Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 10 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 agosto 2015, il territorio dell'alto jonio calabrese è stato devastato da violentissime precipitazioni atmosferiche;
    particolarmente colpiti sono stati i comuni di Rossano Calabro e Corigliano Calabro con 160 mm di pioggia caduti in poche ore;
    una delle principali cause del disastro di Rossano è stata l'esondazione del torrente Citrea che ha rotto l'argine destro proprio nei pressi del centro abitato e ha riversato decine di metri cubi di fango tra le case della cittadina;
    con il torrente Citrea sono esondati altri corsi d'acqua tra cui i torrenti Inferno e Celadi che hanno isolato interi quartieri;
    ci sono state scene drammatiche e solo per un puro caso, fortunatamente, non si sono registrate vittime;
    il fango ha travolto decine di auto trascinandole fin in spiaggia, le strade sono divenute rapidamente impraticabili e numerose sono state le frane e gli smottamenti;
    per molte ore si sono registrate difficoltà sul versante della erogazione dei servizi primari come acqua e luce e sempre a Rossano sono stati circa 800 gli sfollati tra residenti e turisti;
    le istituzioni a partire dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, hanno manifestato piena solidarietà alle comunità, colpite e la macchina dei soccorsi si è messa subito in moto con in testa la regione Calabria;
    tempestivo è stato l'intervento della protezione civile, dei vigili del fuoco, del soccorso alpino fluviale della Guardia di finanza che ha consentito di trarre in salvo centinaia di persone;
    in collaborazione con la Caritas e le associazioni di volontariato, è stata allestita anche una cucina da campo per offrire pasti caldi;
    il Governo nazionale nel corso del Consiglio dei ministri di giovedì 27 agosto ha dichiarato lo stato di emergenza per i territori colpiti;
    lo stanziamento previsto ammonta a circa 3,9 milioni di euro. Lo stato di emergenza durerà 180 giorni, eventualmente prorogabili;
    a breve il capo della protezione civile, su indicazione della regione Calabria, nominerà un commissario che gestirà i fondi e pagherà i comuni per le spese sostenute nell'immediatezza dei fatti;
    la prefettura di Cosenza nei giorni scorsi ha diramato una prima stima per i danni valutata in circa 14 milioni di euro;
    le comunità interessate stanno ancora provvedendo a censire i danni al patrimonio pubblico e privato, alle infrastrutture e all'economia e l'importo è sicuramente destinato a salire;
    l'Ordine dei geologi ha evidenziato la necessità di investire nella prevenzione in una regione come la Calabria dove la totalità dei comuni è interessata da fenomeni di dissesto;
    occorre una pianificazione organica e una manutenzione capillare del territorio attuando migliori e più efficaci politiche di sensibilizzazione sui rischi territoriali nonché in merito alle procedure di protezione civile;
    il territorio calabrese per la sua atavica condizione di fragilità più di ogni altro deve essere oggetto di interventi di messa in sicurezza e di ripristino ambientale;
    si tratta di mettere in campo una nuova politica di programmazione e tutela del territorio contrastando in maniera efficace ogni forma di abusivismo;

impegna il Governo:

   a dichiarare, in tempi rapidi, sollecitando la conclusione di tutte le procedure previste, lo stato di calamità naturale in favore dei territori colpiti;
   ad utilizzare parte del residuo rimasto del Fondo per le emergenze nazionali del 2015 nonché, eventualmente, ad assumere iniziative per prevedere anche impegni del Fondo per l'anno 2016 in favore dei beni pubblici e privati, di quelli delle attività economiche e produttive danneggiati o distrutti dall'evento calamitoso del 12 agosto 2015;
   ad assumere iniziative per prevedere, d'intesa con i sindaci dei comuni interessati, la sospensione e/o esenzione dei tributi per il prossimo biennio;
   a prevedere, nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2016, l'allentamento del patto di stabilità per i comuni oggetto dello stato di emergenza;
   ad adottare provvedimenti che consentano, con modalità già attuate in favore delle popolazioni dell'Emilia Romagna, colpite prima dal terremoto e dai successivi eventi alluvionali del 2014, il sostegno per beni privati nonché delle attività economiche e produttive;
   a prevedere misure specifiche di sostegno in favore degli operatori turistici che hanno visto compromessa la propria attività a seguito dell'alluvione nonché per operatori commerciali e le attività agricole;
   a considerare l'adozione di iniziative volte a stabilire criteri di automaticità nella distribuzione delle risorse da destinare ai comuni in caso degli ormai sempre più frequenti eventi calamitosi, al fine di accelerare i tempi per le ricostruzioni, stabilendo così un rapporto efficace di semplificazione burocratica tra amministrazioni;
   ad assumere celeri iniziative specifiche per il recupero del patrimonio culturale sia attraverso specifiche risorse economiche sia semplificando le procedure burocratiche;
   ad assumere iniziative per prevedere interventi di consolidamento del territorio e messa in sicurezza dei corsi d'acqua;
   ad attivare, d'intesa con il governo regionale e gli enti locali, un tavolo di confronto per lo sviluppo dell'alto jonio cosentino, con particolare attenzione ai collegamenti infrastrutturali anche attraverso l'utilizzo delle risorse comunitarie.
(1-00983) «Covello, Aiello, Battaglia, Bindi, Bruno Bossio, Censore, D'Attorre, Magorno, Oliverio, Stumpo».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    si richiama la risoluzione del 7 giugno 2007, A/HRC/RES/12/12 del Consiglio per i diritti umani sul diritto alla verità e le risoluzioni dell'Assemblea generale dell'Onu A/RES/60/147 12 ottobre 2009, A/RES/68/165 del 18 dicembre 2013;
    con la sentenza «Gomes Lund vs Brasil» del 24 novembre 2010 per la prima volta una Corte internazionale sui diritti umani, quella Interamericana, ha esplicitamente affermato il «diritto alla verità», stabilendo il diritto delle vittime e dei loro familiari di cercare ricevere informazioni in merito agli abusi subiti: prerogativa riservata a una categoria specifica, le vittime di gravi violazioni dei diritti umani e i loro familiari, che costituisce un significativo passo verso una maggiore responsabilizzazione dei membri di governo;
    nel Rapporto del 4 settembre 2013 (A/68/362) dello Special Rapporteur ONU per la promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, viene riconosciuto il diritto di accesso all'informazione (come) uno dei componenti centrali del diritto alla libertà di opinione e di espressione, come stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 19), dal patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 19 (2)) e dai trattati regionali sui diritti umani;
    il rapporto sul diritto alla privacy nell'era digitale del 30 giugno 2014 (A/HRC/27/37) dell'Ufficio dell'Alto Commissario ONU ai Diritti Umani che denuncia un'allarmante mancanza di trasparenza da parte delle autorità governative associata con politiche, leggi e pratiche di sorveglianza che ostacolano qualsiasi tentativo di valutare la loro compatibilità con la legge internazionale dei diritti umani e di assicurare l'attribuzione di responsabilità;
    la risoluzione A/HRC/28/L.24 del 23 marzo 2015 del Consiglio ONU per i Diritti Umani istituisce il forum su diritti umani, democrazia e Stato di Diritto come piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione su questioni legate alle relazioni tra questi ambiti;
    la Prima Conferenza Internazionale «Stato di Diritto contro Ragion di Stato» si è svolta dal 18 al 19 febbraio 2014 organizzata dal Partito Radicale – assieme alle sue organizzazioni costituenti Nessuno Tocchi Caino e Non c’è Pace Senza Giustizia – a Bruxelles, presso il Parlamento e la Commissione europea, in cui politici, accademici ed esponenti della società civile hanno analizzato i rischi derivati dal riaffermarsi della ragion di Stato e dall'erosione dello Stato di Diritto e dei diritti umani;
    la Seconda Conferenza Internazionale «Universalità dei Diritti Umani e Democrazia per la transizione verso lo Stato di Diritto e l'affermazione del Diritto alla Conoscenza» si è tenuta il 27 luglio 2015 organizzata dai medesimi soggetti a Roma, presso il Senato della Repubblica italiana, patrocinata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in cui lo stesso Ministro, nonché rappresentanti istituzionali, politici, diplomatici ed esponenti della società civile provenienti da tutto il mondo hanno riaffermato l'interrelazione tra Stato di Diritto, diritti umani e democrazia, nonché di perseguire il riconoscimento in sede ONU dei diritto alla conoscenza come ulteriore strumento normativo di responsabilizzazione dei Governi e di effettiva protezione dei cittadini;
    l'appello per il diritto universale alla conoscenza concordato e lanciato in conclusione della Seconda Conferenza Internazionale a Roma del 27 luglio è in continuità con il Manifesto-appello dei 113 Laureati dei Premio Nobel contro lo sterminio per fame, sete e guerre nel mondo del 1980;
    il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai relatori e ai partecipanti della suddetta conferenza in cui afferma: «C’è un lavoro di conoscenza che non va mai interrotto e che è intimamente connesso con l'azione politica. La conoscenza – e il diritto alla conoscenza – è un tema emergente della nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite»;
    rispetto allo Stato di Diritto in Italia, ai sensi dell'articolo 87, comma 2, della Costituzione, l'8 ottobre 2013, il Presidente della Repubblica pro tempore Giorgio Napolitano indirizzo un messaggio alle Camere, incentrato sulle condizioni delle carceri e della giustizia che si concludeva con queste parole: «Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro Paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia»;
    la democrazia e lo Stato di diritto stanno subendo una crescente erosione a partire dalle aree del mondo occidentale e del mondo arabo come testimoniato delle gravissime e sempre più frequenti violazioni dei diritti umani, all'aumento dei conflitti e della povertà diffusa;
    il riconoscimento del diritto alla conoscenza consiste nel ruolo che tale strumento normativo avrebbe in termini di prevenzione dei conflitti e il rafforzamento dello Stato di diritto, proprio come il diritto alla verità lo ha fatto per i diritti di riparazione;
    occorre riportare la vita degli Stati democratici all'altezza dei principi ispiratori e delle norme ad essi coerenti, in un ripristinato quadro di costituzionalità nazionale e internazionale secondo un approccio basato sull'universalità dei diritti umani, sul diritto come chiave della convivenza pacifica,

impegna il Governo

a farsi promotore, insieme a Paesi rappresentativi di tutte le aree geopolitiche e regionali, iniziative in ambito ONU che conducano l'Organizzazione, le sue agenzie specializzate e gli Stati membri a intraprendere un'azione volta a favorire una transizione comune verso lo Stato di diritto e l'amnistia e a codificare a livello universale il nuovo diritto umano alla conoscenza.
(7-00768) «Amendola, Schirò, Picchi, Alli, Scotto, Rabino, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Giachetti, Valentini, Rizzetto, Pastorino, Marguerettaz, Bechis, Prodani, Rostellato, Cirielli, Civati».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la materia della produzione di interessi nell'ambito delle operazioni bancarie (cosiddetta anatocismo) è stata più volte oggetto di interventi da parte del legislatore, e di questi ultimo in ordine di tempo è la legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013) che all'articolo 1, comma 629, stabilisce che:
   «All'articolo 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il comma 2 è sostituito dal seguente:
  2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
   a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
   b) gli interessi periodicamente capitalizzati (contabilizzati) non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»;
    la suddetta disposizione fu adottata dal Parlamento allo scopo evidente e inequivoco, come del resto dimostrano anche i verbali dei lavori di Commissione e Assemblea, di cancellare dall'ordinamento giuridico l'anatocismo, meccanismo già disciplinato dall'articolo 1283 del codice civile e dall'articolo 120, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, stabilendo l'improduttività degli interessi composti e mettendo così la parola fine ad un comportamento adottato da molti istituti di credito, riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore, proposito che però sconta alcune difficoltà ricostruttive originate dal tenore letterale della norma;
    infatti, nonostante la nuova previsione sia stata introdotta al fine di impedire l'instaurarsi nei rapporti tra istituti di credito e correntisti di qualsivoglia forma del suddetto meccanismo, la stessa, in mancanza della richiamata delibera del CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio), non ha comunque prodotto in maniera uniforme sul territorio i risultati attesi, avendo alcuni tribunali interpretato la detta delibera come indispensabile all'applicabilità della norma;
    il tenore letterale della norma richiedeva pertanto un'operazione di interpretazione finalizzata a far emergere pienamente lo scopo cui la riforma mirava che ha portato il 24 agosto 2015, la Banca d'Italia a porre in consultazione fino al 23 ottobre 2015, periodo nel quale è possibile avanzare osservazioni, la proposta di delibera del CICR;
    a delibera ha aperto un vivace dibattito, soprattutto con particolare riferimento all'articolo 4 commi 4 e 5, laddove si autorizzano le banche, a partire dal 1o gennaio 2016, ad applicare la capitalizzazione degli interessi se prodotti da uno scoperto di almeno 60 giorni, rendendoli in tal modo nuovamente esigibili e rispristinando di fatto nel sistema giuridico l'anatocismo;
    tale previsione ponendosi in evidente contrasto con la volontà del legislatore deve, anche in rispetto al principio di gerarchia delle fonti del diritto, essere rigettata, consegnando così finalmente al nostro Paese una normativa chiara ed inequivoca in materia e che non possa esporsi al rischio di continui ricorsi all'autorità giudiziaria;

impegna il Governo

ad assumere ogni utile iniziativa di competenza, affinché nell'attuale fase interlocutoria di consultazione, sia confermata un'interpretazione che impedisca qualunque forma di anatocismo su rapporti regolati in conto corrente, conto di pagamento e finanziamenti a valere su carte di credito.
(7-00767) «Paglia».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    con l'interrogazione n. 5-03705 svolta il 22 gennaio 2015 in Commissione cultura, era stato sollevato il tema della disuguaglianza generata dalla normativa prevista dall'articolo 1, comma 107, della legge di stabilità 2013 riguardante l'equipollenza dei diplomi finali rilasciati dalle istituzioni Afam, nei percorsi di studio dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
    infatti, i diplomi finali rilasciati dalle istituzioni AFAM, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell'entrata in vigore della medesima legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello, secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto ministeriale;
    i corsi del vecchio ordinamento hanno continuato a funzionare, sia pure ad esaurimento, dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2013;
    l'evidente disparità introdotta dal comma 107 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, va risolta per ripristinare l'imparzialità e l'uguaglianza che devono sempre presiedere ed essere rispettate proprio nel rispetto degli stessi articoli 3 e 97 della Costituzione, anche in considerazione del fatto che la stessa formulazione dei commi da 102 a 107 rende equipollenti i diplomi vecchio ordinamento, proprio «al fine esclusivo dell'ammissione a pubblici concorsi per le qualifiche funzionali nel pubblico impiego»;
    il sottosegretario Donchia, rispondendo all'interrogazione, ha ammesso le disparità di cui sopra rinviando la risoluzione della problematica in sede di riforma del settore, peraltro già avviata con la costituzione del cosiddetto «Cantiere AFAM», nell'ambito del richiamato cantiere predisposto dal Ministero con un documento programmatico intitolato «Chiamata alle Arti» che è stato reso pubblico il 15 dicembre 2014;
    in sede di approvazione della legge di stabilità e di conversione in legge del «decreto Mille proroghe», sono stati approvati in Assemblea ed accolti dal Governo, diversi ordini del giorno che impegnavano il Governo alla risoluzione della problematica di cui sopra;
    l'articolo 1, comma 21, della recente riforma «Buona Scuola» approvata il 15 luglio 2015 ha rimandato ad un decreto attuativo ministeriale i criteri e le modalità di valutazione dei titoli accademici e di equipollenza da emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della stessa legge;
    appare opportuno venga finalmente superata la disuguaglianza in questione,

impegna il Governo

a porre in essere tutte le iniziative necessarie, anche normative, che superino finalmente la disuguaglianza in questione, per ovviare a tale circostanza, stante il fatto che il legislatore, con il citato comma 107, ha inteso porre un esatto limite temporale all'equipollenza tra titolo finale del vecchio ordinamento e titolo accademico di secondo livello.
(7-00766) «Ventricelli, Ribaudo, Culotta, Moscatt, Speranza».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   dopo diversi mesi di trattative il 6 agosto 2015 CK Hutchison Limited, società di controllo dell'operatore italiano di telefonia mobile 3Italia, e VimpelCom Ltd, società di controllo di Wind, hanno raggiunto un accordo per una joint venture paritetica — denominata Hutchinson 3G Italy Investments – per la gestione delle rispettive attività di telecomunicazioni in Italia;
   la società Hutchinson 3G Italy sarà proprietaria di 3Italia e di Wind mentre CK Hutchison Limited e VimpelCom avranno il controllo indiretto del cinquanta per cento delle azioni di Hutchinson 3G Italy;
   con oltre 32 milioni di clienti mobili e 2,8 milioni nel fisso da questa integrazione ci si attende di realizzare oltre 5 miliardi di euro, al netto dei costi di integrazione;
   il completamento dell'operazione, soggetto all'approvazione degli organi regolamentari, dovrebbe essere raggiunto entro 12 mesi, dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni dalla Commissione europea e dagli enti regolatori nazionali;
   secondo gli analisti del settore e secondo 3Italia e Wind, l'integrazione delle due reti, unita ad ulteriori e significativi investimenti, garantirà ai clienti mobili italiani una qualità della rete molto elevata e accelererà lo sviluppo dei servizi a banda larga mobile e fissa ad alta velocità nel nostro Paese;
   a tutt'oggi non si conosce ancora il parere del Governo su questa operazione e sugli sviluppi possibili, nonostante il Governo sia stato, sollecitato a rispondere in tal senso anche con un atto di sindacato ispettivo del 9 giugno 2015, quando la trattativa era ancora in corso;
   l'Agenzia Bloomberg in un comunicato stampa del 12 maggio 2015 ha fornito pochi dettagli sia sull'operazione sia sull'assetto della struttura organizzativa;
   nulla si sa ancora sul destino dei dipendenti delle due società (Wind ne ha circa settemila e 3Italia circa cinquemila) dopo la ristrutturazione aziendale, inoltre non è ancora chiaro dove sarà la sede della nuova azienda, tenuto conto che finora hanno avuto le rispettive sedi in città diverse;
   lavoratori e sindacati non nascondono la preoccupazione che questa integrazione possa dar luogo a riduzione di personale oppure a spostamenti in altre città, disagi e timori che potrebbero riguardare anche lavoratori collegati indirettamente alle due società, in particolare Trezzano sul Naviglio, un piccolo paese in provincia di Milano, grazie alla presenza della sede principale di H3G, ha sviluppato un'economia di servizi (servizi di consulenza, ristorazione, sicurezza, logistica, pulizie);
   inoltre, questa operazione potrebbe comportare una riduzione complessiva delle frequenze possedute dalle singole aziende con un conseguente minore introito per lo Stato derivante dalla riduzione delle concessioni relative alle frequenze telefoniche –:
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di dover far conoscere i propri orientamenti su un'operazione economico-finanziaria di tale rilevanza e quali iniziative intenda adottare per assicurare, la tutela occupazionale.
(2-01073) «Melilla».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica del 17 novembre 2005, n. 259 è stato istituito il gruppo sportivo del Corpo forestale dello Stato, denominato gruppo sportivo forestale;
   il gruppo sportivo è nato per volontà di alcuni forestali sciatori che si cimentarono sulle piste di fondo confrontandosi con atleti appartenenti ad altri Corpi e riportando successi in campo nazionale;
   attualmente il gruppo sportivo del Corpo forestale dello Stato è affiliato a sedici Federazioni sportive italiane facenti parte del C.O.N.I. e le sedi principali di queste sezioni sono dislocate presso le strutture della Scuola;
   il gruppo sportivo del Corpo forestale dello Stato ha legato la cultura ecologica alla cultura sportiva permettendo di diffondere l'immagine del forestale, da sempre custode ed interprete della natura e delle sue bellezze;
   il grado di preparazione degli atleti e l'inserimento del settore femminile, hanno ulteriormente sviluppato l'attività del gruppo sportivo che ha mietuto successi di alto livello internazionale che sono motivo d'orgoglio non solo per l'amministrazione forestale ma per l'intera Nazione;
   l'imminente emanazione del decreto attuativo della legge delega n. 124 del 7 agosto 2015, prevede la probabile cancellazione del Corpo forestale dello Stato accorpando tale forza di polizia ai carabinieri –:
   quali siano le sorti del gruppo sportivo forestale e come verranno assegnati gli atleti, le atlete e i responsabili delle numerose discipline facenti parte del Gruppo medesimo in caso di accorpamento di tale forza ai Carabinieri, anche in considerazione del fatto che l'Arma dei carabinieri ha un suo gruppo sportivo con atleti e atlete nonché i responsabili delle diverse discipline;
   se non si ritenga che, alla luce dei risultati ottenuti dagli atleti e dalle atlete appartenenti al Corpo forestale dello Stato e che hanno portato ai successi sportivi la nostra nazione anche nel mondo, non sia opportuno tutelare il ruolo che svolgono. (5-06358)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il comma 16 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 cosiddetto «La Buona Scuola», tra gli altri, richiama di fatto la disciplina del regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo n. 1381/2013 per evitare le discriminazioni di genere;
   le teorie gender introducono l'idea che il sesso che «siamo» può non coincidere con il «genere» che possiamo divenire. In altri termini: si può nascere donne e divenire uomini o, viceversa, si può nascere uomini e divenire donne. Insomma, la natura è irrilevante ciò che conta è come ci «sentiamo» e soprattutto come «vogliamo» essere;
   ad oggi tutti i tentativi di diffusione della cultura gender nell'ambito dell'autonomia scolastica, vengono fatti sulla base dell'articolo 5, comma 2, lettera c), del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119 (legge contro la violenza di genere), che tra le sue pieghe contiene la possibilità per gli insegnanti di educare gli alunni alla cultura gender, attraverso libri di testo all'uopo predisposti fin dalla scuola dell'infanzia;
   di recente a seguito delle pressioni dell'opposizione e anche di parte dell'attuale maggioranza di Governo, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è impegnato affinché in nessuna scuola vengano proposti argomenti di questo tipo, senza specifico consenso scritto dei genitori, unici responsabili dell'educazione dei propri figli;
   si apprende con preoccupazione che l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) del dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri ha messo a punto la «Strategia nazionale LGBT» (lesbiche, gay, bisex, trans) ed ha emanato delle «Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT»;
   ad avviso dell'interrogante i compiti dell'UNAR, secondo quanto voluto dalla legge e riportato dal sito istituzionale del medesimo, si dovrebbero limitare unicamente a ciò che attiene alla discriminazione in base alla razza e all'etnia;
   quindi ad avviso dell'interrogante di fatto l'UNAR sta usando fondi pubblici per occuparsi di argomenti che appaiono al di fuori del proprio incarico istituzionale –:
   se il Presidente del Consiglio intenda una volta per tutte prendere una posizione definita sull'argomento, dando conseguentemente indicazioni precise all'UNAR, affinché questo ufficio, come ritiene l'interrogante, non travalichi costantemente gli ambiti attinenti alla propria attività istituzionale;
   se la linea del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sul tema dell'educazione gender, narrata in premessa, sia condivisa dal Presidente del Consiglio o se lo stesso sposi piuttosto le tesi dell'UNAR;
   se intenda valutare la possibilità della chiusura di questo ufficio o perlomeno di stabilirne linee precise di azione dalle quali non discostarsi, pena la soppressione dello stesso. (4-10290)


   PRATAVIERA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2015 una tromba d'aria devastante si è abbattuta su diversi comuni della Riviera del Brenta: Mira, Dolo, Pianiga tra i quelli maggiormente colpiti;
   in pochi minuti, un evento atmosferico di dimensioni eccezionali, ha causato danni per milioni di euro: vetrine in frantumi, alberi completamente sradicati, case scoperchiate, antiche ville fortemente danneggiate, auto distrutte, coltivazioni rase al suolo;
   i danni non sono stati solo a cose ma anche e, purtroppo, a persone: un morto e circa 30 feriti, ma il bilancio è ancora provvisorio;
   le precipitazioni si sono manifestate improvvisamente e con violenza, cogliendo di sorpresa chi fino a pochi minuti prima stava osservando il sole in cielo: vento fortissimo, chicchi di grandine delle dimensioni di un'albicocca. Diverse frazioni dei comuni sopra citati sono rimaste senza corrente elettrica, sono infatti crollati, per la furia della tempesta, i tralicci dell'alta tensione;
   i tesori della Riviera sono stati devastati: il ristorante hotel Villa Fini praticamente non esiste più, e molte altre dimore storiche avrebbero subìto danni. Un patrimonio inestimabile che rischia di portare i segni a lungo di quanto accaduto;
   la conta dei danni è comunque solo all'inizio, e sarà completa sono nei prossimi giorni. I sindaci di Mira, Dolo e Pianiga hanno chiesto ai vigili del fuoco di stringere le maglie dei controlli per evitare episodi di sciacallaggio: infatti, sono tante le persone che si ritrovano con la propria abitazione inagibile. A tal proposito, la protezione civile ha approntato diversi punti di ricovero distribuiti nei territori dei comuni colpiti;
   il presidente della regione del Veneto Luca Zaia ha convocato giovedì una seduta straordinaria della giunta regionale per capire la portata dei danni e quali potranno essere i prossimi sviluppi dal punto di vista meteorologico;
   a parere degli interpellanti, dovrebbe comunque essere attivata una procedura accelerata per il riconoscimento dello stato di emergenza per il territorio della Riviera del Brenta;
   il Governo dovrà rendersi conto della gravità della situazione e della eccezionalità dell'evento che ha provocato rilevantissimi danni, alcuni dei quali pesantissimi per il patrimonio culturale del nostro Paese –:
   se il Governo, in considerazione del gravità e straordinarietà dell'accaduto, non ritenga opportuno assumere iniziative per proclamare in tempi rapidi lo stato di emergenza nei territori maggiormente colpiti e permettere l'assegnazione di risorse straordinarie, da assegnare direttamente alle amministrazioni colpite, per fronteggiare la situazione di emergenza provocata dalla tromba d'aria e per risarcire i danni subìti, dai cittadini, commercianti, artigiani e dagli agricoltori riguardanti colture e cose;
   se il Governo non ritenga opportuno adottare al più presto iniziative al fine di sospendere, innanzitutto, l'invio delle cartelle esattoriali e i pagamenti richiesti, ma, al contempo, anche al fine di prevedere degli sgravi fiscali per le famiglie e le imprese delle aree colpite, sovvenzionando in maniera più efficace la ricostruzione degli edifici e la ripresa di tutti i comparti economici, attraverso certi e subitanei finanziamenti. (4-10318)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991, dando attuazione agli articoli 9 e 32 della Costituzione, si sono dettati i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita le regione si istituiscono e delimitano i parchi nazionali in via definitiva. La norma sopracitata, in particolare, all'articolo 9 attribuendo all'Ente Parco personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco e subordinandolo alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede quali sono gli organi necessari dello stesso: un presidente, un consiglio direttivo, una giunta esecutiva, un collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco. Lo stesso articolo 9, inoltre, prevede che il consiglio direttivo debba essere composto da «esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità». All'articolo 24, si prevede che: «in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale preveda, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione ed i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunità del parco». La regione Campania, ad esempio, con la legge regionale n. 33 del 1993, istitutiva di parchi e riserve naturali, dettava i requisiti necessari per i soggetti che ambiscono a ricoprire la carica di presidente di Parco; e, infatti, all'articolo 8 si prevede che il presidente dell'Ente Parco: «venga nominato dalla Giunta Regionale su proposta degli Assessori alle Foreste, alla Urbanistica e all'Ecologia, sentito il parere delle Commissioni Consiliari competenti ai sensi della legge n. 26 del 24 aprile 1980 e prescelto tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente e non ricoprano cariche elettive e/o amministrative negli Enti Locali, negli organi di gestione di Enti Regionali nonché cariche elettive regionali, parlamentari ed europee». La giunta regionale dunque deve nominare il presidente in seguito ad una selezione accurata curriculare, basata sulle reali esperienze, assicurandosi che tali soggetti siano «persone distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente». In tali casi, che se anche riguardano i parchi regionali, sono indicativi di un criterio e un indirizzo chiaro nella valutazione dei curricula e nelle procedure di nomina, è evidente ci si assicuri la scelta al vertice degli enti di soggetti preparati e portatori di una spiccata sensibilità alle tematiche della tutela dell'ambiente e del territorio. È condizione necessaria ma non sufficiente aver condotto studi in materie ambientali o l'aver soltanto intrapreso attività genericamente connesse all'ambiente. La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha affermato che il dato rilevante è l'aver svolto un impegno di durata e rilevanza tale da assurgere ad «elevato elemento di distinzione e specifica qualificazione del soggetto interessato». L'organo di giustizia amministrativa pone l'accento sulla concretezza e sul rilievo dell'attività svolta. Ed in tal senso anche il Consiglio di Stato ha ribadito la ratio sottolineando la differenza che passa tra attività che possono considerarsi rilevanti e foriere di impegno effettivo da quelle che, al contrario, si configurano solo apparentemente come tali (Consiglio di Stato sentenza n. 4468/2007). Ne deriva che non il titolo di studio né una generica attività inerente alla tutela dell'ambiente sono elementi sufficienti a consentire ad un soggetto di ricoprire il vertice dell'organizzazione Ente Parco. Colui che intenda accedere alla carica deve aver svolto un impegno in materia non solo concreto ma anche di qualità superiore alla media. Esemplificativo appare il precedente costituito dalla sentenza 2803/2006 del TAR Campania in cui il giudice amministrativo non ha ritenuto sufficiente considerare come elemento distintivo il solo avere ricoperto la carica di assessore comunale all'ambiente, per essere la stessa «un'esperienza professionale di politica amministrativa e non quindi indicativa di un «particolare impegno nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione del patrimonio pubblico». L'amministrazione, dunque, nello scegliere la personalità più indicata a ricoprire il ruolo di presidente dell'Ente Parco deve, anche nel rispetto delle norme e di una consolidata giurisprudenza, vagliare accuratamente gli studi e le esperienze di ciascun candidato considerandone la quantità e la qualità privilegiando colui il quale si è realmente distinto per un impegno attivo nella salvaguardia e nella tutela del territorio. Il recente decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, disciplina il futuro degli organi collegiali di tutti gli Enti Parco nazionali, compresi quelli ricadenti nelle regioni a statuto speciale, stabilendo che i componenti del consiglio direttivo dei parchi saranno in futuro costituiti da otto componenti individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità: quattro designati dalla Comunità del Parco (dai comuni e altri enti locali), uno nominato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, uno scelto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, uno indicato dalle associazioni ambientaliste riconosciute e infine un membro scelto dall'Istituto superiore per la protezione della ricerca ambientale (Ispra), chiarendo alcuni passaggi gestionali utili e snellendo procedure e incertezze del passato. Con la proposta di legge n. 1490 del 2013 di iniziativa del primo firmatario del presente atto, dell'onorevole Rughetti e dell'onorevole Rostan di riforma della legge n. 394 del 1991 precedentemente richiamata, si intende rafforzare l'intento del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, prevedendo sfere di competenza chiare ed esplicite, soprattutto nel governo partecipativo e attivo del territorio, e rileggere in chiave moderna la politica delle aree protette alla luce dell'attuazione della strategia nazionale della biodiversità. Si intende perseguire, infatti, una riduzione drastica di comitati nazionali e consulte, utilizzando le strutture ministeriali quali strumenti di raccordo interistituzionali (SCN e ISPRA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), e una concreta sburocratizzazione semplificazione amministrativa eliminando l'attuale duplicazione di controllo da parte dell'Ente Parco e della Soprintendenza con la conseguente eliminazione della competenza della Soprintendenza nelle aree del Parco ad emettere parere preliminare vincolante sugli interventi e l'esclusiva competenza dei parchi a rilasciare lo stesso nelle aree di loro pertinenza. L'articolo 142 T.U. del paesaggio, infatti, indica tra le aree tutelate per legge con vincolo paesaggistico i parchi e le riserve regionali; chi intende intervenire su tali beni necessita attualmente di tre autorizzazioni: autorizzazione paesaggistica (ex articolo 146 T.U. Paesaggio), permesso di costruire (ex articolo 13 T.U.E) e nullaosta del parco (ex articolo della legge n. 394 del 1991). La prima è emessa dallo sportello unico edilizia del comune, previo parere della soprintendenza, il secondo dal detto sportello e il terzo dall'Ente Parco. Eliminare il parere preliminare vincolante sugli interventi emesso dalla Soprintendenza, attualmente necessario per il rilascio di autorizzazione paesaggistica non è da intendersi come diminuzione di tutela e garanzia per l'integrità dei territori e delle aree esponendole a rischi di varia natura, è da intendersi invece come tentativo volto alla responsabilizzazione dell'Ente Parco nella gestione del suo territorio di pertinenza, di per sé già vincolato, e alla velocizzazione e miglioramento della procedura amministrativa stessa, con un notevole risparmio di tempo e costi per i cittadini richiedenti –:
   quale contributo concreto intenda dare il Ministro alla riforma richiamata, in particolar modo se sia favorevole o meno all'eliminazione della richiesta del parere preventivo conforme della Soprintendenza nelle aree protette ritenendo sufficiente ed efficace quello rilasciato dall'autorità dell'Ente Parco e se, su eventuali procedure di nomina in atto di organi direttivi e presidenziali di parchi nazionali intenda adottare criteri che ottemperino a quanto disposto dall'attuale articolo 9, comma 4, della legge n. 394 del 1991, ai principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti all'articolo 97 della Carta Costituzionale, oltre che ai consolidati orientamenti giurisprudenziali delle magistrature amministrative.
(2-01074) «Valiante, Borghi, Bossa, Ciracì, Giulietti, Minnucci, Romanini, Fioroni, Grassi, Luciano Agostini, Lodolini, Fanucci, Famiglietti, Zoggia, Ferro, Ferrari, Folino, Giorgio Piccolo, Giancarlo Giordano, Ragosta, Ginefra, D'Incecco, Zardini, Ribaudo, Cuomo, Morassut, Mazzoli, Marotta, Monchiero, Lenzi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAGORNO, AIELLO, BRUNO BOSSIO e COVELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, un collaboratore di giustizia avrebbe rivelato il presunto interramento di rifiuti di natura «sospetta» nel comune di Lattarico, in provincia di Cosenza;
   i suddetti rifiuti, probabilmente scorie radioattive provenienti da aziende del settentrione, sarebbero stati fatti seppellire venti anni fa, nel sottosuolo delle campagne di Lattarico e più precisamente nella frazione denominata Regina, da un avvocato campano che avrebbe acquisito anche la complicità di un imprenditore cosentino in cambio di ricchi appalti e rilevanti commesse pubbliche nel Nord Italia;
   l'avvocato, affiliato al clan dei casalesi, è considerato il deus ex-machina delle ecomafie ed è tuttora sotto processo nella città partenopea proprio per le vicende legate allo smaltimento illegale di rifiuti tossici e dannosi nella sua regione;
   tali notizie hanno giustamente suscitato preoccupazione ed allarmismo nella popolazione di Lattarico;
   l'occultamento dei rifiuti pericolosi e delle scorie radioattive è una delle attività più redditizie per le cosche mafiose e, a parere degli interroganti, nel corso degli anni, sarebbero state tante le affermazioni rilasciate in merito anche da altri esponenti della criminalità calabrese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere in maniera urgente al fine di contribuire a fare piena luce sui fatti di cui alle citate dichiarazioni e di salvaguardare l'ambiente nonché la salute e la tranquillità dei cittadini.
(5-06347)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai danni della Sardegna si sta consumando l'ennesimo misfatto considerato che nonostante gli annunci sugli stanziamenti post-alluvioni, i fondi per la Sardegna non ci sono;
   non esistono i 120 milioni di euro annunciati, solo 16 ad Olbia che prende il 20 per cento rispetto a situazioni molto meno gravi nella delibera Cipe;
   non esistono i 30 milioni di euro annunciati per Cagliari;
   ad agosto 2015 è stata inscenata una conferenza stampa dove la Sardegna risulta ancora una volta «ingannata» in relazione all'inesistenza dei fondi propagandati per l'alluvione di Olbia e Cagliari;
   non esistono da nessuna parte il miliardo e 300 milioni di euro annunciati per tutta l'Italia ma meno della metà;
   ad Olbia non vanno 81 milioni di euro come pomposamente annunciato ma appena 16, mentre non esistono stanziamenti per Cagliari;
   la delibera Cipe 32/2815 che approva le opere richiamate mette nero su bianco le sole risorse esistenti, per complessivi 654 milioni di euro;
   quei 120 milioni di euro annunciati per la Sardegna non esistono, da nessuna parte;
   il riparto che è stato fatto delle risorse disponibili è un atto grave e sleale nei confronti della Sardegna;
   è assolutamente inesistente lo stanziamento di 81 milioni di euro per Olbia, ma solo il 20 per cento di quello annunciato, appena 16 milioni di euro;
   la tabella analitica di riparto dimostra come Olbia non abbia avuto nessuno stanziamento da 81 milioni di euro e, anzi, sia stata quella a prendere meno in assoluto nonostante abbia subito i danni maggiori, anche in termini di vite umane, e con un evento risalente ormai a quasi tre anni fa;
   a realtà come Venezia, Pescara, Cesenatico è stato, invece, assegnato il 100 per cento delle risorse necessarie;
   a Milano hanno assegnato il 91 per cento delle richieste, 84 per cento a Genova, il 73 per cento a Firenze. In termini assoluti i dati sono emblematici:
    Venezia ha chiesto 61,8 milioni di euro e gli sono stati concessi tutti e subito;
    Pescara ha presentato progetti per 54,8 milioni e ha ricevuto tutto;
    Cesenatico ha chiesto 18,5 milioni e ha avuto uno stanziamento analogo;
    Milano ha chiesto 122 e ha ottenuto 112 milioni;
    Firenze ha chiesto 73 milioni ha ottenuto 55;
    Padova – Vicenza richieste per 93 milioni con uno stanziamento di 42,3 milioni;
    Olbia 81 solo 16 concessi;
    Cagliari ne ha chiesti 30, ne sono stati concessi zero;
   si tratta, ad avviso dell'interrogante, dell'ennesima promessa inconsistente di questo Governo che annuncia risorse senza averle;
   la conferenza stampa dei due Ministri ha fatto emergere sin dall'inizio, a giudizio dell'interrogante, che si trattava di una conferenza «stampa propaganda» con dati privi di qualsiasi consistenza;
   un atto di una gravità inaudita se si pensa alle vite umane che hanno pagato con la morte il disastro del 18 novembre del 2013;
   si tratta di danni mai pagati e ora c’è anche l'affronto istituzionale di stanziamenti annunciati ma inesistenti;
   tutto questo è inaccettabile perché offende le vittime di quella tragedia e tutte le comunità locali –:
   se non ritenga di dover chiedere scusa ai sardi per questa inesistente assegnazione di risorse e provvedere a stanziare le giuste risorse necessarie ad affrontare situazioni drammatiche;
   se non ritenga di dover spiegare e rimediare all'assenza totale di criteri nel riparto dei fondi al fine di ristabilire riequilibrio e certezza dei diritto in assegnazioni che appaiono strumentali e destituite di qualsiasi criterio logico;
   se non ritenga necessario proporre criteri oggettivi e puntuali per il riparto delle risorse. (5-06359)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è all'esame della Commissione di valutazione impatto ambientale il progetto impianto solare termodinamico della potenza lorda di 55 MWe denominato «Flumini Mannu» ed opere connesse;
   il procedimento di cui in premessa è viziato ad avviso dell'interrogante da rilevanti profili di dubbia legittimità per le quali si chiede al Ministero competente di interrompere la procedura di valutazione di impatto ambientale;
   il progetto prevede la realizzazione di una centrale solare termodinamica (CSP – Concentrating Solar Power) di potenza lorda pari a 55 MWe denominata Flumini Mannu costituita da un campo solare formato da collettori parabolici lineari, di un impianto pilota di desalinizzazione e della connessione elettrica in alta tensione (150kV) fra la centrale e la cabina primaria Villasor 2;
   il 6 settembre 2015 sono scaduti i termini per la presentazione delle osservazioni:
    il progetto è presentato dalla società Flumini Mannu ltd, avente sede legale a Londra (Bow Road, 221) e sede fiscale a Macomer (Corso Umberto I, 226);
    la medesima società nel mese di novembre 2013 ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una richiesta di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (VIA) relativa al progetto denominato «Impianto solare termodinamico da 55 MWe ricadente nel comune di Decimoputzu e Villasor (CA) denominato Flumini Mannu»;
    la società Flumini Mannu ltd, avente sede legale a Londra (Bow Road, 221) e sede fiscale a Macomer (Corso Umberto I, 226) ha già presentato un altro progetto preliminare per la realizzazione di una centrale solare termodinamica della potenza di circa 50 MWe, con superficie complessiva di circa 235 ettari e superficie captante di circa 745.200 metri quadrati, basata sulla tecnologia dei collettori parabolici lineari con sistema di diretto a sali fusi da realizzarsi nei comuni di Giave e Bonorva, oltre quella di circa 211 ettari da realizzarsi nel territorio agricolo dei comuni di Gonnosfanadiga e Guspini di potenza complessiva di 50 MWe;
    le aree interessate dal progetto in questione sono attualmente destinate a uso agricolo e zootecnico come stabilito dagli strumenti urbanistici comunali e pertanto in tali zone agricole possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse non certo attività di produzione energetica di tipo industriale come quella in progetto;
   tale tecnologia appare all'interrogante in palese contrasto con le disposizioni (articoli 1 e 15) e la disciplina transitoria di cui all'articolo 69 delle norme tecniche di attuazione del nuovo piano paesaggistico regionale della Sardegna approvato con delibera della giunta regionale n. 45/2 del 25 ottobre 2013;
   il progetto presentato della società Flumini Mannu ltd, secondo l'interrogante porta di fatto a realizzare una centrale solare termodinamica nei comuni di Decimoputzu e Villasor con l'ottenimento di ingenti incentivi statali e lauti profitti e con evidente contrarietà nelle popolazioni interessate a tali investimenti, devastando le aree agricole che il territorio possiede; ed in ogni caso gli investimenti sono destinati a modificare radicalmente l'ambiente e le prospettive di sviluppo del territorio, a fronte di ricadute del tutto inesistenti per il territorio e la stessa popolazione locale;
   la società Flumini Mannu ltd, avente sede legale a Londra (Bow Road, 221) e sede fiscale a Macomer (Corso Umberto I, 226) non dispone in alcun modo delle aree oggetto della proposta di intervento;
   con modalità di dubbia legittimità tale società ha progettato e messo in essere procedure autorizzative su aree di cui non dispone e gli stessi legittimi proprietari, a quanto consta all'interrogante, avrebbero dichiarato di non voler in alcun modo vendere; gli attuali proprietari di tale aree, come ampiamente documentato e dichiarato, hanno manifestato la piena e totale contrarietà alla cessione dei propri beni, perché rappresentano di fatto la loro ragione di vita;
   tale elementare constatazione ancor prima delle altre di natura tecnica, economica ed urbanistica dovrebbe indurre la commissione a respingere l'istanza per l'assenza di un fondamentale presupposto, considerato che tale progetto a parere dell'interrogante non ha alcuna rilevanza pubblica e soprattutto la sua approvazione costituirebbe un arricchimento di privati che a nessun titolo possono chiedere tale autorizzazione su un patrimonio di cui non dispongono;
   secondo l'interrogante procedere in tale valutazione implicherebbe responsabilità evidenti anche in capo alla stessa commissione considerato che non si può in alcun modo costituire un presupposto economico su aree indisponibili. E come se un privato progettasse e chiedesse le autorizzazioni per realizzare una casa in un terreno altrui accampando, grazie a quelle eventuali autorizzazioni, il diritto a realizzarla e a disporre del terreno;
   tale iter autorizzativo non può essere perseguito in alcun modo e va respinto proprio per l'assenza del primo presupposto della proprietà considerato che non può essere la commissione di valutazione di impatto ambientale a dichiarare l'interesse pubblico di tale intervento;
   quest'ultimo accampato interesse pubblico è destituito di ogni fondamento proprio perché tutti i soggetti pubblici hanno dichiarato la totale contrarietà all'intervento e, quindi, non si vede come possa essere accampata tale surreale e per molti improbabile ipotesi;
   a questo si aggiunge la competenza esclusiva della regione autonoma della Sardegna sul paesaggio, la «panoramica» e il Governo e la pianificazione del territorio. Competenza che non può in alcun modo essere violata e messa in discussione da un iter autorizzativo che non ha i presupposti elementari di diritto civile, privatistico, urbanistico e non ultimo costituzionale;
   in tal senso si reitera la richiesta di non procedere ad alcuna determinazione sul progetto per assoluta mancanza dei presupposti elementari e fondamentali per il suo esame da parte dell'organismo che ne ha attivato la procedura di valutazione di impatto ambientale;
   l'unica certezza del progetto presentato dalla, società Flumini Mannu ltd, è l'impatto di 269 ettari di strutture di acciaio e di specchi che andranno a coprire gran parte della piana, comportando, di fatto, la desertificazione dei suoli e la loro definitiva sottrazione agli usi agricoli, l'utilizzo abnorme di acqua per far funzionare l'impianto, il possibile cambiamento del microclima, per la presenza di un certo quantitativo di tubi che raggiungono elevate temperature, il possibile impatto inquinante sui terreni, l'impatto sulla fauna, l'impatto sulle risorse archeologiche e turistiche della zona;
   tale progetto si basa su presupposti che appaiono all'interrogante errati, fuorvianti, di dubbia legittimità a partire dalla valutazione agronomica delle aree oggetto della esilarante proposta progettuale;
   è fin troppo evidente che la tesi fuorviante, secondo la quale la mitigazione di un ipotetico degrado del suolo possa realizzarsi attraverso attività che ne modifichino radicalmente la destinazione d'uso, è destituita di ogni fondamento. Da agricola ad industriale. Introducendo poi sul suolo elementi fissi, non correlabili a qualsiasi forma di conduzione agraria delle terre; modificando la morfologia attraverso imponenti movimenti terra per il livellamento delle superfici; realizzando un'imponente rete di ancoraggi delle strutture e via elencando. Strutture tutte che altereranno irreversibilmente i pedopaesaggi, che rimarranno come macerie di un'attività industriale anche al termine della vita dell'impianto;
   risulta rilevante ai fini del rigetto preventivo dell'istanza il parere espresso dal servizio ispettorato ripartimentale di Cagliari del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della regione Sardegna, in data 15 maggio 2014, protocollo 32298, Pos. 14.15.1, indirizzato al Servizio S.A.V.I. dell'assessorato regionale difesa ambiente, avente per oggetto l'istanza della Energogreen Renewables per l'avvio della procedura di VIA del progetto in esame le cui conclusioni sono completamente condivisibili: «Alla luce di quanto argomentato si ritiene che gli allegati progettuali citati siano fortemente inadeguati e giungano a conclusioni inaccettabili»;
   a tutto ciò si aggiunge un altro aspetto rilevante legato alla procedura proposta e a quello che all'interrogante appare un maldestro quanto illegittimo e palese tentativo di aggirare la competenza primaria della regione autonoma della Sardegna anche in relazione alla valutazione di impatto ambientale;
   il progetto in esame è, infatti, ubicato sostanzialmente nella stessa zona oggetto di un precedente progetto valutato dalla giunta regionale della Sardegna nella deliberazione n. 5/25 del 29 gennaio 2013;
   in tale deliberazione si evidenzia che, con nota prot. n. 1454/TP/CA-CI del 10 gennaio 2013, il servizio tutela paesaggistica per le province di Cagliari e Carbonia-Iglesias ha comunicato che «l'intervento proposto è in parte sottoposto a vincolo paesaggistico dal decreto legislativo n. 42 del 2004, ai sensi:
    dell'articolo 142, comma 1, lettera a), poiché entro i 150 metri dalla sponda del fiume «Gora Piscina Manna»;
    dell'articolo 143 del suddetto codice, per effetto dell'articolo 17, comma 3, lettera h) delle norme tecniche di attuazione del Piano Paesaggistico regionale, poiché entro i 150 metri dalle sponde dei corsi d'acqua «Canale Riu Nou», «Gora S'Acqua Frisca», «Riu Porcus»;
   il progetto presentato dalla FLUMINI MANNU LIMITED viene ubicato nella stessa zona dove dovrebbero persistere i vincoli ostativi appena citati con conseguente rigetto dell'istanza;
   il nuovo progetto presenta una potenza maggiore, eppure sono diminuiti notevolmente i costi, modifica progettuale che appare utile a trasformare la competenza da regionale in statale;
   trattasi, secondo l'interrogante di un palese aggiramento strumentale della competenza della regione autonoma della Sardegna in materia di valutazione di impatto ambientale;
   a nulla valgono in una regione a statuto speciale direttive e norme statali in contrasto con le competenza statutarie e costituzionali riconosciute alla regione autonoma della Sardegna;
   le colture e gli allevamenti – che attualmente rappresentano un'eccellenza per l'agricoltura sarda e che con la realizzazione dell'impianto verrebbero spazzati via – in essere nella zona in oggetto devono essere tutelati proprio in relazione agli evidenti e permanenti effetti negativi derivanti dalla deprecabile messa in esercizio dell'impianto;
   in tal senso è la stessa norma di recepimento a chiarire la totale violazione del presupposto di tutela dell'areale oggetto della proposta di intervento. L'articolo 12, comma 7, secondo periodo, del decreto legislativo n. 387 del 2003 chiarisce che gli impianti relativi ad energie rinnovabili possono essere ubicati anche in zona agricola stabilendo che: «Nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale»;
   il diritto dell'intera comunità sarda a veder salvaguardata un'area preziosissima sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista agricolo non può cedere di fronte alla richiesta relativa ad un impianto per le energie rinnovabili;
   il danno che si verrebbe a creare all'ambiente (notevole impermeabilizzazione, modifica corsi d'acqua, impatto visivo devastante, e altro) e all'agricoltura con la perdita di suolo fertile (il basso campidano, zona in cui la Flumini Mannu Limited intenderebbe ubicare il progetto, rappresenta la zona più fertile della Sardegna), chiusura di aziende agricole esemplari, sarebbe notevolmente superiore agli inesistenti vantaggi che l'impianto potrebbe eventualmente produrre;
   la finalità della disposizione dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 è quella di salvaguardare l'ambiente ed il territorio non solo dal punto di vista della produzione di energia ma, e soprattutto, dal punto di vista della situazione agricola esistente la quale, come nella vicenda in oggetto, deve essere necessariamente tutelata poiché rappresenta un punto di forza per la tutela naturale del territorio e per la produzione di cibo e di altri beni di prima necessità;
   la situazione attuale generatasi per effetto di argomentazioni che non hanno fornito una corretta rappresentazione della realtà da parte della società Flumini Mannu Limited, non è certo quella di un territorio degradato, abbandonato e/o desertico; si rileva piuttosto un corretto e proficuo utilizzo del suolo da parte di aziende agricole limitrofe che svolgono con cura, dedizione e rispetto dell'ambiente, le loro attività e i loro redditi di sostentamento;
   la realizzazione di un impianto di così complessa entità che si sviluppa su una superficie lorda di circa 270 ettari, costituisce inevitabilmente un forte impatto antropico relativamente all'occupazione di un suolo storicamente destinato ad attività agricole e circondato da altri terreni con la medesima destinazione d'uso ed un forte impatto visivo di difficile mitigazione;
   tutti elementi che non tengono conto della competenza primaria ed esclusiva della «panoramica» individuata reiteratamente dal legislatore regionale e statale nelle norme di attuazione dello statuto regionale sardo;
   in conclusione si ritiene necessario richiamare una puntuale valutazione della stessa ENEA che afferma che «il solare termodinamico consente di valorizzare terreni non altrimenti utilizzabili, come le aree desertiche, le aree industriali dismesse o le discariche esaurite»;
   basterebbe questa considerazione per escludere questa ipotesi «delittuosa» di utilizzo di un'area così rilevante sul piano agricolo, ambientale ed economico;
   si tratta di una proposta progettuale destituita di qualsiasi valenza ambientale ed energetica, tesa solo ed esclusivamente ad utilizzare l'abnorme, immorale e irrazionale incentivazione alla produzione di energia elettrica per siffatti impianti portatori ad avviso dell'interrogante solo di azioni speculative sul territorio regionale sardo come già accaduto per mega impianti fotovoltaici in area agricola e per svariati impianti eolici disseminati maldestramente nel territorio sardo –:
   se non ritenga di dover intervenire presso gli uffici del Ministero responsabili della procedura perché in prima istanza gli uffici medesimi e la commissione prendano atto dell'improcedibilità dell'esame per l'assenza dei presupposti richiamati in premessa e determinino l'archiviazione della procedura stessa; ovvero, se non si ritenga di sospendere e annullare la procedura in corso in sede di autotutela in quanto in totale contrasto con le norme ambientali e paesaggistiche della regione autonoma della Sardegna e con presupposti rilevanti contenuti nel progetto e nella conseguente procedura avviata.
(5-06362)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, CRISTIAN IANNUZZI, MUCCI, PRODANI, ARTINI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'iprite e il fosgene sono dei gas incolori ma dagli odori caratteristici, estremamente tossici e aggressivi, impiegati come armi chimiche nella seconda guerra mondiale, catalogati dalle Nazioni Unite come armi di distruzione di massa, la cui produzione è stata messa al bando dalla convenzione sulle armi chimiche del 1993;
   da fonti storiche si apprende che a Foggia, in via del Mare, proprio in corrispondenza del cartello «Foggia città denuclearizzata», all'interno della recinzione dei terreni dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (I.P.Z.S. – Cartiera), durante la seconda guerra mondiale, venne costruita una fabbrica chimica, nota come «la fabbrica della morte» i cui lavori furono ultimati nel 1941 per cui la produzione andò a regime soltanto nel 1943;
   dai dati ricavati dalla scarsa letteratura, si apprende che nello stabile si producevano in gran segreto circa trecento tonnellate mensili di prodotti chimici (fosgene – gas soffocante, iprite – gas vescicante, ossicloruro di carbonio, gas lacrimogeno e asfissiante, altri aggressivi chimici e nitrocellulosa) utilizzabili a fini bellici;
   in un documento storico rinvenuto negli anni ’90 compaiono indicazioni minuziose su come si dovesse procedere alla distruzione dello stabile chimico che venne distrutto il 26 settembre del 1943;
   i resti della fabbrica oggi abbandonata sorgono a ridosso di un centro abitato e sono circondati da campi agricoli, anche se i cartelli con i quali si è avvisata la popolazione del pericolo sono stati affissi solo nel 2008 secondo quanto espresso sul blog sulatestagiannilannes.blogspot.it realizzato dal giornalista Gianni Lannes che da tempo si occupa in maniera dettagliata della vicenda;
   da fonti storiche documentate si apprende che il prefetto di Foggia nel 1948 tentò di adoperarsi per la bonifica del sito, utilizzando gli stessi operai che vi avevano lavorato, ma tale proposta non fu accolta dall'allora Ministero della difesa non ritenendo idoneo l'utilizzo di semplici operai per bonificare il sito, data l'elevata pericolosità (sempre sul blog di Lannes si può leggere un documento che fu inviato al prefetto del capoluogo di Capitanata in data 11 giugno 1948, a firma del Ministro della difesa, nel quale viene espressamente dichiarato che ”i lavori di bonifica e sgombero macerie e materiali degli ex impianti di produzione aggressivi chimici di Foggia non possono essere eseguiti che da personale specializzato, in quanto il personale stesso, durante il lavoro, deve essere munito di maschere antigas, guanti e indumenti protettivi, dato che esistono ancora sotto le macerie apparecchi contenenti quantità considerevoli di iprite e di fosgene);
   la Costituzione Italiana, nell'articolo 32, descrive «la tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività» anche se, a distanza di oltre settant'anni, i resti della «fabbrica della morte» versano ancora in uno stato di totale abbandono e non sono ancora pervenute notizie sull'avvenuta bonifica del suolo e del sottosuolo che furono contaminati con conseguente grave rischio di salute per tutta la collettività –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti sopra riportati e se siano in grado, per quanto di competenza, di fornire maggiori informazioni in merito ad attività di bonifica eventualmente eseguite negli anni successivi. (4-10293)


   MAZZOLI e TERROSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un'operazione dei carabinieri per la tutela ambientale ha esso in luce nel 2003 un traffico illecito di rifiuti prodotti in impianti delle regioni Lombardia, Veneto, Toscana e Campania, smaltiti in tre siti di ripristino ambientale del viterbese: Vetralla, Castel Sant'Elia e Capranica;
   in un'area di circa 4 ettari per a profondità i 10 metri, venivano raccolti 700 mila metri cubi di rifiuti determinando un giro di affari di circa 2 milioni e 500 mila euro;
   il 10 febbraio 2003, l'Arpa comunicava al Nas di Viterbo che 2 campioni su 9 – relativi al cumulo di rifiuti appena scaricati in impianto e sull'intera area sottoposta a recupero –, presentavano il superamento dei limiti di legge del parametro COD (domanda chimica di ossigeno), previsti dalla tabella di cui all'allegato III del decreto ministeriale 5 febbraio 1998;
   i fanghi di cartiera, oggetto dell'indagine, raggiungevano valore di 911 anziché di 90. Ciò ha dato luogo a fenomeni di fermentazione e di conseguente inquinamento delle falde acquifere. Nei tre siti sono infatti stati riscontrati valori di piombo, zinco, alluminio, ferro, cadmio, rame di gran lunga più alti rispetto a quelli imposti dal decreto legislativo n. 152 del 1999, sulle acque e dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, relativo alle acque sotterranee;
   i rifiuti partivano dal consorzio «Milano pulita» e, dopo alcune tappe, giungevano a Viterbo, sottoposti a trattamento di soli 30 minuti nei centri di stoccaggio. In realtà sarebbero dovuti occorrere ben 90 giorni per la trasformazione in «ammendante» (materia prima lecitamente conferita nei centri di ripristino ambientale);
   il 25 luglio 2003, la provincia di Viterbo, informata in netto ritardo sui dati in questione, provvedeva a effettuare il sopralluogo presso l'impianto. Ma, il cumulo oggetto dei controlli, non era più rintracciabile né era più possibile ricostruire i flussi dei materiali pervenuti e la gestione delle ditte e coinvolte;
   il 26 febbraio 2004, a seguito di un esposto pervenuto da un cittadino di Vetralla relativo a presunti problemi di salute causati dall'attività di recupero, la provincia provvedeva a renderlo noto alla Guardia di finanza che non ha mai fornito risposte in merito;
   nell'audizione del 29 giugno 2005, i sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Viterbo, fornivano elementi informativi e valutazioni in ordine al procedimento avente in oggetto le ipotesi di reato del traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi presso le aree della provincia di Viterbo;
   i controlli Arpa del dicembre 2004 e del gennaio 2005 hanno accertato che il materiale scaricato nelle cave non rispettava la proporzione di miscelazione 70 per cento terra e 30 per cento rifiuti e non presentava le caratteristiche chimico-fisiche per essere utilizzato come recupero ambientale;
   il processo – denominato «Giro d'Italia-ultima tappa Viterbo» – iniziato nel 2005 con 15 imputati accusati di falso ideologico e attività organizzata per traffico illecito di rifiuti, si conclude per prescrizione nel 2012 –:
   di quali elementi disponga il Governo e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, al fine di escludere rischi per la salute dei cittadini e a filiera agroalimentare. (4-10311)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla richiesta di una derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, presentata dalla società VIS srl, con precedente atto di sindacato ispettivo, n. 4-05799 del 6 agosto 2014, il sottoscritto ha interrogato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa la competenza del suo Ministero in materia di valutazione di impatto ambientale, con riferimento alle conseguenze ambientali e sociali sulle specie e attività agricole che verranno sommerse dall'acqua, anche in considerazione agli impatti cumulativi con l'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison;
   il Ministro non a ancora dato risposta, tuttavia l'evoluzione della situazione ha dimostrato la validità della richiesta, visto che il 26 giugno 2015 la società VIS ha avviato una procedura di VIA presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la domanda prevede il posizionamento di un impianto di potenza massima di circa 3.400 kW e portata massima pari a 120,00mc/s per un salto nominale di 3m che crea un rigurgito significativo lungo circa 10 chilometri e un volume di invaso di circa 3 milioni di metri cubi di acqua;
   l'impianto interessa un'area che insiste su tre comuni: la centrale in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, la cabina elettrica in comune di Maccastorna e altri piccoli interventi in comune di Crotta d'Adda;
   per la produzione di energia elettrica l'impianto utilizza una traversa che innalza notevolmente il livello del corso d'acqua del fiume Adda, per ben tre metri, in una zona particolarmente sensibile al livello idrico e vocata all'attività agricola con la presenza di allevamenti di bovini da latte;
   l'allarme tra le aziende agricole della zona è alto, in quanto l'innalzamento della falda comporterebbe l'impossibilità di coltivare parecchi ettari con una conseguente perdita del valore fondiario, utilizzando un bene pubblico, come l'acqua, per un tornaconto economico privato;
   l'aumento di 3 metri del livello del fiume, si svilupperà per circa 14 chilometri partendo da Castelnuovo e andando indietro fino a Crotta, Pizzighettone e Maleo, incidendo sull'equilibrio ambientale e la morfologia del fiume;
   al momento sul sito del Ministero risultano una serie di osservazioni e pareri contrari inviati da privati cittadini ed enti pubblici;
   il Consorzio dell'Adda, per un miglior inquadramento dell'opera, comunica «che attualmente alla briglia di Pizzighettone (all'inizio del tratto di monte degli studi idraulici) è in costruzione una centrale idroelettrica in sponda sinistra con concessione rilasciata recentemente dalla provincia di Cremona ad Edison Spa, mentre per la centrale di Shen srl (centrale in sponda destra) è stato avviato il procedimento da parte della provincia di Lodi per l'aggiornamento del disciplinare vigente e contestuale variante non sostanziale della concessione»;
   il comune di Crotta d'Adda ha inviato le proprie osservazioni sulle criticità del progetto, supportate da una relazione tecnico-idraulica; altri cittadini hanno inviato relazioni sulle criticità del progetto elaborate da geologi e agronomi;
   l'impianto dovrebbe essere valutato con attenzione sia ai fini della tenuta delle sponde sia ai fini degli impatti ambientali e del mantenimento del deflusso minimo vitale, anche alla luce degli ulteriori impianti evidenziati Consorzio dell'Adda –:
   se il Ministro non intenda prestare particolare attenzione al progetto di derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda presentato dalla società VIS srl, valutando, per quanto di competenza, le conseguenze negative ambientali e sociali che provocherebbe la realizzazione dell'impianto, come evidenziate nelle osservazioni del pubblico, e tenendo conto dell'esistenza degli ulteriori impianti evidenziati dal Consorzio dell'Adda sulla stessa asta fluviale. (4-10313)


   SEGONI, MUCCI, BARBANTI, BALDASSARRE, PRODANI, TURCO, ARTINI e BECHIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono molti i comuni che hanno ottenuto un forte risparmio energetico sostituendo la tradizionale illuminazione al sodio con l'illuminazione led. Ad esempio, a Cagliari sono stati convertiti a led 8.000 punti luce. L'intervento è avvenuto sui pali esistenti dei principali ingressi della città, con la copertura dell'asse mediano, delle zone residenziali e dell'area dello stadio Sant'Elia. Dai 250 watt delle precedenti soluzioni al sodio ad alta pressione installate si è scesi a 110 watt, con un consumo che è diminuito da 10 Gwh a 3 Gwh l'emissione di 4.500 tonnellate di anidride carbonica in meno all'anno. A Catania, invece, l'installazione di tecnologia Led è stata affiancata da un sistema di telecontrollo dell'illuminazione pubblica, che ha consentito una riduzione dei consumi energetici del 40 per cento e un abbattimento complessivo dei consumi di circa 110.000.000 kwh, equivalenti a ben 58.300 tonnellate di CO2 non immesse in atmosfera;
   la conversione a led, soprattutto nell'ambito delle così dette «smart city», ha quindi evidenti ricadute positive sui bilanci comunali e sul quantitativo delle emissioni climalteranti, tuttavia circa la metà dei comuni italiani non può compiere questa riconversione a causa di una serie di norme sull'inquinamento luminoso che si sono sovrapposte ostacolando e impedendo questa virtuosa possibilità;
   risultano particolarmente penalizzanti alcune normative regionali (a titolo di esempio si ricordano quella dell'Emilia Romagna e della Lombardia) che, con leggi regionali e successive direttive applicative e circolari esplicative, introducono le zone di protezione, che tutelano dall'inquinamento luminoso i sistemi regionali delle aree naturali protette, i siti della Rete Natura 2000 e gli osservatori astronomici ed astrofisici, professionali e non professionali, di rilevanza regionale o interprovinciale che svolgono attività di ricerca scientifica o di divulgazione;
   in particolare, intorno agli osservatori astronomici, per un raggio che può arrivare anche a 25 chilometri nel caso di osservatori professionali, è consentito utilizzare per l'illuminazione pubblica soltanto lampade tradizionali al sodio, perché gli osservatori astronomici riescono facilmente a filtrare e/o schermare attraverso l'uso di armature per telescopi il tono di colore emesso da questo tipo di lampade;
   a causa delle zone di protezione, un singolo osservatorio può bloccare i processi di riconversione di decine di comuni; mentre su base nazionale, e considerando anche gli osservatori non professionali, i comuni impossibilitati alla riconversione risultano essere migliaia;
   a titolo esemplificativo si riporta il caso di Monzuno, piccolo comune dell'Appennino tosco-emiliano, che per ragioni di bilancio sta operando pesanti tagli all'illuminazione pubblica e che si vede impossibilitato a operare un risparmio tramite la riconversione a led a causa della vicinanza dell'osservatorio professionale di Loiano;
   in realtà, è possibile realizzare Led con spettro luminoso facilmente filtrabile dagli osservatori, come afferma anche uno studio di ISPRA AMBIENTE del 2014: «È stata investigata la caratterizzazione della sorgente Led per illuminazione stradale, con riferimento alle metodologie e agli strumenti software e hardware di comune impiego nell'ambito della progettazione illuminotecnica. È stato riscontrato che tale sorgente può essere modellizzata e misurata come le altre, non presentando caratteristiche differenti rispetto alle tecnologie di tipo tradizionale nelle condizioni tipiche di esercizio»;
   quindi è possibile realizzare illuminazione a led avente caratteristiche di emissione luminose note, che opportuni filtri applicati alle armature dei telescopi riuscirebbero facilmente a filtrare –:
   se la problematica e la possibile soluzione tecnica esposte in premessa siano note;
   se il Ministro condivida l'analisi degli interroganti, secondo cui la riconversione dell'illuminazione pubblica a led e con sistemi di controllo remoto possa costituire un notevole risparmio per gli enti locali ed un rilancio occupazionale;
   se, nell'ottica degli impegni presi in sede parlamentare ed in sede istituzionale sulla riduzione di gas serra per il contrasto ai cambiamenti climatici, non intenda assumere iniziative per incentivare o agevolare la conversione a led dell'illuminazione pubblica in modo da ottenere consistenti riduzioni delle emissioni clima-alteranti;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche a livello normativo, per conciliare la capillare diffusione dell'illuminazione a led con il pieno rispetto dell'attività astronomica, ad esempio prevedendo che preliminarmente all'installazione di illuminazione pubblica a Led, gli osservatori ricadenti all'interno delle fasce di rispetto vengano equipaggiati, a spese del soggetto che installa gli apparecchi a led, con appositi filtri per schermare tale fonte luminosa. (4-10314)


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI, ARTINI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Catania ha rilevanza economica internazionale e svolge un importante ruolo nel sistema socio-economico regionale e cittadino;
   nell'anno 2000 il presidente dell'autorità portuale di Catania, Cosimo Indaco, ha istituito una gara pubblica, con la quale il Gruppo Acqua Pia Antica Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone ha ottenuto una concessione demaniale che gli consentiva di edificare in piena foce del torrente Acquicella ben 400.000 metri cubi di strutture da «porto turistico», di fatto non rispettando i dispositivi di legge 431 del 1985 e quelli della legge portuale 84 del 1994;
   il 13 ottobre 2001 il procuratore della Repubblica ha rilevato l'illegittima attività del presidente dell'autorità portuale Cosimo Indaco, per conflitto d'interessi e per aver «palesemente violato il precetto di cui all'articolo 6 c.6 della citata legge»; (legge 28 gennaio 1994 n. 84) e il successivo presidente dell'autorità portuale, Santo Castiglione, ha gestito il porto di Catania fino al 2012, ponendo in essere una «darsena traghetti» sulla stessa parte destinata dal suo predecessore a «porto turistico»;
   l'autorità portuale di Catania, nel 2004, ha redatto un nuovo piano regolatore portuale (PRP) che prevede la costruzione aggiuntiva sulle banchine portuali di 1.100.000 metri cubi di edifici per destinazione ignota, oltre ai 400.000 metri cubi già destinati al suddetto «porto turistico»;
   ad oggi tale piano regolatore portuale non è munito delle valutazioni VIA e VAS ovvero delle procedure di riferimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche introdotte dalla legge obiettivo (legge 443 del 2001) e di derivazione comunitaria;
   la regione siciliana, con la delibera n. 408 del 20 marzo 2003 che recepisce l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003 n. 3274, ha confermato la classificazione sismica in zona 2 del comune di Catania, prescrivendo anche come obbligatorie le verifiche di zona 1 per le strutture strategiche;
   nel 2012, Cosimo Aiello è stato nominato commissario straordinario dal Ministro pro tempore Corrado Passera e al suo insediamento lo stesso Aiello ha chiesto al consiglio comunale di Catania, competente per legge, l'approvazione del piano regolatore portuale che prevede l'edificazione sulle banchine portuali di ulteriori metri cubi di fabbricati nonché della prescritta destinazione mercantile e di qualsiasi specifica sulla copertura finanziaria occorrente per oltre 2 miliardi di euro;
   il commissario Cosimo Aiello ha dato il via alle gare di appalto della nuova «darsena traghetti», nonostante il Consiglio di Stato con sentenza n.04768/2013 abbia sancito l'illegittimità della sua nomina come presidente dell'autorità portuale di Catania in quanto sprovvisto della «massima e comprovata qualificazione nei settori dell'economia dei trasporti e portuale» prescritta dalla suddetta legge 84 del 1994 articolo 8, e tra aprile e maggio 2012, sono state realizzate delle opere della darsena portuale che hanno deviato l'intera foce del torrente Acquicella (nonostante tale corso d'acqua risulti espressamente elencato in quelli protetti dalla legge 431 del 1985), con sbancamento della spiaggia limitrofa e con necessità di continue opere di manutenzione che saranno necessarie per far fronte al prevedibile rinterramento naturale;
   i lavori della nuova darsena traghetti risultano privi di VIA e VAS nonché del preventivo e prescritto assenso del consiglio comunale e della compatibilità con il vigente piano regolatore generale di Catania, risultando quindi in violazione della legge n. 84 del 1994;
   nel mese di dicembre 2013 alcune associazioni ambientaliste cittadine e il Comitato Porto del Sole hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica per denunciare le illegittimità ambientali sopra esposte ed altre gravi anomalie;
   nel 2014 è stato nuovamente nominato presidente dell'autorità portuale lo stesso Cosimo Indaco che, il 25 luglio 2015, alla presenza del Ministro Delrio, ha ufficialmente inaugurato una darsena mercantile realizzata dalla Tecnis s.p.a. (verso la quale sono già stati richiesti chiarimenti attraverso l'interrogazione parlamentare n. 5/05332) proprio su fondali soggetti ad andare in continuo rinterramento –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative per procedere alle verifiche e ai controlli di competenza, anche documentali, sulla deviazione del torrente Acquicella, sul bando e sulla VIA-VAS della nuova darsena commerciale;
   se il Ministro, conformemente alle proprie competenze, in concerto con la regione siciliana, non reputi opportuno valutare la possibilità di trasferire l'attività mercantile del porto di Catania, di rilevanza economica internazionale, presso il porto di Augusta e permettere al porto di Catania di esercitare unicamente la funzione di porto turistico, considerando la sua posizione urbanistica e strategica a ridosso del prestigioso centro storico barocco a incremento degli indotti della croceristica, della diportistica, della pesca professionale e turistica, creando tra l'altro nuove opportunità occupazionali.
(4-10317)


   DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   numerose ormai sono le procedure di infrazione europea nelle quali incorre l'Italia a causa della situazione del servizio idrico integrato per quanto riguarda depurazione e fognature, si pensi all'esistenza di scarichi fognari non depurati;
   la normativa di riferimento in materia di trattamento dei reflui è la direttiva 91/271/CEE recepita dall'Italia con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (e successive modificazioni e integrazioni cosiddetto codice dell'ambiente). La Direttiva prevede che tutti gli agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti (a.e.) siano forniti di adeguati sistemi di reti fognarie e trattamento delle acque reflue, secondo precise scadenze temporali, ormai già passate, in funzione del numero degli abitanti equivalenti e dell'area di scarico delle acque (area normale o area sensibile);
   per le inadempienze nell'attuazione della direttiva l'Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di Giustizia europea, la C565-10 (procedura 2004-2034) e la C85-13 (procedura 2009-2034) e l'avvio di una nuova procedura di infrazione (procedura 2014-2059);
   il lago di Bracciano rappresenta il settimo lago naturale d'Italia per superficie, ed il quinto per volume d'acqua contenuta nell'invaso, nonché la principale massa d'acqua della provincia di Roma. A causa del bassissimo rapporto superficie del bacino imbrifero/superficie del lago, peraltro caratteristico di tutti i bacini vulcanici, i tempi teorici di ricambio idrologico sono lunghissimi: il lago di Bracciano risulta in effetti essere tra i grandi laghi italiani quello con il più lungo tempo di ricambio (137 anni);
   dall'anno 2003 la società ACEA ATO 2 spa del Gruppo ACEA spa ha provveduto alla gestione dell'intero Servizio idrico integrato del comune di Roma, avviando nel contempo la progressiva estensione dello stesso Servizio idrico integrato a tutti gli altri comuni dell'ambito territoriale ottimale 2 (A.T.O. 2) – Lazio Centrale – Roma;
   attualmente ACEA ATO 2 spa gestisce 5.650 chilometri di fognatura in tutto il territorio dell'ATO 2 laziale, 423 impianti di sollevamento fognari ed un totale di 176 impianti di depurazione e conduce la gestione del servizio idrico integrato nella quasi totalità dell'ATO 2 con suddivisione in cinque macro-bacini dotati di struttura di coordinamento e controllo di tutte le attività di esercizio, ogni responsabile di bacino, con il supporto di uno staff tecnico e amministrativo, deve garantire l'esercizio della rete idrica e servizio autobotti di emergenza, manutenzione della rete e degli impianti idrici, conduzione degli impianti di depurazione e sollevamento fognaria;
   ai comprensori depurativi romani si aggiunge la gestione del bacino intercomunale dell'Arrone, con gli impianti del CoBIS – Consorzio del Bacino Idrico Sabatino, a servizio dei centri abitati lungo le rive del Lago di Bracciano –, di Fregene e alcuni altri impianti di minore potenzialità;
   in tale contesto ACEA ATO 2 spa gestisce anche la fognatura circumlacuale del lago di Bracciano per l'allontanamento dei liquami dal bacino del lago, che afferisce appunto al depuratore del CoBIS, il sistema è stato realizzato da ACEA nei primi anni 80 per salvaguardare la qualità delle acque del lago, utilizzate come fonte idropotabile di emergenza per la città di Roma;
   tale opera è costituita da una condotta fognaria (24 stazioni di pompaggio) che da Trevignano Romano si sviluppa intorno al lago per 21 chilometri per terminare nei pressi di Anguillara Sabazia dove l'opera devia verso sud per arrivare al centro di depurazione posto poco a nord dell'abitato di Osteria Nuova;
   nel periodo che va dal 1981 al 2001 si nota un generale aumento della popolazione, soprattutto nei comuni della provincia di Roma, con variazioni massime ad Anguillara e Trevignano, rispettivamente pari a +115 per cento e + 72 per cento;
   il depuratore del C.O.B.I.S. – Consorzio bacino idrico sabatino, sito in località «Tor dei Venti» di Cesano di Roma – serve i comuni di Anguillara Sabazia, Bracciano, Trevignano Romano, Manziana, Oriolo Romano e la località di Cesano (comune di Roma), il depuratore è dimensionato per una portata media di 115 l/s e per 40.000 abitanti, ma attualmente tratta circa 150 l/s e serve circa 55.000 abitanti, di cui circa 20.000 sono fluttuanti e residenti in case sparse ed era previsto già nel 2009 un ampliamento per aumentarne la potenzialità per 90.000 abitanti, cioè l'attuale popolazione residente, che allo stato attuale non risulta essere mai stato effettuato;
   l'impianto presenta la caratteristica di non effettuare una separazione del collettamento di acque bianche e acque nere che invece sarebbe fortemente auspicabile, poiché potrebbe produrre recupero almeno delle prime all’input idrologico del lago, ed evitare gli sversamenti in lago di acque nere diluite occasionalmente da piogge particolarmente intense che ne causano la tracimazione dall'anello circumlacuale (o lo sversamento preventivo ad opera del Gestore per limitare l'afflusso di reflui troppo diluiti nel depuratore);
   il corpo recettore (il Torrente Arrone) è penalizzato dalla scarsa qualità ecologica delle acque, sversate dopo la depurazione (il depuratore COBIS non attua abbattimento dei nutrienti) dovuta ad eccessivo carico organico, che preclude alla fauna ittica un prezioso corridoio ecologico di rimonta al lago;
   su una scala spaziale più ridotta, che interessa particolari distretti del lago, si inseriscono poi fattori di minaccia che si riferiscono ad attività antropiche imprenditoriali o produttive: la conoscenza del territorio del bacino sversante nel SIC di Bracciano va definita funzionalmente, in relazione cioè alle conseguenze che può produrre a livello del bacino lacustre non solo a seguito di modificazioni della destinazione d'uso, ma anche per l'utilizzo quantitativo e qualitativo delle sostanze impiegate in agricoltura e in qualsiasi altra attività probabilmente impattante;
   molte di queste attività non sono per loro natura riconducibili ad un collettamento fognario con conseguente depurazione, e contribuiscono perciò a costituire un «carico esterno» che sfugge alla valutazione;
   non viene effettuato un attento e rigoroso esame degli emungimenti superficiali dal lago, così come eventuali sversamenti cloacali sfuggono ad una sia pur minima procedura di depurazione;
   negli ultimi due anni analisi di controllo effettuate fanno emergere uno stato di grave e diffuso inquinamento delle acque lacustri, quindi secondo l'interrogante è lecito supporre che l'impianto di depurazione risalente ormai agli anni ’80 risulti inefficiente e inadeguato alle mutate condizioni, sia sotto il profilo urbanistico che demografico che produttivo;
   le analisi effettuate da Goletta dei Laghi, campagna di Legambiente per la salvaguardia dei bacini lacustri italiani, che ha realizzato un monitoraggio scientifico sul lago di Bracciano, hanno evidenziato un grado di inquinamento rilevante delle acque lacustri;
   i parametri presi in considerazione sono gli stessi previsti per i controlli sulla balneazione in base al decreto legislativo del 30 maggio 2008 n. 116 (Legenda: INQUINATO: Enterococchi Intestinali maggiore di 500 UFC/100 ml e/o Escherichia Coli maggiore di 1000 UFC/100 ml; FORTEMENTE INQUINATO: Enterococchi Intestinali maggiore di 1000 UFC/100 ml e/o Escherichia Coli maggiore di 2000 UFC/100 ml);
   dai risultati di tale monitoraggio risultano «fortemente inquinati» a Bracciano, la foce del fosso della Lobbra e la foce del fosso Grotta Renara, in località Rio delle Mole, risulta «Inquinata» a Trevignano la foce del canale in corrispondenza dell'incrocio tra via della Rena e via San Pietro, risultano fuori dai limiti anche i campioni prelevati ad Anguillara Sabazia presso l'emissario Arrone; in questo punto in particolare è stato effettuato infatti un doppio campionamento: uno nel lago a monte della chiusa, risultato «fortemente inquinato», l'altro nell'Arrone, dunque a valle della chiusa, risultato inquinato;
   «il Piano di Tutela della Acque Regionali (PTAR) ai sensi del decreto legislativo n. 152/99 e successive modifiche e integrazioni» approvato con deliberazione del consiglio regionale 27 settembre, n. 42 pubblicata sul supplemento ordinario n. 3 al B.U.R. n. 34 del 10 dicembre 2007 all'articolo 30, comma 3, «Misure per gli impianti di depurazione che scaricano su corsi d'acqua non perenni» prevede che «La Provincia, nei casi previsti dal comma 9 dell'articolo 124 del decreto legislativo n. 152 del 2006, autorizza lo scarico delle acque reflue depurate ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, purché il processo di depurazione sia ulteriormente spinto fino al raggiungimento dei parametri di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del 12 giugno 2003, n. 185»;
   al presente link: http://www.acqua.gov.it/index.php?id=3 è possibile visionare le schede che sono state compilate dalle task force regionali, costituite nell'ambito della Convenzione stipulata il 30 aprile 2013 fra il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, ora Agenzia per la coesione territoriale, e la società Studiare Sviluppo s.r.l. – Azione di sistema per supporto tecnico e accompagnamento al conseguimento degli obiettivi della delibera CIPE n. 60 del 30 aprile 2012, sulla base delle informazioni rilasciate dai competenti uffici regionali;
   lo scorso 10 giugno interrogavamo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente al tema oggetto anche di questa interrogazione chiedendo in particolare se non ritenesse che la norma prevista dal decreto-legge «Sblocca Italia» presenti oggettive difficoltà applicative, alla luce dell'assenza del capitolo di riassegnazione delle risorse revocate in entrata al bilancio dello Stato, e se non ritenga necessario ed urgente, per superare le procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, accelerare, per quanto di competenza, la realizzazione degli interventi, piuttosto che revocare le relative risorse per le quali ad ora manca anche un intervento normativo specifico;
   la risposta scritta è stata pubblicata giovedì 11 giugno 2015: «Sulla specifica questione posta dagli interroganti, occorre considerare due aspetti. Il primo, relativo all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 (Sblocca Italia), che prevede la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell'ambiente, da alimentare mediante la revoca delle risorse stanziate dal CIPE con la delibera 30 aprile 2012, n. 60/2012 destinate a 183 interventi nel settore della depurazione, per i quali ricorrano alcuni presupposti di impossibilità tecnica, progettuale, urbanistica, o di inerzia e alla data del 30 settembre 2014, non fossero stati assunti atti giuridicamente vincolanti.
  Sul punto si rappresenta che, sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un DPCM la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate, in “entrata di bilancio dello Stato”.
  Il Ministero dell'ambiente da mesi ha predisposto un emendamento per colmare il vuoto normativo, ma tale modifica ad oggi non ha trovato alcuna collocazione nei provvedimenti legislativi approvati. In ogni caso il testo si trova attualmente all'esame dei competenti uffici della PCM»;
   in data 4 agosto 2015 è stato accolto dal Governo un ordine del giorno su P.D.L. 9/03262/040 sullo stesso argomento;
   l'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006 afferma chiaramente che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'autorità d'ambito, che lo mette disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito», appare grave agli interpellanti che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se e quali azioni di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere nei confronti dei gestori del servizio idrico integrato che non hanno provveduto ad un ampliamento dei depuratori che hanno in gestione considerato quanto previsto dall'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006 anche al fine di evitare l'apertura di ulteriori procedure di infrazione;
   se in base a questa segnalazione a titolo di esempio non ritenga necessario ed urgente rivedere ed aggiornare il monitoraggio effettuato dalle Task force regionali, costituite nell'ambito della Convenzione stipulata il 30 aprile 2013 fra il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, ora Agenzia per la coesione territoriale, e la società Studiare Sviluppo s.r.l., per verificare che non vi siano altri agglomerati a rischio procedura di infrazione;
   se vi siano stati ulteriori sviluppi in merito a quanto affermato nella risposta all'interrogazione Daga (5-05774) pubblicata giovedì 11 giugno 2015 relativamente all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, e alla previsione dell'assegnazione delle risorse revocate, in «entrata di bilancio dello Stato», attualmente all'esame dei competenti uffici della PCM;
   se vi siano stati ulteriori sviluppi a seguito dell'approvazione dell'ordine del giorno su P.D.L 9/03262/040 sullo stesso argomento. (4-10319)


   DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto di proprietà della Tuscia Ambiente srl in località «Fontanile delle Donne» nel comune di Tuscania (VT) prende vita come ristrutturazione di un impianto di compostaggio esistente che, nel corso del procedimento di Autorizzazione, (avvenuta tramite determinazione n. 08/594/G del 15 giugno 2012, autorizzazione ai sensi dell'articolo n. 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 15 e 16 della legge regionale n. 27 del 1998), viene adeguato alla tecnologia BAT, quindi dotato di impianto di produzione di biogas e dotato di impianto di produzione di energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici; un impianto, quindi, ben, diverso da quello previsto in origine sia tecnologicamente, sia come quantità di suolo occupato dalle strutture edilizie;
   l'impianto ricade in area soggetta a vincolo paesaggistico in quanto, si trova all'interno della Zona E sottozona E3 agricola vincolata (ai sensi e per gli effetti del decreto ministeriale 28 aprile 1999, che vincola l'area ai sensi dell'articolo 1, lettera m) della legge 8 agosto 1985, n. 431 ora articolo 142 comma 1 lettera m) del decreto legislativo n. 142 del 2004); quindi la prescrizione rilasciata di temporaneità all'esercizio dell'impianto in area agricola vincolata, appare anomala secondo l'interrogante poiché non ha riscontro in giurisprudenza;
   inoltre l'impianto ricade in presenza di un corso d'acqua a rischio di esondazione come noto anche dalle conoscenze storiche; quindi l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio dell'impianto secondo gli scriventi non poteva essere deliberata;
   inoltre nel progetto risultano essere state adottate modifiche al progetto originario per il locale uffici, nell'area in cui si intendeva realizzarli sono stati effettuati sondaggi archeologici e sono state rinvenute opere riconducibili ad età protostorica così la competente sopraintendenza per i beni archeologici dell'Etruria Meridionale ha richiesto una modifica progettuale in tal senso e la provincia di Viterbo alla luce del parere della sopraintendenza con atto n. 312 del 5 febbraio 2015, ha diffidato la Tuscia Ambiente srl dal realizzare il nuovo edificio uso ufficio e officina e contestualmente ha richiesto alla ditta medesima di trasmettere una nuova planimetria nella quale fosse chiaramente individuato il nuovo sito individuato per la realizzazione dei locali ufficio e officina;
   nella relazione tecnica risulta agli scriventi assente lo studio sul regime dei venti sui quali, peraltro, predomina quello verso l'abitato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopracitati;
   quali azioni il Governo intenda intraprendere rispetto al fatto che con tante aree disponibili a destinazione d'uso industriale si è individuato un sito anomalo in quanto ricadente in area soggetta a vincolo paesaggistico sul quale si è esercitata una forzatura sulla destinazione d'uso «strategica» con espedienti per giustificare un'idoneità solo forzatamente formale. (4-10320)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOSSA e GHIZZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso l'Università di Napoli «Federico II», da quasi 10 anni, è attivo il corso di laurea magistrale in «organizzazione e gestione del patrimonio culturale ed ambientale» (classe di laurea LM-76); altri corsi LM-76 sono oggi attivi presso altri atenei italiani, come l'Università degli studi di Roma «La Sapienza», Università degli studi «Milano-Bicocca», Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli studi «Ca’ Foscari» di Venezia, Università degli studi del Piemonte «Amedeo Avogrado» di Vercelli e Università degli studi di Bologna;
   presso questi atenei si costituiscono i riferimenti formativi professionali in questo ambito, ma, allo stato attuale, la normativa ministeriale non prevede un analogo riconoscimento tra le professioni dei beni culturali; il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non inserisce, infatti, all'interno di gran parte dei concorsi pubblici a carattere umanistico-gestionale la classe di laurea LM-76;
   in Italia il management culturale ed ambientale rappresenta attualmente una delle principali lacune del settore pubblico dei beni culturali; alla direzione dei diversi enti di quest'area sono, infatti, preposti soggetti con elevate competenze scientifiche, ma raramente con capacità economico-gestionali;
   il manager culturale è una figura in possesso sia di conoscenze umanistiche che di competenze economico-gestionali; questa professionalità è caratterizzata da una solida e ampia preparazione di base ed è dotata di logica trasversale e di capacità di integrazione tra i saperi umanistici e quelli organizzativo-gestionali;
   le principali aree di attività del manager culturale sono la gestione degli eventi e delle strutture culturali, sia nel settore delle arti visive, che in quello dello spettacolo, essendo, tale professione, supportata da competenze suppletive nei campi della comunicazione, del marketing, del fundraising e delle nuove tecnologie applicate ai beni culturali;
   l'attività di management culturale costituisce la vetta di un percorso che ha origine da una formazione specialistica e che prevede, attraverso tappe successive, la presenza presso le nostre istituzioni culturali di una effettiva capacità gestionale; ciò si potrà espletare solo nel momento in cui l'organo ministeriale in primis ne riconoscerà l'esistenza;
   il 21 febbraio 2015, con questo specifico obiettivo, è nata a Napoli l'Associazione Nazionale Manager Culturali; l'intenzione è promuovere il riconoscimento della figura professionale del manager culturale ed in particolare dei laureati nelle classi di laurea magistrale LM-76 e specialistica LS-83 (afferente ai corsi di laurea in scienze economiche dell'ambiente e della cultura) –:
   se e come il Governo intenda assumere iniziative per il riconoscimento e la valorizzazione della figura professionale del manager culturale ed in particolare dei laureati nelle classi di laurea magistrale LM-76 e specialistica LS-83. (5-06353)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, DI BATTISTA, GRANDE, VIGNAROLI, LOMBARDI, DAGA, RUOCCO, BARONI, RIZZO, CORDA, BASILIO, TOFALO e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 20 agosto 2015 si svolgevano i funerali di Vittorio Casamonica, esponente di punta della clan Casamonica;
   secondo la direzione investigativa antimafia, tale clan rappresenta la struttura criminale più potente e radicata del Lazio con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro. Secondo un censimento di Vittorio Rizzi, capo della squadra mobile di Roma, il clan è composto da almeno un migliaio di affiliati;
   il clan è presente in molti settori commerciali ed economici, tra cui edilizia e immobiliare, gestione di ristorazioni e stabilimenti balneari, investimento di capitale in società. Le attività illegali in cui è coinvolto il clan sono l'usura con interessi dal 200 per cento al 300 per cento, traffico di stupefacenti nei paesi comunitari di Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia influenza su elezioni comunali nel Lazio e sul sistema politico a livello regionale, gestione di eventi festivi e non nel litorale capitolino. Si hanno notizie di collaborazione del clan dei Casamonica con l'ex cassiere della banda della Magliana, Enrico Nicoletti, il quale «vende» al clan i debitori insolventi al fine di riscuotere i crediti;
   durante le celebrazioni del faraonico funerale un elicottero monomotore R22 ha sorvolato lo spazio aereo fin sopra la chiesa Don Bosco, quartiere Tuscolano partendo da Terzigno (Napoli);
   secondo un comunicato stampa dell'ENAC (113/2015) del 21 agosto 2015 la destinazione finale dell'elicottero era l'elisuperficie Romanina;
   secondo il medesimo comunicato l'elicottero in questione «In arrivo su Roma ha chiesto alla torre controllo l'autorizzazione all'attraversamento dello spazio aereo controllato, effettuando successivamente una deviazione su Roma a quota inferiore alla minima che, sulla città, non può essere meno di 1.000 piedi, ovvero circa 330 metri. Il sorvolo della città di Roma è comunque vietato agli elicotteri monomotore»;
   il comando operazione aeree dell'aeronautica militare dinnanzi a una traccia aerea sconosciuta e presumibilmente con il transponder spento o comunque di fronte a comportamenti difformi dai piani di volo dà l'ordine di scramble agli intercettori che immediatamente si alzano in volo per contrastare qualsiasi minaccia che possa venire dallo spazio aereo –:
   quando l'Aeronautica sia venuta a conoscenza del comportamento difforme dell'elicottero;
   se e quando sia stato dato l'ordine di scramble e perché nessun intercettore abbia avvicinato l'elicottero in questione;
   quale sia stata l'effettiva rotta dell'elicottero e se risponda al vero il fatto che lo stesso nel tratto finale del suo volo abbia sorvolato l'ex aeroporto di Centocelle, ove peraltro insistono comandi militari di notevole importanza e contemporaneamente si sia trovato ad intersecare il sentiero di atterraggio dell'aeroporto civile di Ciampino causando così pericolo all'atterraggio ed al decollo dei numerosi aerei civili che fanno scalo nel medesimo aeroporto. (5-06366)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 22 Luglio 2015 sul sito internet del Ministero della difesa, il segretariato generale della difesa/direzione nazionale degli armamenti ha pubblicato due avvisi di «procedura di selezione volta a definire un incarico di collaborazione»;
   dalla lettura dei suddetti avvisi si evince che l'incarico di collaborazione è volto a supportare il segretariato generale della difesa attraverso la predisposizione di note e documenti, la partecipazione a riunioni di lavoro in Italia e all'estero e la consulenza sui casi di invocazione dell'articolo 346 del TFEU (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) nonché l'assistenza e il monitoraggio della corretta applicazione delle direttive europee 2009/43 e 2009/81 nelle attività di competenza del Ministero della difesa, mentre il secondo bando di ricerca di collaborazione è volto a supportare il segretariato generale della difesa attraverso la predisposizione di note e documenti, la partecipazione a riunioni di lavoro in Italia e all'estero finalizzate a rafforzare la cooperazione/cooperazione bilaterale con Paesi vari, in particolare Cina, Corea, Vietnam, Armenia, Azerbaijan, Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan;
   il compenso per le collaborazioni che, presumibilmente dovrebbero essere già state assegnate, in quanto la scadenza della presentazione delle candidature era fissata per il 7 agosto 2015, ammonta a euro 35.000 lorde;
   all'interrogante sembra inopportuno affidare consulenze esterne, anche se di modesto importo, in quanto le attività in questione appartengono alle sfere di competenza del personale del segretario generale della difesa;
   all'interrogante sembra anche inopportuno, leggendo nelle specifiche del bando, ricercare un consulente in grado di un «perseguimento dell'obiettivo di una riduzione dei controlli sui trasferimenti tecnologici verso il nostro paese», che non si vorrebbe interpretare a vantaggio di possibili elusioni delle normative vigenti in merito all'acquisto di armamenti provenienti dall'estero;
   sul sito internet del Ministero della difesa, nella sezione «amministrazione trasparente» non si evince l'effettiva nomina dei due consulenti in quanto la pagina stessa è aggiornata al 2014 –:
   se il Ministro non ritenga di dover procedere ad una revisione completa delle spese sostenute dal Ministero per consulenze esterne e di presentare una relazione dettagliata alle Commissioni parlamentari competenti;
   se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative per sospendere la nomina dei consulenti oggetto degli avvisi indicati in premessa onde accertare la possibilità di nominare funzionari già alle dipendenze del Ministero della difesa e nello specifico del segretariato generale della difesa/direzione nazionale degli armamenti o provvedere a modificare la direttiva del 7 dicembre 2011 in materia di affidamento di incarichi a personale esterno all'amministrazione da parte del segretario generale/direttore nazionale degli armamenti. (4-10306)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità 2015 è stato introdotto l'aumento dell'iva sul pellet dal 10 al 22 per cento; nell'ultimo decreto «milleproroghe» non è passato nessuno degli emendamenti, presentati da diverse forze politiche, che chiedevano di rinviare l'aumento dell'iva su questo combustibile legnoso, nonostante, a favore del rinvio, si fosse espressa anche la Commissione attività produttive della Camera;
   con l'aumento dell'iva sul pellet, una famiglia si trova a sostenere maggiori costi per circa 50-60 euro stimati sulla base del consumo annuo medio nazionale di pellet;
   le imprese che producono pellet hanno investito in passato in prodotti di qualità, certificando e tracciando tutto il percorso della materia prima al consumatore;
   il settore è storicamente caratterizzato da alti volumi di sommerso, che però sono esplosi dopo che il Governo ha aumentato l'iva anche in conseguenza dell'abbattimento delle frontiere con la Slovenia e la Croazia. L'AIEL (l'associazione di categoria della CIA) ha stimato che oggi l'80 per cento del legname che circola in Italia sia in «nero»;
   l'aumento dell'iva sul pellet ha avuto conseguenze negative sulle famiglie e sulle imprese che avrebbero potuto optare per una fonte energetica rinnovabile;
   i margini per le aziende che producono pellet sono molto bassi e quindi le aziende che acquistano in modo regolare non potranno mai competere con chi acquista legname senza documenti e così facendo riesce a praticare prezzi nettamente più bassi guadagnando di più in quanto, oltre all'iva, non ha nemmeno tasse da pagare –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare, già in occasione della presentazione del prossimo disegno di legge di stabilità, una iniziativa, volta a ridurre al precedente livello l'iva sul pellet, unico settore ad essere colpito da aumento dell'iva, al fine di favorire la riemersione delle attività in «nero» nel settore, di agevolare le imprese del comparto e di ridurre il costo della bolletta energetica a carico delle famiglie;
   se il Governo non ritenga opportuno rafforzare i controlli sul pellet ed il legname da combustione provenienti da altri Paesi al fine di ridurre il crescente sommerso.
(2-01072) «Causin».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SENALDI, FRAGOMELI, ARLOTTI, BENAMATI, BAZOLI, ROSSI e ROMANINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione dell'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (legge finanziaria 1999), sono state introdotte nuove disposizioni, abrogative delle precedenti, che consentono ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei piani di zona approvati a norma della legge 18 aprile 1962, n. 167, ovvero delimitate ai sensi dell'articolo 51 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, già concesse in diritto di superficie, nonché di eliminare i viticoli di alienabilità contenuti nelle convenzioni di cui all'articolo 35 della legge n. 865 del 1971, per la cessione del diritto di proprietà stipulate precedentemente all'entrata in vigore della legge n. 179 del 1992;
   con proprie delibere diversi comuni hanno approvato la possibilità di trasformare i diritti di superficie in diritti di proprietà, hanno, definito procedure e criteri per la determinazione dei corrispettivi di cui alla legge n. 448 del 1998 e successive modificazioni e integrazioni, contenenti le formule di calcolo e i parametri per la determinazione del corrispettivo in capo ai proprietari di alloggi di edilizia convenzionata ai fini dell'eliminazione dei vincoli in essere nascenti dalla sottoscrizione di convenzioni ex legge n. 865 del 1971, e hanno fissato schemi di convenzione-tipo per la trasformazione dal diritto di superficie al diritto di proprietà;
   l'articolo 31, comma 48, della legge n. 448 del 1998, così come modificato dall'articolo 1, comma 392, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) recita: «Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura pari al 60 per cento di quello determinato «attraverso il valore venale dei bene, con la facoltà per il comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento», al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula dell'atto di cessione delle aree. Comunque il costo dell'area così determinato non può essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in diritto di proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47»;
   a seguito della predetta norma molti comuni hanno, con proprie delibere, esercitato la facoltà di abbattere il valore bene fino al 50 per cento;
   l'interpretazione normativa sottesa alle predette deliberazioni si fondava, oltre che sulle considerazioni che avevano portato il legislatore della legge n. 147 del 2013 a ritenere che, dopo l'abrogazione dell'articolo 5-bis, comma 1, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, l'applicazione del valore d'esproprio rendeva eccessivamente onerose e, pertanto, poco appetibili le operazioni previste dall'articolo 31, comma 48 della legge n. 448 del 1998, su una lettura testuale della disposizione introdotta dalla legge di stabilità 2014, nella quale la definizione «tale valore» non poteva che riferirsi alle precedenti parole «valore venale», posto che per l'altro elemento quantitativo (di natura percentuale) il legislatore aveva usato il termine «misura pari a»;
   in seguito la sezione delle autonomie della Corte dei conti, nell'esercizio della sua facoltà di prevenire o risolvere contrasti interpretativi rilevanti per l'attività di controllo, consultiva o per la risoluzione di questioni di massima di particolare rilevanza (articolo 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012 n. 174 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213 e successiva modificazione e integrazione), con delibera n. 10 del 9 marzo 2015, pubblicata il 24 marzo 2015, si è espressa sui criteri di determinazione dei corrispettivi disciplinati dall'articolo 31, comma 48 legge n. 448 del 1998 sopra richiamato, pronunciando il seguente principio di diritto: «La disposizione di cui all'articolo 31, comma 48, legge n. 448 del 1998, come novellata all'articolo 1, comma 392, legge n. 147 del 2013 deve essere intesa nel senso che, al fine della determinazione del corrispettivo per la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, è data all'Ente la facoltà di abbattere sino al 50 per cento la quota percentuale da applicarsi al valore venale del bene e, dunque, correlativamente di elevare la già prevista riduzione del 40 per cento sino al 50 per cento. Il citato comma 392 non immuta, per il resto, l'originaria formulazione del comma 8 e, pertanto, il corrispettivo in parola dovrà, altresì, essere determinato al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula dell'atto di cessione delle aree e non può essere superiore al costo stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in proprietà al momento della trasformazione di cui all'articolo 31, comma 47, della legge n. 448 del 1998;
   dall'applicazione del principio di diritto sopra enunciato consegue una formula di calcolo dei corrispettivi per la cessione in proprietà o l'eliminazione dei vincoli di alienabilità nelle aree PEEP, rendendo troppo oneroso e poco conveniente per i cittadini procedere allo svincolo delle aree concesse in diritto di superficie;
   le difficoltà di investimento, di manutenzione di stabili pubblici, di implementazione di nuovi interventi a sostegno delle problematiche abitative del territorio di molti comuni possono essere sostenute dai proventi derivanti della cessione di aree prima concesse in diritto di superficie –:
   se ed eventualmente quando il Ministro intenda operare per addivenire ad una definitiva ed univoca interpretazione della norma al fine di fornire agli enti e ai cittadini interessati, e in particolare ai comuni che hanno previsto la possibilità di trasformare i diritti di superficie in diritti di proprietà salvo poi sospendere le relative delibere, un quadro di riferimento sicuro, anche tenendo conto della possibilità di utilizzare i fondi incassati dell'ente locale attraverso lo svincolo oneroso nelle aree dei programmi di edilizia economica e popolari PEEP per manutenzioni sul patrimonio immobiliare pubblico e per nuove edificazioni di edilizia popolare e convenzionata. (5-06356)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna rischia un gravissimo blocco degli investimenti e tagli senza precedenti;
   la regione Sardegna si avvia verso il disastro finanziario legato al pareggio di bilancio;
   la giunta regionale sarda di fatto smentisce se stessa: dopo aver firmato il patto nefasto con lo Stato ora firma il documento per bloccare il pareggio di bilancio;
   secondo tutti gli indicatori la Sardegna è ad un passo dal blocco economico e finanziario;
   a dirlo, con un anno di ritardo, è il presidente della regione Sardegna insieme ad alcuni suoi colleghi dell'ufficio di presidenza della Conferenza delle regioni;
   un anno dopo le denunce dell'interrogante sul misfatto finanziario siglato dal presidente della regione Sardegna ora il dramma dei conti della regione Sardegna emerge in tutta la sua evidenza con il sigillo dello stesso presidente della regione sarda;
   dopo aver firmato un anno fa quel patto irragionevole e illogico ora, di nascosto dai media sardi, il presidente della regione ha firmato alla vigilia di ferragosto un documento dei presidenti delle regioni in cui ammette che a causa del pareggio di bilancio la regione Sardegna si sta proiettando verso un vero e proprio disastro economico finanziario;
   l'accordo devastante per le casse della regione Sardegna siglato un anno fa tra Governo e regione Sardegna porterà al blocco totale degli investimenti e tagli senza precedenti;
   la gravità di quel patto che l'interrogante aveva denunciato un anno fa, con il silenzio di tutti, sta emergendo ora in tutta la sua gravità;
   a far calare il velo di omertà sugli effetti è la Conferenza dei presidenti delle regioni;
   alla vigilia di ferragosto, un vertice urgente a Roma ha prodotto un documento che, seppur in ritardo di un anno, lancia l'allarme e conferma tutto quello che l'interrogante denunciò un anno fa;
   le regioni chiedono di bloccare subito tutto, per evitare il tracollo, dal blocco degli investimenti ai tagli alla spesa sociale e sanitaria;
   a nulla sono valse le denunce dell'interrogante sui rischi di quell'accordo sottoscritto dalla regione per introdurre il pareggio di bilancio sia per la regione che per i comuni sardi;
   quello lanciato senza mezzi termini dalla conferenza dei presidenti è un vero e proprio allarme, tardivo e figlio del ruolo succube di molte istituzioni regionali, sulla paralisi delle politiche di investimento e sull'inevitabile ingessamento dei bilanci;
   la Sardegna è l'unica delle regioni a statuto speciale ad aver accettato un anno fa quel quell'accordo propagandato come miracoloso e che invece si sta rivelando ora dopo ora un vero e proprio disastro per regione e comuni;
   è inaccettabile che la regione Sardegna si trovi in questa condizione per quello che appare all'interrogante un atto di sudditanza verso il Governo nazionale;
   aver scambiato il patto di stabilità, di per sé di dubbia legittimità, per una misura ancora peggiore come quella del pareggio di bilancio è un fatto di una gravità inaudita;
   si tratta, infatti, di una situazione gravissima perché il raggiungimento del pareggio di bilancio è una misura forzata e impossibile, e avrà un effetto distruttivo sui conti pubblici della regione e dei comuni sardi;
   l'allarme lanciato nel durissimo documento dell'ufficio di presidenza delle regioni e trasmesso urgentemente al Governo esprime tutta la preoccupazione per le conseguenze della legge di stabilità che quest'anno ha reso cogente per le 15 regioni a statuto ordinario e per la regione autonoma della Sardegna la normativa sul pareggio di bilancio;
   basti considerare che sono ben quattro, ma diventano otto se si considera anche la sanità, gli obiettivi imposti alle regioni ordinarie e con loro la Sardegna;
   tali obiettivi devono essere calcolati sia nel bilancio preventivo che in quello consuntivo dal prossimo anno anche per tutti enti locali;
   si tratta di un vero e proprio nodo scorsoio per regione e comuni sardi;
   senza pareggio di bilancio, sia di cassa che di competenza, c’è il blocco totale degli investimenti;
   l'allarme lanciato dai presidenti di regione riguarda soprattutto le spese di investimento perché si rischia il sostanziale divieto di finanziamento del bilancio che di fatto determina il blocco delle politiche di investimento;
   le ripercussioni negative sulla crescita – sostengono i presidenti delle regioni – sarebbero ancora più gravi per le regioni del Mezzogiorno, per le quali l'andamento del Pil in questi anni è stato davvero disastroso. Il blocco degli investimenti per regioni ed enti locali significherebbe precludere ogni possibilità di ripresa, con ripercussioni deleterie sull'andamento dell'intero Pil nazionale;
   per questo motivo i presidenti delle regioni, tardivamente, chiedono il posticipo al 2017 dell'entrata in vigore delle norme per quanto riguarda il pareggio di bilancio dello Stato e, poiché è probabile la richiesta di un ulteriore slittamento al 2018, le regioni ritengono importante affrontare la questione in modo concertato perché diversamente tali obblighi riguarderebbero solo gli enti territoriali che sono peraltro, nelle pubbliche amministrazioni, quelli che investono maggiormente;
   se non si bloccherà tutto questo – sostengono le regioni – dal prossimo anno nessun comune e nessuna regione sarà in grado di fare un euro di spesa di investimento con le conseguenti ripercussioni sul Pil e sullo sviluppo;
   in questo quadro emerge un maldestra posizione della giunta sarda che in Sardegna ha sostenuto quel risultato con quelli che l'interrogante ritiene trionfalismi fuori luogo e destituiti di ogni fondamento e ora sta tentando attraverso la Conferenza delle regioni di bloccare gli effetti nefasti di quel patto –:
   se non ritenga il Governo di intervenire immediatamente per recepire le indicazioni della Conferenza dei presidenti e le denunce del sottoscritto in tal senso con una iniziativa che blocchi gli effetti nefasti delle norme richiamate;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per sottrarre la Sardegna da tale situazione e riportare i rapporti tra Stato e regione nell'aveo del rispetto delle prerogative costituzionali e statutarie;
   se non ritenga di dover immediatamente rinegoziare quel patto sul pareggio di bilancio con la Sardegna, nel senso di riaffermare il diritto della regione a governare i propri bilanci in piena indipendenza e autonomia in base alle norme costituzionali e statutarie. (5-06363)

Interrogazione a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa ha in programma l'applicazione, all'interno del proprio piano industriale, del controverso ridimensionamento già presentato in primavera e di poco modificato;
   il piano comporterebbe la chiusura di 59 uffici postali (solo 6 in meno rispetto al piano presentato in primavera) all'interno della Toscana, ovvero le chiusure degli uffici postali rurali, marginali e montani: 4 in provincia di Arezzo (Campogialli, Pieve a Presciano, Meleto e Mercatale), 6 in quella di Firenze (Pomino, Marcialla, Romola, San Donato in Poggio, San Martino alla Palma e Castelnuovo d'Elsa), 10 a Grosseto (Pereta, Santa Caterina, Selva, Montorgiali, Ravi, Torniella, Borgo Carige, Buriano, Monticello dell'Amiata e Talamone), 8 a Lucca (Mologno, Castelvecchio Pascoli, San Ginese, Lappato, Vorno, San Colombano, Valpromaro e Tereglio), 6 a Massa Carrara (Montedivalli, Vinca, Caprigliola, Serricciolo, Filetto e Canevara), 10 a Pisa (Corazzano, Ghizzano di Peccioli, Legoli, Luciana, Marti, Soiana, Treggiaia, Uliveto Terme, San Giovanni alla Vena e Castelmaggiore), 8 a Pistoia (Calamecca, Cireglio, Grazie, Pracchia, San Mommè, Villa Baggio, Montemagno di Quarrata e Tobbiana), 1 a Prato (Bacchereto) e 6 a Siena (Monticchiello, Pievescola, San Gusmè, Gracciano, Montisi e Serre di Rapolano);
   le chiusure comporteranno un disagio fortissimo agli abitanti di queste piccole comunità locali, spesso decentrate dai propri capoluoghi, abitate da anziani, per i quali l'ufficio postale rappresenta anche un fondamentale presidio del territorio;
   contro le chiusure e le riduzioni dei servizi progettate si sono mobilitati cittadini, sindaci, consiglieri comunali e regionali, organizzazioni sociali, l'Anci Toscana (di pochi giorni fa una manifestazione in Lunigiana ha visto il coinvolgimento di oltre 200 persone tra cittadini e amministratori locali) e i cittadini minacciano di occupare gli uffici postali e ritirare i propri depositi;
   con sentenza n. 332 del 15 luglio il TAR del Friuli ha accolto il ricorso proposto dal comune di Buja in provincia di Udine, annullando i provvedimenti con i quali Poste Italiane, in applicazione del piano di riorganizzazione degli uffici postali, aveva chiuso due uffici postali in due frazioni del Comune;
    dalla lettura della sentenza, infatti, emerge con chiarezza inequivocabile come i giudici friulani abbiano affermato che l'esigenza di risparmiare può essere un fattore di valutazione da parte di Poste Italiane, ma non può prevalere sull'interesse pubblico allo svolgimento del servizio universale;
   la presenza capillare di uffici postali anche in comuni montani e difficilmente accessibili è un elemento importante per la popolazione che non possiede mezzi di trasporto privati e per gli anziani, oltre che per imprese, artigiani e commercianti;
   per queste piccole comunità l'ufficio postale rappresenta un presidio fondamentale, nonché un elemento importante di coesione sociale, economica e territoriale, premettendo un accesso universale a servizi locali essenziali;
   la chiusura degli uffici postali comporterà un aggravio pesante di tempo e di costi per i cittadini, così come per imprese, artigiani e commercianti già provati dalla crisi e costretti ora a spostarsi, con il conseguente maggiore impatto ambientale;
   tra i principi che regolano il necessario decentramento dei servizi pubblici vi è la necessità di assicurare alle aree periferiche del territorio le stesse possibilità delle aree urbane e più densamente popolate;
   questo progetto di chiusura dei servizi degli uffici postali, potrà contribuire ad un ulteriore spopolamento dei centri minori, dei borghi e delle aree rurali, in totale contraddizione con gli interventi che prevedono già ora finanziamenti per le Unioni montane e per i Comuni montani per evitare lo spopolamento e per mantenere la qualità della vita, che rischiano di essere del tutto vanificati se verranno chiusi servizi essenziali come gli uffici postali;
   alcune zone oggetto di tali riduzioni di sedi postali sono ad alta intensità turistica e questo comporterà una riduzione dei servizi anche per l'utenza turistica che sceglie i borghi minori della Toscana anche per la qualità della vita e dei servizi –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda chiarire tale situazione relativa alle innumerevoli sedi che Poste italiane spa ha in programma di chiudere;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per scongiurare questa ipotesi che avrebbe conseguenze pesantissime per le comunità locali coinvolte e per tutelare il diritto degli abitanti ad avere garantiti i servizi postali e di comunicazioni, nonché il diritto per i pensionati di disporre dalla propria pensione. (4-10296)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI, DAL MORO, D'ARIENZO, DE MENECH, MOGNATO, MURER, NARDUOLO, MORETTO, RUBINATO, ZAN, ZARDINI e ZOGGIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da quanto dichiarato dalla prefettura di Rovigo, ovvero che «l'avvio di nuove strutture detentive non è tra le priorità del Governo, visto che si sono risolti alcuni problemi delle vecchie carceri in altre maniere», e risulta il momentaneo blocco dei lavori di realizzazione della nuova struttura penitenziaria della Città di Rovigo;
   per il nuovo carcere sono già stati spesi circa 29 milioni di euro e dal punto di vista strutturale il sito è di fatto terminato già da due anni;
   dal 2013 ad oggi sono stati costruiti anche 90 appartamenti di servizio destinati al personale della struttura e due destinati al comandante del Corpo di polizia penitenziaria;
   secondo quanto è possibile verificare non sarebbe stata costruita una sezione per i semiliberi;
   ad oggi non sarebbe stata eseguita la climatizzazione di molti locali all'interno; mancherebbero l'asfaltatura della strada esterna al carcere e quella interna ad esso e i mobili sia per i detenuti sia per il personale; non sarebbero state terminate le cucine; il nuovo carcere assorbirebbe almeno 150 agenti da aggiungere alla cinquantina già in servizio nella vecchia casa circondariale; lo stop alla realizzazione non è riconducibile all'impossibilità di assumere nuovi agenti in quanto è stato comunicato che a dicembre termina un corso di allievi di polizia penitenziaria (circa 370) e successivamente sarà indetto un concorso per 440 poliziotti penitenziari;
   la nuova struttura penitenziaria di Rovigo riveste un importante peso anche rispetto all'attuale carcere di via Verdi, il quale da tempo lamenta una situazione critica per spazi e disponibilità organizzative, con difficoltà per la popolazione carceraria e per il personale impegnato;
   il nuovo penitenziario permetterebbe di dare avvio alle progettualità di recupero e riqualificazione dell'area del vecchio carcere nel cuore della città stessa di Rovigo –:
   se intenda verificare le cause dell'interruzione dei lavori di ultimazione della nuova struttura penitenziaria presente tra la tangenziale cittadina e via Calatafimi a Rovigo e quali siano i tempi previsti per la fine del cantiere e successivamente per l'avvio delle attività penitenziarie.
(5-06354)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 81 del 30 maggio 2014 si è disposta la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) che sarebbe dovuta avvenire il 31 marzo 2015;
   in Italia gli Opg erano sei, ovvero quello di Castiglione delle Stiviere (che ospita anche le donne), Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto. Con la nuova legge questi ospedali psichiatrici dovranno chiudere e alcuni degli internati saranno trasferiti nelle REMS (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive), istituita dai ministri della salute e della giustizia;
   il problema scaturisce precisamente da questo fatto, perché le REMS non sono infatti pronte ad accogliere i più di 700 internati degli ospedali psichiatrici e, per di più, gli Opg non accolgono al loro interno solo i malati mentali per attuare una funzione rieducativa, ma anche persone che, oltre ad essere malati di mente, hanno commesso dei crimini e perciò devono ancora scontare la loro pena. Purtroppo esistono dei casi in cui alcuni internati, nonostante abbiano già scontato la propria pena e dovrebbero essere riaccolti dalle famiglie, rimangono ricoverati nella struttura perché non più accettati dai loro familiari;
   ciò che manca alle REMS sono proprio le strutture di detenzione necessarie nei casi di malati mentali che abbiano commesso dei crimini. Non avendo le celle al loro interno, alcuni comuni italiani si sono ribellati e non hanno accettato l'apertura e l'accoglienza nella loro città;
   le criticità sulla sicurezza delle nuove strutture è già sotto gli occhi di tutti: alla fine di agosto un 39enne marocchino, detenuto psichiatrico internato nella Rems di Bologna (struttura sanitaria che ha preso il posto degli ospedali psichiatrici giudiziari), si è allontanato durante una passeggiata che stava facendo in un parco pubblico, sfuggendo all'operatore che lo accompagnava;
   a quanto risulta all'interrogante si tratta di un piromane, che stava scontando una condanna per incendio e danneggiamento (reati commessi a Ravenna) nella residenza di via Terracini, aperta il 27 marzo 2015 dopo la chiusura degli Opg;
   i detenuti internati in queste strutture sono ritenuti socialmente pericolosi, ma incapaci di intendere e volere al momento della commissione del reato. La legge prevede che scontino la pena in maniera riabilitativa, e nell'ambito di questo percorso oggi il marocchino, grazie a un'autorizzazione specifica della magistratura, era stato accompagnato a fare un giro nel parco di Villa Angeletti, in via Carracci, dove è riuscito a sfuggire all'operatore che era con lui;
   nell'aprile 2015, a poche settimane dall'apertura della Rems, un detenuto 60enne internato nella residenza di Bologna era fuggito e si era barricato in casa con la madre a Bellaria, minacciando di uccidersi col gas, ma l'intervento dei carabinieri lo aveva fatto desistere;
   come testimoniato anche dagli operatori del settore a luglio 2015, il problema sicurezza è divenuto una priorità, infatti 41 psichiatri dell'Ausl avevano sottoscritto un documento per denunciare le insufficienti misure di sicurezza nella Rems di Bologna;
   un altro segnale della difficoltà nella gestione della sicurezza nei REMS è evidenziata da un'altra fuga sempre della fine dell'agosto 2015: il giorno di Ferragosto dall'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) scavalcando la recinzione è evaso, Lucan Valcelian, romeno di 29 anni, che era ricoverato da febbraio, dopo aver ucciso a bastonate la moglie in una fabbrica abbandonata di Moncalieri (Torino), dove la famiglia viveva;
   con gli ingressi degli ultimi mesi, la struttura di Castiglione si trova in una condizione di notevole sovraffollamento infatti i dati dicono come la struttura aloisiana abbia in carico oltre 260 pazienti, rispetto ai 160 previsti, di cui oltre un centinaio provengono da regioni ancora sprovviste delle Rems: quindi da un lato è cresciuta la presenza di ricoverati, che difficilmente accettano riduzioni dello spazio di libertà e, contestualmente, è aumentato il numero di pazienti con posizione giuridica provvisoria, spesso caratterizzati da patologie psichiatriche minori;
   anche in questo caso, gli operatori, nonostante l'implementazione di misure di sicurezza nella struttura psichiatrica dell'Alto Mantovano, chiedono che venga attuato un significativo intervento da parte delle autorità di competenza per quel che concerne il tema del ridimensionamento delle presenze dei pazienti, secondo i valori previsti dalla normativa vigente. Tutto ciò per accrescere la sicurezza degli utenti e, soprattutto, degli operatori sanitari, in una adeguata dimensione di cura e assistenza;
   l’«Accordo concernente disposizioni per il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari» oltre agli aspetti economico-finanziari dell'attivazione delle REMS, attraverso alcuni articoli, cerca di chiarire anche gli aspetti operativi per la gestione delle REMS, tra cui: trasferimenti, traduzioni e piantonamenti dei pazienti internati, la formazione del personale, la sicurezza e i rapporti con la Magistratura. Dalla lettura del dispositivo emergono numerose criticità. La questione più spinosa è rappresentata dalla custodia degli internati e i diversi aspetti della sicurezza delle REMS. Gli internati sono sottoposti a misure di sicurezza giudiziaria, infatti la norma sancisce che tutti i diritti della persona internata nelle REMS siano disciplinati dalla normativa penitenziaria, ma la custodia passa dal DAP (dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) alla sanità (dipartimento salute mentale) –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere iniziative al più presto al fine di modificare la legge n. 81 del 30 maggio 2014 con cui si è disposta la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) per garantire la sicurezza di cittadini ed operatori.
(4-10312)


   GUIDESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 25, 26 e 27 giugno 2014 si è svolto presso i padiglioni della fiera di Roma il concorso per l'accesso alla magistratura ordinaria indetto con decreto ministeriale 30 ottobre 2013;
   purtroppo l'interrogante ha verificato che in merito ai fatti occorsi, già posti all'attenzione con altri atti di sindacato ispettivo, il Ministro non ha ancora proceduto a formalizzare una risposta e pertanto appare opportuno ripresentare la questione e chiedere una risposta urgente;
   risulta all'interrogante, in base a quanto segnalato da alcuni dei partecipanti che hanno avuto cognizione diretta dei fatti, tra l'altro, riportate anche dagli organi di stampa in quel periodo, in particolare il Corriere della Sera ed il Fatto Quotidiano, e da altre testimonianze dirette reperibili facilmente accedendo ai diversi forum e su facebook, che diversi candidati venivano sorpresi in possesso di codici commentati il cui uso è espressamente vietato dal regolamento del concorso, fatti per i quali la sanzione consiste nell'espulsione del candidato e nel conseguente «consumo» di uno dei tre tentativi a disposizione. Occorre rilevare, in primo luogo, che il materiale di ogni candidato dopo essere stato minuziosamente controllato viene timbrato ed autorizzato e fino al ritiro del candidato non può essere portato al di fuori del luogo dove si sta svolgendo il concorso (ossia dalla fiera); in secondo luogo, i codici vietati che sono stati trovati sui banchi dei candidati erano dotati del timbro di autorizzazione. Ne consegue che tali codici non possono che essere stati introdotti in un momento successivo dal personale che effettua il controllo sui codici e sui candidati. In seguito a tale scoperta sono stati gli stessi concorrenti a denunziare i fatti alla commissione, poiché il personale addetto al controllo non si era accorto delle irregolarità; ma, così parrebbe, fatto ancor più grave, i candidati che commettevano tali irregolarità anziché essere espulsi sarebbero stati trasferiti in altri padiglioni in modo da «mettere a tacere» i concorrenti autori delle denunce;
   oltre a quanto sopra descritto, risulterebbe, come indicato dalle fonti richiamate ut sopra, che nei bagni dei vari padiglioni venivano trovate fotocopie di sentenze, fotocopie di manuali e persino un'enciclopedia giuridica Treccani; è certamente possibile che le fotocopie siano state introdotte dai candidati occultandole sotto gli indumenti, ma non pare possibile che i candidati abbiano introdotto in tal modo un'enciclopedia. Si torna dunque alla conclusione che tale materiale sia stato introdotto dal personale. A sostegno di tale tesi si tenga in considerazione la circostanza che nessun concorrente può introdurre nel padiglione borse, a meno che esse non siano completamente trasparenti in modo da consentire a chiunque di individuarne il contenuto. Tali borse vengono inoltre continuamente controllate dagli agenti che spesso perquisiscono personalmente i candidati;
   in questo scenario particolarmente critico e soprattutto condizionato da molteplici eventi degni di indagini, appare opportuno segnalare quello che è palesemente apparso, se fosse possibile procedere ad una gradazione delle irregolarità, quello più spregevole: il 27 giugno, verso le ore 10, nel padiglione n. 3, sarebbe stata scoperta una candidata che, ben prima della dettatura della traccia, avrebbe iniziato a scrivere sui fogli protocollati lo schema di un tema sul giudizio di ottemperanza, malgrado non fosse cominciata ufficialmente la prova e non fossero addirittura presenti i membri della commissione;
   di poi emerge con chiarezza dai fatti sopra narrati, che la direzione delle prove di esame, svolta dalla commissione, e dal suo presidente, risulta per una certa parte se non illegittima per certo irregolare. Tale conduzione ha così notevolmente esasperato i concorrenti i quali davanti all'inerzia della commissione che non procedeva con le giuste espulsioni e non rafforzava i controlli, manifestavano il dissenso gridando «vergogna» contro i commissari i quali chiedevano l'intervento delle forze di polizia. L'esasperazione è stata tale che in uno dei padiglioni i candidati manifestavano l'intenzione di volersi astenere dalla prosecuzione delle prove fintanto che la commissione non provvedeva con le necessarie misure sanzionatorie. Davanti al rifiuto dei concorrenti la commissione sembrerebbe aver reagito in maniera addirittura minacciosa, opponendosi altresì alla richiesta dei candidati stessi di presenziare alla redazione del verbale nel quale si doveva dare conto dei fatti accaduti;
   in data 4 luglio 2014 il Ministero della giustizia, anche in risposta alle polemiche sorte a seguito delle denunce dei partecipanti al concorso e delle informazioni veicolate a mezzo stampa, diramava sul proprio sito istituzionale la seguente comunicazione: «In relazione a notizie di stampa su presunte irregolarità avvenute durante le prove scritte del concorso a 365 posti per magistrato ordinario del 26 giugno scorso, il Ministero della giustizia assicura sul regolare svolgimento delle suddette prove. Dai verbali delle operazioni risulta, in particolare, che nel corso delle prove scritte sono stati espulsi 19 candidati per le seguenti ragioni: 8 perché trovati in possesso di codici commentati, 9 perché trovati in possesso di appunti o altro materiale di supporto, 1 perché trovato in possesso di un dispositivo elettronico idoneo a fungere da data-base e 2 perché trovati in possesso di telefoni cellulari. Tutti i suddetti candidati sono stati immediatamente allontanati dall'aula senza poter continuare lo svolgimento delle prove. Quanto all'introduzione dei codici commentati, in particolare, si fa presente che i 29 Commissari nominati dal Consiglio superiore della magistratura, che ai sensi del regio decreto 1860/1925, svolgono l'esclusivo compito di procedere alle preventive verifiche della durata di due giornate, hanno esaminato oltre 30.000 codici e testi di legge presentati dai 6781 candidati. E grazie alla continua opera di vigilanza svolta dal personale giudiziario nei padiglioni è stato possibile individuare la bassissima percentuale dello 0,3 per cento di testi vietati. I candidati espulsi sono stati allontanati dalla prova con specifico verbale firmato dal Presidente, dai componenti e dal segretario della commissione esaminatrice. Inoltre l'Ufficio concorsi del Ministero ha già attribuito loro l'inidoneità, nonché trasmesso al Consiglio superiore della magistratura i relativi verbali al fine di consentire al Consiglio stesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 160 del 2006, di valutare l'esclusione dei candidati anche dai successivi concorsi»;
   al contrario però nulla risulta essere stato riferito in merito all'episodio dello svolgimento della traccia, prima della dettatura, nonché del ritrovamento di una enciclopedia giuridica, oltre a non aver in alcun modo dissipato i dubbi circa le innumerevoli irregolarità o illeciti occorsi durante il concorso in parola;
   inquinare, come parrebbe essere stata inquinata, una selezione per l'accesso alla magistratura ordinaria dei componenti della magistratura, e sui cui componenti, ai sensi degli articoli 101 e 104 della Costituzione, dovrebbe vigere il principio di indipendenza, imparzialità e terzietà, a giudizio dell'interrogante inficia il ruolo, la missione e la configurazione del potere giudiziario in Italia –:
   quali ulteriori provvedimenti, oltre a quelli comunicati in data 4 luglio 2014, abbia adottato nel frattempo il Ministro in riferimento alla prova di esame per l'accesso alla magistratura ordinaria nei confronti dei candidati, concorso indetto con decreto ministeriale 30 ottobre 2013, nonché se siano emerse responsabilità per eventuali irregolarità commesse da parte della commissione di concorso e se siano stati adottati i conseguenti provvedimenti da parte del Consiglio superiore della magistratura, e se il Ministro intenda, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio alla situazione sopra riferita, da un lato, valutare l'annullamento del concorso, e dell'altro lato, per il futuro, adoperarsi al fine di procedere all'emanazione di linee guida che consentano una gestione più attenta e responsabile dei concorsi di esame per l'accesso alla magistratura ordinaria, al fine di consentire il pieno rispetto delle regole e delle persone che, con sacrificio e correttezza, si approcciano a tale concorso. (4-10316)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 settembre 2015 all'altezza della stazione ferroviaria di Varano (AN) si è verificato un principio d'incendio sul Freccia Bianca 9818 proveniente da Lecce e diretto a Milano. Ad essere interessata la quarta di nove carrozze;
   una squadra dei vigili del fuoco veniva inviata subito alla stazione ferroviaria di Passo Varano dove il treno nel frattempo si era fermato. Sul posto si accertava che era stato il quadro elettrico del comando di una carrozza a prendere fuoco, incendio poi spento dal capo treno con un estintore in dotazione. La squadra dei vigili del fuoco procedeva così al minuto spegnimento e ad un accurato controllo, anche con l'uso di una termocamera a infrarossi, per verificare che l'incendio non si fosse propagato ad altri punti della carrozza con particolare attenzione alle intercapedini e punti nascosti;
   nel frattempo i circa 30 passeggeri della carrozza venivano trasferiti negli altri vagoni non interessati dall'evento. Dopo circa 30 minuti, avuta la certezza del totale spegnimento delle fiamme, il treno ripartiva verso la stazione di Ancona Centrale con a bordo la squadra dei vigili del fuoco come misura preventiva, anche in considerazione del fatto che i pochi chilometri di tragitto rimasto prevedevano il transito in una galleria. Giunti ad Ancona Centrale si consentiva ai passeggeri di recuperare gli effetti personali e bagagli dopo il quale si affidava il convoglio a Trenitalia –:
   se siano state accidentali le cause dell'incendio;
   se la causa vada ricercata nel grado di obsolescenza delle automotrici attualmente in circolazione. (5-06348)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio del 6 luglio 2015 in piena conferenza stampa del presidente di Anas Armani che aveva incontrato il presidente della regione e l'assessore dei lavori pubblici circa lo stanziamento di un miliardo di euro per i prossimi quattro anni per la Sardegna era destituito di ogni fondamento;
   a distanza di un mese da quell'annuncio, il Cipe ha comunicato l'approvazione del contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'Anas con il quale sono state indicate le risorse ripartite regione per regione;
   alla Sardegna a fronte di un miliardo annunciato sono stati assegnati appena 55 milioni di euro, da dividere in ben 23 interventi;
   il gap infrastrutturale viario resta tale e quale e non esiste nessun serio piano per abbattere concretamente quel divario che colloca la Sardegna tra le regioni peggio infrastrutturate del Paese;
   l'approvazione del contratto di programma con le cifre irrisorie per la Sardegna conferma il totale disinteresse del Governo che continua a riservare all'isola solo stanziamenti marginali e decisamente tardivi;
   a questo si aggiunge che non solo non concedono risorse alla Sardegna, ma si divulgano promesse roboanti che si concretizzano in niente;
   il silenzio e l'assenza totale di reazioni da parte del governo regionale per uno stanziamento insignificante, a giudizio dell'interrogante fa prevalere, invece, ancora una volta, una «sudditanza» istituzionale davvero inaccettabile che asseconda ancor di più gli atti del Governo e delle sue società lesivi della Sardegna;
   l'approvazione da parte del Cipe del contratto di programma dell'Anas con il ministero delle infrastrutture e dei trasporti di fatto smentisce in toto le affermazioni di un mese fa del presidente dell'Anas in Sardegna;
   la maggior parte dei 55 milioni di euro per la Sardegna non saranno nemmeno sufficienti alla manutenzione considerate le condizioni delle strade sarde;
   la conferma che non ci sono stanziamenti infrastrutturali nuovi arriva dal fatto che i 23 interventi sono destinati a manutenzione straordinaria della rete, e in particolare interventi su gallerie, ponti e viadotti, opere di messa in sicurezza, pavimentazioni, sostituzione di barriere e protezioni, impiantistica;
   non esistono stanziamenti per la 131, non esistono risorse per completamento della 125, nessuna assegnazione alla Sardegna dei ribassi d'asta della Sassari-Olbia;
   l'Anas sta di fatto sottraendo anche le risorse della regione Sardegna, considerato che la Sassari-Olbia è finanziata per gran parte con i fondi Cipe destinati alla Sardegna come attribuzioni proprie e non statali;
   nel caso della Sassari-Olbia i ribassi d'asta, che superano i 200 milioni di euro, non sono stati riassegnati alla Sardegna finendo senza nessun controllo nella cassa comune di Anas;
   l'atteggiamento di Anas secondo l'interrogante è la fotografia del comportamento del Governo Renzi verso la Sardegna: annunci e parole destituite di ogni fondamento e poi niente;
   per le strade sarde servono fondi veri e non ennesime promesse inconsistenti;
   non esiste nemmeno un euro per la 131 e le risorse promesse con lo «sblocca Italia» sono spariti nel nulla dopo che sono scaduti i termini per appaltare e mettere in cantiere le opere;
   la promessa di denaro si è infranta come neve al sole davanti all'approvazione del contratto di programma e alle scadenze di legge che non sono state rispettate per nessuna delle opere previste nel decreto prorogato il 31 dicembre dello scorso anno;
   la promessa di un miliardo di euro per la Sardegna per i prossimi 4 anni è, dunque, destituita di qualsiasi fondamento, considerato il nuovo contratto di programma, i bilanci di Anas e gli stanziamenti inesistenti nelle leggi finanziarie;
   gli annunci di questo Governo sono privi di qualsiasi consistenza –:
   se non ritenga di dover assumere impegni concreti verso la Sardegna a partire dagli stanziamenti per il completamento delle arterie viarie principali della Sardegna;
   se non ritenga di dover con urgenza riassegnare alla Sardegna tutti i fondi derivati dai ribassi d'asta delle opere finanziate negli anni passati a partire dalla strada statale Sassari-Olbia;
   se non ritenga di riequilibrare gli stanziamenti a favore della Sardegna compresi, proporzionalmente, quelli riservati alle autostrade. (5-06360)


   CAPONE e MARIANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane una grande mobilitazione sta investendo il Salento e la Puglia con l'obiettivo che Trenitalia possa rivedere le sue posizioni relativamente all'attivazione del nuovo collegamento ferroviario Milano-Bari tramite una coppia di treni Frecciarossa Etr 500 che lascia ancora una volta sguarnita una amplissima porzione del territorio pugliese (Brindisi-Lecce-Taranto);
   tale decisione del management di Trenitalia appare in forte contrasto con le cifre da record registrate nel Salento nella corrente stagione turistica e più in generale con le ragioni di uno sviluppo territoriale che lega anche all'infrastrutturazione il proprio destino, con il rilevantissimo impegno profuso dal Governo per il salvataggio dell'Ilva e il rilancio della città di Taranto e financo con quanto dichiarato recentemente proprio dal Ministro al ramo nel corso del «meeting di Rimini, dove era presente anche l'amministratore delegato di Ferrovie dottor Michele Mario Elia, quando ha affermato: «Abbiamo portato l'alta velocità al Nord e ora dobbiamo portarla anche al Sud perché è giusto ed è serio che anche il Sud abbia la mobilità adeguata per gli spostamenti di business»; il Ministro ha illustrato successivamente, si apprende dagli organi di informazione, «i 4 pilastri su cui si dipanerà l'intervento: la linea adriatica da Milano a Lecce, quella tirrenica fino a Reggio Calabria, la Napoli-Bari-Taranto cui sono stati destinati 4,3 miliardi, le linee in Sicilia per cui saranno necessari 3,9 miliardi», segno evidente di un cambio di passo rispetto a quanto accaduto in questi anni, e anche agli investimenti in tema di alta velocità che, come noto, sulla linea Adriatica si ferma a Bologna, determinando una nettissima cesura nel Paese, giustamente considerato, anche da questo punto di vista, a due e alcune volte anche a tre velocità;
   sebbene infatti non si possa parlare, per i collegamenti in questione, di alta velocità o alta capacità, per ragioni legate ad una non compiuta infrastrutturazione della linea adriatica, pur tuttavia la mancata attivazione su Lecce costituisce un vulnus in termini di risparmio orario comunque consistente e più in generale di una politica dei trasporti su ferro che non sembra adeguatamente rispondere alle esigenze di mobilità del territorio, più volte penalizzato, e dei cittadini, oltre che delle imprese;
   d'altra parte nel programma operativo nazionale 2014-2020 «Infrastrutture e Reti–Regioni meno sviluppate» il riferimento all'alta capacità Napoli-Bari è esplicito e altrettanto evidente il ruolo di hub regionale rivestito da Bari, mentre non altrettanto evidente è quale sviluppo infrastrutturale si intenda perseguire per il territorio a sud di Bari, e con quali risorse;
   come si evince dal rapporto Legambiente «Pendolaria 2014», nel nostro Paese l'esigenza di alta velocità e di alta capacità si somma all'esigenza di ordinaria qualità del trasporto su ferro, non adeguatamente soddisfatta dalle politiche perseguite negli ultimi anni proprio da Trenitalia (interamente partecipato dal Ministero dell'economia e delle finanze): tale carenza è testimoniata dal dato altamente significativo dei due milioni 768mila passeggeri che ogni giorno usufruiscono del trasporto ferroviario regionale con un incremento tra il 2009 e il 2012 del 17 per cento in termini di volume passeggeri a fronte di una riduzione negli stessi anni delle risorse statali per il trasporto su ferro e gomma pari al 25 per cento;
   la situazione si aggrava ancor di più, se possibile, considerando la mappa assai difforme della spesa regionale in fatto di trasporti che, sempre secondo il Rapporto Pendolaria, «in quasi tutte le regioni è del tutto inadeguata: le situazioni più gravi sono quelle di Sicilia, Piemonte, Puglia e Veneto dove i pendolari sono centinaia di migliaia e non si arriva neanche allo 0,1 per cento della spesa rispetto al bilancio»;
   tale stato di cose viene confermato da una analisi condotta da alcuni sociologi dell'Università del Salento, pubblicata nei giorni scorsi da un autorevole organo di stampa regionale dove si legge: «Cifre alla mano (fonti: bilanci aziendali, Cnit, Istat), in Italia la tendenza a far pagare ai cittadini la redditività aziendale appare particolarmente eclatante. Eppure si tratta di un'azienda con una redditività (Ebitda margin) che, stando al bilancio del Gruppo Fsi, supera il 25 per cento (per intendere: Deutsche Bahn è intorno al 12 per cento, la francese Sncf fa circa l'8 per cento)». E ancora: «Quanto ai sussidi per i servizi di trasporto, il valore complessivo dei contratti di servizio è passato da 1,7 a 2,3 miliardi all'anno fra il 2006 e il 2014; i costi sostenuti dalle Regioni per i servizi di trasporto regionale sono aumentati del 50 per cento nello stesso periodo (da 6 a 9 centesimi per passeggero-km). Mentre le finanze pubbliche sostengono anche le spese di manutenzione (5,3 miliardi nel Contratto di Programma Servizi 2012-2014) e gli investimenti (il portafoglio progetti, in ampia parte dedicato all'alta velocità sul versante tirrenico, sfiora i 99 miliardi nel Contratto di Programma Investimenti 2012-2016)». In definitiva «(Trenitatia, ndr) è un'azienda che ha spostato l'offerta di servizi verso le attività più redditizie. Paradossalmente, a fronte dell'ingente leva sulle risorse pubbliche, il servizio universale, ossia l'alternativa alle costose “Frecce”, è divenuto quasi impraticabile, per quantità e qualità». Ne consegue una situazione ben focalizzata proprio dalla ricerca in questione: «Oggi i cittadini pagano due volte: come contribuenti finanziano infrastrutture e manutenzione, coprendo il rischio d'impresa; come viaggiatori pagano il prezzo “di mercato” (a un'impresa sostanzialmente monopolista) per un servizio che promette alta velocità. Si realizza così una redistribuzione perversa di risorse: tutti i contribuenti, anche quelli che abitano in contesti periferici, pagano per infrastrutture e per servizi che restano confinati ai contesti più ricchi, dove l'impresa può produrre maggiori introiti»;
   si comprende dunque la generale levata di scudi dinanzi alle dichiarazione dell'Amministratore delegato di Trenitalia che ha categoricamente escluso la possibilità di revisione di quanto deciso circa il collegamento ferroviario in questione per precise «regole di mercato», mentre organi di stampa hanno recentemente sottolineato «che i 6 Etr500 (che oggi si chiamano Frecciarossa) cancellati 7 anni fa dalla linea Adriatica, viaggiavano in regime di libero mercato da Milano a Lecce o da Milano a Taranto e non erano in perdita» e che «ancora oggi da Milano a Lecce i Frecciabianca, che pur circolano in orari poco favorevoli rispetto al Frecciarossa in programma, non sono in perdita» –:
   come il Ministro interrogato intenda, nel merito, salvaguardare le esigenze del territorio meridionale e dei cittadini pugliesi e salentini e se non ritenga necessario adoperarsi affinché Trenitalia riveda una politica aziendale che penalizza ingiustificatamente una intera porzione del territorio pugliese;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario avviare un confronto con Trenitalia e le regioni meridionali e nello specifico la Puglia perché, anche alla luce di quanto affermato nella presente interrogazione, l'investimento nel trasporto su ferro al Sud possa adeguatamente essere riequilibrato a tutela di un diritto dei cittadini e di una più lungimirante politica di inclusione e coesione territoriale necessaria al Paese, oltre che alle regioni del Sud;
   se il Ministro interrogato ritenga equa e corretta una politica del trasporto su ferro che, assai frequentemente, destina come in questo caso alle tratte meridionali, anche quelle dei «servizi a mercato» treni dismessi sulle tratte settentrionali a fronte dello stesso costo passeggeri e se anche questa forma di evidente penalizzazione non contribuisca a creare territori di «serie a» e territori di «serie b» nell'ambito del sistema Paese, colpendo per ciò stesso alla radice la logica di sistema. (5-06361)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un report di una società spagnola incaricata delle prove sul tracciato ferroviario sardo del «treno veloce» fermo da oltre 400 giorni alla stazione di Cagliari fa emergere un vero e proprio scandalo nella gestione del servizio ferroviario, in Sardegna;
   si tratta di un treno di fatto inutile per le ferrovie sarde, considerati i test effettuati dalla società spagnola Cetest;
   il risultato è a dir poco fallimentare;
   l'agenzia per la sicurezza chiamata ad autorizzare il loro utilizzo imporrà limiti severi all'uso del treno costato ben 78 milioni di euro;
   la decisione in codice dell'agenzia per la sicurezza sarà chiara: niente cassa oscillante, un pendolino che non potrà pendolare, niente curve a velocità sostenuta;
   sono state utilizzate notti intere per provare e riprovare, ma da San Gavino in poi il treno si deve sostanzialmente fermare;
   si rilevano velocità medie di 95 chilometri all'ora;
   gli annunci di un treno veloce risuonano come l'ennesima propaganda di una gestione totalmente inadeguata non solo dei trasporti con il continente ma ancora di più quelli interni;
   il report degli spagnoli della Cetest, fatto per La Construcciones Auxiliar de Ferrocarriles, S.A. J.M. Iturrioz, Beasin (Guipùzcoa) parla chiaro: pur rilevandosi una velocità teorica di 115 chilometri all'ora, di fatto non si sono mai superati i 95 chilometri all'ora, a causa delle pendenze e delle successioni continue di curve che non permettono nessuna concreta salita di velocità;
   il report firmato dallo spagnolo Imanol Landa è il frutto di tante notti insonni di macchinisti, tecnici, esperti alle prese con una specie di Ferrari in un tracciato di campagna;
   il documento che doveva restare top secret fornisce le tabelle di velocità particolareggiata per le sezioni di test selezionati; valori di velocità alla quale i treni devono circolare in ogni fase della messa in velocità e al velocità per le prove dinamiche (ultima fase);
   nel report, inoltre vengono impostate le velocità di circolazione e direzione inversa. Il risultato è a dir poco incredibile: il treno CAF ATR 365 durante le prove omologative ha fatto registrare velocità tra i 150 e i 170 chilometri all'ora solo nella tratta Cagliari S. Gavino (doppio binario), mentre da S. Gavino in poi si va con un binario con rettifili, curve e sicurezza dei binari tutt'altro che rassicuranti che non consentono velocità superiori a quelle di qualsiasi altro treno;
   appare all'interrogante un treno veloce comprato per niente;
   nella tratta da Oristano a Macomer, pur rilevandosi una velocità teorica di 115 chilometri all'ora, di fatto non si sono mai superati i 95 chilometri all'ora; secondo il report emerge una criticità rilevante e insormontabile proprio da San Gavino in poi, a causa delle pendenze e delle successioni continue di curve che non permettono nessun tipo di sviluppo di velocità;
   sul tratto da Cagliari a Oristano si potranno recuperare massimo 15 minuti di tempo sulla normale percorrenza, sul tratto da Oristano in poi si pensa di recuperare tra i 2/3 minuti;
   le prove e i report sono senza tema di smentita: le velocità teoriche da San Gavino in poi sono eloquenti. Da Oristano a Macomer e proseguire il risultato è catastrofico: nelle progressive chilometriche tra Solarussa e Bauladu il tachimetro del treno veloce si ferma a 95 chilometri all'ora per arrivare nelle rilevazioni ai 93 chilometri all'ora del cippo del chilometro 148 tra Abbasanta e Macomer alla velocità teorica di 93 chilometri all'ora;
   a questo si aggiunge che l'agenzia della sicurezza è alle prese con un carteggio delicato: in Sardegna secondo i report dell'agenzia sono state individuate 70 piattaforme e rilevati cedevoli e quindi soggetti a grave rischio per gran parte dei tratti delle ferrovie della Sardegna;
   nel dettaglio di competenza del compartimento Sardegna-Cagliari sono state individuate a rischio di piattaforma cedevole i tratti da Abbasanta in su sino a Sassari; dalla Abbasanta-Paulilatino piattaforma cedevole 124 sino Mores-Torralba erosione piattaforma 203;
   ulteriori problemi che denunciano errori politici strategici dal 2004 in poi che hanno bloccato l'accordo di programma quadro per velocizzazione della rete ferroviaria sarda che aveva stanziato e realizzato interventi per quasi 500 miliardi delle vecchie lire;
   tutto venne fermato per un fallimentare progetto di treni veloci che oggi giunge vergognosamente al capolinea;
   ora di questo misfatto qualcuno ne dovrà rispondere –:
   se non intenda intervenire urgentemente con stanziamenti adeguati per rendere la rete ferroviaria sarda in grado di soddisfare condizioni di sicurezza ed efficienza tali da mettere la connessione ferroviaria sarda alla pari delle altre regioni;
   se non intenda dare corso al parere della Commissione trasporti della Camera sul contratto di programma 2012-2016 per uno stanziamento pluriennale di 100 milioni di euro sin dal prossimo disegno di legge finanziaria per modificare i tracciati ferroviari, garantendo piena efficienza del trasporto ferroviario in Sardegna. (5-06364)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI, ARTINI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 89 (SS 89) denominata Garganica, pur essendo oggetto di numerose proposte progettuali che ne prevedono l'allargamento della sezione stradale (agevolando il transito verso località turistiche del Gargano quali Rodi Garganico, Peschici, Vieste, Mattinata e Manfredonia), risulta attualmente essere la strada statale con il numero più alto di incidenti e con il più alto numero di feriti della provincia;
   la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada statale 89 è lacunosa nei tratti più interessati dai movimenti dei turisti (attività fondamentale per l'economia locale), mentre in altri tratti è praticamente assente e la programmazione dei lavori di manutenzione risulta essere approssimativa così che i disagi maggiori si verificano proprio durante il periodo estivo (quest'anno le gallerie «Monte Saraceno, Papone, San Benedetto, Sperlonga e Palombari» sono state chiuse dal 20 al 30 luglio nella fascia oraria compresa tra le 10 e le 18, con eccezione del sabato e della domenica);
   i problemi maggiori per la circolazione stradale si verificano nel tratto Mattinata-Manfredonia-Foggia, soggetto a volumi di traffico sostenuti durante tutto l'anno e, in particolare, il tratto fino all'aeroporto militare di Amendola (la prima base operativa italiana in cui sono collocati, tra l'altro, gli F35) è a corsia unica per senso di marcia e non provvisto di guard rail e banchine di larghezza idonea per la sosta d'emergenza (su tale tratto si segnala che la pericolosità dell'immissione in carreggiata degli autobus in prossimità della fermata vicino l'aeroporto militare è stata certificata durante sopralluoghi disposti dalla prefettura di Foggia a cui hanno partecipato ANAS e polizia stradale);
   tale tratto presenta, inoltre, problematiche rilevanti anche laddove la strada risulta più larga (due corsie per senso di marcia con guard rail spartitraffico) poiché è percorso generalmente da mezzi pesanti o agricoli, considerando che le vie complanari appaiono di larghezza insufficiente a garantire in sicurezza il transito di mezzi pesanti in quella zona a prevalente vocazione agricola e sono quasi del tutto a senti piazzole e corsie d'emergenza (si segnala, inoltre, che, in seguito a numerosi incontri presso la prefettura di Foggia, alla presenza dei gestori del trasporto pubblico CoTraP, polizia stradale, ANAS, amministrazione provinciale di Foggia e Comitato residenti, si è palesata anche l'impossibilità ai mezzi adibiti al trasporto pubblico di effettuare delle fermate in tale tratto della strada statale 89, eccezion fatta per la sola fermata situata all'altezza dell'unico distributore di carburante) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e delle problematiche della strada statale 89 e quali iniziative intenda intraprendere affinché venga garantita in totale sicurezza la viabilità della tratta in questione così rendendo fruibile e adeguato il servizio di trasporto automobilistico pubblico locale. (4-10294)


   GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Umbria è dotata di un servizio ferroviario regionale (ex FCU), ove l'infrastruttura ferroviaria attraversa il territorio regionale e rappresenta un patrimonio per la collettività umbra oltre che un servizio fondamentale, come sancisce anche il piano regionale dei trasporti;
   l'infrastruttura ferroviaria necessita di adeguata manutenzione straordinaria senza la quale si mette in discussione il servizio ferroviario stesso;
   a seguito di sopralluoghi l'USTIF ha deciso la chiusura temporanea della tratta Umbertide-Città di Castello del servizio ferroviario regionale (ex Ferrovia Centrale Umbra) a causa del mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza della infrastruttura ferroviaria;
   dovranno essere individuate le responsabilità della mancata corretta manutenzione della linea ferroviaria, ma resta prioritario garantire appieno l'utilizzo del servizio;
   per mettere in sicurezza la tratta occorre un investimento urgente atto a garantire il ripristino degli standard di sicurezza, sia per gli utenti che per i lavoratori;
   la regione Umbria, Rete ferroviaria italiana e lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in più occasioni hanno affrontato il tema dell'interscambiabilità del servizio utilizzando sia la rete regionale che nazionale, e l'infrastruttura ex FCU rappresenta una direttrice fondamentale per la regione che la attraversa longitudinalmente consentendo l'aggancio alle rete di RFI –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in atto, per quanto di competenza, al fine di garantire con risorse adeguate e in raccordo con la regione Umbria il ripristino nel più breve tempo possibile della tratta del sistema ferroviario regionale dell'Umbria Umbertide-Città di Castello;
   se il Ministro intenda impegnarsi, per quanto di competenza, nel favorire una stretta correlazione tra Rete ferroviaria regionale dell'Umbria e Rete ferroviaria italiana in modo da garantire una interscambiabilità del servizio, utilizzando al meglio l'infrastruttura, migliorandone le condizioni e rendendola efficiente per gli utenti ma anche utile alla mobilità nazionale e regionale. (4-10295)


   DAGA, VIGNAROLI, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il grande raccordo anulare (abbreviato in GRA), classificato ufficialmente come A90 è l'autostrada tangenziale, senza pedaggio, che circonda anularmente la città di Roma. È caratterizzato da un tracciato circolare chiuso e senza discontinuità, a doppio senso di marcia con almeno 3 corsie per carreggiata, un diametro medio di circa 21 chilometri e una lunghezza di 68,223 chilometri. È gestito direttamente dall'ANAS e percorso giornalmente da circa 160.000 veicoli (58 milioni l'anno), risultando tra le autostrade italiane con il più alto volume di traffico;
   secondo ACI il grande raccordo anulare è una delle strade con maggior densità di incidenti in Italia;
   «L'Anas spa è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. È una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'Economia ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti»;
   nelle linee programmatiche 2013-2018 per il governo di Roma Capitale il sindaco Ignazio Marino dichiara: «L'Amministrazione comunale interverrà con un piano straordinario per mettere in sicurezza le strade romane. Adotteremo un piano di interventi finalizzato alla progressiva eliminazione di sconnessioni stradali, prevedendo un nuovo sistema di gestione e controllo delle manutenzioni affidate alle ditte terze.»; e ancora: «La questione della sicurezza urbana è al centro degli interventi dell'amministrazione capitolina attraverso il potenziamento delle attività di coordinamento tra le forze in campo ed una politica integrata e preventiva di sicurezza urbana»;
   l'obbligo di provvedere alla manutenzione del grande raccordo anulare spetta ad Anas spa;
   la mancata illuminazione da mesi rende ancor più pericoloso il grande raccordo anulare, infatti con il calare del sole i circa 68 chilometri dell'arteria autostradale che circonda la città sprofondano per lunghi tratti nell'oscurità;
   secondo Anas spa il problema sarebbe dovuto ai furti dei cavi elettrici;
   il 1o luglio 2015 è scaduta la gara d'appalto per il ripristino dell'illuminazione sul grande raccordo anulare e sull'autostrada Roma-Fiumicino, ma ad oggi non sono ancora iniziati i lavori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti;
   se entro quali tempi e con quali modalità i Ministri interrogati intendano ognuno per quanto competenza, risolvere il grave danno che arreca alla sicurezza di centinaia di migliaia di automobilisti la mancata illuminazione del grande raccordo anulare. (4-10297)


   REALACCI e BRAGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legislazione comunitaria, vedasi tra tutte l'importante direttiva europea sull'efficienza energetica 2012/27/ UE, prevede che gli Stati promuovano audit energetici degli edifici per consentire a tutti gli utenti finali di avere informazioni e di capire problematiche e possibilità di intervento migliorativo sia per abbattere i costi di gestione che per il risparmio energetico e la tutela dell'ambiente;
   nella citata direttiva sono stati introdotti obiettivi in termini di rendimento energetico, di obbligo di certificazione degli edifici nuovi (con le diverse classi di appartenenza, dalla A, la migliore, alla G, quella con le peggiori performance) e nelle compravendite di quelli esistenti. L'Unione europea si è spinta anche oltre prevedendo date precise per una «transizione radicale» dal 1o gennaio 2019 tutti i nuovi edifici pubblici costruiti in Paesi dell'Unione europea, e dal 1o gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere «neutrali» da un punto di vista energetico, ossia garantire prestazioni tali da non aver bisogno di apporti per il riscaldamento e il raffrescamento oppure di soddisfarli attraverso l'apporto di fonti rinnovabili;
   da tempo sono stati perciò fissati obiettivi e strumenti di intervento, ma anche di verifica che non consentono più di rinviare per i Paesi membri la definizione di una precisa strategia per quanto riguarda il miglioramento delle prestazioni del parco edilizio;
   in ambito europeo l'Italia, vanta un buon numero di abitazioni certificate (oltre 3,5 milioni secondo i dati del rapporto 2014 sullo stato di attuazione della certificazione energetica degli edifici del CTI);
   a fronte di questo positivo scenario vi sono luci e ombre. Sta infatti emergendo il fenomeno del facile rilascio di «APE – attestati di prestazione energetica» – la cui attestazione risulta essere dubbia e poco puntuale in termini tecnici. Si pensi, ad esempio, agli APE ottenuti tramite questionari di autovalutazione online a basso costo, ma con bassa attendibilità. Tale pratica danneggia l'azione di riqualificazione energetica degli edifici, nuoce a molti operatori e pregiudica la nascita di nuovi professionisti, specie tra i più giovani;
   un grande Paese manifatturiero come l'Italia, ma deficitario per la propria bilancia energetica, ha tutto l'interesse, non solo dal punto di vista della sostenibilità, a percorrere questa strada di cambiamento e innovazione del settore edilizio;
   attualmente non esiste peraltro alcuna ragione economica o tecnica che possa impedire che tutti i nuovi edifici siano progettati e costruiti per essere in «classe A» di prestazione energetica, e che possano contare sul contributo di pannelli solari termici o fotovoltaici, pompe di calore geotermiche o altri impianti da fonti rinnovabili per arrivare sostanzialmente a azzerare i consumi energetici, l'utilizzo di fonti fossili, larga parte della spesa in bolletta: infatti tra una casa costruita bene e una costruita male dal punto di vista energetico vi è una differenza di costi pari a 1500/2000 euro l'anno;
   riqualificare dal punto di vista energetico il patrimonio edilizio non solo contribuisce a minori costi, ma permette di ridurre notevolmente il livello di emissioni in atmosfera: tema che sarà al centro del prossimo appuntamento della COP 21 di Parigi a dicembre 2015;
   secondo il rapporto Cresme/Servizio Studi della Camera dei deputati il credito di imposta e l'ecobonus del 65 per cento sugli interventi di efficientamento energetico hanno generato lo scorso anno oltre 28 miliardi di euro investimenti, tra diretto e indotto, e 420 mila posti di lavoro dando, non solo una forte boccata di ossigeno ad uno dei settori più colpiti dalla crisi ovvero quello dell'edilizia, ma qualificando interventi e operatori, elevando la qualità costruttiva e combattendo l'elusione fiscale. Il potenziamento dell'ecobonus è favorito dall'attestazione degli obiettivi di efficientamento raggiunti;
   a fronte del successo della sopraccitata misura esistono ancora delle criticità rispetto ad alcune questioni inerenti gli «APE», ad esempio:
    mancata uniformità nel sistema di certificazione tra le diverse normative regionali e armonizzazione della qualità degli attestati di prestazione energetica – «APE»;
    controlli e sanzioni assenti e farraginosi: si pensi ad esempio che, secondo il rapporto «Tutti in Classe A» 2014 di Legambiente, in 13 regioni non vi sono né controlli né sanzioni sulle certificazioni. Nelle regioni in cui invece è presente un sistema di controlli, questi vengono effettuati su campioni a dir poco esigui del totale, dall'1 al 4 per cento. Per quanto riguarda le sanzioni anche in questo caso si aggira su cifre estremamente basse, ovvero poche migliaia di euro;
   non è più vigente la sanzione di nullità del contratto di locazione in seguito all'intervento del decreto-legge 145 del 23 dicembre 2013 che ha nuovamente modificato l'articolo 6 del decreto legislativo 192 del 2005 determinando l'entità delle sanzioni amministrative pecuniarie dovute a fronte della mancata allegazione dell'attestazione di prestazione energetica, fissate nella misura da 3.000 a 18.000 euro. È stata eliminata la causa di nullità che era stata introdotta, sanabile oggi «a richiesta»;
   esiste oggi un'eterogenea obbligatorietà dell'aggiornamento professionale, diverso da località a località;
   non in tutti i casi il certificatore qualificato in una regione può operare in tutto il territorio nazionale viste le differenti norme presenti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della criticità sopraccitate e se, coinvolgendo le istituzioni e le professioni interessate, non intendano assumere iniziative per risolverle, garantendo efficacia e controllo nell'attestazione delle prestazioni energetiche negli edifici, con il fine ultimo di promuovere l'edilizia di qualità, il risparmio energetico e la riqualificazione del patrimonio edilizio. (4-10298)


   LODOLINI e RICCIATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 9 settembre 2015 si è verificato un tragico incidente nel cantiere della A14 all'altezza della galleria Montedomini (tra i caselli di Ancona Sud e Ancona Nord), in cui ha perso la vita un operaio 34enne;
   l'operaio stava posizionando una pompa spara-cemento su un carrello di trasporto, quando, per cause ancora da chiarire, il macchinario lo ha investito e travolto. Il decesso è stato immediato;
   il cantiere è uno di quelli della terza corsia dell'A14, e i lavori sono affidati all'impresa Ghella –:
   se il Governo sia informato di quanto sopra esposto, quali siano le cause e le eventuali responsabilità del drammatico avvenimento;
   se siano state rispettate le norme che tutelano la sicurezza dei lavoratori sui cantieri e quali indispensabili misure intenda adottare per evitare il ripetersi di simili tragedie. (4-10304)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la RA15 tangenziale ovest di Catania rappresenta un raccordo autostradale, tangente alla città di Catania, che si sviluppa su un tracciato di 25 chilometri, a due carreggiate e quattro corsie, due per ogni senso di marcia, con relative corsie di emergenza;
   gestita direttamente dall'ANAS, la tangenziale ovest di Catania fa parte della strada europea E45 e, oltre ad essere l'asse contenente quasi tutti gli svincoli di accesso al capoluogo, svolge pure l'importantissima funzione di raccordare tra loro tutte le principali strade della Sicilia orientale che hanno il proprio fulcro su Catania: la A18 Catania-Siracusa; la A19 Palermo-Catania, la SS114 Orientale Sicula (che da Messina scende fino a Siracusa); la SS194 Ragusana (che da Catania scende verso Ragusa); la SS417 di Caltagirone (che da Catania scende verso Caltagirone e verso Gela); la SS121 Catanese (che da Catania si sviluppa verso il centro dell'isola fino a raggiungere Palermo), da cui, poco dopo, nasce anche la SS284 occidentale etnea che sale verso i paesi del versante ovest dell'Etna; la SP92, che raggiunge buona parte dei paesi etnei dell'area metropolitana catanese;
   la tangenziale è percorsa da 30 milioni di automobilisti l'anno, con una media di circa 80 mila veicoli al giorno;
   da ormai due anni questa lunga arteria di collegamento Catania-Siracusa è rimasta al buio per colpa dei frequenti furti di rame;
   i tanti automobilisti e camionisti che frequentano l'arteria nelle ore notturne vivono con grande disagio la mancanza di illuminazione che li espone al concreto pericolo di incidenti;
   nonostante le ripetute e molteplici segnalazioni all'ANAS (ente gestore della tangenziale) nessun intervento di ripristino è stato fino ad oggi avviato né, sembra, programmato;
   a giustificazione di tale ritardo l'ANAS rende noto che il fenomeno dei furti di rame interessa 25mila chilometri di autostrade sull'intero territorio nazionale complicando la programmazione degli interventi e facendo lievitare i costi –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno di intervenire, per quanto di sua competenza, presso l'ANAS per il ripristino in tempi certi dell'illuminazione lungo la RA15 tangenziale ovest di Catania a tutela della sicurezza degli automobilisti.
   (4-10307)


   CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la manutenzione del materiale rotabile è un elemento fondamentale per la sicurezza della circolazione ferroviaria;
   per avere accesso all'infrastruttura ferroviaria un'impresa ferroviaria deve essere titolare di un certificato di sicurezza, che attesti la conformità alle normative nazionali ed europee, per quanto riguarda i requisiti di sicurezza relativi al materiale rotabile, con particolare riguardo agli standard in materia di sicurezza della circolazione;
   il materiale rotabile deve essere regolarmente immatricolato ed omologato nonché sottoposto a tutti i controlli prescritti nella normativa vigente;
   la circolare ministeriale della direzione centrale V numero 201 del 16 settembre 1983 regolamenta l'immissione in servizio di materiale rotabile su una rete ferroviaria in concessione sino all'adempimento prescritto dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 162 del 2007;
   la suddetta circolare prevede l'applicazione di tutta una serie di prove, anche in fabbrica durante la costruzione, come recita il punto II denominato «Rotabili ordinati prima della loro costruzione», dove al punto B enuncia: «Durante la costruzione, l'Azienda esercente deve fare eseguire le prove di officina previste dai capitolati che regolano la fornitura sui materiali interessanti la sicurezza dell'esercizio (assi, ruote, cerchioni, molle di sospensione, ganci di traino, strutture portanti dei carrelli e della cassa, impianti di frenatura), nonché le prove di efficienza degli apparati motori e delle altre apparecchiature principali»;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 753 dell'11 luglio 1980 «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto» regolamenta la sicurezza del trasporto sulla ferrovia con specifici articoli per quanto riguarda le ferrovie in concessione, anche per quanto riguarda il materiale rotabile ed il suo mantenimento (cfr. Capo III «Disposizioni riguardanti le ferrovie in concessione», articoli 100, 101 e 102);
   il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante attuazione delle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria, è stato solo recentemente abrogato dal decreto legislativo n. 15 luglio 2015 n. 112;
   il decreto ministeriale n. 28/T del 5 agosto 2005, emesso sulla base del decreto legislativo n. 118 del 2003, al comma 1 dell'articolo 6, stabilisce che: «Il certificato di sicurezza è rilasciato dal gestore dell'infrastruttura regionale, ai fini dell'utilizzo della propria rete, ad ogni impresa ferroviaria che intende realizzare attività di trasporto. Il certificato di sicurezza può essere limitato a singole linee o a singoli servizi ed è subordinato alla adozione, da parte delle imprese ferroviarie, di un idoneo sistema di gestione della sicurezza che assicuri il rispetto delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 753/1980 e permetta un'efficace attività di controllo da parte del direttore di esercizio e dei preposti organi ministeriali»;
   il comma 3, lettera c), dell'articolo 6 del summenzionato decreto ministeriale prevede che: «il materiale rotabile dell'impresa ferroviaria, in esecuzione di quanto previsto dall'articolo 10, comma 4 del decreto legislativo n. 188 del 2003, deve essere singolarmente assoggettato all'immissione in servizio sull'infrastruttura regionale, secondo le modalità previste a riguardo dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (vigente circolare n. 201 del 16 settembre 1983), con la verifica della circolabilità dei rotabili e della loro rispondenza ai requisiti indicati dal Ministero con proprie disposizioni»;
   il decreto ministeriale, inoltre, stabilisce che: «Il gestore attiva, sotto la vigilanza del competente organo del Ministero, le procedure, di cui all'articolo 10, comma c) del decreto legislativo n. 188 del 2003, per verificare periodicamente la sussistenza, da parte delle imprese ferroviarie, dei requisiti per il rilascio del certificato di sicurezza, così come individuati dal medesimo articolo, informando prontamente le competenti autorità nel caso che sia accertata la perdita dei previsti requisiti. Le prescritte verifiche periodiche sul materiale rotabile delle operanti imprese ferroviarie sono effettuate dal gestore dell'infrastruttura regionale non isolata, insieme all'USTIF competente»;
   risulterebbe all'interrogante che, per quanto riguarda Ferrovienord (rete in concessione regionale «non isolata») e Trenord, sia stata effettuata la prova di rotabili a campione: ETR 425, ETR 524 TILO, ETR 526 e TSR di ultima acquisizione, mentre andrebbe accertato se sia stata fatta la prova di immissione in servizio di ogni singolo rotabile, che è prescritta dalla normativa vigente;
   il decreto ministeriale n. 304 del 9 novembre 1988 prevede, anche in ottemperanza al decreto del Presidente della Repubblica n. 753 dell'11 luglio 1980, che siano effettuate visite e prove annuali ai rotabili immessi in servizio con la circolare n. 201 poiché hanno il libretto ministeriale MC 403 o MC 339 sul quale vengono registrate le prove e firmate da un ingegnere dell'USTIF (ufficio speciale trasporti a impianti fissi), organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e da un ingegnere di Trenord, quest'ultimo è delegato alla firma dal direttore dell'esercizio di Ferrovienord;
   il decreto legislativo 10 agosto 2007 n. 162 ha istituito l'ANSF (Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria) assegnando alla stessa, fra i vari compiti, anche quello del rilascio del certificato di sicurezza su tutte le ferrovie della rete nazionale e della rete regionale e locale interconnessa;
   con lettera circolare n. 33856 del 16 aprile 2010 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti direzione generale trasporto pubblico locale R.U. «Rilascio del Certificato di Sicurezza alle Imprese Ferroviarie sulle reti regionali e locali interconnesse – norme operative e procedure» diretta alle Società Ferroviarie di Gestione delle Reti interconnesse, alle DGT USTIF ed alle Regioni, si dispone che, nelle more dell'assunzione da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria delle competenze di cui al decreto legislativo n. 162 del 2007;
   «i gestori di reti ferroviarie interconnesse, di cui all'elenco allegato al citato decreto ministeriale 28T/2005, sono tenuti a predisporre, e mettere a disposizione dei richiedenti, un prospetto informativo della rete, contenente i documenti atti a regolare i rapporti con tutti i soggetti interessati a richiedere capacità di trasporto, in termini generali ed in termini di tracce orario, dal quale emergano inoltre le caratteristiche tecniche». Inoltre si stabilisce che: «L'impresa che intende svolgere una o più tipologie di servizio sull'infrastruttura regionale di una rete interconnessa, presenta al gestore istanza di accesso alla rete e di utilizzo dell'infrastruttura» con allegata documentazione elencata, compresa la «esistente omologazione in corso di validità dei rotabili rilasciata dall'ex CESIFER»;
    la lettera circolare 33856 prevede altresì che «per ciascun rotabile di serie utilizzato sistematicamente dall'Impresa e conforme al prototipo oggetto dell'ammissione tecnica di tipo, dovrà essere presentata l'attestazione della messa in servizio, dell'immatricolazione presso la rete nazionale e dell'inserimento nei registri relativi ...»; si stabilisce poi: «Per quanto riguarda i rotabili, nella documentazione dovranno essere evidenziate la tipologia delle attrezzature installate per la vigilanza e il controllo della presenza dell'agente di condotta funzionanti ed attivabili [...] nonché le caratteristiche e la funzionalità delle attrezzature di controllo e protezione marcia treno che interagiscono con l'infrastruttura»;
   per quanto riguarda la verifica della documentazione prodotta, la circolare 33856 dispone che sia a carico del gestore e, per esso, del direttore di esercizio attestante la compatibilità geometrica e funzionale dei rotabili con l'infrastruttura della rete. Il direttore di esercizio provvede a trasmettere all'USTIF territorialmente competente l'attestazione di cui sopra nonché copia dell'intera documentazione ricevuta. Ottenuto l'assenso da USTIF, il gestore rilascia all'impresa il certificato di sicurezza;
   l'articolo 10 del decreto legislativo 15 luglio 2015 n. 112 sancisce che la disposizione di cui all'articolo 27, comma 4, del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, si applica sino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 1, comma 6. Decorso tale termine, il certificato di sicurezza è rilasciato dall'ANSF;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esercita una funzione di vigilanza sull'operato dell'ANSF –:
   se sia a conoscenza del fatto che Ferrovienord e Trenord abbia effettuato le prove di immissione in servizio di ogni singolo rotabile;
   se intenda verificare che i rotabili attualmente circolanti sulle linee del servizio ferroviario regionale siano stati sottoposti alle visite e prove annuali come stabilito dalla legge;
   se il Ministro interrogato, in veste di garante del livello di sicurezza dei veicoli ferroviari in esercizio, non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di garantire il sicuro ed affidabile espletamento dei servizi ferroviari, salvaguardando così l'incolumità dei passeggeri e del personale ferroviario. (4-10315)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con comunicazione del 14 luglio 2015, la direzione generale per gli affari generali della polizia di Stato del Ministero dell'interno, per tramite del prefetto di Modena, ha reso noto ai sindaci di Fiorano Modenese e di Maranello, i quali avevano avanzato la richiesta di poter avviare un progetto per la lettura e il controllo delle targhe dei veicoli in transito che entrano ed escono dai propri territori, al fine di individuare le auto rubate e/o prive di assicurazione che, testualmente, «non è possibile realizzare il collegamento di cui all'oggetto (Banca Dati ANCITE) per le finalità di controllo automatico dei transiti»;
   gli amministratori citati in premessa avevano semplicemente chiesto di poter dare avvio a una fase sperimentale del progetto di lettura e controllo targhe, tramite collegamento alla banca dati ANCITEL, peraltro già in possesso ai comuni;
   in riferimento a tale risposta ministeriale gli amministratori locali hanno espresso forte stupore non riuscendo a comprendere le ragioni del diniego in base agli articoli 10 e 10-bis del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982 n. 378;
   si tratta di due articoli del titolo II del regolamento concernente le procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1o aprile 1981, n. 121;
   la risposta, tra l'altro, giunge a distanza di ben due anni dalla richiesta formulata dalle amministrazioni comunali;
   si tratta di un progetto tecnologicamente avanzato che prevede l'utilizzo di telecamere collocate ai «varchi» del comune, collegate con la black-list degli autoveicoli, capaci, dunque, di segnalare il passaggio di auto rubate e fornire in tal modo materiale utile a livello investigativo, che il comune metterebbe a disposizione delle forze dell'ordine;
   il progetto, finanziariamente sostenuto, per intero, dalle amministrazioni comunali, è stato ampiamente discusso e apprezzato da tutte le istituzioni facenti parte del comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico su base provinciale, prefettura, comando dei carabinieri, questura;
   il punto nodale è il collegamento ad ANCITEL con telecamera fissa;
   il diniego, manifestato attraverso la citata nota ministeriale, oltre ad aver sorpreso gli amministratori, ha suscitato molta perplessità nell'opinione pubblica, anche in considerazione dell'incidenza della cosiddetta microcriminalità e del fatto che lo stesso questore di Modena ha, recentemente, invitato i sindaci ad attrezzarsi con telecamere agli ingressi delle città;
   le amministrazioni comunali nel giudicare inaccettabile un simile diniego si sono riservate di assumere una serie di iniziative istituzionali finalizzate a rimuovere le ragioni dell'ostacolo e a sensibilizzare il legislatore in merito a tale problematica –:
   se il Ministro sia conoscenza di tale questione e quali iniziative, ove occorresse, anche di natura normativa, intenda adottare, in tempi rapidi, al fine di rimuovere le ragioni che hanno indotto la competente direzione generale del Ministero, ad impedire, di fatto, l'attivazione di tale sistema di controllo che aveva come obiettivo meritorio quello di rafforzare le misure di sicurezza per i cittadini. (5-06355)


   CIMBRO, FIANO, BASSO, BORGHI, BRAGA, CARNEVALI, CARRA, CASATI, CENNI, CHAOUKI, FOSSATI, GARAVINI, GASPARINI, GINOBLE, GIULIANI, INCERTI, LA MARCA, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MARCHI, MICCOLI, MINNUCCI, MOGNATO, NARDUOLO, POLLASTRINI, PORTA, PRINA, ROMANINI, SCHIRÒ, TERROSI, VERINI, ZAN e LAFORGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel secondo weekend di settembre si svolgeranno nel territorio lombardo due iniziative di chiaro stampo neofascista a carattere nazionale e internazionale;
   la prima, organizzata da Forza Nuova, si terrà a Cantù nelle giornate dell'11, 12 e 13 settembre presso la struttura comunale «Campo solare» a giudizio degli interroganti inopportunamente concessa dall'amministrazione comunale canturina per il terzo anno consecutivo;
   la seconda, in programma sempre dall'11 al 13 settembre a Milano è la festa nazionale di Casa Pound Italia intitolata «Direzione Rivoluzione» e che vedrà lo svolgimento di un concerto con le principali band della destra radicale italiana, una serata burlesque e un fitto programma di conferenze con ospiti noti del centrodestra locale, nazionale e internazionale;
   è prevedibile che in tale occasione si raduneranno parecchie centinaia di neofascisti, in queste settimane già particolarmente attivi e pronti a spargere odio nei confronti dei migranti. Il luogo preciso, come di consueto, sarà comunicato soltanto il 10 di settembre alle ore 12.00 al Crown Plaza mediante conferenza stampa. Una mossa, quella di comunicare così a ridosso il luogo dell'iniziativa, che ad avviso degli interroganti mal cela la volontà di prendersi gioco della autorità locali e che risulta quantomeno paradossale, se, a farla, è un'organizzazione politica di stampo nazionale;
   l'assessore alla pubblica sicurezza Granelli, in risposta alle innumerevoli sollecitazioni da parte della cittadinanza, dell'ANPI locale e dei comitati antifascisti di zona e la CGIL che ripudiano la presenza e l'organizzazione di manifestazioni da parte dei «fascisti del terzo millennio» – come amano definirsi – ha fatto sapere che il comune impedirà con ogni mezzo che l'iniziativa si svolga nella città di Milano, medaglia d'oro per la Resistenza e ha chiesto al prefetto di porre la questione al Comitato provinciale per la sicurezza pubblica di Milano. Gli fanno eco l'assessore alle politiche sociali Majorino: – «Milano non vi vuole !», e il deputato del milanese, nonché candidato sindaco Emanuele Fiano: «No al raduno di Casa Pound dell'11 settembre ! I fascisti alleati di Salvini non infanghino il nome di Milano !». La questura ha fatto altresì sapere che stanno lavorando affinché l'iniziativa non prenda luogo a Milano;
   a questo proposito, il presidente dell'ANPI nazionale Carlo Smuraglia ha scritto una lettera indirizzata, tra l'altro, al Presidente del Consiglio Renzi e al Ministro dell'interno dichiarando che «la concomitanza di due manifestazioni del genere, che hanno precedenti ben noti, indigna e preoccupa chiunque sia dotato di una vera sensibilità democratica» e che «il primo dovere di intervento spettano alle Istituzioni democratiche, che devono sapere, e far sapere, che i diritti di libertà trovano un limite imprescindibile nella natura democratica e antifascista del nostro Stato». A nome di tutta l'Associazione Smuraglia chiede dunque «un pronto e deciso intervento da parte di chi ha competenza in materia e una indifferibile presa di posizione delle massime Istituzioni nazionali sulla questione di fondo: l'Italia, che si è liberata 70 anni fa dalla dittatura fascista e dall'occupazione tedesca, è e deve essere un Paese democratico e antifascista, non lasciando alcuno spazio a chi sogna impossibili ritorni o propugna forme nuove di autoritarismo»;
   Simone Di Stefano, vice-presidente di CasaPound Nazionale, in un'intervista rilasciata a Il Primato Nazionale, a sfregio, utilizzando, peraltro secondo gli interroganti parole oltraggiose, ha dichiarato: «queste sono le solite polemiche che non hanno alcun sostegno giuridico. Il Pd ogni volta salta fuori con queste storie: sono al governo, se possono farlo sciolgano CasaPound e avverino il loro sogno bagnato. Ma sanno di non poterlo fare, in base alla stessa Costituzione che citano così spesso a sproposito, in cui non sono citate neanche una volta né la Resistenza né l'antifascismo. Lo fanno solo per raccattare quattro voti dall'estremismo di sinistra» e all'obiezione del giornalista che affermava la natura antifascista della città di Milano ha osato replicare: «se è per questo a Milano il fascismo è nato molto prima dell'antifascismo. Le medaglie alla Resistenza stanno in ogni città, anche dove la Resistenza non l'hanno vista neanche di striscio. Praticamente non si può fare politica in nessuna città, secondo loro. La verità è che noi facciamo i nostri eventi dove ci pare, a prescindere dalle loro medaglie d'oro, d'argento, di bronzo o di pongo». Un post pubblicato sul profilo facebook del suddetto Di Stefano a commento delle recenti tragedie dei profughi siriani recita: «Perché c'era un bambino siriano morto in mezzo al mare ? Perché il suo posto nel centro d'accoglienza era occupato da un ivoriano assassino. L'ivoriano non aveva diritto ma qualcuno doveva mangiare i suoi 35 euro quotidiani. Gli sciacalli siete voi»;
   gli interroganti dicono né a Milano né in nessun luogo: l'antifascismo è di tutti, non ha una peculiare connotazione politica. È, invece, e deve essere – ancora di più oggi di fronte a questi massicci rigurgiti – trasversale, come lo fu l'antifascismo dei nostri padri, provenienti da universi culturali e valoriali anche diversissimi tra loro: con le loro affermazioni i militanti di CasaPound dimostrano una grossolana ignoranza storica di base. La legge n. 645 del 1952, facente parte a tutti gli effetti delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, lo si ribadisce, sanziona chiunque «promuova od organizzi sotto qualsiasi forma la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista», oppure chiunque «pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche» –. La legge n. 205 del 1993 sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista, e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, punendo anche l'utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, in vista delle imminenti elezioni che si terranno nel comune di Milano e delle esigenze di ordine pubblico, intenda intervenire prontamente adottando una posizione di netta contrarietà allo svolgersi di tali eventi, affinché si riaffermino con decisione i principi fondanti della Repubblica italiana, impedendo la strumentalizzazione politica dell'antifascismo da parte dell'estrema destra, che lo relega a un vezzo dei movimenti e dei partiti di sinistra e di estrema sinistra. (5-06365)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Mantova all'inizio dell'estate ha annunciato l'arrivo in città di alcune decine di migranti richiedenti asilo, apparentemente di origine asiatica, a quanto risulta all'interrogante, in assenza del sindaco;
   i richiedenti asilo – 45 – sono stati poi effettivamente destinati alla struttura mantovana della Virgiliana, convenzionata con la cooperativa Olinda;
   un sopralluogo e le successive rimostranze delle autorità comunali rimaste in città sono valse soltanto a dirottare verso il comune di Bigarello 6 aspiranti all'asilo politico;
   la procedura di assegnazione degli aspiranti alla tutela internazionale è stata perfezionata senza convocare il tavolo del piano di zona, che coinvolge altri 16 comuni attigui a quello di Mantova;
   il difetto di concertazione e comunicazione è emerso a dispetto dell'omogeneità politica delle maggioranze nazionale e mantovana –:
   se e fino a quando il Governo intenda persistere nel proprio orientamento a gestire la distribuzione degli aspiranti profughi sul territorio nazionale prescindendo dalla concertazione con le autorità elettive locali. (4-10300)
* * *

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'anno scolastico 2015 – 2016 è alle porte, ma molte sono le criticità segnalate dal personale docente;
   numerosi docenti hanno segnalato problematiche per l'interruzione di un servizio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in particolare delle procedure relative alla piattaforma «Istanze online», utile ai fini dell'aggiornamento dei titoli conseguiti dai docenti;
   con la piattaforma «Istanze online» il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha consentito ai docenti che abbiano conseguito il titolo di specializzazione nelle attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità di inserire i suddetti titoli (abilitazioni e specializzazioni sul sostegno) in appositi elenchi aggiuntivi alle graduatorie;
   il decreto del direttore generale del 6 luglio 2015, numero 680, che attua il decreto ministeriale del 3 giugno 2015 n. 326, ha stabilito i giorni e gli orari per le procedure di inserimento dei titoli sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «Istanze online», definendo dunque il periodo per l'inserimento dei titoli a partire dal 13 luglio fino al 3 agosto 2015. I docenti interessati a far valere l'inserimento dei suddetti titoli – sostegno e tirocinio formativo attivo secondo ciclo – lamentano che le procedure online non sono state regolarmente avviate nei tempi previsti dalla normativa e per questo i docenti si sono trovati fino al 27 agosto 2015 in situazione di forte disagio ed incertezza dovute all'assenza di informazioni da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sui tempi di ripristino della procedura senza poter conoscere le cause di una tale sospensione;
   infatti, solamente con nota del 27 agosto 2015 del direttore generale Marco Ugo Filisetti, il Ministero ha stabilito e comunicato «la nuova tempistica del procedimento, con particolare riferimento agli effetti del decreto del direttore generale 680 del 6 luglio 2015», utile per insegnanti e segreterie scolastiche, per le graduatorie di istituto valide per l'anno scolastico 2015-2016;
   dunque, solo dal 27 agosto sarebbe presente sulla piattaforma «Istanze online» il modulo di domanda per l'inclusione negli elenchi aggiuntivi di sostegno per il triennio 2014-2017 con data di termine per la presentazione della domanda al 15 settembre, mentre per il tirocinio formativo attivo secondo ciclo la possibilità di esprimere le preferenze delle sedi online sull'apposita piattaforma è stata, ancora, rimandata al 25 settembre 2015;
   le segreterie scolastiche dovranno provvedere alla rielaborazione delle graduatorie per tenere conto degli effetti del dimensionamento e alla revisione delle funzioni di convocazione per consentire la visualizzazione delle rettifiche effettuate sulle graduatorie di tutte le fasce anche in assenza di rielaborazione al livello provinciale;
   tuttavia, da quanto emerge dalla nota ministeriale sulla nuove tempistiche, l'elenco da fornire alle scuole frutto degli inserimenti dei docenti con specializzazione nelle attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità e abilitati con il tirocinio formativo attivo secondo ciclo, non sarebbe pronto prima del 20 ottobre 2015 con l'effetto che per il periodo settembre – ottobre le scuole saranno costrette a chiamare supplenti con contratti «fino alla nomina dell'avente diritto», con evidente pregiudizio – da una parte – per il docente che aveva diritto all'inserimento entro la tempistica prevista e – dall'altra – per le attività didattiche dovute per l'avvicendamento di supplenti già a inizio anno;
   la prima firmataria del presente atto, con lettera inviata con posta elettronica certificata del 6 agosto 2015 alla segreteria del Ministero e ai direttori generali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, aveva già sollecitato il Ministero a superare il problema «poiché se non si procede all'avvio della procedura di inserimento del titolo di specializzazione in tempi brevi, è forte il rischio di non avere per l'inizio del prossimo anno scolastico gli appositi elenchi dai quali le scuole possono chiamare i docenti specializzati e si lascerebbero le chiamate per posti a tempo determinato sul sostegno al confusionario e dispersivo metodo delle «messe a disposizione» che invece tali elenchi intendono evitare al fine di garantire agli alunni con disabilità di usufruire del diritto ad essere seguiti da personale specializzato, come sancito dalla legge n. 104 del 1992 –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali siano i motivi e le cause che hanno determinato i ritardi e la sospensione della procedura della piattaforma «Istanze online» utile per consentire l'inserimento in graduatoria dei docenti con specializzazione nelle attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità e l'inserimento in seconda fascia dei docenti abilitati al cosiddetto tirocinio formativo attivo secondo ciclo;
   quali urgenti misure e/o iniziative – anche di tipo normativo – intende adottare il Ministro per rendere efficienti le procedure di inserimento nelle rispettive graduatorie dei suddetti docenti;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per accertare le responsabilità dei ritardi e delle inefficienze verificatesi e la eventuale responsabilità della società che ha ricevuto in appalto il servizio di gestione della piattaforma «Istanze online». (5-06351)


   LUIGI GALLO, ALBERTI, PESCO, TONINELLI, DI BATTISTA, TOFALO, BRESCIA e FRUSONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con gli uffici scolastici regionali di tutto il territorio nazionale, sta portando a compimento le procedure utili alla realizzazione del piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto rimasti vacanti e disponibili all'esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per l'anno scolastico 2015/2016 stabilite dalla legge 13 luglio 2015, n. 107; tale piano ha già espletato le prime due fasi, cosiddette fasi O e A, delineate dalla legge di cui sopra;
   da quanto si evince dal sito internet http://www.istruzione.it/assunzioni _buona_scuola/index.shtml, la prima fase, fase 0, ha previsto l'immissione in ruolo di 36627 docenti aventi diritto per l'anno scolastico 2015/2016 ripartiti come segue: 21880 posti comuni, per cessazione dal servizio; 14747 posti di sostegno. La seconda fase, fase A, anch'essa già espletata, ha previsto l'immissione in ruolo di 10849 docenti tra docenti comuni e docenti di sostegno. I posti residui per mancanza di aspiranti nella specifica graduatoria a cui sono destinati vengono riassegnati attraverso la cosiddetta fase B, attualmente in corso d'opera. L'ultima parte del piano, cosiddetta fase C, provvederà alla copertura dei 55258 posti per il potenziamento dell'offerta formativa così come previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, e individuati come da tabella 1 in allegato alla medesima legge;
   ope legis, dunque, nella notte tra il 1o e il 2 settembre 2015, come dichiarato dallo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella conferenza stampa tenuta il 2 settembre 2015, si sta procedendo alle convocazioni relative ai docenti aventi diritto per ciò che concerne la fase B del piano in questione;
   tuttavia, risulta estremamente semplice rilevare che, sui siti internet degli uffici scolastici regionali di tutto il territorio nazionale, non sono disponibili pubblicamente gli elenchi, relativi alle 100 province, dei docenti aventi diritto a ricoprire il posto assegnato dalle procedure relative alla fase B dei piano sopra descritto, contrariamente a quanto accaduto per le precedenti fasi O e A; non risulta oltremodo possibile, per gli insegnanti, prendere visione del punteggio dei nominati;
   risulta inoltre, in conseguenza e aggiunta a quanto detto nel precedente capoverso, impossibile, per gli aventi diritto, confrontare gli elenchi e i punteggi dei docenti iscritti alla fase B della procedura, impedendo, in questo modo, ai candidati di controllare la correttezza del procedimento adottato oltreché di prendere visione della ratio alla base delle graduatorie ed, eventualmente, rivolgersi alle autorità competenti, qualora lo ritenessero opportuno, per eventuali ricorsi –:
   se ritenga opportuno adoperarsi affinché gli uffici scolastici regionali procedano alla pubblicazione di tutti gli elenchi provinciali relativi ai docenti convocati a seguito delle valutazioni espresse nella fase B del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, e alla pubblicazione delle future graduatorie per la fase C, prima delle prossime stabilizzazioni previste, al fine di garantire la trasparenza delle procedure di una selezione pubblica che è un principio fondamentale della pubblica amministrazione che il Ministero non può violare. (5-06357)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Giovanni Scattone è un insegnante noto alle cronache per aver causato con un'arma da fuoco la morte della studentessa Marta Russo, per la quale venne condannato nell'anno 2003 a 5 anni e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo aggravato;
   si apprende dalla stampa che Scattone è diventato docente di ruolo ed insegnerà psicologia e scienze della formazione in un istituto professionale di Roma. La notizia ha ovviamente scatenato la rabbia e il dolore della madre di Marta Russo che afferma: «È assurdo che Giovanni Scattone continui a insegnare; non si può pensare che una persona del genere, che non ha neanche mai chiesto perdono, possa fare l'educatore. Tra l'altro con un posto fisso»;
   Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori, ritiene pericoloso per gli studenti che una persona come Scattone sia il loro insegnante, poiché lo stesso manca nel modo più assoluto di autorevolezza morale per gli studenti e non rappresenta un buon esempio per chi nella vita è solito rispettare la legge;
   sebbene Scattone abbia scontato la pena per l'omicidio compiuto, a parere dell'interrogante, desta seri dubbi un sistema che permette ad un soggetto condannato in via definitiva per omicidio di svolgere il ruolo di educatore, tra l'altro, in materie delicate come la psicologia;
   è una situazione problematica anche considerando che lo stesso Scattone nel periodo in cui svolgeva supplenze è stato costretto più volte a dimettersi per i malumori dei genitori degli studenti, che non accettavano il suo ruolo di docente non riconoscendogli alcuna fiducia;
   bisogna adottare provvedimenti anche per il futuro rispetto a casi del genere considerando che appare contro giustizia che svolga il ruolo di educatore un condannato per omicidio, che, tra l'altro, non ha mai confessato né dichiarato pentimento né chiesto perdono alla famiglia della vittima –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati per quanto di loro competenza;
   se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, per evitare casi come quelli in premessa in cui è permesso l'insegnamento ad un condannato in via definitiva per omicidio;
   se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, affinché sia accertata l'idoneità anche da un punto di vista psichico di Giovanni Scattone a svolgere il ruolo di insegnante. (5-06367)

Interrogazione a risposta scritta:


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane si sta completando l'assegnazione dei posti a tempo indeterminato dei docenti che hanno presentato la domanda prevista dal piano straordinario di assunzioni, (cosiddetta fase B e C), secondo quanto stabilito dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»;
   l'interrogante ha raccolto la preoccupazione e lo sdegno di migliaia di docenti precari interessati, sia di coloro che hanno fatto domanda, sia di coloro che non hanno presentato la suddetta domanda di assunzione, prevista dalla suddetta legge, in quanto le procedure seguite sino a questo momento non avrebbero garantito, al momento della scelta della partecipazione al piano di assunzioni il rispetto dei principi di certezza del diritto, trasparenza e imparzialità della pubblica amministrazione;
   l'illegittimità, a parere dell'interrogante risiede, in particolare nel non aver preventivamente definito — ossia già nel decreto del direttore generale n. 767 del 21 luglio 2015, contenente «L'indizione delle procedure di assunzione del personale docente in attuazione dell'articolo 1, comma 95, della legge 13 luglio 2015, n. 107» e prima del periodo previsto per la presentazione delle domande da parte dei precari da assumere — i criteri con cui il ministero dell'ostruzione, dell'università e della ricerca avrebbe proceduto all'attribuzione delle province di destinazione per i neo assunti, nelle fasi B e C;
   tutto ciò ha generato, anche a causa del contestuale susseguirsi di affermazioni ad avviso dell'interrogante ambigue e contradditorie da parte di membri appartenenti al governo circa i criteri seguiti, confusione nei docenti precari al momento della scelta, molti dei quali hanno dunque deciso di non presentare domanda o di presentarla «al buio», senza alcuna certezza;
   nella domanda di assunzione, ogni docente ha compilato una lista con 100 province di preferenza. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la fase B del piano, utilizzando un sistema informatico di cui non è stata data alcuna rilevanza pubblica ha incrociato le liste di preferenza stilate dai docenti con il fabbisogno delle scuole di tutto il territorio nazionale;
   per la maggior parte dei docenti, la destinazione assegnata ha previsto, invece, un trasferimento a centinaia di chilometri dal comune di residenza, a fronte di 100 preferenze, tra le quali, che è certamente comprensibile, moltissime contemplavano la scelta di località situate nella regione di appartenenza dei docenti;
   da notizia di stampa si apprende che il sistema informatico utilizzato dal ministero dell'istruzione sarebbe stato fornito dalla società HP Enterprise Services Italia S.r.l., che gestisce anche il sistema informativo del ministero;
   a tutt'oggi, per la fase B, il Governo principalmente il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non hanno reso noto il criterio matematico, l'algoritmo, in base al quale il sistema elettronico avrebbe proceduto agli abbinamenti, tra preferenze dei docenti e istituti scolastici in tutta Italia;
   il mondo della scuola ha periodicamente conosciuto esodi e controesodi, relativamente all'opzione di trasferimenti per i docenti anche in destinazioni molto lontane dal comune di residenza; tale ipotesi è sempre stata una libera scelta; da quest'anno con la legge 107/15, diventa, di fatto, un'imposizione, ancora più difficile da accettare perché si tratta di professori con molti anni di servizio e con un consolidato contesto familiare che rende ancora più complesso l'allontanamento da casa;
   la mancanza di trasparenza si registrerà anche per l'assegnazione delle province per la fase C, per la quale la legge 107 del 2015 definisce criteri differenti rispetto a quelli previsti per la fase B; il ministero dell'istruzione, dell'università si è limitato a pubblicare una serie di risposte, alle domande più frequenti (faq), sul proprio sito internet pochi giorni prima della scadenza della presentazione della domanda con cui ha comunicato di voler dare priorità alla prima provincia indicata nella domanda e successivamente, qualora non si riuscisse ad ottenere il posto corrispondente alla prima scelta, passare alla fase nazionale, prevista dalla legge n. 107 del 2015; la disposizione per cui si prevede di dare priorità alla prima provincia scelta non è prevista dalla legge n. 107 del 2015 per la fase C;
   l'iniquità del sistema, è infine determinata anche dalla separazione tra la fase B e C, che genera indignazione tra i professori precari che, con punteggi molto elevati in graduatoria, sono stati costretti a partire, quando, unificando le fasi B e C, con molta probabilità, fra due mesi sarebbero stati disponibili i posti dell'organico potenziato nelle regioni di provenienza dei docenti che hanno precedentemente presentato domanda; tali posti verranno ora assegnati a candidati con punteggi più bassi; i posti residuali si trovano soprattutto nelle regioni del nord Italia, mentre gli aspiranti docenti in ruolo provengono in larga parte dalle regioni meridionali –:
   se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, in particolar modo in relazione al sistema informatico e all'algoritmo, del quale non è stata data alcuna evidenza pubblica e che è stato utilizzato come criterio per la procedura di assegnazione delle cattedre;
   quali siano le motivazioni alla base della scelta del suddetto sistema da parte del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca se non ritenga di dover comunicare se il sistema informatico è stato o meno certificato da un istituto specializzato;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il ministro in indirizzo al fine di interrompere le procedure di assunzione (fasi B e C) in quanto in evidente contrasto con il dettato normativo, per i motivi esposti in premessa, che rischiano di generare numerosissimi ricorsi giudiziari da parte dei docenti precari;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere le opportune iniziative volte alla contestuale adozione di un nuovo decreto attuativo che disciplini, in modo chiaro e trasparente, il criterio di attribuzione della provincia per l'assegnazione dei posti per i docenti di ruolo, prevedendo altresì la riapertura dei termini di presentazione delle domande di assunzione, in modo da consentire a tutti i docenti di poter presentare una nuova richiesta di assunzione, eventualmente anche modificando l'ordine delle province precedentemente espresso. (4-10299)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, CIPRINI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GUL 303, pagina 16), al fine di combattere le svariate tipologie di discriminazione. La direttiva vieta segnatamente, in materia d'impiego, ogni discriminazione direttamente o indirettamente fondata sull'età;
   il limite di età per i concorsi pubblici è stato abolito dalla Corte europea anche per quei concorsi che riguardano attività lavorative che richiedono capacità fisiche particolari e, quindi, va da sé che il diritto comunitario non ammette leggi nazionali che possano annoverare l'età tra i requisiti di ammissione;
   Garanzia Giovani è un programma rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all'università, che non lavorano e che non seguono corsi di formazione. Con la Garanzia Giovani ogni regione investe in un percorso di formazione o di lavoro per i giovani cosiddetti neet;
   l'interrogante pur apprezzando gli sforzi di chiunque voglia mettere fine alla piaga della disoccupazione giovanile non può non contestare interventi miopi della politica finanziati con fondi pubblici: l'accesso di un giovane al mercato del lavoro passa attraverso un percorso di studi che tra laurea magistrale, master, praticantato o stage molto spesso avviene superati i trenta anni –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per eliminare una volta per tutte il limite di età nei concorsi pubblici come anche nei servizi e nelle politiche attive per il lavoro, poiché fattore discriminante vietato espressamente dalla direttiva 2000/78/CE. (4-10308)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2015 la Campania è stata interessata da eventi atmosferici che hanno duramente colpito, in particolare, la provincia di Avellino;
   la violenta grandinata, le piogge copiose e il vento impetuoso hanno causato danni ingenti alle produzioni agricole, in particolare ai vigneti dei quali l'Irpinia è particolarmente ricca;
   tale circostanza si è verificata, purtroppo, in un periodo cruciale della coltivazione che è quello che precede la raccolta;
   significativi sono i danni subìti anche in ragione della violenza del vento e della pioggia caduta copiosa, in particolare sui comuni dell’hinterland irpino dove si sono registrati allagamenti di fiumi di acqua misti a fango e fogliame che hanno invaso le strade e le abitazioni;
   conseguenze si sono verificate anche nel Vallo di Lauro dove la grandine ha arrecato danni alla produzione agricola locale, in particolare ai noccioleti e ai castagneti;
   a giudizio dell'interrogante esistono i presupposti per valutare se sussistano i requisiti necessari alla dichiarazione dello stato di calamità ai sensi della legge in vigore;
   l'interrogante ha chiesto al presidente della giunta regionale, Vicenzo De Luca, di attivare le procedure necessarie ad operare una ricognizione dei danni subìti dai comuni irpini, così duramente colpiti dal maltempo;
   a giudizio dell'interrogante, mai come in questa fase occorre che le istituzioni siano vicine alle aziende agricole che non solo patiscono gli effetti della crisi economica, ma subiscono ora anche i danni derivanti dalle intemperie –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover procedere alla dichiarazione dello stato di eccezionali avversità atmosferiche per i comuni della provincia di Avellino così duramente colpiti dal maltempo;
   se non ritenga di dover adottare  le iniziative necessarie a garantire un ristoro dei danni patiti dagli agricoltori e dalle aziende vitivinicole operanti nel settore della castanicoltura e della produzione di nocciole. (4-10302)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la microcitosi (dal greco «cellule piccole»), o microcitemia («cellule piccole nel sangue»), è una riduzione anomala del volume medio dei globuli rossi, rilevabile solo tramite esami di laboratorio quali ad esempio l'emocromo. I globuli rossi di anomalo volume ridotto si chiamano microciti;
   può essere un sintomo di beta-talassemia in forma eterozigote;
   la talassemia è una malattia ereditaria che comporta anemia, cioè una diminuzione della presenza di emoglobina utile al trasporto dell'ossigeno nel sangue. Il nome talassemia deriva dal greco, poiché la variante conosciuta per prima fu quella mediterranea. Tale termine è nato per indicare la peculiarità della malattia di essere diffusa tra chi vive in ambienti paludosi o acquitrinosi;
   la talassemia è molto diffusa nelle zone mediterranee come il Nord Africa, la Spagna meridionale, la Puglia, il delta del Po, la Sicilia e la Sardegna (in particolare nelle zone pianeggianti) dove si può riscontrare un tasso di talassemia pari al 12 per cento;
   le talassemie costituiscono un gruppo eterogeneo di emoglobinopatie ereditarie recessive, caratterizzate dalla ridotta o assente sintesi dell'emoglobina;
   della talessemia vi sono tre quadri clinici che si distinguono tra loro per gravità crescente così suddivisi:
    a) portatore asintomatico: è caratterizzato da assenza di sintomi clinici, aumento del numero dei globuli rossi con riduzione del loro volume (da ciò il nome di microcitemia), riduzione della concentrazione di emoglobina contenuta nei globuli rossi e alterazione della loro forma;
    b) talassemia intermedia: in questo gruppo eterogeneo di pazienti sono compresi casi con gravità differente, da forme minime con lievi manifestazioni cliniche a casi più gravi a volte simili alla forma grave detta malattia di Cooley. In questi casi c’è un marcato aumento dell'emoglobina fetale;
    c) talassemia major o malattia di Cooley: è la forma più grave di microcitemia, caratterizzata da anemia marcata (l'emoglobina è di solito inferiore a 8 g%);
   le talassemie sono considerate malattie rare invalidanti e fanno parte delle prestazioni sanitarie incluse nei Livelli essenziali di assistenza (LEA);
   secondo quando rilevato dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) «il costo annuale di un programma di prevenzione di una nazione è approssimativamente uguale al costo del trattamento annuale dei pazienti per un anno. I costi annuali della prevenzione sono effettivamente costanti, mentre i costi del trattamento annuale aumentano anno dopo anno, cosicché il rapporto costo/beneficio di un programma di prevenzione migliora di anno in anno da quando viene effettuato» secondo la stessa istituzione «le proiezioni dell'OMS sui costi del trattamento hanno evidenziato che, senza programmi di prevenzione, volte a limitare il numero di nascite di bambini malati, molti paesi non saranno in grado di poter assicurare un trattamento ottimale a tutti pazienti affetti da talassemia»; l'OMS conclude che «un efficace programma di prevenzione è essenziale per limitare i costi del trattamento dei pazienti viventi»;
   sempre l'OMS dichiara che «i programmi di prevenzione ora rappresentano la base per l'istituzione di piani sanitari nazionali in altri paesi dove la malattia è frequente», tanto da raccomandare che «le nazioni devono:
    assicurare volontà politica ed impegno costante;
    stabilire campagne di educazione alla salute con l'intento di migliorare le competenze professionali;
    identificare laboratori di qualità per i test diagnostici per individuare i portatori;
    identificare laboratori di qualità per la diagnosi prenatale per le coppie a rischio;
    promuovere la consulenza genetica e ostetrica»;
   per quanto di conoscenza dell'interrogante le regioni che in Italia offrono un servizio di screening per la microcitemia sono solo dieci tra cui la Puglia, l'Emilia Romagna, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Lombardia, la Campania, la Sardegna, il Piemonte e il Veneto, arrivando quindi a coprire il 50 per cento del territorio nazionale;
   l'articolo 9-decies (programma per il Giubileo straordinario 2015-2016) del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali prevede un contributo di 33.512.338 euro a favore della regione Lazio, finalizzato all'attuazione del programma straordinario per il Giubileo 2015-2016, in considerazione, in particolare, delle esigenze sanitarie connesse alla grande affluenza di persone che si verificherà in occasione di tale evento. La norma prevede che il predetto contributo sia finanziato a valere sulle risorse di cui all'articolo 20 della legge n. 67 del 1988;
   dopo la chiusura della ONLUS Centro di Studi della Microcitemia di Roma «Associazione Nazionale per la lotta contro le Microcitemie in Italia» (AMNI), avvenuta il 31 luglio 2015, da quaranta anni effettuava programmi di prevenzione per le malattie talassemiche come lo screening scolastico, esami diagnostici del DNA per la talassemia, consulenze per le coppie a rischio e altro, a cui la sanità pubblica si rivolgeva per effettuare gli esami necessari per la prevenzione auspicata dall'OMS, i pazienti residenti nell'Italia centrale si trovano in una situazione di disagio noi potendo più usufruire di un servizio essenziale;
   la chiusura sarebbe avvenuta a causa della sospensione del finanziamento che la sanità laziale elargiva al centro AMNI, quantificabile in circa un milione e seicentomila euro annui;
   recentemente un articolo sul quotidiano online www.tusciatimes.eu porta la testimonianza di una paziente che mette in risalto la preoccupante situazione nella quale si trovano tutti coloro che vivono nel Lazio e che hanno bisogno di cure specifiche «Ora da due mesi cercavo di avere un appuntamento all'ospedale Gemelli e nel momento in cui l'ho ottenuto mi sono trovata ad aspettare in coda ad 807 pazienti ed ho dovuto attendere 9 ore prima di essere visitata. Per non parlare del fatto che da alcune settimane pago anche l'acido folico e le medicine, di cui non posso fare a meno»;
   sullo stesso articolo si può leggere che «in seguito ad un'indagine telefonica infatti in alcuni centri ospedalieri accreditati per lo studio delle microcitemie a Roma non è possibile prendere appuntamento, a causa di agende chiuse o per mancata risposta alle chiamate. In altri invece è possibile, prendendo appuntamento, avere uno screening di primo livello ma non di secondo, cioè uno studio del dna, fondamentale anche per la prevenzione poiché si tratta di patologie a carattere ereditario. Per un esame di secondo livello il centro più vicino è l'ospedale Cardarelli di Napoli al momento» –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere, nel limite delle proprie competenze e di concerto con le regioni dell'Italia centrale interessate, affinché sia trovata una soluzione alla carenza dei succitati servizi, anche in virtù del risparmio sui costi sanitari, del quale si gioverebbe prevenendo piuttosto che curando, come messo in evidenza dello studio dell'Organizzazione mondiale della sanità. (5-06352)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della stagione estiva sono state numerose le notizie di stampa e sui media locali che riguardano le acque balneabili della costa abruzzese ed in particolare quelle della costa del comune di Pescara e del comune di Francavilla al Mare: alle notizie che raccontavano il visibile inquinamento delle acque e riportavano diverse testimonianze di bagnanti circa problematiche di salute che, presumibilmente, sono legate alle condizioni delle acque balneabili, sono susseguiti i risultati delle analisi dell'ARTA Abruzzo che confermavano la concentrazione batteriologica in acque costiere, che denotano la presenza sia di escherichia coli che di enterococchi, al di sopra della soglia prevista dalle norme vigenti;
   il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, recepisce la direttiva 2006/7/ce relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione; in ottemperanza a quanto disposto dal decreto legislativo citato, il Ministro della salute e 11 Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno definito, attraverso il decreto del 30 marzo 2010, i criteri per determinare il divieto di balneazione, comprese le modalità e le specifiche tecniche relative alla gestione delle acque di balneazione;
   nel comune di Pescara, Francavilla al Mare, Vasto, Pineto, Città Sant'Angelo e Martinsicuro, Alba Adriatica, San Vito Chietino e Ortona le rilevazioni sono risultate oltre i limiti indicati nell'allegato A del decreto ministeriale 30 marzo 2010 almeno una volta;
   nel caso d'inquinamento di breve durata, così come definito dall'articolo 2, comma 1, lettera D del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, ovvero, nel caso in cui la contaminazione microbiologica le cui cause siano chiaramente identificabili e che si presume normalmente non influisca sulla qualità delle acque di balneazione per più di 72 ore circa dal momento della prima incidenza e per cui l'autorità competente ha stabilito procedure per prevedere e affrontare tali episodi, è necessario tassativamente che il campione di verifica sia effettuato entro le 72 ore dall'inizio del fenomeno inquinante;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 4 del decreto del 30 marzo 2010 qualora i dati di monitoraggio evidenzino un superamento dei valori limite deve essere adottato un divieto temporaneo di balneazione a tutta l'acqua di balneazione di pertinenza del punto di monitoraggio attraverso un'ordinanza sindacale ed informazione ai bagnanti mediante segnali;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del decreto del 30 marzo 2010 la revoca del provvedimento di chiusura alla balneazione avviene a fronte di un primo esito analitico favorevole, successivo all'evento di inquinamento, che dimostri il ripristino della qualità delle acque di balneazione;
   nei tratti di acqua destinati alla balneazione, nei quali si sono verificati inquinamenti di breve durata, il comune emette un'ordinanza sindacale di divieto alla balneazione sull'area di pertinenza del punto di campionamento e informa in maniera tempestiva i bagnanti mediante segnali di divieto ai sensi del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116;
   secondo quanto disposto dall'articolo 6 comma 4 del decreto del 30 marzo 2010 i comuni trasmettono, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, i provvedimenti di divieto di una zona di balneazione ed eventuale revoca non appena ricevuta la comunicazione dalle strutture tecniche preposte al campionamento e alle analisi, per posta elettronica al Ministero della salute nonché successivamente per posta ordinaria e in tali provvedimenti devono essere indicate le ragioni del divieto –:
   se i comuni di Pescara, Francavilla al Mire, Vasto, Pineto, Città Sant'Angelo e Martinsicuro, Alba Adriatica, San Vito Chietino e Ortona abbiano trasmesso per posta elettronica e per posta ordinaria al Ministero della salute i provvedimenti di divieto di balneazione e in quali date siano avvenute le comunicazioni;
   quali siano state le ragioni del divieto indicate sui divieti di balneazione trasmessi al Ministero della Salute. (4-10292)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto dirigenziale n. 42 del 2014 la regione Campania ha deciso per il declassamento del centro emotrasfusionale dell'ospedale S. Ottone Frangipane di Ariano Irpino in centro per la raccolta sangue;
   tale decisione è scaturita dall'attuazione del piano di rientro della spesa sanitaria al quale è sottoposto l'intero settore in Campania;
   detto declassamento è decisamente penalizzante per la sanità dell'intero territorio in quanto del tutto incompatibile con le esigenze trasfusionali che caratterizzano effettivamente l'intero comprensorio;
   il commissario dell'Asl di Avellino ha recentemente espresso l'auspicio che tutti i livelli istituzionali concorrano affinché il S.Ottone Frangipane possa conservare il servizio emotrasfusionale e diventare ospedale di primo livello;
   a giudizio dell'interrogante, dopo i tagli imposti dall'attuazione del piano di rientro, che tanto hanno penalizzato le aree interne, occorre lavorare per potenziare i servizi sanitari resi ai cittadini che risiedono nell'arianese e in Alta Irpinia;
   a giudizio dell'interrogante, i vari livelli istituzionali, enti locali, asl, regione e Governo, devono fare sinergia per attuare una modifica del decreto dirigenziale della regione Campania n. 42 che ha portato al declassamento del centro emotrasfusionale dell'ospedale San Ottone Frangipane in centro di raccolta sangue;
   occorre portare all'attenzione del Ministro interrogato e del Governo la condizione di difficoltà nella quale versano i cittadini irpini in ragione del depotenziamento dei nosocomi di Ariano e Sant'Angelo conseguente ai tagli apportati dal commissario per la sanità;
   a giudizio dell'interrogante vanno sostenute le politiche sanitarie che il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, ha in programma di attuare per mettere ordine nel settore in Campania –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per far sì che l'ospedale S.Ottone Frangipane di Ariano Irpino possa conservare il centro emotrasfusionale;
   se non ritenga di doversi adoperare affinché detto nosocomio possa tornare ad essere di «primo livello» e se non ritenga che i cittadini residenti in Alta Irpinia e nell'arianese siano stati eccessivamente penalizzati dal dimensionamento dei nosocomi di Sant'Angelo dei Lombardi e di Ariano Irpino, anche e soprattutto in ragione della particolare estensione del territorio irpino e dell'esigenza di assicurare il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-10301)


   MARCOLIN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha annunciato entro la fine dell'anno 2015 la chiusura del punto nascita dell'ospedale «Maria Immacolata Longo» di Mussomeli appartenente alla ASP2 di Caltanissetta, che pur avendo oltre 250 nascite annue non raggiunge il minimo previsto dalla legge (500 parti);
   la notizia è stata appresa, tra l'altro, con la risposta all'interrogazione n. 5-06119 del 23 luglio 2015, in merito alla riorganizzazione dei punti nascita in Sicilia; il sottosegretario per la salute delegato, ha dichiarato che, sulla base delle interlocuzioni avvenute tra il Ministero e l'assessorato regionale, si procederà alla chiusura, tra gli altri, del presidio sopra citato;
   la deroga richiesta dalla regione siciliana per il mantenimento di alcuni punti nascita, sulla base della situazione orografica del territorio e delle difficoltà di collegamento, è stata respinta con la motivazione che mancano i princìpi di appropriatezza, efficienza, sostenibilità economica ed efficacia previsti dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010;
   è pur vero che la messa in sicurezza del punto nascita dipende prevalentemente dal fatto che non è stato potenziato l'organico di personale necessario ma, d'altra parte, è vero anche che l'ospedale di Mussomeli è situato al centro di una zona montana disagiata da un punto di vista orografico, attualmente molte strade sono franate e, quindi, non percorribili;
   intorno a Mussomeli gravitano ben 14 comuni di cui 8 in provincia di Caltanissetta e 6 in provincia di Agrigento e Palermo;
   l'ASP2 di Caltanissetta in cui insiste l'ospedale di Mussomeli ha chiesto alla regione siciliana una deroga alla chiusura del punto nascita di Mussomeli, che però è stata negata;
   si chiedeva una deroga al 31 dicembre 2016, anche per consentire i miglioramenti necessari alla rete stradale per ulteriori lavori di manutenzione straordinaria dell'autostrada A19 Palermo-Catania (che ha fatto aumentare notevolmente il traffico di veicoli pesanti sulla SS 121 PA-AG con un sensibile aumento di rischio incidenti stradali), della SS121 Agrigento-Palermo e della SS 640 Agrigento-Caltanissetta, tutte nei pressi di Mussomeli;
   per altri punti nascita è stata, invece, concessa una deroga dovuta agli «oggettivi ed insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio e che potrebbero comportare inadeguatezza dell'assistenza sanitaria» –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per concedere un'ulteriore deroga alla regione siciliana ed evitare l'annunciata chiusura del punto nascita dell'ospedale «Maria Immacolata Longo» di Mussomeli, considerato che alla disagiata collocazione geografica si è aggiunto anche il peggioramento dei collegamenti stradali;
   se, in considerazione delle difficoltà connesse ai collegamenti stradali, che interessano le comunità locali in particolare quelle della provincia di Caltanissetta coinvolte dalla chiusura del punto nascita previsto per il 31 dicembre 2015, il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere le proprie determinazioni, stanti gli elevati livelli di criticità in ordine alla viabilità che determinerebbero inevitabili e gravi ripercussioni sull'assistenza sanitaria;
   in caso contrario, quali iniziative intenda assumere, al fine di garantire i necessari livelli di assistenza sanitaria nei riguardi delle comunità siciliane interessate dalla chiusura del punto nascita sopra citato. (4-10305)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Best spa di Cerreto d'Esi (AN), multinazionale americana, produttrice di cappe aspiranti, ha annunciato la procedura di licenziamento collettivo per 55 persone su un totale di 199;
   una decisione non condivisibile, che va a colpire il tessuto produttivo di un territorio che sta pesantemente pagando un processo di deindustrializzazione;
   le organizzazioni sindacali hanno espresso la notevole preoccupazione dei dipendenti dell'azienda, soprattutto a seguito dell'esperienza vissuta dallo stabilimento Best di Montefano, che nel 2011 fu smantellato e trasferito in una notte. I dipendenti della Best sono già scesi da 850 agli attuali 203 e i sindacati hanno dunque chiesto che sia ritirata la procedura di mobilità per ulteriori 55 lavoratori;
   appare urgente un intervento di politica industriale specifica per il settore dell'elettrodomestico, e per il territorio Fabrianese –:
   quali iniziative intenda adottare per scongiurare i 55 licenziamenti preannunciati e quali siano le prospettive industriali dello stabilimento di Cerreto d'Esi. (5-06349)


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   rappresenta una straordinaria novità il cospicuo intervento economico, di 2,2 miliardi di euro, approvato dal CIPE con il piano per la banda ultra larga. Dei 12 miliardi, 5 sarebbero privati e 7 pubblici e di questi ultimi 4,9 vengono da iniziative del Governo e 2,1 dai fondi strutturali regionali;
   lo stanziamento iniziale del CIPE di 2,2 miliardi di euro riguarderebbe un'infrastruttura che dovrebbe raggiungere 10 milioni di italiani (secondo quanto annunciato in conferenza stampa), 800 comuni, oltre 400 ospedali, 2000 scuole, 5000 sedi della pubblica amministrazione;
   si tratta dell'infrastruttura più importante per i prossimi 20 anni e l'obiettivo è una copertura completa del Paese;
   «sulla banda larga saremo leader in Europa nel giro di un triennio» come ha affermato il Presidente del Consiglio in una recente conferenza stampa aggiungendo: «A questo punto per gli Operatori di telefonia non c’è da fare altro che mettersi in gioco» perché alle aree «nere» ci pensa il Governo;
   è necessario raggiungere tali obiettivi di realizzazione della banda ultralarga, obiettivi fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese;
   molto positivo è il contributo offerto dalla Carta dei diritti, ove si rappresenta con chiarezza che non solo la velocità di connessione dati internet ma anche la stessa esistenza e fruibilità di una rete in fibra da parte del cittadino è di fatti entrata nella categoria dei diritti civili;
   da alcuni anni è stata creata la società Matroweb, controllata da fondo di investimento F2i (acronimo di Fondi italiani per le infrastrutture) e partecipata da Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Tale Società è stata orientata a costruire una capillare fibra ottica, orientata al futuro che consenta anche una pari opportunità di accesso alla infrastrutture di telecomunicazioni da parte di operatori di servizi ICT (che si rivolgono al mercato di clienti privati dalle famiglie alle imprese) –:
   a quali iniziative del Governo si farebbe riferimento relativamente ai 4,9 miliardi di euro e come, se ed in quanto tempo, tali risorse sarebbero rese disponibili concretamente su territorio, ad enti pubblici, associazioni di comuni ad Amministrazioni regionali;
   relativamente ai 2,1 miliardi di euro dai fondi strutturali regionali, a quali fondi ci si riferisca realmente, come saranno resi fruibili ed in quanto tempo;
   considerato il piano dei 750 milioni complessivi che investirà Telecom Italia nel «Centro Sud», (sicuramente non nelle zone a «fallimento di mercato») proprio nelle regioni in cui Telecom Italia ha vinto le attuali gare della Infratel (società del Ministero dello sviluppo economico), che ne sarà delle regioni del Centro Italia, nei piani del Governo ed anche nei relativi piani di Telecom Italia, nella formula pubblico-privato;
   quando inizieranno almeno i lavori per la costruzione della rete a banda ultra larga nella regione Marche e nella regione Umbria, almeno per i lavori direttamente dipendenti dal Governo;
   se lo stanziamento iniziale del CIPE di 2,2 miliardi di euro riguardi tutti i 6800 comuni o solo gli 800, a quali fondi si farà riferimento, quando verranno effettuate le gare e quando cominceranno i lavori di costruzione relativi, e infine, in quanto tempo si possano realisticamente concludere;
   dei 2,2 miliardi di euro «spendibili subito» quanti riguardino il Centro nord e quanti il Sud Italia, e se tale importo sia veramente riferibile unicamente al CIPE o vi siano anche altri soggetti che contribuiranno;
   quale sarebbe il futuro di Metroweb, e come potrà ancora essere, una società che costituisce una piattaforma d'accesso indipendente ed accessibile senza differenze tra i vari operatori sul territorio, (ovvero Wind, Vodafone, Telecom Italia e altri);
   se il cambiamento dei manager con ruoli apicali nella Cassa depositi e prestiti rischi di pregiudicare o rallentare lo sviluppo del successivo programma di sviluppo della banda ultra larga che è stato basato, in buona parte, anche sulla costruzione di infrastrutture in fibre ottiche da parte della società Metroweb. (5-06350)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARGERO e FIORIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015), e della delibera AGCom 395/15/CONS, in un'ottica di ottimizzazione dei processi di lavorazione della corrispondenza, nel corso del mese di ottobre 2015, in alcune aree del territorio nazionale, sarà data attuazione progressiva e graduale al modello di recapito a giorni alterni, per cui la consegna degli invii postali verrà effettuata a giorni lavorativi alterni, dal lunedì al venerdì su base bisettimanale (lunedì, mercoledì e venerdì in una settimana – martedì e giovedì in quella successiva);
   il servizio postale è un servizio universale e molti comuni del Piemonte sono già stati toccati dalla chiusura degli uffici postali;
   tale decisione provocherà quindi un ulteriore disagio per i cittadini –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per ovviare a questo ulteriore disagio nei confronti dei cittadini piemontesi e a garanzia del servizio universale. (4-10291)


   BRAMBILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 38 del 2006, «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», prevede all'articolo 17 che «gli operatori turistici che organizzano viaggi collettivi o individuali in Paesi esteri» inseriscano «in maniera evidente nei materiali propagandistici, nei programmi, nei documenti di viaggio consegnati agli utenti, nonché nei propri cataloghi generali o relativi a singole destinazioni», la seguente avvertenza: «Comunicazione obbligatoria ai sensi dell'articolo ... della legge n. ... – La legge italiana punisce con la reclusione i reati concernenti la prostituzione e la pornografia minorile, anche se commessi all'estero»;
   la scadenza stabilita per adempiere all'obbligo era di novanta giorni dall'entrata in vigore della legge n. 38, il 2 marzo 2006;
   a carico degli operatori inadempienti è fissata una sanzione amministrativa di importo variabile tra i 1.500 e i 6.000 euro, che il Ministero dello sviluppo economico ha il compito di irrogare;
   nel VII rapporto dell'Osservatorio nazionale sull'applicazione della legge n. 269 del 1998 (novellata dalla n. 38 del 2006) e del codice di condotta recepito il 19 luglio 2003 dal CCNL del turismo, pubblicato nel marzo 2015 dall'Ente nazionale bilaterale per il turismo e da SL&A, si legge che l'obbligo di pubblicare l'avvertenza è ampiamente evaso: «Quasi nessuno (il 3,6 per cento per la precisione) si attiene agli obblighi di comunicazione nelle copertine o home page o in qualche parte rilevante della propria esposizione pubblica, e anche nelle postille delle «condizioni di viaggio» (a caratteri piccoli come quelli delle polizze di assicurazione) la citazione, peraltro gratuita e ben poco faticosa, non è unanime: lo fanno solo 7 aziende su 10» –:
   se sia a conoscenza dei dati esposti nel citato rapporto, che ad avviso dell'interrogante evidenziano un preoccupante «calo di tensione» nella lotta ad un fenomeno orribile come i «viaggi della vergogna» collegati alla pratica della pedofilia, e se dal 2006 ad oggi siano state irrogate sanzioni ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 38 del 2006, quante e per quale importo complessivo. (4-10303)


   TARICCO, PRINA, BORGHI, GALPERTI, ARLOTTI, MANFREDI e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Sant'Anna di Vinadio, leader nel settore dell'acqua minerale e del beverage, denuncia ormai da mesi una situazione di seria difficoltà causata da continue e prolungate interruzioni della fornitura di elettricità da parte di Enel Spa nello stabilimento di Vinadio (Cuneo);
   lo stabilimento di Vinadio, che è fra i più moderni d'Europa, è dotato di dodici linee produttive, tra quelle dedicate all'imbottigliamento dell'acqua minerale e quelle dedicate al confezionamento dei bicchierini di tè freddo SanThé e nettari di frutta SanFruit;
   il disservizio, consistente in interruzioni totali anche per quattro ore, forniture parziali – con il 25-30 per cento dell'energia necessaria a far funzionare tutte le linee – anche fino a diciotto ore, non ha carattere temporaneo né deriva da circostanze atmosferiche particolari;
   la mancata fornitura di energia proprio durante il picco stagionale di vendite provoca danni enormi: più di 50 milioni di bottiglie non consegnate, per oltre 75 milioni di acqua minerale invenduta, con una conseguente perdita economica che si può quantificare in circa 3 milioni di euro al mese;
   l'interruzione improvvisa di energia per durate non quantificabili né prevedibili causa, inoltre, un effetto a catena sulle linee che lavorano ad alta velocità e sulle linee dedicate alla produzione di tè freddo e nettari di frutta che, inoltre, devono essere necessariamente sottoposte a un processo di sanificazione che richiede otto-dieci ore di tempo ulteriori dal momento in cui torna a regime la fornitura di energia;
   a ciò si aggiungono i danni, che richiedono ulteriori tempi di manutenzione, ai componenti elettronici, computer, server, e altro, per l'azienda che, tra l'altro, nell'ultimo biennio ha fatto un enorme investimento in Ict verso la totale digitalizzazione;
   anche sul piano dell'occupazione, l'impossibilità di far funzionare lo stabilimento a pieno regime comporta gravissime conseguenze per l'azienda, che di recente ha assunto nuovo personale;
   il disservizio impedisce, inoltre, di onorare gli impegni presi con i clienti, che presentano richieste di risarcimento all'azienda per problemi indipendenti dalla sua volontà;
   risulta all'interrogante che, nonostante le numerose segnalazioni inviate all'Enel, interpellata anche sul piano contrattuale già in data 8 giugno 2015, l'azienda non ha ricevuto risposte e ha ottenuto, come unico e discutibile risultato, quello di evitare i black-out totali, mentre proseguono quelli parziali, che consentono di lavorare soltanto al 30 per cento dei normali standard operativi;
   gli investimenti per l'innovazione, pur fondamentali per la competitività, servono a poco se non è garantita la fornitura di energia, anzi rischiano di essere pesantemente e negativamente influenzati da un accesso all'energia problematico e più costoso che in altri Paesi europei diretti concorrenti;
   la mancanza di infrastrutture adeguate e che garantiscano i servizi di base, sono un problema tangibile e incidente sullo sviluppo del territorio, non consentendo una crescita adeguata e, in alcuni casi, causando una retrocessione rispetto a delle posizioni acquisite a fatica negli anni –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e, alla luce della vicenda descritta, se il Governo intenda assumere iniziative di competenza anche normative per impedire che la mancanza o la scarsa qualità dei servizi di base compromettano l'attività, lo sviluppo e la permanenza stessa delle aziende, con grave pregiudizio per l'intera economia del territorio. (4-10309)


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Independent gas management Srl (IGM) è una società che opera (anche se attualmente risulta inattiva) nel campo dello sviluppo, ed esercizio di progetti di stoccaggio di gas naturale e della CO2 (anidride carbonica, biossido di carbonio). Nata nel 2002 è posseduta al 100 per cento da Independent Resources plc (IR), società di diritto inglese fondata il 16 giugno 2005 e quotata dal 15 dicembre 2005 presso la Borsa di Londra, mercato AIM (Alternative Investment Market). Nel febbraio 2011, la società si era dotata di capitale sociale interamente versato di 10 milioni di euro;
   in data 25 luglio 2012 la società Independent Gas Management Srl depositava una istanza per l'ottenimento della pronuncia di compatibilità ambientale per un progetto di ricerca finalizzato all'ottenimento della licenza di esplorazione per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, in un'area del Mar Adriatico centrale, denominata Sibilla, a circa 27 chilometri ad Est dalla costa marchigiana di Ancona, nell'area marittima antistante la città di Senigallia (Ancona);
   nella «Sintesi non tecnica dello Studio di impatto ambientale», presentato dalla società al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, si apprende che il progetto «Sibilla» prevede essenzialmente lo studio di dati pregressi e il re-entry di un pozzo già esistente, denominato «Cornelia 1» (profondità da fondo mare a 1613 m s.s.l., perforato per conto della joint-venture AGIP-SHELL nel periodo aprile-giugno 1969), come sito di stoccaggio di biossido di carbonio;
   l'iniziativa era stata avviata nell'ambito del quadro di misure volte a regolare il sequestro di anidride carbonica ed il suo stoccaggio geologico permanente in formazioni geologiche sotterranee, considerato come tecnologia fondamentale per l'abbattimento delle emissioni, di CO2 in atmosfera, previste dalla direttiva europea 2009/31/CE e recepite dall'Italia con il decreto legislativo 14 settembre 2011, n.162, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 4 ottobre 2011;
   in data 17 luglio 2012 veniva data notizia dell'avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale sulle testate Il Messaggero e Il Corriere Adriatico;
   in data 22 novembre 2012 il dirigente della posizione di funzione valutazioni ed autorizzazioni ambientali della regione Marche esprimeva parere favorevole al progetto di ricerca, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 23 della legge regionale 37 del 2012, ai fini della pronuncia di compatibilità ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in data 14 dicembre 2012, con il parere n. 1127, la commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere favorevole riguardo alla compatibilità ambientale del progetto «Ricerca finalizzata all'ottenimento della licenza di esplorazione per il progetto “Sibilla”» della Independent Gas Management Srl, rilasciata comunque in via provvisoria ai sensi dell'articolo 7 comma 3 decreto legislativo 14 settembre 2011;
   la Valutazione citata era chiaramente non intesa ai fini di autorizzazioni allo stoccaggio di gas ma alla sola indagine esplorativa;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»), recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014) ha trasferito le competenze in materia energetica al Ministro dello sviluppo economico (articolo 38) –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni circa lo stato dell’iter del progetto segnalato in premessa, in particolare per sapere se sia stata approvata la Valutazione di impatto ambientale ed accolto il progetto, se sia stata attivata la convenzione con la società proponente e, in caso positivo, se e quando abbiano avuto inizio, o si prevede avranno inizio, i lavori relativi. (4-10310)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Fico e altri n. 2-01067, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-06330, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Matarrese n. 5-06338, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sottanelli, Palladino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Barbanti n. 1-00981, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 477 dell'8 settembre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la Camera ha impegnato i propri lavori, anche di recente, con una serie di mozioni, aventi ad oggetto interventi straordinari per popolazioni colpite da eventi naturali, tra le quali quelle di «Alternativa Libera», al fine di far conoscere e superare la drammatica condizione di pericolo idrogeologico in cui versa quasi tutto il territorio italiano;
    nell'occasione erano in discussione i fatti e le soluzioni immediate da dare alle popolazione del Veneto e di Genova;
    la necessità di interventi strutturali da realizzarsi nell'intero Paese in merito a tematiche della tutela ambientale, della difesa del territorio, delle popolazioni e delle attività produttive sono tra le priorità che, in quanto attinenti a diritti fondamentali, dovrebbero auspicabilmente interessare tutti i gruppi parlamentari per ampliare il campo di azione comune e l'azione di prevenzione e intervento del Parlamento e del Governo, poiché gran parte dell'intera Nazione versa in situazione di potenziale pericolo a causa della fragilità del nostro territorio e dell'esposizione al rischio di frane e alluvioni;
    la necessità di interventi strutturali da realizzarsi nell'intero paese in merito a tematiche della tutela ambientale, della difesa del territorio, delle popolazioni e delle attività produttive sono tra le priorità politiche che, in quanto attinenti a diritti fondamentali, dovrebbero auspicabilmente interessare tutti i gruppi parlamentari per ampliare il campo di azione comune e l'azione di prevenzione e intervento del Parlamento e del Governo, poiché gran parte dell'intera Nazione versa in situazione di potenziale pericolo a causa della fragilità del nostro territorio e dell'esposizione al rischio di frane e alluvioni;
    in ben 6.633 comuni italiani sono presenti aree a rischio idrogeologico che comportano ogni anno un bilancio economico pesantissimo, intollerabile per un Paese civile;
    è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine da un lato a usi speculativi e abusivi del territorio, dall'altro al suo completo abbandono;
    in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi, caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi, la gestione irrazionale del territorio porta a conseguenze disastrose. Si ricorda che se non lo fa per convinzione, è almeno necessario farlo per convenienza: negli ultimi 5 anni, oltre al costo umano irrecuperabile e dolorosissimo, dovuto a circa 2000 eventi naturali catastrofici, abbiamo impegnato 5 miliardi di euro per dare aiuto a comunità e imprese, già duramente colpite dalla crisi economica ancora in atto, per evitare ulteriori danni irreparabili;
    l'ennesimo episodio di devastazione naturale ha riguardato, questa volta, la Calabria: un violentissimo nubifragio si è abbattuto nella notte tra il 12 e il 13 agosto 2015 sulla costa ionica cosentina, nella zona di Rossano e Corigliano Calabro, dove sono esondati i torrenti Citrea, Celadi e Inferno;
    a Rossano Calabro è crollata una strada del centro storico, decine di auto sono state trascinate dal fango. Un'automobile della polizia, che aveva appena portato in salvo una quarantina di persone rimaste intrappolate in un hotel, tra cui molti bambini, è stata trascinata dalle acque del torrente esondato. Altre squadre delle forze dell'ordine hanno evacuato alcune abitazioni a Rossano Calabro e sono intervenute per mettere in sicurezza adulti e bambini rimasti intrappolati in un villaggio turistico. L'esondazione del torrente Citrea ha provocato l'isolamento di alcuni quartieri in località Petra, Ciminata, Vallato, Toscano ed altre;
    i lidi che fino a ieri ospitavano i turisti sono stati letteralmente spazzati via e moltissime piccole aziende, imprenditori ed esercenti hanno visto distrutti o gravemente danneggiati le loro attività;
    il comune, sta provvedendo al ripristino degli argini del torrente Citrea e alla ricanalizzazione delle acque. Rimangono chiusi tutti i sottopassaggi ferroviari. Per raggiungere l'area marina, dalla zona Scalo, è stato ripristinato momentaneamente il doppio senso di marcia sul passaggio a livello di Rossano stazione. Sono operativi i centri di accoglienza e ricovero allestiti nelle strutture sportive di via Candiano e Viale Sant'Angelo, dove sono stati garantiti pranzi al sacco a quanti, cittadini residenti e soprattutto turisti, hanno chiesto e trovato ricovero nelle strutture;
    nella città alta di Rossano sono state evacuate alcune famiglie a seguito del crollo di un tratto del muro portante di Via Minnicelli. Alcune contrade, a causa del violento nubifragio, rimangono isolate. Allagati anche i sottopassaggi comunali. Vi sono stati pericolosi smottamenti diffusi in più parti del centro storico e dello scalo. Chiusa la strada provinciale Celadi (Scalo-Centro storico) per frane. La statale 106 fonica e la ex statale 177 Silana di Rossano, sono percorribili solo in casi di necessità ed emergenza;
    una cinquantina di persone sono state salvate dagli specialisti del Soccorso alpino fluviale della Guardia di finanza a Rossano. Tra essi c'erano anziani, donne e bambini rimasti isolati nelle abitazioni accerchiate dall'acqua;
    si ricorda che la Calabria è una regione fragilissima perché il 90 per cento del territorio è a forte rischio idrogeologico;
    l'utilizzo dei fondi europei per interventi mirati nei territori consentirebbero maggiore sicurezza, spese produttive, aiuti efficaci ai lavoratori e imprenditori. Perché ciò avvenga è necessario che il Governo garantisca una regia razionale e fatta di una serie di obiettivi puntuali da raggiungere, fornendo anche un supporto tecnico diversificato a seconda dei territori per il loro utilizzo razionale;
    i danni degli eventi calamitosi che hanno colpito la vasta area dell'Alto Jonio Calabrese non sono stati ancora totalmente calcolati ma in base ad una primissima valutazione i danni a strutture, attività balneari e abitazioni sono enormi;
    gli eventi calamitosi hanno messo in ginocchio le attività produttive, soprattutto quelle garantite dalle piccole e medie imprese. Nel caso in cui mancasse un intervento deciso esse non potrebbero riprendere la loro attività peggiorando la già grave situazione economica della zona;
    è doveroso produrre il massimo sforzo per dare rapide soluzioni, mitigare e riparare i danni causati al tessuto economico, specie del settore turistico, della vasta zona interessata;
    l'azione congiunta di Parlamento e Governo assieme a quella del sistema bancario operante in Calabria sarà fondamentale per la riuscita dell'operazione, considerando che solo un intervento pubblico efficace e solidale e un reale accesso al credito rapido e senza interessi, potrà scongiurare il rischio dei mancati pagamenti delle merci andate in rovina o l'impossibilità di riacquistare le scorte per riprendere le attività;
    analoga necessità si registra per garantire le ristrutturazioni dei locali devastati dalla forza della natura;
    le istituzioni centrali non possono e non devono lasciare alla sola Regione Calabria e i singoli Comuni interessati per l'adozione delle necessarie misure emergenziali di natura socio economica per evitare che le attività falliscano causando un effetto domino rovinoso perché porterà ai licenziamenti dei dipendenti e all'ulteriore peggioramento delle condizione di vita degli italiani che vivono e lavorano sul versante Jonico calabrese;
    sono necessarie misure immediate, a partire almeno dalla sospensione del pagamento dei tributi locali e delle tasse regionali, in grado di dare una boccata di ossigeno alle popolazioni, ai lavoratori e alle imprese colpite dagli eventi,

impegna il Governo:

   ad assumere in particolare efficaci iniziative affinché:
    a) le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per il ripristino dai danni subiti non siano conteggiate ai fini del patto di stabilità interno;
    b) vengano sospesi l'invio delle cartelle esattoriali, il pagamento dei tributi e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione, predisponendo un piano di rateizzazione per il rientro della propria posizione debitoria nei confronti del fisco, e in particolare vengano previsti e garantiti gli introiti mancanti aumentando i trasferimenti centrali ai comuni interessati a causa delle sospensioni di Tari, Tasi ed Imu;
    c) siano previsti sgravi fiscali per la ricostruzione ed il restauro degli edifici colpiti, delle attività produttive e dei beni artistico-architettonici;
    d) per gli edifici dichiarati inagibili, per tutto il periodo di inagibilità, sia sospeso il pagamento dei mutui, dei finanziamenti e dei tributi locali, utilizzando a compensazione verso i creditori un fondo di solidarietà appositamente istituito anche con la partecipazione della Cassa depositi e prestiti;
    e) a stipulare specifici accordi con Fincalabra Spa e le banche operanti sul territorio per facilitare l'accesso e l'erogazione al credito, finalizzato al ripristino della vita associata, delle attività produttive, la ricostruzione di infrastrutture pubbliche e strutture private danneggiate dagli eventi naturali senza l'onere del pagamento degli interessi per i richiedenti credito aventi tali finalità;
    f) a procedere con urgenza alla definizione di criteri oggettivi che, in caso di future calamità naturali sul territorio italiano, garantiscano ai territori colpiti parità di trattamento in proporzione all'entità dei danni subiti;
    g) a convertire la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, redatta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un piano vero e proprio, anche con il supporto dell'unità di missione «Italia sicura», individuando una scala di priorità tra gli interventi ivi contenuti, un cronoprogramma di attuazione ed un piano di finanziamenti certi, prevedendo lo stanziamento dei primi fondi già a partire dalla prossima legge di stabilità.
(1-00981)
«Barbanti, Artini, Baldassarre, Bruno, Bechis, Carloni, Di Lello, Marantelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Prataviera n. 2-01031 del 13 luglio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Sottanelli n. 5-06137 del 23 luglio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Valiante n. 5-06335 del 9 settembre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n. 5-05383 del 21 aprile 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10310;
   interrogazione a risposta in Commissione Taricco e altri n. 5-06233 del 31 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10309.