualità dell'aria ambiente per ciascun inquinante e con riferimento a ciascuna zona individuata sul territorio regionale, così da determinare se all'interno della specifica zona si registrano situazioni di superamento dei limiti previsti per gli inquinanti e identificare quindi gli interventi più efficaci per assicurare il rispetto degli standard di qualità dell'aria.
  Nel caso in questione, pertanto, occorrerà attendere la fine dell'anno di monitoraggio affinché la regione Campania possa avere un quadro esaustivo della qualità dell'aria nella zona in esame necessario a determinare le opportune politiche di gestione dell'ambiente.
  Del resto la stazione in questione, tenuto conto della recente ristrutturazione delle rete di monitoraggio della regione Campania, è entrata in esercizio solo di recente e solo al termine del 2015 sarà disponibile un primo intero anno di osservazioni giornaliere.
  Si fa comunque presente che la regione Campania, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, con deliberazione del consiglio regionale del 27 giugno 2007 aveva approvato il «Piano regionale di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria».
  Successivamente, nelle more del suo aggiornamento, il piano è stato integrato con delle misure aggiuntive volte al contenimento dell'inquinamento atmosferico (decreto della giunta regionale n. 811 del 27 dicembre 2012) e con la nuova zonizzazione del territorio regionale ed il nuovo progetto di rete di monitoraggio della qualità dell'aria (decreto della giunta regionale n. 683 del 23 dicembre 2014).
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SALTAMARTINI, BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio, la prefettura di Treviso ha disposto l'invio di 101 presunti profughi nel comune di Quinto di Treviso, allo scopo di smistarli in una trentina di appartamenti sfitti, situati in palazzine dove vivono anche famiglie trevigiane;
   all'arrivo dei citati migranti ha fatto seguito lo scoppio di proteste da parte della popolazione locale, che ha cercato di opporsi alla distribuzione dei presunti profughi nelle palazzine dove si è deciso di alloggiarli;
   la sistemazione per i presunti profughi a Quinto di Treviso derivava da una convenzione che sarebbe stata stipulata tra la società immobiliare proprietaria dei condomini interessati ed una cooperativa che si occupa della gestione dei migranti irregolari;
   in seguito all'intensità delle proteste, il Governo ha ripiegato su una soluzione alternativa, trasferendo i sedicenti profughi in una caserma dismessa e arrivando addirittura a rimuovere il prefetto che aveva disposto l'operazione;
   suscitano tuttavia preoccupazione le dichiarazioni rese dal prefetto Morcone, secondo le quali il Veneto non potrebbe rifiutare l'accoglienza ai sedicenti profughi, minacciando ulteriori interventi unilaterali;
   due giorni dopo, il 17 luglio, è stata la volta di Roma, città nella quale il Governo ha individuato in una ex scuola di dubbia agibilità, la Socrate, situata nell'area disagiata di Casale San Nicola, la destinazione di altri 100 presunti profughi, di cui i primi 19 arrivati lo stesso giorno e altri 39 arrivati il 21, determinando ulteriori, gravi tensioni, dimostrazioni e proteste;
   anche in questo caso, il trasferimento dei sedicenti profughi risulta essere stato autorizzato dal prefetto territorialmente competente, Franco Gabrielli;
   gli scontri si sono conclusi con un bilancio pesante di feriti, tanto tra le forze dell'ordine, chiamate loro malgrado a dar corso alle deliberazioni assunte dal Governo e a fronteggiare l'ira comprensibile della piazza, quanto tra i residenti –:
   se il Governo ritenga di dover proseguire nella sua politica di distribuzione forzata dei sedicenti profughi sul territorio nazionale, prescindendo dall'effettiva disponibilità di strutture, dall'opinione dei cittadini residenti e dal parere delle autorità locali. (4-10037)

  Risposta. — L'interrogazione in esame pone il tema della collocazione sul territorio degli stranieri richiedenti protezione internazionale, con riferimento ai casi recenti di Roma e di Treviso in cui si sono registrate forti proteste di gruppi di cittadini residenti nelle adiacenze delle strutture individuate dai prefetti.
  Si premette che nei casi in cui si verificano coesistenti e improvvisi arrivi di immigrati, come quelli evidenziati dall'interrogante, gli interventi predisposti dalla rete governativa debbono essere improntati alla massima sollecitudine e alla più rigorosa attenzione ai contesti territoriali di destinazione degli stranieri.
  Si tratta di un impegno organizzativo e logistico non indifferente, per il quale spesso i prefetti si trovano ad operare nelle condizioni più critiche, non di rado addebitabili alla riluttanza dei responsabili delle comunità locali e a una certa tendenza a considerare il problema come trasferibile a carico di altra comunità.
  La prassi che viene seguita è comunque quella di operare con il pieno sostegno delle realtà locali di insediamento, proprio allo scopo di scongiurare la percezione che il fenomeno possa considerarsi gestito secondo principi autoritari e con soluzioni imposte dall'alto.
  Non sempre riesce possibile, tuttavia, ottenere da parte dei sindaci quella risposta immediata che sarebbe auspicabile, mentre le esigenze di allocazione dei migranti esigono, al contrario, risposte tempestive, per evitare ricadute ancora più pesanti sul territorio, anche in termini di sicurezza e di ordine pubblico.
  È accaduto, pertanto, che alcune sistemazioni logistiche siano avvenute in mancanza di una dichiarazione di disponibilità da parte dei responsabili degli enti locali.
  In questi casi è stato giocoforza per i prefetti provvedere alla sistemazione dei migranti in maniera autonoma.
  Data la rilevanza del tema, si è ritenuto di disciplinarlo nel decreto legislativo, in via di approvazione definitiva, che recepisce le direttive europee in materia di protezione internazionale (atto governo 170), stabilendo che il prefetto, prima di attivare strutture straordinarie di accoglienza, debba sentire il sindaco, in maniera che la collocazione dei migranti possa avvenire con il minore impatto possibile e nel pieno rispetto delle autonomie.
  Nel frattempo, il Ministro dell'interno ha dato disposizioni ai prefetti perché queste semplici norme di buon senso, che risultano peraltro già ampiamente praticate, vengano puntualmente rispettate ancora prima dell'entrata in vigore del decreto.
  A prescindere da ciò, è comunque auspicabile che la questione dell'accoglienza non alimenti derive di intolleranza violenta, come nei casi evocati nell'interrogazione, nei quali si sono registrati aggressioni fisiche, danneggiamenti e, nel caso di Treviso, anche tentativi di incendio che hanno impegnato polizia e vigili del fuoco.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SALTAMARTINI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la decisione di trasferire circa 100 immigrati a Casale San Nicola, un'area di Roma in cui risiedono 250 cittadini e non priva di criticità, tra le quali si segnalano in primo luogo le carenze del sistema di illuminazione e dei trasporti pubblici, è stata all'origine di una protesta pubblica iniziata dai residenti da oltre due mesi;
   il 17 luglio 2015 con l'arrivo dei primi 19 sedicenti profughi ci sono state gravi tensioni, dimostrazioni e proteste tra i residenti e le forze dell'ordine;
   gli immigrati sono stati destinati ad una struttura, la ex scuola Socrate, sulla cui agibilità in condizioni di sicurezza si è in passato dubitato al punto tale da disporne il sequestro pro tempore;
   il trasferimento dei sedicenti profughi risulta essere stato autorizzato dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli;
   nel corso delle proteste sono rimasti feriti 14 poliziotti, chiamati loro malgrado a dar corso alle deliberazioni assunte dal Governo e a fronteggiare l'ira comprensibile della popolazione residente;
   si sono registrati feriti anche tra i dimostranti residenti, alcuni dei quali hanno dovuto ricorrere alle cure in ospedale;
   i residenti lamentano da tempo l'incremento della pressione migratoria gravante sull'area del Casale di San Nicola e la mancanza di servizi alla cittadinanza, ma, a quanto consta agli interroganti, a dispetto delle loro proteste nessuno, né il sindaco, né il presidente del Municipio, tanto meno la questura e la prefettura, hanno ritenuto di doverli ricevere per ascoltare le problematiche sollevate dal Comitato cittadino e quindi verificare soluzioni alternative –:
   se, prima di assumere la decisione di destinare 100 migranti irregolari alla ex scuola Socrate di Casale San Nicola, il Governo abbia consultato il sindaco di Roma e quello del XV municipio della capitale ed eventualmente con quale risultato;
   se il Governo intenda completare l'operazione trasferendo tutti i presunti profughi che contava di inviare alla ex scuola Socrate di Casale San Nicola o ritenga invece di doverla arrestare, anche alla luce delle problematiche sollevate dai residenti;
   se sia certa l'agibilità della ex scuola Socrate;
   se il Governo ritenga davvero opportuno gravare la città di Roma dell'onere di accogliere ulteriori immigrati in attesa di riconoscimento dello status di rifugiato, destinandoli per giunta ad aree e quartieri privi di servizi e già significativamente degradati, proprio mentre si attende un'azione di riqualificazione della capitale in vista dell'ormai imminente inizio dell'Anno Santo straordinario. (4-09914)

  Risposta. — La protesta inscenata il 17 luglio 2015 da alcuni residenti del quartiere romano di Casale San Nicola trae origine da un contesto di tensione creatosi attorno alla sistemazione di un gruppo di immigrati richiedenti asilo nell'edificio dell'ex scuola privata Socrate. Alla protesta hanno preso parte attiva anche elementi dell'estremismo di destra, che indossavano caschi da motociclista a scopo di travisamento.
  Nell'occasione, si è reso necessario l'intervento delle forze di polizia volto a contrastare comportamenti che erano già trascesi a vie di fatto, concretandosi nella realizzazione di un blocco stradale per impedire il passaggio dei migranti, nell'armare una sassaiola all'indirizzo degli operatori di polizia e nel ferire, infine, un funzionario della Polizia di stato e altri tredici poliziotti presenti sul posto.
  Si è trattato di una reazione assolutamente giustificata dal contesto in cui le forze di polizia si sono trovate ad operare e proporzionata al tipo e all'entità delle condotte illecite messe in atto dai manifestanti.
  Occorre ricordare inoltre che l'individuazione della struttura ricettiva era avvenuta d'intesa con il Presidente del XIV municipio, dopo aver valutato l'inadeguatezza di altre soluzioni logistiche; sicché la comunità locale è stata coinvolta nella vicenda fin dall'inizio e attraverso il suo massimo rappresentante.
  Si rappresenta Infine che il prefetto di Roma, nella sistemazione logistica dei richiedenti asilo, sta operando secondo una logica di decongestionamento delle zone a maggiore concentrazione di migranti, utilizzando piccole strutture – spesso ubicate nei centri minori della provincia di Roma – dove possono risultare anche più agevoli le attività di integrazione. Si tratta di un'attività capillare che ha visto il prefetto recarsi di persona in diversi municipi della capitale, dove ha manifestato un'ampia e apprezzata disponibilità al dialogo e al confronto con le realtà locali.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al di là dei casi macroscopici come Regi Lagni e Bagnoli, la Campania è costellata da siti che già avrebbero dovuti essere bonificati e sui quali gli attori, di Governo e non, sono quasi sempre gli stessi e sempre inefficaci;
   un esempio in merito è la discarica di Agrimonda, a Mariglianella, in provincia di Napoli;
   la «Agrimonda s.r.l.» era una società addetta alla commercializzazione di prodotti per l'agricoltura, pesticidi, fitofarmaci e fertilizzanti;
   l'attività veniva esercitata su un'area di circa 2700 metri quadrati, su cui insistevano una palazzina di due piani adibita ad ufficio ed un capannone in cui era stoccata la merce;
   la notte del 18 luglio 1995 scoppiò un incendio che distrusse ditta e palazzina;
   il responsabile dell'asl NA 4 richiese l'intervento dello Scia e consigliò al sindaco di emettere un'ordinanza cautelativa di sgombero della popolazione per un raggio di 500 metri dal sito in fiamme;
   secondo i dati forniti dalla società, a causa dell'incendio sono stati bruciati 235 tonnellate di parassitari, 750 di concimi, 6 di plastica e 40.000 litri di pesticidi liquidi;
   tra i prodotti a maggiore tossicità presenti in grande quantità vi erano l'Antracol Fort Blue/Bianco (fungicida), il Basamid (insetticida), il Galben Blu/Bianco (fungicida), il Linuron (diserbante), il Primor (insetticida), il Tairel M 8-65 Bianco/Blue (fungicida), il Tiosol (insetticida), il Vapam (fungicida) ed il Seccatutto (erbicida);
   il sito è tuttora occupato in larga parte dal cumulo residuale del rogo e dai resti della palazzina lasciati in completo stato di abbandono, compreso un locale nel seminterrato da cui, secondo una relazione del ctu del 2010, proviene uno sgradevole odore di prodotti chimici;
   non è mai stata effettuata una campagna di monitoraggio dell'aria;
   nel 2007 e nel 2008 l'Arpac ha registrato picchi di benzene, toluene e xilene;
   il sito è stato inserito nel sito di interezze nazionale, e nel 2009 il commissariato alle bonifiche incarica la «Iacorossi s.p.a.», che aveva già svolto alcuni rilevamenti, di occuparsi della bonifica;
   nell'ottobre del 2011 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispose con una nota ai continui esposti da parte di associazioni, comitati e cittadinanza attiva e ad una richiesta esplicita del prefetto ammettendo di non avere fondi da destinare alla bonifica del sito (stimata dal comune come necessitante di 8 milioni di euro per essere eseguita) e chiedendo alla regione di occuparsene;
   nel maggio 2013 la Sogesid, società dello Stato per le bonifiche, è stata incaricata, nell'ambito dell'accordo di programma regione-comune, dei lavori di rimozione e caratterizzazione del sito Agrimonda;
   la Sogesid ha però sollevato forti dubbi in merito alla fattibilità ed al costo della rimozione;
   a Voltacarrozza, località di Frattamaggiore in provincia di Napoli, inoltre, è ben visibile sotto forma di collinetta alta dieci metri una discarica di circa 16.000 metri quadrati nel cuore dell'insediamento urbano e circondata da edifici abitati da civili;
   per anni anche lì sono stati sepolti veleni nell'indifferenza delle istituzioni e della popolazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative siano già state prese in merito e quali azioni si intendano intraprendere al riguardo;
   se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, effettuare rilievi sul terreno e sull'aria per verificare con esattezza la condizione delle aree citate;
   se non si ritenga necessario intervenire urgentemente al fine di monitorare la situazione della discarica di Agrimonda a Mariglianella, la discarica di Voltacarrozza a Frattamaggiore e tutte le altre aree campane che versano in analoghe condizioni, adottando ogni ulteriore iniziativa di competenza al riguardo. (4-02879)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali segnalate dall'interrogante, concernenti la bonifica delle discariche di Agrimonda, nel comune di Mariglianella (NA), e di Voltacarrozza, nel comune di Frattamaggiore (NA), si rappresenta quanto segue.
  Nel comune di Mariglianella è ubicato il sito denominato «ex deposito fitofarmaci Agrimonda» (codice sito 3042A500), che ricadeva all'interno del perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) del «Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano», individuato ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della citata legge 9 dicembre 1998, n. 426, successivamente declassificato a sito di interesse regionale (SIR) con decreto ministeriale n. 7 dell'11 gennaio 2013.
  Il suddetto sito è stato interessato nel 1995 da un incendio che ha provocato il collassamento del capannone industriale adibito a deposito di fitofarmaci, determinando una situazione di degrado ambientale nonché di grave pericolo per la salute pubblica a causa della presenza del cumulo di rifiuti combusti.
  Il comune di Mariglianella, con ordinanza n. 4759 del 31 maggio 2001, ha diffidato il soggetto obbligato inadempiente, individuato dal comune stesso nell'azienda «Agrimonda» in qualità di responsabile dell'inquinamento nonché proprietario dell'area, a provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti presenti sull'area medesima nonché al ripristino dello stato dei luoghi e agli eventuali interventi di bonifica.
  Il medesimo comune di Mariglianella, preso atto dell'esito del ricorso al TAR che ha respinto la domanda incidentale di sospensione proposta dai proprietari del suolo in opposizione al sopracitato dispositivo del 31 maggio 2001, ha avviato le procedure di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ed al decreto ministeriale n. 471 del 1999.
  In via preliminare, si ricorda che le competenze in materia di bonifiche, per effetto dello stato di emergenza nel territorio della regione Campania sono state in capo al commissario delegato fino al 31 gennaio 2010; successivamente, sono state attribuite, con specifica Ordinanza del Presidente del Consiglio ministri n. 3849 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni al commissario liquidatore fino allo scadere del proprio mandato, da ultimo prorogato al 31 dicembre 2012 con deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 settembre 2012, i cui poteri non hanno consentito, tuttavia, di avviare nuovi interventi ma solamente di procedere alla liquidazione delle attività già in essere.
  Nello specifico, con ordinanza n. 500 del 17 ottobre 2001, il commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania ha stanziato la somma forfettaria di euro 80.000,00 per la redazione della «caratterizzazione, progetto preliminare e esecutivo di bonifica necessari per la messa in sicurezza e bonifica del deposito di fitofarmaci Agrimonda», da liquidarsi dietro presentazione della documentazione contabile comprovante l'effettiva spesa sostenuta.
  Con determina n. 15 del 21 marzo 2003 il comune medesimo ha affidato ad una A.T.P. l'incarico di redigere il piano della caratterizzazione ed i progetti preliminare, definitivo ed esecutivo per la messa in sicurezza e bonifica dell'area per un importo presunto di euro 39.767,00.
  Con determina n. 78 del 15 marzo 2004 il comune ha assegnato l'esecuzione delle indagini e delle analisi per la caratterizzazione dell'area allo studio del dottor Chim. Giuseppe Riccio, per un importo di euro 14.151,37.
  In data 27 maggio 2005, e con successiva integrazione in data 2 agosto 2005, sono stati trasmessi dallo studio Riccio al comune di Mariglianella i risultati della caratterizzazione dell'area.
  La Conferenza di servizi tenutasi a livello locale il giorno 14 dicembre 2005 ha approvato il progetto di bonifica, consistente nella sola rimozione dei rifiuti presenti nell'area. Tutta la documentazione è stata successivamente inviata dal comune al dicastero per le determinazioni di competenza.
  La conferenza di servizi istruttoria del 24 ottobre 2006, svoltasi presso il Ministero dell'ambiente, in merito agli elaborati presentati dal comune di Mariglianella consistenti nei «Risultati analisi e progetto di Bonifica – Stabilimento comune di Mariglianella (NA)», ha ritenuto, in particolare, che il «progetto di bonifica» si riferiva in realtà ad una operazione di rimozione di rifiuti ai sensi dell'articolo 192, Titolo I – Capo I della Parte Quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Inoltre, la medesima conferenza di servizi istruttoria del 24 ottobre 2006, preso atto che il cumulo di rifiuti presente nell'area costituiva un grave pericolo per la salute pubblica, ha richiesto al commissario delegato di Governo di:
   1. procedere alla rimozione dei rifiuti combusti, così come previsto nel progetto approvato in sede di conferenza ai servizi locale del 14 dicembre 2005, attivando, previa messa in mora, il potere sostitutivo in danno del soggetto inadempiente, in caso di inottemperanza da parte dell'azienda alla sopracitata disposizione n. 4759 del comune di Mariglianella del 31 maggio 2001;
   2. trasmettere, successivamente alle operazioni di rimozione e smaltimento dei rifiuti, il piano di caratterizzazione dei suoli sottostanti i rifiuti rimossi, elaborato in danno, previa messa in mora, del soggetto inadempiente.

  La conferenza di servizi decisoria del 1o marzo 2007 ha richiesto:
   1. all'azienda Agrimonda s.r.l. la rimozione dei rifiuti combusti presenti nell'area;
   2. al commissario delegato di Governo, in caso di inadempienza dell'azienda, di attivare, costituendo il verbale della conferenza di servizi decisoria predetta formale messa in mora, i poteri sostitutivi in danno del medesimo soggetto inadempiente, sulla base dei poteri conferitigli dall'ordinanza ministeriale 22 dicembre 2000 n. 3100 e sue successive integrazioni e modificazioni.

  Con nota protocollo n. 1575/CD/AS/PP/U dell'11 febbraio 2008, acquisita da questo Ministero al protocollo n. 3285/QdV/DI dell'11 febbraio 2008, il commissario delegato di Governo ha richiesto a Jacorossi Imprese S.p.A., società incaricata dal commissario medesimo, con riferimento all'ordine di servizio n. 1 del 15 gennaio 2008, di procedere all'asportazione dei rifiuti e all'esecuzione delle indagini previste dal piano di caratterizzazione redatto e approvato dal comune di Mariglianella.
  A seguito della sopracitata disposizione del commissario delegato di Governo del 15 gennaio 2008, Jacorossi Imprese S.p.A. in data 19 ottobre 2009 ha attivato un sistema di bioventing, preliminare all'asportazione dei rifiuti.
  Con nota protocollo n. 1527 dell'8 gennaio 2010, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 906/QdV/DI del 19 gennaio 2010, la provincia di Napoli ha evidenziato che, a causa della risoluzione del contratto con Jacorossi Imprese S.p.A. a decorrere dal 12 novembre 2009, così come comunicato dal commissario medesimo con nota protocollo n. 106885 del 30 novembre 2009, il funzionamento del sistema bioventing era stato interrotto in data 21 dicembre 2009.
  Con nota protocollo n. 12568 del 5 febbraio 2010, acquisita dal Ministero dell'ambiente al protocollo 2811/QdV/DI del 12 febbraio 2010, la provincia di Napoli ha trasmesso la relazione tecnica finale sulle attività di bioventing, redatta da Jacorossi Imprese s.p.a., nella quale, sottolineando «l'oggettiva necessità di dover procedere quanto prima alla rimozione del cumulo, si ritiene opportuno ed auspicabile proseguire il trattamento ed il relativo monitoraggio».
  Con nota del 1o aprile 2010, acquisita dal Ministero dell'ambiente al protocollo 10128/TRI/DI del 26 aprile 2010, la ASL NA3 SUD, ex NA/4, ha chiesto «a tutela della salute pubblica, la messa in sicurezza del sito con bonifica dei luoghi e un costante monitoraggio della zona al fine di verificare la fuoriuscita di gas nocivi e l'intervento di bonifica».
  Come sopra anticipato, al commissariato delegato in materia di bonifiche, che ha esaurito il suo mandato in data 31 gennaio 2010, ha fatto seguito la nomina del commissario liquidatore, i cui poteri in deroga non hanno consentito di avviare nuovi interventi ma solamente di procedere alla liquidazione delle attività già in essere.
  Con nota prot. n. 15107/TRI/DI del 10 maggio 2011, alla luce di quanto sopra evidenziato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottoposto all'attenzione della regione Campania e del comune di Mariglianella le problematiche ambientali connesse alla gestione dei rifiuti presso il sito «Agrimonda» ed ha richiesto ai medesimi soggetti, per quanto di rispettiva competenza, di:
   1. riattivare nei tempi tecnici strettamente necessari l'impianto di bioventing, il cui funzionamento è stato interrotto a fine 2009;
   2. rimuovere, in condizioni di sicurezza per gli operatori, i rifiuti combusti dall'area e destinarli ad un idoneo impianto di trattamento/smaltimento;
   3. trasmettere il piano di caratterizzazione dell'area in oggetto con particolare riferimento all'area impronta dei rifiuti rimossi, richiedendo, inoltre, agli Enti locali competenti in materia sanitaria, Sindaco del comune di Mariglianella e ASL NA3 Sud, di adottare i necessari interventi finalizzati a tutelare la salute della popolazione circostante le aree in oggetto.

  La regione Campania con nota dell'8 settembre 2011, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al prot. n. 28511/TRI/DI del 20 settembre 2011, ha chiesto al dicastero di intervenire direttamente o in alternativa di disporre il trasferimento dei fondi finanziari necessari ai fini del prosieguo del processo di bioventing e della rimozione dei rifiuti ancora giacenti sull'area.
  Con nota prot. n. 30034/TRI/DI del 4 ottobre 2011 questo dicastero, evidenziando l'ingente lasso di tempo trascorso dalle prime richieste formulate, ha sottolineato l'indisponibilità, da parte dell'amministrazione, di risorse per finanziare le attività richieste.
  Con nota del 25 ottobre 2011, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al prot. n. 33619/TRI/DI del 7 novembre 2011, il comune di Mariglianella, a seguito della riunione tecnica tenutasi presso la regione Campania il giorno 4 ottobre 2011, ha chiesto ad ARPA Campania, alla provincia di Napoli, alla regione Campania ed alla ASL NA3 Sud di attivare il monitoraggio:
   a) dell'aria, per verificare i livelli di concentrazione delle sostanze pericolose rinvenute nel cumulo;
   b) delle acque di falda su alcuni pozzi sentinella, posti a valle della direzione di flusso delle acque medesime.

  Con nota prot. n. 7732/TR1/DI del 19 marzo 2012 questo dicastero, in riferimento alla comunicazione del 1o febbraio 2012 con cui la regione Campania aveva comunicato che erano in corso le attività di monitoraggio delle acque di falda nell'area del sito «Agrimonda» mentre non risultava ancora iniziato il monitoraggio dell'aria, in capo ad ARPA Campania, evidenziando l'urgenza della situazione sanitaria ed ambientale presente nel sito in oggetto, ha richiesto:
   1. alla regione medesima di trasmettere, nei tempi tecnici strettamente necessari:
    a) le coordinate geografiche dei piezometri campionati nonché i dati georeferenziati in proiezione UTM Datum WGS84, restituiti anche su supporto informatico in modo da poter essere inseriti in un SIT;
    b) le risultanze analitiche del monitoraggio delle acque di falda (non agli atti della direzione tutela risorse idriche);
   2. ad ARPA Campania di trasmettere, nei tempi tecnici strettamente necessari, i risultati del monitoraggio dell'aria;
   3. ad ARPA Campania ed alla provincia di Napoli di eseguire un'accurata ispezione nelle aree circostanti i pozzi adibiti all'intervento di bioventing, con particolare riferimento all'integrità del telo di copertura.

  In particolare, in riferimento al telo di copertura, si evidenzia che con nota prot. n. 9327 del 6 settembre 2012, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al prot. n. 26030/TRI/DI del 14 settembre 2012, il comune di Mariglianella comunica che in data 5 settembre 2012 sono stati ultimati i lavori di manutenzione sul telo posto a copertura del cumulo del deposito Agrimonda e che il telo risulta ora integro in ogni sua parte.
  Ha fatto seguito un'intensa corrispondenza nel corso del 2012, che ha coinvolto il dicastero, la regione, gli enti locali nonché la Prefettura di Napoli.
  In considerazione della situazione sanitaria ed ambientale venutasi a determinare nel sito, il dicastero, la regione Campania ed il comune di Mariglianella hanno sottoscritto, in data 18 dicembre 2012, un apposito accordo di programma al fine di finanziare, con risorse disponibili a valere sul bilancio ministeriale per euro 962.090.90. gli interventi più urgenti, fermo restando l'esercizio dell'azione di rivalsa nei confronti del soggetto inadempiente responsabile dell'inquinamento – individuato dal comune di Mariglianella dell'azienda «Agrimonda» – ai sensi della vigente normativa in materia.
  Tale accordo, il cui soggetto responsabile è individuato nel Coordinatore pro tempore dell'A.G.C. 05 della regione Campania – cui spetta il compito di vigilare sull'attuazione delle attività e degli interventi disciplinati nell'Atto medesimo – tra l'altro, all'articolo 3 individua la regione Campania ed il comune di Mariglianella quali soggetti attuatori degli interventi di seguito indicati:
   a) predisposizione di un piano di smaltimento dei rifiuti;
   b) prelievo, trasporto e smaltimento dei rifiuti;
   c) predisposizione del piano di caratterizzazione dell'area impronta dei rifiuti;
   d) esecuzione delle indagini di caratterizzazione ed analisi di cui al precedente punto C.

  Gli stessi soggetti attuatori, mediante stipula di apposito atto convenzionale, devono stabilire i compiti e i soggetti a cui affidare tutte le fasi progettuali ed operative per la realizzazione degli interventi.
  Nell'accordo è esplicitato, altresì, che tali interventi sono di competenza pubblica da eseguire in danno del soggetto obbligato, a tal fine attribuendo alla regione Campania un ruolo di coordinamento a livello locale al fine di assicurare l'attivazione da parte del comune dei procedimenti di intervento in danno (identificazione dei responsabili della contaminazione e diffida ai responsabili a provvedere; recupero di tutte le risorse pubbliche impiegate per la realizzazione degli interventi previsti nel presente accordo di programma rivalendosi nei confronti dei soggetti responsabili eventualmente individuati ecc.), avvalendosi a tal fine della provincia di Napoli, territorialmente competente, ai sensi del combinato disposto degli articoli 242, 244 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni.
  Tuttavia, si chiarisce che, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 12 marzo 2013, serie generale n. 60, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 7 dell'11 gennaio 2013 – che ha individuato i siti che non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dall'articolo 36-bis, comma 1, della legge n. 134 del 2012 e che, pertanto, non rientrano più tra i siti di bonifica di interesse nazionale – il sito «Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano» è passato nelle competenze della regione Campania quale sito di bonifica di interesse regionale (SIR).
  Pertanto, alla luce di quanto disposto dal citato decreto ministeriale la regione Campania è subentrata nella titolarità del procedimento tecnico-amministrativo concernente, la bonifica del sito in questione, ai sensi dell'articolo 242 del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Ciò premesso, in attuazione dell'accordo in parola, la regione Campania, a partire dal 2013, ha avviato le necessarie interlocuzioni con le Amministrazioni pubbliche e gli enti interessati (comune, ARPAC, ASL) al fine di concordare le modalità di espletamento delle attività previste in accordo nonché di quelle propedeutiche, quali la caratterizzazione del sito.
  Per quanto riguarda la discarica di Voltacarrozza, invece, si segnala che questo Ministero non dispone di alcun elemento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Brescia e della sua provincia è interessato da una massiccia opera di cementificazione, al punto da trovarsi al terzo posto in Italia con 445 chilometri quadrati di suolo interessato dal fenomeno, dietro solo a Roma (570 chilometri quadrati) e Torino (540 chilometri quadrati), davanti perfino a Milano (415 chilometri quadrati);
   il fenomeno, in crescita costante a causa degli interessi delle lobby del cemento e delle costruzioni, è stato analizzato di recente dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha messo in luce la gravità della situazione, soprattutto per il Nord: se in tutta Italia la quota cementificata è del 7 per cento, in Lombardia il «picco» arriva a sfiorare il 10 per cento; con il dato di Brescia del 9,3 per cento; la Lombardia è dunque la regione italiana maggiormente colpita dal fenomeno, con quasi 2500 chilometri quadrati di «suolo consumato», davanti al Veneto (1744 chilometri quadrati) e all'Emilia Romagna (1642 chilometri quadrati);
   la cementificazione selvaggia causa numerosi problemi sul piano ambientale, dal dissesto idrogeologico alla perdita di patrimonio forestale, tanto che al momento sono circa 6 milioni gli italiani che vivono in aree soggette a pericolo di alluvioni, un rischio enfatizzato tra l'altro dall'aumento di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico;
   la cementificazione ha pesanti ripercussioni anche sui cambiamenti climatici stessi, producendo l'immissione in atmosfera di tonnellate di CO2 l'anno, aggravando il riscaldamento globale e allontanando l'Italia dagli obiettivi per la riduzione delle emissioni stabiliti dall'Unione europea per il 2020;
   il dossier sul consumo del suolo «Terra Rubata – Viaggio nell'Italia che scompare», indagine condotta su 11 regioni italiane da FAI e WWF, spiega, che negli ultimi 50 anni l'area urbana è pressoché quadruplicata, attraverso la cementificazione di una superficie grande quanto l'intero Friuli Venezia Giulia. A tutto questo si è sommato il fenomeno dell'abusivismo edilizio: dalla nascita della Repubblica ad oggi, si sono registrati 4,5 milioni di casi certificati, 75 mila l'anno e 207 al giorno e ben tre condoni (1985, 1994 e 2003) hanno sanato gli abusi al posto di una politica sulla pianificazione territoriale;
   secondo Coldiretti «L'Italia ha perso il 28 per cento delle campagne negli ultimi 25 anni per colpa della cementificazione e dell'abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato» e «la superficie agricola utilizzabile si è ridotta in Italia ad appena 12,8 milioni di ettari»; il risultato è «che più di otto comuni italiani su dieci (82 per cento) hanno parte del territorio a rischio frane e alluvioni a causa del consumo di suolo agricolo che, con la cementificazione, ha ridotto la capacità di ritenzione idrica dei terreni». Infatti, spiega Coldiretti, oggi in Italia «cinque milioni di cittadini vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 Comuni hanno parte del territorio a elevato rischio di frana o alluvione, anche per la mancanza di un'adeguata pianificazione territoriale» –:
   se il Governo sia al corrente della gravità della situazione espressa in premessa e se non consideri necessario intervenire e in che modo per porre freno a questo trend negativo e difendere l'interesse generale del Paese contro lo strapotere delle lobby del cemento e delle costruzioni, che depauperano il territorio italiano, arrecando gravi danni all'ambiente non sempre reversibili e mettendo a rischio la salute di molti italiani, con gravi ricadute anche in termini finanziari.
(4-09554)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Circa le iniziative inerenti il contenimento di consumo del suolo e riuso del suolo edificato, si sottolinea che, nel corso del Consiglio dei ministri n. 40 del 13 dicembre 2013, il Governo ha approvato uno specifico disegno di legge.
  Il provvedimento in questione, proposto dai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per i beni e le attività culturali e turismo, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché delle infrastrutture e dei trasporti, è finalizzato al contenimento del consumo di suolo, alla valorizzazione del suolo non edificato, alla promozione dell'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, nonché alla valorizzazione del suolo come risorsa da tutelare anche ai fini di mitigazione prevenzione del rischio idrogeologico.
  La salvaguardia della destinazione agricola dei suoli e la conservazione della relativa vocazione naturalistica rappresentano, infatti, un obiettivo di primaria importanza, soprattutto alla luce dei dati statistici acquisiti, dai quali risulta la progressiva «cementificazione» della superficie agricola nazionale.
  Uno degli obiettivi prioritari del provvedimento consiste nella previsione del riuso e della rigenerazione edilizia del suolo edificato rispetto all'ulteriore consumo di suolo. In sostanza, il complessivo scopo finale della legge è quello di impedire che il suolo venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione e al contempo promuovere e sostenere il riuso e la rigenerazione di aree già interessate da processi di edificazione. Tale disegno di legge aveva ricevuto il parere favorevole della Conferenza unificata.
  L’iter parlamentare è ancora in atto e di recente, ad inizio 2015, si è pervenuti all'elaborazione, da parte del comitato ristretto istituito allo scopo, di un nuovo testo, adottato come nuovo testo base dalle commissioni riunite VIII (Ambiente) e XIII (Agricoltura) della Camera dei deputati, dove tuttora pende per la discussione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, il 30 ottobre 2013 si è verificata una moria piuttosto consistente di pesci nel canale «cavo Robecco» nell'area del territorio cremonese;
   si tratterebbe «di non meno di mezza tonnellata di pesce – tra cavedani, tinche, arborelle e carpe – morto, con ogni probabilità per un mix di assenza d'ossigeno e sostanze inquinanti» (La Cronaca di Cremona del 31 ottobre 2013);
   sempre secondo quanto riportato dal succitato quotidiano, «È stato da subito chiaro che un elemento decisivo era la scarsità d'acqua, al quale va aggiunta la probabile immissione di sostanze inquinanti, che hanno dispiegato tutto il loro potenziale tossico proprio per l'assenza di quantità d'acqua sufficiente a diluire i vari principi attivi»;
   conseguentemente, è stato necessario immettere ulteriore acqua al fine di consentire alla corrente di far defluire il pesce morto e di «diluire» la presenza di sostanze inquinanti;
   il fenomeno purtroppo non risulta isolato. Qualche giorno prima del fatto sarebbe avvenuto un episodio molto simile, in un canale presso la zona Migliaro –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, ritenga opportuno assumere iniziative, anche promuovendo verifiche da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per chiarire le cause degli episodi descritti in premessa al fine di prevenire ulteriori simili fenomeni presso l'area cremonese. (4-02477)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, relativo a una consistente moria di pesci registrata nell'ottobre del 2013 nel canale «Cavo Robecco» nell'area del territorio cremonese per una probabile immissione di sostanze inquinanti, sulla base degli elementi informativi acquisiti dal competente ufficio territoriale di Governo di Cremona, si rappresenta quanto segue.
  Non appena l'episodio è stato segnalato alle centrali operative del comune di Cremona, è stato subito dato corso ad apposito sopralluogo, con il supporto delle guardie ecologiche volontarie, accertando sin da subito che il fenomeno inquinante riscontrato nel canale era da attribuirsi alla presenza di liquami zootecnici.
  Tanto appurato, veniva subito richiesto al consorzio Irrigazioni locale di aumentare il flusso d'acqua nel canale in argomento per limitare ed arginare i possibili e conseguenti danni.
  La polizia locale della provincia, dal canto suo, prontamente attivata, ha eseguito a sua volta un ulteriore sopralluogo presso un'azienda agricola del confinante comune di Pozzaglio ed Uniti, nel corso del quale veniva accertato uno sversamento di liquami in prossimità del canale idrico in parola.
  L'immissione del materiale inquinante e cessata con la realizzazione di opportuni terrapieni di contenimento da parte del responsabile dello spandimento, al quale, a conclusione dei rilievi, il personale della provincia di Cremona ha elevato un verbale di accertamento con conseguente sanzione amministrativa per illecito utilizzo agronomico dei suddetti reflui in difformità dalle disposizioni di legge vigenti in materia.
  Con l'interruzione dello sversamento e il deflusso dell'agente contaminante, le acque del citato canale sono progressivamente rientrate nella normalità, mentre i resti della fauna acquatica colpita dall'inquinamento sono stati recuperati dai volontari della federazione italiana pesca sportiva ed attività subacquee per il successivo smaltimento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZARATTI, PELLEGRINO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2015, la SOGIN ha consegnato l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) la proposta di carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico, redatta sulla base della, guida tecnica n. 29 dell'ISPRA, del 4 giugno 2014, recante «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
   l'ISPRA ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la carta delle aree potenzialmente idonee;
   la pubblicazione della suddetta carta apriranno una fase di consultazione pubblica, con un seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare i soggetti interessati. Successivamente, sempre la Sogin, potrà presentare, entro sessanta giorni, la proposta finale della carta per essere definitivamente approvata dai Ministeri competenti, sentito nuovamente il parere dell'ISPRA che si dovrà esprimerà entro i successivi sessanta giorni;
   il deposito nazionale è un'infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi. La sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca;
   la carta delle arte potenzialmente idonee (CNAPI) consegnata all'Ispra dalla Sogin, è inspiegabilmente mantenuta segreta, impedendo così, perlomeno agli organi istituzionali locali e centrali, di poter intanto essere messi a conoscenza di quali territori sia pure in via preliminare – sono stati individuati dalla medesima Sogin per la realizzazione del suddetto deposito nazionale –:
   se non si ritenga indispensabile e doveroso rendere pubblica la carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico, al fine di consentire legittimamente ai soggetti interessati una prima valutazione sui siti individuati. (4-07486)

  Risposta. — La procedura e la relativa tempistica per giungere alla individuazione, al termine di un lungo percorso condiviso e trasparente, di un sito idoneo a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sono disciplinate dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 45 del 2014.
  È vero, tuttavia, che rispetto ai tempi originariamente previsti, si è verificato un ritardo nella pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI).
  Ciò è stato causato, in particolare, dalla necessità, congiuntamente rilevata dai Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, nel corso dell'esame della documentazione ad essi pervenuta lo scorso 13 marzo, di acquisire determinati approfondimenti tecnici, sia da parte della Sogin s.p.a. che da parte dell'ISPRA, al fine di valutare in maniera più completa il documento proposto.
  Solamente lo scorso 20 luglio è stato consegnato l'aggiornamento richiesto, per l'esame del quale le competenti strutture ministeriali si sono immediatamente messe al lavoro, con l'obiettivo di completare con la massima celerità l'istruttoria finalizzata ad autorizzare la pubblicazione della CNAPI; a seguito di tale pubblicazione a cura della Sogin s.p.a, inizierà la fase di consultazione pubblica nell'ambito della quale tutti i soggetti coinvolti e/o interessati potranno formulare osservazioni e proposte.
  Ritengo sia il caso di richiamare, altresì, la recentissima nota con la quale, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, si è ritenuto di dover precisare pubblicamente che contrariamente a quanto riportato da alcuni organi di stampa, che indicano il termine di fine agosto per la scelta del sito definitivo, detto termine è invece quello ipotizzato per il rilascio del nulla-osta alla pubblicazione della CNAPI, che rappresenterà – come già innanzi riferito – soltanto il momento di avvio della lunga procedura caratterizzata da ampie fasi di consultazione pubblica, nella quale verranno coinvolti regioni ed enti locali interessati, cittadini e comunità scientifica, che porterà prima ad individuare alcune aree idonee ad ospitare il deposito nazionale e poi stabilirà il sito.
  E proprio su questo punto, non si possono non manifestare forti perplessità su talune anticipazioni di stampa che ipotizzano varie localizzazioni. La documentazione consegnata ai due dicasteri di cui si è appena detto, infatti, considerata la classificazione di riservatezza attribuita dalla Sogin s.p.a. alla proposta di CNAPI, è stata analogamente classificata e tale sarà trattata, conformemente alle vigenti disposizioni, sino alla sua pubblicazione a seguito del nulla-osta che sarà rilasciato dai due ministeri interessati.
  Allo stato è difficile, pertanto, attribuire a tali anticipazioni alcuna seria attendibilità.
  Il processo partecipativo che avrà inizio dalla pubblicazione della CNAPI, così, culminerà con il «seminario nazionale», nel corso del quale verranno approfonditi tutte le problematiche e gli aspetti tecnici relativi al deposito nazionale e al parco tecnologico che lo ospiterà, per poi giungere alla istruttoria finale di approvazione della «Carta», sulla cui base potranno essere formulate le dichiarazioni di interesse da parte delle amministrazioni regionali propedeutiche agli approfondimenti di dettaglio e alla individuazione del sito definitivo, secondo le dettagliate e tassative procedure definite con il già citato articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, e successive modificazioni ed integrazioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.