Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 8 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i dati sull'occupazione giovanile dopo la crisi hanno mostrato una situazione drammatica dove circa il 44 per cento dei giovani è disoccupato, mentre il tasso generale di disoccupazione, secondo i dati di marzo 2015, corrisponde al 12,7 per cento;
    i dati del rapporto SVIMEZ sull'economia del Mezzogiorno del 2015 – anticipati nei giorni scorsi – riflettono un'Italia sempre più a due velocità. Allarma, soprattutto, che una persona su tre nel Mezzogiorno sia a rischio povertà, così come allarma, per le sue implicazioni sociali, il dato sull'occupazione femminile che vede, al Sud, solo una donna occupata ogni 5;
    secondo valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, nel 2014 il prodotto interno lordo a prezzi concatenati nel Mezzogiorno è ulteriormente diminuito (-1,3 per cento), rallentando (ma proseguendo) il trend discendente dell'anno precedente (-2,7 per cento). Il calo è stato superiore di oltre un punto a quello rilevato nel resto del Paese (-0,2 per cento). Non avendo inoltre beneficiato della ripresa europea registrata anche al Centro-nord nel biennio 2010-2011, l'economia delle regioni meridionali ha quindi affrontato il settimo anno di crisi ininterrotta: dal 2007 si è registrato addirittura un -13,0 per cento, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-nord (-7,4 per cento). Addirittura, dal 2001 il prodotto interno lordo del Mezzogiorno ha fatto registrare un -9,4 per cento, facendo quindi peggio della Grecia che, nello stesso periodo, ha visto il proprio prodotto interno lordo al -1,7 per cento;
    le regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore rispetto al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna, associata anche al calo della loro competitività sul mercato nazionale, che ha riguardato sia la spesa per consumi, la cui flessione è attribuibile, per parte importante, al calo dei consumi pubblici, sia la spesa per investimenti, che si è ridotta ulteriormente più che nel resto del Paese;
    ormai il rischio concreto è quello di una perdita di 4,2 milioni di abitanti del Sud nei prossimi 50 anni, arrivando così ad una situazione di «sottosviluppo permanente» e irreversibile e ad una vera e propria «desertificazione» (l'allarme lanciato dal Rapporto SVIMEZ 2015 va colto nella sua drammaticità);
    tuttavia, è sbagliata un'analisi troppo generalizzata in termini negativi per tutto il Mezzogiorno che finisca per assolvere tutto e tutti. Infatti, esiste una parte minoritaria del Mezzogiorno nella quale esistono aziende ad altissimo livello tecnologico e zone sviluppate frutto dell'azione di imprenditori efficienti e illuminati e di comuni efficienti e lontani dal clientelismo e dalla criminalità organizzata;
    sarebbe un grave errore – politico oltre che di interpretazione economica – considerare il ritardo del Sud come un tema a sé stante e circoscritto: esso infatti non è che la risultante di gravi distorsioni del modello economico italiano, che la crisi sta solo mettendo in piena luce;
    tra i numerosi indicatori negativi quello meno discusso e che è invece quello da cui partire è l'indice di produttività, cioè il rapporto complessivo tra la quantità di output e la quantità di input impiegata nei processi di produzione. In Italia, a parità di fattori produttivi impiegati, si produce troppo poco, da troppo tempo;
    il trend dei dati dimostra un sostanziale appiattimento della produzione per ora di lavoro dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi con qualche isolato dato positivo. È vero che anche nel resto d'Europa e negli Stati Uniti l'indice di produttività è sostanzialmente fermo soprattutto dopo la crisi del 2008. Tuttavia, le dimensioni e la lunga durata di queste difficoltà si configurano – in Italia – come distorsione di natura strutturale;
    fra le numerose cause, una serie di ritardi accumulati: il costo del denaro per il sistema economico italiano (da 2 a 4 volte superiore a quello dei concorrenti del Nord e Centro Europa), il costo dell'energia (superiore del 40-60 per cento a quello dei concorrenti), il sistema infrastrutturale e della mobilità (non competitivo con quelli dei Paesi concorrenti, e gravemente più carente nel Sud); il costo della regolazione e i costi burocratici (ancora comparativamente più alti);
    inoltre, una grande differenza fra l'Italia e i suoi competitori risiede in un dato culturale: mentre negli Stati Uniti (ma anche in molti Paesi europei) il dibattito sulle tematiche della produttività è vivo e la società reagisce con prontezza a queste sollecitazioni, in Italia, invece – tra estremismi giudiziari e ambientalisti, resistenze sindacali, populismi redistributivi ed egualitari – sembra che nessuno abbia più una visione produttiva del mondo dell'economia;
    un terzo ambito (di cui si discute ancora troppo poco) è il ritardo nell'adattamento alla globalizzazione dei mercati: è vero che questa dinamica ha favorito l'ingresso di nuovi player provenienti da Paesi dove il costo della manodopera è molto più basso rispetto all'Italia, ma è anche vero che fuori dall'Italia si è investito molto negli anni soprattutto nei settori della ricerca e dello sviluppo. Nel nostro Paese il settore ricerca e sviluppo è invece sempre stato sottovalutato dalle amministrazioni (o peggio considerato uno strumento per ottenere sussidi). Sul versante imprese, più del 95 per cento delle imprese italiane sono medie o piccole, e più del 90 per cento di queste ultime sono micro imprese che faticano a trovare investimenti per le attività di ricerca e sviluppo. Ad oggi manca infatti la strutturalità degli investimenti in ricerca e una burocrazia in grado di snellire i processi favorevoli a questi settori. Mancano inoltre le condizioni per attirare capitali e investimenti nelle piccole e medie imprese come, ad esempio, i fondi di private equity che hanno permesso lo sviluppo e la crescita di produttività in mercati come quello statunitense e cinese;
    i problemi che determinano la bassa produttività sono talmente pervasivi che solo una classe dirigente e una classe politica forti, coese e determinate a difendere l'interesse nazionale potrebbero invertire questa deriva, mentre nel Paese il rancore e l'odio contro bersagli di volta in volta creati ad arte (con la complicità di una stampa scandalistica) rischiano di far dissolvere la fiducia in un futuro in cui il lavoro intelligente ed efficiente possa creare le basi per il benessere condiviso da tutti;
    il tema del Sud – per non essere declinato in termini assistenzialistici, come troppo spesso è accaduto – deve essere rilanciato in termini di produttività dell'economia italiana, nel suo complesso: sia nel senso di fare rapidamente maturare nel Paese una prospettiva del Sud come grande area produttiva, indispensabile alla ripresa e alla crescita dell'Italia, sia nel senso che occorre ormai intervenire con idee chiare ed efficaci per evitare che l'intera economia italiana venga marginalizzata e «meridionalizzata», in una deriva anti-produttiva tenuta insieme da un pensiero comune di tipo redistributivo, in grado solo di alimentare feroci lotte interne per la spartizione di una torta sempre più piccola;
    la globalizzazione dei mercati obbliga invece le imprese italiane – prime fra tutte le imprese meridionali – a fare un grande salto di qualità, abbandonando gradualmente il modello produttivo labor intensive a favore di quello fondato sulle competenze e il know-how (knowledge intensive);
    l'avvento della nuova economia digitale e della conoscenza può e deve rappresentare la grande opportunità per recuperare il ritardo accumulato dal Mezzogiorno d'Italia durante il lungo ciclo della prima e della seconda rivoluzione industriale;
    ma tutto questo sarà ancora una volta vanificato se non si riuscirà a dare risposte ad un insieme ben preciso di questioni aperte che riguardano anche gli assetti istituzionali con cui il Paese affronta il tema del Mezzogiorno: risposte per l'impiego effettivo dei fondi della programmazione 2007-2013 che vanno riprogrammati entro dicembre 2015; risposte in merito al migliore utilizzo dei fondi europei per la prossima programmazione (2014-2020); risposte prima di tutto in termini di regia nazionale, dove ancora si registrano idee insufficientemente chiare, anche in merito alle competenze;
    è altresì improcrastinabile una riflessione sulla responsabilità delle regioni nei gravi ritardi registrati nell'impiego dei fondi europei durante il ciclo di programmazione 2007-2013, sui limiti di queste istituzioni quali soggetti programmatori dello sviluppo territoriale (anche in termini di dotazione di idonee competenze), sulla loro permeabilità a pressioni localistiche se non clientelari, sulla loro strutturale incapacità a promuovere progetti di dimensione ultraregionale (macro-regionale) che è all'origine della dimensione asfittica dell'uso delle risorse europee nel nostro Paese e dell'esito fallimentare di questi interventi (sostanzialmente sostitutivi di interventi ordinari),

impegna il Governo:

   a definire linee programmatiche per il riaggancio del Mezzogiorno all'economia del Paese in una prospettiva di recupero di produttività dell'intero sistema economico italiano, puntando sui settori delle infrastrutture e della mobilità, delle reti immateriali e dell'economia digitale, dei distretti portuali e logistici, dell'energia, dell'innovazione tecnologica, della rigenerazione urbana (considerato che l'85 per cento del patrimonio edilizio delle città del Mezzogiorno deve essere riqualificato e/o adeguato);
   a verificare tempestivamente l'attività dell'Agenzia per la coesione sia in termini strategici (capacità di definire la strategia politica e il coordinamento delle azioni da mettere in campo e di fornire supporto alle regioni; assistenza tecnica e negoziazione in Europa; rapporti con i Ministeri e altro), sia in termini ordinari (supporto efficace alla formazione della policy-nazionale, e alle policies delle regioni);
   a definire un insieme coerente di misure di accompagnamento per la quota di riprogrammazione della vecchia programmazione (2007-2013) e di indirizzo vincolato per la nuova programmazione (2014-20), con significative quote percentuali della programmazione regionale convergenti su una visione macro-regionale meridionale, in particolare a valere su obiettivi tematici che riguardano le infrastrutture e la mobilità, la sicurezza ambientale, l'energia e le information and communication technology, superando il grave limite dello spezzettamento degli interventi sulla base delle competenze delle singole regioni e assumendo iniziative per dotare le strutture centrali responsabili della strategia di impiego delle risorse dell'Unione europea di adeguati poteri sostitutivi;
   a promuovere tre grandi iniziative di medio termine: la prima sul completamento del sistema infrastrutturale, la seconda sui corridoi immateriali nazionali ed europei per investimenti (bonus) in energia, digitale, banda larga e nuove tecnologie, la terza sulla rigenerazione delle aree urbane e dei porti (attraverso agevolazioni fiscali e altre forme di incentivazione);
   ad affrontare, anche attraverso opportune iniziative normative – anche cogliendo l'opportunità dell'attuazione del piano strategico nazionale della portualità e della logistica e della riforma della pubblica amministrazione – il tema delle aree di sviluppo industriale limitrofe ai porti per favorire la localizzazione attraverso agevolazioni/incentivazioni (fiscali, costi energia, mutui agevolati e altro) di piccole e medie imprese innovative che possono, esportare e/o distribuire (attività manifatturiera/trasformazione, logistica);
   a proporre – nella attuazione del piano strategico nazionale della portualità e della logistica – il tema della portualità meridionale – a cui lo stesso piano attribuisce la maggior quota di risorse, «700 milioni destinati dall'Unione europea alle regioni del Mezzogiorno per infrastrutture portuali (PON e POR, fondo FESR», in termini di progetto strategico, determinato e articolato, in termini di opportunità di sviluppo di distretti «industriali» di nuova generazione (anche distretti portuali), attraverso piani di infrastrutturazione del Sud finalizzati alla mobilità, inter-modalità, altra capacità-alta velocità, collegamento porti-aeroporti – HUB energetici e in termini di fluidità dei corridoi della grande viabilità continentale (elemento troppo spesso trascurato, con pretestuose argomentazioni legate alla carenza di domanda);
   a delineare una priorità del Sud nella destinazione di investimenti pubblici nelle reti immateriali e nei distretti dell'innovazione digitale, al fine di bilanciare il ritardo accumulato nel Sud per quanto riguarda il sistema infrastrutturale di supporto all'economia industriale;
   ad assumere iniziative per liberare le città metropolitane da aggravi pianificatori (anche procedendo alle necessarie iniziative normative) per un nuovo modello di controllo delle trasformazioni territoriali in un quadro di regole e tempi certi e di legalità, riallineando i tempi dei piani, dei progetti e della programmazione, secondo la norma generale che i piani urbanistici e territoriali non possono superare nell’iter di formazione e approvazione i 5 anni, trascorso il quale termine si adottano drastici interventi sostitutivi;
   a definire una riconoscibile leadership politica, per quanto riguarda le politiche per il Mezzogiorno, al massimo livello di Governo, in grado di far valere una responsabilità in prima persona del Governo della Repubblica nella concreta attuazione degli indirizzi sopra esposti;
   ad assumere iniziative affinché zone franche urbane (ZUF) che abbiano registrato uno scarso successo a causa della loro complessità evolvano in aree giuridicamente indipendenti che possano beneficiare di una «tassazione piatta» per tutti coloro che investivano in queste specifiche zone, tassazione che non dovrà superare il 10 per cento in modo da renderle competitive con altre regioni del globo;
   ad assumere iniziative affinché i contenziosi possano essere risolvibili attraverso lo strumento dell'arbitrato e le zone indipendenti possano beneficiare anche dell'assenza totale di burocrazia («burocrazia zero») in modo da facilitare le pratiche di investimento, di apertura e chiusura di imprese, di assunzione e licenziamento in queste zone che si stanno rivelando una leva competitiva e uno strumento efficace per attirare investimenti esteri su tutto il territorio.
(1-00976) «Dorina Bianchi, Buttiglione, Adornato, Bernardo, Binetti, Bosco, Calabrò, Cera, Cicchitto, D'Alia, De Girolamo, De Mita, Garofalo, Marotta, Minardo, Misuraca, Pagano, Piccone, Piso, Sammarco, Scopelliti, Tancredi, Vignali».


   La Camera,
   premesso che:
    l'acronimo Isis, (Islamic State of Iraq and Syria) individua il gruppo terroristico guidato dallo sceicco Abu Bakr al-Baghdadi autoproclamatosi, il 29 giugno 2014, leader del califfato nato nei territori ricompresi tra Siria e Iraq, caduti sotto il controllo del gruppo terrorista;
    le atrocità perpetrate dall'Isis sono all'ordine del giorno, con violenze di ogni tipo rivolte a tutte le minoranze presenti nei territori in questione (cristiani, yazidi, sciiti, omosessuali) e alla popolazione in generale, con particolare accanimento nei confronti delle donne – che vengono private di molte libertà e diritti e dei bambini – che sono spesso arruolati;
    sarebbero attribuibili all'Isis, tra gli altri, l'attentato al museo nazionale del Bardo a Tunisi del 18 marzo 2015 scorso in cui sono morte 24 persone – tra cui 21 turisti (4 erano italiani), 1 agente delle forze dell'ordine, i 2 terroristi – e 45 persone sono rimaste ferite, nonché i più recenti attentati di venerdì 26 giugno 2015, avvenuti in Tunisia (38 morti in un hotel di Sousse), Somalia (più di 50 soldati del Burundi, impegnati in un'azione di peacekeeping dell'Unione Africana, sono stati uccisi) e Kuwait (27 morti in una moschea sciita). Porta la firma dell'Isis anche l'attentato avvenuto in Yemen martedì 30 giugno, che ha causato la morte di 28 sciiti raccolti in preghiera durante una veglia funebre;
    l'Isis ha più volte affermato di voler «conquistare Roma», sede del papato, ovvero culla della cristianità;
    secondo numerose e autorevoli fonti istituzionali e di stampa internazionale, dalla fine del 2011, con lo scoppio della guerra civile in Siria, molteplici fondazioni islamiche dei territori del Golfo Persico hanno iniziato a sostenere i gruppi islamisti di opposizione al Governo siriano di Assad. In questo modo, un enorme flusso di risorse ha finanziato anche le attività dell'autoproclamato Stato islamico. Alle iniziali donazioni bancarie si sono via via sostituite altre forme di finanziamenti non tracciabili che utilizzano sempre più spesso internet e i social network;
    l'Isis fa un uso diffuso e molto efficace dei social network e di Internet in generale, con l'obiettivo di incitare i propri seguaci alla violenza e di diffondere i propri deliranti messaggi di morte;
    uno dei risultati finora più «efficaci» ottenuti sui social network dall'Isis è rappresentato dal lancio di un'applicazione per Twitter chiamata «The Dawn of Glad Tidings» (l'alba delle lieta novella) che si poteva acquistare sulla piattaforma Google Play Store e che, previa registrazione e il versamento di una quota, garantiva un aggiornamento costante sull'Isis, attraverso la pubblicazione online di tweet, link, hashtag e foto che diventavano in breve tempo «virali», diffondendosi in rete;
    «The Dawn», lanciata ad aprile 2014 e rimossa da Google nel giugno dello stesso anno, nei mesi in cui è stata attiva, grazie alle centinaia di utenti registrati, ha garantito che migliaia di tweet – si contano picchi di 40.000 al giorno – fossero pubblicati in concomitanza con le principali azioni terroristiche compiute dall'Isis sul territorio iracheno; il volume di tweet diffusi è stato talmente rilevante da far comparire l'immagine di alcuni terroristi dell'Isis completamente vestiti di nero, con la scritta «Stiamo arrivando, Baghdad», in evidenza, tra i temi più trattati (trend topics) aventi come hashtag «Baghdad»;
    un'altra campagna mediatica di successo è stata condotta dall'Isis, utilizzando ancora una volta Twitter, durante i campionati del mondo di calcio in Brasile, durante l'estate 2014. In quell'occasione, lo Stato islamico ha usato hashtag come #Brazil2014 e #WC2014 per diffondere i propri messaggi, potendo in tal modo accedere a milioni di ricerche su Twitter legate alla Coppa del Mondo. Ad esempio, tra le immagini più cruente rese note, c’è quella di una partita di calcio giocata con le teste decapitate degli oppositori dell'Isis, fatta circolare alla vigilia dell'inizio dei mondiali di calcio in Brasile. Ciò dimostra come, differenza delle organizzazioni del passato, tra cui anche al Qaeda, oggi lo Stato Islamico sia in grado di fare un puntuale uso tecnologico delle barbarità commesse per promuovere la propria causa, semplicemente inserendole tra le notizie accadute nel mondo;
   la tecnologia moderna offre, dunque, anche alle organizzazioni terroristiche ben strutturate, la possibilità di fare propaganda a livello globale, in questo caso una propaganda di violenza e barbarie;
    nel libro «La soldatessa del Califfato» scritto dai giornalisti Simone Di Meo e Giuseppe Ianninio, una giovane tunisina, Aicha, di 26 anni, laureata in scienze della comunicazione a Tunisi ed ex soldatessa dello Stato islamico, svela le tecniche online attraverso cui l'Isis raccoglie finanziamenti per la propria causa e recluta mogli per i propri combattenti. L'Isis, infatti, si autofinanzia attraverso la vendita online di reperti provenienti da siti archeologici, nonché quella di aberranti video degli stupri commessi da esponenti dell'organizzazione nei confronti di ragazze yazide e di prigioniere di guerra picchiate e torturate, riprese mentre urlano, piangono e chiedono pietà ai loro aguzzini. Questi video hanno molto successo sui siti pornografici online; 
   si può leggere, nel libro di Di Meo e Iannino, il ricordo di Aicha delle donne cadute in mano ai miliziani: «mi imploravano. Si inginocchiavano e piangevano, disperate e nude come vermi. Chiedevano di essere ammazzate. Era il loro più grande desiderio. Morire con un colpo di fucile alla testa o una corda al collo, e non soffrire più. Non ricordo nemmeno che faccia avessero, e forse per me non ne avevano alcuna quando le osservavo da dietro il hijab, il velo che mi nascondeva il volto. Non provavo pietà. Non potevo provarne. Ero una muhajirah»;
    allo stesso modo, spiega Aicha, è il social media team dell'Isis, composto quasi completamente da donne, ad adescare giovani donne, in età fertile, a corteggiarle online sotto le mentite spoglie dei combattenti e a blandirle fino a convincerle a recarsi in Siria per unirsi ai «loro» uomini e alla causa. Anche alcuni uomini sono stati convinti ad arruolarsi nell'Isis con il miraggio di sposare una giovane fanciulla conosciuta online attraverso foto e account falsi;
    a febbraio 2015, il Ministro dell'interno francese, Bernard Cazeneuve, ha chiesto ai vertici di Google, Facebook e Twitter di collaborare direttamente con gli investigatori francesi durante le indagini antiterrorismo e di rimuovere la propaganda terroristica dai rispettivi siti qualora le autorità lo chiedessero. Il Ministro francese ha dichiarato: «Abbiamo sottolineato che nel corso delle indagini non vogliamo passare attraverso i soliti canali governativi, che possono prendere molto tempo»;
    il 19 e 20 marzo 2015, Italia, Stati Uniti e Arabia Saudita hanno co-presieduto presso il Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale, a Roma, la prima riunione del Gruppo di lavoro sul contrasto al finanziamento dell'Isil (altro nome dell'Isis), Gcfi. I rappresentanti di 26 Paesi e organizzazioni internazionali si sono riuniti per analizzare i flussi di finanziamento dell'Isis, condividere le fonti di intelligence e coordinare i loro sforzi per contrastare le attività finanziarie ed economiche dell'organizzazione terroristica. Al termine dei lavori, è stato adottato un Piano d'azione. Il Gruppo di lavoro ha come obiettivo quello di prevenire l'utilizzo da parte dell'Isis del sistema finanziario internazionale, inclusi i trasferimenti non regolamentati di rimesse; contrastare l'attività estorsiva dell'Isis e lo sfruttamento di asset economici e risorse – petrolio, prodotti agricoli, beni archeologici e del patrimonio culturale, depositi bancari – che si trovano o transitano nel territorio del Daesh, (acronimo arabo di Isil), o provengono dalla regione circostante; interrompere il flusso di fondi provenienti dall'estero, inclusi quelli riconducibili a donazioni esterne, combattenti stranieri (foreign fighters) o derivanti da rapimenti a scopo estorsivo e, infine, impedire che il Daesh possa prestare assistenza finanziaria o supporto materiale a gruppi terroristici in altre parti del mondo e ad esso affiliati;
    il Piano d'azione adottato dal Gcfi indentifica e stabilisce misure che i componenti della coalizione anti-Isis/Isil – e potenzialmente l'intera comunità internazionale – adotteranno allo scopo di drenare le fonti di reddito, la capacità di trasferire fondi e, più in generale, la sostenibilità economica del Daesh. Esso prevede un più efficace sistema di raccolta e condivisione delle informazioni, elabora nuove contromisure, identifica le forme migliori di assistenza tecnica, coordina l'attuazione delle sanzioni e, infine, favorisce il rafforzamento delle misure nazionali contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo coinvolgendo anche il settore privato. Il Gruppo di lavoro agisce in piena coerenza con le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che riguardano il contrasto all'Isis e ad altri gruppi terroristici quali al Qaeda e al Nusra, attivi in Iraq e Siria;
    la seconda riunione del Gcfi si è tenuta il 7 maggio 2015 a Jeddah, in Arabia Saudita. In quell'occasione gli stati hanno stabilito di non pagare più riscatti all'Isis, in linea con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul tema. La misura dovrebbe far venire meno all'Isis un'importante fonte di finanziamento e, si auspica, dovrebbe disincentivare il ricorso dell'organizzazione terroristica a rapimenti finalizzati all'autofinanziamento. Oltre a questo il gruppo di lavoro ha scambiato informazioni sull'utilizzo, da parte dell'Isis, di banche e società di trasferimento di denaro, nonché di risorse energetiche e beni culturali, e ha discusso di alcune contromisure da intraprendere. La prossima riunione del gruppo dovrebbe aver luogo negli Stati Uniti nel mese di settembre 2015;
    il Gcfi non è l'unico gruppo di lavoro creato per contrastare l'Isis, ne esistono anche uno per il supporto militare (presieduto da Iraq e Usa), uno per bloccare il flusso dei Foreign fighters (presieduto da Turchia e Olanda), uno per il supporto alla stabilizzazione (presieduto da Germania e Emirati Arabi Uniti) e, infine, uno per il contrasto alla propaganda (presieduto da Emirati Arabi Uniti, Inghilterra e Usa),

impegna il Governo:

   a informare regolarmente il Parlamento sulle attività dei gruppi di lavoro di contrasto all'Isis citati in premessa e, in particolare, del gruppo di lavoro sul contrasto al finanziamento dell'Isil, presieduto dal nostro Paese;
   ad adoperarsi per inserire, nell'ambito delle misure di contrasto al finanziamento dell'Isil/Isis azioni che prendano specificatamente in considerazione i canali di finanziamento online dello stesso, come sopra descritti;
   a questo fine, e al fine di un generale contrasto allo Stato islamico e alla sua attività di propaganda e reclutamento online, a farsi promotore a livello europeo ed internazionale di accordi con gli operatori delle telecomunicazioni per rendere più rapidi i tempi di rimozione dei messaggi che Daesh diffonde sul web, così come a chiudere in tempi rapidissimi i canali di finanziamento online a cui l'Isis fa ricorso;
   ad assumere ogni opportuna iniziativa volta a sviluppare protocolli di collaborazione (come già accade in altri Paesi, come ad esempio in Francia) con gli over the top e i gestori di servizi internet affinché gli utenti del web possano collaborare con le autorità inquirenti e i servizi di polizia e segnalare tempestivamente i casi di propaganda o minaccia a sfondo terroristico, nonché di vendita online di beni di ogni genere da parte di Daesh.
(1-00977) «Bergamini, Occhiuto, Manciulli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ufficio studi di Confcommercio, in Italia la pressione fiscale effettiva sul prodotto interno lordo, cioè il totale delle tasse pagate rispetto al reddito complessivo del Paese, ha raggiunto il 53,2 per cento rispetto a quella ufficiale di «appena» il 44,1 per cento. Questo significa che su un euro prodotto, 53 centesimi vanno via per tasse ed imposte varie;
    il livello di tassazione italiano risulta molto elevato anche a fronte di Paesi che hanno notoriamente una forte pressione fiscale come Danimarca (51,3 per cento) e Francia (49,5 per cento). Rispetto all'aumento della pressione fiscale in Italia del 5 per cento dal 2000 al 2013 il prodotto interno lordo procapite è sceso del 7 per cento;
    secondo il rapporto OCSE sulla pressione fiscale nelle economie globali, in Italia il 32,8 per cento) del peso delle tasse è rappresentato dalle imposte sui redditi delle persone fisiche, il 7 per cento) dalle tasse sui profitti delle aziende (contro una media OCSE del 9 per cento) il 30,3 per cento deriva dai contributi sociali e previdenziali, il 25,5 per cento dalle imposte indirette sui consumi (contro il 32,8 per cento della media OCSE) e il 6,3 per cento dalle tasse sugli immobili (contro il 5 per cento della media OCSE);
    proprio queste ultime negli ultimi anni, precisamente dal 2011. al 2014, sono aumentate del 115 per cento: solo nel 2014 l'aumento della tassazione ha raggiunto il 14,7 per cento rispetto al 2013, arrivando a 31,88 miliardi. Più in generale, il peso delle tasse locali sul prodotto interno lordo e più che raddoppiato negli ultimi 20 anni passando dal 2,9 per cento del 1995 al 6,5 per cento del 2014; i tributi centrali sono passati dal 22,7 per cento del prodotto interno lordo a 23,6 per cento del prodotto interno lordo, generando un aumento della pressione fiscale complessiva, salita dal 42,2 per cento del 1995 al 43 per cento nel 2014;
    la componente di tipo patrimoniale prelevata dalle famiglie è salita invece di 7,6 miliardi (+44,9 per cento) passando da 16,9 a 25,5 miliardi di euro;
    altrettanto gravose sono state le imposte locali su imprenditori e professionisti. Imu e tasi hanno comportato un raddoppio del prelievo fiscale su negozi, uffici e capannoni: è la stima effettuata dall'Ufficio studi della CGIA Mestre. Le entrate per i comuni con riferimento agli immobili strumentali sono state di circa 5 miliardi di euro, mentre nel 2014 (con IMU e TASI) hanno superato i 10 miliardi di euro. Nello specifico si sono registrati i seguenti aumenti: +142 per cento per uffici e studi privati; +137 per cento per negozi e botteghe; +107 per cento per laboratori di arti e mestieri; +101 per cento per gli istituti di credito; +94 per cento per gli immobili a uso produttivo e la legge di Stabilità 2015 (articolo 1, commi 244 e 245) ha confermato la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 6 del 2012 che prevede l'applicazione dell'imu ai macchinari imbullonati a terrà. Alla categoria degli imbullonati appartengono tutti i macchinari che le imprese usano per la produzione, quindi vitali per la stessa esistenza dell'azienda e che devono essere fissati al suolo affinché non si muovano;
    in base al principio, introdotto dalla circolare dell'Agenzia delle entrate, gli imbullonati aumentano la rendita catastale del fabbricato per effetto dell'inclusione del valore degli impianti e vengono trattati dal fisco come beni immobili su cui imporre una nuova tassa;
    l'Imu sugli imbullonati rappresenta una vera e propria patrimoniale sugli impianti, appesantisce una pressione fiscale già insostenibile e colpisce soprattutto chi, nonostante il periodo di crisi, ha investito negli ultimi anni in nuovi impianti;
    produce effetti distorsivi sulla concorrenza tali per cui alcune aziende in cui gli imbullonati sono essenziali per la produzione, vedranno aumentare la pressione fiscale a differenza di altre in cui tali macchinari, per diversità di struttura e settore di produzione, non sono presenti; confonde i principi del diritto tributario visto che non è ancora chiaro su quale base di diritto il Governo abbia deciso che gli imbullonati aumentano la rendita catastale del fabbricato; penalizza ulteriormente la competitività e il rilancio delle aziende italiane già profondamente in crisi;
    considerato altresì che il meccanismo di imposizione dell'Imu sugli imbullonati viola il criterio sancito dalla Costituzione all'articolo 53 e contravviene ai principi generali elencati all'articolo 1 dello Statuto del contribuente; contravviene a quanto disposto dallo Statuto del contribuente all'articolo 2 in merito alla chiarezza e alla trasparenza delle disposizioni tributaria, all'articolo 5 in merito alla «completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria» all'articolo n. 6 in merito all'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati e all'articolo 7 in merito alla chiarezza e motivazione degli atti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile al fine di abolire integralmente l'imu relativamente agli impianti così detti «imbullonati» a decorrere dal periodo d'imposta 2015, riducendo il carico fiscale per le aziende e contribuendo concretamente al rilancio dell'intero settore produttivo.
(1-00978) «Ruocco, Castelli, Sorial, Pesco, Frusone, Alberti, D'Incà, Luigi Di Maio, Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Villarosa, Micillo».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, la risicoltura ha sempre rivestito grande importanza economica. Le aziende agricole che coltivano riso in Italia sono circa 4.100. L'industria risiera è rappresentata da più di 100 imprese strutturate per trasformare il riso greggio in riso lavorato e sono pertanto dislocate nelle stesse zone di coltivazione del riso;
    nel nostra Paese, la maggior parte della superficie investita a riso è ubicata lungo il confine tra le regioni del Piemonte e della Lombardia. Quest'area risicola è delimitata dagli alvei dei fiumi Sesia, Ticino e Po, nelle province di Pavia, Vercelli e Novara e contorna uno dei più grandi parchi fluviali d'Europa che occupa una superficie di 91.000 ettari. La coltivazione ha una plurisecolare tradizione irrigua che ha portato alla realizzazione di complesse e capillari reti di canali, rogge e navigli in grado di provvedere alla fornitura di acqua a favore di tutti i terreni. Il sistema irriguo delle risaie svolge un ruolo plurifunzionale, fondamentale non solo per l'agricoltura, ma anche per lo sviluppo del territorio e dell'economia;
    la superficie investita a riso non è marginale rispetto alla circoscrizione territoriale di riferimento e la coltura del riso presenta delle caratteristiche economico strutturali marcatamente differenti rispetto agli altri cereali, poiché richiede un efficiente sistema irriguo ed un'alta specializzazione. In Italia l'importanza della filiera risicola risiede, pertanto, nella sua strategicità territoriale, nella necessità di salvaguardare una specializzazione di prodotto che contribuisce a mantenere alta l'immagine del «Made in Italy» alimentare, ma anche nell'assicurare la stabilità socio-economica di un distretto territoriale di assoluta rilevanza;
    secondo i dati pubblicati, nel mese di ottobre 2014, nel dossier del Ministero dello sviluppo economico, le aziende risicole italiane, nel 2013 hanno prodotto 485 mila tonnellate di riso greggio di qualità indica, dalla cui vendita, considerati i prezzi medi della campagna, ricaveranno circa 126 milioni di euro, con una perdita di 30 milioni di euro, tenuto conto di una stima dei costi di produzione pari a circa 156 milioni di euro. Da questo riso greggio l'industria ricaverà una disponibilità vendibile di circa 290.00 tonnellate di riso lavorato indica, diretto concorrente del riso lavorato cambogiano. Per l'industria italiana il riso lavorato indica rappresenta, a prezzi correnti, un giro d'affari di 232 milioni di euro;
    la quasi totalità del riso indica italiano viene venduto negli altri Paesi Ue. Circa l'80 per cento viene venduto in sette Paesi dell'Unione europea: Francia, Germania, Repubblica Ceca, Belgio, Ungheria e Polonia, tra cui figurano anche i principali importatori di riso cambogiano. Secondo il citato documento del MISE, «nel 2013 le aziende risicole di tutti gli altri Paesi dell'Unione europea hanno prodotto circa 37.000 tonnellate di riso greggio, per un valore, a prezzi medi di mercato, di 160 milioni di euro»;
    il settore risicolo nostrano sta vivendo una delicata congiuntura economica già da alcuni anni. Dal 2010, la progressiva riduzione delle aree dedicate alla coltivazione di riso non conosce sosta; nel solo 2014 le risaie destinate alla coltivazione della varietà indica si sono ridotte di oltre 15 mila ettari, corrispondenti al 22 per cento della superficie totale e nel 2015 si stimano ulteriori importanti cali della superficie dedicata alle varietà indica; il progressivo calo delle aree destinate alla produzione di riso in Italia si accompagna ad un incremento delle esportazioni di riso qualità indica proveniente dalla Cambogia e più in generale dai PMA (Paesi meno avanzati);
    diversi studi indicano che nel primo trimestre del 2014 si è registrato un aumento record del 360 per cento delle importazioni da Paesi meno avanzati in tutta l'Unione europea, con evidenti ricadute negative in primis per i produttori italiani, in particolar modo per i coltivatori locali, che non riescono a conformare i propri prezzi di vendita a quelli importati, alla luce dei costi di produzione da sostenere, certamente superiori rispetto a quelli sostenuti dai Paesi meno avanzati; ci sono conseguenze, di lungo periodo anche per i consumatori: si stanno intensificando le segnalazioni giunte al Sistema rapido di allerta europeo sul cibo (RASFF), che ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di principi attivi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie;
    la Cambogia, in virtù del regime speciale a favore dei Paesi meno sviluppati, regime EBA (Everything But Arms) di cui agli articoli 17 e 18 del Regolamento (UE) N. 978/2012, può esportare nell'Unione europea a dazio zero; il riso esportato deve essere originario della Cambogia ai sensi del Reg. (CEE) N. 2454/93 e viene esportato dalle industrie risiere rappresentate dalla Federation of Cambodian Rice Exporters e dalla Cambodian Exports Association;
    il sistema che si è venuto a delineare non ha avvantaggiato i produttori cambogiani come si potrebbe erroneamente supporre. Infatti, molto diffusa è la cosiddetta pratica della «triangolazione», in base alla quale, il riso che giunge a dazio zero dalla Cambogia, non è di origine cambogiana, ma viene prodotto in altri paesi asiatici, per poi essere importato in Cambogia, ed esportato nuovamente verso l'Unione europea, beneficiando del trattamento privilegiato. In tal modo, si concretizza un utilizzo illegittimo del beneficio accordato dall'Unione europea al riso cambogiano, poiché alcuni operatori cambogiani del settore non rispettano le regole d'origine, mescolando il riso con altre qualità prodotte in paesi limitrofi;
    secondo il rapporto dell'Organizzazione per lo sviluppo dell'ONU del 2014 (UNDP 2014), l'ingresso massiccio di aziende estere nell'economia cambogiana ha fatto sorgere fenomeni di land grabbing. Secondo l'organizzazione Oxfam, si parla di land grabbing (accaparramento delle terre) quando una larga porzione di terra considerata «inutilizzata» è venduta a terzi, aziende o governi di altri paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano, spesso da anni, per coltivare e produrre il loro cibo. Questo a fronte del fatto che, approssimativamente, l'80 per cento della popolazione cambogiana risiede in aree rurali ed il 71 per cento di queste è dipendente dalla risicoltura, mentre il 46,96 per cento della popolazione vive in una condizione di povertà multidimensionale;
    da fonti di stampa si è appreso che, nei giorni scorsi, il Governo italiano avrebbe avanzato presso la Commissione europea richiesta di adozione di misure di salvaguardia nei confronti dell'importazione di riso greggio cambogiano del tipo indica, di cui all'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, per ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune per le importazioni di riso dalla Cambogia;
    in una recente dichiarazione, i rappresentanti di Coldiretti hanno spiegato che l'adozione delle misure di salvaguardia è giustificata dal fatto che «nelle ultime 5 campagne, le importazioni di riso dalla Cambogia nell'Unione europea sono aumentate da 5.000 a 181 mila tonnellate raggiungendo il 23 per cento di tutto l'import UE grazie alla completa liberalizzazione tariffaria avvenuta il primo settembre 2009 a favore dei Paesi beneficiari del sistema di preferenze tariffarie generalizzate di cui all'articolo 1, paragrafo, lettera c (EBA) del regolamento UE n. 987»;
    il persistente aumento delle importazioni dalla Cambogia continua a creare pressione sul mercato dell'Unione europea con conseguente ulteriore riduzione dei prezzi del riso di tipo indica e disincentivo alla coltivazione,

impegna il Governo:

   a dare seguito formale e concreto, presso la Commissione europea, alla richiesta di adozione delle clausole di salvaguardia nei confronti dell'importazione a dazio zero di riso cambogiano, nei paesi dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, al fine di tutelare il settore risicolo italiano che vive da alcuni anni una delicata congiuntura;
   a promuovere, a livello europeo, l'adozione di clausole di condizionalità democratica più stringenti, e di precise sanzioni per il loro mancato rispetto, all'interno degli accordi siglati tra l'Unione europea e paesi terzi relativamente alla regolazione di regimi fiscali a «dazio zero», nel settore agricolo e più in generale nel commercio, al fine di evitare che tali accordi possano essere snaturati nelle loro finalità di aiuto allo sviluppo per i paesi destinatari;
   a promuovere e attuare, a livello nazionale, misure che prevedano puntuali obblighi di pubblicità e trasparenza nell'etichettatura del riso commercializzato in Italia, in particolar modo specificando il nome dell'azienda che utilizza riso proveniente da paesi terzi rispetto all'Unione europea.
(1-00979) «Bergamini, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    la prima conferenza internazionale «Stato di diritto contro ragion di Stato» si è svolta dal 18 al 19 febbraio 2014 organizzata dal Partito radicale – assieme alle sue organizzazioni costituenti Nessuno Tocchi Caino e Non c’è Pace Senza Giustizia – a Bruxelles, presso il Parlamento e la Commissione europea; in tale conferenza politici, accademici ed esponenti della società civile hanno analizzato i rischi derivati dal riaffermarsi della ragion di Stato e dall'erosione dello Stato di diritto e dei diritti umani;
    la seconda conferenza internazionale «Universalità dei diritti umani e democrazia per la transizione verso lo Stato di diritto e l'affermazione del diritto alla conoscenza» si è tenuta il 27 luglio 2015, organizzata dai medesimi soggetti a Roma, presso il Senato della Repubblica italiana, patrocinata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in cui lo stesso Ministro, nonché rappresentanti istituzionali, politici, diplomatici ed esponenti della società civile, provenienti prevalentemente dal mondo a maggioranza arabo-musulmana hanno riaffermato l'interrelazione tra Stato di diritto, diritti umani e democrazia, nonché di perseguire il riconoscimento in sede ONU del diritto alla conoscenza come ulteriore strumento normativo di responsabilizzazione dei Governi e di effettiva protezione dei cittadini;
    l'appello per il diritto universale alla conoscenza concordato e lanciato in conclusione della Seconda conferenza internazionale a Roma del 27 luglio 2015 e in continuità con il Manifesto-appello dei 113 laureati vincitori del Premio Nobel contro lo sterminio per fame, sete e guerre nel, mondo del 1980;
    il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai relatori e ai partecipanti della suddetta conferenza in cui afferma: «C’è un lavoro di conoscenza che non va mai interrotto e che è intimamente connesso con l'azione politica. La conoscenza – e il diritto alla conoscenza – è un tema emergente della nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite»;
    rispetto allo stato di diritto in Italia, ai sensi dell'articolo 87, comma 2, della Costituzione, l'8 ottobre 2013, il Presidente della Repubblica pro tempore Giorgio Napolitano indirizzò un messaggio alle Camere, incentrato sulle condizioni delle carceri e della giustizia che si concludeva con queste parole: «Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia»;
    la risoluzione del 7 giugno 2007 A/HRC/RES/12/12 del Consiglio per i diritti umani sul diritto alla verità e le risoluzioni dell'Assemblea generale dell'Onu A/RES/60/147 12 ottobre 2009, A/RES/68/165 del 18 dicembre 2013;
    la sentenza «Gomes Lund vs Brasil» del 24 novembre 2010, in cui per la prima volta una Corte internazionale sui diritti umani quella Interamericana, ha esplicitamente affermato il «diritto alla verità», stabilendo il diritto delle vittime e dei loro familiari di cercare e ricevere informazioni in merito agli abusi subìti: prerogativa riservata a una categoria specifica, le vittime di gravi violazioni dei diritti umani e i loro familiari, che costituisce un significativo passo verso una maggiore responsabilizzazione dei membri di Governo;
    il rapporto del 4 settembre 2013 (A/68/362) dello Special Rapporteur ONU per la promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, in cui viene riconosciuto «il diritto di accesso all'informazione (come) uno dei componenti centrali del diritto alla libertà di opinione e di espressione, come stabilito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (articolo 19), dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (articolo 19, comma 2) e dai trattati regionali sui diritti umani»;
    il rapporto sul diritto alla privacy nell'era digitale del 30 giugno 2014 (A/HRC/27/37) dell'Ufficio dell'Alto Commissario ONU ai Diritti Umani che denuncia «un'allarmante mancanza di trasparenza da parte delle autorità governative associata con politiche, leggi e pratiche di sorveglianza che ostacolano qualsiasi tentativo di valutare la loro compatibilità con la legge internazionale dei diritti umani e di assicurare l'attribuzione di responsabilità»;
    la risoluzione A/HRC/28/L.24 del 23 marzo 2015 del Consiglio ONU per i diritti umani che istituisce il forum su diritti umani, democrazia e Stato di diritto come piattaforma per promuovere il dialogo e la cooperazione su questioni legate alle relazioni tra questi ambiti;
    la crescente erosione che la democrazia e lo stato di diritto stanno subendo nel mondo come testimoniato dalle gravissime e sempre più frequenti violazioni dei diritti umani, dall'aumento dei conflitti e della povertà diffusa;
    il riconoscimento del diritto alla conoscenza consiste nel ruolo che tale strumento normativo avrebbe in termini di prevenzione dei conflitti e di rafforzamento dello Stato di diritto, proprio come il diritto alla verità lo ha fatto per i diritti di riparazione;
    occorre riportare la vita degli Stati democratici all'altezza dei principi ispiratori e delle norme ad essi coerenti, in un ripristinato quadro di costituzionalità nazionale e internazionale secondo un approccio basato sull'universalità dei diritti umani e sul diritto come chiave della convivenza pacifica,

impegna il Governo

a promuovere, insieme a Paesi rappresentativi di tutte le aree geopolitiche e regionali, l'adozione di una risoluzione alla settantesima Assemblea generale delle Nazioni Unite che si aprirà il 15 settembre 2015 a New York, che impegni l'Organizzazione e gli Stati membri a intraprendere un'azione per garantire una transizione comune verso lo Stato di diritto e per codificare a livello universale il nuovo diritto umano alla conoscenza.
(1-00980) «Schirò, Amendola, Picchi, Alli, Scotto, Rabino, Fitzgerald Nissoli, Locatelli, Giachetti, Valentini, Rizzetto, Marguerettaz, Pastorino, Bechis, Prodani, Rostellato».


   La Camera,
   premesso che:
    la Camera ha impegnato i propri lavori, anche di recente, con una serie di mozioni, aventi ad oggetto interventi straordinari per popolazioni colpite da eventi naturali, tra le quali quelle di «Alternativa Libera», al fine di far conoscere e superare la drammatica condizione di pericolo idrogeologico in cui versa quasi tutto il territorio italiano;
    nell'occasione erano in discussione i fatti e le soluzioni immediate da dare alle popolazione del Veneto e di Genova;
    «Alternativa Libera», ha ampliato il dibattito sulla necessità di interventi strutturali da realizzarsi nell'intero Paese, poiché i temi della tutela ambientale, della difesa del territorio, delle popolazioni e delle attività produttive sono tra le priorità politiche perseguite da «Alternativa Libera» ovunque, cooperando con tutti i gruppi parlamentari per ampliare il campo di azione comune e l'azione di prevenzione e intervento del Parlamento e del Governo, poiché quasi tutti siamo in pericolo a causa della fragilità del nostro territorio e dell'esposizione al rischio di frane e alluvioni;
    in ben 6.633 comuni italiani sono presenti aree a rischio idrogeologico che comportano ogni anno un bilancio economico pesantissimo, intollerabile per un Paese civile;
    è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine da un lato ad usi speculativi e abusivi del territorio, dall'altro al suo completo abbandono;
    in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi, caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi, la gestione irrazionale del territorio porta a conseguenze disastrose. Si ricorda che se non lo fa per convinzione, è almeno necessario farlo per convenienza: negli ultimi 5 anni, oltre al costo umano irrecuperabile e dolorosissimo, dovuto a circa 2000 eventi naturali catastrofici, abbiamo impegnato 5 miliardi di euro per dare aiuto a comunità e imprese, già duramente colpite dalla crisi economica ancora in atto, per evitare ulteriori danni irreparabili;
    l'ennesimo episodio di devastazione naturale ha riguardato, questa volta, la Calabria: un violentissimo nubifragio si è abbattuto nella notte tra il 12 e il 13 agosto 2015 sulla costa ionica cosentina, nella zona di Rossano e Corigliano Calabro, dove sono esondati i torrenti Citrea, Celadi e Inferno;
    a Rossano Calabro è crollata una strada del centro storico, decine di auto sono state trascinate dal fango. Un'automobile della polizia, che aveva appena portato in salvo una quarantina di persone rimaste intrappolate in un hotel, tra cui molti bambini, è stata trascinata dalle acque del torrente esondato. Altre squadre delle forze dell'ordine hanno evacuato alcune abitazioni a Rossano Calabro e sono intervenute per mettere in sicurezza adulti e bambini rimasti intrappolati in un villaggio turistico. L'esondazione del torrente Citrea ha provocato l'isolamento di alcuni quartieri in località Petra, Ciminata, Vallato, Toscano ed altre;
    i lidi che fino a ieri ospitavano i turisti sono stati letteralmente spazzati via;
    il comune, sta provvedendo al ripristino degli argini del torrente Citrea e alla ricanalizzazione delle acque. Rimangono chiusi tutti i sottopassaggi ferroviari. Per raggiungere l'area marina, dalla zona Scalo, è stato ripristinato momentaneamente il doppio senso di marcia sul passaggio a livello di Rossano stazione. Sono operativi i centri di accoglienza e ricovero allestiti nelle strutture sportive di via Candiano e Viale Sant'Angelo, dove sono stati garantiti pranzi al sacco a quanti, cittadini residenti e soprattutto turisti, hanno chiesto e trovato ricovero nelle strutture;
    nella parte alta della città di Rossano sono state evacuate alcune famiglie a seguito del crollo di un tratto del muro portante di Via Minnicelli. Alcune contrade, a causa del violento nubifragio, rimangono isolate. Risultano allagati anche i sottopassaggi comunali. Vi sono stati pericolosi smottamenti diffusi in più parti del centro storico e dello scalo. Risulta chiusa la strada provinciale Celadi (che collega scalo al centro storico) per frane. La statale 106 jonica e la ex statale 177 Silana di Rossano, sono percorribili solo in casi di necessità ed emergenza;
    una cinquantina di persone sono state salvate dagli specialisti del Soccorso alpino fluviale della Guardia di finanza a Rossano. Tra essi c'erano anziani, donne e bambini rimasti isolati nelle abitazioni accerchiate dall'acqua;
    la popolazione è la migliore fonte giornalistica per comprendere la portata degli eventi: un residente ha dichiarato che: «A 50 metri da casa mia c’è una strada che sembra un fiume, l'acqua sta portando via tutto verso il mare fino a ridurre il lido un disastro, ci sono macchine accatastate una sopra l'altra fino a Corigliano, è impressionante. Vediamo sorvolare gli elicotteri, ci sono i vigili del fuoco, i carabinieri, ma siamo bloccati in casa, senza luce né acqua, siamo isolati. Ha iniziato a piovere ieri sera e per tutta la notte, 12 ore di acqua continua e da questa mattina alle 8 la pioggia è aumentata fino a scatenare l'inferno: è saltato tutto, acqua, elettricità, linee telefoniche, mezza città è distrutta e continua a piovere a ridotto»;
    un suo concittadino ha raccontato: «Avevo visto che il torrente vicino casa si stava ingrossando, sono andato ad avvertire i miei genitori di fare attenzione e tenerlo sotto controllo quando all'improvviso è arrivata un'ondata». La famiglia dell'uomo è rimasta isolata in un quartiere dove l'acqua ha raggiunto il metro e mezzo d'altezza. Il cittadino ha affermato anche: «Per fortuna abitiamo in una villetta a due piani e i miei genitori, che stanno al piano inferiore, ci hanno raggiunti al secondo piano. L'auto di mio padre galleggiava letteralmente nell'acqua». Dal balcone della sua abitazione ha inoltre raccontato che si vedeva una massa di acqua e fango che invadeva tutta l'area. Ha anche affermato: «Eravamo preoccupati per una coppia di anziani che abitano a piano terra, qui vicino. Sono riuscito a raggiungerli e per fortuna stanno bene». Ha poi concluso dicendo: «Ho visto un elicottero della protezione civile ma ancora nessuno è riuscito a raggiungerci»;
    si ricorda che la Calabria è una regione fragilissima perché il 90 per cento del territorio è a forte rischio idrogeologico;
    il Governo recentemente ha varato una serie di provvedimenti, a nostro avviso insufficienti, per contenere il dissesto idrogeologico perché siamo convinti che i progetti finanziati siano inadatti e obsoleti. Un fatto poi è particolarmente criticabile: i 650 milioni di euro previsti per tali progetti appaiono un investimento minimo se comparato con le somme spese per far fronte ad altre simili emergenze, otto volte più ingenti; inoltre, neanche un euro è destinato al sud Italia, nonostante i dati sconfortanti resi noti dallo Svimez sulla situazione economica meridionale, danneggiata e limitata nelle proprie capacità di sviluppo anche a causa di infrastrutture fatiscenti e che possono risultare pericolose per le popolazioni e non in grado di garantire la necessaria competitività alle imprese;
    l'utilizzo dei fondi europei per interventi mirati nei territori consentirebbero maggiore sicurezza, spese produttive, aiuti efficaci a lavoratori e imprenditori. Perché ciò avvenga è necessario che il Governo garantisca una regia razionale e fatta di una serie di obiettivi puntuali da raggiungere, fornendo anche un supporto tecnico diversificato a seconda dei territori per il loro corretto utilizzo;
    tornando agli eventi calamitosi che hanno colpito la vasta area dell'Alto Jonio Calabrese, si segnala che questi hanno provocato danni ingentissimi che non sono stati ancora totalmente calcolati, ma in base ad una primissima valutazione, essi consistono in danni a strutture, attività balneari e abitazioni di ampia portata;
    una cosa inoltre è certa: i danni rischiano di mettere in ginocchio le attività produttive, soprattutto quelle garantite dalle piccole e medie imprese. Nel caso in cui mancasse un intervento deciso esse non potrebbero infatti riaprire più i battenti;
    è doveroso produrre il massimo sforzo per dare rapide soluzioni al problema, mitigare e riparare i danni recati al tessuto economico, specie al settore turistico, della vasta zona interessata;
    l'azione congiunta di Parlamento e Governo, assieme a quella del sistema bancario operante in Calabria, sarà fondamentale per la riuscita dell'operazione, considerando che solo un intervento pubblico efficace e solidale e un reale accesso al credito rapido e senza interessi, potrà scongiurare il rischio che molti pagamenti delle merci andate in rovina, possano non essere effettuati o che le imprese si ritrovino nell'impossibilità di riacquistare le scorte per riprendere l'attività;
    analoga necessità si registra per garantire le ristrutturazioni dei locali devastati dalla forza della natura;
    le istituzioni centrali non possono e non devono lasciare alla sola regione Calabria e ai singoli comuni interessati l'onere dell'adozione delle necessarie misure emergenziali di natura socio-economica per evitare che le attività falliscano, causando un effetto domino rovinoso perché porterebbe ai licenziamenti dei dipendenti e all'ulteriore peggioramento delle condizioni di vita degli italiani che vivono e lavorano sul versante ionico calabrese;
    sono necessarie misure immediate, a partire almeno dalla sospensione del pagamento dei tributi locali e delle tasse regionali, in grado di dare una boccata di ossigeno alle popolazioni, ai lavoratori e alle imprese colpite dagli eventi,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche attraverso alcuni interventi normativi e gli opportuni necessari stanziamenti, ogni iniziativa utile a sostegno dei territori e dei comuni colpiti dalla tempesta, dal nubifragio e dagli allagamenti avvenuti in Calabria tra il 12 e il 13 agosto 2015, al fine di rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita, della funzionalità dei servizi essenziali, nonché per la riduzione del rischio residuo, per la ricostruzione e per il risarcimento dei danni, stabilendo delle misure che garantiscano parità di trattamento per tutti i comuni appartenenti alle zone colpite da fenomeni naturali che hanno provocato ingenti danni ambientali;
   ad assumere in particolare efficaci iniziative affinché:
    a) le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per il ripristino dai danni subiti non siano conteggiate ai fini del patto di stabilità interno;
    b) vengano sospesi l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni colpite da calamità naturali, predisponendo un piano di rateizzazione per il rientro della propria posizione debitoria nei confronti del fisco e in particolare venga previsto un intervento volto a garantire gli introiti mancanti agli enti locali aumentando i trasferimenti centrali ai comuni interessati a causa delle sospensioni di Tari, Tasi ed Imu;
    c) siano previsti sgravi fiscali per la ricostruzione ed il restauro degli edifici e dei beni artistico-architettonici colpiti;
    d) per gli edifici dichiarati inagibili, per tutto il periodo di inagibilità, sia sospeso il pagamento dei mutui, dei finanziamenti e dei tributi locali, utilizzando a compensazione verso i creditori un fondo di solidarietà appositamente istituito anche con la partecipazione della Cassa depositi e prestiti;
    e) a stipulare specifici accordi con Fincalabra Spa e le banche operanti sul territorio per facilitare l'accesso e l'erogazione al credito, finalizzato al ripristino della vita associata, delle attività produttive, la ricostruzione di infrastrutture pubbliche e strutture private danneggiate dagli eventi naturali senza l'onere del pagamento degli interessi per i richiedenti credito aventi tali finalità;
    f) a procedere con urgenza alla definizione di criteri oggettivi che, in caso di future calamità naturali sul territorio italiano, garantiscano ai territori colpiti parità di trattamento in proporzione all'entità dei danni subiti;
    g) a convertire la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, redatta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un piano vero e proprio, anche con il supporto dell'unità di missione «Italia sicura», individuando una scala di priorità tra gli interventi ivi contenuti, un cronoprogramma di attuazione ed un piano di finanziamenti certi, prevedendo lo stanziamento dei primi fondi già a partire dalla prossima legge di stabilità.
(1-00981) «Barbanti, Artini, Baldassarre, Bruno, Bechis, Carloni, Di Lello, Marantelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la non corretta informazione che sempre più spesso viene diffusa sia attraverso le reti televisive che sulla carta stampata in merito al consumo alimentare dei funghi spontanei, di certo non aiuta il cospicuo numero di consumatori che, ogni anno, subiscono rilevanti danni alla salute, con conseguenze talora molto gravi, quali morte o trapianto d'organo, dopo aver ingerito funghi spontanei;
    questo è quanto, ancora una volta, emerso in occasione del recente workshop regionale sulle intossicazioni da funghi organizzato a Lamezia Terme (Catanzaro) dal dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie regione Calabria, con la collaborazione dell'AMB (Associazione micologica Bresadola) e della CMC (Confederazione micologica calabrese);
    il numero dei casi di intossicazione da funghi che ogni anno si registrano nel nostro Paese è allarmante. Fra i dati disponibili, utili a quantificare il numero di eventi tossici, vi sono quelli forniti dai Centri antiveleni (CAV) ed in particolare quelli resi disponibili dal CAV di Milano che, dal 1994 al 2014, ha registrato 13.891 casi clinici di varia gravità, di cui i più seri hanno causato 46 decessi e 21 trapianti di fegato;
    a questi casi va sommato un numero variabile di commensali che hanno partecipato al pasto in ciascun evento (da un minimo di 2, fino a 60 commensali), il che aumenta il numero di pazienti intossicati di circa il 38 per cento, in media circa 1.000 casi all'anno;
    per avere però una stima annua ancora più realistica sul numero di pazienti con problematiche cliniche relative al consumo di funghi occorrerebbe poi considerare tutti gli altri casi, sia quelli gestiti da altri Centri antiveleni, sia quelli per i quali non è stata richiesta la consulenza tossicologica del Centro antiveleni di Milano;
    negli ultimi anni il momento peggiore si è registrato nell'autunno 2012, quando in pochi mesi, si sono verificati numerosi casi di intossicazioni fungine molto gravi, che hanno provocato un cospicuo aumento del numero dei morti e di trapianti d'organo;
    la gravità della situazione fu colta dal Ministero della salute che, in quella occasione, diramò un comunicato stampa di «allerta» sul consumo di funghi non controllati, pubblicando, altresì, sul proprio sito, un opuscolo informativo e un decalogo sul consumo dei funghi in sicurezza (redatto a cura del CAV di Milano);
    in quello stesso periodo l'AMB, la provincia di Milano, il Centro antiveleni di Milano, con il patrocinio del Ministero della salute, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), erano impegnati nell'organizzazione del 5o Convegno internazionale di micotossicologia. L'incessante susseguirsi di nuovi casi di avvelenamento da funghi spontanei sembrava affermare l'insufficienza di ogni sforzo finalizzato a fornire informazioni corrette sul gravissimo pericolo rappresentato dal consumo «inconsapevole» di funghi spontanei e su alcune altrettanto pericolose credenze o consuetudini locali, diffuse anche attraverso i mezzi di informazione, legate sia alla raccolta che alla preparazione alimentare dei funghi;
    tutto ciò ha raggiunto il suo apice il 24 maggio 2014 con la presentazione e la cottura in diretta televisiva, su una rete RAI, di un fungo, Gyromitra esculenta, considerato velenoso dal Ministero della salute e dalla comunità scientifica, perché responsabile, nel recente passato, di intossicazioni anche letali;
    a tale proposito nessun esito ha finora avuto la richiesta inoltrata dall'associazionismo micologico con tempestività ai, dirigenti RAI al fine di ottenere una pubblica rettifica nell'ambito della stessa trasmissione;
    tale irresponsabile episodio avveniva a pochi mesi dalla morte di una donna in Calabria, nel marzo 2014, per consumo di una specie fungina tossica, seguito, ancora in Calabria, nell'ottobre 2014, dal decesso di un uomo e dal trapianto di fegato in una donna, sempre per ingestione di funghi non controllati;
    non è certamente necessario richiamare l'articolo 32 della Costituzione per affermare che l'attività di prevenzione delle intossicazioni da funghi rientra pienamente nei principi garantiti dalla Carta, la quale tutela la salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»;
    il danno in termini di salute che tali eventi producono è infatti così socialmente significativo, a causa del grave periodo invalidante con esiti in alcuni casi permanenti se non mortali, da motivare di per sé un serio intervento da parte del Governo;
    rilevanti e di pubblico interesse sono anche gli oneri sanitari, derivanti dalla degenza presso strutture ospedaliere di alta specializzazione e, a maggior ragione, in caso di eventuale intervento chirurgico per trapianto d'organo;
    per contrastare tali drammatici eventi il legislatore, già dal 1996, istituì gli ispettorati micologici presso ciascuna azienda sanitaria con compiti di controllo sulla commercializzazione, trasformazione e consumo dei funghi nonché di consulenza sia per i privati raccoglitori che, in occasione di evento tossico, per i pronto soccorso, per i medici ospedalieri, di medicina generale e di continuità assistenziale;
    in collaborazione con i dipartimenti pubblici di prevenzione, anche l'AMB, iscritta con il n. 159 al registro nazionale delle Associazioni di promozione sociale, grazie alla sua presenza capillare su tutto il territorio nazionale e mediante l'impegno volontario dei circa 10 mila associati, realizza, da diversi decenni, un'incessante attività di prevenzione tramite la divulgazione di una corretta cultura micologica;
    tuttavia, l'intossicazione da funghi non deve essere considerata un evento ineludibile o una fatalità, ma una circostanza grave che può e deve essere preventivamente contrastata veicolando, in modo diretto, la giusta informazione;
    le analisi che seguirono agli eventi del 2012 fecero ipotizzare, fra i motivi dell'evidente inadeguatezza del sistema di prevenzione, anche il potenziale ruolo della non corretta informazione che, sempre più spesso, viene data sui funghi dai più diffusi mezzi di informazione. Ci si riferisce in particolare a quella veicolata nell'ambito di alcune trasmissioni televisive e su certa carta stampata, diffusa da presunti «esperti di funghi», che risulta spesso farcita di superficialità, pressappochismo, disconoscenza e superstizioni e che può creare, nella pubblica opinione, un disorientamento così elevato da vanificare ogni sforzo informativo di corretta prevenzione reso sia dai servizi pubblici che dalle associazioni di volontariato;
    a documentare tutto ciò è l'intervento di un noto cuoco che, in una trasmissione televisiva molto seguita dal pubblico, faceva riferimento ad un fantasioso metodo utile a rilevare, al momento della cottura, la presunta velenosità dei funghi. Sulla estrema pericolosità di tale evento è allarmante richiamare il fatto che una donna di Cosenza, nel 2014, facendo affidamento proprio sullo stesso falso criterio nel cucinare funghi da lei raccolti e consumati senza il preventivo controllo micologico, si procurò un gravissimo avvelenamento falloideo;
    alla luce di quanto esposto, il firmatario del presente atto ritiene che i tempi siano maturi per passare ad una più approfondita, corretta e vasta informazione sul tema «funghi», troppo spesso trattato in modo distorto e superficiale;
    vi sono fondati motivi per ritenere che la «disinformazione sui funghi», resa in troppo numerose occasioni dai mezzi di informazione, possa avere una «corresponsabilità oggettiva» nel verificarsi degli episodi di intossicazione;
    un minuto di disinformazione in una rete televisiva nazionale o locale vanifica il lavoro di chi fa seria prevenzione sulle intossicazione da funghi ed appare evidente che non è sufficiente essere frequentatori dei boschi e raccoglitori di funghi o chef conosciuti, per essere considerati «esperti di funghi»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per definire regole precise che impongano, a qualunque operatore dell'informazione in qualunque contesto operi, prima di trattare l'argomento dei funghi, di consultare preventivamente, per le rispettive competenze, i micologi degli ispettorati micologici, i tossicologi dei centri antiveleni, i micologi dell'associazione micologica Bresadola;
   a realizzare una pubblica campagna di spot pubblicitari televisivi sul «consumo in sicurezza dei funghi» curata, a garanzia dei corretti contenuti, dalle medesime figure professionali.
(7-00763) «Catanoso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   le aziende italiane partecipate da cinesi sono cresciute da 7 a 272, di cui 187 cinesi e 85 partecipate da multinazionali con sede a Hong Kong, con un'occupazione complessiva pari a quasi 12 mila addetti. Secondo Rotschild, dal 2009 a oggi, il 10 per cento delle operazioni commerciali di imprese cinesi in Europa è avvenuto in Italia;
   è evidente che ci sono forti investimenti della Cina in Italia. Soprattutto se tra queste aziende, oltre a un bel po’ di made in Italy, ci sono colossi come Eni, Enel, Assicurazioni Generali, Telecom, Pirelli, Fiat e Finmeccanica. Ancor di più se, recentemente sono stati appena siglati venti accordi commerciali per un controvalore complessivo di circa 8 miliardi di euro;
   il Presidente del Consiglio dei ministri in una conferenza stampa ha dichiarato che «In questo momento è molto forte l'attenzione degli investitori cinesi verso il nostro paese e ne siamo ben felici – Sono grandi spazzini che comprano al chilo»;
   è interessante capire dove si concentri l'interesse dei cinesi, in quali ambiti, in che settori e soprattutto su quali realtà. Cosa che può permettere, al pari, di capire dove l'Italia stia trovando capitali per rilanciare la propria economia o stia perdendo sovranità economica;
   nel settore della finanza la cui la People's Bank of China detiene una quota che si aggira attorno al 2 per cento delle Assicurazioni Generali uno dei pionieri del mercato assicurativo. Altrettanto importante, l'accordo definito, in questi giorni tra la China Development Bank Corporation e Cassa depositi e prestiti, forziere, stavolta pubblico, dei risparmi di milioni di famiglie italiane. I contorni dell'accordo sono ancora oggi poco chiari – si parla di investimenti congiunti in Italia e in Cina – ma già si sa, ad esempio, che il valore economico è di quasi 4 miliardi di dollari;
   nelle telecomunicazioni, la banca centrale cinese è entrata anche nel capitale di Telecom, anche in questo caso con una quota di poco superiore al 2 per cento;
   nel campo dell'Industria la Xiamen King Long United Automotive Industry, maggiore casa costruttrice di autobus della Repubblica popolare ha infatti acquisito l'80 per cento di BredaMenarinibus, società del gruppo Finmeccanica, a sua volta o dei principali produttori di autobus italiani;
   l'energia è un altro settore delicato che sta finendo in mani cinesi. Lo scorso luglio la State Grid Corporation of China ha acquistato per due miliardi di euro il 35 per cento di Cdp Reti: la società di Cassa depositi e prestiti in cui sono confluiti il 30 per cento di Snam (rete gas) e il 29,8 per cento di Terna (rete elettrica), La State Grid Corporation of China è la settima società al mondo per fatturato, con oltre milione e mezzo di dipendenti, e avrà due componenti su cinque nel cda di Cassa depositi e prestiti Reti e un membro nei board di Snam e Terna. Dopo la volta di Ansaldo Energia, società in forti difficoltà che, dopo, mesi di trattativa con la coreana Doosan Heavy Industries, aveva ceduto il 40 per cento del capitale a Shanghai Electric per 400 milioni di euro. Proprietario di Ansaldo Energia è il Fondo strategico italiano, che a sua volta sta cedendo quote alla China investment corporation;
   quote più modeste, il 2 per cento, ma per le maggiori società italiane, Enel e soprattutto Eni, erano già finite a marzo alla People's Bank of China, per rispettivamente 800 milioni e 1,3 miliardi di auto. In entrambi i casi le quote acquistate sono state poco più del 2 per cento, soglia sopra la quale la proprietà di azioni diventa palese: un modo per far capire ai partner europei e soprattutto a quello americano, che la Cina era arrivata e aveva messo piede in stanze strategiche. Il settore dell'energia è in grado di spostare gli equilibri geopolitici, oltre che fornire informazioni dettagliate sui cittadini. Per questa, come ha messo in evidenza il quotidiano il Foglio, le acquisizioni in questo campo stanno allarmando i diplomatici statunitensi, preoccupati dall'allentamento del legame diretto tra Usa ed Europa;
   il Governo italiano, d'altra parte, aveva messo la cessione di quote di Eni ed Enel al centro del piano di privatizzazioni del governo Letta, del novembre 2013, che avrebbe dovuto portare 12 miliardi di entrate nelle casse pubbliche entro il 2015. La stessa Cassa depositi e prestiti Reti fu creata proprio allo scopo di vendere a operatori stranieri;
   le operazioni commerciali suddette preoccupano perché vendere quote di società come Eni, Enel, Telecom, Finmeccanica, Generali che rappresentano il braccio economico e produttivo del nostro Paese ad investitori che non hanno delineato chiaramente un piano industriale e prospettive di lungo termine per le imprese predette rileva solo un'attività commerciale da parte dei cinesi meramente speculativa a discapito del nostro patrimonio –:
   di quali elementi disponga il Governo delle operazioni commerciali su descritte;
   se non ritenga che il rapporto commerciale con la Repubblica popolare cinese stia sempre più diventando eccessivamente squilibrato nei confronti di Pechino considerando che gli investitori sono totalmente controllati da un Governo estero;
   se intenda adottare iniziative al fine di verificare che gli investimenti e gli accordi commerciali con la Cina possono essere lesivi degli interessi dell'Italia.
(2-01063) «Vallascas, Da Villa, Cancelleri, Crippa, Della Valle, Fantinati, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Toninelli, Ferraresi, Bonafede, Agostinelli, Businarolo, Colletti, Sarti, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Frusone, Basilio, Paolo Bernini, Corda».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in questi giorni i cittadini di Napoli stanno vivendo, ancora una volta, momenti angoscianti, a causa della spirale di sangue e di violenza perpetrata dalle organizzazioni criminali: esecuzioni, accoltellamenti, spari dimostrativi, danneggiamenti di varia natura;
   in particolare nel centro storico, al Rione Sanità, sono avvenute le esecuzioni di Pasquale Ceraso e del diciassettenne Gennaro Cesarano, e prima di queste, a fine luglio, quella di Luigi Galletta; nella zona orientale, a Ponticelli, l'omicidio del trentenne Antonio Simonetti; nella zona occidentale, al Rione Traiano, da giorni volteggiano in aria proiettili di kalashnikov, sparati da persone a bordo di scooter, a scopo dimostrativo, e poco più in là, a Pianura, è stata rinvenuta una bomba a mano in un parcheggio;
   alla faida camorristica che si sta consumando nel centro storico di Napoli per la conquista delle piazze di spaccio potrebbe essere collegato anche l'accoltellamento di un uomo sugli spalti dello stadio San Paolo, nel corso della prima partita casalinga del campionato di calcio;
   nel mese di luglio, dopo il verificarsi dell'esecuzione del giovanissimo boss Emanuele Sibilo e delle azioni criminali compiute dalla cosiddetta «paranza dei bambini» nella zona di Forcella, il Ministro dell'interno Angelino Alfano ha disposto l'incremento da 50 a 100 unità «del contingente dei Reparti Inquadrati, peraltro già operativi nei quartieri di Scampia e Secondigliano, allo scopo di implementare i servizi di sicurezza e ordine pubblico nelle aree a rischio»;
   attraverso tale dispositivo, noto come «Operazione Alto Impatto», il Governo ha voluto dare «una risposta importante a garanzia dei cittadini napoletani che possono e devono contare, specialmente dopo i gravi fatti recentemente avvenuti, su una costante presenza dello Stato, tradotta concretamente in una serie di interventi pronti e mirati anche al contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa»;
   in seguito alla catena di atrocità riportate dalla cronaca degli ultimi giorni, il prefetto Gerarda Maria Pantaleone ha convocato il 7 settembre 2015 il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, da cui è scaturita la richiesta al Governo di un consolidamento dell'Operazione Alto Impatto attraverso l'incremento della presenza delle forze dell'ordine in città;
   il Ministro Alfano ha annunciato l'invio di altre 50 unità, fra polizia e carabinieri, per il presidio dei quartieri che in queste ore sono maggiormente in balìa della violenza criminale messa in atto, sempre di più, dalle giovanissime leve delle organizzazioni camorristiche;
   tuttavia, se la «presenza dello Stato» in tutti i territori in cui è annidato il cancro della criminalità di stampo mafioso costituisce l'elemento indefettibile per la lotta a tali organizzazioni, essa non può essere confusa, o comunque esaurirsi nella mera disposizione di posti di blocco e presidi, pure necessari nei momenti in cui la violenza dei clan viene esibita in modo così eclatante e devastante;
   la logica che presiede all'operazione «Alto Impatto» e alle misure recentemente disposte è intrinsecamente debole per almeno due ordini di ragioni;
   in primo luogo, qualsiasi rafforzamento dei contingenti delle forze dell'ordine rappresenta una misura necessariamente temporanea, la quale, nelle diverse forme in cui è stata già declinata in passato ha ampiamente dimostrato la sua inefficacia, soprattutto se svincolata da un accrescimento delle risorse materiali e tecnologiche che consentano alle forze dell'ordine di operare nel modo più efficace ed efficiente nei territori, così come da un ripensamento delle norme in materia di prescrizione dei reati e, più in generale, di contrasto all'attività delle cosche camorristiche;
   inoltre, si tratta di una risposta, se isolata, debole e miope perché concepisce il principio di legalità come risultato fine a sé stesso, secondo una logica meramente securitaria e repressiva, mentre la legalità è un concetto più ampio che, soprattutto nello stato di diritto costituzionale, appare indissolubilmente legato alle condizioni sociali, culturali ed economiche della comunità, ed è soltanto in relazione a queste che esso si definisce e può concretamente realizzarsi;
   l'emarginazione sociale, la disoccupazione, la mancanza dei servizi essenziali, l'assenza delle istituzioni scolastiche oppure il loro spaventoso degrado, il disinvestimento nell'istituzione di spazi culturali – fattori spesso congiuntamente presenti in alcuni territori della città, dal centro storico alle periferie – in sostanza l'assenza dei mezzi culturali e materiali per lo sviluppo e la dignità della persona precludono all'origine l'affermazione del principio di legalità inteso nel suo significato più ampio, che però è anche l'unico che può essere ricavato dalla lettura sistematica della Costituzione italiana;
   la lotta che lo Stato conduce contro le organizzazioni criminali di stampo mafioso non può che declinarsi, dunque, nella definizione di una politica di interventi plurisettoriali – interessando il settore occupazionale, urbanistico, scolastico, culturale e sociale – mirata a sradicare la cultura criminale e recuperare alle generazioni che verranno la libertà che la Costituzione garantisce loro –:
   quali siano i risultati conseguiti fino ad oggi dall'avvio dell'operazione «Alto Impatto», tenuto conto della recrudescenza degli episodi criminali negli ultimi giorni e della pessima prova offerta in passato da soluzioni analoghe a quella adottata dal Governo;
   se il Governo stia predisponendo una strategia più ampia di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che affianchi ai presidi sul territorio maggiori investimenti nelle risorse strumentali a disposizione delle autorità preposte e che si ponga l'obiettivo di rafforzare l'azione integrata del governo locale, della magistratura, delle forze dell'ordine e delle associazioni impegnate nella lotta alle cosche;
   quale sia la posizione del Governo rispetto alle proposte e all'approccio indicati in premessa e se, in particolare, non ritengano indifferibile l'avvio, in stretta intesa con gli enti locali interessati, di una politica strutturale di ampio respiro, che miri a ricostruire il tessuto sociale ed economico di interi quartieri umiliati dalle faide tra clan e, per questa via, ad affermare il principio di legalità nella sua accezione più pregnante.
(2-01067) «Fico, Luigi Di Maio, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Micillo, Pisano, Tofalo, Sorial, D'Incà».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 6 marzo del 2013, David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena da più di un decennio, descritto come il braccio destro dell'ex presidente  Mussari, riconfermato dal CDA presieduto da Viola, muore sul selciato del vicolo di monte Pio, sotto la finestra del suo ufficio a Rocca Salimbeni, sede della famosa banca senese. Come ricorda Il Fatto Quotidiano con un articolo del 5 luglio 2013, dal titolo «Mps, le ultime mail di Rossi: ”Stasera mi suicido, sul serio, Aiutatemi!!!”», venne aperta un'inchiesta. «L'inchiesta, aperta contro ignoti per istigazione al suicidio, era inizialmente stata affidata al pm Nicola Marini, magistrato di turno la sera di mercoledì sei marzo. Ma gli sviluppi l'hanno intrecciata all'indagine ”madre” sul Monte dei Paschi di Siena e a quella per insider trading, ed è divenuta di competenza anche degli inquirenti titolari degli altri fascicoli: Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso», venne archiviata dal giudice per le indagini preliminari Monica Gaggelli come suicidio, il 5 marzo 2014. Lo stesso giudice Gaggelli che nel maggio 2014 trasferì l'inchiesta sull'acquisizione di Antonveneta, a Milano, «per competenza territoriale accogliendo un'istanza presentata in sede di udienza preliminare da alcuni avvocati dei 9 imputati, 8 persone fisiche e la banca Jp Morgan» (La Nazione, «Mps, i pm lavorano per unificare le inchieste», del 14 gennaio 2015);
   il 20 febbraio 2013, la Gazzetta Mantovana pubblica on-line l'articolo «Inchiesta Mps, a Siena perquisiti uffici e case di Mussari e Rossi», I sottotitoli «La Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici e le abitazioni di Siena di Mussari, ex presidente del Monte, e del capo della comunicazione della banca, David Rossi, attuale vicepresidente del Centro Internazionale di Palazzo Te di Mantova. Rossi non risulta indagato, ma persona informata dei fatti», nel quale viene riportato «Sorprende il coinvolgimento, non si sa ancora a che titolo, di Rossi, alla vice presidenza del Centro di palazzo Te dal maggio 2011, dopo la modifica dello statuto che ha affidato la carica ad un rappresentante dei soci privati del Centro. Il sindaco Sodano scelse; come voleva lo statuto, lo stesso Rossi in rappresentanza dell'Mps, socio fondatore dell'istituzione culturale mantovana subentrato alla Bam. A fargli posto fu Graziano Mangoni, nominato dalla vecchia Banca agricola mantovana e dalla Fondazione Bam, che si dimise prima della sostituzione (...) David Rossi, nato a Siena nel giugno 1961, laureato in storia dell'arte, era il braccio destro di Giuseppe Mussari quando lui era alla presidenza della banca senese. Descritto come un ottimo professionista della comunicazione, esperto nei rapporti con i media, Rossi ha sempre avuto uno stretto legame di amicizia con Mussari. Insieme, infatti, lavorano, negli anni `90, per il sindaco di Siena Piccinini: Mussari aveva il compito di tenere i rapporti tra l'amministrazione comunale e l'allora partito dominante, il Pds, mentre Rossi si occupava dei contatti con i giornali e le tv locali e nazionali. Quando Mussari entra in Fondazione Mps porta con sé anche Rossi che, nel 2006, passa a Mps quando l'amico ne diviene presidente. Avere accanto un ”contradaiolo” diventa importante per un calabrese come Mussari che si ritrova ad avere le chiavi del ”forziere” della città. Rossi ricopre il ruolo di capo area comunicazione, assunto in pianta stabile dalla banca, e gli viene affidato un mega ufficio a Rocca Salimbeni. Una curiosità: fino al 2006 l'istituto di credito, per la comunicazione, si era affidato ad esterni con contratto a tempo determinato»;
   dal Corriere Fiorentino (Corriere.it, 5 marzo 2014 «Mps, archiviata l'inchiesta sulla morte di David Rossi») si apprende che: «L'archiviazione era stata chiesta dai pm mentre la famiglia di Rossi si era opposta, presentando anche una serie di perizie, LA  MOTIVAZIONE DEL GIP – ”Nessun punto oscuro può ritenersi sussistere e nessun dubbio” sulla morte di David Rossi. Lo scrive il gip Monica Gaggelli che oggi ha deciso l'archiviazione dell'inchiesta con l'ipotesi di istigazione al suicidio, aperta dopo la morte. Per il giudice, Rossi si gettò “volotariamente”, non è stato buttato né «spinto di sotto con violenza da terze persone dalla finestra». Il suicidio di David Rossi «è sicuramente maturato nelle ultime settimane nella psiche del defunto». Per il Gip la decisione venne presa dal Rossi «nel contesto della tempesta, anche mediatica oltre che giudiziaria, che ha subito l'istituto senese» e per la vicinanza di lui «al vecchio management» del Monte. «SOVRACCARICO EMOTIVO». – Per il Gip Gaggelli, il «sovraccarico emotivo» era aumentato nella psiche di Rossi soprattutto dopo la perquisizione da lui subita il 19 febbraio 2013, che era diventata «una sorta di ossessione» come percepito «dai suoi più stretti collaboratori e dai suoi familiari» scrive ancora il giudice. In questo senso sarebbero emblematici «i gesti di autolesionismo di cui si avvedono la stessa moglie e la figlia di lei». In particolare, l'ex capo Comunicazione di Mps nelle due settimane che precedettero il tragico gesto del 6 marzo 2013 avrebbe maturato due ossessioni: una quella di non essere in grado «di gestire il ruolo che pure anche il nuovo management lo aveva confermato e anzi potenziato». L'altra ossessione sarebbe stata la paura di essere coinvolto direttamente nelle vicende legate all'inchiesta su Mps «di essere intercettato e financo di essere arrestato». Alla prima paura era correlata anche quella «di essere licenziato» in particolare dopo essersi convinto che i nuovi manager della banca lo avevano «estromesso dalle informazioni sensibili», timore che per il Gip, dopo l'inchiesta portata avanti dai magistrati era «assolutamente immotivato». Tutta questa situazione emotiva secondo il Gip emerge in particolare nel «drammatico ondivago scambio di e-mail intrapreso la mattina del 4 marzo con l'Amministratore delegato Fabrizio Viola: evidenti sono gli sbalzi di umore rispetto alla prima richiesta di aiuto rivolta allo stesso alle 10,30 («stasera mi suicidio sul serio. Aiutatemi!»)». Una mail che non sarebbe pervenuta «all'unico destinataria, ma alla quale sono poi seguite altre mail, sempre dirette all'Ad, con toni meno allarmanti e più distesi». ROSSI ESTRANEO ALLA FUGA DI NOTIZIE – Il Gip, poi, conferma che dalle indagini è emersa anche l'estraneità totale di Rossi dalla fuga di notizie dopo il Cda del 28 febbraio 2013, quando venne decisa l'azione risarcitoria nei confronti delle banche Nomura e Deutsch. Ai colleghi di lavoro, ai suoi superiori e ai suoi famigliari, scrive ancora il giudice Gaggelli, Rossi lasciava capire che la «forte demoralizzazione e la perdita di autostima» derivavano «da problematiche estranee all'attività lavorativa o perlomeno a quella attuale»;
   il Corriere di Siena, in un articolo del 10 novembre 2014 dal titolo «Morte di David Rossi: il caso non verrà riaperto», dichiara che «La procura generale di Firenze ha rinviato a quella di Siena gli atti dell'esposto presentato dalla vedova di David Rossi, l'ex capo area comunicazione di Mps gettatosi dalla finestra del suo ufficio la sera del 6 marzo 2013. Ma i pm Aldo Natalini e Nicola Marini, titolari dell'inchiesta, preso atto delle carte tornate da Firenze, avrebbero confermato che andranno a far parte del fascicolo archiviato il 5 marzo scorso. Non ci sarà quindi nessuna nuova indagine. Per la procura di Siena il caso è chiuso: David Rossi si è suicidato gettandosi dalla finestra del suo ufficio la sera del 6 marzo del 2013». A detta degli interpellanti trattasi di una vera e propria strabiliante coincidenza la maturazione di questa decisione: giunta proprio tra quando solo pochi giorni prima Report intervista la moglie di Rossi, Antonella Tognazzi, e la messa in onda della puntata (programmata per il 23 novembre 2014), mentre giornali come il Corriere Fiorentino, solo il giorno prima, 9 novembre, intitolava e scriveva «La fine di David Rossi – caso da riaprire? ”Non crede al suicidio di David Rossi, la vedova Antonella Tognazzi, che è stata intervistata pochi giorni fa da Report. La trasmissione di Rai 3 ha mandato in onda l'anteprima di una puntata, quella del prossimo 16 novembre, che Milena Gabanelli annuncia così: «Ci occuperemo del misterioso omicidio di David Rossi», la tragedia dell'ex capo della comunicazione del Monte di Paschi di Siena. Una tragedia che il Tribunale di Siena il 5 marzo scorso archivia come suicidio. Per conto della moglie di Rossi, l'avvocato Luca Goracci, nel maggio scorso, ha presentato alla Procura Generale di Firenze, un'istanza di riapertura delle indagini. Un pool di periti – Luca Scarselli, Gian Aristide Norelli, e altri – ognuno per le proprie competenze, ha messo in fila una serie di elementi che puntano diritti verso una sola direzione: David Rossi il 6 marzo 2013 non si è suicidato. E quindi, secondo la loro tesi, è stato ucciso, o volontariamente o colposamente. Partendo da una discrasia che divide la realtà dei fatti dall'ora di registrazione delle telecamere: 16 minuti avanti, secondo il verbale tecnico del gestore. E poi, fotogramma per fotogramma, appare la dinamica della caduta, David Rossi piomba sul selciato del vicolo toccando terra con le natiche dopo un volo «a candela», da un'altezza di 14,36 metri. La finestra dell'ufficio, al secondo piano di Rocca Salimbeni, ha una sbarra di protezione, un davanzale largo quanto una penna, sotto cui è appeso un fancoiler su cui è posta una risma di carta. Tutto appare intatto dalle foto successive alla tragedia. E per ovviare alla sbarra di protezione, l'ex capo della Comunicazione di Banca Mps o si sarebbe dovuto mettere in piedi su di essa per gettarsi nel vuoto, oppure seduto, Ma in questo caso il suo corpo avrebbe subito una inevitabile rotazione, che invece non c’è stata. Negli atti dell'archiviazione, che adesso, con l'istanza alla Procura Generale di Firenze, l'avvocato Luca Goracci chiede di riesaminare, c’è la documentazione fotografica sulle condizioni del cadavere. I reperti fotografici rilevati in sede di autopsia documentano ecchimosi e ferite in varie parti del corpo: c’è una ferita al capo (o da corpo contundente o da sbattimento su una parete o su un tavolo) di circa 3 centimetri sulla regione occipitale non riferibile alla caduta a terra. Ancora, c’è una ferita al labbro inferiore, una alla narice. Sulle braccia si rilevano ecchimosi, come da afferramento; all'altezza dell'addome c’è una vasta zona nera, un livido largo all'incirca come un pugno chiuso. Per i periti del Tribunale, provocato dalla pressione della cintola dei pantaloni nel momento dell'impatto a terra. Sul polso ci sono tre ferite, ma sul dorso, non sotto. Potrebbero essere quelle autoprocuratesi da David Rossi nei giorni precedenti, come raccontano i familiari. Nell'atto di archiviazione, i cerotti rinvenuti nel bagno dell'ufficio di Rossi, vengono riferiti a questo. Oppure, secondo la tesi ipotizzata dal pool dell'avvocato Goracci, sono l'effetto di una forte pressione operata sul polso, tanto da imprimere sulla pelle i segni dell'orologio. Tutte cose che non hanno convinto la magistratura senese a discostarsi dalla tesi del suicidio; neppure i segni rinvenuti sulle punte delle scarpe di marca che David aveva ai piedi. Come di uno strusciamento sul terreno. Nel vicolo di Monte Pio, chiuso e incastrato tra Rocca Salimbeni e i palazzi del centro storico, David Rossi resta solo, steso sul selciato, ad agonizzare per venti minuti. Lo rivelano i filmati della telecamera 6 di Banca Mps, Il vicolo sbocca su via dei Rossi. Animata a quell'ora, verso le 20 della sera. E il cadavere di David non è certo impossibile da vedersi. Eppure, per venti interminabili minuti David comincia a morire da solo. Muove la testa, le braccia, è vivo insomma. Ma nessuno segue in quei momenti, dalla banca, il video che riporta le immagini della tragedia. All'inizio del vicolo, sul muro, c’è una luce quasi costante per tutto il filmato ripreso dalla telecamere: sono le luci rosse di posizione di un'auto che se ne sta ferma in retromarcia all'ingresso del vicolo. Decisiva per impedire la vista di David che moriva. A un tratto, nel raggio di luce dei fari, si staglia netta la figura di un uomo, che guarda da lontano dentro il vicolo. Senza entrarvi. Più tardi, quando è finita l'agonia e David non si muove più, entra un altro uomo dentro il vicolo, si avvicina al cadavere e poi fa una telefonata con un cellulare. Ma non è quella per chiamare il 118, che arriverà più tardi, fatta da Bernardo Mingrone, dirigente della banca. Nei giorni precedenti, Rossi pensava di essere sul punto di essere travolto da eventi da cui si sentiva estraneo, impaurito dalle indagini sullo scandalo Mps, soprattutto dopo la perquisizione subita il 16 febbraio, seppure non fosse indagato. Profondamente preoccupato anche in virtù della sua amicizia personale con l'ex presidente Giuseppe Mussati. E rincorso da voci insidiose sul suo possibile accantonamento professionale, smentito dai vertici della banca;
   c'era stato, due giorni prima, uno scambio di mail con l'ad di Mps, Fabrizio Viola. Alle 10,13 del 4 marzo, David Rossi lancia un “help” a Viola: “Stasera mi suicidio, sul serio. Aiutatemi!!!!”, Eppure la conversazione, mentre Viola era a Dubai, era iniziata con una mail in cui l'amministratore delegato, scrive: “Parliamo della vicenda mutui di Prato”, in riferimento a una indagine alla Guardia di Finanza su mutui per 80 milioni concessi dalla filiale di Prato. Più tardi Rossi aggiunge: “Ti posso mandare una mail su quel tema di stamani? È urgente. Domani potrebbe già essere troppo tardi”. Rossi scrive, in riferimento ai magistrati che indagano sullo scandalo Mps: “Ho bisogno di un contatto con questi signori, perché temo che mi abbiano inquadrato male, come elemento di un sistema e di un giro sbagliati. Capisco che il mio rapporto con certe persone possa averglielo fatto pensare, ma non è così. Se mi avessero chiamato a testimoniare glielo avrei spiegato, invece mi hanno messo nel mirino come se fissi chissà cosa. Almeno è l'impressione che ne ho ricavato. Avendo lavorato con tutti, sono perfettamente in grado di ricostruire gli scenari, se è quello che cercano, Però vorrei delle garanzie di non essere travolto da questa cosa, per questo lo devo fare subito, prima di domani. Non ho contatti con loro. Mi può aiutare?”. Viola risponde: “Essendo la cosa molto delicata, credo che la cosa migliore sia che tu alzi il telefono e chiami uno dei pm per chiedere appuntamento urgente. Qualsiasi altra cosa potrebbe essere male interpretata. Oltretutto mi sembrano delle persone molto equilibrate”. Rossi sembra convenire: “Hai ragione, sono io che mi agito e mi sono spaventato dopo l'altro giorno”. E poi, ancora: “In effetti, ripensandoci, sembro pazzo a farmi tutti questi problemi. Scusa la rottura”. Due giorni dopo, l'epilogo, drammatico. E quei tre fogliettini lasciati alla moglie, in cui si legge: “Ciao Toni amore, ho fatto una cavolata troppo grossa per poterla sopportare”. Frasi su cui pesa il dubbio di Antonella Spiazzi: “Perché – ha detto a Report – mi ha scritto parole che tra di noi non ci siamo mai dette?”. La procura Generale di Firenze ha già trasmesso tutto a Siena. Sarà adesso quella Procura a valutare se riaprire le indagini o meno». Il giorno dopo, la notizia: tutto è stato archiviato;
   il 23 novembre 2014, va in onda la menzionata puntata di Report, intitolata «Il monte del Misteri». Milena Gabanelli, con l'ausilio di Paolo Mondani, ricostruiscono alcuni aspetti della morte di Rossi, intrecciandone la vicenda con quelle relative agli scandali, giudiziari o meno, dell'istituto di credito senese degli ultimi anni. Sul sito www.report-rai.it è possibile rivedere la puntata ed è messo a disposizione un file in versione pdf con la trascrizione a loro cura di quanto narrato, del quale si riportano le parti salienti utili, a detta degli interroganti, al presente atto;
   Paolo Mondani, voce fuori campo, introduce così la puntata «Che cosa c'entra Rocca Salimbeni, la sede senese del Monte dei Paschi, con Piazza San Pietro in Vaticano, lo scopriremo solo alla fine del nostro racconto. Partiamo da vicolo di Monte Pio, una viuzza cieca che costeggia il muro del Monte dei Paschi. È la sera del di marzo 2013. La telecamera riprende un uomo che precipita a terra e muore. (...) David Rossi, 51 anni, era a capo della comunicazione del Monte dei Peschi e per un decennio braccio destro di Giuseppe Mussare, il dominus della banca travolto da varie inchieste giudiziarie. La procura di Siena apre immediatamente un'indagine per istigazione al suicidio, ipotizzando che qualcuno lo abbia indotto a darsi la morte. Un anno dopo, l'inchiesta viene archiviata come semplice suicidio. La moglie di David non crede a questa versione dei fatti. (...) Sono circa le 20, la videocamera registra gli ultimi tre metri della caduta di David Rossi. Il corpo finisce al centro del vicolo. Per il giudice che ha archiviato l'indagine come suicidio, David Rossi, seduto sulla barra di sicurezza della finestra e con la schiena verso l'esterno si è dato una lieve spinta e si è lanciato nel vuoto. (...) L'autopsia rileva abrasioni sul viso e sugli arti, ematomi sulle braccia, sulle gambe e sul corpo. Nella parte posteriore del cranio c’è una ferita di forma triangolare. Un triangolo perfetto. Il corpo di David parla, ma l'autopsia non spiega tutto. E i periti sono in disaccordo fra loro. (...) L'autopsia non dice che potrebbe essere una pietra del vicolo e l'oggetto a punta triangolare non è mai stato neppure cercato. Alle 20 e 27, ora del video, nel vicolo entra un uomo. Secondo la Procura, la telecamera segna sedici minuti in meno rispetto all'ora reale e indica in questa persona quella che alle 20 e 40 circa chiama la Volante della Polizia. Ma il tecnico che estrae le immagini e le consegna alla Procura ha messo a verbale l'esatto contrario. (...) Quindi l'uomo sconosciuto entra in scena alle 20 e 11, non alle 20 e 40, vede il corpo di David Rossi e se ne va. Da lì al primo intervento dei soccorsi passerà più di mezz'ora. Qualche minuto dopo dall'alto cade un oggetto e rimbalza alle spalle di David Rossi. (...) se fosse l'orologio – e noi vediamo un grave che cade, un oggetto che cade – se fosse un orologio, vuol dire che qualcuno lo ha buttato di sotto. (...) Ecco il quadrante dell'orologio finito alle spalle del cadavere. Confrontando gli orari, si scopre che contemporaneamente alla caduta dell'oggetto dall'alto, sul cellulare di David  Rossi – ritrovato sulla sua scrivania in ufficio – viene digitato il 4099009. Forse è il telefono di qualcuno, più probabilmente il numero di un conto in banca. Una persona l'ha digitato,  ma la sua identità rimane un mistero. (...) Un oggetto che cade vicino al suo corpo,  un numero digitato al telefono, gli accessi tramite password al suo computer. Quante persone erano presenti in banca in quelle ore? Secondo l'usciere presente quella sera, in banca c'erano 10-15 persone. Gli inquirenti ne hanno identificate e interrogate solo tre». Oltre agli accessi notturni sul computer di David Rossi, usando le sue credenziali, Luca Goracci, legale della moglie di  David Rossi, afferma che era abitudine dell'ex capo della comunicazione MPS, prendere appunti su diversi taccuini che afferma «Era quasi... forse maniacale è una parola eccessiva, ma nel prendere appunti di tutto quello che sentiva o di tutte le comunicazioni», ma dei quali nel fascicolo relativo a David non risulta nulla, e la famiglia è in possesso solo di due piccoli taccuini: del resto non vi è traccia.
  La ricostruzione di Paolo Mondani prosegue «Il 19 febbraio 2013 la Guardia di Finanza perquisisce la sua casa e l'ufficio al Monte dei Paschi. Sospetta che faccia da postino tra Giuseppe Mussari e l'ex direttore generale Antonio Vigni, indagati per l'acquisto di Antonveneta e sui derivati finanziari che hanno distrutto i bilanci della banca. (...) Il primo marzo 2013, il Sole 24 Ore dà notizia dell'azione di responsabilità del Monte dei Paschi contro Mussari, Vigni e le banche Nomura e Deutsche. La decisione doveva rimanere riservata. Scatta un'indagine per insider trading. David Rossi è subito sospettato di aver passato l'informazione ai giornalisti. (...) David sa che un esponente della banca lo accusa. Purtroppo la verità emergerà solo dopo la sua morte: per la soffiata fatta al Sole 24 Ore viene indagato Michele Briamonte. Legale dello Ior e membro del cda di Montepaschi, Briamonte verrà immediatamente sospeso dall'incarico. In quelle ore David si sente incastrato e via mail comunica all'amministratore delegato Fabrizio Viola di voler andare a parlare con i magistrati (...) Inventori di inni e inventori di bilanci: dopo sette scudetti di fila la società Mens Sana Basket quest'anno è fallita ed è finita in serie B. L'ex Presidente Ferdinando Minucci ha trascorso qualche settimana agli arresti domiciliari. Nell'inchiesta è rimasto impigliato anche il Gran Maestro della massoneria Stefano Bisi, indagato per ricettazione. Insieme ad altri, Minucci avrebbe creato in 7 anni un sistema di fatturazioni false per circa 35 milioni di euro pagando in nero all'estero i giocatori. (...) Era David Rossi ad erogare gli ingenti fondi della banca per sponsorizzare il calcio, la pallacanestro e molto altro. Circa 50 milioni di euro l'anno. Ai magistrati avrebbe potuto chiarire i fatti così come avrebbe potuto raccontare della gestione degli immobili del Montepaschi che sta togliendo il sonno a molti senesi. Tanto che un piccolo giornale on-line ne ha parlato e la grande banca ha subito sporto querela. La storia comincia nel 2011. (...) Montepaschi svende alla Mittel Real Estate il complesso immobiliare di Via dei Normanni, a due passi dal Colosseo. Mittel vuol dire Giovanni Bazoli, il dominus di banca Intesa, e Romain Zalenski, ricco finanziere polacco molto indebitato con le banche. Quando la magistratura senese è andata a vedere il contratto di vendita è nato il sospetto che l'immobiliare del gruppo Mps avesse persino evaso il fisco. I migliori immobili della banca sono però nella società Sansedoni Spa controllata al 67 per cento dalla Fondazione Montepaschi. Sergio Betti è entrato da poco nella Fondazione...» il quale intervistato afferma «Sansedoni sta facendo ormai bilanci in passivo, gli ultimi 3 sono tutti in passivo, quello che si preannuncia ha un passivo di oltre 70 milioni, ha un indebitamento per mutui con le banche per circa 250 milioni». E aggiunge Mondani: «Investe nel Fondo Beta, nello sviluppo dell'ex area Fiat di Firenze, in un centro turistico in Sardegna a Capo Malfatano, in uno Sviluppo Immobiliare a Fiumicino vicino Roma, mette soldi in una società in Olanda, acquista la società Valorizzazione Immobiliare nel 2008 addirittura con Lehman Brothers pochi mesi prima del suo default». Nel corso della puntata Mondani intervista quello che viene definito «un suo intimo amico che non vuole essere riconosciuto» che confermerebbe che «per la banca, David Rossi manteneva rapporti con alcuni imprenditori e politici di peso». Nell'intervista, l'amico di David Rossi afferma «David mi racconta di una cena ad Arcore, cioè di essere stato invitato e quindi di essersi recato ad Arcore da Berlusconi a una cena alla quale era presente anche Confalonieri, la Santanchè e Alessandro Sallusti più altre persone delle quali mi ha sicuramente parlato, ma che non ricordo (...) Oggetto della cena: rapporti di lavoro che David aveva con la Daniela Santanchè, questo almeno è quello che ho percepito io anche se non mi ha detto i dettagli ovviamente. Paolo Mondani lo incalza: «Cioè il Monte dei Peschi era noto che dava, affidava alla Santanchè che ha una società di raccolta pubblicitaria, la pubblicità per alcuni giornali del gruppo Angelucci»! Risposta: «Esatto, David curava la parte della pubblicità e per la quale la Daniela Santanchè si occupava della raccolta per il giornale tramite la propria agenzia pubblicitaria». La voce fuori campo di Paolo Mondani conclude così la vicenda «Giuseppe Mussari viene intercettato al telefono per tutto il 2010. Il 25 marzo, Daniela Santanchè gli chiede un appuntamento per il suo socio Giampaolo Angelucci del gruppo Tosinvest; alla fine Angelucci comprerà il Corriere Senese il cui vicedirettore, Stefano Bisi, è il gran maestro del Grande Oriente d'Italia e grande amico di Mussari e David Rossi». Le dichiarazioni dell'amico di David Rossi proseguono «Il secondo fatto di cui mi ha parlato ricorrentemente erano questi viaggi frequenti che faceva a Roma e che riguardavano il suo lavoro al Ministero degli Interni. (...) David mi raccontava che si recava al Ministero degli Interni e che svolgeva li l'attività lavorativa della giornata e che quindi aveva una sorta di ufficio, di struttura nella quale lavorava (...) andava con cadenza lo credo almeno ogni 15 giorni, comunque con cadenza abbastanza frequente (...) la frequentazione è cominciata con il secondo governo Prodi quindi con il ministro Amato. Amato ministro degli Interni». Tra maggio 2006 e maggio 2008. Prosegue Mondani «Proprio nel 2008, il ministero degli Interni prende in affitto una immensa struttura sulla via Tuscolana a Roma, di proprietà del Montepaschi, Canone annuo: 11 milioni di euro. Al Viminale sarebbe più convenuto comprare, ma qui il  Monte aveva un amico.
  Il 14 febbraio 2010 l'ex ministro Giuliano Amato chiama al telefono Giuseppe Mussari per assicurargli il sostegno alla candidatura come Presidente dell'Abi, l'Associazione Bancaria Italiana. Due mesi dopo, Amato richiama Mussari per garantirsi la sponsorizzazione al torneo presso il Circolo del tennis di Orbetello di cui è presidente onorario».
  Sempre Paolo Mondani «Estate 2007, David Rossi e Giuseppe   Mussari assistono alle fasi finali del palio. Il presidente di Montepaschi sta decidendo l'acquisto di Antonveneta che manderà a picco la banca senese. Banco Santander l'aveva acquistata 2 mesi prima a 6,6 miliardi; con i debiti che aveva sul groppone, Montepaschi la pagherà 16,8 miliardi. Per acquistare Antonveneta anche la Fondazione si è rovinata (...) Tutti sapevano che Antonveneta era un bidone, eppure Giuseppe Mussari la compra dal Banco Santander di Emilio Botin e ci fa carriera sopra. Pochi anni dopo, anche grazie a Tremonti, viene candidato alla presidenza dello Ior, la banca del Papa. Un monsignore che lavora nelle finanze vaticane racconta la sua versione dei fatti. «Mussari sapeva che era un rischio, ma voleva accrescere il suo potere. E per farlo, doveva fare un favore alla curia e a Emilio Botin, il banchiere dell'Opus Dei, che doveva a tutti i costi liberarsi da Antonveneta perché troppo costosa. Lo Ior venne coinvolto direttamente nell'affare (...) I Dirigenti dello Ior organizzarono incontri qui in Vaticano, i convenuti decisero di aprire 4 conti presso lo Ior, intestati ad altrettanti enti religiosi (...) Sono serviti a far transitare una parte del denaro dell'operazione, rendendola non tracciabile». L'anonimo Monsignore infine afferma che Giuseppe Mussari a quegli incontri veniva accompagnato da David Rossi «il povero ragazzo, scomparso tragicamente», che allo Ior conosceva il direttore Cipriani, col quale parlava spesso. Milena Gabanelli, a quanto fin qui descritto, aggiunge dallo studio «Non c’è dubbio che l'ex capo della comunicazione di Montepaschi, non era solo un capoufficio stampa: era stato incaricato di dare soldi alle squadre, intratteneva rapporti con i vertici della politica, sembra avesse anche un appoggio dentro al ministero degli Interni. E la banca, mentre tappava i buchi degli imprenditori e immobiliaristi amici, apriva i suoi di buchi. Come? (...) Montepaschi ha in pancia Alexandria e Santorini, che sono 2 derivati molto tossici. Per evitare di scrivere le perdite in bilancio, nel 2009, vanno da due banche: Nomura e Deutsche Bank e rifanno il contratto. Cosa c’è scritto in questo nuovo contratto? In estrema sintesi, ovviamente: che per tappare un buco di 500 milioni, mi espongo per 5 miliardi, però nel bilancio posso scrivere che il buco non c’è. (...) Mentre le autorità di vigilanza, tutte insieme, decidono che per Montepaschi si può fare una contabilità dove non si capisce bene quanti soldi servono alla banca per stare in piedi. Come è andata a finire? Che un mese fa arriva la BCE e dice «vi mancano 2 miliardi e avete 9 mesi di tempo per trovarli»: in merito al contratto derivato sottoscritto con Nomura i suoi successivi sviluppi, comprese le diverse dichiarazioni della BCE, si richiamano le premesse dell'interrogazione a risposta scritta n. 4/10147 del 5 agosto 2015, dove si evidenziano gli aspetti salienti che potrebbero comportare la nullità del contratto Nomura stesso;
   in data 25 agosto 2015, Alessandro Rossi scrive un articolo sul sito «Lettera 43» «David Rossi, la verità e nelle lettere di addio – ESCLUSIVO. Per i periti il manager Mps scrisse alla moglie dietro coercizione. Non solo. Ferite sospette e video manomesso: ora i pm possono riaprire il caso» nel quale si legge «Starebbero insomma trovando consistenza, e che consistenza, i dubbi che fin qui hanno riempito pagine di giornali e schermi di tivù e computer grazie a siti e trasmissioni come Report e hanno tormentato le notti di Goracci e di Luca Scarselli, l'altro amico di David Rossi che da due anni e mezzo si batte come un leone per dimostrare che la morte del capo della comunicazione del Mps non è stata, non può essere stata, un suicidio. Dunque alla fine di settembre Goracci dovrebbe presentare ai magistrati tre perizie: una medico legale nuova di zecca che dovrebbe dare corpo agli interrogativi che si è posto inevitabilmente chiunque abbia avuto il coraggio e la pietà di guardare le foto di Rossi sul tavolo dell'autopsia... Una seconda perizia, compiuta proprio dall'ingegner Scarselli, dimostrerà che il filmato del volo di David giù da una finestra del Monte, ripreso da una telecamera di sicurezza della banca, è stato manomesso, o quantomeno tagliato. Si sa sin dall'inizio che mancano sette minuti, ma nella nuova perizia ci sarebbero altri elementi che confermano questa tesi andando oltre, come si è fatto finora, al confronto tra gli orologi digitali. Inoltre, da un esame dei frame, con strumenti ad altissima definizione, verrebbero confermate le presenze nel vicolo di personaggi sospetti durante gli oltre 20 minuti di agonia di David sul selciato del vicolo del Monte Pio. Ma è la terza che dovrebbe essere la vera bomba. La perizia calligrafica chiesta da tempo e finalmente pronta, effettuata sui tre biglietti che David ha scritto alla moglie Antonella prima di morire. I tre fogli sono stati rintracciati nel cestino: due erano accartocciati e uno strappato. Quello strappato è stato rimesso insieme maldestramente da chi ha fatto le indagini appiccicando i bordi con lo scotch e lasciando un buco grosso come una moneta da 2 euro in basso a destra. Un vero disastro. La moglie in quei biglietti non ci ha mai visto chiaro. Tutti e tre iniziavano con «Toni, amore...». Toni era il diminutivo con cui i parenti chiamavano Antonella da ragazzina ma che David non usava mai. Forse utilizzando proprio una parola inconsueta aveva voluto lasciarle un messaggio? Le impronte sulla pelle. Antonella ha sempre avuto il dubbio e Goracci si è affidato a un esperto calligrafo di primissimo ordine: il professor Giuseppe Sofia, di Milazzo, già collaboratore di tantissime procure d'Italia soprattutto con quelle antimafia e per questo molto legato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con cui ha lavorato in più di un'occasione. La perizia di Sofia lascia poco spazio ai dubbi. Anzi nessuno spazio. Ha toni perentori: David Rossi avrebbe scritto quei biglietti sotto coercizione. Sostanzialmente qualcuno lo teneva per le braccia, appena sotto le ascelle, mentre lui scriveva, probabilmente sotto dettatura. Lo dimostrerebbero proprio le impronte di mani, visibilissime nelle foto dell'autopsia, rimaste impresse nella pelle delle braccia, proprio sotto le ascelle (queste foto sarebbero allegate alla perizia calligrafica). ... Non solo: l'esame della calligrafia mostra tratti della scrittura, confrontati con altri testi vergati da David in diverse situazioni, visibilmente diversi non dovuti a un momento emozionale (come potrebbe essere legittimamente il momento prima di suicidarsi) ma appunto a una coercizione fisica. Se queste indiscrezioni verranno confermate sarà davvero dura per i magistrati non ascoltare la richiesta di Goracci e non riaprire il caso...»;
   da quanto premesso, sembra agli interroganti che esistano parecchie e consistenti dubbi in merito alla strana morte di David Rossi, al contrario di quanto affermato dal gip che ne ha disposto l'archiviazione affermando che «Nessun punto oscuro può ritenersi sussistere e nessun dubbio»:
    a) il corpo di Rossi è rimasto un'ora davanti alla videocamera di sorveglianza n. 6 senza ricevere alcun soccorso, nonostante ben due persone siano entrate nel raggio d'azione della stessa vedendo la vittima (e il secondo abbia persino effettuato una telefonata con un cellulare, avvicinandosi al corpo), nonostante qualcuno dalla finestra del suo ufficio abbia lanciato un oggetto (che potrebbe essere il suo orologio ritrovato nel vicolo, non essendo lo stesso visibile nei frame riguardanti la caduta di Rossi), e nonostante le almeno 6 telecamere di sorveglianza di Montepaschi (quante quelle comunali e delle private della zona?); ciononostante si è risaliti a soli 3 nomi dei dipendenti presenti in banca su un numero variabile tra 10 e 15 persone, quando almeno 2 persone secondo gli interpellanti hanno contravvenuto alle disposizioni di legge contenute nell'articolo 593 del codice penale, relative all'omissione di soccorso;
    b) Rossi come capo della comunicazione MPS e braccio destro di Mussari, conosceva ogni vicenda che vedeva implicata la banca, godendo di piena fiducia e gestendo personalmente diversi ambiti, tanto da partecipare personalmente alle attività capitoline per l'acquisizione di Antonveneta. In piena bufera giudiziaria, agli interpellanti pare assurdo che David Rossi possa esser rimasto sconvolto al punto di suicidarsi da una perquisizione dovuta, o dall'accusa di essere responsabile della fuga di notizie sull'azione di responsabilità decisa dal CdA di MPS contro gli ex vertici di MPS, Nomura e Deutsche Bank (in relazione a tale fuga di notizie la procura ha aperto un'indagine per insider trading che vede tra gli indagati Michele Briamonte, legale Ior e membro CdA MPS) –:
   se al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della giustizia risultino aperte altre indagini inerenti la sospetta vicenda della morte di David Rossi avvenuta il 6 marzo 2013;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno fossero a conoscenza dei rapporti di David Rossi con il Ministero dell'interno;
   essendo gli accessi ai ministeri monitorati, a nome di chi, in che date e presso quali uffici David Rossi aveva accesso, nei suoi viaggi nella capitale, al Ministero dell'interno presso qualsiasi altra sede o distaccamenti governativi;
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative al fine di perseguire gli stessi scopi del disegno di legge n. 624 (presentato al Senato il 30 aprile 2013) al fine di avere finalmente una commissione di inchiesta su Monte dei Paschi di Siena, visti i molteplici interessi diretti dallo Stato italiano;
   se il Ministro della giustizia non ritenga che sussistano i presupposti per l'invio di ispettori ministeriali presso la Procura di Siena, e in caso affermativo, se non intenda procedere rapidamente in tal senso.
(2-01068) «Pesco, D'Incà, Alberti, Fico, Ruocco, Villarosa, Baroni, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Brescia, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colonnese, Cominardi, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Dell'Orco, Di Benedetto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE MENECH. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella sera tra il 4 e il 5 agosto 2015, un violento temporale, che ha scaricato al suolo quantità di acqua decisamente sopra la media, ha coinvolto i comuni di Vodo di Cadore, Borca di Cadore, San Vito di Cadore, Cortina d'Ampezzo e Auronzo di Cadore in Provincia di Belluno;
   la bomba d'acqua causata dal temporale ha provocato rapide, frane e smottamenti;
   tre le vittime accertate: due uomini, di cui un turista polacco, e una ragazzina;
   una grossa frana si è staccata dal costone dell'Antelao, montagna sopra San Vito di Cadore e ha portato alla chiusura della strada statale 51 di Alemagna, provocando ancora una volta l'isolamento di Cortina, raggiungibile solo da Misurina;
   la colata di fango e detriti ha invaso la piazza principale di San Vito di Cadore provocando danni ingenti ad abitazioni e negozi, e l'assenza della corrente elettrica. L'acqua mista a fango nei garage è arrivata a superare il metro di altezza e ha completamente sommerso alcune autovetture nei parcheggi privati sotterranei. La frana, scivolata in basso, ha distrutto la strada del rifugio Scotter, la pista da sci e l'impianto di risalita;
   a borca di Cadore, in località Cancia, già coinvolta da una grossa frana nel luglio del 2009, i cittadini sono stati fatti Salire ai piani superiori delle abitazioni;
   a nord di Auronzo di Cadore sono stati segnalati cedimenti e frane e le forti piogge hanno causato il crollo di un ponte in località Val Grava Secca, dove il maltempo si è trascinato anche alcuni piloni della corrente elettrica;
   la strada statale 51 di Alemagna interrotta per alcune ore è stata riaperta solo verso le 22;
   è risultata bloccata anche la strada regionale 48 delle Dolomiti e da Auronzo era impossibile raggiungere Misurina. La frana di Rio Gere, sempre sulla strada regionale 48 delle Dolomiti, ha bloccato il passaggio verso il passo Tre Croci;
   è risultata interrotta anche la strada statale 346 del Passo San Pellegrino, poi riaperta;
   un'altra frana, caduta a Landro, vicino a Dobbiaco, ha bloccato l'Alemagna in quel tratto;
   si è venuta a creare una situazione di rilevante emergenza che richiede l'impegno di volontari e risorse finanziarie e di mezzi, oltre alla necessità di istituire servizi di monitoraggio con volontari di protezione civile, anche notturni per tenere sotto controllo lo stato delle numerose frane che minacciano i centri abitati;
   la situazione richiede interventi di supporto urgenti ed immediati, e disponibilità di risorse per affrontare l'urgenza –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per:
    a) estendere immediatamente la dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei ministri del 17 luglio 2015 anche ai comuni di Vodo di Cadore, Borca di Cadore, San Vito di Cadore, Cortina d'Ampezzo e Auronzo di Cadore colpiti da una bomba d'acqua nel corso della notte tra il 4 e il 5 agosto 2015 in attesa di una più approfondita quantificazione dei danni;
   b) stanziare risorse attingendole dal fondo nazionale per le emergenze.
(5-06287)


   DORINA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta immediata in Commissione VIII n. 5/01448 nonché con risoluzione in Commissione VIII n. 7/00154, l'interrogante ha più volte chiesto al Ministro interrogato di fornire indicazioni sull'utilizzo delle risorse derivate dalla sentenza di condanna (tribunale di Milano, decima sezione civile n. 2536 del 28 febbraio 2012) della società Syndial in merito alla bonifica del sito contaminato ex Pertusola ed ex Fosfotec di Crotone, ora di proprietà della stessa società Syndial;
   in risposta alla interrogazione n. 5/01448 (risposta ricevuta il 14 novembre 2013), il Ministro interrogato ha specificato come l'utilizzo delle risorse derivate dalla citata sentenza (oltretutto passata in giudicato) sia direttamente vincolato alla nomina, attraverso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di un commissario straordinario ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;
   ad oggi, il suddetto commissario straordinario incaricato di predisporre il piano di impiego delle risorse stanziate dalla sentenza del tribunale di Milano per la bonifica del sito di Crotone, a quanto consta all'interrogante non è stato ancora nominato così determinando un ritardo nell'avvio dei lavori destinati a risanare l'intera area interessata –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, in quali tempi si procederà alla nomina del commissario straordinario in modo da consentire l'impiego, indicando le relative modalità di utilizzo, della somma risarcitoria determinata dalla sentenza del tribunale di Milano quanto mai necessaria per iniziare i lavori di bonifica del sito di interesse nazionale ex Pertusola ed ex Fosfotec di Crotone. (5-06298)


   CENNI, MARIANI e DALLAI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il dissesto idrogeologico rappresenta una delle principali emergenze del nostro Paese ed è legato alla particolare conformazione geologica del territorio, alla fragile e mutevole natura dei suoli, ad una urbanizzazione spesso non sostenibile, all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme ed all'aumento, per frequenza ed intensità, degli eventi calamitosi;
   l'ultimo grave episodio, in ordine di tempo si è verificato in Toscana ed in particolare in provincia di Siena, il 24 agosto 2015, dove sono cadute in poche ore ed in un territorio di poche decine di chilometri quadrati, oltre centosessanta millimetri di pioggia;
   il report del centro funzionale della regione Toscana ha «evidenziato in merito l'eccezionalità delle piogge registrate nell'alto bacino del fiume Ombrone e del medio corso dell'Arbia particolarmente abbondanti, stimabili in eventi con tempo di ritorno molto superiori a 200 anni per finestre temporali superiori a 3 ore, con cumulate sulle 24 ore di 230-330 mm»;
   la distribuzione spaziale e temporale dell'evento di pioggia ha dato luogo ad eventi di piena su tutti i corsi d'acqua dell'alto bacino dell'Ombrone presenti sul territorio della provincia di Siena (fiumi Arbia, Merse e Farma, nonché sui tutti gli affluenti, tra cui i principali torrenti Sorra, Stile, Crevole, Bestina e Bestinino). I livelli idrometrici sui corsi d'acqua hanno raggiunto quote eccezionalmente elevate, con esondazioni estese sia nelle aree agricole di fondovalle sia nei centri abitati. Gli allagamenti hanno causato ingenti danni ad abitazioni, imprese, attività commerciali ed artigianali, infrastrutture, strade, ponti e ferrovie, nei capoluoghi di Buonconvento, Monteroni d'Arbia e Asciano, e nelle frazioni degli stessi comuni oltre a quelli di Monticiano e Murlo. Inoltre in alcuni centri abitati colpiti dalla calamità naturale l'acqua non è stata potabile per alcuni giorni;
   una prima stima dei danni, redatta il 1o settembre 2015 dall'amministrazione provinciale di Siena parla di quasi 22 milioni di euro (di cui 2.800.000 euro per le somme urgenze, 6.500.000 euro per il patrimonio pubblico, 9.000.000 euro per il patrimonio privato, 3.500.000 euro per le imprese);
   oltre ai gravissimi danni economici pubblici e privati va evidenziato il problema della inagibilità delle infrastrutture viarie, alcune già gravemente compromesse da precedenti calamità naturali. Una situazione che di fatto rende inagibili alcune zone della provincia di Siena: in particolare sono interrotti alcuni tratti lungo la strada regionale Cassia (che presenta anche un viadotto ed una galleria interrotti da mesi), le strade provinciali 12, 34b, 34c, 34a, 34d, 23, 103, 438, 4, 46 e 60, oltre a numerosi ponti nei comuni di Buonconvento, Murlo, Monteroni, Asciano. Senza dimenticare che alcuni crolli hanno interessato i lavori di raddoppio della strada Siena – Grosseto ed in particolare nella galleria di Casal di Pari, in prossimità del comune di Civitella Paganico (in provincia di Grosseto). A seguito di tali crolli la galleria è stata infatti temporaneamente chiusa per permettere interventi di consolidamento. Altrettanto grave è la situazione delle infrastrutture ferroviarie: stanno subendo blocchi e rallentamenti le vetture sia nella tratta di strada Siena – Grosseto, che nella tratta di strada Siena – Chiusi;
   tali interruzioni stanno di fatto obbligando i veicoli sia pubblici che privati a lunghe e tortuose deviazioni su strade alternative che spesso non sono adeguate a sostenere ingenti flussi di traffico. Tale situazione sta quindi creando ritardi notevoli sui tempi di percorso, gravi difficoltà al trasporto pubblico e deviazioni sensibili per i veicoli di soccorso;
   i territori colpiti dalla pioggia del mese di agosto 2015 erano già stati oggetto di un'altra grave alluvione appena 20 mesi fa (nell'ottobre del 2013): la stima della spesa della provincia di Siena, trasmessa alla regione Toscana, fu allora di circa 50 milioni di euro, rimborsata ad oggi solo in minima parte: risulta quindi evidente come questa ultima calamità naturale abbia aggravato una situazione già difficilmente sostenibile per la tenuta economica e sociale delle zone interessate;
   l'amministrazione provinciale competente, il consorzio di Bonifica Toscana Sud e le amministrazioni comunali coinvolte stanno intervenendo per cercare di ristabilire una situazione di normalità, ma è apparso subito evidente come tali enti non dispongano di risorse economiche necessarie per risolvere le problematiche causate dalle alluvioni, anche a causa dei vincoli al patto di stabilità;
   la regione Toscana ha già deliberato lo stato di emergenza regionale attivando alcune agevolazioni per favorire la ricostruzione da parte di privati ed imprese tra cui: concessioni di garanzie per accedere a finanziamenti bancari; concessione di microcredito per le piccole e medie imprese e titolari di partita iva; differimento o rimodulazione di aiuti rimborsabili; fondo di garanzia per i giovani professionisti e le professioni; contributi in conto interessi per giovani professionisti; bando «POR/FESR Ambiente»; Fondo di garanzia per investimenti in energie rinnovabili; Fondo di garanzia per le aziende agricole; misure del Psr 2014/2020 per interventi di ripristino del potenziale agricolo o forestale distrutti o danneggiati da calamità;
   la regione Toscana ha inoltre richiesto lo stato di emergenza nazionale al Governo –:
   se il Governo, in virtù di quanto espresso in premessa, ritenga di deliberare urgentemente il riconoscimento dello stato di emergenza per i territori della provincia di Siena colpiti dalle alluvioni del 24 agosto 2015;
   se il Governo intenda stanziare apposite risorse, a partire dalla prossima legge di stabilità, per i territori della provincia di Siena colpiti dall'alluvione del 24 agosto 2015:
    a) per risarcire interamente le spese sostenute per «le somme urgenze»;
    b) per la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e per i beni mobili dei privati;
    c) per la concessione di contributi finalizzati ai risarcimenti dei danni subiti dai beni immobili, strumentali e dalle scorte delle attività produttive, commerciali, artigianali, agricole e zootecniche;
    d) per il ripristino e la corretta agibilità delle infrastrutture stradali e ferroviarie danneggiate;
    e) per consentire, agli enti locali coinvolti, un allentamento dei vincoli finanziari derivanti dalla legislazione vigente, al fine di permettere sia la ricostruzione materiale delle infrastrutture pubbliche, sia l'erogazione dei servizi alla popolazione;
   se il Governo intenda promuovere ed accelerare, di concerto con la regione Toscana e le amministrazioni locali interessate, interventi di messa in sicurezza del territorio, mediante appositi piani sul dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili, già finanziate e da finanziare con risorse escluse dal saldo finanziario, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   se il Governo non ritenga necessario adottare iniziative, coerentemente con quanto già previsto in analoghe situazioni, per la sospensione dei termini di pagamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria e dei conseguenti adempimenti in scadenza, almeno per i prossimi 12 mesi, per i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, nonché per la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per gli anni 2015 e 2016, facendo sì che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi. (5-06307)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato in data 2 luglio 2015 atto di sindacato ispettivo n. 4-09672 avente ad oggetto la riattivazione della Sezione 2 della Centrale termoelettrica del Mercure nel comune di Laino Borgo (Cosenza). Nell'atto si mettevano in luce le criticità collegate proprio alla riattivazione della centrale tra queste la possibilità, non troppo remota, di compromettere l'ecosistema del parco nazionale del Pollino oltre al rischio che si possano avviare procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese essendovi, allo stato attuale, elementi di contrasto con il quadro normativo comunitario;
   con nota protocollo DICA 0017616 P-4.8.2.8. del 23 giugno 2015 acquisita al protocollo del dipartimento «Sviluppo economico, Lavoro, Formazione e Politiche sociali» col n. 2-07508 del 2 luglio 2015, è stata trasmessa la deliberazione dell'11 giugno 2015 del Consiglio dei ministri, nella quale si è preso atto, «sulla base dell'istruttoria di cui alla relazione protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 citata in premessa, delle posizioni e delle relative motivazioni della regione Calabria, della regione Basilicata e delle amministrazioni che si sono espresse a favore del progetto in esame e di dare atto che sussiste la possibilità di procedere alla riattivazione e all'esercizio di un impianto di energia elettrica alimentato a biomassa vegetale prodotta in via diretta con l'esclusione di prodotti classificabili come rifiuti, della potenza di 35 mWe netti, nel comune di Laino Borgo (Cosenza), a condizione che siano rispettate le prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi, che, con riferimento all'articolo 11 dell'Accordo stesso, in sede di approvazione del Piano del Parco da parte delle Regioni interessate venga apposta espressa deroga relativamente alla potenza installata»;
   il dipartimento sviluppo economico, lavoro, formazione e politiche sociali della regione Calabria Settore «Attività produttive ed energie rinnovabili» ha avviato la predisposizione del decreto di autorizzazione unica, rilasciata ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, per la riattivazione della sezione 2 della centrale termoelettrica del Mercure;
   l'interrogante in data 23 luglio 2015 ha richiesto copia della relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri in risposta alla succitata richiesta ha richiamato il parere della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi del 18 marzo 2014 nel quale si precisa che «al fine di esercitare il controllo del Parlamento sull'attività amministrativa del Governo, non può essere utilizzato lo strumento del diritto d'accesso, in quanto a tale scopo sono previsti dall'ordinamento altri specifici mezzi d'indagine, molto più ampi, a disposizione dei parlamentari (quali il sindacato ispettivo, l'interpellanza, l'interrogazione, le commissioni d'inchiesta...)» –:
   se non intenda garantire piena conoscenza ai deputati che ne facciano richiesta della relazione del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 o, in caso di diniego, quali siano i fattori ostativi che non consentano di ottemperare alla richiesta. (5-06308)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si discute della cosiddetta obsolescenza programmata, ovvero della pratica industriale in forza della quale un prodotto tecnologico di qualsiasi natura è deliberatamente progettato dal produttore in modo da poter durare solo per un determinato periodo, al fine di imporne la sostituzione;
   i metodi con cui sarebbe attivato tale processo sono l'utilizzo di materiali di qualità inferiore o componenti facilmente deteriorabili o talvolta l'utilizzo di sistemi elettronici creati ad hoc. I prodotti si guastano una volta scaduto l'eventuale periodo di garanzia e sarebbero generalmente realizzati in modo che i costi di riparazione risultino superiori a quelli di acquisto di un nuovo modello. Questi accorgimenti progettuali e produttivi, supportati anche da campagne pubblicitarie, sarebbero volti a proporre e valorizzare nuovi modelli, che appaiono più moderni, seppur poco o per nulla migliori dal punto di vista funzionale;
   recenti studi, infatti, confermano come l'obsolescenza programmata non sia solo una sensazione, ma un fatto che comporta evidenti problemi a livello commerciale, nonché un enorme danno economico a carico dei cittadini e dell'intera collettività con costi stimati in parecchi miliardi di euro nell'arco di un anno;
   uno studio commissionato dal gruppo parlamentare tedesco Verdi-Bündnis «Obsolescenza programmata, Analisi delle cause, Esempi concreti, Conseguenze negative, Manuale operativo», realizzato da Stefan Schridde (esperto in gestione d'impresa) insieme con Christian Kreiss (docente di organizzazione aziendale all'università di Aalen), dimostrerebbe che questo fenomeno di deterioramento precoce sia preventivamente studiato dalle case produttrici con lo scopo di incrementare le vendite; molti elettrodomestici e numerosi oggetti di uso quotidiano sarebbero programmati per rompersi velocemente dopo lo scadere del periodo di garanzia, di solito fissato in due anni;
   detto studio si è concentrato sull'esame di oltre venti prodotti di uso comune cercando di verificare la sussistenza di fenomeni di obsolescenza programmata. Per comprenderne meglio la portata, è utile citare alcuni esempi pratici dei difetti programmati riscontrati in alcuni beni presi in considerazione: stampanti che si bloccano dopo un prestabilito numero di copie stampate; lavatrici con le barre di riscaldamento realizzate con leghe o metalli che arrugginiscono facilmente; spazzolini da denti a batteria con la pila sigillata e quindi non sostituibile, giacconi invernali con chiusure-lampo i cui denti sono fatti a spirale in modo da rompersi molto prima del dovuto; scarpe con suole incollate la cui sostituzione, dopo il loro rapido consumo, è di fatto impossibile. Lo studio, poi, evidenzia come spesso non esistano pezzi di ricambio oppure gli stessi risultino, di fatto, talmente costosi da indurre il consumatore a comperare un nuovo oggetto invece di farlo riparare;
   infine, secondo le stime di questo studio, tutto questo sistema, ormai diffuso globalmente, si rivela uno svantaggio sotto molteplici aspetti a partire dai danni ambientali causati dall'aumento dei rifiuti prodotti, i conseguenti costi di smaltimento, oltre che un incremento di spesa per i consumatori quantificato in cento miliardi di euro all'anno;
   il sistema economico ha bisogno di stimolare continuamente i bisogni dei consumatori affinché acquistino con ritmi sempre crescenti determinando così un sistema di consumi indotti. Quando non è possibile indurre la sostituzione di un bene attraverso mode, pubblicità e strategie di marketing mirate, si fa in modo che sia il prodotto stesso a «scadere», rompendosi e diventando inutilizzabile;
   com’è facilmente intuibile, un sistema di consumo con una velocità di avvicendamento dei beni così elevata presenta due criticità fondamentali: l'utilizzo di una quantità enorme di risorse, energetiche, materiali ed economiche, e il bisogno di smaltire una altrettanto enorme quantità di rifiuti;
   nel frattempo il Governo francese, ha recentemente approvato una misura che prevede sanzioni pecuniarie salatissime, fino a trecentomila euro e nei casi più gravi addirittura il carcere, per i trasgressori che adottino politiche industriali che limitano volontariamente la vita dei prodotti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   se intendano, per quanto di competenza, assumere iniziative per introdurre norme volte: ad aumentare il periodo minimo di garanzia così come previsto dalla direttiva 99/44/CE; a obbligare le aziende a fornire i ricambi necessari per un numero sufficiente di anni (almeno dieci anni) e rendere disponibili le eventuali istruzioni necessarie alla riparazione; a prevedere che la pratica dell'obsolescenza sia considerata come un reato di frode ai danni del consumatore, perseguibile per legge, prevedendo sanzioni pecuniarie e detentive. (4-10209)


   MURA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in sede di conversione in legge del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali» sono resi meno stringenti gli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018;
   nell'attuale formulazione normativa (comma 489 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015), la determinazione dell'obiettivo di patto delle 10 città metropolitane ricadenti nei territori delle regioni a statuto ordinario è affidata ai criteri previgenti, attestandosi su un livello complessivamente pari a 347,6 milioni di euro;
   appare opportuno assicurare maggiori spazi finanziari alle città metropolitane, in ragione delle maggiori funzioni loro conferite dal processo di revisione istituzionale in corso di attuazione –:
   quali iniziative intendano adottare per reperire le risorse necessarie per assicurare un abbattimento, nella misura orientativa del 30 per cento, dei vincoli del patto di stabilità interno assegnati alle città metropolitane, in considerazione delle specifiche e più ampie funzioni loro attribuite dal processo di revisione istituzionale in corso di attuazione. (4-10215)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea Alitalia ha aggiunto 68 voli alla settimana sulla Sicilia e prevede per il prossimo anno il lancio della rotta Catania-Abu Dhabi;
   Alitalia è la prima compagnia aerea operante nella regione siciliana e con 68 voli settimanali in più rispetto a quanto previsto nel piano di rilancio che ha preso avvio il 1o gennaio del 2015, si conferma la posizione di prima compagnia operante nella regione Sicilia, sia per numero di destinazioni che per numero di voli offerti nell'arco dell'anno;
   in Sicilia, Alitalia opera su Catania, Palermo, Comiso, Lampedusa e Pantelleria, offrendo collegamenti diretti sia tra la Sicilia e le isole minori e sia collegamenti diretti con Roma Fiumicino e con Milano Linate;
   tali collegamenti sono garantiti nel corso di tutto l'anno, con oscillazioni stagionali molto più limitate rispetto a quelle fatte registrare dalle altre compagnie;
   l’hub Alitalia di Roma Fiumicino collega la Sicilia con il network di destinazioni internazionali e intercontinentali di Alitalia a vantaggio dei clienti originanti dalla regione e, soprattutto, dei flussi turistici in entrata, verso la Sicilia, da destinazioni quali Stati Uniti, Brasile, Argentina, Giappone, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e, a partire dall'autunno, Cina;
   il piano triennale di rilancio di Alitalia ha individuato nell'aeroporto di Catania uno dei nuovi collegamenti intercontinentali previsti per il 2016, in particolare con Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti;
   è un fatto positivo che la compagnia Alitalia decida di investire sulla Sicilia, ma non si comprende perché non si riservi la stessa attenzione alla regione Sardegna, i cui voli per Milano e Roma sono coperti dalla continuità territoriale e che comunque, soprattutto in alcuni periodi dell'anno, non riescono a garantire la copertura di posti sufficienti per i residenti e anche per coloro che vogliono raggiungere dalla penisola la Sardegna;
   è auspicabile, vista la stessa condizione di insularità, che la compagnia aerea Alitalia decida di incrementare il numero di voli settimanali anche in Sardegna, magari coprendo alcune tratte tra le due isole maggiori, compreso il Palermo-Cagliari che oggi è assente –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni utile iniziativa di competenza affinché Alitalia nel suo piano di rilancio includa entrambe le isole italiane aumentando i voli settimanali non solo da e per la Sicilia ma anche da e per la Sardegna, destinazione oggi esclusa dalle principali azioni industriali della compagni aerea;
   quali iniziative intendano adottare affinché anche la Sardegna, gravemente penalizzata nel settore del trasporto aereo, possa avere un numero di destinazioni e di voli offerti nell'arco dell'anno superiori a quello attuale, con tariffe che possano consentire ai residenti di spostarsi liberamente;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere affinché la compagnia aerea Alitalia nel suo piano di rilancio per la Sicilia aggiunga anche un collegamento tra i due capoluoghi, una tratta oggi assente e sempre più necessaria vista il possibile abbandono della Ryanair dello scalo di Trapani, il più utilizzato per collegare le due isole del Mediterraneo. (4-10218)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo spopolamento e l'impoverimento di vaste aree interne e rurali — soprattutto pedemontane, montane e insulari — hanno assunto caratteri strutturali delineando un'Italia che si può definire del «disagio insediativo»;
   il fenomeno interessa tutto l'arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, e si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro-meridionale, nelle parti montuose e interne della Sardegna e della Sicilia;
   il disagio abitativo è riscontrabile anche in Calabria, e in Abruzzo e interessa pesantemente la Basilicata, dove circa 100 comuni sono a rischio progressivo di estinzione. Anche le aree interne delle Marche e della Toscana meridionale sono interessate da un fenomeno che rischia di frammentare ancora di più un territorio nazionale caratterizzato da profonde differenze sotto il profilo economico, sociale e culturale;
   le aree che presentano i maggiori indici di decremento demografico sono in genere quelle più lontane dai principali centri di erogazione dei servizi, quelle con i più bassi livelli di dotazione infrastrutturale. Queste due condizioni, da sole, condizionano in negativo un possibile percorso di vita in queste comunità, tanto da indurre, i più giovani alla fuga;
   le zone interne del Paese hanno visto l'avvio di fenomeni di emigrazione non compensati da altrettanti importanti fenomeni di immigrazione, fino ad arrivare a problemi di spopolamento e di desertificazione umana e produttiva che hanno modificato pesantemente le dinamiche di sviluppo delle comunità medesime;
   in molte regioni del centro e del meridione, in Sardegna in particolare, nei prossimi trenta anni, se non interverrà un'inversione di tendenza, molti piccoli comuni delle zone interne scompariranno definitivamente, con tutte le implicazioni che ne conseguono;
   l'abbandono di queste realtà territoriali e il loro definitivo degrado significano la perdita di presidi vitali dal punto di vista del mantenimento dei paesaggi, dell'ambiente e della coesione sociale;
   occorre, pertanto, intervenire con soluzioni immediate e strutturali, in particolare attraverso due tipologie di interventi: di carattere sistemico sulle infrastrutture e sul mercato del lavoro e di incentivazione alla residenzialità presso le aree interne del Paese;
   in Parlamento è stata depositata una proposta di legge che introduce il reddito di insediamento e altre disposizioni per favorire la residenza nei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti situati nelle aree svantaggiate e nelle zone interne –:
   se non ritenga opportuno promuovere l'istituzione del reddito di insediamento e l'adozione di altre misure agevolative, favorendo la residenza dei cittadini nei piccoli comuni, con una popolazione pari o inferiore a 3.000 abitanti, situati nelle aree svantaggiate, nelle zone interne e nelle aree rurali, in particolare nei territori soggetti a decremento demografico. (4-10220)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che determina l'ammontare e il riparto del fondo di solidarietà comunale 2015 ancora non è stato emanato;
   gli ultimi anni sono stati contrassegnati da importanti ritardi nell'emanazione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con gravi disagi da parte dei comuni;
   non è stato dato corso alla norma concordata con l'ANCI per l'erogazione di un primo acconto sul fondo di solidarietà comunale 2015, anche nelle more dell'adozione del suddetto decreto del presidente del Consiglio dei ministri;
   si rende più che mai indispensabile l'adozione del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per assicurare ai comuni scadenze di pagamento coerenti con le esigenze di liquidità degli enti stessi anche nella seconda parte dell'anno, nell'intervallo temporale giugno-dicembre –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché i tempi di emanazione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri possano essere il più possibile abbattuti. (4-10224)


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, dispone all'articolo 16-ter assunzioni straordinarie nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio, di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica connessi all'imminente svolgimento del Giubileo straordinario del 2015-2016:
   tale norma autorizza, in via eccezionale, l'assunzione straordinaria, nei rispettivi ruoli iniziali, di 1.050 unità nella polizia di Stato, di 1.050 unità nell'Arma dei carabinieri, di 400 unità nel Corpo della guardia di finanza, di 492 unità di vigili del fuoco, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, attingendo, in via prioritaria, alle graduatorie dei vincitori dei concorsi approvate in data non anteriore al 1o gennaio 2011, nonché, per i posti residui, attraverso lo scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori dei medesimi concorsi;
   la norma sopra richiamata esclude inspiegabilmente dalle predette «assunzioni anticipate» per scorrimento delle graduatorie gli allievi agenti di polizia penitenziaria vincitori delle ultime procedure concorsuali (anni 2011-2012-2013 per i distinti concorsi 375+80; 170+44 e 208+52), momentaneamente incorporati nelle Forze armate con lo status di «VFP4 interforze» ed in attesa di transitare nel Corpo di polizia penitenziaria al termine dei 4 anni previsti nei bandi;
   tale esclusione rischia di configurare una disparità di trattamento tra gli allievi agenti di polizia penitenziaria vincitori dei concorsi sopra ricordati e gli allievi agenti (dotati del medesimo status di «VFP4 interforze») vincitori dei concorsi banditi negli ultimi anni nella polizia di Stato, nell'Arma dei carabinieri, nella Guardia di finanza e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   per quiescenza numerica annuale e per criticità nelle piante organiche, la polizia penitenziaria concentra la più alta percentuale di carenza di personale, stimabile in circa 8.000 unità, e genera gravissime ricadute sull'intero reparto traduzioni, piantonamento e scorte –:
   se per questi motivi non ritengano indispensabile adottare con urgenza analoghe iniziative normative che autorizzino, in via eccezionale, l'assunzione straordinaria degli allievi agenti di polizia penitenziaria vincitori delle ultime procedure concorsuali attraverso «assunzioni anticipate» per scorrimento delle graduatorie, così come previsto dal decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, nella legge n. 125 del 2015 per i Corpi di polizia dello Stato, dell'Arma dei carabinieri, della guardia di finanza e dei vigili del fuoco. (4-10229)


   NACCARATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 aprile 2015 il questore della provincia di Padova ha emesso, nei confronti del signor Francesco Manzo, un provvedimento che gli impediva di avvicinarsi ai comuni di Vigonza e Villanova di Camposampiero, in provincia di Padova;
   il provvedimento era motivato dal fatto che il signor Manzo era stato notato nei pressi di un esercizio pubblico di Villanova di Camposampiero in compagnia di un pregiudicato per reati contro la persona;
   l'interrogante ricorda, come scritto nell'interrogazione del 10 febbraio 2015, che il 30 gennaio 2015, il signor Manzo e stato oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo di beni, per 130 milioni di euro, da parte della direzione distrettuale antimafia di Venezia, ai sensi del decreto legislativo n. 159 del 2011;
   il Manzo, residente a Padova, ha diversi precedenti penali per gravi reati contro la persona e contro il patrimonio tra cui bancarotta fraudolenta, truffa in concorso, emissione di assegni a vuoto, furto, sequestro di persona, porto illegale di armi, associazione per delinquere;
   Manzo è accusato per attribuzione e trasferimento fittizi di beni ed utilità e, secondo gli inquirenti, ha relazioni con la ex mafia del Brenta e con la camorra;
   tra i beni sequestrati, oltre a 52 società, ci sono 350 unità immobiliari, tra cui 40 appartamenti nel grattacielo «Belvedere» davanti alla stazione ferroviaria di Padova, il palazzo in costruzione del centro direzionale dell'Interporto di Padova, un castello a Ponte nelle Alpi;
   l'entità dei beni sequestrati appare smisurata rispetto al reddito di 14 mila euro annui dichiarato dal Manzo, in quanto lavoratore dipendente di una società;
   l'entità dei beni, i precedenti penali e i legami del Manzo con appartenenti alla criminalità organizzata hanno determinato negli organi inquirenti il sospetto che la ricchezza sequestrata sia il prodotto del riciclaggio di ricchezze occulte;
   il sequestro ha suscitato grande clamore nell'opinione pubblica e ha destato particolare attenzione e allarme nella popolazione per i pericoli derivanti dalla presenza di persone e capitali riconducibili alla criminalità organizzata;
   per questi motivi, nei confronti del signor Manzo sarebbero in corso accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria;
   in data 7 agosto 2015, il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Veneto ha pronunciato una sentenza con la quale ha accolto il ricorso di Manzo contro il provvedimento del questore;
   il TAR ha motivato la propria decisione con «la tardività di presentazione della memoria di costituzione, unitamente agli allegati documenti, del Ministero dell'interno e della questura di Padova, in quanto il deposito degli stessi è avvenuto in data 14 luglio 2015, e quindi, solo un giorno antecedente la presente camera di consiglio»;
   la violazione del termine da parte dell'Avvocatura dello Stato ha prodotto un effetto molto negativo e ha determinato, di fatto, l'impossibilità di tenere conto delle motivazioni del questore di Padova alla base del provvedimento;
   ad avviso dell'interrogante, il ritardo dell'avvocatura dello Stato appare ingiustificato;
   in particolare è di assoluta, gravità che tale ritardo abbia vanificato gli sforzi e le attività delle forze dell'ordine;
   il ritardo di un organo dello Stato, come l'avvocatura, e la conseguente decisione del TAR hanno prodotto disorientamento e incredulità nell'opinione pubblica poiché secondo l'interrogante sono stati inficiati gli importanti risultati raggiunti dall'autorità di pubblica sicurezza –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative concrete, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere per accertare le cause e le responsabilità del ritardo nella presentazione della memoria di costituzione da parte dell'avvocatura dello Stato;
   quali iniziative concrete, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere per impedire il ripetersi di tali ritardi e scongiurare le ricordate conseguenze negative;
   quali iniziative concrete, nell'ambito delle proprie competenze, intendano adottare per potenziare le attività di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata in Veneto. (4-10235)


   OTTOBRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Zobele Group, multinazionale guidata da Enrico Zobele, esporta in tutto il mondo materiale per la lotta alle zanzare ed è una realtà solida nell'economia italiana con circa 4.400 dipendenti nel mondo;
   oltre che in Nord e Sud America, Africa, Asia e Medio Oriente esporta anche in Russia;
   dopo i primi dati semestrali positivi di quest'anno, a sorpresa la Zobele mette in cassa integrazione ordinaria per nove settimane, a partire dal 14 settembre, 70 dei 273 dipendenti dello stabilimento di Trento;
   motivo di questa scelta sembrerebbe essere dovuta al blocco di una commessa da milioni di pezzi a seguito delle sanzioni dei Paesi occidentali verso la Russia per la crisi in Ucraina;
   è evidente al mondo economico italiano quanto queste sanzioni influiscano sull'esportazione delle realtà produttive italiane, verso un Paese come la Russia, che è molto attivo a livello commerciale con il nostro Paese;
   diversamente dagli altri Paesi europei, l'Italia basa la maggior parte della sua economia sulla piccola e media impresa e sul manifatturiero, da questo l'eccellenza del «made in Italy» conosciuta in tutto il mondo e spesso osteggiata dagli altri Paesi europei, si vedano le concessioni fatte ai prodotti palesemente copiati da marchi italiani;
   ma è altrettanto evidente, in questo caso della Zobele, che scelte aziendali, se pur sottoscritte dalle rappresentanze sindacali unitarie, vanno ad incidere in un contesto sociale già danneggiato dalla crisi economica di questi ultimi anni e famiglie già destabilizzate dall'insicurezza per il futuro;
   infatti, da quanto si legge sui quotidiani locali, alcune scelte di programmazione lavorativa, legate semplicemente alle impennate di richiesta dei prodotti, come ad esempio l'assunzione a tempo determinato di 160 unità per coprire il ciclo di lavorazione, hanno determinato il ricorso a posteriori alla cassa integrazione ordinaria, mentre a parere del sindacato della Uil, una corretta organizzazione dell'orario di lavoro avrebbe potuto evitare il ricorso alla stessa assicurando continuità ai lavoratori –:
   se il Presidente del Consiglio non ritenga opportuno intervenire in sede di Unione europea per tutelare le aziende italiane che ad oggi hanno subito il maggior peso delle sanzioni poste alla Russia e che in ambito europeo rappresentano un'eccezione spesso penalizzata;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga opportuno in futuro inserire delle valutazioni, per la concessione della cassa integrazione, sulla corretta programmazione aziendale di chi vi ricorre. (4-10244)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   DEL GROSSO, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, GRANDE, SORIAL e FRUSONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il sedicente Stato islamico sta indubbiamente conducendo con successo attacchi in campo aperto, conquistando città e villaggi e, purtroppo, distruggendo anche parte del patrimonio culturale e archeologico (recentemente a farne le spese è stato principalmente il sito di Palmira) in terra siriana; tra l'altro, quello che sta accadendo è riconducibile anche all'improba decisione del Governo turco di colpire le basi delle organizzazioni curde in Iraq che rappresentano di fatto l'unico vero contenimento dell'Is da terra;
   ciò sta contestualmente provocando anche la recente, massiccia ondata di arrivi di profughi in fuga soprattutto dalla Siria attraverso la rotta balcanica e non più solo da quella mediterranea;
   i Governi britannico e francese hanno anticipato alla stampa le proprie intenzioni circa un prossimo, necessario intervento militare della Nato contro l'Is attraverso una campagna di raid aerei estesa alla stessa Siria;
   la via militare, affermano in buona sostanza i due leader, viene auspicata per poter garantire una serie di risultati: alleggerire la catastrofe umanitaria e il peso che ne deriva sull'Europa, dare una risposta alla crisi dei profughi siriani, colpire il jihadismo interno che proprio in Siria trova sempre più adesioni;
   già da settimane, tra l'altro, gli Stati Uniti continuano a colpire in Siria obiettivi riconducibili all'Is, anche attraverso l'uso dei droni;
   il presidente Putin ha aperto alla possibilità di una coalizione internazionale con gli Stati Uniti e gli altri Paesi per un intervento in Siria, anche se con l'intento di salvaguardare comunque il più che traballante Presidente siriano Assad;
   mutatis mutandis, i rischi di un tale tipo di intervento si prefigurano comunque elevatissimi, soprattutto se si ha memoria di ciò che è accaduto in Libia con quello che gli interroganti ritengono lo scellerato intervento militare deciso da Cameron e Sarkozy che ha procurato all'Italia gravi conseguenze, non ultima quella sul fronte immigrazione;
   in questo contesto, suscita particolare preoccupazione anche la decisione della Nato di effettuare nelle prossime settimane, nel Mediterraneo, quella che viene ritenuta la più imponente esercitazione militare (la Trident juncture 2015 (TJ15)) dai tempi della caduta del muro di Berlino –:
   quale siano gli effettivi intendimenti del Governo italiano in ordine a quanto esposto in premessa e ai rischi diretti e indiretti derivanti di un eventuale intervento della Nato in Siria. (3-01682)


   PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si stima che siano diverse decine di migliaia i migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dal 1998;
   non sono solo immagini terribili quelle dei nostri giorni, ma sono anche numeri di una guerra che giorno dopo giorno si sta svolgendo nel Mediterraneo sotto i nostri occhi e questo avviene sia per una situazione di forte instabilità in Libia e come conseguenza dei diversi conflitti che si registrano in Medio Oriente e nel continente africano – come in Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen, Nigeria, Somalia, Eritrea, Sudan solo per citarne alcuni – e sia per le migliaia di migranti che sfuggono da carestie, fame e povertà o dagli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali;
   l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) assiste oltre 50 milioni tra rifugiati e sfollati in tutto il mondo. Complessivamente il numero risulta essere ancora più ampio se si conteggiano, ad esempio, anche i cosiddetti climates refugees, ossia coloro che sono vittime di migrazioni forzate determinate dagli effetti negativi dei disastri ambientali e dei cambiamenti climatici e che attualmente non sono riportati in nessuna statistica ufficiale e spesso non assistiti da alcuna organizzazione umanitaria;
   i dati forniti da Eurostat sulle richieste di asilo presentate in Europa fotografano un fenomeno, quello dei rifugiati e richiedenti asilo, di imponenti dimensioni e che necessita di una forte politica comune dell'Unione europea;
   dall'inizio del 2015 nell'Unione europea sono state oltre 400 mila le richieste d'asilo, di questi 106 mila riguardano bambini. La Germania ha dichiarato che si aspetta circa 800 mila richieste di asilo entro la fine del 2015;
   le cronache di questi giorni, in particolar modo quanto sta accadendo in Ungheria, testimoniano quanto il sistema normativo europeo sia insufficiente a far fronte a un fenomeno migratorio che ha assunto tali connotazioni e dimensioni;
   le richieste di asilo nei Paesi dell'Unione europea sono disciplinate dal regolamento n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cosiddetto regolamento «Dublino III»), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide;
   in particolare, il regolamento «Dublino III» obbliga i migranti a richiedere asilo nel Paese di arrivo, generando squilibri e prolungando il calvario dei richiedenti asilo anche dentro le frontiere europee;
   l'Europa tutta è negligente, nulla è stato fatto nonostante i proclami. La gestione dell'accoglienza, la «presa in carico» e l'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea continua a presentare numerose criticità e i costi sociali ed economici di tale negligenza e mala gestione si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
   occorre un'azione concordata dell'Europa e misure urgenti da assumere urgentemente con il superamento degli accordi di Dublino e la creazione di un «diritto d'asilo europeo». A questo va aggiunto un intervento delle organizzazioni internazionali come l'Onu per stabilizzare la situazione in Libia e Siria, nella risoluzione dei conflitti che imperversano in Medio Oriente e in Africa;
   il nostro Paese è chiamato ad un'assunzione di responsabilità ed allo stesso tempo ad uno sforzo di elaborazione e proposta che siano ispirati a criteri fondati sul diritto internazionale e sui diritti umani –:
   se, alla luce della straordinaria situazione e del mutamento dei flussi migratori, non si ritenga opportuno adottare iniziative in sede europea al fine di sospendere immediatamente il regolamento «Dublino III»e quali iniziative si intendano intraprendere nella medesima sede per la sua revisione e per l'istituzione di un «diritto d'asilo europeo». (3-01683)


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è in atto un'emergenza migratoria che ha ormai dimensioni chiaramente europee;
   i flussi che interessano i Paesi appartenenti all'Unione europea sono certamente composti in parte da persone in fuga dalla guerra e dalla repressione politica, come i profughi siriani che dalla Turchia hanno risalito i Balcani, ma in parte, probabilmente prevalente, anche da migranti economici veri e propri, ovvero persone che scelgono di emigrare clandestinamente non sotto la spinta di una minaccia grave alla propria sicurezza o ai propri diritti, bensì per cercare un avvenire più prospero;
   in presenza di un numero massiccio di domande di protezione internazionale rivolte dai clandestini alle autorità nazionali potrebbe rivelarsi utile allo sveltimento delle pratiche disporre di una «lista di Paesi di origine sicuri», a patto di redigerla rigorosamente;
   la direttiva 2005/85/CE, recepita in modo forse incompleto nell'ordinamento italiano, affida al Consiglio europeo il compito di determinare, con voto a maggioranza, l'elenco comune minimo dei Paesi d'origine sicuri, quelli nei quali l'eventuale respingimento del richiedente tutela internazionale non comporterebbe alcun rischio a suo carico, ma riconosce, altresì, agli Stati membri la facoltà di definire proprie liste nazionali aggiuntive, obbligandoli contestualmente a fornire periodicamente alla Commissione europea il nome dei Paesi inseriti al loro interno;
   appare quanto meno discutibile il tentativo, in atto da più parti, di includere il Pakistan nel novero dei Paesi in guerra e pertanto sorgente di flussi di profughi –:
   se il nostro Paese abbia mai elaborato le liste nazionali previste dalla direttiva 2005/85/CE e, nel caso affermativo, se ne faccia o meno parte il Pakistan, Paese che al momento non risulta in stato di guerra ed è retto da istituzioni libere e democratiche. (3-01684)


   AMENDOLA, CARROZZA, CASSANO, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PORTA, QUARTAPELLE PROCOPIO, RACITI, RIGONI, ANDREA ROMANO, SPERANZA, TACCONI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   giorno dopo giorno l'emergenza immigrazione si aggrava in tutta Europa: dopo il Mediterraneo, si fa sempre più tesa la situazione alle frontiere ed anche l'Europa orientale è diventata negli ultimi giorni un fronte caldo;
   numeri allarmanti sono stati forniti dall'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) relativi agli arrivi attraverso il Mediterraneo: nei primi otto mesi del 2015, sono 351 mila i migranti che hanno intrapreso la via del mare e purtroppo già 2.643 persone sono morte da gennaio 2015. Solo nel 2014, gli arrivi nello stesso periodo erano stati 219 mila. Agosto 2015 è stato il secondo mese con più morti dell'anno, 638, superato solo da aprile 2015 quando erano stati 1.265. In tutto il 2014 erano stati 3.500 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo, secondo i dati forniti dall'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani;
   tutti hanno negli occhi le immagini drammatiche di quest'ultima settimana, che hanno avuto almeno l'effetto positivo di scuotere l'Europa dal suo torpore e cercare di ritrovare i valori di civiltà e dignità umana che hanno sempre contraddistinto il vecchio continente;
   difatti, dopo giorni di tensioni e proteste, con i profughi bloccati alla frontiera, la Germania e l'Austria hanno aperto le loro frontiere e permesso l'accoglienza di decine di migliaia di disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria, superando le procedure ordinarie delle regole di ingresso;
   la pressione della società civile su questa scelta è stata determinante: le popolazioni austriache e tedesche hanno dato vita ad una vera e propria gara di solidarietà per convincere i propri Governi a sbloccare la situazione ed aiutare i profughi. Da Vienna sono partiti verso il sud, al confine ungherese, convogli di attivisti – associazioni di volontari che si sono coordinati sui social media – per aiutare, con autovetture private, i migranti in marcia, caricarli a bordo e portarli in territorio «sicuro»;
   il Governo tedesco metterà a disposizione dei lander e dei comuni sei miliardi di euro per far fronte agli arrivi record di profughi nel Paese. Parrebbe, inoltre, che verranno velocizzate le procedure per le domande di asilo e verranno fornite ulteriori strutture per accogliere i profughi;
   da oltre un anno, l'Italia sta portando il tema delle migrazioni nei consessi internazionali, insistendo sulla natura globale del fenomeno, una consapevolezza che finalmente è stata raggiunta anche dagli altri partner europei;
   il 14 settembre 2015 si terrà un incontro straordinario a Bruxelles sull'emergenza immigrazione, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, nei giorni precedenti, dovrebbe presentare un piano di ripartizione dei rifugiati che prevederebbe che oltre il 60 per cento dei rifugiato (più di 70 mila) dovrebbero essere redistribuiti tra Germania, Francia e Spagna nei prossimi due anni e alleviare così la pressione dei Paesi in prima linea come Italia, Grecia e Ungheria. Francia e Germania prenderanno insieme quasi la metà dei 120 mila rifugiati che saranno poi ricollocati in base al piano. La Germania accoglierà 31.443 profughi, la Francia 24.031, la Spagna si farà carico di 14.931 persone. Saranno 15.600, invece, i richiedenti asilo che saranno ricollocati dall'Italia, che si aggiungono ai 24 mila del precedente schema di maggio 2015. Il piano prevede anche la velocizzazione delle procedure per il rimpatrio dei migranti irregolari;
   il tema della gestione delle migrazioni è divenuto un tema non solo di politica interna ma anche di politica estera, data la sua dimensione e tragicità, e ha dato vita a numerose prese di posizioni e iniziative politiche e diplomatiche da parte di molte cancellerie europee;
   i Ministri degli esteri di Italia, Germania e Francia, Paolo Gentiloni, Frank-Walter Steinmeier e Laurent Fabius, hanno inviato un documento comune all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Federica Mogherini che mette in rilievo come, «alla luce dei limiti e delle manchevolezze chiaramente mostrati dall'attuale sistema di regole europee in materia di asilo, creato ormai 25 anni fa, occorra rivederne contenuti e attuazione». I tre Ministri hanno inoltre insistito sull'esigenza di raggiungere l'obiettivo di un'equa ripartizione dei rifugiati sul territorio europeo;
   il Ministro interrogato ha avuto modo di delineare, in interventi pubblici e interviste, alcune proposte quali il superamento delle «regole di Dublino» e l'implementazione di un regime europeo per l'asilo, arrivando a valutare la definizione di corridoi umanitari e ingressi regolari con il sistema della sponsorship, come affermato in occasione di un incontro internazionale a Tirana in questi giorni –:
   quali siano le proposte che, in tema di gestione europea e internazionale dei flussi migratori nonché di cooperazione, il Governo italiano intenda portare avanti e presentare in occasione delle prossime riunioni dei Ministri dell'Unione europea.
(3-01685)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ad agosto 2015, i tecnici di Goletta Verde – Legambiente hanno presentato alla stampa il consueto monitoraggio scientifico delle acque marine italiane, denunciando le situazioni di inquinamento e di insufficienza depurativa che le mettono maggiormente a rischio;
   da quanto si evince dal rapporto, nonostante il generale miglioramento rispetto agli anni precedenti, «su 266 campioni di acqua analizzati dal laboratorio mobile di Goletta Verde, il 45 per cento è risultato con cariche batteriche superiori ai limiti imposti dalla normativa. Si tratta di un punto inquinato ogni 62 chilometri di costa»;
   secondo il rapporto, il 50 per cento dei punti inquinati sarebbero localizzati «presso spiagge (quasi sempre libere) con un'alta affluenza di bagnanti, dove di fatto la balneazione è abituale. Dei 120 punti inquinati e fortemente inquinati secondo il giudizio di Goletta Verde, ben il 49 per cento risulta non campionato dalle autorità competenti, cioè non sottoposto a nessun tipo di controllo sanitario. Addirittura il 38 per cento dei punti scovati dai tecnici di Legambiente, nel Portale delle acque del Ministero della salute risulterebbero balneabili, talvolta in classe eccellente»;
   le cause di inquinamento sono diverse e i numeri evidenziano la gravità della situazione. Sono state, infatti, «ben 14.542 le infrazioni accertate dalle forze dell'ordine e dalle capitanerie di porto per reati inerenti il mare e la costa nel corso del 2014. Circa 40 al giorno, 2 per ogni chilometro di costa, lievemente in crescita rispetto al 2013, quando le infrazioni erano state 14.504. Sono 18.000 le persone denunciate o arrestate con 4.777 sequestri eseguiti dalle autorità competenti. Numeri impressionanti che evidenziano la gravità delle attività illegali lungo le coste e nei mari del nostro Paese»;
   la singolare e poco onorevole classifica delle illegalità divise per regione, e contenuta nel rapporto, vede al primo posto «la Puglia, con 3.164 infrazioni accertate (il 21,8 per cento del totale nazionale), seguita dalla Sicilia con 2.346 (16,1 per cento), dalla Campania con 1.837 (12,6 per cento) e dalla Calabria con 1.370 (12,6 per cento); l'elenco delle infrazioni rilevate per chilometro di costa, su scala regionale, vedono la Campania prima con 3,9, seguita dalla Puglia con 3,7, tallonata dal Molise con 3,1, dalla Liguria con 3 e dalle Marche con 2,9. Si distingue la buona performance della Sardegna, con qualche criticità riscontrata solo in corrispondenza di foci di fiumi o canali. Poche le criticità riscontrate anche nelle regioni dell'alto Adriatico (Veneto e Friuli Venezia Giulia), complice anche il periodo di campionamento (ad inizio giugno 2015, quindi a stagione balneare appena cominciata)»;
   la causa principale dell'inquinamento delle acque rilevato da Goletta Verde sarebbe essenzialmente da ascrivere agli scarichi non depurati che attraverso fiumi, fossi e piccoli canali si riversano direttamente in mare. A conferma del deficit infrastrutturale relativo al trattamento dei reflui urbani, e quindi del relativo mancato rispetto della «Direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane», risultano due sentenze di condanna emesse dalle autorità europee, rispettivamente nel 2012 e nel 2014, ed una procedura d'infrazione ancora aperta nei confronti del nostro Paese; le inadempienze dello Stato italiano non sono soltanto causa di un danno all'ambiente ma anche all'economia: il rapporto stima, infatti, che le sanzioni dell'Unione europea siano pari a 485 milioni di euro l'anno dal 2016 e fino al completamento delle opere;
   da quanto si evince dal portale del Governo http://italiasicura.governo.it, «le risorse per intervenire ci sono ma non vengono spese. Solo nel 2011 e nel 2012, con tre delibere del Cipe, sono state finanziate a fondo perduto opere idriche per complessivi 2,5 miliardi di euro nelle regioni del Sud (Cipe 62/2011 per 695 milioni, CIPE 87/2012 per 121 milioni e CIPE 60/2012 per 1,6 miliardi). Inoltre, dal 2007 i fondi strutturali europei rappresentavano un tesoretto da avviare a cantiere per circa 4,3 miliardi di euro per 1.296 interventi. Il monitoraggio ha verificato che appena 76 risultano oggi completati per circa 47 milioni di euro, 768 sono in corso per 1,5 miliardi di euro, mentre i restanti 452 per 2,7 miliardi di euro li abbiamo trovati bloccati e non progettati e sono in fase di avviamento (...)»;
   il Governo è intervenuto secondo le disposizioni del provvedimento «sblocca Italia», stabilendo la revoca delle risorse stanziate dai soggetti attuatori inadempienti e l'invio di commissari governativi con l'obiettivo di aprire i cantieri;
   a seguito degli stati generali #acquepulite del 24 marzo 2015 con la ricognizione puntuale delle inadempienze che hanno portato alle sanzioni comunitarie e le strategie per rilanciare il settore idrico, la struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri #italiasicura ha convocato a Roma il 13 aprile 2015 regioni, enti e autorità idriche locali con l'Associazione nazionale delle autorità e degli enti d'ambito (Anea) e l'Autorità nazionale per l'energia elettrica, il gas e il settore idrico, i sindaci delle 14 città metropolitane. All'ordine del giorno vi era l'urgenza dell'accelerazione degli investimenti nel settore idrico, l'aggiornamento sullo stato di infrazione e della ripartizione su base regionale delle sanzioni comunitarie e la verifica dello stato di applicazione della «legge Galli» del 1994 nelle 5 regioni inadempienti (Sicilia, Calabria, Campania, Lazio e Molise) e applicazione dell'articolo 7 dello «sblocca Italia» (decreto-legge n. 133 del 2014);
   il Governo, tramite la struttura di missione, si sarebbe impegnato ad intervenire su monitoraggio, scarichi industriali, depuratori, riutilizzo di acque reflue, fitodepurazione attraverso un piano di 20 miliardi in sei anni;
   secondo quanto si evince dal portale del Governo, l'Esecutivo «prova a recuperare il tempo perduto per le opere su depuratori e reti fognarie finanziate nel 2012 con la delibera Cipe n. 60: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base dell'articolo 7, commi 6-7 dello “sblocca Italia”, ha pronta la lista dei primi 36 interventi da commissariare, per un valore di 634 milioni di euro (...)»;
   la situazione, secondo le predette fonti, sembrerebbe «tuttavia quasi disperata: la delibera Cipe 60/2012 stanziava 1.643 milioni di euro Fesr e Fas, sbloccando opere per 1,8 miliardi di euro, per tentare di risolvere le infrazioni europee in corso sulle acque reflue al Sud. Interventi da realizzare e mettere in funzione entro quest'anno. Ma a distanza di tre anni sono stati firmati contratti solo per 69 opere su 180, pari a 367 milioni di euro su 1.807 (il 20 per cento), e i lavori sono partiti solo su 32 opere, per 148 milioni di euro. Interventi per oltre 1,4 miliardi di euro sono ancora bloccati, in gran parte ancora in progettazione» –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende assumere per garantire la salvaguardia e la conservazione del patrimonio naturale nazionale marino e costiero che attualmente risulta minacciato da processi di inquinamento in atto, che determinano non solo un danno all'ambiente e al turismo, ma anche danni economici dovuti alle procedure di infrazione e alle relative sentenze di condanna, e quale sia lo stato di attuazione del piano della struttura di missione e dei provvedimenti assunti con lo «sblocca Italia» per far fronte alle opere previste per la mitigazione del deficit infrastrutturale relativo alla depurazione delle acque reflue.
(3-01681)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa che alla regione Lombardia sarebbero giunte di recente quattro domande di nuove discariche a Brescia, per un totale di 5,5 milioni di metri cubi di rifiuti da smaltire, questo nonostante nell'intera provincia bresciana siano già presenti 113 discariche, delle quali 68 sono legali, per un quantitativo di rifiuti che supera i 50 milioni di metri cubi;
   le richieste sono quelle di A2A (il sito Bosco Stella a Castegnato) e di Garda Uno (la Castella, al confine tra Rezzato e Buffalora), per 2 milioni di metri cubi ciascuna, mentre su Montichiari c’è la richiesta di Padana Green (1 milione di metri cubi di amianto) e l'ampliamento della Edilquattro (400 mila metri cubi);
   l'indice di pressione ambientale, inserito nel piano rifiuti regionale, che vieta nuovi siti di smaltimento in territori già compromessi, escluderebbe la possibilità di implementare nuove discariche a Castegnato e a Montichiari visto che, secondo le regole, se si sono già smaltite più di 160 mila tonnellate di rifiuti per chilometro quadrato non ci possono essere nuove autorizzazioni; nella vicina Bosco Sella riposano 4 milioni di metri cubi di scorie, mentre per la Castella questa regola non potrebbe essere applicata, ma ci sono altre criticità: la presenza di una falda troppo alta e la vicinanza con il futuro parco delle cave di interesse sovracomunale;
   negli ultimi tempi la provincia di Brescia è stata definita dai media la «Terra dei Fuochi del Nord» per i numerosi casi di allarmi ambientali legati alle attività delle ecomafie, tipiche del territorio posto tra le province di Caserta e Napoli denominata «terra dei fuochi»: dai ritrovamenti di discariche abusive di rifiuti pericolosi seppelliti sotto il manto stradale della A4, agli impianti per lo smaltimento di rifiuti pericolosi chiusi e abbandonati con la loro pesante eredità sul territorio, alle cave trasformate in discariche illegali;
   le province della Lombardia sono da tempo interessate da numerosi episodi di grave inquinamento ambientale relativi anche alla presenza di discariche abusive, come quella di Cavenago d'Adda (Lodi) che è stata oggetto di sequestro; si tratta di un fenomeno di particolare gravità, come emerso nelle tante indagini portate avanti negli anni dalle forze dell'ordine e dalle relazioni parlamentari della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti;
   il rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente conferma come la Lombardia detenga tra le regioni del Nord il triste record di presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso nel ciclo dei rifiuti speciali e pericolosi, che da soli ammontano all'80 per cento di tutti i rifiuti che transitano in Lombardia;
   la provincia di Brescia conta la presenza di numerose attività industriali ed agricole dal notevole potenziale inquinante e, in particolare, ben 187 aziende IPPC (integrated pollution prevention and control) nel settore industriale, 217 aziende IPPC nel settore agricolo, 20 aziende a rischio di incidente rilevante (soggette a notifica) e 20 aziende a rischio di incidente rilevante (soggette a rapporto di sicurezza) e nella sua provincia la più alta densità di impianti di smaltimento di rifiuti pericolosi e non; inoltre, nell'ovest bresciano, nell'area compresa tra Castegnato, Ospitaletto, Passirano e Paderno, Legambiente ha censito 21 discariche dismesse: il cratere di 22 ettari della Bosco Sella (5 milioni di metri cubi di rifiuti dell'ex Asm), i siti Pianera e Pianerino (contenenti il pcb della Caffaro), Codenotti, Gervasoni, Bettoni, Arici e Bonara, la Vallosa a Passirano, la Del Bono e la Gottardi a Ospitaletto, a Sorelle Vianelli a Paderno –:
   se il Governo non intenda attivarsi affinché il territorio bresciano, martoriato già da troppe discariche legali e illegali, come esposto in premessa, sia costantemente monitorato per verificare l'entità e la diffusione delle situazioni più gravi, migliorando gli strumenti di controllo della tracciabilità dei rifiuti nel più ampio quadro dell'innovazione e della modernizzazione della pubblica amministrazione, al fine di tutelare la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente;
   se il Ministro non consideri necessario intervenire, per quanto di competenza, e attraverso quali iniziative anche normative, affinché i territori con un elevato indice di pressione ambientale siano preservati da ulteriori discariche che aggraverebbero situazioni già critiche. (4-10200)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il torrente Vorga, 63.90 chilometri quadrati di bacino, sito in provincia di Crotone nel territorio del comune di Isola Capo Rizzuto ed alimentato dalle acque immessevi dal bacino idrografico di Sant'Anna, come già evidenziato dagli organi di stampa, presenta alcune criticità ambientali dettate dal cattivo stato di depurazione delle acque e dalla presenza di scarichi abusivi contaminanti;
   il suddetto torrente sfocia nel Mar Ionio, all'interno dell'importante area marina protetta «Capo Rizzuto», inquinando le acque marine;
   la zona interessata è stata colpita da ordinanza di divieto di balneazione, l'ultima emessa dal sindaco di Isola di Capo Rizzuto nell'anno 2012;
   il settore turistico rappresenta l'unica possibilità concreta per la salvaguardia ed il contestuale rilancio dei livelli occupazionali della Calabria e del territorio crotonese –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare al fine di: a) promuovere la bonifica integrale delle zone contaminate e la realizzazione degli interventi necessari per eliminare qualsivoglia tipologia di immissione inquinante; b) porre in essere il pattugliamento delle zone interessate e la relativa e necessaria attività di prevenzione degli illeciti ambientali. (4-10246)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Paola (Cosenza), dopo l'interdizione dell'area di località Pagnotta dovuta a valori fuori norma relativi al cobalto e al vanadio, da notizie a mezzo stampa, si apprende che anche nella zona dei pennelli (le famose «T» poste a protezione del rilevato ferroviario), ad un paio di chilometri di distanza, compare quello che per certi versi potrebbe essere un fenomeno analogo;
   i campionamenti per le spiagge – che assumono una colorazione rossa – disposti dalla Procura ed effettuati dall'Arpacal, a seguito anche delle segnalazioni pervenute in due anni, sono stati diversi ma è sul territorio di Paola e dei comuni limitrofi che si è verificato con più frequenza;
   l'inquinamento da metalli pesanti è comparso nel marzo 2013 a Fuscaldo, in tre siti si superarono i limiti per cobalto, cromo totale e vanadio mentre a Paola, in località Pagnotta, nello stesso mese vanadio, cobalto, stagno e cromo totale erano oltre la soglia. La procura ha quindi disposto nel luglio 2013 nuovi esami ed i valori nei tre siti «incriminati» a Fuscaldo erano tornati nei limiti di legge, mentre a Paola, sempre in località Pagnotta, furono superati ancora i limiti di cobalto, vanadio e cromo totale. Nuovamente in piena estate (agosto 2013) si superarono i limiti di cromo totale sul Lungomare di Acquappesa in località Acquafetida. Un anno dopo, nel marzo 2014, furono disposti nuovi esami a Paola e Fuscaldo (quattro in tutto) e i risultati mostrarono valori nella norma. Negli ultimi controlli disposti a Paola nel novembre 2014 furono riscontrati, ancora una volta, valori di cobalto e vanadio oltre la soglia ammissibile nella medesima località di Pagnotta;
   il nucleo di polizia giudiziaria del comando municipale di Paola ha sequestrato nei giorni scorsi lastre di eternit ai bordi del torrente Deuda mentre la procura ha esplicitamente richiesto al comune di Paola la bonifica dei luoghi;
   sul territorio di Paola, inoltre, si sta assistendo al proliferare di nuove discariche a cielo aperto: lastre e serbatoi di eternit, calcinacci, mobili e detriti di ogni genere vengono scaricati abusivamente sia sui monti che in prossimità del mare;
   dalla procura si attendono i risultati sui prelievi effettuati dai sommozzatori della capitaneria di Vibo Valentia per verificare la correlazione tra un possibile inquinamento del mare e le malformazioni dei tonnetti segnalate da alcuni pescatori;
   da notizie a mezzo stampa, risulta all'interrogante che già nel lontano ottobre 2009 su 12.590 pazienti, a Paola, la percentuale di giovani ammalati di tumore era quattro volte superiore alla media nazionale. La statistica realizzata dal dottor Cosimo De Matteis – che ha coordinato l'indagine come responsabile nazionale del sindacato medici italiani – dimostra che nella fascia tra i 30 ed i 34 anni, i giovani si ammalano di tumore con una media del 2.90 per cento contro la media nazionale dello 0.74 per cento per gli uomini e dello 0.86 per cento per le donne. Dai 35 ai 39 anni la media è del 2.07 contro quella nazionale dell'1.24 per gli uomini e dell'1.78 per le donne. Nella fascia dai 40 ai 44 anni la media a Paola è del 4.15 per cento contro il 2.11 per i maschi e il 3.33 per le donne. Ma anche se guardiamo la fascia dei 60 – 64 anni il tasso del 15,77 per cento è superiore all'11.43 dei maschi e all'11.69 delle donne. Dopo i 65 anni la media scende –:
   nel caso si riscontrasse dagli accertamenti in essere che il fenomeno delle spiagge rosse sia dovuto all'inquinamento del mare come si intenda intervenire affinché venga immediatamente messa in salvaguardia la salute pubblica;
   se il commissario per il rientro dal debito sanitario non ritenga opportuna la predisposizione del registro tumori della Calabria, unitamente a un registro epidemiologico e a tutte le misure necessarie affinché venga tutelata la salute dei cittadini. (4-10253)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i musei, le biblioteche, gli archivi, gli edifici storici e gli istituti culturali sono parte fondamentale del patrimonio culturale italiano;
   l'esecutivo ha più volte sottolineato come la crescita economica del nostro Paese passi anche dal rilancio del nostro straordinario patrimonio culturale;
   con l'entrata in vigore della legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni», tutte le strutture e i servizi culturali – ovvero musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia – dal 1o gennaio 2015 sono passati dalla competenza provinciale a quella di altri enti, regioni e comuni, che hanno responsabilità amministrativa riguardo i finanziamenti, la gestione delle attività e del personale;
   alla data odierna pochissime amministrazioni pubbliche hanno deliberato facendosi carico delle strutture e dei servizi culturali precedentemente di competenza delle loro province;
   per sensibilizzare la pubblica, amministrazione su un tema così urgente per i nostri beni culturali, molte importanti associazioni del settore, tra le quali l’International Council of Museum – UNESCO Italia, l'Associazione italiana biblioteche, l'Associazione nazionale archivistica italiana, il MAB (Coordinamento permanente di musei, archivi e biblioteche), hanno lanciato il 17 gennaio 2015 sul web e alcuni social network la petizione pubblica «A chi compete la Cultura» indirizzata alle principali istituzioni coinvolte, che ha già raccolto migliaia di firme e che chiede la salvaguardia delle centinaia di musei, biblioteche, archivi diffusi su tutto il territorio nazionale;
   le organizzazioni fondatrici del coordinamento MAB, nella lettera inviata il 5 marzo 2015 alle autorità competenti, sollecitando una risposta sulla sorte dei servizi culturali svolti dalle province in materia di musei, biblioteche e archivi, a seguito dell'applicazione della succitata legge, hanno sottolineato che: «si riconoscono nelle posizioni assunte da ANCI e UPI là dove esse prevedono che la gestione dei beni e delle attività culturali debba essere “di norma attribuito ai Comuni”, e ritengono altrettanto «essenziale ed imprescindibile sviluppare – e non smantellare – le azioni di sistema che le Province e Città metropolitane svolgono a supporto degli istituti culturali locali, in particolare per quelli situati nei Comuni più piccoli», elaborando  «formule gestionali e modalità di sostegno al Comune capoluogo interessato affinché il servizio bibliotecario o museale possa essere garantito»;
   sarebbe opportuno concertare con le associazioni degli enti locali soluzioni gestionali dei beni culturali valide per l'intero territorio nazionale nel quadro dei nuovi scenari istituzionali in corso di definizione; scongiurare il rischio di interrompere servizi pubblici di reti bibliotecarie, di sistemi bibliotecari, di sistemi museali e di reti archivistiche; predisporre soluzioni organiche alla loro gestione;
   il rischio concreto è che per molti dei beni culturali, delle reti di collaborazione e dei progetti nati attorno ad essi, l'applicazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014 si traduca in una drammatica chiusura o in un drastico ridimensionamento dei servizi essenziali offerti al pubblico;
   gli organi di stampa nazionale già da tempo danno ampia informazione sulle difficoltà dei beni culturali ex provinciali: 4 biblioteche ex provinciali della Puglia rischiano la chiusura e già da qualche giorno hanno dovuto ridimensionare i servizi e gli orari di apertura nonostante siano frequentate da 270.000 utenti ogni anno, posseggano 685.000 documenti fra libri e carte d'archivio; la rete delle biblioteche bellunesi, così come anche alcune delle biblioteche presenti in Cadore, rischiano di chiudere o fortemente ridimensionare un servizio che nel 2014 ha garantito a 17 mila utenti di ottenere 151 mila prestiti di libri, dvd o cd musicali, realizzando un risparmio per la collettività di quasi 3 milioni di euro; la biblioteca provinciale «M. Delfico» di Teramo, la più antica e duratura istituzione culturale del territorio, che nel 2014 ha celebrato il duecentesimo anniversario della propria esistenza, rischia di scomparire per inadempienze della propria amministrazione di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e, in tal caso, quali iniziative intenda avviare al fine di scongiurare l'interruzione delle attività di tutela e valorizzazione dei beni culturali nonché dei servizi per la pubblica fruizione di musei, archivi e biblioteche. (3-01675)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 13 febbraio 2014 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo emette un bando «Per la concessione di contributi a favore delle reti di impresa operanti nel settore del turismo (decreto ministeriale 8 gennaio 2013)», con scadenza 8 maggio 2014;
   obiettivo del bando era «promuovere e sostenere i processi di integrazione tra le imprese turistiche attraverso lo strumento delle reti di impresa, con l'obiettivo di supportare i processi di riorganizzazione della filiera turistica, migliorare la specializzazione e la qualificazione del comparto e incoraggiare gli investimenti per accrescere la capacità competitiva e innovativa dell'imprenditorialità turistica nazionale, in particolare sui mercati esteri»;
   il contributo massimo erogabile a favore di ciascuna rete appositamente costituitasi era di euro 200.000, a fronte di investimenti minimi di euro 400.000;
   dalla data di chiusura, non si è avuta alcuna notizia dell'esito né di conseguenza sono stati erogati finanziamenti;
   è evidente che questo può aver prodotto difficoltà ai soggetti partecipanti, indotti ad attendere per mettere in campo progetti che avrebbero potuto essere altrimenti indirizzati o finanziati, e che hanno rappresentato un costo in termini di ideazione e prima implementazione;
   ciò che appare più grave è tuttavia il danno che si produce alla credibilità dell'istituzione, che, ad avviso dell'interrogante, appare incapace di dare seguito a proprie autonome decisioni in tempi compatibili con l'attività di impresa;
   si deve aggiungere che negli oltre 15 mesi trascorsi il Ministero non ha fornito alcuna motivazione del ritardo intervenuto, nonostante sia stato più volte sollecitato in tal senso dagli operatori partecipanti, aggravando così quella sensazione di distanza burocratica che tanti danni produce alla reputazione della pubblica amministrazione e al buon funzionamento del sistema economico –:
   se gli 8 milioni di euro messi a disposizione dal bando siano ancora stanziati o se siano stati invece destinati verso altre finalità;
   quale tempistica si sia in grado di garantire per il completamento della fase di selezione dei progetti vincitori e quindi per l'erogazione dei finanziamenti previsti. (4-10230)


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2015 è entrato in vigore il decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 1o luglio 2014, contenente i «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163»;
   i nuovi criteri stabiliti dal decreto ministeriale avrebbero dovuto garantire maggiore equità e più riconoscimento al merito, ma, invece, stanno suscitando un coro di polemiche e di critiche, che hanno portato alcuni membri delle commissioni di valutazione addirittura a rassegnare le proprie dimissioni da tali organismi;
   in particolare, è stato rilevato come la valutazione discrezionale fatta dalla commissione competente per materia rispetto alla qualità artistica del progetto determini che al di sotto di un determinato punteggio la domanda di contributo sia automaticamente respinta, senza che siano tenuti in alcun conto né i parametri oggettivi relativi alla qualità indicizzata e alla dimensione quantitativa, né tantomeno parametri soggettivi, quali la storia del soggetto proponente, la sua capacità imprenditoriale e il progetto stesso;
   il risultato è che quest'anno le commissioni competenti hanno espresso una valutazione negativa in merito a diversi progetti presentati da soggetti che avevano, invece, lo scorso anno ricevuto una valutazione positiva, e nonostante gli stessi abbiano presentato progetti migliorativi;
   il nuovo calcolo dei punteggi e dei contributi ha aumentato in modo spropositato rispetto allo scorso anno il contributo ad alcuni soggetti e diminuito fortemente altri, tra i quali soggetti qualitativamente molto validi;
   come riportato anche da un quotidiano il 29 luglio 2015, «si sono concluse le distribuzioni del Fus (il Fondo unico per lo Spettacolo) per il triennio 2015-2018 secondo i nuovi criteri della riforma dello spettacolo dal vivo, e lo scontento dilaga», perché sarebbero «molte le incongruenze e le contraddizioni, a punteggi alti in molti casi sono corrisposti tagli del finanziamento, a punteggi bassi specie sulla qualità hanno fatto seguito aumenti anche spropositati»;
   non si può improvvisamente, in alcuni casi dopo trent'anni, escludere da un sistema di finanziamento imprese che vi hanno sempre potuto accedere, destinandole al fallimento, senza un preavviso temporale che possa permettere loro di adeguarsi al nuovo sistema o attrezzarsi per affrontare una riconversione aziendale;
   inoltre, la comunicazione dell'esclusione dalla contribuzione arriva a fine luglio 2015, dopo che di norma almeno il settanta per cento dell'attività oggetto di contributo è già stata svolta, e sono già state sopportate le spese che dovevano essere sostenute dal contributo, posto che tutte le attività si devono concludere nel corso dell'anno solare;
   la Direzione generale dello spettacolo, il cui direttore è istituzionalmente preposto a «disporre interventi finanziari a sostegno delle attività dello spettacolo», vale a dire a gestire l'assegnazione dei contributi allo spettacolo stanziati proprio nel fondo unico per lo spettacolo, che nel 2013 è stato pigri a 389,8 milioni di euro, è da oltre un decennio saldamente in mano al direttore generale Salvatore Nastasi, ad avviso dell'interrogante in contrasto con il principio della rotazione degli incarichi introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, in materia di anticorruzione nella pubblica amministrazione;
   specificatamente, infatti, il direttore Nastasi, come riportato nel suo curriculum pubblicato sulla pagina web della direzione generale spettacolo, detiene tale incarico ininterrottamente dal 5 agosto 2004;
   alla luce della citata legge n. 190 del 2012 la sezione di controllo della Corte dei Conti sugli atti di Governo n. 24 del 2014, chiamata a pronunciarsi sulla prorogabilità degli incarichi dirigenziali ha chiarito come esista una sorta di disfavore per la «permanenza eccessivamente protratta» di un dirigente nello stesso incarico –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di rivedere i criteri per l'assegnazione dei contributi del fondo unico per lo spettacolo privilegiando una maggiore attenzione ai citati parametri oggettivi e soggettivi dei richiedenti;
   se non ritenga di valutare l'avvicendamento nell'incarico di direttore generale dello spettacolo, in ossequio ai principi in materia di «anticorruzione» fissati dalla citata legge 190 del 2012. (4-10238)


   MICILLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2015 diversi siti di informazione locale (ed all'indomani alcune testate nazionali), tra queste il principale quotidiano locale Il Mattino riferivano della rimozione di 106 manifesti dalla facciata di Palazzo Reale a Napoli, che aveva ospitato dalla scorsa primavera, sulla propria facciata esterna attualmente in ristrutturazione, un memoriale sulle vittime della criminalità e delle stragi avvenute in tale regione;
   ciascun manifesto raffigurava il volto di una vittima innocente tra le diverse contate negli ultimi anni: 335;
   a ciascun pannello corrispondeva dunque il volto di una vittima;
   tali pannelli rientravano nella mostra, regolarmente autorizzata dalla regione Campania e dalla Soprintendenza ai beni culturali di Napoli, dal titolo: #NONINVANO, inaugurata il 17 aprile 2015, promossa dalla Fondazione Polis insieme al Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità e all'associazione Libera;
   l'evento prevedeva nel capoluogo una doppia esposizione, sulla facciata di palazzo Reale in piazza del Plebiscito e a palazzo Santa Lucia in via santa Lucia (sede della regione Campania);
   «Il progetto #noninvano ha lo scopo – hanno spiegato gli organizzatori in una nota diffusa da alcune testate on line, tra queste fanpage.it – di sensibilizzare i cittadini sul tema ma soprattutto l'intenzione di riaffermare, attraverso quei volti, che questi uomini e queste donne non sono morti invano». Le grandi fotografie, esposte nei giorni scorsi in altre strade e palazzi della città, coprono l'intera lunghezza dello storico palazzo in piazza del Plebiscito catturando l'interesse di turisti e passanti (link: http://napoli.fanpage.it);
   il 30 giugno 2015, come riferito dunque dalle cronache, si è operata la rimozione dei pannelli sulla facciata esterna di Palazzo Reale, ricadente sotto l'egida della Soprintendenza di riferimento, mentre sono stati lasciati a palazzo Santa Lucia;
   stando alle notizie diffuse, a disporre l'ordine di rimozione sarebbe stata la Soprintendenza di Napoli (http://chiaia.napolitoday.it);
   l'episodio esposto in premessa ha causato dolore e sofferenza nei familiari delle vittime raffigurate nei pannelli rimossi e poi disposti al suolo, come si vede dalle foto diffuse dagli organi di stampa;
   in una nota stampa del 1o luglio 2015 ripresa e rilanciata dagli organi di informazione locali e sul web così ha commentato, il presidente del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, Alfredo Avella, la disinstallazione della mostra #NONINVANO, promossa dalla Fondazione Polis insieme allo stesso Coordinamento e all'associazione Libera: «Vedere i volti dei nostri cari accartocciati a terra come se si trattasse di banalissimi e insignificanti manifesti pubblicitari ci ha fatto male, molto male. In questo modo è stato calpestato non solo il loro ricordo e il senso profondo del loro sacrificio, ma anche l'impegno di noi familiari, che nonostante tutto continuiamo a credere nel riscatto del nostro territorio» ed ancora: «Inopportuna e ingiusta ci appare l'intransigenza della Sovrintendenza, nonostante la tempestiva comunicazione. Ne censuriamo fortemente il gesto, al di là delle ragioni che hanno portato a tale scelta. L'atteggiamento offensivo e la scarsa sensibilità dimostrata non possono non lasciarci perplessi e basiti di fronte al forte degrado e all'abbandono in cui versa il patrimonio artistico napoletano», rammaricato aggiunge il presidente del coordinamento. «Adesso non è “vuota” solo la facciata di Palazzo Reale, è certamente più “vuota” tutta la città di Napoli, in modo particolare quella che lotta per la legalità e la giustizia», conclude Avella. (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it);
   conservare la memoria del sangue innocente di uomini e donne morti indifesi indica il grado di civiltà raggiunto da uno Stato;
   venire meno all'onore che è dovuto a chi è morto per mano delle mafie o della criminalità aumenta il dolore delle famiglie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti accaduti, in particolare del perché si sia proceduto con tanta solerzia alla disinstallazione della mostra #noninvano, dal momento che, nel trascorso mese di luglio 2015, la facciata esterna di Palazzo Reale non avrebbe visto comunque alcuna altra mostra;
   se non fosse  il caso di lasciare dunque che i pannelli insistessero ancora all'esterno dell'edificio, proprio in virtù dell'assenza di altri eventi di tipo culturale, sociale o come quello descritto, di denuncia;
   quali iniziative intenda assumere e se intenda verificare la decisione assunta dal Soprintendente partenopeo rispetto alle circostanze descritte, e per quali motivi in particolare non si è proceduto a formulare l'eventuale ipotesi (che avrebbe fatto piacere ai familiari delle vittime ed alle associazioni menzionate) di individuare sul territorio uno spazio alternativo atto ad accogliere il memoriale piuttosto che procedere alla rimozione dei volti, alcuni dei quali gridanti ancora giustizia alle autorità pubbliche. (4-10239)


   BERGAMINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2011 col patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per il turismo, per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, per le pari opportunità, dello sviluppo economico, della regione Toscana, della provincia di Pisa, a Sasso Pisano nel comune di Castelnuovo di Val di Cecina (Pisa) è stato inaugurato il Museo delle arti e dei mestieri della Toscana «Gualerci Nicola»;
   l'interessante idea di realizzare all'interno del sito medievale di Sasso Pisano, frazione di Castelnuovo Val di Cecina, una struttura museale allo scopo di valorizzare l'artigianato e l'arte manifatturiera, eccellenze della Toscana in Italia e nel mondo, tanto decantata dall'amministrazione comunale, non ha mai avuto la possibilità di realizzarsi nonostante la grande rilevanza dell'iniziativa sotto il profilo culturale, artistico ed economico;
   dopo più di 4 anni tale struttura museale non è aperta al pubblico e quindi non solo non è fruibile, ma le opere di grandissimo pregio artistico offerte da imprese d'eccellenza toscane e da personalità illustri del mondo della cultura e dell'arte come ad esempio il tenore Andrea Bocelli, lo stilista Salvatore Ferragamo, l'accademia navale di Livorno, la scuola Normale superiore di Pisa, la scuola superiore «Sant'Anna» di Pisa, l'università di Pisa, la Federazione italiana giuoco calcio, non si sa bene dove vengano custodite anche se pare, a quanto consta all'interrogante, che siano depositate in pessime condizioni e senza alcuna garanzia di sicurezza, nella chiesa del paese di Sasso Pisano, aperta al culto. Alcune di tali opere sarebbero addirittura poste all'aperto all'ingresso della chiesa –:
   se il Ministro non ritenga necessario e urgente, per quanto di competenza, al fine di conoscere il motivo della mai avvenuta apertura e se non ritenga opportuno avviare una verifica presso il museo stesso al fine di accertare la congruità delle strutture e dei metodi e delle procedure di conservazione delle opere soprattutto in considerazione del valore culturale del progetto, a vocazione nazionale, e del pregio artistico delle opere donate. (4-10243)


   PISICCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 30 aprile 1985, n. 63 venne istituito il FUS, il fondo unico dello spettacolo con il fine di consentire, tra gli altri, interventi a sostegno di attività teatrali di particolare pregio culturale;
   la difficoltà in cui si dibatte lo spettacolo teatrale nel nostro paese, ha fatto sì che negli ultimi anni il FUS rappresentasse per le compagnie di tradizione una risorsa integrativa sempre più importante ai fini della continuità di un impegno professionale che altrimenti non sarebbe stato più garantito esclusivamente dalla vendita dei biglietti, a causa della drastica contrazione del pubblico pagante, uno degli effetti più dolorosi della crisi economica in cui versa il Paese;
   l'effetto della riduzione delle risorse garantite dal FUS alle compagnie teatrali si tramuta, pertanto, oggettivamente, in un depauperamento del panorama culturale del paese, da un lato, e dall'altro in una condizione di difficoltà estrema per il teatro italiano con esiti devastanti anche dal punto di vista occupazionale;
   in particolare questa difficoltà coinvolge le compagnie teatrali del meridione, che appaiono più colpite dalla crisi e dal ridimensionamento del budget loro riservato dal Fus. È il caso della Puglia, che vede addirittura cancellate dai contributi disposti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo direzione generale dello spettacolo, compagnie di tradizione, come la Tiberio Fiorilli, ma non solo, storicamente valutate dalla medesima direzione generale come strutture teatrali di alto valore culturale –:
   quali urgenti interventi il Ministro intenda adottare per scongiurare la cessazione dell'attività di compagnie teatrali del mezzogiorno immotivatamente escluse dal sostegno del Fondo Unico per lo Spettacolo, al fine di evitare il consolidarsi dell'opinione che l'uso del più importante strumento di supporto dell'attività teatrale messo a disposizione dallo Stato, segua criteri discriminanti nei confronti del Sud. (4-10256)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 3 luglio 2015 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha adottato l'elenco annuale dei lavori per l'anno 2015 finanziato con le risorse ordinarie di bilancio del Ministero nonché la programmazione ordinaria dei lavori pubblici per il triennio 2015-2017;
   il prospetto per la regione Campania, nonostante la significativa consistenza e la notevole importanza del patrimonio storico-artistico e architettonico che esercita una significativa attrattività nei confronti della domanda turistico-culturale, è a dir poco drammatico;
   per il settore «Belle Arti e Paesaggio», che ha accorpato le competenze sui beni architettonici e sui beni storici, artistici ed etnoantropologici, alla Campania è stata assegnata dal Ministero per l'anno 2015 una cifra davvero irrisoria: 277.241,09 euro, sufficienti per avviare solo sei interventi (tre somme urgenze nella città di Napoli, due somme urgenze sull'isola d'Ischia e il completamento di un intervento già iniziato a Sant'Agata dei Goti in provincia di Benevento);
   nell'ambito della tutela e del restauro del patrimonio architettonico, paesaggistico e storico-artistico della Campania è stato operato dal Ministero un drastico taglio delle risorse che passano dai complessivi 2.158.519,42 euro stanziati nel 2013 (2.008.519,42 euro per i beni architettonici + 150.000,00 per i beni storico-artistici ed etnoantropologici) e i 2.575.800,00 euro stanziati nel 2014 (2.458.000,00 euro per i beni architettonici + 117.800,00 per i beni storico-artistici ed etnoantropologici) ai pochi spiccioli di quest'anno;
   poche risorse finanziarie per pochi e mal distribuiti interventi: ignorando, infatti, le accorate richieste che giungono dalle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio della Campania per tamponare le numerose emergenze legate alla salvaguardia del patrimonio culturale vigilato, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha ritenuto di approvare o finanziare nell'elenco annuale dei lavori per l'anno 2015 interventi di manutenzione, ripristino e/o messa in sicurezza di beni architettonici e storico-artistici ubicati nei territori delle province di Avellino, Salerno e Caserta, molti dei quali particolarmente meritevoli di cure e attenzione a causa del precario stato di conservazione che ne minaccia l'integrità;
   anche la città di Napoli e la sua provincia, dove le emergenze al patrimonio culturale non si contano più (lo stesso interrogante ha più volte e inutilmente, segnalato al Ministero attraverso atti di sindacato ispettivo alcuni, emblematici casi) sono state punite dai tagli e completamente dimenticate;
   il millantato «cambio di rotta» nella politica dei tagli ai beni culturali annunciato dal Ministero e la magnificata necessità di rilanciare il turismo nel Mezzogiorno d'Italia, soprattutto in Campania, si scontrano con la brutale evidenza dei fatti –:
   quali iniziative intenda adottare per porre rimedio a questa situazione grave e inaccettabile che penalizza la Campania e il suo patrimonio storico-artistico mortificando il ruolo delle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio che, private di risorse fondamentali, sono impossibilitate a intervenire direttamente per la conservazione e la tutela del patrimonio culturale; quali provvedimenti intenda avviare per reintegrare i finanziamenti decurtati e far fronte alle richieste di interventi urgenti da parte delle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio della Campania. (4-10260)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto apprende l'interrogante, i militari appartenenti all'Esercito italiano che risultano essere ri-eletti nei consigli comunali debbono comunque rientrare nel reparto di appartenenza, in attesa che si reiteri la domanda per l'assegnazione temporanea al reparto prossimo al luogo di elezione;
   a differenza di quanto stabilito dall'Esercito, le altre Forze armate dispongono diversamente e consentono al militare (poliziotto, carabiniere, e altro) di rimanere nel reparto di provvisoria assegnazione nelle more della proclamazione da parte della corte d'appello;
   questa procedura amministrativa, a totale carico delle casse dello Stato, prevede, quindi, che il militare rientri al reparto originario d'appartenenza per poi tornare al reparto prossimo al comune di elezione;
   le altre Forze armate e di Polizia, secondo quanto appurato dall'odierno interrogante, si comporterebbero diversamente lasciando il militare nel proprio reparto di provvisoria assegnazione dovuta all'incarico elettivo;
   a  giudizio dell'interrogante questa procedura risulta poco comprensibile, inutilmente complicata oltre che ultronea –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-10205)


   LAVAGNO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la caserma Pietro Mazza di Casale Monferrato (detta «casermette»), di proprietà del Demanio Militare, fu sede del battaglione di fanteria «Casale» ospitando nella propria storia d'esercizio anche reparti motorizzati;
   dal 1992, la caserma ha smesso di essere operativa;
   recentemente nell'ex caserma, sono stati abbattuti vari alberi e piante secolari, platani e meli selvatici che avevano un valore per il patrimonio verde della città;
   da quanto si apprende da organi di stampa, il lavoro è stato appaltato a costo zero, in quanto l'impresa che svolge l'intervento recupera il legname per produrre biomasse e quindi energia;
   da tempo nell'ex area militare l'amministrazione comunale di Casale Monferrato, aveva sollecitato il Demanio, proprietario dell'area, ad intervenire perché c'erano rami che si protendevano sulla strada;
   da quanto si apprende, i competenti uffici del Demanio avrebbero riferito all'ufficio ambiente del comune che la decisione di intervenire sarebbe legata «al tentativo di scongiurare il pericolo di autocombustione». Tale motivazione non pare commisurata, a quanto sostengono associazioni ambientaliste, con l'invasività del tipo d'intervento –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se e come intenda intervenire presso il demanio per chiarire la decisione relative all'abbattimento di piante e alberi secolari. (4-10259)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda grave e assurda dell'incostituzionalità del bilancio 2014 della regione Piemonte decretata dalla sentenza 181 del 2015 della Corte costituzionale ha messo in evidenza come la politica non abbia ancora compreso che l'Italia può ripartire soltanto se ripartono le aziende;
   il Governo Monti aveva predisposto il decreto «sblocca-debiti» proprio per restituire liquidità al tessuto imprenditoriale con una conseguente ricaduta sulla crescita stimata tra lo 0,5 per cento e lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo ma la misura è stata «sabotata» dalle regioni e ora potrebbe trasformarsi in un boomerang che andrà a colpire, ancora una volta, i cittadini;
   nel 2013 il Governo ha erogato anticipazioni per 23,7 miliardi di euro per permettere alle amministrazioni di saldare i debiti accumulati nei confronti di enti e imprese e, considerando il fatto che secondo la Corte dei conti l'80 per cento di questi fondi sono finiti in spesa corrente, si rischia di dover ripianare disavanzi milionari in diverse regioni, oltre al Piemonte;
   dopo il fallimento di vent'anni di manovre incentrate sulla spesa pubblica che non hanno prodotto alcun effetto sulla crescita del Paese, è assurdo constatare come si siano destinate risorse stanziate per il tessuto imprenditoriale per produrre ulteriore spesa pubblica andando a pesare ancora sui conti pubblici –:
   se intenda chiarire l'entità della vicenda, e fornire ogni elemento utile circa la reale condizione dei bilanci delle regioni che non hanno speso correttamente quelle risorse e le iniziative che si intendano intraprendere per evitare che la mancata destinazione dei fondi dello «sblocca-debiti» alle imprese vada a pesare sui conti pubblici e quindi sulle tasche dei cittadini. (3-01676)


   MICCOLI, PIAZZONI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 settembre 2001 n. 351, recante «Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo di fondi comuni di investimento immobiliare», convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001 n. 410, si prefiggeva di abbattere il debito pubblico e di contenere le spese per il mantenimento degli uffici pubblici, semplificando le modalità di dismissione di beni immobili dello Stato;
   era convinzione dell'allora Ministro dell'economia e delle finanze, professor Siniscalco – come esposto nell'ambito di una indagine conoscitiva dalla Commissione bicamerale di controllo sull'attività degli enti previdenziali – che, cedendo gli immobili residenziali e razionalizzandone l'uso, il debito pubblico non sarebbe aumentato ma ridotto;
   i primi tre articoli del citato decreto-legge hanno introdotto una nuova procedura di dismissione: la «cartolarizzazione» mediante la quale attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, sono convertite in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati;
   con l'articolo 4 dello stesso decreto si autorizza la costituzione di fondi comuni di investimento, ai quali vengono trasferiti o conferiti, dietro pagamento di un corrispettivo ai precedenti proprietari, beni immobili, ad uso diverso da quello residenziale, appartenenti allo Stato, all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e agli enti pubblici non territoriali. Tali immobili sono concessi in locazione all'Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li avevano precedentemente in uso; gli utilizzatori pagano un canone all'Agenzia medesima, la quale, a sua volta, lo riversa al fondo. Le quote del fondo sono collocate sul mercato;
   scopo dell'operazione era quello di valorizzare i beni in questione, razionalizzare gli spazi occupati e di contenere i costi operativi mediante il trasferimento a privati, su base competitiva, dell'attività di gestione immobiliare;
   con decreto ministeriale del 9 giugno 2004, il Ministero dell'economia e delle finanze ha promosso, ai sensi della predetta normativa, il fondo immobili pubblici (FIP), un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato ad investitori qualificati;
   con successivo decreto, il 15 dicembre 2004 («decreto operazione») il Ministero dell'economia e delle finanze ha individuato la disciplina per l'intera operazione di conferimento e trasferimento al fondo degli immobili pubblici;
   il regolamento di gestione del Fondo – deliberato dalla società di gestione ed approvato dalla Banca d'Italia il 16 dicembre del 2004 – espone lo scopo dell'operazione, ovvero quello della gestione e della vendita del portafoglio, nel corso della vita del fondo, prevista in 15 anni;
   il 29 dicembre 2004 («data di apporto/trasferimento»), il FIP è diventato proprietario del portafoglio, che comprendeva inizialmente 394 immobili ad uso «non residenziale» e generalmente sede di uffici locali di Ministeri, Agenzie fiscali ed enti previdenziali. Gli immobili sono stati trasferiti/apportati tramite specifici decreti del Ministero dell'economia e delle finanze anche di concerto con altri Ministeri. Ti valore di trasferimento/apporto complessivo è pari a circa euro 3,3 miliardi (valore di mercato «asset by asset» alla data del trasferimento/apporto pari a circa euro 3,7 miliardi);
   in pari data FIP e Agenzia del demanio hanno stipulato un contratto di locazione (9+9 rinnovabile automaticamente) e l'Agenzia del demanio ha a sua volta stipulato con le pubbliche amministrazioni utilizzatrici dei «disciplinari di assegnazione» con i quali ha reso disponibile il compendio immobiliare alle singole pubbliche amministrazioni utilizzatrici;
   l'attività gestionale del fondo in capo alla società di gestione del risparmio Investire Immobiliare-SGR spa (individuata in conformità alle procedure indicate nel decreto del 9 giugno 2004) è volta alla valorizzazione degli immobili concessi in locazione all'Agenzia del demanio ed inizialmente utilizzati dalla pubblica amministrazione su assegnazione dell'agenzia stessa;
   il regolamento del FIP stabilisce che, per i primi due anni di durata del Fondo, la SGR non cederà gli immobili locati, salvo diverso accordo con il relativo conduttore. A partire dal terzo anno di durata del fondo, la dismissione degli immobili avverrà sulla base di un piano di liquidazione predisposto dalla SGR spa, con cessioni per circa 300 milioni di euro l'anno: operazione che dovrebbe, nel complesso, concludersi nel 2018;
   nella prima fase una parte del portafoglio viene messo all'asta da SGR e nel 2007 riguarda 22 immobili di piccole dimensioni, localizzati in città come L'Aquila, Modena, Treviso, Padova, Gorizia, oltre a due stabili situati in Roma. Si tratta di edifici con destinazione d'uso ufficio, come tutti quelli concentrati nel Fip, del valore complessivo di 200 milioni di euro;
   alla data del 31 dicembre 2014 gli immobili venduti dal Fondo FIP ammontano a 165 unità, sparsi in quasi tutte le regioni italiane, con un ricavo di oltre euro 1.210.000.000;
   alla medesima data il portafoglio del FIP risulta di 230 immobili ad uso non residenziale, con una superficie lorda complessiva di circa 2,7 milioni di metri quadri di euro, come dalla valutazione semestrale effettuata da ReagReal Estate Advisory Group spa sui singoli immobili;
   la maggiore concentrazione degli immobili del portafoglio, geograficamente diversificato, è al Nord e al Centro Italia, in particolare in Piemonte, Lombardia e Lazio;
   gli immobili situati in aree urbane centrali e semicentrali rappresentano l'80 per cento del portafoglio, con prevalente destinazione d'uso ufficio;
   secondo FIP (12 febbraio 2005) «gli immobili demaniali si sono rivalutati in percentuali che vanno dal 100 al 200 per cento, con seguente aumento della consistenza del patrimonio residuo» (a suffragare questa tesi vi sarebbe la rivalutazione dell'enorme palazzo dell'ex intendenza di Finanza a Milano, che da 55,5 milioni passerebbe a 174,6 (più del 300 per cento). Da tali notizie si dedurrebbe il plusvalore della gestione, nell'ipotesi della liquidazione definitiva del fondo;
   una stima più precisa della plusvalenza complessiva del fondo appare, almeno a breve, alquanto difficoltosa: ciò verrebbe confermato anche dalla Corte dei conti, che, nella relazione del 2006 sui risultati delle cartolarizzazioni, è costretta ad elencare molte criticità ammettendo che: «l'incompletezza degli elementi informativi, resi disponibili dalle amministrazioni controllate, nonostante i reiterati solleciti della Corte, non ha consentito di compiutamente ricostruire tutti i passaggi e tutti i contenuti dell'operazione»;
   da fonti stampa si apprenderebbe che diversi immobili del portafoglio FIP risulterebbero appetibili ai grandi fondi esteri, Blackstone, Cerberus, Soros, i quali sarebbero interessati ad acquisire quelli di notevole pregio, che offrirebbero loro buone potenzialità di riposizionamento. L'obiettivo dei suddetti colossi sarebbe quello di ricollocare sul mercato gli asset una volta riconvertiti con una buona plusvalenza;
   un particolare interesse sembra essere rivolto alla ex sede INPS di Piazza Augusto Imperatore in Roma, valutata 22,2 milioni di euro e considerata «uno dei gioielli del FIP». L'immobile sembra essere prossimo alla vendita, per dar vita, dopo la ristrutturazione, ad un hotel di lusso, con particolare vista su centro storico di Roma e sul Mausoleo d'Augusto. Per il palazzo, di pregio architettonico, sembra essere già in atto una procedura di vendita, tanto che i negozi sotto i portici della piazza hanno già ricevuto l'avviso di sfratto per settembre 2015;
   la presunta operazione comporterebbe un complesso cambio di destinazione d'uso dell'immobile sopracitato, per adibirlo ad attività commerciale di tipo alberghiero-ricettivo di alta qualità. In tal senso occorre ricordare che l'immobile è sottoposto a vincoli di legge: piano regolatore generale e decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali), derivanti anche dall'appartenenza al centro storico di Roma, riconosciuto dall'Unesco patrimonio dell'umanità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e delle presunte dinamiche esposte, che appaiono agli interroganti rivolte alla speculazione finanziaria piuttosto che alla eventuale dismissione degli immobili per utilizzo a fini abitativi o d'interesse sociale o culturale, reputati al quanto rilevanti, se si considera anche la grave emergenza abitativa che interessa grandi centri come Roma e Milano;
   se intendano valutare la compatibilità dell'operazione – considerati i possibili costi e svantaggi della medesima, nonché l'impatto sul tessuto locale, e sulla qualità urbanistica a lungo termine, a fronte di presunti benefici, difficilmente o non completamente valutabili – con quanto previsto dalle norme di tutela e valorizzazione dei beni di interesse culturale. (3-01677)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la tassazione delle plusvalenze da cessione di quote societarie è disciplinata dall'articolo 68, sesto comma, T.U.I.R., che testualmente prevede: «le plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 1 dell'articolo 67 sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore normale dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l'imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi. Nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell'imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione. Nel caso di acquisto per donazione si assume come costo il costo del donante...»;
   più specificamente, nel caso sia il donatario a dover calcolare il cosiddetto capital gain, onde versare la dovuta imposta, tale calcolo potrà essere effettuato, tra le varie ipotesi, sottraendo dal prezzo di vendita delle quote societarie il valore delle stesse come rideterminato ai sensi della legge 21 febbraio 2003, n. 271;
   nel caso sia l'erede a dover calcolare il cosiddetto capital gain, onde versare la dovuta imposta, tale calcolo dovrà essere effettuato, sottraendo dal prezzo di vendita delle quote societarie il valore delle stesse indicato nella dichiarazione di successione ai sensi del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346;
   a decorrere dal 1o ottobre 2006 il valore delle quote da indicare nella dichiarazione di successione è costituito dal valore corrispondente alla frazione del patrimonio netto posseduto dal de cuius alla data del decesso. In altri termini, il valore definito ai sensi della legge n. 27 del 2003 esprime il valore di mercato e ha lo scopo di far emergere i plusvalori latenti delle aziende, ivi compreso l'avviamento (che, sintetizzando l'espressione dei ricavi attesi, è il dato che porta a realizzare i ricavi migliori), mentre il valore indicato ai sensi del decreto legislativo n. 346 del 1990 è commisurato al valore del patrimonio netto alla data di apertura della successione, escluso l'avviamento, con lo scopo di determinare la base imponibile per l'imposta di successione, non altro. Pertanto, sulla base delle richiamate norme, laddove il dante causa abbia provveduto ad effettuare la rideterminazione del valore delle quote societarie nei modi e nei tempi previsti dalla legge n. 27 del 2003, sembrerebbe che solamente il donatario possa avvalersi di tale valore rideterminato, contrariamente all'erede, pur in presenza di identica situazione risultante dalla predetta rideterminazione effettuata dal de cuius mediante perizia redatta e giurata da un professionista all'uopo incaricato;
   la descritta situazione, ad avviso dell'interrogante, rappresenta un'evidente disparità di trattamento di fattispecie tributarie analoghe, in violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, secondo i quali tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva –:
   quali iniziative normative il Ministro intenda proporre onde sanare l'evidente disparità di trattamento tra donatario ed erede nella tassazione delle plusvalenze da cessione di quote societarie, laddove si ritenga che gli istituti della successione e della donazione siano fattispecie equiparate. (5-06290)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, PAGLIA, FERRARA, MELILLA, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 luglio 2015 diversi organi di stampa hanno riportato la notizia di una operazione condotta dalla Guardia di finanza di Ancona, che ha portato all'accertamento di una maxi frode sulla vendita di benzina e gasolio per 24 milioni di euro nel giro di 5 anni;
   l'operazione, denominata «Caravan Petrol» e coordinata dalla procura della Repubblica di Macerata, si è conclusa con tre arresti e il sequestro di beni per oltre 8,6 milioni di euro ai 18 indagati (Ansa, 31 luglio 2015);
   lo schema della maxi frode fiscale, che la Guardia di finanza ritiene «una delle più ampie e articolate tra quelle scoperte negli ultimi anni nel settore dei prodotti petroliferi» (comunicato stampa Comando Provinciale Ancona, 31 luglio 2015), prevedeva diverse fasi: la creazione di 7 società c.d. «cartiere», fittizie e non operative, localizzate nelle province di Napoli, Teramo e Macerata (dove risiedevano i vertici dell'organizzazione), costituite per acquistare – sulla carta – il carburante da grossi fornitori in tutta Italia. Al vertice delle imprese erano posti degli amministratori fittizi. Tali società «cartiere» compravano il carburante usufruendo, illecitamente, dell'esenzione dal pagamento dell'IVA, prevista per le aziende che realizzano vendite di prodotto all'estero;
   le società fittizie cedevano, nella fase successiva, il prodotto sottocosto a società compiacenti, operanti nel settore della distribuzione di carburante sulle reti stradali, prima di «sparire» senza versare le imposte all'Erario. La vendita delle scorte avveniva in tempi molto rapidi dati i prezzi più che concorrenziali alle pompe di benzina, garantiti da acquisti non gravati da IVA, con margini di profitto in danno della concorrenza;
   nell'ultima fase i proventi dell'attività illecita venivano distribuiti tra i soggetti aderenti all'organizzazione;
   l'operazione «Caravan Petrol» ha consentito, ad un tempo, di smascherare una enorme frode fiscale ai danni dello Stato e di smantellare una organizzazione criminale dedita a ottenere profitti illeciti attraverso la concorrenza sleale ai danni degli altri operatori;
   il fatto riportato solleva comprensibili allarmi, sia perché il settore del commercio di carburanti è un settore economico molto delicato, sia per l'intreccio di profili che attengono alla criminalità organizzata, all'evasione fiscale e alla concorrenza sleale –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare particolari iniziative, per quanto di competenza, per intensificare il controllo su settori strategici come quello illustrato in premessa, anche attraverso una maggiore collaborazione tra le autorità preposte alla repressione dei reati e al monitoraggio dei fenomeni di concorrenza sleale;
   se e quali iniziative siano state adottate sino ad oggi in tale direzione.
(4-10202)


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la tassazione sulla prima casa di abitazione è stata reintrodotta nel nostro ordinamento dal Governo Monti, attraverso la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (cosiddetta legge di stabilità per il 2014) dopo che, nel 2008, il quarto Governo Berlusconi, abolì la suddetta tassazione al fine di ridurre le spese delle famiglie italiane;
   l'imposta unica comunale, ai sensi dell'articolo 1, commi 639 e seguenti, della legge di stabilità per il 2014, si basa su due presupposti impositivi: uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore e l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali. Tale tassazione è composta, quindi, dall'imposta municipale propria, ovvero l'IMU, di natura patrimoniale, da una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili (TASI) e dalla tassa sui rifiuti (TARI) destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore;
   la normativa previgente, stabilita dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetta legge Salva Italia), stabiliva che per abitazione principale era da intendersi «l'immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Pertanto, al ricorrere di entrambe le condizioni (dimora abituale e residenza) le abitazioni principali non erano soggette ad IMU, con l'unica eccezione degli immobili di lusso, per i quali l'IMU restava dovuta;
   la disposizione prevista dalla legge «Salva Italia», penalizzava fortemente i cittadini residenti all'estero, infatti, tali soggetti vivendo stabilmente in un altro Paese e non utilizzando l'immobile ubicato in Italia, non erano in grado di dimostrare che in quella determinata abitazione non vi risiedevano abitualmente;
   l'articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, ha successivamente modificato le disposizioni in materia di IMU, fissate dall'articolo 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, stabilendo che l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, sia da considerarsi direttamente adibita ad abitazione principale a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso. Inoltre su tale unità immobiliare si prevede l'applicazione di TARI e TASI, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi;
   il Governo Renzi ha quindi stabilito che i cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE possano beneficiare dell'esenzione dell'IMU per un solo immobile posseduto in Italia a titolo di proprietà o usufrutto, purché non locato o concesso in comodato. In realtà, tale agevolazione è riconosciuta solo nei confronti dei soli soggetti pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, essendo pertanto esclusa nei confronti dei lavoratori all'estero;
   rispetto alla normativa previgente (articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201) secondo la quale ai comuni era attribuita la potestà regolamentare di assimilare all'abitazione principale l'unità immobiliare posseduta in Italia, a titolo di proprietà o usufrutto, dai cittadini italiani residenti all'estero a condizione che la stessa non risultasse locata, la potestà di assimilare all'abitazione principale l'immobile posseduto dai cittadini italiani residenti all'estero non è più di loro competenza ma automatica;
   la normativa vigente, in materia di IMU, risulta connotata da requisiti particolarmente stringenti e parzialmente efficaci e stabilisce una ingiusta e iniqua applicazione dell'IMU per i cittadini italiani residenti all'estero, considerando che la rimodulazione di tale imposta è limitata ad una ristretta platea di beneficiari. Il possessore deve infatti essere pensionato –:
   se e quali iniziative il Governo intende adottare al fine di garantire una tassazione più equilibrata per le unità immobiliari possedute in Italia dai cittadini italiani residenti all'estero per motivi di lavoro allargando la platea dei beneficiari dell'esenzione dell'IMU. (4-10207)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», convertito in legge, prevede, per l'anno 2015, un contributo da corrispondere ai comuni per complessivi 530 milioni di euro;
   come previsto per effetto di una modifica apportata dal Senato della Repubblica al citato comma 10 in sede di conversione del decreto, all'interno del predetto contributo complessivo «una quota pari a 472,5 milioni di euro è ripartita in proporzione alle somme attribuite ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 6 novembre 2014 [...] e la restante quota è ripartita tenendo conto della verifica del gettito per l'anno 2014 derivante dalle disposizioni di cui all'articolo 1, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2015, n. 34»;
   le somme di cui ai periodi precedenti, in base al disposto dell'ultimo periodo dell'articolo 8, comma 10, non sono considerate tra le entrate finali di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevati ai fini del patto di stabilità interno;
   questa limitazione mette in grave difficoltà un ampio numero di enti che in assenza di esigenze di pagamento di debiti correnti pregressi rischiano di non poter di fatto utilizzare l'entrata stessa per mantenere i livelli di spesa del 2014, già fortemente compressi dalle riduzioni di risorse operate con la legge di stabilità e dai vincoli connessi all'avvio della nuova contabilità –:
   quali iniziative intenda porre in essere per garantire la possibilità che tali somme vengano considerate tra le entrate valide ai fini del patto di stabilità interno, almeno nella misura del 60 per cento dei contributi erogati, anche ipotizzando vincoli di destinazione che privilegino l'utilizzo dei fondi a fini di spese per investimento. (4-10212)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», convertito in legge dal Parlamento, prevede che al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento, una quota delle somme disponibili sul conto di tesoreria di cui all'articolo 1, comma 11, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, provenienti dalla «Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali» del Fondo di cui al comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013 e non più dovute, sono utilizzate, per la concessione di anticipazioni di liquidità;
   tali anticipazioni sono erogate per far fronte ai pagamenti da parte degli enti locali: dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2014; dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine; dei debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento alla data del 31 dicembre 2014, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva, ivi inclusi quelli contenuti nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale, di cui all'articolo 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   nel complesso, le somme messe a disposizione degli enti locali per le finalità indicate ammontano a 850 milioni di euro –:
   se, in fase di attuazione dell'erogazione di cui all'articolo 8 del decreto-legge 78 del 2015 non ritenga opportuno adottare le iniziative necessarie a riservare una quota della liquidità disponibile a sostegno del passaggio alla nuova contabilità, a favore degli enti locali che si trovino contemporaneamente nella situazione di dover assorbire un disavanzo di amministrazione derivante dal riaccertamento straordinario dei residui e di dover ricorrere ad anticipazioni di cassa. (4-10213)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la modifica al testo unico degli enti locali, ad opera del decreto legislativo n. 126 del 2014, determina un incremento dell'avanzo vincolato per un diverso trattamento di impegni assunti a fronte di entrate vincolate per legge;
   la nuova modalità di contabilizzazione costringe gli enti a rilevare nuovamente sugli anni 2015 e successivi gli impegni già registrati in precedenza;
   pur non trattandosi di una nuova spesa, tale duplicazione incide negativamente sul saldo rilevante ai fini del patto di stabilità interno a partire dall'esercizio in corso;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, anche in via interpretativa, atte a non considerare rilevanti, ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno e della determinazione del saldo finanziario in termini di competenza mista, le spese di parte corrente finanziate con l'avanzo vincolato di cui all'articolo 187, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000. (4-10214)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 380-ter della legge 24 dicembre 2012, n. 228 prevede che i comuni contribuiscano all'alimentazione del fondo di solidarietà comunale con una quota della propria IMU;
   l'articolo 4 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 prevedeva un anticipo del 50 per cento del gettito stimato tasi, ai comuni che non avevano deliberato le relative aliquote e detrazioni entro il 23 maggio 2014, da recuperare successivamente sul fondo di solidarietà comunale 2014;
   a seguito del lungo iter di approvazione del provvedimento di determinazione e riparto del fondo di solidarietà comunale per il 2014, i recuperi di anticipazioni erogate ai Comuni nel corso dello stesso anno a titolo di tasi, nonché parte delle trattenute destinate all'alimentazione del fondo di solidarietà comunale stesso attraverso una quota del gettito comunale dell'IMU, non sono stati in molti casi effettuati per intero, per effetto dell'incapienza delle somme incassate a titolo di Imu e tasi nell'ultimo scorcio del 2014;
   i numerosi comuni che si trovano in queste condizioni registrano pertanto un eccesso di entrata corrente nel 2014 (gettiti imu e tasi non trattenuti), al quale corrisponde nel 2015 una decurtazione di pari importo al momento del completamento delle trattenute stesse;
   è necessario evitare che tale fenomeno comporti un'alterazione ingiustificata dei conti pubblici e un aggravio dei vincoli effettivi del patto di stabilità per il 2015, a fronte di maggiori «spese» determinatesi in realtà a seguito di anomalie nell'effettuazione delle trattenute sul gettito imu previste dalla legge –:
   quali iniziative si intendano assumere per garantire, anche in via interpretativa, che i recuperi effettuati nel 2015 da parte del Ministero dell'interno a titolo di alimentazione del fondo di solidarietà comunale 2014 e di restituzione dell'anticipo tasi 2014, non siano considerati tra le spese finali di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevanti ai fini del patto di stabilità interno e che gli impegni di spesa determinati in conseguenza delle mancate trattenute, non incidano sul computo della spesa corrente ai fini della determinazione degli obblighi di finanza pubblica a carico di ciascun ente. (4-10222)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», convertito in legge, ha previsto l'erogazione di un fondo pari a 530 milioni di euro anche a sostegno dei comuni per i quali, a seguito della verifica del gettito IMU 2014 dei terreni agricoli siti in territori già considerati montani, si sia riscontrato uno scostamento tra stime ministeriali (in base alle quali sono già stati effettuati i tagli compensativi sul fondo di solidarietà comunale 2014) e il gettito effettivamente acquisito;
   una quota di 472,5 milioni di euro del contributo complessivo di 530 milioni di euro è stata attribuita a ciascun comune tenendo conto dei gettiti dell'IMU e della TASI e la restante quota di 57,5 milioni è stata ripartita tenendo conto della verifica del gettito 2014 dell'IMU dei terreni ex-montani;
   tale contributo appare parziale con riferimento al mancato gettito IMU 2014, che risulta pari a circa 114 milioni di euro, e non prende in considerazione il 2015, anno nel quale la situazione di sofferenza dei comuni coinvolti è del tutto analoga –:
   se non ritenga opportuno porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché siano reperite le risorse necessarie per assicurare il completo ristoro del gettito mancante con riferimento sia al residuo 2014 che all'intero anno 2015. (4-10223)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la revisione dell'IMU standard 2013, avvenuta sulla base dell'articolo 7 del decreto-legge n. 16 del 2014, ha dato luogo ad un recupero complessivo di circa 142 milioni di euro a carico di circa 2.700 comuni, solo in parte regolati attraverso stanziamenti appositi nell'esercizio 2013;
   la revisione in questione ha determinato per una parte dei comuni coinvolti un forte impatto sugli equilibri del bilancio corrente;
   tale problema è stato solo parzialmente affrontato in sede di conversione del decreto-legge n. 133 del 2014 (articolo 43), attraverso una facoltà di rateazione, condizionata però al fatto che il recupero non fosse già stato effettuato a cura del Ministero dell'interno in occasione dell'erogazione del secondo acconto del fondo di solidarietà comunale 2014 (20 settembre 2014);
   alcuni comuni con maggior incidenza della revisione a debito rispetto all'ammontare del gettito dell'IMU 2013 non hanno potuto fruire della rateazione di cui al citato decreto-legge n. 133 del 2014 per effetto della già avvenuta detrazione dal fondo di solidarietà ad essi spettante, che era risultato capiente –:
   se non intenda assumere iniziative per garantire ai casi particolari di comuni che risultino in debito, a seguito della revisione del gettito IMU 2013 per importi superiori al 7 per cento del valore dell'IMU standard risultante al 30 settembre 2013, di impegnare pro quota le somme a debito nell'arco delle annualità 2015, 2016 e 2017;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire che gli impegni necessari per il rimborso non rilevino su successive manovre di finanza pubblica e sul saldo utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.
(4-10225)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la modifica delle registrazioni contabili introdotte con l'avvio a regime dell'armonizzazione determina l'esigenza di raccordare i nuovi principi, improntati sulla trasparenza e sulla rappresentatività dei fatti gestionali, con gli attuali vincoli di finanza pubblica, al fine di consentire agli enti locali la piena autonomia delle proprie scelte nell'ambito delle facoltà concesse dal legislatore;
   i conferimenti o l'aumento di capitale a favore di società a capitale interamente pubblico partecipate dagli enti locali a seguito del subentro dell'ente locale al debitore originario, nonché le acquisizioni connesse a concessioni di garanzie da parte dell'ente locale nell'ambito di progetti di partenariato pubblico-privato, rientrano nel saldo finanziario di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183 –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative che consentano l'esclusione dal patto di stabilità interno delle registrazioni connesse al subentro del debito di un ente a fronte di conferimenti di capitale o aumento di capitale sociale nelle società partecipate (nei limiti consentiti dall'attuale quadro normativo in tema di razionalizzazione delle partecipazioni locali), nonché al subentro derivante da concessioni di garanzie da parte dell'ente locale nell'ambito di progetti di partenariato pubblico-privato, ai fini di una gestione unitaria del debito locale. (4-10226)


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente di cui all'articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, consente ai comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, acquisti in autonomia, per importi al di sotto di 40.000 euro nonché per gli interventi di somma urgenza;
   con il decreto-legge n. 192 del 2014, cosiddetto «Milleproroghe» (convertito dalla legge n. 11 del 2015), è stata prorogata al 1o settembre 2015 l'obbligatorietà dell'aggregazione degli acquisti di forniture, servizi e lavori per i comuni con popolazione inferiore a 10 mila abitanti;
   tale termine è stato poi ulteriormente prorogato al 1o novembre 2015 con l'articolo 1, comma 169, della legge 13 luglio 2015, n. 107 («Buona scuola»);
   pur essendo ampiamente condiviso il principio della riduzione delle stazioni appaltanti, quale strumento per la trasparenza e per la riduzione della spesa pubblica, si ravvisa il rischio di aggravamento delle procedure necessarie per spese minute, con particolare riferimento ai lavori di piccola entità, nei comuni con popolazione inferiore a 10 mila abitanti che non possono far valere la soglia di esclusione sopra menzionata –:
   se non intenda adottare opportune iniziative normative volte ad assicurare adeguate soglie di esclusione dall'obbligo di ricorso alle centrali uniche di committenza per i comuni con popolazione fino a 10 mila abitanti, comunque rapportate alla dimensione finanziaria dell'ente, per consentire il regolare svolgimento delle funzioni amministrative. (4-10227)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il Protocollo d'intesa in materia di sviluppo e potenziamento del servizio giustizia, sottoscritto il 6 agosto 2005 dalla Presidente del Friuli Venezia Giulia e dal Ministro della giustizia, ha previsto l'istituzione a Tolmezzo di uno Sportello di prossimità per le pratiche giudiziarie, in modo da sopperire alla chiusura del Tribunale di tale comune, che è stato accorpato al Tribunale di Udine;
   in base all'accordo, la Regione metterà a disposizione, nei locali che saranno successivamente individuati, personale già comandato negli uffici giudiziari: gli utenti potranno così acquisire informazioni, presentare e depositare atti giudiziari, nonché verificare lo stato dei procedimenti pendenti al Tribunale e alla Procura di Udine;
   oltre al potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni tecnologiche, il Protocollo stabilisce altre iniziative, a cominciare da interventi per favorire la giustizia minorile; inoltre, Regione e Uffici giudiziari collaboreranno (anche coinvolgendo le Università di Trieste e Udine) per studiare nuovi e più efficienti modelli organizzativi per la giustizia, promuovere la formazione dei dipendenti, divulgare la cultura riparativa e conciliativa, educare i giovani alla legalità;
   come ha affermato la Presidente Serracchiani, l'istituzione dello Sportello di prossimità costituisce «un modello esportabile, soprattutto nelle aree dove sono stati chiusi dei tribunali»;
   l'istituzione di tale sportello è un'opzione che, favorendo i cittadini nei rapporti con le strutture della giurisdizione ordinaria, evitando loro lunghi spostamenti per adempimenti di minima rilevanza, può costituire una parziale compensazione dei disagi da essi subìti all'atto della chiusura degli uffici soppressi, a seguito dell'emanazione del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   stupisce semmai che tale soluzione sia stata applicata nel territorio di una delle circoscrizioni più piccole tra quelle interessate dalla riforma;
   risulta dunque evidente che questo Sportello di prossimità potrebbe diventare uno strumento di accesso ai servizi giudiziari, un luogo dove depositare atti e documenti relativi alla volontaria giurisdizione (eredità, adozioni, amministrazioni di sostegno, interdizioni e inabilitazioni, successioni) ed in futuro la base per ulteriori ed estensibili attività giudiziarie anche in altri ambiti territoriali;
   l'attenzione deve andare, in particolare, alle comunità dell'albese, del braidese, delle Langhe e del Roero, danneggiate logisticamente dalla chiusura del Tribunale di Alba, città sede anche di casa circondariale –:
   se non intenda promuovere analoghe iniziative in altre realtà e in particolare in Piemonte, regione che più di ogni altra è stata penalizzata dalla riforma suddetta.
(2-01064) «Monchiero, Rabino, Mazziotti Di Celso».

Interrogazione a risposta orale:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 9 aprile 2015 presso il tribunale di Milano si è verificata una gravissima tragedia che ha condotto alla morte di tre persone, tra cui un giudice e un giovane avvocato, per mano di un imputato;
   in seguito a tale tragico evento, che si è potuto verificare a causa di una falla nel sistema di accesso al palazzo di giustizia del capoluogo lombardo, nei tribunali di tutta Italia sono stati repentinamente inaspriti i controlli per l'accesso;
   in particolare, così come segnalato al deputato interrogazione dall'Unione dei giovani penalisti di Napoli, presso il nuovo palazzo di giustizia del capoluogo partenopeo, «le recenti misure adottate in materia di sicurezza (...) impediscono il regolare svolgimento delle udienze con grave lesione del diritto di difesa del cittadino»;
   peraltro, come evidenziato dall'ordine degli avvocati di Napoli con delibera del 14 aprile 2015, le attuali modalità operative e la scarsa ed irrazionale predisposizione di mezzi (solo tre metal detector per controllare l'afflusso di oltre 5000 persone al giorno), non consentono la presenza dei difensori al procedimento, impedendo loro di accedere tempestivamente all'udienza e, quindi, di parteciparvi, con conseguente mortificazione del giusto processo e del complessivo esercizio della giurisdizione; per protestare contro tale gravissima situazione, l'ordine degli Napoli ha proclamato lo stato di agitazione l'astensione dalle udienze civili e penali per tre giorni –:
   alla luce di quanto delineato in premessa, se i Ministri interrogati non ritengano di doversi attivare, per quanto di rispettiva competenza, al fine di risolvere la ingestibile situazione che si è venuta a creare presso gli accessi al nuovo palazzo di giustizia di Napoli, anche valutando l'istituzione di varchi dedicati all'accesso degli avvocati. (3-01674)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa di reclusione di Massa, istituto di secondo livello di media sicurezza destinato ad ospitare prevalentemente detenuti condannati a pene medio lunghe è, per tradizione, – come indicato nel sito istituzionale – «caratterizzata da una forte vocazione trattamentale e da un regime penitenziario interno “aperto” che ne rappresenta il suo punto di forza, insieme alle lavorazioni penitenziarie di tessitoria e di sartoria», tale che la quasi totalità dei 172 ristretti – in forte controtendenza con il dato nazionale – risulta stabilmente assegnata alle varie lavorazioni interne dell'istituto;
   in aggiunta alle quattro sezioni attualmente operanti, secondo quanto stabilito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dal 1o settembre 2015 sarà inaugurato un quinto reparto detentivo cosiddetto «B», da tempo oggetto di lavori di ristrutturazione, nonché dell'attenzione dell'autorità giudiziaria circa inadempienze ed irregolarità in merito a contratti per interventi – relativi alla precedente gestione – che hanno interessato alcuni settori dell'istituto;
   l'imminente apertura del suddetto padiglione ed il conseguente aumento della popolazione carceraria, dovrebbe necessariamente comportare, anche in considerazione della spiccata connotazione trattamentale della casa di reclusione, oltre ad un incremento di posti di servizio per i presidi minimi di sicurezza, anche un potenziamento dei servizi indotti, come, ad esempio, i colloqui, l'operatore telefonico, la matricola, il casellario, la cucina detenuti;
   per quanto riguarda in particolare l'assegnazione di ulteriore personale atta a venire incontro alle rinnovate esigenze dell'istituto penitenziario, questa, in via generale e tenendo comunque fermo l'obiettivo del recupero degli utenti e del loro futuro reinserimento sociale in un quadro di piena sicurezza dei reparti, dovrebbe pertanto prevedere, oltre ad un congruo numero di personale di polizia penitenziaria, anche un adeguato incremento di funzionari dell'area pedagogica-giuridica e del personale dell'area amministrativo-contabile;
   l'apertura della «sezione B», a prescindere dalle effettive condizioni della struttura che si ritiene non possano che essere tali da consentirne, l'utilizzo garantendo l'incolumità sia dei reclusi che di chi vi opera, impatta su di una situazione che presenta una carenza di personale pari a trentatré unità a fronte delle quali l'amministrazione centrale ha disposto l'invio di soli tre nuovi agenti, laddove, per dodici nuove assegnazioni, nove sono invece gli agenti trasferiti in uscita dal medesimo istituto;
   la descritta situazione di carenza di personale della casa di reclusione risulta oggettivamente aggravata dall'assegnazione, nel mese di maggio 2015, di quattro nuove risorse ne ruolo di «assistenti tecnici», contestualmente distaccate, per la durata di un anno, presso l'istituto per i minorenni di Pontremoli, senza che vi fossero, a parere dell'interrogante, particolari esigenze funzionali tali da giustificarne il distacco –:
   se il Ministro interrogato possa indicare a quanto ammonterà, nelle stime, l'aumento di popolazione carceraria presso la casa di reclusione in Massa in relazione alla programmata apertura del padiglione, cosiddetto «sezione B»;
   se, in ragione delle molteplici attività, anche manifatturiere, svolte dalla quasi totalità dei detenuti, e da considerarsi indispensabili all'assolvimento della funzione rieducativa della pena, ritenga di poter garantire che la vocazione spiccatamente «trattamentale» dell'istituto massese potrà continuare ad esplicarsi nei termini attuali, indipendentemente dal citato previsto aumento della popolazione carceraria;
   se non ritenga indispensabile adoperarsi, al fine di realizzare un'opportuna assegnazione presso l'istituto penitenziario di Massa di un congruo numero di personale appartenente ai profili professionali della polizia penitenziaria, dell'area amministrativo-contabile e dell'area giuridico-pedagogica, tale da consentire che l'apertura della «sezione B» garantisca la salvaguardia delle condizioni minime di sicurezza per l'esecuzione delle misure di privazione della libertà personale disposte dalle competenti autorità giudiziarie, il recupero degli utenti ai fini del loro futuro reinserimento sociale, unitamente alla loro incolumità personale, evitando un ulteriore aggravio di prestazioni lavorative per il personale che già oggi opera in condizioni di carenza di organico. (4-10228)


   BRESCIA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni sia il comune di Lucera che quello di Foggia sono alle prese con la problematica determinata da emissioni odorifere nauseabonde che vengono percepite specialmente nel periodo estivo in tutte le zone dei comuni sopra citati;
   gli eventi sopra descritti comportano un evidente abbassamento della qualità della vita e, in virtù di quanto avvenuto negli ultimi anni crea un allarme più che giustificato nella popolazione interessata poiché l'emissione percepita, provoca notevole disturbo sulla popolazione;
   in data 2011 l'amministrazione del comune di Lucera si è dotata grazie alla ditta PCA technologies di un'azione di monitoraggio volta ad individuare le suddette emissioni olfattive e, la stessa ditta, ha individuato in diverse aziende dislocate sul territorio lucerino l'origine di alcuni odori nauseabondi;
   in data 14 luglio 2014 il sindaco del comune di Lucera, Antonio Tutolo, visti i fatti fin qui esposti, ha presentato al procuratore della Repubblica di Foggia un esposto atto a stimolare un intervento della magistratura affinché venissero disposti gli accertamenti necessari in ordine a tale emergenza per individuare possibili responsabili ed eventuali profili di illiceità degli stessi. Ad oggi non risulta che vi sia stata alcuna notizia al riguardo –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica da parte del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione allo stato dei luoghi e alle emissioni moleste lamentate dai cittadini;
   se risultino avviate indagini in proposito. (4-10249)


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   verso la fine del mese di agosto, dalla denuncia del massmediologo Klaus Davi e da alcuni quotidiani si è appresa notizia della scarcerazione del boss Paolo Rosario De Stefano che, prima di essere arrestato, nel 2009, era stato inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia;
   oggi, dopo quattro anni di latitanza e soli sei di carcere, Paolo Rosario De Stefano, considerato reggente dell'omonimo e potentissimo clan di `ndrangheta di Reggio Calabria, torna a casa a seguito dell'ottenimento di due anni di sconto di pena per meriti universitari;
   ricordiamo che il boss De Stefano, 39 anni appartiene alla famiglia del padrino storico e suo omonimo Paolo, ucciso durante la sanguinosa faida reggina degli anni Ottanta. Dopo l'arresto e la condanna di suo cugino Peppe a 27 anni di carcere, gli inquirenti hanno ritenuto che fosse diventato lui il punto di riferimento delle attività criminali del clan. L'arresto avviene il 18 agosto 2009 e, da allora, era detenuto in regime di 41-bis a seguito di condanna per associazione mafiosa estorsione ed altri reati;
   nel corso della sua detenzione si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'università mediterranea di Reggio Calabria ottenendo risultati brillanti che, secondo quanto riportato dai giornali, lo hanno fatto beneficiare della liberazione anticipata, prevista dall'ordinamento penitenziario per «il condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione»;
   è pur vero che, nel nostro ordinamento, l'articolo 27 della Costituzione enuncia che: «Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato», così sancendo il principio del finalismo rieducativo della pena, la cui giustificazione etica e logica, evidentemente, non può non fare riferimento alle specifiche esigenze risocializzative del condannato. In particolare, la funzione della prevenzione speciale è quella di eliminare o ridurre il pericolo che il soggetto ricada in futuro nel reato; essa fa riferimento ad un concetto di relazione, presupponendo la necessità del reinserimento del reo nella comunità dalla quale si era estraniato, mediante l'azione sugli stessi fattori che avevano determinato il perpetrarsi del delitto;
   la rieducazione si traduce, pertanto, in una solidaristica offerta di opportunità, affinché al soggetto sia data la possibilità di un progressivo reinserimento sociale, correggendo la propria antisocialità e adeguando il proprio comportamento alle regole giuridiche. Ma, in tal caso, sembra essere passati da un «regime duro» come previsto dal 41-bis alla scarcerazione;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio del 1975, n. 354, così come modificato da ultimo dall'articolo 2, comma 27, lettera d), legge 15 luglio 2009, n. 94: «Il provvedimento ...è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo originale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa»;
   è pur vero che il successivo comma 2-ter, inserito dall'articolo 2, comma 1, legge 23 dicembre 2002, n. 279, recita testualmente che: «Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato» ma, in tal caso, se la valutazione riguarda solo la buona condotta per meriti scolastici questo non sembra contemplare una rieducazione ai sensi dell'articolo 27 della costituzione –:
   di quali notizie, per le parti di competenza, il Ministro interrogato sia a conoscenza rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se corrisponda al vero che la liberazione anticipata sia stata disposta in relazione al curriculum universitario;
   se e quali azioni intenda adottare al fine di verificare il rispetto dei principi del nostro ordinamento sia con riferimento alle finalità di detenzione in regime  di 41-bis ordinamento penitenziario, per il soggetto in questione, sia con riferimento alla rieducazione della pena sempre comunque nell'ottica della salvaguardia dell'incolumità dei cittadini. (4-10255)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta orale:


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Locride rappresenta una realtà territoriale, ricca di storia, di cultura, di tradizioni, che comprende una superficie di 1366,60 chilometri quadrati e 131.985 abitanti in 42 comuni: una realtà che, tuttavia, per le caratteristiche sociali ed economiche che hanno favorito una forte migrazione, presenta storicamente una propensione alla mobilità verso mete sovra regionali e particolarmente del centro e del Nord Italia, in assoluto tra le più considerevoli dell'intera nazione;
   questa realtà risulta ad oggi fortemente penalizzata e mortificata dalla assoluta mancanza di collegamenti, soprattutto ferroviari, che consentano a quanti intendono recarsi in altre regioni o raggiungerla da altre città, di farlo in modo agevole;
   l'articolo 16 della Costituzione prevede che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza», configurando un «diritto alla mobilità», che viene sistematicamente disatteso nel meridione d'Italia e specialmente nel caso rappresentato;
   dai primi anni 2000 infatti, si è registrata una progressiva diminuzione dei collegamenti sulla tratta ferroviaria della costa Ionica calabrese, rendendo problematico l'esercizio del sopra citato diritto alla mobilità;
   le tratte di lunga e media percorrenza verso Milano, Roma, Torino e Bari sono state progressivamente cancellate, lasciando soltanto collegamenti con treni regionali e un unico Intercity che va dalla stazione di Reggio di Calabria a quella di Taranto nell'incredibile tempo di percorrenza di 7 ore e 10 minuti con carrozze regionali o con le vecchie automotrici Aln 668, con un incremento di un'ora rispetto al treno che copriva la stessa distanza fino al 2003;
   questo, com’è evidente ai migliaia di viaggiatori e come viene documentato dal video «Viaggio della speranza. In treno da Taranto a Reggio Calabria» pubblicato da Il Quotidiano Italiano e reperibile all'indirizzo URL https: / /www.youtube.com/watch?v=E1UAaUrpLRk, rappresenta una truffa al cittadino, costretto a pagare tariffe Intercity per fruire di treni regionali o addirittura di littorine ormai datate;
   l'unico modo per raggiungere le altre città del Centro o del Nord della penisola è quindi quella di raggiungere Taranto, Lamezia Terme o Reggio Calabria, effettuando cambi che, com’è possibile constatare dagli orari, comportano spesso ore di attesa o prevedono l'utilizzo di mezzi diversi dal treno;
   a dimostrare la concorrenzialità di una possibile nuova tratta a lunga percorrenza è il fatto che i collegamenti con la Capitale e con il Nord della Penisola sono invece garantiti da svariate autolinee private che così suppliscono alla necessità di mobilità molti cittadini della costa ionica calabrese, cosa che è loro di fatto impedita attraverso il trasporto ferroviario a causa dei tempi e dei cambi richiesti;
   sarebbe auspicabile, per questi motivi, valutare la possibilità di ripristinare per la linea ionica almeno un collegamento giornaliero per Roma e per Milano, non escludendo l'eventualità, nel caso, per contenere i costi, non siano percorribili vie alternative, di prolungare le tratte Roma-Taranto e Milano-Taranto sino a Reggio Calabria;
   tale richiesta viene reiterata da anni dai sindaci della Locride senza il beneficio di alcuna risposta;
   ciò che non può essere tollerato è il perdurare del sostanziale isolamento della Costa ionica calabrese dal resto della Penisola, che pone in essere una disparità di trattamento intollerabile rispetto ad altre aree del Paese e vanifica il principio di continuità territoriale;
   non varrebbe peraltro l'opposizione secondo la quale vi sarebbe la mancanza di locomotori con la lateralizzazione 18 poli per la linea Reggio Calabria-Taranto, dato che, anche se essi non fossero immediatamente disponibili, potrebbero comunque essere approntati o reperiti ove vi fosse la semplice volontà politica di fornire un servizio efficiente come nel resto del Paese –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda attuare misure di propria competenza per promuovere presso Ferrovie dello Stato spa il rapido ripristino di tratte di lunga percorrenza di classe Intercity in modo da rendere più agevole il collegamento della Locride e della costa ionica della Calabria con le città di Milano e Roma. (3-01688)


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria) è sino ad ora il più grande terminal per trasbordo del mar Mediterraneo e il principale scalo commerciale marittimo situato in provincia di Reggio Calabria;
   le origini progettuali del porto di Gioia Tauro sono riportabili alla situazione politico-programmatica determinatasi in Calabria all'inizio degli anni settanta, a seguito dei cosiddetti Fatti di Reggio, che prevedeva l'assegnazione delle sede del capoluogo della costituenda regione a Catanzaro: in tale ambito la costruzione del porto presso Gioia Tauro e dell'annesso e mai realizzato polo siderurgico di Reggio Calabria avrebbero dovuto fungere da compensazione alla mancata designazione della città;
   nonostante l'assenza di un articolato retroterra industriale, per la sua posizione strategica, il porto ha assunto molto presto un ruolo importantissimo con l'impiego di migliaia di unità lavorative;
   tale rilevanza, sia per l'economia sia per l'occupazione della zona, rischiano tuttavia di essere minacciate dai recenti sviluppi;
   come rilevato da i professori Domenico Marino e Pietro Stilo in alcune considerazioni riportate anche su Il Corriere della Calabria vi sarebbero alcuni segnali che lasciano presagire un sostanziale ridimensionamento: il primo di questi segnali è costituito dalla notizia che nel quadro dell'accordo di Vessel Sharing Agreement (VSA) Maersk Line e Mediterranean Shipping Company (MSC), che sono il primo e il secondo leader mondiale del settore del trasporto marittimo dei container, hanno riconfigurato i servizi di linea che i due vettori operano sulle rotte est-ovest riducendo da 15 a 14 gli approdi a porti italiani ed eliminando Gioia Tauro dal servizio AE6/Lion che collega l'Asia con il Nord Europa;
    Gioia Tauro starebbe quindi per perdere la leadership numerica in Italia per gli approdi, venendo raggiunta dall'orto di La Spezia;
   il secondo segnale preoccupante è la performance del porto di La Spezia che nel primo trimestre 2015 ha visto crescere del 20 per cento la sua movimentazione di Teus, rispetto al primo trimestre del 2014, mentre Gioia Tauro ha visto diminuire nello stesso periodo del 9,4 per cento le sue movimentazioni e questo prima che venisse tagliato il servizio AE6/Lion: va sottolineato, inoltre, che Contship Italia che attraverso MSC gestisce il terminal di Gioia Tauro, ha nello stesso periodo registrato una decisa crescita del traffico containerizzato movimentato dal porto di Salerno, con un aumento del 14 per cento sul primo trimestre 2014 e del porto di Ravenna con un aumento del 13,1 per cento;
   il terzo elemento di preoccupazione è costituito dall'entrata in esercizio del porto di Vado Ligure prevista per l'inizio del 2018: questo porto, in grado di ospitare le Super Post Panamax, rafforzerà la piattaforma competitiva ligure che si candiderà a prendere il posto di Gioia Tauro come principale gate italiano di transhpment, fatto che sarebbe anche confermato dall'azzeramento della partecipazione in Medcenter Container Terminal da parte della società terminalista olandese APM Terminals che ha dichiarato di volersi concentrare sulle attività core che in Italia sono costituite dagli investimenti nell'ambito della realizzazione del porto di Vado Ligure;
   tutti questi segnali, secondo i professori Domenico Marino e Pietro Stilo, indicherebbero in maniera chiara una perdita prospettica di competitività di Gioia Tauro e una propensione di questo porto al declino;
   le ragioni di tale declino sarebbero diverse, ma tutte ascrivibili alla politica: la mancata realizzazione del terminal ferroviario, il cui bando, atteso da 15 anni, è arrivato solo nel 2015; l'inadeguatezza della rete ferroviaria troppo lenta e scarsamente competitiva; la mancata predisposizione di strumenti fiscali ad hoc che tenessero conto anche della necessità di rafforzare un hub strategico per l'intero Mezzogiorno, specie a seguito del declino del porto di Taranto;
   lo stesso Presidente di Confindustria di Reggio Calabria, Andrea Cuzzocrea, ha auspicato la rapida realizzazione di una Zona Economica Speciale (ZES) accanto alla quale andrebbero tuttavia affiancati «tutti i punti nodali ai quali si legano le strategie di rilancio del porto di Gioia Tauro, a cominciare dalla rimodulazione delle tasse d'ancoraggio che ancora oggi frenano ogni slancio in termini di competitività dello scalo, fino alla riduzione delle accise sul carburante il cui peso incide in misura notevolmente maggiore rispetto allo scenario europeo»;
   nonostante il Presidente della regione Calabria Mario Oliverio avrebbe già discusso col Ministro interrogato di misure a favore dell'area portuale di Gioia Tauro, non sarebbero tuttavia emersi impegni concreti o azioni di rilievo né da parte del Governo centrale né da quello locale;
   ciò ha condotto il 22 agosto allo sciopero delle rappresentanze sindacali dei lavoratori portuali, preoccupati dallo spettro della disoccupazione;
   d'altra parte, come si evince da un comunicato dello stesso Sul, ripreso dalla stampa locale, Medcenter Container Terminal Spa lo scorso 29 luglio ha richiesto per il quinto anno consecutivo la Cassa integrazione straordinaria per 353 unità lavorative senza alcuna prospettiva di un riassorbimento del personale al termine della procedura;
   prosegue il comunicato: «L'assenza totale di concretezza sta affossando le speranze non solo del porto di Gioia Tauro ma di un'intera regione che da uno sviluppo organico di tale infrastruttura avrebbe potuto giovare in termini di occupazionali e di rilancio economico si assiste, al contrario, ad un'impasse inaccettabile, forse voluta, con il commissariamento infinito dell'Autorità Portuale e con la riproposizione di ricette decotte come la ZES i cui tempi di realizzazione non coincidono assolutamente con il tempo a disposizione del porto. Infatti, dal 27 giugno 2013 data in cui è stato comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il Disegno di Legge d'iniziativa del Consiglio Regionale della Calabria n. 894 per l'Istituzione di una Zona Economica speciale nel distretto logistico-industriale della Piana di Gioia Tauro della stessa non si hanno ulteriori notizie»;
   è evidente quindi che, indipendentemente dal percorso della Zes, che comunque dovrebbe essere promosso come segnale di attenzione e primo intervento a favore del porto, esso non è sufficiente ma va accompagnata ad un piano che, sfruttando la legislazione esistente, permetta di costruire un'area di vantaggio doganale e fiscale, oltre ad ulteriori strumenti, di disponibilità anche del Ministero interrogato, per promuovere l'attrazione di investimenti esteri –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni di propria competenza intenda adottare immediatamente per frenare il declino del Porto di Gioia Tauro e promuoverne lo sviluppo, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali e la crescita economica dei territori limitrofi. (3-01689)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DALLAI, SANI e CENNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'accordo europeo sulle grandi strade a traffico internazionale, concluso a Ginevra il 15 novembre 1975 e recepito dall'Italia con la legge 29 novembre 1980, la strada di grande comunicazione Grosseto-Fano è stata inserita tra gli itinerari internazionali con la sigla E78. La rilevanza nazionale della strada di grande comunicazione Grosseto-Fano (E78) e la sua validità sono state ripetutamente ribadite dai governi italiani che l'hanno inserita tra le priorità della intera rete italiana;
   la Siena-Grosseto, parte integrante della E78, è inserita nel contratto di programma Anas fin dal triennio «2003-2005». L'E78 è stata successivamente inserita nel documento «Priorità infrastrutturali» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conclusione della consultazione con le regioni. L'E78 è stata poi inserita nell'allegato infrastrutture del documento di programmazione economica e finanziaria 2008-2012;
   all'interno del tracciato complessivo della E78 riveste particolare interesse il completamento del tratto che collega Siena a Grosseto. Tale infrastruttura ha una fondamentale rilevanza per la mobilità e Io sviluppo economico, produttivo e sociale dell'intero centro Italia. Lungo tale arteria sono infatti presente flussi di traffico ingenti e diversificati per tutto l'arco dell'anno che interessano pendolari per lavoro e studio, turismo e commercio;
   9 degli 11 lotti in cui l'opera è stata suddivisa sono infatti aperti al traffico (interamente o parzialmente) o interessati dai lavori di edificazione, mentre i restanti due lotti (lotto 4 e lotto 9) sono stati finanziati, nel mese di agosto 2015 con l'approvazione, da parte del Cipe, del contratto di programma 2015 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anas, per un importo complessivo di 237 milioni di euro;
   nonostante l'infrastruttura sia stata ad oggi completamente finanziata i numerosi cantieri presenti lungo il tragitto ed i tratti fruibili ancora ad una corsia per senso di marcia stanno inevitabilmente creando disagi alla mobilità sull'intera tratta;
   tali disagi sono stati notevolmente aggravati da alcuni crolli che hanno interessato i lavori di raddoppio della Siena-Grosseto ed in particolare nella galleria di Casal di Pari, in prossimità del Comune di Civitella Paganico (in provincia di Grosseto). A seguito di tali crolli la galleria è stata infatti temporaneamente chiusa per permettere interventi di consolidamento;
   da quanto è emerso dalla riunione fra enti locali competenti ed Anas dei giorni scorsi la galleria rimarrà chiusa almeno fino al 24 novembre 2015;
   la chiusura del tunnel sta di fatto obbligando i veicoli sia pubblici che privati a lunghe e tortuose deviazioni su strade alternative che spesso non sono adeguate a sostenere ingenti flussi di traffico. Tale situazione sta quindi creando ritardi notevoli sui tempi di percorso (che spesso sono raddoppiati), gravi difficoltà al trasporto pubblico (la mobilità su strada rimane ad oggi in questo territorio la modalità di trasporto più utilizzata ed efficace anche a causa dei problemi di differente natura che interessano le infrastrutture su rotaia) e deviazioni sensibili per i veicoli di soccorso (in zone colpite molto spesso negli ultimi anni da gravi eventi alluvionali);
   emerge quindi un quadro di viabilità insostenibile che presenta ad oggi tempi di soluzione ancora non certi e che rischia di rallentare l'edificazione di un'opera indispensabile per la viabilità territoriale e per la quale il Governo ha stanziato, proprio recentemente, centinaia di milioni di euro –:
   quando verrà riaperta al traffico la galleria di Casal di Pari e quali siano state, nello specifico, le cause che ne hanno causato il cedimento e se tali problematiche possano ripetersi con l'avanzamento dei lavori;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere il Ministro interrogato ed Anas al fine di assicurare il rapido ripristino della percorribilità della galleria di Casal di Pari e, nel periodo di chiusura di tale tratto, per limitare i disagi e le problematiche che l'interdizione del tunnel sta causando;
   quando sia previsto ad oggi il termine per la realizzazione e l'apertura al traffico, nel dettaglio, dei singoli lotti della Siena-Grosseto non ancora ultimati e se la chiusura della galleria di Casal di Pari causerà ulteriori ritardi relativamente ai tempi oggi programmati per la completa edificazione dell'infrastruttura viaria.
(5-06297)


   BERGAMINI, COPPOLA, TINAGLI, CAPUA, BASSO, BRUNO BOSSIO, QUINTARELLI e GRIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i veicoli moderni sono controllati da sistemi computerizzati sempre più complessi che, pur avendone aumentato la sicurezza, li hanno contemporaneamente resi vulnerabili ad attacchi informatici. Detti sistemi computerizzati, infatti, non sono solo interconnessi ma anche, sempre più spesso e in misura maggiore, collegati con dispositivi esterni al veicolo;
   come riportato anche nello studio del 2011 «Comprehensive Experimental Analyses of Automotive Attack Surfaces» pubblicato da alcuni studiosi e ricercatori delle Università della California e di Washington, è possibile inviare input malevoli alle automobili moderne sia utilizzando un accesso fisico diretto che uno wireless, di breve come di lungo raggio. I ricercatori, infatti, sono riusciti a interagire con i sistemi computerizzati di alcuni veicoli sia utilizzando un supporto fisico come un cd musicale contenente un virus, sia a distanza utilizzando il sistema bluetooth dell'auto. Tra le funzioni manipolate dall'esterno, i ricercatori hanno eseguito la disattivazione dei freni, la selezione di una frenata su una sola ruota del veicolo e lo stop all'alimentazione del carburante, annullando gli input inviati dal pilota. Lo stesso gruppo è riuscito a intercettare a distanza le conversazioni all'interno delle automobili;
   la vulnerabilità dei veicoli è nota tanto che una grande azienda produttrice di software come Intel sta, tramite la sua controllata McAfee, studiando e producendo antivirus specificatamente dedicati alle automobili. Tra gli hacker impegnati da McAfee nella scoperta di vulnerabilità nei sistemi che equipaggiano le auto c’è anche Barnaby Jack, un nome noto nella sicurezza informatica per aver individuato falle nei bancomat e persino in apparecchi medici;
   il settimanale Wired, in un articolo apparso online nella sua edizione USA del 21 luglio 2015, ha riportato il caso di due hacker – Charlie Miller e Chris Valasek – che sono riusciti ad interagire a lunga distanza, tramite internet, con il computer di bordo di una Jeep Cherokee, comandando il sistema radio e audio del veicolo ma, soprattutto, acceleratore e freni dello stesso. In passato i due hacker erano riusciti a penetrare i sistemi informatici anche di altri modelli di auto, seppur da distanza più breve, specificamente una Ford Escape e una Toyota Prius;
   Miller e Valasek hanno intenzione di rendere pubbliche le loro ricerche, per validarle, in una conferenza «Black Hat Talk 2015» a Las Vegas dal 1o al 6 agosto 2015. Prima di procedere al disvelamento dei codici che hanno utilizzato per manomettere le auto, però, hanno informato Chrysler del bug da loro individuato, in modo che l'azienda potesse porvi rimedio, cosa che questa ha fatto. Il rimedio, però, consiste in un aggiornamento che gli utenti devono scaricare dal sito dell'azienda e, tramite supporto USB, riversare nel computer dell'automobile. Appare evidente come non tutti i possessori delle auto a rischio saranno consapevoli di dover svolgere tale operazione né tantomeno capaci di compierla;
   gli stessi Miller e Valasek hanno studiato i manuali tecnici di dozzine di automobili ottenendo una classifica dei 24 modelli più vulnerabili agli attacchi hacker in base a fattori come il tipo di connessione a internet del veicolo, quanto siano se pirati i sistemi di guida dai dispositivi connessi a internet e se siano presenti nei sistemi comandi digitali in grado di dare input fisici come far girare le ruote dell'auto o attivare i freni. In base al loro studio, la Jeep Cherokee è risultata essere il modello più hackerabile, seguita da vicino dalla Cadillac Escalade e dalla Infiniti Q50. Nella classifica da loro elaborata si trovano anche modelli Ford, Toyota, Bmw, Range Rover, Lexus, Hyundai e Dodge;
   Josh Corman, cofondatore dell'organizzazione «I am the Cavalry» attiva nella diffusione dell'informazione relativa ai nuovi rischi legati alla tecnologia, specialmente nei casi in cui, come recita la loro mission, «computer security intersect public safety and human life» (ovvero la sicurezza informatica intercetta la sicurezza pubblica e la vita umana), ha dichiarato all'autore del citato articolo di Wired che i produttori di automobili sono incentivati – dalla richiesta del mercato – ad aggiungere sempre nuove caratteristiche e funzioni ai loro veicoli ma non altrettanto a renderli sicuri rispetto a possibili attacchi informatici;
   la Commissione per l'energia e il commercio della Camera dei deputati americana nel mese di maggio 2015 ha scritto all'Agenzia nazionale per la sicurezza stradale (National Highway Transportation and Safety Administration) e a 17 industrie produttrici di automobili richiedendo informazioni specifiche rispetto ai loro piani ed attività per rispondere alle nuove sfide relative alla cybersecurity dei veicoli;
   il Senato americano sta analizzando una proposta di legge, presentata dai senatori Edward J. Markey e Richard Blumenthal, finalizzata a proteggere i consumatori dalle minacce alla privacy e sicurezza che possono provenire dai loro veicoli;
   la strategia europea sulla cybersecutiry, elaborata e coordinata dalla Commissione europea, per quanto è stato possibile verificare agli interroganti, non si occupa dei rischi derivanti dall'hackeraggio di veicoli;
   i pericoli informatici per l'industria dell'auto potrebbero aumentare con l'arrivo sul mercato, da qui a pochi anni, dei veicoli a guida autonoma, ovvero guidati da un computer senza alcuna interazione umana, già in sperimentazione da General Motors, Audi, BMW, Mercedes e Google, negli Stati Uniti, in Svizzera e Inghilterra –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (svolga o abbia svolto verifiche e monitoraggi sullo stato della cybersicurezza legata al settore dei veicoli e, più in generale, dei trasporti nel nostro Paese;
   se, allo stesso modo, il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per sensibilizzare le istituzioni europee su questo tema al fine di intraprendere una iniziativa comunitaria e comune volta alla tutela della privacy e della sicurezza dei cittadini europei e dunque anche italiani. (5-06299)


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il terminal di Tessera (Venezia) è un'area contigua all'aeroporto Marco Polo e, al netto delle adiacenti aree demaniali soggette allo sviluppo aeroportuale, ha una superficie di 166.416 metri quadrati. Il comune di Venezia ha adottato, per detta area, un piano particolareggiato con delibera di giunta comunale del 20 dicembre 2013, n. 724 definita «T2 Terminal Tessera» per la realizzazione di un nodo intermodale per i residenti nel comune e per la regolazione dei flussi turistici diretti verso la città insulare;
   l'area è attualmente sottoposta a procedura fallimentare;
   il piano di sviluppo dell'aeroporto Marco Polo – Masterplan 2021, presentato da Enac al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 30 settembre 2014 e sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale ancora in corso, prevede l'acquisizione dell'ambito territoriale «T2 Terminal Tessera» e la conseguente espansione del sedime aeroportuale, motivata con la generica giustificazione dell'insediamento di «attività di supporto ai servizi aeroportuali»;
   in sede di osservazioni alla procedura di valutazione di impatto ambientale il comune di Venezia con delibera n. 100 del 16 dicembre 2014 chiede: «l'esclusione delle aree del Terminal di Tessera dal sedime aeroportuale»; o «in alternativa, di conformare la valutazione ambientale integrando il Masterplan 2021 con le previsioni del P.P. Terminal di Tessera adottato con delibera di G.C. n. 724 del 20 dicembre 2013 ed integrando, di conseguenza gli elaborati VIA dal punto di vista ambientale e/o idraulico, paesaggistico e rispetto all'impatto sul sistema della mobilità stradale ed acquea»;
   in data 21 maggio 2015 è stato firmato da parte del commissario straordinario del comune di Venezia un protocollo d'intesa con Enac e Save S.p.A. in cui si afferma di «concordare l'insediamento su tali aree di funzioni finalizzate sia alle esigenze aeroportuali che a quelle di interscambio con la città storica recuperando, in tal modo, la scelta urbanistica effettuata dallo strumento di pianificazione comunale pur nell'ambito del processo di sviluppo dell'infrastruttura aeroportuale»;
   nel succitato protocollo d'intesa si prefigurano due fasi come in appresso specificate: Fase 1: servizi al passeggero, parcheggi per residenti, parcheggi a rotazione, approdo per Venezia, sosta pullman turistici; Fase finale: strutture ricettive, medie strutture di vendita, attività direzionali;
   nel piano di sviluppo – Masterplan 2021 sono già previsti, all'interno dell'attuale sedime, consistenti ampliamenti delle superfici commerciali (sino a 13.000 metri quadrati) e superfici a parcheggio (dagli attuali 5800 a 8600 posti auto);
   il codice di navigazione all'articolo 692, primo comma, lettera b), sostiene che fa parte del demanio aeronautico statale «ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato strumentalmente destinato al servizio della navigazione aerea»;
   dal bilancio di Save 2014 risulta che circa il 25 per cento del totale dei ricavi è costituito da attività non aviation (commerciali e di gestione dei parcheggi e altro), ricavi che peraltro sono destinati ad ulteriori e importanti incrementi, per effetto degli ampliamenti previsti dal Masterplan (cfr. punto 7);
   è difficile comprendere come possano essere considerate «strumentalmente destinate al servizio della navigazione aerea» le attività previste sull'area in questione, in particolare quelle della fase 2 (medie strutture di vendita e altro);
   appare agli interroganti del tutto inopportuna la firma del protocollo da parte del commissario prefettizio avvenuta a meno di una settimana dalle elezioni per la scelta del nuovo sindaco e del consiglio comunale di Venezia e quindi presa in assenza di legittimazione politica quale quella di un organo elettivo –:
   se non ritenga che, in assenza della benché minima giustificazione rispetto a quanto previsto dall'articolo 692, primo comma, lettera b), del codice sopracitato e considerate le poco convincenti motivazioni d'uso, l'area del Terminal di Tessera non debba rimanere al di fuori del sedime aeroportuale, stante la natura stessa dell'area indicata nelle previsioni urbanistiche per «funzioni urbane», quale interfaccia fra la terraferma e la città storica, le isole e la laguna, e quindi la sua assoggettabilità alla normativa urbanistica ordinaria;
   se, la previsione contenuta nel protocollo d'intesa succitato, riguardante l'insediamento delle medie strutture di vendita, sia incompatibile con la funzione di terminal urbano previsto dalla pianificazione comunale, posto che il traffico indotto dalle attività commerciali andrebbe a sommarsi a quello relativo al terminal stesso con gravi conseguenze sull'accessibilità di tutta l'area aeroportuale;
   se gli obiettivi di sviluppo dell'aeroporto Marco Polo non siano egualmente ottenibili dalla ottimizzazione del layout del sedime attuale (330 ettari), delle infrastrutture esistenti e dal collegamento funzionale degli aeroporti del Veneto e non già con l'espansione del sedime all'area del Terminal di Tessera;
   se intenda intervenire presso Enac, per quanto di competenza, affinché non si proceda all'espansione del sedime aeroportuale e sia assicurato l'insediamento delle funzioni previste dal piano particolareggiato citato in premessa, considerate strategiche per la mobilità sostenibile di Venezia;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza affinché, in tutti i casi, l'acquisizione dell'area avvenga a mezzo gara ad evidenza pubblica. (5-06306)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Servirail srl, era un'azienda che gestiva, per conto di Trenitalia spa, il servizio di accompagnamento notte delle vetture letto, delle vetture grand comfort e delle cuccette T6 su tutto il territorio nazionale;
   800 lavoratori della Servirail, Wasteels e Rsi (cuccettisti e manutenzione del servizio treni notturni) presenti su tutto il territorio, sono stati licenziati l'11 dicembre 2011;
   Trenitalia, il 24 maggio 2011, ha rescisso il contratto in essere con Servirail e Wasteels, anticipandone la scadenza al 10 dicembre 2011 per effetto del recesso esercitato con nota protocollo 15732 del 14 aprile 2011. In data 1o giugno 2011 Trenitalia ha pubblicato il bando di gara indicante in oggetto «procedura ristretta per l'affidamento dei servizi di accoglienza, assistenza e accompagnamento alla clientela, nonché di altre prestazioni accessorie da svolgersi sulle vetture in composizione ai treni notte gestiti da Trenitalia S.P.A. e circolanti sul territorio nazionale e su alcune tratte da e per l'Austria». All'interno di questo nuovo bando oltre a notevoli riduzioni di servizi e soppressioni di fermate per il treno notte non è inserita la clausola sociale per il riassorbimento del personale interessato;
   i lavoratori delle società Rsi, Servirail e Wasteels, il cui licenziamento è partito dall'11 dicembre 2011, attuando anche estreme forme di protesta, hanno richiesto la convocazione di un tavolo da parte dei Ministri competenti, alla presenza delle medesime società e dell'amministratore delegato di Trenitalia, per individuare una soluzione al loro problema occupazionale. Trenitalia ha motivato il ridimensionamento dei servizi effettuati con la mancanza di reciprocità Italia-Francia nel mercato dell'alta velocità, e soprattutto con il mancato trasferimento da parte dello Stato e per diverse annualità dei corrispettivi di cui al contratto di servizio in essere;
   molti degli 800 lavoratori, dopo lunghe battaglie e diversi mesi di disoccupazione, vengono ricollocati in diverse aziende esterne addette alla manutenzione e alla pulizia, con una notevole riduzione degli stipendi e l'azzeramento dei livelli;
   nel frattempo, il bando pubblicato da Trenitalia è aggiudicato alla ditta Angel Service che riassume buona parte dei lavoratori ex Servirail;
   non vengono assorbiti i lavoratori della Sicilia e della Toscana in quanto quella tratta viene cancellata;
   in seguito all'accordo tra Trenitalia e i sindacati nazionali i lavoratori non riassunti avrebbero dovuto partecipare a delle selezioni da parte di Trenitalia o di RFI, che quest'ultima si era impegnata ad indire entro luglio 2014;
   ad oggi risultano essere stati chiamati tra Sicilia e Reggio Calabria 17 ex Servirail da RFI, mentre il 25 marzo 2015 sono stati chiamati 15 ex Rsi da Trenitalia. Attualmente risultano ancora esclusi da queste assunzioni previste dall'accordo sindacale 34 lavoratori ex Servirail tra Sicilia e Calabria;
   la ditta nella quale questi operai sono stati momentaneamente ricollocati è la TMC. Quest'ultima ha un contratto d'appalto con Ecoindustria Sicilia che scadeva il 30 giugno 2015. L'appalto è stato rinnovato per altri sei mesi, ma a due dipendenti ex Servirail non è stato rinnovato il contratto –:
   se i Ministri interrogati intendano attivarsi, per quanto di competenza, per verificare che l'accordo sindacale menzionato sia stato effettivamente rispettato per far sì che Trenitalia riassuma i lavoratori rimasti ancora esclusi;
   se intendano verificare, per quanto di competenza, le motivazioni del mancato rinnovo contrattuale dei due dipendenti ex Servirail attualmente in servizio presso la ditta di manutenzione e pulizia TMC. (4-10199)


   CARDINALE e BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini che risiedono nel comprensorio del Vallone e della Valle del Platani, territori ricadenti nella provincia di Caltanissetta, rischiano di essere fortemente penalizzati per quanto concerne i treni regionali veloci in Sicilia;
   il progetto in fase di definizione da parte di Trenitalia non prevede, per quanto a conoscenza, alcuna fermata del treno veloce regionale nelle stazioni ferroviarie di Campofranco, Acquaviva – Casteltermini, Cammarata – San Giovanni Gemini;
   le fermate più vicine previste in progetto sarebbero, quindi, quelle di Aragona e Roccapalumba; – Aragona e Roccapalumba sono località eccessivamente distanti dal comprensorio del Vallone di Mussomeli e della Valle del Platani, tanto da non giustificare un potenziale spostamento in automobile per raggiungere una delle stazioni in questione ed usufruire del servizio di treno veloce quanto riferito, ove dovesse essere confermato, rappresenterebbe una mortificazione ulteriore per il territorio e infliggerebbe all'utenza residente una penalizzazione immotivata –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere con la massima urgenza, coinvolgendo gli enti locali e le altre istituzioni competenti, al fine di attivare un confronto con Trenitalia ed individuare soluzioni tecniche in grado di consentire anche ai cittadini del Vallone e della Valle del Platani di poter usufruire di un servizio importante quale quello del treno veloce regionale. (4-10203)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il pubblico registro automobilistico (PRA) è un registro pubblico che contiene tutte le informazioni relative alle vicende giuridico patrimoniali dei veicoli soggetti ad iscrizione. Fu istituito con il regio decreto-legge n. 436 del 15 marzo 1927 e affidato in gestione all'Automobile Club d'Italia, con il regio decreto del 29 luglio 1927, n. 1814, ne fu approvato il regolamento di attuazione;
   con la legge n. 187 del 1990 si è dato avvio all'automazione del Pra. Il Pra informatizzato, oltre ad assolvere alle sue funzioni istituzionali, rappresenta un patrimonio informativo sul mondo dell'auto idoneo a fornire dati sui veicoli che possono risultare utili a vari fini (mobilità, inquinamento, mercato, e altro), in un ambito di continuo sviluppo ed evoluzione;
   il regolamento dell'ACI di accesso alla banca dati del PRA definisce le regole attraverso le quali si consente di accedere alle informazioni contenute nel pubblico registro automobilistico o di estrarre dati variamente aggregati, in ragione delle specifiche esigenze del richiedente;
   negli ultimi anni si è parlato spesso di abolire il Pra: nel 1995 la rivista «Quattroruote», sostenuta dai Club Pannella, da Adt e da numerose associazioni di consumatori, promosse la raccolta di firme per un referendum per l'abolizione del PRA, ma il referendum fu dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 42 del 1997;
   il 9 giugno 2010, nell'ambito della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, è stata presentata dal deputato Giorgio Jannone la proposta di legge C. 3533 che mirava all'abolizione del PRA;
   nella proposta di legge, si prevedeva l'istituzione, presso il dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un archivio informatizzato con la funzione specifica di raccogliere i dati aggiornati relativi allo stato tecnico, giuridico e patrimoniale degli automezzi immatricolati, nonché i dati relativi ai possessori. La proposta di legge non ha poi avuto seguito;
   anche il commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, nel marzo 2014, aveva avanzato l'ipotesi della chiusura del PRA parlando di un accorpamento con la motorizzazione a cui non si è dato seguito;
   dall'articolo de il Fatto Quotidiano del 29 giugno 2015 si apprende che il PRA costa agli italiani 230 milioni di euro l'anno derivanti dai 27 euro sborsati da circa 8 milioni di automobilisti a cui vanno aggiunti altri 48 euro di imposte di bollo sulla vendita di ogni auto e per il certificato di proprietà;
   il 4 agosto è stato approvato in via definitiva il disegno di legge recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» che all'articolo 8 lettera d) recita testualmente: «d) con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento si delega il Governo ad adottare entro dodici mesi uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal PRA al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa, nell'ambito delle sue competenze, volta a consentire, da un lato, il trasferimento delle funzioni del PRA al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, dall'altro, il miglioramento e il potenziamento dei servizi, dotandoli di nuovi ed aggiornati dispositivi telematici di facile utilizzo per gli utenti;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per il collocamento dei dipendenti del PRA e quali misure intenda prevedere durante la fase di passaggio delle funzioni per tutelare e fare salvi i diritti dei lavoratori coinvolti.
(4-10204)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in molti comuni italiani non è possibile usufruire del servizio di Poste Italiane denominato raccomandata 1, ovvero il servizio di posta che prevede il recapito in un giorno;
   all'interrogante sono arrivate numerose segnalazioni di cittadini che lamentano il fatto di non poter accedere al servizio di cui sopra nell'ufficio postale del proprio comune, con la conseguenza, in caso di spedizioni urgenti, di doversi recare in altri uffici nei quali è attivo invece il servizio raccomandata 1;
   alcuni di questi comuni sono di piccole dimensioni e si trovano in zone interne e in aree in via di spopolamento, già penalizzate in questi anni da pesanti tagli ai servizi essenziali per i cittadini –:
   se la notizia corrisponda al vero;
   se il Governo possa chiarire quali siano i criteri in base ai quali in un comune si prevede l'attivazione di un servizio da parte di Poste italiane e in un altro invece no. (4-10211)


   MURA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Sardegna si registra una situazione particolarmente critica nella Barbagia di Seulo (con i comuni di Esterzili, Sadali, Seulo, Seui e Ussassai), considerato oggi il territorio più isolato della regione;
   a difficoltà di accesso al territorio è causata da una viabilità insufficiente e assai pericolosa che si registra con riferimento nella strada statale n. 198, nel tratto tra Villanovatulo e Sadali;
   questa condizione rende difficile la mobilità delle popolazioni, in particolare per accedere ai servizi sanitari e scolastici;
   la pessima viabilità rende particolarmente gravosi gli spostamenti dalla Barbagia di Seulo verso l'area metropolitana di Cagliari, capoluogo della regione, e principale ambito di riferimento del territorio in relazione ai servizi (sanitari e scolastici in particolare);
   la lunghezza dei tempi di percorrenza per chi lavora lontano da questo territorio della Sardegna costringe i cittadini ad abbandonare le proprie comunità con gravi danni per la struttura sociale ed economica di un'area già menomata dalla perdita di molti servizi essenziali;
   un'altra difficoltà è rappresentata dalla difficoltà di aggregare servizi e funzioni per gli eccessivi tempi di percorrenza –:
   se il Governo sia a conoscenza di questa situazione;
   se sia possibile utilizzare le risorse del fondo di coesione 2014-2020 con la finalità di migliorare l'accessibilità alla Barbagia di Seulo, attualmente il territorio più isolato in Sardegna. (4-10219)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il molo dello scalo vecchio dell'isola di Linosa è inibito all'attracco dal 2007 per il cedimento delle opere di protezione che ha provocato un notevole vuoto sottostante la massicciata di calpestio, con grave rischio di crollo della struttura;
   in questi otto anni, in cui si sono succedute amministrazioni di orientamenti politici diversi, i lavori, benché di recente appaltati, non sono ancora iniziati;
   il molo Scalo Vecchio dell'isola di Linosa è l'attracco storico e naturale dell'isola, sul quale gira e gravita tutta l'economia del posto ed è quello più riparato dai venti perché esposto a sud. La sua chiusura ha danneggiato l'economia e ha provocato una perdita consistente e considerevole delle entrate legate soprattutto al turismo;
   avrebbe dovuto essere ripristinato con immediatezza al traffico navale, ma tutto è stato bloccato da una lunga ed esasperante lentezza dell’iter burocratico;
   il servizio di trasporto marittimo per passeggeri a mezzo di unità veloci (aliscafi) è cessato lo scorso autunno, nonostante si paventasse la possibilità di un mancato ripristino del servizio, nessuna iniziativa né a livello amministrativo locale, né regionale, né statale è stata adottata per scongiurare il taglio;
   a fronte di bandi di gara andati deserti, l'isola si è ritrovata all'inizio della stagione estiva senza collegamento veloce e senza alcuna notizia sulla sorte di tale servizio, il che ha indotto i turisti che intendevano trascorrere le vacanze sull'isola a ripiegare per altri luoghi che offrono più garanzie;
   a seguito della mobilitazione della popolazione che ha organizzato manifestazioni sull'isola e proteste sul web al fine di sensibilizzare e far conoscere la tragica situazione, il 28 giugno 2015, in via del tutto precaria con la Compagnia delle isole, il servizio è ripreso –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda mettere in atto affinché sia garantita la continuità territoriale dell'isola di Linosa attraverso trasporto marittimo a mezzo di unità veloci al fine di non arrecare ulteriori danni alla sua economia turistica. (4-10250)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   tra il 17 e il 22 luglio 2015 è stata effettuata una serie di salvataggi in mare che, tra le altre, ha salvato 69 donne, di presunta cittadinanza nigeriana, provenienti dalle coste libiche;
   le stesse sarebbero state indirizzate nei Centri di prima accoglienza di Lampedusa, Pozzallo e Augusta. A tutte le 69 donne, di cui tre in evidente stato di gravidanza, sarebbe stato notificato un decreto di respingimento immediatamente dopo la loro foto-segnalazione, a cui ha fatto seguito il trasferimento al Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria a Roma, al fine di essere rimpatriate dalla frontiera di Roma-Fiumicino;
   a tutte le cittadine nigeriane a quanto consta agli interroganti sarebbe stato convalidato il provvedimento di trattenimento senza prendere in considerazione, sia la loro condizione fisica, sia il motivo del viaggio attraverso il Mediterraneo, viaggio peraltro «offerto» loro dalle reti di tratta dei migranti presenti in Nigeria e in Libia;
   secondo quanto raccolto da alcuni esponenti della campagna «LasciateCIEntrare», che hanno potuto incontrare due volte le donne nel mese di agosto 2015 a Ponte Galeria, al momento dello sbarco, a nessuna sarebbero stati letti i propri diritti – quindi non sarebbero state fornite le informazioni necessarie per eventualmente, far richiesta di protezione in Italia;
   sempre secondo quanto registrato dalla campagna «LasciateCIEntrare», il giorno dell'arrivo delle donne al CIE di Ponte Galeria, un funzionario dell'ambasciata nigeriana sarebbe stato presente per le procedure di identificazione necessarie e dirimenti per la procedura di rimpatrio;
   il 25 luglio 2015 presso il suddetto CIE si sono tenute tutte le udienze di convalida con tre diversi giudici e, secondo quanto segnalato da alcuni degli avvocati presenti, tali udienze si sarebbero risolte in circa 5 minuti di colloquio;
    tutte le donne hanno poi presentato richiesta di asilo e per questa ragione l'udienza di proroga del trattenimento si è tenuta di fronte al giudice ordinario;
   in data 17 agosto 2015, presso il Tribunale di Roma, si è tenuta l'udienza di proroga di ulteriori 30 giorni, in assenza però delle interessate. In tale occasione, l'avvocato Di Giovanni, che ne rappresenta 12, ha chiesto il rinvio dell'udienza per consentire alle sue assistite di presenziarvi e che la stessa si tenesse a porte aperte;
   il giudice ha accolto la richiesta, fissando l'udienza per il giorno 19 agosto all'interno del CIE di Ponte Galeria, nonostante il Consiglio superiore della magistratura abbia più volte denunciato che celebrare le udienze presso i Centri di identificazione ed espulsione pregiudica fortemente le condizioni di imparzialità della funzione giurisdizionale;
   il Tribunale di Roma ha convalidato le richieste di proroga di ulteriori 30 giorni nei confronti di tutte le interessate –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano gli intendimenti in merito alla situazione segnalata in premessa;
   se e quali misure siano state assunte per dotare le vecchie e nuove commissioni territoriali di personale competente capace di conoscere la pericolosità di contesti che non necessariamente implichino un conflitto armato (interno o internazionale) o la presenza di un regime autoritario;
   se non si intenda adottare iniziative di competenza affinché le attività di convalida si svolgano salvaguardando le condizioni di imparzialità proprie della funzione giurisdizionale, così come segnalato dal Consiglio superiore della magistratura;
   se non si ritenga necessario ed urgente adottare misure volte ad ospitare le 69 donne nigeriane in strutture che non prevedano la totale privazione della libertà di movimento e comunicazione con l'esterno – strutture peraltro individuate dalla campagna «LasciateCIEntrare» e pronte all'accoglienza di tutte le richiedenti asilo.
(2-01065) «Locatelli, Albini, Borghi, Zampa, D'Ottavio, Carloni, Pastorino, Terrosi, Pastorelli, Lenzi, Gnecchi, Carlo Galli, Amato, Tinagli, Giuseppe Guerini, Scanu, Iori, Pellegrino, Fitzgerald Nissoli, Beni, Magorno, Minnucci, Patriarca, Sberna, Fossati, Paola Boldrini, Manzi, Distaso, Di Salvo, Nicchi, Marzano, Giorgio Piccolo, Murer, Pollastrini, Chaouki, Venittelli, Gandolfi, Cenni, Sereni, Rossomando, Albanella, Costantino, Quartapelle Procopio, Valeria Valente, D'Incecco, Piazzoni, Roberta Agostini, Miotto, Scotto, Carra, La Marca, Capua, Bossa, Giuliani, Laforgia, Gribaudo, Bruno Bossio, Manfredi, Carrozza, Schirò, Verini, Malisani, Ermini, Nicoletti, Parrini, Causi, Sgambato, Fontanelli, Stella Bianchi, Martelli, Carocci, Braga, Zanin, Tidei, Mazzoli, Giacobbe, Grassi, Giancarlo Giordano, Carnevali, Kronbichler, Cassano, Piccoli Nardelli, Romanini, Rocchi, Mariani, Casellato, Scuvera, Capozzolo, Villecco Calipari, Iacono».

Interrogazione a risposta immediata:


   PRESTIGIACOMO, BRUNETTA, CATANOSO, GIAMMANCO e ANTONIO MARTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i recenti e terrificanti fatti di cronaca che hanno sconvolto la città di Palagonia, in provincia di Catania, determinano un decisivo momento di riflessione in merito alla gestione e al futuro del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo; la barbara uccisione di Vincenzo Solano e della moglie Mercedes hanno infatti procurato ulteriore allarme e grave preoccupazione non solo per i residenti della zona, ma per tutta la popolazione che, nelle diverse aree del Paese, si trova a fronteggiare l'emergenza immigrazione;
   l'ivoriano Mamadou Kamara, accusato di aver ucciso i coniugi di Palagonia, è infatti un ospite del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, epicentro di scandali e indagini giudiziarie: pochi controlli e molti affari illegali, dagli appalti truccati su cui indagano le procure di Roma e Catania con l'inchiesta «mafia capitale», ad un giro di prostituzione che non si riesce a bloccare;
   Mineo, il più grande centro di accoglienza d'Europa, ospita oggi circa 3.000 persone rispetto alle 2.000 previste; fin dalla sua nascita, un assembramento di migranti così ingente ha dato luogo a rischi continui legati ad esigenze di ordine pubblico, non riuscendo a garantire le necessarie misure di sicurezza, presentando grandi difficoltà di accesso ai servizi di supporto psicologico e legale per gli stessi migranti e, soprattutto, registrando fenomeni di degrado, illegalità e violenza difficilmente gestibili, come riconosciuto dalle stesse forze di polizia;
   è noto che negli ultimi mesi, in particolare a seguito del commissariamento del centro avvenuto su richiesta del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, Mineo ha visto le presenze scendere: si è passati da circa 4.500 migranti a 3.000, una riduzione di un terzo su cifre, comunque, eccezionali rispetto alla media degli altri centri di accoglienza per richiedenti asilo – dove sono presenti in ogni sede alcune centinaia di migranti – e in ogni caso ancora superiori all'effettiva capienza del centro;
   sarebbe opportuno chiarire definitivamente, in attesa degli esiti giudiziari legati al centro di accoglienza di Mineo, quali siano le scelte del Governo e quali gli obiettivi in merito al suo futuro, ovvero se si intenda procedere al progressivo svuotamento e alla chiusura del centro, come richiesto da più parti;
   la pressione migratoria sulle strutture di accoglienza della Sicilia è diventata abnorme ed è quantomeno necessario un intervento immediato per contrastare ogni minaccia rispetto alla sicurezza dei cittadini –:
   quali siano gli strumenti e le modalità con cui il Governo intende gestire la grave situazione in atto riportata in premessa e quali siano i reali intendimenti del Governo in merito alla gestione e al futuro del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. (3-01686)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 25 luglio 2015, dal quotidiano Il Corriere di Romagna, nella città di Ravenna, risulterebbero esserci stati casi di poligamia, la cui pratica, peraltro vietata dall'articolo 556 del codice penale che prevede la reclusione da 1 a 5 anni per i trasgressori, sembrerebbe essere stata causata dal sovraffollamento delle abitazioni occupate da immigrati;
   l'interrogante evidenzia come nonostante i controlli effettuati dalla polizia municipale e le iniziative intraprese a livello locale da esponenti politici per ottenere chiarimenti sulla vicenda, persistono numerose perplessità sulla gestione della giunta comunale ravennate, anche con riferimento alla situazione precedente all'ordinanza del sindaco relativa al sovraffollamento degli alloggi finalizzata a contenere il numero dei presenti in un'unità abitativa entro il limite della capienza della stessa;
   a giudizio dell'interrogante, quanto in precedenza esposto, ove fosse confermato, dimostra come tale inaccettabile fenomeno, contrario non solo all'ordinamento giuridico italiano, ma anche ai valori etici, morali e culturali italiani, rappresenti un affronto gravissimo alla dignità delle donne ed evidenzia, anche in questa occasione, il tentativo di minare i valori cristiani e occidentali da parte di una parte di immigrati musulmani che, nonostante siano nel nostro Paese, confermano di non essere assolutamente integrati e di aver mantenuto usanze e tradizioni estranee all'ordinamento italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di fenomeni di poligamia, avvenuti a Ravenna, anche attraverso eventuali denunce alla procura della Repubblica, da parte delle forze dell'ordine;
   in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda intraprendere nei confronti degli immigrati che vivono a Ravenna, in condizione esplicita di poligamia;
   se il Ministro non ritenga necessario avviare, con la collaborazione dell'ente locale interessato, un accurato monitoraggio per verificare il numero esatto di casi di poligamia eventualmente denunciati nella medesima città romagnola. (4-10208)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni oramai il nostro Paese sta affrontando l'emergenza profughi in prima linea e sta pagando a caro prezzo, rispetto al resto dei Paesi dell'Unione europea, questa situazione in termini sociali, economici e di utilizzo delle forze armate e di polizia;
   gli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 285 stabiliscono i motivi per procedere alla espulsione del cittadino extracomunitario irregolare o clandestino, rintracciato nel territorio nazionale. Le modalità di esecuzione dell'espulsione sono normate in tre diverse modi: a) espulsione immediata; b) quando ciò non sia possibile nell'immediatezza, l'extracomunitario deve essere trattenuto presso un centro di identificazione ed espulsione (CIE); c) nell'impossibilità delle due procedure sopra descritte il questore ordina allo stesso di lasciare il Paese entro 7 giorni. Queste sono le modalità che il legislatore ha previsto per effettuare una espulsione in maniera corretta ed efficace;
   spesso capita che l'extracomunitario al momento del rintraccio risulta sprovvisto di documenti validi per essere espatriato, altre volte subentrano motivi tecnici che impediscono di fatto di accompagnare alla frontiera il soggetto entrato in maniera illegale nel nostro Paese. In questi casi è necessario richiedere, attraverso il servizio immigrazione del Ministero dell'interno, la disponibilità di un posto presso un centro di identificazione ed espulsione e poi eventualmente procedere con l'ordine del questore di lasciare il Paese entro sette giorni. Questa procedura farraginosa diventa l’escamotage per quanti vengono nel nostro Paese solo per delinquere;
   ciò sta emergendo, con grande preoccupazione degli operatori della polizia di Stato di Venezia – denunciati dal Sindacato UGL di Venezia –, dopo che il questore competente ha avviato, con successo, una serie di operazioni di controllo del territorio. Particolare attenzione viene data per il contrasto all'immigrazione clandestina e per quanti sono dediti a delinquere;
   il meritevole lavoro, messo in atto a Venezia dalle forze dell'ordine, in gran parte viene vanificato, poiché sono assolutamente carenti le strutture e il personale atti a garantire l'efficacia dell'ordine del questore di lasciare il Paese entro 7 giorni –:
   se il Ministro interrogato, anche alla luce di quanto in premessa, non ritenga di dover rendere più efficaci e veloci le procedure di espulsione dal territorio nazionale dei cittadini irregolari e/o clandestini sia consentendo ai funzionari della prefettura di firmare il decreto di espulsione sia implementando il personale della polizia di Stato, oggi insufficiente ad adempiere tutte le procedure necessarie fino all'accompagnamento alla frontiera del cittadino irregolare e/o clandestino;
   quali provvedimenti intenda adottare per potenziare i centri di identificazione ed espulsione, al fine di evitare che il destinatario del provvedimento di espulsione rimanga, di fatto, a piede libero;
   quali iniziative urgenti intenda adottare affinché il personale della questura di Venezia, ed in particolare quelli dell'ufficio immigrazione, possano affrontare al meglio tutte le problematiche legate all'immigrazione, che in questo particolare momento storico stanno mettendo a dura prova non solo i cittadini ma anche le forze dell'ordine. (4-10210)


   MURA. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i minori soli non accompagnati, anche giovanissimi, sono il volto più vulnerabile delle decine di migliaia di migranti che hanno affrontato l'attraversata del Mediterraneo fino a oggi;
   i minori che hanno affrontato da soli un terribile viaggio, iniziato nei loro Paesi di origine, sono la maggioranza tra tutti i minori che sono sbarcati nelle coste italiane;
   hanno una età tra i 9 e i 17 anni, in maggioranza maschi ma ci sono anche ragazze, sono originari principalmente di Paesi come il Gambia, la Somalia, l'Eritrea, o altri Paesi dell'Africa sub-sahariana e occidentale, ma anche Siria e Palestina;
   sono fuggiti da conflitti, dittature, fame, violenze, dall'assenza totale di una possibilità di futuro;
   per molti il viaggio è stato terribile, hanno sofferto fame o disidratazione, sono stati rapiti, venduti, ricattati, picchiati, torturati o violentati, prima e dopo l'arrivo in Libia, ultima tappa del loro percorso;
   molti sono stati sfruttati e abusati dai trafficanti, ammanettati e picchiati nei centri di detenzione in Libia con la richiesta di un riscatto per poter essere liberati;
   tutti hanno provato il terrore di morire in mare, alcuni nella traversata hanno perso parenti o amici che non sono stati salvati, o sono morti loro stessi tra le centinaia di vittime dei naufragi che si sono susseguiti anche nelle ultime settimane;
   l'Italia, dal canto suo, non sta facendo abbastanza per accogliere e proteggere i minori soli non accompagnati sopravvissuti ai naufragi e alle lunghe traversate nel Mediterraneo;
   i minori non accompagnati vengono inviati, per disposizione delle prefetture, nelle strutture di prima accoglienza e lì rimangono per settimane o mesi in condizioni non adeguate invece di stare per il tempo stretto necessario al trasferimento nelle comunità per minori –:
   quali iniziative intenda adottare per impedire il protrarsi di questa situazione, per accogliere e proteggere al meglio i minori soli non accompagnati sopravvissuti ai naufragi, anche perché i comuni, soprattutto quelli più piccoli, sono in grandi difficoltà nel gestire situazioni delicate che richiedono personale specializzato e strutture adeguate ad ospitare i minori stranieri;
   quali iniziative concrete intenda assumere per attivare al più presto in Italia un sistema di accoglienza e protezione strutturato dei minori soli non accompagnati, giovani migranti fuggiti da conflitti, dittature, fame, violenze e dall'assenza totale di una possibilità di futuro.
(4-10216)


   MURA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, reca un articolato intervento su un ampio e diversificato novero di materie concernenti principalmente gli enti territoriali;
   la norma, tra le varie misure, proroga fino al 31 dicembre 2015 l'impiego di personale militare appartenente alle Forze armate per compiti di vigilanza a siti e obiettivi sensibili. Si tratta di un contingente fino a 4.500 uomini del personale militare posto a disposizione dei prefetti per il controllo del territorio;
   il piano di impiego di tale contingente di personale militare è adottato con decreto del Ministro dell'interno e nel corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza;
   l'impiego del personale delle Forze armate avviene nell'ambito delle operazioni «Strade sicure» e «Terra dei Fuochi»;
   l'articolo 16-ter prevede, in via eccezionale, assunzioni straordinarie nelle forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, allo scopo di «incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio, di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica connessi anche all'imminente svolgimento del Giubileo straordinario del 2015-2016»;
   le assunzioni sono così ripartite: 1.050 unità nella polizia di Stato, di 1.050 unità nell'Arma dei carabinieri, di 400 unità nel Corpo della guardia di finanza, per ciascuno degli anni 2015 e 2016 a valere sulle facoltà assunzionali relative, rispettivamente, agli anni 2016 e 2017;
   tale misura, eccezionale, va nella direzione auspicata perché, come risulta da numerose inchieste, gli uomini e le donne addetti alla sicurezza del Paese sono quasi il dieci per cento in meno di quanti dovrebbero essere;
   e se è vero che rispetto agli altri Paesi europei di riferimento (Germania, Francia e Spagna), gli organici delle forze dell'ordine italiane sono numericamente maggiori, è anche vero che la complessità dei fenomeni criminali in Italia, in particolare nel Mezzogiorno dove sono presenti e agiscono le più articolate organizzazioni di stampo mafioso del mondo, richiede un incremento degli uomini e delle donne addette alla sicurezza del Paese, con una presenza capillare sul territorio necessaria a prevenire o ad arginare le numerose tipologie di atti criminosi;
   particolarmente critica è poi la situazione dei piccoli comuni del sud Italia e delle isole, in particolare quelli delle zone interne e in via di spopolamento, già fortemente penalizzati da condizioni di isolamento geografico e da una serie di misure che in questi anni hanno ulteriormente tagliato i servizi essenziali per i cittadini;
   è proprio nei piccoli comuni del Mezzogiorno d'Italia che si registra, con preoccupante frequenza, l'odioso fenomeno degli attentati e delle intimidazioni contro gli amministratori locali;
   i pesanti tagli nel settore della sicurezza hanno lasciato molti territori del Sud del Paese con presidi di polizia e carabinieri del tutto insufficienti ad arginare questo fenomeno;
   questi fatti criminali sono una minaccia alla vita democratica e l'assunzione delle forze dell'ordine, così come stabilito nella conversione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, è una giusta risposta per arginare fenomeni criminali e restituire ai territori propri presidi di legalità e servizi e sicurezza;
   la Sardegna, secondo l'ultimo rapporto sulla criminalità nell'isola, è la regione che, in rapporto alla popolazione, ha la percentuale più alta di attentati contro gli amministratori locali, superando di gran lunga regioni dove storicamente sono presenti gravi fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso;
   il Ministro dell'interno, anche recentemente, si è detto favorevole a incrementare la presenza delle forze dell'ordine nel territorio allo scopo di arginare il fenomeno degli attentati e delle intimidazioni agli amministratori locali, in particolare nei piccoli comuni e in quelle aree del Paese – come le zone interne – dove maggiormente si sente il bisogno di presidi di sicurezza a sostegno dell'attività svolta da sindaci, assessori e consiglieri comunali, spesso lasciati soli a fronteggiare la criminalità –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per estendere l'impiego di personale militare appartenente alle Forze armate per compiti di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nell'ambito delle operazioni «Strade sicure» e «Terra dei Fuochi», posto a disposizione dei prefetti per il controllo del territorio;
   se il Governo non ritenga necessario destinare parte delle forze di polizia, assunte in via eccezionale e straordinaria secondo quanto stabilito nel decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, presso i comuni con alti indici di attentati agli amministratori locali, al fine di ampliare ulteriormente i servizi di prevenzione e di controllo del territorio, di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. (4-10221)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a richiesta del Ministro dell'interno pro-tempore, nel 2009 la direzione centrale dell'immigrazione e polizia delle frontiere istituiva l'Unità di Rapido Intervento allo scopo di rendere più efficace la gestione dei flussi migratori in arrivo nel nostro Paese;
   nel corso della propria attività l'unità di rapido intervento ha provveduto a riorganizzare gli uffici immigrazione, contribuito alla gestione delle pratiche di rilascio dei permessi di soggiorno ed accelerato sensibilmente l'esame delle domande relative alla concessione del diritto d'asilo;
   in particolare, nel corso della propria attività al Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo dall'aprile 2013 in avanti, il personale dell'unità di intervento Rapido riusciva a ridurre a 5-6 mesi il tempo di lavorazione delle pratiche concernenti il riconoscimento dell'asilo politico, in precedenza lungo anche 18 mesi;
   la lunghezza dei tempi di processazione delle domande di protezione internazionale aveva tra l'altro determinato nel dicembre 2013 addirittura una manifestazione, alla quale avevano preso parte circa 600 persone ospitate nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;
   i successi ottenuti dal personale dell'unità di Rapido Intervento determinavano anche la concessione di premi da parte della questura territorialmente competente;
   apparentemente, tuttavia, ai successi conseguiti a Mineo facevano seguito alcuni provvedimenti del Ministero dell'interno, che avrebbero condotto, a quanto consta all'interrogante, al demansionamento di parte del personale utilizzato, poi al trasferimento di alcuni elementi ai porti ed aeroporti di approdo dei migranti e quindi al vero e proprio smantellamento dell'unità di intervento rapido –:
   quali ragioni abbiano indotto il Ministero dell'interno a smantellare l'Unità di Intervento rapido impiegata con tanto successo a Mineo e nel resto del Paese, proprio mentre l'esigenza di fronteggiare gli afflussi migratori irregolari diventava sempre più acuta;
   se il Governo non intenda riconsiderare la questione e procedere alla sollecita ricostituzione dell'unità di intervento rapido. (4-10232)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. n. 614, in data 17 luglio 2015, il segretario generale del Sindacato di Polizia UGL indirizzata al Ministero interrogato, contestava una forte criticità nella gestione delle relazioni sindacali e soprattutto delle risorse umane da parte del questore di Siena;
   in particolare, la nota scaturiva da una «riservata alla persona» inviata dal questore di Siena il 16 aprile 2015 all'ispettorato superiore SUPS Mauro Marruganti, in servizio presso la questura di Siena, nella quale il predetto, in qualità di coordinatore dell'U.P.G.S.P. di tale questura, in relazione ad una presunta modalità operativa ritenuta non corretta;
   il questore di Siena invitava, pertanto, l'ispettore Mauro Marruganti «per il futuro a notiziare tempestivamente i superiori gerarchici sugli accadimenti aventi rilievo sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica e della polizia giudiziaria [...]»;
   l'ispettore superiore Marruganti, non ritenendo che con il suo operare avesse meritato i suddetti richiami, richiedeva, ai sensi della legge n. 241 del 1990, di poter visionare gli atti amministrativi, dalla lettura dei quali accertava che alla base della lettera del questore vi era una «relazione di servizio» a firma del dirigente dell'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della questura di Siena, nella quale veniva puntualmente riportata una telefonata intercorsa tra due apparati telefonici interni della questura di Siena;
   in particolare, era stata intercettata e trascritta una telefonata intercorsa tra l'operatore della sala operativa, che chiamava da un interno ubicato nella stessa sala operativa e il sovrintendente di turno in questura che, proprio in quel particolare momento, parlava dall'interno ubicato nell'ufficio del coordinatore, ispettore Marruganti, ove si era recato per avvisarlo di quanto accaduto;
   l'ispettore superiore Marruganti e i suoi colleghi sarebbero stati, pertanto, oggetto, loro malgrado e a loro insaputa, di una vera e propria intercettazione telefonica ed ambientale da parte del loro dirigente, trascritta addirittura in una relazione di servizio e utilizzata a fondamento di un «richiamo»;
   il questore di Siena, con nota del 4 luglio 2015, sosteneva la piena legittimità della intercettazioni delle comunicazioni telefoniche e ambientali tra gli operatori da parte del dirigente dell'U.P.G.S.P. in quanto rientrante, a suo dire, nel suo dovere di verifica di conformità della gestione dell'evento con gli standard prefissati, paventando anche, in caso di mancata attuazione di tale controllo sulle comunicazioni, una culpa in vigilando –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale sia la norma, direttiva, regolamento o circolare, che autorizzi l'ascolto e la trascrizione delle conversazioni telefoniche tra appartenenti alla polizia di Stato;
   se detta procedura di controllo su agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, nell'ambito del loro servizio, sia da ritenersi idonea e legittima, nonché se la medesima attività sia stata autorizzata dal dipartimento della P.S. ovvero dall'autorità giudiziaria. (4-10236)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2015, un immigrato di cittadinanza sudanese è deceduto a seguito di un malore, presumibilmente causato dal caldo torrido e dalle difficili condizioni lavorative, mentre lavorava come bracciante irregolare, in un campo di pomodori sito tra le città di Nardò e Avetrana, in Puglia;
   tre persone, tra cui i titolari dell'azienda ed un intermediario tra loro ed il lavoratore, risultano al momento indagate dalla procura di Lecce;
   numerose indagini giudiziarie hanno, negli anni, portato alla luce un quadro di diffusa illegalità nel campo dello sfruttamento della manodopera straniera in agricoltura;
   negli anni, sono stati finanziati con fondi nazionali ed europei numerosi progetti dedicati all'emersione dei rapporti di lavoro irregolare degli stranieri, sia comunitari che extracomunitari, in particolar modo in agricoltura e nelle regioni del centro-sud Italia (ultimo in ordine di tempo il rapporto «Terra ingiusta» pubblicato dall'organizzazione Medu ad aprile 2015);
   suddetti rapporti hanno ben descritto e denunciato le gravissime condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri impiegati in agricoltura quali, per citarne alcune, irregolarità contrattuale e sfruttamento retributivo, eccessivo orario lavorativo, mancata tutela della sicurezza del lavoro e della salute, gravi situazioni abitative ed igienico-sanitarie –:
   se e quali interventi il Governo intenda attuare per ostacolare le gravissime situazioni di sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura, con particolare attenzione al fenomeno del «caporalato»;
   se e quali interventi di competenza abbia intenzione di attuare, di concerto con altri Ministeri (politiche agricole alimentari e forestali, lavoro e politiche sociali, salute) per affrontare una problematica di evidente complessità e trasversalità, per migliorare le condizioni dei lavoratori migranti in agricoltura. (4-10237)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da diverse settimane, ancor più durante il periodo estivo, il flusso di migranti provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente sta percorrendo la cosiddetta rotta balcanica, per giungere ai confini orientali del territorio italiano; la città di Trieste ha già accolto un considerevole numero di migranti, superiore a quanto previsto a livello nazionale;
   ad oggi la Caritas e le altre associazioni che operano in questo ambito stimano di aver provveduto sinora all'accoglienza di oltre 650 persone nella sola città di Trieste; contestualmente, da diverse settimane, circa 200 migranti si sono accampati, presso le rovine di un vecchio magazzino denominato «Silos» situato fra la vecchia area portuale e la stazione ferroviaria centrale di Trieste;
   la situazione di degrado all'interno del «Silos» è insostenibile; si tratta di un vero e proprio dormitorio, in una struttura fatiscente, dove si sono accampati circa 200 uomini di diversa provenienza (non ci sarebbero donne o bambini), in cui le condizioni igieniche sono a dir poco precarie, tra giacigli di cartone e materassi sporchi e laceri esposti alla pioggia e al calore estivo e sporcizie di ogni genere, con grave rischio per la salute pubblica;
   da fonti giornalistiche si apprende che il sindaco di Trieste ha annunciato di voler procedere all'allestimento, con l'ausilio della protezione civile, di una tendopoli, da posizionare in una non meglio definita area cittadina, dove collocare i duecento migranti presenti nel Silos già da alcune settimane;
   la proposta della tendopoli, a parere dell'interrogante non rappresenta una soluzione adeguata, ancor più alla luce di una realtà drammatica, in cui la regione Friuli Venezia Giulia, già nello scorso mese di aprile, aveva raggiunto il numero di 1800 migranti accolti sul territorio, superando così la quota massima prevista a livello nazionale;
   a parere dell'interrogante, la gestione dell'emergenza immigrazione da parte dell'amministrazione regionale e comunale risulta essere del tutto inadeguata, a fronte di una emergenza che è diventata una drammatica e non più tollerabile costante;
   il sindaco del comune di Trieste riveste anche il ruolo di autorità sanitaria locale e, in questa veste, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 833 del 1978 e dell'articolo 117 del decreto legislativo n. 112 del 1998, può anche emanare ordinanze contingibili ed urgenti, con efficacia estesa al territorio comunale, in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica;
   lo scorso mese di luglio, da notizie di stampa si è appreso che il Ministero dell'interno, per il tramite della prefettura di Trieste, ha individuato il comune di Muggia, quale luogo presso il quale realizzare un centro di accoglienza profughi; l'amministrazione del piccolo comune in provincia di Trieste non sarebbe stata preventivamente informata della decisione in base alla quale il centro verrà realizzato presso la caserma dismessa della polizia di Stato in località Lazzaretto –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per fronteggiare in maniera concreta ed efficace, in coordinamento con la prefettura di Trieste, il flusso costante di migranti provenienti non solo dalla cosiddetta rotta balcanica, ma anche dal mare;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di non aggravare ulteriormente la già critica situazione in cui versa il territorio friulano-giuliano, che per la sua posizione geografica è da tempo destinazione di flussi migratori incessanti sia via mare che via terra.
(4-10248)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato da fonti sindacali al deputato interrogante, mediante, la circolare n. 555/RS/61/003,480 del 29 luglio 2015, il questore di Palermo ha proposto alla direzione centrale per gli affari generali della polizia di Stato alcune modifiche nell'assetto organizzativo dei presidi di polizia. Più precisamente sono stati proposti: 1) l'elevazione a livello dirigenziale del commissariato di polizia Bagheria; 2) l'elevazione a livello dirigenziale dell'ufficio del personale; 3) il declassamento a livello direttivo dei commissariati di polizia Oreto-Stazione e Libertà, con diminuzione di aliquota di personale all'interno di quest'ultimo;
   la criticità dei commissariati distaccati della questura di Palermo è ormai storicamente nota. Sebbene la citata circolare evidenzi che raramente essi arrivano ad una dotazione organica di 50 unità, la realtà è ancora più preoccupante, dal momento che diversi, come nel caso di Corleone e Cefalù, non arrivano nemmeno a 40, mentre Termini Imerese e Partinico contano poco più di 40 addetti;
   secondo quanto sostenuto dall'associazione sindacale CONSAP, la proposta di elevare a livello dirigenziale il commissariato di polizia Bagheria è utile, a patto che segua a ciò un aumento significativo dell'organico, affinché possa diventare un presidio consistente ed adeguato a contrastare la criminalità nel territorio dell’hinterland cittadino, esperienza che sarebbe proficuo estendere anche al commissariato di polizia Partinico, che ha un bacino d'utenza di circa 250 mila abitanti ed ha il nucleo di cittadini stranieri maggiore della provincia: in questo caso un potenziamento consentirebbe di avere un forte presidio in uno dei territori a più forte incidenza mafiosa della provincia;
   al contempo, sempre secondo la citata organizzazione sindacale, lo stesso giudizio positivo non si può esprimere nei confronti del declassamento dei commissariati Oreto-Stazione e Libertà: un simile declassamento (da dirigenziale a direttivo) fa temere che la prospettiva sia un'ulteriore diminuzione dell'aliquota di personale;
   infatti, il commissariato Oreto, sito in via Roma a Palermo, incide in un territorio dove negli ultimi mesi si è registrata una nuova clamorosa ondata di immigrazione, di cui chi assume queste decisioni dimostra di non si conoscere il reale impatto sul territorio;
   peraltro, l'inclusione del centro storico della città di Palermo nell'elenco dei siti patrimonio Unesco aumenterà ancora di più il flusso turistico nel centro storico della città;
   per quanto riguarda il commissariato di polizia Libertà, occorre segnalare che insiste su un territorio residenziale (con una popolazione di circa 250.000 persone) nel quale il tasso di criminalità sta aumentando, soprattutto per quello che riguarda i furti in abitazione, a causa del crescente impoverimento dovuto alla crisi economica ed al fatto che le abitazioni di quella zona sono considerate le più «ricche» della città: la zona è davvero «una elegante zona residenziale» ma rischia di diventare preda di criminalità provenienti da altre zone di Palermo;
   recentemente poi, con una disposizione tutt'altro che condivisibile della dirigenza del Compartimento Polfer per la Sicilia, il personale Polfer in servizio alla Stazione Notarbartolo è stato ridimensionato in favore del posto Polfer della Stazione Centrale. Tuttavia, il contingente in servizio presso Notarbartolo è fondamentale, anzi andrebbe potenziato, dal momento che si tratta dell'unico posto Polfer all'interno della città di Palermo e va a coprire uno snodo fondamentale del sistema ferroviario palermitano: la preoccupazione, dati i tagli che stanno avvenendo in questo momento, è che sia destinato a chiudere. In tale sciagurata ipotesi, secondo quanto segnalato dalla citata organizzazione sindacale, sommando il depotenziamento del commissariato Libertà e la possibilità di chiusura di Notarbartolo, si provocherebbe un serio rischio per la sicurezza delle zone centrali del capoluogo siciliano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga doveroso un intervento al fine di bloccare immediatamente il tentativo del dipartimento della pubblica sicurezza di indebolire il presidio per la sicurezza a Palermo città e in provincia, con le modalità indicate in premessa. (4-10252)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, negli ultimi giorni presso il centro di accoglienza «Vogliamo volare» di Romitello in provincia di Palermo si sarebbe verificata una situazione paradossale;
   secondo quanto denunciato anche dall'organizzazione sindacale Consap, tre fratelli di origine nigeriana si sarebbero resi protagonisti di diversi atti di violenza, protestando inizialmente per la qualità del cibo da loro non gradito e scatenando una rissa con le forze dell'ordine che stavano notificando loro un provvedimento della prefettura di Palermo nel quale venivano «invitati» ad abbandonare la struttura. Nel corso della colluttazione, per cui sono stati denunciati a piede libero per percosse, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, hanno rotto gli occhiali di un poliziotto e il polso di un altro;
   tuttavia, una volta allontanati dal centro per le loro intemperanze, non possono essere espulsi a causa della richiesta di asilo pendente (per il cui esito occorreranno alcuni mesi) e, pertanto, fino a nuova comunicazione, sono a piede libero;
   si tratta di un caso emblematico, dal momento che è possibile che si creino altre situazioni analoghe –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa e se non ritenga di doversi attivare al fine di risolvere la situazione, nonché di evitare il presentarsi di circostanze analoghe;
   se sul territorio nazionale esistano casi analoghi di migranti allontanati dai centri di accoglienza per intemperanze e lasciati senza alcun controllo liberi di circolare sul territorio nazionale.
(4-10254)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su un totale di 32.734 vigili del fuoco mancano 3.854 operativi, circa il 12 per cento;
   ai 3.854 vigili del fuoco operativi mancanti vanno aggiunte circa 700 unità che a causa di infortuni e malattie, per causa di servizio, sono esonerate dai servizi operativi;
   la retribuzione media degli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco segna un divario, rispetto agli altri Corpi alle dipendenze del Ministero dell'interno, che va dalle 300 euro mensili, nelle qualifiche più basse, sino ad arrivare a circa 700 euro di differenza nei gradi più elevati;
   il Corpo dei vigili del fuoco non vanta trattamenti pensionistici, a differenza degli altri Corpi, legati all'attività operativa;
   a causa delle mancate assunzioni, l'età media degli appartenenti al Corpo dei vigili del Fuoco si è innalzata quasi alla soglia dei 50 anni;
   la provincia di Cosenza è caratterizzata dalla presenza di sole 6 sedi operative permanenti, con tempi di intervento molto lunghi, che in alcuni casi superano addirittura l'ora;
   i mezzi in dotazione al Corpo nella provincia di Cosenza risulterebbero troppo vetusti, alcuni addirittura risalenti agli anni 90 con seri rischi per gli operatori stessi e per la possibilità di garantire i soccorsi;
   quanto su riportato non garantisce nella provincia di Cosenza la regolare prosecuzione di prestazioni di salvaguardia dell'incolumità pubblica e dell'integrità dei beni, nelle situazioni di emergenza e prevenzione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per: a) colmare il fabbisogno di personale nel Corpo dei vigili del fuoco; b) potenziare la rete operativa del Corpo dei vigili del fuoco in provincia di Cosenza con più mezzi e sedi permanenti; c) ridurre la forte sperequazione retributiva esistente tra il Corpo dei vigili del fuoco e gli altri Corpi posti alle dipendenze del Ministero dell'interno. (4-10257)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla segnalazione del sindacato di polizia CONSAP, attualmente l'ultimo aggiornamento pubblicato dei dati ufficiali dei crimini denunciati in Italia alle forze dell'ordine risale al 2012;
   si tratta di dati che è assolutamente necessario aggiornare, anche perché è fondamentale comprendere quale sia l'incidenza delle massicce ondate migratorie su tali dati;
   sarebbe molto importante sapere, secondo le risultanze delle banche dati del Ministero dell'interno, la suddivisione, per tipologia di reato per zone territoriali e nelle grandi città, nonché la componente straniera (comunitaria e non) in quale percentuale viene coinvolta sia a livello globale che nella commissione delle varie fattispecie di reato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover quanto prima aggiornare i dati cui si fa riferimento in premessa a tutto l'anno 2014, nonché al primo semestre 2015, facendo in modo che per i prossimi mesi i dati vengano aggiornati costantemente, affinché possano essere messi a disposizione della cittadinanza sul sito web del Ministero. (4-10258)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARZANA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BRESCIA e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la «riforma Gelmini» ha promosso il riordino degli istituti tecnici e professionali, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dei criteri con i quali si è proceduto all'individuazione delle discipline di insegnamento interessate dalla riduzione di orario, nonché alle disposizioni sulla determinazione degli organici del personale docente per l'anno scolastico 2010/2011;
   in data 15 marzo 2010 è stato emesso il regolamento sugli istituti professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 87 che all'articolo 5, comma 1, lettera b) determina senza indicazione dei criteri l'orario complessivo per gli istituti professionali;
   in pari data (15 marzo 2010), è stato emesso il regolamento sugli istituti tecnici di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 88 che all'articolo 5, comma 1, lettera b) determina senza indicazione dei criteri l'orario complessivo per gli istituti tecnici;
   nello specifico i due regolamenti del 15 marzo 2010 all'articolo 1 recano entrambi la seguente disposizione gemella, modificata ovviamente per quanto concerne il monte ore totale:
    per gli istituti tecnici, l'articolo 1, comma 4 prevede: «A partire dall'anno scolastico 2010/2011 le classi seconde, terze e quarte proseguono secondo i piani di studio previgenti fino alla conclusione del quinquennio con un orario complessivo annuale delle lezioni di 1056 ore, corrispondete a 32 ore settimanali»;
   per gli istituti professionali, articolo 1, comma 3 «Le classi seconde e terze degli istituti professionali continuano a funzionare per l'a.s. 2010/2011 sulla base dei piani di studio previgenti con l'orario complessivo annuale di 1122 ore, corrispondente a 34 ore settimanali; per le classi terze funzionanti nell'anno scolastico 2011/2012 l'orario complessivo delle lezioni è determinato in 1056 ore, corrispondente a 32 ore settimanali»;
   dopo, con il decreto interministeriale n. 61 del 26 luglio 2010, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle sono state individuate le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti tecnici (rimodulazione dell'orario delle lezioni nelle classi, seconde, terze e quarte degli istituti tecnici) e con il decreto interministeriale n. 62 del 26 luglio 2010, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle sono state individuate le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti professionali (rimodulazione dell'orario delle lezioni delle classi seconde e terze degli istituti professionali);
   successivamente con i decreti interministeriali n. 95 e 96 del 25 novembre 2010 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha confermato le riduzioni di orario dei due decreti interministeriali suddetti;
   è chiaro che in virtù dei regolamenti di riordino degli istituti tecnici e professionali è stata introdotta una modificazione dei curricula scolastici per gli anni scolastici successivi al primo, modificando il patto formativo sottoscritto con la scuola al momento dell'iscrizione;
   nella sostanza, i «decreti della Gelmini» hanno inciso sulle materie caratterizzanti i corsi, determinando ad avviso degli interroganti una violazione dei livelli essenziali delle prestazioni fissati con il decreto legislativo n. 226 del 2005, in assenza di chiari criteri in base ai quali la riduzione è effettuata con l'allegazione del mero dato numerico percentuale del taglio. Il tutto con conseguenti gravi ricadute in termini di riduzione di organico dei docenti e di garanzie formative per gli studenti;
   sulla riduzione dell'orario complessivo introdotta dai decreti del Presidente della Repubblica n. 87 e 88, nonché dai successivi decreti interministeriali citati, si è espresso in prima battuta il Consiglio di Stato che con sentenza n. 4535 del 29 luglio 2011 ha evidenziato la irragionevolezza della riduzione dell'orario complessivo attuata su discipline relative a classi di concorso dotate di un monte orario annuale di una certa consistenza, anziché su quelle dotate di orario annuale già molto contenuto;
   la questione è così evidente che il Tar Lazio, con la sentenza n. 3527/2013 dell'8 aprile 2013, passata in giudicato, ha annullato: il regolamento sugli istituti professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 37, nella parte, in cui all'articolo 5, comma 1, lettera b) («l'orario complessivo annuale è determinato in 1.056 ore, corrispondente a 32 ore settimanali di lezione, comprensive della quota riservata alle regioni e dell'insegnamento della religione cattolica secondo quanto previsto all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226»), determina senza indicazione dei criteri l'orario complessivo per gli istituti professionali; il regolamento sugli istituti tecnici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88 nella parte in cui, all'articolo 5, comma 1, lettera b) («l'orario complessivo annuale è determinato in 1.056 ore, corrispondente a 32 ore settimanali di lezione, comprensive della quota riservata alle regioni e dell'insegnamento della religione cattolica»), determina senza indicazione dei criteri l'orario complessivo per gli istituti tecnici, nonché i decreti interministeriali attuativi che hanno fatto seguito; il decreto interministeriale n. 61 del 2010 nella parte in cui, nelle premesse, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle, ha individuato le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti tecnici; il decreto interministeriale n. 62/2010 nella parte in cui, nelle premesse, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle, ha individuato le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti professionali; i decreti interministeriali nn. 95 e 96 del 2010 nelle parti in cui hanno confermato le riduzioni di orario dei due decreti interministeriali predetti;
   nella sentenza su citata, inoltre, si legge: «Già ictu oculi si può notare che le due disposizioni regolamentari più che recare norme per la “ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari” portano sic et simpliciter il taglio degli orari», evidenziando come la riduzione oraria non è funzionale ad alcuna opera o criterio di razionalizzazione, bensì fine a se stessa. Il giudice amministrativo, in maniera conforme al parere espresso dal Consiglio superiore della pubblica amministrazione, rileva che l'attività del Ministero, in realtà, mal celi un mero fine di contenimento della spesa. Si può parlare, quindi, non di razionalizzazione dei piani di studio, come sancito dall'articolo 1 comma 4 della legge 6 agosto 2008, n. 133, ma di mera riduzione dell'orario;
   vi è di più: il giudice rileva l'assoluta carenza di motivazione dei provvedimenti su citati, che rende gli stessi non più soltanto discrezionali ma arbitrari e, quindi, annullabili. Tale omissione testimonia come l'unica ragione dell'agire dell'amministrazione è stata quella relativa al contenimento della spesa;
   eppure, dal momento del deposito della sentenza di annullamento del Tar, in data 8 aprile 2013, decorsi, quindi, inutilmente, ben due anni, il Miur non ha dato esecuzione al pronunciamento, dimostrando, secondo gli interroganti, di non tenere in debito conto un tema di rilevanza nazionale poiché la riduzione dell'orario incide direttamente sulla formazione e sullo sviluppo della formazione diretta a consentire l'inserimento nella filiera tecnologica o in quella produttiva per tutti i frequentanti gli istituti in questione;
   per tale motivo, adito dagli stessi ricorrenti, il Tar Lazio, Sez. III bis, in qualità di giudice dell'ottemperanza, ha emesso la sentenza n. 6438/2015, resa il 29 gennaio 2015 ma depositata il 5 maggio 2015, con cui ordina al Miur di dare completa esecuzione alla pronuncia n. 3527/2013, come su citata, entro il termine di trenta giorni (decorrenti dalla comunicazione ovvero dalla notificazione della stessa sentenza). Altresì, nell'ipotesi di inesecuzione, il giudice ha nominato il prefetto di Roma (o funzionario da lui indicato come sostituto) quale commissario ad acta, che Provvederà all'esecuzione entro 90 giorni decorrenti dalla richiesta della parte;
   dato l'annullamento dei provvedimenti suddetti, tutti gli atti che ne derivano sono presuntamente viziati: dall'8 aprile 2013 tutti i trasferimenti di personale che l'amministrazione ha effettuato a seguito delle riduzioni orarie sono da considerare illegittimi, anche i diplomi rilasciati agli studenti in questo stesso periodo non possono essere considerati equipollenti a quelli emessi ante-riforma e risultano, anch'essi, analogamente viziati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se sia stata intrapresa l'attività amministrativa tesa a dare esecuzione alla sentenza di ottemperanza n. 6438/2015 disposta dal Tar Lazio, Sez. III bis;
   il Governo sia a conoscenza della nomina a commissario ad acta del Prefetto di Roma e se sia a conoscenza di un'attività intrapresa dallo stesso al fine di ottemperare alla medesima sentenza sopra citata;
   come il Ministro intenda valorizzare e rilanciare i percorsi di istruzione tecnica e professionale che costituiscono un segmento fondamentale nella formazione didattica degli studenti che scelgono di iscriversi negli istituti tecnici e professionali. (5-06292)


   MARZANA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BRESCIA, ZOLEZZI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 470 del 7 luglio 2015, con il quale il Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca ha dato avvio alle assunzioni, all'articolo 1 dispone: «Il contingente autorizzato per le assunzioni a tempo indeterminato di personale docente è pari a n. 36.627 posti, di cui 14.747 per il sostegno, da effettuarsi per l'anno scolastico 2015/16» da autorizzare con le procedure previste dall'articolo 39 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997;
   al decreto ministeriale n. 470 del 2015 sono allegate anche le tabelle analitiche che evidenziano, per ciascuna provincia, la ripartizione – rispettivamente, per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo e secondo grado, per il sostegno – del numero massimo di assunzioni da effettuare, nonché le istruzioni operative in ordine alle modalità di conferimento delle nomine per il personale docente;
   la suddetta tabella analitica contiene, inoltre, la ripartizione degli specifici contingenti di assunzioni da effettuare nell'ambito delle province per le singole classi di concorso e, relativamente ai posti di sostegno, la ripartizione tra i diversi ordini di scuola nonché, per la scuola secondaria di secondo grado, tra le diverse aree disciplinari del personale docente;
   successivamente, con decreto del direttore generale del 17 luglio 2015 «Indizione delle procedure di assunzione del personale docente in attuazione dell'articolo 1, comma 95, della legge 13 luglio 2015, n. 107», all'articolo 1 si dispone: «(...) è indetta, per l'anno scolastico 2015/16, una procedura di assunzione in attuazione delle fasi di cui alle lettere a), b), c) dell'articolo 1, comma 98 (...) finalizzata allo copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto rimasti vacanti (...) attuato secondo le fasi descritte (...) e richiamate all'articolo 3 del presente decreto»;
   tutta la procedura di assunzioni riguarda i 55.258 nuovi posti del potenziamento, di cui 6.446 destinati al rafforzamento del sostegno; a questi si sommano i posti non assegnati eventualmente vacanti a seguito delle assunzioni sul turn over (36.627) di cui al decreto ministeriale n. 470 del 2015 e i restanti posti disponibili (10.849) per un totale di 102.734 assunzioni;
   il piano straordinario di assunzioni si compone di quattro fasi: la prima fase è quella denominata «zero» (0): questa fase interesserà i docenti che sono in posizione utile nelle graduatorie ad esaurimento della propria provincia e nei concorsi, dando però priorità a quelli antecedenti al concorso del 2012 (ad esempio: concorso 1990 o 1999 se ovviamente ancora esistenti per quella determinata classe di concorso);
   pertanto nel file ministeriale relativo al contingente si trovano una sezione denominata «posti disponibili» che riguarda tutti i posti in organico di diritto disponibili per il ruolo ed un'altra sezione denominata «calcola aliquota nomine» che indica la percentuale stabilita dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca sul totale dei posti disponibili;
   ebbene, la prima fase di immissioni riguarderà solo «l'aliquota» ed i posti saranno divisi rispettando la ripartizione del 50 per cento dei posti dalle graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 e del restante 50 per cento ai vincitori di concorso;
   la seconda fase, sempre provinciale, è quella denominata «A»: è una fase che interessa ancora per il 50 per cento le graduatorie ad esaurimento provinciali e per l'altro 50 per cento solamente il concorso del 2012 e riguarderà i posti che sono rimasti dalla fase «zero» (0);
   quindi per tali posti si continuerà a scorrere la graduatoria ad esaurimento provinciale e il concorso con lo stesso meccanismo della fase «0» con l'unica eccezione che in questa fase vale solo il concorso del 2012;
   la terza fase denominata «B», non è più provinciale, ma nazionale e riguarderà tutti i docenti che non sono rientrati nelle due fasi provinciali precedenti per mancanza di disponibilità rispetto alla propria posizione in graduatoria ad esaurimento provinciale o nel concorso 2012;
   dal 28 luglio al 14 agosto tali docenti possono inviare, facoltativamente, attraverso il sistema di istanze on line del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, la domanda con la sola obbligatorietà dell'inserimento di tutte le province d'Italia nell'ordine di loro preferenza;
   chi, inserito in graduatoria ad esaurimento, non presenta domanda di partecipazione alla procedura nazionale, resta comunque inserito a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento;
   invece nelle FAQ pubblicate dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il 28 luglio 2015, alla n. 10 si afferma che per chi non presenta la domanda alle fasi «B» e «C» rimarrà iscritto nelle graduatorie fino alla loro «soppressione»;
   eppure la legge n. 107 del 13 luglio 2015, al comma 105, prevede chiaramente che le graduatorie ad esaurimento perdono efficacia al loro naturale esaurimento, quindi quando tutti coloro che vi sono inseriti a pieno titolo verranno immessi in ruolo; pertanto il termine «soppressione» risulta improprio;
   alla quarta fase «C» si partecipa con la stessa domanda che riguarda la fase «B» e per le stesse province, però, a differenza della fase «B», nella fase «C» si assegneranno i 55.258 posti del potenziamento che servono a rafforzare ed ampliare l'offerta formativa;
   è da precisare che nella fase «B» nazionale, avendo come priorità la copertura dei posti e non la provincia di preferenza, saranno selezionati gli aspiranti insegnanti con punteggio più alto nelle graduatorie ad esaurimento che, poiché attinti dalle province del Sud, saranno costretti a spostarsi migliaia di chilometri da casa;
   gli aspiranti docenti non assunti nella fase «B» poiché per il loro punteggio occupano la parte bassa della graduatoria, verranno con ogni probabilità chiamati nella fase «C» la cui copertura dei posti, individuata in base alla provincia di preferenza, consentirà loro di occupare i posti nelle sedi più desiderate;
   in questo senso appare subito evidente l'irragionevolezza delle disposizioni che prevedono le due fasi nazionale, «B» e «C», cosa che fa insorgere il rischio di una violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per inserire nel prossimo provvedimento utile la previsione dell'accorpamento della fasi «B» e «C» nazionali in modo da consentire agli aspiranti docenti di scegliere su un ventaglio più ampio di cattedre che eviti, altresì, di innescare l'ennesima ondata migratoria di personale docente e quindi dare priorità di scelta in base al criterio oggettivo individuato dal punteggio indicato in graduatoria;
   se, in considerazione della FAQ n. 10, non intenda correggere l'affermazione pubblicata e confermare l'efficacia delle graduatorie ad esaurimento fino al loro naturale esaurimento, quindi quando tutti coloro che vi sono inseriti verranno immessi in ruolo. (5-06293)


   RIBAUDO, VENTRICELLI, CULOTTA, MOSCATT e SPERANZA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-03705 svolta il 22 gennaio in Commissione Cultura, era stato sollevato il tema della disuguaglianza generata dalla normativa prevista dall'articolo 1, comma 107, della legge di stabilità per l'anno 2013 riguardante l'equipollenza dei diplomi finali rilasciati dalle istituzioni Afam, nei percorsi di studio dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
   infatti i diplomi finali rilasciati dalle istituzioni AFAM, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell'entrata in vigore della medesima legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello, secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto ministeriale;
   i corsi del vecchio ordinamento hanno continuato a funzionare, sia pure ad esaurimento, dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2013;
   l'evidente disparità introdotta dal comma 107 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 va risolta per ripristinare l'imparzialità e l'uguaglianza che devono sempre presiedere ed essere rispettate proprio in osservanza degli stessi articoli 3 e 97 della Costituzione e dato che la stessa formulazione dei commi da 102 a 107 rende equipollenti i diplomi «vecchio ordinamento», proprio «al fine esclusivo dell'ammissione a pubblici concorsi per le qualifiche funzionali nel pubblico impiego»;
   il sottosegretario Donchia rispondendo all'interrogazione ha sostanzialmente ammesso le disparità di cui sopra rinviando la risoluzione della problematica in sede di riforma del settore, peraltro già avviata con la costituzione del cosiddetto «cantiere AFAM»; nell'ambito del richiamato cantiere è stato predisposto dal Ministero un documento programmatico intitolato «Chiamata alle Arti» che è stato reso pubblico il 15 dicembre 2014;
   in sede di approvazione della legge di stabilità e di conversione in legge del decreto «Mille Proroghe», sono stati approvati in Assemblea diversi ordini del giorno che impegnavano il Governo alla risoluzione della problematica di cui sopra;
   l'articolo 1, comma 21, della recente riforma «buona scuola» approvata il 15 luglio 2015 ha rimandato ad un decreto attuativo ministeriale i criteri e le modalità di valutazione dei titoli accademici e di equipollenza da emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della stessa legge;
   appare opportuno venga finalmente superata la disuguaglianza in questione –:
   se non si intenda prevedere, in sede di emanazione del suddetto decreto ministeriale, disposizioni che superino finalmente la disuguaglianza in questione e consentano di ovviare a tale circostanza stante che il legislatore, con il citato comma 107 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012, ha inteso porre un esatto limite temporale all'equipollenza tra titolo finale del vecchio ordinamento e titolo accademico di secondo livello. (5-06302)


   PICCIONE e ZAPPULLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 13 luglio 2011 è stato adottato il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – concorsi n. 56 del 15 luglio 2011, con il quale veniva bandito il concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado e per gli istituti educativi;
   la suddetta procedura concorsuale ha rilevato forti elementi di criticità e in diverse regioni gli uffici scolastici hanno dovuto affrontare ricorsi per presunte irregolarità, che hanno portato a pronunce dei tribunali amministrativi regionali e, in un caso, dello stesso Consiglio di Stato, determinando l'annullamento di tutta o parte della procedura;
   in Sicilia circa 200 candidati hanno presentato ricorso al TAR per impugnare gli atti della commissione d'esami e, a immissioni dei vincitori già avvenute, è stato presentato ricorso al Consiglio della giustizia amministrativa della Sicilia contro la mancata concessione della sospensiva da parte del TAR; il Consiglio della giustizia amministrativa, pur non rigettando il ricorso, ha ritenuto che a quel punto non vi fosse più il requisito dell'urgenza, rinviando al giudizio di merito del TAR;
   a settembre del 2013 il quotidiano la Repubblica ha dato la notizia dell'apertura presso la procura di Palermo di un procedimento contro ignoti dopo l'invio di un file anonimo appartenente a uno dei commissari di concorso, che conteneva un elenco di candidati «segnalati», e domande da fare in sede di colloquio orale;
   attualmente alcuni ricorrenti risultano essere ancora in attesa che il proprio ricorso sia discusso al Consiglio della giustizia amministrativa e altri, invece, in attesa di sentenza del Consiglio della giustizia amministrativa;
   recentemente due commissari d'esame, ex dirigenti scolastici, e due dirigenti scolastici legati agli stessi commissari risultano indagati;
   la legge 13 luglio 2015, n. 107 introduce all'articolo 1, commi 87-90, una norma a tutela di candidati di diverse regioni che hanno ottenuto sentenze di primo grado favorevoli prevede che i suddetti ricorrenti vengano inseriti in corsi di formazione riservati, al cui termine, dopo il superamento di una prova scritta, si ottiene l'immissione in ruolo;
   il beneficio viene esteso sia a coloro i quali hanno un contenzioso ancora attivo per il concorso per dirigenti scolastici del 2004 e del 2006, ma soprattutto a coloro i quali hanno presentato ricorso per incostituzionalità della legge n. 202 del 2010 (cosiddetto «decreto salva presidi»), soggetti che sino ad oggi non hanno mai avuto alcuna sentenza (né favorevole né sfavorevole);
   stante così la situazione, i ricorrenti siciliani che attendono ancora la sentenza del Consiglio della giustizia amministrativa o del TAR, nonché gli sviluppi dell'indagine penale, al momento risultano ulteriormente penalizzati non potendo essere, in base alla citata normativa, inseriti nei suddetti corsi;
   si viene quindi a creare una grave disparità di trattamento tra i ricorsisti del 2004/2006/2010 e quelli del 2011 –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di risolvere positivamente – prevedendone l'immissione nel ruolo di dirigente scolastico – la posizione dei circa 200 docenti siciliani. (5-06309)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Calolziocorte (LC) nella scuola primaria collinare di Rossino a volte non si raggiunge il numero di alunni necessario (10-15) previsto per l'apertura della classe e quindi per la relativa assegnazione degli insegnanti;
   per l'anno scolastico 2015/2016 gli iscritti dovrebbero essere i seguenti: 15 alunni prima classe, 12 alunni seconda, 12 alunni terza, 10 alunni quarta, 10 alunni quinta;
   sino ad ora l'istituto è sempre riuscito ad aprire tutte le classi (a parte nel 2008 quando è stata necessaria una petizione popolare), garantendo tutti i pomeriggi il servizio (come tutte le altre scuole della Valle San Martino), tranne l'anno scorso quando i bambini il venerdì uscivano alle 12:00;
   l'anno scorso, la struttura formativa prevedeva le 24 ore settimanali con in aggiunta la presenza di esperti pagati dai genitori che hanno permesso la copertura dei pomeriggi mancanti, grazie alla fattiva collaborazione dell'allora provveditore;
   quest'anno sono state recuperate le risorse per garantire le 24 ore (5 giorni con 2 pomeriggi) e avendo nuovamente i genitori rinunciato all'assistenza per un pomeriggio a settimana, si pone nuovamente il problema della copertura di due pomeriggi, visto che il relativo costo non può essere ancora accollato ai genitori, sia per le difficoltà finanziarie in questo periodo di crisi, sia per uno spirito di equità nei confronti degli alunni degli altri plessi che fa sì che molti non sarebbero più disposti a pagare di tasca propria per un servizio dovuto, al pari di quanto ricevuto dagli alunni degli altri plessi;
   invece, una maggiore certezza creerebbe senz'altro più attrattiva verso il plesso che in questi anni ha sviluppato percorsi di altissimo livello (l'anno scorso in collaborazione con la Bicocca), ed un elemento in più per incentivare una ripopolazione delle frazioni interessate –:
   visto che più volte il Ministro ha mostrato interesse alla tutela dell'istruzione nei territori collinari più disagiati, anche per evitare lo spopolamento degli stessi, per garantire l'unico presidio pubblico (con la recente riorganizzazione sta chiudendo anche l'ufficio postale presente) quale unico collante della comunità collinare, quali iniziative intenda assumere nell'immediato, che portino alla stabilizzazione di questa scuola affinché non si riproponga ogni anno l'incognita della sua apertura o meno;
   se intenda assicurare le risorse necessarie alla scuola, qualsiasi sia il numero di iscritti per classe, anche perché sarebbe interessante sviluppare un progetto pilota magari fondato sull'identità e la cultura del territorio (storia, dialetti, tradizioni e altro), perché si sta parlando di bambini e non, come li considera la statistica, di numeri, ossia del nostro futuro e del futuro del territorio. (4-10233)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto ISIS «G.D. Romagnosi» da molti anni assicura a centinaia di famiglie la possibilità di un'articolata e completa offerta formativa per i propri figli, infatti a fianco dei corsi per ragionieri e per geometri, si sono aggiunti, negli anni, il corso enogastronomico alberghiero, il corso per operatori del turismo e infine i corsi professionali elettrici e l'ITIS elettrotecnico/elettronico. Per il 2017 è prevista l'attivazione dell'indirizzo agrario;
   nella sede di Erba studiano 600 ragazzi, al Beldosso di Longone al Segrino altri 800 circa; fisiologicamente i numeri degli iscritti ai vari corsi mutano di anno in anno e, ad esempio di recente, l'indirizzo alberghiero ha registrato una leggera flessione;
   malgrado i genitori contribuiscano a sostenere l'ampliamento dell'offerta formativa del Romagnosi, sorprende venire a conoscenza che i laboratori dell'enogastronomico sono stati sospesi; alcuni genitori sono preoccupati perché è incerta la continuazione dell'elettrico ed esistono ancora timori sulla sorte dei corsi serali –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato al fine di assicurare il proseguimento dell'intera offerta formativa dell'istituto Romagnosi;
   se, a partire dal normale confronto con il dirigente scolastico e nel pieno rispetto dell'autonomia scolastica, si intenda contribuire a dare delle risposte chiare ai genitori e agli studenti, visto che è in ballo il loro futuro professionale. (4-10234)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legge 24 giugno 2010, n. 107, ha provveduto, sulla base degli indirizzi contenuti nella dichiarazione scritta del Parlamento europeo del 12 aprile 2004, a riconoscere i diritti delle persone sordocieche, prevedendo la possibilità di definire misure specifiche di integrazione sociale e di assistenza individuale. In particolare, secondo quanto disposto dall'articolo 2 della legge, le persone sordocieche percepiscono in forma unificata le indennità previste dalla legislazione vigente in materia di sordità e cecità civile, oltre ad eventuali ulteriori prestazioni erogate dall'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS);
   malgrado l'articolo 1 della legge riconosca la sordocecità come «disabilità specifica unica», l'articolo 2 definisce come sordocieche le persone «cui siano distintamente riconosciute entrambe le minorazioni, sulla base della legislazione vigente, in materia di sordità civile e cecità civile», marcando un'evidente discrasia con le finalità della legge. Il riconoscimento della sordocecità come la sommatoria di due distinte minorazioni ha inoltre escluso dal regime di tutela stabilito dalla legge una parte della platea di persone che ne sono affette. Infatti, la legge 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni, considera sorde esclusivamente le persone con una minorazione – congenita o acquisita durante l'età evolutiva – tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Alla luce di questa definizione, non sono considerate sordocieche le persone che, pur essendo non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno d'età;
   l'accertamento della sordocecità è demandato alla Commissione medica dell'azienda sanitaria locale competente territorialmente, che nel corso di un'unica visita verifica la compresenza dei requisiti necessari al riconoscimento di entrambe le minorazioni. Sebbene con messaggio n. 21724 del 25 agosto 2010 l'INPS abbia reso noto che erano in corso le necessarie modifiche alla procedura telematica, al fine di consentire alle persone sordocieche la presentazione on-line delle domande di accertamento dello stato invalidante, allo stato gli interpellanti riscontrano la mancata predisposizione della modulistica necessaria, con chiare implicazioni per le persone sordocieche e le rispettive famiglie;
   negli ultimi anni alcuni enti specializzati hanno istituito centri di eccellenza nei trattamenti sanitari, residenziali e socio-sanitari in favore delle persone sordocieche. Gli utenti e le famiglie che intendono usufruirne sperimentano, tuttavia, difficoltà crescenti qualora si renda necessario accedere ai servizi erogati da un altro SSR. Da una parte, si riscontrano, anche nel caso di pazienti di minore età, resistenze da parte delle aziende sanitarie locali nel rilascio delle impegnative di ricovero in centri situati in regioni diverse da quella di residenza. Dall'altra, le regioni fanno spesso leva sulla propria normativa per corrispondere le rette previste per prestazioni non sempre assimilabili ai trattamenti specifici erogati in centri di eccellenza in regime di mobilità;
   è necessario garantire, in ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione e della giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, l'accesso da parte delle persone sordocieche a trattamenti sanitari che assicurino standard qualitativi appropriati –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire, anche attraverso gli opportuni interventi legislativi, il riconoscimento dello status di sordocieco a tutte le persone che presentino contemporaneamente entrambe le minorazioni, estendendo quindi il regime di tutela a quanti sono stati finora esclusi dalla definizione di sordocecità;
   se i Ministri interpellati ritengano necessario avviare un'interlocuzione con l'INPS, al fine di garantire la predisposizione della modulistica per la presentazione della domanda di accertamento dello stato invalidante da parte delle persone sordocieche;
   come il Governo intenda garantire il diritto delle persone sordocieche a ricevere trattamenti appropriati, anche se erogati in regime di mobilità sanitaria interregionale;
   quali strumenti il Governo intende predisporre, anche di concerto con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, affinché le persone sordocieche possano accedere a misure di sostegno e di integrazione sociale adattate ai loro bisogni.
(2-01066) «Carrescia, D'Incecco, Morani, Bazoli, Borghi, Manzi, Benamati, Casati, Preziosi, Iori, Patriarca, Vezzali, Oliverio, Berretta, Carloni, De Menech, Realacci, Zan, Fedi, Capone, Narduolo, Zardini, Senaldi, Carella, Donati, Giovanna Sanna, Capozzolo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIMBRO, PAOLA BOLDRINI, CRIVELLARI, DE MENECH, GIANNI FARINA, FRAGOMELI, TINO IANNUZZI, ANDREA MAESTRI, FITZGERALD NISSOLI, PICCIONE, RIBAUDO e SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 59, comma 7, della legge n. 449 del 1997, alcune categorie di lavoratori dipendenti, tra cui quelli considerati «precoci», coloro cioè che possono vantare almeno un anno di contribuzione derivante da attività lavorativa prima del compimento del diciannovesimo anno di età, raggiungevano il diritto alla pensione di anzianità in base alla tabella allegata alla legge n. 335 del 1995: ossia, con 35 anni di contribuzione all'età di 55 anni nel 2002 e 2003, di 56 anni nel 2004 e 2005, e di 57 anni dal 2006;
   come noto, le manovre pensionistiche del quadriennio 2008-2011, e in particolare la «riforma Fornero», superando la legislazione previgente, aumentarono il numero di anni di contributi necessari al raggiungimento della pensione;
   si pone il caso di un lavoratore che avesse iniziato a lavorare a 14 anni: stando alle norme attuali, egli potrebbe raggiungere la giubilazione, entro la fine del 2015, con 42 anni e sei mesi di contributi; se donna, con 41 anni e sei mesi. Dal 2016, altri quattro mesi andranno ad aggiungersi, per poi aumentare ancora negli anni successivi, secondo quanto previsto dalle tabelle relative alle aspettative di vita;
   stando alle notizie degli ultimi giorni, dovrebbe essere prevista, in sede di approvazione della prossima legge di stabilità, come già indicato dalla proposta di legge 857, a prima firma Damiano («Disposizioni per consentire la libertà di scelta nell'accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico») la possibilità, per i lavoratori che abbiano maturato almeno 41 anni di anzianità contributiva, di pensionamento prescindendo dall'età anagrafica. Si fa riferimento inoltre alla «quota 97», ossia alla possibilità di pensionamento a 62 anni d'età per 35 anni di contributi, con una penalizzazione massima dell'8 per cento sull'importo dell'assegno pensionistico;
   la maggior parte dei lavoratori precoci svolgono o hanno svolto per lungo tempo mansioni fisicamente pesanti, e fin da giovanissimi, spesso per necessità familiari;
   di recente, si è costituito su Facebook un gruppo, «Lavoratori precoci uniti a tutela dei loro diritti», il quale è arrivato a contare oltre 4 mila adesioni; molte lettere sono state spedite da suoi rappresentanti a giornali, partiti, e varie figure della politica nazionale, fino ai più alti vertici istituzionali, al fine di sensibilizzare la società sulla loro situazione –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Governo al fine di tutelare la categoria dei lavoratori cosiddetti «precoci», in modo da garantire agli stessi l'accesso alla pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica e senza penalizzazioni. (5-06289)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è noto che a seguito della riforma previdenziale «Fornero» introdotta nel dicembre 2011, sono stati modificati i presupposti per accedere al trattamento pensionistico non consentendo di godere del diritto alla pensione a migliaia di persone che avevano provveduto al versamento dei contributi previdenziali;
   in particolare, si è determinata la categoria dei cosiddetti «esodati», ossia decine di migliaia di lavoratori vicini al raggiungimento dei requisiti per avere la pensione, che hanno lasciato il mondo del lavoro in forza di accordi tra le parti sociali che prevedevano l'accompagnamento alla pensione in base alla normativa previgente la riforma. Una volta esaurito il rapporto di lavoro, la modifica improvvisa dei requisiti per accedere all'assegno previdenziale con l'aumento dell'età pensionabile, ha lasciato questi lavoratori senza reddito e ancora lontani dalla soglia per ottenere la pensione;
   per riparare a tale grave situazione, di notevole contenuto sociale, nel tempo l'Esecutivo ha adottato provvedimenti di «salvaguardia» per consentire ad alcune categorie di persone di accedere al trattamento previdenziale in base alla normativa previgente la «riforma Fornero»; tuttavia questa grave situazione non è stata ancora risolta soprattutto perché costituirebbe un considerevole «salasso» per le finanze pubbliche; difatti si è stimato che tale manovra costerebbe decine di miliardi di euro;
   tuttavia, nel mese di giugno 2014 si era prospettata la possibilità per l'Italia di accedere al fondo sociale europeo per far fronte alla drammatica situazione in cui si trovano gli esodati. Sul punto, infatti l'allora Commissario europeo, Laszlo Andor, rispondendo ad un'interrogazione (P-004363-14), aveva prospettato la possibilità di avvalersi del fondo sociale europeo per gli esodati confermando il proprio parere positivo sull'utilizzo del fondo, se finalizzato a favorire il «reinserimento lavorativo e la dignità di reddito pensionistico dei lavoratori». Tuttavia, a quanto è dato sapere, per poter accedere al Fondo, l'Italia ne avrebbe dovuto fare richiesta entro il 21 luglio 2014 e a ciò le istituzioni competenti non hanno provveduto;
   dinanzi alla situazione di estrema gravità determinata dalla «riforma Fornero», si ritiene oltremodo assurdo non aver provveduto ad avanzare richiesta per accedere al fondo in questione, in modo da sostenere coloro che sono rimasti ingiustamente senza reddito a causa della riforma pensionistica –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   quali siano le motivazioni per le quali non sarebbe stata presentata una richiesta per accedere al Fondo sociale europeo, che include investimenti per assistenza sociale, al fine di sostenere i cosiddetti esodati rimasti senza reddito a causa della «riforma Fornero»;
   se e quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per accedere a dei fondi europei per fronteggiare e risolvere la situazione degli esodati, verificando se sia ancora possibile farne richiesta da parte dell'Italia. (5-06291)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, FRANCO BORDO, LUCIANO AGOSTINI e MARCHETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati elaborati dall'IRES Marche sulla base di uno studio della CGIL, nelle Marche sono oltre 19,5 milioni le ore di Cassa integrazione guadagni (CIG) complessivamente utilizzate nei primi sette mesi del 2015, con oltre 32.000 lavoratori coinvolti;
   rispetto allo stesso periodo del 2014 si registra un calo del 27 per cento delle ore di cassa integrazione richieste ed autorizzate, tuttavia tale riduzione è concentrata soprattutto «sulla cassa integrazione straordinaria (-39,54 per cento) e quella in deroga (-26,76 per cento) mentre è irrilevante sulla cassa integrazione ordinaria, che non registra significative variazioni rispetto all'anno precedente;
   sono rilevanti le riduzioni di reddito per migliaia di lavoratori nelle Marche: lo studio IRES-CGIL Marche stima che nei «primi sette mesi del 2015 i lavoratori parzialmente tutelati dalla CIG hanno perso quasi 75 milioni di euro, al netto delle tasse, mentre ogni lavoratore che è stato a zero ore (cioè non ha mai lavorato) ha già sopportato una riduzione del salario individuale al netto delle tasse di circa 4.600 euro»;
   la cassa integrazione guadagni straordinaria è così distribuita nelle varie province delle Marche: 71 aziende nella provincia di Ancona, 44 per quella di Macerata, 42 Pesaro Urbino, 20 Fermo e 10 per aziende interessate nella provincia di Ascoli Piceno;
   per molti lavoratori nelle Marche stanno per terminare le coperture di welfare disponibili, a seguito del completamento dei periodi previsti dalla normativa vigente, circostanza che colpirà in modo significativo il reddito di quelle famiglie, considerate le difficoltà di reinserimento lavorativo in costanza di una forte riduzione della base produttiva nelle Marche, e la preoccupante disoccupazione giovanile che, nonostante le misure del Jobs Act, continua a interessare nella regione il 36,4 per cento della fascia under 24 anni;
   dal 2016 cesserà il periodo transitorio per l'erogazione della cassa integrazione guadagni in deroga, strumento utilizzato soprattutto dalle piccole imprese –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per far fronte alla preoccupante situazione sociale illustrata in premessa, considerata la peculiarità del tessuto economico-produttivo delle Marche e la sua costante erosione a causa della perdurante crisi economica. (5-06295)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ENPAM con una nota del suo presidente dell'8 maggio 2015, ha indetto, per il 7 giugno 2015 le elezioni dei membri dell'assemblea nazionale prescrivendo come termine ultimo per la presentazione delle liste e le procedure preliminari (candidature, sottoscrizioni, raccolta firme) il 23 maggio 2015;
   la nota, inviata ai presidenti degli Ordini dei medici e degli odontoiatri, aveva come allegato il regolamento di attuazione dello statuto per le elezioni e per la sostituzione dei componenti degli organi della fondazione ENPAM, e comprendeva la disciplina per le elezioni del 7 giugno 2015;
   lo statuto della Fondazione Enpam, così come deliberato dal consiglio nazionale il 27 giugno 2014 e modificato nella seduta del 29 novembre 2014 a seguito di richieste ministeriali (approvato con decreto interministeriale del 17 aprile 2015), prevede all'articolo 11, comma 1: «L'Assemblea nazionale si compone:
    a) dei presidenti di tutti gli Ordini dei medici chirurghi ed odontoiatri nonché di una rappresentanza dei Presidenti delle Commissioni per gli iscritti all'Albo degli Odontoiatri, nella misura del 10 per cento di tutti i presidenti degli Ordini, eletti dai presidenti delle Commissioni per gli iscritti all'Albo degli Odontoiatri, secondo le modalità e le procedure previste dal Regolamento approvato dal Consiglio di amministrazione;
    b) di un numero di membri eletti su base nazionale nella misura del 50 per cento dei componenti di cui alla lettera a), da eleggere fra gli iscritti contribuenti alle gestioni previdenziali della Fondazione, secondo le modalità e le procedure previste dal regolamento approvato dal consiglio di amministrazione»;
   il capo II, punto 16, del regolamento di attuazione dello statuto per le elezioni e per la sostituzione dei componenti degli organi della fondazione ENPAM prevede che la data fissata per le votazioni sia comunicata con un preavviso di 45 giorni e dispone che ciascuna lista sia depositata entro il trentesimo giorno precedente la data per le votazioni, pena l'esclusione;
   nella lettera dell'ENPAM dell'8 maggio 2015 ai presidenti degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, dall'oggetto elezioni quinquennio 2015-2020 – istruzioni integrative, al capitolo «Scrutini» si legge: «l'ufficio elettorale centrale procede all'attribuzione dei seggi alla lista che ha ottenuto il maggior numero dei voti, proclamando gli eletti per ciascuna categoria secondo la numerazione progressiva della lista vincitrice, sino a concorrenza dei seggi quantificati dall'apposita Commissione»;
   l'articolo 3 del decreto-legge n. 509 del 1994 comma 1 prevede: «La vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'articolo 1 è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati...» –:
   se, alla luce della vigilanza sugli enti privatizzati, ravvedano eventuali violazioni da parte di ENPAM nella convocazione e nello svolgimento del 7 giugno 2015 delle elezioni dei membri dell'assemblea nazionale della fondazione;
   se lo statuto della Fondazione ENPAM, così come deliberato dal Consiglio nazionale il 27 giugno 2014 e modificato nella seduta del 29 novembre 2014 e in particolare l'articolo 11, si attenga a quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994, garantendo il pieno rispetto della rappresentanza nell'ambito della composizione e del funzionamento di organi collegali nazionali;
   se il meccanismo di attribuzione dei seggi delle elezioni del 7 giugno 2015 per i membri dell'assemblea nazionale della Fondazione ENPAM abbia tenuto conto del principio di rappresentanza delle liste di minoranza. (5-06300)


   CHIMIENTI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 22 del 4 marzo 2015, «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, numero 183», introduce il sussidio di disoccupazione cosiddetto Naspi;
   in attuazione delle norme contenute all'articolo 1 della legge 10 dicembre 2014 n. 183, il cosiddetto Jobs Act, il 1o maggio 2015 entra quindi in vigore la nuova Naspi, che sostituisce i vecchi ammortizzatori sociali dell'Aspi e della mini Aspi cambiando alcune regole contributive e i requisiti per ottenerla;
   all'articolo 5 «durata» del decreto legislativo numero 22 del 2015 viene sancito che: «l'indennità è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione», agganciando, in questo modo, la durata dell'indennità corrisposta alla storia lavorativa del lavoratore;
   tale norma, a differenza dell'Aspi che prevedeva il riconoscimento della prestazione a chiunque avesse versato almeno 12 mesi di contributi nell'ultimo biennio, va a penalizzare coloro che hanno lavorato in maniera discontinua e precaria, come nel caso dei lavoratori stagionali;
   mediante l'interrogazione n. 5-05210, presentata il 31 marzo 2015, il Movimento 5 Stelle ha denunciato questa discriminazione che avrebbe penalizzato un bacino di lavoratori di oltre 300.000 unità legati prevalentemente alle professioni del turismo estivo;
   con la circolare n. 94 del 12 maggio 2015 l'Inps fornisce ulteriori chiarimenti in merito all'introduzione della Naspi, specificando i periodi, utili e non, ai fini del perfezionamento del requisito richiesto e compiendo, però, quello che gli interroganti giudicano un errore di trascrizione al punto 4 del paragrafo 2.5 che ne cambia radicalmente il significato;
   viene infatti erroneamente stabilito che: «Per tutte le prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti normali (DSO) o di ASpl le cui ultime 52 settimane di contribuzione che vi hanno dato luogo siano a cavallo dell'inizio del quadriennio, la valutazione della contribuzione utilizzata deve riguardare – all'interno dei 12 mesi che precedono le prestazioni DSO o ASpl – prioritariamente la contribuzione più risalente delle ultime 52 settimane di contribuzione che hanno dato luogo a prestazioni DSO o ASpl anche se detta contribuzione si colloca al di fuori del quadriennio di riferimento»;
   mediante l'atto del Governo n. 179 sottoposto a parere parlamentare, «Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in deroga in costanza di rapporto di lavoro», all'articolo 42 si è voluto porre rimedio all'errore;
   infatti, il comma 4 del suddetto articolo 42 sancisce: «Con esclusivo riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi tra il 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 2015 e limitatamente ai lavoratori del settore produttivo del turismo con qualifica di lavoratori stagionali, qualora la durata della NASpl, calcolata ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015, numero 22, sia inferiore a 6 mesi, ai fini del calcolo della durata viene disapplicato il secondo periodo di tale articolo, relativamente ad eventuali prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e Mini-ASpl 2012 fruite negli ultimi quattro anni. In ogni caso, la durata della NASpl corrisposta in conseguenza dell'applicazione del periodo precedente non può superare il limite massimo di 6 mesi»;
   il decreto comporta, in questo modo, una salvaguardia per il solo 2015 della durata della Naspi che ha come unico riferimento i lavoratori stagionali del settore del turismo, escludendo tutti gli altri lavoratori stagionali –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative per estendere la norma riservata ai lavoratori stagionali del settore turistico di cui al citato articolo 42, comma 4, anche a tutti gli altri lavoratori stagionali;
   se il Ministro interrogato abbia vagliato la possibilità di non limitare all'anno 2015 la norma di cui in premessa ma intenda assumere iniziative per renderla definitiva. (5-06301)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione ENPAM è l'ente di previdenza e di assistenza dei medici e degli odontoiatri, così come stabilito dal decreto-legge n. 509 del 1994;
   l'ENPAM, ente vigilato dal Ministero del lavoro e alle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze, ha la finalità di erogare il trattamento previdenziale ai propri iscritti;
   i suoi organi statutari, a norma dell'articolo 10 dello Statuto della Fondazione Enpam, come modificato il 29 novembre 2014, sono: l'Assemblea nazionale, il Consiglio di amministrazione, il presidente, il collegio dei sindaci;
   dal sito istituzionale dell'ENPAM alla voce «quanto costano gli organi collegiali dell'Enpam» si evince per l'anno 2012 per l'indennità di carica al presidente della Fondazione sono stati erogati 105.300 euro»;
   secondo notizie di stampa il presidente Alberto Oliveta dell'ENPAM percepisce una cospicua somma all'anno, cumulando l'indennità di carica di presidente dell'Ente e vari incarichi;
   l'11 giugno 2015 il Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali sen. Massimo Cassano rispondendo a un'interrogazione in merito ai compensi e alle indennità percepite dagli organi statutari della Fondazione ENPAM afferma:
    per quanto concerne i compensi riconosciuti nel 2014 al Presidente dell'ENPAM, per le varie cariche ricoperte, rappresento che essi ammontano a:
    345.938 euro lordi percepiti dalla fondazione Enpam a titolo di indennità di carica (105.300 euro), gettoni di presenza (27.000 euro), indennità di trasferta (184.950 euro) e rimborso spese sostenute ed anticipate (28.688 euro);
    77.394 euro lordi percepiti dalla (ENPAM Real Estate, a titolo di indennità di carica (72.000 euro), gettoni di presenza, indennità di trasferta e rimborso spese (complessivamente 5.394 euro);
    24.431 euro dal Fondo Ippocrate;
    35.000 euro dal Fondo Q3;
    34.000 euro dal Fondo Antirion Core»;
   nel 2013 l'ammontare medio delle pensioni erogate dall'ENPAM ai propri iscritti è: per i medici di base di 25000 euro annui lordi; per i medici specialistici ambulatoriali: 38.000 euro annui lordi;
   vi sono alcune cariche all'interno del consiglio di amministrazione della Fondazione ENPAM che vengono ricoperte da circa vent'anni dalle stesse persone, come ad esempio per Oliveti che è nell'ente dal 1993 e ricopre la carica di presidente da due mandati; simile situazione si ripete per il vicepresidente Malagnino;
   alcuni componenti del consiglio di amministrazione della Fondazione ENPAM ricoprono anche incarichi apicali nei sindacati della dirigenza e della medicina convenzionata;
   il patrimonio gestito dall'ENPAM è stimato in circa 16 miliardi euro –:
   a quanto ammontino i compensi e le indennità percepite dagli organi statutari della Fondazione Enpam;
   se intendano intraprendere, per quanto di competenza, tutte le iniziative per ridurre le indennità del presidente dell'ENPAM, citate in premessa, equiparandole con le retribuzioni corrispondenti previste per i dirigenti della pubblica amministrazione;
   se non ritengano, per quanto di competenza, che il permanere per circa vent'anni nel consiglio di amministrazione dell'ENPAM di persone che ricoprono lo stesso ruolo non sia in contrasto con le norme di trasparenza della pubblica amministrazione;
   se la circostanza, che i componenti del consiglio di amministrazione dell'ENPAM siano anche ai massimi vertici dei sindacati della dirigenza e della medicina convenzionata, possa creare un vulnus nella corretta tutela di tutti gli iscritti dell'ENPAM e anche di quelli non sindacalizzati;
   se intendano adottare iniziative che rivalutino il trattamento pensionistico dei medici e riconoscano un'indennità per lavoro usurante notturno (dai 62 ai 96 turni notturni/annui) per i medici 118 convenzionati, anche alla luce, dell'ingente patrimonio posseduto dall'ENPAM. (5-06305)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, NICCHI, FERRARA, MELILLA, DURANTI, PLACIDO, AIRAUDO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio 2015 è stato presentato, ad Ancona, lo studio Ires-CGIL «Parità e pari opportunità nei luoghi di lavoro delle Marche», curato dalla responsabile dell'ufficio studi dell'Ires Marche Novella Lodolini (Il Corriere Adriatico e Il Messaggero, 17 luglio 2015);
   la ricerca è stata condotta su 133 aziende regionali dei principali settori manifatturieri, per un totale di 44.000 occupati, di cui 18.000 donne e 26.000 uomini, ed ha evidenziato come, a parità di titoli, le donne hanno qualifiche e stipendi mediamente inferiori agli uomini, e sono in percentuali più alte precarie o con contratti part-time;
   secondo lo studio citato, «sul totale di 22.262 operai, le donne sono il 36 per cento, concentrate in quasi tutti i settori nei livelli più bassi. In particolare al 2o livello nell'abbigliamento, dove le operaie sono il 76,9 per cento del totale, al 3o e 4o livello nella meccanica (22,3 per cento) e pochissime tra gli operai specializzati del 5o livello. Ancora più evidenti le difficoltà delle donne di accedere agli alti livelli nella qualifica impiegatizia (16.374 gli impiegati totali di cui il 49,3 per cento donne). Nella meccanica le donne sono il 29,3 per cento degli impiegati concentrate soprattutto al 5o livello (solo pochissime raggiungono l'8o) e anche il settore del mobile (40,8 per cento) le vede a livelli medio bassi»; poche le donne quadro, che raggiungono il 30 per cento del totale dei quadri (1.144); percentuali ancora inferiori per le dirigenti, con l'8,9 per cento (44) su un totale di 493;
   quanto alle tipologie contrattuali, nelle aziende prese a campione i rapporti a tempo parziale sono in media il 15,8 per cento e interessano il 32 per cento delle donne contro il 24,9 per cento degli uomini;
   altro fronte di significative disparità è sul piano delle retribuzioni, dove – tolte le retribuzioni dei dirigenti – la retribuzione media lorda annua dei lavoratori è di 26.600 euro, così distribuita per sesso: 29.600 nella media dei lavoratori maschi, contro una media di 21.100 euro per le donne;
   tali differenze retributive sono condizionate da diversi fattori, come il maggior ricorso delle donne al part-time, non sempre volontario, ai contratti a termine o, ancora, al ricorso alla cassa integrazione guadagni;
   significativo anche il dato delle progressioni di carriera, dove la quota degli uomini che hanno beneficiato di un passaggio di livello è quasi il doppio delle colleghe donne (ad essere promosse solo il 34,6 per cento del campione esaminato);
   altro settore di forte squilibrio è quello delle aspettative e dei congedi, in particolare quelli parentali, dove a fronte dei 1.007 congedi per maternità, risultano solo 13 uomini in congedo parentale, fotografia immediata di come la cura della famiglia gravi ancora principalmente sulle donne;
   dai dati riportati emerge, pertanto, un quadro in cui le donne sui posti di lavoro non godono delle medesime opportunità dei colleghi di sesso maschile, soprattutto per «condizioni di sistema» che non agevolano la conciliazione della vita professionale con quella familiare –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di confermare, anche rispetto ai dati in possesso del Ministero, la situazione illustrata in premessa;
   quali iniziative intenda assumere in merito alle criticità illustrate, al fine di riequilibrare la disparità tra uomini e donne sul posto di lavoro. (4-10201)


   SPADONI, SARTI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI e FERRARESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la CISA, Costruzioni italiane serrature e affini fondata Firenze nel 1926 da Luigi Bucci, raggiunta la propria affermazione sul mercato grazie alla prima serratura elettrocomandata per l'azionamento dei portoni e dei cancelli, si è confermata essere nel corso degli anni un marchio prestigioso e un grande esempio di manifattura italiana di qualità;
   dal 2005 la CISA, presente in Italia con 4 sedi di cui tre a Faenza (Ravenna) e uno a Monsampolo del Tronto (Ascoli Piceno), fa parte del gruppo Allegion società operante nel settore delle tecnologie per la sicurezza e per il controllo degli accessi;
   a metà giugno 2015 i vertici della multinazionale Allegion, con sede legale a Dublino, hanno presentato il piano industriale annunciando la volontà di voler trasferire gran parte della produzione con la conseguente probabile perdita di 238 posti di lavoro negli stabilimenti faentini e 20 in quello di Monsampolo del Tronto;
   questa preannunciata volontà di trasferire all'estero le lavorazioni meccaniche di quest'industria manifatturiera non sembra esser dettata da provate difficoltà produttive, di mercato e di bilancio ma sembra agli interroganti rispondere invece a logiche di profitto; secondo Fabrizio Sintoni, delegato Fiom, nonostante la crisi economica degli ultimi anni l'azienda non versa in particolari difficoltà economiche;
   questa scelta metterebbe a repentaglio le sorti di centinaia di famiglie, pregiudicherebbe le prospettive di ripresa in un contesto già drammaticamente segnato dagli effetti di una crisi che si protrae ormai da tanti anni, vanificherebbe decenni di impegno lavorativo e imprenditoriale che sono alla base di un marchio apprezzato nel mondo quale sinonimo di fiducia e di qualità;
   nell'incontro del 31 luglio 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico, i sindacalisti e i delegati di fabbrica, che si sono detti disponibili a trattare su tutto, tranne che sul livello occupazionale, non hanno ottenuto risposte incoraggianti: Milco Cassani, segretario della Fiom di Ravenna, afferma come l'intenzione dei lavoratori non sia quella di discutere relativamente al piano di delocalizzazione, ma chiedere piuttosto un piano industriale di crescita dell'industria di Faenza –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per la salvaguardia dei numerosissimi lavoratori a rischio sul territorio nazionale e quali siano le soluzioni possibili per le sopracitate persone coinvolte affinché nessun lavoratore possa perdere il proprio posto di lavoro;
   quali strategie intendano adottare a tutela delle imprese italiane che, per essere concorrenziali e alla continua ricerca del minor costo, seguono strategie di delocalizzazione delle fasi del processo produttivo che comportano significative trasformazioni nel tessuto economico e sociale delle zone interessate (4-10206)


   MURA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge prevede la possibilità di riscattare a fini pensionistici gli anni di studio universitari e post universitari (riscatto della laurea), versando al proprio ente di previdenza contributi previdenziali (contributi volontari) che vadano a coprire gli anni di studio in cui, non lavorando, non sono stati versati contributi;
   il riscatto è possibile solo per i percorsi di studio completati, quindi conseguimento del titolo avvenuto, e solo per gli anni della durata legale degli stessi;
   sono riscattabili i diplomi universitari (corsi di durata minima di due anni e non superiore a tre), i diplomi di laurea (corsi di durata minima di quattro anni e non superiore a sei, i diplomi di specializzazione che si conseguono dopo la laurea al termine di un corso di durata non inferiore a due anni, i dottorati di ricerca e i titoli accademici quali laurea triennale e laurea specialistica;
   per poter andare in pensione occorre aver lavorato, ossia aver regolarmente versato contributi (anzianità contributiva), per tutti gli anni richiesti in base al regime pensionistico di riferimento;
   all'interrogante sono arrivate numerose segnalazioni circa la difficoltà di calcolare, a fini pensionistici, il riscatto degli anni di studio universitari e post universitari –:
   se sia a conoscenza di queste difficoltà di interpretazione nel sistema di calcolo, a fini pensionistici, del riscatto degli anni di studio universitari e post universitari;
   come vadano computati nel calcolo dell'età pensionistica gli anni di studio universitario regolarmente riscattati.
(4-10217)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel primo semestre del 2015, secondo i dati diffusi dall'Osservatorio sul precariato dell'INPS, sono stati stipulati in Italia 952.359 contratti di assunzione a tempo determinato, cui si aggiungono 331.917 trasformazioni di contratti a termine in contratti stabili, per un totale di 1.284.276 di rapporti attivati, che si deve presumere siano interessati dalla decontribuzione prevista dalla legge di stabilità 2015, al netto delle conversioni di contratti di apprendistato, esclusi espressamente da tale possibilità;
   appare indubbio che la forte crescita di tale tipologia contrattuale sia stata fortemente indirizzata dalla possibilità di abbattere sensibilmente il costo del lavoro, mettendo a carico della collettività il costo dei contributi non versati dalle imprese, insieme alla possibilità di interrompere immediatamente e senza giusta causa il rapporto di lavoro alla fine del triennio, con un vantaggio economico certo;
   sembra quindi fuorviante interpretare questi dati come attenuazione del precariato, soprattutto laddove si consideri che si moltiplicano le denunce di lavoratori licenziati per essere riassunti da agenzie di somministrazione, in attesa di tornare nuovamente al posto di lavoro iniziale dopo i 6 mesi di inibizione dalla possibilità di ottenere la decontribuzione;
   contro ogni logica, la normativa pare infatti aver esteso anche alle agenzie di somministrazione gli sgravi triennali, laddove assumano a tempo indeterminato personale da destinare a terzi, persino quando questo sia impiegato a termine presso l'azienda cliente;
   accade così che proprio uno degli strumenti propri della precarizzazione del lavoro, ovvero la somministrazione, possa godere di incentivi teoricamente destinati a ridurre il precariato, con costi ingenti a carico dei contribuenti –:
   quanti dei contratti a tempo indeterminato rilevati dall'INPS siano stati attivati da agenzie per il lavoro e con quale costo previsto per le casse dello Stato. (4-10231)


   MURA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 59, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che le disposizioni in materia di requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico di cui alla tabella B allegata alla legge 8 agosto 1995, n. 335, trovano applicazione nei confronti:
    a) dei lavoratori dipendenti pubblici e privati qualificati dai contratti collettivi come operai e per i lavoratori ad esse equivalenti, come individuati ai sensi del comma 10;
    b) dei lavoratori dipendenti che risultino essere stati iscritti a forme pensionistiche obbligatorie per non meno di un anno in età compresa tra i 14 ed i 19 anni a seguito di effettivo svolgimento di attività lavorativa;
    c) dei lavoratori che siano stati collocati in mobilità ovvero incassa integrazione guadagni straordinaria per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 3 novembre 1997, ivi compresi lavoratori di pendenti da imprese che hanno presentato domanda ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 19 maggio 1997, n. 129, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 1997, n. 229, per il numero di lavoratori da collocare in mobilità indicato nella domanda medesima, anche considerando complessivamente i numeri indicati nelle domande presentate dalle imprese appartenenti al medesimo gruppo e per i quali l'accordo collettivo di individuazione del numero delle eccedenze intervenga entro il 31 marzo 1998, nonché dei lavoratori ammessi entro il 3 novembre 1997 alla prosecuzione volontaria, che in base ai predetti requisiti di accesso alle pensioni di anzianità di cui alla citata legge n. 335 del 1995 conseguano il trattamento pensionistico di anzianità al termine della fruizione della mobilità, del trattamento straordinario di integrazione salariale ovvero, per i prosecutori volontari durante il periodo di prosecuzione volontaria e, comunque, alla data del 31 dicembre 1998. Per i prepensionamenti autorizzati in base a disposizioni di legge anteriori al 3 novembre 1997 continuano a trovare applicazione le disposizioni medesime;
   dopo l'approvazione della cosiddetta legge Fornero, questi lavoratori, definiti «precoci», hanno perso la specificità che consentiva loro di andare in pensione in anticipo;
   è stata depositata in Parlamento una proposta di legge che fornisce un importante sostegno a questi lavoratori, attraverso l'uscita a 62 anni di età e più 35 anni di contributi;
   come hanno evidenziato gli interessati, tale proposta di legge prevede delle penalizzazioni per chi esce dal lavoro a 62 anni e 35 di contributi;
   occorre ricordare che i lavoratori precoci che hanno raggiunto i 41 anni di versamenti, anche se con età inferiore ai 62 anni, hanno già pagato la penalizzazione dato che hanno versato più contributi nelle casse dell'INPS;
   il caso pensioni dei lavoratori precoci ad oggi è rimasto senza alcuna soluzione –:
   quali iniziative intenda adottare per recuperare la situazione dei cosiddetti lavoratori precoci così come individuati dall'articolo 59, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. (4-10240)


   DI BATTISTA, BARONI, LOMBARDI, RUOCCO, DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI e VIGNAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Christian Rosso è un dipendente dell'ATAC spa, azienda per i trasporti autoferrotranviari del comune di Roma, società, totalmente partecipata da Roma Capitale, concessionaria del trasporto pubblico di Roma e di alcuni comuni della province di Roma e Viterbo;
   Christian è un autista dell'ATAC che, sui social network, ha deciso di denunciare – attraverso la pubblicazione di un video in data 21 luglio 2015 – alcuni disservizi esprimendo le proprie valutazioni ed il proprio pensiero sulla situazione dell'azienda;
   in particolare le denunce del dipendente hanno riguardato circostanze ormai note, relative alle condizioni di difficoltà finanziaria ed economica dell'azienda, all'assoluta sproporzione degli stipendi del management ATAC rispetto al personale viaggiante nonché in merito al fatto che, da mesi, Roma ed i cittadini romani, stanno vivendo disagi, ritardi ed interruzioni di servizio del trasporto pubblico locale;
   a parere dell'interrogante tali dichiarazioni sono state espresse all'interno di un libero esercizio di critica e di libera manifestazione del pensiero, di cui all'articolo 21 della Costituzione, e, soprattutto, sembrano indirizzate, non a generare discredito sulla società ATAC, ma a tutelare un efficiente trasporto pubblico ai cittadini romani;
   l'ATAC ha però deciso di procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente, contestando alcune violazioni del codice etico dell'azienda – e precisamente l'articolo 12 – nonché sospendendolo in via cautelare, a tempo indeterminato, dal servizio ai sensi e per gli effetti dell'articolo 46 del regolamento di cui all'allegato A del regio decreto n. 148 del 1931, riservandosi di adottare il provvedimento disciplinare all'esito del procedimento di contestazione;
   a parere dell'interrogante con le dichiarazioni di cui sopra, il dipendente ATAC non ha determinato un danno di immagine all'azienda, ma ha unicamente e liberamente espresso il proprio diritto di critica rendendo noti alcuni disservizi che, inevitabilmente, finiscono per colpire gli utenti del servizio di trasporto pubblico locale;
   viceversa, un danno all'immagine della società ATAC, potrebbe derivare dall'omertà e dal silenzio di fronte ad aspetti che, invece, potrebbero e dovrebbero esseri resi pubblici proprio per informare gli utenti del servizio;
   a ciò si aggiunga che 1'ATAC è una società a totale partecipazione pubblica e, di conseguenza, le dichiarazioni e le denunce fatte dal dipendente, rivestono altresì caratteri di un interesse di tipo pubblicistico della collettività a venire a conoscenza di tali circostanze;
   tra l'altro, il gruppo parlamentare del MoVimento 5 stelle ha presentato e sta promuovendo, una proposta di legge volta ad introdurre il cosiddetto whistleblowing, istituto con il quale si intende in generale proteggere chi denuncia reati o altri fatti capaci di provocare un danno alla collettività, prendendo spunto dalle raccomandazioni e dalle linee guida per la tutela e la promozione del whistleblowing pubblicate da Transparency International Italia, proposta che, ad esempio, dà una protezione in caso di licenziamento di chi denuncia;
   con riferimento all'asserita violazione dell'articolo 12 del codice etico di ATAC spa — approvato con deliberazione n. 345/2011 del consiglio di amministrazione e modificato con successiva deliberazione n. 49/2012 — si evidenzia che tale disposizione impone la riservatezza su notizie che vengono acquisite nello svolgimento della prestazione di lavoro, circostanza che non appare essersi verificata dal momento che il dipendente sembra che abbia divulgato informazioni di pubblico dominio e, comunque, non riservate;
   dall'altro lato, l'applicazione, anche se solo in via cautelare, del succitato articolo 46 del regolamento di cui all'allegato A del regio decreto n. 148 del 1931, appare eccessivamente sproporzionata laddove si consideri che tale disposizione è principalmente rivolta a sospendere dal servizio «Gli agenti sottoposti a procedimento penale per uno dei reati che danno luogo alla destituzione o che comunque trovinsi in istato d'arresto o siano implicati in fatti che possano dar luogo alla retrocessione od alla destituzione»;
   è evidente come non ricorra l'ipotesi di cui al predetto articolo 46 laddove, oltre a non aver subito alcun procedimento penale, neppure sembrano sussistere, a parere dell'interrogante, gli estremi per l'applicazione della destituzione e per la retrocessione;
   anche il nuovo assessore ai trasporti di Roma Capitale, Stefano Esposito, ha espresso alcune perplessità sulla proporzionalità del provvedimento cautelare irrogato da ATAC nel caso di specie: «io ho semplicemente detto l'autista ha sicuramente sbagliato perché ha violato le regole... mi sembra un po’ eccessivo parlare di sospensione a tempo indeterminato. L'autista deve pagare una sanzione commisurata a quanto avvenuto e non nella logica forte con i deboli e deboli con i forti perché non funziona»;
   l'ATAC, in un comunicato del 31 luglio 2015, ha dichiarato che «Prosegue, come previsto dalle norme giuslavoristiche e da quelle contrattuali, il procedimento a carico di un dipendente che nei giorni scorsi ha violato le norme previste da codici e regolamenti aziendali. Atac precisa che il provvedimento in esame non ha elementi di straordinarietà rispetto ad altri che l'azienda ha attivato in passato nei confronti di dipendenti per fattispecie analoghe e che quindi è del tutto coerente con i rilievi verificati e con casi simili. L'azienda sottolinea inoltre che non appena giungeranno da parte del dipendente le controdeduzioni previste dalle procedure vigenti, provvederà – come previsto – ad incontrarlo per il necessario contraddittorio e per le conseguenti valutazioni. In quella sede l'azienda ascolterà il dipendente traendo le proprie conclusioni sempre nel rispetto delle normative di legge e di contratto in vigore, dove, in particolare, è previsto che la sanzione sarà adottata solo al termine del procedimento in atto»;
   si ribadisce che, a parere dell'interrogante, le dichiarazioni pubbliche rese dal dipendente ATAC signor Christian Rosso sono avvenute all'interno della libertà di manifestazione del proprio pensiero di cui all'articolo 21 Cost., nonché nel rispetto della più specifica libertà di opinione di cui all'articolo 1 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori) che riconosce in favore dei lavoratori il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero senza distinzione di opinioni politiche, sindacali o di fede religiosa;
   tale ultima disposizione, inoltre, è evidentemente attuativa della prescrizione dell'articolo 2 della Costituzione che impegna la Repubblica a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo anche all'interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, ivi compreso il luogo di lavoro;
   la sospensione a tempo indeterminato risulta agli interroganti ancor di più di dubbia legittimità in considerazione della giurisprudenza, anche di legittimità, secondo la quale le opinioni espresse dal lavoratore dipendente, anche se vivacemente critiche nei confronti del proprio datore di lavoro, specie nell'esercizio dei diritti sindacali, non possono costituire giusta causa di licenziamento, in quanto espressione di diritti costituzionalmente garantiti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in particolare, di quali elementi disponga circa la dinamica dei fatti ed il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori costituzionalmente garantiti, considerato che il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, stabilito all'articolo 21 della Costituzione, deve essere garantito ad ogni livello, anche sul luogo di lavoro;
   quali siano le iniziative di tutela che il Governo intenda intraprendere a difesa della libertà di manifestazione del pensiero dei dipendenti di aziende pubbliche e private e se intenda adottare iniziative normative volte ad introdurre il whistleblowing o comunque una disciplina che tuteli i lavoratori che denunciano disservizi in aziende che devono garantire servizi di pubblica utilità. (4-10242)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul numero de Il Sole 24 ore del 2 settembre 2015 sono riportate alcune dichiarazioni del direttore dell'Inail, Giuseppe Lucibello, secondo cui l'istituto di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro nel sarebbe stato autorizzato a investire in immobili e nell'edilizia 500 milioni di euro nel 2015, 700 nel 2016 e 750 dall'anno successivo;
   Lucibello ha aggiunto che «L'Inail può tranquillamente investire un miliardo l'anno, cioè il 100% di quanto dispone per investimenti, in operazioni di pubblica utilità che possano qualificare l'azione di governo»;
   il recente decreto economia – lavoro, che ha ottenuto l'approvazione da parte della ragioneria dello Stato, autorizza quasi 3,3 miliardi di euro di investimenti (tra immobiliari e mobiliari) nel triennio 2015-2017;
   il direttore dell'Inail sostiene che le risorse si sarebbero accumulate anno dopo anno sul fondo della Tesoreria (presso cui vi sarebbe un conto infruttifero di 24 miliardi di euro) a causa della mancanza di progetti adeguati in cui investirle; il giornalista Massimo Frontera scrive: «Lucibello cita episodi irriferibili di rappresentanti istituzionali con sotto braccio il progetto dell'amico costruttore»;
   il 15 prossimo scadrà il termine per proporre all'Inail iniziative da finanziare con 200 milioni di euro;
   Daniela Mencarelli, dell'esecutivo nazione USB pubblico impiego, ha dichiarato: «È incredibile che in un momento di crisi come quello attuale non si riescano ad investire questi soldi, che sono tanti, per scopi sociali, a partire dall'emergenza abitativa che colpisce le principali città italiane, prima tra tutte Roma e si potrebbe continuare con la messa in sicurezza degli edifici pubblici, come scuole ed ospedali»;
   Angelo Fascetti, dell'AS.I.A/USB mette in guardia dal rischio che i soldi dell'Istituto, e quindi dei lavoratori, finiscano nelle casse della Tesoreria dello Stato e vengano poi utilizzati per ben altri scopi o, peggio ancora, vadano a finanziare progetti di «inutilità sociale», come quelli della Nuvola di Fuksas all'Eur, o finiscano nelle mani dei privati, come è successo per la truffa dei piani di zona a Roma –:
   se i Ministri interrogati non reputino necessario aprire immediatamente un tavolo di confronto tra parti sociali e Governo, Inail e Conferenza Unificata Stato-Regioni, al fine di contribuire alla soluzione del problema abitativo di centinaia di migliaia di famiglie in tutta Italia, garantendo in questo modo la copertura delle riserve tecniche che servono a pagare le rendite future ai lavoratori assistiti dall'Ente. (4-10261)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   FEDRIGA, GUIDESI e GRIMOLDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'AGEA, con la Relazione illustrativa sull'esito dei calcoli di fine periodo per la Campagna 2014/2015, ha reso noti i dati dell'ultima campagna gestita in regime di quota, con la determinazione dei dati relativi al superamento di quota e le relative restituzioni o prelievi;
   l'importo complessivo del prelievo confermato, che ammonta a 103,71 milioni di euro, risulta così ripartito: 30,53 milioni di euro sono pagati all'Unione europea per il superamento della quota nazionale; 1,53 milioni di euro sono accantonati ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 119/03; 71,65 milioni di euro sono destinati al fondo per gli interventi nel settore lattierocaseario istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell'articolo 8-bis, comma 1, della legge 33/2009;
   dai dati riportati nella relazione si legge che le aziende che hanno prodotto oltre la propria quota (con esubero) sono 10.879, ma le aziende ai quali verrà imputato il prelievo saranno 2.040;
   come si può notare, sono 8.839 le aziende che, nonostante abbiano superato il quantitativo di quota detenuto al 31 marzo 2015, non sono assoggettate a prelievo. Come previsto dall'articolo 9 della legge 119/2003 le aziende che risultano beneficiarie della restituzione degli importi versati o garantiti (completamente compensate) sono tutte quelle aziende che rientrano nelle categorie prioritarie ovvero 3.410 aziende che hanno la sede in zona montana; 622 quelle in zona svantaggiata; 46 quelle con blocco movimentazione capi; nonché 906 quelle che hanno rispettato il massimo livello produttivo della campagna 2007/2008 e 3.878 quelle con esubero massimo all'interno del 6 per cento anch'esse completamente compensate;
   il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, all'articolo 1, fissa quali siano le aziende compensate in parte. Si tratta di aziende che hanno eseguito i versamenti mensili e di conseguenza, nell'ultima campagna, hanno maturato il diritto a una compensazione pari al 6 per cento dell'esubero. Il decreto-legge n. 51 del 2015 ipotizza diversi scaglioni di superamento ai quali accordare una compensazione del 6 per cento sino a esaurimento della capacità finanziaria tenendo conto che l'Italia dovrà versare all'Unione europea circa 30 milioni di euro;
   le aziende compensate in parte sono: 651 con esubero dal 6 al 12 per cento; 416 con esubero dal 12 al 30 per cento; 99 aziende con esubero dal 30 al 50 per cento e 100 aziende con esubero fino al 100 per cento;
   infine rimangono 2.040 aziende che non hanno alcun diritto alla compensazione e sono quelle che non hanno disposto i versamenti mensili o che hanno superato il livello produttivo 2007/2008: 678 aziende che non hanno eseguito il versamento mensile, 1.266 le aziende che pur essendo in regola con i versamenti mensili, hanno superato sia il livello produttivo della campagna 2007/2008 che il 106 per cento della quota disponibile (ed hanno pertanto avuto diritto alla restituzione entro il 6 per cento della quota disponibile); 96 quelle che non hanno subìto l'imputazione del prelievo mensile a causa di una omissione nelle dichiarazioni mensili di consegna (accertata dalle Regioni) o per effetto del trasferimento di quota non disponibile in quanto già utilizzata attraverso consegne di latte già dichiarate;
   inoltre, il suddetto decreto-legge n. 51 del 2015, prevede, sempre all'articolo 1, nel recepire la possibilità di rateizzazione prevista dalla normativa comunitaria, la possibilità di procedere al pagamento del prelievo supplementare, dovuto per la campagna 2014/2015, in tre rate annuali senza interessi da versare rispettivamente entro il 30 settembre 2015, 2016 e 2017. Infine, lo stesso articolo stabilisce che la rateizzazione può essere accordata solo se, oltre alla domanda, è presentata apposita fideiussione bancaria o assicurativa, esigibile a prima e semplice richiesta, a favore dell'AGEA, a copertura delle rate relative agli anni 2016 e 2017, subordinando alla stessa l'accettazione della domanda. Le domande dovevano essere presentate, a pena di esclusione, entro il 31 agosto 2015;
   con una comunicazione del 26 agosto 2015 Agea informava che «tenuto conto delle istanze avanzate dagli operatori interessati che hanno rappresentato forti difficoltà per il tempestivo ottenimento, nel periodo estivo, delle fideiussioni da parte del sistema bancario/assicurativo, fermo restante l'obbligo di presentare la domanda entro il 31 agosto, la relativa cauzione potrà anche essere presentata successivamente, purché sia nelle disponibilità di Agea al momento dell'istruttoria della pratica. Resta inteso che dovrà essere lasciato un sufficiente margine per l'esame e per l'istruttoria delle domande e Agea dovrà disporre di tutta la documentazione improrogabilmente entro il 10 settembre 2015.»;
   risulta sconcertante che, a fronte di circa 30,5 milioni di euro da versare a Bruxelles, si proceda a prelievi per 103,7 milioni di euro, più di 3 volte tante il dovuto all'Unione europea, con aziende che si trovano quindi a pagare di media fino a 200 mila euro, rischiando di trovarsi nella condizione di dover chiudere, anche a causa del valore del latte che scende sempre più, arrivando a 34 centesimi al litro (–20 per cento nell'ultimo anno) –:
   se non sia opportuno, onde evitare eventuali fallimenti aziendali che, visto l'ammontare dei prelievi da versare, purtroppo saranno prevedibili, procedere ad una verifica sulla esattezza dei conteggi eseguiti da AGEA circa l'ammontare delle multe e, nel frattempo, procedere alla sospensione della riscossione delle fideiussioni bancarie, prevedendo, quindi, una proroga del termine del 30 settembre 2015 per il versamento della prima rata annuale, fino a quando non si sia accertata la correttezza dei calcoli. (5-06312)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è partita il primo di settembre la «Rete del lavoro agricolo di qualità» voluta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) e che punta a contrastare caporalato e altri fenomeni di irregolarità nel settore agricolo;
   a quel che prevede la legge (decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116), chi chiede l'adesione alla rete paradossalmente avrà meno controlli di chi ne resta fuori. A denunciare la «falla nel sistema» è Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil, a quattro giorni dall'attivazione della procedura di registrazione sul sito dell'Inps. Stando a quello che riporta anche il sito del Governo, possono fare richiesta le imprese agricole che non hanno riportato condanne penali o procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, che non sono stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui al punto precedente e che, infine, sono in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Tuttavia, tali requisiti non bastano per tener fuori dalla rete le aziende che sfruttano o che si rivolgono ai caporali. L'idea di una rete del lavoro agricolo di qualità è quella di dare una sorta di «bollino etico» alle aziende che desiderano aderire all'iniziativa. «La convenienza per le imprese è quella di avere un marchio di qualità, un valore aggiunto che le aziende possono spendersi nella commercializzazione. Quasi come un bollino etico». Tuttavia, il rischio è che il bollino non attesti realmente un lavoro di qualità sperato. «In realtà, la rete manca di contenuti nella misura in cui non dice cosa deve fare l'impresa per avere questo bollino – spiega Mininni –, perché i tre punti che prevedono l'iscrizione dicono che non devi aver avuto condanne penali, che non devi avere procedimenti, ma non dicono che devi essere in regola. Paradossalmente l'azienda della signora Paola Clemente (la bracciante agricola morta a 49 nelle campagne di Andria, ndr) potrebbe aderire perché formalmente era in regola». Non è tutto. Una volta entrati nella rete, le aziende hanno un ulteriore vantaggio: meno controlli, a discapito di chi non ha aderito. «È scritto nell'articolo 6 della legge 116 del 2014, al punto 6 – spiega Mininni –. La legge dice in maniera esplicita che, fatti salvi i controlli ordinari in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, tutti gli altri controlli saranno dirottati sulle imprese che non aderiscono alla rete»;
   tuttavia, il rischio di creare un «ombrello» protettivo sotto al quale vadano a rifugiarsi anche aziende non in regola è già stato segnalato al Ministro. «C’è un pericolo oggettivo – denuncia il segretario della Flai Cgil – e l'abbiamo segnalato nel vertice al Ministero. Il problema è che se fai partire questa rete dal primo settembre, tutte le imprese corrono ad iscriversi perché si beccano questo bollino gratis, mentre molte imprese devono pagare per avere la certificazione sugli alimenti, in questo caso ne avrebbero uno dal Ministero con la semplice iscrizione alla rete. Poi non avrebbero più i controlli se non quelli sulla sicurezza sul lavoro. Quindi diventa un ombrello protettivo per imprese come quella della signora Paola. Il rischio è che imprese che ancora violano le regole corrano ad iscriversi»;
   secondo le dichiarazioni, di Giovanni Mininni: «Martina, sull'onda della forte pressione, ha fatto partire in fretta e furia questa rete per dare una risposta, ma attenzione: manca ancora il pezzo fermo alla Camera che è il famoso collegato agricolo che dà alla rete una serie di poteri e funzioni che oggi non ha e che danno un ruolo di controllo maggiore su sfruttamento e caporalato. Addirittura potrebbero dare alla rete una funzione non dico di collocamento pubblico, ma di coordinamento dei luoghi della domanda e dell'offerta. Se in agricoltura esiste il caporalato è anche perché non c’è un collocamento e le imprese non sanno dove andare ad assumere i lavoratori. Glieli porta il caporalato». Tuttavia, ammette Mininni, anche il collegato agricolo non riuscirebbe a risolvere il problema dell'ombrello protettivo aperto anche su chi non se lo merita. «Bisognerebbe modificare il testo della legge», spiega Mininni, che chiede al Ministro controlli già a partire dall'iscrizione alla rete. «Abbiamo chiesto che, perlomeno nel primo anno, i controlli possano continuare ad essere fatti, anzi: a maggior ragione per chi viene certificato dall'Inps e dal Ministero – spiega Mininni –. Poi non basta l'espulsione dalla rete come dice la legge se l'imprenditore viene condannato penalmente, ma chiediamo che basti venir pizzicati ad utilizzare il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori, cioè la mancata applicazione dei contratti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità sollevate dal segretario della Flai-CGIL Giovanni Mininni e se voglia assumere iniziative per la modifica del testo legislativo circa la «Rete del lavoro agricolo di qualità» con le proposte suggerite in premessa, in modo che non si trasformi anche in un «ombrello» protettivo per le aziende che fino ad oggi hanno sfuggito i controlli e le relative sanzioni, ma in modo che la rete sia uno strumento che contrasti il caporalato grazie a maggiori controlli e strumenti di reperimento della manodopera per le aziende.
(5-06313)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ai consorzi di bonifica, incaricati dell'esercizio e della manutenzione delle opere pubbliche di bonifica, quali la sicurezza idraulica, la gestione degli impianti e delle reti irrigue e la tutela del patrimonio ambientale e agricolo, è assegnato un ruolo fondamentale nell'amministrazione e nella conservazione della risorsa idrica;
   i consorzi costituiti tra proprietari degli immobili che traggono beneficio dalla bonifica, come disposto dal regio decreto 13 febbraio 1933, n. 125, sono riconosciuti con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ai fini dello svolgimento dei compiti istituzionali;
   come è noto, in attuazione del regolamento (UE) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di fronteggiare una serie di problematiche di portata nazionale, ha predisposto un programma operativo nazionale di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 che riguarda, tra l'altro, la realizzazione di investimenti irrigui con una dotazione di circa 300 milioni di euro;
   a quanto risulta dall'interrogante, il Ministero non dispone di informazioni e dati utili a valutare l'efficienza dei consorzi ed eventuali criticità legate alla gestione degli stessi da parte dei consorziati e pertanto non è in grado di monitorare l'efficace utilizzo delle risorse finalizzate all'amministrazione della risorsa idrica;
   in alcuni territori le attività di bonifica e manutenzione delle opere pubbliche svolte dai consorzi sono valutate dalle comunità interessate assolutamente insoddisfacenti e, anche a fronte delle numerose pronunce della Corte di cassazione che legittima la richiesta di contributo solo con l'accertamento del concreto beneficio per singolo immobile, le polemiche ed i contenziosi riguardanti il pagamento delle quote consortili sono sempre più frequenti –:
   se non ritenga urgente intraprendere ogni utile iniziativa volta a garantire la valutazione e il monitoraggio dell'attività svolta dai consorzi di bonifica anche in considerazione delle ingenti somme previste per la gestione della risorsa idrica dal programma operativo nazionale di sviluppo rurale e, qualora siano state definite, quali siano le misure più rilevanti del Piano irriguo nazionale. (5-06314)


   RUSSO e FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 5 settembre, la regione Campania è stata interessata da un violento nubifragio che ha creato danni alla popolazione ed alle colture agricole;
   le province di Avellino e di Napoli, in particolare, sono state colpite da abbondanti chicchi di grandine di dimensione eccezionale, che hanno distrutto sia numerosi alberi di nocciole, i cui frutti non erano ancora maturi, che molte piantagioni di castagne, i cui raccolti per la prossima stagione, peraltro già sottoposti a dura prova negli anni scorsi a causa dei danni provocati dell'insetto cinipide galligeno, sono da considerarsi compromessi;
   i settori delle nocciole e delle castagne rappresentano entrambi, com’è peraltro noto, prodotti di assoluta eccellenza agricola del territorio campano, le cui produzioni, a causa delle straordinarie avversità meteorologiche di eccezionale intensità, hanno subito danni stimati al 70 per cento –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di tutelare le attività produttive e gli agricoltori campani coinvolti dal nubifragio esposto in premessa e se al riguardo non ritenga opportuno valutare l'opportunità, a seguito degli ingenti danni verificatisi con l'evento meteorologico in rassegna, di deliberare lo stato di calamità naturale in favore dei territori della regione Campania. (5-06315)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, CARRA, CENNI, COVA, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia l'obbligo di indicare la provenienza d'origine è in vigore, tra l'altro, per la carne bovina, per il pollo, il latte fresco, le uova, il miele, l'olio extravergine d'oliva, ma ancora molto resta da fare e l'etichetta è anonima per circa la metà della spesa dalla pasta, ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dai salumi al concentrato di pomodoro e ai sughi pronti;
   secondo i dati divulgati dalla Coldiretti nei giorni scorsi, dalle frontiere italiane passano ogni giorno 5 milioni di litri di latte sterile, concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani all'insaputa dei consumatori;
   inoltre tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia risulterebbero stranieri, così come la metà delle mozzarelle in vendita sarebbero fatte con latte o cagliate provenienti dall'estero senza che i consumatori lo sappiano perché non è obbligatorio indicarlo in etichetta;
   sempre secondo Coldiretti per ogni milione di quintali di latte importato 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura sono destinati a scomparire; nel 2015 la situazione è ulteriormente peggiorata a causa della diminuzione del prezzo pagato agli allevatori che non copre i costi di produzione con effetti devastanti sulla sopravvivenza delle poco più di 35.000 stalle italiane;
   la situazione è destinata ad aggravarsi con la diffida rivolta all'Italia dalla Commissione europea, su sollecitazione dell'associazione italiana delle industrie lattiero casearie (Assolatte), affinché nel nostro paese si ponga fine al vigente divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto storicamente dalla legge nazionale;
   il problema non riguarda solo latte e cagliate, dall'inizio della crisi le importazioni di prodotti agroalimentari dall'estero sono aumentate in valore del 28 per cento, si tratta di carne di maiale destinata a diventare prosciutto «italiano», cereali destinati a diventare pasta e riso spacciati per italiani, frutta e verdura tra cui il pomodoro fresco e i succhi di frutta venduti come italiani perché sulle etichette non è obbligatorio indicare l'origine ma solo il luogo di confezionamento dei prodotti;
   il Consiglio dell'Unione europea sull'agricoltura del 7 settembre 2015, ha proposto un pacchetto straordinario di aiuti d'emergenza da 500 milioni di euro a beneficio soprattutto del settore lattiero per assicurare liquidità alle aziende in crisi, stabilizzare i mercati e «garantire il corretto funzionamento della filiera», oltre alla possibilità per gli Stati membri di aumentare dal 50 al 70 per cento l'anticipo a ottobre dei pagamenti diretti Pac agli allevatori e un nuovo sistema di stoccaggio privato dei formaggi e delle carni;
   tuttavia, tra le richieste dell'Italia rimane al momento senza una risposta quella che chiede l'obbligo di etichettatura d'origine dei prodotti alimentari –:
   quali misure, a partire dal Piano latte e dalla proposta attuativa della Commissione dell'Unione europea da approvare nel Consiglio europeo di martedì prossimo, il Ministro intenda sostenere per contrastare le pratiche sleali e tutelare il reddito dei produttori lattiero caseari in una fase in cui i prezzi di mercato non remunerano i costi medi di produzione. (5-06316)


   SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura e il settore agroalimentare italiano rappresentano una parte fondamentale dell'economia italiana, parliamo di 2 milioni di imprese, del 9 per cento del Pil italiano (14 per cento considerando anche l'indotto), di 3,2 milioni di lavoratori nella filiera (il 14 per cento degli occupati italiani) e, non ultimo aspetto, un contributo della filiera all'Erario pari a 25 miliardi di euro di imposte;
   non dimentichiamoci, inoltre, che è una componente strategica essenziale del Made in Italy di qualità e il suo sviluppo sui mercati interni ed internazionali è un elemento determinante per la crescita del Paese;
   le politiche governative in questi anni di crisi economica hanno visto, in una prima fase, un aumento dei tagli destinati al settore agricolo che hanno messo in ginocchio un'agricoltura già tormentata da tanti problemi;
   tra i tagli ricordiamo l'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 che ha soppresso, a partire dal 1o gennaio 2014, tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali, tra le quali le agevolazioni per l'acquisto di terreni agricoli in zone montane, ad eccezione della piccola proprietà contadina; la riforma Fornero che ha rideterminato, con effetto a partire dal 1o gennaio 2012, le aliquote contributive pensionistiche di finanziamento e di computo dei lavoratori coltivatori diretti, mezzadri e coloni iscritti alla relativa gestione autonoma dell'INPS, aumentandole gradualmente fino al 2018 e eliminando la differenza finora applicata tra le zone «normali» e quelle «svantaggiate» o montane. A ciò si aggiunge un aumento delle incombenze burocratiche a carico del settore agricolo, come, a titolo di esempio, l'obbligo dei produttori agricoli in regime di esonero IVA a comunicare annualmente le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dal decreto Crescita del Governo Monti. Inoltre la legge di stabilità per l'anno 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 711) ha disposto l'aumento dell'IVA sui pellet dal 4 al 22 per cento e la decurtazione del gasolio agricolo agevolato;
   successivamente si è aperta, opportunamente, una seconda fase della politica governativa riguardo alla crisi del settore agricolo;
   è stato emanato il decreto-legge n. 51 del 2015, che è intervenuto con misure urgenti per risolvere alcune problematiche agricole: prima di tutto nel settore lattiero caseario che sta passando da un sistema contingentato di produzione ad un sistema completamente liberalizzato, per il quale si richiedevano misure di transizione morbide che sono state adottate. Il provvedimento contiene poi interventi di sostegno anche per altri settori agricoli, quali quello olivicolo-oleario, con la costituzione di un apposito Fondo, dotato di 4 milioni di euro per il 2015 e di 14 milioni per ciascuna delle annualità riferite al 2016 e 2017, sempre in questo settore sono stati stanziati fondi per le imprese danneggiate dalla xylella fastidiosa, infatti è stata incrementa la dotazione del Fondo di solidarietà in agricoltura di 1 milione per il 2015 e di 10 milioni per il 2016. È stata anche inserita la possibilità di accesso agli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale per le imprese che hanno subito danni a causa di eventi alluvionali o di avversità atmosferiche. Il fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura ha visto un aumento globale della sua dotazione, per un importo pari a 250.000 euro per il 2015 e a 2 milioni per il 2016;
   è in corso di esame in questa Camera un disegno di legge recante: «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura», approvato dal Senato, che affronta il problema del riordino e della semplificazione della normativa in materia anche prevedendo l'adozione del codice agricolo entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, strumento di cui il settore ha enormemente bisogno al fine di portare chiarezza nella normativa vigente;
   da notizie stampa (Sole 24 Ore) si apprende che il dossier tax expenditure del commissario alla spending review Yoram Gutgeld conterrebbe alcuni tagli individuati – a carico del settore agricolo. Si parla di una nuova revisione dell'accisa sul gasolio agricolo e della cancellazione degli sconti sui trasferimenti di terreni a coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali. Si parla anche della soppressione del regime di esonero per i piccolissimi imprenditori agricoli sotto i 7.000 euro che spesso coltivano terreni con alte pendenze in zone di montagna e che avrebbe conseguenze devastanti per chi già fatica in un contesto economico-sociale difficile e favorirebbe il dissesto idro-geologico –:
   se il Governo non intenda proseguire nella strada ormai intrapresa del sostegno al settore agricolo, smentendo queste notizie di rigorosi e significativi tagli nei confronti dell'agricoltura, unica vera attività economica rimasta trainante per il nostro Paese, valutando, in tale ottica, di ripristinare le agevolazioni per l'acquisto di terreni agricoli in zone montane, di ridurre l'Iva sui pellet e di rivedere la decurtazione applicata al gasolio agricolo agevolato. (5-06317)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI, SANI, OLIVERIO, DONATI e CAPOZZOLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella laguna di Orbetello nella seconda metà di luglio 2015 si è verificata una grave morìa di pesci, a causa di processi batterici e anossigenici favoriti dalle condizioni meteorologiche, con temperature elevate, che nell'acqua hanno raggiunto i 34 gradi centigradi provocando la morte di tonnellate di orate, di anguille, cefali e saraghi; il problema interessa tutti i 15 chilometri quadrati di oasi, ma è concentrato soprattutto a levante, dove si è prodotta una fermentazione di alghe tanto grande da privare l'acqua di ossigeno, generando così un batterio che può risultare tossico; la situazione è aggravata dal fatto che i processi di decomposizione – attivati da microrganismi, soprattutto funghi e batteri – conseguenti alla morìa di pesci determinano ulteriore consumo di ossigeno nelle acque;
   il fenomeno si è verificato nonostante siano state attivati tutti i provvedimenti utili a ridurre la temperatura dell'acqua: da giorni la laguna, dal versante di ponente a quello di levante, viene tenuta sotto stretta osservazione mediante sensori; è stato innalzato il livello di pompaggio delle acque marine che circondano l'Argentario e la Laguna di Orbetello; nei punti critici, sono stati realizzati interventi di insufflazione di ossigeno con battelli che operano costantemente in laguna; numerosi pescherecci e imbarcazioni delle associazioni ambientaliste, percorrono la laguna per favorire la formazione di correnti e disperdere il batterio generato dall'accumulo di alghe; da tempo, grazie al piano di gestione triennale della laguna, i competenti uffici della regione sono intervenuti costantemente nel bacino di Ponente – in cui giacevano 44.000 tonnellate di alghe concentrate in 400 ettari – riducendo il carico organico dei sedimenti dal 20 al 7 per cento e garantendo le migliori condizioni di balneazione nelle aree limitrofe;
   dopo la grave morìa di pesci, per limitare il danno, sono state fissate barre di contenimento per una lunghezza di circa 300 metri per evitare il passaggio del pesce morto dalla laguna di levante a quella di ponente, per concentrare e rendere agevole la raccolta di tonnellate di pesce in decomposizione; sono stati altresì installati quattro chilometri di rete da pesca per il contenimento e la delimitazione dell'area interessata dal fenomeno anossico, con l'ausilio delle barche dei pescatori, e delle associazioni con le quali è stata attivata prontamente una collaborazione; sono stati coinvolti anche il Corpo forestale dello Stato e i vigili del fuoco per l'emergenza ambientale e la raccolta del pesce in putrefazione, smaltito tramite una ditta specializzata;
   la laguna di Orbetello è stata interessata da problemi analoghi anche in passato: nel 1986 e nel 1994 – come segnalato da Mauro Lenzi, biologo del comitato scientifico della laguna – ci sono state morie di pesci per effetto del processo chimico che porta alla creazione di idrogeno solforato dalle alghe, e la riduzione dell'ossigeno sottomarino; ma in passato era stato generato da formazioni di alghe di dimensioni molto maggiori di quelle attuali; in questa stagione il problema sembra sia stato determinato da circa 600 ettari di alghe, e da un insieme di fattori che hanno creato una situazione critica «anomala» di anossia, con temperature troppo alte che hanno bruciato ossigeno in misura ben superiore ai valori medi della stagione, che di solito sono compensati dall'ecosistema, in passato costantemente monitorato dal laboratorio della laguna, chiuso dopo i tagli dell'università di Siena e del Monte dei Paschi;
   la moria di pesci ha generato una situazione di crisi senza precedenti per la pesca nella laguna; se la temperatura permane elevata, tutte le specie sono a rischio, in particolare quelle pregiate, come le orate, le più sensibili ai cambiamenti climatici; i danni per il settore sono elevatissimi, e comprendono anche i costi sostenuti per contribuire allo smaltimento dei grandi quantitativi di pesce morto;
   la laguna di Orbetello, tra le poche aree umide salmastre ancora presenti in Italia costituisce un ambiente di elevato interesse ecologico; la fauna ittica della laguna di Orbetello è un patrimonio da tutelare; ma, in particolare, le acque lagunari sono una fonte importante di reddito per le popolazioni dell'area per la fiorente itticoltura, che si è sviluppata anche grazie all'introduzione di nuove tecniche di riproduzione e di pesca ad elevata produttività ma che conservano l'equilibrio tra le popolazioni ittiche e un'interazione positiva fra attività produttiva ed ecosistema ambientale;
   gli eventi climatici estremi – prima considerati eccezionali, e ora ricorrenti – rendono necessario stanziare ed erogare congrue risorse per interventi necessari al piano di gestione di tutta la Laguna e per la prevenzione di tali eventi; tali risorse devono essere disponibili in tempi brevi e per questo devono essere escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e dell'ordinanza del sindaco relativo allo stato di emergenza e di calamità naturale, emanata in accordo con la regione e la provincia, anche in considerazione del rilievo sovracomunale e dell'urgenza del problema;
   se non ritengano per i rispettivi ambiti di competenza, di dover prontamente intervenire sul territorio della laguna di Orbetello, che appartiene al demanio dello Stato;
   quali urgenti iniziative intendano assumere per procedere, in tempi rapidi, mediante le strutture territoriali competenti e d'intesa con le associazioni imprenditoriali, alla valutazione e all'indennizzo dei danni subiti da tutto il settore, della itticoltura, della pesca e del commercio ittico, anche in considerazione della riduzione, documentata, del reddito conseguente alla sospensione delle attività del settore nel periodo di crisi;
   se non si ritenga di valutare l'ipotesi di assumere iniziative volte a ricostituire un laboratorio della Laguna, con una struttura dedicata alla ricerca scientifica e al monitoraggio costante dell'ecosistema della laguna e un tavolo permanente di confronto e di proposta per la pesca e l'acquacoltura. (5-06284)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 30 luglio 2015 il direttore generale dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha inviato una nota formale all'onorevole Giorgia Meloni, parlamentare della Repubblica nonché presidente del partito politico Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale;
   nella nota l'ufficio contestava alla parlamentare il contenuto di un'intervista dalla stessa resa al giornale on line stranieriinitalia.it il 29 giugno 2015, affermando di ritenere «che una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisca un sollecito ed adeguato processo di integrazione e coesione sociale»;
   infine, la nota si chiudeva con la raccomandazione alla parlamentare «di voler considerare per il futuro, l'opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore»;
   di fatto, la nota inviata all'onorevole Meloni rappresenta un vero e proprio atto di censura rispetto a delle dichiarazioni rilasciate da una semplice cittadina cui la nostra Carta fondamentale riconosce la libertà di manifestazione del proprio pensiero, prima ancora che da una parlamentare liberamente eletta e ulteriormente tutelata dall'articolo 68 della Costituzione;
   egualmente grave appare l'invito rivolto alla parlamentare a dire agli italiani cose reputate più accettabili da un ufficio del Governo –:
   se non si ritenga di adottare le iniziative disciplinari di competenza rispetto al dirigente che ha redatto la nota e se non si ritenga di rivedere le funzioni dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, alla luce del fatto che alcune delle competenze ad esso attribuite sono istituzionalmente già assegnate ad altri organi, quali la magistratura per quanto attiene all'attività d'inchiesta e alle denunce di presunte violazioni e la scuola per quanto attiene all'integrazione sociale. (3-01687)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 162 del 10 giugno 2014 la Corte costituzionale ha ammesso alle fecondazione eterologa le coppie eterosessuali sterili alle quali questa procedura di procreazione medicalmente assistita era precedentemente vietata dalla legge n. 40 del 2004;
   nel caso di sterilità femminile, la fecondazione eterologa richiede che gameti femminili siano messi a disposizione da soggetti esterni alla coppia;
   il reperimento dei gameti femminili può essere teoricamente ottenuto ricorrendo ad ovociti prelevati in sovrannumero da altre donne, donati poiché non utilizzati durante procedure di procreazione medicalmente assistita omologa e crioconservati (cosiddetto egg-sharing);
   la possibilità di egg-sharing è tuttavia limitata al momento, oltre che dal numero di ovociti in sovrannumero disponibili, anche dalla scarsa diffusione delle tecniche di crioconservazione dei gameti femminili;
   ovociti per la fecondazione eterologa prodotti ad hoc, cioè indipendentemente dalle procedure di fecondazione omologa, possono altresì essere ottenuti da donazione o acquistati dietro pagamento;
   al di fuori dell'ambito familiare, la donazione di gameti, è resa però problematica dalla «indaginosità» ed invasività della procedura;
   la donna donatrice, infatti, al pari delle donne che ricorrono per sé stesse alla fecondazione omologa, deve sottoporsi a stimolazione ormonale ovarica della durata di un paio di settimane, a controlli ecografici e a un intervento chirurgico in anestesia, con evidente impegno psicologico e rischi per la salute e talora per la vita stessa (come accaduto nel 2015 ad una donna morta a Bari);
   la direttrice del Centro di procreazione medicalmente assistita di Bologna, professoressa Eleonora Porcu, ha dichiarato di recente a Il Messaggero Veneto: «a mia conoscenza non ho appreso che ci siano state gravidanze da eterologa ottenute in strutture pubbliche con il contributo di donatori volontari»;
   per quanto riguarda l'acquisto, invece, esso è giustamente vietato nel nostro Paese, al pari di ogni altra forma di commercio di parti o di costituenti del corpo umano;
   essa, infatti, lungi dall'essere una donazione, si configura poco o tanto come uno sfruttamento del bisogno di donne in condizioni più o meno disagiate;
   in data 18 febbraio 2015 tale divieto è stato esplicitamente ribadito dal Ministero della salute in risposta ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione affari sociali, presentata dall'interrogante (n. 5-04762);
   in tale occasione il Sottosegretario Vito De Filippo dichiarava che «ai sensi della legge 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 12, comma 6, “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. La normativa italiana non prevede distinzioni, fra forme commerciali e non, di maternità surrogata, sanzionando indistintamente ogni percorso che porti a questo tipo di gravidanza su commissione. Allo stesso modo, in forma del tutto analoga a quanto avviene per donazione di sangue ed organi, per la cessione di cellule e tessuti umani destinati a uso clinico, il quadro normativo italiano prevede la totale gratuità (legge n. 91 del 1999; decreto legislativo n. 191 del 2007, articolo 12, comma 1), escludendo anche forme di rimborso spese, e consentendo eventualmente anche assenze giustificate dal lavoro, in forma del tutto analoga»;
   il Sottosegretario De Filippo dichiarava anche che «il Ministero della salute è impegnato, altresì, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali e in coerenza con la tradizione solidaristica del nostro Paese, a combattere ogni forma di sfruttamento del corpo umano e delle sue distinte parti anatomiche, con particolare attenzione per la procreazione umana, dove donne e bambini possono diventare soggetti grandemente vulnerabili»;
   va inoltre rammentata la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2005, in cui si condanna il commercio degli ovociti umani, considerato una forma di sfruttamento commerciale della maternità;
   esiste peraltro in rete un'ampia offerta di ovociti a pagamento da parte di centri privati di riproduzione assistita, forse non sufficientemente contrastata (vedasi ad esempio il sito http://uteroinaffitto.com/servizi/costi);
   con una gara europea indetta a aprile 2015, con scadenza del bando il 22 maggio 2015, la regione Friuli Venezia Giulia ha inteso superare il problema del reperimento dei gameti ricorrendo a centri di riproduzione esteri;
   allo scopo la regione ha stanziato 400 mila euro per 12 mesi, con l'obiettivo di effettuare circa un centinaio di interventi;
   tenendo conto che, secondo la relazione 2015 del Ministero della salute sullo stato di applicazione della legge n. 40 del 2004, soltanto uno su sei dei cicli di fecondazione artificiale porta alla nascita di un bambino, se ne ricava che saranno necessari 24.000 euro in media, solo per l'acquisto dei gameti necessari a far nascere un figlio con la fecondazione eterologa;
   si tratta di una cifra che, se rapportata a tutto il territorio italiano, equivarrebbe a 20 milioni di euro, senza ovviamente tener conto di tutti i costi richiesti nella procedura, di quelli per la diagnostica, per l'assistenza e per le giornate lavorative perdute per una gravidanza oggettivamente a rischio;
   al bando di gara hanno risposto manifestando il loro interesse sei istituti esteri che contano anche una banca per la conservazione dei tessuti. Il gruppo più numeroso è quello iberico, Paese scelto da anni da molte coppie per la fecondazione eterologa;
   tutti gli istituti hanno dichiarato di raccogliere gameti esclusivamente da donatori volontari consapevoli e non remunerati;
   al termine dei lavori, la commissione di valutazione delle risposte al bando di gara ha rilevato che, ad eccezione di un centro ateniese, tutti gli altri sono in possesso dei requisiti di ammissione per appositi accordi di fornitura, mentre l'Ente per la gestione accentrata dei servizi condivisi (Egas, di Udine) ha approvato gli atti di gara, certificando che gli istituti individuati hanno le caratteristiche previste e dando il via libera all'azienda sanitaria per l'instaurazione dei singoli rapporti di collaborazione per la fornitura dei gameti;
   scorrendo in internet, tuttavia, si può constatare che i centri spagnoli, per esempio, costituiscono un vero e proprio cartello, con costi per chi vuole una donazione di ovuli tra i 4.000 (come ha pagato il Friuli Venezia Giulia) e i 6.500 euro con siti che favoriscono la scelta tra i diversi centri (per esempio, http://www.reproduccionasistida.org) e addirittura con l'indicazione degli sconti e delle offerte promozionali effettuate da ciascun centro, tutto con evidenti fini di lucro;
   in tali siti non vi è peraltro alcuna evidenza della gratuità nelle «donazioni» degli ovociti dei quali si propone l'acquisto;
   non essendovi evidenze documentate di maggiore propensione a forme di altruismo a rischio della salute personale nei Paesi europei, non si comprende per quali ragioni, se non per denaro, una donna spagnola o ceca dovrebbe essere disponibile, a differenza delle donne italiane, a prestarsi gratuitamente a un prelievo di ovociti sempre molto oneroso e potenzialmente anche pericoloso;
   se invece le «donatrici» straniere per l'eterologa friulana fossero state retribuite dai centri esteri privati fornitori dei gameti, magari sotto forma di un rimborso spese, si determinerebbe un aggiramento della legislazione italiana, pervenendo surrettiziamente all'acquisto di parti del corpo umano e allo sfruttamento del corpo di donne bisognose –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare con quali strumenti sia stata accertata la presunta gratuità delle donazioni dei gameti acquistati all'estero dalla regione Friuli Venezia Giulia e per quali motivo si sia fatto ricorso a centri privati che della riproduzione assistita hanno fatto un lucroso business. (3-01678)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 è stata disposta dalla regione Calabria, con il decreto n. 18 del 2010 emanato per il riordino della rete ospedaliera, della rete di emergenza e urgenza e della rete territoriale, la trasformazione in punto di primo intervento rafforzato dell'ospedale di Trebisacce «Chidichimo»;
   in seguito alla suddetta decisione il comune ha adito le vie legali per ottenerne il ripristino della funzionalità complessiva e garantire alla popolazione residente la fruizione di un diritto e di un servizio pubblico essenziale costituzionalmente garantito e tutelato dall'articolo 32 della Costituzione, che testualmente recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (...)»;
   nonostante ciò, la sentenza di primo grado del tribunale amministrativo regionale ha negato il diritto alla salute mediante la trasformazione in punto di primo intervento rafforzato dell'ospedale;
   la vicenda, dopo l'esito sfavorevole del primo grado, è proseguita in appello dinnanzi al Consiglio di Stato;
   alla fine di aprile 2015, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del comune di Trebisacce contro la trasformazione dell'ospedale in punto di primo intervento rafforzato;
   nonostante ciò la funzionalità dell'ospedale non è stata ripristinata;
   il commissario ad acta Scura continua ad osteggiare la riapertura, seppure parziale, del «Chidichimo»;
   sono già trascorsi più di quattro mesi dalla data del pronunciamento del Consiglio di Stato che ha sentenziato la riapertura del «Chidichimo». Nonostante ciò il commissario ad acta sta violando il principio del rispetto dello Stato di diritto poiché si rifiuta di dare attuazione alla sentenza, incurante del suo dovere di garantire il rispetto di quanto stabilito dal supremo organo della giustizia amministrativa, così da garantire alle popolazioni dell'Alto Jonio i livelli minimi di assistenza e la necessaria assistenza sanitaria nelle condizioni di emergenza ed urgenza;
   le considerazioni espresse dal commissario ad acta, che si riportano testualmente: «Siete quattro gatti, potete curarvi a Policoro in 20 minuti, a Taranto in un'ora e a Bari in un'ora e mezza, voi non avete bisogno di un ospedale», oltre che inopportune, sono intrise di semplici e sommarie valutazioni politiche che non spettano e non competono all'ufficio del commissario, chiamato ad applicare la legge, garantire i livelli essenziali di assistenza e, soprattutto, le emergenze-urgenze nelle zone disagiate, così come prevede anche il Patto per la salute 2014/2015, oltre che ripianare il debito;
   per consentire al Ministro interrogato un'attenta valutazione dei fatti e dei diritti, si ritiene utile ricordare gli elementi salienti della vicenda;
   la regione Calabria ha l'obbligo di garantire l'assistenza sanitaria ospedaliera ai propri cittadini e i livelli essenziali di assistenza, sia con riferimento alle emergenze-urgenze, che al numero di posti letto per aree geografiche determinate. Nella zona jonica il rapporto di 1,3 posti letto per 1.000 abitanti è inferiore a quello regionale e nazionale;
   il distretto sanitario cui appartiene Trebisacce, è costituito da 17 comuni di cui 9 montani con circa 60.000 abitanti. Le strade di collegamento alla statale jonica sono impervie e tortuose e, soprattutto d'inverno, rendono il traffico particolarmente difficile; i comuni sono situati a pettine rispetto alla strada statale 106 che d'estate, per i noti problemi di traffico e pericolo, non consente un flusso veloce;
   la distanza dei comuni dagli ospedali spoke calabresi più vicini, escluso i comuni di Trebisacce, Villapiana, Cassano e Francavilla, è superiore ad un'ora di viaggio. L'indicazione dell'ospedale spoke di Policoro, quale presidio più vicino che consentirebbe le cure urgenti, è da ritenersi artificioso e pretestuoso, peraltro più distante dai comuni a sud. La regione Calabria, allo stato, ha l'obbligo di garantire cure sanitarie ospedaliere nel proprio territorio;
   la programmazione sanitaria di altre regioni è ininfluente, prescindendo, naturalmente, da futuri accordi, allo stato inesistenti. Tanto viene sancito anche dalla sentenza del Consiglio di Stato (si confronti pagina 18 della sentenza n. 2151 del 2015). Infatti, in caso di emergenza, il servizio 118 ha l'obbligo di ricoverare i pazienti presso gli ospedali calabresi e non di altre regioni;
   il riferimento al numero di abitanti per distretto è stato inopportuno, perché se così fosse, escluso quello di Cosenza, tutti gli ospedali dovrebbero essere chiusi. Tutti i bacini degli ospedali spoke attivi sono sotto i 60.000 abitanti. Peraltro, a seguito di precedenti sollecitazioni, il commissario per Trebisacce dichiara che il proprio decreto n. 9 del 2015 non può essere modificato, mentre poi per altre realtà, con bacini d'utenza inferiori, prevede il potenziamento dell'esistente. Con ciò riconoscendo implicitamente e contraddittoriamente le legittime aspettative degli altri territori, si vogliono solo evidenziare le contraddizioni e le pretestuosità di Scura;
   la conferenza Stato-regioni, nel prevedere i presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, stabilisce i presupposti e prevede il tempo massimo di percorrenza dal pronto soccorso più vicino di 60 minuti o di 90 minuti all'ospedale spoke o hb. In tale contesto per confutare le fumose e confuse cognizioni del commissario, si ritiene utile precisare che l'ospedale di zona disagiata è possibile prevederlo, oltre che in presenza di distanze superiori ai 60 minuti, quando l'area, ove sono situati i comuni, sia geograficamente ostile e disagiata, tipicamente montana o premontata, con collegamenti di rete viaria complessa e conseguente dilatazione dei tempi, peraltro senza alcun elisoccorso. Tali presupposti per Trebisacce e l'Alto Jonio-Sibaritide sussistono tutti, per cui le deduzioni del commissario sono errate e difformi anche dalla legge. La zona disagiata non necessariamente deve trovarsi in montagna o deve nevicare d'inverno;
   la mobilità passiva, al contrario di quanto dichiarato dal commissario Scura, è chiaramente aumentata, rispetto agli anni in cui l'ospedale di Trebisacce non aveva subito la suddetta trasformazione. La differenza è di quasi 1,8-2 milioni rispetto a tali anni. La mobilità passiva dell'area nord Calabria costa alla regione Calabria circa 20 milioni all'anno, che possono essere investiti a Trebisacce e Praia, per drenare l'emigrazione sanitaria. Solo Trebisacce nel 2013 ha registrato 3.059 casi di ricovero extraregione, comportando una spesa di euro 10.907,516, superiore al costo dell'intero ospedale attivo. Pur volendo ridurla del 50 per cento perché non riuscirebbe in ogni caso a frenare integralmente la migrazione sanitaria, sarebbe maggiore di euro 5.000.000 e dunque superiore al costo dell'ospedale di zona disagiata. Anche la differenza rispetto agli anni in cui Trebisacce non era stato trasformato, è di circa euro 3.800.000 (dati ufficiali asp). Come si vede, Scura interpreta erroneamente anche i propri dati. Peraltro negli anni in cui era aperto non si è fatto mai nulla per potenziarlo e ciò ha provocato una riduzione dei ricoveri appropriati;
   il commissario Scura richiama futuri ed inesistenti servizi (ospedale Sibaritide ed elisoccorso da costruire). Intanto la gente muore. L'ultima vittima per mancanza di cure urgenti è della sera del 27 agosto 2015. Il ricovero a Rossano ha solo certificato il decesso di una giovane donna. Scura ha solo una visione urbanocentrica della sanità, marginalizzando e penalizzando i centri periferici, che hanno maggiore necessità di servizi;
   il commissario sembra voler anestetizzare le capacità intellettive dei cittadini facendo promesse che erano proprie della vecchia politica, promettendo di aprire la Casa della salute, che, anche nel caso in cui fornisse dei buoni servizi, non potrebbe mai soddisfare le emergenze-urgenze e pensando di poter garantire in questo modo servizi territoriali efficienti, dimenticando però di programmarli per la Calabria;
   si pensa di poter risolvere i problemi con l'elisoccorso, che però già ora viene limitato nei voli, proprio per le ingenti spese di funzionamento. Tali argomentazioni peraltro sono state bocciate anche dal Consiglio di Stato nella richiamata sentenza, che intima alla regione di predisporre il piano delle rete ospedaliera sull'esistente e non su ciò che deve essere ancora costruito;
   il commissario Scura non tiene conto della sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, con la quale è stato annullato il decreto n. 18 del 2010 e tutti gli atti presupposti connessi e consequenziali alla trasformazione dell'ospedale di Trebisacce. In uno stato di diritto le sentenze devono essere applicate e Scura si sta sottraendo volontariamente all'esecuzione di un giudicato giurisdizionale, configurando anche un'ipotesi di reato ai sensi dell'articolo 650 del codice penale. Il relativo giudizio di ottemperanza è stato già deliberato e avviato;
   il pronto soccorso con divisioni e servizi minimi ed essenziali, al contrario di quanto ritiene il commissario, non è pericoloso ma è necessario per salvare vite umane. Si pensi che attualmente al punto di primo intervento di Trebisacce, con carenza di mezzi e uomini, sono state effettuati quasi 10.000 interventi in un bacino invernale di 60.000 abitanti che d'estate si quadruplicano, peraltro a ridosso di un'importante e pericolosa strada (strada statale 106), dove spesso si verificano incidenti gravi e mortali;
   per ribadire la fattibilità, così come prevede la legge, per l'attivazione dell'ospedale di zona disagiata e di confine in rete con l'ospedale spoke di riferimento, si ricorda che la pianta organica prevede il pronto soccorso con divisione medica di appoggio di 20 posti letto, una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi day surgary, un pronto soccorso con medico dedicato all'emergenza-urgenza integrato nella struttura del dea di riferimento, più i servizi di diagnostica, per un totale di circa 20 medici più infermieri. Nel caso di specie a Trebisacce già lavorano 12 medici che devono essere integrati con 4 anestesisti (già previsti), 4 chirurghi e infermieri, già in parte in servizio, per cui economicamente l'importo sarebbe limitato a non più di euro 2.000.000 annui per il personale, che totalmente costerebbe 7-8 milioni annui. Per il ripristino delle sale operatorie, vi è già un progetto esecutivo dell'asp con fondi esistenti, ex articolo 20 della legge n. 67 del 1987. In proposito vi è anche la disponibilità eventuale dei comuni a farsi carico degli oneri per il ripristino delle due sale operatorie;
   dalle considerazioni fatte emerge chiaramente un ostracismo da parte del commissario Scura, una volontà di non applicare la legge e, fatto ancor più grave, ad eseguire una sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato. È chiara la difficoltà del commissario a gestire e programmare la sanità in Calabria, che copre l'80 per cento del bilancio regionale. Peraltro allo stato non ha raggiunto alcun obiettivo, se non quello di creare tensione continua tra i cittadini e le istituzioni comunali in tutta la Calabria. Cosa ancora più grave, non consente al presidente della regione legittimamente eletto di dettare le linee di indirizzo programmatiche in materia di sanità. Basti pensare alla possibilità di prevedere tre cardiochirurgie a Reggio Calabria, lasciando altri territori e province senza servizi sanitari ospedalieri;
   in merito alle dichiarazioni riportate circa il numero esiguo di abitanti di un'area importante della Calabria, peraltro attraversata da primarie e pericolose vie di comunicazione, offensive e che denotano limiti culturali e gestionali, così come l'inopportuno invito a ricoverarsi a Policoro, anziché attivare e potenziare i presidi ospedalieri calabresi che sanno di provocazione e di insulto, si reputa oltraggioso consentire ad un organo dello Stato di esprimere tali frasi davanti ad organi istituzionali eletti e rappresentativi di cittadini o pensare di programmare la distribuzione di presidi sanitari escludendo bacini limitati di abitanti, dal momento che anche i 60.000 cittadini dell'Alto Jonio cosentino-Sibaritide godono del diritto sancito, come già ricordato, dall'articolo 32 della Costituzione che Scura dovrebbe conoscere ed attuare;
   il commissario ha dato prova di non conoscere la geografia e le esigenze dei cittadini, distorcendo anche l'interpretazione della legge, ma cosa ancor più grave è cambiare idea a giorni alterni; infatti il 2 giugno 2015, proprio in occasione della visita all'ospedale di Trebisacce, disse che era stato un errore chiudere Trebisacce e chiese alla dirigenza dell'asp di preparare un piano di riordino della rete ospedaliera, inserendo Trebisacce in rete con Castrovillari. Ciò è stato ribadito anche in altre circostanze. Non ultimo l'incontro con i vertici dell'asp del 6 agosto 2015 in cui il commissario ha chiesto di modificare la proposta prevedendo per Trebisacce l'ospedale di zona disagiata o di confine, come risulta da atto formale protocollato, in rete con Castrovillari per poi cambiare nuovamente opinione addossando ad altri responsabilità che sono sue proprie;
   non si comprende se ci si trova innanzi a strategie predeterminate o dovute ad altri fattori esterni ancora sconosciuti;
   la Calabria, come tutte le regioni italiane, deve garantire il diritto alla salute ai propri cittadini, indipendentemente dal numero e dal luogo dove sono residenti;
   ciò è dimostrato dal fatto che la stessa struttura commissariale nel redigere il piano operativo 2013/2015 ha previsto, proprio la riconversione in ospedale di zona disagiata o di confine di Trebisacce e Praia, in considerazione del fatto che sulle due coste nord, ionica e tirrenica, non sussistono ospedali, da attivare anche per frenare l'emigrazione sanitaria verso altre regioni e garantire l'assistenza ospedaliera ai residenti –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire il rispetto della sentenza del Consiglio di Stato per ripristinare immediatamente il funzionamento dell'ospedale. (3-01679)


   CALABRÒ, DORINA BIANCHI, BINETTI e ROCCELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il fenomeno della medicina difensiva è dilagato in tutti i Paesi europei, compresa l'Italia, e richiede iniziative, non più procrastinabili, volte al suo contenimento anche in considerazione dei rischi che esso può comportare per la salute dei cittadini; basti pensare al frequente ricorso a prestazioni diagnostiche non necessarie o inappropriate;
   il suddetto fenomeno, oltre alle problematiche sopra indicate relativamente alla salute dei cittadini, comporta un rilevante impatto sulla spesa pubblica a carico del servizio sanitario nazionale; in particolare, con specifico riguardo all'Italia, si stima una spesa di circa 10 miliardi di euro all'anno;
   il Ministro interrogato, con proprio decreto del 26 marzo 2015, ha istituito, presso il Ministero della salute, la commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, presieduta dal professor Guido Alpa, al fine di fornire allo stesso Ministero un idoneo supporto per l'approfondimento delle tematiche in questione e l'individuazione di possibili soluzioni, anche normative;
   la Commissione XII affari sociali ha elaborato, il 5 agosto 2015, una proposta di testo unificato delle abbinate proposte di legge già all'esame della medesima Commissione, recante «Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario»;
   la citata commissione consultiva ministeriale, in data 6 agosto 2015, ha elaborato, a conclusione dei propri lavori, un documento recante apposite proposte per la risoluzione delle principali criticità connesse al fenomeno della medicina difensiva –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di tradurre le proposte elaborate dalla commissione consultiva sopra citata, in disposizioni normative, di pronta e tempestiva attuazione, al fine di porre definitivo rimedio, mediante un regime giuridico organico e chiaro, alle criticità segnalate in tema di medicina difensiva.
(3-01680)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Banca del sangue cordonale di Sciacca (di seguito BSCS) dell'azienda sanitaria provinciale di Agrigento è l'unica struttura della regione siciliana destinata alla raccolta delle unità di sangue cordonale donate in modo volontario, anonimo e gratuito per l'impiego nel trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (CSE) come fonte alternativa al midollo osseo per i pazienti in età adulta e pediatrica che mancano di donatori HLA compatibili nell'ambito familiare;
   la BSCS in questi ultimi tre anni ha realizzato un percorso di adeguamento strutturale, tecnologico e organizzativo alle normative e ai più recenti standard nazionali e internazionali. Sono state acquisite le seguenti certificazioni: UNI EN ISO 9001:2008 relativamente al campo applicativo «Gestione della banca del sangue cordonale: erogazione del servizio di preparazione e disponibilità delle cellule staminali emopoietiche (CSE) per le attività di trapianto»; dal 2014 OHSAS 18001:2007, per quanto riguarda il sistema di «Gestione della sicurezza»; dal 2014 UNI EN ISO 9001:2008, relativamente al campo applicativo «Manutenzione e assistenza tecnica sugli impianti destinati alla gestione di banche criogeniche»;
   la BSCS è parte integrante della Rete nazionale italiana delle banche di sangue cordonale (ITCBN) che, istituita con decreto del Ministero della salute del 18 novembre 2009, risulta composta da 19 banche ubicate in 13 regioni italiane partecipanti attivamente alla composizione dell'inventario nazionale;
   tutte le attività di richiesta e di cessione ai centri trapianto sono mediate dallo sportello unico del registro italiano dei donatori di midollo osseo (IBMDR – Italian Bone Marrow Donor Registry);
   in data 2 febbraio 2015, Prot. MTDIR n. 23/15, l'Azienda sanitaria provinciale di Agrigento comunica che: «che l'area di stoccaggio della banca del sangue cordonale di Sciacca (BSCS) è conforme a quanto stabilito nelle “Linee guida per la sala criobiologica di un Istituto dei Tessuti” emesse dal centro nazionale trapianti in data 6 novembre 2014 riguardo la garanzia della sicurezza dei lavoratori addetti, del materiale conservato e dei dati clinici, biologici e di identificazione/tracciabilità»;
   gli ispettori del Centro nazionale sangue e del Centro regionale trapianti, insieme ai corrispettivi regionali hanno ispezionato la Banca del sangue cordonale quattro volte (nel 2008, 2012, 2013 e 2015) senza mai riscontrare criticità tali da interrompere l'attività di raccolta, processazione e stoccaggio delle unità di sangue cordonale;
   in data 7 agosto 2015 dall'azienda sanitaria provinciale di Agrigento è stato inviato all'Istituto superiore di sanità il resoconto definitivo in relazione ad alcune dichiarazioni di non conformità, comunicate con nota CNT 2251 e CNS 1134 del 23 giugno 2015, riguardo all'accesso ispettivo del 15 maggio 2015;
   la definizione di quest'ultimo passaggio è necessario per inserire nel sistema gestionale dell'IBMDR più di 200 unità di sangue cordonale di «elevata qualità», idonee, caratterizzate in maniera completa, con alta cellularità e con approfondimenti che le rendono ancor più funzionali alla buona riuscita del trapianto e alla cura dei pazienti (ad esempio valutazione del HLA locus C, HTLV I/II) in modo da renderle disponibili per il trapianto di pazienti con leucemia le unità di sangue cordonale idonee raccolte dalla BSCS;
   tra gli obiettivi prioritari del BSCS vi è quello di garantire la volontà delle donatrici siciliane di aiutare i pazienti affetti da leucemia e permettere nella migliore delle maniere l'erogazione del LEA, ai sensi dell'articolo 5, comma 12, della legge 21 ottobre 2005, n. 219 –:
   quali siano le iniziative per le parti di competenza, che intende intraprendere per rendere, nel più breve tempo possibile, pienamente operativa la Banca del sangue cordonale di Sciacca. (5-06285)


   BECATTINI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fibromialgia è una sindrome che colpisce in Italia circa 2 milioni di persone caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso cui si associano spesso disturbi dell'umore e in particolare del sonno, nonché astenia, ovvero affaticamento cronico;
   l'Organizzazione mondiale della sanità già dal 1992 ha riconosciuto l'esistenza di questa sindrome, tuttavia solo parte dei Paesi europei ha aderito e tra questi non figura l'Italia;
   il Parlamento europeo in una dichiarazione nel 2008, in considerazione del fatto che la fibromialgia non risulta inserita nel registro ufficiale delle malattie nell'Unione europea e che questi pazienti effettuano numerose visite generiche e specialistiche, ottengono un rilevante numero di certificati di malattia e ricorrono spesso ai servizi di degenza, con un notevole onere economico per l'Europa, invitava la Commissione europea ed il Consiglio a mettere a punto una strategia comunitaria in modo da riconoscere la fibromialgia come malattia e ad incoraggiare gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti;
   il riconoscimento della fibromialgia risulta particolarmente disomogeneo anche sul territorio nazionale: a fronte dell'assenza della patologia nel nomenclatore del Ministero della salute: le province autonome di Trento e Bolzano hanno già riconosciuto la sindrome permettendo ai malati di godere di una relativa esenzione delle spese sanitarie e di avere maggior riconoscimento in sede di determinazione di invalidità civile; la regione Veneto ha riconosciuto questa patologia nel nuovo piano socio-sanitario regionale come malattia ad elevato impatto sociale e sanitario;
   a causa di quanto sopra descritto e dell'eterogeneità del quadro clinico che caratterizza la patologia, i pazienti fibromialgici incontrano rilevanti difficoltà nel riconoscere il proprio stato di salute, dovendosi tra l'altro sottoporre, sopportandone interamente le spese, a numerose visite specialistiche (neurologiche, psicologiche, gastroenterologiche, dermatologiche e remautologiche);
   conseguentemente per la società questi soggetti sono considerati semplicemente «malati immaginari» e subiscono sovente discriminazioni in ambito lavorativo, non riuscendo a trovare o a conservare una stabile occupazione a causa della patologia;
   l'emarginazione che questi pazienti subiscono, a causa del disinteresse che la comunità mostra nei loro confronti, si traduce pertanto in un'esclusione dal contesto sociale, avvicinando molti di essi alla depressione;
   a parere dell'interrogante quanto sopra riportato parrebbe violare il fondamentale principio di cui all'articolo 3 della Costituzione, oltre a recare un grave pregiudizio al diritto alla salute tutelato dall'articolo 32 ed al diritto al lavoro di cui agli articoli 1,4, 35 e 38 della Carta fondamentale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente e doveroso accertare quanto riportato in premessa e porre in essere iniziative al fine di riconoscere la fibromialgia come patologia invalidante e di elaborare protocolli di diagnosi e cura specifici coperti dal servizio sanitario nazionale;
   se non si ritenga necessario promuovere campagne di informazione volte a favorire la comprensione di questa patologia da parte dei cittadini. (5-06286)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, CANCELLERI, LUPO, MANNINO, D'UVA, MARZANA, VILLAROSA e NUTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Il Sole 24 ore del 23 luglio 2015 riporta la seguente notizia:
    alla regione siciliana nel 2011 fu assegnato un appalto per venticinque milioni di euro per riorganizzare la spesa sanitaria regionale che incide per il 71 per cento sulle entrate correnti dell'ente regionale;
    ad aggiudicarsi l'appalto fu un raggruppamento d'imprese formato da Kpmg Advisor e da Pricewaterhouse Coopers Advisor, che avrebbe dovuto realizzare un sistema di monitoraggio del servizio sanitario regionale e formare personale;
    l'organo di vigilanza interno della regione siciliana ha sollevato dubbi se siano state seguite correttamente le procedure di aggiudicazione triennale dell'appalto e il suo rinnovo per altri due anni alle stesse imprese;
    la Corte dei Conti siciliana nella requisitoria del 3 luglio 2015 del procuratore generale Diana Calaciura Traina afferma che la spesa sanitaria del 2014, sempre per funzioni obiettivo, risulta pari a 9 miliardi 508 milioni di euro con un aumento di circa 615 milioni, rispetto all'omologo dato del 2013;
    fonti vicine alle società aggiudicatarie sostengono che all'interno delle aziende sanitarie e ospedaliere siciliane vi siano forti resistenze ad accettare un cambiamento di regole;
    il comma 5 dell'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 prevede che: «Le regioni determinano preventivamente, in via generale, i criteri di valutazione dell'attività dei direttori generali, avendo riguardo al raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale, con particolare riferimento alla efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi sanitari. All'atto della nomina di ciascun direttore generale, esse definiscono ed assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi»;
    il comma 6 dell'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 indica che: «Trascorsi diciotto mesi dalla nomina di ciascun direttore generale, la regione verifica i risultati aziendali conseguiti e il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 5 e, sentito il parere del sindaco o della conferenza dei sindaci di cui all'articolo 3 comma 14, ovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2-bis, procede o meno alla conferma entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine. La disposizione si applica in ogni altro procedimento di valutazione dell'operato del direttore generale, salvo quanto disposto dal comma 7»;
    il comma 7 dell'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 indica tra le altre cose come: «Quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, la regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvede alla sua sostituzione»;
    il comma 567 della legge di stabilità, legge 23 dicembre 2014 n. 190, stabilisce che: «l'accertamento da parte della regione del mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali costituisce per il direttore generale grave inadempimento contrattuale e comporta la decadenza automatica dello stesso»;
    quanto affermato dal procuratore generale della Corte dei Conti siciliana appare in contrasto con la relazione sul rendiconto della regione siciliana, nella quale si sostiene che siano stati ridotti gli squilibri della sanità;
    la gara per i servizi erogati da Kpmg Advisor e da Pricewaterhouse Coopers Advisor è stata finanziata al 95 per cento dal Ministero della salute e dal 5 per cento dalla regione siciliana; è stata, poi, aggiudicata per 13,5 milioni di euro, con un ribasso del 36 per cento, con un contratto triennale a partire dal 14 febbraio 2011;
    da documenti in possesso del Sole 24 ore si afferma che «l'attività di progettazione degli strumenti e delle metodologie delle analisi dei dati per il governo del sistema può dirsi conclusa», invece la regione siciliana riaffida alle stesse imprese la continuazione dei lavori;
    questa seconda fase dei lavori che dovrebbe concludersi nel 2016 non viene assegnata con una gara ex novo, ma con il principio di «ripetizione di servizi analoghi», in definitiva con una procedura negoziata senza bando;
   il decreto-legge del 12 aprile 2006, n. 163, codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, all'articolo 57 «Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara», comma 5, prevede nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, che la procedura ivi prevista è consentita alle seguenti condizioni:
    a) il valore complessivo stimato dei contratti aggiudicati per lavori o servizi complementari non superi il cinquanta per cento dell'importo del contratto iniziale;
    b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario;
   il parere dell'ANAC (parere di precontenzioso n. 5 del 29 luglio 2014 – rif. PREC 228/13/L decreto legislativo n. 163 del 2006 articoli 122, 57 – codici 122.1, 5) riguardante anche l'articolo 57 del decreto-legge del 12 aprile 2006, n. 163 recita: «(....) In caso di procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, la stazione appaltante non dispone di insindacabile discrezionalità nella scelta dei soggetti da invitare, dovendo procedere nel rispetto dei princìpi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza (...) –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda descritta, con particolare riguardo alle modalità di affidamento dei servizi di cui in premessa in considerazione del cospicuo finanziamento erogato dallo Stato;
   se, nell'ambito delle attività di verifica sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, sia stato valutato se il costo dei servizi delle imprese Kpmg Advisor e Pricewaterhouse Coopers Advisor abbia appesantito il bilancio della spesa sanitaria siciliana, anche alla luce di quanto sottolineato dalla Corte dei Conti siciliana nella sua requisitoria del 3 luglio 2015;
   da quale fondo del Ministero dalla salute siano stati attinti gli stanziamenti di cui in premessa e quale ne sia l'esatto ammontare;
   da quale fondo del Ministero della salute siano stati attinti gli stanziamenti di cui in premessa e quale ne sia l'esatto ammontare. (5-06294)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diversi articoli di stampa apparsi a partire dal 22 agosto 2015, si è appreso che, in una delle sale operatorie dell'Ospedale Santa Caterina Novella di Galatina, comune tra i più popolosi della provincia di Lecce, durante un intervento chirurgico, un medico avrebbe utilizzato la torcia di un telefono cellulare per illuminare il campo operatorio, in assenza della lampada scialitica principale;
   pare infatti che la lampada scialitica di una delle sale dell'ospedale, ovvero il dispositivo che illumina il campo operatorio e genera un fascio luminoso uniforme per evitare ombre, sia rotta da almeno quattro anni, e che i medici siano costretti ad utilizzarne una portatile non idonea, specie in caso di interventi complessi;
   proprio per ridurre al massimo le zone d'ombra ed ottenere quindi l’«effetto scialitico», si sarebbe fatto ricorso alla luce di uno smartphone, come testimonierebbero alcune foto scattate durante un intervento eseguito prima dell'estate;
   dal giorno in cui la stampa ha riportato la notizia, si sono susseguite conferme e smentite. Molte e spesso contrastanti sono state le ricostruzioni del fatto fornite dai presunti protagonisti, dai testimoni e dal management della struttura ospedaliera, della asl e della regione –:
   se il Ministro non ritenga di acquisire elementi sui fatti riportati dalla stampa e chiarire cosa sia avvenuto nella circostanza specifica riportata in premessa, verificando quali e quante luci siano funzionanti e quali e quante sale operatorie siano a norma nell'ospedale di Galatina e, in caso di conferma del non funzionamento, da quanto tempo vengano effettuati interventi senza il rispetto dei protocolli previsti;
   se il Ministro non ritenga di estendere la verifica anche ad altre strutture della sanità pugliese, onde accertare il rispetto delle norme di sicurezza, dei protocolli operatori e, più in generale, dei livelli essenziali di assistenza. (4-10245)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa ha previsto un piano di conversione dei contratti relativi agli sportellisti dei propri uffici da part-time a full-time per il 2015 per un totale di 480 conversioni;
   tali conversioni sono state previste attraverso due slot, con decorrenza rispettivamente dal primo di luglio 2015 e da settembre 2015;
   in entrambe le finestre alcune regioni ad alta densità abitativa annovereranno nell'arco del 2015 un numero esiguo di conversioni;
   per la regione Veneto sono state previste conversioni per un numero di cinque unità nel primo slot e di ventisei nel secondo per un totale di trentuno, in quantità modeste per il numero di sportellisti presenti nell'area regionale e rispetto alle carenze di organico lamentate da numerosi uffici attraverso le associazioni sindacali;
   alcune regioni italiane, tra le quali il Veneto, hanno più volte sollecitato l'azienda Poste Italiane a rendere più strutturato l'organico degli uffici ed in particolare degli addetti agli sportelli; nel piano di conversione del 2015 si nota poco equilibrio tra numero di conversioni ed ambiti territoriali, a discapito di alcune regioni maggiormente popolose e con una rete di uffici e servizi estremamente diffusa e capillare;
   il piano di conversioni da part-time a full-time attuato da Poste Italiane nel biennio 2013-2014 che ha coinvolto ben 1.940 conversioni ha visto anche in questa occasione il mancato equilibrio tra numero di unità lavorative coinvolte e densità della popolazione/numero uffici presenti nelle varie regioni d'Italia;
   nel piano conversioni del biennio sopracitato il Veneto ha visto realizzarsi solamente 116 conversioni, contrariamente alle aspettative del territorio e dei vari uffici di zona –:
   se intenda acquisire elementi in ordine ai criteri con i quali siano avvenute le scelte e la ripartizione delle conversioni da part-time a full-time per gli sportellisti nelle diverse regioni e se intenda assumere iniziative per quanto di competenza, affinché Poste Italiane ripristini un equilibrio verso le regioni maggiormente popolate e con una rete capillare di uffici postali che sono state coinvolte solo marginalmente dall'aumento della capacità di organico attraverso stabilizzazioni o conversioni di contratti. (5-06288)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, PELLEGRINO, MELILLA, DURANTI, SCOTTO, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una indagine del Centro studi sistema Cna ha rilevato che nelle Marche il 47,4 per cento delle imprese che hanno promosso vendite in saldo hanno registrato fino al mese di agosto 2015 una diminuzione di fatturato rispetto alle vendite dell'estate precedente;
   si registra un aumento delle vendite grazie ai prezzi scontati solo per il 15,8 per cento delle aziende commerciali, mentre appare costante la riduzione della propensione alla spesa delle famiglie soprattutto nel settore moda;
   il 44 per cento delle imprese segnala l'intenzione di ridurre il personale impiegato, dato che si somma al 53,3 per cento del 2014;
   la crisi economica nelle Marche ha portato alla chiusura di 1.500 imprese commerciali contro 956 nuove aperture, per un saldo negativo di 544 aziende –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per rilanciare i consumi interni. (5-06296)


   GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Nestlè-Perugina è un'azienda che rappresenta la storia industriale della città di Perugia e dell'Umbria e una delle realtà imprenditoriali più significative per la regione, nonché un punto di riferimento per l'occupazione e l'intera economia del territorio;
   Perugina è un marchio storico dei prodotti dolciari italiani: l'azienda alimentare, specializzata nel settore della produzione di cioccolato e nella produzione e vendita di prodotti dolciari, venne fondata a Perugia il 30 novembre 1907 da Francesco Buitoni, Annibale Spagnoli, Leone Ascoli e Francesco Andreani che costituirono la «Società Perugina per la fabbricazione dei confetti». Successivamente arrivarono i prodotti da raccolta e dall'iniziale laboratorio artigianale si passò, nel 1913, al primo stabilimento situato alla periferia della città;
   la ripresa post-bellica dei consumi seguita dal boom economico accentuò l'idea di trasformare il cioccolato da prodotto da regalo in un vero e proprio prodotto alimentare; tra il 1953 ed il 1962 la produzione nazionale duplicò e quella di Perugina quintuplicò, rendendo inadeguato il vecchio stabilimento. Nel 1963 iniziò l'attività produttiva dell'attuale stabilimento di San Sisto (PG);
   la crisi petrolifera del 1973, l'inflazione, il peso degli oneri finanziari incisero sull'evoluzione societaria: alla Ibp (Industrie Buitoni Perugina), una sorta di holding familiare con un peso preponderante della famiglia Buitoni, successe nel 1985 la CIR di Carlo De Benedetti con l'obiettivo di creare una global corporation alimentare. Il mondo politico ed industriale ostacolò l'inglobamento della Sme, società che accorpava le partecipazioni pubbliche in campo alimentare, ed impedì al progetto di decollare. Di fronte alla prospettiva di ripiegare su mercati di nicchia, l'industriale preferì nel 1988 cedere la proprietà del gruppo alla Nestlè;
   oggi Perugina costituisce la divisione dolciari della Nestlè Italiana e nello stabilimento di San Sisto si producono importanti marchi quali Baci, Perugina, Nero Perugina, Latte Perugina, Ore Liete, Rossana e Galak esportati in 55 Paesi con circa 300 milioni di pezzi venduti ogni anno;
   attualmente lo stabilimento della Perugina Nestlè di San Sisto impiega circa mille dipendenti (di cui 860 nei livelli produttivi) che dal 1o settembre dello scorso anno sono in contratto di solidarietà della durata di ventiquattro mesi;
   questo contratto di solidarietà è stato ottenuto dai dipendenti dopo un lungo confronto della dirigenza Nestlè con Confindustria ed i sindacati a seguito dell'annuncio dell'azienda di volere la cassa integrazione per 867 unità dello stabilimento dolciario di San Sisto, a causa della forte contrazione dei consumi dovuta all'attuale crisi economica, con conseguente riduzione dei volumi produttivi e delle commesse;
   nello specifico, l'accordo sottoscritto prevede l'apertura del contratto di solidarietà per tutto l'anno per i profili intermedi, impiegati e quadri, con un impiego mensile medio del 25 per cento e con un tetto massimo individuale mensile del 50 per cento. Per gli altri profili l'attuazione del contratto di solidarietà è demandato alla stipula del calendario di lavoro che, come tutti gli anni, dovrà circoscrivere il periodo di curva bassa dello stabilimento; anche per questi, nei mesi in cui sarà attuato il contratto di solidarietà vige il tetto massimo individuale del 50 per cento;
   nei mesi scorsi le rappresentanze sindacali unitarie hanno denunciato agli organi di informazione il preoccupante calo della produzione, la dismissione di produzioni perché considerate troppo costose e fuori mercato, la perdita di commesse, i mancati investimenti in nuovi prodotti e tecnologie, la mancata assunzione di lavoratori stagionali anche nei periodi di picco dell'attività produttiva, il ricorso da parte dell'azienda agli ammortizzatori sociali e ai contratti di solidarietà per sopperire al calo della produzione;
   da notizie apparse sulla stampa si è appreso che i sindacati hanno definito la situazione allo stabilimento di San Sisto della Perugina Nestlè «drammaticamente pesante» e la rappresentanza sindacale unitaria ha annunciato in una nota di essere stata informata che le previsioni per il 2015 dei volumi produttivi saranno ulteriormente in calo rispetto all'anno precedente e, «per la prima volta nella storia della fabbrica, si assesteranno ben al di sotto delle 25.000 tonnellate». Per il sindacato l'azienda subirà un «forte calo di lavoro», sommato alle «varie perdite avute negli ultimi anni». La rappresentanza sindacale ha ribadito con forza che «esistono tutte le condizioni per un rilancio della Perugina e dei suoi marchi, quello che però manca è l'impegno concreto da parte di Nestlè»;
   a febbraio 2015 la presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, e il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, hanno incontrato l'amministratore delegato della multinazionale Gianluigi Toia, il direttore generale della divisione dolciaria Corrado Castrovillari e il direttore dello stabilimento di San Sisto François Pointet che hanno annunciato che «in un contesto di mercato domestico difficile, il Gruppo Nestlé sta lavorando ad un piano industriale e commerciale finalizzato al rilancio della produzione e alla crescita sostenibile del business nel lungo periodo, a garanzia della continuità occupazionale nella fabbrica di San Sisto»;
   a distanza di sei mesi, tuttavia, le organizzazioni sindacali sono tornate a denunciare che ancora una volta «il silenzio della Nestlé è ormai intollerabile e la vertenza adesso sfocia in un vero e proprio stato di agitazione che chiamerà in causa anche il ministero dello sviluppo economico. Abbiamo ancora un anno di solidarietà – hanno ribadito – ma questo non ci deve far stare tranquilli, il contratto di solidarietà non è la soluzione del problema, ma un semplice tampone. Adesso è il momento di pensare al futuro della Perugina, altrimenti tra un anno ci troveremo a ragionare su tagli da lacrime e sangue»;
   il piano della Nestlé prevedeva l'esubero di 220 lavoratori al termine della solidarietà e i sindacati hanno evidenziato come «visto che i volumi produttivi continuano a calare, il timore è che se non ci sarà un repentino cambio di tendenza, gli esuberi possano anche aumentare». Da qui la paura di dove fronteggiare almeno 300 tagli. Per questo le organizzazioni sindacali hanno deciso di proclamare lo stato di agitazione e di avanzare la richiesta, al Ministero dello sviluppo economico, di convocazione di un tavolo di crisi;
   a seguito di tali istanze, il Ministero dello sviluppo economico il 27 agosto 2015 annunciato che la situazione dello stabilimento Nestlè Perugina di San Sisto sarà fra gli argomenti al centro dell'incontro istituzionale promosso con la multinazionale Nestlè per esaminare le prospettive produttive del gruppo in Italia;
   in replica ad un'interpellanza urgente presentata dall'interrogante lo scorso mese di febbraio (interpellanza n. 2-00841), l'allora viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, aveva già annunciato la volontà di aprire un tavolo ministeriale per affrontare la vertenza Perugina-Nestlè, tavolo che, tuttavia, non ha mai visto la luce –:
   a fronte di ciò e delle pesanti conseguenze che un possibile ridimensionamento dello stabilimento di San Sisto comporterebbe in un territorio quale quello umbro già marcatamente colpito dalla crisi industriale in atto, quali iniziative i Ministri interrogati abbiano messo in atto in relazione alla vertenza Perugina-Nestlé per salvaguardare un'azienda vitale per il tessuto produttivo cittadino e regionale, evitando il temuto ridimensionamento dello stabilimento di San Sisto e la delocalizzazione dell'attività produttiva, con conseguenti ricadute economiche, sociali e occupazionali preoccupanti a sei mesi dalla discussione della interpellanza presentata dalla sottoscritta. (5-06303)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, con atto di sindacato ispettivo n. 5-04731, dell'11 febbraio 2015, ha richiesto provvedimenti affinché non fosse consentito a Poste Italiane spa di procedere, unilateralmente, alla chiusura di una moltitudine di uffici postali in Friuli Venezia Giulia così come annunciato dalla società rispetto alla fase attuativa di un nuovo piano aziendale. Si temeva il danno che sarebbe stato inflitto ai cittadini ingiustamente privati di un adeguato servizio pubblico essenziale, in particolare, nelle zone territoriali considerate svantaggiate come quelle di montagna. Al riguardo, l'interrogante, nell'opporsi alle annunciate chiusure, ha richiesto una preventiva e necessaria concertazione di Poste Italiane spa con gli enti locali interessati, prima di disporre provvedimenti che potessero incidere sui cittadini;
   in data 16 aprile 2015, alla predetta interrogazione, ha dato risposta il sottosegretario di Stato allo sviluppo economico che, nonostante il riscontro insoddisfacente fornito, ha quanto meno garantito che «Poste Italiane avrebbe coinvolto fin da subito Regioni e Comuni (attraverso le rispettive associazioni) nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare – ha riferito il, sottosegretario – l'azienda si è impegnata a spiegare come i servizi innovativi assicureranno la tutela del servizio universale per i cittadini»;
   tuttavia, nel mese di agosto 2015, si è appreso che Poste Italiane spa ha proceduto in Friuli Venezia Giulia alla chiusura di 16 uffici e in ben 45 comuni montani ha disposto le consegne soltanto a giorni alterni, non tenendo in considerazione le esigenze del territorio e adottando decisioni unilaterali senza trasparenza né dialogo con gli enti locali coinvolti;
   ad essere colpiti dalle conseguenze negative dei provvedimenti in questione sono soprattutto le zone di montagna, la cui notoria penalizzazione per quanto concerne i trasporti e la presenza di connessioni digitali, rende fondamentale l'adeguato funzionamento di quelli che sono considerati servizi essenziali, come è quello postale;
   quindi, mentre l'Anci minaccia di procedere con ricorso dinanzi al Tar contro la decisione della società, la comunità montana della Carnia ha dichiarato di volere riunire i sindaci dei comuni coinvolti, addirittura in 26 su 28, per poi confrontarsi con i comuni pordenonesi e valutare possibili forme di protesta e d'intervento contro Poste Italiane spa –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Ministro considerando che Poste Italiane spa sta cagionando un grave danno ai cittadini dei territori del Friuli Venezia Giulia interessati dalle chiusure degli uffici e dalla erogazione dei servizi postali soltanto a giorni alterni, così come esposto in premessa;
   se e quali iniziative intenda promuovere, per quanto di competenza affinché non sia consentito a Poste italiane di adottare decisioni unilaterali che coinvolgono i cittadini in assenza di una concreta concertazione con gli enti locali interessati, considerando che tale società presta un servizio pubblico essenziale ed ha un capitale detenuto al 100 per cento dallo Stato tramite il Ministero dell'economia e delle finanze. (5-06304)


   RICCIATTI, FRATOIANNI, FERRARA, SCOTTO, PLACIDO, AIRAUDO, PALAZZOTTO, COSTANTINO, MARCON, PAGLIA, DANIELE FARINA, QUARANTA, PIRAS, KRONBICHLER, ZARATTI, PANNARALE, DURANTI, SANNICANDRO, MELILLA e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Perugina è uno storico marchio della produzione dolciaria italiana. Fondata a Perugia nel 1907 è stata acquisita dalla multinazionale svizzera Nestlè nel 1988;
   l'azienda ha da sempre rappresentato una realtà economica significativa per il territorio umbro, sia sotto il profilo occupazionale – attualmente con oltre mille dipendenti – sia per l'indiscutibile prestigio del marchio;
   attualmente, in Umbria, la produzione è concentrata nello stabilimento di San Sisto, in provincia di Perugia;
   nel corso degli ultimi anni la produzione ha subito importanti perdite di volumi, con conseguenti ripercussioni sui livelli occupazionali;
   nel 2014, a seguito della previsione di esuberi per lo stabilimento perugino, Nestlè e la RSU hanno sottoscritto un contratto di solidarietà, in sede Confindustria, valido sino al 2016, al fine di scongiurare il rischio che gli esuberi dichiarati si trasformassero in licenziamenti;
   le organizzazioni sindacali ritengono che il calo dei volumi produttivi non dipenda esclusivamente dalla condizione di mercato, ma anche da scelte strategiche errate da parte della multinazionale svizzera, che ha nel corso del tempo ridimensionato il ruolo dello stabilimento nelle strategie del Gruppo;
   con l'approssimarsi del termine del 2016 ed in assenza di un cambio di rotta sui presupposti illustrati, i lavoratori, attraverso le rispettive rappresentanze sindacali, hanno sollevato l'allarme circa il futuro dello stabilimento;
   Nestlè, in risposta alle criticità ed agli allarmi citati, ha annunciato per lo stabilimento di San Sisto la fine dei contratti di solidarietà e volumi produttivi in linea con 2014, ribadendo l'impegno a sostenere lo sviluppo della fabbrica e «un piano di riposizionamento per favorire il rilancio delle produzioni, in uno scenario comunque negativo in termini di consumi» (Ansa, 31 agosto 2015);
   i sindacati, tuttavia, ritengono che al di là di tali dichiarazioni, volte a rassicurare i lavoratori, la Nestlè non stia mostrando alcun segnale concreto sul piano di rilancio per l'azienda, ed insistono per conoscere i dettagli del piano industriale;
   nel corso degli anni il settore ha subito una costante diminuzione degli stabilimenti e dei livelli occupazionali. Data l'assenza, ad oggi, di chiarimenti sul piano industriale per la Perugina, e in vista della scadenza degli ammortizzatori sociali prevista per il 2016, appaiono più che fondati i timori sul futuro dello storico marchio dolciario e sull'eventualità che l'azienda ridimensioni ulteriormente il ruolo produttivo dello stabilimento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno convocare i vertici del gruppo Nestlè al fine di ottenere chiarimenti sul piano industriale e sul ruolo che lo stabilimento Perugina di San Sisto sarà chiamato a ricoprire nelle strategie future del gruppo. (5-06310)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, SCOTTO, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Best Spa, con sede a Cerreto d'Esi (Ancona), è una società attiva nella produzione di cappe aspiranti per cucine domestiche. È stata fondata a Fabriano (Ancona) nel 1976, riuscendo, nell'arco di pochi anni, a posizionarsi come impresa innovativa nel settore. Nel 1995 la società è entrata a far parte del gruppo americano Nortek Inc., leader mondiale nel settore del trattamento dell'aria domestica;
   l'azienda contava sino a pochi anni fa circa 850 lavoratori, mentre oggi ne conta poco più di 200 concentrati nell'unico stabilimento di Cerreto d'Esi;
   la società Best è balzata agli onori della cronaca nel 2011 per aver smantellato senza alcun preavviso, durante il periodo festivo del primo di novembre, l'intero stabilimento sito in Montefano (Macerata), trasferendo attrezzature e macchinari nello stabilimento in Polonia del gruppo americano;
   il 2 settembre 2015 le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia dell'avviamento della procedura di licenziamento collettivo per 55 lavoratori dello stabilimento di Cerreto d'Esi, notizia che ha scatenato una dura reazione da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, che hanno proclamato uno sciopero immediato, protrattosi per tre giorni;
   il vertice aziendale, attraverso una nota del consigliere delegato Roberto Leo, ha smentito che la procedura di mobilità porterà alla chiusura del sito produttivo, ribadendo l'importanza fondamentale per le strategie della società, anche a livello di Gruppo, dello stabilimento di Cerreto d'Esi, e impegnandosi ad illustrare il progetto industriale nel corso della procedura prevista dalla legge (Ansa, 3 settembre 2015);
   Best spa ha subito è stata oggetto nell'ultimo triennio di tre riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali, con conseguenti esuberi per 160 lavoratori;
   nonostante le dichiarazioni del management, le organizzazioni sindacali hanno espresso la comprensibile preoccupazione dei dipendenti della Best – soprattutto in considerazione del precedente dello stabilimento di Montefano, che, come detto, fu smantellato e trasferito in una sola notte nel 2011 – chiedendo l'immediato ritiro della procedura di mobilità per i 55 lavoratori;
   in data 3 settembre 2015 le organizzazioni sindacali Cgil, Fiom, Cisl, Fim Cisl, Fiom, Uilm e Rsu sono state ricevute dall'assessore al lavoro della regione Marche Loretta Bravi, con l'impegno di convocare al più presto un tavolo di concertazione tra le parti interessate, al fine di scongiurare la procedura di mobilità;
   situazioni come quella che interessa la Best Spa, che purtroppo non rappresenta una eccezione, sono state segnalate in diverse occasioni dall'interrogante, con l'intento di denunciare una tendenza comune, per molte realtà produttive delle Marche, controllate da società multinazionali, a subire un progressivo smantellamento in favore del trasferimento delle produzioni in Paesi europei ed extraeuropei con un costo del lavoro più basso;
   la chiusura, così come l'eventuale depotenziamento dei livelli occupazionali della Best di Cerreto d'Esi sarebbe l'ennesimo colpo per dei territori che hanno visto erodere in modo significativo, negli ultimi anni, le proprie realtà produttive, vanto del Made in Italy –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato sulla vicenda illustrata in premessa, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali della Best spa;
   quali misure di politica industriale stia attuando – o intenda attuare – il Governo, più in generale, per invertire la tendenza del continuo ridimensionamento di importanti realtà produttive in Italia, controllate da società multinazionali e per rilanciare la loro funzione strategica. (5-06311)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, PELLEGRINO, MELILLA, DURANTI, SCOTTO, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 agosto 2015 la Guardia di finanza e l'Agenzia delle dogane di Ancona hanno proceduto al sequestro presso il porto di Ancona, in due diverse operazioni, di un ingente quantitativo di merce contraffatta, trasportato da due cittadini senegalesi provenienti dalla Grecia, consistente in portafogli e orologi per un valore stimato di 50.000 euro (Ansa, 21 agosto 2015);
   il porto di Ancona, per la sua posizione geografica, è un naturale punto di approdo di merci contraffatte provenienti da Grecia e paesi dell'area balcanica;
   nel corso degli ultimi mesi l'interrogante ha segnalato al Governo, attraverso atti di sindacato ispettivo, diversi episodi simili, chiedendo delucidazioni sulle attività di contrasto messe in atto dall'Esecutivo;
   in risposta ad una precedente interrogazione (risposta pubblicata l'8 aprile 2015 nell'allegato al bollettino in Commissione X, interrogazione n. 5-04643) il vice ministro dello sviluppo economico protempore ha evidenziato, tra le attività volte a contrastare il fenomeno della contraffazione, la predisposizione di un piano del Consiglio nazionale anticontraffazione che, tra le varie misure, prevede il rafforzamento dei presidi territoriali –:
   se il Governo non intenda fornire maggiori informazioni circa le attività di contrasto al fenomeno della contraffazione, specificando quali attività prevede il «piano nazionale anticontraffazione» per prevenire il fenomeno dell'importazione di merci contraffatte;
   quali misure si intendano adottare nell'ambito della priorità del piano suddetto denominata «rafforzamento idei presidi territoriali». (4-10241)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste Italiane presentato nel mese di febbraio 2015 prevedeva la chiusura di più di 500 uffici postali sul territorio nazionale, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici» senza considerare l'importanza che queste filiali rivestono per territorio, rappresentando dei veri e propri presidi;
   nonostante le alternative proposte dalle amministrazioni locali, le proteste della cittadinanza, le azioni portate avanti a livello parlamentare, la società Poste Italiane ha comunicato ufficialmente che dal 7 settembre molti uffici verranno chiusi;
   con la sentenza n. 332/2015, però, il Tar Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso proposto dal comune di Buja (Udine), annullando i provvedimenti con i quali Poste aveva chiuso gli uffici ubicati in due frazioni perché l'esigenza di risparmiare va tenuta in debito conto, ma non può prevalere sull'interesse pubblico allo svolgimento corretto del servizio universale e va rapportata alla situazione geografica e orografica dei singoli territori;
   nel ricorso, il comune ha in primo luogo eccepito il difetto di motivazione, in quanto Poste non ha risposto rispetto alla proposta alternativa di mantenimento degli uffici frazionali con apertura alternata. Contesta inoltre l'illogicità e il travisamento dei fatti, in quanto con la chiusura dei due uffici una intera parte del territorio comunale si trova sprovvista di presidi, con grande penalizzazione per i cittadini. Né Poste ha previsto un potenziamento dell'unico ufficio rimasto nel capoluogo. Infine, la scelta non è stata sostenuta da un'adeguata istruttoria né Poste ha spiegato il motivo di interesse pubblico di una decisione che danneggia così pesantemente la collettività;
   il Tar, in primo luogo, respinge le numerose eccezioni avanzate da Poste, basandosi anche sul fatto che questa, ancorché società per azioni, esercita un servizio pubblico per cui i suoi atti sono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo. Rispetto a questi atti si concretizza l'interesse del comune a ricorrere, essendo espressione della collettività e avendo un evidente interesse a che il servizio postale venga svolto nell'intero territorio comunale in modo consono alle esigenze dei cittadini;
   ancora più chiaramente, sostengono i giudici che il dato economico ma anche le distanze minime tra uffici indicate dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 «non possono essere considerati né come assoluti né come di automatica applicazione, ma vanno rapportati alla situazione geografica e orografica di alcune zone, onde raggiungere un equilibrio e un bilanciamento tra gli interessi degli utenti e quelli dell'azienda»;
   l'altro motivo addotto dal Tar Friuli per respingere le scelte di Poste deriva dalla circostanza che la società non ha preso in considerazione la proposta formulata dal comune di chiusura alternata degli uffici postali. I giudici non si spingono ad affermare che i due uffici postali non potessero essere legalmente soppressi, ma l'operazione doveva avvenire previa comparazione dei vari interessi, compresi quelli evidenziati dal comune nel ricorso, e comunque con una congrua motivazione e non con un mero richiamo alle disposizioni che per la loro generalità non potevano tener conto delle specifiche concrete situazioni;
   questa pronuncia del Tar dimostra la fondatezza delle ragioni addotte dai numerosi comuni che si stanno opponendo strenuamente alla chiusura degli uffici postali nei propri territori –:
   se, alla luce della recente pronuncia del Tar del Friuli Venezia Giulia da cui si evince che Poste Italiane sta portando avanti un piano di riorganizzazione in cui non viene tenuto debitamente conto dell'interesse pubblico allo svolgimento corretto del servizio universale, non ritenga doveroso assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sospendere definitivamente i provvedimenti di chiusura disposti a partire dal 7 settembre 2015;
   quali iniziative di competenza intenda mettere in atto affinché i territori, specie quelli periferici, non subiscano tagli nell'erogazione di servizi pubblici essenziali e gli abitanti non vengano privati di un presidio tanto importante per la comunità, come quello dell'ufficio postale. (4-10247)


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane SpA ha recentemente presentato il nuovo piano industriale che, tra l'altro, prevede la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione del servizio a giorni alterni per 609 uffici postali;
   il taglio lineare, così come previsto dal nuovo piano, avrà pesanti ripercussioni sulle comunità interessate che non disporranno più di quei servizi essenziali da sempre offerti dagli uffici postali;
   la razionalizzazione riguarderebbe in particolare nel Lazio 35 uffici postali con particolare incidenza nell'area della città metropolitana della capitale;
   in particolare è prevista la chiusura, in provincia di Rieti, degli uffici presenti nei comuni di Petrella Salto, Tarano, Rocca Sinibalda e nel Comune di Rieti, la posta del Monte Terminillo. Inoltre, nell'area metropolitana di Roma, chiuderanno gli uffici di Cretone, nel comune di Palombara Sabina e San Vittorino, nell'ambito del VI Municipio, di Agosta, Arcinazzo Romano, Casape, Cineto Romano, Jenne, Licenza, Mandela, Pisoniano, Riofreddo, Rocca Santo Stefano, Rocca Canterano e Roiate. Vedranno poi riduzioni importanti, nella provincia di Rieti, gli uffici di Fara Sabina, Configni, Famignano, Orvinio, Pozzaglia Sabina e Longone Sabina;
   il disagio, ancora una volta, riguarderà maggiormente le fasce deboli (anziani e meno abbienti), che avranno maggiori difficoltà a raggiungere i Comuni vicini che dispongono dell'ufficio postale; inoltre il piano non prevede aperture di nuovi punti di accesso al servizio «bancoposta» che potrebbero in qualche modo surrogare la scomparsa degli uffici, o limitare i disagi conseguenti alle riduzioni previste negli orari e nei giorni di funzionamento degli uffici postali –:
   quali interventi il Ministro in indirizzo intenda assumere per una diversa razionalizzazione del settore rispetto a quella prevista dal piano di Poste italiane;
   se intenda aprire con Poste italiane e con i rappresentanti delle associazioni degli enti locali un tavolo di concertazione per limitare al massimo le conseguenze di detto piano;
   se intenda intervenire per quanto di competenza per sollecitare Poste italiane a dotare ogni singolo ufficio postale di uno sportello di «bancoposta»;
   a valutare la sospensione della riorganizzazione degli uffici prevista nel suddetto piano fino allo svolgimento di un confronto con gli enti locali. (4-10251)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Crippa n. 5-05738, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Da Villa.

  L'interrogazione a risposta scritta Sorial n. 4-10141, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 agosto 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alberti, Cominardi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Vallascas n. 2-00729 del 24 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Fabrizio Di Stefano n. 4-10135 del 5 agosto 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Piccoli Nardelli n. 5-05136 del 25 marzo 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01675;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-08817 del 16 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01674.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   LUIGI DI MAIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel documento che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Ministro della semplificazione e pubblica amministrazione Marianna Madia hanno lanciato lo scorso 30 aprile sul sito web del Governo italiano dal titolo «Riforma PA: vogliamo fare sul serio», il punto 30) prevede «accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali»;
   secondo alcune autorevoli segnalazioni giunte al deputato interrogante e ribadite nel corso del convegno «Finanziare la cultura. Le risorse pubbliche necessarie, le risorse private possibili» organizzato dall'Associazione «Priorità Cultura» a Milano nella giornata di lunedì 12 maggio 2014 alla presenza del Ministro interrogato Franceschini e del Viceministro Casero, a causa del blocco totale del turn over, il Ministero per i beni e le attività culturali negli ultimi dieci anni ha perso oltre un terzo dei suoi impiegati (10.000 su 28.000 circa) e, al momento, non sono previste assunzioni;
   sempre secondo le medesime segnalazioni, l'età media dei dipendenti «superstiti» è 57 anni e ciò significa che nel giro di pochi anni il numero dei dipendenti continuerà a diminuire drasticamente;
   occorre, peraltro, sottolineare come nel corso degli ultimi anni le innovazioni normative hanno notevolmente aumentato i compiti delle soprintendenze, in concomitanza di un costante e inesorabile calo dei fondi nelle disponibilità del Ministero –:
   che cosa intendano il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati per «gestione manageriale» dei poli museali, visto il pauroso calo dei dipendenti e dei fondi destinati al Ministero per i beni e le attività culturali al quale abbiamo assistito negli ultimi anni;
   se il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati non ritengano che l'ulteriore accorpamento delle soprintendenze, anche alla luce dell'incremento delle loro competenze e dei tagli finanziari subiti negli ultimi anni, non renda ancora più difficoltosa l'attività di un Ministero che gestisce il patrimonio artistico più importante dell'umanità. (4-04832)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, fatto riferimento al documento «Riforma P.A.: vogliamo fare sul serio», pubblicato il 30 aprile 2014 sul sito web del Governo, sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi e dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, nel quale si prevede «accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali», chiede che cosa si intenda per «gestione manageriale» dei poli museali e se il Governo non ritenga che l'accorpamento delle soprintendenze, cui negli ultimi anni sono state incrementate le competenze e ridotte le risorse finanziarie, non renderà ancora più difficoltosa l'attività del Ministero.
  Come è noto, anche questa Amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica
(spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, contenente «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo».
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera
a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti.
  Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'Amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, non solo in linea con le misure già adottate con il decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (c.d. decreto
Art Bonus) ma anche in sintonia con le linee di riforma della pubblica amministrazione contenute nel documento del Governo, richiamato dall'interrogante.
  L'adeguamento ai numeri della
spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del Ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Allo scopo di risolvere il vero e proprio «ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, l'amministrazione periferica è stata ripensata, mantenendo, secondo quanto previsto dalla ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento.
  Sono state perciò adottate le seguenti misure: le direzioni regionali sono state trasformate in segretariati regionali del ministero dei beni e delle attività culturali, con il compito di coordinare tutti gli uffici periferici del Ministero operanti in ciascuna regione, riconoscendo il ruolo amministrativo di tali uffici, tutti dirigenziali di II fascia, senza però sovrapporsi alle competenze tecnico-scientifiche delle soprintendenze; la linea di comando tra amministrazione centrale e soprintendenze è stata ridefinita e semplificata: le soprintendenze archeologiche sono ora articolazioni periferiche della relativa direzione centrale; quelle miste, belle arti e paesaggio, lo sono della relativa direzione. Nel rispetto della distribuzione territoriale, vengono quindi accorpate le soprintendenze per i beni storico-artistici con quelle per i beni architettonici, come già avveniva in diversi casi e come già era e rimarrà al centro, con una sola direzione generale; l'amministrazione dei beni archivistici è stata razionalizzata e sono state meglio definite e arricchite le funzioni della direzione generale archivi, nonché quelle delle soprintendenze archivistiche e degli archivi di Stato; l'amministrazione delle biblioteche è stata razionalizzata, da un lato, mantenendo l'autonomia scientifica degli istituti indipendentemente dalla loro natura dirigenziale, ferma restando la vigilanza della direzione generale Biblioteche e istituti culturali; la collegialità delle decisioni sul territorio è rafforzata nel comitato di coordinamento regionale, presieduto dal segretario regionale e composto dai soprintendenti, che diviene il luogo in cui sono assunte le decisioni un tempo adottate dalla direzione regionale, come la dichiarazione e la verifica di interesse culturale.
  Un punto dolente dell'amministrazione dei beni culturali in Italia è sempre stata la sottovalutazione dei musei: privi di effettiva autonomia, erano tutti, salvo casi sporadici e non legati a un disegno unitario, articolazioni delle soprintendenze e dunque privi di qualifica dirigenziale. La riforma ha inteso mutare radicalmente questo aspetto, assicurando al contempo il mantenimento del legame dei musei con il territorio e con le soprintendenze e fatte salve le prioritarie esigenze di tutela e dell'unitarietà del patrimonio culturale della Nazione. I musei archeologici e le aree archeologiche, ad esempio, fatta eccezione delle due soprintendenze speciali per Roma e per Pompei, sono divenuti articolazioni dei poli museali regionali, ma dipendono funzionalmente anche dalla direzione generale archeologia, che definisce le modalità di collaborazione con le soprintendenze archeologia, anche ai fini delle attività di ricovero, deposito, catalogazione e restauro dei reperti.
  La riforma ha operato, anche, un intervento più innovativo e determinante, atteso da tempo, che cambia strutturalmente la presenza dello Stato e l'organizzazione delle strutture del Ministero, e che ha riguardato la distinzione tra i compiti di tutela e di valorizzazione. A seguito della riforma del Ministero le soprintendenze si occuperanno di tutela del territorio, laddove la valorizzazione del patrimonio, ovvero dei musei e dei luoghi della cultura dello Stato, viene affidata, sulla scia del modello francese, alla direzione generale musei, che non è mai esistita in Italia, ai poli museali regionali, che avranno il compito di coordinare, rafforzare e valorizzazione la presenza dei musei, e, infine, ai musei dotati di autonomia speciale.
  Pertanto, sono state previste le seguenti misure: è stata istituita una nuova direzione generale musei, cui sono stati affidati, tra gli altri, i compiti di attuare politiche e strategie di fruizione a livello nazionale, di favorire la costituzione di poli museali anche con regioni ed enti locali, di svolgere i compiti di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura; è stata conferita a due soprintendenze speciali e a venti musei la qualifica di ufficio dirigenziale, riconoscendo così il massimo
status amministrativo ai musei di rilevante interesse nazionale; sono stati creati i poli museali regionali, articolazioni periferiche della direzione generale musei, incaricati di promuovere gli accordi di valorizzazione previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio e di favorire la creazione di un sistema museale tra musei statali e non statali, sia pubblici, sia privati; tutti i musei sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e di un proprio statuto, in linea con i più elevati standard internazionali; le due soprintendenze speciali e i venti musei di livello dirigenziale hanno anche autonomia contabile.
  I musei sono stati divisi in due grandi categorie di cui la prima rappresentata dai musei autonomi, e la seconda da tutti gli altri. I 20 musei autonomi avranno autonomia contabile ed amministrativa e, in base ad una norma contenuta nel ricordato decreto-legge
Art Bonus (l'articolo 14, comma 2-bis), potranno essere governati da direttori scelti mediante una selezione pubblica, trasparente ed internazionale, attualmente in corso, per scegliere le massime professionalità oggi operanti nel campo, a livello non soltanto nazionale ma anche internazionale. Questi 20 musei, infatti, saranno diretti da dirigenti, in alcuni casi anche di livello generale.
  Si tratta di un cambiamento sostanziale, dato che, ad oggi, i musei statali erano semplici uffici alle dipendenze della soprintendenza. Ad eccezione dei poli museali di Roma, Firenze, Venezia e Napoli, anche grandi musei come la pinacoteca di Brera non erano altro che un ufficio dipendente dalla soprintendenza e diretto da un funzionario; questo valeva anche per la Galleria degli Uffizi, diretta da un funzionario, gerarchicamente dipendente dal polo museale e dalla soprintendenza speciale di Firenze, senza potere di firma e autonomia contabile. Tutto questo ha comportato rallentamenti nell'utilizzazione delle straordinarie potenzialità del patrimonio museale ed archeologico italiano.
  Questi 20 musei avranno dunque a capo direttori scelti in base alle modalità di selezione prima indicate e godranno di autonomia contabile ed amministrativa. Anche per i musei per cui non è contemplata tale autonomia e una dirigenza così selezionata, la riforma prevede comunque uno statuto ed un bilancio propri, onde rendere identificabile e rafforzarle la loro azione di valorizzazione del patrimonio.
  La riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha interessato tutti i settori dell'Amministrazione per razionalizzare e meglio coordinare le linee di attività e le strutture amministrative, anche per dare una risposta ai problemi evidenziati dall'interrogante, conseguenza dell'incremento delle competenze e della riduzione delle risorse finanziarie, avvenuti in questi ultimi anni.
  La riforma ha operato sul lato delle competenze e della funzionalità degli uffici mentre sul versante delle risorse, il Governo è intervenuto con altri provvedimenti, tra cui si segnala il decreto legge n. 83 del 21 maggio 2014, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» (cosiddetto
Art Bonus), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, che contiene disposizioni che mirano ad aumentare le risorse finanziarie a disposizione dei luoghi della cultura e delle istituzioni culturali.
  La legge, infatti, incentiva, attraverso il meccanismo del credito d'imposta, le erogazioni liberali da parte di privati per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
   l'inchiesta «Mondo di mezzo», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Roma, ha portato alla luce l'esistenza di un'articolata associazione di stampo mafioso capeggiata dall'ex componente della banda della Magliana ed estremista nero Massimo Carminati che vede indagati politici, imprenditori e professionisti di Roma e provincia;
   la Corte di Cassazione ha recentemente confermato l'impianto accusatorio prospettato dalla Procura distrettuale e accolto sia dal Gip sia dal tribunale del riesame;
   nell'ambito dell'inchiesta emergeva il condizionamento dell'amministrazione comunale di Sacrofano;
   giova riportare il contenuto dell'informativa conclusiva dei ROS nell'indagine Mondo di Mezzo: «L'attività d'indagine operata dal II Reparto Investigativo del ROS in seno al presente procedimento penale, permetteva di evidenziare come il sodalizio criminale indagato promanasse i propri interessi illeciti coinvolgendo ampi settori della pubblica amministrazione. Ad ulteriore conferma di quanto già emerso nei riguardi dell'amministrazione capitolina, le acquisizioni tecniche operate da quel Reparto disvelavano come anche presso il Comune di Sacrofano (RM), il sodalizio fosse riuscito ad inserirsi attraverso la nomina di amministratori a questo compiacenti. Non occorre in questa sede sottolineare che il territorio di Sacrofano, proprio perché luogo di residenza eletta dei vertici dell'organizzazione criminale indagata quali Carminati Massimo e Brugia Riccardo, rivestiva, anche simbolicamente, un ruolo di straordinaria importanza. L'attività operata infatti permetteva di raccogliere numerosi elementi indiziari che permettevano di evidenziare come il sodalizio di Carminati Massimo avesse sostenuto la candidatura a sindaco di quel comune di Luzzi Tommaso già amministratore delegato dell'azienda ASTRAL SPA»;
   ed ancora: «I rapporti tra Carminati Massimo ed il sindaco Luzzi si protraevano nel corso del tempo, tanto è vero che il 19 gennaio 2014 il primo cittadino di Sacrofano, secondo quanto riferito da Gaglianone Agostino, avrebbe partecipato ad un pranzo organizzato presso l'abitazione del Carminati a cui prendevano parte anche Testa Fabrizio, Gramazio Luca, Gramazio Domenico e lo stesso Gaglianone»;
   allo stato non risulta che sia stata insediata una commissione d'accesso in seno al comune di Sacrofano al fine di valutare i presupposti per un eventuale scioglimento per condizionamento mafioso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali gravissimi fatti e per quali ragioni il prefetto di Roma non abbia insediato una commissione d'accesso in seno all'amministrazione in questione, diversamente da quanto fatto per il comune di Roma. (4-08919)

  Risposta. — Il 28 novembre 2014 il GIP presso il tribunale di Roma, nell'ambito delle indagini coordinate dalla procura della Repubblica capitolina, ha emesso un'ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di alcuni appartenenti all'organizzazione criminale denominata «Mafia Capitale», nonché di amministratori e funzionari pubblici che hanno costituito il cosiddetto «capitale istituzionale» del sodalizio.
  I capi di incolpazione, delineati nel provvedimento, fanno riferimento ad una sequela di reati contro la pubblica amministrazione, perpetrati, tra l'altro, nella gestione degli appalti di Roma Capitale, nonché di quattro ulteriori comuni della provincia: Sacrofano – a cui fa espresso riferimento l'interrogazione –, Castelnuovo di Porto, Sant'Oreste e Morlupo.
  Sulla base di tale ordinanza, la prefettura di Roma, tra le altre iniziative promosse, ha avviato la verifica dell'esistenza di condizionamenti mafiosi nel comune di Sacrofano (oltreché negli altri quattro comuni sopra citati).
  La commissione d'accesso, insediatasi l'8 gennaio 2015 e prorogata con provvedimento prefettizio del 27 marzo, ha concluso i propri lavori depositando la prescritta relazione lo scorso 8 luglio.
  Alla luce di tale documento e del parere che sarà reso dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la presenza del procuratore della Repubblica di Roma, il prefetto presenterà, entro il 22 agosto, le proprie valutazioni al Ministro dell'interno per il seguito di competenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 1° luglio 2014 il sindaco di Rimini Andrea Gnassi ha autorizzato la riapertura del delfinario della città sulla base di una licenza che lo stesso detiene dal 1968 di «spettacolo viaggiante»; è stato così, a giudizio degli interroganti, disatteso il decreto di chiusura della struttura emanato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel giugno 2014 per violazione della normativa sui giardini zoologici e della normativa europea in materia (direttiva 1999/22/CE) e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 73 del 2005;
   da diverse fonti stampa si apprende l'intenzione, anche per la stagione estiva alle porte, ripetere una tale autorizzazione per la riapertura del delfinario, che al momento ospita tre leoni marini arrivati in prestito dalla Spagna, e che è a tutti gli effetti una struttura permanente la cui autorizzazione deve essere concessa esclusivamente e direttamente dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in Italia ci sono meno di 20 strutture permanenti che espongono animali al pubblico che posseggono una regolare licenza di giardino zoologico da parte del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e, da una stima provvisoria, ben 100 strutture non hanno tale licenza in violazione della normativa vigente;
   il delfinario di Rimini non ha mai ottenuto una licenza di giardino zoologico ed ha potuto operare con delfini al di fuori del quadro normativo fino al settembre del 2013, quando i delfini a seguito di un procedimento penale, sono stati sequestrati in via preventiva per maltrattamenti su ordine della procura della Repubblica di Rimini, provvedimento poi confermato dalla Corte di Cassazione nel marzo 2014;
   molti Paesi fra cui India, Slovenia, Croazia, hanno bandito circhi acquatici e delfinari dal loro territorio, e molti altri stanno approvando normative atte a proibire l'attendamento di circhi con animali, come Grecia, Danimarca, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca;
   nell'estate 2014 il comune di Rimini non decise di concedere la licenza, ma rilevò l'esistenza del documento stesso e attenendosi alle norme esistenti, visto che le otarie non sono specie protette dal Cites a differenza dei delfini precedentemente ospitati e che l'acquario in base alla legge n. 337 del 1968 è equiparato ai circhi e agli spettacoli viaggianti, precisò che il via libera definitivo era stato concesso dopo il parere positivo dell'Asl e della commissione comunale pubblico spettacolo;
   quest'anno la situazione rischia di ripetersi e il comune rischia di non avere – come dimostrato lo scorso anno – la forza di opporsi ad un tale evidente escamotage; per questo è stata lanciata poche settimane fa una iniziativa online lalorocasaèilmare, contro tutti i delfinari e le strutture che imprigionano gli animali –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per evitare che anche nel 2015 il decreto di chiusura della struttura del delfinario di Rimini emanato lo scorso anno, sia di fatto disatteso da un atto amministrativo locale ad avviso degli interroganti anacronistico e lesivo del benessere degli animali;
   quali iniziative intenda porre in essere affinché la direttiva dell'Unione europea sui giardini zoologici (1999/22/CE) e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 73 del 2005 trovino finalmente una corretta applicazione in Italia. (4-08182)

  Risposta. — Il delfinario di Rimini fu posto sotto sequestro nell'agosto del 2014 a seguito di un intervento ispettivo interministeriale, coordinato dalla direzione per la protezione della natura e del mare del Ministero dell'ambiente, con il quale furono evidenziate gravi carenze nei requisiti volti sia alla detenzione in cattività dei delfini predetti, che al rispetto della normativa di cui al decreto legislativo n. 73 del 2005.
  La struttura in questione esibiva esemplari di delfini della specie
Tursiops truncatus.
  A conclusione dell'iter ispettivo, con decreto interministeriale 5 dicembre 2014, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2015, veniva negata la concessione della «licenza di Giardino Zoologico» e disposta la chiusura della struttura.
  Tuttavia, la riapertura nella trascorsa stagione estiva della struttura di proprietà del «Delfinario di Rimini spa», già chiusa come giardino zoologico perché non rispondente ai requisiti minimi di legge richiesti, è avvenuta perché autorizzata come attrazione «Acquario» dall'autorità comunale, per l'esibizione di Otaridi, ai sensi degli articoli 69 e 80 del TULPS, in relazione alla legge n. 337 del 18 marzo 1968, recante «Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante», disposto normativo la cui applicazione esula dalla competenza del Ministero dell'ambiente.
  L'impiego di tali animali da parte di strutture stabili e aperte al pubblico per almeno sette giorni l'anno, comporta che le stesse siano ricondotte nell'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 73 del 2005 e che, pertanto, nei loro confronti possa essere contestato il divieto di esercitare senza licenza, l'attività di giardino zoologico, nonostante l'autorizzazione ai sensi della legge n. 337 del 1968, come accaduto per il Delfinario di Rimini lo scorso anno.
  Al fine di evitare il ripetersi di casi analoghi, il Ministero dell'ambiente ha avviato i necessari confronti con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, concordando una soluzione al problema, articolata in due passaggi.
  Innanzitutto, su proposta del Ministero dell'ambiente, con decreto del direttore generale per lo spettacolo, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il capo della Polizia quale direttore generale della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, datato 19 gennaio 2015 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 38 del 16 febbraio 2015), è stato modificato il testo delle attrazioni spettacolari «Acquario» e «Mostre faunistiche», iscritte nell'elenco di cui alla sopracitata legge.
  In tal modo si è inteso distinguere in maniera inequivoca, aggiornando la terminologia adoperata nel lontano 1968, i concetti di «acquario», alla luce dell'intervenuto e distinto «delfinario», e quello di «mostra faunistica» rispetto a quello di «giardino zoologico» successivamente regolamentato dal decreto n. 73 del 2005.
  Conseguentemente, si è reso opportuno comunicare ai comuni, competenti al rilascio delle licenze in materia di pubblici spettacoli, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 24 luglio 1977, che le richieste volte al rilascio di licenza di pubblico spettacolo avanzate dalle strutture esercenti attrazioni spettacolari con animali vivi di specie selvatiche devono essere corredate dal provvedimento di esclusione delle stesse dall'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 73 del 2005, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto, secondo il quale le disposizioni concernenti i giardini zoologici non si applicano alle strutture che espongono «un numero di esemplari o di specie giudicato non significativo ai fini del perseguimento delle finalità di cui all'articolo 1 e tale da non compromettere dette finalità». Pertanto, le strutture interessate dovranno richiedere preliminarmente al Ministero dell'ambiente il provvedimento di esclusione e poi rivolgere domanda ai comuni per il rilascio della licenza di pubblico spettacolo.
  L'esclusione dall'applicazione della disciplina sui giardini zoologici è stata introdotta con il decreto legislativo n. 152, del 4 aprile 2006, che ha modificato il decreto legislativo n. 73 del 2005 al fine di non assoggettare agli obblighi in esso contenuti, una serie numerosa di piccole strutture o fiere permanenti che, pur rientrando formalmente nella vigente definizione di giardino zoologico, non possono sostanzialmente essere qualificate tali per finalità, dimensioni e numero di specie detenute.
  Riguardo al «Delfinario di Rimini», si rappresenta che il 10 giugno 2015 la commissione scientifica CITES (CSC) ha emesso parere favorevole per l'esclusione dello stesso dall'applicazione del decreto legislativo n. 73 del 2005, come da istanza presentata dall'amministratore dottoressa Monica Fornari. Inoltre, il Ministero dell'ambiente ha richiesto al Corpo forestale dello Stato di effettuare la verifica del possesso dei requisiti dichiarati in sede di istruttoria.
  Solo all'esito positivo della verifica, seguirà l'adozione del provvedimento di esclusione da parte del Ministero dell'ambiente di concerto con il Ministero della salute ed il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Infine si rappresenta che il 28 maggio 2015 è stato emanato il decreto interministeriale, recante «modifiche degli allegati 1 e 2 al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73, concernente l'attuazione della direttive 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 140 del 19 giugno 2015, nel quale sono state dettate specifiche misure a tutela dei delfini appartenenti alla specie
Tursiops truncatus e, in particolare, riguardo ai criteri e requisiti minimi necessari per il loro mantenimento in cattività, per il trasporto, trasferimento e la loro cura, che renderanno l'attività di controllo e quella sanzionatoria da parte della autorità preposte, più efficace.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALLINELLA, LUIGI GALLO e CIPRINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, regolamento di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Gazzetta Ufficiale generale n. 274 del 25 novembre 2014) prevede una generale razionalizzazione dei diversi uffici facenti capo al Ministero medesimo su tutto il territorio italiano;
   le ragioni di tale riorganizzazione vanno ricercate nell'attuazione della spending review, e nella volontà di semplificare le ramificazioni periferiche del Ministero e predisporre, quindi, l'accorpamento di numerose soprintendenze per i beni storico-artistici, per i beni architettonici e per i beni archivistici;
   molte sono state le lettere di protesta al Ministero da parte degli addetti ai lavori che hanno seguito la pubblicazione del succitato decreto, in quanto diversi degli accorpamenti previsti rischierebbero di causare molti più danni che benefici;
   nella regione Umbria, in particolare, si prevede la chiusura della sede dirigenziale ed anche quella logistica della soprintendenza archivistica per l'Umbria di Perugia, che sarà accorpata a quella delle Marche con un'unica sede ad Ancona;
   le due soprintendenze, anche secondo quanto segnalato dalle lettere di alcune associazioni di addetti ai lavori, svolgono attività in buona parte diverse, proprio per le diverse caratteristiche delle due regioni, e operano con un numero di addetti non paragonabile tra loro, quindi, con carichi di lavoro ben diversi: in Umbria si trovano circa 30 addetti, mentre nelle Marche meno di 10;
   è importante ricordare che tali enti sono incaricati di tutelare e vigilare gli archivi degli enti pubblici, territoriali e non, oltre agli archivi e ai singoli documenti di proprietà privata dichiarati di interesse culturale e svolgono attività di promozione e valorizzazione del patrimonio documentario, coordinandosi con la regione di riferimento, le autonomie locali e ulteriori soggetti, pubblici o privati, che operano per il raggiungimento di tali fini;
   è quindi evidente come il ruolo di una soprintendenza sia legato a doppio filo alla regione nella quale opera e che la qualità del lavoro risulta ottimale se effettuata sul luogo stesso di interesse;
   la soprintendenza archivistica per l'Umbria ha intrapreso, progettato, sviluppato e prodotto restauri, riordinamenti, inventariazioni, trasferimenti e pubblicazioni (sia in stampa che in digitale), che hanno contribuito ad orientare la dottrina archivistica sia in Italia che all'estero e, pertanto, la chiusura della sede umbra potrebbe penalizzare la regione che finora ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano in questo settore, oltre a causare inevitabili problemi logistici, aggravare i costi e peggiorare il servizio, considerando il numero di addetti ai lavori e la mole di attività svolta;
   in base alla stessa normativa anche la soprintendenza ai beni archeologici di Napoli, potrebbe essere soppressa e tutte le competenze decisionali, gestionali e amministrative per l'archeologia in Campania trasferite a Salerno;
   i lavoratori della soprintendenza di Napoli hanno evidenziato «che con tale riorganizzazione viene soppressa, dopo 200 anni dalla sua istituzione, la soprintendenza partenopea, punto di riferimento per gli studiosi e le istituzioni culturali di tutto il mondo e che ciò provocherà disagi nell'espletamento degli atti di competenza e difficoltà nella tutela del territorio, nel quale sono presenti eccellenze quali il centro antico di Napoli, i Campi Flegrei e l'area Nolana»;
   la scelta dell'accorpamento delle soprintendenze, con la conseguente delocalizzazione amministrativa da Napoli a Salerno, creerebbe non poche difficoltà ai comuni dell'area flegrea, sottoposti a forti vincoli archeologici e paesaggistici e le amministrazioni locali potrebbero vedere svanire il lavoro fin qui svolto e ritrovarsi al punto di partenza;
   è importante considerare che, attualmente, la soprintendenza dei beni archeologici di Napoli è composta anche da diversi uffici dislocati sul territorio, quali ad esempio quelli di Pozzuoli (Rione Terra, Baia e Cuma), che hanno un proprio personale e un proprio archivio e che garantiscono un'interazione efficace tra organi del Ministero e cittadini per la tutela e la manutenzione dei beni culturali sul territorio –:
   quali siano le ragioni della decisione di chiudere la sede umbra e spostare la sezione archivistica ad Ancona e come intenda salvaguardare il patrimonio documentale della soprintendenza umbra, consentendo reale tutela e accesso ad atti di importante interesse storico e culturale;
   se, in base a quanto esposto in premessa, abbia attentamente valutato tutte le conseguenze della soppressione della soprintendenza dei beni archeologici di Napoli;
   quale sia il destino degli uffici territoriali della soprintendenza dei beni archeologici di Napoli, considerato che, qualora restino come attualmente distribuiti, si vanificherebbe il principio di spending review promosso dalla riforma in questione, mentre nel caso in cui fossero soppressi si creerebbe una più complicata interazione tra cittadini e organi del Ministero;
   se non si ritenga opportuno evitare tale accorpamenti a tutela della specificità del patrimonio coinvolto, evitando quella che agli interroganti appare una evidente restrizione dell'autonomia delle regioni e delle città interessate, e scongiurando il rischio, tra l'altro, di fallire l'obiettivo della razionalizzazione economica.
(4-07627)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, in relazione ai processi di riorganizzazione in atto nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che, secondo l'interrogante, prevederebbero, in Umbria «la chiusura della sede dirigenziale ed anche quella logistica della Sovrintendenza archivistica per l'Umbria di Perugia che sarà accorpata a quella delle Marche con un'unica sede ad Ancona» e la soppressione della soprintendenza speciale ai beni archeologici di Napoli con trasferimento a Salerno di «tutte le competenze decisionali, gestionali e amministrative» chiede di conoscere le ragioni di tali decisioni, le iniziative che si intende adottare per salvaguardare il patrimonio documentale della soprintendenza umbra, il destino degli uffici territoriali della soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e, infine, se non si ritenga opportuno evitare tali accorpamenti sia a tutela della specificità del patrimonio coinvolto e dell'autonomia delle regioni e delle città interessate che per scongiurare il rischio di fallire l'obiettivo della razionalizzazione economica.
  Come è noto all'interrogante, anche questa Amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica
(spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, contenente «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo».
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti.
  Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'Amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (cosiddetto decreto ArtBonus).
  L'adeguamento ai numeri della
spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del Ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Allo scopo di risolvere il vero e proprio «ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, l'amministrazione periferica è stata ripensata, mantenendo, secondo quanto previsto dalla ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento.
  Con specifico riferimento alla regione Campania, in conseguenza della riduzione del numero dei dirigenti, è stata prevista, oltre alla soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia (dal primo gennaio 2016, di livello dirigenziale generale) una sola soprintendenza Archeologia della Campania, con sede a Salerno, in analogia con altre regioni italiane, tra cui il Lazio.
  Nel settore degli archivi di Stato e delle soprintendenze archivistiche, la riduzione della dotazione organica dei dirigenti di livello non generale ha comportato una necessaria razionalizzazione della rete degli istituti, periferici del settore, da cui l'istituzione della soprintendenza archivistica dell'Umbria e delle Marche, con sede ad Ancona, così come, analogamente, è avvenuto per Veneto e Trentino Alto Adige, per Calabria e Campania e per Puglia e Basilicata.
  La riorganizzazione degli istituti del Ministero non fa, comunque, venire meno l'attività di tutela né comporta soluzioni di continuità con il passato anche perché i nuovi Istituti potranno continuare ad avvalersi dell'esistente rete di uffici periferici che lo stesso interrogante richiama.
  È da ritenersi, infine, che non ci sia, come teme l'interrogante, il rischio di vanificare «il principio di
spending review» in quanto, all'evidente risparmio di spesa conseguenza dell'avvenuta riduzione delle dotazioni organiche dei dirigenti, potranno seguire ulteriori economie derivanti dalla riorganizzazione della struttura centrale e periferica dell'Amministrazione, ispirata a criteri di razionalizzazione, integrazione e valorizzazione delle funzioni centrali e periferiche.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   le comunità italiane di Norimberga e di Saarbruecken, nel recente passato hanno conosciuto prima l'eliminazione dei consolati, chiusi a seguito di un precedente piano di «razionalizzazione» della rete consolare, e successivamente la scomparsa degli stessi sportelli consolari, istituiti a giustificazione delle chiusure per continuare a erogare i servizi essenziali ai nostri concittadini;
   nell'area di Norimberga risiedono circa 28.000 iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero impegnati in una molteplicità di attività produttive e di servizio e in quella di Saarbruecken 22.000, inseriti nel tessuto sociale e produttivo del luogo. I connazionali residenti nelle aree indicate mantengono un attivo flusso di contatti e di ritorni con i luoghi d'origine, con obiettivo vantaggio per alcune realtà soprattutto del Mezzogiorno d'Italia, ma anche con una conseguentemente elevata domanda di servizi di natura amministrativa;
   la meccanica applicazione delle misure di chiusura anche dei livelli minimali di erogazione dei servizi, quali gli sportelli consolari, comporterebbe lo spostamento della titolarità delle attività amministrative nelle cosiddette sedi riceventi, che in questo caso sono Monaco di Baviera per Norimberga e Francoforte per Saarbruecken;
   l'obbligo di riferimento ai consolati di Monaco e di Francoforte comporta un evidente e serio peggioramento delle condizioni di accesso ai servizi in quanto Norimberga dista circa 170 chilometri da Monaco e per raggiungere Francoforte da Saarbruecken occorrono circa 180 chilometri di viaggio; in più, i nostri concittadini, anche per il disbrigo delle pratiche più semplici, andrebbero incontro a spese di un certo rilievo e a prevedibili perdite di giornate di lavoro;
   le obiettive difficoltà cui andrebbero incontro le menzionate comunità consiglierebbero un serio ripensamento delle decisioni adottate, o quantomeno una riflessione più approfondita e realistica sulla riorganizzazione della rete dei servizi messi a disposizione dei cittadini italiani residenti in Germania, che ospita la più grande comunità di cittadinanza esistente nel mondo;
   per i casi indicati, andrebbe esaminata la possibilità di correggere l'automatismo del trasferimento dei servizi riguardanti la comunità di Norimberga e della Bassa Franconia spostandoli non presso il consolato di Monaco ma presso quello di Francoforte, che è raggiungibile in modo più diretto e con minori spese e impiego di tempo, e, per le stesse ragioni, di considerare sede ricevente di Saarbruecken non il consolato di Francoforte, ma quello di Lussemburgo –:
   se non consideri opportuno e realistico riconsiderare la chiusura degli sportelli consolari di Norimberga e Saarbruecken, istituiti appena qualche anno fa per compensare la chiusura dei rispettivi consolati esistenti nelle due aree;
   se non ritenga, in caso contrario, di fare in modo che la redistribuzione dei servizi amministrativi sia realizzata non sulla base di un astratto criterio di ordine burocratico, ma con il rispetto delle reali situazioni territoriali, delle opportunità offerte dalle vie di comunicazione e del sistema dei trasporti locali e, soprattutto, con l'intenzione di salvaguardare quanto più è possibile i diritti e le convenienze dei cittadini italiani residenti nelle aree indicate. (4-04333)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per ottemperare agli obblighi di riduzione della spesa pubblica dettati dal decreto legge sulla spending review, ha dovuto attuare un complesso ed articolato piano di riorganizzazione della rete diplomatica, consolare e culturale, che ha coinvolto 35 strutture all'estero. L'individuazione delle sedi da inserire nell'esercizio di ristrutturazione di cui trattasi è avvenuta attraverso un processo di condivisione promosso dalla Farnesina – in uno spirito di trasparenza ed apertura al dialogo – con una pluralità di attori istituzionali interessati. In tale contesto sono stati inoltre presi in esame – in particolare per quanto riguarda gli Uffici consolari – molteplici parametri obiettivi, tra i quali il volume dell'attività consolare, la consistenza della collettività dei connazionali residenti, la distanza tra la sede in soppressione e quella che riceve le competenze nonché la facilità dei relativi collegamenti.
  Per quanto concerne gli sportelli consolari, si rammenta che trattasi di strutture concepite sin dall'inizio con funzioni transitorie e temporanee per garantire il graduale assorbimento di precedenti processi di riorganizzazione della rete di I categoria (uffici consolari diretti da personale di ruolo).
  Gli sportelli prevedono una ridotta presenza di solo personale a contratto e sono in grado di erogare servizi molto limitati a causa della mancanza di personale di ruolo che, solo, per legge può perfezionare gli atti. Ne discende che dovendo operare una scelta su quale struttura chiudere nel quadro del processo di riorganizzazione della rete (che, come detto, ha imposto alla Farnesina precisi obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero), la chiusura di uno sportello consolare si rivela per la collettività nel suo insieme – facendo astrazione dalla comunità territorialmente più direttamente interessata – ben meno gravosa rispetto alla chiusura di un Ufficio di prima categoria, che priverebbe l'utenza della totalità dei servizi consolari.
  Ciò premesso, venendo al caso specifico di Saarbrücken, il 7 agosto 2014 l'allora Vice Ministro Pistelli ha riscontrato positivamente la lettera del Ministro Presidente della Saarland, con la quale era stata espressa la disponibilità a mettere a disposizione alcuni Uffici dell'Amministrazione locale per favorire una nostra agile presenza consolare
in loco, dopo la chiusura dello sportello, a beneficio della comunità italiana del Saarland e dell'ulteriore consolidamento dei rapporti con il Governo locale. Proprio in tale ottica, su proposta dell'Ambasciata d'Italia in Berlino e del Consolato generale a Francoforte, questa Amministrazione ha avviato l’iter per l'attivazione di un Consolato onorario a Saarbrucken, che si avvarrà dell'offerta del Governo locale.
  Il Consolato onorario garantirà una stabile presenza istituzionale
in loco ai fini dall'assistenza consolare ai connazionali, ma già ora il Consolato generale di Francoforte assicura un servizio consolare a Saarbrucken due volte al mese grazie alle missioni di proprio personale. Anche tali missioni potranno certamente fare riferimento, sul piano organizzativo, ai locali del Consolato onorario.
  Il Consolato onorario è stato già formalmente istituito. Per la sua titolarità, è stata individuata una personalità dotata di elevato profilo professionale, vista con favore sia dalle nostre collettività (essendo già partecipe di associazioni di amicizia italo-tedesche), sia dalle Autorità locali. L'incarico sarà conferito non appena saranno state finalizzate tutte le necessarie procedure e verifiche previste dalla legge.
  Anche a Norimberga la Farnesina si è tempestivamente attivata per istituire un Consolato onorario che è pienamente operativo dal marzo 2015.
  Relativamente invece ai quesiti posti dall'interrogante sulla redistribuzione delle competenze territoriali, preme precisare che è già da tempo concluso l'iter per la revisione della circoscrizione territoriale del Consolato generale in Monaco di Baviera, esattamente nel senso auspicato. È stato infatti realizzato il trasferimento al Consolato generale di Francoforte della competenza consolare sulla provincia della Franconia inferiore (Unterfranken). Tale modifica – che viene peraltro incontro alle aspettative manifestate dagli stessi connazionali – ha facilitato l'accesso ai servizi consolari da parte degli italiani residenti nell'Unterfranken, evitando loro di doversi recare a Monaco di Baviera, distante circa 300 chilometri.
  Ben diversa è invece la possibilità di considerare l'Ambasciata in Lussemburgo come sede di riferimento dei connazionali residenti nella circoscrizione di Saarbrucken. La questione presenta evidenti riflessi dal punto di vista dell'opportunità e della sensibilità politica, comportando l'assegnazione di una circoscrizione tedesca (Paese in cui vantiamo una ricca ed articolata rete di Uffici consolari) ad una nostra sede accreditata in un differente Stato. Si tratterebbe di un'ipotesi assolutamente unica sulla nostra rete, la cui realizzazione non potrebbe prescindere dall'assenso delle Autorità dei Paesi interessati, a maggior ragione per i profili politici sopra evidenziati.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GREGORI, FERRO, MAZZOLI, META, TIDEI, BONACCORSI, MELILLI, COSCIA, MORASSUT, MADIA, MARROCU, GASBARRA, DAMIANO, GRIBAUDO, MICCOLI, BELLANOVA, PASTORINO, CAMPANA, CARELLA, CASELLATO, EPIFANI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante, ormai da mesi, i servizi per la valorizzazione di due tra i più importanti siti monumentali italiani, Villa Adriana e Villa d'Este, amministrati rispettivamente dalla Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali del Lazio e dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, versano in grave crisi;
   in particolare, dal 1° dicembre 2012 Villa d'Este è rimasta priva del servizio di ristorazione interna, mentre già da due anni ormai Villa Adriana versa nelle medesime condizioni, ovvero è priva di servizi adeguati di ristorazione e bar;
   di conseguenza, entrambi i monumenti, dichiarati dall'Unesco patrimonio dell'umanità, risultano al momento completamente privi di bar e servizio di ristorazione interna. Fatto particolarmente grave, se si considera la mole di turisti – le stime parlano di un volume d'ingressi pari a 700.000 unità annue, che stazionano, spesso per ore, all'interno dei siti senza avere la possibilità di approvvigionarsi adeguatamente;
   questa contingenza, stando alla ricostruzione dell'interrogante, si è verificata a seguito di un contenzioso giudiziario che ha visto opposti il Ministero per i beni e le attività culturali e la Sirio Hotel s.r.l., società concessionaria del servizio bar e ristorazione per entrambi i monumenti. Quest'ultima, a seguito della soccombenza in primo grado del contenzioso che la vede opposta al Ministero, ha rinunciato ad un'ulteriore proroga della concessione per Villa d'Este;
   tale contesto ha portato, altresì, al licenziamento di cinque dipendenti dei servizi di ristorazione, dopo molti anni di lavoro e senza che la cosa sia imputabile al cattivo andamento economico dei punti di ristoro o ad eventuali prestazioni lavorative non adeguate, ma solo al procedimento che oppone il concessionario all'ente committente;
   a seguito del contenzioso le autorità competenti hanno indetto un nuovo bando, per servizi di ristorazione e bar presso i due siti monumentali, la cui procedura varia dai 12 ai 18 mesi –:
   se il Ministro interrogato intenda mettere in atto gli strumenti a sua disposizione al fine di accelerare i tempi di messa a bando dei punti di ristoro di Villa d'Este e Villa Adriana, due siti monumentali di alto valore strategico che non possono rimanere senza adeguati servizi di accoglienza per così lungo tempo;
   se il Ministro interrogato, nel periodo che intercorre tra lo svolgimento delle procedure del bando e l'assegnazione di un nuovo concessionario, intenda adottare misure a carattere straordinario e temporaneo per fornire, comunque, punti di ristorazione e bar;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno dare garanzie per la continuità occupazionale dei lavoratori licenziati.
(4-00396)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali azioni il Ministro intenda porre in essere al fine di assicurare un adeguato servizio di ristorazione e di bar presso Villa Adriana e Villa d'Este a Tivoli. Al riguardo si comunica quanto segue.
  La direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, all'epoca ufficio competente alle concessioni dei servizi di ristorazione presso il Polo tiburtino, aveva a tal fine avviato, già nel giugno 2010, una procedura ristretta, sospesa a causa dei contenziosi
medio tempore insorti in relazione a procedure analoghe e delle criticità riscontrate nell'applicazione delle linee guida in materia di affidamento dei servizi per il pubblico, elaborate nel 2009 dalla direzione generale per la valorizzazione allora incaricata della materia.
  La riforma del sistema museale italiano, in parte realizzata con l'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2015, n. 171 concernente la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mira a valorizzare, non soltanto i grandi musei, che avranno autonomia amministrativa e contabile, ma tutti i luoghi della cultura statale. Tale percorso di valorizzazione si basa anche su una maggiore efficienza e offerta di servizi aggiuntivi, da tempo quasi tutti in regime di proroga. Al fine è stata avviata la collaborazione tra il Ministero e la concessionaria servizi informatici pubblici che mira, da una parte, a consentire allo Stato e ai privati di investire sui servizi museali, potenziandoli e migliorandone la qualità, garantendo al contempo che la progettazione culturale resti in mano pubblica; dall'altra, ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi aggiuntivi offerti negli istituti e luoghi della cultura pubblici. L'avvio del progetto MiBACT-Consip inoltre, porrà fine al periodo delle proroghe nell'affidamento dei servizi aggiuntivi e consentirà al Ministero di avvalersi delle migliori risorse pubbliche e private per promuovere la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale del paese.
  L'accordo prevede tre gruppi di gare:
   1. Gare macro regionali sui servizi gestionali - così detto
facility management.
  La prima gara rende disponibili al MiBACT, e facoltativamente agli enti locali, i servizi gestionali necessari all'efficace ed efficiente funzionamento degli istituti e dei luoghi della cultura pubblici: «servizi operativi» (manutenzione edile e impiantistica, pulizia guardaroba, facchinaggio) e «servizi di governo» (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica).
   2. Gara nazionale per il servizio di biglietteria.
  La seconda gara punta all'acquisizione, a livello nazionale, di un servizio online di biglietteria, prenotazione e prevendita, usato da tutti i siti MiBACT e facoltativamente dagli Enti locali, i cui dati confluiranno verso un sistema
Information and comunications technology specifico per il MiBACT e si integreranno con i servizi di biglietteria dei diversi istituti luoghi della cultura pubblici.
   3. Gara per i servizi culturali in concessione.
  La terza gara è volta all'acquisizione dei servizi finalizzati allo sviluppo di specifici «progetti culturali» per la migliore fruizione dei siti, sia per il MiBACT sia per gli enti locali: a titolo di esempio, servizi di accoglienza, visite guidate, didattica, eventi e anche biglietteria.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alla fine del mese di aprile 2015 a Monza si è avuto notizia di due casi di scabbia dove madre e figlia sono rimaste contagiate;
   i due casi sarebbero stati accertati, come rende noto la asl locale, da un controllo in ospedale effettuato a febbraio 2015. Secondo quanto riferito dall'associazione «Articolo 51» di Monza, che ha raccolto le testimonianze di alcune mamme degli istituti scolastici della zona, ci sarebbero stati anche altri casi;
   come da protocollo, le persone residenti nello stesso complesso della famiglia contagiata sono state poste sotto osservazione per oltre quaranta giorni. Secondo quanto riportato dalla asl sono state informate tutte le classi della scuola elementare frequentata dalla bambina malata;
   altri due casi di scabbia sono stati segnalati e presi in carico dall'asl di Monza, in una scuola materna. Secondo quanto reso noto dall'ufficio sanitario si tratterebbe di due bambini di 5 anni di una scuola materna, «che il 3 e 17 marzo, sono stati accompagnati in visita alle classi prime e quinte della scuola elementare dove si era verificato il primo allarme»;
   secondo quanto riferito dall'assessore alle politiche sociali del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino «quattro sospetti casi di scabbia sono stati rilevati dagli operatori sanitari tra i profughi in attesa di essere trasferiti dalla Stazione Centrale al Centro di via Corelli». I quattro sono stati portati all'ospedale Niguarda e al San Paolo per gli accertamenti e le eventuali cure –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non intenda provvedere a rafforzare i promuovere, per quanto di competenza, un rafforzamento dei controlli sanitari nei luoghi a più alta densità di profughi che siano centri di accoglienza o luoghi ove essi si ritrovano, al fine di limitare il diffondersi di una patologia che potrebbe arrivare ad essere una vera e propria epidemia. (4-09043)

  Risposta. — Il Ministero della salute è costantemente al corrente della situazione segnalata nell'interrogazione in esame, ed effettua i controlli sanitari sui migranti irregolari al momento del loro arrivo nel territorio nazionale, ad opera degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf), nonché la sorveglianza delle malattie infettive nel territorio nazionale, attraverso sia i sistemi routinari sia sistemi speciali, quali la sorveglianza sindromica delle malattie infettive, attivata con la circolare del 7 aprile 2011 in occasione degli eventi della cosiddetta Primavera araba.
  Di fatto, i sistemi di sorveglianza delle malattie infettive e i controlli effettuati ordinariamente al momento dello sbarco dei soggetti da parte degli Usmaf, non hanno evidenziato situazioni che potessero costituire una emergenza sanitaria ed hanno, comunque, permesso di gestire immediatamente, ed in modo appropriato, casi sospetti di malattie infettive di interesse del regolamento sanitario internazionale, nonché altre situazioni sanitarie richiedenti immediata attenzione, sia che si trattasse di malattie infettive (morbillo, scarlattina, varicella, affezioni respiratorie, sindromi febbrili non accompagnate da altri sintomi, congiuntiviti, oltre a casi di scabbia e pediculosi, legate alle disagiate condizioni di vita prima e durante gli imbarchi), sia che si trattasse di condizioni patologiche quali ustioni, traumatismi, cardiopatie, diabete, esiti di poliomielite o altre affezioni neurologiche, o di condizioni fisiologiche (stato di gravidanza), di innegabile interesse per la salute del singolo ma non per quella della collettività, con avvio dei casi verso i più adeguati luoghi di cura.
  Per quanto attiene alla scabbia, è opportuno precisare che è una malattia della pelle provocata da un acaro (Sarcoptes scabiei).
  Il soggetto colpito presenta, sulla zona cutanea interessata, delle piccole lesioni lineari (cunicoli) bianche, sottili, lunghe 5-10 millimetri, associate a intenso prurito, specialmente notturno.
  Quest'ultimo provoca frequenti lesioni secondarie dovute al grattamento.
  Le zone colpite sono soprattutto gli spazi interdigitali delle mani, le superfici interne dei polsi e dei gomiti, le ascelle, eccetera: nel bambino si osservano in modo particolare sul palmo delle mani e sulle piante dei piedi.
  La trasmissione avviene per contatto cutaneo diretto, prolungato e ripetuto, più raramente attraverso gli indumenti e la biancheria del letto.
  Per questo motivo il contagio si verifica quasi esclusivamente in ambito familiare.
  I soggetti colpiti da scabbia possono contagiare, fino a quando non sono trattati con la specifica terapia.
  Per prevenire la malattia è importante evitare la condivisione di biancheria e di indumenti, che devono essere strettamente personali.
  Nell'ambiente in cui soggiorna un soggetto affetto da scabbia, è consigliabile: lavare ad almeno 60o centigradi biancheria, lenzuola e asciugamani; gli indumenti, che non possono essere lavati ad alte temperature, vanno esposti all'aria per alcuni giorni.
  È raccomandato passare con aspirapolvere, o con getto di vapore, tappeti e divani con i quali il soggetto ammalato è venuto a contatto.
  La circolare ministeriale n. 4 del 13 marzo 1998: «Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica. Provvedimenti da adottare nei confronti di soggetti affetti da alcune malattie infettive e nei confronti di loro conviventi o contatti», nel caso di infestazione da acaro della scabbia, prevede quanto segue.
  Quando si verifica un caso in una comunità scolastica, il bambino con scabbia non deve frequentarla, fino al giorno successivo a quello di inizio della cura specifica; non sono giustificati interventi straordinari, quali la chiusura della scuola o la disinfestazione.
  Per i soggetti ospedalizzati o istituzionalizzati, è previsto l'isolamento da contatto per 24 ore dall'inizio del trattamento.
  È opportuno sottolineare che, per la popolazione generale, un eventuale rischio di contrarre l'infestazione da soggetti affetti è praticamente nullo, se non vi sono con questi individui contatti continui e scambio di indumenti o effetti letterecci, come ad esempio può avvenire durante una convivenza.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   L'ABBATE, SCAGLIUSI e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «Il Libro Possibile» è una manifestazione letteraria, giunta nel 2014 alla XII edizione, che ogni anno si tiene nel comune di Polignano a Mare (Bari) nata per volontà dell'associazione culturale «Artes» per portare il mondo del libro fuori dagli ambiti tradizionali di ricerca e diffusione per recuperare l'idea della «piazza» come agorà, luogo di incontro, di parole e di festa. Nelle quattro giornate consecutive in cui si sviluppa, il festival letterario coinvolge ben 150 tra scrittori, giornalisti, autori, economisti, artisti del mondo dello spettacolo, dando vita ad un confronto pubblico (170 incontri nell'edizione 2014) e raccogliendo nelle piazze del paesino pugliese anche 15 mila persone al giorno; 
   la peculiarità di questa manifestazione letteraria è il volontariato su cui si regge. Dai giovani che collaborano nell'organizzazione e nella gestione degli appuntamenti nelle piazze, agli autisti che accompagnano gli ospiti, agli stessi autori e moderatori degli incontri a cui non è riconosciuto alcun cachet né gettone di presenza o contributo. Tutti i contributi degli enti pubblici e dei sostenitori privati, dunque, servono solamente per coprire le spese vive della manifestazione. Gli ospiti, inoltre, donano una copia del proprio volume, con relativa dedica, presentato nel corso del festival alla locale biblioteca comunale «Raffaele Chiantera»;
   come riportato dal giornalista Onofrio Pagone, nell'articolo «A rischio il Festival del Libro perché costa troppo poco» nell'edizione del 12 aprile 2015 de «La Gazzetta del Mezzogiorno», la manifestazione rischia di chiudere i battenti perché sono venuti a mancare i fondi stanziati nelle edizioni precedenti ma anche perché costerebbe «troppo poco». Non retribuendo gli autori e i relatori ma puntando solamente sulla promozione dei libri e della lettura, infatti, il «Libro Possibile» non detiene i requisiti riconosciuti dalla Siae in virtù dei quali accedere, attraverso la regione Puglia, ai fondi europei. Altre manifestazioni analoghe organizzate in Puglia, che tuttavia movimentano molto meno pubblico e solo una trentina di autori, in totale, riescono ad incassare finanziamenti pubblici ben più consistenti e garantiti con il fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr);
   rispetto all'edizione 2014, infatti, sono venuti a mancare numerosi finanziamenti. Con la trasformazione della provincia di Bari in città metropolitana è scomparso il sostegno pari a 15.000 euro; la camera di commercio di Bari ha decurtato del 30 per cento (da 10.000 euro a 7.000 euro) il proprio contributo, in linea con i tagli impostigli dal Governo. I contributi regionali a valere sui capitoli «Piltura» e «Turismo», rispettivamente pari a 22.000 e 25.000 euro, risultano bloccati per mancanza di copertura. Il presidente della regione Puglia Nichi Vendola ha successivamente («La Gazzetta del Mezzogiorno» del 14 aprile 2015, pagina 12) di sbloccare nelle prossime settimane il contributo regionale garantito sul capitolo «Cultura», con un finanziamento complessivo per la manifestazione pari a circa 40.000 euro, comunque inferiore al contributo destinato a «Il Libro Possibile» per l'edizione 2014;
   per il comune di Polignano a Mare (Bari), a forte vocazione turistica, ma anche per l'intera Puglia, il ritorno d'immagine ed economico dovuto al festival letterario è indiscutibile, nonché testimoniato da una copertura mediatica di levatura nazionale;
   il festival letterario «Il Libro Possibile» rappresenta, a differenza di molte altre manifestazioni, un modello virtuoso e sostenibile di promozione culturale, realizzato con esigui fondi rapportati ai risultati ottenuti anno dopo anno, e che dovrebbe essere sostenuto come emblema di una modalità differente e di successo di mettere in pratica eventi culturali e turistici, peraltro con un coinvolgimento di pubblico senza eguali in un territorio, come quello del Sud Italia, che registra dati allarmanti sul numero di lettori. Allarmanti sono, difatti, i dati Istat secondo cui il 70,8 per cento dei pugliesi non ha letto un libro nell'ultimo anno: dati che pongono la Puglia al penultimo posto della classifica tra le regioni italiane –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e con quali modalità ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria «Il Libro Possibile», punto fermo dell'offerta turistica e culturale dell'intera Puglia, alla luce degli ingenti e continui tagli sul versante «cultura» perpetrati negli anni. (4-08836)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, premessi la rilevanza culturale e promozionale della manifestazione letteraria «Il libro possibile» che annualmente si svolge a Polignano a Mare (BA), giunta nel 2014 alla XII edizione, e il rischio di chiusura della stessa per la grave crisi finanziaria che attraversa, essendo venuti meno numerosi finanziamenti, chiede di conoscere con quali modalità il Ministero possa intervenire per garantirne il futuro.
  Iniziative analoghe a quella che si svolge, meritoriamente, a Polignano a Mare, sono, in Italia, circa ottanta ogni anno.
  Purtroppo, considerato il forte contenimento della spesa pubblica, non è possibile finanziarle tutte.
  Tuttavia per iniziativa del Centro per il libro e la lettura del nostro Ministero, della fondazione per il libro, la musica e la cultura e dell'Associazione nazionale comuni italiani (Anci), è stato avviato nel 2013 un processo mirato a individuare forme organiche di promozione e di collaborazione.
  Dagli incontri che si sono svolti a Torino (aprile 2013), a Roma (gennaio 2014) e a Cagliari (maggio 2014) è emersa l'esigenza di creare uno strumento che documenti l'ampiezza e l'articolazione di questa realtà culturale del nostro paese, fondamentale per favorire la diffusione del libro e della lettura; uno strumento che fornisca al pubblico tutte le informazioni relative agli eventi e la possibilità di interagire con gli organizzatori e che, al tempo stesso, costituisca il primo tassello di quel coordinamento tra le Città del libro, indispensabile per valorizzare e far crescere queste iniziative.
  Questo strumento è stato individuato nel portale Le Città del Libro, www.cittadellibro.it, che è stato presentato nel corso dell'ultimo incontro a Milano, il 5 marzo 2015, realizzato dal Centro per il libro e la lettura, con il supporto tecnico dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato.
  Il portale si propone di censire e dare visibilità alle città del libro; di mettere a confronto esperienze e modelli organizzativi; di favorire l'accesso alla documentazione – testuale, fotografica e audiovisiva – prodotta nell'ambito delle singole manifestazioni; di aprire un canale di comunicazione con il pubblico.
  Il cuore del portale è costituito dalla banca dati delle manifestazioni che ha lo scopo di fornire informazioni aggiornate, dettagliate, qualitativamente affidabili e facilmente accessibili sulle iniziative organizzate dalle città del libro. La banca dati viene alimentata dagli stessi organizzatori che hanno a disposizione all'interno del portale un'area riservata, nella quale inserire e aggiornare i dati relativi alle loro iniziative.
  La banca dati consente l'accesso alle informazioni attraverso molteplici funzioni di ricerca e fornisce agli utenti, per ciascuna manifestazione, una scheda descrittiva dettagliata e aggiornata, dalla quale si può accedere alla documentazione relativa alla manifestazione e ai collegamenti esterni di approfondimento.
  La presenza sui principali social network, integra le funzioni del portale e contribuisce a assicurare la necessaria comunicazione e la circolarità delle informazioni tra i diversi soggetti interessati.
  Naturalmente Polignano a Mare è ricompresa nell'elenco delle città che ospitano le manifestazioni nella sezione «Più vicino di quanto pensi», proprio con l'iniziativa «Il libro possibile».
  Se da un lato il Ministero non dispone, al momento, di significative risorse e di strumenti specifici volti alla promozione del libro e della lettura, occorre ricordare che la commissione cultura della Camera dei deputati sta elaborando – con l'attiva partecipazione del Ministero – una organica proposta normativa volta ad avviare una vera e propria politica di promozione della lettura, attraverso una varietà di strumenti, ed in particolare l'istituzione del Piano d'azione nazionale per la promozione della lettura, da adottarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
  La finalità del piano è diffondere l'abitudine alla lettura; garantire un accesso il più ampio e positivo alla produzione editoriale e al libro; promuovere la frequentazione di biblioteche. Il piano viene attuato attraverso patti locali con le regioni e gli altri enti territoriali.
  Il piano, tra l'altro, prevede il conferimento del titolo Città del libro, attribuito dal Centro per il libro e la lettura alle condizioni previste dal disegno di legge.
  Tale proposta, che si confida possa diventare legge in tempi ragionevoli, dovrà comunque essere corredata di una significativa dotazione finanziaria per poter produrre i risultati sperati.
  Con riferimento alla manifestazione che si svolge a Polignano a Mare, si informa che, da notizie avute dal Segretariato regionale della Puglia, nostro ufficio sul territorio, l'iniziativa, proprio per la sua ormai consolidata storia di evento culturale di eccellenza, promossa da organizzatori privati, ha potuto contare sul coinvolgimento, anche economico, di sostenitori pubblici e privati e della Confcommercio Bari-BAT che ha raccolto la richiesta di aiuto degli organizzatori del festival culturale.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la comunità di nascita e di origine italiana in Ontario, in occasione del censimento del 2006 è stata ufficialmente stimata intorno alle 900.000 unità equivalente al 60 per cento dell'intera comunità italiana in Canada e ad oltre il 7 per cento della popolazione locale, ma realisticamente ha dimensioni anche più ampie rispetto a quelle indicate dai dati evidenziati dalle autorità canadesi;
   i livelli di integrazione raggiunti dalla comunità di origine italiana dell'Ontario sono significativamente elevati sia per le dinamiche di sviluppo che l'area ha conosciuto nel contesto canadese e nordamericano che per l'ascesa sociale realizzata da molti emigrati italiani nel campo imprenditoriale, professionale, della comunicazione, dell'insegnamento e della ricerca;
   nel campo culturale, la comunità italiana, giovandosi anche delle particolari normative sul multiculturalismo e del clima di apertura e di confronto da esse favoriti, ha mantenuto tratti identitari definiti, che le hanno consentito di partecipare in modo attivo all'evoluzione del Paese, facendo anche da ponte tra le culture locali più radicate, quella di origine anglosassone e quella francese;
   nello specifico settore della promozione della lingua e della cultura italiana, in Ontario si è avuta una delle esperienze più solide ed espansive conosciute al mondo, soprattutto per merito della quarantennale opera di un'organizzazione di servizio sociale e senza scopo di lucro, il Centro Scuola, che è riuscito ad estendere e sostenere la rete di formazione linguistica e culturale nel sistema scolastico locale, consentendo a diverse generazioni di apprendere e conservare la lingua delle origini;
   pur in quadro di tale respiro, il Toronto Catholic District School Board, che gestisce in una quarantina di scuole dell’Ontario l'International Language Program, nello scorso mese di aprile ha deciso di ridurre i fondi destinati all'insegnamento delle lingue straniere di 900.000 dollari canadesi e di tagliare 22 posti in organico, nell'ambito di un piano di rientro da una più ampia esposizione finanziaria dell'ente;
   tale decisione non solo ridimensiona in modo sensibile l'insegnamento curricolare delle lingue straniere per circa 4.000 utenti, tra i quali vi è un numero consistente di italiani, ma, come ipotizza signor Alberto Di Giovanni, storico fondatore del Centro Scuola e animatore della promozione della lingua e della cultura italiane in Ontario, potrebbe essere prologo di uno spostamento nel pomeriggio e al sabato delle attività corsuali e, di conseguenza, della progressiva estinzione del programma;
   il console di Toronto, in un'intervista rilasciata al Corriere Canadese, il maggiore giornale in lingua italiana dell'Ontario, ha fatto appello alla comunità italiana, sottolineando la necessità di unire le forze rispetto al concreto rischio di regressione dell'insegnamento dell'italiano e l'opportunità di rispondere concretamente alla situazione che si è venuta a determinare concorrendo anche ad una raccolta di fondi da destinare al sostegno dei corsi;
   una situazione non meno critica per la pratica linguistica dell'italiano in Ontario si è determinata anche a seguito della decisione della società di comunicazione Rogers di procedere ad una radicale restrizione dei programmi «etnici» trasmessi da OMNI nelle lingue originarie della maggiori comunità immigrate, tra le quali quella italiana;
   Rogers, nel 1986, all'atto dell'acquisto a prezzi di svendita della stazione CFMT-DT (OMNI), s'impegnò di fronte alla CRTC autorità canadese che concede le licenze nel settore radiotelevisivo, a trasmettere il 60 per cento dei programmi etnici con 50 per cento in terze lingue e, per quanto riguarda la stessa stazione CF-MT-DT, il 75 per cento di ore in programmi etnici;
   in vista della scadenza della licenza al 31 agosto 2015, la Rogers ha fatto anticipatamente richiesta di rinnovo, manifestando tuttavia l'intenzione di eliminare minimo l'80 per cento dei programmi etnici e di ridurre il numero dei gruppi etnici da 20 a 10 ed i programmi canadesi dal 60 per cento al 40 per cento;
   pur trattandosi di autonome scelte aziendali che hanno come unico punto di riferimento le autorità canadesi preposte alla regolazione delle attività di comunicazione, è evidente il danno che si determinerebbe sul piano informativo e della conservazione dei rispettivi profili identitari, nel quadro di un costante confronto interculturale, per le comunità immigrate e, in particolare, per quella italiana, che è una delle più consistenti ed attive –:
   quali iniziative di dialogo con le autorità scolastiche canadesi intenda assumere affinché sia loro adeguatamente rappresentata la preoccupazione di una forte limitazione dell’Internazional Language Program e quali iniziative, dirette e di promozione presso la comunità italiana, intenda adottare per fare in modo che risorse straordinarie siano destinate al mantenimento, dei livelli di insegnamento dell'italiano già acquisiti nelle rete delle scuole locali;
   quali contatti pensi di realizzare, attraverso le rappresentanze diplomatiche italiane, con le autorità canadesi preposte alla regolazione del sistema radiotelevisivo affinché, pur nel pieno rispetto della loro intangibile autonomia e delle loro prerogative, sia resa manifesta la preoccupazione di una restrizione e di una progressiva scomparsa dei programmi in italiano destinati ai componenti della nostra comunità d'origine, che sono allo stesso tempo cittadini e contribuenti canadesi.
(4-09345)

  Risposta. — La Farnesina svolge un'azione particolarmente intensa a favore della diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo, anche attraverso l'erogazione di contributi. In particolare, a favore della collettività italiana presente in Canada negli ultimi 5 anni sono stati stanziati oltre 4.500.000 euro, per l'attuazione di circa 6.650 corsi seguiti da più di 130.000 studenti.
  Con l'obiettivo di conservare un'adeguata attività di insegnamento della lingua e della cultura italiana nell'area dell'Ontario, alla luce di quanto precede si sta valutando la possibilità di incrementare il contributo finanziario a favore del «Centro Cultura italiana di Toronto», Ente gestore competente nel territorio. E ciò per fare fronte alle possibili criticità che potrebbero conseguire dalla decisione assunta dal «Toronto catholic district school board» di ridurre i fondi destinati all'insegnamento delle lingue straniere e conseguentemente di tagliare numerosi posti di insegnanti in organico.
  All'attenzione della Farnesina è anche la diffusione in Canada di programmi radiotelevisivi in lingua italiana, in considerazione delle difficoltà e degli ostacoli che fino al 2005 hanno impedito l'accesso dei connazionali ad una piena fruizione delle trasmissioni di Rai international. Si precisa al riguardo che l'accesso alla programmazione Rai è stato possibile solo a seguito dell'ampia e pressante mobilitazione della collettività italiana e del costante impegno della nostra rete diplomatico-consolare in Canada, oltre che degli stessi vertici di questo Ministero.
  La questione che ora si propone appare di natura diversa e più circoscritta in termini territoriali, essendo riferita alla produzione di programmi in lingua italiana destinati alla comunità di connazionali residente nella provincia dell'Ontario.
  Il mercato televisivo canadese è soggetto a norme protezionistiche federali e risulta gestito da operatori privati, le cui licenze sono regolate da una authority indipendente: la Canadian radiotelevision and telecommunications commission (Crtc).
  Nella fattispecie, la società di telecomunicazioni Rogers media ha proceduto, da maggio 2015, alla cancellazione dei notiziari nelle lingue d'origine delle principali comunità immigrate (cantonese, italiano, mandarino e punjabi), che precedentemente andavano in onda sulla Omni Tv e che erano prodotti da una redazione locale del canale multiculturale di Toronto. Trattasi di scelte aziendali che rientrano nella sfera di autonomia gestionale dell'emittente, motivate dalla forte crisi di bilancio che la stessa attraversa da alcuni anni. Secondo quanto assicurato dai responsabili della Rogers, tali scelte tengono comunque conto dei criteri dettati dalla normativa locale per la concessione delle licenze televisive.
  Per quanto riguarda gli aspetti generali della vicenda, occorre considerare che il soppresso notiziario di produzione locale in lingua italiana è stato sostituito dalla messa in onda di una serie televisiva prodotta dalla Rai, i cui diritti sono stati acquisiti nel 2014. Inoltre, come confermato dalla stessa Rai, la Omni Tv ha recentemente acquistato numerosi altri programmi di vario genere, da mandare in onda dopo l'estate e coprire l'intera stagione 2015-2016. Di fatto la riduzione di attività, pur annunciata o già messa in atto dalla Rogers, non sembrerebbe comportare una grave diminuzione dell'offerta complessiva di programmi in lingua italiana a favore della comunità dei connazionali in Ontario.
  Non c’è dubbio che la cancellazione del telegiornale in lingua italiana fa venir meno una rilevante fonte di informazione sull'attualità locale e sulle iniziative e gli eventi promossi e organizzati sia dagli attori istituzionali italiani in loco, sia dagli organismi e associazioni espressi dalla stessa collettività dei connazionali.
  La questione è stata portata all'attenzione della Commissione parlamentare per la tutela del patrimonio culturale canadese (Standing committee on canadian heritage), cui i rappresentanti della Rogers hanno ribadito le stringenti motivazioni di natura economica alla base delle decisioni assunte.
  Il Consolato generale d'Italia a Toronto a sua volta si è prontamente attivato per rispondere agli appelli rivoltigli dai connazionali sull'argomento, promuovendo un incontro urgente con i rappresentanti delle maggiori associazioni italiane ed italo-canadesi. Su sua iniziativa è stato costituito un comitato ad hoc che ha stabilito di predisporre un documento di protesta («Official complaint») da indirizzare alla predetta authority e intorno al quale cercherà di far convergere l'accordo delle altre comunità etniche coinvolte, per un'azione sinergica.
  La Farnesina continuerà a monitorare l'evoluzione della questione attraverso la propria rete diplomatico-consolare in Canada. Ciò al fine di tenere alta l'attenzione delle competenti istanze canadesi sull'esigenza di tutelare le legittime aspettative della comunità di origine italiana, che tradizionalmente costituisce una delle più rilevanti e dinamiche collettività per il Paese.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   LAFFRANCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio di Stato, come previsto dalla legge 22 dicembre 1939, n. 2006, venne istituito a Perugia nel 1941 sotto le dipendenze della soprintendenza archivistica per il Lazio, l'Umbria e le Marche, per assumere, poi, nel 1963 uno status autonomo. Alla fine degli anni ’50, vennero istituite le Sottosezioni di Archivio di Stato di Spoleto, Foligno e Gubbio, divenute poi Sezioni in seguito al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, a cui poi, nel 1984 si è aggiunta la sezione di Assisi. L'archivio di Stato di Perugia dispone oggi di una rete di ben quattro sezioni, che non ha riscontro in nessuna altra provincia italiana;
   l'archivio di Stato di Perugia si compone di oltre 300.000 pezzi, tra membranacei e cartacei, con estremi cronologici compresi tra il 996 e il 1974. La documentazione, che occupa complessivamente circa 55.000 metri lineari di scaffalatura, è integrata da un consistente patrimonio librario che, tra volumi e opuscoli, oltrepassa il numero di 10.000 pezzi;
   tutte le sedi dell'istituto sono dotate di attrezzature e strumentazioni, apparati informatici e spazi che consentono il pieno svolgimento delle attività istituzionali: sale di studio, sale per la consultazione di atti amministrativi, biblioteche, aule didattiche e un laboratorio di restauro e fotoriproduzione presso la sede di Perugia. Le cinque sedi sono ospitate presso edifici monumentali delle varie città;
   complessivamente sono 59 gli operatori che prestano il loro servizio presso l'Istituto archivistico perugino. Inoltre, secondo i dati statistici elaborati dal servizio interno dell'Istituto, che trovano riscontro nelle relazioni annuali presentate al Ministero, si contano più di 20.000 presenze annue;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 e, in seguito, con il DM 27 novembre 2014 gli istituti archivistici umbri sono stati fortemente penalizzati. Infatti, la riforma varata dal Ministro interrogato, priva l'archivio di Perugia del livello di istituto dirigenziale, declassandolo e disponendo il suo accorpamento con la soprintendenza archivistica delle Marche con sede ad Ancona;
   data l'importanza dei documenti presenti all'interno dell'istituto archivistico perugino, la mancanza della figura dirigenziale limiterà fortemente il campo d'azione, le possibilità di intervento, nonché le capacità propositive e operative che caratterizzano oggi l'istituto. A questo va aggiunto che l'istituto archivistico non rappresenta soltanto un servizio per i cittadini, ma anche una necessità imprescindibile per una regione che si caratterizza tra l'altra come universitaria avendo sul proprio territorio addirittura due Atenei, ossia altrettanti ampi bacini di utenza (stage, tirocini, ricerche, tesi di laurea, partecipazione ai Corsi di archivistica, paleografia e diplomatica) e che deve poter offrire agli studenti spazi e orari adeguati agli standard europei;
   il 24 febbraio 2015 è altresì intervenuto il Consiglio regionale dell'Umbria che ha approvato all'unanimità una mozione urgente, firmata da tutti i gruppi consiliari, contro il declassamento del sistema archivistico perugino, salvaguardandone il ruolo, la funzione e i relativi servizi;
   i sindaci delle città umbre coinvolte hanno sottoscritto un appello in tal senso, lanciato dalla presidenza del consiglio comunale di Spoleto –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché sia salvaguardato l'archivio di Stato di Perugia con le sue sezioni, bene prezioso in cui è conservata la straordinaria memoria storica di un territorio, da valorizzare e tutelare e non da depauperare. (4-08544)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, in relazione al decreto ministeriale del 27 novembre 2014 recante «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo» che non include l'archivio di Stato tra le sedi dirigenziali di livello non generale, chiede quali iniziative si intenda adottare «affinché sia salvaguardato l'archivio di Stato di Perugia con le sue sezioni».
  Come è noto, anche questa amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica (spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, contenente «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo».
  Nel complesso, la riorganizzazione – in attuazione delle norme ricordate – ha imposto il taglio di 37 posti dirigenziali (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, in linea con le misure già adottate con il decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 cosiddetto decreto ArtBonus).
  L'adeguamento ai numeri della spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del Ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Allo scopo di risolvere il vero e proprio «ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, l'amministrazione periferica è stata ripensata, mantenendo, secondo quanto previsto dalla ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento.
  Il rispetto dei vincoli della spending review ha costretto a riequilibrare le posizioni dirigenziali tra le diverse componenti dell'amministrazione.
  In tale contesto l'amministrazione dei beni archivistici non ha subito ridimensionamenti ma è stata razionalizzata: le funzioni della Direzione generale archivi, nonché quelle delle soprintendenze archivistiche e degli archivi di Stato sono state meglio definite e arricchite e gli archivi di Stato hanno mantenuto autonomia tecnico- scientifica e gestionale, svolgendo le funzioni di tutela e valorizzazione dei beni archivistici in loro consegna, assicurandone la pubblica fruizione, nonché le funzioni di tutela degli archivi correnti e di deposito dello Stato.
  Il fatto che all'archivio di Stato di Perugia non sia preposto un dirigente di livello non generale non incide in alcun modo sull'organizzazione del lavoro e sui compiti istituzionali dello stesso e non comporterà, in alcun modo, un mutamento nell'attività di tutela e pubblica fruizione della documentazione statale, nell'attività tecnico-scientifica di studio, descrizione e divulgazione in materia di archivi e nell'attività didattica della scuola presente nell'archivio. Al di là della presenza di un funzionario delegato alla direzione invece di un dirigente, infatti, le dotazioni di personale e strumentali rimarranno inalterate, così che anche l'attività di promozione culturale sul territorio, attraverso l'organizzazione di convegni, incontri e progetti didattici, finalizzati a una migliore conoscenza del patrimonio archivistico sarà mantenuta senza compromissioni.
  Si assicura quindi che il personale dell'archivio di Stato di Perugia continuerà, con impegno ed elevata preparazione professionale, a garantire la conservazione, la salvaguardia e la pubblica fruizione dei fondi documentari statali di Perugia.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   LAFORGIA, PELUFFO, GIUSEPPE GUERINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Expo 2015 è una grande occasione per Milano e per il sistema Italia e un momento di incontro prezioso con le comunità di tutto il mondo;
   l'Italia, da sempre Paese che fa del cibo una sua eccellenza, ha la possibilità, insieme alla comunità internazionale, di produrre una seria riflessione riguardo al tema scelto per l'esposizione universale: «Nutrire il pianeta. Energie per la vita», con l'obiettivo di produrre politiche internazionali condivise, in particolare per quel che riguarda il diritto ad una nutrizione adeguata per ogni individuo;
  la Carta di Milano, il documento che dovrà essere la vera eredità di Expo, promosso dalle istituzioni italiane, incentrato sul riconoscimento globale del diritto al cibo, sarà ufficialmente presentata il 28 aprile;
   il Commissario Unico Delegato del Governo per Expo Milano 2015 e Amministratore Delegato di Expo 2015 S.p.A. Giuseppe Sala, ha annunciato che sono stati già venduti più di 8 milioni di biglietti;
   secondo le stime fornite dall'ufficio studi di Confcommercio si prevedono, con riferimento ad Expo 2015, come valutazione di minima, almeno 8 milioni di arrivi dall'estero e 29 milioni di notti nelle strutture ricettive. Una maggiore presenza turistica che dovrebbe tradursi in 2,5 miliardi di euro di consumi «straordinari», che tradotti in percentuali sul Pil equivalgono ad un apporto positivo dello 0,3 per cento, equivalente al 25 per cento della crescita complessiva prevista;
   la Società Expo 2015 S.p.A., a chiarimento delle notizie apparse in questi ultimi giorni sul tema del lavoro giovanile, precisa che le assunzioni di giovani con incarichi temporanei sono: 406 apprendisti, con un'età media di 26 anni e con una retribuzione netta mensile pari a circa 1.300 euro; 247 Team Leader, con un'età media di 36 anni e con una retribuzione netta mensile di circa 1.700 euro; 82 Stagisti con un rimborso mensile, come da accordo sindacale, di 500 euro;
   il comune di Milano, oltre a produrre uno sforzo straordinario che ha riguardato le infrastrutture in città, la capacità ricettiva ed una implementazione dei servizi dedicati ai visitatori, ha ideato Expo in città, un progetto voluto fortemente in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano con il convinto sostegno di Expo Milano 2015, con l'obiettivo di dare la possibilità a tutti gli operatori interessati a organizzare eventi di essere accolti in un palinsesto prima, durante e dopo l'esposizione universale, permettendo a turisti, cittadini e city user di identificare, in maniera immediata, appuntamenti ed eventi culturali, commerciali e turistici che prenderanno vita in occasione di Expo 2015;
   i Governi Letta e Renzi hanno dimostrato nei fatti un forte sostegno, economico e politico, affinché il nostro Paese arrivasse pronto a questo fondamentale appuntamento;
   il Governo, tramite il Ministro per le politiche agricole Maurizio Martina, delegato all'Expo, ha garantito la disponibilità per ragionare insieme agli altri soggetti coinvolti per individuare un progetto riconoscibile in Europa e nel mondo riguardo il destino dei terreni in cui sorgerà Expo 2015 dopo l'Esposizione universale, richiedendo di rivedere l'attuale meccanismo di governance, con la convocazione di un tavolo al quale siederanno Regione, Comune, i rappresentanti della società Arexpo, che oltre alle due istituzioni comprende la Fondazione Fiera e il Comune di Rho, i vertici della società Expo, oltre ad invitare l'Università degli Studi e Assolombarda, che nelle scorse settimane hanno lanciato una proposta per l'uso dell'area, Cassa Depositi e Prestiti e l'Agenzia del Demanio, che, potenzialmente, potrebbero in sinergia garantire una soluzione al problema della copertura economica degli interventi;
   il 27 marzo 2014 Raffaele Cantone è stato nominato dal Governo italiano Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), potenziando l'ente già attivo dal 2013, anche a fronte delle inchieste riguardanti Expo 2015;
   nel quadro di illegalità descritto dalle numerose inchieste, in cui si delinea una pericolosa contiguità fra affaristi, settori tecnici e politici, in data 21 aprile 2015 si è svolto l'ultimo Consiglio di Amministrazione della Società Expo 2015 S.p.A. prima dell'inaugurazione del grande evento ospitato dalla città di Milano, in cui Regione Lombardia, con Decreto del Presidente, ha indicato come membro del CDA l'Avvocato Domenico Aiello, in sostituzione del Consigliere Fabio Marazzi;
   l'Avvocato del Presidente di Regione Lombardia, nel procedimento a suo carico, per presunte pressioni, con lo scopo di ottenere due contratti di collaborazione, uno con Expo e l'altro con Eupolis, a due sue ex collaboratrici, è Domenico Aiello, già avvocato della Lega Nord, che in qualità di difensore del Presidente Roberto Maroni, ha richiesto alla società Expo 2015 S.p.A. documenti utili a scagionare dalle accuse il suo cliente –:
   quale sia lo stato effettivo di avanzamento dei lavori riguardante l'intera struttura di Expo 2015;
   quale tipo di azioni mirate siano previste, durante lo svolgimento dell'Esposizione, per garantire il rispetto della legalità, relativamente ai contratti di lavoro ed alla conformità delle strutture con riferimento alla normativa vigente, e la sicurezza dei visitatori;
   quale sia l'intenzione del Governo riguardo ad un suo possibile ingresso nella società che gestisce i terreni dell'Area in cui sorgono le strutture relative ad Expo 2015;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, anche alla luce delle circostanze appena esposte, per garantire il corretto svolgimento della manifestazione Expo 2015 e la regolare funzionalità degli organi deputati alla sua gestione e controllo. (4-09442)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni sollevate dagli interroganti, credo sia necessaria una premessa sull'importanza, non solo economica, dell'Esposizione universale di Milano. Expo, infatti, si pone al centro di un percorso su come individuare soluzioni per vincere la sfida della lotta alla fame e della nutrizione di una popolazione mondiale in crescita. Nei prossimi mesi la comunità internazionale sarà impegnata in appuntamenti cruciali come quello di Addis Abeba sulla cooperazione allo sviluppo e poi quello delle Nazioni unite sull'aggiornamento degli obiettivi del Millennio. Ecco, allora, che il tema di Expo e i suoi contenuti assumono una rilevanza ancora più significativa. L'Italia ha proposto al mondo la Carta di Milano, un documento di impegni che si rivolge non solo alle istituzioni, ma anche alle imprese, alle associazioni e ai singoli cittadini. Nell'arco dei sei mesi saranno moltissimi i momenti di confronto e di condivisione dei temi della Carta e proprio in queste ore si sta svolgendo uno dei più importanti: il Forum internazionale dell'agricoltura che vede la partecipazione di oltre 100 Paesi con più di 50 ministri e 370 delegati. Un'occasione fortemente voluta dall'Italia per ribadire la centralità dell'agricoltura nell'elaborazione di modelli di sviluppo sostenibili che siano in grado di dare risposte concrete a un quesito centrale: come garantire cibo sano sicuro e sufficiente a 9 miliardi di persone sulla Terra ?
  Ecco, sta qui la grande occasione di Expo, nelle soluzioni tecnologiche, nelle buone pratiche e nelle proposte che ciascun Paese fa anche attraverso i percorsi espositivi nei Padiglioni.
  Venendo alle domande degli interroganti, va detto che i lavori del sito espositivo sono sostanzialmente completati e si è passati a una fase di gestione di un'attività complessa come quella del semestre.
  Segnalo poi che Expo 2015 si è da subito mossa con grande attenzione rispetto alla gestione dei lavoratori, proprio in considerazione dell'occasione unica che rappresenta. Per questo la società, con le organizzazioni sindacali e gli enti territoriali, ha messo in campo azioni e accordi finalizzati alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
  Con riguardo alla sicurezza, già dal settembre 2009 veniva siglato il «Protocollo a tutela della sicurezza e salute sul lavoro e della legalità», che mirava a condividere tutte le azioni necessarie a garantire il massimo della prevenzione e della legalità sul cantiere e sul sito espositivo con l'obiettivo di contrastare sia le pratiche scorrette che hanno impatto sulla sicurezza che sulla regolarità contrattuale e contributiva, sia sulle possibili infiltrazioni mafiose.
  A valle di questo protocollo sono seguite diverse iniziative – tra cui quella che vede coinvolti gli enti bilaterali nel settore edile e l'Inail – per la prevenzione degli infortuni e la formazione degli operatori di cantiere in modo da ridurre il più possibile i rischi.
  Con l'accordo del 23 luglio 2013 sono stati introdotti i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di sito, con interventi volti ad aumentare costantemente la sicurezza, istituendo anche il comitato sicurezza che ha lo scopo di verificare la piena e corretta applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, promuovendo azioni volte al miglioramento degli aspetti inerenti la sicurezza sul lavoro e concordando le iniziative da intraprendere.
  Grazie a queste iniziative integrate, ad oggi non si sono verificati infortuni gravi sul cantiere.
  Con il protocollo del 23 luglio 2013 è stato disciplinato anche l'osservatorio permanente, che si riunisce periodicamente e ha lo scopo di:
   1. Verificare la corretta applicazione delle norme contenute nei protocolli stipulati tra le parti in riferimento all'Evento;
   2. monitorare l'andamento del mercato del lavoro nelle fasi di avvicinamento e progressiva realizzazione dell'esposizione;
   3. costituire la sede della procedura di conciliazione obbligatoria, preventiva a qualunque dichiarazione o azione unilaterale e per affrontare qualunque conflitto, individuale o collettivo, dovesse sorgere per il tramite dei lavoratori rappresentati o per il tramite dei loro rappresentanti con riferimento all'esecuzione delle attività lavorative all'interno del sito espositivo.

  Con la Direzione territoriale del lavoro (Dtl), di Milano è stato siglato a marzo 2014 un protocollo d'intesa e da tempo è stato realizzato un sistema di supporto per consentire che la manifestazione possa evolversi nel pieno rispetto dei principi di legalità e sicurezza.
  I diversi i piani di collaborazione tra Dtl ed Expo 2015 Spa hanno previsto: un'analisi degli accordi sindacali siglati in favore dell'evento, un «Vademecum» della sicurezza sul lavoro che illustra a tutti i partecipanti in modo semplice e immediato gli adempimenti richiesti dalla normativa italiana, ed infine è stato attivato un presidio della Direzione territoriale del lavoro presso il CSP in Fiera durante il semestre, al fine di contrastare con efficacia eventuali irregolarità e al contempo suggerire strade alternative ai soggetti che facessero richiesta di supporto all'organizzatore.
  È in fase di pubblicazione il regolamento tecnico generale che verrà fornito a tutti i soggetti operanti sul sito, che comprende un capitolo ove si sottolinea l'importanza del rispetto delle vigenti normative in materia di rapporti di lavoro, di regolarità contributiva e retributiva, di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, e del contrasto al lavoro sommerso e al fenomeno dell'intermediazione illecita di manodopera in ogni sua forma, evidenziando che vi saranno controlli da parte di tutti gli enti istituzionali nazionali competenti e preposti.
  Per garantire la sicurezza dei visitatori e delle migliaia di lavoratori che ogni giorno operano sul sito il Governo è impegnato quotidianamente in coordinamento con la società Expo.
  Per quanto riguarda il post Expo, il Governo è altresì impegnato affinché finalmente prevalga il gioco di squadra nella definizione del futuro del sito espositivo.
  Come vi è noto, abbiamo ereditato un problema di governance disallineata tra la società Expo e Arexpo. Il Governo non esclude di intervenire nella governance attuale di Arexpo, non senza aver prima chiarito con quale specifica missione si utilizzerà un'area così avanzata sotto il profilo delle infrastrutture tecnologiche, come quella realizzata per Expo. Dobbiamo dare continuità ai risultati di un appuntamento che vede questo spazio al centro del mondo per sei mesi.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la direttiva n. 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) sono state introdotte diverse modifiche alle precedenti direttive in materia che dovevano essere recepite nei diversi ordinamenti nazionali entro il 7 gennaio 2013;
   l'Italia ha recepito detta direttiva – ben oltre la scadenza prefissata – dapprima con l'approvazione dei principi e dei criteri direttivi specifici per il recepimento, con l'articolo 3 della legge n. 96 del 6 agosto 2013 e con la successiva adozione del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, entrato in vigore l'11 aprile 2014;
   con il decreto legislativo n. 46 del 2014, tra le altre cose, è stato sostanzialmente riscritto il titolo III della parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006 che disciplina l'autorizzazione integrata ambientale;
   alcune delle novità più rilevanti introdotte dal decreto legislativo n. 46 del 2014 tengono conto della necessità di aumentare gli strumenti idonei a valutare complessivamente l'incidenza degli impatti che le installazioni, nelle quali si svolgono una o più attività elencate all'allegato VIII alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 hanno rispetto al sito nel quale sono localizzate;
   a questo scopo, è stato aggiornato l'elenco della documentazione che il gestore deve produrre al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, includendo la cosiddetta relazione di riferimento che, stando alla definizione stabilita dal novellato articolo 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, contiene informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, grazie alle quali è possibile effettuare una comparazione dello stato del sito prima dell'avvio dell'attività, durante l'esercizio e al momento della cessazione della stessa attività;
   al fine di assicurare quanto riportato nel punto precedente, in base all'articolo 29-sexies, comma 9-quinquies del decreto legislativo n. 152 del 2006, il gestore ha l'obbligo di trasmettere all'autorità competente – per la validazione – la relazione di riferimento prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell'aggiornamento dell'autorizzazione rilasciata per l'installazione esistente, quando l'attività comporta l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose;
   con la medesima finalità, l'autorità competente, al momento della cessazione dell'attività, deve valutare lo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall'installazione obbligando, se necessario, il gestore a rimediare all'eventuale inquinamento significativo del suolo e delle acque sotterranee indotte dalle stesse sostanze pericolose;
   a questo scopo, è stato introdotto l'obbligo – non previsto dalla disciplina previgente seppure ammesso, come facoltà, dalla giurisprudenza amministrativa – di prestare una garanzia fideiussoria in relazione all'obbligo di adottare le misure necessarie a porre rimedio all'inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee con sostanze pericolose, rispetto allo stato nel quale si trovavano il suolo e le acque sotterranee constatato nella cosiddetta relazione di riferimento;
   altre significative modifiche del decreto legislativo n. 152 del 2006, riguardano la durata della stessa autorizzazione integrata ambientale, che è sfata raddoppiata portandola a 10 anni, e la disciplina del riesame e del rinnovo della stessa autorizzazione;
   in base alla nuova disciplina del riesame, definita dall'articolo 29-octies, l'autorità competente procede al riesame periodico dell'autorizzazione, confermando o aggiornamento le condizioni per l'esercizio dell'attività;
   l'articolo 29-octies distingue il riesame ordinario, da svolgersi entro quattro anni dalla pubblicazione delle decisioni relative alle BAT riferite all'attività principale dell'installazione ovvero a dieci anni dal rilascio dell'autorizzazione o dall'ultimo riesame effettuato, e quello che viene disposto dall'autorità competente, in tutti i casi nei quali si verifica una delle situazione elencate nel comma 4 dello stesso articolo;
   con riferimento al riesame dell'autorizzazione, viene stabilito che il procedimento venga svolto con le stesse modalità previste per il rilascio dell'autorizzazione, fatta salva una semplificazione degli oneri a carico dell'autorità competente, in fatto di pubblicità e informazione;
   con il decreto legislativo n. 46 del 2014 è stata altresì rivista la materia dei controlli stabilendo – con la riscrittura del comma 6 e l'aggiunta dei commi 6-bis dell'articolo 29-sexies – che la frequenza e la metodologia dei controlli ordinari sono definiti nella parte prescrittiva dell'autorizzazione, in funzione del tipo di installazione, della specifica attività svolta e delle matrici ambientali interessate, che la stessa autorizzazione debba prevedere controlli ordinari specifici con frequenze prestabilite dalla legge, fatta salva la possibilità che si rendano necessarie modalità e frequenze di controllo diverse;
   in base al comma 6-ter del citato articolo 29-sexies, è stato altresì stabilito che nell'ambito dei controlli debba essere prevista un'attività ispettiva presso le installazioni – con oneri a carico del gestore da parte dell'autorità di controllo che preveda l'esame di tutta la gamma degli effetti ambientali indotti dalle installazioni interessate, e che dette visite sono inserite in un piano di ispezione ambientale a livello regionale, periodicamente aggiornato dalla regione, che contiene: a) analisi generale dei problemi pertinenti; b) l'identificazione dell'area geografica coperta dal piano di ispezione: c) le procedure per la programmazione delle ispezioni ordinarie e di quelle straordinarie, da effettuarsi in caso di denunce, di gravi incidenti, di guasti e di infrazioni in materia ambientale;
   per quanto riguarda la cosiddette misure interdittive, con alcune modifiche all'articolo 29-decies, si è provveduto a:
    a) includere la chiusura dell'installazione «nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione»;
    b) modificare l'istituto della diffida, in base al quale, ora, al gestore dell'installazione non viene assegnato soltanto il termine entro il quale eliminare le inosservanze, ma anche un termine entro il quale devono essere applicate «tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l'autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità»;
    c) prevedere la sospensione dell'attività nel caso in cui si verifichino situazioni o si reiterino violazioni più di due volte l'anno;
   le modifiche contenute nel decreto legislativo n. 46 del 2014, sono funzionali a un rafforzamento dei momenti di controllo del rispetto delle condizioni contenute nell'atto autorizzativo durante il funzionamento dell'installazione autorizzata, nonché degli strumenti attraverso i quali assicurare la conservazione delle condizioni nelle quali si trovano le matrici ambientali al momento dell'inizio dell'attività ovvero, in caso di compromissione, il loro ripristino;
   è indispensabile che la nuova normativa trovi immediata e piena applicazione anche e soprattutto rispetto ad installazioni in esercizio che operano sulla base di autorizzazioni integrate ambientali rilasciate in base alla normativa previgente;
   detta esigenza rischia di essere contraddetta dalle linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, recata dal titolo III-bis alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, fornite dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 27 ottobre 2014;
   in base a quanto riportato nelle linee di indirizzo, e in particolare nelle lettere b) e c) del punto 3, Applicazione dell'istituto del rinnovo periodico, alle autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale viene data l'indicazione di convertire in procedimenti di riesame i procedimenti di rinnovo periodico avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, e di archiviarli – su richiesta del gestore – ad esito dello scambio delle informazioni descritte alla successiva lettera d);
   in base a quanto riportato alla lettera d) del medesimo punto 3, le nuove scadenze di legge, così come modificate dal decreto legislativo n. 46 del 2014, trovano applicazione alle autorizzazione integrate ambientali in vigore alla data dell'11 aprile 2014;
   in merito a ciò, nelle linee di indirizzo, ci si limita a segnalare l'opportunità che la ridefinizione della scadenza – rectius la proroga – «sia resa evidente da un carteggio tra gestore e autorità competente, anche in forma di lettera circolare, che confermi l'applicazione della nuova disposizione di legge alla durata delle AIA vigenti, facendo salva la facoltà per l'autorità competente di avviare di sua iniziativa un riesame alla data del previsto rinnovo», precisando che lo stesso carteggio debba chiarire le modalità di gestione della proroga e l'applicazione delle garanzie fideiussorie previste dalla nuova normativa;
   al successivo punto 4) delle linee di indirizzo, per quel che concerne le modalità di gestione dei procedimenti in corso, alle autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale viene data l'indicazione di adeguare i procedimenti avviati dal 7 gennaio 2013 al 10 aprile 2014 alle nuove procedure, facendo salvi gli esiti conseguiti allo stato degli atti;
   in merito alla richiesta di presentazione della relazione di riferimento, nello stesso documento con le linee di indirizzo, è stato precisato, altresì, che la richiesta, da parte dell'amministrazione competente – eventualmente nella forma di avvio del riesame – viene indirizzata a tutti i gestori di installazione dotate di AIA o con procedimenti di AIA in corso, per le quali non si sia già provveduto a validare una relazione di riferimento, e che la validazione della relazione può essere effettuata dall'autorità competente con tempi indipendenti da quelli connessi al rilascio dell'autorizzazione e anche prima del primo aggiornamento dell'AIA effettuato in attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo n. 42 del 2014;
   con successivo decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014, sono state definite le modalità per la redazione della relazione di riferimento stabilendo – all'articolo 4 – i termini entro i quali i gestori in possesso di autorizzazione statale al momento dell'entrata in vigore del medesimo decreto sono tenuti a presentare la relazione di riferimento ovvero ad effettuare la procedura prevista per accertare la sussistenza dell'obbligo di presentazione della medesima relazione –:
   se intenda procedere a una integrazione delle linee di indirizzo, in modo da precisare che all'interno dei procedimenti di rinnovo periodico avviati dal 7 gennaio 2013 al 10 aprile 2014 – per i quali va previsto l'adeguamento alle nuove procedure, e non l'archiviazione come definito dal punto 3) lettera c) – vadano compresi anche quelli rispetto ai quali, durante l'arco temporale sopracitato, il gestore dell'installazione abbia provveduto a inoltrare all'amministrazione competente la domanda di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale ex articolo 29-octies, comma 1, del testo previgente del decreto legislativo n. 152 del 2006, ancorché l'amministrazione competente abbia provveduto a dare formale avvio al procedimento soltanto in una data successiva al 10 aprile 2014;
   se, con un eventuale aggiornamento delle linee di indirizzo, intenda precisare che:
    a) all'interno dei procedimenti di rinnovo periodico avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, da convertire in procedimenti di riesame con le modalità previste dalla nuova normativa – e non da archiviare vadano compresi i procedimenti di rinnovo periodico riferiti ad autorizzazioni con scadenza successiva al 10 aprile, per i quali — in base al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014 – il gestore è comunque tenuto a presentare la relazione di riferimento entro i prossimi 12 mesi;
    b) l'eventuale archiviazione dei procedimenti di rinnovo periodico, avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, debba essere preceduta da un'apposita procedura — alla quale assicurare la piena partecipazione del pubblico — con la quale l'amministrazione competente verifica se sussistano ovvero escluda che si possono manifestare le condizioni elencate nell'articolo 29-octies, comma 4, in presenza delle quali è necessario procedere al riesame dell'autorizzazione;
   se intenda procedere a un'integrazione delle linee di indirizzo, in modo da sottrarre alla piena discrezionalità delle amministrazioni competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale la definizione e la gestione delle procedure descritte nel punto 3 lettera b), c) e d) delle stesse linee di indirizzo, e in particolare i seguenti aspetti:
    a) la tempistica, le modalità per la presentazione dell'istanza con la quale il gestore richiede l'archiviazione di procedimenti di rinnovo periodico dell'autorizzazione integrata ambientale avviati dopo il 7 gennaio 2013, in corso e riferiti ad autorizzazioni con scadenza successiva al 10 aprile 2014, e la documentazione da allegare alla medesima istanza;
    b) la tempistica, le modalità e i contenuti minimi del «carteggio tra gestore e autorità competente», di cui al punto 3, lettera d) delle linee di indirizzo, attraverso il quale procedere alla proroga delle scadenza delle autorizzazione integrate ambientali in vigore alla data dell'11 aprile 2014, con specifico riferimento alle modalità con le quali gestire la proroga delle stesse autorizzazioni sotto la vigenza delle nuovi disposizioni introdotte con il decreto legislativo n. 46 del 2014, in merito alla disciplina dei controlli e delle ispezioni, delle misure interdittive, delle garanzie fideiussorie prestate quale condizione dell'efficacia nonché all'indicazione della tempistica per il rispetto delle prescrizioni;
    c) l'individuazione dei casi nei quali all'applicazione della nuova disposizione di legge alla durata delle autorizzazioni integrate ambientali — con la conseguente proroga dell'efficacia dei termini di efficacia – debba essere necessariamente associato il riesame, ad iniziativa dell'autorità competente, della stessa autorizzazione;
   se gli obblighi e i termini concernenti la relazione di riferimento — fissati con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014 richiamato nelle premesse — trovino automatica e immediata applicazione anche rispetto ai gestori in possesso di autorizzazione integrata rilasciata dalle regioni ovvero debbano essere recepiti con appositi atti di competenza regionale. (4-07350)

  Risposta. — In relazione a quanto segnalato dagli interroganti con l'interrogazione in esame, si può osservare sinteticamente quanto segue.
  Per prima cosa, la precisazione relativa ai procedimenti in fase di avvio al 10 aprile 2014 può essere opportuna, ma il relativo impatto è verosimilmente minimale.
  La presentazione della relazione di riferimento e la relativa validazione, poi, costituiscono un elemento del tutto autonomo rispetto al rilascio e all'aggiornamento dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia). Tale elemento, di fatti, non incide sulle condizioni di esercizio, ma solo su cosa accade dopo la completa dismissione.
  Parimenti la sussistenza di elementi di criticità ambientale tali da rendere necessario l'avvio di un riesame è del tutto indipendente dall'obbligo di riesame periodico (già di rinnovo). Pertanto le precisazioni richieste al secondo punto dei quesiti formulati con l'interrogazione, non appaiono condivisibili.
  Riguardo i criteri direttivi con cui effettuare le valutazioni tecniche nei singoli casi, la circolare non appare uno strumento adeguato, poiché in merito la competenza è stata assegnata dalla legge alle singole autorità competenti e queste (nell'ambito del coordinamento ex articolo 29-quinquies, del decreto legislativo 152 del 2006) non hanno a riguardo concordato una linea d'azione comune.
  Riguardo, infine, i tempi per la presentazione delle relazioni di riferimento da parte di installazioni ad Aia regionale pare sia abbastanza chiaro che le decisioni spettano alle singole autorità competenti, e che a riguardo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può solo indicare ad esempio come gestisce i procedimenti di sua competenza. Peraltro a riguardo in sede di Coordinamento si è giunti ad una posizione condivisa da parte di tutte le Regioni, che potrà essere oggetto di una prossima linea di indirizzo ministeriale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   già da qualche tempo il Movimento Associativo Italiani all'estero sta denunciando la chiusura di diverse sedi istituzionali che stanno mettendo in grave disagio i connazionali lì residenti;
   nella vecchia circoscrizione di Manchester risiedono circa 60 mila connazionali, di cui oltre 45 mila sono iscritti all'AIRE. L'area di Manchester è, dopo Londra, la zona di maggiore accoglienza di nuova emigrazione come risulta dai dati ufficiali del HM Revenue and Customs della Gran Bretagna per il numero di italiani richiedenti il national insurance number (codice fiscale);
   la vecchia circoscrizione di Manchester si estende per circa 64435 chilometri quadrati pari a Lombardia-Piemonte e Liguria messi assieme. Un connazionale che deve raggiungere Manchester da Newcastle deve percorrere 230 chilometri e in tal senso la distanza di percorrenza si raddoppia a 460 chilometri, come Napoli-Firenze, quando i connazionali dovranno spostarsi sul consolato di Londra se lo sportello consolare chiuderà i battenti come programmato per giugno 2014;
   la chiusura dello sportello comporterà gravissimi disagi per tutte le fasce sociali deboli come anziani e portatori di handicap, poiché saranno costretti a spostamenti infrasettimanali, per i quali saranno necessari l'utilizzo di vari mezzi di trasporto. Inoltre, saranno costretti a impiegare mezza giornata o anche più di tempo con difficoltà a spostarsi autonomamente e non saranno in grado di utilizzare il computer per dialogare con un consolato virtuale distante 350-450 chilometri. In assenza di familiari che possano aiutarli con il computer e/o accompagnarli e prendersi carico delle spese, saranno costretti con molta probabilità a rinunciare ai servizi consolari;
   il carico del costo del biglietto ferroviario e le spese per andare presso gli sportelli del consolato di Londra si potrebbe aggirare intorno i 300 euro a persona che risultano un ingente somma per chi vive di pensione o deve andarci con famiglia; da una prima analisi dei dati risulta che il costo reale dello sportello consolare è di circa 25 mila sterline annue che deriva dall'affitto e le spese varie quali assicurazione, luce gas e altro. I salari degli addetti sono stati esclusi poiché in ogni caso essi dovranno essere assorbiti altrove;
   dall'ultima riunione del Comites di Manchester, dove ha partecipato il rappresentante locale, è emerso che il Comites recentemente aveva informato l'ambasciatore con una lettera inviata in data 12 dicembre 2013 che dalla data di istituzione del 10 ottobre 2011, l'ufficio consolare di Manchester ha espletato i seguenti servizi:
   a) 4000 passaporti;
   b) 400 pratiche notarili;
   c) 600 pratiche di stato civile e cittadinanza;
   d) 1100 pratiche di assistenza sociale, pensioni, servizi funerari e codici fiscali;
   pur condividendo l'esigenza di innovare e semplificare per ridurre i costi, gli interroganti ritengono che il provvedimento riguardante la chiusura dello sportello consolare di Manchester non possa essere ricondotto al piano generale di razionalizzazione della rete estera. Basti pensare che solo per rinnovo passaporto, al costo di 70.70 (sterline), produce circa 280 mila sterline e se si aggiungono le 34 (sterline) di tassa annuale, l'ammontare totale copre notevolmente l'attività dello sportello almeno per i prossimi dieci anni;
   non si riesce ancora a comprendere quale sia stata la causa che ha indotto il Ministero a procedere alla chiusura dello sportello consolare di Manchester che oltre ad essere ampiamente in attivo è un punto di riferimento di una comunità di 60 mila connazionali che saranno messi in condizioni di grave disagio quando a giugno 2014 lo sportello in oggetto chiuderà –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti evidenziati nelle premesse e quali siano i suoi orientamenti;
   quali siano state le valutazioni economiche e politiche che hanno indotto il Ministro interrogato a programmare la chiusura dello sportello consolare di Manchester;
   se non ritenga di dover ascoltare i rappresentanti del Comites locale e del Consiglio generale degli italiani all'estero prima di rendere operativa la decisione di chiudere lo sportello di Manchester nel mese di Giugno 2014. (4-03247)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per ottemperare agli obblighi di riduzione della spesa pubblica dettati dal decreto-legge n. 95 (cosiddetto spending review) – convertito, con modifiche, nella legge n. 135 del 2012 – ha dovuto attuare un complesso e articolato piano di riorganizzazione della rete diplomatica, consolare e culturale, che ha coinvolto 35 strutture all'estero.
  L'individuazione delle sedi da inserire in tale esercizio di ristrutturazione è avvenuta attraverso un processo di condivisione promosso dalla Farnesina – in uno spirito di trasparenza e di apertura al dialogo – con una pluralità di attori istituzionali interessati (tra i quali, Commissioni parlamentari, istanze rappresentative dei connazionali all'estero ed organizzazioni sindacali). In tale contesto sono stati inoltre presi in esame – per quanto riguarda le sedi con funzioni consolari – molteplici parametri obiettivi, tra i quali il volume dell'attività consolare, la consistenza della collettività dei connazionali residenti, la distanza tra la sede in soppressione e quella che riceve le competenze e la facilità dei relativi collegamenti.
  La razionalizzazione delle risorse finanziarie ed umane è al contempo condizione indispensabile per assicurare l'adeguamento della rete stessa – la cui intelaiatura ha avuto origine in contesti storici profondamente diversi da quello attuale, specie con riferimento al cammino dell'integrazione europea – ai nuovi scenari internazionali in cui l'Italia si trova ad operare. In tale ottica, il rafforzamento delle nostre posizioni in Paesi di nuova priorità e nei mercati emergenti, similmente ai processi in corso anche presso i nostri principali partner europei, si pone al servizio di una diplomazia della crescita, mirando a fare della rete estera uno strumento moderno ed aggiornato, nonché finanziariamente sostenibile, a sostegno della proiezione del Sistema Paese e della competitività dell'Italia nel nuovo sistema globale delle relazioni internazionali.
  Per quanto riguarda in particolare lo sportello consolare di Manchester, esso è stato istituito a seguito della chiusura del Consolato di carriera avvenuta nell'ottobre 2011. Tale struttura – come, d'altronde, tutti gli sportelli consolari, essendo questi nati come soluzione-ponte in fasi di riorganizzazione della rete consolare di I categoria – è stata sin dall'inizio concepita come misura temporanea e transitoria in attesa del completamento dei lavori presso il Consolato generale di Londra che funge ora a tutti gli effetti da polo consolare di riferimento per l'intera area inglese (avendo anche assorbito le competenze dello sportello consolare di Bedford). Lo sportello, peraltro, impiegando esclusivamente personale a contratto, aveva una funzionalità fortemente limitata in quanto la maggior parte delle pratiche dovevano necessariamente essere finalizzate presso il Consolato generale di Londra. Ne discende che dovendo operare una scelta su quale struttura chiudere nel quadro del processo di riorganizzazione della rete (che, come detto, ha imposto alla Farnesina precisi obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero), la chiusura di uno sportello consolare si rivela per la collettività nel suo insieme – facendo astrazione dalla comunità territorialmente più direttamente interessata – ben meno gravosa che la chiusura di un ufficio di prima categoria, che priverebbe l'utenza della totalità dei servizi consolari.
  Raffrontando i dati citati dall'interrogante con le informazioni fornite dal nostro Consolato generale in Londra relative allo stesso periodo, si precisa quanto segue:
   a) i connazionali iscritti all'anagrafe italiani residenti all'estero nella circoscrizione di Manchester risultavano circa 34.000 e non 45.000. Le pratiche per l'iscrizione all'Aire possono essere agevolmente compilate dai connazionali on-line attraverso il sito internet del Consolato di Londra e vengono lavorate direttamente dal personale in servizio a Londra;
   b) considerando l'intero anno 2013, l'attività complessiva dello sportello è consistita in: 1.800 passaporti l'anno (laddove il Consolato generale di Londra ne emette 1.700 al mese); 78 pratiche notarili; 216 pratiche di stato civile e cittadinanza (208 atti di stato civile e 8 pratiche di cittadinanza). Tra questi atti non figurano le ben più numerose domande di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, in quanto esse non vengono trattate dallo sportello;
   c) lo sportello non poteva stampare carte d'identità e European travel documents (Etd). Anche queste pratiche vengono svolte dal Consolato generale di Londra;
   d) parimenti, lo sportello non poteva emettere passaporti ma si limitava a raccogliere i dati biometrici da inviare al Consolato generale di Londra, il quale provvede poi a stampare i passaporti e a spedirli direttamente all'interessato;
   e) alquanto limitati per numero e sostanza risultano gli interventi di assistenza sociale cui lo sportello è chiamato;
   f) il costo di un biglietto andata-ritorno Manchester-Londra alla tariffa più conveniente sul sito di National rail è pari a 75,80 sterline, che non corrispondono a 300 euro.

  In attuazione del più generale impegno governativo a favorire nelle circoscrizioni interessate da provvedimenti di riorganizzazione della rete la creazione di strutture sostitutive, si segnala che con decreto ministeriale è stato recentemente istituito a Manchester un Consolato onorario, che potrà fungere da strumento di continuata assistenza verso le nostre collettività e di interlocuzione verso le Autorità locali.
  È già stato individuato un candidato alla titolarità dell'ufficio sul quale sono in corso di svolgimento le prescritte verifiche di sicurezza. L'ufficio verrà pertanto avviato ad operatività in tempi auspicabilmente brevi. Il nuovo Console onorario potrebbe tra l'albo essere interessato dal progetto pilota di estensione agli Uffici onorari delle apparecchiature per la rilevazione dei dati biometrici ai fini dell'emissione del passaporto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   MINNUCCI, GREGORI, TIDEI, FERRO, CARELLA, ZARATTI, COSTANTINO, DURANTI, MARCON e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'inchiesta «Mondo di mezzo», condotta dalla direzione investigativa antimafia presso la procura della Repubblica di Roma, che ha portato alla luce l'esistenza di un'organizzazione criminale dedita a numerosi traffici illeciti e che vede indagati politici, imprenditori e professionisti di Roma e provincia, i gruppi consiliari «Alternativa civica» e «Sacrofano Progetto Comune» (SPC) del comune di Sacrofano (RM), hanno presentato al prefetto della Provincia di Roma, in data 5 dicembre 2014, richiesta ufficiale di scioglimento del consiglio comunale di Sacrofano (RM) per fenomeni di tipo mafioso, ex articolo n. 143 dal decreto legislativo n. 267 del 2000, essendo risultato tra gli indagati, per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, anche il sindaco Tommaso Luzzi;
   entro i successivi 20 giorni, i medesimi gruppi hanno altresì provveduto alla richiesta di convocazione di un consiglio, comunale straordinario con all'ordine del giorno la questione delle dimissioni del sindaco Tommaso Luzzi;
   le richieste avanzate dai predetti gruppi consiliari, si sono basate sull'articolo 38 del regolamento del consiglio comunale di Sacrofano, sugli articoli 39 comma 2, e 143 del decreto legislativo, n. 267 del 2000, nonché, e soprattutto, sulla giurisprudenza amministrativa secondo cui per lo scioglimento di un consiglio comunale è sufficiente che vi siano elementi fortemente indicativi del sodalizio criminale (Tar Campania, Napoli, Sez. I, 6/02/06 n.1622), come rappresentato, nel caso di specie, nell'ordinanza di applicazione delle misure cautelare del 28 novembre 2014, emessa dal GIP del Tribunale di Roma, dottoressa Costantini;
   alla vicenda appena descritta, va aggiunta anche quella nella quale il sindaco Luzzi risulta essere imputato in altro procedimento penale (n. 1756/12 R.G. DIB) presso il tribunale penale di Tivoli, per il reato di cui all'articolo n. 319 codice penale, e relativo all'inchiesta denominata «Caronte»;
   il 22 dicembre 2014 veniva convocato il consiglio comunale straordinario, ma il clima di profonda ostilità creatosi tra maggioranza e minoranza ha impedito il raggiungimento di qualsiasi soluzione, con il risultato che ad oggi Tommaso Luzzi ricopre ancora la carica di sindaco del comune di Sacrofano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del coinvolgimento del sindaco di Sacrofano (RM) Tommaso Luzzi nell'inchiesta giudiziaria denominata «Mondo di Mezzo» e nell'organizzazione criminale denominata «Mafia Capitale» nonché della conseguente richiesta di scioglimento del consiglio, comunale di Sacrofano avanzata al prefetto della provincia di Roma;
   se il Ministro interrogato intenda attivare le procedure previste dalla legge relative allo scioglimento del consiglio comunale per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, e quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di garantire il ripristino di quelle elementari regole democratiche e di legge che sarebbero state ripetutamente violate in seno al comune di Sacrofano. (4-07647)

  Risposta. — Il 28 novembre 2014 il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nell'ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica capitolina, ha emesso un'ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di alcuni appartenenti all'organizzazione criminale denominata «Mafia Capitale», nonché di amministratori e funzionari pubblici che hanno costituito il cosiddetto «capitale istituzionale» del sodalizio.
  I capi di incolpazione, delineati nel provvedimento, fanno riferimento ad una sequela di reati contro la pubblica amministrazione, perpetrati, tra l'altro, nella gestione degli appalti di Roma Capitale, nonché di quattro ulteriori comuni della provincia: Sacrofano – a cui fa espresso riferimento l'interrogazione –, Castelnuovo di Porto, Sant'Oreste e Morlupo.
  Sulla base di tale ordinanza, la prefettura di Roma, tra le altre iniziative promosse, ha avviato la verifica dell'esistenza di condizionamenti mafiosi nel comune di Sacrofano (oltreché negli altri quattro comuni sopra citati).
  La commissione d'accesso, insediatasi l'8 gennaio 2015 e prorogata con provvedimento prefettizio del 27 marzo 2015, concluso i propri lavori depositando la prescritta relazione lo scorso 8 luglio 2015.
  Alla luce di tale documento e del parere che sarà reso dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la presenza del procuratore della Repubblica di Roma, il Prefetto presenterà, entro il 22 agosto 2015, le proprie valutazioni al Ministro dell'interno per il seguito di competenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PELLEGRINO, PALAZZOTTO, KRONBICHLER, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, AIRAUDO, ALBINI, AMODDIO, ANZALDI, BERGONZI, FRANCO BORDO, BORGHI, CARRESCIA, CIRACÌ, COSTANTINO, DISTASO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FITZGERALD NISSOLI, GANDOLFI, GARAVINI, GIUSEPPE GUERINI, LA MARCA, LAFORGIA, MAGORNO, MARAZZITI, MARCON, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, NARDUOLO, NICCHI, OLIVERIO, PAGLIA, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, PREZIOSI, QUARANTA, RIBAUDO, RICCIATTI, SANNICANDRO, SBERNA, SCHIRÒ, SCOTTO, ZACCAGNINI, ZARATTI, MATARRESE, VENTRICELLI, PRINA, ZANIN, ZAPPULLA, TARICCO, ROSSI, ROMANINI, ALBANELLA e AMATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è di queste settimane l'appello dell'Associazione Gherush92, Committee for human rights, e dell'Accademia di belle arti di Brera, per il mantenimento del memoriale italiano nel Blocco 21, elemento integrante dell'opera, che rischia di essere trasferito dalla sua sede naturale per volontà e decisione del museo di Auschwitz, del governo polacco;
   il Memoriale Italiano è una delle più importanti opere d'arte italiana del Novecento, il cui valore artistico, educativo e di testimonianza diretta, è riconosciuto, fra gli altri, dall'Accademia di Brera, ed è stato realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito Unesco 1979, ne fa parte integrante e, pertanto, è patrimonio mondiale dell'umanità;
   il Memoriale ricorda e celebra tutti gli italiani, donne e uomini ebrei, rom, omosessuali, dissidenti politici, deportati nei campi di concentramento nazisti, fra i quali gli stessi autori dell'opera d'arte;
   strappare il Memoriale dal suo contesto naturale, il campo di sterminio di Auschwitz, per trasferirlo altrove coincide con la distruzione dell'opera e del suo significato;
   come sottolineato dal suddetto appello, i motivi ideologici e politici, che hanno portato alla censura e alla chiusura del Memoriale e che spingono verso la sua rimozione, sono anacronistici ed inammissibili: con essi si cancellano dati e responsabilità storiche, incontrovertibili, dello sterminio e della liberazione, di cui il Memoriale stesso è un documento;
   la rimozione del Memoriale comporta una violazione dei diritti umani, del diritto Internazionale, del diritto di proprietà intellettuale e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nonché una violazione della Convenzione internazionale per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale dell'UNESCO e un crimine di distruzione di beni culturali ed artistici –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere affinché il Memoriale non venga rimosso dal Blocco 21 del campo di sterminio di Auschwitz, sua parte integrante, e affinché venga immediatamente riaperto al pubblico, restaurato e integrato con apparati didattici esplicativi e congrui.
(4-07473)

  Risposta. — Il «Blocco 21» ospita dal 1980 il Memoriale italiano, opera concepita per conto dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (ANED) dallo Studio Bbpr, cui hanno concorso Lodovico Belgiojoso, Luigi Nono, Pupino Samonà, Primo Levi, di proprietà della stessa Aned.
  Il Memoriale italiano è un'opera d'arte di alto valore artistico e culturale e di grande impatto emotivo, che riflette l'atmosfera dell'epoca in cui fu realizzata. Pertanto, a seguito del mutato contesto storico avviatosi all'inizio degli anni ’90, la direzione del Museo di Auschwitz ha ritenuto, e più volte segnalato come, a suo giudizio, il Memoriale non sia rispondente ai nuovi indirizzi emanati dalla stessa direzione, concernenti le linee da seguire nell'allestimento degli spazi nazionali del Museo stesso, a cui altri Paesi europei si sono da tempo conformati. Il Memoriale non è in alcun modo modificabile nella sua originaria configurazione, concepita unitariamente dai suoi autori, e non può essere mantenuto nella sua attuale collocazione, peraltro in uno stato di abbandono che rischia di comprometterne gravemente l'integrità.
  Da parte della direzione del Museo di Auschwitz sono giunti ripetuti inviti a procedere senza ulteriori indugi al trasferimento del Memoriale – pena la sua rimozione da parte delle autorità museali – ed al nuovo allestimento del «Blocco 21» che, in assenza dell'adeguamento richiesto, non è fruibile dai visitatori poiché è stato chiuso su disposizione della direzione del Museo, con conseguente degrado dell'opera. L'Aned, di fronte all'impossibilità di mantenere l'opera artistica e storica nel luogo per il quale era stata concepita e costruita, dopo una ponderata riflessione, con risoluzione assunta il 30 novembre 2014, ha acconsentito al richiesto trasferimento dell'opera in Italia, a condizione di una sua adeguata valorizzazione. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), in attuazione degli indirizzi del Governo espressi in materia nella seduta della Camera dei Deputati dell'11 febbraio 2015, si è adoperato per definire le modalità di smontaggio, trasporto, ricollocazione e restauro nella nuova sede dell'opera. Tra le diverse ipotesi esplorate di collocazione in città italiane, la scelta, condivisa con Aned, è caduta sulla sede proposta dal Comune di Firenze, con il sostegno della Regione Toscana, presso la struttura denominata EX3, posta in viale Donato Giannotti 81/83/85, ritenuta idonea a consentire la conservazione e la valorizzazione del Memoriale stesso. Conseguentemente il Ministero, la Regione Toscana, il Comune di Firenze e l'ANED il 20 maggio 2015 hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per definire le modalità del trasferimento del Memoriale a Firenze e per la sua successiva valorizzazione. In tale protocollo, in sintesi, le parti si impegnano, ciascuna negli ambiti di competenza propri, nel comune intento a sviluppare tutte le azioni necessarie per restituire alla fruibilità ed alla memoria pubblica il Memoriale, nella pluralità dei suoi significati storici, artistici e di memoria civile.
  In particolare, il Mibact espleterà le procedure per l'individuazione del soggetto cui affidare le operazioni di documentazione, messa in sicurezza, smontaggio e trasporto del Memoriale dalla collocazione attuale nel Museo di Auschwitz a Firenze, e di successivo trasporto e rimontaggio nella nuova sede, nel presupposto che a tali fini sia resa disponibile una parte dei fondi di cui al citato decreto-legge n. 248 del 31 dicembre 2007, in esito a specifica convenzione che sarà sottoscritta con la Presidenza del Consiglio; coordinerà le operazioni di cui sopra attraverso l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (Iscr) e l'Opificio delle pietre dure di Firenze ed avvierà le procedure per la dichiarazione del Memoriale opera di interesse culturale ai sensi della normativa vigente in materia di diritto d'autore. Il Mibact si impegna, inoltre, a esercitare attivamente, in coordinamento con l'Associazione proprietaria e gli enti sottoscrittori dell'intesa, le proprie funzioni, per la migliore tutela e valorizzazione del Memoriale, in conformità ai principi del codice dei beni culturali e del paesaggio. Il Comune di Firenze individuerà e destinerà uno spazio adeguato al temporaneo ricovero del Memoriale per il tempo strettamente necessario alle operazioni di trasformazione dell'intero immobile denominato EX3 e alla funzionalizzazione della porzione destinata ad accogliere l'opera; curerà la progettazione esecutiva e la realizzazione delle opere di trasformazione dell'immobile denominato EX3, che dovranno essere condivise con i sottoscrittori del protocollo; infine, garantirà la fruizione pubblica del monumento nella sede individuata.
  L'Aned, che ha consentito le operazioni di smontaggio, trasporto, restauro e deposito temporaneo del Memoriale nello spazio individuato dal Comune di Firenze, stipulerà un contratto di comodato d'uso gratuito con il Comune di Firenze, proprietario dell'immobile che ospiterà il Memoriale, al fine di garantirne l'esposizione in via permanente e la sua fruizione pubblica. L'Aned promuoverà le opportune intese per consentire l'accesso all'Archivio storico del Memoriale per l'acquisizione di tutte le informazioni storico-critiche necessarie e appronterà e finanzierà, secondo propri criteri e possibilità, l'apparato storico-documentario a corredo del Memoriale nel suo nuovo allestimento e i materiali di promozione e informazione. Il nuovo allestimento verrà corredato da un apparato storico-documentario che favorisca la più ampia fruibilità culturale, formativa e didattica; la comprensione storico-critica del Memoriale nel suo aspetto originario e documentale di testimonianza artistica multidisciplinare della deportazione razziale e politica nell'universo concentrazionario; la comprensione della storicità acquisita dal Memoriale come documento significativo delle forme di rappresentazione e costruzione della memoria pubblica in Italia. La Regione Toscana si è impegnata a riorientare le politiche della memoria aggregando intorno al Memoriale le attività di ricerca, formazione, diffusione di conoscenze su leggi razziali, deportazioni, sterminio e di costruzione di memoria civile. Contribuirà a sostenere la mediazione e valorizzazione culturale del Memoriale, anche favorendo accordi con quei soggetti che sul territorio regionale operano sui temi della memoria della deportazione, ad iniziare dalla Fondazione Museo della deportazione di Prato, e concorrerà al sostegno finanziario delle attività di promozione, valorizzazione e comunicazione del Memoriale.
  Ciò premesso, essendo imprescindibile la necessità di garantire la conservazione della memoria della tragica pagina della storia italiana relativa alla persecuzione nazi-fascista e, quindi, l'esecuzione degli interventi necessari per ricollocare il Memoriale italiano e riallestire il «Blocco 21», l'articolo 50, comma 7-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha disposto uno stanziamento di 900.000,00 euro, in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri. A seguito di contatti fra tutti i soggetti coinvolti, si è convenuto che una parte della predetta somma sarà destinata alle operazioni di smontaggio, imballaggio, trasporto in Italia, rimontaggio e restauro del Memoriale.
  Per quanto riguarda invece il nuovo allestimento museale del «Blocco 21», si fa presente che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 marzo 2015, è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio la «Commissione per il restauro del blocco 21 del Museo di Auschwitz-Birkenau e per il nuovo allestimento del percorso espositivo italiano», con il compito di proporre al Presidente del Consiglio «un progetto completo ed organico per il restauro del blocco 21». La commissione, è presieduta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, o un suo delegato, ed è composta da due dirigenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, due del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, due del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e due del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché da due rappresentanti ciascuno dell'Aned, dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) e della Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec). La composizione della commissione è in corso di definizione.
  In conclusione, si fa presente che, al fine di conservare l'intero complesso museale e lasciare alle future generazioni il simbolo del genocidio compiuto nel secolo scorso, la Fondazione Auschwitz-Birkenau ha previsto la costituzione di un Fondo perpetuo che dovrebbe raggiungere i 120 milioni di euro entro il 2015. Gli interessi derivanti, pari a 4/5 milioni di euro annui, andrebbero a coprire i costi della conservazione, lasciando invariato l'ammontare del Fondo. Nel febbraio del 2009 il Governo polacco ha chiesto un contributo finanziario per la copertura dei costi di conservazione del sito di Auschwitz-Birkenau, cui hanno già aderito, oltre a enti e organizzazioni internazionali, anche Germania (60 milioni di euro tra Governo federale e Länder), USA (15 milioni), Polonia (15 milioni), Francia (5 milioni) e Regno Unito (2 milioni), Israele (con un contributo di un milione di dollari, molto apprezzato per il suo valore simbolico) e, di recente, il Vaticano (100.000 euro).
  Per quanto riguarda il contributo finanziario del Governo italiano si precisa che la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» ha disposto uno stanziamento, per l'esercizio finanziario 2015, dell'ammontare di un milione di euro quale «contributo volontario alla fondazione Auschwitz-Birkenau finalizzato al mantenimento della struttura dell'ex campo di sterminio», sul capitolo 4507 della tabella 6, relativa al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la cui somma è stata già versata.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi Paesi europei, tra i quali la Francia e la Gran Bretagna, ed extraeuropei, come gli Stati Uniti, l'epidemia di Ebola che ha colpito l'Africa occidentale ha determinato l'adozione di misure preventive significative;
   tra le misure preventive, tese ad impedire la propagazione del contagio, spiccano i controlli sanitari alle frontiere aeroportuali, effettuati da team specializzati con l'ausilio di apposita strumentazione, come i termometri a distanza, già in uso al John Fitzgerald Kennedy di New York;
   tra i Paesi che stanno ricorrendo a questo genere di misure non figura al momento l'Italia;
   le compagnie aeree del Belgio, della Francia e del Marocco continuano ad effettuare voli negli Stati maggiormente colpiti dall'epidemia;
   tra gli aeroporti del nostro Paese maggiormente a rischio, oltre a quello di Fiumicino, dove le misure preventive consistono al momento solo nel pre-posizionamento di un'autoambulanza attrezzata, ed agli scali di Malpensa e Linate, vi è il Marco Polo di Venezia, destinatario di un volume di traffico passeggeri assolutamente rilevante;
   il polo aeroportuale di Venezia, che comprende anche lo scalo di Treviso, ha avuto oltre 10,5 milioni di passeggeri nel 2013;
   a dispetto dell'ingente flusso turistico diretto a Venezia, al Marco Polo sarebbe operativa soltanto una task-force, di cui sono ignote dimensioni, capacità ed attività, e comunque non risulta che sia attivo alcuno screening dei passeggeri in arrivo da aree a rischio Ebola –:
   quale siano le ragioni per le quali il Governo italiano non ha finora adottato misure di controllo e di profilassi agli aeroporti simili a quelle deliberate dai Paesi dimostratisi più prudenti nel fronteggiare l'emergenza e cosa si attenda ancora a proteggere almeno gli scali interessati dai più grandi volumi di traffico, come il Marco Polo di Venezia, con precauzioni più significative ed incisive.
(4-06553)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Il Ministero della salute, in relazione al diffondersi dell'epidemia di malattia da virus ebola nei Paesi dell'Africa occidentale, ha emanato, fin dal 4 aprile 2014, una serie di circolari per il rafforzamento della vigilanza sanitaria in corrispondenza dei punti di ingresso internazionali (porti ed aeroporti) e all'interno del territorio nazionale.
  Le misure di sorveglianza adottate in Italia sono in linea con quelle adottate negli altri Stati membri dell'Unione europea, e sono state ripetutamente oggetto di confronto e discussione nell'ambito sia del Comitato per la sicurezza sanitaria dell'Unione europea sia della rete comunitaria per la sorveglianza e risposta rapida.
  Nei Paesi dell'Unione europea, anche sulla base dell'avviso del Centro europeo controllo malattie, non vengono effettuati in maniera generalizzata «screening» in ingresso sui viaggiatori provenienti dai Paesi affetti da Ebola.
  Gli aeroporti italiani non sono destinatari di voli diretti dai Paesi affetti da malattia da virus ebola: pertanto, non è fattibile, presso gli aeroporti italiani, la messa in atto delle misure di sorveglianza attuate presso hub internazionali quali l'Aeroporto «J.F. Kennedy» di New York o l'aeroporto «Heathrow» di Londra, in cui è possibile individuare i voli provenienti direttamente dai Paesi affetti.
  Non a caso, negli altri aeroporti del Regno Unito e nella quasi totalità degli scali aeroportuali degli Stati Uniti d'America, in cui arrivano solo voli indiretti dalle zone affette, non viene effettuata vigilanza sanitaria all'arrivo.
  D'altra parte, però, anche in Italia, nel periodo in cui la Nigeria è stata affetta da malattia da virus Ebola (fino al 19 ottobre 2014), i voli provenienti direttamente da quel Paese sono stati sottoposti, al loro arrivo presso l'Aeroporto di Fiumicino, a controlli sanitari da parte dell'Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera di Fiumicino.
  In ogni caso, il Ministero della salute, per mezzo dei propri Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf), effettua le attività di sorveglianza sanitaria al momento dell'arrivo presso gli aeroporti nazionali nei confronti delle persone provenienti dai Paesi affetti da ebola segnalate dalle organizzazioni non governative impegnate in loco in progetti di supporto sanitario ed umanitario, dal Ministero degli affari esteri e da Agenzie delle Nazioni Unite.
  Tali controlli riguardano gli operatori, sia sanitari che di altre professionalità, impegnati nelle aree affette in progetti di organizzazioni non governative, attivati sotto l'egida e con il finanziamento del Ministero degli affari esteri, ma vengono effettuati anche su personale di Agenzie delle Nazioni Unite (ad esempio FAO e World Food Program) con sede in Italia, nonché su altre persone in arrivo dalle aree affette segnalate dal Ministero degli affari esteri o da altre istituzioni, quali Università o Agenzie di formazione.
  I controlli, peraltro, eccedono le raccomandazioni temporanee per l'epidemia di malattia da virus ebola in Africa occidentale emanate dal direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità l'8 agosto 2014, e successivamente aggiornate il 22 settembre 2014, il 23 ottobre 2014, il 21 gennaio 2015 e 10 aprile 2015, che prevedono l'effettuazione di screening dei viaggiatori internazionali in uscita dalle aree affette, ma di fatto sconsigliano, per lo sfavorevole rapporto costo-beneficio e la dubbia utilità, l'applicazione di screening in ingresso.
  Sulla base delle segnalazioni pervenute dalle citate organizzazioni ed amministrazioni, alla data del 5 maggio 2015, oltre 430 persone sono state sottoposte a controlli al momento dell'arrivo presso gli aeroporti italiani da personale degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera.
  Tutte queste persone, asintomatiche al momento del controllo, sono state segnalate per la successiva sorveglianza sul territorio nazionale alle strutture del Servizio sanitario nazionale competenti per il loro luogo di residenza/domicilio.
  Le procedure sono state costantemente oggetto di affinamento e standardizzazione, da ultimo con la circolare del 13 febbraio 2015.
  La maggior parte delle attività di controllo al momento dell'arrivo ha riguardato gli aeroporti internazionali di Roma-Fiumicino (65,8 per cento) e di Malpensa (17,3 per cento), mentre gli altri scali aeroportuali nazionali sono stati interessati in maniera del tutto marginale.
  Per quanto riguarda gli aeroporti del Veneto, la procedura di sorveglianza all'arrivo di persone segnalate è stata attivata 6 volte presso l'aeroporto di Venezia e 1 volta presso quello di Verona; nessuna segnalazione ha riguardato l'aeroporto di Treviso.
  In tutti i casi in cui è stato necessario, il personale dell'Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera di Trieste, unità territoriale di Venezia, competente per i punti di ingresso internazionali situati nel Veneto, è intervenuto per la messa in atto delle attività di propria competenza (profilassi internazionale).
  Presso l'ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera-Trieste, unità territoriale di Venezia, prestano al momento servizio 18 unità di personale, incluso il direttore dell'Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera (dirigente di II fascia), di cui 5 medici, 5 tecnici della prevenzione e 8 unità afferenti ai settori amministrativo e tecnico dei servizi, per un territorio che comprende l'intera Regione del Veneto, le Province autonome di Trento e Bolzano e i punti di ingresso internazioni (porti, aeroporti e interporti) in queste presenti.
  Nonostante le molteplici richieste avanzate, anche in sede di predisposizione di provvedimenti normativi, il blocco delle assunzioni non ha finora permesso un rafforzamento del contingente di personale in servizio, come sarebbe opportuno non solo presso l'unità territoriale di Venezia, ma anche negli altri uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, che continuano ad assicurare lo svolgimento dei compiti istituzionali, a fronte di grandi e costanti sforzi per ottimizzare le risorse a disposizione.
  Per gli aspetti di competenza, l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) ha inteso precisare che, in merito alle misure di rafforzamento dei controlli presso gli aeroporti nazionali ed al potenziamento della campagna di informazione sul virus ebola rivolta ai passeggeri, ha provveduto a raccomandare agli operatori del settore l'applicazione scrupolosa, per gli aspetti di competenza, delle procedure indicate dal Ministero della salute, in merito alla prevenzione e alla gestione di eventuali casi sospetti.
  A tal fine, il direttore generale dell'Enac ha inviato una lettera ad Assoaeroporti, ai gestori aeroportuali, ai vettori nazionali e ai vettori stranieri operanti in Italia, dandone informazione anche al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero della salute, e chiedendo alle proprie direzioni aeroportuali e alle direzioni «operazioni» di vigilare attentamente affinché tali misure siano messe in atto.
  In particolare l'Enac, ha evidenziato la necessità di rispettare le procedure di contact tracing (schede di individuazione dei passeggeri ai fini di sanità pubblica) e, soprattutto per gli aeroporti, di curare gli aspetti relativi alle informazioni da fornire ai passeggeri in arrivo e in partenza, mediante l'esposizione di poster e la consegna di flyer informativi forniti dal Ministero della salute.
  Le indicazioni del Ministero della salute, inoltre, devono essere rese disponibili anche per i passeggeri di eventuali altre tipologie di traffico presenti nello scalo.
  Nella lettera vengono allegati i documenti e il materiale da affiggere negli aeroporti e da distribuire ai passeggeri, materiale già da tempo pubblicato sul portale dell'Ente www.enac.gov.it.
  L'Enac ha invitato i passeggeri con eventuali dubbi o necessità di ulteriori informazioni relative alle procedure da seguire, a rivolgersi preventivamente sia ai vettori aerei al momento dell'acquisto del biglietto, sia ai punti di informazione presso gli scali nazionali se già in aeroporto.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio del 2012 la decima sezione del tribunale civile di Milano nella causa civile di primo grado per danno ambientale iscritta al numero registro 67662/2004, la sentenza che ha condannato la «Syndial S.p.A.», società del gruppo ENI attiva nel campo del risanamento, ambientale, a pagare alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al Commissario delegato per l'emergenza ambientale Calabria, la somma di 56.200.000 euro come risarcimento per il danno ambientale accertato sull'ex sito industriale di Crotone;
   la richiesta di risarcimento era stata inoltrata nel 2004 dalla Regione Calabria che aveva citato in danno Syndial «per le conseguenze all'immagine e l'aumento delle spese sanitarie dovute al presunto incremento di patologie riconducibili all'attività industriale condotta presso il sito di Pertusola Sud»;
   tuttavia, nel dispositivo pronunciato dal giudice nel febbraio 2012 tale istanza è stata rigettata, riconoscendo, invece, l'indennizzo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   da notizie di stampa si apprende che i cinquantasei milioni di euro che il tribunale di Milano ha obbligato la Syndial a versare nelle casse dello Stato saranno integralmente destinati al comune di Crotone;
   in un incontro svoltosi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con tutti gli altri enti locali coinvolti nella vicenda, è stato ribadito che tale somma è da considerarsi esclusivamente a titolo di risarcimento danno, e che non comprende le risorse che la Syndial dovrà mettere in campo per le attività di bonifica del territorio, attività di competenza della società Eni, i cui progetti, tuttavia, sinora hanno incassato il parere negativo degli enti locali;
   nello stesso incontro il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe tranquillizzato delegazione circa i fondi a disposizione e destinati alla bonifica dell'area SIN, che ad oggi ammonterebbero a 19.916.860,84 euro, disponibili a valere sui fondi del Programma nazionale di bonifica e sulle risorse ordinarie del Ministero –:
   se la somma risarcitoria di cui in premessa sia effettivamente stata trasferita al comune di Crotone, e, ove così non fosse, presso quale ente siano in giacenza quale ne sia la destinazione. (4-08212)

  Risposta. — In ottemperanza alla sentenza n. 2536/2012 dei 28 febbraio 2012, emessa dal tribunale di Milano e passata in giudicato, la società Syndial spa in data 17 aprile 2015 ha versato la somma di euro 70.849.885,64, a titolo di risarcimento del danno ambientale.
  Il 6 maggio 2012, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze la riassegnazione dei citati fondi, sul proprio capitolo di bilancio.
  A seguito della riassegnazione, i competenti uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno avviato l’iter, in fase di perfezionamento, relativo alla nomina di un «Commissario Straordinario delegato al fine di accelerare la progettazione e l'attuazione degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale nel sito contaminato di interesse nazionale di Crotone-Cassano-Cerchiara», ai sensi dell'articolo 4-ter, della legge 21 febbraio 2014, n. 9, recante «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”».
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   sul meraviglioso comprensorio di Villa Ada e Monte Antenne sussiste un vincolo paesaggistico fin dal 1954 che riguarda oltre la villa storica anche le aree verdi che la contornano ai sensi del decreto ministeriale del 27 aprile 1954 ed in virtù della legge n. 1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze artistiche e naturali;
   nella parte descrittiva del sopracitato decreto si precisa che nei confini del vincolo è certa l'inclusione dell'area verde del parco pubblico Rabin lungo via Panama che come recita proprio il decreto ministeriale: «con la sua meravigliosa vegetazione arborea costituisce un quadro di singolare bellezza»;
   la regione Lazio ha altresì provveduto a stabilire la totale legalità del vincolo del 1954 confermando la tutela paesaggistica per il Parco Rabin nel suo piano territoriale paesistico regionale che ha piena validità dal febbraio 2008, anche in seguito al sequestro da parte della procura di Roma dei lavori per un parcheggio interrato su via Panama e per la ristrutturazione di un antico casaletto in via del Cannetto all'interno di Villa Ada per assenza di autorizzazione paesaggistica;
   da articoli di stampa, giornali online, un articolo di Lorenzo Grassi sul quotidiano «Metro news» e secondo anche posizioni espresse da Legambiente Lazio, emerse in alcune agenzie di stampa, si evince che il Ministero per i beni e le attività culturali, tramite la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, sta definendo la procedura di rettifica del perimetro a discapito della tutela del verde pubblico e tutelato di Villa Ada e mettendo a rischio il Parco Yitzthak Rabin;
   la procedura di ridefinizione del perimetro nasce dal fatto che nel citato decreto ministeriale del 1954 il vincolo è descritto chiaramente su via Panama, mentre nelle cartografie allegate la mappa soggetta a vincolo è disegnata seguendo il muro storico del complesso di Villa Ada che si trova più indietro rispetto alla strada;
   le aree verdi all'interno e all'esterno del muro perimetrale di Villa Ada sono da anni minacciate dalla speculazione edilizia e dall'abusivismo e sovente dall'incuria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti; se ritenga necessario ridefinire i confini del parco monumentale di Villa Ada e Monte Antenne già fissati nel 1954, stante il fatto che è consuetudine in dottrina che in caso di contrasto, come nella fattispecie, si fa prevalere la norma di maggior tutela; se non ritenga altresì opportuno verificare presso le Sopraintendenze di Roma e del Lazio lo stato delle procedure autorizzative fin qui adottate. (4-00601)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere se questo Ministero ritenga necessario ridefinire i confini del vincolo paesaggistico insistente sul parco monumentale di Villa Ada e Monte Antenne, rispetto a quelli fissati nel 1954, per la supposta presenza di una discrasia fra la definizione del perimetro del vincolo contenuta nel predetto decreto e le cartografie ad esso relative, si comunica quanto segue.
  Il perimetro del vincolo paesaggistico sul comprensorio Villa Ada-Monte Antenne è stabilito dal decreto ministeriale del 27 aprile 1954 citato nell'interrogazione, a cui corrisponde la relativa planimetria. Non è in itinere alcun procedimento finalizzato alla sua rettifica in quanto, secondo la relazione istruttoria fornita dagli uffici, non risultano discrasie tra la descrizione del perimetro del vincolo paesaggistico riportata nel citato provvedimento del 1954 e la rappresentazione grafica dei suoi confini nella relativa planimetria.
  Al riguardo, si rappresenta che la dichiarazione di notevole interesse pubblico riporta testualmente «il comprensorio di Villa Ada e Monte Antenne situato nel comune di Roma confinante a nord, nord est con la via passante per la stazione Salaria (come da piano regolatore); ad est via Salaria fino all'incontro con via Panama; a sud, seguendo quest'ultima fino a viale Romania; ad ovest questo viale, poi seguendo i confini, segnati sul piano regolatore, della zona di Villa Ada e Monte Antenne destinata a parco pubblico, ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497...».
  Si rappresenta, ancora, che seppure nel piano territoriale paesistico regionale la delimitazione del vincolo in questione coincide erroneamente con il muro di cinta di Villa Ada, anziché essere indicato lungo la via Panama, l'area compresa tra il muro di cinta di Villa Ada e Via Panama è comunque soggetta a vincolo paesaggistico, come area vincolata per legge ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera g) del codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre, nella carta della qualità del Comune di Roma il perimetro che identifica la delimitazione di Villa Ada – Giardini e parchi di pertinenza di ville storiche è correttamente indicato come coincidente con via Panama.
  Ad ogni modo, con la deliberazione n. 8 del 14 gennaio 2014, su esplicita richiesta della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la regione Lazio ha preso atto delle comunicazioni degli uffici territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai fini dell'adeguamento delle tavole del piano territoriale paesistico regionale Lazio. Contro il succitato provvedimento è stato presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale Lazio da una società proprietaria di un immobile ubicato fra la via Panama, il muro di cinta che limita il confine della proprietà e del parco di Villa Ada, e la via del Canneto. In data 27 novembre 2014, il tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso, ribadendo la correttezza delle procedure che avevano condotto alla perimetrazione del vincolo.
  Posto l'esatto confine del vincolo che corre lungo la via Panama, ne consegue che sia il parcheggio interrato su via Panama, sia l'antico casaletto di via del Canneto ricadono nell'ambito del vincolo di tutela ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1947, di cui al citato decreto ministeriale 27 aprile 1954.
  Con riferimento, poi, alle procedure autorizzative per interventi edilizi nel parco posti all'attenzione dei competenti uffici ministeriali, si evidenzia che, per quanto attiene al progetto di realizzare un parcheggio interrato in via Panama, ricordato dall'interrogante, in un terreno di proprietà privata posto ai bordi del parco di Villa Ada e affacciato sulla strada, la competente Soprintendenza archeologica, chiamata ad esprimere il proprio parere, ha attivato la procedura di accertamento archeologico preliminare. I relativi sondaggi preliminari geologici hanno dato esito negativo, così come è stata costante l'assistenza archeologica durante l'esecuzione dei lavori. La zona di Villa Ada, infatti, è attraversata da una serie di cavità naturali che avrebbero potuto essere individuate e mappate durante l'esecuzione dei lavori. Durante i citati lavori di scavo, nonostante l'assistenza archeologica, non è stata, però, ritrovata alcuna cavità.
  Anche la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma ha espresso il proprio parere favorevole, con la seguente indicazione «per la sistemazione dell'area scoperta dovrà essere redatto un progetto esecutivo ove vengano indicate le essenze da piantumare e venga fornita una relazione tecnica elaborata da un agronomo».
  Per quanto attiene, infine, ai lavori di ristrutturazione di un piccolo casale in via Canneto, anche esso di proprietà privata e menzionato nell'interrogazione, si rappresenta che la Soprintendenza archeologica, per gli aspetti di propria competenza, ha proceduto, nell'anno 2010, ad eseguire accertamenti archeologici, sempre alla ricerca di cavità, ma i lavori di ristrutturazione non ebbero mai inizio perché interrotti da un sequestro.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 4/04271 l'interrogante lamentava, in merito al concorso di idee bandito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – sopraintendenza per i beni archeologici di Roma, per un progetto di copertura dell’Auditorium di Adriano in piazza Venezia, il fatto che, «il 25 febbraio 2014 la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma con un mero avviso, reperibile al link http://archeoroma.beniculturali.it, sospese, “nelle more dell'approfondimento e delle valutazioni in merito ad alcune questioni postesi relativamente alla composizione della Commissione di Gara” la sopraddetta procedura di gara “fino a nuova disposizione”»;
   tale procedura di bando e successiva sospensione, peraltro senza l'indicazione di uno spazio temporale certo per avere notizie dello stesso, apparve all'interrogante alquanto anomala;
   con risposta del 7 agosto 2014 pubblicata nell'allegato B della seduta 281 del resoconto della Camera dei deputati il Ministro così rispondeva: «[...] Per quanto sopra esposto, e in via preventiva, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha ritenuto opportuno rivolgere all'avvocatura dello Stato uno specifico quesito, relativo alla conformità delle designazioni ricevute sia rispetto alle disposizioni del bando, in quanto lex specialis, che all'articolo 84 del codice, al fine di non incorrere in violazioni della normativa che si configurerebbero quale vizio demolitorio dell'intera procedura che è, invece, interesse di questa Amministrazione condurre e concludere con la massima celerità e regolarità possibili. Inoltre, in attesa del parere dell'avvocatura, la soprintendenza ha sospeso la procedura, con il noto avviso del 25 febbraio 2014. Il parere dell'avvocatura, pervenuto all'Amministrazione il 1o agosto, richiama in primo luogo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di bandi di concorso, secondo la quale «Il bando, costituendo la lex specialis del concorso indetto per l'accesso al pubblico impiego, deve essere interpretato in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l'operato dell'Amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità». Con riferimento al bando in questione, l'avvocatura osserva che appare «aderente alla previsione del bando la nomina soli funzionari e non dirigenti della Direzione Generale Antichità del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio-MiBAC, tanto più che la qualifica dirigenziale non necessariamente postula quella di funzionario». Tali considerazioni – prosegue l'avvocatura – valgono «a maggior ragione... in relazione alla circostanza che due dei nominati rivestono funzioni apicali nei relativi uffici. Detta circostanza potrebbe, infatti, ingenerare problematiche in ordine alla successiva attività amministrativa», alla luce di quanto disposto dall'articolo 84, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006 esattamente richiamato dalla soprintendenza. Alla luce del parere reso dall'avvocatura, e nella piena consapevolezza del disagio determinato fra i concorrenti e nell'opinione pubblica dal lungo tempo trascorso dall'avvio della procedura, questa Amministrazione procederà quindi con la massima celerità alla costituzione della commissione giudicatrice in conformità a quanto indicato nel parere stesso»;
   ad oggi a quanto risulta non è stata ancora costituita, benché sia stata ribadita la questione di «massima celerità» per il bando, la commissione giudicatrice –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda e intenda, per il tramite degli uffici competenti, chiarire con la massima celerità la ragione del ritardo nella costituzione delle sopraccitata necessaria commissione giudicatrice e assumere le iniziative di competenza per la nomina; se non intenda verificare quanto accaduto ad inizio anno, nell’iter del predetto bando presso la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma. (4-06939)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, richiamati il bando di concorso di idee per la copertura dell'Auditorium di Adriano a Roma, in piazza Madonna di Loreto, e la risposta di questa Amministrazione all'interrogazione 4-04271 dello stesso interrogante, con cui si comunicava l'intenzione di procedere, «con la massima celerità», alla nomina della commissione giudicatrice, l'interrogante, constatato che la commissione non risulta ancora costituita, chiede che siano chiarite le ragioni del ritardo, che siano assunte le iniziative di competenza per la nomina della stessa e, infine, che sia verificato l’iter del bando di concorso.
  Il concorso di idee per la copertura provvisoria dell'Auditorium di Adriano è stato indetto dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma (ora ridenominata soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma) con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 4 novembre 2013.
  Successivamente al termine della presentazione degli elaborati, fissato per il 4 gennaio 2014, erano intervenute difficoltà interpretative dell'articolo del bando riguardante le procedure di scelta dei membri della commissione giudicatrice, tali da indurre la soprintendenza a sospendere il procedimento e a richiedere un parere di merito all'Avvocatura generale dello Stato che, il 1o agosto 2014, aveva dato indicazioni al riguardo, risolvendo le difficoltà interpretative.
  Nel frattempo, successivamente al parere dell'Avvocatura e nelle more della costituzione della commissione, sono profondamente mutate le condizioni e le circostanze che avevano indotto l'Amministrazione all'indizione del concorso.
  Infatti, con decreto ministeriale del medesimo 1o agosto 2014 è stata nominata una commissione paritetica di autorevoli esperti, nominati dal Ministero e da Roma Capitale, con il compito di elaborare un piano strategico per la sistemazione e lo sviluppo dell'area archeologica centrale di Roma, nella quale è ricompreso anche l'Auditorium di Adriano.
  Inoltre, dopo l'avvio dei lavori della commissione paritetica, il 28 ottobre 2014 il Sovrintendente ai beni culturali per Roma Capitale informava gli uffici del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che il sindaco Marino aveva comunicato «l'intenzione di condividere un intervento definitivo per Piazza Madonna di Loreto, superando la fase provvisoria e puntando alla valorizzazione dell'area ampliando l'offerta culturale» e, per l'effetto, lo stesso Sovrintendente sospendeva la nomina del componente di sua spettanza nella commissione giudicatrice del concorso di idee.
  La commissione paritetica, poi, nel documento finale prodotto al termine dei lavori, ha indicato, tra gli obiettivi principali da perseguire ai fini di una complessiva valorizzazione di piazza Venezia, quelli relativi a «una sistemazione adeguata degli Auditoria di Adriano, da collegare possibilmente all'area del tempio dei Divi Traiano e Plotina e alla basilica Ulpia utilizzando anche eventualmente percorsi sotterranei, e alla realizzazione della metro C, che dovrebbe costituire un elemento qualificante anche in funzione della visita e della fruizione» dell'area archeologica centrale, ivi compreso l'Auditorium che «con adeguate sistemazioni esterne potrebbe ritornare a svolgere la funzione originaria (pubbliche letture o conferenze su temi culturali)».
  Nello stesso documento, la Commissione ha specificato che «lo scavo degli Auditoria sarà oggetto di prossimo completamento lungo il versante piazza Venezia, nonché di restauro, nell'ambito degli interventi per la realizzazione della stazione Venezia della Linea C».
  Il progetto di valorizzazione del complesso degli Auditoria, redatto da parte di CG Metro C, nell'ambito dell'uscita della Linea C «Madonna di Loreto», è stato consegnato alla Soprintendenza speciale il 18 dicembre 2014, ma dovrà essere oggetto, oltre che di confronto nell'ambito di una conferenza dei servizi specifica, anche di ulteriori approfondimenti in esito ai risultati dell'ampliamento delle indagini archeologiche e della necessaria caratterizzazione geotecnica dei terreni di fondazione. Il progetto definitivo della stazione Venezia prevede, inoltre, l'uscita «Madonna di Loreto» in posizione diversa da quanto indicato nel progetto preliminare, assunto dalla Soprintendenza quale limite, ormai decaduto, per l'intervento di posa in opera della copertura provvisoria.
  Occorre, infine, considerare che all'epoca dell'indizione del concorso di idee la tratta Colosseo-piazza Venezia della Metro C era priva di finanziamenti, successivamente deliberati con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164. All'epoca dunque i tempi della costruzione della Metro C non erano certi. Quanto sopra spiega perché il bando avesse ad oggetto una copertura dichiaratamente provvisoria e non potesse tener conto delle interferenze con gli accessi della Metro C successivamente elaborati.
  Tutto ciò premesso, la Soprintendenza speciale, nel prendere atto del superamento delle condizioni che avevano concordemente condotto i competenti uffici statali e quelli comunali all'indizione del concorso di idee, ritiene non più attuale, in quanto non conforme alle mutate esigenze e condizioni, la posa in opera di una copertura provvisoria dell'Auditorium.
  Tuttavia, nella piena consapevolezza dell'interesse manifestato e dell'impegno profuso dai partecipanti, è intenzione della stessa Soprintendenza, acquisita la formale disponibilità da parte degli interessati, allestire, entro spazi adeguati, un'esposizione temporanea dei progetti pervenuti, corredata da un catalogo, al fine di conferire al lavoro dei professionisti coinvolti la massima e doverosa visibilità.
  Si può infine aggiungere che la situazione del momento – che vede l'area dello scavo nel cuore di Roma circondata da una recinzione provvisoria – appare invero insoddisfacente ed accettabile solo in quanto temporanea. Pertanto, ove eventi nuovi sopraggiungessero a modificare i dati di fatto sui quali si è fondata la sopra illustrata determinazione assunta dall'Amministrazione, ad esempio dilazionando la prevista realizzazione della stazione della Metro C, si potrà valutare l'adozione di ulteriori e differenti misure.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN, COPPOLA, MALISANI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 68/193/CEE del Consiglio, del 9 aprile 1968, e relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, dispone che ciascun Stato della Comunità debba istituire un Registro nazionale delle varietà di viti nel quale elencare le varietà i cui materiali di moltiplicazione sono ammessi al commercio in base ai criteri suggeriti dalla successiva direttiva 2004/29/CE della Commissione;
   l'iscrizione al registro e la cancellazione dallo stesso delle varietà e dei cloni è disposta con decreto ministeriale; in particolare, il decreto ministeriale 24 giugno 2008 ha fissato i parametri per la valutazione di suddetti doni;
   nel 1998, l'università degli studi di Udine, per rispondere alla situazione critica della viticoltura in Europa costretta ad un impiego eccessivo di pesticidi, ha dato avvio ad un progetto di selezione di nuove varietà di vite resistenti alle malattie, peraltro, grazie ad un contributo regionale, con il principale scopo di ridurre l'utilizzo di agrofarmaci in questo settore della produzione agricola;
   nel 2006 è nato a Udine l'Istituto di genomica applicata (Iga) che ha dato ulteriore impulso all'attività di ricerca, conclusasi positivamente nel 2013 con l'individuazione di dieci selezioni – cinque a bacca bianca e cinque a bacca rossa – per le quali è stata avviata la procedura di iscrizione nel registro;
   risulta all'interrogante che a distanza di due anni dall'istanza di iscrizione al registro non sia ancora giunta una risposta, impedendo, così, la coltivazione e la diffusione di queste varietà che sono state isolate con un lavoro quasi decennale dei ricercatori dell'università;
   si segnala, invece, che negli ultimi anni il Ministero ha autorizzato ed iscritto a registro ben otto vitigni resistenti, creati in Germania –:
   quali siano le ragioni di questo ritardo nell'iscrizione nel registro nazionale delle varietà di viti, delle dieci varietà messe a punto dai ricercatori dell'università di Udine e dall'istituto Iga di Udine;
   se il Ministro ritenga che l'attività di ricerca sviluppata dalle università italiane meriti una particolare attenzione, posto che tali attività sono state, peraltro, finanziate con contributi pubblici. (4-08532)

  Risposta. — Con riguardo al quesito posto, faccio presente che il 17 aprile 2015, nel corso di un incontro con i rappresentanti dell'Università di Udine, della regione Friuli Venezia Giulia, del Centro di ricerca per la viticoltura di Conegliano, sono stati esaminati i problemi legati alle denominazioni delle nuove varietà di vite resistenti alle malattie.
  In tale contesto, si sono chiarite le motivazioni che hanno ostacolato l'iscrizione di alcune varietà ed i proponenti, sentite le osservazioni in merito, hanno preso l'impegno a modificare le denominazioni proposte secondo le linee guida adottate a livello europeo.
  Preciso che l'iscrizione delle varietà di vite al registro nazionale avviene sulla base di quanto prescritto dal decreto ministeriale 6 ottobre 2004, recante «Requisiti da accertare, in sede di prove ufficiali, per l'esame delle varietà di viti, ai fini dell'iscrizione nel Registro nazionale», in attuazione della direttiva 2004/29/CE della Commissione del 4 marzo 2004 che fissa i caratteri e le condizioni minime per l'esame delle varietà di vite.
  Le richieste di iscrizione sono sottoposte ad esperti di settore affinché verifichino l'attendibilità e la validità dei dati contenuti nei dossier, nonché la correttezza delle condizioni di prova.
  Avendo riguardo poi al caso delle varietà ottenute dell'Università di Udine, a dicembre 2013 la regione Friuli Venezia Giulia ha presentato la richiesta d'iscrizione al Registro nazionale delle varietà di vite per 10 nuove selezioni, ottenute da incrocio tra la Vitis vinifera L. ed altre specie del genere Vitis, indenni a diverse malattie.
  L'esame dei dossier è risultato particolarmente complesso, anche per la carenza della documentazione prodotta, integrata solo successivamente.
  Tuttavia, rimane in essere il problema di alcune denominazioni proposte che non soddisfano il regolamento del Consiglio 2100/94 del 27 luglio 1994, concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali, che prevede, tra l'altro, che la denominazione non induca in errore o crei confusione circa le caratteristiche, il valore e l'identità della varietà.
  A questo proposito, preciso che il Community plant variety office (Cpvo) non ritiene ammissibili denominazioni varietali costituite da semplici richiami a caratteristiche differenziali rispetto a varietà note, che non siano effettivamente dimostrate da prove comparative ufficiali.
  In particolare, il Cpvo, interpellato sulle denominazioni proposte, vale a dire «Early Sauvignon», «Sauvignon Dorè», «Petit Sauvignon», «Petit Cabernet», «Royal Cabernet», «Petit Merlot» e «Royal Merlot», ha sottolineato la non ammissibilità di tali denominazioni, ai sensi dell'articolo 63.3.b del Regolamento 2100/94 citato, perché causerebbero confusione negli utilizzatori, in quanto costituite da due termini che indicano esclusivamente specifiche caratteristiche, non confermate da test ufficiali.
  Peraltro queste varietà, richiamando tipologie famose le cui uve danno origine a vini a denominazione di origine (Doc e Docg), potrebbero creare confusione ed indurre i viticoltori a ritenere che queste nuove varietà siano idonee per la costituzione di vigneti per denominazione di origine mentre, essendo incroci di Vitis vinifera L. con altre specie del genere Vitis, sono ammesse solo per la produzione di vini ad indicazione geografica (Igt).
  Con l'occasione evidenzio che le varietà tedesche «Cabernet carbon» e «Cabernet cortis» sono state iscritte nel registro nazionale delle varietà di vite in quanto già iscritte in altro catalogo ufficiale di uno Stato membro e quindi assoggettate alle medesime prove (direttiva 2004/29/CE della Commissione del 4 marzo 2004 relativa alla fissazione dei caratteri e delle condizioni minime per l'esame delle varietà di vite) recepita con decreto ministeriale 6 ottobre 2004 – pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2005.
  Rilevo poi che il problema legato a dette denominazioni, oltre ad essere in contrasto con il citato Regolamento, potrebbe anche dare inizio a contenziosi inerenti la commercializzazione di viti e vini delle varietà coinvolte.
  Infine, in merito alle varietà resistenti di origine tedesca, faccio presente che sono state iscritte al registro nazionale delle varietà in seguito a richieste adeguatamente supportate dalle rispettive amministrazioni provinciali e regionali, intenzionate ad avviare le prove di idoneità alla coltivazione, ai sensi dell'accordo Stato-regioni del 25 luglio 2002.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIOVANNA SANNA e SCANU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto del 2014, n. 171, regolamento di riorganizzazione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (Gazzetta Ufficiale generale n. 274 del 25 novembre 2014) prevede per la Sardegna:
    a) segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Sardegna, con sede a Cagliari;
    b) soprintendenza archeologica della Sardegna, con sede a Cagliari;
    c) soprintendenza, belle arti e paesaggio per le province di Cagliari, Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra, con sede a Cagliari;
    d) soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro, con sede a Sassari;
    e) polo museale della Sardegna, con sede a Cagliari;
    f) soprintendenza archivistica della Sardegna, con sede a Cagliari;
   in base a questa suddivisione degli uffici dirigenziali previsti per la Sardegna, cinque sarebbero ubicati a Cagliari e solo uno a Sassari, la soprintendenza belle arti paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio, Nuoro, di cui peraltro è prevista l'analoga sede anche a Cagliari, per le province di Cagliari, Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra;
   inoltre, la stessa riorganizzazione prevede la creazione di un 610 museale regionale, ugualmente con sede a Cagliari, al quale faranno capo tutti i musei statali tra i quali cinque su sette sono operanti nella Sardegna settentrionale: museo archeologico nazionale G.A. Sanna di Sassari, pinacoteca nazionale Mus'A di Sassari, Antiquarium Turritano di Porto Torres, compendio Garibaldino di Caprera, Museo Archeologico G. Asproni di Nuoro;
   la soprintendenza di Sassari e Nuoro, istituita nel 1958, gestisce attualmente la tutela archeologica in ben 189 comuni, coprendo circa 2/3 del territorio regionale. Ad essa afferiscono 3 musei archeologici statali, a fronte dell'unico a Cagliari. Inoltre, la soprintendenza di Sassari è dotata di un prestigioso centro di Restauro dei beni culturali di livello regionale, dove tra l'altro sono state restaurate di recente le sculture giganti di Mont'e Prama, riconosciuto dal 2006 dalla regione autonoma della Sardegna che ha investito e sta investendo ingenti risorse per il suo potenziamento e per l'istituzione presso di esso di una scuola di alta formazione per restauratori;
   per questi motivi, nel primo tentativo di accorpamento delle due soprintendenza archeologiche e delle due BAPSAE avviato dal 1° aprile 2008 al 1° settembre 2009, la sede centrale archeologica era stata stabilita a Sassari e quella della BAPSAE a Cagliari. Per altro i problemi di distanza e le difficoltà di omologazione degli enti avevano poi portato il Ministero alla decisione di ripristinare le quattro sedi. Oggi, con la nuova riorganizzazione, Sassari rimarrebbe sede esclusivamente della locale soprintendenza ai BAPSAE, mentre a Cagliari farebbero capo tutte le altre strutture dirigenziali;
   per quanto attiene al polo museale regionale, esso da Cagliari dovrebbe gestire le attività di musei nazionali ubicati soprattutto nella parte settentrionale dell'isola e strettamente legati al territorio, come il Museo archeologico nazionale G.A. Sanna. Anche l'università di Sassari ha uno stretto legame con il museo, per attività di studio ma anche per stages e tirocini, che coinvolgono spesso anche i depositi archeologici della soprintendenza ospitati nei sotterranei della struttura: tutte attività difficilmente gestibili da un organismo staccato e diverso dalla locale soprintendenza;
   inoltre, attualmente è in corso un importante progetto di ristrutturazione del Museo e di riordino delle collezioni, che fa capo per tutti gli aspetti scientifici, di progettazione, e di direzione dei lavori a personale della soprintendenza –:
   se il Ministro interrogato alla luce delle motivazioni richiamate in premessa, non valuti necessario ed opportuno modificare la ripartizione delle strutture prevista per la Sardegna, mantenendo gli accorpamenti stabiliti nella nuova articolazione ma prevedendo che il polo museale e la soprintendenza archeologica abbiano sede a Sassari concentrando a Cagliari la soprintendenza per i beni architettonici e quella archivistica, in ogni caso sentendo in merito il parere della regione Sardegna, che in materia di beni e attività culturali, ha assunto scelte importanti con lo stanziamento di significative risorse e tenendo conto che la modifica prospettata è già stata adottata per altre regioni, ad esempio in Veneto, dove la soprintendenza archeologica non ha sede a Venezia ma a Padova con uffici distaccati nel resto del territorio. (4-07132)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante riferisce che la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha previsto nella regione Sardegna una sola soprintendenza archeologica con competenza regionale, un polo museale regionale, un segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e una soprintendenza archivistica della Sardegna, tutti con sede a Cagliari, e due soprintendenze belle arti e paesaggio, la prima per le province di Cagliari, Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra, con sede a Cagliari e la seconda, competente sul restante territorio dell'isola, con sede a Sassari. Tanto premesso, considerato che la ex soprintendenza per i beni archeologici delle province di Sassari e Nuoro aveva competenza su circa i 2/3 del territorio regionale ed era dotata di un prestigioso centro di restauro di livello regionale (cui si deve, anche, il restauro dei giganti di Mont'e Prama) mentre il nuovo polo museale regionale, con sede a Cagliari dovrebbe gestire musei nazionali ubicati soprattutto nella parte settentrionale dell'isola, l'interrogante chiede se non si ritenga opportuno «modificare la ripartizione delle strutture prevista per la Sardegna, mantenendo gli accorpamenti stabiliti nella nuova articolazione ma prevedendo che il polo museale e la soprintendenza archeologia abbiano sede a Sassari concentrando a Cagliari la soprintendenza per i beni architettonici e quella archivistica».
  Come è noto all'interrogante, anche questa Amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica (spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, contenente «Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo».
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti.
  Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'Amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (cosiddetto decreto Art Bonus).
  L'adeguamento ai numeri della spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del Ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Allo scopo di risolvere il vero e proprio «ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, l'amministrazione periferica è stata ripensata, mantenendo, secondo quanto previsto dalla ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento.
  Le direzioni regionali sono state trasformate in segretariati regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con il compito di coordinare tutti gli uffici periferici del Ministero operanti nella Regione. Viene così pienamente riconosciuto il ruolo amministrativo di tali uffici, tutti dirigenziali di II fascia, senza però sovrapporsi alle competenze tecnico-scientifiche delle soprintendenze.
  È stata rafforzata la collegialità delle decisioni sul territorio, in quanto il comitato di coordinamento regionale, presieduto dal segretario regionale e composto dai soprintendenti, diviene il luogo in cui sono assunte le decisioni un tempo adottate dalla direzione regionale, come la dichiarazione e la verifica di interesse culturale.
  Con specifico riferimento alla soprintendenza Archeologia, si evidenzia come in tutte le regioni sia prevista una sola soprintendenza con competenze archeologiche estese a tutto il territorio regionale, con sede normalmente nel capoluogo di regione (in Veneto anche la precedente organizzazione prevedeva una sola soprintendenza per i beni archeologici, sempre con sede nella città di Padova) e come, in Sardegna, sussistano testimonianze archeologiche non solo nel territorio di competenza della ex soprintendenza per i beni archeologici delle province di Sassari e Nuoro ma anche nelle altre province sarde, tra cui è appena il caso di ricordare le recentissime scoperte dei cosiddetti Giganti di Monte Prama, presso Oristano (provincia dal punto vista archeologico rientrante nella ex soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano) che stanno portando nuovi elementi per la conoscenza della civiltà nuragica.
  Nel rilevare che invero le argomentazioni dell'interrogante non sono certamente prive di fondamento, si fa presente che la collocazione, comunque, della sede della soprintendenza archeologia nel capoluogo di regione non fa venire meno l'attività di tutela né comporta soluzioni di continuità con il passato e il nuovo Istituto continuerà ad avvalersi della rete di uffici sul territorio già presenti, delle strutture e dei centri specialistici esistenti nonché della collaborazione di qualificati centri di studio e di ricerca, quali sono anche le istituzioni universitarie sarde, operanti nella regione.
  La nuova organizzazione dell'amministrazione dei beni culturali in Italia ha voluto anche rimediare a quella che è sempre stata la sottovalutazione dei musei: privi di effettiva autonomia, essi erano tutti, salvo casi sporadici e non legati a un disegno unitario, articolazioni delle soprintendenze e dunque privi di qualifica dirigenziale.
  La riforma ha inteso mutare radicalmente questo aspetto, assicurando al contempo che fosse mantenuto il legame dei musei con il territorio e con le soprintendenze e fossero fatte salve le prioritarie esigenze di tutela e dell'unitarietà del patrimonio culturale della Nazione. I musei archeologici e le aree archeologiche, ad esempio, fatta eccezione delle due soprintendenze speciali per Roma e per Pompei, sono articolazioni dei poli museali regionali, ma dipendono funzionalmente anche dalla direzione generale archeologia, che definisce le modalità di collaborazione con le soprintendenze archeologia anche ai fini delle attività di ricovero, deposito, catalogazione e restauro dei reperti.
  Sono state quindi previste alcune misure particolari, tra cui l'istituzione di una nuova direzione generale musei e la creazione di poli museali regionali.
  Alla direzione generale è stato affidato il compito di attuare politiche e strategie di fruizione a livello nazionale, di favorire la costituzione di poli museali anche con regioni ed enti locali, di svolgere i compiti di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura, di dettare le linee guida per le tariffe, gli ingressi e i servizi museali, di favorire la costituzione di fondazioni museali aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati, di favorire la partecipazione del Ministero ad associazioni, fondazioni, consorzi o società per la gestione e la valorizzazione dei beni culturali.
  I poli museali regionali, articolazioni periferiche della direzione generale Musei, sono incaricati di promuovere gli accordi di valorizzazione previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e di favorire la creazione di un sistema museale tra musei statali e non statali, sia pubblici, sia privati presenti sul territorio regionale.
  Ai poli museali regionali sono stati preposti dirigenti di livello non generale.
  Gli istituti museali afferenti al Polo museale della Sardegna sono stati individuati nell'allegato 3 al decreto ministeriale del 23 dicembre 2013, recante norme su «Organizzazione e funzionamento dei musei statali», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 2015.
  In base al decreto ministeriale sopra citato, il polo museale regionale sardo, oltre alle istituzioni già richiamate dall'interrogante – il museo nazionale archeologico etnografico Giovanni Antonio Sanna di Sassari, la pinacoteca Mus’à al Canopoleno di Sassari, l'antiquarium Turritano e zona archeologica di porto Torres (SS), il compendio garibaldino e museo nazionale «Memoriale Giuseppe Garibaldi» di Caprera (Olbia-Tempio), il museo archeologico nazionale Giorgio Asproni di Nuoro – comprende anche altri luoghi di cultura di non secondaria importanza, quali l'altare prenuragico di Monte d'Accoddi (SS), l'area archeologica «Su Nuraxi» a Barumini (Medio Campidano), la basilica di San Saturnino a Cagliari, il Chiostro di San Domenico a Cagliari, il Museo archeologico nazionale di Cagliari, la Pinacoteca nazionale di Cagliari.
  Le sedi dei poli museali regionali sono state definite dal decreto ministeriale del 27 novembre 2014, prima citato, anche sulla base della presenza dei musei sul territorio, delle dotazioni organiche e delle effettive esigenze organizzative.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la valutazione d'impatto ambientale (VIA) è una procedura tecnico-amministrativa di verifica della compatibilità ambientale di un progetto, che si estrinseca sia a livello nazionale sia a quello regionale, finalizzata all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o azione, potrebbe avere sull'ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali di un territorio e delle attività antropiche in esso presenti;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, successivamente integrato e modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 1999 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° settembre 2000, viene emanato l'atto di indirizzo e coordinamento che fissa condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di VIA da parte delle regioni e delle province autonome che devono provvedere a disciplinare i contenuti e le procedure di VIA ovvero ad armonizzare le proprie disposizioni vigenti con quelle ivi contenute;
   nel disciplinare i contenuti e le procedure di valutazione d'impatto ambientale le regioni e le province autonome assicurano che siano individuati sia l'autorità competente in materia di valutazione di impatto ambientale sia l'organo tecnico competente allo svolgimento dell'istruttoria, e provvedono ad informare, ogni dodici mesi, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati ed i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso;
   in particolare, per quanto riguarda la regione Veneto, è la giunta regionale l'organo deputato a stabilire, con proprio provvedimento, le indennità e i rimborsi spettanti ai componenti esperti di cui alla lettera e) del comma 1, dell'articolo 5 della legge regionale Veneto n. 10 del 1999, nonché agli esperti esterni con competenze specifiche, le modalità per l'espletamento degli incarichi, la revoca e la decadenza degli stessi;
   la normativa attuale non prevede dunque alcuna forma di selezione pubblica dei componenti della commissione, la cui nomina spetta esclusivamente al diretto controllo politico della giunta regionale, anche, in ipotesi, prescindendo dalla valutazione di una specifica preparazione conferente e pertinente rispetto alle necessità che tale incarico comporta;
   si rilevano inoltre, ad avviso dell'interrogante, alcune gravi anomalie che interessano la composizione della commissione VIA regionale rispetto a quanto previsto dal citato decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 e dalla direttiva 2014/52/UE, la quale, nel modificare la direttiva 2011/92/UE, richiede espressamente che «gli Stati membri provvedono affinché l'autorità o le autorità competenti assolvano ai compiti derivanti dalla presente direttiva in modo obiettivo e non si ritrovino in una situazione che dia origine a un conflitto di interessi»;
   già nell'agosto del 2013 la questione inerente la sussistenza di una situazione di conflitto di interesse tra i componenti della Commissione Via regionale del Veneto era stata sollevata da Legambiente Veneto che, assieme a un dossier sul tema, aveva presentato anche un esposto per danno erariale alla Corte dei conti nei confronti della regione Veneto per la commissione della suddetta commissione regionale e il ricorso sistematico a membri esterni;
   in particolare, nel citato dossier, venivano segnalate alcune anomalie riscontrate nella composizione della suddetta Commissione Via regionale, partendo dalla sua presidenza, che ha al vertice un segretario regionale competente in materia di infrastrutture e mobilità, anziché in materia ambientale. La medesima incongruenza veniva poi evidenziata anche per i nove tecnici della commissione che, in base alla norma regionale, dovrebbero garantire un'adeguata interdisciplinarietà di competenze, ma che sono costretti ad avvalersi di altri sette tecnici esterni, per mancanza delle necessarie conoscenze specialistiche, con un aumento annuo dei costi stimato in 155 mila euro;
   possibili conflitti d'interesse venivano inoltre segnalati per alcuni commissari che agiscono negli stessi settori e ambiti di cui sono, di volta in volta, chiamati a giudicare, minando la terzietà del loro ruolo e assumendo di fatto, il ruolo di controllori e di controllati allo stesso tempo –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche sul piano normativo, al fine di assicurare l'assenza conflitti di interesse per i titolari delle cariche appartenenti alle commissioni di valutazione di impatto ambientale, anche alla luce di quanto esposto in premessa con riferimento alla composizione della commissione VIA della regione Veneto, nonché un congruo rapporto di proporzione fra i diversi tipi di competenze ed esperienze dei componenti scelti atti a garantire le singole professionalità, attraverso parametri di designazione afferenti direttamente alle attività istituzionalmente demandate alle commissioni. (4-09319)

  Risposta. — Le problematiche sollevate dall'interrogante esulano dalla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, risultando afferenti ad un ambito di funzioni amministrative interamente affidato alle cure delle amministrazioni regionali.
  È noto che in sede di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014, all'articolo 12, il legislatore nazionale ha previsto esclusivamente per i componenti della Via nazionale la ripartizione per profili di competenza ed esperienza.
  Appare opportuno precisare che anche gli enti territoriali sono comunque soggetti alle vigenti normative sul conflitto di interesse.
  Sebbene in taluni procedimenti amministrativi come quelli di valutazione ambientale viga il principio della discrezionalità della pubblica amministrazione, sussistono idonei mezzi di impugnativa avverso gli atti ritenuti illegittimi.
  Tutto ciò non porta ad escludere l'opportunità nel prossimo futuro di un intervento sulle norme primarie per meglio indirizzare le regioni a trovare soluzioni adeguate alle problematiche evidenziate dall'interrogante.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZANIN, VENTRICELLI, ZAPPULLA, TERROSI, TARTAGLIONE, TARICCO, TARANTO e TENTORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea è un'istituzione fondamentale che, dalla sua creazione ad oggi, ha influenzato in modo crescente la vita quotidiana dei cittadini. Infatti da tempo le scelte che vengono prese a Bruxelles hanno un ruolo penetrante nel nostro ordinamento interno, sia attraverso atti legislativi vincolanti sia per mezzo di atti di soft law;
   nonostante ciò i cittadini italiani (e non solo) risultano essere scarsamente informati sulle politiche europee e sui provvedimenti che vengono presi dalle istituzioni europee;
   nel 2010, sul tema della disinformazione dei cittadini degli Stati Membri, il Parlamento europeo nella sessione di Strasburgo del 7 settembre 2014 ha votato una relazione su «giornalismo e nuovi media» intesa a creare una sfera pubblica in Europa. Nel testo si «incoraggia gli Stati membri a includere la copertura dell'Unione europea al momento di determinare il mandato delle emittenti del servizio pubblico». Ed ancora si sottolinea che «le emittenti del servizio pubblico nazionale e regionale abbiano una particolare responsabilità nell'informare il pubblico circa le politiche UE»;
   nel 2012, secondo i dati statistici dell'Osservatorio di Pavia relativi delle reti Rai sulla presenza delle notizie sull'Unione Europea, nelle edizioni di prima serata il TG1 ha parlato di Europa solo per il 7,3 per cento, il TG2 per 6,9 per cento e il più «virtuoso» TG3 per il 9,3 per cento;
   in particolare dalla ricerca dell'Osservatorio di Pavia emerge che gli argomenti affrontati nel periodo 2011-2012 sono: politiche economiche e crisi (72,2 per cento); questioni interne a uno stato (10,0 per cento); politiche pubbliche e normative (7,1 per cento); politica estera e relazioni internazionali (4,6 per cento); diritti (3,5 per cento); rapporti tra stati (1,1 per cento); governance UE (0,7 per cento); attività rappresentative (0,2 per cento); identità e radici (0,1 per cento); altro (0,5 per cento);
   inoltre nel 2010 la dirigenza Rai ha cancellato dal palinsesto di Rai 3 la rubrica di informazione settimanale «Buongiorno Europa», la quale, nata dalla redazione del TgR Rai di Milano nel 1991, offriva un'analisi degli argomenti d'attualità con una prospettiva internazionale grazie anche al contributo dei corrispondenti Rai dalle capitali europee, costituendo una delle pochissime finestre informative dedicate esclusivamente all'Europa nel servizio pubblico di informazione italiano;
   la Rai è tra le 11 emittenti che hanno fondato il consorzio europeo Euronews e tra i primi cinque azionisti, detenendo il 20 per cento circa delle quote societarie. Il canale, che presenta nel suo palinsesto diverse rubriche relative all'attualità europea ed è stato scelto dall'Unione europea per supportarla nella missione di pubblico servizio, in Italia viene trasmesso su Rai 1 solo dalle ore 6:00 alle 6:30, mentre va in toto sul satellite Astra, Hot Bird, Sky e Tivù Sat, sul sito web dell'emittente e su quello delle dirette Rai, ma non va in onda sul digitale terrestre, privando evidentemente la maggioranza dei cittadini di un servizio di informazione fondamentale;
   le raccomandazioni fatte dal Parlamento europeo nel 2010, rendono opportuno che la programmazione del servizio radiotelevisivo pubblico sia argomentato in modo più qualificato, assicurando ai cittadini una più ampia e adeguata informazione europea, a partire da quella legata alle attività dell'Unione;
   è necessario inserire nel nuovo contratto di servizio spazi di approfondimento, affinché vengano messe a disposizione dei telespettatori maggiori informazioni sulle politiche europee;
   data la partecipazione societaria della Rai, sarebbe altresì necessario introdurre il canale Euronews nel pacchetto del digitale terrestre –:
   se nell'ambito del nuovo contratto di servizio, si intenda prevedere espressamente che un certo numero di ore siano destinate a una programmazione dedicata all'Unione europea consentendo il conseguimento degli obiettivi descritti in premessa. (4-05011)

  Risposta. — In riferimento all'atto in esame, la RAI ha rappresentato quanto segue.
  In coerenza con il ruolo che la Rai svolge in qualità di concessionaria per lo svolgimento del servizio pubblico di radiodiffusione, ed in osservanza delle disposizioni previste nel contratto di servizio 2010-2012, attualmente ancora in vigore in regime di prorogatio un particolare livello di attenzione viene dedicato alle tematiche europee e all'attività svolta dalle istituzioni europee.
  La Rai richiama, a tal riguardo, quanto previsto nel vigente contratto di servizio in ordine agli impegni assunti di «promuovere la diffusione dei principi costituzionali e la consapevolezza dei diritti di cittadinanza e la crescita del senso di appartenenza dei cittadini italiani all'Unione europea» (articolo 2, comma 3, lettera o)), di fornire «un'informazione di carattere internazionale accompagnata da un approfondimento qualificato dei temi trattati e un'informazione sulle attività e il funzionamento dell'Unione Europea» (articolo 9, comma 2, lettera a)) e di «realizzare trasmissioni finalizzate a promuovere la conoscenza dell'Unione europea» (articolo 9, comma 2, lettera b)).
  In osservanza di quanto sopra, la Rai afferma di dedicare ampio spazio alle politiche europee, e al conseguente dibattito che ne scaturisce e che coinvolge politici, professori, tecnici ed esperti delle varie materie, oltre che nella consueta informazione dei notiziari anche nelle rubriche giornalistiche di approfondimento che affrontano tali argomenti, come ad esempio Tg1 Economia, Tgr Piazza Affari, Tgr RegionEuropa, Punto Europa ecc.
  L'impegno aziendale a fornire tale tipo di informazione si riscontra anche in programmi di approfondimento quali, a titolo esemplificativo, Unomattina e Porta a Porta su Rai1, 2Next e Virus su Rai2, Ballarò su Rai3.
  Per quanto concerne il canale Euronews, la Rai sostiene che, pur non essendo ricompreso tra quelli facenti parte dell'offerta complessiva Rai sul digitale terrestre, esso è visibile sul portale Rai.tv e sulla piattaforma satellitare Tivùsat di cui ogni utente in regola col pagamento del canone può dotarsi.
  Per quanto riguarda infine l'opportunità che nel nuovo contratto di servizio si preveda un rafforzamento della programmazione dedicata all'Unione europea, si evidenzia che la necessità di promuovere la conoscenza dell'Europa e dell'Unione europea nonché dello scenario internazionale è fra le linee guida propedeutiche al rinnovo del contratto nazionale di servizio per il triennio 2013-2015, approvate con delibera 587/12/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Anche la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi, nell'ambito del parere formulato sullo schema del nuovo contratto di servizio Rai ancora in via di definizione, si è espressa nel senso che nel palinsesto delle tre reti generaliste siano riservati adeguati spazi e contenitori giornalistici all'informazione sulle attività, fra l'altro, dell'Unione europea, illustrando le tematiche con linguaggio accessibile a tutti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   ZANIN, COPPOLA e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero interrogato, nell'ambito del protocollo di Kyoto e del «pacchetto clima-energia» adottato dal Consiglio dell'Unione europea nel 2008, ha avviato un programma sull'impronta ambientale (carbon footprint e water footprint) dei prodotti-servizi al fine di sperimentare e ottimizzare le differenti modalità di misurazione delle prestazioni ambientali;
   aziende, comuni e università possono aderire al progetto pilota attraverso la sottoscrizione di accordi volontari con il Ministero oppure attraverso le procedure di selezione pubblica promosse dallo stesso;
   in data 8 febbraio 2013 è stato stipulato a Udine l'accordo volontario in materia di promozione di progetti comuni finalizzati all'analisi, riduzione e neutralizzazione dell'impatto sul clima, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'allora Ministro Corrado Clini, e il comune di Gemona del Friuli (Udine), rappresentato dal sindaco Paolo Urbani;
   il predetto accordo, che ha come obiettivo di realizzare un modello di «città sostenibile» (cosiddetta carbon footprint), ha una durata di 12 mesi, eventualmente prorogabili, e prevede il seguente programma di lavoro:
    a) la messa a punto della metodologia per il calcolo dell'impronta di carbonio (carbon footprint), secondo protocolli internazionalmente riconosciuti, con predisposizione dell'inventario dei gas serra emessi per ogni settore di attività oggetto dell'analisi;
    b) l'individuazione degli interventi, economicamente efficienti, finalizzati alla riduzione delle emissioni dei diversi settori di attività oggetto del calcolo dell'impronta di carbonio;
    c) la definizione di un sistema di gestione delle emissioni del territorio mirato alla riduzione della carbon footprint;
    d) una valutazione delle restanti emissioni e l'individuazione delle possibili azioni per la neutralizzazione delle stesse;
    e) lo sviluppo, sulla base di quanto definito nei punti precedenti di un modello di riferimento «comune sostenibile» che sia replicabile in altre città italiane;
   con nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare protocollo 0002891 del 10 marzo 2014, a firma dall'allora direttore generale della direzione per lo sviluppo sostenibile il clima e l'energia Corrado Clini, è stata concessa una proroga di ulteriori 12 mesi per assicurare il completamento delle attività previste dal predetto accordo volontario;
   in data 11 aprile 2014, è stato stipulato a Gemona del Friuli l'ulteriore accordo volontario in materia di sostenibilità ambientali della municipalità – water footprint, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'allora direttore generale della direzione per lo sviluppo sostenibile il clima e l'energia Corrado Clini e il comune di Gemona del Friuli (Udine), rappresentato dal sindaco Paolo Urbani;
   il predetto accordo ha durata di 24 mesi, eventualmente prorogabili, e prevede il seguente programma di lavoro:
    a) la predisposizione della metodologia per il calcolo della water footprint della municipalità;
    b) l'individuazione degli interventi, economicamente efficienti, di riduzione delle emissioni e degli impatti sulle risorse idriche;
    c) la stima delle restanti emissioni al fine della loro neutralizzazione;
    d) la predisposizione di un indice di sostenibilità delle municipalità, che includa la water footprint;
   in sede di stipula dei suddetti accordi, il comune di Gemona del Friuli, nei rapporti intercorsi con Corrado Clini per la redazione e stipula dei protocolli di cui trattasi, sia in qualità di Ministro sia di direttore generale della direzione sviluppo sostenibile del Ministero, si è avvalso della prestazione professionale della società GRUPPO REM s.r.l. di Udine con socio unico il signor Pietro Lucchese, a fronte del pagamento di due rispettive parcelle per un importo complessivo pari a circa 48.600 euro –:
   se l'intermediazione di soggetti terzi rispetto ai contratti costituisca una prassi consolidata per la stesura di tali protocolli;
   quale sia stato il ruolo di intermediazione con il Ministero svolto dal GRUPPO REM S.r.l. del signor Pietro Lucchese, per la redazione e stipula dei due accordi volontari cosiddetti carbon footprint e water footprint di cui trattasi;
   quali siano le specifiche attività che competono al Ministero e quali all'amministrazione comunale, per l'attuazione dei due protocolli;
   quali siano le azioni ad oggi espletate e quali siano le tempistiche previste per la conclusione dei due progetti;
   se sia stata richiesta ovvero concessa ulteriore proroga per l'espletamento delle azioni di cui al progetto carbon footprint, successivamente a quella di cui nota protocollo 0002891 del 10 marzo 2014, ad oggi scaduta;
   se siano stati istituiti il comitato di indirizzo e monitoraggio, previsto all'articolo 5 dell'accordo carbon footprint e il Comitato di gestione, previsto all'articolo 5 dell'accordo water footprint, chi ne faccia parte e quante volte si sia riunito;
   se il Ministro abbia messo a disposizione, o intenda mettere a disposizione dei due progetti specifiche risorse finanziarie e a quanto eventualmente ammontino;
   quali saranno i concreti vantaggi derivanti dall'attuazione dei due protocolli per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (4-08697)

  Risposta. — Occorre innanzitutto precisare, con riferimento agli accordi volontari oggetto della interrogazione che si riscontra, ma più in generale riguardo tutti gli accordi volontari della stessa natura stipulati tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le parti interessate, che le intermediazioni di soggetti terzi sono a discrezione della parte contraente, e che il Ministero non è mai intervenuto nelle scelte del soggetto operate – laddove operate – a totale discrezione dalle parti stipulanti gli accordi.
  Per quanto riguarda l'accordo volontario formalizzato con il comune di Gemona del Friuli, in esso sono stabilite, all'articolo 2, quali azioni competono all'una e all'altra amministrazione. Tra le attività rimesse al Ministero si segnala, tra l'altro, il supporto istituzionale in tutte le attività previste, anche attraverso un riconoscimento dell'intero processo di carbon footprint attuato, della relativa metodologia di calcolo applicata oltre che degli esiti conseguiti.
  Il successivo articolo 5, a sua volta, istituisce un Comitato congiunto con compiti di indirizzo e monitoraggio volti ad assicurare una efficace ed efficiente collaborazione. In merito alle attività da questo svolte, è stato precisato che negli anni 2014 e 2015 il Comitato non si è mai riunito.
  A seguito della richiesta da parte del comune di Gemona del Friuli dello scorso 30 gennaio, è stata concessa una ulteriore proroga di 24 mesi per il completamento delle attività. Nella nota ministeriale di autorizzazione, si è specificato che le attività di calcolo sono da intendersi a carico del comune e che presso la competente direzione generale del Ministero non è disponibile l'accordo per la valutazione della water footprint.
  Per quanto attiene alla attività svolta dal comune, si segnala che presso gli uffici del Ministero non risultano, allo stato, pervenuti rapporti sullo stato di avanzamento delle attività.
  È giusto il caso di sottolineare, altresì, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per queste attività volontarie, non ha messo e non metterà a disposizione risorse finanziarie.
  In ultimo, per quanto riguarda i concreti vantaggi per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare conseguenti alla realizzazione del programma, si precisa che il medesimo, nell'ambito degli impegni sottoscritti in sede europea e internazionale di lotta ai cambiamenti climatici, è impegnato a sostenere, attraverso programmi in collaborazione con amministrazioni pubbliche, attività per la riduzione delle emissioni e la diffusione di modelli sostenibili di gestione del territorio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZARDINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   un'area di 50.000 metri quadrati adiacente ad un'ansa del fiume Adige è stata oggetto di una inaccettabile modifica orografica da parte di due società sportive per utilizzare un terreno pianeggiante a destinazione agricola per attività di motocross, in mancanza di autorizzazioni di tipo ambientale, paesaggistico, edilizio e urbanistico, come segnalato dalla relazione di servizio della polizia municipale del comune di Verona e confermato con la nota prot. 113012/2008 dell'ufficio controllo edilizio del comune di Verona;
   nel 2010 il rapporto dei tecnici comunali registrava un elenco di numerosi abusi e opere difformi che andavano dall'utilizzo a destinazione sportivo-motoristica di un terreno a destinazione agricola, alla realizzazione di fabbricati e posizionamento di furgoni e roulottes, alle realizzazioni di dossi per la pratica di motocross;
   la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Veneto, a seguito di presentazione da parte delle società di una autorizzazione paesaggistica per opere di modifica del terreno senza autorizzazione ambientale ha espresso, il 29 ottobre 2012, parere negativo, per quanto di competenza, «in quanto le opere eseguite hanno modificato l'assetto morfologico e naturale dei luoghi, comportando un'inaccettabile alterazione del paesaggio»;
   a seguito degli atti sopra citati, le società avevano l'obbligo del ripristino dei luoghi, come registrato dal controllo effettuato dai tecnici del controllo edilizio in data 28 luglio 2011 e come segnalato dal provvedimento sanzionatorio paesaggistico-ambientale avviato dal comune di Verona in data 14 settembre 2011;
   l'area oggetto dell'intervento ricade in un luogo di particolare pregio e sensibilità ambientale, in un contesto rurale in prossimità del fiume Adige sottoposta a tutela paesaggistica (Deliberazione di consiglio regionale n. 578/1987) e di riconosciuta valenza naturalistica, pertanto soggetta agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 42 del 2004;
   il Piano degli interventi del comune di Verona definisce l'Adige: il motore dello spazio scenico, riconoscendone uno degli iconemi strutturali di maggior valenza simbolica ed evocativa nel paesaggio veronese, come testimoniato dalle arti visive e dalla poesia;
   il corso del fiume Adige è percepito dagli abitanti come unitario ed è di fondamentale importanza mantenere chiaramente leggibile tale continuità ai fini della tutela dell'identità paesaggistica, anche per la salvaguardia del circostante territorio agricolo;
   nel PAT, approvato dalla regione del Veneto, «Carta delle fragilità», si segnalano «vulnerabilità intrinseca degli acquiferi» (articolo 38), confinante con aree per il rispetto dell'ambiente naturale, della flora e della fauna – SIC (articolo 37); nella «Carta dei vincoli e della pianificazione territoriale» si indica il «vincolo paesaggistico e area di ricarica degli acquiferi» (articolo 32);
   il ripristino dell'area, richiesto alle società dal comune, è avvenuto in modo parziale, con la sola rimozione di parte delle strutture realizzate, mentre sono rimasti pressoché inalterati i dossi che la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Veneto ha scritto essere «una inaccettabile alterazione del tipico paesaggio»;
   inspiegabilmente, nonostante l'evidenza dei fatti, nella relazione di sopralluogo i tecnici del controllo edilizio, in data 18 marzo 2013, scrivono che è avvenuta «l'eliminazione delle pronunciate ondulazioni e rampe di terra utilizzate per il percorso di motocross», e quindi il comune ha provveduto all'archiviazione del provvedimento sanzionatorio. L'area non è stata ancora ripristinata come evidenziato da documentazione fotografica prodotta al comune di Verona e agli enti competenti;
   l'Associazione Ca del Bue Park ha presentato alla provincia di Verona una domanda di verifica di assoggettabilità di valutazione di impatto ambientale senza inserire nella suddetta domanda alcuna firma o atto di assenso da parte del proprietario del terreno o prodotto un contratto di affitto, per la realizzazione del crossodromo con il dichiarato scopo di «regolarizzare la situazione di fatto»;
   la domanda di assoggettabilità di valutazione di impatto ambientale è da considerarsi una generica sanatoria, senza oneri a carico da parte del proponente, per la regolarizzazione degli abusi edilizi e ambientali effettuati precedentemente, così come confermato dagli atti del comune di Verona –:
   quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda avviare al fine di evitare che un'area in prossimità del fiume Adige sottoposta a tutela paesaggistica (deliberazione del consiglio regionale n. 578/1987) e di riconosciuta valenza naturalistica, soggetta agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 42 del 2004, venga selvaggiamente trasformata, danneggiando in modo irreparabile il territorio e la morfologia delle aree che appartengono all’habitat naturalistico del fiume Adige. (4-03712)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede di conoscere quale iniziative si intenda avviare «al fine di evitare che un'area in prossimità del fiume Adige sottoposta a tutela paesaggistica (...) e di riconosciuta valenza naturalistica, soggetta agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, recante codice dei beni culturali e del paesaggio, venga selvaggiamente trasformata, danneggiando in modo irreparabile il territorio e la morfologia delle aree che appartengono all’habitat naturalistico del fiume Adige», si comunica quanto segue.
  La direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto e la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, hanno riferito che l'area in questione, situata nel comune di Verona, si colloca poco distante, nella zona a sud, dall'inceneritore di Ca’ del Bue ed è inserita in un contesto prevalentemente agricolo, caratterizzato da corti rurali, tra le quali Corte del Bo’ e allevamenti zootecnici. Il tessuto territoriale è pianeggiante: insistono nell'intorno macchie di verde per lo più ad alto fusto, costituite da alberature autoctone, percorsi sterrati, canalette per l'irrigazione delle limitrofe colture, strade d'argine che lambiscono il terreno oggetto dell'intervento di realizzazione del crossodromo, contestato dall'interrogante. Il fiume Adige delimita la parte sottostante ed orientale del contesto in esame.
  L'area è sottoposta a tutela paesaggistica sia ex lege, ricadendo nella fascia di rispetto di 150 metri dalla sponda del fiume Adige (ex articolo 142, comma 1, lettera c) del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito: codice), sia in forza della delibera del Consiglio regionale del Veneto, numero 578 del 16 ottobre 1987. Ad essa, pertanto, si applicano le disposizioni di cui alla parte terza del codice.
  La soprintendenza ha fatto presente che, in data 21 settembre 2012, pervenne dal comune di Verona l'istanza della ditta Planet Kross Circus A.S.D. per l'accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli articoli 167 e 181 del Codice, del progetto di realizzazione di una pista da motocross in via Matozze. Nel merito la soprintendenza espresse parere negativo in quanto «... le opere eseguite hanno modificato l'assetto morfologico e naturale dei luoghi, comportando un'inaccettabile alterazione del tipico paesaggio rurale dell'ansa del fiume Adige. Il percorso, infatti, con i suoi avvallamenti e rilievi costituisce un elemento di discontinuità nell'equilibrio generale del contesto paesaggistico sottoposto a tutela, ed ha cancellato di fatto i tratti distintivi ed i valori espressivi che caratterizzano l'immagine complessiva del paesaggio, sottraendo alla vista un'ampia porzione di zona agricola ricadente nel contesto paesaggistico tutelato» (prot. n. 29971 del 29 ottobre 2012).
  Conformemente a quanto previsto dall'articolo 167, comma 5, del codice, il parere della soprintendenza, avendo carattere vincolante, determinò il rigetto della domanda da parte dell'autorità comunale e l'obbligo di rimessione in pristino dei luoghi.
  A tale riguardo il comune di Verona, con nota n. 75208 del 17 marzo 2014, diffidò la ditta Planet Cross Circus A.S.D, «a riportare il terreno alla situazione piana originaria precedente l'utilizzo dell'area ad attività di BMX e Minicross, entro 30 giorni dal ricevimento» della diffida, precisando che in caso contrario, gli interventi necessari al ripristino dell'area sarebbero stati eseguiti d'ufficio, a spese degli inadempienti.
  Con nota n. 2014/247417 del 15 settembre 2014, il comune di Verona ha comunicato che, a seguito di sopralluogo eseguito in data 18 luglio 2014 dall'ufficio controllo edilizio, è stato constatato il completo ripristino dello stato dei luoghi a terreno agricolo.
  La soprintendenza ha anche riferito che, in data 7 ottobre 2013, la società Ca’ del Bue Park aveva avviato la richiesta di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, inerente l'intervento per la realizzazione nell'area in questione di «Piste permanenti per corse e prove di automobili, motociclette e altri veicoli a motore», trasmettendo la prescritta documentazione.
  La soprintendenza, esprimendo il proprio parere endoprocedimentale, ha comunicato alla direzione regionale che «... rientrando l'intervento in fattispecie di attività di tipo edilizio, e considerato che il medesimo intervento può essere esaminato, per quanto di stretta competenza, nell'ambito della procedura ordinaria ex articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, non si ritiene necessario l'assoggettamento alla procedura di valutazione impatto ambientale (VIA)».
  La direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, condividendo le valutazioni espresse dalla soprintendenza, ha comunicato all'amministrazione provinciale di Verona, competente nel procedimento in questione, di non ritenere necessario l'assoggettamento alla procedura di valutazione dell'impatto ambientale, considerata la possibilità per gli uffici del Ministero di esprimersi sull'intervento de quo nell'ambito della procedura ordinaria prevista dall'articolo 146 del codice (autorizzazione paesaggistica).
  Nel corso di tale procedura, cui sono sottoposti tutti i progetti di interventi per i quali è necessaria l'autorizzazione paesaggistica, i competenti uffici del Ministero pongono la massima attenzione nell'esame istruttorio, per valutare nel modo migliore le scelte di progetto, riguardo alla loro compatibilità rispetto al contesto di riferimento e ai valori paesaggistici e culturali oggetto di protezione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.