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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 9 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il glifosato è il principio attivo dei diserbanti chimici più venduti al mondo e ampiamente usati in ambito agricolo, ma anche nel trattamento degli spazi urbani e nel giardinaggio, nonostante numerose evidenze scientifiche ne riconoscano i rischi per la salute e per l'ambiente;
    gli erbicidi a base di glifosato infatti sono largamente utilizzati per il controllo delle piante infestanti e indesiderate perché non sono selettivi, ma eliminano tutta la vegetazione. Le irrorazioni aeree, inoltre, sono utilizzate su vaste monocolture di alcune specie vegetali, con crescente rischio di esposizione accidentale alla sostanza chimica da parte delle popolazioni vicine o degli habitat naturali;
    nel nostro Paese è una delle sostanze più vendute e almeno 750 prodotti contengono glifosato. Oltre che in agricoltura, è ampiamente impiegato da comuni e province per la pulizia delle strade, dalle ferrovie a quella dei binari, ed è presente anche in prodotti da giardinaggio e destinati all'hobbistica;
    uno studio pubblicato su The Lancet Oncology, dopo tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 Paesi, rivela una forte correlazione epidemiologica tra l'esposizione al glifosato e il linfoma non-Hodgkin. Ciò in aggiunta ai già noti aumenti di ricorrenza di leucemie infantili, malattie neurodegenerative e Parkinson in testa. Dagli anni ’80 è anche classificato come interferente endocrino, rivelando negli ultimi anni una serie di gravi pericoli, non ultimo una forte correlazione con l'insorgenza della celiachia (studi del MIT, 2013-2014);
    l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), facente parte della Organizzazione mondiale della sanità, a marzo ha pubblicato, in «IARC Monographs Volume 112: evaluation of five organophosphate insecticides and herbicides», una sintesi della valutazione di cancerogenicità di cinque pesticidi organofosforici, tra cui il glifosato. Il risultato dello studio ha inserito il diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»;
    a seguito della nuova classificazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, molti Governi, associazioni ambientaliste e cittadini hanno avviato, a livello mondiale, azioni-legislative e proteste per bandire immediatamente il glifosato o limitarne l'uso con norme severe;
    le nazioni che attualmente risulta abbiano ottenuto il divieto di usare il glifosato sono: Colombia, Bermuda, Danimarca, Russia, Tasmania, Messico, Sri Lanka e, di recente, anche Olanda. Quelle che hanno già previsto il divieto nel prossimo futuro sono: Fiandre dal 2015, Francia dal 2016, Paesi Bassi dal 2017 e Vallonia dal 2019;
    alcuni Paesi, invece, stanno portando avanti movimenti di protesta per ottenere maggiori precauzioni o addirittura il divieto, come:
     Germania, dove i Ministri dei Lander tedeschi per la protezione dei consumatori hanno chiesto al Governo di vietare le forniture e l'utilizzo del glifosato, da parte dei privati, sulla base del principio di precauzione;
     Brasile, che sta affrontando una crescente pressione, affinché l'Agenzia di sorveglianza nazionale sulla salute (ANVISA) ritratti la propria posizione sul glifosato e revochi le autorizzazioni sulle colture OGM resistenti all'erbicida;
     Argentina, dove 30 mila operatori sanitari si sono schierati a sostegno della decisione dell'OMS, sostenendo che il glifosato «È anche associato ad un aumento di aborti spontanei, difetti di nascita, malattie della pelle, delle vie respiratorie e malattie neurologiche»;
     Svizzera, in cui le catene di supermercati vieteranno, a breve, i prodotti contenenti glifosato;
     Stati Uniti, dove alcuni cittadini hanno fatto causa alla Monsanto, per la falsificazione delle richieste di sicurezza ottenute dal Roundup;
     Cina, dove tre cittadini hanno querelato il Ministero dell'agricoltura che non rende pubblico il rapporto tossicologico, fornito dalla Monsanto, con cui 27 anni prima venne autorizzato l'uso del glifosato nel Paese;
    a livello europeo, l’International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    in Italia, allo stesso modo degli altri Paesi, diversi enti territoriali si stanno adoperando per intraprendere azioni legislative finalizzate a vietare l'uso del glifosato e di prodotti affini in ambito pubblico. Tra questi, la provincia autonoma di Bolzano, con una mozione del MoVimento 5 Stelle, e la regione Toscana sono riuscite a vietarne l'utilizzo come diserbante finalizzato al decoro delle strade pubbliche;
    il MoVimento 5 Stelle ha presentato, il 9 settembre 2013, una proposta di legge, a prima firma di Patrizia Terzoni, su «Limiti all'impiego di sostanze diserbanti chimiche», finalizzata alla tutela della salute umana, dell'ambiente naturale, dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, della biodiversità, degli ecosistemi, delle attività agricole condotte con metodi biologici e naturali, e dei consumatori, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico e alla promozione dell'uso di tecniche alternative all'impiego di prodotti chimici, di prodotti tossici e di soluzioni saline di qualsiasi genere nelle operazioni di gestione della vegetazione spontanea;
    l'Associazione italiana per l'agricoltura biologica – AIAB – ha dichiarato: «l'Italia e l'Unione europea considerino immediatamente le misure necessarie per proteggere agricoltori e consumatori dal glifosato», in considerazione del fatto che l'erbicida della Monsanto è il più utilizzato anche nel nostro Paese. E ancora, secondo il presidente Vizioli, «la chimica nelle campagne significa la chimica nel piatto. Lo sappiamo da anni e da anni combattiamo contro questo e gli altri pesticidi, spacciati per innocui»;
    secondo i dati Ispra ed Eurostat 2012, l'Italia è il maggiore consumatore di pesticidi (principi attivi) tra i Paesi dell'Europa occidentale, sia in termini assoluti (61.890 tonnellate), sia in termini di consumo per unità di superficie coltivata (5,6 Kg/ettaro, o Kg/ha), con valori doppi rispetto a quelli della Francia e della Germania;
    il glifosato è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali. Nel rapporto nazionale pesticidi nelle acque dell'Ispra, edizione 2014, relativo ai dati 2011-2012, a proposito del glifosato si legge: «È una delle sostanze più vendute a livello nazionale e la sua presenza nelle acque è ampiamente confermata anche da dati internazionali, ma il suo monitoraggio è tuttora effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8 per cento dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il suo metabolita, AMPA, nel 56,6 per cento. Glifosato e AMPA sono fra le sostanze che più determinano il superamento degli SQA nelle acque superficiali: AMPA in 155 punti (56,6 per cento del totale), glifosato in 85 punti (31 per cento del totale)»;
    in base ai controlli effettuati nel periodo 2003-2012, nonostante il glifosato e l'AMPA risultino tra le sostanze pericolose, responsabili del maggior numero di casi di non conformità dello stato delle acque, il monitoraggio è tuttora effettuato solo in Lombardia. Ciò dimostra la necessità di aggiornare i programmi di controllo per colmare lo scostamento tra le indagini di ricerca e le sostanze da ricercare;
    il Governo, con decreto del 22 gennaio 2014, ha adottato un Piano d'azione nazionale – PAN – per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, recante «Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi»;
    il PAN, di fatto, non contiene misure prescrittive concrete volte a ridurre l'utilizzo dei fitosanitari, ma piuttosto interviene sull'obbligo di rispettare le prescrizioni in etichetta e sull'iter delle autorizzazioni eccezionali, soprattutto per i prodotti che nelle schede di sicurezza indicano princìpi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e per l'ambiente, spesso vietati dalle procedure europee e poi di fatto ridimensionati nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali –:
    le carenze normative del PAN nel recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, dovute soprattutto ai troppi rinvii a ulteriori atti e decreti attuativi, all'inconsistenza delle sanzioni e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, nonché alla mancata individuazione degli obiettivi, lasciano aperte diverse questioni, come evidenziato nella mozione 1-00720 del MoVimento 5 Stelle, a prima firma di Silvia Benedetti, presentata il 22 gennaio 2015 e ancora in attesa di esame;
    l'impiego dei disseccanti, in sostituzione dei mezzi meccanici, non è compatibile con gli obblighi di condizionalità, riferiti alla difesa integrata obbligatoria che, invece, deve prediligere metodi biologici sostenibili, mezzi fisici e altri metodi non chimici, da utilizzare e praticare per legge, secondo il decreto legislativo n. 150 del 2012, e non come impegni facoltativi;
    l'agricoltura integrata è una sola, ben definita 18 anni fa dalla decisione (CE)30-12-1996 All. 1 Norme OILB di Difesa Integrata. Questa prevede l'uso prioritario, ovvero obbligatorio, di tutte le tecniche sostitutive dei mezzi chimici di sintesi (pesticidi), oggi ampiamente disponibili sul mercato, regolarmente registrate al commercio e, pertanto, definite «efficaci» per legge;
    i trattamenti indiscriminati con i fitofarmaci, nel tempo, hanno distrutto, insieme agli organismi patogeni, anche l'intera biodiversità microbica delle piante, causando il fenomeno ormai diffuso dell'immuno-compressione delle coltivazioni agrarie, ovvero l'indebolimento della loro naturale capacità a difendersi;
    nonostante i numerosi programmi sull’«uso sicuro», decenni di esperienza hanno dimostrato che l’«uso sicuro» di pesticidi altamente pericolosi come il glifosato non è possibile. Le persone, gli animali da allevamento, la fauna selvatica e l'ambiente continuano a soffrire un danno considerevole dall'utilizzo di tali pesticidi. Dopo anni di fallimenti e la morte di milioni di persone in tutto il mondo, sono necessarie nuove politiche per fermare gli avvelenamenti da pesticidi attraverso una progressiva eliminazione e il divieto dell'utilizzo del glifosato, insieme a nuove politiche di sostegno alternative, che possono indurre un cambiamento verso un mondo sano e sostenibile per tutti,

impegna il Governo:

   ad applicare il principio di precauzione, in nome della tutela della salute pubblica, assumendo iniziative per vietare definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio, ciò nell'interesse primario della salute degli agricoltori, dei cittadini e della tutela dell'ambiente e delle acque;
   a sostenere, a livello europeo, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici rilevati a disposizione;
   ad assumere iniziative affinché gli enti preposti al controllo includano il principio attivo glifosato e il suo metabolita AMPA nella lista delle sostanze da ricercare e monitorare nelle acque superficiali e profonde, nonché lungo i bordi delle strade e delle aree pubbliche, in considerazione dell'accertata persistenza sul terreno e sulle acque anche fino a tre anni dopo l'applicazione;
   ad assumere iniziative per rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono ed escludere da qualsiasi premio le aziende che ne facciano uso;
   a promuovere politiche di limitazione all'agricoltura intensiva che, attraverso l'utilizzo del glifosato e di altri pesticidi, contribuisce ad aggravare l'inquinamento idrico da fonti puntuali e non puntuali, e quindi a sostenere iniziative volte alla corretta combinazione di incentivi all'agroecologia, norme di legge più severe – con relative misure sanzionatorie – sui pesticidi e sui prodotti fitosanitari e sussidi adeguatamente mirati ai piccoli agricoltori locali;
   a incentivare, a livello normativo e finanziario, attraverso i piani di sviluppo rurali, i sistemi di gestione agroecologica – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sostenibile o permacultura – che, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo all'agricoltura convenzionale, per la sostenibilità, l'assenza all'uso di fitofarmaci e la tutela dell'ambiente;
   ad assumere iniziative per sostituire l'impiego dei pesticidi di sintesi privilegiando i mezzi manuali, fisici, meccanici e biologici, tenendo conto che l'uso dei fitofarmaci per l'esercizio dell'agricoltura integrata è necessariamente soggetto ai limiti di convivenza con i metodi di produzione biologica, nel rispetto del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007, relativo alla «Produzione biologica e etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE n. 2092/91)».
(1-00982) «Busto, Daga, Benedetti, De Rosa, Micillo, Mannino, Zolezzi, Gagnarli, Terzoni, Massimiliano Bernini».

Risoluzioni in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    le disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 192 del 2014, modificando l'articolo 1, comma 573, della legge n. 147 del 2013, prevedono che «... gli enti locali che, alla data di entrata in vigore della stessa disposizione (1o marzo 2015), non abbiano presentato il piano di riequilibrio entro il termine previsto di cui all'articolo 243-bis, comma 5, del TUEL e che non abbiano dichiarato il dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 246 del medesimo testo unico, possono ripropone, entro il 30 giugno 2015, la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'articolo 243-bis del citato testo unico»;
    alla data di entrata in vigore della normativa appena richiamata (1o marzo 2015), diversi enti locali avevano fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ma non era ancora decorso il termine di 90 giorni di cui all'articolo 243-bis, comma 5, del TUEL e, allo scadere dello stesso termine, il consiglio dell'ente o non si è pronunciato, oppure ha rigettato il piano di riequilibrio;
    il tenore letterale dell'articolo 1, comma 573, della legge n. 147 del 2013, come modificato dal decreto-legge n. 192 del 2014, lascia margine di applicazione anche per gli enti che si sono venuti a trovare nella condizione sopra indicata, in quanto nella norma si fa espresso riferimento ad un termine finale (30 giugno 2015) potenzialmente compatibile con la ripresentazione del piano ai sensi dell'articolo 243-bis del TUEL o comunque con l'adozione di misure idonee ad evitare il dissesto finanziario per quegli enti per i quali il termine di cui al comma 5 dell'articolo 243-bis sia scaduto dopo il 1o marzo 2015;
    diversi enti locali si trovavano in prossimità della scadenza elettorale, prevista il 31 maggio ed il 1o giugno 2015, e la vicinanza di tale scadenza ha portato i consigli comunali uscenti a non procedere all'approvazione dei piani di riequilibrio, lasciando ai consigli comunali subentranti l'onere e la responsabilità di procedervi;
    al riguardo si può richiamare il caso di un comune della Sicilia interessato sin dal 2014 da varie e puntuali sollecitazioni da parte della sezione regionale della Corte dei conti di Palermo, finalizzate alla adozione di provvedimenti utili al riequilibrio strutturale del bilancio dello stesso ente: dopo tali sollecitazioni, il precedente consiglio comunale, in data 24 febbraio 2015, aveva provveduto ad adottare una delibera di avvio delle procedure di riequilibrio finanziario previsto dall'articolo 243-bis del TUEL; successivamente, entro i 90 giorni previsti dalla norma (termine ultimo 25 maggio 2015, a ridosso delle elezioni amministrative previste il 31 maggio e 1o giugno 2015) il consiglio comunale – in scadenza – non ha provveduto all'approvazione dello stesso piano di riequilibrio;
    la nuova amministrazione, subentrata a seguito delle elezioni amministrative, ha provveduto a portare in consiglio comunale, il 26 giugno 2015,il piano di riequilibrio, procedendo in tempi rapidissimi (a 7 giorni dal suo insediamento, avvenuto il 19 giugno 2015), a differenza di quanto fatto dalla precedente amministrazione, all'approvazione del piano di riequilibrio;
    il legislatore e la giurisprudenza si sono più volte espressi in favore del ricorso alla procedura di riequilibrio previsto all'articolo 243-bis del TUEL, in luogo della procedura del dissesto finanziario, in quanto nella prima, l'assunzione e la gestione delle iniziative per il risanamento sono affidate agli stessi organi dell'ente;
    ad oggi, non risultano esserci interventi legislativi, regolamentari e/o giurisprudenziali in grado di chiarire l'efficacia e l'applicabilità della deroga introdotta dall'articolo 1, comma 573, della legge n. 147 del 2013, come modificato dal predetto decreto-legge n. 192 del 2014, rispetto agli enti locali che si trovano nella condizione sopra richiamata;
    in tale contesto sarebbe paradossale, nonché eticamente opinabile, che per una mera interpretazione restrittiva della norma, interpretazione peraltro non autentica, si procedesse a penalizzare intere comunità e nuove amministrazioni che hanno dato prova di efficienza amministrativa, approvando i piani di riequilibrio che erano stati accantonati da precedenti amministrazioni,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare la norma di cui all'articolo 1, comma 573, della legge n. 147 del 2013, come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, in termini tali da consentire l'applicazione di tale normativa anche a quegli enti locali per i quali, alla data di entrata in vigore della suddetta norma (1o marzo 2015), non era ancora decorso il termine dei 90 giorni di cui all'articolo 243-bis, comma 5, del TUEL.
(7-00764) «Tancredi, Pagano».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 102 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 124 del 2013 (cosiddetta «quarta salvaguardia») ha previsto la salvaguardia per i lavoratori che nel 2011 erano in congedo o avevano fruito di permessi per assistere familiari con disabilità, ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e dell'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che avrebbero perfezionato i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione con le regole antecedenti all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 entro il trentaseiesimo mese successivo all'entrata in vigore del decreto medesimo (6 gennaio 2015);
    il comma 2 del richiamato articolo 11-bis prevedeva che il beneficio fosse riconosciuto nel limite di 2.500 soggetti;
    l'articolo 2 della legge n. 147 del 2014 (cosiddetta «sesta salvaguardia») ha previsto una ulteriore salvaguardia per i soggetti che nel 2011 erano in congedo o avevano fruito di permessi per assistere familiari con disabilità, ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001 e dell'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, che avrebbero perfezionato i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione con le regole antecedenti all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 entro il quarantottesimo mese successivo all'entrata in vigore del decreto medesimo (6 gennaio 2016);
    sulla base dei dati del più recente monitoraggio in ordine all'attuazione delle salvaguardie, ad oggi l'INPS ha invece certificato oltre 5.104 soggetti aventi diritto;
    le sedi provinciali dell'INPS dichiarano agli interessati che il contingente è esaurito e che non possono presentare domanda di pensione;
    ciò sta comportando tensione e grave disagio per coloro che sono già in possesso dell'accoglimento dell'istanza da parte della competente Direzione territoriale del lavoro;
    si tratta di persone che stanno ancora lavorando, ma anche di persone che si erano impegnate con il datore di lavoro a non rientrare in servizio, perché prossime al pensionamento ovvero avevano fatto affidamento sull'applicazione delle norme di salvaguardia sopra richiamate;
    dai report periodici sulle operazioni di salvaguardia pubblicati dall'INPS risultano sussistere spazi nei contingenti previsti per la salvaguardia di altre platee;
    in tale ipotesi è espressamente prevista l'attivazione del meccanismo dei cosiddetti «vasi comunicanti», previsto all'articolo 1, comma 193, della legge n. 147 del 2013, che consente l'eventuale trasferimento di risorse e relative consistenze numeriche tra le categorie di soggetti tutelati sulla base della normativa vigente,

impegna il Governo

ad attivare la procedura di cui all'articolo 1, comma 193, della legge n. 147 del 2013 per consentire la salvaguardia di tutti i lavoratori in possesso dei requisiti di cui al comma 1 dell'articolo 11-bis del decreto-legge 31 agosto 2013, n.102, convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n.124, e all'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 10 ottobre 2014, 147.
(7-00765) «Simonetti, Gnecchi, Rizzetto, Cominardi, Pizzolante, Airaudo, Polverini, Antimo Cesaro, Giorgia Meloni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 agosto 2015 la città di Pisa è stata colpita da una violentissima ed improvvisa ondata di maltempo;
   in poche ore, nella mattinata, sono caduti oltre 150 millimetri di pioggia mandando in tilt l'intero sistema infrastrutturale, allagando abitazioni, negozi ed esercizi economici in interi quartieri;
   disagi si sono registrati alla circolazione ferroviaria e nella erogazione dell'energia elettrica;
   la regione Toscana ha già provveduto a dichiarare lo stato di emergenza e sono state avviate le procedure di valutazione dei danni arrecati dall'evento calamitoso –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza per procedere anch'esso alla dichiarazione dello stato di emergenza e una volta effettuate tutte le procedure al riconoscimento dello stato di calamità naturale al fine di sostenere la ripresa delle attività e per la messa in sicurezza del territorio. (3-01690)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto attuativo approvato dal Governo il 10 aprile 2015 è finalmente diventato operativo il cosiddetto «bonus bebé» già previsto dalla legge di stabilità del 2015;
   tale disposizione prevede che per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 lo Stato riconosce un contributo a partire dal mese di nascita o di adozione del bambino;
   l'agevolazione è valida soltanto per i genitori (cittadini italiani, ma anche i membri di uno Stato dell'Unione europea o di uno Stato extracomunitario se risiedono in Italia e se possiedono il permesso di soggiorno) che hanno un ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) in corso di validità non superiore a 25.000 euro annui;
   per ottenere il bonus occorre fare una richiesta compilando una domanda on line sul sito dell'Inps e inviandola, in via telematica, all'Istituto se si possiede il codice PIN, oppure rivolgendosi ad un Caf, un patronato o un intermediario abilitato che provvederà a predisporre il modello di domanda e a trasmetterlo direttamente all'Istituto;
   il contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 è di 960 euro l'anno (erogato mensilmente) fino al compimento del terzo anno di età o di ingresso nel nucleo familiare. L'importo del contributo raddoppia nel caso in cui la condizione economica corrispondente al valore dell'indicatore ISEE non sia superiore ai 7 mila euro annui. Per finanziare questa misura sono stanziate risorse per complessivi 1,8 miliardi nel triennio, ai quali vanno aggiunti ulteriori 108 milioni di euro nell'anno 2015 grazie ad un apposito Fondo per interventi a favore della famiglia. Il bonus dura tre anni, ma la domanda va presentata una volta sola, per il primo anno, mentre per il secondo e il terzo anno sarà sufficiente rinnovare l'ISEE –:
   quale sia ad oggi lo stato dell'arte dell'agevolazione cosiddetta «bonus bebè» con particolare riferimento al numero di richieste pervenute, alle risorse già erogate e alla fascia di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) dichiarata dai beneficiari. (5-06323)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO e COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 20 agosto si sono svolti i funerali di Vittorio Casamonica, presunto boss sessantacinquenne dell'omonimo clan Casamonica, clan noto per l'attività di racket, di usura e di gestione delle piazze di spaccio di stupefacenti in tutta Roma;
   il clan dei Casamonica ha acquisito un'enorme fortuna tra gli anni ‘70 e ‘90, inizialmente legando i suoi interessi a quelli della Banda della Magliana, diventando il clan organizzato più potente del Lazio (il rapporto della DIA parla di 90 milioni di euro di beni);
   nel 2010 i Casamonica hanno intessuto e potenziato gli affari con la ‘ndrangheta, come emerso nelle indagini degli inquirenti dalla scoperta della collaborazione con Pietro D'Ardes, ex ispettore del lavoro rinviato a giudizio nel 2009 dalla procura di Palmi per associazione a delinquere in concorso con esponenti della ‘ndrangheta e noto per i suoi rapporti con il clan camorristico dei Casalesi;
   negli ultimi anni i Casamonica sono stati travolti da una serie di inchieste che hanno visto molti di loro condannati e numerosi sono i beni sequestrati;
   i funerali di Vittorio Casamonica si sono svolti in pompa magna, come hanno riportato i giornali e le televisioni di tutto il mondo, presso la Chiesa romana Don Bosco, nella periferia est della capitale, dove risiede il quartier generale dei Casamonica. Si è trattato di un funerale in stile «padrino» che ha bloccato la circolazione e mobilitato i vigili urbani del territorio, con carrozze, cavalli, un enorme corteo funebre e petali di rose lanciati da un elicottero che sorvolava la zona;
   i fatti di Mafia Capitale e l'inchiesta Mondo di Mezzo hanno fatto emergere nell'ultimo anno una massiccia presenza delle mafie a Roma, presenza disconosciuta e negata fino a poco tempo fa persino dalle più alte cariche istituzionali della città, e che invece un pezzo della società civile e le molte associazioni presenti sul territorio denunciano da anni. Una presenza che ha creato welfare e lavoro, come ha dimostrato in questi anni agli inquirenti il sistema Casamonica. In questo clima e dopo lo svelamento della fitta rete di affari che le mafie gestiscono a Roma, risulta inaccettabile che si siano svolte, in maniera così pomposa, le esequie del capofamiglia di un clan mafioso –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano verificare che non vi siano state delle falle nel rispetto delle regole, relative al sorvolamento dello spazio aereo. (4-10284)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   i bambini colombiani adottati in Italia mantengono la cittadinanza colombiana (dal momento dell'adozione in Italia assumono la doppia cittadinanza) presumendo che una volta raggiunta la maggiore età desiderino tornare a visitare il loro Paese di origine;
   il rientro, anche temporaneo, nel loro Paese di origine non è senza difficoltà in quanto i maschi maggiorenni (avendo mantenuto, come prevede la legge, la doppia cittadinanza) al rientro risultano renitenti alla leva per non aver espletato il servizio militare;
   ravvisato che è possibile compensare in denaro l'esonero del servizio militare e che è previsto il pagamento di una multa per ogni anno di ritardo all'iscrizione al distretto militare e che questi pagamenti possono essere effettuati solo recandosi sul posto –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e se è intenzione del Governo adottare al riguardo un accordo con la Colombia per prevedere una procedura chiara e semplice. (4-10276)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è ormai di diffusa conoscenza il grave atto criminale accaduto lo scorso luglio in Cisgiordania, quando, presumibilmente, dei coloni israeliani hanno dato fuoco, nel villaggio di Doma (Nablus), all'abitazione della famiglia palestinese Dawabsheh, uccidendo il marito Ali ed il figlio Saad di soli 18 mesi, e provocando ustioni gravissime alla madre Riham e all'altro figlio di appena 4 anni, Ahmad;
   in seguito alle ustioni riportate è morta anche la madre Riham in ospedale lasciando solo Ahmad orfano, a soli 4 anni, di entrambi i genitori;
   non è ancora chiarita la dinamica dei fatti, ma è indiscutibile che senza l'avallo e la copertura dei coloni israeliani non era possibile il fatto criminale, per cui l'impressione è che si siano resi artefici di un pluriomicidio, che purtroppo non è unico. Sono oramai all'ordine del giorno immagini e informazioni di uccisioni diffuse di bambini ed adulti palestinesi rei di essere tali;
   in seguito a questi eventi luttuosi la comunità palestinese, tramite la sua ambasciata, chiede alla comunità internazionale di condannare questi crimini e di intervenire affinché si agisca proteggendo il popolo palestinese inerme (ovviamente non i terroristi) e soprattutto i bambini, affinché atti criminali gratuiti, come quello di Nablus, non abbiano più ad avvenire –:
   come intendano, i signori Ministri interrogati, adoperarsi al fine di garantire non solo la solidarietà, dell'Italia alla comunità palestinese, ma anche l'impegno del Governo italiano a lavorare per un autentico percorso di pace, e per la salvaguardia della vita umana anche nella martoriata Palestina. (4-10282)


   COSTANTINO, PALAZZOTTO, MARCON, ZARATTI, PELLEGRINO, DURANTI, RICCIATTI, NICCHI, FERRARA, PANNARALE, MELILLA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel 1955 Libero Giancarlo Castiglia (nato a San Lucido, Cosenza, il 4 luglio del 1944) parte dal suo Paese per raggiungere il padre emigrato Brasile. Il viaggio terminerà il 20 gennaio. Ad accompagnarlo la madre Elena Gibertini e dai fratelli Antonio, Wanda e Walter Mario;
   nel 1962 Libero Giancarlo Castiglia inizia la sua attività politica con il giornale ’A Classe Operaria, giornale del Partito Comunista do Brasil;
   nel 1964 il colpo di Stato costringe l'italiano alla fuga. La famiglia gli offre riparo con il ritorno in patria ma il giovane dice di voler rimanere e si dimostra intenzionato a cambiare città, trasferendosi a San Paolo per lavoro. In realtà il partito lo invierà insieme a un'avanguardia di uomini e donne in Cina, dove gli esiliati trascorreranno un periodo di addestramento culturale e politico-militare;
   nel 1967 Libero Giancarlo Castiglia, dopo il ritorno in Brasile e la clandestinità nella città di Rondonopolis, raggiunge in Amazzonia le sponde del fiume Araguaia insieme a membri di vertice del partito per organizzare la lotta armata che passerà alla storia come «Guerriglia dell'Araguaia». Diventa Joao Bispo Ferreira detto «Joca»;
   6 anni dopo, nel 1973 nell'ambito dell'operazione militare Mesopotamia la commissione militare del partito comunista brasiliano, impegnata nella lotta armata nelle regioni amazzoniche bagnate dal fiume Araguaia, viene scoperta e trucidata nell'episodio passato alla storia come la «Strage di Natale»;
   nel 1979 La Legge d'amnistia, entrata in vigore il 28 agosto del 1979, consente di stare alla larga dai processi a tutti coloro che si sono resi responsabili di torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e stupri commessi su vasta scala durante il regime militare dal 1964 al 1985;
   nel 1995 in Brasile nell'allegato della Legge numero 9.140/1995 vengono riconosciuti 61 desaparecidos della Guerriglia dell'Araguaia, fra questi risulta (al num. 35) anche il cittadino italiano Libero Giancarlo Castiglia;
   nel luglio del 1997, il Governo brasiliano, previo l'ufficio di stato civile delle persone fisiche della quinta circoscrizione giudiziaria di Rio de Janeiro rilascia alla famiglia Castiglia un certificato di morte con data 25 dicembre 1973 senza specificazione del luogo del decesso o seppellimento del corpo ne, tanto meno, le cause del decesso. Da allora i familiari di Castiglia si sono rivolti alle più alte autorità italiane e brasiliane per la restituzione del corpo, senza nessuna fortuna;
   nel 2001 il Grupo do trabalho del Tocantins, afferente alla Commissione nazionale della verità istituita dal Governo Dilma in Brasile, compie degli scavi in Amazzonia dove viene ritrovato un corpo con le mani tagliate e un capo di biancheria europea, si pensa possa essere quello di Castiglia;
   nel marzo 2007 la Presidenza della Camera dei deputati informa la famiglia Castiglia di una prossima visita del Segretario Speciale per i diritti umani del Governo brasiliano, il ministro Paulo Vannuchi (Prot. 2007/0001544/PRES). Durante la visita, accompagnato dal segretario dell'Ambasciata brasiliana in Italia, Hilton Catanzaro Guimaràes, l'esponente istituzionale, brasiliano ha recepito materiale genetico della signora Elena Gibertini, madre dello scomparso Libero Giancarlo Castiglia per le opportune prove di familiarità con la vittima;
   nel dicembre 2015 il presidente Dilma Rousseff presenta dopo quasi tre anni di lavori della Commissione della verità brasiliana, il dossier finale sui crimini della dittatura militare tra il 1964 e il 1985. Una relazione dettagliata che riassume il lavoro di ricostruzione dei fatti attraverso centinaia di testimonianze spontanee, interrogatori, indagini in archivi. In questo documento pubblico la morte di Castiglia viene indicata dapprima nella data del 25 dicembre 1973, poi in un giorno imprecisato del 1974, indicando espressamente che l'italiano si sarebbe salvato dalla strage di Natale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come, intenda agire di concerto con le autorità brasiliane per favorire il rientro delle spoglie di Libero Giancarlo Castiglia, alle quali la sua famiglia rimasta in Italia non ha mai rinunciato. (4-10289)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto di Greenpeace «Impronte nella neve», conseguente ad uno studio effettuato tra maggio e giugno 2015 in otto aree montane di tre diversi continenti – Italia, Patagonia cilena, Cina, Russia, Turchia e Paesi scandinavi – attraverso il prelievo di campioni di acqua e neve e la loro analisi in laboratorio, ha svelato la diffusione in ambienti remoti, e all'apparenza incontaminati, di composti poli e perfluorati (PFC), utilizzati in diversi processi industriali;
   i PFC a catena lunga, come l'acido perfluoroottanoico (PFOA) e il perfluorottano sulfonato (PFOS), sono utilizzati in grandi quantità nella produzione tessile. A causa della loro tossicità sono stati ritirati dalla produzione in diverse nazioni;
   le concentrazioni maggiori di questa sostanza sono state rintracciate a livello globale – secondo l'associazione ambientalista – nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche. Sono presenti concentrazioni significative anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero;
   il responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, ha chiarito che «Dei 17 composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben 4 hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni del lago di Pilato, tra cui il perfluorottano sulfonato già soggetto a restrizioni nell'ambito della Convenzione di Stoccolma»;
   nel rapporto viene illustrata la pericolosità della sostanza, spesso – ma non solo – utilizzata per la realizzazione di prodotti «outdoor», per le sue capacità impermeabilizzanti e antimacchia, che una volta rilasciati si degradano lentamente in natura, disperdendosi per tutto il globo;
   lo studio rivela come tali sostanze «possano essere rilasciate nell'ambiente durante le fasi di produzione, trasporto e stoccaggio ma anche dai prodotti finiti. Possono essere presenti sia negli scarichi industriali che in quelli domestici, e, inoltre, non tutti i PFC possono essere rimossi dalle acque di scarico tramite impianti di depurazione. Quando i prodotti contenenti PFC vengono smaltiti in discarica, tali sostanze possono poi contaminare le falde acquifere e le acque di superficie»;
   alcune sostanze presentano una estrema volatilità, al punto da riuscire a contaminare anche acque di laghi remoti e le nevi di aree montane, come ha dimostrato appunto lo studio effettuato;
   i ricercatori di Greenpeace ritengono, inoltre, che le sostanze citate siano in grado di accumularsi nei tessuti degli organismi viventi come il fegato degli orsi polari dell'Artico, ma anche il sangue umano. Gli effetti di tale sostanza sono in grado di generare effetti negativi sul sistema riproduttivo e ormonale, favorendo la crescita di cellule tumorali;
   alcuni rapporti dell'associazione ambientalista, realizzati negli ultimi anni, hanno riscontrato la presenza di PFC in diversi contesti, dagli scarichi delle fabbriche tessili in Cina, al pesce consumato nella stessa regione, sino all'acqua potabile destinata al consumo umano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dello studio citato e, in caso negativo, se non ritengano opportuno promuovete l'assunzione di dettagliate informazioni sui rischi connessi alla diffusione dei PFC;
   quali iniziative intendano adottare al fine di tutelare l'ambiente e la salute, per le aree di loro competenza;
   se non intendano valutare iniziative, anche di carattere normativo, per escludere il ricorso ai PFC dalle produzioni di tutti i beni di consumo in cui l'utilizzo di tali composti non sia necessario, e dove esistano alternative meno dannose.
(5-06319)


   GELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a fine agosto si è verificato uno sversamento di gasolio nel Fiume Morto all'interno del Parco di San Rossore;
   le guardie del servizio tutela e gestione ambientale della Tenuta di San Rossore e gli agenti del Corpo forestale dello Stato hanno infatti riscontrato una fortissima presenza di idrocarburi nelle acque del Fiume Morto all'altezza del Ponte della Sterpaia;
   il fiume scorre infatti all'interno del parco per circa 6 chilometri fino a raggiungere la foce, e su tutto questo tratto erano e sono ben visibili gli effetti dello sversamento;
   sono tuttora in corso controlli e analisi chimiche da parte degli enti preposti e purtroppo non è la prima volta che si registrano episodi del genere che rischiano di compromettere seriamente l'ecosistema del comprensorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di rafforzare la sicurezza ambientale del Parco ed evitare il ripetersi di tali episodi. (5-06322)


   VALIANTE e FIORONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991, dando attuazione agli articoli 9 e 32 della Costituzione, si sono dettati i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, sentita la regione si istituiscono e delimitano i parchi nazionali in via definitiva. La norma sopracitata, in particolare, all'articolo 9 attribuendo all'Ente Parco personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco e subordinandolo alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede quali sono gli organi necessari dello stesso un presidente, un consiglio direttivo, una giunta esecutiva, collegio del revisori del conti e la comunità del parco. Lo stesso articolo 9, inoltre, prevede che il consiglio direttivo debba essere composto da «esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità». All'articolo 24, si prevede che: «in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale preveda, con apposito statuto, una differenziata forma, organizzativa indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione ed i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunità del parco», La regione Campania, ad esempio, con la legge regionale n. 33 del 1993, istitutiva di parchi e riserve naturali, dettava i requisiti necessari per i soggetti che ambiscono a ricoprire la carica di presidente di parco; e, infatti, all'articolo 8 si prevede che il presidente dell'ente parco: «venga nominato dalla Giunta Regionale su proposta degli Assessori alle Foreste, alla Urbanistica e all'Ecologia, sentito il parere delle Commissioni Consiliari competenti ai sensi del legge n. 26 del 24 aprile 1980 e prescelto tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente e non ricoprano cariche elettive e/o amministrative negli Enti Locali, negli organi di gestione i Enti Regionali i nonché cariche elettive regionali, parlamentari ed europee». La giunta regionale dunque deve nominare il presidente in seguito ad una selezione accurata curriculare, basata sulle reali esperienze, assicurandosi che tali soggetti siano «persone distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente». Da tali esempi, che se anche riguardano i parchi regionali sono indicativi di un criterio e un indirizzo chiaro nella valutazione dei curricula e nelle procedure di nomina, è evidente ci si assicuri la scelta al vertice degli enti di soggetti preparati e portatori di una spiccata sensibilità alle tematiche della tutela dell'ambiente e del territorio. È condizione necessaria ma non sufficiente aver condotto studi in materie ambientali o l'aver soltanto intrapreso attività genericamente connesse all'ambiente. La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha affermato che il dato rilevante è l'aver svolto un impegno di durata, e rilevanza tale da assurgere ad «elevato elemento di distinzione e specifica qualificazione del soggetto interessato». L'organo di giustizia amministrativa pone l'accento sulla concretezza e sul rilievo dell'attività svolta. Ed in tal senso anche il Consiglio di Stato ha ribadito la ratio sottolineando la differenza che passa tra attività che possono considerarsi rilevanti e foriere di impegno effettivo da quelle che, al contrario, si configurano solo apparentemente come tali il Consiglio di Stato sentenza 4468/2007). Ne deriva che non il titolo di stridio né una generica attività inerente la tutela dell'ambiente sono elementi sufficienti a consentire ad un soggetto di ricoprire il vertice dell'organizzazione ente parco. Colui che intenda accedere alla carica deve aver svolto un impegno in materia non solo concreto ma anche di qualità superiore alla media. Esemplificativo appare il precedente costituito dalla sentenza 2803/2006 del TAR Campania in cui il giudice amministrativo non ha ritenuto sufficiente considerare come elemento distintivo il solo avere ricoperto la carica di assessore comunale all'ambiente, per essere la, stessa «un'esperienza professionale di politica amministrativa e non quindi indicativa di un particolare impegno nella salvaguardia, conservazione è valorizzazione del patrimonio pubblico». L'amministrazione, dunque, nello scegliere la personalità più indicata a ricoprire il ruolo del presidente dell'ente parco deve, anche nel rispetto delle norme e di una consolidata giurisprudenza, vagliare accuratamente gli studi e le esperienze di ciascun candidato considerandone la quantità e la qualità privilegiando colui il quale si è realmente distinto per un impegno attivo nella salvaguardia e nella tutela del territorio. Il recente decreto del Presidente della Repubblica 73/13, disciplina il futuro degli organi collegiali di tutti gli enti parco nazionali, compresi quelli ricadenti nelle regioni a statuto speciale, stabilendo che i componenti del consiglio direttivo dei parchi saranno in futuro costituiti da otto componenti individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità: quattro designati dalla comunità del parco, (dai comuni e altri enti locali), uno nominato, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, uno scelto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, uno indicato dalle associazioni ambientaliste riconosciute e infine, un membro scelto dall'Istituto superiore, per la protezione della ricerca ambientale (Ispra), chiarendo alcuni passaggi gestionali utili e snellendo procedure e incertezze del passato. Con la proposta di legge n. 1490/13 di iniziativa dell'interpellante, dell'onorevole Rughetti e dell'onorevole Rostan di riforma della legge, n. 394 del 1991, precedentemente richiamata, si intende rafforzare l'intento del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, prevedendo sfere di competenza chiare ed esplicite, soprattutto nel governo partecipativo e attivo del territorio, e rileggere in chiave moderna la politica delle aree protette alla luce dell'attuazione della Strategia nazionale della biodiversità. Si intende perseguire, infatti, una riduzione drastica di comitati nazionali e consulte, utilizzando le strutture ministeriali quali strumenti di raccordo interistituzionali (SCN e ISPRA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare); una concreta sburocratizzazione e semplificazione amministrativa eliminando l'attuale duplicazione di controllo ente parco e soprintendenza con la conseguente eliminazione delle competenza della soprintendenza nelle aree parco ad emettere parere preliminare vincolante sugli interventi e l'esclusiva, competenza dei parchi a rilasciare lo stesso nelle aree di loro pertinenza. L'articolo 142 del testo unico paesaggio, infatti, indica tra le aree tutelate per legge con vincolo paesaggistico i parchi e le riserve regionali: chi intende intervenire su tali beni necessità attualmente di tre autorizzazioni: autorizzazione paesaggistica (ex articolo 146 testo unico paesaggio), permesso di costruire (ex articolo 13 testo unico edilizio) e nullaosta del parco (ex articolo 13 legge n. 394 del 1991). La prima è emessa dallo sportello, unico edilizio del comune, previo parere della soprintendenza, il secondo dal detto sportello e il terzo dall'ente parco. Eliminare il parere preliminare vincolante sugli interventi emesso dalla soprintendenza, attualmente necessario per il rilascio di autorizzazione paesaggistica non è da intendersi come diminuzione di tutela e garanzia per l'integrità dei territori e delle aree esponendole a rischi di varia natura, è da intendersi invece come tentativo volte alla responsabilizzazione dell'ente parco nella gestione del suo territorio di pertinenza, di per se già vincolato, e alla velocizzazione e, miglioramento della procedura amministrative, stesso con un notevole risparmio di tempo e costi per i cittadini richiedenti. Quanto appena descritto risulta richiamato nella cosiddetta legge Madia n. 124 del 2015 sulla riforma delle amministrazioni pubbliche, che l'articolo 3 (Silenzio assenso tra amministrazioni), premettendo che l'acquisizione dei concerti, degli assensi e dei nulla osta per l'adozione di provvedimenti normativi o atti amministrativi si è rivelata procedura talvolta lunga vanificatrice dell'intervento del legislatore, al comma terzo detta la disciplina applicabile alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, prevedendo termini più lunghi ed estende il meccanismo del silenzio assenso che ai concerti per amministrazioni diverse a quelle statali. E ancora all'emendamento 13.0.1, che prevede l'inserimento di un articolo 13-bis rubricato «strumenti di tutela paesistica all'intero dei parchi» con il quale si prevede esplicitamente che la funzione verifica della conformità agli interessi paesaggistici degli interventi su immobili o aree vincolate i cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, venga attribuita all'ente parco, limitatamente al territorio di pertinenza amministrato comprensivo delle aree contigua, e che l'ente parco territorialmente competente esercita la funzione di autorizzazione in materiali di paesaggio ai sensi dell'articolo 146 comma 6 ex decreto legislativo n. 42 del 2004, provvedendo a rilasciare la stessa autorizzazione paesaggistica per l'intervento richiesto in conformità con le disposizioni di tutela vigenti, provvedendo alla trasmissione della medesima autorizzazione alla soprintendenza il ruolo della quale si vedrebbe interamente assorbito, nel parere dell'ente parco –:
   quale contributo concreto intenda dare il Ministro alla riforma richiamata, in particolar modo se sia favorevole o meno all'eliminazione della richiesta del parere preventivo conforme della soprintendenza nelle aree protette ritenendo sufficiente e efficace quello rilasciato dall'Autorità dell'ente parco e se, su eventuali procedure di nomina in atto di organi direttivi e presidenziali di Parchi nazionali, intenda adottare criteri che ottemperino a quanto disposto dall'attuale articolo 9, comma 4, della legge n. 394 del 1991, ai principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti all'articolo 9, comma 4 della legge n. 394 del 1991, ai principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti all'articolo 97 della nostra Carta costituzionale oltre che ai consolidati orientamenti giurisprudenziali delle magistrature amministrative. (5-06335)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del XV Municipio (ex XX) del Comune di Roma già dagli anni 60, nell'area denominata «Valle Muricana», in via di Valle Muricana, è stato dato corso ad una intensa lottizzazione che ha portato alla nascita di un quartiere densamente abitato in relazione al quale è stato approvato un Piano particolareggiato per adeguarlo agli standard urbanistici;
   all'interno dell'area urbanizzata sono presenti ben sette elettrodotti, tra cui uno dei più imponenti è denominato «Santa Lucia 2» che passa per le vie dell'area abitata, proprio tra le case dei residenti e, trattandosi di una linea a 220 KV, è sorretto da numerosi enormi tralicci alti decine di metri che sorgono a poca distanza dalle abitazioni;
   per il rispetto dell'ambiente e della salute dei cittadini, i tralicci a quanto risulta all'interrogante si sarebbero dovuti rimuovere e tutta la linea dei cavi dell'alta tensione si sarebbe dovuta interrare;
   invece tale misura non è stata attuata e, molti residenti hanno contratto patologie tumorali;
   risulta inoltre che il 29 novembre del 2007, Terna S.p.A., Acea Distribuzione S.p.A. e il Comune di Roma hanno firmato un Protocollo d'intesa per il riassetto della rete elettrica di trasmissione nazionale e di distribuzione dell'alta tensione sul territorio comunale, poi aggiornato il 20 maggio del 2010, nel quale si prevedeva di spostare la linea a 220 KV Santa Lucia 2 e demolire il tratto di elettrodotto nel territorio comunale;
   con nota Prot. 24438, l'Assessorato ai lavori pubblici, infrastrutture, manutenzione urbana, protezione civile e progetti speciali di Roma Capitale rispondeva alla richiesta della consigliera della Regione Lazio, On.le Valentina Corrado del MoVimento 5 Stelle, in merito all'attuazione di tale operazione sostenendo che il progetto d'interramento dei cavi dell'alta tensione dell'elettrodotto Santa Lucia 2 – denominato riassetto della rete elettrica ed area metropolitana di Roma quadrante nord-ovest – sarebbe in attesa di essere approvato dalla commissione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente;
   dalla documentazione pubblicata sul sito ufficiale di codesto Ministero nella sezione «Valutazioni Ambientali: VAS — VIA», il procedimento sembra essere fermo al 16 giugno 2014 con il termine presentazione osservazioni del Pubblico sul progetto ripubblicato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se la commissione per la valutazione di impatto ambientale di cui in premessa sia nelle condizioni di esprimere il proprio parere in merito all'accordo tra il Comune di Roma e la società Terna S.p.A. sul riassetto della rete elettrica di trasmissione nazionale e di distribuzione dell'Alta Tensione (AT) sul territorio comunale.
(4-10263)


   REALACCI, BORGHI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa e da numerosi articoli sui giornali nazionali e online, si apprende come la grande proliferazione di fauna selvatica, e in particolare di cinghiali, stia creando notevoli criticità alle colture agricole e, in qualche in caso, alcuni incidenti anche all'uomo;
   recentemente i rappresentanti delle associazioni agricole, Coldiretti, Cia e Confagricoltura hanno espresso il loro allarme per circa i danni causati dagli animali non domestici, in particolare da questa specie di ungulati. La questione infatti sta assumendo caratteristiche di emergenza nazionale;
   il cinghiale sia per le sue caratteristiche costitutive, arriva a pesare anche oltre 100 chilogrammi, che per le sue abitudini alimentari mette a serio rischio le colture agricole: infatti rispetto al totale dei danni all'agricoltura causati da fauna selvatica, la percentuale ascrivibile al cinghiale è preponderante anche perché risulta pressoché assente una specie animale antagonista;
   è opportuno altresì ricordare che circa un secolo fa i cinghiali si erano quasi estinti, ma poi furono reintrodotti in massa per favorire l'attività venatoria: in particolare negli Anni Sessanta con esemplari provenienti dai Carpazi più forti e prolifici, di maggiori dimensioni e conseguentemente con un impatto sull'ambiente più rilevante dei cinghiali nostrani. Attualmente, l'Ispra ha di recente stimato che possano aver superato il milione di esemplari, diffusi in tutte le venti regioni e nel 95 per cento delle province;
   nei Parchi Nazionali la gestione del cinghiale deve avvenire secondo le linee guida predisposte dall'Ispra per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che prevedono l'attuazione di misure ed interventi per il contenimento della specie;
   alcuni Parchi Nazionali già attuano con successo ed efficacia le suddette linee guida mentre altri, pur avendo a disposizione risorse, le hanno implementate in maniera parziale e insufficiente –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative anche normative finalizzate a dare piena attuazione alle linee guida predisposte dall'Ispra per la gestione dei cinghiali nei Parchi nazionali, valutando la sussistenza dei presupposti per nominare commissari governativi per i casi di inadempienza. (4-10286)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 27 agosto 2015 alcuni giovani turisti in visita alla Reggia di Caserta, Patrimonio dell'Unesco, sono entrati nella fontana di Diana e Atteone che è stata usata come piscina;
   in ragione di quanto dichiarato agli organi di informazione dalle guide turistiche, che hanno documentato fotograficamente l'accaduto, non si tratterebbe del primo episodio che vede dei giovani entrare nelle fontane dello storico Palazzo reale borbonico per trovare refrigerio, ma l'ultimo di una lunga serie;
   è piuttosto evidente che tali fenomeni accadano a causa della mancanza di controlli adeguati da parte del personale in servizio presso la Reggia;
   a giudizio dell'interrogante, è intollerabile che la Reggia o anche solo parte di essa sia lasciata incustodita, in particolare nei mesi estivi;
   in seguito all'accaduto, la soprintendenza ha deciso di chiudere il torrione superiore per evitare che altri turisti entrino ancora nelle fontane per fare il bagno;
   a giudizio dell'interrogante, tale decisione non va nella direzione auspicata di garantire tutti i percorsi di visita offerti da un sito che suscita l'attenzione di turisti da tutto il mondo, in particolare quello chiuso al pubblico che risulta essere uno dei più apprezzati e di particolare interesse;
   stando a quanto dichiarato agli organi di stampa da alcuni esponenti delle organizzazioni sindacali, sono solo sette i custodi che vengono assegnati alla sorveglianza del parco ad ogni turno di lavoro. Un numero che, a giudizio dell'interrogante, è del tutto insufficiente a garantire una sorveglianza adeguata a circa 120 ettari di terreno, considerato anche il significativo afflusso di turisti che si registra nel periodo estivo;
   sempre secondo quanto dichiarato dalle organizzazioni sindacali, nel periodo finale del mese di agosto risultano in servizio presso la Reggia solo cinquanta persone, poco meno del 40 per cento. Il 40 per cento del personale di vigilanza risulterebbe in ferie (circa 55 persone), 10 sarebbero «malati cronici», 12 sarebbero «esonerati». I restanti risulterebbero in permesso o malattia;
   a giudizio dell'interrogante, si tratta di una situazione inconcepibile che espone l'intera Reggia ai malintenzionati e a quei turisti che non portano rispetto per i beni storici e le opere d'arte –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare per garantire il controllo adeguato della Reggia di Caserta, dei parchi circostanti e delle opere in essi contenute; se non ritenga di dover disporre il potenziamento della dotazione organica in forza alla Reggia. (4-10272)


   SIMONETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   più di una volta la direttrice dell'Archivio di Stato di Biella ha segnalato al, dicastero in indirizzo i problemi connessi al mancato completamento dei depositi della sede del medesimo; malgrado ciò nessuna risorsa è stato ancora assegnata;
   il deposito sussidiario di via Triverio, oltre a problemi di sicurezza non è assolutamente idoneo alla conservazione di materiale archivistico e gli archivi lì sistemati, due terzi del totale tra cui tutto il materiale degli uffici periferici dello Stato, sono ormai al limite del deterioramento;
   secondo alcuni a fronte di 39.000 euro annui di affitto, ma poi ci sono le manutenzioni e le utenze, non varrebbe la pena di spenderne 700.000 per ultimare almeno un piano, cosa che permetterebbe di rilasciare la locazione passiva, e tanto meno il doppio per ultimare tutto;
   di contro c’è da chiedersi che senso abbia avuto, dal 1991(anno di inizio del cantiere) ad oggi, aver speso circa 2.500.000.000 di vecchie lire per la parte che stiamo utilizzando e, dopo anni di faticose richieste, aver realizzato con altri 1.200.000 euro la struttura in cemento armato di un bunker sotterraneo, per poi lasciare che tutto in abbandono, infatti se non verranno effettuate le opere di finitura e l'impiantistica, il bunker sarà allagato dalle piogge e dall'innalzamento della falda, ricettacolo di sporcizia, che già adesso ha cominciato a creare problemi al deposito ad esso adiacente;
   per evitare disservizi, attualmente il personale (cinque unità in totale), si reca una volta a settimana, con mezzo proprio e su base volontaria, presso il deposito sussidiario a prelevare i mazzi prenotati dall'utenza e a ricollocare quelli restituiti. Si tratta però di una situazione anomala, non tollerabile ancora per molto: il fatto che chi lavora nell'archivio di Biella, a tutti i livelli, ci creda veramente non giustifica i rischi –:
   quali siano le intenzioni del Ministro riguardo all'ultimazione della sede dell'Archivio di Stato di Biella, al fine di incominciare a programmare azioni di salvaguardia del patrimonio, ora collocato nel deposito sussidiario, considerato che la tutela della memoria storica di un territorio riguarda tutta la comunità e le istituzioni ad essa preposte se ne debbono fare carico. (4-10277)


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Pescara i collezionisti Di Persio e Pallotta intendono realizzare un museo con le circa 200 importanti opere reperite in tutto il mondo per consentirne una fruizione collettiva e lasciare alla comunità abruzzese e nazionale una formidabile struttura culturale;
   attualmente dieci di queste opere rappresentano l'Abruzzo nella mostra «Il tesoro d'Italia» curata da Vittorio Sgarbi a EXPÒ 2015 a Milano, a testimonianza del valore artistico nazionale e internazionale della suddetta collezione privata;
   la collezione raccoglie fondamentali dipinti della pittura meridionale dell'Ottocento e del primo Novecento ed è riconosciuta come una delle più importanti raccolte private del nostro Paese;
   i proprietari di questa collezione vogliono realizzare a loro spese il museo e hanno acquistato il palazzo ormai fatiscente che ospitava la ex Banca d'Italia a Pescara in Viale Gabriele D'Annunzio per ristrutturarlo secondo le normative urbanistiche in vigore;
   le istituzioni locali, a partire dal comune di Pescara, plaudono alla iniziativa per gli evidenti riflessi culturali ed anche economici e turistici;
   ma da anni la soprintendenza per i beni storici e architettonici della regione Abruzzo frappone ostacoli incredibili opponendo il suo diniego alla ristrutturazione di un Palazzo rispetto ad un elemento del tutto secondario (il cavedio che insiste all'interno di questo Palazzo di stile eclettico, costruito nel 1925, di ignoto progettista, sinora adibito ad uso bancario, per ultima la Cassa di Risparmio). All'esterno il progetto di ristrutturazione non prevede nessuna modifica. La guerra giudiziaria che si è aperta ha determinato sinora il blocco del progetto del nuovo museo con vivo disappunto della comunità e delle istituzioni pescaresi e abruzzesi (il TAR ha dato ragione ai collezionisti mentre il Consiglio di Stato ha accolto la posizione della Soprintendenza che sostiene che il cavedio è un corte interna e dunque non può essere rimosso, impedendo: così la realizzazione dello spazio museale);
   sarebbe razionale che la soprintendenza attraverso uno studio accurato potesse riconsiderare il suo parere attivando una misura di autotutela circa la valutazione tecnica data sul presunto valore del «cavedio» interno –:
   quali siano le ragioni di questa posizione della soprintendenza che appare irragionevole e immotivata, sul piano storico e tecnico;
   se non si intenda riconsiderare la vicenda favorendo e non ostacolando la nascita di un nuovo museo nella città di Pescara di sicura valenza nazionale senza alcun costo per la finanza pubblica;
   perché un ufficio regionale del Ministero dei beni ed attività culturali assuma scelte così disinvolte assumendosi nei fatti la responsabilità di non volere istituire un nuovo museo a Pescara. (4-10285)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Poligono di S'Ena Ruggia, è situato nel territorio comunale di Macomer (NU) in Sardegna, ed ospita il 5o Reggimento del Genio Guastatori della Brigata Sassari di stanza dal 2013, appartenente all'Esercito italiano (EI);
   si tratta di un Poligono classificato come «occasionale» e non «permanente», che occupa una vasta porzione di terra che si trova a ridosso del sito archeologico di Tamuli, e comprende i nuraghi Fiorosu, Sa Pattada e Tamuli e diversi allevamenti;
   tale Poligono, viene reso operativo in occasione delle esercitazioni, attraverso lo sgombero con «procedura d'urgenza» (ordinanza del Reggimento) e utilizzato dai reparti della Brigata per i periodi previsti dagli Atti;
   il 4 settembre 2015, sono stati rinvenuti nei territori circostanti il Poligono occasionale, numerosi ordigni e rifiuti militari, in una scarpata sotto la via sterrata che, chiusa da un cancello col lucchetto facilmente raggiungibile a piedi da altri ingressi, conduce al luogo delle esercitazioni armate della Brigata Sassari, arrivando dalla strada comunale che collega Macomer a Tamuli e al Monte di Sant'Antonio;
   tra gli arbusti, sono state rinvenute centinaia di bombe a mano, esplose e nascoste in un fossato, fra le quali le più riconoscibili corrispondono al modello S.R.C.M. Mod. 35, mentre altre sembrano più simili alle granate OD 82/SE, ordigni in dotazione all'Esercito italiano;
   tra i rifiuti anche i fili metallici, probabilmente quelli presenti all'interno delle S.R.C.M., contenitori e oggetti in metallo arrugginiti, e altro materiale reso indistinguibile dall'usura e dalle alte temperature a cui evidentemente è stato sottoposto. Gli stessi oggetti si trovano, inoltre, sparsi per tutto il terreno vicino al fossato in un raggio di almeno 100 metri;
   la S.R.C.M Mod. 35 è un modello di bomba a mano di origine italiana, attualmente in dotazione dell'Esercito italiano, entrata in servizio nel 1935, utilizzata durante il secondo conflitto mondiale: è una bomba di tipo offensivo, disperde schegge leggere, letali in un raggio inferiore rispetto alla distanza massima alla quale viene lanciata;
   la stessa, è composta da un corpo bomba in tritolo per 43 grammi e da binitro-naftalina che al momento dell'esplosione frammentano in schegge un filo metallico avvolto internamente;
   la OD 82/SE, sempre in dotazione all'Esercito italiano, è una bomba a mano di origine italiana a frazionamento controllato, in produzione dal 1982, a tempo a ritardo pirico;
   tali ordigni sono stati rinvenuti in territori circostanti il Poligono occasionale, andando a formare una vera e propria discarica a cielo aperto di rifiuti bellici e da esercitazione militare;
   non risulta autorizzata, in quei territori, alcuna discarica di rifiuti militari;
   tale episodio appare gravissimo, ennesimo atto di prepotenza delle forze armate nei confronti della terra che occupano a fini addestrativi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'episodio esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno fornire dettagliate spiegazioni e quali atti intenda porre in essere a seguito del ritrovamento di tale discarica, con la presenza di ordigni appartenenti all'Esercito italiano nelle campagne di Macomer;
   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, di avviare accurata analisi ambientale sul territorio sopra descritto e sui materiali rinvenuti; (5-06334)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi numerosi lavoratori civili dell'aeroporto militare di Decimomannu hanno duramente protestato perché privati del loro stipendio, chiedono il ripristino della dignità di uomini e di lavoratori;
   gli addetti ai servizi interni affidati all'esterno si sono concentrati per giorni davanti ai cancelli dell'aeroporto militare di Decimomannu per protestare per l'insostenibile situazione;
   quaranta lavoratori che hanno deciso di protestare perché non percepiscono stipendi da mesi;
   la stessa società che gestisce il servizio la Pulservice srl, continua a non versare gli stipendi ai dipendenti;
   la stessa contabilizzazione delle buste paga fa rilevare numerose incongruenze, in quanto mancano le retribuzioni di numerose ore di lavoro che risultano non conteggiate;
   a molti lavoratori sarebbero stati tolti anche gli assegni familiari;
   l'atteggiamento messo in campo dalla struttura militare appare gravissimo proprio perché non tiene conto che si tratta di lavoratori con pari dignità e che vengono trattati senza alcun rispetto dei diritti;
   la richiesta dei lavoratori riguarda del resto un diritto e il riconoscimento del lavoro svolto;
   il Ministero della difesa continua a mettere in atto atteggiamenti ricattatori che finiscono per danneggiare lavoratori con famiglie monoreddito che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese;
   non pensi lo Stato di utilizzare questi lavoratori come arma di ricatto e condizionamento nei confronti della ridefinizione della presenza militare in Sardegna;
   è fin troppo evidente che la riconversione duale e finalizzata alla sicurezza e protezione civile della base di Decimomannu deve non solo garantire gli organici ma anzi incrementarli;
   è grave che non sia stata messo a punto un piano di riconversione funzionale non solo alla protezione civile dell'intero mediterraneo, a partire dall'utilizzo dei canadair –:
   se non intenda il Ministro interrogato intervenire con somma urgenza per l'immediato pagamento delle competenze dei lavoratori e il riconoscimento degli arretrati di ogni natura dovuti;
   se non intenda dare garanzie lavorative ai lavoratori civili impegnati nei servizi interni della base;
   se non intenda avviare un piano serio e credibile di riconversione della base stessa in chiave di protezione e sicurezza civile al fine di garantire e incrementare il livello occupazionale già esistente.
(4-10287)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la lotta all'evasione fiscale, male storico del nostro paese, deve rappresentare una costante priorità dell'azione del Governo e delle Agenzie fiscali, se non altro per perseguire evidenti ragioni di eguaglianza sostanziale tra i cittadini, in attuazione del principio costituzionale, esempio di civiltà sociale ed economica, sancito dall'articolo 53 della Carta fondamentale, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva;
   per contrastare l'evasione fiscale occorre avere un'organizzazione amministrativa efficiente e competente, dove, al di là degli strumenti tecnici e informatici, siano correttamente valorizzate le persone e le relative professionalità, nel rispetto dei principi consacrati nell'articolo 97 della Costituzione, tra i quali vanno sottolineati quelli concernenti il buon andamento dell'amministrazione e il pubblico concorso;
   le Agenzie fiscali e, in particolare, l'Agenzia delle entrate hanno, quindi, l'onere e l'obbligo, per perseguire efficacemente i propri fini istituzionali, di prestare la massima cura nella valorizzazione delle professionalità del proprio personale dipendente, in modo rispettoso delle procedure concorsuali, riconoscendo ai vincitori delle relative selezioni, soprattutto quando basate su titoli ed esami, il corretto inquadramento lavorativo, con l'effetto di stimolare l'ulteriore accrescimento professionale dei dipendenti e ottenere, così, un potenziale sensibile miglioramento delle performance volte ad ottenere una maggiore fedeltà fiscale dei contribuenti;
   nel tratteggiato ideale contesto organizzativo, riguardo alle politiche del personale assume, dunque, anche autonomo e apprezzabile valore l'instaurazione e il mantenimento di un sereno clima lavorativo, fondato sulla correttezza e legittimità dei bandi di concorso, per titoli ed esami, pubblicati e le cui prove abbiano visto la proclamazione dei vincitori con il conseguente inquadramento professionale;
   nello specifico, al di là della nota vicenda dei dirigenti nominati in violazione dei principi costituzionali di buon andamento e di accesso per concorso pubblico recati dal citato articolo 97, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 2015, l'Agenzia delle entrate risulta investita da un'altra vicenda, sostanzialmente negletta dai mezzi di comunicazione, salvo alcuni accenni ripresi da «Il Sole 24 ore» (edizioni del 24 e del 25 luglio 2015) e dai sindacati (principalmente, l'USB sul proprio sito http://agenziefiscali.usb.it), che riguarda la propria organizzazione interna; si tratta dell'adozione, a seguito di alcune recenti sentenze TAR, di un'azione volta alla «retrocessione» di oltre 700 dipendenti, dalla qualifica di funzionario-Terza Area a quella di impiegato-Seconda Area, vincitori a suo tempo di bando di concorso interno per titoli ed esami;
   i predetti dipendenti dell'Agenzia delle entrate sarebbero stati colpiti dalla «retrocessione» sancita indirettamente dal giudice amministrativo a causa di un vizio nel bando di concorso originario, il quale, in applicazione del contratto integrativo sottoscritto nel 2000 inerente al personale dell'allora Ministero dell'economia e delle finanze, aveva previsto, tra gli altri, una selezione per titoli ed esame per il passaggio dalle posizioni B1, B2, B3 e B3 Super dell'area B (oggi seconda area) alla posizione C1 dell'area C (oggi terza area F1);
   detto bando di concorso, articolato su base regionale, prevedeva un percorso formativo di qualificazione e aggiornamento professionale, sulla base di una graduatoria preliminare per titoli, dove il peso assolutamente determinante era costituito dall'anzianità di servizio, con l'effetto pratico di escludere ab initio l'accesso ai dipendenti B3 e B3 Super (tutti assunti in virtù di concorso pubblico per esami e, per lo più, laureati), collocati in posizione apicale dell'Area B corrispondente alla vecchia carriera di concetto, ma con minore anzianità di servizio rispetto ai colleghi inquadrati nelle posizioni B1 e B2, riconducibili alla vecchia carriera esecutiva;
   la Corte Costituzionale (sentenze n. 1 del 1999 e n. 194 del 2002) si era espressa per ritenere in contrasto con il principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa, sancito dall'articolo 97 della Costituzione, tanto il cosiddetto «doppio salto» di posizione quanto l'attribuzione di un peso eccessivo all'anzianità di servizio; cosicché, per evitare che il bando fosse invalidato, sulla base di un accordo sindacale del 2003, i dipendenti B3 e B3 Super sono stati ammessi a partecipare in soprannumero al percorso formativo e al conseguente esame finale, in quanto inquadrati nel livello immediatamente inferiore a quello messo a bando, cosa che peraltro era stata prevista per il coevo concorso da C1 e C2 a C3;
   molti dipendenti B3 e B3 Super risultavano vincitori del concorso e sottoscrivevano a far data dal 1o febbraio 2007 un nuovo contratto individuale di lavoro; tuttavia, il risultato raggiunto tramite un accordo sindacale non si era tradotto in una modifica del bando, per cui i candidati risultati idonei impugnavano la graduatoria invocando il valore di lex specialis del bando stesso, a prescindere dagli orientamenti della Corte Costituzionale, e l'inefficacia degli accordi sindacali del 2003; dopo anni, il giudice amministrativo (TAR Lazio sentenza n. 9352 del 2013 e sentenza n. 3007 del 2015) accedeva alle tesi dei ricorrenti, escludendo ab origine dalla selezione concorsuale i dipendenti B3 e B3 Super;
   gli atti di «retrocessione», adottati con una semplice comunicazione agli interessati, sono diramati dalle varie direzioni regionali, con date di decorrenza diverse in base ai contenziosi regionali instauratisi, e riguardano circa 700 funzionari, per cui, ad esempio, i 53 «retrocessi» per il Lazio sono stati tutti declassati a far data dal 25 marzo 2015, a prescindere pure dalla data di ricezione della menzionata comunicazione, mentre risulta che simili comunicazioni sono prossime ad essere inviate relativamente alle regioni Campania, Sicilia, Emilia Romagna e Veneto;
   l'Agenzia delle entrate, in data 8 aprile 2015, ha sottoscritto con tutte le organizzazioni sindacali (FP-CGIL, CISL-FP, UIL-PA, CONFSAL/SALFI, USB-PI/RDB-PI, FLP) un verbale d'intesa riguardante «Ipotesi di interpretazione autentica dell'articolo 102, comma 3 del CCNL del Comparto agenzie fiscali 2002-2005», per tentare di risolvere la vicenda, ma, a quanto consta, il Dipartimento della funzione pubblica non avrebbe dato parere positivo, per cui siffatta soluzione è di fatto bloccata;
   la situazione creatasi, in disparte da considerazioni su ulteriori verosimili contenziosi i cui effetti non sono prevedibili, appare molto grave almeno sotto due profili: in relazione alle persone direttamente colpite dalla «retrocessione», dopo ben oltre otto anni di svolgimento dell'attività di funzionario, talora con il conseguimento di ulteriori progressioni, atteso che la qualifica è stata conseguita in base a superamento di procedura concorsuale; in ordine al generale clima di potenziale incertezza ingenerato in tutto il personale dell'Agenzia delle entrate, atteso che l'essere vincitore di concorso, la stipula del relativo contratto individuale di lavoro e lo svolgimento delle pertinenti funzioni non danno garanzia sufficiente, neppure a distanza di molti anni, della professionalità acquisita, anzi, all'opposto, si traducono in una penalizzazione professionale per l'aver perso la possibilità, negli anni trascorsi, di partecipare ad altre procedure concorsuali per la terza area;
   l'intera vicenda, oltre ad apparire surreale quanto alla gestione delle risorse umane, rischia in concreto di intaccare ulteriormente l'efficacia dell'azione di controllo svolta dall'Agenzia delle entrate in merito all'adempimento da parte dei contribuenti degli obblighi tributari, non potendo più, tra l'altro, i dipendenti «retrocessi» essere destinatari di provvedimenti di delega per la sottoscrizione di atti aventi efficacia esterna, con il consequenziale effetto di una riduzione degli atti di accertamento diretti al recupero di tributi e di base imponibile –:
   quali iniziative intenda adottare per porre rimedio al problema delineato, in modo da salvaguardare tanto la professionalità dei dipendenti coinvolti, non penalizzandone ingiustamente la posizione economica e giuridica, quanto l'operatività dell'Agenzia delle entrate, affinché possa continuare ad avvalersi legittimamente e stabilmente dell'operato di tali funzionari per la lotta all'evasione fiscale. (5-06330)


   RIBAUDO e BERRETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015 all'articolo 1, comma 665, ha previsto che i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall'articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, hanno diritto al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l'istanza di rimborso ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni (cioè entro il 31 marzo 2010);
   la suddetta norma non specifica le modalità di rimborso spettanti ai soggetti che, pur avendo presentato nei termini previsti dalla legge, l'istanza di rimborso delle maggiori imposte a suo tempo versate, abbiano nel silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria, promosso ricorso al giudice tributario al fine di vedere riconosciuti i propri diritti;
   attualmente, l'Agenzia delle entrate:
    non sta procedendo all'erogazione di alcun rimborso nei confronti degli aventi diritto;
    non desiste neppure dai giudizi pendenti proponendo, altresì, nei casi di soccombenza, impugnazione avverso le sentenze che riconoscono la spettanza dei rimborsi –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato affinché si proceda ai suddetti rimborsi;
   se non si ritenga opportuno, al fine di raffreddare il contenzioso ed agevolare i rimborsi, emanare appositi atti amministrativi o specifiche circolari attuative della norma in questione. (5-06331)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 settembre 2015 il quotidiano Il Sole 24 Ore riportava un articolo relativo allo stato di attuazione della procedura di collaborazione volontaria di rientro dei capitali denominata Voluntary Disclosure; in tale articolo si affermava che soltanto una percentuale pari al 10 per cento delle domande attualmente gestite da professionisti ed operatori del settore sarebbe stata inoltrata all'Agenzia delle entrate;
   lo stesso articolo, oltre a riportare che ammonterebbero a 15.000 le richieste già ricevute dalla stessa Agenzia, ipotizza, inoltre, un interesse crescente nei confronti della procedura che stante l'imminente scadenza stabilita per le violazioni sanabili dalla legge n. 186 del 2014, che il 30 settembre 2015, potrebbe comportare, nelle prossime tre settimane ancora a disposizione dei contribuenti interessati, un'impennata di adesioni;
   si legge inoltre nell'articolo che i professionisti interpellati lamenterebbero perduranti problemi legati all'interpretazione della norma, che, uniti alla mole delle pratiche in lavorazione, renderebbero difficoltoso il rispetto del suddetto termine;
   nei mesi scorsi, peraltro, si sono rincorse voci e dichiarazioni, tutte attribuite ad esponenti della maggioranza e del Governo, tese ad accreditare il ricorso ad una proroga dei termini di adesione alla suddetta procedura, che possono aver contribuito a frenare tutti quei contribuenti interessati soprattutto ad un eventuale prolungamento di termini che superi il 31 dicembre 2015 che, anche alla luce delle previsioni contenute nello schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto in tema di raddoppio dei termini di decadenza dell'accertamento (Atto del Governo n. 163) e sul quale il parlamento si è recentemente espresso favorevolmente, muterebbe la condizione di parte dei capitali coinvolti relativamente ai termini di accertamento;
   con riferimento a quanto premesso, quale sia alla data odierna l'esatto numero delle richieste di adesione inoltrate all'Agenzia delle Entrate e se rispondono al vero le voci sulle intenzioni del Governo di prorogare ulteriormente i termini di adesione alla cosiddetta Voluntary Disclosure. (5-06332)


   RUOCCO, PESCO, VILLAROSA, PISANO, ALBERTI e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina generale in materia di anatocismo è prevista dall'articolo 1283 del codice civile, il quale prevede che, fatta eccezione di espliciti divieti di carattere normativo, gli interessi possano produrre interessi solo in seguito a domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e per interessi relativi ad almeno 3 mesi;
   il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, modificando l'articolo 120 del Testo unico bancario (TUB) di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, ha attribuito al CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) il compito di regolare le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria: In attuazione della richiamata disposizione il CICR ha provveduto a disciplinare la materia con la deliberazione del 9 febbraio 2000 con la quale ha disposto, seppur entro certi limiti, delle deroghe alla disciplina generale in materia di anatocismo indicata dal richiamato articolo 1283 del codice civile;
   la legge di stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), ha novellato il dispositivo dell'articolo 120 del TUB, disponendo che il CICR debba stabilire le modalità ed i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria assicurando nelle operazioni in conto corrente che sia garantita nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori ed escludendo che gli interessi periodicamente capitalizzati possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, siano calcolati esclusivamente sulla sorte capitale;
   con l'intervento normativo della legge di stabilità per il 2014 si è voluto stabilire l'illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati gli «interessi composti», prassi quest'ultima che entra in conflitto con i principi fissati dal richiamato articolo 1283 del codice civile; nonostante le numerose pronunce dei giudici di merito, che condannano la prassi bancaria sulla base della normativa vigente in materia di anatocismo, gli istituti di credito hanno continuato a calcolare gli interessi composti non solo su base trimestrale ma anche su base annuale;
   la Banca d'Italia d'intesa con la Consob ha formulato al CICR una proposta di delibera per dare attuazione alla nuova formulazione dell'articolo 120 del TUB: a un'attenta disamina della medesima proposta, così come rilevato da fonti stampa e da numerose associazioni di consumatori, si evincerebbe un ripristino dell'ammissibilità dell'applicazione degli «interessi composti», seppur entro certi limiti; infatti per i rapporti regolati in conto corrente, conto di pagamento e per i finanziamenti a valere su carte di credito viene stabilito che gli interessi sono contabilizzati su base almeno annuale e che gli interessi maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale ed il saldo periodico della sorte capitale produce interessi a condizione siano decorsi 60 giorni dal ricevimento da parte del cliente dell'estratto conto; altresì, decorso tale termine il cliente può autorizzare l'addebito degli interessi sul conto o sulla carta, e in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale;
   l'obiettivo della novella dell'articolo 120 del TUB predisposta dalla legge di stabilità 2014, così come ribadito dalla stessa Banca d'Italia nel documento per la consultazione allegato alla proposta di delibera al CICR, era stabilire «l'improduttività degli interessi composti» e «mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore»;
   le disposizioni della proposta di delibera al CICR piuttosto che esprimere una compiuta disciplina sul divieto di anatocismo – così come previsto espressamente dall'articolo 1283 del codice civile e dall'articolo 120 del TUB – sembrano «legittimare sul piano legale» la prassi – ad oggi contra legem – posta in essere dagli istituti di credito;
   le deroghe all'articolo 120 del TUB introdotte nella proposta di delibera al CICR non sono legittime sul piano della gerarchia delle fonti dell'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana –:
   quali misure intenda assumere al fine di evitare che le disposizioni dell'articolo 120 del TUB siano eluse o derogate illegittimamente e se reputi idoneo, nei limiti delle proprie competenze, proporre al CICR una modifica della proposta di delibera di cui in premessa o assumere ogni altra iniziativa al fine di disporre definitivamente il divieto di anatocismo in ogni sua forma, contabilizzazione ed applicazione in conformità alle disposizioni dell'articolo 120 TUB e dell'articolo 1283 del codice civile. (5-06333)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio e il 27 luglio 2015 l'interrogante ha effettuato visite ispettive nelle strutture: «Torino Casa circondariale (Lorusso e Cotugno)», «Istituto Penale per i Minorenni di TORINO Ferrante Aporti», «Alessandria – Casa di reclusione (San Michele)» e «Asti – Casa di reclusione»;
   l'Organizzazione sindacale autonoma penitenziaria (OSAPP) in data 16 giugno 2015 ha inviato una lettera pubblica di denuncia, avente ad oggetto la «gravissima carenza di organico del personale di Polizia penitenziaria in servizio presso l'Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti di Torino – Costanti disagi e disfunzioni», indirizzata anche ai gruppi parlamentari e visionabile integralmente al link http://www.osapp.it;
   come sopra detto, in data 24 luglio 2015 l'interrogante si è recata presso l'Istituto penale per minorenni (IPM) «Ferrante Aporti» e costatava l'effettiva scarsità di personale dovuta alla conformazione della struttura, al recente aumento della popolazione carceraria che ha portato a far coesistere i detenuti minori con detenuti maggiorenni fino a 25 anni, e ad una assenza di una funzione di comando fissa;
   da dicembre 2014 presso il citato IPM è assente il comandante titolare di riferimento;
   il  personale assegnato all'IPM è pari a 42 unità ed è così composto: 9 donne e 20 uomini, di cui 1 unità a disposizione della Commissione medica ospedaliera, che svolgono servizio a h 24 e sette giorni su sette, 3 unità occupate nel servizio matricola e conti correnti, 1 unità impiegata presso l'ufficio servizi, 1 unità comando a disposizione della Commissione medica ospedaliera, l'addetto M.O.F., 1 unità condivisa con il Centro giustizia minorile di Torino per attività di ragioneria, 1 sovrintendente donna anche con funzione di tutor per il VGM, 1 ispettore a disposizione della Commissione medica ospedaliera, 1 vice-ispettore assente ai sensi dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 151 del 2001, 1 ispettore capo, 1 vice-ispettore, 1 comandante di reparto a disposizione della Commissione medica ospedaliera;
   il  personale femminile è impiegato nei servizi «addetto portineria»  e «addetto sala regia», per «traduzioni e accompagnamenti» unitamente al personale maschile, ed è utilizzato a supporto, quindi mai da solo, del personale maschile nella vigilanza alle attività. Si specifica inoltre che il personale femminile non può mai essere utilizzato nella vigilanza delle sezioni detentive ove pernottano i detenuti maschi;
   i detenuti sono 32 di cui solo 11 hanno età inferiore a 18 anni, e tra i restanti maggiorenni vi sono 4 padri;
   la direzione dell'IPM, viste le chiare diversità psicofisiche tra un minore ed un adulto, ha dovuto diversificare le attività di rieducazione interne in base all'età dei soggetti coinvolti, scelta che l'interrogante ritiene giusta e che ha peggiorato ancor di più la gravissima situazione di carenza di personale;
   nonostante la grave carenza di organico dell'IPM di Torino, l'amministrazione centrale della giustizia minorile, nelle figure del DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria), dal DGM (dipartimento giustizia minorile) e dal CGM (centro giustizia minorile di Torino), ha ulteriormente aggravato la situazione distaccando personale verso il Centro di prima accoglienza (CPA) di Genova e verso il Centro di prima accoglienza di Torino, nelle immediate adiacenze dell'IPM di Torino, dove attualmente si continuano a mantenere in forza 9 (nove) unità di polizia penitenziaria in via permanente;
   dal 1o gennaio 2015 al 30 aprile 2015, solo 27 minori hanno fatto ingresso nel Centro di prima accoglienza di Torino;
   con nota del 2 maggio 2015, prot. 3583, del Centro giustizia minorile Torino a firma del dirigente dottor Antonio Pappalardo, si disponeva con esatto ed immediato adempimento visto il sovraffollamento dell'IPM di Torino e l'insufficienza di personale che i direttori del CPA e dell'IPM si dovessero accordare affinché il CPA potesse assicurare, in caso di assenza di minori, il necessario supporto all'adiacente servizio minorile;
   la disposizione di cui sopra è stata causa dell'ordine di servizio n. 11 del 4 maggio 2015, emanato dalla direzione dell'IPM di Torino, successivamente annullato dalla nota del 5 maggio 2015, prot. 3700, recante inoltre chiarimenti sulle note prot. 3497 del 29 aprile 2015 e prot. 3583 del 2 maggio 20015 del Centro giustizia minorile Torino;
   nella nota del 17 giugno 2015 prot. 5222 del Centro giustizia minorile Torino, a firma del dottor Antonio Pappalardo si cita il tavolo sindacale del 29 aprile in cui si evince che siano state eccepite delle irregolarità nella gestione del monte straordinari che, da segnalazioni sindacali, constavano in un invito a rivedere il modello organizzativo del Centro di prima accoglienza di Torino avendo esso portato a generare un totale di 112 ore di straordinario effettuate a pagamento per il periodo che va dal 1o gennaio al 29 aprile 2015, ore che in base all'accordo vigente, firmato tra organizzazioni sindacali 3 Centro giustizia minorile Torino nella figura di Antonio Pappalardo, non avrebbero dovuto esserci;
   l'IPM di Torino è un istituto che «regge» il suo imponente peso sulle spalle di un esiguo numero unità di polizia penitenziaria ormai allo stremo, costrette a svolgere turni di servizio che possono superare anche le 10/13 ore consecutive in un giorno; infatti le organizzazioni sindacali segnalano che di frequente gli agenti di polizia penitenziaria dell'IPM di Torino i quali svolgono il turno dalle ore 7 alle ore 15, per grave carenza di personale, debbano protrarre il turno fino alle ore 18, al fine di assicurare il necessario servizio di vigilanza all'interno dell'istituto stesso e riprendere servizio alle ore 23 smontando alle ore 7 del giorno successivo, il tutto a giudizio dell'interrogante in grave violazione del CCNL di riferimento;
   da segnalazioni sindacali risulterebbe che, in data 29 luglio 2015, 8 unità del personale di polizia penitenziaria dell'IPM di Torino, debbano ancora godere ferie arretrate per l'anno 2013;
   da segnalazioni sindacali risulterebbe, data la grave carenza di personale, l'impossibilità da parte del personale di polizia penitenziaria dell'IPM di Torino di godere del previsto riposo settimanale che in alcuni casi porterebbe a svolgere servizio continuativo per 30 giorni consecutivi;
   in un comunicato stampa del 3 agosto 2015 a firma del Dirigente del CGM dottor Antonio Pappalardo si dichiara che «è falso» che vi siano «ferie non usufruite dal 2013»;
   l'interrogante ritiene i succitati turni, la mancata fruizione delle ferie arretrate e il mancato godimento dei riposi settimanali, possibile causa delle frequenti malattie di servizio che colpiscono quotidianamente il personale dell'IPM in questione, come si evince dal prospetto malattie di giugno 2015 e luglio 2015 ove si riportano assenze quotidiane che vanno da un minimo di 4 a massimo di 10 unità per il periodo preso in considerazione;
   l'interrogante durante l'ispezione all'IPM di Torino ha riscontrato problematiche dovute alla struttura, alla popolazione carceraria, alla carenza di personale, alla carenza di figure di comando, alla carenza di adeguato supporto psicologico e formativo da parte dell'amministrazione centrale a tutto il personale in servizio, e quindi lo considera quale caso esemplare dello stato di salute del sistema carcerario piemontese e italiano nel suo complesso;
   l'interrogante ritiene che, in seguito alle dichiarazioni del personale intervistato al momento delle visite ispettive e dallo stesso OSAPP, sia doveroso predisporre una razionalizzazione e ottimizzazione dell'impiego del personale assegnato alle strutture, arrivando anche a rendere a chiamata i centri di prima accoglienza, valutare un piano di assunzioni mirate e possibilmente vincolate al territorio, in modo sia da evitare presenze estemporanee, le cosiddette «meteore», che restano nelle strutture giusto il tempo necessario per poi essere trasferite vicino casa, sia per sopperire alla mancanza di figure chiave nella linea di comando ed infine prevedere una formazione costante ed un affiancamento psicologico effettivo al personale –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere al fine di dare soluzione ai problemi esposti;
   quando i Ministri interrogati intendano adottare le necessarie e urgenti disposizioni utili al superamento della situazione descritta, eventualmente recependo le soluzioni prospettate al fine di dare soluzione alla problematica;
   se i Ministri ritengano adeguata, vista la gravità dei problemi descritti in premessa, la dotazione di personale di polizia penitenziaria dell'IPM di Torino e se non intendano integrarla conseguentemente;
   se i Ministri non intendano procedere ad un'ispezione al Centro giustizia minorile di Torino al fine di verificare:
    a) l'effettiva congruità del monte ore di straordinario effettuate a pagamento presso il CPA di Torino anche in assenza di minori;
    b) l'effettiva esistenza di ferie non usufruite dal 2013 da parte del personale di polizia penitenziaria dell'IPM di Torino;
    c) se l'effettiva causa delle malattie di servizio sia imputabile anche alla grave carenza di personale descritta in premessa;
    d) l'effettiva necessità dell'Istituto penale per minorenni di Torino di usufruire in caso di assenza di minori del personale dell'adiacente Centro di prima accoglienza al fine di garantire il necessario servizio di sorveglianza, adoperandosi per giungere ad una riformulazione congrua dell'ordine di servizio n. 11 del 4 maggio 2015 dell'Istituto penale per minorenni di Torino;
    e) l'effettiva necessità di distaccare personale dall'Istituto penale per minorenni di Torino in altre strutture, vista la gravissima carenza di personale evidenziata in premessa;
    f) l'effettiva esistenza di corsi di formazione e supporto professionale in tutti i casi di cambio della popolazione carceraria. (5-06329)


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Luigi Chiatti ha finito di scontare la sua pena e ha lasciato il 4 settembre 2015 il carcere di Prato per essere trasferito in Sardegna, nella Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) di Capoterra;
   il cosiddetto «mostro di Foligno» ha scontato la condanna a 30 anni per gli omicidi, avvenuti tra l'ottobre del 1992 e l'agosto del 1993, dei bambini Simone Allegretti (4 anni) e Lorenzo Paolucci (13 anni);
   è stato riconosciuto semiinfermo di mente;
   Chiatti è stato dichiarato, anche con recenti pronunce del tribunale di sorveglianza di Firenze, ancora pericoloso socialmente;
   Chiatti giunta in Sardegna trascorrerà i prossimi tre anni nella Rems inaugurata lo scorso 23 luglio a Capoterra, a pochi chilometri da Cagliari;
   la struttura dispone di un massimo di 16 posti letto, due dei quali riservati alle donne;
   è ospite della Rems di Capoterra, che si trova a pochi passi dalla piscina comunale, a 700 metri da una scuola media e a 1500 metri da due asili nido;
   dopo aver saldato il suo conto con la giustizia, una giustizia che gli ha concesso la semi infermità mentale, abbonandogli un enorme sconto di pena per aver torturato e ucciso due bambini, il mostro di Foligno è adesso rinchiuso in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza situata a due passi da una piscina comunale, una scuola media e due asili nido;
   i detenuti psichiatrici devono essere ospitati nella Rems della loro regione, come del resto previsto dalla legge;
   nella Rems il personale è composto da uno psichiatra a tempo pieno e tre psichiatri che divideranno il loro servizio tra la Rems e il Dipartimento di Salute Mentale della Asl 6. Ancora, uno psicologo, un tecnico della riabilitazione, dieci infermieri, 5 OSS, un amministrativo e un assistente sociale;
   è inoltre prevista la partecipazione di personale esterno dedicato a particolari progetti riabilitativi: musicoterapia, calcio a cinque, arte-terapia, laboratorio multimediale, giardinaggio e altre attività pratico-manuali –:
   se non ritenga con urgenza di valutare se vi siano i presupposti per allontanare dalla Sardegna Chiatti per assegnarlo immediatamente alla regione di competenza;
   se il Governo lesivo non solo delle norme ma anche del rispetto nei confronti della Sardegna;
   se la realizzazione di un Rems nel contesto quale è quello descritto in premessa sia coerente con le norme di buon senso e di sicurezza elementari, soprattutto per simili ospiti e se non sia necessario prevedere una radicale rivisitazione al fine di evitare queste situazioni di allarme sociale e pericolo. (5-06345)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato all'interrogante, già a partire dal 2002 il tribunale di Napoli con una serie di sentenze acquisiva al patrimonio dello Stato – attraverso il sequestro e poi la confisca – una serie di abitazioni in uso da parte di boss e affiliati nel rione Forcella a Napoli;
   in particolare, risulta che in vico Carbonari al numero civico 20 e 31 del suddetto rione Forcella negli stabili sono presenti molti nuclei familiari dei Giuliano, noto clan criminale che da almeno mezzo secolo detta legge a Napoli e che negli ultimi mesi è tornato prepotentemente al disonore della cronaca sotto forma della «paranza dei bambini», un aggregazione di giovanissimi che si segnalano per violenza ed efferatezza;
   all'interrogante risulta che questi appartamenti, nonostante siano oggetto di confisca, continuano ad essere abitati da pregiudicati e camorristi appartenenti alla suddetta famiglia-clan che nei fatti (si vedano intercettazioni ambientali contenute nell'ordinanza del 9 giugno della direzione distrettuale antimafia) diventano veri e propri covi e quartier generali;
   in una recente relazione della procura nazionale antimafia si sottolinea come «Tali nuovi assetti incidono sull'azione di contrasto resa particolarmente difficile dalla imprevedibilità delle condotte non inquadrabili in schemi razionali o strategie comprensibili» e ancora di più trasformano – come li definì oltre trent'anni fa il giudice Corrado Guglielmucci – il territorio partenopeo in «quartieri-Stato», e in «Governatorato criminale» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti e quale sia il loro orientamento in merito;
   se non ritenga urgente assumere le iniziative di competenza al fine di sollecitare lo sgombero degli immobili confiscati a soggetti appartenenti a clan camorristi;
   in che modo lo Stato intenda garantire sicurezza a chi poi andrà ad occupare con attività di recupero sociale quegli appartamenti; 
   se i responsabili dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata abbiano mai verificato per quale motivo nonostante la confisca, gli appartamenti in premessa siano da decenni ancora occupati;
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso fare piena luce sui fatti riportati in premessa e più in generale vigilare sull'allontanamento immediato dei camorristi dagli appartamenti confiscati.
(4-10262)


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in più occasioni dall'inizio della legislatura il firmatario del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini;
   in seguito alla visite l'interrogante ha presentato interrogazioni sulla situazione dell'istituto penitenziario, in cui sono reclusi ad oggi 121 detenuti di cui il 65 per cento stranieri;
   in particolare nella risposta in Commissione all'interrogazione 5-03621, nel dicembre 2014 il viceministro Enrico Costa aveva riferito che per quanto concerne il personale di polizia penitenziaria, nell'istituto di Rimini su un organico di 144 unità di polizia penitenziaria, quale rideterminato dal provveditore nel rispetto della dotazione organica regionale di cui al decreto ministeriale 22 marzo 2013, risultavano presenti, al netto dei provvedimenti di distacco in entrata e in uscita, 116 unità, e che l'organico era stato di recente incrementato di due unità;
   nella medesima risposta, il viceministro aveva anticipato che un eventuale ulteriore incremento sarebbe stato oggetto di valutazione da parte della competente direzione generale in occasione della ripartizione del personale a conclusione del 169o corso di formazione diretto a 486 unità, previsto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 settembre 2014 del dipartimento della funzione pubblica e Ministero dell'economia e delle finanze, e del successivo corso per ulteriori assunzioni autorizzate a decorrere dal 1o gennaio 2015;
   la casa circondariale di Rimini si trova in un territorio a vocazione turistica, caratterizzato da un'evidente discrasia numerica tra la popolazione residente (330.000 abitanti) e quella effettivamente presente, con 15 milioni di presenze registrate e con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità, attirando nel territorio riminese un maggior numero di soggetti dediti ad attività criminose;
   il lavoro e la formazione professionale costituiscono gli strumenti più significativi con finalità di recupero sociale e reinserimento, come disposto dall'articolo 27 della Costituzione che assegna alla pena una funzione rieducativa;
   i detenuti coinvolti in percorsi di lavoro in carcere hanno abbattuto drasticamente i tassi di recidiva, con conseguenti riduzioni dei danni per la società, riscatto di vita individuale, nonché riduzione delle spese per le carcerazioni successive –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in atto per colmare il persistente deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste dai succitati corsi, al termine dei quali gli allievi potranno essere assegnati, secondo le consuete procedure, presso gli istituti e servizi penitenziari del territorio nazionale;
   se non ritenga indispensabile inserire in maniera strutturale nella previsione di rinforzi alle dotazioni delle forze dell'ordine durante il periodo estivo nel territorio riminese, anche il rinforzo estivo del personale di polizia penitenziaria;
   quali iniziative il Ministro intenda attivare per rafforzare l'istituto del lavoro in carcere e garantire una funzione davvero rieducativa della pena. (4-10267)


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 148 del 14 settembre 2011 il Parlamento ha conferito delega al Governo perché provvedesse alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con la limitazione costituita dal non poter sopprimere i Tribunali aventi sedi nei capoluoghi delle province in essere al 30 giugno 2011, e dal conservare almeno tre Tribunali per ogni Corte di Appello, prendendo a riferimento i criteri della popolazione, dell'estensione del circondario, dell'organico dei magistrati, del carico processuale (sopravvenienze medie negli anni 2006/2010), dell'orografia del circondario, del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 6 luglio 2012, ha approvato lo schema di decreto legislativo, con cui si andava a prevedere la soppressione di 37 tribunali (tra i quali il Tribunale di Lucera) e di tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale (incluse quelle del circondario di Lucera, in Apricena e Rodi Garganico), rimettendo il progetto di revisione alle Commissioni Giustizia del Parlamento, per il parere obbligatorio, ma non vincolante;
   la Commissione giustizia del Senato della Repubblica, in data 31 luglio 2012, e la Commissione giustizia della Camera dei deputati, in data 1o agosto 2012, hanno adottato pareri che prevedevano la conservazione del tribunale di Lucera e della sezione distaccata di Rodi Garganico;
   il Consiglio dei ministri, nella seduta del 10 agosto 2012, ha dato il via libera al decreto legislativo sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, statuendo la chiusura di 31 (non più 37) Tribunali (tra i quali anche Lucera) e di tutte le 220 sezioni distaccate;
   il Presidente della Repubblica ha emanato il decreto legislativo, n. 155, in data 7 settembre 2012, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 13 settembre 2012, recante la disposizione della soppressione di 31 Tribunali e di 220 sezioni distaccate;
   i tribunali in Italia erano 165, dei quali 107 aventi sede presso i capoluoghi di provincia e 57 cosiddetti sub-provinciali;
   tra i tribunali sub-provinciali, 27 sono stati conservati e 30 sono stati inseriti nell'elenco dei soppressi (tra i quali Lucera);
   i provvedimenti sopra richiamati, ed in particolare il decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012, appaiono fortemente penalizzanti per il tribunale di Lucera ed il suo circondario, atteso che, sulla scorta dei criteri da applicarsi in virtù di quanto disposto nella delega conferita dal Parlamento al Governo, le dimensioni del Tribunale di Lucera sono manifestamente maggiori di molti Tribunali per i quali invece è stata disposta la permanenza;
   il tribunale di Lucera, rispetto a tutti i 57 tribunali sub-provinciali d'Italia è il 15o per popolazione, il 2o per estensione, il 15o per organico di magistrati, il 9o per sopravvenienze medie 2006/2010 ma nonostante ciò, è stato inserito nella lista dei 31 tribunali da sopprimere;
   procedendo alla media ponderata dei parametri suddetti, il tribunale di Lucera si colloca al quarto posto tra i 57 tribunali sub-provinciali, e ciò a prescindere dalla sussistenza anche dei parametri riguardanti la condizione orografico-infrastrutturale dell'esteso circondario – alquanto impervia e gravosa – , e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   la criminalità organizzata – come da relazioni della procura della Repubblica del tribunale di Lucera, parere 16 luglio 2012 del consiglio giudiziario del distretto di corte di appello di Bari, parere 31 luglio 2012 della Commissione giustizia del Senato della Repubblica, parere 1o agosto 2012 della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, comunicati del Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, relazione del Ministro dell'interno – sta purtroppo da tempo caratterizzando ampie zone del Circondario (il comune di Lucera è tra gli otto comuni della provincia interessati dalla sottoscrizione del protocollo per la difesa dalla criminalità organizzata), e richiede forte attenzione da parte degli organi investigativi, inquirenti, giudiziari, delle amministrazioni, della società civile;
   l'estensione territoriale del circondario di Lucera è di 2.812 chilometri quadrati, ben superiore a quella indicata dal Ministero come ottimale (2.100 chilometri quadrati), con centri abitati (esempio Peschici) che sono ubicati a 140 chilometri dalla sede circondariale (Lucera) e tale estensione colloca il tribunale di Lucera al 2o posto tra i tribunali sub-provinciali e al 26o posto tra i 165 tribunali italiani;
   è divenuta alquanto penalizzante la condizione della giustizia a seguito della soppressione del tribunale di Lucera, atteso che la provincia di Foggia, pur avendo ben 690.000 abitanti e oltre 7.000 chilometri quadrati (seconda per estensione in Italia, dopo solo la provincia di Bolzano), si ritrova ad usufruire di un solo tribunale (Foggia), con ogni conseguente immaginabile grave disagio per la collettività e per l'esercizio della giurisdizione;
   il tribunale di Lucera, rispetto a tutti i 165 tribunali d'Italia (sia quelli aventi sede nei capoluoghi di provincia sia quelli sub-provinciali), era il 109o per popolazione, il 26o per estensione, l'87o per l'organico dei magistrati, il 70o per le sopravvenienze medie 2006/2010 e pur mai rientrando negli ultimi trenta posti di ogni graduatoria è stato uno dei trenta tribunali soppressi;
   riguardo alle sezioni distaccate del tribunale di Lucera (Apricena e Rodi Garganico), la sezione di Rodi Garganico, appartenente al circondario di Lucera, è la più distante d'Italia dalla sede centrale di tribunale (110 chilometri, che giungono a 140 per i centri abitati agli estremi di tale Sezione), oltre che moltissimo distante dalla corte di appello di appartenenza, Bari (258 chilometri);
   la sezione abbraccia il Gargano Nord, che rientra nel circondario del tribunale di Lucera (con i comuni di Rodi Garganico, Vico del Gargano, Peschici, Ischitella, Carpino, Cagnano Varano, San Nicandro Garganico);
   la legge delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie ha previsto la soppressione ovvero la riduzione delle sezioni distaccate (in Italia ve ne sono 220), secondo gli stessi criteri previsti per i tribunali circondariali (estensione, popolazione, organico magistrati, carichi processuali, orografia, impatto della criminalità organizzata);
   il gruppo di Studio insediato dal Ministero della giustizia, nel suo lavoro preparatorio, aveva previsto la conservazione di alcune Sezioni, sulla scorta dei criteri della legge delega, ma il Governo, nell'adottare lo schema di decreto legislativo da trasmettere al Parlamento per i pareri, il 6 luglio 2012, ha ritenuto di sopprimerle tutte; tra la fine di luglio e gli inizi di agosto 2012 sono sopraggiunti i pareri dapprima del consiglio giudiziario di Bari (16 luglio 2012), quindi delle Commissioni Giustizia del Senato (31 luglio 2012) e della Camera (1o agosto 2012), con cui – oltre al salvataggio di alcuni Tribunali, tra i quali Lucera – è stato chiesto il recupero di alcune sezioni distaccate, tra cui quella di Rodi Garganico sia per la notevolissima distanza dalla sede circondariale di giustizia e per le conseguenze deleterie sull'economia di una vasta zona territoriale e sulla stessa sicurezza di tale territorio che rimarrebbe sguarnito del necessario presidio di giustizia e molto lontano dal primo «disponibile» (sia riguardo al settore civile sia riguardo al settore penale), sia perché era una Sezione che definiva i processi e eseguiva i provvedimenti in tempi migliori della media nazionale;
   il decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012 ha stabilito la generale soppressione delle Sezioni Distaccate, ma il caso di Rodi Garganico sfiora l'unicità;
   l'aggravio processuale che è derivato dalla soppressione del tribunale circondariale di Lucera e di tutte le sezioni distaccate di esso e della provincia di Foggia (Apricena, Rodi Garganico, San Severo, Cerignola, Manfredonia, Trinitapoli) appare insostenibile per il solo tribunale di Foggia che, nonostante i notevoli sforzi impiegati dalla sua magistratura e dal suo personale, era già oberato da circa 150.000 processi civili (il maggior carico della regione Puglia) e da 23.000 processi penali;
   in altri termini, allo stato, in virtù dell'attuazione della riforma della geografia giudiziaria, la chiusura del tribunale di Lucera ha creato situazioni di criticità: il palazzo di giustizia di Foggia non è nella condizione di assorbire il carico proveniente dal tribunale di Lucera e dalle sei sezioni distaccate soppresse (Apricena, Rodi Garganico, San Severo, Cerignola, Manfredonia, Trinitapoli) ed il comune di Foggia è in grande difficoltà nel rinvenimento di ulteriori plessi immobiliari, mentre il palazzo di giustizia di Lucera, funzionante e di proprietà del comune di Lucera richiede una manutenzione poco costosa ed interventi straordinari che la locale civica amministrazione è disponibile ad affrontare nell'ipotesi di conservazione delle funzioni giurisdizionali di tale struttura;
   sia per una forte presenza della criminalità organizzata sia per tutte le altre motivazioni sopra esposte pare rispondere a criteri di obiettiva necessità ed opportunità il ripristino del tribunale di Lucera (come pure della sezione distaccata di Rodi Garganico), o quantomeno l'utilizzo del suo palazzo di giustizia quale articolazione del tribunale di Foggia –:
   se e con quali atti il Ministro, previa un'attenta analisi delle conseguenze negative, in termini di economicità ed efficienza del sistema giudiziario, della soppressione del tribunale di Lucera, intende procedere al suo ripristino ed a quello della sezione distaccata di Rodi Garganico o quantomeno all'utilizzo del palazzo di giustizia di Lucera quale articolazione del Tribunale di Foggia. (4-10275)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 268 denominata «superstrada della morte» o «strada killer» per le numerose vittime mietute negli anni, già in parte nuova strada ANAS 31, Nuova Vesuviana (NSA 31), ha caratteristiche di «superstrada», che attraversa l'area dei Paesi vesuviani favorendo i collegamenti tra l'Agro nocerino sarnese (territorio salernitano) e la zona est della città metropolitana di Napoli;
   la strada, progettata negli anni'60 come via di fuga principale per gli abitanti dell'hinterland partenopeo in caso di eruzione del Vesuvio e costruita negli anni ’80, è interessata, a partire dal 2003, da periodici lavori, tra progetti di riammodernamento delle arterie o potenziamento, lavori di adeguamento che, comportano talvolta anche il restringimento naturale delle carreggiate di circolazione con conseguenti disagi;
   anche questa estate le cronache locali hanno registrato diversi incidenti ed in qualche caso finanche rapine –:
   se il Ministro interrogato possa fornire un quadro dettagliato in merito allo stato complessivo dei lavori ultimati o da portare a termine, tra quelli programmati o in via di definizione, nonché i dati di incidentalità registrati nella tratta in questione, e quindi quali le iniziative intenda mettere in campo nel più breve termine, per migliorare la viabilità, garantire una maggiore sicurezza degli automobilisti che utilizzano la SS 268 e se sia prevista una viabilità alternativa nel caso in cui l'arteria stradale non sia praticabile. (5-06337)


   MATARRESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nonostante la legge n. 56 del 2014 di riforma delle province e di istituzione delle città metropolitane individua nel 2015 l'anno di attuazione della riforma, a luglio 2015 solo sei regioni hanno approvato una legge di riordino delle funzioni non fondamentali delle province;
   dall'analisi dei testi risulta che nessuna delle sei regioni ha previsto il passaggio del personale e dei relativi costi a partire dal 1o gennaio 2015, pertanto attualmente le funzioni continuano a restare in capo alle province, senza garantirne la totale corrispondente copertura finanziaria;
   la legge di stabilità per l'anno 2015 prevede minori trasferimenti alle province per 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016, 3 miliardi nel 2017 e secondo i dati Sose, la società del Governo che si occupa di stabilire i criteri di efficienza della spesa pubblica, a fronte di un fabbisogno per spesa corrente di 2 miliardi 360 milioni le province e le città metropolitane hanno a disposizione per i servizi essenziali delle funzioni fondamentali 2 miliardi 145 milioni, con una carenza di 215 milioni;
   secondo i dati forniti dall'Upi dal 2013 al 2015 gli investimenti per la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali sono crollati da 7.318 euro/Km a 2.170 euro/Km;
   in tutta Italia decine di migliaia di chilometri di strade provinciali sono lasciate all'abbandono e godono di scarsa o assente manutenzione, con inevitabili e gravi ripercussioni sulla viabilità e sulla sicurezza per gli automobilisti;
   ad aggravare la difficile situazione della rete viaria provinciale in molti territori hanno pesato, nel corso del 2014 e del 2015, eventi calamitosi e condizioni metereologiche eccezionali che hanno ulteriormente compromesso lo stato delle strade provinciali con frane, smottamenti, interruzioni e gravi danni al tessuto stradale;
   la drastica riduzione e il quadro incerto sugli investimenti e sul reperimento di fondi straordinari per la copertura delle funzioni fondamentali in capo alle province mette a serio rischio per il 2015/2016 la manutenzione delle strade e lo sgombero neve e frane su di esse nel prossimo inverno;
   ad esempio, in Abruzzo le province gestiscono ad oggi una rete viaria di 6.500 chilometri, dei quali 1.500 trasferiti negli anni scorsi dall'Anas attraverso la regione e per i quali quest'ultima non eroga più fondi e, nella sola regione Abruzzo, gli interventi per il dissesto idrogeologico relativi ai danni per gli eventi calamitosi 2015 ammonterebbero ad un totale di circa 100 milioni –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per garantire un'efficiente manutenzione e una corretta gestione della rete viaria provinciale italiana e per far fronte alla carenza di investimenti per la sicurezza e la percorribilità delle strade provinciali, e quindi se non ritenga opportuno il passaggio sotto la gestione dell'Anas di quelle strade provinciali che ne posseggano i requisiti. (5-06338)


   MAZZOLI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la S.S 675 «Umbro-Laziale», ex raccordo Civitavecchia-Orte (tra il km 86,000 della strada statale 1 «Aurelia» e il km 21,500 della strada statale 1-bis) è un'arteria di fondamentale importanza nel complesso delle infrastrutture viarie e di trasporto del Corridoio Tirrenico;
   la suddetta tratta si inserisce nel progetto di completamento della direttrice Civitavecchia-Orte-Terni-Rieti, opera strategica di interesse nazionale, segmento essenziale dell'itinerario Civitavecchia-Orte-Mestre;
   la S.S 675 è compresa nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE del 21 dicembre 2001 n. 121, in conformità a quanto previsto dalla «legge obiettivo» (Legge 443 del 2001) e rientra nel Protocollo d'intesa per favorire lo sviluppo del polo industriale di Terni e Narni nonché per la salvaguardia dell'occupazione dei lavoratori delle acciaierie ThyssenKrupp;
   il completamento dei lavori della S.S 675, avviati da oltre trent'anni, è parte integrante del rilancio economico di un vasto territorio del Centro Italia, comprendente l'alto Lazio e parte dell'Umbria, che continua a subire disagi proprio per la mancanza di una rete stradale moderna;
   tale completamento, non solo costituirebbe un investimento determinante ai fini dell'incremento dei flussi turistici e del commercio, ma anche in termini di sicurezza stradale. Il conseguente decongestionamento del traffico permetterebbe, in effetti, di adeguarsi alla crescente mobilità, abbattendo i tempi di percorrenza e creando un più rapido collegamento con il porto di Civitavecchia, l'Autostrada del Sole, l'itinerario internazionale E45 e il nuovo tratto autostradale in costruzione Civitavecchia-Livorno;
   a seguito del primo completamento del tratto compreso tra Orte e Vetralla nel 2006, la regione Lazio nel 2011, con una conferenza dei servizi, in carenza di finanziamenti statali, ha deciso di realizzare il tratto di 6,4 chilometri, compreso tra località Cinelli e Monteromano Est, con uno stanziamento totale di 117 milioni di euro;
   lo scorso 26 giugno – dopo lo sblocco del contenzioso che ne impediva la realizzazione – l'Anas ha affidato l'opera alla ditta aggiudicatrice dell'appalto per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori;
   la pianificazione dell'intervento di completamento da Monteromano a Civitavecchia è stato di nuovo presentato presso la regione Lazio dal Ministro alle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, dal presidente dell'Anas, Gianni Vittorio Armani, dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, e dall'assessore regionale alle infrastrutture Fabio Refrigeri;
   la Orte-Civitavecchia è oggi individuata nella rete Ten-T europea quale itinerario di livello Comprehensive network e la giunta regionale del Lazio ha inserito il suo completamento tra le azioni cardine della legislatura. L'opera è altresì inserita nel Piano pluriennale degli investimenti stradali 2015-2019 –:
   quale effettivo impegno economico il Governo intenda garantire per il prosieguo dei lavori e d'ora in avanti quale possa essere una tempistica credibile per la definitiva realizzazione dell'opera. (5-06339)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto delle rinfuse sbarcate presso il Terminal Alti Fondali del porto di Savona, sino ai parchi deposito di San Giuseppe di Cairo, oltre l'Appennino ligure, tramite un sistema integrato di trasporto costituito da nastri trasportatori e da due linee funiviarie, viene effettuato da Funivie s.p.a, a cui il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel 2007, ha assegnato gli impianti di trasporto in concessione venticinquennale;
   nella convenzione fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – dipartimento trasporti terrestri – e la società «Funivie s.p.a.» stipulata il 15 novembre 2007 a seguito dell'accordo di programma per l'attuazione degli interventi di rilancio dello sviluppo della Valle Bormida del 18 marzo 2006, era prevista la copertura dei parchi carbone di Cairo Montenotte – località Bragno;
   sin dall'inizio, il comune di Cairo M.tte ha sostenuto la necessità di esecuzione di tale opera, indispensabile in termini di ambientalizzazione del sito e ha gestito le conferenze di servizi al fine di vagliare e autorizzare il progetto di copertura parchi, così come presentato dalla società proponente Funivie s.p.a.;
   le risorse necessarie per la copertura dei parchi sono state messe a disposizione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell'ambito della convenzione stipulata con Funivie s.p.a;
   nel marzo 2012 il comune di Cairo M.tte (prot. 6989 dell'8 marzo 2012) aveva segnalato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti criticità e ritardi nell'esecuzione dell'opera, confermando inoltre di avere realizzato tutte le procedure e tutti gli atti di propria competenza, e aveva sottolineato la necessità di avere chiarezza e rassicurazioni da parte del Ministero in merito alla effettiva realizzazione del progetto;
   nel riscontrare (con prot. R.U. 4374 CC: 1212.TPL) la nota del comune di Cairo M.tte, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per il trasporto pubblico locale – divisione 4, il 22 giugno 2012, ha precisato che quella direzione «ha più volte, fermamente, sollecitato la società esercente Funivie s.p.a. affinché venisse concluso celermente l’iter relativo all'intervento in oggetto», e che verificato l’iter della procedura, «non risultano – a conoscenza della scrivente – ulteriori elementi impeditivi atti a ritardare l'avvio dei lavori»;
   la comunicazione dell'inizio lavori era pervenuta al comune da parte dalla società con dichiarazione del 20 maggio 2013 prot. 12855. Gli uffici competenti del comune di Cairo M.tte hanno eseguito un primo sopralluogo presso le aree interessate al fine di verificare l'avvenuto inizio lavori;
   una ulteriore visita al fine di accertare lo stato di avanzamento dei lavori è avvenuta il 29 giugno 2015; in tale occasione è stato verificato che, nella sostanza, sono stati realizzate solo opera di rimozione, demolizione e posa in opera della recinzione di cantiere;
   successivamente rappresentanti della società Funivie s.p.a. hanno comunicato al comune di Cairo M.tte, che è in atto contenzioso tra le parte committente e il consorzio esecutore delle opere per gravi inadempienze contrattuali per lavori derivanti dall'appalto con revoca dell'incarico;
   la documentazione relativa a queste ultime fasi, che testimonia come risulti sospesa la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone, è stata inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 15 luglio 2015 e ulteriormente sollecitata nei giorni successivi, con la richiesta di un incontro di approfondimento con carattere d'urgenza, al fine di verificare lo stato dell'arte e attuare le iniziative necessarie allo sblocco della situazione –:
   se intenda riscontare la richiesta del comune relativa alla segnalazione della sospensione dei lavori di copertura dei parchi carbone in località Bragno del comune di Cairo M.tte, presso l'impianto esercito da Funivie s.p.a.;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per assicurare che tali lavori riprendano e siano portati a compimento, secondo gli accordi stipulati a suo tempo. (5-06344)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARDINALE e BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini che risiedono nel comprensorio del Vallone e della Valle del Platani, territori ricadenti nella provincia di Caltanissetta, rischiano di essere fortemente penalizzati per quanto concerne i treni regionali veloci in Sicilia;
   il progetto in fase di definizione da parte di Trenitalia non prevede, per quanto a conoscenza, alcuna fermata del treno veloce regionale nelle stazioni ferroviarie di Campofranco, Acquaviva-Casteltermini, Cammarata-San Giovanni Gemini;
   le fermate più vicine previste in progetto sarebbero, quindi, quelle di Aragona e Roccapalumba;
   Aragona e Roccapalumba sono località eccessivamente distanti dal comprensorio del Vallone di Mussomeli e della Valle del Platani, tanto da non giustificare un potenziale spostamento in automobile per raggiungere una delle stazioni in questione ed usufruire del servizio di treno veloce;
   quanto riferito, ove dovesse essere confermato, rappresenterebbe una mortificazione ulteriore per il territorio e infliggerebbe all'utenza residente una penalizzazione immotivata –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima urgenza, coinvolgendo gli enti locali e le istituzioni competenti al fine di attivare un confronto con Trenitalia ed individuare soluzioni tecniche in grado di consentire anche ai cittadini del Vallone e della Valle del Platani di poter usufruire di un servizio importante quale quello del treno veloce regionale. (4-10264)


   PISICCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un recente dibattito nel consiglio comunale di Brindisi incentrato sull'allargamento del corridoio Baltico – Adriatico, il sindaco Consales ha pubblicamente manifestato dubbi intorno all'opportunità del trasferimento del Comandante della locale Capitaneria di porto che riveste, pro tempore, anche l'incarico di Commissario dell'Autorità Portuale di Brindisi;
   secondo quanto riportato anche dalla stampa locale infatti, il sindaco avrebbe addirittura adombrato una precisa strategia ordita dal comandante generale delle capitanerie, l'ammiraglio Felicio Angrisano, tesa a danneggiare il porto di Brindisi;
   da quanto, invece, si apprende dallo stesso ammiraglio Angrisano (fonte una intervista rilasciata al Quotidiano di Puglia, 21 agosto 2015) e da quanto si evince dalla prassi che contempla avvicendamenti biennali di routine nel ruolo ricoperto dal comandante della capitaneria di porto suo trasferimento era, invece, previsto e noto al mondo delle istituzioni da circa sette mesi, ben prima che lo stesso venisse nominato commissario dell'autorità portuale di Brindisi su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti –:
   quali interventi i Ministri interrogati intendano assumere per chiarire se, come sostiene il sindaco di Brindisi con affermazioni impegnative, dietro il trasferimento del comandante della capitaneria di porto di Brindisi, esistano effettivamente motivazioni volte a danneggiare scientemente l'importante scalo marittimo pugliese oppure se, come sostiene il comandante generale della capitaneria e come si evincerebbe da una prassi consolidata nell'ambito della marina militare, la sua chiamata ad altro incarico si iscriva ad una regola consuetudinaria e quindi in tale caso un pur comprensibile gesto di cortesia, messo in atto dal sindaco, per sostenere l'opportunità della permanenza del comandante nel ruolo di commissario dell'autorità portuale, sarebbe andato oltre, determinando una certa confusione sul piano dei ruoli e delle: competenze istituzionali, con pregiudizio nei confronti della pubblica opinione. (4-10280)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in data 1o settembre 2015 alle ore 17.00, nell'aula consiliare del comune di Monreale, circa sessanta persone erano presenti per partecipare ad un convegno, relativo alle riforme introdotte dalla recente riforma della scuola (cosiddetto «La buona scuola») ed ai possibili progetti scolastici da esso introdotti;
   la conferenza era organizzata dal Comitato «Sì alla Famiglia» e da alcuni genitori fortemente interessati alla teoria del gender ed alle possibili ricadute sulla educazione scolastica;
   quali relatori erano stati invitati il dottor Nino Amato, neurologo e l'avvocato Maria Letizia Russo, docente, entrambi di Alleanza Cattolica e del Comitato «Sì alla Famiglia», presentati dalla signora Tiziana Piedimonte, referente regionale del «Comitato articolo 26» Palermo;
   già durante l'intervento del dottor Nino Amato, incentrato sugli aspetti scientifici della differenziazione sessuale, gruppi di persone hanno disturbato il corso della relazione, che è stata portata a termine faticosamente;
   il secondo intervento, invece, avente per titolo: Gender: consigli per i genitori, è stato letteralmente impedito;
   sia i relatori, sia gli organizzatori hanno tentato di dissuadere i disturbatori invitandoli ad attendere la fine delle relazioni, a cui avrebbe fatto seguito il dibattito, senza successo;
   in più occasioni, tali soggetti, il cui scopo evidente era quello di impedire il libero esercizio della libertà di opinione, hanno apostrofato pesantemente i relatori senza che gli stessi potessero replicare;
   l'azione di disturbo, ha tra l'altro impedito ai partecipanti alla conferenza di ottenere le informazioni che si aspettavano dall'incontro di studio, ed alcuni dei presenti, con bambini al seguito, una volta resisi conto di quello che stava accadendo, si sono allontanati;
   i relatori, nel constatare la totale assenza di senso civico e della libertà dei gruppi filo gay, non hanno potuto far altro che sospendere il momento di riflessione, studio e approfondimento voluto da famiglie sensibili al tema dell'educazione e preoccupate per il futuro dei propri figli;
   che una delle organizzatrici, la signora Alessandra Anselmo, alcuni giorni prima dell'incontro, si era recata presso la locale stazione dei Carabinieri per comunicare l'iniziativa e chiedere indicazioni circa la tutela delle forze dell'ordine così come da circolare del Ministro dell'interno, segnalando che già altre decine e decine di volte ci fossero stati atti di intolleranza se non di violenza da parte dei gruppi facenti capo alle lobbies lesbiche, gay, transessuali bisex, comunemente chiamate LGBT;
   presso la Stazione dei carabinieri veniva dichiarato che non era necessaria una presenza sul posto dell'Arma, atteso che si trattava di un incontro di genitori;
   Alleanza Cattolica e il Comitato «si alla famiglia», spesso insieme ad altri organismi, organizzano in tutta Italia, di frequenza, convegni e conferenze su questi temi. È prassi corrente, più volte fatta presente in atti parlamentari, che i siti dell'associazionismo gay segnalino questi eventi chiedendo ai propri militanti di interrompere le manifestazioni e provocano i relatori. La macchina propagandistica afferma sui loro siti che occorre «evitare con tutti i mezzi» che si tengano iniziative sgradite e considera gli organizzatori di queste iniziative una sorta di «Ku Klux Klan» anti-omosessuale, che strumentalizza la religione»;
   nel rispondere ad atti parlamentari su vicende analoghe il Governo ha espressamente dichiarato che: «L'impegno delle Forze dell'ordine è continuamente teso a garantire la libertà, a garantire l'autonomia nell'espressione del proprio pensiero da parte dei cittadini e, quindi, in una parola a garantire i diritti costituzionalmente definiti» (sottosegretario Bubbico, Aula Camera 27 settembre 2013);
   a Monreale specie, oltre a essere stati consumati dei reati, si è impedito l'esercizio di diritti costituzionalmente tutelati, come la libertà di manifestare il pensiero, la libertà di riunirsi pacificamente, la libertà di ricerca; i siti omosessuali a loro volta, hanno posto il essere un'azione di istigazione che deve ritenersi altrettanto illegale –:
   quali siano gli orientamenti in merito del Governo sull'episodio esposto in premessa;
   per quali motivi le Forze dell'Ordine, preventivamente avvertite, non siano intervenute in applicazione del la Circolare del Ministero dell'Interno diramata a seguito di precedenti ed analoghi episodi di aggressione subiti da associazioni che come Alleanza Cattolica si occupano di formazione e di studio in difesa del valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna;
   quali ulteriori iniziative di prevenzione il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi sempre più frequente di episodi simili a quello esposto in premessa.
(2-01069) «Pagano, Dorina Bianchi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   continuano purtroppo ad essere frequenti episodi di violenza ai danni del personale viaggiante di Trenitalia lungo la tratta Pisa-Roma;
   a seguito del drammatico episodio di violenza sessuale ai danni di una giovane ragazza avvenuto alcune settimane fa sono aumentati i controlli;
   contro l'illegalità e le violenze servono adeguati controlli delle forze dell'ordine anche a tutela del lavoro svolto dai controllori di Trenitalia spesso vittime di aggressioni da parte di chi non è in regola o non paga il biglietto;
   l'intervento che ha costretto 150 irregolari a scendere a Campiglia è positivo, ma non rimanga un controllo una tantum in quanto non è accettabile che possano esservi zone franche;
   la tratta in questione è inserita nella black list di Trenitalia come tra le meno sicure ed è per questo che occorre in tempi rapidi istituire una task force che coinvolga tutte le istituzioni responsabili al fine di adeguare gli standard di sicurezza per viaggiatori e personale –:
   quale sia stata l'azione di controllo effettuata nel corso di questi mesi estivi sulla tratta in oggetto e quali misure operative intenda adottare il Governo per rafforzare la sicurezza sui treni in particolare lungo la Pisa-Roma al fine di scongiurare il ripetersi di tali inaccettabili episodi. (5-06321)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   domenica 30 agosto, durante la partita di calcio Napoli-Sampdoria si sono verificati dei tafferugli che hanno interessato la curva A dello stadio San Paolo;
   secondo quanto riportato da organi di stampa, la rissa che avrebbe costretto numerosi inconsapevoli tifosi ad abbandonare gli spalti, sarebbe scoppiata tra esponenti di clan criminali che si contendono il controllo di alcune zone della città di Napoli e in particolar modo delle piazze dello spaccio;
   sull'episodio, durante il quale è stato accoltellato un giovane tifoso, indagano ora la Digos e direzione distrettuale antimafia di Napoli, sotto il coordinamento dei procuratori aggiunti Vincenzo Piscitelli e Filippo Beatrice. Al vaglio degli inquirenti ci sono le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza;
   domenica 6 settembre 2015, Gennaro Cesarano un giovane di 17 anni incensurato ma già noto alle forze dell'ordine è stato ucciso in piazza Sanità nel centro storico di Napoli; in un primo momento si è parlato di una pallottola vagante che avrebbe colpito per sbaglio il giovane, ma in un secondo tempo si è chiarita la dinamica dell'agguato, che sarebbe da ricollegare, come la rissa avvenuta allo stadio, alla faida in atto tra clan della camorra: il bersaglio degli assassini sarebbe effettivamente stato il giovane, in quanto esponente del clan Sequino, attivo nella zona della Sanità e avversario storico del clan Sibillo di Forcella. Sempre secondo questa pista, il ragazzo avrebbe nascosto le armi per conto di uno degli affiliati alla cosca;
   da notizie di stampa si apprende che le forze dell'ordine hanno condotto una maxi operazione nel rione Sanità, quartiere del centro storico di Napoli dove si sono svolte una decina di perquisizioni presso le abitazioni di persone pregiudicate e coinvolte anche negli scontri scoppiati domenica 30 agosto allo stadio;
   tale operazione condotta dalla polizia di Stato accredita l'ipotesi di una lotta tra le ipotesi degli investigatori sugli scontri avvenuti nell'arena flegrea, sembra credibile quella di una lotta tra appartenenti a clan contrapposti del centro storico di Napoli per il controllo della vendita di hashish e cocaina prima delle partite del campionato di calcio –:
   quali interventi, anche attraverso misure di intelligence, siano stati disposti dal Ministro interrogato per prevenire simili gravissimi episodi;
   quali iniziative intenda mettere in campo per scongiurare altri incidenti analoghi, che nulla hanno a che vedere con lo sport e che mettono a repentaglio l'incolumità dei cittadini, in un contesto che deve essere unicamente di divertimento, svago e competizione leale. (4-10269)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   i collegi elettorali, così come delineati dal decreto legislativo n. 122 del 2015 presentano evidenti paradossi che vanno necessariamente rimossi perché fortemente lesivi della realtà territoriale irpina e in netto contrasto con lo spirito dell'Italicum;
   il collegio Campania 2 ricomprende le province di Avellino e Benevento con l'esclusione di nove comuni irpini (Avella, Domicella, Lauro, Marzano di Nola, Moschiano, Pago del Vallo di Lauro, Quindici, Sperone e Taurano) che sono stati aggregati al collegio Campania 5, composto invece da comuni della sola provincia di Napoli;
   a giudizio dell'interrogante, tale decisione non tiene conto del legame culturale, storico, amministrativo e istituzionale tra il Vallo di Lauro baienese e la città di Avellino;
   è inspiegabile la ragione per la quale il Governo abbia deciso di modificare la versione originaria del collegio Campania 2, che prevedeva la sottrazione alla provincia di Avellino dei 13 comuni del Vallo Lauro Baianese, ”salvandone” solo 4: Mugnano del Cardinale, Baiano, Quadrelle e Sirignano;
   nonostante le sollecitazioni dei sindaci dei 13 comuni interessati e di tutti i parlamentari irpini, il Governo ha ritenuto di adottare una decisione sulla base di criteri ancora oggi incomprensibili;
   è necessario fare chiarezza e spiegare le ragioni e criteri di una ripartizione che risulta essere non poco singolare;
   a giudizio dell'interrogante è indispensabile che i 13 comuni del Vallo Lauro Baianese rientrino nel collegio di Campania 2. In mancanza, ci troveremmo dinanzi ad una decisione irrazionale e immotivata –:
   quali iniziative si intendano assumere per rimediare alla irrazionale ripartizione dei collegi elettorali della provincia di Avellino garantendo omogeneità sociale e politica al territorio irpino e ai comuni interessati. (4-10271)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia rinnega ogni forma di discriminazione basata su motivazioni razziali e ripudia ogni forma di incitamento all'odio religioso;
   il sito internet radioislam.org, come si legge nella sua homepage, «è di proprietà di un gruppo di combattenti per la libertà di diversi paesi a sostegno della lotta di Ahmed Rami», ex ufficiale marocchino accusato di essere complice del colpo di stato di Skhirat del luglio 1971 contro il re del Marocco Hassan II, al fine di abolire la monarchia e instaurare una repubblica islamica, fondatore di Radio Islam e attualmente in esilio in Svezia;
   Radio Islam si definisce un'associazione apolitica e anti-razzista, ma nelle pagine e nelle sezioni del sito radioislam.org si leggono titoli quali «Potere Ebraico», «Razzismo Ebraico», «Sionismo», «Terrorismo», «Revisionismo», «Protocolli di Sion», dove è possibile trovare numerose espressioni di chiaro sapore razzista e discriminatorio;
   il sito, interamente consultabile in 23 differenti lingue, presenta anche una lunghissima e dettagliata lista di italiani di religione ebraica, «Lista degli ebrei influenti italiani», che include rappresentanti del mondo imprenditoriale, della stampa, dello spettacolo e accademico, giudicati dal sito «potenzialmente pericolosi»;
   un rapporto dei 2003 commissionato dal Centro europeo di monitoraggio sul razzismo e la xenofobia descrive Radio Islam come «one of the most radical right wing anti-Semitic homepages on the net with close links to radical Islam groups, one of a number of “racist and xenophobic sites” which “utilis[e] the denial of the Holocaust as a component of anti-Semitic agitation” and “make use of the entire spectrum of anti-Semitic stereotypes”»;
   le fattispecie qui descritte e più in generale le attività del sito radioislam.org potrebbero rientrare nelle ipotesi di reato della legge 25 giugno 1993, n. 205 (cosiddetta Legge Mancino) che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista, e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali;
   la globalizzazione della criminalità on-line impone una stretta collaborazione internazionale tra i vari Paesi; in questa direzione assumono grande rilievo le più recenti innovazioni normative sul piano internazionale, con particolare riferimento al Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d'Europa, relativa all'incriminazione di atti di natura razzista e xenofoba commessi a mezzo di sistemi informatici –:
   se siano state avviate indagini rispetto ai fatti descritti in premessa;
   quali urgenti iniziative si intenda adottare per far cessare tali istigazioni all'odio razziale e religioso. (4-10278)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 27 agosto 2015 19 profughi sono stati portati all'hotel «Il Cacciatore» di San Colombano di Conio, in alta Val Trompia, scatenando preoccupazioni e proteste da parte dei residenti sfociate in presidi non-stop e manifestazioni spontanee tutt'ora in corso;
   circa 1.200 cittadini di San Colombano, che rappresentano oltre la metà dei residenti, hanno sottoscritto una petizione per chiedere il trasferimento dei profughi in altri luoghi;
   la vicinanza fra l'albergo «Il Cacciatore» e l'edificio delle scuole elementari ha fatto crescere la preoccupazione dei genitori di San Colombano per la sicurezza dei propri figli al punto che al momento, oltre ad aver raccolto le firme contro la presenza dei profughi, risultano intenzionati a non mandare i loro bambini a scuola;
   la tensione è alta ormai da molti giorni: sabato 5 settembre 2015, nel corso di una doppia manifestazione che ha visto in strada i centri sociali da una parte e manifestanti di estrema destra dall'altra, si sono verificati scontri con le forze dell'ordine impegnate a tenere separate le due fazioni. Al termine dei tafferugli, sono state aperte indagini ai danni di 90 persone, accusate di danneggiamenti, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, lancio di oggetti, istigazione all'odio razziale, apologia di reato, violazione delle ordinanze di pubblica sicurezza –:
   se intende o meno procedere allo spostamento immediato dei profughi da San Colombano così da soddisfare le legittime richieste dei cittadini e porre fine alle tensioni sociali che stanno sconvolgendo una pacifica comunità e hanno generato inaccettabili episodi di violenza. (4-10279)


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il cittadino ucraino Igor Markov, ex deputato del parlamento ucraino e attualmente uno dei principali leader dell'opposizione filorussa, è stato arrestato a Sanremo il 12 agosto 2015 sulla base di una richiesta di arresto dell'Ucraina e successiva estradizione;
   le accuse contro Markov sono di «hooliganism» per disordini in piazza avvenuti nel 2007 a Odessa, durante una manifestazione avrebbe aggredito un uomo spaccandogli un labbro, l'accusa cadde per insufficienza di prove;
   successivamente diviene deputato e assume posizioni filo russe e anti Yanukovich il quale nel 2013 fa riaprire l'inchiesta del «labbro spaccato» facendolo arrestare, dopo averlo privato dell'immunità parlamentare;
   dopo le proteste della Majdan e il rovesciamento del potere a Kiev viene scarcerato e rientra in parlamento;
   successivamente, dopo la fuga di Yanukovich, diviene un oppositore del nuovo regime ucraino che considera troppo filo occidentale e insieme ad altri oppositori ucraini si trasferisce a Mosca;
   Markov è considerato un «ambasciatore» dell'Ukraine National Salvation Commitee, guidato dall'ex premier di Kiev Mykola Azaron in esilio a Mosca;
   proprio questo suo presunto ruolo diplomatico, formalizzato da un passaporto russo, ha permesso a Markov l'arrivo in Italia;
   pochi giorni fa Markov ha lasciato il carcere, infatti ad agosto i giudici della corte d'appello di Genova hanno accolto l'istanza del dissidente ucraino di attenuare la misura cautelare, ma mancava il braccialetto elettronico;
   anche l'ambasciata russa aveva scritto al Ministero della giustizia per chiedere una soluzione al più presto, ora il braccialetto elettronico è stato trovato e quindi Markov potrà usufruire degli arresti domiciliari nell'hotel Iris di Quarto –:
   se, rispetto alla richiesta di estradizione da parte del Governo ucraino, non ritengano di dover tener conto del fatto che Igor Markov si consideri un perseguitato politico, uno status che in Ucraina lo esporrebbe alla carcerazione e alla tortura, anche in considerazione di altri clamorosi errori diplomatici come fu, ad esempio, quello di Alma Shalabayeva e della figlia di sei anni, estradate illegalmente in Kazakistan.  (4-10283)


   LOMBARDI, DI BATTISTA, VIGNAROLI, BARONI, DAGA e RUOCCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 agosto 2015, nella chiesa Don Bosco, quartiere Tuscolano, a Roma si svolgevano i funerali di Vittorio Casamonica, noto boss dell'omonimo clan criminale particolarmente attivo nelle zone della periferia sud-est della capitale: Romanina, Anagnina, Porta Furba, Tuscolano e più giù, verso sud, fino a Frascati o Monte Compatri;
   secondo la Direzione Investigativa Antimafia, tale clan rappresenta la struttura criminale più potente e radicata del Lazio, con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro. Secondo un censimento di Vittorio Rizzi, capo della squadra mobile di Roma, il clan conterebbe almeno un migliaio di affiliati;
   negli anni la famiglia è stata al centro di indagini della magistratura e sequestri di beni, con accuse che vanno dal racket e all'usura;
   il clan è infatti attivo in molti settori commerciali ed economici, tra cui edilizia, immobiliare, gestione di ristoranti e stabilimenti balneari, investimenti di capitale in società; il clan è stato oggetto di indagini per i reati di usura (con interessi dal 200 per cento al 300 per cento), di traffico di stupefacenti in Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia, di scambio elettorale politico mafioso a livello comunale nel Lazio e a livello regionale, e per svariate attività illecite poste in essere nel litorale capitolino; da fonti di stampa si apprende della collaborazione del clan dei Casamonica con l'ex cassiere della banda della Magliana, Enrico Nicoletti, il quale «venderebbe» al clan i debitori insolventi al fine di riscuotere i crediti;
   il funerale di Vittorio Casamonica si è svolto alla presenza di migliaia di persone al seguito di una carrozza antica trainata da sei cavalli neri, accompagnate da una banda musicale e c'era anche un elicottero che, a bassissima quota, lanciava petali rossi sulla folla di presenti che emetteva grida di commiato verso il feretro, successivamente trasferito su una Rolls-Royce;
   questo è stato lo spettacolo cui i cittadini romani sono stati chiamati ad assistere e che è stato consentito a causa di un apparato statale inchinato dinanzi al defunto, a favore del quale sono state dispiegate ingenti risorse della capitale;
   il regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, al Capo II, Delle cerimonie religiose fuori dei templi e delle processioni ecclesiastiche o civili, gli articoli 26 e 27 prevedono che il questore possa vietare che il trasporto funebre avvenga in forma solenne o determinare speciali cautele a tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini («26. Il questore può vietare, per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica, le funzioni, le cerimonie, le pratiche religiose e le processioni indicate nell'articolo precedente, e può prescrivere la osservanza di determinate modalità, dandone, in ogni caso, avviso ai promotori almeno ventiquattro ore prima. Alle processioni, sono, nel resto, applicabili le disposizioni del capo precedente.
   27. Le disposizioni di questo capo non si applicano agli accompagnamenti del Viatico e ai trasporti funebri, salve le prescrizioni della legge e dei regolamenti di sanità pubblica e di polizia locale. Il questore può vietare che il trasporto funebre avvenga in forma solenne ovvero può determinare speciali cautele a tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini»);
   intanto l'Enac è intervenuta sospendendo, in via cautelativa, la licenza del pilota dell'elicottero che ha sorvolato la chiesa lanciando petali di rosa. «Non è stata data alcuna autorizzazione al volo o al sorvolo della città di Roma» dichiara l'ente nazionale dell'aviazione civile. Da una prima ricostruzione dei fatti — spiega l'Enac — il volo è stato effettuato da un privato che è decollato dall'elisuperficie di Terzigno, in provincia di Napoli, con destinazione l'elisuperficie Romanina. In arrivo su Roma ha chiesto alla torre controllo l'autorizzazione all'attraversamento dello spazio aereo controllato, effettuando successivamente una deviazione su Roma a quota inferiore alla minima che, sulla città, non può essere meno di 1.000 piedi, ovvero circa 330 metri;
   il prefetto di Roma Franco Gabrielli, al termine del comitato per l'ordine e la sicurezza convocato dopo i funerali choc, ha affermato: «Si è trattato, afferma, di “una cosa grave. Stigmatizzabile. Non doveva accadere. E invece è accaduta. Le informazioni c'erano ma non sono state valorizzate. Sia polizia che carabinieri avevano contezza che ci sarebbe stato un funerale del capostipite di una famiglia che nella città ha un rilievo assoluto nell'ambito della criminalità. Seppur in maniera indiretta quindi — ha aggiunto il prefetto — le informazioni c'erano ma queste informazioni non hanno raggiunto i vertici che potevano prendere decisioni”»; il riferimento è anche al permesso straordinario firmato dal presidente della prima sezione della corte d'appello Giorgio Maria Rossi e inviato alla tenenza dei carabinieri di Ciampino, grazie al quale è stato consentito ad Antonio Casamonica, figlio di Vittorio, agli arresti domiciliari, di partecipare ai funerali del padre, presso la parrocchia di San Giovanni Bosco al quartiere Cinecittà di Roma. La richiesta è stata inoltrata alla Corte dal suo avvocato, Mario Giraldi, il giorno 19 agosto. L'istanza è stata accolta e i magistrati hanno autorizzato, come si legge nel documento, «l'imputato ad allontanarsi dalla propria abitazione» dalle 10 fino alle 14;
   il sindaco di Roma Ignazio Marino ha dichiarato: «A Roma lo Stato non è stato nelle condizioni di garantire la sicurezza dello spazio aereo, con l'intrusione di oggetti volanti non identificati; la responsabilità della sicurezza di spazi aerei e terrestri, soprattutto ai tempi del primo Giubileo nell'era dell'Isis, spetta al Governo e al Viminale»;
   l'assessore alla legalità del comune di Roma Alfonso Sabella ha di recente dichiarato: «Certamente si poteva e si doveva evitare. Se non si è evitato è perché Roma non ha ancora gli anticorpi necessari per comprendere e prevenire cose di questo tipo: l'esistenza della mafia è stata negata fino a pochissimo tempo fa» –:
   se i Ministri interrogati non si considerino responsabili del corto circuito di informazioni che ha determinato il verificarsi di un evento quale il funerale del capostipite di una famiglia che ha un rilievo assoluto nell'ambito della criminalità romana;
   quali conseguenze avrà la mancata applicazione delle norme del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza da parte dei soggetti responsabili;
   se lo Stato sia in grado di garantire la sicurezza di spazi aerei e terrestri, soprattutto in vista del Giubileo.
(4-10288)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   si è molto parlato negli ultimi giorni del drammatico fenomeno che, ancora una volta, vede i lavoratori immigrati impiegati nei campi per la raccolta dell'uva vittime del cosiddetto «caporalato»;
   risulta infatti, grazie anche ad alcune recenti inchieste giornalistiche, che quest'anno in Piemonte siano arrivati, per la vendemmia, oltre mille migranti, in tutta Italia si stima ce ne siano ventimila;
   i ritmi di lavoro, anche in questa parte d'Italia, sono forsennati: si lavora per dodici ore filate, dalle 7 alle 19, perché quando l'uva è matura non si può aspettare;
   nella sola zona di Canelli – la patria dell'Asti spumante e del Moscato d'Asti con oltre cento milioni di bottiglie in commercio ogni anno – e nei vigneti circostanti si stima che la vendemmia frutti intorno agli undici mila euro a ettaro;
   si stima, inoltre, che il giro d'affari superi i cento milioni, la vendemmia diventa così un'ulteriore occasione per spietati ”caporali” che reclutano manodopera illegale con contratti di lavoro fuorilegge;
   la zona è ormai da dieci anni meta degli ”schiavi dell'uva”: prima arrivavano dalla Macedonia e ora soprattutto dalla Bulgaria, una trasferta di 1700 chilometri per una paga oraria che oscilla tra i tre e i cinque euro;
   arrivano in Piemonte con il passaparola e finiscono a dormire in strada, nelle cascine abbandonate oppure in minuscoli appartamenti in affitto dove vivono anche in venti, i più sfortunati nelle bidonville lungo il fiume Belbo;
   un anno fa il comune di Canelli aveva predisposto per questi lavoratori un parcheggio provvisto di docce e bagni, ma quest'anno il sindaco ha ritenuto di non dover stanziare soldi pubblici per alleviare la situazione di degrado e sofferenza di queste persone preferendo invece puntare sulla chiusura dei campi abusivi, il risultato è che le loro condizioni sono ulteriormente peggiorate;
   il sindacato invece qualcosa sta cercando di fare, anche se con molte difficoltà, ad esempio la Cgil si è dotata di un camper per aiutare e informare i braccianti per strada;
   dal punto di vista contrattuale le condizioni sono di vero e proprio sfruttamento: il salario crolla fino a tre euro l'ora, si firmano contratti che di regolare non hanno proprio nulla, non vengono indicati i giorni di lavoro e neppure l'orario, si viene ingaggiati direttamente in piazza, il ”caporale” scala poi dallo stipendio il costo del trasporto nelle campagne e perfino la bottiglia d'acqua;
   la marea degli sfruttati sale fino alle colline delle Langhe, Roero e Monferrato diventate appena un anno fa patrimonio dell'Unesco per la loro eccezionalità rurale e culturale;
   neppure le donne sono immuni da questo traffico, anzi, i loro salari risultano essere ancora più ridotti e spesso non ci sono differenze tra Nord e Sud Italia, tra migranti e italiani: in Puglia quest'anno, a luglio, una donna, Paola Clemente, di 49 anni è morta sfiancata dal caldo mentre lavorava in vigna, per una paga di due euro all'ora; un lavoratore tunisino di 50 anni è morto a Modugno, vicino a Bari, dopo una mattinata di lavoro per trasportare casse d'uva –:
   come intendano agire per arginare un fenomeno vergognoso che va estendendosi di anno in anno, per porre fine ad una pratica di vero sfruttamento di esseri umani, per ristabilire la legalità e colpire i responsabili di vere e proprie organizzazioni criminali i cui confini si estendono ormai su tutto il territorio nazionale, per evitare che si crei un conflitto tra braccianti stagionali regolari e immigrati sfruttati.
(2-01071) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 27 giugno 2015, la regione Lazio a indetto una gara per l'affidamento dei centri unici di prenotazione (Cup) delle Asl e delle aziende ospedaliere della regione, in scadenza il 21 settembre 2015;
   la medesima gara già indetta in passato era stata successivamente annullata nel dicembre 2014 a causa di un'inchiesta per turbativa d'asta nelle more delle indagini su «Mafia Capitale»;
   l'attuale bando di gara presenta una serie di elementi di criticità che vale la pena sottolineare. Vengono tagliati oltre 350 posti di lavoro sui circa 2000, quasi il 20 per cento dell'intero organico attuale, non tenendo conto della ricognizione dei fabbisogni dei servizi CUP elaborata solo lo scorso anno dalle Aziende Sanitarie e quindi rappresenta un'ulteriore difficoltà in termini di tempi di attesa e code da parte dei cittadini per accedere alle prestazioni sanitarie pubbliche;
   il bando, inoltre, non prevede come obbligo, tranne che per le persone con disabilità, la riassunzione del personale attualmente in servizio nel ruolo e nel livello contrattuale raggiunto. Tutto ciò appare all'interrogante in contrasto con le disposizioni a tutela del lavoro previste dalla normativa vigente e dalle nuove direttive comunitarie sulla base anche dei nuovi indirizzi previsti dalla riforma degli appalti pubblici, risultando persino non in linea con l'articolo 7 della legge regionale del Lazio n. 16 del 2007;
   la mancata indicazione degli inquadramenti economico contrattuali del personale in forza e la logica incardinata nel bando del massimo ribasso rischiano di creare una ingiusta disparità di concorso nella gara, tra chi, all'interno delle offerte economiche, deve garantire continuità di lavoro e di retribuzioni e chi, invece, potrebbe subentrare ex novo, senza alcun vincolo, con la possibilità ad esempio di potersi avvalere della disciplina statuita dal cosiddetto Jobs Act e dai decreti delegati;
   la suddivisione in quattro lotti di una gara centralizzata dei 17 servizi di Cup, favorisce secondo l'interrogante accordi lottizzatori e spartitori tra imprese concorrenti e turbative d'asta (come del resto già accaduto per una precedente gara), con il rischio di creare forti disparità di trattamento contrattuale, a parità di ruolo, tra il personale occupato in lotti differenti. Inoltre, la suddivisione in lotti è paradossale rispetto al processo di razionalizzazione del sistema sanitario regionale in corso, che prevede l'accorpamento di aziende che fanno parte di lotti differenti;
   il personale dirigente che ha predisposto la gara attuale è stato già indagato dalla procura di Roma per favoreggiamento e false dichiarazione dinanzi al pubblico ministero, in merito alla gara Cup annullata nel 2014 –:
   se non intenda assumere iniziative, anche normative, volte ad assicurare la tutela dei lavoratori, in particolare con riferimento all'inserimento delle clausole sociali in casi quali quello in premessa. (5-06340)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, emanato in attuazione di quanto disposto dalla legge 10 dicembre 2014 n. 183, prevede, a partire dal lo maggio 2015 l'introduzione della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego), la nuova indennità di disoccupazione che andrà a sostituire le precedenti forme di sostegno Aspi e mini-Aspi;
   in caso di disoccupazione involontaria, può chiedere il sussidio chi si trova in stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 181 del 2000 e successive modificazioni e dunque chi possa far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione, nonché chi abbia trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
   la Naspi è riconosciuta, inoltre, anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro come da procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 604 del 1966, modificato dal comma 40 dell'articolo 1 della legge n. 92 del 2012;
   gli svantaggi rispetto al precedente ammortizzatore sociale Aspi sono molteplici, ma tra questi si riscontrano in particolare i seguenti:
    l'assegno di disoccupazione della Naspi viene decurtato più velocemente rispetto alla vecchia Aspi, in quanto subisce una riduzione del 3 per cento al mese dal quarto mese di fruizione e, nel caso in cui si percepisca l'indennità per 16 mesi, si ottiene una penalizzazione del 39 per cento;
   nel calcolo della nuova Naspi non vengono tenuti in considerazione i periodi contributivi che, nell'arco dei 4 anni precedenti al momento di disoccupazione, hanno già dato luogo ad assegni di disoccupazione;
   dal 2016 la Naspi sostituirà anche l'indennità di mobilità, prevista oggi per le aziende più grandi. In questo caso la durata massima dell'indennità di mobilità (che varia in base all'età del lavoratore) di 36 mesi sarà comunque ridotta a un'indennità massima di 24 mesi;
   è previsto un tetto per i contributi figurativi ottenibili durante la fruizione della Naspi, mentre per la Aspi tale tetto non era previsto. I contributi figurativi che possono essere ottenuti corrispondono a un importo massimo pari a 1,4 volte l'importo massimo dell'Aspi;
   con messaggio Inps n. 4334 del 25 giugno 2015, si apprende che. «[...]La procedura di calcolo e pagamento della prestazione è attualmente in corso di sperimentazione presso le sedi pilota. La stessa, infatti, ha necessitato di importanti implementazioni rispetto alla precedente procedura di liquidazione disoccupazione ASPI [...]»;
   il messaggio termina avvisando che: «La procedura di liquidazione della Naspi sarà rilasciata in versione definitiva per tutte le strutture territoriali entro il 15 luglio 2015»;
   ai già succitati svantaggi si va, quindi, ad aggiungere quello della lungaggine burocratica della pubblica amministrazione che farà slittare di almeno 3 mesi l'erogazione dell'ammortizzatore sociale, nonostante questo diventi, per il lavoratore rimasto disoccupato, di primaria importanza per il proprio sostentamento e quello della sua famiglia;
   si elude, in questo modo, l'articolo 38 della Costituzione che sancisce: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;
   la fase di sperimentazione per la procedura di calcolo e per il pagamento della prestazione è stato sufficientemente esteso –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per ovviare al grave problema del ritardo dell'erogazione dell'ammortizzatore sociale Naspi, di cui in premessa. (5-06341)


   GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 20 novembre 2014 tra ANAPA (Associazione Nazionale Agenti Professionisti di Assicurazione) e UNAPASS (Unione Nazionale Agenti Professionisti di Assicurazione) le organizzazioni sindacali Fiba-Cisl, Fisac-CGIL, FNA, UILCA è stato sottoscritto l'accordo per il rinnovo del CCNL dipendenti di agenzia di assicurazione, contratto che riguarda circa 50.000 lavoratori e lavoratrici, che operano in aziende di piccola e piccolissima dimensione;
   il Sindacato Nazionale Agenti di Assicurazione SNA, che aveva partecipato alla trattativa per il rinnovo del CCNL 2005-2008, sfociata nella stesura e nella sottoscrizione del CCNL 2009-2011, non aveva ratificato quest'ultimo, continuando a far applicare ai propri iscritti il CCNL 2005-2008;
   ciò aveva determinando in sostanza, nel settore, la vigenza di due CCNL: il CCNL 2005-2008 tra SNA, UNAPASS e organizzazioni sindacali Fisac-CGIL, FNA, UILCA) ed il CCNL 2009-2011 tra SNA (che non ratifica), UNAPASS e organizzazioni sindacali (Fiba-Cisl, Fisac-CGIL, FNA, UILCA);
   nel corso del 2012 e del 2013 si sono svolti incontri tra il gruppo dirigente dello SNA e le organizzazioni sindacali per risolvere la vertenza, senza però che si verificassero risultati concreti;
   nel frattempo, a novembre 2012, veniva costituita la nuova associazione datoriale ANAPA, su iniziativa dei maggiori, gruppi agenti e agenti fuoriusciti dallo SNA;
   a luglio 2013 le organizzazioni sindacali hanno inviato la piattaforma di rinnovo del CCNL, scaduto il 31 dicembre 2011, a tutte le controparti ANAPA, SNA e UNAPASS, ma solo ANAPA e UNAPASS hanno partecipato al negoziato, sfociato poi nell'accordo di rinnovo sottoscritto lo scorso 20 novembre;
   qualche giorno prima della sottoscrizione di tale nuovo CCNL 2012-2015, lo SNA ha sottoscritto un diverso accordo, stipulato con Fesica e Fisals aderenti alla Confsal; organizzazioni sostanzialmente esterne al settore assicurativo e che non risulterebbero avere alcuna rappresentatività dei lavoratori del comparto;
   lo SNA ha diffuso, subito dopo la sottoscrizione di quell'accordo, la notizia che la senatrice Vicari, Sottosegretario allo Sviluppo Economico, avrebbe apprezzato le novità incluse nel contratto;
   secondo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori del settore i contenuti di questo accordo, se venissero applicati, creerebbero una situazione di dumping sociale e contrattuale molto grave. L'accordo sembra effettivamente contenere una serie di previsioni peggiorative rispetto alla condizione pregressa, sia dal punto di vista economico, che normativo, che relativamente a diritti fondamentali dei lavoratori e lavoratrici;
   inoltre il contratto sottoscritto da FIBA FISAC FNA UILCA con ANPA e UNAPAS deriva da precedenti CCNL rispetto ai quali costituisce necessaria continuità, a differenza dell'accordo tra SNA e categorie della CONFSAL;
   le organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori del settore hanno richiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, svolte le opportune verifiche, di intervenire per evitare il riconoscimento dell'accordo sottoscritto da SNA e Fesica Confsal/Fisafs Confsal –:
   se il Ministero intenda affrontare il problema che si è generato nel settore delle agenzie dell'appalto assicurativo, alla luce delle vicende contrattuali che sono state descritte, che sono destinate, tra l'altro, a generare un diffuso contenzioso e non ritenga che anche questa vicenda indichi la necessità di affrontare il tema della verifica della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese, per garantire regole democratiche nell'esercizio delle relazioni sindacali ed efficacia ai contratti stipulati tra le stesse; considerato anche che sono state depositate apposite proposte di legge di iniziativa parlamentare nelle precedenti e nella presente legislatura. (5-06342)


   SIMONETTI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 il Ministro interrogato ha manifestato il suo assenso ad una modifica della legge Fornero sulle pensioni nel senso di prevedere sistemi di flessibilità in uscita per l'accesso alla pensione, dichiarando che si trattava di un tema ineludibile e che l'Esecutivo era pronto a stanziare risorse ad hoc nella manovra economica per il 2016;
   lo stesso ex Ministro Fornero, autrice della famigerata riforma di cui al decreto-legge n. 201 del 2011, che ha repentinamente innalzato l'età pensionabile creando piaghe sociali come il caso degli esodati, in un'intervista a mezzo stampa il 30 agosto 2015 ha dichiarato che la «sua» riforma si può cambiare recuperando un po’ di flessibilità;
   secondo le ultimissime notizie riportate a mezzo stampa sembrerebbe che il Governo intenda fare marcia indietro sugli annunciati interventi di ammorbidimento della legge Fornero per consentire la flessibilità sull'età di uscita dal lavoro;
   gli interroganti temono che ancora una volta il Governo di centro-sinistra intenda «fare cassa» sulla pelle dei pensionati, come già fece nel lontano 2011 con il decreto-legge cosiddetto «Salva-Italia», per sottostare ai diktat di Bruxelles e per finanziare i tagli di tasse promesse dal Premier –:
   se il Governo sia effettivamente contrario a qualunque ipotesi di revisione della legge Fornero sulle pensioni che contempli meccanismi di uscita flessibile, come il raggiungimento di quota 100 quale somma derivante dall'età anagrafica e contributiva. (5-06343)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, PIRAS, RICCIATTI, SANNICANDRO, COSTANTINO, MELILLA, NICCHI, PANNARALE, PELLEGRINO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da fonti giornalistiche, una coppia della provincia di Taranto si è vista rifiutare, da una società di intermediazione finanziaria, un prestito personale della cifra di 5000 euro;
   la coppia, già cliente in passato della stessa società di intermediazione finanziaria, è stata definita dalla stessa come «ottimo cliente e buon pagatore»;
   i due richiedenti risultano assunti, con contratto a tempo indeterminato, l'uno presso lo stabilimento ILVA di Taranto e l'altra presso la società di call center «Teleperformance»;
   la società di intermediazione finanziaria, nel motivare il rifiuto alla concessione del prestito, ha definito sia l'Ilva che la Teleperformance come aziende non in grado di offrire le garanzie necessarie, alla luce del ricorso ai contratti di solidarietà;
   tale episodio, venuto alla luce grazie alla denuncia fatta dalla coppia agli organi di stampa e come tale raccolto dalle organizzazioni sindacali risulta non essere l'unico;
   diversi casi analoghi, infatti si sono già verificati con diverse altre società di intermediazione finanziaria, specialmente e ripetutamente nei confronti di dipendenti della Teleperformance;
   l'impossibilità di accesso al credito, in special modo in una provincia come quella ionica, già duramente provata nel contesto sociale ed economico, rischia oltremodo di incancrenire la piaga della usura e dei prestiti in nero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda convocare un tavolo che veda coinvolte sia le associazioni di consumatori che i rappresentanti delle aziende e delle principali società di intermediazione finanziaria, al fine di approntare soluzioni immediate e tempestive utili alla soluzione del problema. (5-06318)

Interrogazione a risposta scritta:


   MIOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la recente emanazione del regolamento sui tirocini per l'accesso alla professione di consulente del lavoro esclude la possibilità che il periodo di praticantato possa essere svolto presso uno studio di commercialista e ciò determina difficoltà oggettive per l'accesso alla professione da parte di giovani laureati interessati all'esercizio di tale professione;
   le norme in vigore in materia peraltro non sono state modificate e alcune di esse necessitano di un chiarimento dal competente Ministero, infatti si tratta di:
    la legge n. 12 del 1979, che all'articolo 1 stabilisce che «... gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro a norma dell'articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra.»;
    il decreto ministeriale 20 giugno 2011, che all'articolo 5 prevede: «in caso di ammissione alla pratica presso lo studio di uno degli altri professionisti, previsti dall'articolo 1 della legge n. 12 del 1979, questi, oltre a quanto previsto per i consulenti del lavoro, devono aver effettuato la comunicazione di cui al primo comma del medesimo articolo 1, da almeno tre anni. Nell'ipotesi prevista dal precedente comma, i praticanti, nel numero massimo previsto dall'articolo 7, potranno essere ammessi esclusivamente presso lo studio per il quale sia stata effettuata la comunicazione e nel quale venga effettivamente svolta l'attività di cui al primo comma dell'articolo 1 della legge n. 12 del 1979.»;
    la legge n. 148 del 2011 all'articolo 3, comma 5 prevede: «Fermo restando l'esame di stato di cui all'articolo 33, quinto comma, della Costituzione, per l'accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti...». Vengono inoltre fissati alcuni principi a cui gli ordinamenti devono attenersi nel riformare la rispettiva struttura: a) l'accesso alla professione è libero. La limitazione in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione... è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico; b) la disciplina del tirocinio deve conformarsi a criteri che garantiscano l'effettivo svolgimento dell'attività formativa...»;
   nelle scorse settimane il Consiglio provinciale dell'Ordine dei consulenti del lavoro di Padova a cui si era rivolta una praticante ai fini della iscrizione al prescritto registro, nel respingere la richiesta ha motivato il diniego in questo modo:
    «in quanto il nuovo Regolamento sul tirocinio obbligatorio per l'accesso alla professione di consulente del lavoro, in vigore dal 1o gennaio 2015, cita testualmente:
     All'articolo 1, comma 1, lettera c) per professionista si intende il Consulente del lavoro iscritto all'Ordine dei Consulenti del lavoro ai sensi della legge n. 12 del 1979, articolo 9;
     All'articolo 8 il tirocinio può essere svolto presso il Consulente del lavoro iscritto all'Albo da almeno 5 anni che operi come libero professionista;
    pertanto a far data dal 1o gennaio 2015 è esclusa la possibilità di svolgere il tirocinio obbligatorio presso un professionista diverso dal Consulente del lavoro.»;
   il provvedimento del Consiglio provinciale dei Consulenti del lavoro appare in contrasto con la legge n. 148 del 2011 laddove prevede che ogni limitazione possa essere posta in essere solo con disposizione di legge e qualora risponda a ragioni di interesse pubblico contrasta con l'articolo 1 della legge n. 12 del 1979 laddove abilita i dottori commercialisti a svolgere la professione di Consulenti del lavoro ed inoltre introduce una limitazione nell'accesso alla professione che contrasta con gli orientamenti europei e nazionali che tendono a superare le limitazioni del passato –:
   se sia al corrente della situazione rappresentata in premessa e quali iniziative se del caso normative, intenda porre in essere per ricondurre l'esercizio del praticantato alla professione dei consulenti del lavoro nell'alveo delle norme vigenti che non possono ritenersi superate da un regolamento adottato dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
(4-10265)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TENTORI e TERROSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si riscontrano diversi casi, in particolare in alcune zone d'Italia quali le aree pedemontane lombarde, in cui si presenta l'indisponibilità dei proprietari terrieri a sottoscrivere contratti di affitto con gli agricoltori;
   nonostante ad oggi vi sia una reale convenienza nel regolarizzare i rapporti di conduzione in essere sottoscrivendo i relativi contratti, tale indisponibilità permane ed è frutto di diverse cause, tra le quali l'elevata frammentazione delle particelle fondiarie ed in particolare una consuetudine che si è tramandata per molto tempo, ma anche l'approssimativa e spesso distorta conoscenza delle norme che regolamentano i rapporti fra proprietà fondiaria ed aziende agricole;
   la circolare ALEA del 29 febbraio del 2012 (ACIU.2012.90) ha stabilito che a decorrere dal 25 novembre del 2011 non possono più essere utilizzati ai fini della costituzione del fascicolo aziendale i contratti di affitto cumulativi sottoscritti unilateralmente dal conduttore dei terreni, di conseguenza non è più possibile ottenere gli interventi comunitari per tutti quei fondi agricoli condotti con contratto agrario verbale, nonostante questo sia tuttora previsto dalle normative che disciplinano i contratti agrari quali il Codice Civile e la legge 203 del 1982;
   la regione Lombardia, disponendo di un proprio organismo pagatore e dunque di una propria autonomia per quanto riguarda le regole di gestione del fascicolo, non ha mai precluso l'utilizzo di tale tipologia di contratto anche in assenza di dichiarazioni da parte dei proprietari;
   il decreto ministeriale n. 1922 del 20 marzo 2015 all'articolo 9 comma 2 disciplina la questione dei contratti verbali per il periodo 2006/2014 e al contempo intende che sia da considerare valida per le attività in essere dal 2015 in poi;
   nonostante ciò il comma 1 del suddetto decreto secondo alcune interpretazioni sembra circoscrivere gli effetti del provvedimento ai controlli dell'operazione bonifica del 2013;
   il 1o luglio 2015 la regione Lombardia ha approvato il manuale di gestione del fascicolo aziendale, recependo le disposizioni della circolare ALEA n. ACIU.2012.90 del 29 febbraio 2012, e non sembra quindi aver recepito l'articolo 9 del decreto ministeriale n.1922 del 20 marzo 2015;
   tale epilogo ha comportato la sottrazione di migliaia di particelle fondiarie dai fascicoli aziendali degli agricoltori lombardi, in particolare nella fascia pedemontana caratterizzata da una più alta frammentazione fondiaria, e di conseguenza la perdita dei premi comunitari e dei requisiti fondamentali per la sussistenza stessa di molte aziende agricole –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se esistano riscontri di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenda promuovere, qualora tali premesse siano confermate, a favore degli agricoltori coinvolti e se non ritenga urgente fornire un'interpretazione autentica delle norme esistenti al fine di chiarire in maniera inequivocabile la questione descritta in premessa per evitare la sottrazione di migliaia di ettari di superfici coltivate dai fascicoli delle aziende agricole, in conseguenza dell'indisponibilità dei proprietari a sottoscrivere contratti bilaterali di affitto;
   se non ritenga utile prevedere azioni di sensibilizzazione ed informazione tra proprietà fondiarie e aziende agricole per promuovere la sottoscrizione di regolari contratti di affitto, e valutare sanzioni non solo per i conduttori, che già ne sono soggetti, ma anche per i proprietari che, disponendo di terreni coltivati in assenza di regolari contratti di affitto, non siano in grado di dimostrare all'amministrazione finanziaria con quali mezzi e con quali modalità vengano coltivate tali superfici. (5-06324)


   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   premesso che: la dimensione del caporalato nel nostro Paese sta assumendo caratteri drammatici e presenta numeri e dati che rappresentano una situazione in costante e continuo aumento come testimoniato dalla tragedia consumatasi il mese scorso nelle campagne Pugliesi;
   la morte della bracciante pugliese Paola Clemente e del cittadino di origini sudanesi colpito da infarto lo scorso mese luglio hanno messo in risalto una realtà d'illegalità, sfruttamento, connivenza e lesione di fondamentali diritti;
   per la verità tali drammi sono solo gli ultimi di una lunga catena di soprusi e prepotenze che hanno come teatro le campagne italiane ed in special modo del Meridione, lo scorso hanno infatti le cronache hanno messo in luce il caso di diverse donne proveniente dall'est Europa sfruttate e sottopagate nelle campagne siciliane del ragusano;
   un recente studio pubblicato dall'osservatorio Placido Rizzotto di Flai CGIL, ha fatto emergere dati assolutamente sconcertanti;
   almeno 400 mila lavoratori agricoli (più dell'80 per cento stranieri) si confrontano ogni giorno con l'arcaica pratica dello sfruttamento, che ancora oggi nel terzo millenio rappresenta l'unica occasione per entrare nel mercato del lavoro, sia pur in modo sommerso ed illegale;
   ben 100 mila lavoratori e braccianti agricoli vivono in condizioni estreme manifestando disagi abitativi, assenza di accessi ai servizi igienici, oltre a questi dati va ricordato che ben il 72 per cento, dei braccianti occupati nelle campagne è soggetto al rischio di contrarre gravissime malattie;
   il caporalato in agricoltura, rappresenta ancora oggi fenomeno criminale presente in tutta Italia, da nord a sud, e costituisce un costo enorme per le casse dello Stato, in termini di evasione contributiva;
   alcuni dati infatti testimoniano un ammontare di evasione superiore ai 500 milioni di euro l'anno;
   sarebbero 80, come testimoniato dall'osservatorio della CGIL, in Italia i distretti agricoli nei quali il caporalato è particolarmente diffuso;
   in almeno 30 distretti agricoli si sono riscontrate condizioni di lavoro che rasentato l'indecenza e l'inciviltà;
   in 22 realtà agricole è possibile documentare, attraverso dati diffusi, condizioni di lavoro altamente sfruttato;
   nella maggior parte dei casi il dato dominante è rappresentato dall'intermediazione illecita di manodopera, in un settore economico in cui il numero delle aziende censite è passato da oltre tre milioni nel 1990 a circa 2,4 milioni nel 2000, per poi ridursi a poco più di 1,6 milioni nel 2010;
   la realtà del caporalato sempre più presente nelle nostre campagne ha ormai assunto i caratteri di una vera e propria organizzazione criminale ben radicata nel territorio;
   le cifre di questa indecente pratica fatta di sfruttamento e mancanza assoluta di diritti sono impressionanti;
   i caporali infatti impongono ai lavoratori agricoli un «pizzo» che ammonta al del 50 per cento del salario; la quota di reddito sottratta dai caporali ai lavoratori si attesta attorno al 50 per cento della retribuzione prevista dai contratti nazionali e provinciali di settore;
   i lavoratori percepiscono un salario giornaliero tra i 25 e i 30 euro, per una media di 10 – 12 ore di lavoro;
   ai già drammatici dati si deve aggiungere che i caporali, impongono anche le proprie «tasse» giornaliere ai lavoratori: 5 euro per il trasporto sui campi, 3,5 euro per un panino e 1,5 euro per ogni bottiglia d'acqua consumata;
   in alcuni casi fanno pagare anche il fitto degli alloggi, spesso si tratta di abitazioni fatiscenti, maleodoranti e prive di acqua e servizi igienici in cui i lavoratori vengono ammassati;
   lo sfruttamento della manodopera è il primo anello della penetrazione mafiosa in agricoltura;
   negli ultimi anni le organizzazioni criminali che alimentano le proprie finanze con il malaffare sono diventate sempre più una entità economica in grado di confrontarsi con lo scenario mondiale acquisendo la capacità di avvalersi delle nuove frontiere aperte dal libero mercato e dalla globalizzazione;
   la criminalità organizzata nel settore agroalimentare è arrivata a controllare e condizionare l'intera filiera agroalimentare, dalla produzione agricola all'arrivo della merce nei porti, dai mercati all'ingrosso alla grande distribuzione;
   le agromafie starebbero concentrando le proprie attività preminenti nella tratta di essere umani finalizzata allo sfruttamento lavorativo e il caporalato in agricoltura;
   il riciclaggio di capitali illeciti attraverso il lavoro nero e grigio, sarebbe il centro di ingenti investimenti industriali legati al ciclo della trasformazione;
   tali attività sono finalizzate alla gestione della logistica e del trasporto dei prodotti ortofrutticoli e alimentari di derivazione industriale, con l'obiettivo di condizionare la borsa dei prezzi, nonché l'infiltrazione mafiosa nella filiera della distribuzione e dell’export;
   il sommerso ed il lavoro nero, in questo contesto, diventano strumenti che favoriscono l'illegalità rafforzando economicamente le organizzazioni criminali e rappresentano un costo esorbitante per le casse dello Stato italiano –:
   quali politiche il Governo intenda sviluppare al fine di arginare e combattere il tema del caporalato in agricoltura;
   se il Governo ritenga utile prevedere l'estensione del reato di caporalato all'imprenditore che ne tragga vantaggio;
   se si ritenga opportuna prevedere l'estensione delle misure di prevenzione patrimoniale antimafia agli imprenditori che si avvalgono dei caporali nel reclutamento della forza lavoro;
   se e con quali misure il Governo intenda tutelare le vittime di grave sfruttamento lavorativo anche attraverso la costituzione ed il finanziamento di programmi specifici e volti a sostenere coloro i quali denunciano sfruttamento ed il dilagare del caporalato;
   se il Governo intenda favorire il ritorno al collocamento pubblico in agricoltura con l'incontro in luoghi pubblici della domanda e dell'offerta di lavoro; l'applicazione degli indici di congruità, per fissare la forza di lavoro necessaria in base alle tonnellate di prodotto. (5-06326)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, lo sfruttamento del lavoro agricolo rappresenta una vera e propria emergenza che investe il mondo del lavoro: caporalato e lavoro nero sono soltanto alcuni dei tanti fenomeni di illegalità che producono forme di nuove «schiavitù» con conseguenze estreme, come purtroppo accaduto sempre più spesso in queste ultime settimane che hanno visto moltiplicarsi i casi di decessi nei campi di lavoratori, molti dei quali migranti, a causa delle condizioni inumane di lavoro e di vita a cui erano costretti;
   secondo l'ultimo rapporto «Agromafie e Caporalato», redatto dall'osservatorio Placido Rizzotto, il sommerso occupazionale nel settore agricolo, nel caso dei lavoratori dipendenti tocca a media nazionale del 43 per cento con un valore aggiunto prodotto dall'economia sommersa pari al 36 per cento; le stime parlano di circa 400.000 lavoratori che potenzialmente trovano un impiego tramite i caporali, di cui circa 100.000, prevalentemente stranieri, presentano forme di grave assoggettamento dovuto a condizioni abitative e ambientali considerate paraschiavistiche;
   sono almeno 15 mila gli italiani che nel settore agricolo oggi vivono le stesse situazioni di vulnerabilità e sfruttamento degli stranieri quanto a condizioni di lavoro. Ad anticipare questa stima è Francesco Carchedi, docente all'università di Roma «La Sapienza» presso la facoltà di Sociologia e coordinatore scientifico dell'osservatorio «Placido Rizzotto»; i lavoratori dipendenti in agricoltura sono circa 1,3 milioni, di questi un quarto sono stranieri. Altre 400-500 mila sono le persone che lavorano in nero. Gli italiani sono circa un milione, una parte di loro però non è messa in regola in modo trasparente; l'Italia si conferma così terra di agricoltura e caporali;
   questo fenomeno di moderne forme illegali di reclutamento e organizzazione della manodopera non è circoscritto solo alle regioni meridionali quali in particolare Puglia e Sicilia e Calabria, ma riguarda anche un settore agricolo di eccellenza come la viticoltura, includendo regioni settentrionali, quali il Piemonte, in cui si producono vini doc tra i più pregiati al mondo e che hanno costi di mercato molto alti;
   la recente inchiesta di Giancarlo Gariglio e la denuncia fatta da un gruppo di imprenditori delle Langhe e del Monferrato contro i meccanismi di illegalità (La Repubblica, 27 giugno 2015) attraverso cui la manodopera straniera in viticoltura viene pagata 3 euro l'ora, hanno di nuovo acceso i riflettori su questo grave fenomeno, in particolare sul mondo delle «cooperative senza terra», che non dispongono di campi o vigne ma solo di «braccia»; queste cooperative nascono per svolgere una funzione di vero e proprio caporalato, ponendosi da intermediarie tra i titolari delle vigne e il popolo dei braccianti proveniente, per quanto riguarda il Piemonte, prevalentemente dall'est Europa, imponendo paghe orarie o giornaliere ben al di sotto di quanto previsto per legge dai sindacati di categoria soprattutto nel caso di lavoro a cottimo, che è la formula maggiormente utilizzata e che permette ampi margini di manovra perché si tratta di un lavoro «chiavi in mano», in cui l'azienda vinicola non è tenuta a controllare, non è responsabile di nulla, se non del lavoro finito. Per questi operai, ad esempio, l'orario di lavoro prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e le 15, che determina spesso casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento viene «gentilmente» rimpatriato e non più richiamato. Sul lavoro a cottimo anche la cooperativa ha margini di manovra molto ampi, perché si assume i rischi di impresa ma può sfruttare di più i suoi «soci». Così facendo si abbattono ancora di più i salari: quando un operaio lavora in nero la cifra arriva a 3 euro; con il lavoro a cottimo entrano tra i filari soprattutto le squadre non regolari delle cooperative, quelle che annoverano tra le file lavoratori stranieri con permessi turistici, che operano soprattutto nei week end, quando il rischio di controlli delle autorità è minimo;
   a margine si trovano poi soggetti differenti che collaborano e ingrossano il traffico di manodopera: ci sono cooperative, anche piuttosto strutturate e con uffici stabili, che hanno due tariffari differenti: bianco (10 euro + Iva) e nero (da 8 euro in giù): fatturano a ora o a cottimo, in base al tipo di lavoro richiesto; esistono poi cooperative di servizio più piccole, che hanno tariffe ancora più basse (da 6 euro a scalare); infine ci sono dei veri e propri caporali (che lavorano per altre cooperative e quindi sanno che esistono punte di richiesta di manodopera), che assoldano per periodi molto brevi i propri connazionali e spesso forniscono anche il passaggio in Italia. In questo caso non esiste fatturazione, si fa tutto in nero e le tariffe calano fino ai 3 euro l'ora, anche per 10 ore di lavoro giornaliero. I caporali alcune volte riforniscono di manodopera le cooperative regolari, e così guadagnano anche una percentuale. La tratta di questi «schiavi» comprende l'offerta di un letto in camerate sovraffollate a 200 euro il mese;
   la normativa esistente per combattere il caporalato, sia a livello regionale che a livello nazionale, vista la vastità e la persistenza del fenomeno non è stata adeguatamente applicata e spesso è risultata inefficace a fronte della carenza di controlli che, negli ultimi anni, invece di essere potenziati hanno visto una riduzione –:
   in considerazione della gravità e della emergenza causata dai fenomeni descritti in premessa, quali azioni siano state attuate e quali il Governo intenda attuare per potenziare e rendere più efficace il sistema di vigilanza e di controllo sul lavoro in agricoltura al fine di garantire il rispetto delle norme vigenti in materia di lavoro e di rispetto di diritti umani.
(4-10266)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 200 del 26 ottobre 2010 prevede che come mezzo di identificazione sia utilizzato un tatuaggio, marca auricolare o altro mezzo apposto sull'animale senza comprometterne il benessere, che consente di identificare l'animale e l'azienda di origine per tutta la durata della sua vita;
   il paragrafo 2 dell'allegato 1 al suddetto decreto legislativo prevede, nel dettaglio, l'esecuzione di un tatuaggio all'orecchio sinistro, a livello del padiglione auricolare in maniera che risulti leggibile. In alternativa, il tatuaggio potrà essere effettuato sulla parte esterna delle cosce, secondo le modalità stabilite dal relativo disciplinare per i suini allevati in aziende che aderiscono a consorzi di tutela della denominazione d'origine dei prosciutti, inoltre è consentito, in aggiunta al tatuaggio, l'uso di una marca auricolare in materiale non deteriorabile da apporre al padiglione auricolare dell'orecchio destro;
   da ciò si desume che l'esecuzione del tatuaggio sull'orecchio, nel caso in cui venga già effettuato sulla coscia, in quanto iscritto a un consorzio di tutela (Parma o San Daniele per esempio), è facoltà dell'allevatore;
   inoltre, secondo la normativa sul benessere animale, è necessario evitare inutili sofferenze agli animali, tant’è che è stato vietato il taglio, delle orecchie;
   la decisione sul tipo di tatuaggio da effettuare, in realtà, dipende dalle decisioni delle aziende sanitarie locali, cui è delegata la competenza dei controlli in merito all'attuazione del suddetto decreto legislativo n. 200 del 2010;
   tali aziende nella quasi totalità dei casi, fanno eseguire il tatuaggio anche sull'orecchio sinistro, provocando inutili sofferenze all'animale e causando uno spreco di tempo e risorse. Quello dell'identificazione dei suini è un processo lungo ed impegnativo, che necessita di almeno due dipendenti ogni qualvolta viene eseguito. Ciò comporta che gli allevatori, onde evitare inutili controversie con i veterinari, fanno eseguire il tatuaggio anche all'orecchio –:
   se non si ravvisi la necessità di assumere iniziative normative volte a vietare esplicitamente il tatuaggio auricolare qualora il detentore e/o proprietario dei suini risulti iscritto ai consorzi di tutela o, in alternativa, prevedere l'emanazione di una circolare esplicativa con la quale si specifica che il tatuaggio in questione è facoltativo e non obbligatorio. (5-06325)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'autocontrollo per le persone malate di diabete è una pratica quotidiana o settimanale fondamentale;
   in Italia, secondo i dati forniti dall'indagine conoscitiva del Senato, solo una persona diabetica su quattro usufruisce dell'esenzione per patologia;
   l'accesso ai dispositivi per l'autocontrollo è garantito solo al 24 per cento delle persone diabetiche;
   oltre la metà delle persone diabetiche ha un valore di emoglobina glicata superiore al 7 per cento, da qui l'ulteriore elemento che sottolinea l'importanza dell'autocontrollo che rappresenta a tutti gli effetti un vero atto terapeutico;
   i dispositivi oggi erogati alle persone diabetiche sono di tipo tradizionale con glucometri che si basano su aghi pungi dito che vengono utilizzati quotidianamente nonostante che oggi siano in commercio dispositivi meno impattanti che possono migliorare la qualità della vita delle persone diabetiche mantenendo un livello di monitoraggio altissimo;
   dall'autunno del 2014 sono commercializzati dispositivi che non impongono la puntura sul dito ma con un piccolo sensore misura automaticamente il glucosio e ne memorizza continuamente i valori, giorno e notte;
   si tratta di dispositivi che l'Italia ha già riconosciuto e per i quali ha autorizzato la commercializzazione ma ad un costo proibitivo per molte persone malate di diabete; infatti Starter Kit è venduto al prezzo di euro 169,90, il sensore è venduto al prezzo di euro 59,90, il lettore è venduto al prezzo di euro 59,90;
   in assenza di inserimento del citato dispositivo nell'elenco dei dispositivi per diabetici forniti da servizio sanitario nazionale, oggi le persone diabetiche che intendessero acquistare il dispositivo a proprie spese dovranno farlo al costo di oltre 1500 euro annui;
   nel riaffermare che l'effettivo utilizzo o meno del nuovo dispositivo nel piano terapeutico personalizzato va doverosamente e necessariamente discusso preventivamente con il diabetologo, è necessario procedere alla verifica della affidabilità del dispositivo, che utilizza sensori per la misurazione per monitorare il trend glicemico, da parte dell'AIFA ovvero dalla direzione farmaco e dispositivi medici del Ministero della salute, che devono essere chiamati a determinare, in tempi brevi il grado di affidabilità al fine di inserire il dispositivo innovativo tra i dispositivi erogabili alle persone diabetiche –:
   se il dispositivo innovativo per l'autocontrollo della glicemia è stato sottoposto a verifica da parte dell'Aifa e dalla direzione farmaco e dispositivi medici del Ministero della salute, quali gli esiti e in caso positivo i tempi entro cui il nuovo dispositivo sarà distribuito alle persone con diabete mellito e tenuto conto dell'importanza dell'autocontrollo se non ritenga di: a) riconoscere l'autocontrollo glicemico e l'educazione come veri atti terapeutici, b) procedere all'inserimento dell'autocontrollo nei LEA. (5-06327)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il virus del Nilo occidentale (noto anche con la denominazione inglese West Nile Virus, WNV) è un flaviviridae del genere Flavivirus (di cui fanno parte anche il virus della febbre gialla, il virus dell'encefalite di Saint-Louis, il virus dell'encefalite di Murray Valley e il virus dell'encefalite giapponese). Il suo nome viene dal distretto di West Nile in Uganda, dove è stato isolato per la prima volta nel 1937 in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi. La malattia ha un andamento endemico-epidemico ed inizialmente risultava diffusa soprattutto in Africa (specie in Egitto), Medio Oriente, India. Ad oggi il virus del Nilo occidentale deve essere ormai considerato un patogeno endemico in Africa, Asia, Australia, Medio Oriente, Europa e negli Stati Uniti;
   nel 2012 si è verificata una delle peggiori epidemie virali, nel corso della quale sono morte 286 persone negli Stati Uniti, con lo stato del Texas che è risultato particolarmente interessato dall'infezione virale. Sempre nel 2012 in Italia è stato identificato un nuovo ceppo del virus. Il virus colpisce sia gli animali, in particolare i cavalli, sia gli esseri umani. All'apice del focolaio epidemico del 2002, sono stati registrati 15.000 casi solo nei cavalli. L'impatto dell'infezione virale sui cavalli e nell'industria americana dell'allevamento equino è stato devastante, con un tasso di mortalità circa del 40 per cento. Nel 2008 un focolaio endemico in Italia ha determinato casi sia nelle persone sia nei cavalli. Sono stati riportati casi di infezione in 77 cavalli e due persone;
   approssimativamente circa l'80 per cento delle infezioni da West Nile Virus, nell'essere umano non causano sintomi evidenti. Il periodo d'incubazione è tipicamente compreso tra 2 e 15 giorni. Nel caso, invece, si verifichi una sintomatologia, questa è generalmente dominata dalla febbre, e da qui il nome di febbre del Nilo occidentale. Raramente oltre alla febbre possono comparire alcune gravi complicazioni neurologiche, quali meningite e encefalite;
   la modalità principale di trasmissione del virus del Nilo occidentale è rappresentata da diverse specie di zanzare, che sono il primo vettore. Tra queste, in particolare, riveste un ruolo primario il genere Culex. Ovviamente tutti i fattori che favoriscono la proliferazione delle zanzare, come ad esempio le piogge abbondanti, le irrigazioni dei terreni agricoli o condizioni climatiche con temperature alte, determinano un importante aumento del numero dei casi di contagio. Gli uccelli, siano essi stanziali, migratori o domestici, giocano un ruolo cruciale nella disseminazione del virus essendo l'animale più comunemente infettato e rappresentando il primo serbatoio. Tra gli uccelli sono soprattutto i passeriformi, il più grande ordine di uccelli, a rappresentare il serbatoio naturale del virus. Gli uccelli migratori permettono invece lo spostamento del virus dall'Africa, prima zona endemica, verso altre zone temperate. Le zanzare, in particolare del genere Culex, pungendo gli uccelli migratori asportano sangue infetto, infettano sé stesse e quindi ogni altro animale, uomo compreso, di cui assumono il sangue successivamente. Bisogna comunque tenere presente che non tutte le specie animali suscettibili di infezione da virus, WNV (compresi gli esseri umani), così come non tutte le specie di uccelli, sono in grado di sviluppare nel sangue concentrazione virali sufficienti per poter trasmettere la malattia alle zanzare infettandole. Pertanto non tutti gli animali suscettibili possono essere considerati fattori principali di trasmissione virale;
   in Italia è in vigore dall'anno 2008 una ordinanza del Ministero della salute (Ordinanza 5 novembre 2008 West Nile Disease – Notifica alla Commissione europea e all'OIE – Piano di sorveglianza straordinaria) che dà il via ad un piano di sorveglianza Straordinaria della West Nile Disease. Il virus del Nilo è stato infatti dichiarato endemico nel nostro Paese dalle autorità sanitarie. Questa ordinanza prevede anche il coinvolgimento dei medici veterinari liberi professionisti. Con il piano di sorveglianza straordinaria si intensificano le misure straordinarie di sorveglianza «finalizzate alla cognizione dell'espansione del fenomeno». L'attenzione al fenomeno è rivolta ad uccelli stanziali appartenenti a specie bersaglio (Gazza, Cornacchia grigia, Tortora dal collare orientale), e alla fauna culicidica (anche con posizionamento di trappole per la cattura di zanzare);
   la segnalazione dei casi sospetti nei cavalli è stata incoraggiata anche dalla Società italiana dei veterinari per equini (SIVE), secondo le linee guida fornite dall'Istituto zooprofilattico di Teramo: I medici veterinari pubblici e liberi professionisti sono tenuti alla sorveglianza sindromica nei cavalli. L'attività prevede la messa a punto e distribuzione di un questionario ai medici veterinari con la finalità di individuare cavalli in cui, nel periodo di attività dei vettori, si sono manifestate sindromi neurologiche riferibili alla malattia;
   la malattia può essere anche mortale, specialmente in individui anziani e immunodepressi. In Italia nell'agosto 2008 si è registrata la presenza del virus West Nile in alcune province dell'Emilia-Romagna, del Veneto e della Lombardia, tutte in prossimità del fiume Po e del suo delta. Il primo caso, nel corso del 2009, è stato confermato in un cavallo il 29 luglio 2009, a nord di Correggio, una cittadina che dista 60 chilometri da Ferrara, luogo dove ha avuto inizio l'epidemia del 2008, che ha colpito complessivamente una settantina di cavalli e sei esseri umani. Dopo questa epidemia il WNV è stato dichiarato endemico in Italia. Sono 86 casi documentati in Italia fino alla fine del 2014, che hanno portato a 10 decessi;
   nel 2015 in provincia di Mantova sono stati già documentati 3 casi di WNV in realtà comunali segnate da impatti ambientali notevoli (Pegognaga, Moglia, Revere);
   si segnala come a Pegognaga siano in funzione, fra l'altro, due impianti notevolmente inquinanti: la Copernit spa (bitumificio), che ha recentemente ottenuto di costruire una nuova linea produttiva nonostante le segnalazioni di molestie odorigene e le emissioni importanti, e l'impianto a biomasse Unitea, che tratta scarti di macellazione provenienti da buona parte della provincia di Reggio Emilia; ad oggi è anche in corso la sperimentazione Gedis per l'incenerimento del digestato; vedi l'interrogazione 4/10179 a prima firma Zolezzi;
   nel comune di Moglia è prevista la costruzione di un impianto di trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi da parte della azienda Ecologia Papotti srl, (vedi interrogazione numero 4/09809) che comprometterebbe notevolmente la qualità dell'aria in tale comune;
   il WNV si manifesta più facilmente in persone anziane, immunodepresse o in condizioni di salute scadenti; l'inquinamento atmosferico è causa intrinseca di incremento di mortalità (dati AIRC 2014) e di morbilità e può predisporre la riduzione delle difese immunitarie –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per arginare la diffusione del virus;
   se in particolare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano adoperarsi, in raccordo con gli enti territoriali competenti, per contrastare il più efficacemente possibile, specie nelle aree limitrofe al Po, la presenza di elementi inquinanti che possono favorire tale diffusione. (5-06336)


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel Sulcis Iglesiente e in particolar modo nella struttura sanitaria di Iglesias con un provvedimento a dir poco scandaloso sono state di fatto sospese tutte le attività relative alle urgenze notturne e festive;
   sono state chiuse le sale operatorie per mancanza di infermieri;
   negli ospedali iglesienti ad oggi è vietato avere un'emergenza sanitaria;
   con un documento che appare all'interrogante folle e irresponsabile, la Asl di Iglesias ha praticamente detto che le sale operatorie restano chiuse per la notte e per le feste;
   si tratta di una vergogna senza precedenti che conferma la totale inadeguatezza del governo della sanità sarda e mette a repentaglio il diritto costituzionale alla salute in capo al Ministero della salute;
   è indispensabile che il Ministro della salute metta in essere atti di controllo e ispezione per verificare se è riscontrabile questa inadeguatezza gestionale, che mette a repentaglio la vita dei cittadini e fa emergere sprechi inauditi nella gestione;
   la nota interna della Asl in questione ha comunicato che nell'ospedale Santa Barbara di Iglesias, nei giorni festivi e durante la notte non si può intervenire chirurgicamente perché le sale operatorie sono chiuse;
   una costante mancanza di personale nell'organico infermieristico;
   in tutta la Sardegna a giudizio dell'interrogante si registrano centinaia di assunzioni clientelari e poi mancano gli infermieri che, in realtà ci sono, ma non vengono stabilizzati come prevede la norma nazionale;
   la comunicazione della Asl in questione al presidio chirurgico dell'ospedale sopracitato riguardante l'interruzione della pronta disponibilità delle sale operatorie per le urgenze festive e notturne è avvenuta a poca distanza temporale dallo svolgimento delle ordinarie attività nei giorni festivi e durante la notte;
   emerge da quanto descritto una sanità in mano a persone irresponsabili e incapaci che giocano sulla pelle dei sardi senza alcun tipo di rispetto;
   la sanità sarda risulta a giudizio dell'interrogante al collasso e il documento sopra descritto diramato dall'Asl in questione, è la dimostrazione della irresponsabilità più evidente di chi governa un settore così delicato;
   la decisione di sospendere di punto in bianco gli interventi chirurgici durante i turni notturni e festivi, costituirebbe di fatto, a parere dell'interrogante, una gravissima interruzione di pubblico servizio e omissione di soccorso qualora si verificassero casi d'urgenza –:
   se la situazione descritta in premessa possa compromettere i livelli essenziali di assistenza nel territorio di Iglesias.
(5-06346)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'intervento ricostruttivo di «metoidioplastica», che consente di adeguare i caratteri sessuali di un soggetto affetto da disturbo di identità di genere, è una spesa sanitaria detraibile. Secondo il documento si tratta, infatti, di una prestazione con finalità terapeutiche, necessaria per la salute psichica del richiedente;
   a chiarirlo, l'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 71/E del 3 agosto 2015;
   l'Agenzia ha accolto la soluzione prospettata dall'istante, secondo il quale l'operazione non è un intervento di chirurgia estetica e, pertanto, il relativo costo può essere portato in detrazione come spesa medica;
   la risoluzione sottolinea, in primo luogo, che l'adeguamento dei caratteri sessuali, tramite intervento chirurgico deve essere preventivamente autorizzato dal tribunale (articolo 31, del decreto legislativo n. 150 del 2011);
   al riguardo, l'istante ha prodotto la sentenza del tribunale relativa al suo caso, da cui risulta che il trattamento richiesto è finalizzato ad assicurare l'equilibrio psicofisico del paziente, è compatibile con il «disturbo di identità di genere» e non comporta controindicazioni di tipo psicopatologico;
   anche il Ministero della salute, interpellato sul punto, ha precisato che l'intervento chirurgico di adeguamento dei propri caratteri sessuali, autorizzato dal tribunale previo accertamento del «disturbo di identità di genere», è un intervento medico-sanitario con finalità di cura;
   sulla base di tali considerazioni l'Agenzia ritiene che le spese in esame possano rientrare tra quelle sanitarie detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettera c), del TUIR;
   il recente decreto-legge Enti locali appena approvato in via definitiva alla Camera taglia 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario, ridotto a 109,7 miliardi per il 2015. Nel 2010 era di 112,6 miliardi –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire al fine di modificare la classificazione di intervento medico-sanitario con finalità di cura per l'intervento ricostruttivo di «metoidioplastica» al fine di reindirizzare le risorse previste verso patologie la cui diffusione e incidenza necessita di fondi per le cure, ricordando i tumori e le epatiti tra i più penalizzati. (4-10268)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 4 settembre, l'Ordine dei farmacisti di Trieste ha diramato la circolare n. 052/15 con cui si chiede ai farmacisti di prestare attenzione alle prescrizioni di farmaci contenenti ossicodone; nel documento, ricordando il fenomeno verificatosi alcuni anni fa quando numerose furono le presentazioni di ricette fotocopiate o modificate proprio per ottenere l'erogazione di farmaci contenenti tale sostanza, si invitano altresì i destinatari a segnalare all'Ordine eventuali irregolarità ove ci fosse un ragionevole dubbio;
   la circolare è stata inviata a seguito di una comunicazione inviata dall'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 di Trieste ai medici di medicina generale e, per conoscenza, all'Ordine dei medici di Trieste e all'Ordine dei farmacisti di Trieste, con cui richiamano i medici prescrittori ad attenersi alle indicazioni terapeutiche previste dall'AIFA nella redazione delle ricette a base di ossicodone;
   la comunicazione dell'ASS specifica che «negli ultimi mesi il Dipartimento delle Dipendenze dell'ASS 1 ha rilevato un sensibile aumento di ragazzi under 25 con un grave problema di dipendenza al principio attivo ossicodone. Tale fenomeno ricalca quanto sta succedendo in altre aree urbane italiane e quanto è accaduto negli USA, dove si sono registrate numerose intossicazioni acute e decessi»;
   il monitoraggio dell'ASS 1 sulle prescrizioni effettuate partendo dal 2012, ponendo particolare attenzione alla fascia di popolazione degli under 25, ha confermato una crescita molto importante del numero delle ricette fatte ed, in alcuni casi, ripetute nel tempo;
   l'ossicodone è un oppioide agonista con potenza elevata superiore alla morfina (2-4 volte) appartenente al gruppo dei fenantreni. È un potente farmaco antidolorifico, prescritto ai malati oncologici e a chi soffre di dolori cronici o postoperatori severi, acquistabile in tutte le farmacie. La sua somministrazione produce effetti e dipendenza simili a quelli dell'eroina quali euforia, perdita di memoria, affaticamento, vertigini, nausea, ansia, mal di testa e altro ed, in caso di sovraddosaggio, può causare respirazione superficiale, bradicardia, freddo, collasso circolatorio, arresto respiratorio e morte;
   la normativa italiana inserisce l'ossicodone nell'elenco di medicinali con forte attività analgesica che godono di particolari misure prescrittive per il trattamento dei pazienti affetti da dolore severo di cui all'Allegato III-bis del testo unico degli stupefacenti, il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309;
   tale sostanza, secondo la normativa vigente, può essere erogata su presentazione di ricetta medica del servizio sanitario nazionale o ricetta bianca non ripetibile in base all'articolo 89 del decreto legislativo del 24 aprile 2006, n. 219. Quest'ultima si può prestare facilmente a modificazioni e, pertanto, espone il medicinale ad un facile utilizzo improprio, oltre ad alimentare il fenomeno della cessione a terzi con la creazione di un vero e proprio mercato illegale di tale sostanza;
   articoli di stampa locali degli ultimi giorni (Il Piccolo del 6 settembre) hanno diffuso un preoccupante allarme relativo al consumo dell'ossicodone nella provincia di Trieste, evidenziando l'abuso della sostanza tra i giovani e allertando le famiglie, in particolare quelle in cui un membro faccia uso di farmaci contenenti il principio attivo –:
   se sia a conoscenza dell'entità del fenomeno e se il Ministero sia in possesso di dati e statistiche ad essa relative a livello nazionale;
   se il Ministero abbia posto in essere, anche in accordo con le regioni e le aziende sanitarie, azioni per arginare l'uso dell'ossicodone tra i giovani ed, in particolare, attraverso quali forme di prevenzione;
   quali iniziative intenda adottare per limitare il fenomeno, utilizzando i sistemi informatici a disposizione dei medici, come ad esempio le ricette dematerializzate già in uso per altre classi di farmaco;
   se non ritenga opportuno valutare l'utilizzo di un ricettario apposito per i farmaci contenenti l'ossicodone e per tutti i farmaci di cui all'Allegato III-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. (4-10281)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   Poste Italiane ha avviato il piano per la chiusura e la riorganizzazione, in tutta Italia, degli uffici postali considerati antieconomici: esso prevede la chiusura di 1.156 sportelli con altri 638 da razionalizzare riducendo l'orario e i giorni;
   tutto ciò nonostante Poste italiane sia un servizio pubblico universale, che deve essere garantito anche agli che abitano nelle zone remote del Paese;
   la legislazione nazionale sul tema è chiara poiché fa espresso riferimento alle aree geografiche remote del territorio nazionale, quali le ”isole minori” e le ”zone rurali e montane”, individuandole come ”situazioni particolari” meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale;
   al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, dovrebbe essere vietata la chiusura di uffici postali prevedono particolari garanzie per i comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa valutati in base ai dati demografici e le classificazioni ISTAT e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale;
   la stessa normativa comunitaria è chiara in tema di servizi pubblici essenziali e l'obbligo di fornitura;
   nonostante ciò, sono stati chiusi nel mese di settembre numerosi uffici postali in Calabria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo, Campania, Marche, Lombardia, Trentino Alto Adige, Val d'Aosta, Piemonte;
   il disagio colpirà soprattutto le persone che vivono nei luoghi più isolati, normalmente aventi un'età media alta, fatto che li priverebbe di un servizio difficilmente sostituibile col ricorso alle tecnologie informatiche e grave nocumento nel caso in cui non si trovino in casa al momento della consegna di una raccomandata costringendoli a recarsi presso il più «vicino» ufficio postale;
   i tribunali amministrativi regionali stanno emanando provvedimenti di sospensione delle chiusure poiché considerate fonte di grave danno per l'utenza che si vedrebbe privata dell'accesso al servizio universale postale a causa della chiusura degli uffici postali stessi –:
   sei fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi e urgenti intenda porre in essere per garantire a tutti i residenti sul territorio nazionale il servizio pubblico essenziale sopra descritto.
(2-01070) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENI, ALBINI e BECATTINI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi si sono svolti diversi incontri tra il Governo, gli enti locali e Poste italiane spa a seguito dell'annunciata chiusura di 450 uffici postali su tutto il territorio nazionale, prevista nel piano di razionalizzazione presentato dall'azienda lo scorso 16 dicembre 2014;
   l'ultimo piano di razionalizzazione presentato da Poste italiane spa prevede per la regione Toscana la chiusura di 59 uffici postali, dislocati principalmente in zone montane e in piccoli paesi;
   il nuovo piano, poco differente rispetto a quello presentato all'inizio dell'anno che prevedeva la chiusura di 65 uffici in tutto il territorio toscano, dimostra la mancata disponibilità da parte dell'azienda a valutare soluzioni alternative che non penalizzino le realtà locali più piccole e soprattutto le fasce più deboli della popolazione che usufruisce dei servizi da essa erogati;
   negli anni scorsi la Toscana, come altre regioni, ha già subito gli effetti di interventi di razionalizzazione messi in atto da Poste italiane spa con la chiusura di numerosi sportelli, tradottasi in enormi difficoltà soprattutto per gli utenti più anziani, spesso impossibilitati a spostarsi;
   a seguito dei disagi denunciati dai comuni interessati dal piano di razionalizzazione e dalla regione Toscana, il 3 settembre scorso si è tenuta davanti alla sede regionale delle Poste una manifestazione promossa dall'Anci Toscana e dall'Uncem (Unione delle comunità montane) per denunciare nuovamente la decisione assunta dall'azienda e per ribadire le innumerevoli ripercussioni negative che si avrebbero con la soppressione di un servizio fondamentale per tutta la comunità;
   nella stessa giornata, il Tar della Toscana si è pronunciato sui ricorsi presentati da 55 comuni e ha disposto per 3 uffici postali il rinvio della chiusura fino al 23 settembre giorno in cui si terrà l'esame del ricorso da parte del collegio, e per i restanti ha accolto le richieste di sospensiva dei provvedimenti di chiusura fino a quando non sarà calendarizzata la relativa discussione di merito. Inoltre il Tar ha condannato l'Azienda al pagamento delle spese legali sostenute finora dai comuni;
   anche il Tar del Friuli Venezia Giulia si è recentemente pronunciato sulla medesima materia, accogliendo il ricorso per l'illegittimità di chiusura di due uffici postali e affermando che la necessità di risparmio di Poste italiane spa non può prevalere sull'interesse pubblico allo svolgimento del servizio universale erogato alla collettività;
   a fronte della grande mobilitazione degli enti locali, delle associazioni e dei cittadini, nonché dei recenti pronunciamenti dei diversi tribunali amministrativi, è auspicabile che il Governo si attivi per la riapertura di un tavolo di confronto con Poste italiane spa –:
   se non intenda attivare tempestivamente un tavolo di confronto con Poste italiane spa, con il coinvolgimento degli enti locali interessati, al fine di definire una strategia di razionalizzazione che non penalizzi i territori più periferici e le fasce più deboli della popolazione, che verrebbero altrimenti privati di un servizio fondamentale. (5-06320)


   RICCIATTI, FRATOIANNI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, SCOTTO, PAGLIA, MARCON, MELILLA, NICCHI, DURANTI, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 agosto 2015 la testata Il Giornale dell'Umbria ha pubblicato una indagine che ha messo a confronto i dati del Ministero dell'economia e delle finanze relativi alle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef del 2014, con quelli delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2008;
   dalla comparazione è emersa una dettagliata fotografia sull'impoverimento che hanno subito i redditi dei cittadini nei 92 Comuni dell'Umbria a partire dalla crisi economica. I dati riportano una perdita di redditi Irpef (relativi a persone fisiche), negli ultimi sei anni, di 5,349 miliardi di euro;
   in particolare sono risultati maggiormente penalizzati i Comuni della fascia appenninica, da Nocera Umbra a Gubbio, interessati da importanti crisi industriali, che hanno perso redditi nell'ordine di decine di milioni di euro, con il picco di Nocera Umbra che segna un –11,4 per cento sui redditi prodotti rispetto al 2008;
   la crisi della fascia appenninica riguarda anche il versante marchigiano con numerose crisi aziendali ed esuberi di lavoratori, in più occasioni segnalate dagli interroganti;
   Nocera Umbra, così come l'area del fabrianese, è stata particolarmente colpita dalla crisi della società Antonio Merloni spa, una delle aziende leader del settore della produzione di elettrodomestici contoterzi, ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ex decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta «legge Marzano») proprio nel 2008;
   il 18 marzo 2015 è stato prorogato l'accordo di programma, sottoscritto presso il Ministero dello sviluppo economico dal Ministero dello sviluppo economico, dalla regione Umbria e dalla regione Marche, che prevede lo stanziamento di 35 milioni di euro da destinarsi agli incentivi per la reindustrializzazione dell'area, duramente colpita dalla crisi della ex Antonio Merloni. Tuttavia tale misura, in vigore dal 2010, non ha prodotto sino ad ora risultati significativi;
   il 12 ottobre 2015 scadrà la mobilità per i lavoratori di età compresa tra i 30 e 40 anni, circa 500 complessivamente tra Umbria e Marche;
   la situazione desumibile dai dati illustrati segnala una vera e propria «questione della fascia appenninica», determinata dalla crisi economica e dal crollo dei livelli occupazionali, ma anche da una risalente carenza di infrastrutture adeguate, necessaria al rilancio dell'economia del territorio;
   la situazione di stallo determinatasi sulla vicenda J.P. Industries (già segnalata dall'interrogante con gli atti di sindacato ispettivo n. 5-05614 «interrogazione a risposta in commissione presentata da Ricciatti Lara, testo di giovedì 14 maggio 2015, seduta n. 427» e n. 5-05985 «interrogazione a risposta in commissione presentata da Ricciatti Lara, testo lunedì 6 luglio 2015, seduta n. 455», alle quali integralmente ci si riporta), sta pregiudicando la possibilità di una piena ripresa dell'attività produttiva per i lavoratori reimpiegati a seguito dell'acquisizione del ramo d'azienda –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro in indirizzo, considerata l'inefficacia delle misure sin qui adottate ed il protrarsi della situazione di incertezza sulle prospettive occupazionali per molti dei lavoratori della ex Antonio Merloni spa, al fine di sostenere la ripresa economica dell'area della fascia appenninica umbro-marchigiana. (5-06328)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 12 maggio 2015 deputato interrogante ha depositato l'interpellanza urgente n. 2-00965, svolta poi in Assemblea il 12 giugno 2015 con la quale si chiedevano al Governo chiarimenti in merito al taglio dei fondi alle attività revisionali per le società cooperative, in conseguenza del quale, con nota protocollo n. 7421 del 21 gennaio 2015, il Ministero dello sviluppo economico (direzione generale per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali – divisione V) ha disposto la sospensione di tutti gli incarichi di revisione alle società cooperative (ovviamente, quelle non aderenti ad alcuna associazione di rappresentanza);
   a parere del deputato interrogante, si tratta di una decisione gravissima, dal momento che la lunga sequela di scandali che stanno emergendo e avvelenando il nostro tessuto economico produttivo, politico e sociale ci hanno dimostrato una situazione di malaffare inquietante, nel quale molto spesso sono coinvolte società cooperative in attività di finanziamento di un sistema corruttivo spaventoso;
   in quella sede, il deputato interrogante aveva sottolineato anche quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 220 del 2002 recante «Norme in materia di riordini della vigilanza sugli enti cooperativi, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, recante "Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore"»; tale norma stabilisce che, nell'attività di vigilanza sulle società cooperative, il Ministero dello sviluppo economico possa «avvalersi, d'intesa con le amministrazioni interessate, di revisori esterni dipendenti da altre amministrazioni, nonché, sulla base di apposite convenzioni con le associazioni riconosciute, di revisori delle medesime»; pertanto, l'effetto del taglio dei fondi combinato con la norma appena citata è che la vigilanza sulle società cooperative è demandata integralmente alle associazioni riconosciute il cui rigore difficilmente sarà quello necessario per un'attività così delicata;
   in altre parole, le cooperative iscritte alle associazioni di categoria non vengono sottoposte agli ordinari controlli ministeriali, ma sono controllate dalle associazioni stesse con uno sconcertante conflitto d'interesse tra controllato e controllore;
   proprio per questo, è opinione del deputato interrogante che debbano essere fatte chiarezza e trasparenza su tutti i dati relativi a questo tipo di attività con riferimento ad alcuni dati statistici sicuramente in possesso della direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi del Dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione –:
   se il Ministro possa mettere a disposizione del deputato interrogante e della cittadinanza tutta i seguenti dati: a) il numero totale delle cooperative iscritte all'albo; b) il numero delle revisioni ordinarie effettuate dalle associazioni nazionali di categoria; c) il numero delle diffide effettuate in ambito di revisione ordinaria effettuate dalle associazioni nazionali di categoria; d) il numero dei provvedimenti proposti in ambito di revisione ordinaria effettuate dalle Associazioni Nazionali di categoria; e) il numero di revisioni ordinarie effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; f) il numero delle diffide effettuate in ambito di revisione ordinaria effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; g) il numero dei provvedimenti proposti in ambito di revisione ordinaria effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; h) la destinazione del versamento del contributo biennale pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 2015, scaduto il 29 giugno 2015. (4-10270)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Montefalcione, e molte delle comunità limitrofe, patiscono da ormai troppo tempo (oltre 2 mesi) la cronica carenza dei servizi di connessione Adsl e telefonia, entrambi caratterizzati da lentezza e frequenti interruzioni;
   tale condizione sta arrecando enormi disagi alla cittadinanza e danni ingenti alle imprese che operano nella zona;
   è paradossale che, in un momento particolarmente delicato dal punto di vista economico come quello che stiamo attraversando, vengano meno servizi vitali per le imprese e per il mondo delle professioni;
   è inaccettabile che ciò accada in quel Mezzogiorno che necessita, invece, di un significativo potenziamento delle reti informatiche e delle sue infrastrutture per attrarre nuovi investimenti e garantire, così, crescita e nuova occupazione;
   è necessario che in tempi brevi si dia un segnale positivo ai cittadini, ai professionisti e agli imprenditori che confidano in istituzioni sollecite nel trovare soluzioni ai loro problemi –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire affinché il proprietario della rete affronti e risolva i problemi tecnici che sono alla base dei disservizi che colpiscono la comunità di Montefalcione. (4-10273)


   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ha pubblicato, sul proprio sito e sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015, un avviso che comunica che dal 9 agosto u.s. non è più possibile presentare la richiesta di accesso alle agevolazioni all'autoimpiego a causa dell'esaurimento delle risorse disponibili;
   in conseguenza di ciò, startup, progetti innovativi e investimenti per tutti coloro che volevano accedere al bando per gli incentivi per l'autoimpiego, previsto dal titolo II del decreto legislativo 185 del 2000 sembrerebbero definitivamente tramontati;
   attualmente, nella sola Sicilia ci sono circa 700 domande in attesa di valutazione per l'ammissione alle, agevolazione concesse dal decreto legislativo 185 del 2000, presentate a partire dal mese di marzo ad oggi e circa 2.200 nel complesso delle altre regioni meridionali interessate alla misura;
   vi sono due considerazioni da fare: la prima è che Invitalia dovrebbe deliberare le domande entro e non oltre 6 mesi dalla data di presentazione, quindi ci ritroveremo a fine mese alla scadenza del suddetto termine e ad oggi nessuna delle 700 domande è stata messa in valutazione. Anche se domani mattina si iniziasse a valutare le domande presentate e non ancora esitate, le stesse dovrebbero aspettare altri 3 mesi circa per essere definite, per cui il termine verrebbe spostato a 9 mesi. La seconda considerazione da fare è che tutte le società che hanno deciso di intraprendere un percorso imprenditoriale grazie all'aiuto del decreto legislativo 185 del 2000, hanno dovuto sostenere dei costi iniziali (Costituzione società, Atti notarile, iscrizione CCIAA, attribuzione partita iva, costi di realizzazione format di domanda), i quali non ottenendo più nessun aiuto, si trasformerebbero in perdite pure;
   oltre alle 700 domande in attesa di valutazione si aggiungono altre 180 domande circa, che sono state già valutate, sono state ammesse alle agevolazioni e che attendono la delibera e la convocazione per la stipula del contratto;
   alcune di queste 180 domande sono state presentate nel 2014 e tali attese stanno solo causando perdite e debiti ad attività nascenti;
   da tenere sotto osservazione c’è anche la sospensione dell'erogazione dei saldi d'investimento che le aziende già avviate stanno attendendo da parecchio tempo e che negli ultimi mesi non si stanno più erogando. Tali saldi servono per coprire gli investimenti già realizzati e servono a pagare le aziende fornitrici delle attrezzature e dei beni di investimento;
   tali ritardi oltre a danneggiare le start-up stanno fortemente danneggiando tutte le aziende esistenti fornitrici;
   a giudizio dell'odierno interrogante, uno strumento finanziario importante come quello previsto dal decreto legislativo 185 del 2000, non può essere soppresso in un momento così delicato per lo sviluppo economico del nostro Paese e specialmente per il meridione –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per rifinanziare la misura prevista dal decreto legislativo 185 del 2000 Titolo II ed, eventualmente, quali siano i tempi previsti per il rifinanziamento e la riapertura delle agevolazioni;
   quali provvedimenti intenda adottare Invitalia nei riguardi delle 2.200 domande presentate precedentemente al blocco dell'8 agosto 2015 e quanto devono ancora attendere le 180 aziende le cui domande sono già state valutate e attendono solo la delibera;
   quali iniziative intenda assumere nei riguardi di Invitalia per cercare di velocizzare i tempi per l'erogazione dei saldi d'investimento attesi dalle imprese già oggetto di agevolazione. (4-10274)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Fragomeli e altri n. 1-00861, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giuseppe Guerini.

  La mozione Fanucci n. 1-00934, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Richetti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Mura n. 5-04115, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bruno Bossio.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cariello n. 1-00667, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 331 del 13 novembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il controllo della spesa pubblica, attraverso le procedure di «revisione della spesa pubblica», cosiddetta spending review, ha una incidenza fondamentale sul percorso di risanamento dei conti pubblici, che deve essere realizzato contestualmente ed in parallelo ad un processo di sostegno alla crescita dell'economia del Paese, senza la quale non è possibile conseguire l'abbattimento del cospicuo debito pubblico accumulato negli anni;
    la revisione della spesa pubblica è entrata nel dibattito politico nel 2006 e 2007, poi rimossa e avviata dal Governo con l'incarico al professor Piero Giarda, che ha presieduto dal 1986 al 1995 la commissione tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero del tesoro;
    un primo importante contributo in materia di revisione di spesa pubblica risale al rapporto preliminare del settembre 2011, redatto dal professore Piero Giarda, in seguito all'incarico attribuitogli dall'allora Ministro Giulio Tremonti del Governo Berlusconi;
    il rapporto contiene una descrizione della spesa pubblica e di come si è evoluta in 60 anni con un'interessante classificazione di «sprechi» e «inefficienze»;
    come noto, nell'autunno del medesimo anno, in seguito alle dimissioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si insediò il Governo tecnico Monti, che affidò ad Enrico Bondi la commissione per la spending review;
    Bondi non diede seguito al rapporto Giarda, ma, a fronte di compenso lordo di 150.000 euro annui, produsse un lavoro di analisi della spesa per amministrazione in base alla quantità di risorse impiegate rispetto alla media standard indicata dall'ISTAT, a prescindere dalla quantità dei servizi e delle attività delle medesime amministrazioni, quindi un lavoro a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo difficilmente utilizzabile per una scelta virtuosa di riduzione della spesa, e, dopo aver lasciato innumerevoli tabelle, lasciò l'incarico nel gennaio 2013;
    il Governo Monti non attuò nessun taglio finalizzato ad un processo organico di razionalizzazione e lotta agli sprechi, anzi si è limitato a far quadrare i conti pubblici, attuando i soliti invisi tagli lineari e aumentando le entrate mediante l'inasprimento della pressione fiscale;
    in seguito la Commissione fu affidata per pochi mesi al ragioniere Mario Canzio, che fu poi sostituito;
    nel mese di ottobre 2013, in virtù dell'articolo 49-bis inserito nel testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 9, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, il Governo Letta ha inteso adottare misure per il rafforzamento della spending review e ha nominato Carlo Cottarelli, «con il compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere normativo, nelle materie e per i soggetti di cui al comma 1», ossia il Comitato interministeriale nominato al fine di coordinare l'azione di Governo e le politiche volte all'analisi e al riordino della spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti;
    il commissario Cottarelli, che ai sensi della legge citata «opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione» ha prodotto un progetto di tagli alla spesa pubblica, mai reso ufficiale nella sua integrità, diretto alla razionalizzazione e semplificazione dell'apparato burocratico, finalizzato al risparmio di risorse ottenuto anche mediante la soppressione della duplicazione di funzioni e, soprattutto, lo smaltimento della «giungla delle partecipate pubbliche»;
    gli obiettivi di riduzione della spesa pubblica del piano Cottarelli costituivano la base per le previsioni di spesa per il triennio 2014-2016 della legge di stabilità 2014 e lo strumento per reperire le risorse utili per realizzare gli interventi del programma nazionale di riforma, contenuti nel DEF 2014;
    da informazioni trapelate sulle analisi della spesa, svolte dal team del commissario Cottarelli, il progetto-base prevedeva risparmi di spesa per circa 7 miliardi di euro nel 2014, 18 miliardi di euro nel 2015 e 33,9 miliardi di euro nel 2016;
    nel settembre 2014, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, l'ex Ministro Piero Giarda ha osservato, rispetto alla volontà del Premier Renzi di tagliare del 3 per cento le spese di ogni ministero, che: «questa non è spending review ma un semplice taglio di spesa, simile a quelli spesso visti in passato. Naturalmente si tratta di una scelta legittima e forse anche ineludibile se si vuole fare spazio ad altre politiche, come la riduzione del deficit o delle casse;
    come è noto, in seguito all'insediamento del Governo Renzi, e successivamente all'adozione del decreto-legge 66 del 2014, il commissario Cottarelli ha lasciato ufficialmente la commissione a meno di un anno dalla sua nomina;
    gli incarichi suesposti per la revisione della spesa pubblica non sono stati svolti «a costo zero» per la finanza pubblica e, con riferimento all'ultimo incarico al commissario Cottarelli, la norma è stata approvata dal Parlamento, che, quindi, «ha ratificato» una scelta da cui si attendevano risultati;
    le professionalità impiegate e gli studi e analisi prodotte potrebbero rappresentare una base di partenza per decisioni politiche in merito al controllo ed alla gestione della spesa pubblica;
    la discrezionalità con cui i Governi succedutisi rinunciano all'utilizzo delle analisi correlate alla revisione della spesa pubblica denota una tendenza a rinviare un percorso organico di risanamento delle finanze pubbliche con effetti a medio e lungo termine, non più procrastinabile a causa delle scarse risorse ridottesi per la flessione grave del prodotto interno lordo italiano, che compromette la possibilità di rilanciare gli investimenti;
    la revisione della spesa è fondamentale per intervenire sulla strumentazione della programmazione ex-ante, dunque, la valutazione del Parlamento, in sede di sessione di bilancio, dei documenti finanziari potrebbe essere rafforzata se supportata da una conoscenza specifica sulle varie possibilità di impiego alternative delle risorse pubbliche;
    peraltro le decisioni di spending review hanno un impatto importante sull'assetto delle istituzioni e della pubblica amministrazione, sia centrale che territoriale, per cui è auspicabile coinvolgere tutte le forze politiche in campo per un'ampia condivisione;
    già il rapporto Giarda nel 2011 aveva evidenziato la possibilità di un'aggressione della spesa pubblica superiore a 200 miliardi di euro;
    sarebbe opportuno che le Commissioni parlamentari di merito possano acquisire l'ultimo lavoro di analisi prodotto dal commissario Cottarelli, al fine di valutare gli esiti di un incarico, che è gravato sul bilancio dello Stato per circa 300.000 euro annui;
    le analisi, ivi contenute, aggiornate in base ai tagli effettuati nel periodo 2011-2013 sono basate su dati forniti dalle amministrazioni coinvolte, quindi rappresentano elementi di valutazione e di informazione da mettere a disposizione dei parlamentari per una maggiore conoscenza delle dinamiche di spesa per il funzionamento della pubblica amministrazione;
    è evidente la difficoltà degli esecutivi di intervenire sulla spesa pubblica, per la impopolarità di scelte e tagli invisi, per cui è auspicabile che il progetto di spending review non sia più sottoposto alla discrezionalità dell'Esecutivo, ma sia affidato alle Commissioni di merito del Parlamento, a cui affidare l'eredità del lavoro svolto fino ad oggi, affinché non resti inutilizzato, ma proseguito ed approfondito;
   in diritto la legge costituzionale n. 1 del 2012 all'articolo 5 comma 4, nel riformare l'articolo 81 della Costituzione italiana, stabilisce che le Camere, secondo le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni,

impegna il Governo:

   al fine di dare piena attuazione al disposto normativo di cui al comma 4 dell'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012 citata in premessa, a porre in essere tutte le iniziative di competenza necessarie, anche normative, affinché il Parlamento possa procedere all'elaborazione dei progetti e delle decisioni in materia di revisione della spesa pubblica, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, intendendo tale revisione non solamente sotto il profilo della razionalizzazione e dell'efficentamento della spesa pubblica, come riduzione dei costi e della stessa spesa, ma altresì come acquisto di beni e servizi pubblici al minor prezzo a parità di dotazione di spesa, in modo che sì possa giungere al pieno coinvolgimento di tutte le forze politiche ivi rappresentate, allo scopo di pervenire a soluzioni ampiamente condivise in ordine ad un progetto di riorganizzazione delle funzioni pubbliche consentendo non solo al Parlamento di volgere pienamente le legittime funzioni in ambito di revisione della spesa, ma anche di realizzare cospicui risparmi di risorse a medio e a lungo termine da destinare allo sviluppo economico del Paese e alla riduzione del prelievo fiscale;
   a trasmettere a tal fine al Parlamento ogni utile informazione, compreso il cosiddetto «progetto Cottarelli».
(1-00667) (Nuova formulazione) «Cariello, Currò, Caso, D'Incà, Sorial, Castelli, Brugnerotto, Pisano, Barbanti, Pesco, Alberti, Ruocco, Villarosa».

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta immediata in assemblea Prestigiacomo e altri n. 3-01686 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 477 dell'8 settembre 2015. Alla pagina 28211, prima colonna, dalla riga trentatreesima alla riga trentaseiesima deve leggersi: «PRESTIGIACOMO, BRUNETTA, CATANOSO, GIAMMANCO e ANTONIO MARTINO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che: e non come stampato.
  Interrogazione a risposta scritta Molteni n. 4-10234 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 477 dell'8 settembre 2015. Alla pagina 28228, prima colonna, dalla riga trentanovesima alla riga quarantunesima deve leggersi: «corsi professionali elettrici e l'ITIS elettrotecnico/elettronico. Per il 2016 è prevista l'attivazione dell'indirizzo agrario», e non come stampato.