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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 15 settembre 2015

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende di uno schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dell'Interno»;
   tale provvedimento, deciso nell'ambito dei decreti attuativi di prossima emanazione relativi alla riforma della pubblica amministrazione, prevede la soppressione di ben 23 prefetture, con contestuale accorpamento – in dettaglio – di quella di Teramo all'Aquila, di Chieti a Pescara, di Vibo Valentia a Catanzaro, di Benevento ad Avellino, di Piacenza a Parma, di Pordenone ad Udine, di Rieti a Viterbo, di Savona a Imperia, di Sondrio a Bergamo, di Cremona a Mantova, di Lodi a Pavia, di Lecco a Como, di Fermo ad Ascoli Piceno, di Isernia a Campobasso, di Asti ad Alessandria, di Verbano Cusio Ossola a Novara, di Biella a Vercelli, di Oristano a Nuoro, di Enna a Caltanissetta, di Massa Carrara a Lucca, di Prato a Pistoia, di Rovigo a Padova e di Belluno a Treviso;
   in particolare, dunque, si passerebbe dalle attuali 103 prefetture presenti sul territorio a sole 80 unità;
   i tagli, peraltro, riguarderebbero anche le questure ed i comandi dei vigili del fuoco delle sedi interessate;
   tale proposta di riduzione non può che destare perplessità traducendosi, evidentemente, in un significativo ridimensionamento dei presidi di legalità e sicurezza presenti sul territorio e in gravi disservizi per i cittadini;
   peraltro nello schema di decreto è assente del tutto la disciplina dei lavoratori delle Prefetture;
   la riorganizzazione degli uffici territoriali, in tal modo prevista – e in un momento tanto delicato, ad esempio per quanto attiene anche l'emergenza migranti – non può che essere sbagliata e intempestiva, facendo registrare un notevole e drammatico arretramento dello Stato rispetto alle esigenze dei territori;
   è evidente che una eventuale riorganizzazione delle prefetture non possa che avvenire tenendo conto dei flussi migratori e dei tassi di criminalità, e che misure quali quelle previste dallo schema di decreto in questione rappresentino esclusivamente tagli insensati che non garantiranno affatto adeguate risposte alle esigenze dei territori –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga opportuno rivedere al più presto i contenuti dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dell'Interno», eliminando la parte relativa alla riduzione del numero delle Prefetture, o quantomeno non intenda rinviare il provvedimento dopo un confronto con le realtà territoriali.
(2-01079) «Quaranta, Costantino, Ricciatti, Scotto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la continuità politica e programmatica dei Governi Monti, Letta e Renzi impone l'esigenza di valutare realisticamente gli atti concreti relativi alla cosiddetta vertenza Sardegna;
   è fin troppo evidente che sulla già complessa questione sarda si registrano ulteriori gravi e colpevoli ritardi legati a mancate decisioni del Governo e, in alcuni casi, a decisioni che appaiono contrarie alla risoluzione dei problemi stessi;
   l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di non pregiudicare in modo irreversibile le questioni oggetto della vertenza Sardegna;
   in particolar modo appaiono sin troppo evidenti le questioni relative:
    a) alla questione trasporti, con l'esigenza ad avviso degli interpellanti improcrastinabile di revocare la convenzione con la Tirrenia per palese contrasto con l'interesse pubblico e contributo di Stato di dubbia legittimità, non commisurato e non giustificato rispetto ad un servizio inadeguato e con costi proibitivi per i residenti e i non residenti;
    b) alla questione relativa alla continuità territoriale aerea con un'inaccettabile limitazione a soli nove mesi della tariffa unica e con continue limitazioni alla disponibilità di posti sulle tratte da e per la Sardegna, che hanno duramente penalizzato la stagione estiva, oltre alla limitazione delle tratte di collegamento tra l'isola e il resto del Paese;
    c) alla questione energetica con la pesantissima ricaduta sul sistema economico industriale della Sardegna, dalla mancata realizzazione del metanodotto Algeria – Sardegna — Europa a favore di quelle che gli interpellanti ritengono lobby protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra, con la distribuzione su gommato del gas, per arrivare alla mancata definizione di un regime tariffario, attraverso contratti bilaterali e regimi di riequilibrio, a partire dalla interrompibilità e super interrompibilità, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
    d) alla questione insularità e all'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che, sino ad oggi, il divario insulare non solo non è stato limitato ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo documento di economia e finanza;
    e) alle questioni industriali della Sardegna: dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato miniera Carbosulcis centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
    f) alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea e degli interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
    g) alla definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna, in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario insulare, come già contemplato in disposizioni di legge a partire dal decreto legislativo n. 75 del 1998;
    h) alla definizione concreta della «partita» delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale in relazione ai quali, ad avviso degli interpellanti, è risultato inaccettabile il comportamento dello stesso Governo in carica;
    i) alla dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate, compresa la riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   in particolar modo si ritiene indispensabile interpellare il Governo su tutti gli impegni assunti e non mantenuti;
   ad oggi, su questi temi si registra un gravissimo arretramento non solo sostanziale ma anche procedurale considerato che nessun serio e concreto atto è stato messo in campo dal Governo e anzi tutte le vertenze languono senza alcuna prospettiva di soluzione –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, che aveva annunciato per settembre 2015 iniziative concrete dopo quasi due anni di promesse non mantenute e di ritardi, non intenda predisporre con somma urgenza iniziative normative e operative concrete che affrontino in modo efficace e immediato le vertenze che costituiscono la più ampia questione sarda;
   se il Governo non intenda assumere iniziative, in base all'articolo 15 della convenzione con la Tirrenia, anche alla luce del nuovo gravissimo monopolio generato dall'acquisizione dell'intero pacchetto azionario da parte dello stesso socio che detiene la compagnia Moby Lines, per la revoca della stessa per manifesta inadempienza rispetto all'interesse pubblico con gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima e l'utilizzo di un contributo di 73 milioni di euro che appare sotto ogni punto di vista ingiustificabile e di dubbia legittimità, avviando procedure corrette di evidenza pubblica per la gestione della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   se non si intendano assumere iniziative con somma urgenza per revocare la limitazione a soli 9 mesi all'anno della tariffa unica per la continuità territoriale e disporre l'immediata attivazione di procedure al fine di estendere il regime di continuità territoriale anche su altre rotte da e per la Sardegna ripristinando un servizio pubblico indispensabile a rompere l'isolamento del quale la Sardegna è sempre più vittima;
   se il Governo non intenda, attraverso iniziative normative urgenti, arrivare alla definizione di un regime tariffario, promuovendo contratti bilaterali e norme funzionali all'attuazione di regimi di riequilibrio tariffario elettrico, come interrompibilità e super interrompibilità, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
   se il Governo non intenda giustificare il fatto che dopo tre anni dalla chiusura dello stabilimento Alcoa non solo non ha proposto nessuna concreta iniziativa o provvedimento teso a soddisfare le esigenze energetiche, ma ha presentato una proposta di procedura europea solo a maggio 2015 con un ritardo inaudito;
   se non intenda dare notizie concrete sullo stato di tale procedura, considerato che il vertice con il commissario europeo per la concorrenza dei giorni scorsi a Roma si è tradotto in un nulla di fatto;
   se non intenda assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, volta a evitare che: i lavoratori, come nel caso dell'Alcoa, siano, ingiustamente perseguiti per manifestazioni di protesta;
   se il Governo non ritenga di dover attivare per Alcoa procedure analoghe a quelle adottate per l'Ilva, considerate le analogie anche sul piano ambientale, attraverso apposite iniziative normative, a partire dal riconoscimento strategico dell'alluminio primario e il conseguente riavvio commissariale degli impianti, qualora non ci fosse la disponibilità concreta di soggetti terzi;
   se non si intenda dare continuità a quanto sostenuto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale relativamente alla realizzazione del metanodotto Sardegna-Algeria, anche in considerazione dell'approvvigionamento sempre più problematico sia con la Libia che con la Russia, anche al fine di non favorire lobby diverse protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia Sul fronte costiero che nell'entroterra, con la distribuzione su gommato del gas;
   se il Governo non intenda, valutata la gravissima situazione, con il rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e con il pignoramento di migliaia di aziende agricole, predisporre un'iniziativa normativa urgente che preveda un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico-finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
   se non ritenga il Governo di affrontare con una concreta iniziativa normativa la questione dell'insularità e l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato ridotto, ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno, anche sul piano infrastrutturale, totalmente escluso la Sardegna, come per esempio è accaduto con l'ultimo documento di economia e finanza, dove la Sardegna, a giudizio degli interpellanti, è completamente omessa;
   se il Governo non intenda agire concretamente sulle questioni industriali della Sardegna, considerato che ad oggi queste non solo non sono state risolte ma risultano gravemente compromesse a partire dalla questione aperta di Ottana Energia e dal riconoscimento del regime di essenzialità che scadrà al 31 dicembre 2015 e dalla ripresa produttiva dell'ex Enichem di Ottana, assumendo iniziative affinché Eni ceda la linea produttiva indispensabile a ricostituire la filiera chimica essenziale per lo stabilimento di Ottana Polimeri;
   se non intendano provvedere a fornire le necessarie garanzie per la proroga della cassa integrazione straordinaria dei lavoratori di Ottana che scade a novembre 2015 e nel contempo garantire la ripresa produttiva degli impianti di xileni dello stabilimento Versalis di Sarroch che forniva a Ottana il paraxilene e verificare la possibilità tecnica ed economica che questi impianti possano essere rimessi in marcia anche senza la gestione diretta dell'Eni, proprietaria dello stabilimento;
   se il Governo non ritenga di dover rimodulare le risorse dei vari piani infrastrutturali a favore del riequilibrio verso la Sardegna con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro-mediterranea e interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico, considerate la totale inconsistenza degli annunci sinora fatti a partire dalle dichiarazioni del presidente di Anas di un miliardo di euro per le strade sarde, la bocciatura europea dei fondi per la velocizzazione delle reti ferroviarie e l'assoluta esiguità e assenza di proporzionalità delle risorse stanziate per il rischio idrogeologico, 16 milioni di euro a fronte di 81, per Olbia, e zero, per Cagliari, a fronte di 30;
   se il Governo non ritenga urgente predisporre un'apposita iniziativa normativa per la definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
   se non ritenga di dover predisporre iniziative concrete tese all'attuazione dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna con l'immediata dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali, a partire dalla città di Cagliari, e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;
   se il Governo non ritenga di dover far cessare, per quanto di competenza, la distruzione ambientale e naturalistica nelle aree militari della Sardegna (oggetto di procedura di infrazione) e di dover predisporre un piano di riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata garantendo la piena occupazione sia in termini di sicurezza che protezione civile.
(2-01080) «Pili, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   a pochi giorni dalla morte di Aylan — 3 anni, siriano, in fuga dalla guerra — un altro battello è affondato davanti alla Grecia causando altre decine di vittime, per la metà bambini e tra loro dei neonati, a conferma che questa strage infinita non pare destinata a fermarsi;
   solo quest'anno — e si è a settembre 2015 — più di 430 mila migranti hanno sfidato il Mediterraneo per il loro viaggio della speranza. Vuol dire il doppio di quanti lo avevano fatto nell'intero 2014. A migliaia non hanno toccato la riva e di molti non si potrà mai recuperare il corpo. La maggior parte fugge dalla Siria. Molti da Pakistan, Iraq o dall'Afghanistan e dall'Africa. Il numero più alto percorre la via che conduce dalla Turchia alla Grecia. Altri sbarcano sulle nostre coste dopo una via crucis in territorio libico;
   l'Europa — anche grazie alle pressioni del nostro Governo — sta correggendo un'assenza prolungata e un egoismo colpevole, ma senza risolvere il tema di fondo di quali vie legali si possono utilizzare per chiedere asilo in Europa, migliaia di donne, uomini, bambini non troveranno alternativa al ricatto di criminali e scafisti;
   l'Italia ha il merito enorme di avere soccorso in mare migliaia di naufraghi. È un'opera di cui andare orgogliosi e che va proseguita fintanto che l'emergenza continuerà. Ma se si vogliono evitare nuove tragedie la sola soluzione — umanamente e politicamente saggia — è andare a prendere quanti hanno il diritto di mettersi in salvo prima che la loro vita sia comperata e mercificata da trafficanti senza principi –:
   se il Governo ravvisi a oggi la necessità di farsi promotore presso l'Unione europea di una intensa pressione politica e diplomatica finalizzata, in una collaborazione stretta con l'UNHCR, ad attivare dei canali umanitari sicuri e dei presidi nei Paesi di partenza ovunque ciò sia possibile — dalla Turchia al Libano, dalla Giordania alla Tunisia — così da procedere in un contesto di protezione a una prima selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato e ai quali garantire visti umanitari per chi scappa dalla guerra e la certezza di non essere respinti dai Paesi di transito; se in tale contesto non ritengano necessario individuare dei criteri umanitari partendo dalla salvezza di donne e bambini in modo da evitare che altre creature o neonati debbano salire su una di quelle sciagurate imbarcazioni, e comunque con l'obiettivo di trasferire i profughi con diritto di asilo nei Paesi di sbarco in condizioni di sicurezza, stroncando un traffico odioso di esseri umani che solo quest'anno ha già fruttato alle organizzazioni criminali centinaia di milioni di dollari.
(2-01081) «Cuperlo, Rosato, Luciano Agostini, Albini, Argentin, Baruffi, Bargero, Basso, Bazoli, Beni, Blazina, Brandolin, Bruno Bossio, Carra, Carloni, Carnevali, Castricone, Casellato, Cassano, Cenni, De Maria, Fabbri, Fontanelli, Gianni Farina, Fossati, Carlo Galli, Gandolfi, Gnecchi, Giorgis, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Laforgia, La Marca, Lattuca, Marazziti, Martella, Marzano, Malisani, Miotto, Murer, Pastorino, Pollastrini, Prina, Romanini, Rubinato, Scuvera, Speranza, Stumpo, Terrosi, Tullo, Zampa».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   le disposizioni della legge della provincia del 4 agosto 2015, n. 15, «Legge provinciale per il governo del territorio», all'articolo 9 «Commissione edilizia comunale» prevedono che: «1. I comuni istituiscono la commissione edilizia comunale (CEC), quale organo tecnico-consultivo in materia edilizia. Il regolamento edilizio, fatte salve le previsioni espressamente dettate da questa legge, ne determina la composizione, le modalità di funzionamento e individua gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica soggetti al suo parere. La CEC esercita l'attività di consulenza tecnica con particolare attenzione al tema della qualità architettonica degli interventi, verificandone la coerenza con i caratteri del contesto in cui sono collocati. 2. Nel disciplinare la composizione della CEC il regolamento edilizio comunale rispetta le seguenti condizioni, in particolare: a) il sindaco o l'assessore all'urbanistica è componente della commissione e la presiede; (...) c) non possono essere nominati componenti della commissione consiglieri o assessori comunali, fatta eccezione per gli assessori competenti in materia di urbanistica ed edilizia;
   il Consiglio di Stato, con il parere n. 2447 del 13 giugno 2003, ha ritenuto che a seguito dell'evoluzione legislativa la presenza di organi politici nella commissione edilizia, deputata a pronunciarsi su richiesta di autorizzazioni e concessioni edilizie, non è più consentita dall'assetto normativo attuale e che, qualora tale presenza sia espressamente prevista da regolamenti comunali, gli enti locali dovranno provvedere alle necessarie modifiche;
   la circolare del 27 aprile 2005 n. 1/2005 prot. n. 1599/499/L.142/1 BIS/F del Ministero dell'interno, dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale per le autonomie, avente per oggetto «quesiti in merito alla composizione della commissione edilizia comunale e all'organo competente a promuovere le liti e a costituirsi in giudizio per gli Enti Locali», ha rilevato che le incertezze interpretative in riferimento alla composizione della commissione edilizia possano ritenersi superate a seguito dell'orientamento assunto dalla commissione speciale del Consiglio di Stato con il citato parere n. 2447 del 2003 con il quale è stata finalmente chiarita l'inammissibilità e l'illegittimità della partecipazione ad organi tecnici di figure politiche, con il conseguente obbligo per gli enti locali di inserire nei rispettivi regolamenti, le necessarie modificazioni;
   il TAR, Piemonte, sez. I, con la sentenza 23 marzo 2005 n. 657 ha statuito che, seppure la commissione edilizia abbia perso, a seguito delle innovazioni introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001), il suo carattere di organo necessario ex lege – potendo oggi scegliere gli enti locali se conservarla o sopprimerla –, laddove si sia optato per la persistenza di tale organo, l'effettiva espressione di un parere da parte di una commissione illegittimamente composta da soggetti politici, in violazione del generale principio di separazione delle funzioni politiche da quelle amministrativo-gestionali (principio che ha portata generale ed è per ciò stesso insuscettibile di eccezioni che non siano espressamente previste dalla legge), inficia di conseguenza gli atti successivi del procedimento e travolge la legittimità del provvedimento finale;
   la legge della provincia autonoma di Trento sopra menzionata, a giudizio dell'interpellante introdurrebbe una norma in evidente contrasto con il principio generale della netta separazione fra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo (proprie degli organi politici e di governo) e di quelle di gestione (proprie dei dirigenti) particolarmente utile e necessario proprio nei piccoli comuni, peculiari della provincia autonoma di Trento, dove l'ingerenza, se non la pressione, esercitata dai politici sui funzionari e dirigenti, è certamente più forte e frequente che altrove;
   la distinzione tra atti di indirizzo politico-amministrativo e atti di gestione costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico che, ad avviso dell'interpellante, appare ascrivibile alla materia di competenza esclusiva dello Stato, «ordinamento civile», di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione;
   la citata legge provinciale, inoltre, con l'attribuire al sindaco e agli assessori le predette funzioni, nell'ambito della commissione edilizia comunale, a giudizio dell'interpellante invade altresì l'ambito riservato dall'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera p), alla legislazione esclusiva dello Stato in materia di «organi di Governo e funzioni fondamentali di Comuni, province e città metropolitane» –:
   se il Governo intenda deliberare l'impugnativa dell'articolo 9 della legge della provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15, con il quale è stata confermata la presenza dei sindaci a presiedere le commissioni edilizie e degli assessori competenti in materia di urbanistica ed edilizia in qualità di componenti della stessa.
(2-01076) «Fraccaro».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale il 22 maggio 2015 ha approvato il quadro delle opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia;
   in quella occasione non furono definite le aree da sottoporre a vincolo preordinato all'esproprio di tutte le superfici interessate dalle opere infrastrutturali con le relative fasce di rispetto nonostante le sollecitazioni del capogruppo di Unidos in consiglio comunale, dottor Tonino Pizzadili;
   il progetto prevedeva ettari 41,2 (metri quadrati 412.000) di espropri per la realizzazione delle vasche di laminazione;
   nessun dato fu fornito circa gli espropri necessari per l'ampliamento dei canali;
   nei giorni scorsi è stato pubblicato il progetto definitivo (si veda il sito del comune di Olbia) con allegato l'elenco delle ditte e la planimetria catastale delle aree da espropriare;
   per ogni mappale è indicata la superficie oggetto di esproprio;
   risultano ancora privi di consistenza l'entità e la qualità dei beni immobili oggetto di espropriazione, le superfici complessive e le caratteristiche dei beni immobiliari e cioè le superfici dei terreni agricoli, delle aree edificabili, delle aree edificate oltre alle pertinenze dei fabbricati;
   questi dati sono essenziali per poter procedere alla stima delle indennità e alla determinazione della risorsa finanziarie che deve disporre il comune per procedere alla realizzazione delle opere;
   l'elaborazione dei dati forniti dal comune ha consentito di accertare che la superficie complessiva degli espropri è di ettari 126,24 (metri quadrati 1.262.400) suddivisa come segue:
    per le vasche di laminazione ettari 94,36 (metri quadrati 943.600) e non ettari 41,2;
    per l'ampliamento dei canali ettari 31,88 (metri quadrati 318.800);
   il Movimento Unidos Olbia e il capogruppo in consiglio comunale hanno ribadito la totale inadeguatezza del progetto suddetto denominato Mancini/Tilocca:
    il progetto prevede opere di regimazione idraulica prevalentemente nella parte urbana di Olbia;
   non sono state approfondite soluzioni alternative;
   sono opere particolarmente significative, per l'impatto che avranno sul tessuto urbano;
   l'insieme di opere, così come previste in detto progetto, appare come del tutto slegato dal contesto urbano nel quale andrà a ricadere;
   l'esecuzione di dette opere modificherà, sostanzialmente, l'assetto urbano della città, con inevitabili grosse compromissioni del tessuto urbanistico attuale;
   la soluzione adottata potrebbe rivelarsi anche idonea sul piano idraulico, ma devastante su quello urbanistico, con peggioramento della qualità della vita nella città e con la creazione di imponenti danni patrimoniali ai privati ed alla stessa municipalità;
   detti danni sembrano, al momento, talmente consistenti da essere non quantificabili, in considerazione della concatenazione dei contraccolpi economici, sociali ed ambientali che l'esecuzione e la messa in funzione delle opere genererà;
   sono da evidenziare anche i danni che potrebbero causare le vasche di laminazione e le modalità di utilizzo, gestione e funzionamento;
   l'ampliamento dei canali comporta l'esproprio parziale di terreni agricoli, aree edificabili, aree edificate (immobile costituito dal corpo di fabbrica, cortile, giardino, parcheggi ed eventuali altre pertinenze) e conseguentemente determina un significativo deprezzamento del valore dell'immobile residuo;
   la perdita di valore è dovuta a numerosi nuovi fattori: la perdita di parte dell'immobile, la presenza talvolta nell'uscio di casa dell'acqua del canale, la condizione in molti casi di rientrare nelle distanze previste nel regio decreto n. 523 del 25 luglio 1904 e per i canali di bonifica e quindi la parziale o totale inedificabilità e/o la impossibilità di utilizzare volumi residui o norme che consentono in condizioni normali l'ampliamento dei fabbricato, la presenza di servitù per l'accesso alla pulizia e manutenzione dei nuovi canali;
   ulteriori sorprese, infatti, saranno evidenti al momento che si andrà a definire compiutamente il piano particellare espropri. L'articolo 33 del testo unico sull'espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 prevede che «Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione del valore»; vale cioè il principio del valore complementare e quindi l'indennità è pari alla differenza fra il valore venale del bene ante esproprio e il valore del bene post operam;
   altri oneri finanziari saranno necessari per le indennità di occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio (articolo 49) e le indennità per l'imposizione di servitù (articolo 44);
   a questo si aggiunge che il Governo nazionale sta riservando alla città di Olbia l'ennesimo danno, considerato che nonostante gli annunci sugli stanziamenti post-alluvioni, i fondi per Olbia non ci sono;
   non esistono i 120 milioni di euro annunciati, solo 16 ad Olbia che prende il 20 per cento rispetto a situazioni molto meno gravi di cui alla delibera Cipe;
   ad Olbia non vanno 81 milioni come pomposamente annunciato, ma appena 16;
   la delibera del Cipe 32/2015 che approva le opere richiamate mette nero su bianco le sole risorse esistenti, per complessivi 654 milioni di euro;
   la tabella analitica di riparto dimostra come Olbia non abbia avuto nessuno stanziamento da 81 milioni di euro e, anzi, sia stata quella a prendere meno in assoluto, nonostante abbia subito i danni maggiori, anche in termini di vite umane, e con un evento risalente ormai a quasi tre anni fa;
   a realtà come Venezia, Pescara, Cesenatico è, invece, stato assegnato il 100 per cento delle risorse necessarie;
   a Milano hanno assegnato il 91 per cento delle richieste, 84 per cento a Genova, il 73 per cento a Firenze. In termini assoluti i dati sono emblematici;
   Venezia ha chiesto 61,8 milioni e gli sono stati concessi tutti e subito;
   Pescara ha presentato progetti per 54,8 milioni e ha ricevuto tutto;
   Cesenatico ha chiesto 18,5 milioni e ha avuto uno stanziamento analogo;
   Milano ha chiesto 122 e ha ottenuto 112 milioni;
   Firenze ha chiesto 73 milioni e ha ottenuto 55 milioni;
   per Padova-Vicenza le richieste ammontavano a 93 milioni con uno stanziamento di 42,3 milioni di euro;
   per Olbia 81 milioni sono stati chiesti, solo 16 sono stati concessi;
   per Cagliari ne sono stati chiesti 30, concessi zero;
   si tratta di quella che appare all'interrogante l'ennesima promessa inconsistente di questo Governo che annuncia risorse senza averle e per giunta su un progetto che risulta del tutto indefinito rispetto all'impatto idrogeologico, ambientale, urbanistico economico e sociale;
   un atto di una gravità inaudita se si pensa alle vite umane che hanno pagato con la morte il disastro del 18 novembre 2013;
   si tratta di danni mai pagati e ora c’è anche l'affronto istituzionale di stanziamenti annunciati ma inesistenti;
   tutto questo è inaccettabile, perché offende le vittime di quella tragedia e tutte le comunità locali –:
   se non ritengano di dover rivalutare, per quanto di competenza, con la dovuta attenzione il progetto proposto, anche in relazione all'impatto ambientale, urbanistico ed economico sulla città di Olbia;
   se non ritengano, per quanto di competenza, di dover individuare, d'intesa con il comune di Olbia, soluzioni diverse che intercettino a monte le problematiche idrogeologiche senza scaricarle dentro l'area urbana con tutte le conseguenze sia sul piano idrogeologico che urbanistico;
   se non ritengano necessario proporre criteri oggetti e puntuali per il riparto delle risorse, a partire dalla piena e totale contabilizzazione degli oneri di esproprio dei vari interventi. (5-06383)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   presso il dipartimento della protezione civile nella Sala Situazione Italia è attivo un centro di coordinamento denominato sistema che ha il compito di:
    a) monitorare e sorvegliare il territorio nazionale per individuare le emergenze previste o in atto e seguirne l'evoluzione;
    b) allertare e attivare le diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile che concorrono alla gestione delle emergenza;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2006 n. 3536 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 10 agosto 2006), in particolare l'articolo 17, comma 1, prevede che, il sistema può avvalersi di personale appartenente alle varie strutture operative, ovvero:
    Corpo dei vigili del fuoco, Corpo della guardia forestale, capitaneria di porto, guardia di finanza, polizia di Stato, carabinieri, Croce rossa italiana, Comando operativo di vertice interforze;
   l'articolo 17, comma 2, dell'ordinanza de qua prevede che al personale impiegato per assicurare la piena operatività della Sala Situazione Italia SI.STE.MA è corrisposta una speciale indennità mensile onnicomprensiva, da corrispondersi in relazione alle giornate/turni di effettivo impiego commisurato a 30 ore di lavoro straordinario festivo e notturno;
   il personale ha percepito fino a tutto il 2013 la predetta speciale indennità;
   con decreto-legge 28 gennaio 2014 n. 4 (convertito dalla legge 28 marzo 2014, n. 50, in Gazzetta Ufficiale 29 marzo 2014 n. 74), articolo 3, comma 7, proprio al fine di garantire le attività svolte dalle varie strutture, per il triennio 2013-2015 sono stati stanziati 3 milioni di euro per il 2013/2014 e 1,5 milioni di euro per il 2015;
   le situazioni emergenziali verificatesi hanno comportato oneri eccedenti gli stanziamenti de quibus e con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri si è provveduto, per il 2015, allo stanziamento di un'ulteriore somma, nel limite massimo di 624.273,09 euro;
   con nota prot. n. RUS/0037675 del 24 luglio 2015, il capo dipartimento della protezione civile ha comunicato che, per quanto riguarda l'assegnazione dei compensi, solo quelli destinati al personale di cui all'articolo 17, commi 1 e 2, della già citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3536/2006 non risultano disponibili, mentre saranno erogate le spettanze delle altre strutture del dipartimento –:
   quale sarà la destinazione dei fondi stanziati, in più riprese, per garantire le attività svolte dalle varie strutture presenti presso il dipartimento della protezione civile, con particolare riguardo a quelli destinati al personale di cui all'articolo 17 commi 1 e 2 della già citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3536/2006;
   quali siano le ragioni che hanno indotto il capo del dipartimento della protezione civile ad adottare provvedimenti che appaiono discriminatori e che escludono una parte del personale impiegato nelle medesime emergenze dei colleghi delle altre strutture beneficiarie dei fondi dalle spettanze previste e stanziate dalle norme sopra indicate;
   cosa intenda fare il Presidente del Consiglio dei ministri per consentire anche al personale escluso di beneficiare delle competenze previste, stanziate e non ancora erogate e quali iniziative intenda porre in essere in relazione al provvedimento, a giudizio dell'interrogante discriminatorio, del capo del dipartimento della protezione civile. (4-10346)


   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) è, da lungo tempo, il parametro attraverso cui vengono stabiliti l'accesso e la fruibilità di molte agevolazioni indirizzate a prestazioni di natura sociale;
   tale parametro, tuttavia, è stato al centro di numerose critiche nel corso degli anni, a causa della sua inadeguatezza a rappresentare in modo puntuale la situazione economica dei nuclei familiari;
   si è dunque avviata una riflessione circa l'opportunità di modificare tale parametro, per renderlo più aderente alla realtà ed evitare distorsioni nell'accesso ad alcune prestazioni e diritti fondamentali;
   la riforma dell'ISEE è stata attuata attraverso il decreto del Presidente del Consiglio n. 159 del 2013, in vigore da gennaio 2015;
   il principale obiettivo della riforma era la correzione di alcuni parametri che provocavano i succitati effetti discorsivi, rintracciati nell'eccessivo peso delle franchigie patrimoniali, nella non considerazione dei redditi esenti ai fini IRPEF, nella sottovalutazione di reddito e patrimonio e, di contro, di alcuni costi a carico delle famiglie;
   il tentativo è stato, dunque, da un lato quello di considerare i reali redditi delle famiglie e le voci di spesa a loro carico (affitti, famiglie numerose, con presenza di minori o disabili) e, dall'altro, di rimodulare l'indicatore della situazione, patrimoniale (ISP);
   tale operazione, tuttavia, ha generato sin da subito perplessità e preoccupazioni in particolar modo da parte degli studenti, per i quali il calcolo della situazione economica è fondamentale all'accesso a borse di studio ed altre agevolazioni, consentendo ciò che la Costituzione repubblicana descrive come la rimozione di tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando l'uguaglianza dei cittadini, non favoriscono le condizioni per assicurare a tutti il diritto all'istruzione e alla conoscenza;
   con riguardo alle borse per il diritto allo studio universitario, in particolare, l'accesso è legato a requisiti di merito ed economici, condizionanti questi ultimi anche l'importo della borsa;
   sin dall'entrata in vigore del decreto, le associazioni studentesche hanno denunciato l'inadeguatezza del nuovo sistema di calcolo, che comprende tra i redditi anche quelli esenti Irpef, penalizzando in tal modo soprattutto le famiglie meno abbienti e che hanno diritto ad agevolazioni, borse, o altro tipo di prestazioni considerate ora come parte integrante dei redditi;
   gli allarmi lanciati dalle associazioni studentesche circa coloro che, beneficiari sino alla riforma, sarebbero risultati esclusi dai nuovi parametri di calcolo, si sono in realtà rivelati ottimisti, come dimostrano i dati emersi negli ultimi giorni;
   si ricorda, infatti, come sulla base delle considerazioni emerse, nel mese di marzo 2015 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia diffuso le sue proiezioni circa un possibile calo del 10 per cento dei beneficiari delle borse;
   tuttavia, se i primi allarmi concernevano il calcolo dell'ISR (indicatore situazione reddituale), la reale criticità è risultata legata a un altro parametro, l'ISP (l'indicatore della situazione patrimoniale), che ha adeguato il patrimonio immobiliare non ai fini ICI, ma IMU;
   in tale modo il peso del patrimonio, anche riguardante l'abitazione principale, è notevolmente aumentato, determinando il superamento della soglia di trentatre mila euro relativo all'ISP;
   tale parametro risulta rivalutato con una maggiorazione dal 40 al 60 per cento in più degli anni precedenti, provocando l'esclusione di migliaia di studenti dall'accesso alle borse, ledendone il diritto allo studio;
   è chiaro come una rivalutazione del patrimonio, soprattutto se concerne la prima casa di abitazione del nucleo familiare, non possa essere considerato quale indicatore di una situazione economica privilegiata;
   l'istituto regionale per la programmazione economica della Toscana aveva pubblicato a maggio 2015 uno studio volto a mettere in luce tali criticità, calcolando in circa il 14 per cento il livello degli esclusi dall'accesso alla borsa rispetto agli aventi diritto precedentemente alla riforma;
   come illustrato negli articoli de L'Espresso «Università. A rischio le borse di studio: “Con il nuovo Isee sono il 25 per cento in meno” dell'8 settembre 2015 e de La Repubblica “Borse di studio: migliaia di studenti escluso dal nuovo calcolo dell'ISEE” del 9 settembre 2015, i dati emersi alla scadenza dei bandi sono molto più allarmanti, configurando nella regione Toscana un calo degli aventi diritto di circa il 25 per cento»;
   i sindacati studenteschi, che hanno consultato le aziende regionali per il diritto allo studio, hanno denunciato ulteriori cali vertiginosi, con picchi in regioni come l'Emilia Romagna e la Puglia, rispettivamente del 18 e del 30 per cento;
   ai non idonei, infatti, si vanno ad aggiungere le migliaia di studenti che non presentano la richiesta di borsa, a causa dei nuovi criteri di accesso;
   nelle ultime settimane è stata dunque avviata la campagna «Io non rinuncio», che ha lanciato una petizione con richieste precise al Governo da parte degli studenti, i soggetti cui dovrebbe essere assicurata la reale godibilità di un diritto costituzionale;
   in particolare, gli studenti richiedono l'abolizione dell'ISPE quale parametro scisso dall'ISEE, l'innalzamento della soglia dell'ISEE a 23 mila euro al fine di consentire lo stesso livello di idonei dello scorso anno, l'avvio di una sanatoria per chi risulti idoneo ai parametri regionali ISEE ma non a quelli ISPE e l'esenzione dalle tasse universitarie per chi abbia un ISEE inferiore a 23 mila euro, ma risulti escluso dalla borsa a causa dell'aumento dello stesso;
   allo stato attuale, se i dati risultassero reali, si verificherebbe un grave vulnus del diritto allo studio, già gravemente compromesso dalle riforme del decennio scorso e pressoché ignorato dall'intervento del Governo nell'ambito della riforma conosciuta come la «Buona Scuola», legge 13 luglio 2015, n. 107 –:
   quali iniziative intenda mettere in campo il Governo al fine di correggere la drammatica situazione risultante dalla riforma dell'ISEE, che rischia di compromettere la possibilità per migliaia di studenti di accedere agli studi universitari o di proseguirli, incrementando il già notevole divario tra coloro che provengono da situazioni economiche privilegiate e coloro che, invece, non godono di un sostegno adeguato e ledendo, in tal modo, i diritti garantiti dagli articoli 3 e 34 della Costituzione. (4-10350)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, SPADONI, GRANDE, SIBILIA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso, da organi di stampa, che una cittadina belga e tre cittadini italiani Alberto M., Michela C. e Daniele B. – risultano dispersi dal 15 agosto 2015 nel mare del Borneo, in Indonesia, dove stavano effettuando un'immersione subacquea;
   nel gruppo c'erano anche altri due italiani, che, invece, sono riusciti a rientrare ed a salvarsi;
   tali informazioni sono state rese note dalle autorità di Giacarta e sono state poi confermate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   come riportato dalla stampa i cinque italiani e la cittadina belga hanno raggiunto con un motoscafo la piccola isola di Sangalaki, interessata, sembrerebbe, da forti correnti marine e onde alte due metri e mezzo;
   il capo delle operazioni di ricerca e soccorso della provincia del Kalimantan orientale, Hendra Sudirman, avrebbe poi riferito che numerose imbarcazioni sono state inviate al fine di perlustrare l'area, finora senza esito, e avrebbe altresì affermato quanto segue: «Speriamo che siano stati trascinati dalla corrente su qualche isolotto e che siano in salvo»;
   la guida che ha accompagnato i sei turisti, di nazionalità indonesiana, non sembrerebbe, però, essere stata in grado di chiarire cosa possa essere accaduto;
   inoltre il tour operator che ha organizzato l'escursione è la «Derawan Ocean Drive», un'agenzia specializzata in immersioni per l'arcipelago al largo della parte indonesiana del Borneo il cui proprietario, Andrew Lioe, non ha voluto commentare l'accaduto;
   secondo la sorella di uno dei dispersi, Alberto M., la vicenda oggetto del presente atto di sindacato ispettivo sarebbe caratterizzata da molti punti oscuri, a cominciare dalla versione della guida Osland;
   le parole della sorella di A.M., riportate da alcuni organi di informazione, sono state le seguenti: «(la guida Osland, ndr) ha avuto difficoltà a indicare le coordinate del punto d'immersione e non aveva addosso il gps. Dice di averli riportati tutti in superficie e di averli lasciati da soli dopo aver dato loro la sua bombola e il giubbotto. Ma perché i ragazzi gli avrebbero permesso di allontanarsi da solo ? Mio fratello era esperto, aveva già praticato diverse immersioni, anche in oceano. Daniele e Michela avevano il brevetto di sub. E la ragazza belga quello di “rescue sub”, di soccorso. ... I ragazzi volevano vedere le mante. Un'immersione relativamente semplice, che non comportava l'ingresso in corpi cavernicoli... Finora non è stato trovato nulla, nemmeno una pinna. Come mai ? ... E poi, ciascuno avrebbe dovuto avere un palloncino che ne segnalasse la presenza una volta riemerso»;
   inoltre da una pagina aperta sui social network da parte dei familiari di Alberto M. («Help us to find Alberto in Indonesia»), si legge che «Le ricerche dei nostri tre connazionali non si devono fermare. Ancora molta area non è stata perlustrata»;
   gli interroganti, da un lato, hanno appreso che l'Indonesia ha deciso «di prolungare eccezionalmente fino a martedì 25 le attività di ricerca» nonostante tali operazioni, di norma, vengano portate avanti fino ad un massimo di 7 giorni dopo la scomparsa;
   dall'altro lato, però, si ritiene che, in considerazione delle predette lacune nella ricostruzione dell'accaduto, sia necessario richiedere ed ottenere nuove indagini e, al contempo, porre in essere tutte le azioni utili a far luce sulla terribile vicenda ed a chiarire cosa sia successo durante l'escursione, non solo attraverso le rappresentanze diplomatiche italiane in Indonesia, ma altresì facendo pressione direttamente con il Governo indonesiano e con il Ministro indonesiano degli affari esteri –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che le ricostruzioni della vicenda oggetto di interrogazione, che sono emerse in queste settimane, siano lacunose e contraddittorie e se, di conseguenza, non intenda chiedere nuove indagini e ricerche;
   quali azioni di propria competenza intenda adottare al fine far luce sulla vicenda de qua e se intenda valutare l'adozione di ogni iniziativa utile direttamente nei confronti del Governo indonesiano e del Ministro indonesiano degli affari esteri. (4-10357)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   mercoledì 16 settembre 2015 si svolgerà presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la conferenza di servizi decisoria sul progetto di bonifica del sito industriale di Porto Torres denominato «Nuraghe»;
   la conferenza deciderà se tale elaborato da Astaldi potrà essere messo in opera oppure se farà la fine di tutti gli altri progetti presentati nei decenni scorsi che sono stati «bocciati» dal Ministero;
   notizie di stampa riferiscono che questa potrebbe essere la volta buona, visto che gli enti locali interessati (regione, provincia, comune, Arpas e Asl) sarebbero orientati ad approvare il progetto Nuraghe;
   dalle informazioni raccolte pare che il progetto preveda:
    a) un intervento preliminare nell'area di Minciaredda attraverso la tecnologia Multi Phase Extraction (MPE) per garantire l'allontanamento delle acque presenti nel sottosuolo, separandole dal surnatante, ed estraendo le frazioni organiche volatili presenti nel sottosuolo;
    b) rimozione delle matrici contaminate solo in corrispondenza di specifiche aree individuate e trattamento delle stesse in una piattaforma polifunzionale da costruire nell'area di Minciaredda;
    c) realizzazione di due siti di raccolta (SDR), che non sono altro che discariche per rifiuti speciali, come evidenziano gli elaborati di progetto e la normativa di riferimento (decreto legislativo n. 36 del 2003): una per depositare i residui derivanti dalle palte fosfatiche di 55.000 metri cubi e un'altra per il resto di 171.000 metri cubi, sempre nell'area di Minciaredda;
   quindi, il risultato sarebbe che i veleni, sebbene trattati, continuerebbero a rimanere a Porto Torres in due nuove discariche e quei terreni sarebbero compromessi e inutilizzabili per nuove attività per sempre;
   nel 2013 il consiglio comunale di Porto Torres approvò all'unanimità una mozione che aveva come obiettivo quello di respingere categoricamente il cosiddetto «tombamento» dell'area ma anche qualsiasi tipo di progetto di bonifica che non prevedesse la completa rimozione dei rifiuti e dei terreni contaminanti e il relativo trasporto degli stessi in impianti esterni oggi già presenti e operativi;
   tale mozione fu importante in quanto recepì in pieno ciò che la popolazione chiedeva a gran voce e rafforzò la posizione dell'amministrazione comunale rispetto alle proposte di Syndial che già nel 2009 ipotizzò in via preliminare e informale, presso gli uffici dell'assessorato regionale della tutela dell'ambiente, un progetto di bonifica consistente nella rimozione dei veleni della discarica di Minciaredda, realizzando una nuova discarica da ubicare a sud di Minciaredda stessa;
   il progetto denominato Nuraghe, che prevede la bonifica di tutto il SIN (Minciaredda, peci fenoliche, palte fosfatiche e altre zone) così come da computo metrico presentato, costa in totale 68.584.000 euro, una cifra di poco superiore al costo risalente al 2010 (con prezzi del 2010 quindi) pari a 62.880.000 euro previsto nel computo metrico presentato da Syndial per la messa in sicurezza permanente della soia area di Minciaredda;
   esiste perciò il dubbio legittimo che si tratti del medesimo progetto;
   l'area industriale di Porto Torres versa in una condizione di contaminazione particolarmente preoccupante e perciò risulta essere sito da bonificare di interesse nazionale;
   il tema delle bonifiche del sito industriale di Porto Torres oggi più che mai è molto sentito dalla cittadinanza in quanto centrale rispetto alle prospettive di sviluppo sociale, turistico ed economico del territorio, oltre che fondamentale da un punto di vista ambientale e occupazionale;
   è legittima e di assoluto buon senso la posizione espressa unitariamente dalla popolazione locale e dalle rappresentanze istituzionali della medesima circa la necessità di una bonifica integrale del territorio –:
   quali siano le caratteristiche del progetto;
   quale sia l'orientamento in merito del Ministro;
   come si intenda rendere partecipe del processo decisionale la comunità locale.
(2-01078) «Scotto, Piras, Pellegrino, Zaratti, Duranti, Ricciatti, Quaranta».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 1999/31/CE prevede che nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003 n. 36 ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio 3 agosto 2005 individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   ad esito del trattamento meccanico biologico – che viene utilizzato diffusamente come forma di pretrattamento di rifiuti urbani indifferenziati prima dello smaltimento in discarica – i rifiuti presentano, in molti casi, valori dell'indice di ispirazione dinamico ben più alti di 1.000 mg 02/kg SV/h, che rappresenta il valore di riferimento proposto a livello europeo per non considerare biodegradabile il rifiuto trattato;
   l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 venendo meno agli obblighi in forza del diritto dell'Unione;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento d'ingenti sanzioni pecuniarie; nello specifico sono state imposte: una sanzione forfettaria una tantum che ammonta a 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42.800.000 euro, fino all'esecuzione completa della sentenza;
   la stessa Corte ha riconosciuto al nostro Paese la possibilità di applicare la penalità in forma decrescente, cioè in maniera proporzionale alla risoluzione delle problematicità riscontrate nei siti oggetto di contestazione;
   l'ISPRA, Istituto per la protezione e ricerca ambientale, nel rapporto rifiuti urbani 2013, con dati riferiti all'anno 2012, ha certificato che la metà dei rifiuti raccolti (53 per cento), a livello nazionale, sono stati smaltiti – in palese violazione della direttiva europea 1999/31/CE – senza essere sottoposti ad alcuna forma di pretrattamento; questa percentuale, per la regione Basilicata supera il 59 per cento; secondo il rapporto rifiuti urbani 2014 dell'ISPRA, con dati riferiti all'anno 2013 in Basilicata la percentuale di rifiuti urbani smaltiti senza alcun trattamento preliminare è pari al 61 per cento;
   la Basilicata e in particolare la provincia di Matera, in questi giorni sta vivendo una situazione di emergenza che potrebbe peggiorare a causa dell'insufficienza di impianti di trattamento presenti nel territorio lucano. Attualmente sono in funzione soltanto tre impianti in provincia di Potenza e 2 in provincia di Matera: quello di Pisticci e il termovalorizzatore Fenice di San Nicola di Melfi a fronte di 205 mila tonnellate di rifiuto prodotto all'anno;
   devono ancora essere resi operativi alcuni impianti di trattamento rifiuti, come quello di Colobraro, Pisticci e Lauria; deve essere realizzata una nuova impiantistica a Matera – La Martella e occorre accelerare la procedura di caratterizzazione; deve essere avviato l'esercizio dell'impianto di Tricarico e devono essere implementati i diversi progetti di raccolta differenziata nel territorio –:
   quali iniziative di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare per verificare l'entità della grave situazione che si è creata nel territorio lucano anche alla luce degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda intraprendere per migliorare gli strumenti di controllo della tracciabilità dei rifiuti al fine di tutelare la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente.
(5-06382)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI, ZOLEZZI, RUOCCO, BARONI, LOMBARDI e DI BATTISTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 304, della legge 147 del 2013, (cosiddetta legge di stabilità 2014) ha introdotto una disciplina specifica per favorire l'ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi (prioritariamente mediante il recupero di impianti esistenti o la localizzazione in aree già edificate);
   nella proposta di delibera di assemblea capitolina n. 163 del 2014 prot. n. RC/17866/14 (Dec. Giunta comunale n. 83 del 4 settembre 2014) relativa alla realizzazione del nuovo stadio a Tor di Valle, in variante al piano regolatore, e in deroga al piano generale del traffico urbano, presentata dalla società promotrice Eurnova s.r.l., è prevista la dichiarazione di pubblico interesse dell'opera, ai sensi della lettera a) comma 304, articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (la suddetta legge, in virtù della quale permetteranno queste cubature, in realtà non prevede deroghe che comportino varianti urbanistiche);
   il decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49, che recepisce la direttiva comunitaria 2007/60 relativa alla valutazione ed alla gestione del rischio alluvioni, stabilisce all'articolo 7 che entro il 22 giugno del 2015 il piano di gestione del rischio alluvioni per il distretto idrografico dell'Appennino centrale sia ultimato e pubblicato. Le mappe dell'autorità di bacino del fiume Tevere rivelano che nella zona di Tor di Valle, esiste una pericolosità P3, cioè un'elevata probabilità di alluvioni nella fascia golenale del Tevere, mentre, nell'area dell'ippodromo sussiste una pericolosità P2 (alluvioni poco frequenti);
   nella medesima zona di Tor di Valle (nell'area dell'ex ippodromo), dovrebbe sorgere nuovo Stadio della A.s. Roma. Il progetto presentato della società Eurnova s.r.l si compone di un quadro progettuale A che prevede la realizzazione dello stadio (comprensivo di servizi e usi commerciali) e di un quadro progettuale B, il cosiddetto business park, (che comprende il centro direzionale e gli uffici non strettamente funzionale alla fruibilità dello Stadio): nel complesso si prevede di edificare oltre un milione di metri cubi (di cui circa il 14 per cento è destinato allo stadio);
   l'Istituto nazionale di urbanistica, come da fonti stampa si apprende, rileva che il progetto stravolge il piano regolatore della città e che le nuove infrastrutture di trasporto non riusciranno a garantire un significativo miglioramento delle condizioni di vita dei pendolari e dei residenti delle zone limitrofe;
   la legge sugli stadi, la legge n. 147 del 2013, commi 304 e 305, dispone che «Lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi di intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale»: la norma di riferimento risulta stravolta da un progetto come quello dello stadio dell'A.s. Roma, in cui gli interventi di «altro tipo» risultano essere pari a circa l'86 per cento –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra citati;
   se il Governo, in virtù dell'articolo 1, commi 304 e 305 della legge 147 del 2013 e della priorità attribuita al recupero di impianti esistenti o localizzati in aree già edificate, non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite della competente autorità di bacino, valutare il pericolo di alluvioni per la zona di Tor di Valle, confermato dalla valutazione preliminare del rischio alluvioni;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a chiarire la portata delle disposizioni di cui ai commi 304 e 305 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, considerando che, ad avviso degli interroganti, tali disposizioni potrebbero essere applicate in maniera impropria. (4-10349)


   COSTANTINO, MARCON, ZARATTI, PELLEGRINO, DURANTI, RICCIATTI, NICCHI, FERRARA, PANNARALE, MELILLA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 luglio 2008, il 6 agosto 2008 e il 6 ottobre 2008 si sono tenute le conferenze dei servizi per il rilascio dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) alla ditta MiGa Spa per l'adeguamento e l'ampliamento del polo industriale per la lavorazione dei rifiuti con annessa discarica sito in località San Nicola di Celico, Cosenza, alle quali, seppur invitata, non ha partecipato la Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio pur in presenza di un vincolo paesaggistico ambientale come dichiarato dal Corpo forestale dello Stato coordinamento provinciale di Cosenza (prot. 4642 del 14 aprile 1998);
   alle conferenze dei servizi sopra richiamate non ha partecipato l'Ente parco nazionale della Sila pur in presenza di motivazioni che ne avrebbero consigliato l'intervento atteso che mezzi carichi di rifiuti che si recano in località San Nicola di Celico attraversano l'area del Parco e che la presenza di fauna non autoctona, richiamata dalla presenza dei rifiuti abbancati in discarica, rischia di danneggiare seriamente l'equilibrio dell'ecosistema del Parco;
   nell'area interessata dall'autorizzazione rilasciata alla MiGa spa è presente un, vincolo idrogeologico come dichiarato dal Corpo forestale dello Stato coordinamento provinciale di Cosenza (prot. 4642 del 14 aprile 1998);
   il polo industriale della MiGa Spa, come certificato dagli uffici tecnici dei Comuni di Rovito (prot. 2658 del 2 luglio 2014) e Celico, è ubicato a distanze inferiori ai limiti di legge relativamente ai centri abitati, case sparse, corsi d'acqua e ferrovia;
   il territorio del comune di Celico è contenuto in una zona classificata con rischio sismico 1, zone nelle quali a norma di legge non sarebbe consigliata la realizzazione di discariche;
   nel 2007 la regione Calabria adottava il piano regionale per la gestione dei rifiuti, aggiornamento di quello adottato nel 2002, che prevedeva l'utilizzo esclusivo degli impianti pubblici per il trattamento dei rifiuti prodotti all'interno della regione;
   nel 1997 il patto territoriale Silano, istituito in accordo alle legge 662 del 1996, destinava 1.449.023,12 euro di contributi alla MiGa srl per la realizzazione di un impianto integrato per il recupero ed il riciclaggio di materie prime secondarie provenienti da RSU;
   la MiGa srl sino al febbraio del 2014 ha effettuato la lavorazione di rifiuti biodegradabili e da tale data ha iniziato la lavorazione di rifiuti indifferenziati. La localizzazione dell'impianto a distanze inferiori a quelle di legge ha da subito provocato malumori nella popolazione per la presenza di emissioni odorigene moleste sfociate in molteplici proteste con conseguente mobilitazione dell'Ufficio Territoriale del Governo e l'impegno della ditta a predisporre misure idonee a ridurre i disagi;
   nel rinnovo dell'AIA dell'ottobre 2014, rilasciato alla MiGa, è prevista la realizzazione di un capannone con biofiltro per l'abbattimento dell'emissione di sostanze odorigene il cui completamento sarebbe dovuto avvenire entro i primi mesi del 2015;
   nel luglio del corrente anno, a seguito di segnalazioni, effettuate da semplici cittadini e istituzioni locali, per il persistere delle emissioni moleste, l'ARPACAL (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Calabria) effettuava un sopralluogo rilevando il non completamento del capannone con biofiltro. A seguito di comunicazione delle risultanze dell'ispezione, il Dipartimento ambiente della regione Calabria concedeva alla MiGa srl altri 30 giorni di tempo per completare i lavori. Al termine della proroga, l'ARPACAL effettuava un'ulteriore, ispezione verificando ancora una volta il non rispetto della prescrizione indicata in AIA;
   nell'agosto 2015 la regione Calabria, nel sanzionare la MiGa srl per versamento di contributi inferiore al dovuto relativi al conferimento di rifiuti avvenuto nell'ultimo quadrimestre 2013, dichiarava che la MiGa srl aveva omesso di comunicare il tipo di rifiuti conferiti;
   nel 2008 la MiGa srl ha ottenuto dalla regione Calabria l'AIA per l'ampliamento di una discarica con annesso impianto della lavorazione dei rifiuti pur in presenza di un piano regionale per la gestione dei rifiuti in vigore dal 2007 che non prevedeva l'utilizzo della impiantistica privata a servizio di quella pubblica. Nella richiesta di rilascio dell'autorizzazione la MiGa srl dichiarava esplicitamente che l'impianto sarebbe stato utilizzato per lo sversamento del rifiuto non trattato nel corso di una emergenza rifiuti che di lì a poco avrebbe interessato la regione Calabria;
   inoltre, già in passato lo stesso territorio del cosentino è stato interessato da problematiche relative a una vecchia discarica, oggi dismessa, che si trovava nella contrada San Nicola di Celico. In tale sito si è registrata la fuoriuscita non controllata e documentata di percolato con grave nocumento per l'ambiente circostante. Sono stati effettuati alcuni prelievi e, sulla base delle risultanze emerse da tali analisi, è stato deciso di predisporre una semplice messa in sicurezza del sito e non la bonifica come ci si sarebbe attesi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano a conoscenza della grave situazione esposta in premessa in cui versa la cittadinanza di Celico; come mai non sia stato apposto un vincolo paesaggistico-ambientale da parte della Soprintendenza, vincolo riconosciuto nel 1988 dal Corpo forestale dello Stato. (4-10355)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha ricevuto un accurato dossier, con tanto di materiale fotografico, da parte di alcuni residenti del comune di Borgia (CZ), relativo alla discarica sita in località «Cutruzzo», in un terreno agricolo privato che per la regione non esiste e nella quale vengono, ogni giorno, interrati rifiuti e materiale imprecisato, a un passo dal centro abitato. La zona, densamente abitata, è quella di Roccelletta, poco più in là si staglia il parco archeologico di Scolacium due agriturismi ed il mare ad un solo chilometro. Chi abita da quelle parti non può fare a meno di notare il continuo viavai di camion della nettezza urbana e di altri mezzi pesanti, di grandi, medie e piccole dimensioni. Frequenti, assicurano alcuni residenti, sarebbero gli incendi notturni e, talvolta, anche quelli diurni, dovuti probabilmente a fenomeni di autocombustione;
   la discarica «fantasma» non figura da nessuna parte, non nelle mappe della regione, non in quelle del dipartimento ambiente né in quelle del comune, ma sembra che operi a pieno regime da circa un decennio;
   molte sono le discariche abusive calabresi, nella maggior parte dei casi sono vecchi impianti, spesso comunali, diventati fuori norma in seguito al commissariamento del comparto e alle regole sempre più restrittive in materia di smaltimento di rifiuti, ma sono pur sempre strutture censite che compaiono nelle carte ufficiali. Quella di Borgia, invece, è una discarica che non c’è malgrado siano presenti grandi vasche di cemento, perfettamente visibili, che potrebbero servire allo smaltimento di materiali speciali;
   Borgia è al penultimo posto nella graduatoria di conferimento dei rifiuti nell'impianto di Alli, classifica stilata il 31 luglio 2015 dal dipartimento Ambiente della regione Calabria. Nemmeno la raccolta differenziata va bene: l'ultimo report dell'Arpacal, che risale a febbraio 2015 e si basa sul «modello unico di dichiarazione ambientale» prodotto dai comuni nel 2013, dice che a Borgia ha raggiunto lo 0 per cento;
   il fondo dove vengono conferiti i rifiuti è sabbioso e ad alta permeabilità e tutt'intorno il paesaggio è costituito da oliveti, orti, agrumeti e vigne –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non intenda promuovere un accertamento da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente sullo stato dei luoghi. (4-10358)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATTIELLO, GANDOLFI, GIUSEPPE GUERINI, ROCCHI, TENTORI e ZAMPA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso l'aeroporto militare di Cameri, in provincia di Novara, è stato realizzato negli anni scorsi l'unico centro europeo di assemblaggio finale e di verifica per i velivoli F-35 destinati ai Paesi europei (la FACO – Final Assembly and Check Out/Maintenance), che farà da base per la linea di manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento per tutti gli F-35 europei (esclusi quelli inglesi) e quelli americani che operano nel Mediterraneo (la MROU&U – Maintenance, Repair, Overhaul & Upgrade); il sito si estende su una superficie di circa 500.000 metri quadrati: contiene 20 fabbricati divisi in produttivi, tecnologici, logistici e di servizio per una superficie coperta di oltre 100.000 metri quadrati;
   come emerso dalla documentazione a suo tempo fornita dal Governo italiano, la scelta della località di Cameri fu determinata sia dalla richiesta statunitense di realizzare, per ragioni di sicurezza, la linea di assemblaggio finale e di verifica su un'area militare, sia in base a criteri di competenza tecnica, ottimizzazione delle risorse, posto che in tale base erano stati già realizzati, in passato, investimenti per costituire il primo Reparto manutenzione velivoli per le linee dei velivoli Tornado ed EF2000;
   la Maltauro Costruzioni, che è stata coinvolta nell'ambito di inchieste riguardanti appalti truccati, anche per i lavori di realizzazione di Expo 2015, risulterebbe essersi aggiudicata la gran parte degli appalti relativa ai lavori del secondo varco, che poi sarebbero stati subappaltati alla CERUTTI Lorenzo S.R.L., la quale, a sua volta, appartiene alla ECO-Nord;
   da indiscrezioni risulta agli interroganti che questo nuovo varco di accesso alla base aerea militare, non sarebbe presidiato da personale militare ma da dipendenti di istituti di vigilanza privata, che prestano la loro attività per conto delle aziende operanti all'interno dello stabilimento industriale FACO;
   un simile stato di cose potrebbe presentare gravi criticità almeno su un duplice piano: uno, di carattere più generale, legato alla potenziale vulnerabilità di un sito così delicato, che potrebbe anche essere considerato obiettivo di attentati, anche di stampo terroristico e un altro legato alla permeabilità di un sito così appetibile a soggetti legati alla criminalità organizzata, che potrebbero in maniera surrettizia aggiudicarsi subappalti, scommettendo poi sulla possibilità di «addomesticare» i controlli al varco –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per i settori di competenza, siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e, in particolare, delle indiscrezioni circa l'apertura del nuovo varco non sottoposto ad un sistema di sorveglianza militare e, in caso positivo, se non ritengano che tale circostanza possa, in qualche modo, compromettere la sicurezza complessiva dell'intera area militare;
   se, non ritengano necessario, alla luce di quanto evidenziato in premessa, avviare opportune attività ispettive, anche al fine di accertare il rispetto, da parte delle ditte appaltanti o subappaltanti, della normativa in materia di documentazione antimafia, nonché verificare che siano adottati i migliori standard per la salute e la sicurezza del personale, civile e militare, che opera all'interno dello stabilimento e degli stessi abitanti che vivono in quella zona;
   se e quali ulteriori elementi siano in grado di fornire, anche al fine di fugare ogni dubbio circa il rischio di una potenziale situazione di insicurezza dell'intera area, nonché circa il verificarsi di gravi irregolarità, illegittimità e pericolose infiltrazioni, anche criminali, nella gestione del complesso delle attività dello stabilimento. (5-06385)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   TABACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 2011 l'Italia è arrivata ad un passo dal default finanziario, con un differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi e quelli italiani pari a 575 punti base;
   per effetto della crescita fuori controllo dello spread, l'Italia alla fine del 2011 aveva perso ogni credibilità sia a livello economico-finanziario nei confronti dei mercati, sia a livello politico nei confronti degli altri partner europei;
   la crisi di Governo del 16 novembre 2011 fu una naturale conseguenza della perdita del controllo dei fondamentali dell'economia, già evidenziatasi nel corso dell'estate di quell'anno con un confuso e frenetico avvicendarsi di manovre economiche che venivano annunciate ufficialmente dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore e smentite nell'arco di poche ore; il primo atto del nuovo Governo, varato in soli venti giorni a causa della gravissima emergenza in corso, è stato la riforma del sistema pensionistico;
   la riforma delle pensioni del 6 dicembre 2011 ha rappresentato l'architrave su cui l'Italia ha ricostruito la propria credibilità internazionale ed ha rimesso in equilibrio nell'immediato e negli anni a venire la propria spesa pensionistica; l'assoluta urgenza di intervenire sulla materia delle pensioni ha prodotto anche sviste ed errori dettati nella redazione dell'articolato della riforma che si sono concretizzati nel vuoto normativo in cui sono venuti a trovarsi alcune centinaia di migliaia di cittadini, successivamente identificati con un'efficace formula giornalistica, con il termine «esodati»;
   nel corso di questi anni si è provveduto a correggere gli errori e le sviste contenuti nel testo originale della riforma delle pensioni;
   negli ultimi mesi, anche da parte di autorevoli esponenti del Governo, sono state rilasciate interviste e dichiarazioni agli organi di stampa che hanno paventato l'intenzione di modificare la riforma delle pensioni del 2011 con interventi tesi a rimettere in discussione, sia pure parzialmente, la ratio di fondo della riforma stessa, secondo la quale l'età del ritiro del lavoro non può prescindere dall'innalzamento della speranza di vita media degli italiani;
   la necessità paventata da autorevoli esponenti del Governo e della maggioranza che lo sostiene di modificare la riforma delle pensioni sarebbe frutto della volontà di favorire, da un lato, l'uscita dal mondo del lavoro in anticipo di cittadini che siano disponibili ad accettare una decurtazione dell'assegno pensionistico e, dall'altro, dall'esigenza di rilanciare l'occupazione giovanile;
   rendere possibile un'uscita anticipata dal lavoro rappresenterebbe un intervento sulla struttura portante della riforma del 2011, che in una certa qual misura andrebbe a rimetterne in discussione la ratio di fondo;
   le grandi trasformazioni in atto in Italia e nel mondo stanno producendo sempre più la nascita di nuovi lavori e, al contempo, il venir meno di molti posti di lavoro in svariati settori, per cui sarebbe errato ritenere automatica la sostituzione dei lavoratori che decidessero di andare in pensione in anticipo rispetto a quanto previsto attualmente dalla legge, se fosse loro consentito, con l'assunzione di nuovi giovani lavoratori;
   l'aumento dell'occupazione più che dal turn over può essere innescato da una crescita del processo di sviluppo, determinata, oltre che da un contesto internazionale più favorevole, anche da un'efficace azione del Governo ed in tal senso l'Esecutivo ed il Parlamento hanno lavorato con chiarezza di vedute e dunque molto positivamente nell'ultimo anno; rimettere in discussione a distanza di soli quattro anni dal varo i pilastri fondamentali della riforma delle pensioni, cosa ben diversa dall'intervenire per correggere eventuali altre storture dell'impianto del 2011 che dovessero emergere, avrebbe un effetto negativo sulla credibilità internazionale del Paese –:
   se e in che misura il Ministro interrogato, e il Governo tutto, intendano intervenire in occasione dell'imminente sessione di bilancio, o con altro provvedimento, sulla riforma delle pensioni mettendo in discussione la sua ratio fondamentale che collega l'età del ritiro dal lavoro alla crescita della speranza di vita media dei cittadini. (3-01694)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, CASO e GALLINELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è noto che la cosiddetta riforma Fornero dell'anno 2011 ha modificato i presupposti per accedere al trattamento pensionistico, non consentendo di godere del diritto alla pensione a migliaia di persone che avevano provveduto al versamento dei contributi previdenziali;
   tale riforma ha, pertanto, determinato una serie di categorie di persone da salvaguardare con ulteriori interventi correttivi della «riforma Fornero», tra le quali, quella dei cosiddetti lavoratori esodati, ossia coloro che sono stati espulsi dalle aziende in forza di accordi tra le parti sociali in base alla normativa previgente la riforma e che ha impedito agli stessi di andare in pensione, sebbene prossimi al conseguimento dei requisiti pensionistici di vecchiaia o anzianità;
   per riparare a tale grave situazione, di notevole contenuto sociale, nel tempo l'Esecutivo ha adottato provvedimenti di «salvaguardia» per consentire ad alcune categorie di persone di accedere al trattamento previdenziale in base alla normativa previgente la «riforma Fornero»;
   sono stati adottati sei interventi di salvaguardia; l'ultimo si è concretizzato con la legge n. 147 del 2014, a tutela di una serie di lavoratori: da quelli in mobilità a quelli che hanno versato contributi volontari;
   tuttavia, ad oggi, sono rimaste ignorate, quindi non tutelate, ulteriori categorie di persone; si tratta di soggetti rimasti privi di qualsiasi sostegno economico, poiché all'entrata in vigore della riforma delle pensioni già non avevano un posto di lavoro o lo hanno perso in questi anni e, se non fosse stata attuata la «riforma Fornero», avrebbero avuto il diritto di accedere al trattamento pensionistico dal 2012/2013 entro l'intero anno 2016;
   il 9 settembre 2015, nel corso dell'incontro con i vertici Inps e i tecnici dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze svoltosi in Commissione XI lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per trovare una soluzione per i lavoratori esclusi dai precedenti provvedimenti, i tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze hanno spiegato che non esistono risorse per garantire una settima salvaguardia di lavoratori esodati, ovvero rimasti senza impiego o ammortizzatori sociali utili per «traguardare» i nuovi requisiti di pensionamento introdotti dalla riforma del 2011;
   secondo il Ministero dell'economia e delle finanze le maggiori spese non effettuate in base alle previsioni sulle prime sei operazioni di salvaguardia non si traducono in risorse disponibili per effettuarne una nuova: la settima appunto;
   i tecnici Ministero dell'economia e delle finanze avrebbero in particolare escluso «risparmi» disponibili per 500 milioni di euro sugli anni 2013 e 2014, mentre l'Inps avrebbe indicato «risparmi» per 3,3 miliardi di euro fino al 2023 sulle dotazioni stanziate, pari a quasi 12 miliardi di euro;
   eppure, a parere degli interroganti, il «fondo esodati» – previsto dalla legge n. 228 del 2012 – attraverso la logica dei risparmi e delle compensazioni avrebbe potuto essere utilizzato per garantire nuove tutele aggiuntive in presenza di minori spese; infatti l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012 ha previsto che le eventuali economie accertate a consuntivo siano destinate ad alimentare le finalità del suddetto fondo e avrebbe potuto consentire al Ministero dell'economia e delle finanze, con l'adozione di un semplice decreto ad hoc, di utilizzare le risorse risparmiate per la tutela dei lavoratori esodati e per dare copertura finanziaria alla tanto attesa settima operazione di salvaguardia;
   ciò nonostante il Ministero dell'economia e delle finanze – a parere degli interroganti – con una posizione incomprensibile e inaccettabile ha ritenuto di non utilizzare le risorse risparmiate e stanziate nelle precedenti salvaguardie (una specie di «tesoretto») per finanziare le finalità del «fondo esodati» bensì di «inglobare» i risparmi frutto delle precedenti sei operazioni di salvaguardia nell'ambito della contabilità nazionale per coprire – forse – eventuali altre future esigenze di spesa;
   evidentemente il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ritenuto meritevole salvaguardare quella platea di lavoratori esodati (25-26 mila potenziali candidati), senza lavoro e che non sono riusciti a maturare i requisiti pensionistici per effetto della «riforma Fornero», esclusi dalle sei salvaguardie finora approvate, tanto che il sindacato ha parlato di «un vero e proprio scippo agli esodati»;
   a parere degli interroganti è assurdo che il Governo, a quattro anni dalla riforma che l'attuale maggioranza ha condiviso ed approvato, tenga ancora centinaia di persone nel limbo, adducendo ragioni di copertura finanziaria ed indisponibilità di risorse –:
   quali siano le reali intenzioni del Governo in materia e se il Ministro interrogato intenda adottare urgentemente ovvero nel disegno di legge di stabilità per il 2016 iniziative normative che prevedano una settima e conclusiva salvaguardia per tutti i soggetti esclusi dalle precedenti sei salvaguardie, reperendo idonee risorse ovvero utilizzando a copertura degli oneri anche le risorse disponibili nel fondo di cui all'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, come derivanti dall'avanzo di amministrazione delle entrate già accertate e vincolate. (3-01695)


   RIZZETTO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti posizioni assunte dal Ministro interrogato hanno determinato una situazione di grave stallo rispetto alla riforma delle pensioni, la salvaguardia degli esodati e la proroga del cosiddetto regime previdenziale «opzione donna»;
   la riforma del sistema previdenziale sembrava essere imminente, nell'ottica di inserire ragionevoli criteri di «flessibilità in uscita», agevolando il ricambio generazionale nel mondo del lavoro, invece, il Ministro interrogato sembra abbia bocciato attualmente tale manovra, affermando che non ci sono le risorse finanziarie necessarie. Eppure, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti aveva, recentemente, confermato la volontà dell'Esecutivo di stanziare risorse per la manovra pensionistica, già nel disegno di legge di stabilità per il 2016;
   la riforma pensionistica è prioritaria per cominciare a fronteggiare concretamente il grave disagio sociale causato dalla «legge Fornero» e, con il medesimo obiettivo, è necessario procedere alla salvaguardia degli esodati e di tutti coloro che sono stati pregiudicati dall'improvvisa modifica dei requisiti per accedere al trattamento pensionistico;
   pertanto, va confermato e, dunque, prorogato il regime sperimentale «opzione donna» previsto dalla «legge Maroni», n. 243 del 2004. A riguardo, non può essere eccepito un problema di coperture, considerando che per questa manovra è stato stanziato l'importo di 1 miliardo e 684 mila euro, di cui sono stati spesi 707 milioni di euro con relativo «avanzo» di quasi un miliardo di euro. Quindi, queste risorse vanno obbligatoriamente utilizzate per il progetto in questione, a cui sono state destinate, per consentire alle lavoratrici, che volontariamente scelgono il ricalcolo contributivo dell'assegno, di poter accedere alla pensione anticipata;
   allo stesso tempo bisogna intervenire per l'inclusione in «opzione donna» dei lavoratori di sesso maschile, che ne hanno già fatto richiesta, altrimenti si determinerebbe una grave discriminazione in violazione del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145, con cui lo Stato italiano ha attuato la direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionale e le condizioni di lavoro;
   vanno salvaguardati i diritti previsti dalla «riforma Amato» del 1992 dei cosiddetti lavoratori «quindicenni», che, entro la data del 31 dicembre 1992, hanno versato almeno quindici anni di contributi previdenziali e che dopo quel periodo non hanno più avuto contributi con l'uscita dal mercato del lavoro;
   restano, inoltre, ancora da salvaguardare i cosiddetti quota 96, ossia quei docenti e amministrativi che con l'introduzione della «riforma Fornero» sono stati costretti a rimanere in carica, pur avendo portato a compimento il proprio percorso contributivo;
   sono, dunque, di fondamentale rilevanza le questioni che deve urgentemente risolvere questo Esecutivo in materia previdenziale. Eppure si lascia passare il tempo senza intervenire, aggravando la situazione di tante persone che già hanno subito la lesione del proprio diritto alla pensione, continuando ad affermare che non ci sono i soldi per procedere alla riforma e alle salvaguardie, ma quello che appare è che le risorse stanziate per queste manovre sono state già o verranno utilizzate per altre manovre;
   in particolare, si fa presente che sulla «settima salvaguardia esodati», l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012 istituisce un fondo in cui devono essere inserite tutte le provenienze dalle precedenti salvaguardie. L'Inps ha conteggiato queste provenienze individuando un importo di 1 miliardo e 356 milioni di euro. Tali risorse per legge devono essere utilizzate per le ulteriori salvaguardie –:
   per quali motivi il Ministero dell'economia e delle finanze abbia fatto confluire parte di queste risorse, che quindi non risultano più essere disponibili per successive salvaguardie, nella contabilità generale. (3-01696)


   MELILLA, PAGLIA, SCOTTO e MARCON. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, in più occasioni e ricorrendo ad un'espressione a parere degli interroganti poco felice, ha preannunciato agli italiani che il 16 dicembre 2015 «celebreranno il funerale» delle due imposte Imu e Tasi dovute per le abitazioni principali e che inoltre tale «shock fiscale» sarà corredato nel 2017 dall'abolizione di una buona parte dell'Ires e dal 2018 dalla rimodulazione degli scaglioni Irpef;
   volendo trascurare l'ingente flusso di risorse che le suddette imposte generano per l'erario, pari, con riferimento alla sola Tasi, a 3,4 miliardi di euro in ragione annua, un taglio indiscriminato e generalizzato delle imposte sulla casa comporterebbe dannosi effetti redistributivi, andando a tutto vantaggio dei decili di reddito più elevati, che da soli, come risulta da un'elaborazione dei dati sulla distribuzione delle abitazioni di residenza svolta dalla Banca d'Italia, concorrono ad oltre il 40 per cento del relativo gettito;
   sempre secondo la stessa fonte, la ricchezza netta media delle famiglie italiane è pari a circa 373 mila euro. Le attività reali rappresentano circa il 70 per cento (più di 6,2 mila miliardi di euro) e la ricchezza immobiliare è pari al 61,2 per cento. Fra le attività reali, poi, la ricchezza in abitazioni è circa 228 mila euro in media per famiglia; quasi il 77 per cento della ricchezza detenuta in immobili è rappresentato dalle prime case (4,2 mila miliardi di euro);
   tutti i dibattiti che si sono intrecciati negli ultimi tempi hanno ignorato il ruolo che le suddette imposte hanno svolto fino ad oggi e cioè quello di rappresentare una pragmatica ed immediata risposta, seppur non ottimale (per gli economisti la cosiddetta second best), all'esigenza di tassare il patrimonio in un Paese profondamente pervaso dall'evasione fiscale, nel quale il 30 per cento dell'attività economica è sommersa, ma anche nel quale, come si è visto, l'80 percento della popolazione vive in una casa di proprietà, seppur con un elevato grado di concentrazione. Molte famiglie, infatti, detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, a fronte di un 10 per cento delle stesse che detiene il 41 per cento della ricchezza totale;
   sempre per capire come l'eventuale detassazione agirebbe sul tessuto sociale del Paese, si rilevano differenze anche sostanziali con riferimento alle fasce d'età. Il 76 per cento delle famiglie con un capofamiglia di più di 55 anni è proprietario di un'abitazione, situazione invece che è rovesciata nelle famiglie con capofamiglia fino ai 34 anni di età: tra i giovani solo il 44,7 per cento è soggetto a Tasi o Imu, tutti gli altri, che perciò corrispondono un canone di affitto, invece no ed in caso di abolizione del prelievo dovranno compensare con la quota a loro carico i comuni del mancato gettito;
   l'obiettivo di perseguire tout court una riduzione della pressione fiscale complessiva non deve però tradire quello di realizzare contestualmente una maggiore equità, progressività ed efficienza nella distribuzione del prelievo. Nel settore immobiliare per aumentare l'equità sarebbe cruciale la riforma del catasto, già prevista nella legge di delega fiscale, ma che il Governo secondo gli interroganti, accortosi dalle simulazioni sugli effetti dell'algoritmo che avrebbe dovuto rivedere i valori catastali che le rendite sarebbero cresciute in misura esponenziale, toccando quindi gli interessi dei pochi e facoltosi abbienti, ha preferito congelare;
   la mancata revisione dei valori catastali ha determinato, nel passaggio dell'aliquota standard dal 4 per mille (Imu 2012) all'1 per mille, salvo le variazioni deliberate dai comuni (Tasi 2014), da una parte un forte vantaggio per le abitazioni di maggior valore catastale e dall'altra, prevedendo anche un prelievo a carico degli affittuari, un peggioramento delle condizioni economiche di questi ultimi, spesso giovani coppie o studenti, a volte in misura anche superiore a quella dei proprietari stessi;
   del resto, i valori degli immobili riflettono la qualità dell'amministrazione e degli investimenti locali, rappresentando un appropriato indicatore per i comuni responsabili di fronte ai cittadini della tassazione immobiliare e che sono pertanto sono incentivati, al fine di accrescere il loro gettito, ad adottare una politica di servizi più efficace ed efficiente;
   la crisi ha fatto precipitare una situazione abitativa già critica ed in tale contesto è emersa una manifesta sottoutilizzazione del fondo di garanzia per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte di giovani, segno dell'inadeguatezza di far fronte alla domanda di case di uno strumento anche poco promosso dagli stessi istituti di credito –:
   se, in caso di un'effettiva ed indiscriminata soppressione dell'imposizione sulle abitazioni principali, intenda adottare iniziative per intervenire sul meccanismo di solidarietà che attualmente vincola proprietario ed affittuario, superando la quota d'imposta a carico di quest'ultimo e che grava, come si è visto, soprattutto sulle generazioni più giovani. (3-01697)


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è in corso di esame presso la Commissione affari sociali della Camera dei deputati il disegno di legge di iniziativa parlamentare «Disposizioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione della dipendenza dal gioco d'azzardo patologico», che prevede specificamente anche la revisione della normativa in materia di giochi;
   nonostante i ripetuti tentativi fatti dal Governo per giungere ad una norma quadro in materia di giochi, partendo dalla delega fiscale, il Governo sembra aver rinunziato a pubblicare, almeno per ora, il decreto di riforma del settore giochi;
   sono in molti a chiedersi a questo punto cosa accadrà di alcune decisioni prese a suo tempo; per esempio, sui famosi 500 milioni di euro che avrebbero dovuto pagare concessionari e gestori, ciascuno per quanto di sua competenza. Ci si chiede se sarà ancora esigibile oppure se ancora una volta cadrà nel vuoto. È una domanda che risuona in maniera predominante nel settore del gioco. Secondo alcuni questa cifra non sarà più esigibile. Anzi dovrebbero essere restituiti gli importi pagati come prima rata su tutta la filiera e qualcuno potrebbe perfino richiedere un risarcimento danni;
   la filiera del gioco legale, con la mancanza della riforma contenuta nella delega e senza una norma di riferimento chiara, rischia di vedere vanificato il lavoro importante fatto negli ultimi dieci anni, con il ritorno al caos diffuso e ignorato proprio perché illegale;
   le associazioni che si occupano a vario titolo delle persone affette da dipendenza grave dal gioco chiedono da tempo una legge che funga da contenimento alla diffusione del gioco d'azzardo in tutte le sue diverse manifestazioni: le videolotterie, le applicazioni, le new slot, senza dimenticare il continuo proliferare dei «gratta e vinci». I soggetti affetti da dipendenza grave, ancorché difficili da quantificare in modo esatto, sono in costante aumento, come confermano le strutture cliniche di riferimento, con tutte le conseguenze sociali che ne derivano –:
   se non ritenga opportuno che il Ministero dell'economia e delle finanze effettui specifici studi e valutazioni di competenza circa il reperimento e l'impiego di significative risorse destinate a sostenere una forte azione di contrasto alla dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, che pare opportuno il Governo debba porre rapidamente in essere. (3-01698)


   GUIDESI, BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha introdotto nel nostro Paese la disciplina degli studi di settore quale strumento di lotta all'evasione fiscale: il precedente sistema tributario prevedeva, infatti, che il reddito d'impresa e di lavoro autonomo fosse determinato attraverso le scritture contabili. Gli accertamenti induttivi potevano essere esperiti soltanto in via del tutto eccezionale e in presenza di gravi irregolarità contabili commesse dai contribuenti; questo aveva creato la paradossale situazione di veder privilegiato il contribuente-evasore che riusciva a tenere in ordine le scritture contabili, a discapito del contribuente in regola, che, pur assolvendo tutte le obbligazioni tributarie, poteva incorrere in sanzioni molto onerose, per il solo fatto di aver commesso degli errori formali nella tenuta delle scritture;
   gli studi di settore consistono in un metodo finalizzato a misurare e a valutare la capacità di guadagno dei singoli settori economici, avvalendosi di una raccolta di dati afferenti al settore economico che si prende in esame. Lo studio stima, in via preventiva, le possibilità dei ricavi e compensi del contribuente al fine di poter avviare o meno la relativa procedura di accertamento da parte dell'amministrazione fiscale;
   le macroaree prese in considerazione dagli studi di settore sono quattro: servizi, commercio, manifatture e professionisti, applicandosi quindi alle partite iva indipendentemente dalla forma giuridica scelta o dal profilo fiscale;
   per verificare se i risultati della dichiarazione dei redditi sono allineati con i ricavi o i compensi previsti dalla metodologia degli studi di settore, i contribuenti sono tenuti a dichiarare i dati contabili e i dati extracontabili al fine di riscontrarne la congruità, ossia il confronto tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli risultati dallo studio, e la coerenza dei principali indicatori economici che caratterizzano l'attività del contribuente;
   lo scopo dell'introduzione degli studi di settore era facilitare il fisco nella procedura di accertamento di casi di evasione, fornire uno strumento all'imprenditore e al professionista al fine di valutare la propria efficienza economica, disporre di uno strumento per monitorare le attività presenti sul territorio da utilizzare nelle scelte di programmazione economica ed evitare le situazioni di concorrenza sleale tra imprenditori onesti e coloro invece che potevano praticare prezzi più bassi grazie all'evasione;
   in realtà, questo meccanismo, collegando i redditi dei contribuenti a standard di riferimento, ha prodotto fin da subito effetti esattamente contrari a quelli previsti, sottoponendo il contribuente, in caso di dichiarazione di valori minori a quelli prefissati, a lunghe ed estenuanti indagini fiscali;
   lo studio di settore inverte l'onere della prova a danno del contribuente e ha, quindi, spinto una buona parte dei professionisti e degli imprenditori ad adeguarsi agli standard previsionali dell'amministrazione fiscale, con la grave conseguenza di dover assolvere ad obbligazioni tributarie maggiori;
   a ciò si aggiunge il fatto, duramente contestato dai contribuenti, che, nonostante si prendano in considerazione le variabili esterne, spesso queste, soprattutto quelle riferite alle particolarità territoriali, non risultano essere efficacemente aderenti alla realtà, facendo sorgere un enorme contenzioso tributario;
   negli ultimi anni, inoltre, i pesanti effetti della crisi economica su decine di migliaia di attività hanno aumentato lo scollamento tra gli standard previsti dall'amministrazione finanziaria e gli effettivi ricavi e compensi dei contribuenti. Per ovviare a ciò sono stati predisposti diversi adeguamenti verso il basso, a partire dal 2011 fino all'ultimo del 2015, ma gli interventi – arrivati in ogni modo tardivamente, poiché l'anno della prima revisione coincideva con il quarto anno consecutivo di crisi – non hanno prodotto i risultati sperati, posto che gli aggiustamenti non sono stati comunque coerenti con gli effetti reali che la crisi ha prodotto sul volume di affari di imprenditori e professionisti interessati dagli studi –:
   se, al fine di permettere all'economia del Paese di beneficiare dei primi, debolissimi segnali di fine della crisi economica internazionale, il Governo intenda assumere iniziative per prevedere l'immediata sospensione dell'applicazione degli studi di settore per i periodi di imposta 2015 e 2016, fino ad una completa revisione del sistema delle verifiche fiscali a fini anti-evasivi, in modo da evitare che i contribuenti siano costretti a dichiarazioni più alte degli effettivi incassi e a sottoporsi ad una maggiore imposizione per evitare quelle che appaiono agli interroganti vere e proprie vessazioni da parte dell'amministrazione finanziaria. (3-01699)


   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   desta enormi preoccupazioni in merito alla sostenibilità del servizio sanitario nazionale, la decisione della Corte costituzionale che a fine luglio 2015, accogliendo un ricorso della Corte dei conti, ha dichiarato l'illegittimità della legge regionale del Piemonte di approvazione del bilancio di assestamento 2013;
   è ben noto, infatti, che il servizio sanitario assorbe mediamente i 4/5 della spesa delle regioni e che un default generalizzato nei bilanci regionali avrebbe conseguenze devastanti sulla qualità e quantità delle prestazioni sanitarie rese ai cittadini;
   secondo autorevoli ricostruzioni giornalistiche, dopo questa sentenza rischiano la bocciatura della Corte dei conti i bilanci di tutte le altre regioni, con la sola eccezione della Lombardia;
   le modalità di contabilizzazione dei fondi stanziati dallo Stato per il pagamento dei debiti pregressi, giudicate illecite dalla Corte costituzionale, costituirebbero una prassi generalizzata che comporta il rischio di un buco, a livello nazionale, di 19,3 miliardi di euro. A rischiare di più, oltre al Piemonte (il deficit 2013 è stato ricalcolato da 300 milioni a 3,06 miliardi di euro), sono il Lazio (8,7 miliardi di euro a rischio), la Campania, il Veneto, ma anche Emilia-Romagna, Toscana e Puglia;
   i fondi dello Stato sembra siano serviti per pagare anche dei debiti fuori bilancio ed in alcuni casi, invece di essere compensati per cassa con i pagamenti, siano confluiti nei bilanci di competenza, gonfiando la capacità di spesa delle regioni;
   la Corte costituzionale, nella sentenza sul bilancio del Piemonte, scrive che: «Una legge dello Stato nata per porre rimedio agli intollerabili ritardi nei pagamenti ha subito una singolare eterogenesi dei fini, i cui più sorprendenti esiti sono costituiti dalla mancata spendita delle anticipazioni di cassa, dall'allargamento oltre i limiti di legge della spesa di competenza, dall'alterazione del risultato di amministrazione, dalla mancata copertura del deficit»;
   la legge n. 243 del 2012, che, nel titolo, si proponeva di dare attuazione al principio costituzionale del pareggio dei bilanci pubblici, ma che, in realtà, era principalmente finalizzata al pagamento di debiti pregressi, purtroppo non ha raggiunto gli effetti desiderati e richiede serie considerazioni;
   infatti, la legge n. 243 del 2012 prevede che regioni e comuni siano tenuti a rispettare l'obbligo di un «saldo non negativo» sia nel bilancio preventivo che in quello consuntivo, sia di cassa che di competenza, sia in rapporto alle entrate e alle spese finali che in rapporto a quelle correnti, e per le regioni, distintamente, anche per i conti della sanità. In aggiunta la legge prevede il divieto assoluto di indebitamento, se non per investire ed entro limiti strettissimi;
   queste norme molto severe e di dettaglio non affrontano il nodo essenziale: le difficoltà di cassa delle regioni lasciano supporre la presenza di rilevanti quantità di debiti non regolarmente contabilizzati;
   per quanto attiene il caso specifico del Piemonte, è intervenuta la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) che, ai commi da 452 a 458 dell'articolo 1, detta norma atte a dare piena attuazione alla legge n. 243 del 2012, ma appare indispensabile verificare se tale obiettivo sia stato raggiunto;
   qualunque sia la soluzione che si intenda proporre per risolvere il problema dei debiti pregressi di regioni e aziende sanitarie è indispensabile conoscere la consistenza reale del fenomeno –:
   se le misure contenute nella legge di stabilità per il 2015, in merito alla situazione della regione Piemonte siano state applicate e in quali misura, e quali urgenti iniziative di competenza, anche normative o in sede di Conferenza Stato-regioni, il Governo intenda assumere per definire un quadro aggiornato della situazione finanziaria complessiva delle regioni e delle aziende sanitarie, con particolare riguardo all'accertamento di debiti fuori bilancio.
(3-01700)


   RAMPELLI, TAGLIALATELA, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto Svimez 2015 sull'economia del Mezzogiorno presentato nel mese di agosto 2015 ha disegnato lo scenario desolante di un Paese sempre più diviso e diseguale, in cui il Sud scivola sempre più nell'arretramento, con una crescita che è stata pari ad appena la metà di quella registrata nello stesso periodo in Grecia;
   in base ai dati pubblicati il Mezzogiorno, tra il 2008 ed il 2014 ha registrato una caduta dell'occupazione del 9 per cento, a fronte del -1,4 per cento del Centro-Nord, e il rischio povertà nelle sue regioni è il doppio di quello delle regioni settentrionali;
   il rapporto Svimez inoltre pone l'accento sulla grave questione demografica che porterà il Meridione nei prossimi cinquanta anni a perdere oltre quattro milioni di abitanti a causa del calo delle nascite e della migrazione interna ed internazionale;
   secondo l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, «la flessione dell'attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese, con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali, e che spiegano il maggior permanere delle difficoltà di crescita e la minore capacità di queste aree di agganciarsi alla ripresa internazionale. La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività; le migrazioni, specie di capitale umano formato, e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro hanno contemperato il calo di posti di lavoro. Non sarà facile disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa crescita e quindi minore benessere» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di risolvere la drammatica crisi economica e produttiva che affligge le regioni meridionali. (3-01701)


   BRUNETTA, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha affermato in più occasioni che, dopo il semestre italiano di presidenza dell'Unione europea, il Governo ha ottenuto di poter fare fino a 17 miliardi di deficit in più, pari a oltre un punto di prodotto interno lordo;
   quanto sostenuto da Renzi vuol dire secondo gli interroganti che l'Italia, che avrebbe dovuto chiudere il 2016 con un rapporto deficit/prodotto interno lordo pari a -1,8 per cento, veleggerà, con il consenso europeo, serenamente verso il 3 per cento, e probabilmente anche oltre;
   quanto sostenuto da Renzi significa, di fatto, sforare, tanto l'obiettivo dell'1,8 per cento fissato nel documento di economia e finanza di aprile 2015, quanto il 3 per cento previsto dal «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria» (cosiddetto Fiscal compact o Patto di bilancio);
   quanto sostenuto da Renzi significa non rispettare, senza giustificazione alcuna (nessuna circostanza eccezionale potrebbe essere eccepita), i vincoli e gli obiettivi di Bruxelles. Il tutto per fare tagli strutturali di tasse attraverso l'aumento del deficit. Cosa mai vista, inaccettabile tanto per le regole europee quanto per quelle di finanza pubblica italiane;
   l'Italia non ha ancora presentato alla Commissione europea né la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il cui termine previsto dal semestre europeo è il 20 settembre 2015, né il disegno di legge di stabilità per il 2016, il cui termine è il 15 ottobre 2015: unici documenti su cui la Commissione europea è chiamata a pronunciarsi;
   le previsioni di crescita del prodotto interno lordo, ancorché modeste, fanno decadere la possibilità per il nostro Paese di eccepire le «circostanze eccezionali» di cui all'articolo 3, comma 3, lettera b), del Fiscal compact;
   pur aumentando la crescita reale del prodotto interno lordo da +0,7 per cento a +0,9 per cento nel 2015 e da +1,4 per cento a +1,6 per cento nel 2016, la crescita in termini nominali risulta più bassa di 0,3 punti nel 2015 e tra 0,3 e 0,5 punti nel 2016, in quanto l'inflazione in Italia nel 2015 si attesta a 0,2 per cento contro lo 0,7 per cento contenuto nel documento di economia e finanza di aprile 2015 e, ragionevolmente, nel 2016 non raggiungerà l'1,2 per cento previsto dal Governo –:
   se confermi oppure smentisca il quadro descritto in premessa. (3-01702)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo un lungo percorso di accompagnamento, è stato finalmente reso operativo il percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari previsto dalla legge n. 81 del 2014, attraverso l'attivazione delle REMS in tutte le regioni italiane, destinate ad accogliere e supportare i casi giudiziari che necessitano interventi individuali di speciale sicurezza;
   il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è frutto di una straordinaria spinta sociale per il miglioramento delle condizioni umane, terapeutiche e relazionali delle persone che devono scontare una pena per reati commessi in condizioni di infermità mentale;
   la dismissione delle strutture precedentemente adibite ad ospedali psichiatrici giudiziari prevede il trasferimento dei ricoverati ancora bisognosi di trattamenti speciali (almeno 450 in tutta Italia) all'interno di nuove unità operative, presenti in tutte le regioni italiane, con affidamento ai servizi di igiene mentale delle ASL delle attività di vigilanza e recupero;
   uno degli obiettivi di umanizzazione dei trattamenti previsto dalla nuova legge di riforma è incentrato sulla possibilità di riavvicinare i soggetti sottoposti a trattamento al loro territorio di origine, consentendo un miglior rapporto con gli ambienti familiari e sociali di provenienza;
   la Sardegna, in passato non ha ospitato ospedali psichiatrici giudiziari;
    nel mese di luglio 2015, è stata inaugurata la REMS di Capoterra (Cagliari) con l'obiettivo di far partire anche in Sardegna le azioni di riavvicinamento ai propri contesti sociali dei sardi reclusi presso ospedali psichiatrici giudiziari ubicati oltre Tirreno;
   nei giorni scorsi, i media sardi hanno dato ampio risalto all'assegnazione alla REMS di Capoterra di Luigi Chiatti, personaggio noto alle cronache giudiziarie nazionali per essersi macchiato vent'anni or sono di un duplice omicidio nei confronti di un bambino di quattro anni e di un ragazzino di tredici, assegnato ad ospedali psichiatrici giudiziari in quanto giudicato seminfermo di mente;
   la pericolosità sociale di Chiatti resta confermata per cui è stato conseguentemente indispensabile prevedere la sua assegnazione ad una REMS;
   la notizia dell'assegnazione di Chiatti alla struttura di Capoterra ha destato grave allarme presso la popolazione locale, stimolando una reazione sociale fortemente negativa che rischia di caratterizzare negativamente l'inizio delle attività della struttura appena inaugurata, rafforzando diffidenze, preoccupazioni e pregiudizi che non aiutano certo il clima di lavoro delle professionalità preposte al buon funzionamento della REMS stessa;
   non sono note, né sono state spiegate le motivazioni che hanno indotto l'assegnazione di Chiatti ad una struttura estranea rispetto alla residenza sua e del suo originario nucleo sociale –:
   se siano state regolarmente censite tutte le presenze di sardi presso gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani e, conseguentemente, se siano state esperite tutte le procedure necessarie a consentire ai sardi inseriti negli ospedali psichiatrici giudiziari di essere trasferiti nella propria regione di origine, presso la REMS di Capoterra;
   quali siano le motivazioni che hanno determinato l'assegnazione di Chiatti alla struttura di Capoterra, invece che in strutture della propria regione di origine, come da spirito della legge n. 81 del 2014;
   se siano a conoscenza del profondo stato di disagio manifestato dalla popolazione sarda, e di Capoterra in particolare, nei confronti dell'inspiegabile assegnazione di Chiatti e degli effetti negativi che tale situazione di malcontento può avere nei confronti del buon clima di lavoro in cui ha necessità di operare la struttura;
   se, per questi motivi, non ritengano di dover assumere iniziative per l'immediato trasferimento di Luigi Chiatti presso altra REMS, non ubicata in Sardegna.
(4-10351)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha approvato di recente la legge n. 124 del 2015 di riforma della pubblica amministrazione in cui si è delegato il Governo ad adottare decreti delegati per la riorganizzazione degli uffici territoriali di Governo mediante l'attribuzione di nuove funzioni e razionalizzazione degli stessi;
   nell'ambito dei principi fissati dalla legge delega appare del tutto evidente che la razionalizzazione di detti uffici territoriali costituisce il punto di arrivo di un organico procedimento di riorganizzazione delle loro funzioni e deve essere rispondente a criteri specificamente indicati dalla legge;
   peraltro le delicate funzioni svolte dalle prefetture richiedono che la loro riorganizzazione e razionalizzazione sia attuata con molta cautela e analizzando in modo approfondito le singole realtà territoriali e le problematiche socio-economiche peculiari di ciascuna di esse;
   tuttavia, il Ministero dell'interno ha annunciato l'imminente adozione di un decreto finalizzato all'accorpamento entro il 31 dicembre 2016 di alcuni degli attuali uffici territoriali di Governo con conseguente soppressione di ben 23 sedi prefettizie: Teramo, Chieti, Vibo Valentia, Benevento, Piacenza, Pordenone, Rieti, Savona, Sondrio, Lecco, Cremona, Lodi, Fermo, Isernia, Verbano-Cusio-Ossola, Biella, Oristano, Enna, Massa-Carrara, Prato, Rovigo, Asti e Belluno;
   l'adozione di un simile provvedimento appare in contrasto con lo spirito ed il contenuto della legge delega di recente approvazione, in quanto finisce per anticipare in modo irreversibile processi decisionali che, viceversa, devono costituire il punto conclusivo di un più ampio progetto di riorganizzazione della rappresentanza del Governo sul territorio; in assenza dell'abolizione delle province e della riorganizzazione delle funzioni e compiti degli uffici territoriali l'accorpamento delle prefetture appare del tutto prematura rispetto all'attuale organizzazione dell'apparto centrale e periferico dello Stato;
   in un particolare contesto storico caratterizzato da forti tensioni sociali, anche a causa del fenomeno dell'immigrazione e dell'emergenza connessa ai numerosi sbarchi di rifugiati politici e caratterizzato altresì dal forte espandersi della criminalità organizzata di tipo mafioso, anche proveniente dall'estero, appare del tutto inopportuno diminuire la presenza sul territorio di quelli che ad oggi rappresentano presidi di legalità e controllo sul territorio;
   principi di razionalizzazione e riduzione della spesa non possono giustificare il progressivo ridursi della presenza dello Stato sul territorio; non a caso al solo annuncio del provvedimento si è sollevato un ampio coro di voci contrarie: sindacati, politici di tutti gli schieramenti, esponenti della società civile;
   la commissione affari costituzionali della Camera, il 16 aprile 2013 sull'analogo schema recante regolamento in materia di riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio, predisposto ai sensi dell'articolo 10, commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 aveva espresso parere negativo perché:
    a) «in mancanza di un quadro normativo certo sull'assetto delle province, l'intervento di cui allo schema di regolamento in esame – richiesto dagli obiettivi di riduzione della spesa fissati dal citato decreto-legge n. 95 del 2012 – non potrà essere affrontato compiutamente prima che sia stata definita la questione del futuro assetto delle province, anche al fine di evitare una serie di costi connessi alla riorganizzazione a fronte di una cornice istituzionale ancora in corso di definizione»;
    b) «vi sono molte perplessità, innanzitutto in relazione alla effettiva possibilità di conseguire i risparmi di spesa attesi e al rischio che, al posto dei risparmi, si determinino spese aggiuntive andrebbero calcolati non solo i costi aggiuntivi, ma anche quelli indiretti della revisione proposta, calcolando, in particolare, le spese del personale che viene distolto dal suo lavoro ordinario ai fini dell'impiego nel processo di riorganizzazione del sistema –:
   sulla base di quali motivazioni il Ministro abbia inteso anticipare la razionalizzazione degli uffici territoriali del Governo vanificando di fatto la portata razionalizzatrice della legge delega n. 124 del 2015, sia perché la riduzione delle prefetture non appare coordinata con la complessiva opera di riforma dell'assetto istituzionale dello Stato, sia perché non appare contestualmente rafforzato il presidio dello Stato sul territorio;
   quali siano stati i criteri utilizzati per la individuazione delle sedi da sopprimere e sulla base di quale istruttoria esse siano state individuate;
   come intende il Governo sopperire all'inevitabile ridimensionamento dell'attività di controllo e di legalità svolta fino ad oggi dalle prefetture oggetto del provvedimento di soppressione sui rispettivi territori. (4-10353)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con gli uffici scolastici regionali di tutto il territorio nazionale, sta portando a compimento le procedure utili alla realizzazione del piano di stabilizzazione di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto rimasti vacanti e disponibili all'esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per l'anno scolastico 2015/2016 stabilite dalla legge 13 luglio 2015, n. 107;
   tale piano ha già concluso le prime tre fasi, delle quattro previste, cosiddette fasi O, A e B;
   da quanto si evince dal sito internet http://www.istruzione.it/assunzioni buona scuola/index.shtml, la prima fase, fase 0, che com’è noto è del tutto indipendente rispetto al piano assunzionale previsto dalla legge n. 107 del 2015 perché disciplinata dalla legislazione previgente avrebbe dovuto immettere in ruolo 36.627 di cui 21.880 pensionamenti su posti comuni e 14.747 posti sostegno;
   nelle fasi A e B si sarebbe dovuto procedere all'assunzione su 10.849 posti aggiuntivi;
   non sono stati forniti dati circa la suddivisione delle immissioni avvenute nelle fasi, 0 e A, ma dalla conferenza stampa del Ministro si è appreso che complessivamente se ne sono avute circa 29.000. Ciò significa, che non sono stati assegnati più di 7.000 posti rientranti nella sola fase 0;
   all'apertura della fase B vi erano più di 16.000 posti ancora da assegnare mentre nell'intenzione del Governo tra le fasi A e B ce ne sarebbero dovuti essere 10.849. Con il ricorso alla procedura nazionale (fase B) pare che siano state inoltrate circa 8.700 proposte d'assunzione di cui circa 8.450 dovrebbero essere state accettate; pertanto, il totale delle assunzioni nelle prime 3 fasi risulta di circa 37.400, circa solo 1000 assunzioni in più rispetto ai posti già autorizzati dalla legislazione previgente;
   stando a quanto riportano gli organi di stampa circa l'80 per cento degli assunti secondo la procedura nazionale nella fase B ha già accettato una supplenza annuale e prenderà pertanto servizio nella provincia definitiva nell'anno scolastico 2016/17, per questa ragione le supplenze annuali dell'anno scolastico in corso dovranno essere attivate anche sui posti assegnati nella fase B a soggetti già destinatari di supplenze annuali;
   ope legis nella notte tra il 1o e il 2 settembre 2015, come dichiarato dallo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella conferenza stampa tenuta il 2 settembre 2015, si è proceduto alle convocazioni relative ai docenti aventi diritto per ci che concerne la fase B del piano in questione;
   tuttavia, risulta estremamente semplice rilevare che, sui siti internet degli uffici scolastici regionali di tutto il territorio nazionale, non sono disponibili pubblicamente gli elenchi, relativi alle 100 province, dei docenti aventi diritto a ricoprire il posto assegnato dalle procedure relative alla fase B del piano sopra descritto, contrariamente a quanto accaduto per le precedenti fasi O e A;
   non risulta oltremodo possibile, per gli insegnanti, prendere visione del punteggio dei nominati; risulta inoltre, in conseguenza e aggiunta a quanto detto nel precedente capoverso, impossibile, per gli aventi diritto, confrontare gli elenchi e i punteggi dei docenti iscritti alla fase B della procedura, impedendo, in questo modo, ai candidati di controllare la correttezza del procedimento adottato oltreché di prendere visione della ratio alla base delle graduatorie ed, eventualmente, rivolgersi alle autorità competenti, qualora lo ritenessero opportuno, per eventuali ricorsi –:
   se non ritenga necessario adoperarsi affinché gli uffici scolastici regionali procedano alla pubblicazione di tutti gli elenchi provinciali relativi ai docenti convocati a seguito delle valutazioni espresse nella fase B del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, e alla pubblicazione delle future graduatorie per la fase C, prima delle prossime stabilizzazioni previste, al fine di garantire la trasparenza delle procedure di una selezione pubblica che è un principio fondamentale della pubblica amministrazione che il Ministero non può violare;
   quando sia previsto che si concluda la fase C e pertanto quante risorse previste dalla legge n. 107 del 2015, a copertura dei posti siano già state impegnate e quali risparmi, considerate le immissioni con sola decorrenza giuridica, siano previsti;
   secondo le stime più recenti del Ministero, quante saranno le supplenze annuali affidate nell'anno scolastico 2015/16.
(2-01077) «Luigi Gallo, Alberti, Pesco, Toninelli, Di Battista, Tofalo, Brescia, Frusone, Baroni, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Brugnerotto, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colonnese, Cominardi, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Dell'Orco, Di Benedetto, Fico, Ruocco, Villarosa, Luigi Di Maio, Di Vita».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   già in una recente interrogazione (n. 5-03877), avente ad oggetto il crollo di una scuola palermitana, il Sottosegretario Barracciu rispondeva che l'edilizia scolastica era al centro del programma di Governo, elencando gli innumerevoli stanziamenti messi in campo;
   il Sottosegretario non riferiva, però, dei ritardi che caratterizzavano l'erogazione degli stessi stanziamenti;
   in particolare, si fa riferimento ai 905 milioni di euro del cosiddetto piano BEI (Banca europea per gli investimenti) a favore dell'edilizia scolastica, disciplinati dall'articolo 10 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
   quest'ultima rimandava a numerosi decreti la fissazione delle modalità di attuazione. Il primo di essi è stato il decreto interministeriale 23 gennaio 2015, che doveva essere emanato nel mese di febbraio 2014, ovvero decorsi tre mesi dall'entrata in vigore della legge su citata;
   un altro decreto interministeriale, invece, quello più importante per la stipula dei mutui in discorso, pur già sottoscritto dai tre Ministri competenti (Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), è attualmente fermo in attesa della registrazione da parte della Corte dei conti. Anche in questo caso il ritardo è considerevole, poiché la data prevista era il 31 maggio 2015;
   tali circostanze comportano un necessario differimento del termine del 31 ottobre 2015, imposto ai comuni per poter usufruire dei 1.100 milioni messi a disposizione dai mutui BEI. Le amministrazioni locali, infatti, pur avendo già predisposto la documentazione necessaria, non possono procedere all'attivazione delle procedure di gara fin quando il decreto attuativo non sarà emanato;
   ciò è confermato dall'Autorità nazionale anticorruzione che rileva che, ai fini dell'indizione delle gare d'appalto da parte degli enti locali, sia necessario e sufficiente attendere l'adozione del decreto interministeriale che autorizza le regioni alla stipula dei mutui;
   inoltre, analoghi ritardi hanno interessato l'erogazione dell'otto per mille per l'edilizia scolastica. Anche in questo caso, infatti, i comuni, pur avendo predisposto la documentazione richiesta, sono stati costretti ad operare i primi interventi di ristrutturazione, messa in sicurezza, miglioramento, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico, con proprie risorse, e attualmente, sono, in attesa della firma dei decreti di ripartizione dei contributi, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   a decorrere dal 27 maggio 2014, è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la «Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione di edilizia scolastica», con compiti di impulso e coordinamento delle strutture competenti dei Ministeri, individuazione delle problematiche connesse alla mancata attuazione degli interventi finanziati e formulazione delle proposte di soluzione, individuazione e ricognizione delle fonti di finanziamento e degli interventi finanziati in materia di edilizia scolastica e monitoraggio dello stato di attuazione di questi ultimi;
   un'efficiente azione amministrativa non può essere caratterizzata da ritardi sistematici e dal mancato rispetto dei termini di legge per l'emanazione dei decreti attuativi. Tali inefficienze si ripercuotono dalle amministrazioni centrali a quelle locali, già vessate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali attività saranno intraprese dalla struttura di missione per l'edilizia scolastica per superare i sistematici ritardi di attuazione degli interventi finanziati.
(5-06381)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 29 agosto 2015 a Cagliari si sono riuniti gli Stati generali della scuola sarda che si sono conclusi con l'approvazione del Manifesto per l'autonomia e la rinascita della scuola sarda;
   gli Stati generali della scuola sarda riuniti a Cagliari hanno visto la partecipazione di delegazioni provenienti da tutta la Sardegna, in rappresentanza di comitati di base, organizzazioni sindacali e liberi docenti;
   il Manifesto per la scuola sarda costituisce la piattaforma politica e programmatica del rapporto Stato-regione, nel rispetto delle competenze statutarie e costituzionali riservate alla Regione autonoma della Sardegna;
   competenze esclusive e concorrenti che hanno subito a giudizio dell'interrogante, gravi limitazioni e violazioni da parte della legge n. 107 del 2015 di riforma della scuola;
   in tal senso il Manifesto approvato stabilisce in particolare che:
    è necessario promuovere una scuola sarda, con docenti sardi, per pianificare lo sviluppo e la crescita della Sardegna; un piano di rinascita culturale, sociale ed economico che sappia mettere al centro del futuro dell'isola la crescita dei nostri giovani e sappia trasformare, le agenzie della formazione in solidi architravi tra il sapere e il fare; una visione nuova della società dove la scuola assuma il ruolo guida della nuova e restituita identità del popolo sardo;
   poiché ora più che mai le identità dei popoli sono e rappresentano un valore insostituibile e decisivo per il futuro e considerata la particolare connotazione identitaria, culturale, storica, sociale e geografica, della Sardegna, è necessario individuare una nuova visione della formazione dei giovani, capace di coniugare il valore della propria identità con l'ambizione di essere protagonisti nella modernità e nel futuro;
   è opportuno promuovere una scuola che sappia costruire radici identitarie e culturali forti e nel contempo sappia sviluppare rami agili e dinamici capaci di far crescere e sviluppare il proprio popolo;
   dinanzi a quello che appare ai firmatari del Manifesto tentativo maldestro di annientare le diversità e negare ciò che lo Statuto autonomo della Sardegna e la stessa Costituzione hanno riconosciuto, occorre assumere l'onere non solo della difesa delle prerogative statutarie e costituzionali, ma anche quello di rendere le stesse strumento fondamentale per il riscatto della scuola sarda;
   occorre ripensare e riorganizzare la scuola sarda, affidandole l'alta e insostituibile missione di cancellare la dispersione scolastica e valorizzare, in chiave identitaria e moderna, la cultura del popolo sardo;
   considerato che i giovani sardi sono il futuro della nostra terra, è necessario rivolgere a loro le attenzioni che meritano, comprendendo le loro ambizioni e collocandole nell'alveo di una formazione in grado di stare al passo con i tempi e che permetta loro di ricevere stimoli ed indirizzi per il loro futuro;
   è prioritario costruire un piano strategico per la valorizzazione identitaria e per la moderna crescita dei saperi, nella regione: un piano che sappia promuovere e sviluppare i valori culturali identitari del popolo sardo e, nel contempo porsi l'obiettivo strategico di un'offerta formativa in grado di perseguire le linee strategiche di uno sviluppo moderno ed economicamente sostenibile della Sardegna;
   gli Stati generali della scuola sarda assumeranno come obiettivo della propria azione permanente quello di promuovere e sostenere un piano strategico che avrà come fondamentale scopo quello di abbattere i livelli di dispersione scolastica, dando luogo ad azione concentrica di tutti i livelli dell'istruzione che persegua, anche attraverso le più avanzate strategie formative, il recupero e il reinserimento nel circuito scolastico formativo di tutti i giovani sardi, poiché nessuno di loro deve restare senza istruzione e cultura che costituiscono gli elementi, fondamentali per il proprio percorso di vita, sociale e personale;
   la scuola può e deve svolgere un ruolo fondamentale, superando una logica di mera offerta di didattica e proiettandosi in una dimensione di promozione dello sviluppo della cultura, della socialità, dell'economia della Sardegna. Le scuole devono divenire agenzie attive e permanenti su tutto il territorio regionale, devo o aprirsi e restare aperte alla società, devono contribuire al riscatto di un popolo, dai figli ai genitori;
   bisogna assumersi l'obbligo di cancellare le distanze tra cultura, scuola e lavoro;
   si deve costruire una grande infrastruttura culturale che, come per la viabilità, per l'energia, per l'acqua, deve servire a collegare ogni piccola realtà, mettendola in rete e accrescendo le proprie potenzialità culturali, sociali ed economiche;
   l'autonomia della scuola sarda deve fondarsi su indirizzi peculiari e specifici, tesi a sostenere la rinascita culturale ed economica del popolo sardo;
   si devono formare i giovani in funzione delle potenzialità, delle ambizioni, delle opportunità che la Sardegna può offrire;
   si devono costruire programmi e didattica fondati sull'ambizione di crescita del popolo sardo;
   i programmi scolastici e la conseguente implementazione dell'offerta formativa devono essere il presupposto per orientare le scelte organizzative e gestionali della scuola sarda. In questa direzione dovrebbero essere orientate le scelte future del Governo, affidando alle istituzioni locali e regionali il compito di orientare e pianificare il futuro della scuola sarda; 
   non dovranno più verificarsi, a giudizio dei firmatari del Manifesto, azioni del Governo che appaiano di fatto quali gravi e insostenibili prevaricazioni e ingerenze statali nella gestione della scuola sarda. Il riconoscimento e la tutela delle prerogative statutarie e costituzionali in relazione all'istruzione devono essere infatti fondamento irrinunciabile del futuro della Sardegna;
   c’è bisogno di una scuola sarda che sia al passo con i tempi, in grado di recuperare i gap, trasformandosi da inseguitrice ad apripista, promuovendo identità e modernità; c’è bisogno di fare della scuola sarda il più importante e decisivo supporto per la crescita della Sardegna e del popolo sarda;
   promuovere l'identità significa, per esempio, avviare un grande piano di valorizzazione e qualificazione dell'inestimabile patrimonio culturale del popolo sardo che deve diventare fonte di moderna occupazione, di sviluppo endogeno e crescita sociale e culturale: un modello di sviluppo della Sardegna sostenuto dalla cultura, dall'istruzione e dalla tecnologia;
   gli Stati generali della scuola sarda ritengono che il principale investimento della Sardegna sia e debba essere: il capitale umano, il capitale umano ed ancora il capitale umano;
   ai piani didattici e formativi, che in quest'ottica dovranno essere predisposti, garantendo il ruolo preminente e decisivo di tutti i docenti sardi, occorre aggiungere un vero e proprio «Piano Marshall della crescita e della cultura della Sardegna» che metta in campo formatori itineranti, che riaprano le scuole chiuse dei piccoli paesi, svolgendo la funzione di animatori culturali e formativi, organizzando e rendendo sinergiche le realtà aggregative e le agenzie del sociale, da quelle sportive a quelle che si occupano di promuovere le sarde, da quelle che si occupano della musica a quella che si occupano della formazione professionale, da quelle dedite all'insegnamento della lingua sarda a quelle che si occupano all'insegnamento dell'inglese, sino a quelle che promuovono una piena alfabetizzazione informatica;
   i dati della disoccupazione sarda sono sotto gli occhi di tutti e per buona parte si tratta di disoccupazione intellettuale di tanti laureati. Dobbiamo colmare senza ulteriori perdite di tempo il divario tra l'istruzione che il sistema economico richiede per essere competitivo e l'istruzione che viene impartita, ad ogni livello. Bisogna consentire una maggiore elasticità dei programmi va sempre cercato e perseguito l'inserimento, nelle grandi reti europee ed internazionali dell'istruzione;
   gli Stati generali della scuola sarda, che opereranno attraverso un coordinamento permanente, formato da tutti i comitati aderenti, si riuniranno obbligatoriamente ogni semestre e comunque ogni qualvolta il coordinamento ne riterrà necessaria la convocazione;
   al fine di dare attuazione a questo Manifesto per la scuola sarda, gli Stati generali ritengono necessario porre alle istituzioni, a tutti i livelli, un piano di dettaglio delle azioni che devono essere attivate al fine di dare compiute ed esaustive risposte alla scuola sarda;
   in questa direzione si esplicitano, nei seguenti punti, gli obiettivi che dovranno essere perseguiti con determinazione, al fine di affrontare in un quadro più ampio le emergenze legate all'attuazione di leggi nazionali che rischiano di danneggiare gravemente le prerogative costituzionali e statutarie della scuola sarda;
   i rappresentanti del «Comitato per l'Autonomia, la Difesa e la Valorizzazione della Scuola Sarda» ritengono fondamentale (anche in considerazione della petizione con circa 5000 firme di docenti e operatori scolastici che richiedono il ricorso alla Corte Costituzionale, come risulta nella piattaforma di petizioni online change.org) che la regione autonoma della Sardegna si faccia parte attivi e decisiva nell'azione politica e istituzionale per riaffermare la specificità, l'autonomia didattica e organizzativa del sistema formativo in Sardegna. In tal senso e in estrema sintesi esse chiedono alla Giunta regionale della RAS urgenti provvedimenti e azioni relativamente alle seguenti questioni:
    1) la regione autonoma della Sardegna ricorra alla Corte Costituzionale impugnando la legge di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione (legge n. 107 del 13 luglio 2015) al fine di far rispettare le peculiarità e le competenze statutarie costituzionali della regione autonoma della Sardegna;
    2) la regione autonoma della Sardegna rivolga, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'immediata e urgente richiesta per ridefinire la tabella delle assegnazioni aggiuntive di cattedre in organico e di posti per i docenti al fine sia di rivendicare un congruo numero di nuovi insegnanti (anche per garantire l'indispensabile rapporto numerico ottimale tra alunni e docente), sia di soddisfare non solo le esigenze operative ma anche quelle relative alla migliore e più efficiente e qualitativa offerta formativa. La richiesta di zero posti, avanzata dall'Ufficio scolastico regionale della Sardegna, non solo non è accettabile ma costituisce anche, rispetto a tutte le altre regioni italiane, una grave discriminazione pure in considerazione dei molteplici disagi che vive la scuola sarda; in tal senso si rivendica la richiesta di non meno di 500 cattedre aggiuntive nei diversi ambiti formativi;
    3) la regione autonoma della Sardegna elabori e definisca, in maniera sinergica e condivisa, con il Ministero dell'istruzione, con i direttori scolastici regionale e provinciali, oltreché con i dirigenti scolastici della Sardegna, pure sentendo il «Comitato per l'Autonomia, la Difesa e la Valorizzazione della Scuola Sarda» e con gli opportuni soggetti che in Sardegna si occupano del settore scuola con diversi ruoli, un piano di ampliamento di cattedre, pure in riferimento alla previsione di un incremento dell'organico funzionale, al fine di suggerire indirizzi e linee guida alle autonomie scolastiche, da valutare anche in sede di predisposizione del Piano triennale dell'offerta formativa. In tal senso, dalle stime potenziali, la regione Sardegna potrebbe legittimamente avanzare una richiesta di almeno 3000 nuove cattedre (nei vari ambiti disciplinari), necessarie a colmare le deficienze strutturali e l'incremento, l'arricchimento e la differenziazione dell'offerta formativa e della sua qualità, anche con il necessario obiettivo di prestare maggior supporto e sostegno agli alunni diversamente abili e di ridurre la non trascurabile piaga della dispersione scolastica;
    4) la regione autonoma della Sardegna pretenda in maniera irriducibile che lo Stato riconosca in modo inequivocabile l'insularità come concreta ed indiscutibile fonte di reali ed innumerevoli disagi, nonché quale imprescindibile diritto di precedenza assoluta per i docenti sardi nelle fasi di reclutamento, mobilità, assegnazioni provvisorie, utilizzazioni, ed altro;
    5) la regione autonoma della Sardegna rivendichi, con determinazione e urgenza, un intervento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di scongiurare in tutti i modi la drammatica deportazione di insegnanti sardi in altre regioni italiana, in considerazione sia delle ragioni prettamente giuridiche e costituzionali, sia delle condizioni insulari e dei relativi e penalizzanti disagi legati alla mobilità che renderebbero tale situazione lesiva di qualsiasi tipo di diritto dei docenti. In tal senso si è già chiesto alla regione autonoma della Sardegna di trasmettere un'urgente richiesta al Ministro dell'istruzione per la sospensione e/o proroga dei termini per la presentazione delle domande e per prevedere una deroga (in considerazione delle ragioni predette) per la regione Sardegna, garantendo lo svolgimento delle fasi B e C in ambito regionale e provinciale. In questo caso è indispensabile che la fase regionale sia esclusivamente dedicata agli insegnanti precari sardi (garantendone la totale assunzione, anche salvaguardando, ricollocando, includendo e tutelando sia chi ha già presentato la domanda entro il 14 agosto 2015 per il piano assunzionale nazionale, fasi B e C, sia chi non l'ha presentata per validi motivi inerenti alle non chiare informazioni da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) sino ad esaurimento delle GAE e delle Graduatorie di concorso di merito previste in ambito regionale;
    6) la regione autonoma della Sardegna istituisca la «Conferenza Permanente di Organizzazione e Pianificazione della Scuola Sarda» con il coinvolgimento dei direttori scolastici regionali e provinciali, dei dirigenti scolastici della Sardegna, pure sentendo il «Comitato per l'Autonomia, la Difesa e la Valorizzazione della Scuola Sarda» e gli opportuni soggetti che in Sardegna si occupano del settore scuola con diversi ruoli, al fine di:
     pianificare preventivamente e periodicamente ogni possibile ed idonea azione tesa al necessario rilancio della formazione scolastica nell'isola;
     dare indirizzi sia per lo sviluppo qualitativo della scuola ed il relativo monitoraggio sull'efficacia della scuola sarda, sia in merito alle fasi inerenti il reclutamento e i percorsi di formazione e di abilitazione del personale docente –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, considerate le conseguenze che l'approvazione del Manifesto degli Stati generali della scuola sarda può comportare per lo Stato, avviare un serio e concreto piano di concertazione con la regione autonoma della Sardegna e gli operatori scolastici al fine di perseguire gli obiettivi strategici del manifesto sulla Scuola sarda;
   se non ritenga che, proprio in virtù della specialità autonomistica riconosciuta dalla Costituzione alla Sardegna e vista la sua condizione insulare, debbano essere proposti immediati e urgenti correttivi alla riforma della scuola, introdotte dalla legge 107 del 2015, tesi al rispetto delle competenze e delle peculiarità statutarie in materia di istruzione;
   se non ritenga di dover dare indicazioni agli uffici scolastici della Sardegna di operare nel senso indicato dal Manifesto con la regione autonoma della Sardegna. (5-06384)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 14 settembre 2015, a Calolziocorte (Lecco), il signor Elio Canino si è incatenato al cancello della scuola primaria del Pascolo, per protestare contro la mancata assegnazione alla figlia, una bambina con la sindrome di Down, dell'insegnante di sostegno;
   la situazione in cui si è trovata la famiglia Canino è la stessa in cui si trovano migliaia di famiglie italiane con figli disabili, che ogni anno, all'inizio delle lezioni, non possono mandarli a scuola perché manca l'insegnante di sostegno;
   secondo l'ultimo report dell'Istat sull’«Integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali» (dicembre 2014), nell'anno scolastico 2013 –2014 erano quasi 85 mila gli alunni con disabilità nella scuola primaria (pari al 3,0 per cento del totale degli alunni) mentre nella scuola secondaria di primo grado se ne contavano più di 65 mila (il 3,8 per cento del totale);
   nonostante le intenzioni, le disposizioni contenute nella legge 13 luglio 2015, n. 107, la cosiddetta «buona scuola», non risolvono i problemi connessi all'assunzione degli insegnanti di sostegno e alla copertura delle ore necessarie nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie;
   anche per l'anno scolastico 2015-2016, rischiano di restare scoperti moltissimi posti, soprattutto in alcune regioni, come la Lombardia;
   la legge in vigore, inoltre, consente agli insegnanti di chiedere il trasferimento di sede o il passaggio al ruolo comune dopo cinque anni di permanenza sul posto di sostegno, con evidente pregiudizio per la continuità didattica di allievi particolarmente fragili –:
   quante ore di sostegno siano state richieste e quante concesse nel corrente anno scolastico agli alunni e agli studenti delle scuole italiane, suddividendo i dati per ordine e grado degli istituti, per regione e per provincia;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per garantire fin dall'inizio il sostegno a chi ne ha diritto e il maggior grado possibile di continuità didattica ad alunni e studenti disabili. (4-10348)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del quinto municipio di Roma Capitale, nel quartiere Centocelle, è presente l'istituto comprensivo denominato «Via Tor de Schiavi 175», all'interno del quale è sita anche la sede della scuola media statale «G. Massaia»;
   all'interno di tale ultima struttura vi è un immobile residenziale assegnato a coloro che svolgevano il ruolo di custode della scuola come alloggio di servizio;
   nonostante tale servizio non sia più attivo l'immobile risulta ancora assegnato all'ex custode;
   nella serata del 27 giugno 2015 l'ex custode, di anni 84, si è reso responsabile di una violenta aggressione ai danni della vicepreside dell'istituto, la quale è stata ferita gravemente alla gola e al torace con un forcone;
   a seguito di tale aggressione il custode è stato accusato di tentato omicidio e a suo carico sono stati disposti dalle autorità competenti gli arresti domiciliari, da scontare all'interno del plesso scolastico di via di Tor de’ Schiavi;
   i genitori degli alunni ritengono inaccettabile tale decisione ritenendola suscettibile di mettere gravemente a rischio l'incolumità dei bambini e del corpo docente, e per questo il 2 settembre 2015 hanno svolto una manifestazione davanti al plesso scolastico per esprimere il proprio disappunto;
   in data 10 settembre 2015, su richiesta del presidente del consiglio di istituto, si è svolta un'assemblea straordinaria con i genitori degli alunni e alla presenza della dirigente scolastica per discutere della questione;
   il corpo docenti si è rivolto sia alle forze dell'ordine sia ai magistrati che hanno disposto la misura cautelare, chiedendo di rivedere la propria decisione in considerazione della particolare posizione dell'abitazione del soggetto;
   la mancata soluzione della questione rischia di pregiudicare la normale ripresa delle attività scolastiche, perché i genitori si rifiutano di portare a scuola i propri figli se la situazione dovesse rimanere inalterata –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere rispetto ai fatti di cui in premessa, al fine di garantire l'incolumità e la sicurezza di alunni e docenti e l'ordinato e regolare svolgimento dell'attività scolastica.
(4-10356)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2015, Ikea, la multinazionale svedese dell'arredamento, ha disdettato prima il contratto nazionale del commercio e poi anche quello integrativo, che prevede indennità in caso di lavoro festivo o straordinario;
   l'azienda punta a decurtare o cancellare voci che in busta paga riguardano la maggiorazione prevista per il lavoro domenicale e festivo – ossia nei giorni clou in cui si registra una forte presenza dei lavoratori part-time – e l'importo fisso mensile del premio aziendale;
   dal modello socialdemocratico racchiuso nello slogan «togetherness» (spirito di solidarietà) al crumiraggio per sostituire chi fa sciopero, la società scandinava ha preso una vera e propria deriva contro i diritti dei lavoratori;
   naufragati i primi colloqui negoziali e dopo un primo sciopero a livello territoriale, le posizioni si sono irrigidite e il 6 giugno 2015 c’è stato uno sciopero nazionale per contestare la politica dell'azienda svedese e, in particolare, per contestare il taglio delle maggiorazioni per il lavoro domenicale;
   per non perdere l'incasso nei 21 ipermercati sparsi sulla penisola l'azienda ha sostituito i manifestanti con lavoratori interinali; per un full time pari a 1300 euro mensili, tagliare il salario accessorio significa rinunciare ad una mensilità l'anno; l'incidenza del taglio aumenta poi per i part time: chi lavora solo 20 ore la settimana e guadagna anche solo 500 euro al mese, sfruttava le domeniche per arrivare ad uno stipendio di 700 euro per riuscire a sbarcare il lunario;
   ad agosto 2015 il personale di Ikea di Anagnina ha scioperato per una settimana con sit-in davanti all'ingresso principale del negozio, dove era esposto uno striscione con la scritta «Settimo giorno di sciopero» e altri che recitavano «Lavoratori italiani, mobili svedesi, stipendi cinesi» e «Offerta speciale, sconto del 20 per cento su tutti i dipendenti Ikea»;
   la trattativa tra sindacati e azienda va avanti da tempo, ma nelle ultime settimane è in stallo; nell'ultimo comunicato, che risale al 5 agosto, l'azienda si dice disposta a riaprire il dialogo solo se i dipendenti accetteranno un «innovativo sistema di gestione dei turni, che offre la possibilità ai collaboratori di partecipare alla scelta dei propri orari di lavoro, con l'obiettivo di raggiungere una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro»;
   a livello globale, le finanze della multinazionale sembrano andare piuttosto bene: negli ultimi dodici anni, tra il 2003 e il 2014, i ricavi non hanno conosciuto battute d'arresto e sono andati costantemente crescendo, col 2014 che ha chiuso a quota 29,3 miliardi di euro, contro i 28,5 dell'anno prima. Il report annuale dell'azienda, reperibile sul suo sito, parla di «performance positiva nell'anno finanziario 2014», che per Ikea va dal primo settembre 2013 alla stessa data del 2014, tale performance si è tradotta in un profitto netto di 3,3 miliardi di euro, il che ha contribuito alla nostra forte posizione finanziaria e alla capacità di sviluppare ulteriormente il nostro business e la nostra offerta ai clienti» –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, onde evitare che vengano messi in atto i tagli di personale e la diminuzione dei diritti dei lavoratori;
   se intenda, di concerto con la società e le organizzazioni sindacali, aprire un tavolo di trattativa per favorire l'elaborazione di un piano industriale che coinvolga tutti i punti vendita italiani appartenenti ad IKEA. (4-10347)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 settembre 2015 i lavoratori della Belvedere s.p.a. costruzioni hanno scioperato per otto ore manifestando davanti alla sede dell'azienda in via Boscalto est a Loreggia in provincia di Padova;
   lo sciopero è stato determinato dal fatto che la Belvedere è in forte ritardo nel pagamento degli stipendi dei 70 dipendenti; fino ad oggi non sono stati pagati gli stipendi per metà del mese di giugno e per i mesi, di luglio e di agosto;
   nei mesi scorsi le organizzazioni sindacali hanno più volte chiesto di incontrare i vertici aziendali per conoscere la reale situazione economica e finanziaria dell'impresa;
   fino ad oggi i vertici aziendali non hanno fornito risposte precise e il pagamento degli stipendi dovuti non è avvenuto;
   un ulteriore elemento di preoccupazione e allarme per i lavoratori e per le organizzazioni sindacali deriva dalle ultime variazioni nella compagine sociale della società per azioni;
   infatti recentemente è entrata come socio di maggioranza con il 95 per cento delle quote la società Co.build.go ltd., con sede in Gran Bretagna e il capitale sociale è passato a 5 milioni di euro;
   il cambio di proprietà ha determinato l'ingresso nel consiglio amministrazione di Belvedere s.p.a. di amministratori e sindaci in rappresentanza della nuova società;
   Co.build.go ltd. costituisce il ramo immobiliare ed edilizio della holding americana Ghost Technology inc., come si legge nel sito web della stessa Ghost Technology
   nel 2002, come ricorda il quotidiano il Sole24Ore in data 12 dicembre 2014 gli ex soci di Mendella hanno fondato la Ghost Technology con sede in Florida e la controllata italiana Ghost s.p.a. con sede a Piacenza;
   le vicende di Ghost Technology si sono intrecciate negli anni con il nome di Giorgio Mendella, imprenditore televisivo, fuggito all'estero e poi condannato nel 1999 per bancarotta fraudolenta;
   successivamente nel consiglio di amministrazione di Ghost Technology è entrato Robert Flavio Paltrinieri, che ha dichiarato sempre sulle pagine del Sole24ore del 12 dicembre 2014 di voler rilanciare la società, da tempo immobile, attraverso la costruzione di strutture sanitarie in Africa;
   in realtà l'ultimo bilancio depositato di Belvedere s.p.a. relativo all'esercizio 2013, evidenzia una perdita di 4,7 milioni e debiti per 47,1 milioni di euro;
   le modifiche societarie rischiano di determinare un trasferimento all'estero degli interessi, degli investimenti e delle risorse dell'azienda;
   inoltre non è ancora stato reso noto il business plan della società e questo aumenta le preoccupazioni che le vicende societarie di Ghost Technology hanno sollevato nei lavoratori e nell'opinione pubblica;
   nell'attuale situazione di incertezza appare necessario che la nuova proprietà presenti al più presto un progetto aziendale ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   in che modo intendano attivarsi, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per risolvere la situazione di grave difficoltà generata dal ritardo nel saldo degli stipendi dovuti ai lavoratori;
   quali strumenti intendano attivare, per quanto di competenza, per vigilare sulla complessa vicenda che sta coinvolgendo la Belvedere s.p.a. in modo da garanti e gli interessi dei lavoratori ed evitare che la nuova proprietà possa trasferire mezzi e strumenti o operativi della stessa Belvedere. (4-10352)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 luglio 2015, l'organizzazione sindacale COBAS ha chiesto al Ministero del lavoro e politiche sociali, all'INPS e alle cooperative coinvolte di aprire un tavolo delle trattative per arrivare ad un accordo sulle proposte di lavoro avanzate dalla società «Crescere Insieme Cooperativa Sociale», vincitrice della gara d'appalto per il servizio di gestione dell'asilo nido aziendale sito presso la sede della direzione generale dell'INPS di Roma;
   la proposta rivolta ai dipendenti della cooperativa «Orsa Cooperativa Sociale», a quanto consta agli interroganti, prevede un declassamento del contratto di lavoro: da contratto a tempo indeterminato a contratto a tempo determinato part-time, condizioni sfavorevoli, trattamenti economici e normativi inferiori;
   inoltre, come denunciato dai lavoratori, le assunzioni non sarebbero effettuate direttamente dalla cooperativa «Crescere Insieme Cooperativa Sociale», bensì da interposta Società, L'Esperia S.r.l.;
   a fronte di quanto descritto, gli interroganti ritengono che sia di particolare gravità il fatto che i diritti dei lavoratori vengono calpestati proprio all'interno dell'ente preposto alla tutela del diritto previdenziale;
   per di più il taglio dell'organico non è lesivo solamente per i dipendenti che perdono il posto di lavoro, ma implica anche la perdita del capitale sociale che si è formato negli anni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga estremamente urgente accogliere la richiesta di apertura di un tavolo di confronto che coinvolga tutte le parti in causa, al fine di assicurare il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e concordare trattamenti non lesivi dei diritti fondamentali dei lavoratori. (4-10359)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2014 nel giro di pochi minuti si è verificato un fenomeno che i meteorologi chiamano «Downburst»;
   si è trattato di un vortice che ha colpito importanti aree agricole di alcuni comuni delle province di Firenze, Prato, Pistoia, Lucca e Pisa;
   analogamente, il 5 e 6 febbraio 2015 eccezionali piogge alluvionali causate da una straordinaria depressione tirrenica hanno causato rapide piene fluviali su tutti i bacini romagnoli, con allagamenti diffusi sul reticolo idraulico secondario, determinando consistenti allagamenti dei campi coltivati ed anche movimenti franosi;
   la regione ha fatto richiesta al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la declaratoria di «eccezionalità» dell'evento, necessaria ad attivare le provvidenze in favore degli agricoltori toscani colpiti;
   all'accoglimento della richiesta da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, faranno seguito il riconoscimento dei danni patiti dagli agricoltori e la conseguente attivazione del fondo nazionale di solidarietà, l'integrazione salariale per i lavoratori agricoli e la possibilità di accedere al credito agevolato per le imprese;
   in base al decreto legislativo 102 del 2004 lo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dovrà decidere, quanti fondi e con quale percentuale potrà intervenire –:
   quali iniziative si ritenga opportuno porre in essere a favore degli agricoltori danneggiati per consentire di uscire alla situazione di crisi generata da questo fenomeno del tutto eccezionale.
(2-01075) «Molea».

Interrogazione a risposta immediata:


   OLIVERIO, SANI, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a meno di 50 giorni dalla fine dell'Expo le immagini mostrano un afflusso intenso e costante di visitatori, con lunghe code per l'accesso ai padiglioni e folla sul decumano, il viale su cui si affacciano i padiglioni dei Paesi del mondo, che unisce simbolicamente il luogo del consumo di cibo (la città) a quello della sua produzione (la campagna);
   gli ultimi dati parlano di quasi un milione di visitatori a settimana; sabato 12 settembre 2015 si è toccato il record con circa 250.000 presenze, nel mese di agosto 2015 Milano ha registrato un incremento dell'affluenza turistica di quasi il 50 per cento rispetto allo stesso mese del 2014 e dal suo avvio, all'inizio di maggio 2015, l'Expo ha generato un indotto sul turismo di circa 100 milioni di euro, non solo a Milano ma anche a Roma, Venezia, Firenze e nelle località balneari;
   un successo che avrà positive ripercussioni nei prossimi anni anche sull’export agroalimentare, grazie agli accordi commerciali firmati e all'impareggiabile vetrina che l'Esposizione ha rappresentato per i prodotti italiani;
   Expo piace e coinvolge e il merito è in gran parte dell'argomento scelto. Nutrire il pianeta: energia per la vita è un tema che riguarda da vicino, nella quotidianità, ogni cittadino, ogni visitatore e al tempo stesso ha lanciato al mondo una sfida epocale, che chiama in causa i più influenti soggetti sociali, economici e istituzionali nell'ambizioso obiettivo di garantire il diritto ad un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti: in altre parole l'obiettivo «fame zero»;
   in questo senso l'Expo di Milano dovrà necessariamente continuare dopo il 31 ottobre 2015, bisogna affrontare e vincere la sfida della sua eredità, tenere vive le idee nate in questi mesi e trasformarle in azioni concrete, in impegni globali vincolanti, in strategie che rivoluzionino gli attuali paradigmi di produzione, di distribuzione e di consumo dei prodotti agroalimentari per rendere effettivo quel diritto fondamentale al cibo che in molte zone del mondo è ancora drammaticamente negato;
   a partire dal documento-simbolo di Expo, quella Carta di Milano che il 16 ottobre 2015 – in occasione del World food day delle Nazioni Unite – sarà consegnata al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon come contributo alla stesura degli obiettivi di sviluppo del millennio; l'Italia dovrà continuare ad essere protagonista della sfida per la giustizia e la sostenibilità agroalimentare, mantenendo aperto il cantiere delle idee, delle proposte, della ricerca e delle sperimentazioni, per non disperdere il patrimonio che Expo rappresenta e per ampliarne la portata, raccogliendo ed elaborando le esperienze globali nel campo della nutrizione;
   nelle scorse settimane il dibattito sull'eredità dell'Expo si è fatto vivace e a tratti controverso, le proposte riguardanti sia il futuro utilizzo dell'area espositiva sia la gestione immateriale dei contenuti ideali e culturali sono oggetto di confronto e di grande interesse –:
   quali siano i dati più aggiornati riguardanti l'affluenza ad Expo, sia in termini assoluti sia in relazione alla nazionalità, e quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per declinare nei termini più efficaci il successo e l'eredità di Expo 2015. (3-01693)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, GALLINELLA, PARENTELA, L'ABBATE, BENEDETTI, LUPO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Ghiselli, attualmente dirigente di ricerca del CREA-NUT (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione), ente di ricerca vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, è il responsabile scientifico della revisione 2015 delle linee guida per una sana alimentazione degli italiani, ed ha fatto parte del gruppo di esperti che ha redatto l'edizione precedente. Il documento, considerato atto centrale sul modo di alimentarsi degli italiani, è preso come modello di riferimento scientifico in tutte le diete, da tutti gli ospedali e dietisti, oltre che dalle stesse aziende per definire i prodotti e i regimi alimentari;
   secondo un articolo de il fatto alimentare: http://www.ilfattoalimentare.it/conflitto-di-interessi-creanut.html il dottor Ghiselli all'interno del Crea Nut è stato anche incaricato di formulare un parere scientifico sull'olio di palma;
   in data 2 settembre 2015 il Corriere.it ha pubblicato un articolo sull'olio di palma in cui il dottor Andrea Ghiselli, ufficiosamente considerato anche portavoce dello stesso Ente, esprime un parere tutto sommato favorevole all'impiego dell'olio tropicale nei prodotti da forno;
   dal ricco curriculum del dottor Ghiselli si evince che il ricercatore è anche: membro del gruppo di lavoro per la revisione dei livelli di assunzione di riferimento-LARN, membro della commissione unica per la dietetica e la nutrizione, membro della Commissione per la ristorazione scolastica presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali docente presso l'università degli Studi «La Sapienza» di Roma, responsabile Forum nutrizione sul Corriere.it, consulente per l'autorità garante concorrenza e mercato, membro del comitato scientifico di Assolatte per la quale ha anche coordinato il periodico di notizie online «L'attendibile», coordinatore scientifico del sito Merendineitaliane.it, uno spazio finanziato dai principali produttori italiani di biscotti e merendine, membro del panel scientifico di AIDEPI (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane che raccoglie marchi come Ferrero, Barilla, Bauli, e altri) per il quale, secondo le ricerche de il fatto alimentare, è stato retribuito fino a 8 mesi fa;
   queste grandi aziende alimentari hanno lanciato, pochi giorni fa, una campagna di centinaia di migliaia di euro a favore dell'olio di palma su quotidiani come il Corriere della sera, La Stampa, Il Resto del Carlino;
   da quanto sopra riportato, a giudizio degli interroganti sembrerebbe sollevarsi un potenziale conflitto di interessi in capo al dottor Ghiselli, tra la posizione di ricercatore alle dipendenze di un ente pubblico e quella di consulente a stretto contatto con l'industria alimentare;
   l'articolo 26 del codice disciplinare in vigore nel Crea Nut vieta di «accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con la prestazione lavorativa e di astenersi dal partecipare all'adozione di provvedimenti degli Enti che possano coinvolgere direttamente o indirettamente interessi propri»;
   il fatto alimentare, tramite il citato articolo, ha anche chiesto lumi al Commissario del Crea Nut, Salvatore Parlato, diretto superiore del ricercatore Ghiselli, in merito alla compatibilità degli incarichi del ricercatore con le consulenze esterne da lui eseguite –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e non ritenga opportuno chiarire la posizione dei ricercatori degli enti da esso controllati, per garantire l'affidabilità e l'indipendenza del mondo scientifico legato all'alimentazione. (4-10354)


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione nazionale di azione sociale è un'associazione di promozione sociale ex lege 383 del 2000;
   nel mese di marzo del 2012 ed il 15 gennaio 2014 ha presentato due istanze per ottenere l'iscrizione all'albo degli enti caritatevoli presso l'Agea, entrambe respinte dall'Agenzia;
   la domanda del 2012 è stata respinta a seguito di controlli eseguiti dagli ispettori di Agecontrol in quanto l'Associazione, da un controllo parziale (effettuato solo su tre dei nove magazzini presenti nella macro area centrale), non aveva i requisiti richiesti dalla delibera 164 del maggio 2006;
   in riferimento all'istanza del 2012, i controlli da parte di Agecontrol venivano più volte sollecitati dall'Associazione e, comunque, venivano sempre differiti dal dottor Parlani il quale adduceva motivazioni di natura economica dell'Ente;
   in riferimento all'istanza del 2014, invece, dagli uffici Agecontrol non venivano evidenziati problemi di natura economica, ed i controlli venivano effettuati in tutte le sedi d'Italia nell'arco temporale di 30 giorni;
   a giudizio dell'interrogante e dell'Associazione, si evince un comportamento amministrativamente ambiguo e non coerente nel corso degli anni da parte di Agecontrol: non si comprende il motivo per cui, nel corso del primo controllo del 2012, Agecontrol ha lasciato trascorrere infruttuosamente circa un anno mezzo dichiarando poi, previa istruzione sommaria (3 magazzini su 36), che l'Anas non aveva i requisiti, formulando un giudizio di inidoneità che all'interrogante pare fondato su una ispezione non adeguata; mentre tutti i controlli relativi all'anno 2014, sono stati effettuati in trenta giorni;
   a seguito del primo diniego non motivato, l'Anas, il 15 gennaio 2014 presentava, così come concordato con i vertici di Agecontrol e Agea, la seconda istanza;
   i controlli si sono svolti speditamente e a seguito delle lagnanze rappresentate in fase di contraddittorio, la dottoressa Lo Conte, con nota a sua firma, precisava che «detto procedimento si sarebbe concluso entro 45 giorni dalla presente comunicazione (il 3 marzo 2014)»;
   il procedimento, invece, è stato definito con la nota Agea del 17 luglio 2014, oltre 120 giorni dopo, rispetto al tempo indicato nella nota del 15 gennaio 2014 in contrasto con le previsioni della legge 241 del 1990;
   decorso il tempo di 45 giorni e non avendo avuto notificato alcun atto di diniego, la dirigenza dell'Anas maturava l'idea del silenzio-assenso giuridicamente supportata dal diritto positivo e dal contenuto dei verbali puntualmente rilasciati degli ispettori addetti al controllo ipotizzando che, pertanto, il ritardo fosse solo da imputare ai passaggi burocratici diretti all'iscrizione all'Albo;
   contrariamente alle aspettative; con nota del 17 luglio 2014, la responsabile del procedimento di Agea, dottoressa Concetta Lo Conte, comunicava che non era stata possibile l'iscrizione nel registro, in quanto, il verbale conclusivo delle operazioni dell'Agecontrol riconfermava il precedente giudizio negativo, seppur con argomenti diversi, estrapolati in modo confuso dai singoli verbali (che attestavano l'idoneità), e concludeva nel seguente modo che l'Ente «disattende i requisiti richiesti dalla delibera 164 del 2006»;
   esaminando pedissequamente la delibera 164 dell'Agea si può affermare al di là di ogni ragionevole dubbio quanto segue: a) come previsto nello statuto vi è prova che l'Anas ha tra le attività dell'oggetto sociale la finalità caritativa senza scopo di lucro; b) l'Associazione è iscritta nel registro tenuto dalla prefettura territorialmente competente – Palermo – ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361; c) l'Associazione è presente sul territorio nazionale ed ha indicato 36 strutture capofila di distribuzione, quindi, ben oltre le 20 rispetto a quelle citate nella delibera; peraltro, la delibera non parla di magazzini ma di strutture che l'Associazione possiede. Occorre precisare, per dovizia di particolare e ben si intende non per obbligo che gran parte dei suddetti magazzini sono dotati di tutte le certificazioni, ivi incluse quella sanitaria; la norma/delibera non parla di magazzini, bensì, di struttura capo fila. Infatti il C.D.A., nell'individuare i criteri per l'iscrizione degli enti all'albo, attese sia le finalità che i tempi, non poteva di certo prevedere «i magazzini» e gravarli con ciò di un onere tanto gravoso quanto dispendioso; infatti, come si legge non solo non si parla di magazzini, ma neppure di quali requisiti questi dovrebbero avere;  d) le strutture capofila di distribuzione, così come i magazzini, sono presenti in quasi tutte le regioni e comunque in tutte le macro aree (precisamente: AREA NORD: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna; AREA CENTRO: Toscana, Umbria, Lazio, Marche; AREA SUD e ISOLE: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia); in tali macro aree, così come ha anche accertato l'Agecontrol in sede di controllo sono presenti il personale, le strutture, i magazzini, il materiale promo-pubblicitario e, soprattutto, i volontari operativi da anni su tutto il territorio nazionale;
   avverso il provvedimento di diniego è stato presentato un ricorso in data 28 luglio 2014 a tutt'oggi senza risposta;
   l'Associazione ha svolto, e tuttora svolge, la raccolta e la distribuzione di derrate alimentari ed è presente su tutto il territorio nazionale in maniera capillare tanto da effettuare un servizio gratuito anche per un centinaio di comuni in convenzione; tutte ciò, grazie al prezioso apporto dei propri volontari che consentono e garantiscono la presenza e la solidarietà ai cittadini più disagiati che per ragioni culturali, religiose e/o sociali non si avvicinano alle strutture caritatevoli tradizionali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché si possa giungere ad una positiva conclusione della vicenda consentendo l'iscrizione dell'Associazione all'albo degli enti caritatevoli presso l'Agea. (4-10360)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la decisione del Ministro dell'interno di denunciare i lavoratori Alcoa per la manifestazione del settembre 2012 a Roma a giudizio dell'interrogante costituisce di fatto una vera e propria lesione alla libertà di manifestare per il lavoro;
   i lavoratori dell'Alcoa sono stati in giro per tre anni e poi sono stati oggetto di una denuncia con l'accusa, secondo l'interrogante, inconsistente, di aver turbato chissà quale ordine pubblico;
   a giudizio dell'interrogante è un atto di una gravità inaudita nei confronti di lavoratori che hanno visto impegni sistematicamente disattesi, lavoratori traditi da una trattativa con Bruxelles avviata con oltre 2 anni e mezzo di ritardo e ancora senza alcuna compiuta risposta;
   l'invio delle comunicazioni giudiziarie ai lavoratori Alcoa finisce di fatto per reprimere qualsiasi tipo di legittima reazione dei lavoratori all'ignavia e negligenza;
   si tratta secondo l'interrogante di atti non compatibili con i principi di un Paese democratico dove si impedisce qualsiasi legittima protesta e soprattutto dove denunce di questa natura, ad avviso dell'interrogante, costituiscono di fatto un avvertimento preventivo per le future mobilitazioni in difesa del posto di lavoro;
   è semplicemente inaccettabile che dopo quasi tre anni di impegni fumosi e inconsistenti non si sia ancora definita la strada per la risoluzione della vertenza Alcoa;
   il Parlamento sta per discutere l'ottavo decreto per il riavvio e il rilancio dell'Ilva di Taranto e nemmeno uno straccio di provvedimento è stato adottato o preannunciato per l'Alcoa;
   è intollerabile che il Governo stia predisponendo ulteriori provvedimenti per l'Ilva, dove si prevedono, in quel caso sì, consistenti aiuti di Stato, (mentre nessuno si è preoccupato delle valutazioni europee) e, invece, per l'Alcoa sono serviti tre anni di inutili parole per presentare un aleatorio documento a Bruxelles;
   sulla vertenza Alcoa sul fronte europeo si registra solo un assordante silenzio e nessuna risposta sul dossier energetico;
   gli incontri dei giorni scorsi a Roma con la Commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, annunciati dal Governo come risolutori della vertenza Alcoa, non hanno prodotto risultati;
   il commissario competente non ha pronunciato una sola parola sulla vertenza Alcoa mostrando, invece, mille convergenze con il Governo su banche e finanza nonostante un modestissimo comunicato stampa annunciasse che sul tavolo degli incontri con il Ministro Guidi ci fosse anche la questione dell’«interrompibilità»;
   niente è stato comunicato sull'esito di quella verifica;
   il Ministro dello sviluppo economico è sembrato molto più propenso a sostenere il decreto concorrenza, piuttosto che la risoluzione della vertenza industriale che non riguarda più solo Alcoa ma la stessa Portovesme srl, alle prese con la fine delle agevolazioni elettriche che scadranno a fine anno;
   dal verbale dell'incontro dei giorni scorsi tra il Ministro dello sviluppo economico Guidi e il commissario europeo per la concorrenza emergono tre fatti di una gravità inaudita:
    1) il Ministro Guidi ha chiesto di differenziare i tempi di risposta alle procedure avviate e di «favorire» quella che pare più le stia a cuore ovvero quella delle «energivore», lasciando al suo destino quella delle regioni insulari, compresa dunque la vertenza Alcoa;
    2) il Commissario europeo da quanto trapelerebbe da Roma avrebbe detto di non conoscere il caso della proroga dell’«interrompibilità» legato alla Sardegna. È la dimostrazione, a giudizio dell'interrogante, di quanto il Governo italiano sia stato sino ad oggi latitante e incapace di ottenere risposte su questa vertenza;
    3) risulta all'interrogante che il Ministro Guidi abbia dichiarato che occorrono tre mesi per modificare la legge e per fare i bandi per la misura destinata alle regioni insulari, dimostrando secondo l'interrogante pochissima conoscenza dei tempi e delle procedure sia parlamentari che amministrative –:
   se il Governo non ritenga di dover intervenire, per quanto di propria competenza per evitare che, anche per il futuro, i lavoratori che manifestano siano perseguiti, come nel caso di Alcoa;
   se non si ritenga di dover urgentemente fornire informazioni in relazione alla totale insolvenza rispetto agli impegni presi in relazione alla vertenza Alcoa;
   se non si ritenga di dover informare in relazione alle procedure europee avviate solo a maggio 2015;
   se non si ritenga opportuno predisporre un'iniziativa normativa immediata per la ripresa produttiva di Alcoa in grado di affrontare, in modo compiuto e concreto, non a parole, la questione energetica e la ripresa produttiva dello stabilimento di Portovesme;
   se non si ritenga di dover dare indicazioni puntuali sullo stato del cosiddetto piano Sulcis, considerato che ad oggi non è stato avviato un solo modesto intervento. (5-06386)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Preziosi e altri n. 1-00857, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Locatelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta in Commissione Oliaro n. 5-02271, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni ed altri n. 5-06376, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marco Di Maio, Zardini.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Amendola n. 7-00768, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 479 del 10 settembre 2015.

   La III Commissione,
   premesso che:
    richiama la risoluzione del 7 giugno 2007, A/HRC/RES/12/12 del Consiglio per i diritti umani sul diritto alla verità e le risoluzioni dell'Assemblea generale dell'Onu A/RES/60/147 del 12 ottobre 2009, A/RES/68/165 del 18 dicembre 2013;
    con la sentenza «Gomes Lund vs Brasil» del 24 novembre 2010 per la prima volta una Corte internazionale sui diritti umani, quella Interamericana, ha esplicitamente affermato il «diritto alla verità», stabilendo il diritto delle vittime e dei loro familiari di cercare ricevere informazioni in merito agli abusi subìti: prerogativa riservata a una categoria specifica, le vittime di gravi violazioni dei diritti umani e i loro familiari, che costituisce un significativo passo verso una maggiore responsabilizzazione dei membri di governo;
    rapporto del 4 settembre 2013 (A/68/362) dello Special Rapporteur ONU per la promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, viene riconosciuto il diritto di accesso all'informazione (come) uno dei componenti centrali del diritto alla libertà di opinione e di espressione, come stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 19), dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 19 (2)) e dai trattati regionali sui diritti umani;
    il rapporto sul diritto alla privacy nell'era digitale del 30 giugno 2014 (A/HRC/27/37) dell'Ufficio dell'Alto Commissario ONU ai diritti umani denuncia un'allarmante mancanza di trasparenza da parte delle autorità governative associata con politiche, leggi e pratiche di sorveglianza che ostacolano qualsiasi tentativo di valutare la loro compatibilità con la legge internazionale dei diritti umani e di assicurare l'attribuzione di responsabilità;
    la risoluzione A/HRC/28/L.24 del 23 marzo 2015 del Consiglio ONU per i diritti umani istituisce il forum su diritti umani, democrazia e Stato di diritto come piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione su questioni legate alle relazioni tra questi ambiti;
    il 27 luglio 2015 si è tenuta la Seconda Conferenza Internazionale «Universalità dei diritti umani e Democrazia per la transizione verso lo Stato di diritto e l'affermazione del diritto alla Conoscenza», organizzata dal Partito Radicale a Roma, presso il Senato della Repubblica italiana, patrocinata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in cui lo stesso Ministro, nonché rappresentanti istituzionali, politici, diplomatici ed esponenti della società civile provenienti da tutto il mondo hanno riaffermato l'interrelazione tra Stato di diritto, diritti umani e democrazia, nonché di perseguire il riconoscimento in sede ONU del diritto alla conoscenza come ulteriore strumento normativo di responsabilizzazione dei Governi e di effettiva protezione dei cittadini;
    l'appello per il diritto universale alla conoscenza concordato e lanciato in conclusione della Seconda Conferenza Internazionale a Roma del 27 luglio è in continuità con il Manifesto-appello dei 113 Laureati dei Premio Nobel contro lo sterminio per fame, sete e guerre nel mondo del 1980;
    il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai relatori e ai partecipanti della suddetta conferenza in cui afferma: «C’è un lavoro di conoscenza che non va mai interrotto e che è intimamente connesso con l'azione politica. La conoscenza e il diritto alla conoscenza è un tema emergente della nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite»;
    rispetto allo Stato di diritto in Italia, ai sensi dell'articolo 87, comma 2, della Costituzione, l'8 ottobre 2013, il Presidente della Repubblica pro tempore Giorgio Napolitano indirizzò un messaggio alle Camere, incentrato sulle condizioni delle carceri e della giustizia che si concludeva con queste parole: «Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro Paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia»;
    la democrazia e lo Stato di diritto stanno subendo una crescente erosione a partire dalle aree del mondo occidentale e del mondo arabo come testimoniato delle gravissime e sempre più frequenti violazioni dei diritti umani, all'aumento dei conflitti e della povertà diffusa;
    il riconoscimento del diritto alla conoscenza consiste nel ruolo che tale strumento normativo avrebbe in termini di prevenzione dei conflitti e il rafforzamento dello Stato di diritto, proprio come il diritto alla verità lo ha fatto per i diritti di riparazione;
    occorre riportare la vita degli Stati democratici all'altezza dei principi ispiratori e delle norme ad essi coerenti, in un ripristinato quadro di costituzionalità nazionale e internazionale secondo un approccio basato sull'universalità dei diritti umani, sul diritto come chiave della convivenza pacifica,

impegna il Governo

a farsi promotore, insieme a Paesi rappresentativi di tutte le aree geopolitiche e regionali, di iniziative in ambito ONU che conducano l'Organizzazione, le sue agenzie specializzate e gli Stati membri a intraprendere un'azione volta a favorire una transizione comune verso lo Stato di diritto e a codificare a livello universale il nuovo diritto umano alla conoscenza.
(7-00768)
«Amendola, Schirò, Picchi, Alli, Scotto, Rabino, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Giachetti, Valentini, Rizzetto, Pastorino, Marguerettaz, Bechis, Prodani, Rostellato, Cirielli, Civati».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Brunetta n. 2-00820, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 366 del 20 gennaio 2015.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), all'articolo 3, comma 44, stabilisce un limite massimo alle retribuzioni e ai compensi percepibili a carico delle finanze pubbliche, prevedendo espressamente che la disposizione si applica non solo alle pubbliche amministrazioni, ma anche alle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, tra le quali certamente figura la Rai; la norma impone altresì alle pubbliche amministrazioni e alle società, non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, di pubblicare sul proprio sito istituzionale il nome dei destinatari degli incarichi e l'importo dei compensi;
   in esecuzione della predetta disposizione è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, che precisa i contenuti del predetto obbligo di pubblicità, ricomprendendo esplicitamente ogni rapporto di lavoro subordinato o autonomo che implichi la corresponsione di retribuzioni o emolumenti direttamente o indirettamente a carico delle pubbliche finanze, includendo anche i compensi percepiti da società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, secondo quanto previsto dall'articolo 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
   l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4 sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri –, Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il decreto-legge n. 101 del 2013 amplia, in primo luogo, l'ambito soggettivo di riferimento del suddetto articolo 60, estendendo la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione anche alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, andando a specificare che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo; in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri –, dipartimento della funzione pubblica –, e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   l'obbligo di pubblicità previsto per la Rai dal richiamato articolo 3, comma 44 della legge finanziaria per il 2008, non risulta messo in discussione dall'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), così come modificato dal citato decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, che non solo non esclude l'obbligo di pubblicità, ma ne conferma la vigenza, non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza;
   l'articolo 17, comma 4 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 stabilisce che: A decorrere dal 1o gennaio 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze acquisisce le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di diritto pubblico e di diritto privato detenute direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, e da quelle di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. L'acquisizione delle predette informazioni può avvenire attraverso banche dati esistenti ovvero con la richiesta di invio da parte delle citate amministrazioni pubbliche ovvero da parte delle società da esse partecipate. Tali informazioni sono rese disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Il decreto del Ministero dell'Economia e Finanze del 25 gennaio 2015, all'articolo 3 ha stabilito che sono altresì comunicate le informazioni sul costo del personale, comunque utilizzato, di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
    in tema di trasparenza, il contratto di servizio 2010-2013 siglato tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico e ancora in vigore, seppur in regime di prorogatio, dispone, all'articolo 27, comma 7, che «la Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con un rinvio allo stesso sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
    ritiene utile ricordare che, il 7 maggio 2014 la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi ha approvato il parere di propria competenza previsto in relazione allo schema di contratto di servizio 2013-2015 tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ad oggi, ancora in via di definizione. Tra le disposizioni contenute, all'articolo 18, comma 7 del contratto di servizio, come risulta a seguito del citato parere, si prevede che «La Rai pubblica sul proprio sito web i curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dai collaboratori e dai consulenti, nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico. La Rai pubblica altresì sul proprio sito web i compensi lordi di ogni singolo conduttore, consulente e collaboratore di tutti i programmi, nonché le spese di produzione delle trasmissioni. La Rai inserisce nei titoli di coda delle trasmissioni un rinvio al sito web»;
   tale disposizione, ad oggi risulta completamente disattesa, come si può evincere anche dalla consultazione del sito internet www.rai.it, nella sezione dedicata al «Personale», che risulta da tempo in via di «aggiornamento»;
    nel corso della seduta della Camera dei deputati dell'8 settembre 2014, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, pro tempore, Giovanni Legnini, in risposta ad una interpellanza urgente presentata dal sottoscritto, riferendosi agli obblighi introdotti con la norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, ha dichiarato che «la Rai, in adempimento dei citati obblighi di legge, ha provveduto a trasmettere nel termine previsto e secondo i criteri delineati dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, tutti i dati richiesti dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica»;
   nella seduta della Camera dei deputati del 31 ottobre 2014, nel rispondere alla precedente interpellanza, la sesta in ordine di tempo, sul tema dell'attuazione della normativa in materia di trasparenza della Rai presentata dal sottoscritto, il sottosegretario di Stato al ministero dello sviluppo economico, con delega per le telecomunicazioni Antonello Giacomelli dichiarava quanto segue: ...abbiamo nuovamente sollecitato il MEF, il Ministero dell'economia e delle finanze, per avere una informazione esatta circa le modalità e i tempi con cui si intendeva procedere e il MEF, nuovamente sollecitato, ha comunicato che provvederà a pubblicare, a breve, i dati sui compensi del personale della Rai, in conformità al parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e nell'ambito delle informazioni relative al costo del lavoro pubblico. Nuovamente sollecitato a dare una definizione temporalmente più precisa del concetto a breve, il MEF ha precisato che questa diffusione avverrà, in modo anticipato, rispetto alla presentazione dei dati del conto annuale 2013, che prevista entro la fine di quest'anno;
    sul sito internet www.contoannuale.tesoro.it, riconducibile al Ministero dell'economia e delle Finanze risulta pubblicato il costo annuale del personale Rai per l'anno 2013, limitatamente a dati aggregati e comunque non aggiornati, che ad avviso dell'interpellante non rispettano il dettato normativo –:
    per quale ragione il Governo non abbia sinora provveduto alla pubblicazione dei dati trasmessi dalla Rai e relativi al costo del personale, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, così come letteralmente previsto dal dettato dell'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazione»;
    quali misure intendano adottare, secondo le proprie competenze, per garantire, senza ulteriori ritardi, l'attuazione puntuale della normativa richiamata in premessa e rendere così pubblici i dati relativi al costo del personale, per quanto riguarda, in maniera specifica, i singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, a norma delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», in considerazione di quanto previsto dal contratto di servizio vigente, e, anche alla luce di quanto disposto dallo schema di contratto di servizio 2013-2015, che prevede esplicitamente per la Rai l'obbligo di pubblicazione dei curricula e dei compensi lordi dei singoli dirigenti, collaboratori e consulenti.
(2-00820) «Brunetta».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Luigi Gallo n. 5-06357 del 10 settembre 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Daga e altri n. 5-05450 del 27 aprile 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10349.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   DE GIROLAMO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   desta preoccupazione la vicenda che riguarda, nella città di Benevento, il comune e la società Ristorò che fornisce il servizio di mensa scolastica comunale da una parte e l'associazione Altrabenevento insieme al sindacato FLaica Uniti Club dall'altra;
   nel dicembre 2014 l'associazione Altrabenevento ha presentato in consiglio comunale una denuncia in cui si accusa la Ristorò di violazione di una serie di norme in materia igienica, di sicurezza sul lavoro, nonché le norme sulla cassa integrazione e sul capitolato d'appalto. È stata denunciata, altresì, la carenza dei controlli sulla mensa scolastica da parte della asl e del comune;
   il comune e la società Ristorò hanno risposto a tale denuncia inoltrata dall'associazione Altrabenevento che non sussistono irregolarità o anomalie o violazioni di norme igieniche e sanitarie e che i dipendenti della società Ristorò hanno ricevuto regolarmente lo stipendio;
   la vicenda ha destato sconcerto nell'opinione pubblica locale e soprattutto nei genitori dei bambini che usufruiscono del servizio di mensa scolastica –:
   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle loro competenze, anche avvalendosi del Comando carabinieri per la tutela della salute e delle competenti strutture territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per verificare se esistano violazioni, come riportato in premessa, di norme in materia sanitaria e di sicurezza sul lavoro in relazione al servizio di mensa scolastica comunale della città di Benevento. (4-08460)

  Risposta. — In merito alla problematica segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Benevento ha trasmesso le notizie acquisite presso il comune di Benevento, la competente azienda sanitaria locale e la locale direzione territoriale del lavoro.
  Dai dati in tal modo pervenuti, risulta che dal mese di dicembre 2014, l'associazione «Altrabenevento» ha presentato vari esposti concernenti carenze ed irregolarità del servizio mensa scolastica affidato dal comune di Benevento alla ditta Ristorò srl, ribadite da ultimo, in una intervista pubblicata sulla testata giornalistica online «Corriere della Sera – Corriere TV Le Inchieste», in data 25 marzo 2015.
  Nei confronti del presidente dell'associazione e dell'autore del servizio, il legale rappresentante e i soci della ditta Ristorò hanno presentato, presso la questura di Benevento, querela-denuncia per diffamazione a mezzo stampa, procurato allarme e turbata libertà dell'industria e del commercio.
  Il comune a scopo precauzionale ha immediatamente adottato, nella stessa data del 25 marzo 2015, il provvedimento di sospensione del servizio mensa scolastica, successivamente prorogata fino al 7 maggio 2015, per il tempo necessario per procedere alla verifica della rispondenza delle prestazioni fornite dalla ditta agli obblighi di capitolato e nelle more dell'esito di ulteriori accertamenti sull'agibilità dei locali di lavorazione della ditta Ristorò srl.
  Le doglianze espresse dalla associazione riguardano l'inadeguatezza delle cucine, delle pentole e delle stoviglie, nonché del vestiario del personale, la presenza di insetti nelle pietanze, il confezionamento dei pasti con prodotti di scarsa qualità, di dubbia provenienza e contenenti additivi vietati dalla legge, la mancanza di controlli da parte della polizia municipale e della azienda sanitaria locale, la presenza di zolfo nei locali della ditta, peraltro privi di agibilità e la mancata possibilità, per i genitori ed i rappresentanti degli istituti scolastici, di effettuare verifiche sulla qualità del servizio di ristorazione scolastica.
  Il comune ha riferito che sin dalla prima denuncia pubblica, il comandante della polizia municipale, anche dirigente pro tempore del settore servizi al cittadino, ha tentato di approfondire le segnalazioni effettuate dall'associazione «Altrabenevento» prendendo contatti diretti con il presidente della stessa.
  Questi, però, ha riferito che tutte le eventuali doglianze sul servizio mensa scolastica le avrebbe fatte direttamente nel corso di una conferenza stampa, che si doveva tenere nel mese di dicembre 2014.
  Il comune ha altresì evidenziato che, più volte, lo stesso presidente è stato sollecitato a far intervenire la polizia municipale o altra forza di polizia, onde consentire l'acquisizione di elementi utili per la contestazione delle irregolarità che venivano denunciate pubblicamente.
  In relazione agli esposti pervenuti, il nucleo ambientale della polizia municipale dal mese di dicembre 2014 ha effettuato diverse verifiche presso l'azienda, e precisamente nei giorni 10 dicembre, 17 e 23 gennaio e 20 e 26 marzo 2015, tutte con esito negativo, in quanto le cucine della ditta, le stoviglie e le pentole utilizzate, nonché il vestiario del personale sono risultati sempre conformi ai requisiti previsti dalla normativa di settore, e nulla è stato riscontrato in merito alla presenza di insetti nelle pietanze ed alla scarsa qualità dei prodotti utilizzati.
  Al fine di potenziare i controlli, la polizia municipale ha anche richiesto la collaborazione dell'azienda sanitaria locale, dell'azienda regionale per la protezione ambientale – Campania (Arpac), nonché del nucleo antisofisticazioni e sanità del comando carabinieri di Salerno, che ha effettuato controlli in data 20 gennaio e 25 marzo 2015.
  Dalla documentazione prodotta dall'azienda sanitaria locale di Benevento, si evince che il dipartimento di prevenzione, sia tramite il servizio di igiene degli alimenti e della nutrizione che a mezzo del servizio veterinario di igiene degli alimenti di origine animali, ha regolarmente svolto molteplici controlli sulla ditta in questione, di cui 4 nel 2013, 12 nel 2014 e 3 nel corrente anno.
  Le ispezioni sono state eseguite, oltre che in via ordinaria, secondo le frequenze stabilite nel documento di programmazione regionale e territoriale, anche in via straordinaria, a seguito delle segnalazioni ricevute e delle richieste del comune di Benevento, ed hanno riguardato l'igiene dei locali, delle attrezzature e degli alimenti, la formazione del personale e l'adeguatezza del loro abbigliamento, le procedure di pulizia e sanificazione, il controllo degli agenti infestanti, nonché dei processi di lavorazione delle carni, con tamponi ambientali ed analisi di campioni di alimenti di origine vegetale e animale.
  Sono state rilevate talune difformità che, tuttavia, non hanno impedito il prosieguo dell'attività e che, comunque, sono state risanate dalla ditta nei tempi prescritti.
  In particolare, a seguito di segnalazione da parte del plesso scolastico «San Vito», è stata rilevata la presenza di un insetto in una pietanza e, in una diversa circostanza, quella di un capello.
  In entrambi i casi i campionamenti prelevati sono stati trasmessi all'Arpac che, dopo averli esaminati, ha inviato i relativi atti alla competente procura della Repubblica.
  Risulta, inoltre, che l'azienda sanitaria locale ha disposto, in data 11 marzo 2015, una apposita ispezione per verificare l'attendibilità di una fonte confidenziale, che riferiva di una importazione clandestina di carni cucinate nelle ore notturne da dipendenti non assunti ufficialmente dalla ditta in questione.
  Nella circostanza, veniva accertato che la ditta utilizza carne bovina e suina proveniente dall'Unione Europea, e fornita in confezioni sottovuoto da una ditta sita in Frigento (AV), presso la quale in sede di controllo ufficiale i dirigenti veterinari dell'azienda sanitaria locale non hanno rilevato alcuna difformità, né alcuna circostanza diversa meritevole di attenzione sotto il profilo igienico-sanitario.
  Si soggiunge che, sempre con riferimento a specifici punti delle denunce di «Altrabenevento», l'azienda sanitaria locale con nota in data 24 marzo 2015 indirizzata al comune, ha riferito di aver accertato che le patate somministrate dalla Ristorò, contenute in confezioni regolarmente etichettate, sono pre-fritte in olio di palma e surgelate all'origine dalla ditta produttrice, i bastoncini di pesce contengono additivi consentiti dalla normativa comunitaria per conferire colore alla panatura di rivestimento del merluzzo, così come la presenza di altri conservanti, esaltatori di sapidità ed antiossidanti è risultata essere consentita dalla normativa europea anche per la prima infanzia.
  Analoga verifica sull'idoneità dei prodotti utilizzati dalla Ristorò per l'alimentazione dei bambini delle scuole primarie è stata disposta anche dal comune, che ha conferito l'incarico ad un nutrizionista, il quale, in una relazione preliminare, ha riferito che i prodotti esaminati sono idonei all'alimentazione dei bambini e rispettano i valori nutrizionali di riferimento.
  Anche in occasione dei controlli effettuati dai NAS carabinieri di Salerno in data 20 gennaio e 25 marzo 2015, non è stata accertata alcuna anomalia così come, in occasione del sopralluogo congiunto effettuato da azienda sanitaria locale, Arpac e polizia municipale, in data 23 gennaio 2015, per verificare la presenza di zolfo nei locali della Ristorò e della limitrofa ditta immobiliare Dodici Stelle, non sono stati rinvenuti in giacenza residui derivanti dalla cessata attività industriale della predetta immobiliare (produzione di anticrittogamici a base di zolfo), né sono state avvertite esalazioni olfattive derivanti da detta attività.
  In merito al coinvolgimento dei genitori e dei rappresentanti degli istituti scolastici nella verifica del servizio mensa, risulta che gli stessi sono stati più volte accompagnati a cura del settore servizi al cittadino del comune, anche con l'utilizzo dello scuolabus, presso la ditta Ristorò, che nell'anno scolastico 2014/2015 ha organizzato appositi open day per illustrare alle famiglie la qualità del servizio offerto.
  Inoltre, in data 18 marzo 2015 è stata ufficialmente costituita e riunita la Commissione mensa, nominata in data 18 febbraio 2015 e composta da 6 rappresentanti di istituto, 6 rappresentanti dei genitori e 2 funzionari comunali.
  Per completezza, si segnala che, in data 31 marzo 2015, personale del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Benevento ha sottoposto a sequestro tutto il carteggio depositato presso il settore servizi sociali del comune e relativo all'affidamento alla ditta Ristorò s.r.l., per l'ipotesi investigativa di sospetta distribuzione, nel servizio mensa scolastica, di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica.
  Per quanto concerne l'attività di competenza della direzione territoriale del lavoro, detto ufficio ha riferito che la propria indagine è iniziata con un accesso ispettivo, effettuato il 22 aprile 2015, presso la sede legale ed operativa della società Ristorò in contrada Ponte Valentino di Benevento, in occasione del quale è stata richiesta tutta la documentazione relativa alla cassa integrazione guadagni dal maggio del 2013, il libro unico del lavoro, nonché i contratti di appalto in essere, inclusi quelli sospesi, il bilancio 2013 ed il registro vendite e la dichiarazione Iva.
  Dall'esame della documentazione, esibita in data 11 maggio 2015, è emerso che la società Ristorò s.r.l. opera da diversi anni nel settore della ristorazione collettiva per enti pubblici e privati ed applica ai dipendenti il contratto nazionale «turismo pubblici esercizi».
  Nel mese di giugno 2013 la società ha presentato alla regione Campania domanda di concessione di cassa integrazione guadagni in deroga, la quale, avendone i requisiti per tipologia di azienda e numero dei dipendenti, è stata concessa in favore dei 56 dipendenti in forza.
  Per l'anno 2013, in particolare per il periodo dal 10 maggio 2013 al 29 giugno 2013, la Ristorò ha avuto un primo intervento di cassa integrazione in deroga, motivato da situazioni di crisi aziendale e legate ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori.
  In particolare, in data 9 maggio 2013, lo stabilimento, sito in Benevento, via Ponte Valentino, in cui si svolgeva la produzione aziendale (centro di cottura), è stato coinvolto in un incendio che ha determinato la sospensione temporanea e successivamente la riduzione dell'attività.
  Nel corso dell'anno 2014 la società, che aveva ripreso l'attività in un altro centro di cottura già autorizzato per la produzione di pasti per la ristorazione collettiva, ha fatto ricorso nuovamente alla procedura di cassa integrazione guadagni in deroga, a partire dal mese di aprile e fino a tutto l'anno 2014, per la crisi congiunturale conseguente alla riduzione del numero di pasti dell'appalto del comune di Benevento, principale cliente dell'azienda, e la perdita di ulteriori commesse.
  Nei primi mesi del 2015, a causa del perdurare della situazione di crisi, la società ha fatto ricorso ad una nuova ed ulteriore procedura di cassa integrazione guadagni in deroga, per tutto il personale, nella misura del 50 per cento del monte ore contrattualmente praticato dal personale, per l'ulteriore riduzione del numero dei pasti somministrati, da circa n. 1.750 pasti mensili a n. 800.
  In data 30 marzo 2015, da ultimo, in conseguenza della sospensione da parte del comune del servizio di mensa scolastica, l'azienda ha fatto ricorso alla procedura di cassa integrazione guadagni in deroga, a zero ore, per la quasi totalità dei dipendenti, come concordato con le organizzazioni sindacali nell'accordo dello stesso 30 marzo 2015.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   DEL GROSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento datato 13 ottobre 2014, l'AIFA ha comunicato di aver già disposto in data 26 settembre 2014 e 6 ottobre 2014 il ritiro dal commercio di alcuni lotti del vaccino meningitec sospensione iniettabile in siringa preriempita aic 035438062 della ditta NURON BIOTECH BV, in quanto la stessa ditta avrebbe «...segnalato all'interno delle fiale del vaccino la presenza di corpo estraneo color arancio rossastro identificato come ossido di ferro e acciaio inossidabile.»;
   i lotti ritirati, allo stato attuale, risultano essere i seguenti:
    G76673 scad. 09/2014;
    H92709 scad. 02/2015;
    H52269 scad. 06/2015;
    H20500 scad. 11/2014;
    H45457 scad. 02/2015;
    H99459 scad. 06/2015;
    J55457 scad. 09/2016;
    H45452 scad. 02/2015;
    J01106;
    J70483 scad. 09/2016;
    J01114;
   la segnalazione della presunta contaminazione è pervenuta con evidente ritardo dalla stessa casa farmaceutica, in quanto di norma tali controlli, anziché essere effettuati dagli organi pubblici preposti come Ministero della salute, Agenzia italiana del farmaco (AIFA), Agenzia europea del farmaco (EMA) e altro sono demandati alle stesse case farmaceutiche produttrici con un'evidente coincidenza tra soggetto controllore e soggetto controllante e conseguenti palesi conflitti d'interesse; tanto è vero che tali lotti, in base alle segnalazioni pervenute dai genitori ed in base a quanto riportato nei libretti vaccinali, erano già in distribuzione da mesi nel territorio italiano, alcuni da oltre un anno;
   successivamente al ritiro, l'AIFA ha comunicato di non aver ricevuto segnalazioni di reazioni avverse precisando, peraltro, che le eventuali reazioni avverse non sarebbero state comunque distinguibili da quelle consuete;
   stante la mancanza di controlli effettuati da organi terzi, allo stato attuale non è ancora possibile conoscere la reale natura e l'entità della contaminazione;
   le attuali conoscenze medico-scientifiche, per le ragioni sopra esposte, non consentono a nessuno di escludere la possibilità che i bambini o gli adulti vaccinati con i lotti contaminati possano aver ricevuto un danno in grado di appalesarsi solo in futuro, anche a lungo termine;
   solo una minima parte dei danni conseguenti a vaccinazioni si appalesano nell'immediatezza delle stesse (shock anafilattico) o a distanza di poche ore o di pochi giorni (crisi epilettiche, altre problematiche neurologiche, problemi gastrointestinali e altro) mentre la quasi totalità dei danni sono di tipo lungolatente ovvero corrispondono a problematiche neurologiche, immunitarie, autoimmuni e altro le quali possono rimanere per giorni, mesi e persino anni in stato latente prima di palesarsi con ovvie difficoltà in ordine alla loro riconducibilità alle vaccinazioni così come dimostrato da molteplici studi scientifici pubblicati sulle maggiori riviste e come dimostrato dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta in merito ai danni patiti dai militari italiani in origine erroneamente attribuiti al cosiddetto «uranio impoverito»;
   il servizio di farmacovigilanza passiva del nostro Paese, basato sulle segnalazioni provenienti al 99 per cento da professionisti del settore, è pressoché inesistente stante la cattiva abitudine dei predetti «professionisti» a sottovalutare la portata di qualsivoglia reazione astrattamente avversa ed a tranquillizzare, forse anche al fine di evitare «grane» personali, gli interessati in senso lato. Tanto è vero che vengono segnalati esclusivamente i casi di gravissime reazioni avverse immediate, quali per esempio i casi di shock anafilattico. In un Paese francamente estremamente più evoluto del nostro in questo senso come gli USA, nonostante il servizio di farmacovigilanza sia infinitamente più efficace di quello italiano in quanto affidato alla Food and Drug Administration (FDA), ai Centers for desease control and prevention (CDC) e soprattutto al sistema di segnalazione diffuso dei vaccine adverse event reporting system (VAERS), le stesse amministrazioni federali interessate ammettono di non essere in grado neppure di raccogliere il 10 per cento delle reazioni avverse per cui questo fa comprendere quanto poco attendibile sia il sistema italiano;
   né il Ministero, né l'AIFA né il Servizio sanitario nazionale, a quanto è dato sapere, hanno ritenuto opportuno sinora verificare: a) la natura e l'entità della contaminazione; b) quanti e quali lotti siano stati effettivamente contaminati, oltre a quelli già segnalati dalla casa farmaceutica; c) quante dosi di tali lotti siano entrate nel nostro Paese; d) dove tali dosi siano state distribuite; e) quante dosi siano state somministrate prima o dopo il ritiro dei lotti; f) i nominativi dei bambini e/o adulti ai quali siano state somministrate dosi di vaccino Meningitec appartenenti a tali lotti;
   in base alle segnalazioni pervenute da alcune famiglie vi sarebbero stati altri lotti, diversi da quelli segnalati, che avrebbero presentato una colorazione «anomala» e, quel che è più grave, vi sarebbero stati soggetti vaccinati con i lotti dei quali è stato disposto il ritiro successivamente ai provvedimenti in questione;
   già in passato, in più circostanze, sono stati sottoposti a ritiro altri prodotti vaccinali sia in toto (esavalente Hexavac, MPR Trivirix, Immravax, Pluserix, Morupar, quest'ultimo dopo ben 14 anni dall'iniziale sottoposizione a controllo) sia come singoli lotti come recentemente accaduto, nell'ottobre 2012, per alcuni lotti di esavalente Infanrix Hexa, in ben 19 paesi, per «rischio di contaminazione batterica pericolosa» e per alcuni lotti di vaccino antinfluenzale Agrippal. Considerato che viene ripetuto come i vaccini siano prodotti assolutamente sicuri, alla luce di quanto sopra, è del tutto evidente come vi siano delle oggettive quanto gravi incongruenza tra quello che viene dichiarato e la realtà dei fatti;
   stante il colpevole quanto pericoloso silenzio sia del Ministero della salute che dei media sull'argomento, la quasi totalità dei soggetti vaccinati nei mesi scorsi con i predetti lotti di Meningitec non è stata ancora informata sull'accaduto né tantomeno è stato predisposto un protocollo di monitoraggio dello stato di salute dei vaccinati –:
   se intenda predispone accertamenti tesi a verificare la natura e l'entità della contaminazione da parte di organi terzi comunicandone pubblicamente l'esito e a verificare e comunicare quanti e quali lotti siano stati effettivamente contaminati, oltre a quelli già segnalati dalla casa farmaceutica:
   se intenda verificare e comunicare quante dosi di tali lotti siano entrate nel nostro Paese;
   se intenda verificare e comunicare in quali regioni e presso quali aziende USL tali lotti vaccinali siano stati distribuiti e quante di esse siano state realmente somministrate;
   se intenda verificare i nominativi dei soggetti ai quali siano state somministrate dosi vaccinali appartenenti ai lotti vaccinali ritirati e quindi dispone l'invio di apposite comunicazioni agli interessati o, se minori, ai rispettivi familiari;
   se intenda verificare e comunicare quante dosi siano state somministrate successivamente al ritiro dei lotti ed i motivi in base ai quali ciò sia potuto accadere;
   se intenda intensificare i controlli preventivi sia prima che i prodotti escano dalla casa farmaceutica che successivamente alla loro immissione in commercio e soprattutto prima della loro somministrazione;
   se intenda predispone un protocollo di monitoraggio della salute dei soggetti vaccinati che preveda una serie di controlli ematochimici concordandolo con specialisti della materia. (4-06973)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha inteso precisare quanto segue.
  Il vaccino Meningitec è registrato a livello europeo con procedura di mutuo riconoscimento, e lo Stato membro di riferimento è il Regno Unito.
  L'officina di produzione delle siringhe pre-riempite si trova in Spagna, il rilascio dei lotti per l'Europa avviene in Germania, mentre gli Stati membri interessati dal ritiro dei lotti sono: Portogallo, Germania, Francia, Italia, Belgio, Cipro, Regno Unito, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Malta, Polonia, Spagna.
  La procedura di richiamo dei lotti del vaccino Meningitec è stata attivata in tutta Europa tramite una rete ufficiale di comunicazione/segnalazione, denominata Sistema di «Rapid Alert», attraverso la quale tutti gli Stati, inclusa l'Italia, sono stati avvertiti del problema riscontrato.
  Tuttavia, solo le agenzie regolatorie di due Stati membri, Italia e Francia, ne hanno dato comunicazione al pubblico tramite i propri siti web: gli altri Stati membri, pur essendo interessati al ritiro, non hanno ritenuto opportuno divulgare alcun comunicato o nota informativa.
  Non essendo stata condotta una valutazione comune dell'emergenza a livello europeo, essa è stata effettuata a livello nazionale, per cui si sono rese necessarie più comunicazioni, a mano a mano che venivano acquisiti sia ulteriori elementi sia il parere degli organi tecnici.
  In tale contesto, avendo l'Aifa resi pubblici i numeri dei lotti ritirati, è stato facilmente verificabile, da parte degli operatori sanitari e delle famiglie, il lotto somministrato.
  Occorre far presente che, a livello mondiale (i lotti interessati sono stati commercializzati anche in Svizzera, Australia, Brasile e Nuova Zelanda), nessuno Stato ha ritenuto necessario porre in essere alcuna azione a tutela dei pazienti, poiché non sono state identificate reazioni avverse riconducibili alla contaminazione.
  Si è trattato, infatti, di un ritiro di carattere puramente cautelativo.
  A tal riguardo, si fa presente che il vaccino in oggetto, oltre ad essere sottoposto al rilascio, lotto per lotto, da parte di un laboratorio ufficiale di controllo di uno Stato membro dell'Unione europea, è sottoposto annualmente a campionamento ed analisi presso l'Istituto superiore di sanità, nell'ambito del piano di controllo annuale condotto in Italia.
  Tutte le valutazioni effettuate hanno confermato che le evidenze ad oggi disponibili non suggeriscono né la necessità né l'opportunità di predisporre specifici protocolli di monitoraggio della salute dei soggetti vaccinati con i suddetti lotti, né risulta che simili iniziative siano state adottate nei Paesi (a livello mondiale) in cui i vaccini sono stati ritirati.
  Nel merito delle attività di tutela della salute pubblica messe in atto, si fa presente quanto segue.
  La Nuron Biotech, azienda farmaceutica con sede in Germania, titolare e responsabile dell'autorizzazione all'immissione in commercio del vaccino Meningitec, allo stato attuale risulta essere in amministrazione controllata, risultando irreperibile il rappresentante legale e mancando le figure di riferimento (responsabile di farmacovigilanza e responsabile della qualità) previste come obbligatorie dalla normativa vigente.
  La responsabile del servizio di farmacovigilanza «uscente» ha fornito ad Aifa i nominativi e gli indirizzi e-mail dei quattro amministratori incaricati della gestione legale e di seguire le attività in campo regolatorio facenti capo alla società.
  Le indagini analitiche su uno dei lotti di Meningitec (n. H52269, scadenza 06/2015) oggetto di ritiro volontario da parte dell'azienda, effettuate dal Centro nazionale per la ricerca e la valutazione dei prodotti immunobiologici dell'Istituto superiore di sanità, nell'ambito del programma annuale di controllo 2014, hanno dato esito favorevole.
  Dalle comunicazioni successivamente intercorse con il contact point dell'azienda è emerso che, rispetto ai dieci lotti di Meningitec oggetto dell'iniziale ritiro volontario ed elencati nel provvedimento di notifica dell'Aifa, due lotti (H45452 e H45457) sono stati rispediti al depositario tedesco a causa di problemi relativi all'ago della siringa; due ulteriori lotti (J01106 e J01114) risultano non essere mai stati commercializzati in Italia; ai lotti effettivamente soggetti a ritiro, invece, come da comunicazione del 5 ottobre 2014, è stato aggiunto il lotto n. H92709.
  Di conseguenza, con nota del 6 ottobre 2014, l'Aifa ha predisposto un ulteriore provvedimento di notifica ad autorità ed associazioni interessate.
  Pertanto, i lotti di vaccino oggetto di ritiro dal mercato sono complessivamente sette e non dieci.
  Nessuna iniziativa di natura ispettiva è stata adottata dall'Aifa, essendo tali compiti di esclusiva pertinenza delle seguenti autorità di altri Paesi comunitari, secondo le rispettive competenze:
   Aemps (agenzia regolatoria spagnola) come Supervisory Authority sull'officina di produzione sita in Spagna (Crucell Spain SA), ove vengono effettuate le attività di produzione relative al riempimento delle siringhe – fase del procedimento direttamente interessata dalla problematica emersa;
   Pei-Omcl tedesco, per il rilascio dei lotti (Batch Release) del Meningitec nell'Unione europea;
   Swissmedic (Autorità regolatoria svizzera), relativamente alla produzione del «bulk» e al «test» al rilascio;
   Mhra (autorità regolatoria del Regno Unito), unitamente all'Aemps, per le operazioni di etichettatura (labelling) e il confezionamento (packaging) delle siringhe.

  Alle sopra indicate autorità regolatorie coinvolte, l'Aifa ha inviato diverse richieste di informazioni attraverso il sistema di rapid alert, al fine di acquisire le rispettive valutazioni relativamente alla sicurezza ed efficacia del medicinale in questione.
  Nessuna di esse ha ravvisato, ad oggi, la necessità o l'opportunità di adottare specifiche iniziative o protocolli di monitoraggio dei pazienti sottoposti a vaccinazione, ritenendo che la problematica emersa non costituisca un rischio per la salute.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171 «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministero e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89». Il Ministero ha riorganizzato compiti e ruoli gli organi periferici del ministero;
   con successivo decreto ministeriale «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo» è stata confermata la soprintendenza archeologica d'Abruzzo, con sede a Chieti;
   la soprintendenza archeologica dell'Abruzzo, con sede a Chieti fu istituita nel 1939. Attualmente sono 111 i dipendenti tra archeologi, architetti, tecnici, restauratori, addetti ai servizi di vigilanza. Sovrintende a: i tre Musei archeologici nazionali, le aree archeologiche di Alba Fucens, Amiterno; Ivanum e Schiavi d'Abruzzo, il vasto patrimonio archeologico di Chieti e Teramo, la sorveglianza sui Musei civici archeologici di Penne e Loreto Aprutino;
   la città di Chieti è punto di riferimento per il territorio d'Abruzzo per la cultura, la storia e la tradizione. Per queste ragioni fu scelta come sede per la sovrintendenza e per queste ragioni deve continuare ad esserla;
   da oltre due anni e mezzo la soprintendenza archeologica dell'Abruzzo è priva di un dirigente;
   questo ha causato e causa gravi disservizi e limita la gestione ordinaria e straordinaria dell'organo;
   le conseguenze sul piano operativo, a causa dell'assenza di un dirigente archeologo, sono state in alcune fasi quelle di non poter dare garanzie di pagamento ai fornitori e collaboratori, successivamente la situazione è peggiorata in quanto non è stato possibile rinnovare il contratto di noleggio dell'unica auto di servizio e non è stato possibile rinnovare il contratto di noleggio delle fotocopiatrici;
   con la circolare n. 9 del 12 gennaio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha incluso la soprintendenza archeologica d'Abruzzo tra le sedi presso le quali i dirigenti possono fare richiesta per ricoprire il ruolo vacante –:
   quali siano le motivazioni per le quali non è stata inclusa la possibilità per i dirigenti di fare richiesta per la soprintendenza d'Abruzzo con sede a Chieti;
   se il Ministero abbia intenzione di provvedere al ripristino di un dirigente che adempia al normale funzionamento della soprintendenza;
   quali saranno i tempi e i modi per provvedere alla nomina del nuovo dirigente. (4-07792)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla vacanza dell'incarico di soprintendente ai beni archeologici dell'Abruzzo, chiede i motivi della non inclusione della soprintendenza archeologica d'Abruzzo, con sede a Chieti, nella circolare n. 9 del 15 gennaio 2015, tra le sedi da ricoprire e, inoltre, se l'Amministrazione abbia intenzione, e con quali tempi e modi, di provvedere alla nomina del nuovo dirigente.
  Come è noto, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato interessato da un articolato e complesso processo di riorganizzazione finalizzato, in primo luogo, a ridurre il numero delle posizioni dirigenziali, sia di livello generale che di livello non generale, entro i limiti prescritti dalle norme per la revisione e la riduzione della spesa della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review) e, in secondo luogo, ad adeguare l'assetto organizzativo dell'Amministrazione alle nuove funzioni assegnate, ultima quella del turismo, integrando, coordinando e innovando la rete degli uffici dirigenziali centrali e periferici.
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a), che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 per cento di quelli esistenti.
  Passaggio saliente di questo processo è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89». Il provvedimento in questione ha ridefinito le linee portanti della nuova organizzazione del Ministero, rideterminando la dotazione organica dei dirigenti e rimandando a un successivo decreto l'individuazione degli uffici dirigenziali di livello non generale.
  Solo dopo la registrazione del regolamento sopra citato da parte della Corte dei conti, avvenuta il 20 novembre 2014, è stato possibile emanare, il successivo 27 novembre 2014, il decreto ministeriale, recante «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo», registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2014.
  Il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, tra gli altri, individua gli uffici di livello dirigenziale di livello non generale dell'amministrazione periferica del Ministero, tra cui quelli della regione Abruzzo.
  Per l'Abruzzo e il suo capoluogo, il decreto in questione ha delineato, fino al 31 dicembre 2019, uno speciale assetto organizzativo per le soprintendenze, in considerazione delle attività di ricostruzione in corso, a seguito del sisma dell'aprile 2009.
  Il decreto, infatti, ha previsto, per l'Abruzzo, tre soprintendenze: a) soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del Cratere, con sede a Chieti; b) soprintendenza Belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila, con sede a L'Aquila; c) soprintendenza unica Archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila, istituita in attuazione dell'articolo 54, comma 2-bis, del decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, al fine di assicurare l'unitarietà e la migliore gestione degli interventi necessari per la tutela del patrimonio culturale a seguito del terremoto del 2009.
  Successivamente all'emanazione del decreto ministeriale del 27 novembre 2014, la direzione generale organizzazione, con circolare n. 9 del 12 gennaio 2015, ha potuto disporre un interpello per il conferimento degli incarichi dirigenziali per complessivi 135 uffici di livello non generale dell'amministrazione centrale e periferica, tra i quali anche la soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila e la soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila ma non la soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, con sede a Chieti, in quanto nella determinazione delle sedi conferibili si è dovuto tener conto necessariamente della dotazione organica e dei limiti di spesa al momento previsti per il personale dirigente, degli incarichi dirigenziali di livello generale già conferiti e, in ultimo, della selezione già avviata per i direttori dei nuovi 20 musei dotati di autonomia speciale, di cui 7 di livello dirigenziale generale e 13 di livello dirigenziale non generale.
  Successivamente alla registrazione da parte degli organi di controllo degli incarichi conferiti in questa prima fase, la direzione generale organizzazione, con nota circolare n. 112 del 30 aprile 2015, ha avviato la procedura per la copertura ad interim dell'incarico di funzione dirigenziale di livello non generale della soprintendenza archeologia dell'Abruzzo.
  A seguito di tale procedura, è stato conferito al dottor Andrea Pessina, soprintendente archeologo della Toscana, l'incarico ad interim della soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, per quattro mesi a decorrere dal 13 maggio 2015.
  In conclusione, nel segnalare come il conferimento di incarichi ad interim – in questo come in non pochi altri casi – abbia rappresentato una soluzione obbligata per l'Amministrazione alla luce degli organici effettivamente disponibili in questa fase, si esprime il preciso intendimento di superare non appena possibile una situazione dichiaratamente transitoria, mediante il conferimento di incarichi a dirigenti titolari.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   FICO, COLONNESE, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano prevede una serie di norme volte a prevenire e a contrastare l'infiltrazione delle organizzazioni criminali di tipo mafioso nel tessuto imprenditoriale del Paese, nonché ad impedire che le pubbliche amministrazioni, nelle gare d'appalto e negli affidamenti, possano fungere da fonti di finanziamento delle medesime organizzazioni;
   al fine di contrastare l'infiltrazione mafiosa, già l'articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998, recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, prevedeva che per la stipula di contratti oltre un determinato valore, le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti indicati all'articolo 1 del regolamento, dovessero previamente acquisire dalla prefettura territorialmente competente le informazioni sulle imprese interessate;
   laddove dalle verifiche del prefetto emergessero elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese interessate all'appalto, le amministrazioni non avrebbero potuto procedere alla stipula del contratto;
   nella sentenza del Tar Campania n. 10732 del 2003, emessa in data 5 giugno 2003, e rilevante in ordine ai fatti esposti nella presente interrogazione, si afferma che l'informativa prefettizia «non deve, evidentemente, fondarsi su prove certe di infiltrazione se non di appartenenza dell'impresa all'organizzazione criminale, prove che, ove sussistenti, fonderebbero procedimenti penali a carico dei soggetti coinvolti ed altri provvedimenti [...], ma è sufficiente che essa ponga a proprio fondamento elementi volti a dimostrare collegamenti tra impresa e mondo criminale»;
   nella stessa pronuncia il giudice amministrativo afferma che tali elementi non debbono caratterizzarsi «come meri sospetti», bensì ricollegarsi direttamente ai soggetti, imprenditori individuali o che ricoprono nella persona giuridica una delle cariche contemplate dalla legge. Essi cioè devono essere «tali da sorreggere una valutazione che, pur frutto di un apprezzamento latamente discrezionale, risulti non illogica, tale cioè da dimostrare con ragionevolezza il “pericolo” (non la certezza) dell'infiltrazione mafiosa»;
   le disposizioni contenute nel citato decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998 sono state modificate e trasfuse nel Capo II del decreto legislativo n. 159 del 2011, il cosiddetto codice antimafia, il cui articolo 84, comma 3, identifica l'informativa antimafia altresì «nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate»;
   l'articolo 91 del codice, interamente dedicato all'informativa antimafia, stabilisce che il prefetto può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, oltre che da provvedimenti di condanna anche non definitivi per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali, anche da «concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
   il comma 7 dell'articolo 91 demanda ad un apposito regolamento, da adottarsi con decreto del Ministro dell'interno, l'individuazione delle «diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore d'impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l'acquisizione della documentazione indipendentemente del valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all'articolo 67»;
   negli ultimi anni, inchieste giornalistiche (I prefetti e il fattore, di Rita Pennarola in «La voce delle voci», 3 febbraio 2013, nonché Dall'infiltrazione camorristica alla mensa scolastica di Gaeta. Reportage sulla ditta senza certificato antimafia, di Adriano Pagano, sul portale «h24 notizie», 23 febbraio 2014) ed interrogazioni parlamentari (la n. 4-05924 del 20 gennaio 2004) si sono concentrate sui presunti collegamenti fra la E.P. spa, operante nel settore della fornitura dei pasti alle pubbliche amministrazioni, e la camorra;
   la E.P. risulta aggiudicataria di appalti con una pletora di aziende pubbliche e pubbliche amministrazioni, fra le quali la polizia, la Guardia di finanza, l'assessorato all'ambiente del comune di Napoli, il consiglio regionale della Campania, diversi comuni campani;
   nell'ottobre del 2013 il comune di Gaeta affidava, senza gara, alla ditta E.P. spa il servizio di fornitura dei pasti per il servizio mensa scolastico. Alla domanda di certificazione antimafia proposta dallo stesso comune, la prefettura competente non ha risposto entro i sessanta giorni previsti dalla legge, facendo scattare così il meccanismo del silenzio-assenso;
   nel corso del 2014 il comune di Gaeta si è rivolto direttamente alla prefettura di Roma per avere delucidazioni in merito all'integrità della E.P., anche considerato che l'importo dell'appalto sarebbe nel frattempo lievitato fino al valore di 150 mila euro, ovverosia la soglia per la quale il codice antimafia prescrive l'acquisizione della certificazione antimafia;
   nell'interrogazione parlamentare n. 4-05924 del 20 gennaio 2004, alla quale non risulta essere stata data risposta, il senatore Michele Florino introduceva i propri quesiti al Ministro dell'interno pro tempore evidenziando che gli imprenditori collegati alla camorra «stanno affinando sempre di più le loro illegali tecniche elusive della normativa antimafia per rimpossessarsi del mercato degli appalti e dei subappalti pubblici spesso, ad avviso dell'interrogante, con la complicità di soggetti pubblici deviati»;
   la sentenza del Tar Campania n. 10732/2003, sopra citata, confermò la legittimità del provvedimento prefettizio antimafia nei confronti della Hotel Guiren srl, «interdetta ai fini antimafia per collegamenti indiretti con la criminalità organizzata mediante rapporti di parentela», dato che il coniuge della legale rappresentante della società, l'albergatore Antonio Esposito, risultava essere stato condannato per favoreggiamento di persona colpita da ordine di cattura per il reato ex articolo 416-bis, nonché avere rapporti con organizzazioni camorristiche;
   la situazione in cui versa la E.P. spa, fondata da Pasquale Esposito, fratello di Antonio, e amministrata da Salvatore Esposito, che è un componente della stessa famiglia che gestisce l'Hotel Guiren, appunto controindicata a fini di mafia, appare analoga per certi versi;
   pur accomunate dallo stesso pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata, nei confronti della Hotel Guiren Srl è stato emesso un certificato antimafia, mentre nei confronti della E.P. non è stato emesso alcun provvedimento;
   la EP. è stata inoltre oggetto dell'articolo Mense d'oro, l'inchiesta dimenticata, pubblicato il 14 aprile 2013 sul quotidiano La Repubblica, nel quale si fa riferimento alle modalità con cui per anni è stato gestito il servizio di ristorazione dell'ospedale barese «Di Venere», uno dei tantissimi appalti del settore delle Asl affidati alla società di Esposito;
   proprio l’ex direttrice generale della Asl di Bari, Lea Cosentino, «aveva concesso l'appalto, senza evidenza pubblica, per un milione e mezzo di euro alla napoletana EP, di Esposito Pasquale, fondatore della ditta coinvolto in inchieste di mafia e camorra»;
   benché quell'inchiesta si sia arenata, dalle indagini emergeva la «gestione spregiudicata del servizio mensa, affidato semplicemente con una delibera del 2008 alla ditta già operante presso il San Paolo, che per distribuire i pasti si sarebbe servita anche di personaggi appartenente alle più famose famiglie della criminalità barese»;
   secondo la stessa fonte, per anni la asl avrebbe pagato alla E.P. «78 mila euro al mese, estendendo l'appalto negli anni in regime di proroga». Il servizio, peraltro, comprendeva anche la fornitura di carrelli e attrezzature ospedaliere, poi acquistati dalla Asl a cifre assolutamente sproporzionate rispetto ai prezzi di listino della ditta fornitrice –:
   se trovi conferma che, nel corso del 2014, il comune di Gaeta si sia rivolto alla prefettura di Roma per avere delucidazioni in merito, all'integrità della E.P. spa, e, nel caso, quali siano state le conclusioni della prefettura;
   se non sia anomalo, alla luce dei fatti e delle inchieste esposti in premessa, che la E.P., pur rientrando in un contesto del tutto analogo a quello della Hotel Guiren Srl, interdetta ai fini antimafia per collegamenti indiretti con la criminalità organizzata, non sia stata interessata da alcun provvedimento prefettizio;
   se non ritenga opportuno, anche alla luce delle indagini aperte, svolgere ogni attività di competenza in merito alla sussistenza e alla natura dei collegamenti fra la E.P. spa e le organizzazioni camorristiche, considerato che questa società risulta aggiudicataria di appalti in tutto il territorio nazionale con i più svariati settori dell'amministrazione statale, ivi compresa la polizia di Stato. (4-08710)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto, l'interrogante chiede notizie in merito all'esito dei controlli antimafia e alla relativa certificazione nei riguardi della società E.P. spa aggiudicataria di appalti su tutto il territorio nazionale anche con amministrazioni statali.
  In tale ambito, chiede di sapere, in particolare, se il comune di Gaeta, in riferimento all'affidamento di un appalto alla predetta società, si sia rivolto alla prefettura di Roma «per avere delucidazioni in merito all'integrità della E.P. spa e, nel caso, quali siano state le conclusioni della prefettura».
  In merito a quanto evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo, la prefettura di Roma ha comunicato che, a seguito delle informazioni acquisite dagli organi di polizia circa collegamenti con la criminalità organizzata napoletana da parte della famiglia del signor Salvatore Esposito (amministratore unico pro tempore della E.P. spa), il 28 febbraio 2005 era stato adottato un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della società medesima, con contestuale revoca della precedente liberatoria.
  Avverso il provvedimento interdittivo, la società E.P. spa aveva proposto ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha rigettato l'istanza incidentale di sospensione cautelativa.
  Il 24 agosto 2005, a seguito della richiesta di riesame presentata dalla E.P. spa per intervenute variazioni societarie, la stessa prefettura, in riforma della precedente certificazione ostativa, ha rilasciato la liberatoria antimafia in virtù delle conclusioni raggiunte in sede di riunione di coordinamento delle forze di polizia.
  Si rappresenta, infine, che più di recente, nel corso del consueto aggiornamento delle informazioni antimafia conseguente a richieste pervenute da diverse stazioni appaltanti, tra le quali il comune di Gaeta, sono emersi alcuni elementi di interesse sulla società in questione, che hanno generato approfondimenti istruttori tuttora in corso.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più diffusa la presenza sui giornali di pubblicità di studi legali o di associazioni di consulenza medico-legale che invitano a rivolgersi ai loro servizi per fatti di malasanità;
   tutta l'attività dei medici italiani è drammaticamente gravata dall'incremento continuo delle richieste risarcitorie e da un contenzioso medico-legale a dismisura che toglie agli operatori sanitari ogni possibilità di sereno svolgimento della propria attività professionale;
   l'ultimo esempio ad avviso dell'interrogante è quanto apparso sul quotidiano La Repubblica 1° febbraio 2015 (pagina 12): la pubblicità di quella che si presenta come l'associazione alla quale le vittime di errori sanitari possono ricorrere per avere giustizia e ottenere un risarcimento con l'invito ai lettori a rivolgersi ad essa «contro la malasanità»;
   vi sono altre associazioni che chiedono di essere contattate in caso di intervento chirurgico errato o di un'errata diagnosi medica assicurando che, con zero spese di anticipo, si occuperanno del caso, in taluni casi promettendo che le relative spettanze saranno pagate solo alla fine e solo in caso di vittoria;
   vi sono poi «onlus» in memoria di vittime di errori sanitari che sostengono di poter tutelare chi ha subito qualsiasi danno medico sanitario;
   a parere dell'interrogante messaggi come questi, sempre più diffusi sulla stampa e in molti casi portati da tali associazioni perfino nelle strutture ospedaliere, non consentano di distinguere la complicanza dall'errore professionale e al tempo stesso veicolano l'idea che ogni prestazione sanitaria non seguita da guarigione sia ascrivibile a malasanità e sia automatica fonte di lauti risarcimenti, per di più senza alcun esborso economico;
   questa situazione è, a parere dell'interrogante, causa di tre gravi criticità in quanto:
    a) si suggestionano persone vulnerabili (lese o colpite da morti di congiunti) spingendole ad azioni giudiziarie anche quando non vi è fondamento;
    b) si infonde un senso di sfiducia nel servizio sanitario nazionale perché la «malasanità» viene fatta passare come una pandemia e perché si dà il messaggio che, se le cause si concludono con l'assoluzione per il medico, la giustizia non sia in grado di rispondere alle istanze dei cittadini;
    c) si concorre ad aumentare in modo considerevole il carico di lavoro del sistema giudiziario;
   il tema è già stato posto da tempo al Governo con precedenti atti di sindacato ispettivo ancora in attesa di risposta e nel frattempo, in base agli elementi sopra esposti, il quadro si è fatto ancor più preoccupante –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere nel più breve tempo possibile, anche sul piano normativo, in merito a quanto esposto in premessa, tenendo anche conto delle legittime e diffuse preoccupazioni espresse da società scientifiche, sindacati, ordini professionali e associazioni di cittadini. (4-08047)

  Risposta. — Il notevole incremento dei contenziosi in ambito sanitario registrato negli ultimi anni ha conseguenze drammatiche.
  Da un lato, infatti, i professionisti, nel timore di essere coinvolti in controversie civili e penali, ricorrono sempre più alla medicina difensiva, con tutte le conseguenze che questa comporta, sia in termini di spesa per il servizio sanitario nazionale sia di pericoli per la salute dei cittadini, dall'altro, i costi delle polizze disponibili sul mercato, per alcune categorie a più elevato rischio professionale, non sono sostenibili.
  In questo panorama, vi è anche la consapevolezza delle conseguenze ancor più dannose derivanti dalla pubblicità di alcuni studi legali e di alcune associazioni che, attraverso messaggi spesso fuorvianti, incitano i cittadini a ricorrere al contenzioso.
  A tal riguardo, occorre considerare che il tema della responsabilità professionale sanitaria è particolarmente delicato, proprio perché vede in gioco due interessi ugualmente meritevoli di tutela, quello del professionista ad esercitare serenamente la propria attività e quello del cittadino ad essere risarcito per aver subito un danno ingiusto.
  Fermo restando che non è possibile impedire alle associazioni professionali di pubblicizzare la propria attività, finalizzata ad assistere coloro che lamentano di aver subito un danno derivante da malpractice, è sicuramente importante assicurare una corretta informazione istituzionale ai cittadini, affinché comprendano che le conseguenze avverse di un intervento sanitario non sono sempre ascrivibili a negligenza, imprudenza ed imperizia del professionista, ma spesso, al contrario, derivano dal fatto che la medicina non è una scienza esatta, e nonostante i progressi della scienza, purtroppo, non tutte le patologie sono oggi curabili.
  Proprio per assicurare tale corretta informazione istituzionale, il 22 aprile 2015 è stata organizzata un'apposita giornata rivolta ai cittadini, con l'obiettivo di fornire una rappresentazione oggettiva e scientifica di diverse questioni che costituiscono «falsi miti», spesso costruiti intorno ad informazioni del tutto inattendibili.
  Tra tali questioni è stata affrontata anche quella delle malpractice.
  In questo senso, proprio perché il tema della responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie è molto complesso e necessita di un intervento a tutto tondo, con decreto del Ministro della salute del 26 marzo 2015 è stata istituita una commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale, con il compito di approfondire le diverse questioni connesse alla medicina difensiva e alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.
  Detta commissione ha iniziato i propri lavori il 1o aprile 2015, all'esito dei lavori, che sono in via di conclusione, valuterò, pertanto, le iniziative più opportune da avviare, anche a supporto dell’iter parlamentare avviato in XII Commissione Camera dei deputati nella materia in esame.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Abruzzo il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha gravi carenze organizzative;
   l'incarico di Soprintendente ai beni archeologici è vacante ormai da 2 anni con conseguenti disfunzioni e danni al servizio;
   la direzione regionale del Ministero, come ha denunciato l'assemblea degli Archeoclub d'Abruzzo riunita al museo di Corfinio (L'Aquila) il 5 ottobre 2014, versa in uno stato di incertezza e di confusione peraltro in una fase molto delicata per la ricostruzione dell'Aquila e del suo imponente patrimonio culturale danneggiato dal terremoto;
   ad avviso dell'interrogante da troppi anni il Ministero considera l'Abruzzo una «terra di confine» con assegnazioni di incarichi direttivi a scavalco e provvisori che impediscono una appropriata programmazione e una scelta professionale funzionale anche agli interessi del territorio abruzzese;
   sono molto negativi i riflessi sulla tutela dei beni culturali abruzzesi e sulla loro valorizzazione a fini turistici –:
   se non intenda assumere in tempi rapidi la decisione della nomina del Soprintendente ai beni archeologici per la regione Abruzzo e superare le gravi carenze organizzative della direzione abruzzese del Ministero dei beni ed attività culturali. (4-06401)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla lunga vacanza dell'incarico di soprintendente ai beni archeologici dell'Abruzzo e allo «stato di incertezza» in cui versa la direzione regionale per i beni culturali e del paesaggio dell'Abruzzo, chiede «se non si intenda assumere in tempi rapidi la decisione della nomina del Soprintendente ai beni archeologici per la regione Abruzzo e superare le gravi carenze organizzative della direzione abruzzese del Ministero dei beni e delle attività culturali».
  Come è noto, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato interessato da un articolato e complesso processo di riorganizzazione finalizzato, in primo luogo, a ridurre il numero delle posizioni dirigenziali, sia di livello generale che di livello non generale, entro i limiti prescritti dalle norme per la revisione e la riduzione della spesa della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review) e, in secondo luogo, ad adeguare l'assetto organizzativo dell'Amministrazione alle nuove funzioni assegnate, ultima quella del turismo, integrando, coordinando e innovando, la rete degli uffici dirigenziali centrali e periferici.
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 per cento di quelli esistenti.
  Passaggio saliente di questo processo è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89». Il provvedimento in questione ha ridefinito le linee portanti della nuova organizzazione del Ministero, rideterminando la dotazione organica dei dirigenti e rimandando a un successivo decreto l'individuazione degli uffici dirigenziali di livello non generale.
  Solo dopo la registrazione del regolamento sopra citato da parte della Corte dei conti, avvenuta il 20 novembre 2014, è stato possibile emanare, il successivo 27 novembre 2014, il decreto ministeriale, recante «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo», registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2014.
  Il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, tra gli altri, individua gli uffici di livello dirigenziale di livello non generale dell'amministrazione periferica del Ministero, tra cui quelli della regione Abruzzo.
  Per l'Abruzzo e il suo capoluogo, il decreto in questione ha delineato, fino al 31 dicembre 2019, uno speciale assetto organizzativo per le soprintendenze, in considerazione delle attività di ricostruzione in corso, a seguito del sisma dell'aprile 2009.
  Il decreto, infatti, ha previsto, per l'Abruzzo, tre soprintendenze: a) soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, con sede a Chieti; b) soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila, con sede a L'Aquila; c) soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila, istituita in attuazione dell'articolo 54, comma 2-bis, del decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, al fine di assicurare l'unitarietà e la migliore gestione degli interventi necessari per la tutela del patrimonio culturale a seguito del terremoto del 2009.
  Successivamente all'emanazione del decreto ministeriale del 27 novembre 2014, la direzione generale organizzazione, con circolare n. 9 del 12 gennaio 2015, ha potuto disporre un interpello per il conferimento degli incarichi dirigenziali per complessivi 135 uffici di livello non generale dell'Amministrazione centrale e periferica, tra i quali anche la soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila e la soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila ma non la soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, con sede a Chieti, in quanto nella determinazione delle sedi conferibili si è dovuto tener conto necessariamente della dotazione organica e dei limiti di spesa al momento previsti per il personale dirigente, degli incarichi dirigenziali di livello generale già conferiti e, in ultimo, della selezione già avviata per i direttori dei nuovi 20 musei dotati di autonomia speciale, di cui 7 di livello dirigenziale generale e 13 di livello dirigenziale non generale.
  Successivamente alla registrazione da parte degli organi di controllo degli incarichi conferiti in questa prima fase, la direzione generale organizzazione, con nota circolare n. 112 del 30 aprile 2015, ha avviato la procedura per la copertura ad interim dell'incarico di funzione dirigenziale di livello non generale della soprintendenza Archeologia dell'Abruzzo.
  A seguito di tale procedura, è stato conferito al dottor Andrea Pessina, soprintendente archeologo della Toscana, l'incarico ad interim della soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, per quattro mesi a decorrere dal 13 maggio 2015.
  In conclusione, nel segnalare come il conferimento di incarichi ad interim – in questo come in non pochi altri casi – abbia rappresentato una soluzione obbligata per l'Amministrazione alla luce degli organici effettivamente disponibili in questa fase, si esprime il preciso intendimento di superare non appena possibile una situazione dichiaratamente transitoria, mediante il conferimento di incarichi a dirigenti titolari.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la soprintendenza ai beni archeologici dell'Abruzzo da molto tempo aspetta la nomina del suo direttore regionale con notevoli riflessi negativi sul piano organizzativo e funzionale;
   sono frequenti le voci di un accorpamento della soprintendenza abruzzese con quella molisana –:
   quali siano i motivi della mancata nomina da parte del Ministero del direttore per la soprintendenza ai beni archeologici dell'Abruzzo e se vi siano progetti di un nuovo assetto interregionale. (4-07617)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla vacanza dell'incarico di soprintendente ai beni archeologici dell'Abruzzo e alle voci su di un accorpamento della soprintendenza ai beni archeologici dell'Abruzzo con quella molisana, chiede i motivi della «mancata nomina» e «se vi siano progetti di un nuovo assetto interregionale».
  Come è noto, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato interessato da un articolato e complesso processo di riorganizzazione finalizzato, in primo luogo, a ridurre il numero delle posizioni dirigenziali, sia di livello generale che di livello non generale, entro i limiti prescritti dalle norme per la revisione e la riduzione della spesa della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review) e, in secondo luogo, ad adeguare l'assetto organizzativo dell'Amministrazione alle nuove funzioni assegnate, ultima quella del turismo, integrando, coordinando e innovando la rete degli uffici dirigenziali centrali e periferici.
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a), che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 per cento di quelli esistenti.
  Passaggio saliente di questo processo è stato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89». Il provvedimento in questione ha ridefinito le linee portanti della nuova organizzazione del Ministero, rideterminando la dotazione organica dei dirigenti e rimandando a un successivo decreto l'individuazione degli uffici dirigenziali di livello non generale.
  Solo dopo la registrazione del regolamento sopra citato da parte della Corte dei conti, avvenuta il 20 novembre 2014, è stato possibile emanare, il successivo 27 novembre 2014, il decreto ministeriale, recante «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo», registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2014.
  Il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, tra gli altri, individua gli uffici di livello dirigenziale di livello non generale dell'amministrazione periferica del Ministero, tra cui quelli della regione Abruzzo, senza prevedere alcun accorpamento con gli uffici omologhi del Molise.
  Per l'Abruzzo e il suo capoluogo, il decreto in questione ha delineato, fino al 31 dicembre 2019, uno speciale assetto organizzativo per le soprintendenze, in considerazione delle attività di ricostruzione in corso, a seguito del sisma dell'aprile 2009.
  Il decreto, infatti, ha previsto, per l'Abruzzo, tre soprintendenze; a) soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, con sede a Chieti; b) soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila, con sede a L'Aquila; c) soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila, istituita in attuazione dell'articolo 54, comma 2-bis, del decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, al fine di assicurare l'unitarietà e la migliore gestione degli interventi necessari per la tutela del patrimonio culturale a seguito del terremoto del 2009.
  Successivamente all'emanazione del decreto ministeriale del 27 novembre 2014, la direzione generale organizzazione, con circolare n. 9 del 12 gennaio 2015, ha potuto disporre un interpello per il conferimento degli incarichi dirigenziali per complessivi 135 uffici di livello non generale dell'Amministrazione centrale e periferica, tra i quali anche la soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila e i comuni del cratere, con sede a l'Aquila e la soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila ma non la soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, con sede a Chieti, in quanto nella determinazione delle sedi conferibili si è dovuto tener conto necessariamente della dotazione organica e dei limiti di spesa al momento previsti per il personale dirigente, degli incarichi dirigenziali di livello generale già conferiti e, in ultimo, della selezione già avviata per i direttori dei nuovi 20 musei dotati di autonomia speciale, di cui 7 di livello dirigenziale generale e 13 di livello dirigenziale non generale.
  Successivamente alla registrazione da parte degli organi di controllo degli incarichi conferiti in questa prima fase, la direzione generale organizzazione, con nota circolare n. 112 del 30 aprile 2015, ha avviato la procedura per la copertura ad interim dell'incarico di funzione dirigenziale di livello non generale della soprintendenza archeologia dell'Abruzzo.
  A seguito di tale procedura, è stato conferito al dottore Andrea Pessina, soprintendente archeologo della Toscana, l'incarico ad interim della soprintendenza archeologia dell'Abruzzo, con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del cratere, per quattro mesi a decorrere dal 13 maggio 2015.
  In conclusione, nel segnalare come il conferimento di incarichi ad interim – in questo come in non pochi altri casi – abbia rappresentato una soluzione obbligata per l'Amministrazione alla luce degli organici effettivamente disponibili in questa fase, si esprime il preciso intendimento di superare non appena possibile una situazione dichiaratamente transitoria, mediante il conferimento di incarichi a dirigenti titolari.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo di Luana Costa apparso sul quotidiano La Gazzetta del Sud a pagina 23 dell'edizione del 22 gennaio 2015, si racconta di un rinvio al 31 gennaio 2015, della scadenza dei termini di preavviso per il licenziamento del personale della Fondazione Tommaso Campanella, sita a Catanzaro;
   nello stesso servizio giornalistico si parla, poi, di una possibile mancanza di risorse per la cassa integrazione in via di attivazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il che giustificherebbe, secondo l'ipotesi formulata dall'autrice, la riferita proroga in tema di licenziamenti;
   ancora, nel citato articolo sono riportate dichiarazioni del consigliere regionale Arturo Bova, il quale, nell'esprimere ottimismo per le sorti dei lavoratori della Fondazione Tommaso Campanella, definisce «credibile il piano di rilancio del polo oncologico redatto» dal subcommissario per l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario della regione Calabria, Andrea Urbani, pure esprimendo la certezza che «una politica lungimirante potrà non soltanto scongiurare i licenziamenti, bensì ampliare l'offerta della fondazione con nuovi servizi»;
   in un articolo di Adriano Mollo, presente sul portale della testata giornalistica Il Quotidiano del Sud e datato 25 novembre 2012, figura che, in una «seduta del Tavolo Massicci è stato ribadito dai rappresentanti dei ministeri dell'Economia e della Salute che il finanziamento – da parte della regione Calabria, nda – deve «trovare capienza nel tetto complessivo per l'acquisto di prestazioni dalle strutture private accreditate e le procedure per l'attribuzione di detto budget devono essere le stesse previste per le altre strutture private accreditate»;
   nel predetto servizio, il giornalista Mollo precisò che «la Regione per il terzo trimestre 2012» aveva stanziò «4,5 milioni di euro alla Fondazione per la ricerca e la cura dei tumori per le prestazioni di ricovero e di specialistica ambulatoriale nonché del costo dei farmaci nelle more dell'attuazione della riconfigurazione della struttura, per come previsto dal decreto del presidente della giunta regionale 26/2012, ma il tavolo di verifica» espresse «parere negativo»;
   il giornalista Mollo ricordò, dunque, che «Tavolo e Comitato già nelle precedenti sedute avevano «invitato» la Regione ad «individuare una idonea soluzione» al fine di pervenire a quanto previsto dal Piano di rientro rispetto «all'individuazione di un percorso» per la «ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della fondazione Campanella»;
   per ultimo, sempre Mollo rammentò che «con sentenza 214/12 la Corte costituzionale» dichiarò «l'illegittimità dell'intero testo delle leggi regionali 35 e 50 del 2011, che prevedevano la trasformazione in ente pubblico della Fondazione Campanella»;
   in un articolo di Pablo Petrasso, apparso nel numero 162 del settimanale Il Corriere della Calabria, si ricorda che nel 2005 «furono trasferite alcune strutture in tutto 25 – dalla «Mater Domini» alla Campanella, dalle strutture collegate all'Università «Magna Graecia» di Catanzaro al centro in cui, all'epoca, la ricerca calabrese riponeva buona parte delle sue speranze»;
   il giornalista Petrasso ricostruì il suddetto trasferimento nei termini di «un passaggio determinante dal punto di vista finanziario (e anche politico, perché mostra quanto peso abbiano sulle scelte strategiche nella sanità gli indirizzi dell'ateneo)», evidenziando come la Fondazione Campanella avesse assorbito «strutture che, almeno in apparenza», non c'entravano «nulla con la sua mission»;
   ancora, Petrasso chiarì che la Fondazione Campanella fu «costretta a sostenerne gli oneri finanziari a fronte di un bilancio che si assottiglia anno dopo anno», definendo il caso come «un esempio di scuola di come si crea un «buco»»;
   inoltre, Petrasso raccontò, riguardo alla Fondazione Campanella, che «al Tavolo Massicci i funzionari dei ministeri della sanità e dell'economia per quattro anni» misero «in fila una serie micidiale di contestazioni», e sostennero che i suoi costi non dovevano ricadere sul «Fondo sanitario regionale», peraltro già condizionato dal rientro in corso dal debito sanitario regionale;
   come già rappresentato nell'interrogazione n. 4-07613, pubblicata nel resoconto della seduta della Camera n. 367 di mercoledì 21 gennaio 2015, innumerevoli, gravi e persistenti disservizi e inadempimenti si sono cumulati in ordine alla sanità calabrese, a motivo del fatto che il Governo centrale sostituì con evidente, colpevole ritardo il commissario deputato al piano di rientro dal debito sanitario, da quell'incarico decaduto per legge Giuseppe Scopelliti, poiché intervenuta nei suoi confronti una sentenza penale di condanna in primo grado;
   alla data odierna il Governo non ha nominato il nuovo, suddetto commissario ad acta, scaduto – con la proclamazione del governatore della Calabria, eletto il 23 novembre ultimo scorso – l'incarico in parola conferito dal Consiglio dei ministri, nel settembre 2014, al generale Luciano Pezzi;
   la riferita situazione complessiva – come peraltro già significato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07518 – ha di fatto interrotto l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario calabrese, determinando una paralisi generale rispetto alla riorganizzazione dei servizi, con diffuse ripercussioni sulla tutela del diritto alla salute previsto all'articolo 32 della Costituzione;
   un eventuale piano di rilancio del polo oncologico della Fondazione Campanella – ove confermata la notizia di cui alle dichiarazioni stampa del consigliere regionale della Calabria Arturo Bova, sopra riportate – necessiterebbe obbligatoriamente di una ridefinizione della struttura sanitaria in questione in rapporto al quadro dell'assistenza regionale, mediante apposito decreto commissariale;
   per tale ultima la ragione, non si comprenderebbe l'eventuale esistenza di un piano di rilancio del riferito polo oncologico, con la contestuale mancanza del Commissario governativo per l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario della Calabria –:
   se il Ministro della salute non ritenga urgente chiarire su quale progetto di rilancio stia lavorando il subcommissario Urbani e se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di indicare, all'occorrenza, quali debbano essere le relative risorse utilizzabili, soprattutto in ragione del fatto che i Ministeri della salute e al Ministro dell'economia puntualizzarono, al Tavolo Massicci, che per la Fondazione Campanella non poteva essere intaccato il Fondo sanitario regionale;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ritenga indispensabile fornire pronta risposta sull'attuale disponibilità di risorse per la cassa integrazione dei lavoratori interessati;
   se il Governo non ritenga di velocizzare l'iter per la prosecuzione e ultimazione del rientro dal debito sanitario della Calabria. (4-07660)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  La fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella» di Catanzaro, è un ente di diritto privato, che trae le sue origini da un protocollo di intesa tra il Ministero della salute, la regione Calabria, il comune e la provincia di Catanzaro e l'università «Magna Grecia» di Catanzaro, nel quale era prevista l'istituzione di un centro di eccellenza a vocazione oncologica, da trasformarsi in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), con i fondi di cui all'articolo 20, della legge n. 67 del 1988.
  Nel dicembre del 2009, la regione Calabria ha adottato il piano di riqualificazione del servizio sanitario regionale che prevedeva «l'individuazione di un percorso che conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della fondazione T. Campanella».
  La Corte Costituzionale si è espressa negativamente sulle leggi regionali n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011, che prevedevano un percorso di trasformazione della fondazione Campanella, ente di diritto privato, in Irccs di diritto pubblico, oltre alle modalità per la stabilizzazione del personale assunto dalla fondazione stessa con procedure privatistiche.
  Successivamente, con decreto del commissario ad acta n. 136/2011, la struttura commissariale ha assegnato 250 posti letto all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», comprensivi «delle unità operative a direzione universitaria a suo tempo attribuite alla gestione della fondazione Campanella».
  Inoltre, con il decreto n. 106 del 2012 recante la riorganizzazione della rete privata, la stessa struttura commissariale ha assegnato 35 posti letto di oncologia alla fondazione Campanella.
  In un secondo momento, è intervenuta la legge regionale n. 63 del 2012, recante «Ridefinizione assetto giuridico della fondazione Campanella», che ha confermato la natura privata della fondazione, non impugnata innanzi la Corte Costituzionale, ma osservata dai ministeri affiancanti con il parere reso il 14 marzo 2013, nel quale è stata chiesta la modifica delle norme in contrasto con il piano di rientro e con la normativa vigente, anche in relazione al personale in esubero e al finanziamento della fondazione.
  La struttura commissariale ha trasmesso il decreto n. 22 del 19 febbraio 2015, con il quale il presidente ed il direttore generale della fondazione «Tommaso Campanella» deliberano la sospensione di tutte le attività assistenziali a decorrere dal 2 marzo 2015, evitando comunque qualsiasi rischio per i pazienti, ed il decreto del 23 febbraio 2015, con il quale il prefetto di Catanzaro ha dichiarato estinta la personalità giuridica della «fondazione Campanella», per l'impossibilità di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'Ente era stato costituito.
  La prefettura-ufficio territoriale del Governo di Catanzaro ha precisato, in dettaglio, che lo statuto della fondazione «Tommaso Campanella», iscritta il 20 aprile 2006 nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura, prevedeva, oltre che un fondo patrimoniale di euro 20.000, anche un fondo di dotazione così composto:
   il diritto di uso di parte dell'edificio della facoltà di medicina e chirurgia sito in località Germaneto, concesso dall'università fino allo scioglimento della fondazione;
   risorse, pari ad euro 25.822.845, da parte della regione, destinate all'accordo di programma stralcio, per l'acquisizione delle attrezzature e delle tecnologie necessarie per il centro oncologico di eccellenza.

  Era inoltre previsto che, entro il termine essenziale di tre anni dalla data di stipula dell'atto costitutivo, la fondazione avrebbe dovuto richiedere il riconoscimento del centro oncologico di Germaneto quale istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e che, nelle more, la regione assicurasse le risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell'attività della fondazione, nella misura di euro 50.000.000 per gli anni 2005, 2006 e 2007, e con una quota proporzionale al periodo di attivazione per il 2004.
  Tale termine, tuttavia, non è mai stato fatto valere dai soci ed anzi, le leggi regionali n. 11 del 2009, n. 48 del 2009 e n. 8 del 2011 lo hanno di volta in volta prorogato.
  Successivamente, con la legge regionale n. 35 del 28 novembre 2011, la fondazione veniva riconosciuta quale «ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile», e veniva inserita nel sistema sanitario regionale ed accreditata provvisoriamente.
  In tale legge era, altresì, previsto che la regione avrebbe dovuto, entro quattro anni dall'istituzione come ente di diritto pubblico, e dunque dalla cancellazione dal registro delle persone giuridiche private (come specificato dalla successiva legge regionale n. 50 del 2011), promuoverne il riconoscimento di carattere scientifico.
  Qualora entro detto termine non si fosse addivenuti al riconoscimento di Irccs, la fondazione sarebbe stata soppressa con deliberazione della Giunta regionale.
  La legge regionale n. 35 del 2011 è stata, tuttavia, oggetto di impugnazione da parte del Consiglio dei Ministri, e dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214/2012, per violazione dell'articolo 81, comma 4, della Costituzione.
  A seguito della citata pronuncia, la regione Calabria è di nuovo intervenuta, con la legge regionale n. 63 del 13 dicembre 2012, per ridefinire l'assetto giuridico della fondazione.
  Tale legge, sostanzialmente, ha confermato la natura privata dell'ente, ha stabilito i criteri per la remunerazione delle prestazioni, ha disposto l'accreditamento definitivo delle unità oncologiche ed il trasferimento di quelle non oncologiche all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, previa intesa con i soci fondatori.
  Il 9 maggio 2013, la fondazione «Tommaso Campanella» ha apportato alcune significative modificazioni allo statuto, rimuovendo il riferimento alla necessità di trasformarsi in Irccs ed eliminando il consiglio di amministrazione quale organo dell'ente.
  Problema rilevante per l'attuazione della legge regionale n. 63 del 2012 era quello legato al passaggio del personale dipendente della fondazione, non afferente alle unità oncologiche, all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini».
  Le difficoltà scaturivano dal fatto che tutto il personale della fondazione era stato assunto senza concorso, e ciò ne determinava l'impossibilità di essere assorbito da un soggetto pubblico.
  A tal proposito, nel corso di una riunione tenutasi nella prefettura di Catanzaro il 1o ottobre 2013, era stato sottoscritto un accordo tra l'azienda ospedaliera «Mater Domini», l'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, la regione Calabria e l'università «Magna Grecia», in base al quale i citati enti convenivano di costituire una società a capitale interamente pubblico, retta secondo l'istituto dell’in house providing e apprestata per fornire servizi di natura strumentale agli enti soci.
  Il protocollo, tuttavia, non ha mai avuto attuazione, poiché l'ipotesi prospettata di creare una società in house, sebbene inizialmente condivisa anche dal «tavolo Massicci», è definitivamente tramontata, a causa delle determinazioni assunte a livello nazionale, tese ad eliminare tali enti e per la necessità di trovare soluzioni tecniche alternative.
  Tale aspetto, unitamente al mancato adempimento, da parte della regione Calabria, dell'obbligo, assunto nello statuto, di versare circa 26 milioni di euro quale fondo di dotazione dell'ente, ha comportato un aumento dell'esposizione debitoria della fondazione nei confronti dei fornitori e dei dipendenti.
  La situazione è stata attentamente seguita dalla prefettura che, nel corso di numerose riunioni, ha sempre cercato di operare una mediazione per trovare una soluzione volta a scongiurare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe determinato in termini di impatto occupazionale sul territorio, di assistenza medica, di formazione universitaria.
  In particolare, nel corso dell'incontro tenutosi in prefettura il 17 giugno 2014, il presidente facente funzioni della regione Calabria, confermando la volontà di mantenere in vita la fondazione, aveva assunto l'impegno di costituire un apposito tavolo con l'avvocatura regionale e l'università, assistita dall'avvocatura dello Stato, per esaminare la vicenda legata al fondo di dotazione che la regione avrebbe dovuto conferire in qualità di socio fondatore, non pacificamente riconosciuto, nonché ai rimanenti crediti vantati dall'ente nei confronti della regione.
  Il medesimo intendimento era stato espresso anche quando i soci fondatori erano stati convocati dal presidente della fondazione, affinché adottassero i provvedimenti di loro competenza per la liquidazione dell'ente: anche in detta occasione, infatti, la regione aveva espresso volontà negativa rispetto alla messa in liquidazione della fondazione, assumendo l'impegno a sottoscrivere una transazione del giudizio pendente innanzi al tribunale di Catanzaro, con la quale, a fronte della rinuncia al giudizio, si impegnava a corrispondere, in tre anni, la complessiva somma di 29 milioni di euro.
  L'impegno assunto dal socio regione Calabria è sfociato nel riconoscimento dell'esistenza di un debito nei confronti della fondazione, ammontante ad euro 29.000.000, ma nessun atto concreto è stato conseguentemente assunto.
  Nel frattempo, la procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato un procedimento penale, ipotizzando nei confronti degli amministratori della fondazione il reato di false comunicazioni sociali, per aver alterato in modo sensibile la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente.
  La consulenza tecnico-contabile, depositata nell'ambito del citato procedimento penale, ha fatto emergere una gravissima situazione di dissesto/insolvenza dell'ente, tale da aver indotto la stessa procura della Repubblica a presentare istanza di fallimento innanzi al tribunale di Catanzaro.
  Sulla scorta di tale documento, trasmesso dalla procura della Repubblica alla prefettura in data 3 febbraio 2015, e valutata la persistente inerzia dei soci della fondazione, anche a seguito della ennesima convocazione innanzi al notaio da parte del presidente della fondazione, affinché venissero assunte le iniziative più idonee a scongiurare il fallimento dell'ente, in data 5 febbraio 2015, è stato avviato il procedimento finalizzato ad appurare l'esistenza di una causa di estinzione, ovvero la permanenza, in capo alla fondazione, dei requisisti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
  La fondazione «Tommaso Campanella» ha confermato lo stato di crisi economico-finanziaria in cui versa l'ente, rappresentando che «la mancata erogazione del fondo di dotazione e il mancato adempimento degli obblighi sopra indicati sono idonei a determinare (...) l'impossibilità di prevedere una prosecuzione dell'attività», tant’è che con decreto del presidente e del direttore generale della fondazione è stata disposta la sospensione di tutte le attività assistenziali delle unità operative attualmente gestite dalla fondazione a far data dal 2 marzo 2015.
  Pertanto, il 23 febbraio 2015 la prefettura di Catanzaro ha adottato il decreto con il quale ha accertato la mancanza di un patrimonio adeguato e, dunque, l'impossibilità, per la fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito, causa di estinzione della personalità giuridica espressamente disciplinata dal codice civile all'articolo 27.
  Tale atto è stato comunicato al presidente del tribunale, per consentirgli di porre in essere gli adempimenti di cui all'articolo 11 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nonché al presidente della fondazione e ai soci fondatori.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   OCCHIUTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria risulta essere soggetta a piano di rientro per la sanità e, in quanto tale, è stato nominato un commissario ad acta ai sensi e per gli effetti della legge del 23 dicembre 2009, n. 191;
   ai sensi del comma 1, articolo 21, legge regionale 7 agosto 2002 n. 29, la giunta regionale della Calabria, è stata autorizzata ad assumere ogni iniziativa volta ad istituire il «Centro Oncologico previsto in Catanzaro, anche d'intesa con l'Università Magna Graecia»;
   ai sensi del comma 2, articolo 21, legge regionale 7 agosto 2002 n. 29, le risorse necessarie per l'istituzione del Centro oncologico sono state individuate nei fondi trasferiti alla regione Calabria dallo Stato ai sensi dell'articolo 20, legge finanziaria 11 marzo 1988, n. 67 e successive modificazioni, che autorizza l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario e dell'articolo 71, legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 488 che promuovono un piano straordinario di interventi per la riqualificazione dell'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani;
   con delibera n. 798 del 25 ottobre 2004, la giunta regionale in accordo con l'università Magna Graecia di Catanzaro, ha approvato lo statuto, rep. n. 50912, registrato a Soverato il 19 novembre 2004 al n. 101391, con il quale è stata costituita la fondazione denominata «T. Campanella» con il fine di svolgere attività di ricerca in maniera strettamente funzionale all'attività di assistenza sanitaria;
   il protocollo d'intesa tra l'università «Magna Graecia» di Catanzaro e la regione Calabria, recepito con delibera di giunta regionale n. 799 del 25 ottobre 2004, ha stabilito il trasferimento di numerose (17) unità operative a direzione universitaria dall'Azienda «Mater Domini» alla Fondazione «T. Campanella»;
   con successiva delibera di  giunta n. 822 del 23 settembre 2005, esplicativa, modificativa ed integrativa delle deliberazioni giunta regionale n. 798 e n. 799 del 25 ottobre 2004 e dei connessi atti consequenziali, è stato stabilito che la regione debba assicurare le risorse finanziarie (pari ad euro 50.000.000,00) per il funzionamento della fondazione «T. Campanella» ed ha impegnato la stessa nel reperimento di idonei finanziamenti per far fronte ai costi di acquisizione delle apparecchiature presenti in Germaneto, assicurando adeguata copertura in un arco temporale non superiore ai tre anni a decorrere dal 2005;
   la mancata corresponsione dei contributi statutari è oggetto di contenzioso che attualmente ha portato all'emanazione di un'ordinanza che riconosce pienamente la validità delle pretese della fondazione ed alla predisposizione di uno schema di accordo di transazione mai sottoscritto dalla regione Calabria;
   alla fondazione successivamente alla sua costituzione è stata assegnata una dotazione organica composta complessivamente da 270 operatori sanitari;
   nel piano di rientro del servizio sanitario, adottato con delibera n. 845 16 dicembre, al punto 4 la giunta regionale si è impegnata a definire «un percorso che, in base alla normativa vigente e alla compatibilità del piano, conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della Fondazione Campanella»;
   in data 13 dicembre 2013, alla presenza del prefetto di Catanzaro dottor Cannizzaro, è stata stipulata un'intesa sottoscritta dal presidente della regione della Calabria, dal rettore dell'università della Magna Graecia, dai subcommissari per l'attuazione del piano di rientro, dal dirigente generale del dipartimento tutela della salute, dal presidente della fondazione, dal direttore generale dell'azienda «Mater Domini», dal direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale e dal sindaco di Catanzaro, per la costituzione – da parte della azienda ospedaliera «Mater Domini», della azienda ospedaliera «Pugliese Ciaccio», dell'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, della regione Calabria e dell'università Magna Graecia – di una società a capitale interamente pubblico retta secondo l'istituto dell’in house providing e che fornisca servizi di natura strumentale agli enti soci, al fine di salvaguardare il personale dipendente della fondazione non afferente alle unità oncologiche;
   in data 19 febbraio 2015, il presidente della fondazione Campanella, professor Paolo Falzea ed il direttore generale della fondazione Campanella dottor Mario Martina, hanno emanato un decreto che ha stabilito sospensione a decorrere dal 2 marzo 2015 di tutte le attività assistenziali inerenti ricoveri e prestazioni ambulatoriali per la ricerca e la cura dei tumori a causa dell'assenza di risorse necessarie a garantire i servizi e salvaguardare i livelli occupazionali;
   il prefetto di Catanzaro con decreto n. 17254 del 23 febbraio 2015 ha disposto l'estinzione della personalità giuridica della Fondazione disciplinata dall'articolo 27 del codice civile, per impossibilità di raggiungimento dello scopo sociale;
   in data 11 marzo 2015 sono state avviate le procedure di licenziamento dei dipendenti della Fondazione Campanella di Catanzaro;
   in data 13 marzo 2015 il professor Paolo Falzea ha rassegnato le dimissioni da presidente della Fondazione Campanella;
   sebbene la vicenda della fondazione Campanella rappresenti un esempio emblematico dei limiti organizzativi dei Commissari per la Sanità nominati dal Governo, dei manager scelti per guidare la fondazione stessa e della capacità di indirizzo politico e gestionale della regione Calabria nel corso degli ultimi anni, tali limiti non possono riverberarsi sugli ammalati e sui lavoratori della fondazione –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare: a) per tutelare concretamente la condizione dei malati (circa 500) di tumore in trattamento chemioterapico e radioterapico e dei 1000 pazienti sottoposti a monitoraggio continuo post intervento e per cicli antitumorali; b) per salvaguardare la posizione lavorativa delle centinaia di unità lavorative, difficilmente ricollocabili a causa del blocco del turn-over in ambito sanitario, la cui esclusione dal mercato del lavoro costituirebbe un duro colpo per il tessuto economico-sociale della Calabria; c) per attivare ogni utile azione al fine di consentire, nel caso, l'accesso alla cassa integrazione in deroga per i dipendenti eventualmente in esubero. (4-08556)

  Risposta. — La fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella» di Catanzaro, è un ente di diritto privato, che trae le sue origini da un protocollo di intesa tra il Ministero della salute, la regione Calabria, il comune e la provincia di Catanzaro e l'università «Magna Grecia» di Catanzaro, nel quale era prevista l'istituzione di un centro di eccellenza a vocazione oncologica, da trasformarsi in Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), con i fondi di cui all'articolo 20, della legge n. 67 del 1988.
  Nel dicembre del 2009, la regione Calabria ha adottato il piano di riqualificazione del servizio sanitario regionale che prevedeva «l'individuazione di un percorso che conduca alla ridefinizione a regime dell'assetto giuridico della fondazione T. Campanella».
  La Corte Costituzionale si è espressa negativamente sulle leggi regionali n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011, che prevedevano un percorso di trasformazione della fondazione Campanella, ente di diritto privato, in Irccs di diritto pubblico, oltre alle modalità per la stabilizzazione del personale assunto dalla fondazione stessa con procedure privatistiche.
  Successivamente, con decreto del commissario ad acta n. 136/2011, la struttura commissariale ha assegnato 250 posti letto all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», comprensivi «delle unità operative a direzione universitaria a suo tempo attribuite alla gestione della fondazione Campanella».
  Inoltre, con il decreto n. 106/2012 recante la riorganizzazione della rete privata, la stessa struttura commissariale ha assegnato 35 posti letto di oncologia alla fondazione Campanella.
  In un secondo momento, è intervenuta la legge regionale n. 63 del 2012, recante «Ridefinizione assetto giuridico della Fondazione Campanella», che ha confermato la natura privata della fondazione, non impugnata innanzi la Corte Costituzionale, ma osservata dai ministeri affiancanti con il parere reso il 14 marzo 2013, nel quale è stata chiesta la modifica delle norme in contrasto con il piano di rientro e con la normativa vigente, anche in relazione al personale in esubero e al finanziamento della fondazione.
  La struttura commissariale ha trasmesso il decreto n. 22 del 19 febbraio 2015, con il quale il presidente ed il direttore generale della fondazione «Tommaso Campanella» deliberano la sospensione di tutte le attività assistenziali a decorrere dal 2 marzo 2015, evitando comunque qualsiasi rischio per i pazienti, ed il decreto del 23 febbraio 2015, con il quale il prefetto di Catanzaro ha dichiarato estinta la personalità giuridica della «fondazione Campanella», per l'impossibilità di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito.
  La prefettura-ufficio territoriale del Governo di Catanzaro ha precisato, in dettaglio, che lo statuto della fondazione «Tommaso Campanella», iscritta il 20 aprile 2006 nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura, prevedeva, oltre che un fondo patrimoniale di 20.000 euro, anche un fondo di dotazione così composto:
   il diritto di uso di parte dell'edificio della facoltà di medicina e chirurgia sito in località Germaneto, concesso dall'università fino allo scioglimento della fondazione;
   risorse, pari ad euro 25.822.845, da parte della regione, destinate all'accordo di programma stralcio, per l'acquisizione delle attrezzature e delle tecnologie necessarie per il centro oncologico di eccellenza.

  Era inoltre previsto che, entro il termine essenziale di tre anni dalla data di stipula dell'atto costitutivo, la fondazione avrebbe dovuto richiedere il riconoscimento del centro oncologico di Germaneto quale istituto di ricovero e cura a carattere scientifico e che, nelle more, la regione assicurasse le risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell'attività della fondazione, nella misura di euro 50.000.000 per gli anni 2005, 2006 e 2007, e con una quota proporzionale al periodo di attivazione per il 2004.
  Tale termine, tuttavia, non è mai stato fatto valere dai soci ed anzi, le leggi regionali n. 11 del 2009, n. 48 del 2009 e n. 8 del 2011 lo hanno di volta in volta prorogato.
  Successivamente, con la legge regionale n. 35 del 28 novembre 2011, la fondazione veniva riconosciuta quale «ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile», e veniva inserita nel sistema sanitario regionale ed accreditata provvisoriamente.
  In tale legge era, altresì, previsto che la regione avrebbe dovuto, entro quattro anni dall'istituzione come ente di diritto pubblico, e dunque dalla cancellazione dal registro delle persone giuridiche private (come specificato dalla successiva legge regionale n. 50 del 2011), promuoverne il riconoscimento di carattere scientifico.
  Qualora entro detto termine non si fosse addivenuti al riconoscimento di Irccs, la fondazione sarebbe stata soppressa con deliberazione della giunta regionale.
  La legge regionale n. 35 del 2011 è stata, tuttavia, oggetto di impugnazione da parte del Consiglio dei ministri, e dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214/2012, per violazione dell'articolo 81, comma 4, della Costituzione.
  A seguito della citata pronuncia, la regione Calabria è di nuovo intervenuta, con la legge regionale n. 63 del 13 dicembre 2012, per ridefinire l'assetto giuridico della fondazione.
  Tale legge, sostanzialmente, ha confermato la natura privata dell'ente, ha stabilito i criteri per la remunerazione delle prestazioni, ha disposto l'accreditamento definitivo delle unità oncologiche ed il trasferimento di quelle non oncologiche all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, previa intesa con i soci fondatori.
  Il 9 maggio 2013, la fondazione «Tommaso Campanella» ha apportato alcune significative modificazioni allo statuto, rimuovendo il riferimento alla necessità di trasformarsi in IRCCS ed eliminando il consiglio di amministrazione quale organo dell'ente.
  Problema rilevante per l'attuazione della legge regionale n. 63 del 2012 era quello legato al passaggio del personale dipendente della fondazione, non afferente alle unità oncologiche, all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini».
  Le difficoltà scaturivano dal fatto che tutto il personale della fondazione era stato assunto senza concorso, e ciò ne determinava l'impossibilità di essere assorbito da un soggetto pubblico.
  A tal proposito, nel corso di una riunione tenutasi nella prefettura di Catanzaro il 1o ottobre 2013, era stato sottoscritto un accordo tra l'azienda ospedaliera «Mater Domini», l'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, la Regione Calabria e l'università «Magna Grecia», in base al quale i citati enti convenivano di costituire una società a capitale interamente pubblico, retta secondo l'istituto dell’in house providing e apprestata per fornire servizi di natura strumentale agli enti soci.
  Il protocollo, tuttavia, non ha mai avuto attuazione, poiché l'ipotesi prospettata di creare una società in house, sebbene inizialmente condivisa anche dal «tavolo Massicci», è definitivamente tramontata, a causa delle determinazioni assunte a livello nazionale, tese ad eliminare tali enti e per la necessità di trovare soluzioni tecniche alternative.
  Tale aspetto, unitamente al mancato adempimento, da parte della regione Calabria, dell'obbligo, assunto nello statuto, di versare circa 26 milioni di euro quale fondo di dotazione dell'ente, ha comportato un aumento dell'esposizione debitoria della fondazione nei confronti dei fornitori e dei dipendenti.
  La situazione è stata attentamente seguita dalla prefettura che, nel corso di numerose riunioni, ha sempre cercato di operare una mediazione per trovare una soluzione volta a scongiurare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe determinato in termini di impatto occupazionale sul territorio, di assistenza medica, di formazione universitaria.
  In particolare, nel corso dell'incontro tenutosi in prefettura il 17 giugno 2014, il Presidente facente funzioni della regione Calabria, confermando la volontà di mantenere in vita la fondazione, aveva assunto l'impegno di costituire un apposito tavolo con l'avvocatura regionale e l'università, assistita dall'avvocatura dello Stato, per esaminare la vicenda legata al fondo di dotazione che la regione avrebbe dovuto conferire in qualità di socio fondatore, non pacificamente riconosciuto, nonché ai rimanenti crediti vantati dall'ente nei confronti della Regione.
  Il medesimo intendimento era stato espresso anche quando i soci fondatori erano stati convocati dal presidente della fondazione, affinché adottassero i provvedimenti di loro competenza per la liquidazione dell'Ente: anche in detta occasione, infatti, la regione aveva espresso volontà negativa rispetto alla messa in liquidazione della fondazione, assumendo l'impegno a sottoscrivere una transazione del giudizio pendente innanzi al tribunale di Catanzaro, con la quale, a fronte della rinuncia al giudizio, si impegnava a corrispondere, in tre anni, la complessiva somma di 29 milioni di euro.
  L'impegno assunto dal socio regione Calabria è sfociato nel riconoscimento dell'esistenza di un debito nei confronti della fondazione, ammontante ad euro 29.000.000, ma nessun atto concreto è stato conseguentemente assunto.
  Nel frattempo, la procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato un procedimento penale, ipotizzando nei confronti degli amministratori della Fondazione il reato di false comunicazioni sociali, per aver alterato in modo sensibile la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'Ente.
  La consulenza tecnico-contabile, depositata nell'ambito del citato procedimento penale, ha fatto emergere una gravissima situazione di dissesto/insolvenza dell'ente, tale da aver indotto la stessa procura della Repubblica a presentare istanza di fallimento innanzi al tribunale di Catanzaro.
  Sulla scorta di tale documento, trasmesso dalla procura della Repubblica alla prefettura in data 3 febbraio 2015, e valutata la persistente inerzia dei soci della fondazione, anche a seguito della ennesima convocazione innanzi al notaio da parte del presidente della fondazione, affinché venissero assunte le iniziative più idonee a scongiurare il fallimento dell'ente, in data 5 febbraio 2015, è stato avviato il procedimento finalizzato ad appurare l'esistenza di una causa di estinzione, ovvero la permanenza, in capo alla fondazione, dei requisisti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
  La fondazione «Tommaso Campanella» ha confermato lo stato di crisi economico-finanziaria in cui versa l'ente, rappresentando che «la mancata erogazione del fondo di dotazione e il mancato adempimento degli obblighi sopra indicati sono idonei a determinare (...) l'impossibilità di prevedere una prosecuzione dell'attività», tant’è che con decreto del presidente e del direttore generale della fondazione è stata disposta la sospensione di tutte le attività assistenziali delle unità operative attualmente gestite dalla fondazione a far data dal 2 marzo 2015.
  Pertanto, il 23 febbraio 2015 la prefettura di Catanzaro ha adottato il decreto con il quale ha accertato la mancanza di un patrimonio adeguato e, dunque, l'impossibilità, per la fondazione per la ricerca e la cura dei tumori «Tommaso Campanella», di raggiungere lo scopo per il conseguimento del quale l'ente era stato costituito, causa di estinzione della personalità giuridica espressamente disciplinata dal codice civile all'articolo 27.
  Tale atto è stato comunicato al presidente del tribunale, per consentirgli di porre in essere gli adempimenti di cui all'articolo 11 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nonché al presidente della fondazione e ai soci fondatori.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PESCO, CASO, MANLIO DI STEFANO, CARINELLI, VIGNAROLI, DE ROSA, CASTELLI, TRIPIEDI, BATTELLI, ZOLEZZI, SIMONE VALENTE, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, ALBERTI, BASILIO, RIZZO e CORDA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la donazione modale è un istituto previsto dal codice civile all'articolo 793 «La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata»;
   con deliberazione della giunta comunale di Milano n. 1609 del 31 luglio 2014 viene accolta la proposta n. 1957 del Settore Tecnico Infrastrutture e Arredo Urbano avente come oggetto: «Accettazione della donazione modale da parte della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e di NCTM – studio legale associato dell'opera “Teatro Continuo” del maestro Alberto Burri, da collocare nel Parco Sempione. Il provvedimento non comporta spesa. Immediatamente eseguibile»;
   con un comunicato stampa del 6 marzo 2015, Italia Nostra e Fondazione Perilparco ribadiscono: «la loro contrarietà alla decisione del comune di Milano di costruire, sulla distesa erbosa al centro del Parco Sempione, una piattaforma sopraelevata di 170 metri quadrati e di 335 tonnellate di cemento armato, denominata Teatro Continuo, su cui si innalzeranno 6 quinte laterali in acciaio alte 6 metri. Dal primo Teatro Burri del lontano 1973 tutto è cambiato nel Parco Sempione, dai rapporti spaziali a quelli paesaggistici-ambientali e culturali, come ha affermato nel 1986 la stessa Soprintendenza per i Beni Ambientali e Paesaggistici che ha sancito la continuità e la coerenza paesaggistica della linea Castello – Arco della Pace come “composizione prospettica di notevole importanza urbanistico-monumentale”. Anche la frequentazione e la fruizione sono mutate in questo parco: ieri, nel ’73, abbandono e degrado ambientale e umano, oggi un luogo diverso, intensamente vissuto dai cittadini. Italia Nostra e Fondazione Perilparco sono al fianco dei quattro Comitati Parco Sempione e insieme a loro si oppongono a questo intervento inutile e dannoso che tornerà a deturpare un bellissimo luogo che appartiene ai cittadini milanesi, agli italiani tutti e a coloro che lo frequentano»;
   con decreto ministeriale 1° giugno 1963 (Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona del Foro Bonaparte, Castello Sforzesco, Parco e Arena in Milano), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 19 giugno 1963, si decreta «La zona sita nel territorio del comune di Milano, comprensiva del Foro Bonaparte, Castello Sforzesco, Parco e Arena... ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ed è quindi sottoposta a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa»;
   nella citata deliberazione della giunta comunale di Milano n. 1609 del 31 luglio 2014:
    non si fa riferimento alcuno a deliberazioni similari, attribuibili a «Fondazione La Triennale di Milano», o agli altri soci (Ministero per i beni e le attività culturali, regione Lombardia, camera di commercio di Milano, camera di commercio di Monza Brianza), dai quali si evinca l'accettazione dell’«onere di provvedere in perpetuo alla manutenzione ciclica dell'opera secondo le modalità che verranno indicate dalla Fondazione Burri». L'opera, di un valore economico complessivo attuale di 150.000 euro, era stata abbattuta per lo stato di degrado della stessa: senza alcuna limitazione di spesa per la manutenzione dopo la sua ricollocazione nel parco. Su decisione della sola Fondazione Burri, i costi ai sensi dell'articolo 793 del codice civile sono quantificabili nel valore dichiarato del bene alla stipula dell'atto pubblico di donazione;
    oltre ai costi di manutenzione, a carico dei donatari è previsto l'inserimento dell'opera nell'ambito di Expo2015 e successive manifestazioni e eventi culturali, provvedendone a dare dovuta visibilità all'opera stessa e ai donanti, titolari del copyright relativo;
    si da atto che il Consiglio di zona 1 si sia espresso favorevolmente per la posa dell'opera, ma ciò non risulta agli interpellanti, non avendo trovato alcuna deliberazione della circoscrizione 1;
    non si menziona l'accordo di collaborazione siglato tra il comune di Milano e la fondazione «Perilparco» il 22 febbraio 1990, che al punto 4 di quanto convenuto è riportato «L'Amministrazione Comunale si impegna per parte sua a collaborare fattivamente alla realizzazione delle attività sopraddette, e a sentire il parere della Fondazione Perilparco a proposito di ogni intervento che riterrà di promuovere o di cui dovrà valutare la compatibilità con l'esistenza del Parco Sempione. A tal fine i provvedimenti dell'Amministrazione Comunale riguardanti anche gli interventi di restauro, risanamento conservativo e manutenzione al verde, all'arredo urbano e alle attività edilizie nell'area compresa tra via Legnano – V.le Elvezia – Via M. Pagano – V.le Alemagna – Piazza Castello, con i fronti che vi prospettano e gli assi viari che con tale area compongono un unitario testo visivo, riporteranno negli atti preparatori i contributi e i suggerimenti presentati dalla Fondazione “Perilparco”. Qualora tali provvedimenti si discostassero o disattendessero specifiche proposte inoltrate dalla Fondazione, di tali scelte dell'Amministrazione Comunale verrà data congrua motivazione negli stessi provvedimenti»;
    si fanno riferimenti vincolanti a una «lettera di intenti» non resa pubblica e non accessibile agli interroganti;
   il costo di plateatico per installazioni pubblicitarie fisse calcolato dal sito del comune di Milano in Piazza Sempione per una superficie di 178 metri quadrati ammonterebbe ad oltre 350.000 euro annui. Il comune di Milano offre alla fondazione Burri gratuitamente ed in perpetuo, un luogo di esposizione al centro di una delle vedute più fotografate di Milano e riprodotto in moltissime presentazioni turistiche internazionali. Tale luogo, il centro della veduta prospettica del Parco Sempione, risulta di inestimabile valore comunicativo e potrebbe essere venalmente quantificabile in cifre forse anche superiori a quelle del puro calcolo del plateatico;
   la notifica del Ministero beni culturali e ambientali – soprintendenza di Milano, Protocollo 13103 Milano 27 dicembre 1986, riporta: «Si comunica che gli immobili denominati Corso Sempione, via Canova, via Melzi D'Eril, Piazza Sempione, Parco, Piazza Castello, Foro Bonaparte, [...] rivestono l'interesse di cui alla legge 1 giugno 39 e pertanto devono considerarsi compresi negli elenchi descrittivi previsti dall'articolo 4 della legge citata in quanto [...] costituiscono un insieme di elementi protagonisti di mutamenti urbanistici importantissimi del XIX e XX secolo. [...] Inoltre la grande arteria internazionale del Sempione sull'asse della porta del Barco, della torre Filaretiana, e della via Dante, con l'Arco della Pace ed i suoi caselli e lo spazio dell'attuale Parco, costituiscono una composizione prospettica di notevole importanza urbanistico-monumentale»;
   il parere della soprintendenza riportato nel verbale della conferenza dei servizi del 28 maggio 2014 consiste in una breve frase: «...favorevole a condizione che l'opera sia collocata nella posizione originaria, venga approfondito il tema delle fondazioni, con aggiornamenti in corso d'opera dei dettagli costruttivi delle stesse» –:
   se il parere espresso dalla soprintendenza sia effettivamente così sintetico o se esista un parere più approfondito;
   se in tale parere si sia tenuto conto della contestualizzazione del manufatto in quel punto del parco e delle conseguenze sulla unitarietà e coerenza dell'insieme prospettico, monumentale, ambientale e storico progettato da Emilio Alemagna;
   se sia possibile valutare le ragioni che hanno indotto la soprintendenza a derogare dal vincolo disposto a tutela della «composizione prospettica di notevole importanza urbanistico-monumentale» dalla soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Milano in data 27 dicembre 1986;
   se la prima concessione del 1973 avesse previsto una collocazione dell'opera provvisoria, legata all'evento della triennale d'arte, o senza limiti di tempo;
   se l'attuale concessione, considerato anche l'impatto del volume, dei materiali, e della spiccata visibilità dell'insieme collocato al centro della armoniosa prospettiva, sia o meno coerente per le disposizioni normative a tutela del paesaggio;
   se sia legittimo tale parere e quali criteri storico artistici giustificherebbero la modificazione di un bene artistico stilisticamente definito, antico e oggettivamente riconosciuto, da un intervento di un artista recente la cui valutazione è ancora controversa e soggettiva. (4-09068)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento alla delibera della giunta del comune di Milano n. 1609 del 31 luglio 2014, riguardante l'accettazione della donazione modale dell'opera «Teatro Continuo» di Alberto Burri, da collocare nel Parco Sempione, pone diversi quesiti in merito al parere favorevole a tale collocazione, espresso dalla competente soprintendenza.
  La zona di Foro Bonaparte, del castello Sforzesco, del Parco e dell'Arena di Milano è stata dichiarata di notevole interesse pubblico, con decreto ministeriale del 1o giugno 1963, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante disposizioni in materia di «Protezione delle bellezze naturali».
  Nel 1973, in occasione della XV Triennale di Milano, nella mostra di Giulio Macchi «Contatto Arte-Città», furono realizzate tre opere nel Parco Sempione: la fontana dei «Bagni Misteriosi» di Giorgio de Chirico, il piccolo teatro «Accumulazione Musicale e Seduta» di Arman, e il «Teatro Continuo» di Alberto Burri. Quest'ultima opera era costituita da una grande piattaforma con quinte metalliche, rigorosamente geometrica ed essenziale, che inquadrava l'asse prospettico tra il castello Sforzesco e l'Arco della Pace.
  Con nota n. 13103 del 27 dicembre 1986, ai sensi dell'articolo 1 della legge 1o giugno 1939, n. 1089, riguardante la «Tutela delle cose di interesse artistico e storico», vennero riconosciute di interesse particolarmente importante le aree di corso Sempione, via Canova, via Melzi d'Eril, piazza Sempione, Parco, piazza Castello, Foro Bonaparte, via Beltrami, largo Cairoli, via Dante, piazza Cordusio in quanto «insieme di elementi protagonisti di mutamenti urbanistici importantissimi del XIX e del XX secolo».
  Le opere di Arman e de Chirico sono state sempre presenti nel parco; la fontana «Bagni Misteriosi» è stata anche oggetto di un recente restauro. Il «Teatro Continuo» di Burri venne, invece, demolito nel 1989 da parte dell'amministrazione comunale perché, dopo anni di vandalismi, era diventato instabile e il suo restauro ritenuto troppo costoso, ma la rimozione non fu dettata da motivi di compatibilità con la natura del parco storico.
  Alberto Burri, ferito nel suo orgoglio d'artista a causa della scelta dell'amministrazione di rimuovere l'opera, decise di troncare ogni rapporto con Milano.
  Nel 2014 la giunta di Milano, con delibera n. 1609 del 31 luglio 2014, ha accolto la donazione modale da parte della fondazione palazzo Albizzini-Collezione Burri e di NCTM-studio Legale, della ricostruzione dell'opera di Burri.
  Nella conferenza dei servizi istituita per la valutazione dell'intervento, la soprintendenza ha approvato l'intervento a condizione che l'opera venisse ricollocata nello stesso punto dell'opera originaria, allo scopo di conservare l'inserimento nel parco, pensato da Alberto Burri, del grande palcoscenico con quinte mobili.
  Invero la questione ha suscitato ampio dibattito.
  A fronte di un movimento di opinione estremamente favorevole all'idea di riproporre un'opera del maestro Burri nello stesso luogo dove era stata immaginata, si citano ad esempio gli articoli «Milano chiederà scusa a Burri ?» di Fiaminio Gualdoni, «100 anni di Burri, Milano ricostruisce il Teatro» di Ada Masoero nel «Giornale dell'Arte» del novembre 2014, «Il teatro di Burri non è uno scempio» di Ivan Berni, La Repubblica, 11 marzo 2015, si sono registrate delle opinioni divergenti da parte di Italia Nostra, del comitato per Parco Sempione, del comitato Parco Libero, mentre il Fondo ambiente italiano (Fai) si è schierato a favore della riproposizione dell'opera.
  In data 7 gennaio 2015 con nota n. 14028, il soprintendente, architetto Alberto Artioli, replicava alle rimostranze del comitato Parco Sempione ribadendo il parere favorevole all'opera, in quanto, al pari dei «Bagni Misteriosi», essa costituisce «una valorizzazione del luogo e non certo un intervento invasivo ed incongruo».
  Appare opportuno ricordare come la soprintendenza abbia da sempre garantito, per quanto di propria competenza, la tutela e la conservazione del parco Sempione, anche con l'obiettivo anche di contenere le moltissime manifestazioni temporanee che si svolgono nell'area; nel 2005 e nel 2006, a titolo esemplificativo, la soprintendenza ha ripetutamente bocciato due proposte avanzate dall'amministrazione comunale di realizzare una ruota panoramica all'interno del parco.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha denunciato al comando carabinieri tutela patrimonio culturale l'asta di reperti nuragici che si terrà a Londra in data 30 giugno 2015;
   in tale occasione a Londra saranno battuti all'asta diversi reperti della grande civiltà nuragica;
   tali reperti ad avviso dell'interrogante non possono che far parte di beni archeologici sottratti indebitamente alla Sardegna e al suo patrimonio archeologico;
   tali beni risultano provenienti da collezioni private libanesi e i personaggi richiamati come già titolari della collezione risultano essere stati oggetto di indagini e di sequestri da parte della magistratura competente libanese sin dal 1999;
   a mettere in vendita un catalogo di reperti nuragici è la casa d'asta EMAX;
   si tratta di nove reperti valutati decine di migliaia di euro come base d'asta;
   si tratta di straordinari bronzetti raffiguranti personaggi della civiltà nuragica e rappresentazioni esclusive del mondo animale;
   tutti reperti con datazioni intorno a 3000 anni fa;
   si tratta di un patrimonio che secondo quanto dichiarato dalla casa d'asta proverrebbe da collezioni svariate, comprese quelle in Libano Ex Farid Ziade;
   un patrimonio messo in vendita in un'asta dal vivo che si svolgerà il 30 giugno alle 15,30, nel «Pall Mall Gallery» in 5B Pall Mall – 30 Royal Opera Arcade, Londra;
   quell'asta in base alla segnalazione al nucleo dei carabinieri doveva essere bloccata;
   secondo l'interrogante non si tratta di pezzi pregiati da vendere, ma è refurtiva rubata alla Sardegna e ai sardi;
   un Governo autorevole e serio deve intervenire con tutti i poteri a sua disposizione per bloccare questa vergognosa vendita che offende la storia della Sardegna e dei Sardi;
   si tratta di cimeli unici, testimonianze nuragiche che rappresentano una sottrazione ai danni della Sardegna e della sua storia arcaica;
   già nei mesi scorsi l'interrogante aveva denunciato la vendita di straordinari reperti archeologici di epoca nuragica tra Londra e New York;
   nonostante quella denuncia di allora, il Governo consente quella che all'interrogante appare la svendita della civiltà nuragica, senza che nessuno intervenga per contrastare questa gravissima lesione;
   tutto questo è semplicemente inaccettabile e occorre impedire quella vendita;
   l'amministrazione britannica non può consentire questo sfregio alla cultura e alla storia della Sardegna;
   i sardi si attendono una risposta urgente e risolutiva da parte del Regno Unito;
   ci sono convenzioni internazionali che vietano questo tipo di compravendite;
   non si può consentire che tombaroli e ladri per eccellenza la facciano franca;
   in sintesi sono queste le nove figure in vendita all'asta di Londra:
    1 una figura di bronzo sardo di un periodo di Nuragico offerente culto, intorno al nono al sesto secolo a. C.;
    2 una statuetta di bronzo sardo di un periodo di Nuragico culto guerriero, circa nono-sesto secolo a. C.;
    3 una figura di bronzo in Sardegna di un periodo Nuragico – offerta sacerdotessa, circa nono-sesto secolo a. C.;
    4 una figura di bronzo in Sardegna di un periodo Nuragico offerta sacerdotessa, circa nona-sesto secolo a. C.;
    5 un cavallo di periodo Nuragico di bronzo in Sardegna, circa nono-sesto secolo a. C.;
    6 uno stambecco in bronzo sardo periodo Nuragico, circa nono-sesto secolo a. C.;
    7 un bue sardo in bronzo periodo Nuragico, circa nono al sesto secolo a. C.;
    8 un muflone sardo in bronzo periodo Nuragico, intorno al nono al sesto secolo a. C.;
    9 uno stambecco in bronzo sardo periodo Nuragico, circa nono-sesto secolo a. C.;
   la vendita dei bronzetti nuragici a Londra riserva molte complicità e tanti silenzi;
   a giudizio dell'interrogante il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha delle responsabilità: un silenzio assordante di un'istituzione che sarebbe dovuta intervenire con immediatezza per bloccare quell'asta a Londra;
   si tratta di un'asta per la quale esistono tutti i presupposti per un intervento immediato del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo perché appare davvero singolare che questo patrimonio venga venduto a Londra da personaggi italiani, legati ad un ambiente particolare del Ministero e delle forze politiche;
   è tutto davvero gravissimo e qualsiasi Stato degno di questa definizione avrebbe fatto di tutto per bloccare l'operazione;
   si è dinanzi ad uno scandalo tutto italiano, contro la civiltà nuragica della Sardegna;
   ci si aspetta che le persone coinvolte siano inglesi e invece ti ritrovi con tutti personaggi italiani;
   il detentore originario di questi reperti risulta essere un uomo d'affari libanese legato ad un precedente inquietante;
   nel 1999 in Libano ci fu una retata della polizia per rintracciare centinaia di antichità mancanti. Il magistrato libanese Khaled Hammoud guidò le operazioni; dopo aver ispezionato numerose ville in Ghazir, Kesrouan, circa 300 reperti erano stati prelevati dalla casa di un uomo d'affari, Farid Ziade. I pezzi sequestrati – secondo quanto riporta il sito http://www.dailystar.com.lb – risalgono tutti al periodo romano e sono descritti nel rapporto della procura libanese come rari e costosi. La villa Ghazir fu sigillata con cera e tutti i pezzi confiscati e inviati alla Direzione Generale delle Antichità (DGA) –:
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire anche a seguito delle pubbliche denunce e alla segnalazione rivolta al comando dei carabinieri;
   se non ritenga di dover porre in essere tutte le iniziative necessarie a fermare tale asta e a recuperare il patrimonio;
   se risulti che i componenti dell'organizzazione dell'asta abbiano rapporti parentali con dirigenti statali e del Ministero;
   se non ritenga di verificare le ragioni della vendita di patrimonio archeologico italiano da parte di società formata complessivamente da soggetti italiani. (4-09633)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato in esame, con il quale l'interrogante, premesso che il 30 giugno 2015 si sarebbe tenuta presso una casa d'asta di Londra un'asta di nove bronzetti della civiltà nuragica, appartenenti a collezioni private libanesi, chiedeva di sapere se il Ministero non ritenesse di dover intervenire per un recupero del patrimonio suddetto e una verifica delle ragioni della vendita di tali reperti archeologici.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  A seguito della segnalazione pubblicata su vari quotidiani in merito alla vendita di reperti archeologici di presunta provenienza dalla Sardegna, programmata presso la Galleria «Pall Mall» di Londra il 30 giugno 2015, il Ministero ha immediatamente attivato il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, il quale ha accertato che l'asta si sarebbe svolta presso «Acr Auction» di Londra e che tra i beni vi erano 9 bronzetti, asseritamente sardi del periodo nuragico e con provenienza dichiarata da collezione privata libanese.
  Gli accertamenti, eseguiti anche presso la sede romana della «Acr Auction», non hanno consentito di acquisire elementi tali da implicare la sussistenza di reati (furto, ricettazione, esportazione illecita) e promuovere un'azione penale o di cooperazione internazionale di polizia per il recupero dei beni. Né, per la stessa ragione, è stato possibile interessare gli organi di polizia inglese per acquisire documentazione presso la casa d'aste. Inoltre la legislazione inglese non prevede nel proprio ordinamento giuridico lo scavo clandestino e l'esportazione illecita, tutelando quindi il possessore dei beni e la sua presunta buona fede fino a prova contraria, da accertarsi in ambito processuale civile in Gran Bretagna.
  Nonostante l'assenza di motivi oggettivi a supporto della richiesta, veniva formalmente sollecitata la «Acr Auction» affinché sospendesse in via cautelativa l'asta.
  Quest'ultima, tuttavia, non sussistendo motivi ostativi alla vendita e trattandosi di opere di esiguo valore economico ed artistico, decideva di proporli in asta prevista per il 30 giugno 2015.
  Con un comunicato stampa Ansa dello stesso 30 giugno 2015, riportato successivamente da diversi organi di informazione e diffuso via web, la «Fondazione di partecipazione Nurnet-La rete» e il gruppo facebook «Archeologia della Sardegna» hanno reso noto di aver acquistato quattro (su nove) bronzetti, raffiguranti statuette di ammali, in vendita all'asta «Acr Auction» al fine di riportarli in Sardegna, grazie al contributo di soci e privati cittadini. Si tratta di un cavallo, due stambecchi e un ariete che potrebbero essere attribuiti al periodo compreso fra il IX e il VI sec. a.C..
  La soprintendenza archeologica competente ha potuto verificare che, dalla documentazione fotografica disponibile sul sito web della casa d'aste, non si può escludere l'autenticità e la effettiva pertinenza all'ambito culturale nuragico dei reperti indicati come pertinenti alla civiltà nuragica nelle schede illustrative dell'asta, in particolare per le quattro figurine umane. Per una valutazione tecnico-scientifica attendibile, tuttavia, sarebbe necessario procedere con un'analisi diretta dei reperti e con indagini chimico-fisiche specifiche.
  I reperti in ogni caso non risultano documentati in atti e provvedimenti agli atti della soprintendenza competente relativi a ricerche, scavi, rinvenimenti occasionali e collezioni private. Non risulta inoltre documentata agli stessi atti la collezione «Farid Ziade, Jdeidet Ghazir, Libano», cui i reperti apparterebbero secondo quanto indicato nelle relative schede illustrative dell'asta. Analoghe verifiche sono state avviate anche dalla direzione generale delle antichità del Ministero della cultura del Libano, su richiesta inviata dalla soprintendenza.
  Sulla base degli elementi a disposizione, dunque, non è possibile affermare con certezza che i reperti provengano da contesti archeologici della Sardegna, in quanto è nota la presenza di materiale di ambito culturale nuragico in siti archeologici sia della penisola italiana (in particolare di area etrusca-Toscana, Lazio, Campania) sia di altre regioni del Mediterraneo (Spagna, Tunisia, Creta e Cipro), quale frutto di scambi e commerci tra le popolazioni antiche.
  In assenza di informazioni circa le modalità e l'epoca del rinvenimento e di indicazioni relative alle condizioni che ne hanno determinato l'acquisizione nella collezione indicata, non è possibile stabilire se i reperti siano nella legittima disponibilità del titolare della collezione ai sensi della normativa vigente, o se siano invece esito di scavi archeologici clandestini e traffici illeciti.
  Il Ministero è in attesa di ricevere la documentazione richiesta alla casa d'aste e di notizie sui risultati delle verifiche del Ministero della cultura del Libano; sono comunque ancora in corso ulteriori accertamenti per cercare di risalire all'eventuale sito archeologico di provenienza dei beni ed al relativo periodo in cui sarebbe avvenuto l'eventuale scavo clandestino.
  In tal senso, allo stato attuale, e con riserva di aggiornamenti alla luce di eventuali successive acquisizioni informative, i beni non risultano di provenienza furtiva (gli esiti del controllo nella apposita banca dati sono negativi), non risulta una provenienza da scavo clandestino e non vi sono elementi per supportare l'ipotesi di una ricettazione (articolo 648 del codice penale) o di esportazione illecita (articolo 174 decreto legislativo 42 del 2004).
  In tema di ritrovamenti di bronzetti nuragici, si ritiene importante segnalare l'impegno costante del Ministero nella valorizzazione e salvaguardia del patrimonio nazionale anche attraverso esposizioni e mostre sul territorio. In particolare il 15 luglio 2015 è stata inaugurata a Cagliari la mostra «La Memoria Ritrovata – L'Arma e lo scrigno dei tesori recuperati», esposizione temporanea allestita in Cittadella dei Musei di dipinti e reperti archeologici recuperati grazie all'azione investigativa del Comando Carabinieri tutela patrimonio culturale, che comprende, tra le altre opere, anche un piccolo tesoro sardo tra i 5500 reperti archeologici recuperati di recente: sono 39 bronzetti nuragici realizzati dai nostri antenati in piena Età del ferro, sottratti illegalmente dagli scavi e destinati al mercato clandestino. I bronzetti, ritrovati nell'ambito di quella che è considerata una delle più importanti operazioni di salvataggio di beni archeologici italiani, alla chiusura dell'esposizione (prevista per il 15 ottobre 2015) resteranno esposti in vari musei della Sardegna.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   PLACIDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Centro Imid, sorto all'interno del nosocomio «San Pio da Pietralcina» di Campi Salentina, a partire dal 2008, si era accreditato come un importante punto di riferimento, in tutto il sud Italia, per le malattie infiammatorie croniche immunomediate;
   le malattie causate da un cattivo funzionamento del sistema immunitario sono diverse e vanno dal diabete, al lupus, al morbo di Krohn, alla celiachia, all'asma, toccando, dunque, una vasta gamma di pazienti, costretti a notevoli disagi per trovare una soluzione a malattie diverse tra loro e che richiedono un'assistenza multidisciplinare;
   trattando circa 4 mila pazienti ogni anno, il Centro Imid, era diventato una struttura di riferimento per tanti ammalati, che al suo interno avevano trovato competenza, professionalità e la capacità di trattare, con un approccio multidisciplinare, malattie che, nella maggior parte dei casi, condizionano negativamente la qualità della vita;
   il Centro Imid di Campi Salentina ha realizzato, nel corso degli anni di funzionamento, una mobilità attiva per la sanità pugliese, dal momento che tanti pazienti, provenienti soprattutto dalle regioni del sud Italia, hanno scelto la Puglia per curare le loro patologie croniche, accrescendo, di conseguenza, il prestigio della sanità pugliese;
   le dimissioni del direttore responsabile, il dottor Mauro Minelli, punto di riferimento del Centro Imid, hanno portato alla chiusura del suddetto centro, accrescendo il disagio di migliaia di pazienti e delle loro famiglie;
   si apprende di recente, da fonti di stampa, che il dottor Luigi Pepe, Presidente dell'ordine dei medici indagato per abuso d'ufficio, e dovrà rispondere, davanti al tribunale monocratico penale di Lecce nel prossimo febbraio, dell'accusa di diffamazione nei confronti del direttore generale della Asl Valdo Mellone (episodio riconducibile alla chiusura del Centro Imid di Campi salentina);
   dalle medesime fonti di stampa si apprende che gli ufficiali della polizia giudiziaria sono stati negli uffici dell'ordine dei Medici di Lecce per acquisire i documenti relativi alla sospensione del dottor Mauro Minelli e alla chiusura del centro Imid di Campi e porle al vaglio del procuratore Motta e del sostituto Paola Guglielmi;
   il dottor Pepe ha disposto un procedimento disciplinare risoltosi con la sospensione per un mese del dottor Minelli dall'esercizio dell'attività professionale;
   la pretestuosità delle accuse rivolte al dottor Minelli, è consistita nell'attribuzione di condotte dallo stesso mai poste in essere (gli addebiti concernono, infatti, il contenuto di un foglio di carta intestata della ASL e l'uso di qualifiche come quella di «professore» e di «direttore», delle quali il Minelli non si sarebbe mai fregiato e nel frequente ricorso a comunicati e a conferenze stampa;
   l'azione secondo l'interrogante persecutoria nei confronti del dottor Minelli, ha comportato addirittura l'apertura di un procedimento disciplinare attivato successivamente alla rinuncia da parte del dottor Minelli all'iscrizione all'Albo professionale dei medici di Lecce ed al suo trasferimento presso l'Albo dei medici di Potenza –:
   se non ritenga necessario verificare se l'ordine dei medici di Lecce abbia rispettato le vigenti disposizioni di legge nell'affrontare il caso del dottor Minelli, determinando di fatto la chiusura del Centro Imid;
   a quali criteri si sia ispirata la condotta dell'Ordine dei medici di Lecce e più precisamente:
    1) quali prìncipi abbiano regolato il comportamento dell'Ordine dei medici nel momento in cui abbia valutato la posizione di un associato;
    2) se non si ravvisino gli estremi di abusi nell'esercizio delle funzioni disciplinari attribuite all'Ordine dei medici citato.
(4-06381)

  Risposta. — In merito a quanto indicato nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura di Lecce ha trasmesso i dati raccolti presso la direzione generale dell'azienda sanitaria locale Lecce, che di seguito si riportano.
  Il Centro Imid-Unit è stato costituito con le deliberazioni n. 24 e n. 1070 del 2011 e n. 311 del 16 febbraio 2012 del commissario straordinario dell'azienda sanitaria locale Lecce, in esecuzione del regolamento regionale di riordino della rete ospedaliera, emanato con la delibera di giunta regionale del 16 dicembre 2010 n. 18, che disponeva la «riconversione dello stabilimento ospedaliero di Campi Salentina in presidio territoriale per la gestione delle cronicità con particolare riferimento alle cronicità immuno-mediate ed ambiente-correlate».
  Il Centro Imid-Unit è stato riconosciuto quale presidio della rete nazionale per alcune malattie rare con la delibera di giunta regionale n. 1591/2012.
  La regione Puglia, con la delibera di giunta regionale n. 1389 del 10 luglio 2012, ha approvato il progetto di rete multidisciplinare per i pazienti affetti da patologie infiammatorie croniche immunomediate presso il citato presidio territoriale, con specifico finanziamento di sostegno.
  Dotato di 12 posti letto in regime di unità di degenza territoriale, di cui 2 riservati a pazienti afferenti al protocollo MCS (multiple chemical sensitivity) e 2 a militari afferenti al protocollo uranio impoverito, il Centro Imid-Unit nel periodo di attività ha conseguito rilevanti risultati in termini di qualità e quantità di prestazioni, con riflessi in ambito nazionale, tant’è che il 29 per cento delle accoglienze proveniva da fuori regione.
  Secondo quanto riferito dalla stessa azienda sanitaria locale, la metodologia e l'approccio diagnostico-terapeutico adottati in Imid-Unit, attraverso la lettura sistemica delle patologie auto-immuni ed approfonditi esami di genetica e di laboratorio, consentivano un risparmio in termini di costi di assistenza sanitaria ed una migliore qualità di vita per i pazienti interessati, risultati apprezzati dalla comunità medico-scientifica che, peraltro, revisiona annualmente l'operato del suddetto centro in occasione dell'annuale Imid Scientific Conference.
  Tuttavia, in ripetute conferenze stampa ed interrogazioni presentate alla regione Puglia, il presidente dell'Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Lecce avrebbe sostenuto l'inadeguatezza della struttura di Campi Salentina rispetto ai compiti assegnati, e l'abuso di titolo di «direttore» e/o «professore» da parte del dottor Mauro Minelli, nonché l'incompetenza a trattare patologie (quali il Pemfigo) pur riportate tra le attività della Imid-Unit negli atti ufficiali.
  A tal riguardo, la direzione sanitaria dell'azienda sanitaria locale Lecce ha riferito di aver più volte precisato che il servizio erogato dal Centro Imid era di natura territoriale extra-ospedaliera, quindi tenuto a osservare parametri diversi da quelli osservati dalle strutture ospedaliere, fermo restando il rispetto delle norme di massima sicurezza per i pazienti (nessun evento avverso avrebbe interessato alcuno dei pazienti affluiti al servizio), e che l'unica attribuzione della qualifica di «direttore» e/o «professore» al dottor Minelli è rintracciabile in un verbale redatto e sottoscritto dalla commissione d'inchiesta sulle patologie da uranio impoverito della quale il predetto medico era consulente esterno, e pertanto non rettificabile e non imputabile al medesimo.
  Per quanto riguarda l'incompetenza del centro a trattare patologie (quali il Pemfigo), la stessa direzione sanitaria ha riferito che tali attribuzioni terapeutiche sarebbero derivate direttamente da specifiche determinazioni regionali, che hanno individuato l'Imid-Unit come centro di riferimento o come nodo della rete malattie rare, presupponendo e verificando la presenza dei presidi materiali e professionali necessari.
  La stessa direzione sanitaria ha fatto presente che il presidente dell'Ordine si sarebbe adoperato in atti ispettivi personalmente condotti presso la sede all'azienda sanitaria locale, o mediante la convocazione di dirigenti medici, e avrebbe posto in essere un procedimento disciplinare nei confronti del dottor Minelli, conclusosi con l'irrogazione della sanzione di «sospensione per mesi uno per pubblicità ingannevole, abuso del titolo di professore ed abuso del titolo di direttore».
  Il legale del dottor Minelli, ai sensi dell'articolo 12 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, ha chiesto l'intervento del prefetto di Lecce, rappresentando, in particolare, le difficoltà del suo assistito per il corretto esercizio della professione medica, atteso che egli risultava iscritto contestualmente all'Albo dei medici di Potenza, con decorrenza 29 luglio 2014, ed ancora a quello di Lecce, nonostante la formalizzata rinuncia all'appartenenza all'Ordine di tale provincia, e che tale circostanza non consentiva la successiva ed obbligatoria annotazione dell'avvenuto trasferimento sull'apposito Albo nazionale dei medici.
  A tal riguardo, la prefettura di Lecce segnala che il dottor Minelli, dopo aver trasferito la propria residenza in altra sede, con dichiarazione depositata in data 21 luglio 2014 presso l'Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Lecce, ha rinunciato alla propria iscrizione presso l'Albo dei medici chirurghi e odontoiatri della stessa provincia e, contestualmente, ha richiesto la cancellazione, che il consiglio non ha inteso effettuare, in virtù di quanto disposto dall'articolo 11, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 221/1950 (non si può pronunciare la cancellazione dall'Albo professionale quando sia in corso procedimento penale o disciplinare), esistendo a carico del sanitario sia un procedimento penale sia un procedimento disciplinare.
  Le ragioni che hanno determinato tale condotta da parte del locale Ordine dei medici hanno costituito l'oggetto della denuncia inoltrata alla competente procura della Repubblica di Lecce dal dottor Minelli.
  Il Centro Imid-Unit ha sospeso le attività a seguito delle dimissioni presentate nel luglio 2013 dal dirigente responsabile, dottor Mauro Minelli, e della sua mancata sostituzione da parte della azienda sanitaria locale Lecce.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RABINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la vocazione storico e turistico commerciale del Tridente del centro storico di Roma, compresa entro il perimetro del vincolo conforme alle nuove prescrizioni della direttiva ministeriale Ornaghi del 2012, potrà essere valorizzata per la più corretta predisposizione dei PMO (piani di massima occupabilità) al servizio della vocazione turistica millenaria, quale immagine nel mondo della città;
   a seguito di tale direttiva su precise indicazioni della Soprintendenza Capitolina, non solo le imprese in sede fissa ricadenti nel così detto Tridente Mediceo, ma più in generale, tutte quelle comprese nell'ambito storico e archeologico della città, sono state costrette solo due anni fa, al rispetto di nuove prescrizioni per uniformare gli arredi, le coperture fisse o amovibili, gli impianti di riscaldamento funghi, a precise tipologie di riferimento, con un conseguente immediato e notevole impegno finanziario, già sostenuto –:
   se le attività commerciali, regolari, insediate sul suolo pubblico ricadenti entro il perimetro del vincolo, per quanto riguarda i piani di massima occupabilità di via del Corso, via di Ripetta, via del Babbuino, via di S. Giacomo, via della Croce, via dei Condotti, via Frattina e via delle Carrozze, se pur soggette alle procedure autorizzative della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, non per gli aspetti amministrativi, ma per quanto riguarda la verifica della compatibilità tra ambiti e/o aree monumentali e gli elementi, dovranno essere conformi alle prescrizioni indicate nel provvedimento di tutela, senza ritenerne doverosa in alcun modo la funzione economica imprenditoriale che ha fatto negli anni, dell'accoglienza turistica il primario investimento di queste imprese.
(4-08338)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede se le regolari attività commerciali poste all'interno del Tridente e assoggettate alle prescrizioni della direttiva del 12 novembre 2012 del Ministro per i beni e le attività culturali, «concernente l'esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela» (cosiddetta direttiva Ornaghi), debbano conformarsi alle prescrizioni indicate nel provvedimento di tutela «senza ritenerne doverosa in alcun modo la funzione economica imprenditoriale che ha fatto negli anni, dell'accoglienza turistica il primario investimento di queste imprese».
  Il decreto di vincolo del 17 settembre 2013 «Tridente del Centro Storico», cui fa riferimento l'Interrogante, è stato adottato in applicazione dell'articolo 10, comma 4 lettera g) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito codice), in base al quale le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico e storico sono definiti beni culturali.
  La prescrizione del divieto dell'utilizzo commerciale delle aree interessate dal vincolo costituisce diretta applicazione della direttiva Ornaghi.
  Tale direttiva al punto 3.2 stabilisce che «In ogni caso, e indipendentemente dalle attività di collaborazione con i Comuni svolte ai sensi del precedente paragrafo 3.1, gli Uffici destinatari della presente Direttiva – ciascuno per quanto di propria competenza – valuteranno la necessità di adottare appositi provvedimenti di tutela nell'esercizio dei poteri previsti dalla Parte Seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
  In tale prospettiva, la direttiva indica, tra i possibili strumenti da adottare, anche «l'adozione, rispetto ai beni sottoposti a vincolo diretto di bene culturale, ai sensi dell'articolo 10 commi 1 e 3 e degli artt. 13 e ss. del Codice, di specifiche prescrizioni volte a vietare gli usi che appaiono non compatibili con il carattere storico o artistico del bene, ai sensi dell'articolo 20 del medesimo Codice».
  Il richiamato articolo 20 del codice, al comma 1, dispone, infatti, che i «beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione» e pertanto la direttiva citata stabilisce che «i competenti Uffici dell'Amministrazione adottino, con riferimento alle aree pubbliche contermini di complessi monumentali e agli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e valorizzazione. In tale prospettiva è da ritenere che tra gli usi non ammessi possano rientrare a pieno titolo, sulla base delle valutazioni da rendere caso per caso, sia le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale (come le attività ambulanti senza posteggio) sia, ove se ne riscontri la necessità, l'uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico».
  Nell'area del Tridente, nota a livello internazionale per le sue caratteristiche storiche ed architettoniche – ben illustrate nella relazione tecnica che accompagna il decreto di vincolo – non possono essere consentite, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 20 del codice, attività commerciali preclusive sia della visibilità e del decoro dei monumenti ivi collocati sia del passaggio dei numerosi turisti che quotidianamente visitano il Tridente.
  Da anni gli uffici periferici del Ministero, in ottemperanza al combinato disposto dell'articolo 10, comma 4, lettera g), e dell'articolo 52 del codice, hanno promosso iniziative volte a contemperare gli aspetti connessi alla tutela monumentale con le forme di svolgimento dell'esercizio commerciale sul suolo pubblico.
  Dalle attività intraprese dall'amministrazione sono scaturiti tavoli tecnici condivisi con i competenti uffici municipali, volti alla definizione di piani d'uso del suolo pubblico sia in termini di quantità superficiali che di qualità degli arredi, la cui attuazione è prerogativa delle amministrazioni municipali.
  Per quanto riguarda le valutazioni connesse con gli aspetti economico-commerciali che si riflettono sull'imprenditorialità, è necessario sottolineare che scopo dei tavoli tecnici è, per l'appunto, anche quello di contemperare gli interessi molteplici connessi all'uso del bene pubblico.
  Giova sottolineare, infine, come una ordinata fruizione e valorizzazione dei centri storici delle città d'arte non possa che andare anche a vantaggio e nell'interesse della «funzione economica imprenditoriale», in quanto funzionali all'accoglienza turistica che, come giustamente ricordato dall'interrogante, costituisce «il primario investimento di queste imprese».

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RONDINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il rettore dell'università di Teramo Luciano D'Amico ha annunciato recentemente di voler vendere a privati l'ex rettorato di Viale Crucioli, un edificio pubblico risalente ai primi decenni del secolo scorso, vincolato dunque ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni, e peraltro facilmente adattabile a casa dello studente a tutto vantaggio dello stesso ateneo locale;
   il prezzo dell’«offerta» rettorale sarebbe di 12 milioni di euro, di cui 4 in cassa, e 8 sotto forma di lavori di ampliamento e ristrutturazione della sede attuale dell'università, situata in collina, distante perciò da un tessuto urbano penalizzato negli anni da continue delocalizzazioni delle proprie risorse strategiche;
   tra i lavori richiesti dal rettore all'evento e acquirente privato a copertura degli 8 milioni di euro, compaiono in realtà alcuni interventi che all'interrogante non sembrano concepiti a beneficio dell'università o della sola università, ma quanto meno anche a favore dei terreni circostanti, che vedrebbero lievitare la loro rendita fondiaria, e favorire un progetto di un nuovo quartiere di cui si parla da tempo;
   appese inoltre evidente incompatibilità tra l'incarico di rettore svolto in regime di tempo pieno dal professor D'Amico ai sensi della legge 382 del 1980, e almeno uno degli altri due incarichi da lui ricoperti: in particolare quello di presidente dell'Arpa, l'ente a capitale prevalentemente pubblico che gestisce i trasporti regionali (ferrovie e autobus). Un lavoro, questo del rettore, non di semplice consigliere d'amministrazione, ma di residente, che come tale richiede anch'esso il tempo pieno –:
   se il Ministro interrogato non intenda acquisire dalla soprintendenza elementi in merito alla vendita dell'ex rettorato di viale Crucioli, che è risalente al secondo decennio del secolo scorso e sottoposto a vincolo, e, per il quale pertanto un coinvolgimento della sovrintendenza stessa nella procedura di alienazione dovrebbe essere comunque assicurata. (4-09016)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante riferisce che il rettore dell'università di Teramo ha annunciato di volere vendere a privati l'ex rettorato di viale Crucioli, «un edificio pubblico risalente ai primi decenni del secolo scorso» e, pertanto, chiede che siano acquisiti elementi in merito presso la soprintendenza competente, in quanto interessata, per il carattere storico dell'immobile, alla procedura di alienazione.
  Il Segretariato del Ministero per la regione Abruzzo, cui è stato richiesto di riferire in merito alla questione sollevata dall'interrogante, ha comunicato che né agli atti d'ufficio dello stesso né a quelli della soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo risultano richieste relative all'alienazione dell'edificio dell'ex rettorato dell'Università di Teramo.
  La soprintendenza, inoltre, ha specificato che l'ex sede del rettorato è un complesso immobiliare che riveste interesse storico-culturale quale significativa espressione architettonica del neoclassicismo dei primi decenni del XIX secolo in Teramo e che è soggetto a tutela ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), fino all'espletamento della procedura di verifica di cui all'articolo 12, comma 1, del citato decreto.
  Naturalmente – si fa notare – una eventuale alienazione del bene, ove effettuata senza la preventiva verifica dell'interesse culturale e la successiva necessaria richiesta di autorizzazione ai competenti uffici di questo Ministero sarebbe effettuata in violazione del codice dei beni culturali e verrebbe sospesa.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'AORN, azienda ospedaliera di rilievo nazionale, Santobono Pausilipon è l'unico polo pediatrico di secondo livello della Campania e del Mezzogiorno d'Italia;
   si articola in tre presidi ospedalieri: l'ospedale «Santobono», polo delle emergenze complesse e dell'alta specialità pediatrica, l'ospedale «Pausilipon», polo unico per le patologie oncologiche dell'età pediatrica, e l'ospedale «Ss. Annunziata», polo dell'assistenza riabilitativa e neuropsichiatrica;
   tale assetto, appena consolidato, è stato in questi giorni rimesso in discussione;
   con la stesura del nuovo piano ospedaliero regionale, infatti, si è paventata la possibilità di una riattribuzione dell'edificio del «Ss. Annunziata» all'ASL NA 1 per collocarvi attività ambulatoriali;
   l'ospedale «Ss. Annunziata» è stato annesso all'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon nel luglio 2011, perché la regione Campania ha ritenuto di ridimensionare i presidi ospedalieri dell'ASL NA 17, anche al fine di ridurre i propri debiti, creando al contempo un polo unico pediatrico con ampliamento dell'offerta assistenziale riabilitativa e delle cure palliative, come da decreto commissariale n. 49 del 2010;
   l'ospedale «Ss. Annunziata» era uno dei presidi più improduttivi dell'ASL NA 1, con una produttività pari al 35 per cento;
   si sta compiendo un lavoro di riconversione e di ampliamento dell'offerta assistenziale, secondo i più innovativi modelli organizzativi degli ospedali pediatrici;
   nonostante tale processo sia ancora in atto, si è già riusciti ad aumentare la produttività dal 35 per cento al 57 per cento;
   l'ipotesi di riattribuzione dell'edificio del «Ss. Annunziata» all'ASL NA 1 renderebbe impossibile per l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon continuare nell'attivazione di alcune importantissime funzioni;
   in particolare si tratta della riabilitazione pediatrica ospedaliera con ricovero, che fino a pochi mesi fa non esisteva in Campania, costringendo così ogni anno centinaia di bambini a rivolgersi a strutture di altre regioni, con un costo per la regione Campania di oltre tre milioni di euro l'anno;
   grazie all'attuale configurazione dell'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon questi stessi bambini possono ora essere curati presso il «Ss. Annunziata» con apparecchiature di robotica di ultima generazione in un reparto appositamente dedicato;
   per l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon sarebbe praticamente impossibile continuare anche nell'attivazione di servizi di neuropsichiatria infantile: bambini ed adolescenti con problemi neuropsichiatrici acuti non si vedono fornita assistenza dalla regione perché mancano i posti letto pediatrici per acuti che possono essere attivati solo presso l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon e che troverebbero idonea collocazione proprio presso il presidio ospedaliero «Ss. Annunziata»;
   l'eventuale passaggio del «Ss. Annunziata» all'ASL NA 1 provocherebbe, con ogni probabilità, notevolissime difficoltà amministrative ed un contenzioso estremamente oneroso, dato che in questi tre anni sono state indette ed assegnate numerose gare per servizi dei tre presidi (pulizia, manutenzione, guardiania, pasti, trasporti, e altro);
   è evidente come sarebbe maggiormente opportuno lasciare assegnato il «Ss. Annunziata» all'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon, ed anzi, prevedere presso tale presidio ospedaliero l'ampliamento di 20 posti di riabilitazione pediatrica COD. 56 da aggiungersi ai 4 già attivi in ottemperanza del decreto n. 49 del 2010, palesemente insufficienti;
   sarebbe altrettanto opportuno assegnare all'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon 4 posti di degenza per neuropsichiatria infantile per ricoveri degli acuti e l'affidamento di alcuni trapianti pediatrici di rene, attualmente non effettuati in Campania;
   all'ASL NA 1 potrebbe essere messa immediatamente a disposizione una serie di locali (circa dieci stanze) situati tra il primo ed il secondo piano della parte monumentale della struttura, con accessi e percorsi completamente distinti da quelli dell'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon, già in uso come ambulatori, che non necessitano di ristrutturazione;
   tale ipotesi permetterebbe di conciliare le esigenze di entrambe le aziende, in considerazione dell'ampiezza degli spazi esistenti e della possibilità di collocare le attività dell'ASL NA 1 e dell'azienda ospedaliera di rilievo nazionale Santobono Pausilipon in due aree completamente distinte, evitando di modificare assetti aziendali;
   tali modifiche, infatti, comporterebbero ricadute sull'assistenza e sul corretto funzionamento amministrativo –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario nella direzione indicata in premessa, al fine di garantire il corretto funzionamento di entrambe le aziende ed un giusto equilibrio tra le diverse esigenze manifestate. (4-07014)

  Risposta. — In merito alla questione delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura-ufficio territoriale del Governo di Napoli ha comunicato quanto segue.
  La struttura del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro sanitario nella regione Campania ha precisato che l'ipotesi di una «riattribuzione» dell'ospedale «Santissima Annunziata» alla azienda sanitaria locale NA 1, non è prevista nella bozza di riordino ospedaliero regionale.
  Viene invece ipotizzato un utilizzo, da parte della azienda sanitaria locale NA 1, degli spazi disponibili presso l'ospedale «Santissima Annunziata», ferma restando la sua annessione quale polo materno-infantile, all'azienda ospedaliera di rilievo nazionale «Santobono-Pausilipon».
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.