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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 23 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni migratori che, attraverso il Mare Mediterraneo, interessano l'intera Europa hanno origine soprattutto nell'Africa sud sahariana e trovano sbocco oggi nella Libia, a causa del vuoto di potere che caratterizza il Paese;
    i migranti sbarcati sul nostro territorio nel corso del 2015 (secondo dati aggiornati a metà luglio 2015 provengono da:
     Eritrea (20.392); Nigeria (9.619); Somalia (6.966); Sudan (4.668); Gambia (4.206);
     Senegal (3.245); Mali (3.112); Costa d'Avorio (1.854); Siria (4.953); Bangladesh (2.697); altre provenienze (21.220);

    l'immigrazione dall'Africa non può essere comunque considerata come un fenomeno transitorio, ma, al contrario, costituisce un fatto strutturale, destinato con ogni probabilità ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dell'aumento della pressione demografica e del probabile permanere di condizioni di conflitto locali e regionali che si sommano a storiche e irrisolte situazioni di povertà;
    oltre agli interventi volti alla limitazione dei flussi migratori illegali dall'Africa all'Europa e alla distribuzione dei migranti aventi status di rifugiati tra i diversi Paesi dell'Unione europea, interventi già posti in essere dalla stessa Unione europea grazie alle pressioni del Governo italiano, occorre cominciare a lavorare in modo organico ad una politica finalizzata al miglioramento strutturale delle condizioni di vita nei Paesi dai quali hanno origine i flussi stessi;
    l'Italia ha recentemente approvato una importante riforma del sistema della cooperazione allo sviluppo, che la mette in linea con i migliori standard europei ed internazionali, e che ne allarga lo spettro di azione anche grazie al contributo di soggetti privati;
    l'Unione europea rappresenta, nel suo complesso, il principale donatore mondiale nel campo della cooperazione allo sviluppo, con oltre 50 miliardi di euro all'anno di fondi dedicati;
    questi fondi vengono in larga misura destinati ad altri soggetti, quali la Banca Mondiale o altri Fondi internazionali dei quali l'Unione europea non riesce spesso a controllare le strategie o ad intervenire sulle stesse indicando le proprie priorità programmatiche;
    gli aiuti tradizionali ai Paesi in via di sviluppo, e in particolare ai Paesi africani, sono spesso inefficaci a causa di una logica ormai superata di distribuzione a pioggia su molteplici piccoli progetti non inseriti in un quadro strategico complessivo;
    i fenomeni di corruzione nei Paesi destinatari degli aiuti, uniti alla carenza di effettivi controlli sul reale utilizzo dei finanziamenti internazionali ne riducono di gran lunga l'efficacia;
    le grandi istituzioni internazionali come l'ONU e le sue articolazioni (FAO, UNICEF e altro) e la stessa Banca mondiale appaiono ancora spesso prigioniere di logiche superate, non sempre improntate alla reale misurazione dei risultati e talora carenti di una visione strategica complessiva;
    l'Africa possiede enormi risorse naturali ed umane, che ne fanno il bacino di sviluppo potenzialmente più grande dell'intero pianeta;
    molti Paesi africani sono ormai consapevoli della necessità di progredire nella direzione di reali e radicali riforme strutturali sul piano politico-istituzionale ammodernando al tempo stesso i propri sistemi educativi e produttivi, onde porre fine a storici processi di sfruttamento delle risorse da parte di realtà straniere ed evitare forme di neocolonialismo economico, ma necessitano, per realizzare questi scopi, di una forte interlocuzione e di un reale sostegno da parte dell'Europa e di tutti i Paesi occidentali;
    altri Paesi, che non hanno ancora raggiunto questa consapevolezza, vanno comunque aiutati ad uscire dalle proprie situazioni di arretratezza culturale, sociale, economica e istituzionale attraverso interventi non più improntati esclusivamente ad azioni caritatevoli ma sempre più orientati al capacity building;
    il controllo geopolitico dell'Africa, senza una efficace azione europea, rischia di dare luogo a fenomeni di neocolonialismo che si realizza attraverso le leve economico-finanziarie, da parte di altre potenze emergenti, in particolare la Cina, attraverso l'investimento di ingenti capitali;
    l'incremento delle relazioni istituzionali e commerciali tra l'Italia e i Paesi africani può costituire un elemento determinante nella promozione della crescita e dello sviluppo dei Paesi stessi;
    l'Unione africana costituisce un interlocutore fondamentale per la realizzazione di vere sinergie istituzionali finalizzate alla crescita del continente africano,

impegna il Governo:

   a ripensare complessivamente il tema dell'aiuto allo sviluppo dei Paesi africani, a partire da quelli dai quali provengono i principali flussi migratori verso l'Italia, attraverso l'elaborazione di una strategia dedicata, auspicabilmente nella forma di un libro bianco, che consideri in modo integrato gli aspetti relativi allo sviluppo economico, alle relazioni commerciali, alla finanza, alle riforme istituzionali, ai conflitti, alle migrazioni, all'impiego dei fondi per la cooperazione, alla rete di relazioni internazionali, alle condizioni geopolitiche regionali;
   a condividere in sede di Unione europea tale strategia, chiedendo che l'intera Unione metta in atto una politica di medio-lungo periodo volta anche e prioritariamente a ridurre l'impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l'Europa;
   ad assumere iniziative affinché le grandi organizzazioni internazionali, a partire da ONU e Banca mondiale, rafforzino l'efficacia dei propri interventi, sia individuando priorità e sinergie che si adeguino rapidamente ai mutevoli scenari economici e geopolitici, sia implementando ulteriormente i sistemi di controllo sul reale utilizzo dei fondi, sia attuando serie misure di contrasto alla corruzione, tutto ciò avendo come primo obiettivo la riduzione drastica dei fenomeni di emigrazione dal continente africano;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali con i Paesi individuati come prioritari;
   ad assumere iniziative per incrementare i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo, destinandoli soprattutto a progetti strategici mirati al sostegno dei Paesi più critici per l'Italia sotto il profilo delle migrazioni e della sicurezza internazionale;
   a dedicare particolare attenzione e a dare rilievo prioritario ai progetti di capacity building;
   ad attivare i più efficaci controlli sulla reale destinazione ed utilizzo dei propri fondi, con particolare riguardo alla lotta ai fenomeni corruttivi nei Paesi destinatari degli aiuti;
   a stimolare gli investimenti privati nei Paesi individuati come prioritari, lavorando al tempo stesso per favorire le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili per garantire le necessarie condizioni di sicurezza per gli investitori;
   a sollecitare le aziende italiane operanti nei Paesi africani, e quelle che in futuro vi opereranno, a realizzare una presenza che sappia coniugare la logica di mercato con la capacità di contribuire in modo reale allo sviluppo locale, in una ottica di responsabilità sociale d'impresa;
   a rafforzare l'interlocuzione con l'Unione africana, al fine di condividere con essa priorità strategiche e modalità di rapporto istituzionale che supportino una reale crescita del continente africano;
   ad informare compiutamente il Parlamento entro 6 mesi circa l'evoluzione delle strategie richiamate nella presente mozione.
(1-00956) «Alli, Lupi, Cicchitto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'8 luglio 2015, eccezionali fenomeni temporaleschi hanno colpito il territorio Veneto ed in particolare alcuni comuni delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno, provocando gravi danni alle infrastrutture, agli edifici pubblici e privati e ai beni mobili;
    l'intensità delle raffiche di vento e pioggia è stata devastante e ha messo in pericolo la vita delle persone, provocando anche la morte di una persona e circa 100 feriti e creando l'interruzione dei collegamenti viari e la compromissione delle attività civili, commerciali e agricole;
    i fenomeni temporaleschi, che hanno fatto seguito ad un lungo periodo con temperature eccezionalmente elevate e caldo torrido, ben oltre la media stagionale estiva, hanno provocato la bora sul litorale adriatico ed una tromba d'aria che per i danni provocati è stata catalogata di intensità F4, in funzione della Scala Fuijta avanzata (enhanced fujita scale);
    a Valle del Boite, nell'alto bellunese, una frana in località Acquabona nel comune di Cortina d'Ampezzo ha provocato l'interruzione della viabilità sottostante sulla strada statale n. 51 «di Alemagna» che è stata a lungo bloccata in entrambe le direzioni da circa 2000 metri cubi di materiale sversato;
    nel veneziano, le violente piogge e grandine e una tromba d'aria di notevole intensità hanno provocato lo scoperchiamento di case e capannoni, il danneggiamento di circa 500 edifici, l'isolamento di intere aree, con l'interruzione della rete stradale e ferroviaria, black-out elettrici fino all'indomani, oltre a disservizi nella fornitura del gas e dell'acqua; in particolare, lungo la Riviera del Brenta, nel pomeriggio il violento tornado ha provocato ingenti danni nei comuni di Dolo, Pianiga e Mira;
    tra gli edifici di maggior rilievo colpiti si segnala la devastazione di numerosissime ville venete (almeno 20), quella della famosa Villa Fini, in comune di Dolo località Cesare Musatti, letteralmente rasa al suolo e i cui danni sono stati quantificati in euro 6.500.000, sui complessivi euro 9.850.000 riguardanti tutte le altre ville e dimore storiche venete;
    nel comune di Dolo, sono state danneggiare oltre 200 abitazioni, di cui 132 considerate inagibili (90 da abbattere parzialmente); gli sfollati sono stati circa 450; sono state coinvolte dall'evento 15 ville venete, oltre 20 attività produttive e commerciali e centinaia di vetture; è stato distrutto completamente l'arredo urbano di almeno 16 strade (patrimonio arboreo, segnaletica stradale, impianti di sollevamento fognature bianche, pubblica illuminazione e altro) e gli impianti sportivi comunali. Il comune ha sospeso il pagamento dei tributi locali e ha allestito presso il municipio uno sportello unico di emergenza;
    nel comune di Pianiga, si sono rilevati, ad oggi, danni al patrimonio privato e pubblico per un totale di circa 250 immobili e di centinaia di autovetture; è stato distrutto completamente l'arredo urbano di almeno 22 strade e sono state coinvolte oltre 30 attività produttive e commerciali e gli impianti sportivi comunali; il comune ha allestito due sportelli di emergenza;
    nel comune di Mira, sono stati rilevati danni su circa 75 fabbricati, dei quali 10 fabbricati risultano danneggiati irrimediabilmente; molti manufatti pertinenziali ad uso magazzino/garage risultano crollati e molte aree verdi sono state particolarmente colpite e sono necessari una serie di interventi urgenti di messa in sicurezza delle alberature e dei rami pericolanti, che hanno creato intralcio alla circolazione stradale; risulta urgente ripristinare la segnaletica stradale letteralmente sradicata e divelta; in molte zone industriali sono necessari interventi urgenti di bonifica e di smaltimento di materiali contenenti amianto; molti capannoni sono stati scoperchiati, e la quantificazione dei costi risulta estremamente difficile;
    solo nel comparto agricolo, il passaggio del tornado ha determinato la distruzione delle coltivazioni erbacee in atto e la compromissione di strutture produttive quali fabbricati, serre e impianti arborei, in particolare vigneti. Numerose sono le segnalazioni per interventi estesi di bonifica dai detriti di qualsiasi genere dispersi nei terreni coltivati, che rendono e renderanno difficile le lavorazioni e lo sfruttamento degli stessi. La stima sulla base dei dati forniti porta ad una quantificazione di danno per il comparto agricolo di circa 4 milioni di euro; particolarmente grave risulta la situazione nella provincia di Venezia;
    il presidente della regione Veneto ha adottato immediatamente il decreto n. 106 del 9 luglio 2015 con cui è stato dichiarato lo «stato di crisi» e ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al capo del dipartimento della protezione civile la richiesta di dichiarazione dello «stato di emergenza» a livello nazionale;
    la prima stima dei danni è stata quantificata in circa 91,5 milioni di euro, ma la quantificazione è destinata ad aumentare, una volta concluse le verifiche di stabilità degli edifici colpiti;
    le aziende colpite da pesanti danni sono impossibilitate a riprendere la propria attività economica, anche in considerazione della crisi economica in atto che rende la situazione ancora più complessa di quanto già non lo fosse prima del disastro, e ciò determina pesanti conseguenze all'economia locale e nel comparto occupazionale;
    nella relazione della stima dei danni, la regione Veneto chiede l'attivazione nell'immediato di alcuni provvedimenti urgenti necessari, già adottati in passato in situazioni simili di emergenza, ed in particolare:
     la possibilità di smaltire in forma semplificata i materiali che, per la loro natura, sono dichiarati pericolosi-tossici-nocivi, come ad esempio i cumuli di materiale inerti contaminati dall'amianto che era presente nelle strutture in eternit dei capannoni adibiti ad uso industriale;
     lo stesso dicasi per le ingenti quantità di rifiuti domestici ed industriali di qualsiasi natura derivanti dagli sgomberi e dalle numerose demolizioni di fabbricati e manufatti e della relativa difficoltà di smaltimento da parte degli enti interessati;
     la previsione di poter ristorare le spese per i numerosissimi volontari intervenuti sui luoghi del disastro direttamente a carico dello stanziamento in disponibilità del commissario straordinario che sarà verosimilmente nominato, come anche la copertura delle spese di lavoro straordinario del personale degli enti locali intervenuto per tutta la durata della fase della prima emergenza;
     inoltre, l'esigenza di attivare procedure semplificate, anche in deroga al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni e della normativa sulla S.C.I.A. di cui alla legge n. 122 del 2010, per quanto attiene alle manutenzioni straordinarie e ristrutturazioni edilizie, che regolarizzino a posteriori i principali interventi ormai già iniziati e/o portati a compimento;
    la situazione rientra nell'ambito previsionale di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, determinando la necessità dell'adozione di provvedimenti eccezionali e della dichiarazione dello «stato di emergenza» a livello nazionale,

impegna il Governo:

   a dichiarare lo «stato di emergenza» a livello nazionale ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
   ad adottare urgentemente, con apposita ordinanza, i provvedimenti urgenti riportati in premessa per lo smaltimento dei rifiuti, il ristoro delle spese dei volontari e del lavoro straordinario e l'attivazione delle procedure semplificate per le manutenzioni straordinarie e le ristrutturazioni;
   a prevedere, nell'immediato, un adeguato sostegno finanziario per assicurare le necessarie operazioni di soccorso ai territori e alle popolazioni colpite, l'attuazione degli interventi indifferibili e urgenti necessari a garantire la pubblica incolumità e il ripristino dei danni subiti dal patrimonio pubblico e privato e per il ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione;
   ad assumere iniziative per prevedere che, per gli edifici dichiarati inagibili a causa degli eccezionali eventi meteorologici, a decorrere dal mese di luglio 2015 e fino all'attestazione di agibilità dei medesimi immobili, l'ammontare complessivo dell'imposta municipale propria sia interamente detraibile dall'imposta sui redditi delle persone fisiche;
   ad assumere iniziative per istituire, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di concerto con le principali associazioni di categoria dell'area, oltre che con gli istituti di credito del territorio, un fondo per le imprese colpite dagli eventi citati in premessa finalizzato al sostentamento e al supporto di liquidità per le aziende colpite dalle avversità atmosferiche;
   ad assumere iniziative per sospendere l'invio delle cartelle esattoriali e gli oneri fiscali e contributivi, fino al ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione, e al contempo prevedere sgravi fiscali per le famiglie e le imprese delle aree colpite, sovvenzionando in questo modo la ricostruzione degli edifici e la ripresa di tutti i comparti economici;
   ad assumere iniziative per non considerare tra le spese finali di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevanti ai fini del patto di stabilità interno le somme destinate dalla regione e dagli enti locali al ripristino dei territori delle province di Venezia, Padova, Vicenza e Belluno, colpiti dalle avversità atmosferiche dell'8 luglio 2015;
   ad assumere iniziative per provvedere allo stanziamento immediato di 100 milioni di euro per la copertura delle spese della ricostruzione e per il risarcimento dei danni, come attualmente stimati, ferme restando le ulteriori necessità a seguito dalla quantificazione definitiva dei danni subiti dai privati e dalle imprese.
(1-00957) «Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenzia nazionale stampa associata (ANSA) è la prima agenzia di informazione multimediale in Italia e la quinta nel mondo, fondata a Roma nel 1945 per succedere alla disciolta Agenzia Stefani;
    nel gennaio del 1945 l'Agenzia Ansa fu costituita a Roma in forma cooperativa con il concorso delle maggiori forze politiche democratiche protagoniste della Resistenza e del successivo patto costituzionale alla base della Repubblica, e delle autorità alleate al momento ancora operanti in Italia;
    la forma cooperativa (che vede oggi partecipare 36 soci editoriali dei principali quotidiani italiani) fu scelta, fin dall'inizio come la forma più adatta al fine di garantire l'autonomia della agenzia sia da soggetti privati che dalle autorità di governo, sottraendola quindi dai rischi di un'azione controllata dalla politica o dal sistema degli interessi economici;
    grazie a tale configurazione giuridica e societaria l'Ansa ha svolto nel corso di questi 70 anni di storia una funzione essenziale nella vita democratica e nella libertà di informazione avendo essa come scopo il delicato obbiettivo di raccogliere e diffondere notizie sui principali avvenimenti italiani e mondiali e di fungere da fonte per le testate giornalistiche, le emittenti radiotelevisive e più recentemente per il folto panorama di editoria locale e per la stessa rete dei nuovi attori dell'informazione su web;
    è possibile calcolare un volume di trasmissione pari a circa 4.000 notizie giornaliere in ogni settore ed in lingua italiana, inglese, spagnola, araba, tedesca per ricordare le principali;
    quindi, il patrimonio rappresentato dalla Agenzia Ansa costituisce un valore che varca la storia pur importante della Agenzia e che si incarna nella storia dell'Italia repubblicana e interpreta il valore della libertà di informazione e della autonomia ed obiettività delle fonti per l'esercizio di una corretta informazione;
    oggi, l'Agenzia ANSA vive un momento di grave crisi che rischia di indebolirne la solidità e di compromettente la essenziale funzione democratica di presidio della libertà di informazione,

impegna il Governo:

   a produrre ogni sforzo affinché sia superata la crisi che l'Agenzia attraversa e che rischia di determinare la dispersione di preziose professionalità;
   a operare affinché il rilancio dell'Agenzia e la tutela dei posti di lavoro possano essere perseguiti anche considerando – nelle forme più opportune – la possibilità di un assetto societario più solido che garantendo la libertà e la indipendenza della testata ed il suo carattere prevalentemente cooperativo e non monopolistico non escluda la partecipazione di soggetti non editoriali a carattere pubblico o semi pubblico per coniugare un servizio di fatto pubblico con l'autonomia dagli organi politici e di governo propria della storia e della identità dell'ANSA.
(1-00958) «Morassut, Pilozzi, Meta, Martella, Carella, Stumpo, Marazziti, Piazzoni, Argentin, Censore, Ferro, Manfredi, Peluffo, Roberta Agostini, Carloni, Stella Bianchi, Iacono, Valeria Valente, Camani, Miccoli, Tidei».


   La Camera,
   premesso che:
    il 13 dicembre del 2011 sono entrate in vigore nei Paesi dell'Unione europea le misure contenute nel cosiddetto «six pack»;
    le nuove misure, tra le altre cose, rivedono il patto di stabilità e crescita inasprendo il controllo e la sorveglianza preventiva della disciplina di bilancio e degli squilibri macroeconomici, introducendo automatismi nel comminare sanzioni finanziarie per quei Paesi che non si adeguano ai nuovi parametri sul deficit, sul debito e sulle bilance commerciali sia in disavanzo che in surplus;
    in seguito, il «six pack» è stato implementato e rafforzato con l'approvazione il 30 maggio 2013 di due regolamenti comunitari, cosiddetto «two pack»; rispettivamente il primo riguarda il rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria nell'eurozona, il secondo reca disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell'eurozona;
    in particolare, l'Unione europea, all'interno del «six pack» ha previsto una nuova procedura di sorveglianza e applicazione cosiddetta procedura per gli squilibri macroeconomici, Macroeconomic Imbalance Procedure – MIP. I parametri del MIP sono entrati in vigore nel 2010;
    si tratta di un sistema complesso di sorveglianza macroeconomica con lo scopo di garantire la solidità finanziaria dell'area euro e rilanciare le politiche di sviluppo tenendo conto di quanto siano stati, lo sono ancora oggi ma con diversa intensità, devastanti per il sociale e il settore produttivo e dei servizi, gli effetti della crisi;
    tra le altre cose, la Macroeconomic Imbalance Procedure, MIP, prevede che il surplus delle partite correnti di un Paese europeo non può superare la soglia del 6 per cento del prodotto interno lordo, sulla media degli ultimi tre anni, mentre in disavanzo non si può andare sotto il limite del 4 per cento;
    la procedura macroeconomica consente alla Commissione e al Consiglio europeo di adottare raccomandazioni preventive ai sensi dell'articolo 121, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e prevede anche un meccanismo correttivo che si applica nei casi più gravi, ossia una procedura per squilibri eccessivi (Excessive Imbalance Procedure — EIP), ai sensi delle norme che regolamentano il MIP;
    la Germania ha sforato la soglia limite del 6 per cento già dal 2007, in considerazione del fatto che l'economia tedesca genera il 52 per cento del PIL sulla base delle esportazioni e che la maggior parte di queste è indirizzata proprio verso i partner/competitor europei, producendo di fatto una grave distorsione sia delle regole dei Trattati comunitari che quelle di mercato, dove, non essendoci la possibilità per il singolo Stato di svalutare la propria moneta a causa di un regime valutario di cambi fissi dati dall'adozione di una moneta unica, il surplus commerciale della Germania si trasforma, di fatto, in una dinamica di bilancia commerciale a somma negativa per molti Paesi dell'area euro;
    la Commissione europea il 13 novembre 2013 ha annunciato l'avvio di una procedura, lunga e dall'esito incerto, ai danni della Germania; la stessa è stata invitata a dicembre del 2013 dalla Commissione europea a correggere questo elemento distorsivo dell'economia; la Commissione ha annunciato che entro la primavera del 2014 avrebbe predisposto un'analisi approfondita sullo straordinario surplus delle partite correnti tedesche;
    i dati del 2013 mettevano già in luce e dal 2007 l'economia tedesca aveva un surplus delle esportazioni vicino al 7 per cento del PIL mentre il dato della zona euro era appena del 2,5 per cento; nel 2014 il saldo delle partite correnti tedesco è risultato superiore al 7 per cento del PIL;
    in verità, questo surplus comincia nel 2002, ma sono da otto anni consecutivi che avviene violando, sistematicamente, le regole europee che prevedono che non si possa generare saldo positivo superiore al 6 per cento del PIL nella media di tre anni;
    secondo i recenti dati diffusi da Bloomberg la Germania ha chiuso il 2014 con un surplus record delle partite correnti che sale a 217 miliardi di euro dai 195,3 miliardi del 2013, con le esportazioni in rialzo del 3,7 per cento (a 1.134 miliardi di euro) e le importazioni che aumentano del 2 per cento (a 916,5 miliardi) rispetto al 2013. Nel solo mese di dicembre l'export è aumentato del 3,4 per cento, mentre l’import ha segnato un calo dello 0,8 per cento; il saldo della bilancia commerciale registra un surplus di 19,1 miliardi (21,8 corretto);
    da uno studio del Centro Studi di Confindustria è emerso che: «i Paesi core, Germania in primis, non hanno fatto nulla per ridurre i surplus». Secondo lo studio, la Germania ha mantenuto sostanzialmente invariato, a un livello dello 7,1 per cento, il saldo delle partite in percentuale del PIL che è eccessivo sia secondo i più elementari principi economici sia in base alle soglie di allarme europee (le quali, in base al six pack, prevedono delle sanzioni così come viene sanzionato il Paese che supera il 3 per cento nel rapporto deficit-PIL). Sono questi livelli insostenibili che generano una «perdita di benessere per tutti». Lo studio rileva anche che il saldo delle partite correnti italiano è passato dal -3,5 per cento del PIL nel 2010 al +1,5 nel 2014 e quello spagnolo si è mosso dal -9,7 per cento nel 2007 al +0,5 per cento nel 2014; entrambi i Paesi hanno corretto il saldo delle partite correnti nel corso degli ultimi cinque anni;
    il 30 ottobre del 2013 il Segretariato di Stato del tesoro americano ha affermato, nel suo rapporto semestrale sulle valute e le politiche economiche dei Paesi concorrenti, che: «...la Germania dipende molto dall’export e troppo poco dalla domanda interna, la conseguenza diretta è che l'economia tedesca esporta deflazione non solo in Europa ma in tutto il mondo...». Il rapporto non si limita a descrivere le politiche deflazionistiche che la Germania attua, ma dice anche che: «...l'anemico tasso di crescita della domanda interna in Germania e la dipendenza dall’export hanno ostacolato il ribilanciamento in una fase in cui molte economie dell'area euro sono sotto forte pressione per tagliare la domanda e comprimere l’import. Il risultato è un effetto deflazionistico dell'area euro e nell'economia mondiale... »;
    l'allora presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha affermato che: «...abbiamo deciso di preparare una analisi approfondita su potenziali squilibri in 16 Paesi, tra questi anche la Germania a causa di un surplus delle partite correnti persistentemente elevato (...). Dobbiamo capire se questo attivo ha un impatto negativo sul funzionamento dell'economia europea, anche se siamo consapevoli che il surplus tedesco riguarda il rapporto commerciale della Germania con il mondo, non con la zona euro...»;
    la Commissione europea, a proposito della Germania, nel suo documento di novembre 2014 sugli squilibri dell'area euro ha affermato che: «anche se i surplus correnti non pongono gli stessi problemi come i deficit insostenibili e sono in parte giustificati, grandi e continui avanzi possono riflettere inefficienza economica come bassi investimenti e bassa domanda domestica che nel medio termine portano a una riduzione della produzione potenziale. Un aumento della domanda domestica, attraverso un'accelerazione degli investimenti, farebbe aumentare la crescita potenziale e potrebbe contribuire alla ripresa e al riequilibrio di Eurolandia...»;
    nei primi mesi del 2014 in Austria vi è stato un acceso dibattito e una forte tensione nell'opinione pubblica austriaca su chi e in che modo si dovessero pagare i costi del salvataggio della banca Hypo Alpe Adria dello Stato federale della Carinzia già nazionalizzata nel 2009 ad un prezzo simbolico di un euro;
    secondo il governatore della Banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, aiutare la Hypo Alpe Adria sarebbe potuto costare altri 3,6 miliardi di euro nel 2014 – in aggiunta ai 4,8 miliardi di euro già versati in precedenza con cui venne ricapitalizzato una quota parte dell'Istituto – e far superare al deficit il limite del 3 per cento a causa di un incremento del disavanzo di 1,2 punti base;
    si trattava, quindi, di salvare non una banca di uno Stato federale, bensì il sistema bancario austriaco in tutta la sua integrità perché è quasi tre volte più grande del prodotto interno lordo nazionale. Il timore maggiore del Governo era il declassamento del rating austriaco;
    esistevano due ipotesi per il «salvataggio». La prima ipotesi era quella dell'allora Ministro delle finanze, Michael Spindelegger, il quale era contrario nel far accollare l'intero peso del salvataggio solo sui contribuenti, ma voleva coinvolgere anche gli investitori privati con le perdite sui depositi (modello Cipro) o procedere con l’haircut dei bond sovrani (modello Grecia); la seconda ipotesi era quella del governatore della Banca centrale austriaca che voleva che lo Stato garantisse tutti i debiti della banca (modello Olanda e Germania);
    l'alto livello di esposizione finanziaria della banca Hypo Alpe Adria è dovuto alla disastrosa ricerca di nuovi mercati nella parte orientale dell'Europa e, in particolar modo, nei Balcani dove le sue esposizioni sono considerevoli;
    nel marzo del 2014 lo Stato austriaco ha deciso di salvare la banca Hypo Alpe Adria dal fallimento facendo aumentare il debito pubblico del 6 per cento, portandolo all'80 per cento, e il deficit sopra il 3 per cento. L'Austria decideva di scegliere il modello tedesco e olandese, ossia un salvataggio pubblico a carico della fiscalità generale (bail-out – salvataggio pubblico tradizionale), al fine di evitare le regole imposte dalla «troika», e non quello cipriota o greco (bail-in – partecipazione degli investitori ai salvataggi), dove le perdite sono anche a carico degli investitori o i correntisti con, in aggiunta, i rigidi schemi bancari della «troika»;
    l'allora Ministro delle finanze, Michael Spindelegger, in una conferenza stampa tenuta a Vienna il 14 marzo 2014 dichiarava che la banca «...verrà divisa in una bad bank che sarà venduta il più rapidamente possibile...», sostenendo, inoltre, che si sarebbe cercato un contributo economico anche dal precedente proprietario, lo Stato della Carinzia, e dai possessori di titoli subordinati. Il costo della ricapitalizzazione della banca Hypo Alpe Adria nel 2014 è costato alla contribuzione generale austriaca la cifra di 3,6 miliardi di euro;
   il quotidiano economico francese La Tribune, riportava la notizia secondo cui in data 10 luglio 2015 veniva raggiunto un accordo fra lo Stato della Carinzia e il land tedesco della Baviera per tagliare più della metà del debito del primo nei confronti del secondo: una ristrutturazione da quasi 1,5 miliardi di euro per evitare il fallimento dello Stato federale austriaco. La cifra è di poco inferiore ai 1,6 miliardi di euro che la Grecia non ha rimborsato entro il 30 giugno 2015 al Fondo monetario internazionale, con la conseguenza che ben si conoscono;
    al centro della vicenda c’è la banca Hypo Alpe Adria che è stata una delle più attive sui mercati finanziari nei primi anni del 2000. Fino al 2007 le quote di maggioranza dell'Istituto erano di proprietà dello Stato della Carinzia e nel marzo dello stesso anno la Carinzia ha venduto le sue quote alla banca regionale pubblica bavarese Bayerische Landesbank e, a seguito della crisi finanziaria del 2008, l'esposizione creditizia della banca carinziana è diventata insostenibile;
    nel 2014 per un lasso di tempo minimo, il Governo austriaco ha creato una bad bank, la Heta, dove far confluire al suo interno la spregiudicatezza della gestione finanziaria operata per quasi dieci anni, pensando di essere uno strumento necessario per dirimere la vicenda, in verità a marzo del 2015 si è scoperto che nei conti della Heta vi era un buco di 7,6 miliardi di euro, pari al 2,3 per cento del PIL austriaco. A seguito di tale certificazione debitoria la Austrian Financial Market Authority, FMA, ha sospeso qualsiasi pagamento ai creditori fino a marzo del 2016, cercando conseguentemente una soluzione di come ristrutturare il debito;
    in data 8 maggio 2015 la corte regionale di Monaco di Baviera ha condannato l'Austria a pagare è 2,75 miliardi di euro alla Bayerische Landesbank, pari alla cifra – più gli interessi – che la banca bavarese aveva versato nelle casse della Hypo Alpe Adria nel 2009 al fine di tentare una ristrutturazione del debito. La dichiarazione dello chief executive della Bayerische Landesbank, Johannes-Joerg Riegler, sono state: «...ora l'Austria deve assumersi le proprie responsabilità e ripagare i suoi debiti...». I legali della Heta hanno presentato ricorso alla Corte Suprema e il Governo, per bocca del Ministro delle finanze austriaco, Jörg Schelling, ha affermato che: «...il Governo non butterà un altro euro dei contribuenti nell'Heta...»;
    il tema della ristrutturazione del debito è diventato il punto centrale di lunghi negoziati tra lo Stato federale della Carinzia e il land tedesco della Baviera che nel giro di due settimane sono giunti ad un accordo politico che prevede l'accettazione da parte della Bayerische Landesbank di ricevere solo 1,3 miliardi dei 2,75 dovuti, con la disponibilità della cancelliera Merkel ad annullare in toto il debito austriaco;
    quanto illustrato in premessa configura secondo i firmatari del presente atto di indirizzo un atteggiamento della Germania alquanto discutibile sotto il profilo delle rigide regole imposte dai Trattati europei, dal six pack e dal two pack e nei confronti dell'Austria dove il Governo tedesco ha, unilateralmente, derogato alle regole della governance sui sistemi bancari e sullo sforamento del rapporto deficit/PIL nonché sull'aumento esponenziale del debito pubblico dell'Austria, contrariamente all'atteggiamento rigido e punitivo tenuto nei confronti della Grecia;
    da ultimo, l'Austria è stato uno dei Paesi che si sono opposti con fermezza e rigidità alla ristrutturazione del debito greco, cui si aggiunge la famosa frase del Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che afferma: «... un taglio del debito pubblico non è possibile secondo i Trattati europei...», questa regola tuttavia non vale per l'Austria,

impegna il Governo:

    in sede di Consiglio europeo a promuovere una riunione urgente che abbia all'ordine del giorno le questioni esposte in premessa e quindi, la non omogenea applicazione all'interno dell'Unione europea delle normative poste a base del sistema di governance dell'Unione economica e monetaria, UEM, e della sorveglianza macroeconomica, la quale pone come target del surplus delle partite correnti il limite del 6 per cento e la previsione di sanzioni adeguate per aver sforato il limite;
   a farsi promotore di una Conferenza europea sul debito sovrano che preveda la rinegoziazione del debito che eccede il 60 per cento del PIL all'interno di una vera cornice politica-istituzionale che guardi agli interessi dell'Unione europea in tutta la sua globalità e complessità socio-economica;
   ad assumere iniziative per una profonda riforma del fiscal compact, del six pack, del two pack e delle altre disposizioni fiscali, economiche e monetarie sulla governance dei sistemi bancari contenute nei Trattati europei;
   a verificare in sede di Eurogruppo la reale esposizione bancaria dell'Austria (il cui sistema rappresenta tre volte il PIL austriaco), a fronte del fatto che la bad bank Heta, creata ad hoc dal Governo per far confluire i debiti della Hypo Alpe Adria, già nel 2014 aveva nei suoi conti un buco di 7,6 miliardi di euro pari al 2,3 per cento del PIL del Paese;
   in sede di Consiglio europeo, a promuovere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la portata del mancato rispetto delle regole comunitarie sulla vigilanza bancaria della UEM, nonché il taglio, unilaterale, del debito operato dalla Germania di 1,45 miliardi di euro a favore dell'Austria che sembrerebbe non rispettare i Trattati dell'Unione europea.
(1-00959) «Scotto, Fratoianni, Kronbichler, Palazzotto, Paglia, Marcon, Franco Bordo».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la ripresa di attenzione del Governo e del Parlamento verso il tema delle politiche abitative pubbliche, condensata nella legge del 23 maggio 2014, n. 80, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante «Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015», è un fattore altamente positivo;
    dopo sette anni consecutivi di riduzione del numero di abitazioni compravendute (-53,6 per cento tra il 2007 ed il 2013), nel corso del 2014 si è registrato un'interruzione del trend negativo con una crescita del 3,6 per cento rispetto al 2013;
    nel primo trimestre del 2015 il numero di abitazioni compravendute si riduce del 3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Tale andamento, però, risulta alterato dall'elevato valore di confronto del primo trimestre 2014, periodo nel quale il numero di abitazioni compravendute era aumentato in modo significativo per effetto dell'entrata in vigore dal 1o gennaio 2014, del nuovo regime delle imposte di registro, ipotecaria e catastale che ha reso più conveniente l'acquisto dell'abitazione soprattutto per gli immobili usati;
    al netto dell'effetto fiscale del mutato regime di imposta sopra richiamato l'Agenzia delle entrate stima, nel primo trimestre 2015, una variazione positiva dello 0,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
    il rinnovato interesse verso il bene casa è confermato anche dai dati Istat relativi alle intenzioni di acquisto di abitazioni da parte delle famiglie che torna a crescere posizionandosi su dei livelli tra i più alti degli ultimi anni. La quota di famiglie che dichiara di essere favorevolmente disposta all'acquisto di un'abitazione ad aprile 2015 risulta, infatti, pari al 2,6 per cento in aumento rispetto al minino registrato due anni fa (aprile 2013) che manifestava una frequenza pari all'1 per cento; l'ultimo rapporto Nomisma sul mercato immobiliare (marzo 2015) evidenzia che circa il 4 per cento delle famiglie, pari a oltre 900.000 nuclei, dichiara di avere intenzione di acquistare un'abitazione nei prossimi 12 mesi e di essere già attivo nella ricerca;
    una riprova dell'interesse delle famiglie verso l'acquisto dell'abitazione è dato dalle recenti statistiche di CRIF, in base alle quali a maggio 2015 il numero di domande di mutui presentate dalle famiglie è cresciuta del 84,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2014. Il dato aggregato relativo al periodo gennaio-maggio 2015 si attesta ad un +54,2 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 2014; tale dinamica beneficia senza dubbio, oltre che dei fattori che hanno agito dal lato della domanda, anche di elementi favorevoli dal lato dell'offerta dove si riscontra, a partire dalla fine del 2013, un miglioramento dei criteri applicati per la concessione dei mutui da parte degli istituti finanziatori;
    dall'inizio della crisi finanziaria nel 2008, i mutui erogati alle famiglie italiane per l'acquisto della casa hanno subito un crollo senza precedenti: se nel 2007 venivano erogati quasi 63 miliardi di euro, nel 2013 le banche hanno messo a disposizione delle famiglie appena 21,4 miliardi, con una riduzione di oltre il 65 per cento;
    nonostante nel 2014 si sia registrato un dato positivo nell'offerta di mutui pari al +13,4 per cento rispetto all'anno precedente, per i piccoli proprietari il miglioramento della qualità dell'abitare passa prevalentemente per uno scambio tra la «vecchia» abitazione ed una nuova o riqualificata più performante sotto il profilo energetico e strutturale;
    in ogni caso l'operazione di sostituzione «immobiliare» è particolarmente difficile nel caso in cui la «vecchia abitazione» abbia goduto all'atto del suo acquisto originario delle agevolazioni cosiddette «prima casa» (articolo 1 e relativa nota II-bis, tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131) e in fase di rogito della nuova casa acquistata il proprietario non sia riuscito ancora a vendere tale immobile;
    possedendo, al momento del rogito, un immobile che ha goduto di tali agevolazioni, non si può avere alcuna agevolazione fiscale dedicata alla prima casa: vieppiù tale agevolazione non potrà essere recuperata nemmeno in seguito;
    tale situazione può minare in modo consistente la valenza dell'offerta, limitando significativamente il contributo alla ripresa del settore immobiliare;
    sarebbe opportuno preservare il trattamento fiscale riservato alla «prima casa» anche nei casi in cui l'acquisto dell'immobile, da considerarsi come «prima casa», avvenga prima di aver venduto l'immobile sul quale si è già goduto delle agevolazioni cosiddette «prima casa»;
    occorre pervenire ad una vera e propria strategia fiscale che incentivi il mercato sia stimolando le compravendite di immobili destinati a prima abitazione, sia prevedendo ulteriori agevolazioni dedicate all'acquisto di abitazioni di nuova generazione, con effetti positivi sulla riqualificazione del tessuto urbano e sulla qualità dell'abitare;
    in tale ottica andrebbero potenziati alcuni strumenti agevolativi già esistenti, quali la detrazione riconosciuta per l'acquisto d'immobili di nuova costruzione o incisivamente ristrutturati da mettere a reddito, attraverso la possibilità di convertire la stessa con uno sconto di prezzo da parte del costruttore/cedente,

impegna il Governo:

   a valutare l'introduzione di un sistema d'incentivi diretti a favorire le operazioni di sostituzione della prima casa, attraverso la possibilità di applicare le «agevolazioni prima casa» (imposta di registro al 2 per cento o IVA al 4 per cento) e l'imposta sostitutiva sul mutuo pari a 0,25 per cento (articolo 18, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601) anche qualora il nuovo acquisto sia effettuato prima della vendita dell'abitazione posseduta e da sostituire e, comunque, nel rispetto di due condizioni essenziali:
    a) l'immobile acquistato soddisfi sin dal rogito tutti i requisiti previsti dalla normativa agevolativa in materia (riepilogati nella già citata nota II-bis all'articolo 1, tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131);
    b) l'immobile da vendere su cui si è già goduto delle agevolazioni sia poi alienato entro un anno dall'acquisto del nuovo immobile agevolato;
   a valutare, inoltre, l'introduzione di un sistema di incentivi diretti a favorire la permuta tra abitazioni usate e quelle particolarmente performanti sotto il profilo energetico, attraverso:
    a) la riduzione al minimo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale a carico delle imprese acquirenti i fabbricati «usati»;
    b) l'introduzione di una detrazione fiscale correlata al prezzo di acquisto, a favore degli acquirenti del fabbricato nuovo o riqualificato e ad elevato standard energetico;
    c) la rimodulazione della deduzione riconosciuta per l'acquisto di immobili di nuova costruzione o incisivamente ristrutturati, da locare, consentendo di trasferire la stessa al costruttore/cedente dietro il riconoscimento di uno sconto di prezzo, accelerando, sul medesimo incentivo, l'emanazione del decreto attuativo, per dare concreta operatività all'agevolazione.
(7-00743) «Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Parrini».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la risoluzione in Commissione n. 7-00452, presentata dal firmatario del presente atto di indirizzo, ha già posto il tema di introdurre uno strumento legislativo innovativo, attraverso lo strumento degli sgravi fiscali, per incentivare il ritorno di forza lavoro altamente qualificata, basata sulle aspettative di lavoro e carriera di giovani cittadini italiani nati dopo il 1o gennaio 1969, i quali, avendo trascorso continuativamente un periodo di lavoro o di studio all'estero, decidano di fare rientro in Italia;
    rimangono tuttora valide le considerazioni e le statistiche riportate nella risoluzione sopracitata, relative alla perdita di competenze causate dall'esodo di laureati, nota come «fuga dei cervelli», e alla perdita economica che ne consegue;
    tali elementi di fatto costituiscono la motivazione essenziale a fondamento delle norme della legge 30 dicembre 2010, n. 238, recante «incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia» e dei relativi decreti attuativi emanati il 7 giugno 2011;
    in questo contesto è necessario prorogare, migliorare e rendere permanenti le disposizioni della legge n. 238 del 2010 e i relativi decreti attuativi, appena citati, ed estendere l'effetto di tale normativa sulla base del merito e del valore dei risultati conseguiti all'estero a quei cittadini italiani che si siano distinti in ambito scientifico, tecnico-gestionale e progettuale;
    appare inoltre necessario promuovere il rientro di capitali per la ricerca, lo sviluppo o l'imprenditoria assegnati o assegnabili a cittadini italiani residenti all'estero che si siano particolarmente distinti in ambito professionale e/o scientifico,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per estendere il beneficio dell'incentivazione fiscale sopra descritta anche oltre i termini di età previamente individuati (nati dopo il 1o gennaio 1969) a quei cittadini che abbiano maturato particolari distinzione nel settore tecnico-scientifico-gestionale, con particolare riferimento alle seguenti nuove classi di soggetti:
    a) cittadini italiani che abbiano ottenuto naturalizzazione presso un'altra nazione sulla base del valore scientifico raggiunto (ad esempio ottenimento della Carta verde USA nella categoria di «visa waiver based on research of national interest» e simile categoria in altri paesi stranieri), pur mantenendo la cittadinanza italiana;
    b) cittadini italiani che siano autori o coautori di un numero non inferiore a cinque pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali di tipo «peer reviewed» (ovvero che includano un processo di selezione e accettazione del lavoro scientifico proposto per la pubblicazione da parte di comitato scientifico) con un impact factor (IF) complessivo medio non inferiore a 3.5 (con IF calcolato per l'anno di pubblicazione); tali pubblicazioni possono essere state prodotte sia prima sia dopo avere lasciato l'Italia per proseguire la carriera all'estero, purché i cittadini abbiano continuato a praticare all'estero l'attività per cui hanno ricevuto il training originale per almeno due anni continuativi;
    c) cittadini italiani con residenza estera i quali siano stati vincitori di bandi di finanziamento per la ricerca scientifica all'estero o siano stati parte integrante di un team di ricerca estero a cui sia conferito un finanziamento di ricerca che abbia impegnato lo stesso in attività di ricerca «full time» per un periodo non inferiore ai due anni;
    d) cittadini italiani che siano destinatari di finanziamenti per progetti di ricerca e sviluppo trasferibili nella nazione di origine, in presenza di un ente accademico ospitante in Italia che ne garantisca la continuità di attività sulla base di infrastrutture per la ricerca comparabili a quelle che hanno determinato il conferimento del finanziamento originale;
    e) cittadini italiani che abbiano lavorato all'estero per almeno due anni consecutivi nel settore privato a livello gestionale (senior scientist, group leader, project manager, scientific director) in un campo affine a quello di formazione accademica e che possano fornire due referenze da parte di esperti nel settore (ovvero di professionisti italiani o stranieri che posseggano uno dei requisiti delle classi qui riportati), i quali attestino per iscritto la conoscenza personale del referenziato da almeno due a e ne testimonino l'eccellenza professionale;
    f) cittadini italiani residenti all'estero che siano detentori di brevetti nazionali o internazionali;
    g) cittadini italiani residenti all'estero che siano stati insigniti di onori al merito per ragioni scientifiche o professionali da parte di organizzazioni internazionali, albi professionali stranieri o agenzie di assegnazione fondi per la ricerca, dotati di comitati scientifici per la selezione dei vincitori riconosciuti nel settore professionale di specializzazione;
    h) cittadini italiani residenti all'estero che abbiano ricevuto una nomina per il premio Nobel da parte del comitato organizzatore, indipendentemente dal suo conseguimento, o che abbiano conseguito premi o riconoscimenti di analogo rilievo e prestigio, e che esprimano interesse nel ritorno in patria, purché siano integrati in programmi formativi in istituzioni accademiche interessate a conferire titoli di professore emerito o di lecturer nell'area di distinzione accademica.
(7-00746) «Pagano».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'Anas è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. È una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
    la rete di strade ed autostrade di interesse nazionale in gestione diretta è costituita da 25.527,130 chilometri, compresi svincoli e complanari, di cui 937,748 chilometri di autostrade;
    le funzioni attribuite all'Anas relativamente alla rete stradale ed autostradale in gestione diretta sono:
    gestione, manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade ed autostrade;
    adeguamento e progressivo miglioramento della rete delle strade e delle autostrade e della relativa segnaletica;
    costruzione di nuove strade ed autostrade, anche a pedaggio, sia direttamente che mediante concessione a terzi;
    servizi di informazione agli utenti, a partire dagli apparati segnaletici;
    attuazione delle leggi e dei regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade ed autostrade e tutela del traffico e della segnaletica;
    adozione dei provvedimenti necessari per la sicurezza del traffico sulle strade e sulle autostrade;
    realizzazione e partecipazione a studi, ricerche e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e circolazione;
    è stata illustrata la relazione programmatica del presidente Anas Gianni Vittorio Armani;
    si rende indispensabile fornire un contributo programmatico e strategico al futuro dell'Anas;
    si ribadisce la funzione e la natura pubblica della missione di Anas finalizzata al raggiungimento del primario diritto alla mobilità dei cittadini e delle merci;
    si conferma di fondamentale importanza l'esigenza di ribadire e rafforzare la natura pubblica della società proprio in funzione di un obiettivo primario non subordinabile alle ragioni economiciste e finanziarie o di natura privatistica della società;
    in questa direzione si rende indispensabile tracciare alcune direttrici fondamentali della missione strategica e di visione programmatica della società:
     1) definire un parametro di misurazione del divario infrastrutturale viario di aree omogenee e di livello regionale al fine di individuare il gap da colmare perché diventi elemento essenziale e imprescindibile della programmazione della società;
     2) adottare come metodo e indirizzo prioritario della programmazione della società la misurazione e la compensazione del divario infrastrutturale viario;
     3) perseguire il riequilibrio infrastrutturale dell'intero Paese a partire da quelle realtà, come le regioni insulari gravemente colpite da un divario duplice interno ed esterno;
     4) adottare un piano strategico per ridisegnare la visione strategica delle strade statali affidando ad esse non solo una missione infrastrutturale ma anche di promozione e valorizzazione unitaria di beni e valori territoriale che di concerto con le autonomie locali e regionali devono essere individuate;
     5) avviare un processo di sperimentazione di tale nuova impostazione di missione e visione a partire dalla realizzazione in Sardegna dell'autostrada dei nuraghi, cancellando denominazioni fuorvianti e anacronistiche per favorire, invece, processi infrastrutturali in grado di dare un'anima alla rete viaria;
     6) perseguire un piano energetico viario su tutta la rete viaria del Paese, a partire dall'installazione lungo la rete principale di strutture in grado di generare energia rinnovabile, a partire dal fotovoltaico e termodinamico, in quelle aree contigue al sedime stradale e già in piena disponibilità di Anas;
     7) definire un piano energetico viario che sappia attingere alle stesse dotazioni di incentivi utili alla governance economica della società;
     8) predisporre un piano di fattibilità per la costituzione di un piano d'azione teso all'utilizzo di aree contigue, già nella piena disponibilità di Anas, e facilmente utilizzabili in sicurezza, al fine di promuovere una corporate destinata alla vendita all'erogazione di sottoservizi di connessione, dalle reti a fibra ottica al gas, alle reti elettriche e idriche di primaria interconnessione;
     9) fornire un piano economico finanziario teso a dare certezza all'esecuzione del piano infrastrutturale di prioritario riequilibrio dei divari infrastrutturali viari, a partire dalla regione Sardegna,

impegna il Governo

a far propri i punti strategici della missione Anas indicati in premessa e a far sì che siano adottati dalla società Anas, prevedendo la presentazione entro tre mesi di un piano operativo alle commissioni parlamentari competenti.
(7-00745) «Pili».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'aeroporto internazionale di Parma «Giuseppe Verdi» si trova in una delle zone più industrializzate d'Europa, una posizione territorialmente strategica nel cuore del Nord Italia, tra Milano e Bologna, con i principali servizi autostradali nazionali e ferroviari a soli 2 miglia di distanza;
    il Parma International Airport, accreditato con la concessione ventennale dello Stato rinnovata di recente, è gestito da SO.GE.AP spa, società con diversi azionisti, fra cui provincia e comune di Parma, camera di commercio e Unione degli industriali di Parma. Azionista di maggioranza al 64 per cento la Meinl Bank AG che, considerando tale attività non più strategica rispetto al proprio core business, nel 2012 ha annunciato il ritiro e messo in vendita il proprio pacchetto di azioni per un valore stimato di circa 10 milioni di euro;
    la società ha chiuso il proprio bilancio in perdita nel 2012 con 5.400.000 euro e nel 2013 con una perdita di 3.700.000 euro, perdite completamente coperte grazie al capitale SO.GE.AP. Il protrarsi di tale situazione ha però fortemente minacciato il futuro dello scalo rendendolo sempre più incerto;
    nonostante l'assidua ricerca di un investitore a fronte di una crisi ormai definitiva denunciata più volte dal presidente della Sogeap, gli aderenti all'Unione parmense degli industriali al termine di un loro consiglio direttivo svoltosi nel giugno 2015 hanno stanziato per l'aeroporto un aumento di capitale di 5 milioni di euro, in modo da bloccarne la chiusura per i prossimi due anni;
    allo stato attuale si sta ricercando attivamente un partner adatto a rilevare il pacchetto di Meinl Bank, un forte investitore che sostenga lo sviluppo del piano elaborato da SO.GE.AP, un progetto per ampliare l'aeroporto dai 200 mila passeggeri attuali fino a 2.000.000 di persone trasportate ogni anno. Il potenziale di crescita dell'aeroporto potrebbe infatti essere molto elevato se si considera il bacino ipotetico di viaggiatori interessanti: un'area vasta che si estende dal l'Emilia occidentale alla bassa Lombardia, a una distanza massima di 30/45 minuti di auto dall'infrastruttura, con circa 3 milioni di potenziali viaggiatori;
    questo obiettivo necessita di un'azione coordinata di sostegno da parte delle istituzioni – Governo regione e comune – mettendo in valore la potenza strategica di un territorio in cui si trova una sede universitaria antica e di prestigio e un'alta concentrazione di attività economiche tali da rendere questo territorio la food valley italiana dove non a caso ha sede l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare);
    è inoltre importante osservare che una eventuale chiusura danneggerebbe anche gli scali aeroportuali vicini a quello di Parma dove in situazioni di maltempo atterranno aeromobili destinati ad altri scali momentaneamente impossibilitati a riceverli,

impegna il Governo

a sostenere, per quanto di competenza, l'azione della regione, delle istituzioni locali e delle realtà economiche nella ricerca di un nuovo partner industriale e di sinergie tra l'aeroporto di Parma e gli scali vicini tali da costruire una rete infrastrutturale efficiente e in grado di rispondere in modo adeguato alle esigenze del mercato dei passeggeri del Nord Italia.
(7-00744) «Gandolfi, Patrizia Maestri, Romanini».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, introduceva «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale»;
    nel provvedimento, fra le principali misure, si prevedeva all'articolo 4 la liberalizzazione dell'attività di produzione di pane e, al comma 2-ter, del citato articolo si annunciava l'emanazione di un decreto redatto dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano volto a disciplinare la denominazione di «panificio», «pane fresco» e «pane conservato», a tutela della corretta informazione per i consumatori e della valorizzazione del pane fresco italiano;
    tale decreto adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e volto a disciplinare la materia in conformità al diritto comunitario, avrebbe dovuto riguardare:
     a) la denominazione di «panificio» da riservare alle imprese che svolgono l'intero ciclo di produzione del pane, dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale;
     b) la denominazione di «pane fresco» da riservare al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l'impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale;
     c) l'adozione della dicitura «pane conservato» con l'indicazione dello stato o del metodo di conservazione utilizzato, delle specifiche modalità di confezionamento e di vendita, nonché delle eventuali modalità di conservazione e di consumo;
    il decreto in questione, pur avendone avviato l’iter anche nelle competenti sedi europee, non è di fatto mai arrivato al varo e il vuoto legislativo creatosi non solo rischia di compromettere la qualità del prodotto, ma danneggia anche tutte quelle aziende italiane che quotidianamente lo realizzano, aziende che rischiano di perdere competitività sotto il peso dei costi e della concorrenza sleale;
    la tipicità e la specificità del pane artigianale italiano sono un patrimonio inestimabile, che conta circa 200 specialità, di cui 95 già iscritte nell'elenco del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, un settore del valore di 7 miliardi di euro con 400mila addetti in 25mila imprese, in gran parte di dimensioni familiari, che sfornano in media 100 chilogrammi di pane al giorno ciascuna;
   ad oggi dunque la legge non garantisce il consumatore nel riconoscere il pane fresco artigianale dal pane, conservato, distinzione estremamente necessaria non solo per i panificatori ma anche per gli acquirenti a cui la legge ha promesso fin dal 2007 di fornire gli elementi utili per compiere un acquisto di pane oculato, ovvero comprendere se il pane che si compra è fresco artigianale o, ad esempio, sfornato ma prodotto con base surgelata o prodotto altrove, anche fuori dall'Unione europea,

impegna il Governo

a recuperare il vuoto normativo provvedendo all'adozione del decreto ministeriale di cui alla legge 4 agosto 2006, n. 248, aiutando in questo modo il rafforzamento strutturale delle imprese che esercitano l'attività di panificazione e consentendo ai consumatori di riconoscere con chiarezza quando il pane è fresco, cioè fatto secondo un processo di produzione continuo e privo di interruzioni finalizzate al congelamento, e quando non lo è.
(7-00742) «Galperti, Romanini, Senaldi, Oliverio, Montroni, Arlotti, Prina, Paolo Rossi, Terrosi, Cenni, Taricco, Capozzolo, Scuvera, Cova, Fiorio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3-bis del decreto legislativo del 7 marzo 2005 n. 82, rubricato «Domicilio digitale del cittadino», prescrive: «1. Al fine di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, è facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione, secondo le modalità stabilite al comma 3, un proprio indirizzo di posta elettronica certificata ((..)) quale suo domicilio digitale. 2. L'indirizzo di cui al comma 1 è inserito nell'Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi,»;
   la stessa norma prevede al comma 3 che: «con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale, sono definite le modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino, nonché le modalità di consultazione dell'ANPR da parte dei gestori o esercenti di pubblici servizi ai fini del reperimento del domicilio digitale dei propri utenti»;
   a tutt'oggi non risulta l'emanazione del prescritto decreto. Ne deriva una grave complicazione per i cittadini nell'elezione del domicilio digitale e soprattutto, nonostante l'immanenza dell'obbligo a carico delle amministrazioni pubbliche e dei gestori o esercenti di pubblici servizi di comunicare con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, in assenza di detto domicilio, le altre forme di comunicazione continuano a poter produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario, disattendendo il disposto del comma 4 della norma in discorso;
   l'utilizzo di differenti modalità di comunicazione, a mente della normativa citata, può inoltre essere considerato tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale ai sensi dell'articolo 11, comma 9, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
   nel documento sull'Anagrafe nazionale della popolazione residente del 27 maggio 2014, a cura del Ministero dell'interno, a proposito del domicilio digitale, si espone che il decreto-legge n. 69, del 2013, convertito dalla legge n. 98, del 2013, all'articolo 14 («Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale»), nel comma 1, nell'aggiungere all'articolo 10 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, i commi 3-quater e 3-quinquies, ha ivi previsto che all'atto della richiesta del documento unificato, ovvero all'atto dell'iscrizione anagrafica o della dichiarazione di cambio di residenza a partire dall'entrata a regime dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente, è assegnata al cittadino una casella di posta elettronica certificata, di cui all'articolo 16-bis, comma 5, del decreto-legge n. 185, del 2008, con la funzione di domicilio digitale ai sensi dell'articolo 3-bis del CAD, attivabile in modalità telematica dal medesimo cittadino;
   la citata normativa, si legge ancora nel documento menzionato, ha, inoltre, stabilito che con il decreto del Ministro dell'interno di cui al comma 3 dell'articolo 10, del decreto-legge n. 70, del 2011, ivi previsto per stabilire le modalità tecniche di produzione, distribuzione, gestione e supporto all'utilizzo del documento unificato, sono inoltre stabilite le modalità di rilascio del domicilio digitale all'atto di richiesta del documento unificato e, infine, che tale documento sostituisce, a tutti gli effetti di legge, il tesserino di codice fiscale rilasciato dall'Agenzia delle entrate;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nel modificare l'articolo 4 comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha disposto (con l'articolo 13, comma 2-quater) che i decreti ministeriali previsti dalle disposizioni di cui allo stesso articolo qualora non ancora adottati e decorsi ulteriori trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, sono adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri anche ove non sia pervenuto il concerto dei Ministri interessati;
   con riferimento all'Anagrafe nazionale della popolazione residente, è noto che il primo regolamento di attuazione è stato adottato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, n. 109 del 23 agosto 2013, in vigore dal 16 ottobre 2013 –:
   se il Governo possa dar conto delle ragioni della mancata adozione del decreto di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82 e se e quando intenda provvedervi;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri possa indicare se abbia provveduto all'adozione della decretazione di attuazione ai sensi dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013;
   se il Governo possa fornire informazioni circa lo stato di attuazione ed il regime aggiornato del sistema di Anagrafe nazionale della popolazione residente in cui debba trovare allocazione l'elezione del domicilio digitale. (5-06122)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, in Molise nel territorio ricompreso nelle provincia di Campobasso, risulta incompiuta l'infrastruttura denominata: «Circumlacuale» nata per collegare la Fondovalle Tappino e le piane di Larino, al fine di tirare fuori dall'isolamento le zone interne del Fortore;
   il progetto dell'infrastruttura prevedeva una strada di collegamento tra la Fondovalle Tappino-Riccia-Colletorto-San Giuliano di Puglia strada statale 376 all'innesto con la strada in corso di realizzazione tra S. Croce di Magliano e strada statale 87 (Piane di Larino), lungo la sponda ovest dell'invaso di Occhito;
   il primo finanziamento all'infrastruttura risale al 1990 e l'importo complessivo del progetto del 1o lotto è pari ad euro 23.262.438,86. Tale originario stanziamento è poi lievitato a causa di perizie e varianti progettuali;
   gli ultimi lavori effettuati risalgono al 2006;
   dopo otto anni, nonostante l'ingente quantità di risorse pubbliche impiegate, lo stato dei luoghi è in completo degrado ed abbandono. L'infrastruttura risulta realizzata solo in minima parte e pertanto inservibile;
   la vicenda legata alla realizzazione di tale opera è stata portata all'attenzione dalla Corte dei Conti – procura regionale per il Molise, si legge, a tal proposito, nella relazione del procuratore regionale Carlo Alberto Manfredi Selvaggi in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015 che «le indagini compiute hanno permesso di rilevare un'illecita gestione dell'appalto in relazione ai seguenti aspetti:
    alla fase esecutiva dei lavori caratterizzata da diverse perizie di variante illegittime, che hanno comportato impedimenti e notevoli ritardi nell'esecuzione e, soprattutto, il conseguente affidamento a trattativa privata cosiddetta «a unico soggetto» ovvero «a soggetto vincolato» di lavori extracontrattuali, in aperta violazione delle norme sulla concorrenza e sulla trasparenza dell'azione amministrativa;
    al conferimento degli incarichi professionali per la progettazione e la conduzione dell'appalto, tutti avvenuti mediante affidamento diretto, in contrasto con la normativa in materia;
    alla definizione delle riserve in pendenza per un rilevante importo (inerente alle richieste risarcitorie dell'impresa per i maggiori oneri conseguenti all'anomalo andamento dei lavori) avvenuta attraverso un atto transattivo rivelatosi illegittimo;
   la magistratura contabile in seguito a tali accertamenti ha prodotto sei evocazioni in giudizio, che vedono coinvolti funzionari della Comunità montana del Fortore Molisano e del provveditorato interregionale per le opere pubbliche Campania e Molise;
   tali indagini prendono tutte in considerazione l'affidamento a professionisti esterni di diversi incarichi (progettazione, direzione lavori, coordinamento in materia di sicurezza e salute in fase di progettazione ed esecuzione; collaudatore tecnico-amministrativo, collaudatore ai fini sismici, alta sorveglianza sotto l'aspetto geologico, supporto al R.U.P.), che sono stati conferiti con affidamento diretto, mediante scelta del professionista, senza far riferimento a forme di pubblicità della procedura di affidamento che si andava ad esperire né ad alcuna comparazione dei requisiti dei concorrenti;
   il procuratore regionale Carlo Alberto Manfredi Selvaggi conclude la propria relazione asserendo che: «Non sono residuati dubbi, pertanto, sulla sussistenza di un ingente danno». La relazione della magistratura contabile prosegue sottolineando che: «gli affidamenti in questione sono avvenuti in assenza di procedure comparative e in violazione dei principi normativi su richiamati, che impongono di operare nel rispetto dei fondamentali canoni amministrativi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, di economicità, efficacia, correttezza, libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità (articolo 2, 121 Codice dei contratti pubblici), di matrice sia costituzionale (articolo 97 nonché 41 e 3 della costituzione) che comunitaria (direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004.» –:
   se il Governo, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno predisporre le iniziative di competenza necessarie a comprendere le motivazioni di tali ritardi nell'esecuzione dell'opera ed evitare ulteriore depauperamento di risorse pubbliche statali, considerato il danno evidenziato in maniera più che lapalissiana nella stessa relazione della magistratura contabile. (5-06146)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA, PASTORINO, TULLO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE e OLIARO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lunedì 13 luglio 2015 esce sulla Gazzetta del lunedì, settimo numero del Corriere Mercantile, l'appello del direttore Mimmo Angeli dal titolo «Così muore un giornale», dove il direttore denuncia la gravissima situazione in cui versa la testata genovese che rischia a breve di chiudere per sempre;
   il Corriere Mercantile è una delle testate storiche di Genova, nato nel 1824 ha avuto tra le sue firme scrittori e giornalisti come Montale, Prezzolini, Dickens, Melville e Zola e ancora oggi la sua cronaca locale è una delle più puntuali nel panorama cittadino. Nel 1978 diventa autonomo e i giornalisti fondano la cooperativa «Giornalisti e Poligrafici»;
   nel 2000 la crisi dell'editoria si fa sentire, e si passa nel giro di dieci anni, da circa sessanta unità (tra giornalisti, poligrafici e amministrativi) che lavoravano per la realizzazione del giornale, agli attuali 14 giornalisti e tre poligrafici;
   la boccata di ossigeno portata dalla vendita in abbinamento con il quotidiano La Stampa, viene a mancare il 1o marzo 2015 quando La Stampa interrompe il lungo sodalizio con il Corriere Mercantile, dopo avere dato vita, nell'agosto del 2014, con il Secolo XIX a un nuovo gruppo editoriale, Italiana Editrice;
   ad oggi ci sono giornalisti che non percepiscono lo stipendio (dodici mensilità) da gennaio 2015. Da maggio 2015 è stata attivata la cassa integrazione e in tribunale è stata aperta una procedura di concordato in bianco: se entro il 6 settembre non si trova una soluzione, il giornale chiuderà;
   tenuto conto che La Giornalisti e Poligrafici Coop r.l., editrice delle testate Corriere Mercantile e Gazzetta del Lunedì rientra tra i soggetti destinatari dei contributi diretti concessi a favore delle imprese editrici di giornali quotidiani e periodici ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 250 e successive modificazioni, ad oggi, il credito che la cooperativa vanta dallo Stato è pari a 2.319.679,64 euro;
   fino al 2010 il diritto soggettivo ne garantiva l'erogazione, ed è in virtù di questo principio che si dovrebbe poter contare sul credito residuo del 2010 che non è ancora stato incassato, pari a 225.430.89 euro, mentre il credito degli anni 2011, 2012 e 2013 è invece ancora totalmente da incassare e si tratta di 795.263,66 euro per il 2011, 538.836,05 euro per il 2012 e 760.149,04 euro per il 2013 –:
   se il Governo sia a conoscenza che la mancata erogazione dei contributi del fondo nazionale dell'editoria negli anni sopraindicati ha notevolmente contribuito alla crisi che il giornale e i lavoratori stanno vivendo e se sia al corrente che il Governo per quanto riguarda il 2014 e il 2015, non si è ancora espresso, generando un'ulteriore grave incertezza;
   se sia a conoscenza che nel 2014 la Giornalisti e Poligrafici Coop r.l. ha richiesto un finanziamento al Governo pari a 1.351.489,71 euro, a cui ad oggi ancora il Governo non ha dato risposta;
   se non ritenga doveroso garantire i fondi per sostenere il Corriere Mercantile/La Gazzetta a fronte della disponibilità dei soci a rilanciare la cooperativa assieme a nuovi soggetti che apportino capitale e competenze, al fine di tutelare una voce indipendente, oggi in sofferenza per la crisi generale che sta vivendo il comparto editoriale, in un contesto dove ormai l'informazione è gestita da grandi gruppi che tendono a omologare ogni genere di notizia. (4-09933)


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, alla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 1 stabilisce: «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 6, dispone: «Ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere assicurata priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di prossimità sancito dall'articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la materia, a condizione che l'impianto sia dotato di sistema di caricamento dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale addetto e il rifiuto; a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono adeguate ai sensi del presente comma»;
   l'Ama Roma spa, ha emesso il bando di gara n. 2/2015 relativo ad una procedura aperta per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici afferente l'affidamento del servizio di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico del rifiuto urbano residuo. Per un importo del bando pari a euro 366.912.000,00 oltre IVA di cui euro 800.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso;
   nella descrizione del bando si legge: «procedura Aperta per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici, ai sensi dell'articolo 59, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006, afferente l'affidamento del servizio di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (Codice CER 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di 48 mesi, nel pieno rispetto dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164 del 2014»;
   il bando prevede, in particolare, che l'aggiudicazione della procedura è condizionata alla effettiva attuazione dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 –:
   se ed entro quali tempi il Governo intenda adottare il decreto previsto dall'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, e se non intenda chiarire come si debba procedere, in casi quali quello segnalato in premessa, nelle more dell'adozione di tale decreto. (4-09936)


   NESCI, CASTELLI, FICO, LOREFICE, DI BENEDETTO, PARENTELA, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, DELL'ORCO, LIUZZI, SILVIA GIORDANO, DELLA VALLE, TRIPIEDI e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo un puntuale servizio giornalistico della testata Il Corriere della Calabria, i Ministeri vigilanti hanno inviato una nota al Commissario ad acta per il rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, Massimo Scura, in merito all'incarico di consulenza affidato al dottor Pietro Evangelista;
   con il decreto del Commissario ad acta n. 40/2015 del 20 maggio 2015, infatti, il commissario Scura nominava Evangelista soggetto attuatore «al fine di portare a termine l'attività di riconciliazione del debito pregresso presso l'ASP di Reggio Calabria, garantire l'allineamento del partitario fornitori e superare numerose criticità di carattere organizzativo e procedurale che hanno prodotto e producono ancora oggi, effetti diretti nella contabilizzazione, liquidazione e pagamento dei documenti passivi, nonché nella gestione contabile degli atti ingiuntivi di assegnazione»;
   secondo quanto riportato nel decreto di cui sopra, il corrispettivo da corrispondersi all'interessato (il dottor Evangelista, ndr) per le attività di competenza, viene quantificato in euro 600,00 (seicento/00) giornaliere, IVA esclusa, per almeno tre giorni alla settimana, con oneri a carico dell'ASP di Reggio Calabria;
   nella nota inviata dai Ministeri vigilanti e ripresa da Il Corriere della Calabria, si evidenziano pesanti criticità rispetto al decretato suddetto incarico;
   nella succitata nota, ancora, secondo quanto riportato da Il Corriere della Calabria, si chiede anche se sia stata effettuata una procedura comparativa ad evidenza pubblica per l'individuazione del soggetto attuatore e si chiedono chiarimenti sulle modalità, i parametri e i criteri adottati per la determinazione del relativo compenso;
   a tal riguardo, secondo quanto sottolineato dai due Ministeri, la nomina sarebbe sprovvista anche di relazione tecnica, idonea a comprovare la relativa sostenibilità dell'incarico affidato;
   per quanto riportato da Il Corriere della Calabria, insomma, le contestazioni dei Ministeri vigilanti rispetto alla ricordata vicenda sono nette e gravi, all'indirizzo del Commissario delegato all'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria;
   a parere degli interroganti, dunque, la riferita consulenza è stata disposta con modalità dubbie e in un momento inopportuno, vista anche la priorità di assumere nuovo personale negli ospedali calabresi nella fase di ristrettezze della regione Calabria in fatto di sanità;
   non è la prima volta che il commissario Scura e il subcommissario Andrea Urbani dimostrano di muoversi con quella che gli interroganti giudicano leggerezza;
   l'ultimo caso, come segnalato dalla prima firmataria del presente atto nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-09846, è relativo al decreto del commissario ad acta n. 80/2015 inerente alla «determinazione tetti di spesa per l'acquisto da soggetti privati accreditati di prestazioni di assistenza ospedaliera anno 2015», nel quale si segnalava che i commissari Scura e Urbani hanno «emanato il suddetto decreto n. 80 anticipando, a giudizio dell'interrogante immotivatamente, la conclusione della legittima, regolare e dovuta negoziazione tra erogatori privati ed Asp» –:
   se non ritengano opportuno, per quanto riassunto in premessa, assumere iniziative per procedere alla tempestiva sostituzione del commissario e del subcommissario per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari;
   se non ritengano di assumere iniziative affinché si proceda alla immediata sospensione dell'attività del soggetto attuatore nominato, in attesa della definizione dell’iter sulla legittimità dell'incarico conferito al medesimo dottor Evangelista.
(4-09938)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dal comunicato stampa n. 86/15 della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 luglio 2015, l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) al pagamento della somma forfettaria di euro 20.000.000 oltre ad una penalità quantificata in euro 120.000 per ogni giorno di ritardo. L'esemplare condanna è stata inflitta a causa della inesatta applicazione della direttiva rifiuti nella regione Campania;
   la notizia è stata subito diffusa da numerosi organi di stampa, anche on line;
   il ricorso all'organo di giustizia comunitario era stato presentato il 10 dicembre 2013 (Commissione europea c/ Repubblica italiana); dallo stesso sono scaturite la causa C-653/13 ed infine la sentenza del 16 luglio 2015;
   sono queste le testuali parole riportate nella sentenza «Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
    1) Non avendo adottato tutte le misure necessarie che l'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) comporta, la Repubblica italiana ha violato gli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE;
    2) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una penalità di euro 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115);
    3) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una somma forfettaria di euro 20 milioni;
    4) La Repubblica italiana è condannata alle spese»;
   si è conclusa pertanto la seconda causa della Commissione europea contro Italia in tema di gestione dei rifiuti nella regione Campania. Tale condanna viene irrogata anche per l'annoso e irrisolto problema delle ecoballe. Un nuovo salasso a discapito degli ignari ed incolpevoli cittadini italiani sta per arrivare che andrà ad aggiungersi a quello delle discariche abusive per cui, per ora, sono stati già pagati 40 milioni di euro;
   la direttiva «rifiuti» cui fa riferimento il comunicato stampa, nonché la sentenza, è la 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti;
   tale direttiva relativa ai rifiuti ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente;
   gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili;
   tali Stati devono creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti;
   la regione Campania, con una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini;
   in seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007, la Commissione ha proposto un primo ricorso per inadempimento contro l'Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica. La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l'ambiente;
   il primo ricorso, di cui sopra, si è concluso con la sentenza del 4 marzo 2010. All'interno di tale sentenza la Corte ha constatato che l'Italia, non aveva adottato, relativamente alla regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, ha constato che l'Italia non aveva creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, il nostro Paese era pertanto venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE di cui sopra;
   nel controllo dell'esecuzione della detta sentenza 4 marzo 2010, la Commissione è giunta alla conclusione che l'Italia non ha garantito un'attuazione corretta della prima sentenza (sentenza del 4 marzo 2010);
   la Commissione riferisce che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania, che si sono conclusi con l'accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di altre città della Campania;
   inoltre, in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di «ecoballe»), che deve ancora essere smaltita. Per lo smaltimento di tale quantitativo ci sarebbero voluti circa quindici anni;
   inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l'esecuzione della sentenza (termine fissato al 15 gennaio 2012), le capacità mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano a 1.829.000 tonnellate per le discariche, a 1.190.000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione e a 382.500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici;
   a fronte di tali mancanze persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania;
   non ritenendo quindi soddisfacente la situazione che si era venuta a creare, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010;
   nella sentenza del 16 luglio 2016 la Corte constata che l'Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e la condanna a pagare una cifra esemplare;
   la Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell'eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può compromettere seriamente la capacità dell'Italia di perseguire l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti;
   la Corte constata poi che l'inadempimento addebitato all'Italia si è protratto per più di cinque anni, il che costituisce un periodo considerevole;
   per quanto riguarda la penalità giornaliera di euro 120.000, questa è suddivisa in tre parti, ciascuna di un importo giornaliero di euro 40.000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici);
   quanto alla somma forfettaria di euro 20.000.000, la Corte tiene conto, ai fini del calcolo della stessa, del fatto che un inadempimento dell'Italia in materia di rifiuti è stato constatato in più di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell'azione dell'Unione può richiedere l'adozione di una misura dissuasiva, come la seconda a al pagamento di una somma forfettaria;
   nessuna iniziativa sembra essere stata intrapresa al fine di risolvere la situazione descritta all'interno del carteggio degli organi di giustizia europea –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di evitare l'aggravio economico scaturente dal ritardo nell'attuazione della direttiva di cui in premessa, tenendo in considerazione il fine ultimo della direttiva che è quello di proteggere la salute umana e l'ambiente. (4-09942)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane di febbraio 2012 e nei primi giorni di marzo 2012, l'area del crotonese, in particolare la frazione di Papanice, è stata colpita da violenti fenomeni alluvionali, causando disagi e problemi alla popolazione;
   l'amministrazione comunale ha tempestivamente avviato un'analisi geologica e geomorfologica delle zone dell'abitato di Papanice, al fine di valutarne le condizioni e gli elementi di rischio;
   dai risultati dell'indagine – consegnata al segretario dell'autorità di bacino – è emerso che l'abitato di Papanice insiste sulla parte sommitale di rilievi collinari caratterizzati da una particolare morfologia, connotata dalla presenza di depositi biocalcarenitici e sabbiosi, che rende tutti i versanti dei rilievi particolarmente franosi, sia per quanto riguarda gli strati di terreno superficiale, sia per quanto riguarda gli strati più profondi; l'analisi ha sostanzialmente confermato le indicazioni del piano di assetto idrogeologico;
   durante gli intensi eventi meteorici sopra citati, i dissesti cartografati come quiescenti si sono attivati, interessando, in alcuni tratti, nuove porzioni di territorio; in diversi casi le corone di frana hanno subito una «migrazione» verso l'interno del Paese interessando alcuni fabbricati, per i quali sono state emesse ordinanze di sgombero a salvaguardia della pubblica incolumità;
   le principali cause dei dissesti in atto sono – secondo la relazione geologica – imputabili ai seguenti fattori:
    a) il contatto tra litotipi a diverso grado di permeabilità (argille sottostanti e sabbie nella porzione superiore), che favorisce i fenomeni di scivolamento dei litotipi sovrastanti;
    b) assenze o inadeguatezza delle opere di drenaggio, superficiali e profonde, a protezione del versante;
    c) appesantimento del bordo di terrazzo da edificazione;
    d) fattore antropico, cioè riempimento dell'area con materiale di riporto;
   gli interventi che dovrebbero essere fatti in zona sono i seguenti:
    a) potenziamento del sistema drenante profondo;
    b) palificazione dei tratti nei pressi dei quali insistono fabbricati;
    c) alleggerimento di fasce sul quale gravano manufatti in cemento armato;
    d) sistemazione del versante per facilitare lo scorrimento delle acque di ruscellamento;
   l'accordo di programma, sottoscritto in data 25 novembre 2010, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria, sulla base di quanto disposto dalla legge finanziaria 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191), articolo 2, commi 240 e 241, prevede nel comune di Crotone la programmazione del seguente intervento: «Interventi di consolidamento nel centro urbano della frazione Papanice, cona via Piae» per l'importo complessivo di euro 900 mila;
   è stata recentemente istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Struttura di missione denominate «Italiasicura» che ha avviato una fase di consultazione con le amministrazioni regionali per verificare e facilitare lo stato di attuazione degli interventi ricompresi negli accordi di programma stipulati dal MATT con le diverse regioni finalizzati alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico, ma, all'interrogante, non risulta vi sia traccia di interventi da attuare nel centro urbano di Papanice;
   sono, in tutta evidenza, indispensabili ingenti risorse per avviare gli interventi di messa in sicurezza necessari, mentre sembra che le disponibilità della regione Calabria siano insufficienti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per destinare adeguate risorse agli interventi necessari al ripristino dei danni subiti nel 2012 per effetto dell'alluvione che ha colpito la zona del crotonese, e in particolare la frazione di Papanice, agevolando le misure per mettere in sicurezza l'intera zona. (4-09946)


   SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha diffidato l'Italia a rimuovere il divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari;
   secondo un'analisi di Coldiretti l'introduzione di formaggi creati utilizzando latte in polvere metterebbe a dura prova la produzione della maggioranza di prodotti caseari italiani di eccellenza su tutto il territorio nazionale;
   il costo del latte in polvere per produrre il formaggio sarebbe drasticamente inferiore al latte munto nelle fattorie italiane e direttamente utilizzato per la produzione casearia; si stima che con circa 2 euro – il costo di un chilo di latte in polvere – è possibile produrre 10 litri di latte, 16 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt: tali prezzi significherebbero una concorrenza insostenibile per le produzioni tradizionali e la conseguenza sarebbe quella della certa chiusura di molte stalle con perdita di migliaia di posti di lavoro, posizioni lavorative anche di certa qualità ed esperienza che fino ad oggi hanno espresso prodotti tipici apprezzati in tutto il mondo;
   questo provvedimento provocherebbe l'abbassamento della qualità generale dei prodotti caseari, l'omologazione dei sapori, un maggior rischio di frodi e la perdita di quella distintività che solo il latte fresco con le sue proprietà organolettiche e nutrizionali assicura ai formaggi, yogurt e latticini «made in Italy». L'Italia, con la sua varietà di centinaia di tipologie di prodotti caseari sarebbe certamente danneggiata a vantaggio di altre economie che certamente non operano con gli stessi standard di qualità e di sicurezza alimentare;
   la legislazione europea e nazionale non può tener conto solamente dei vantaggi in termini di profitto, di costi di trasporto, produzione e conservazione che abolire i divieti sul latte in polvere comporterebbe, ma deve tener conto anche della qualità dei prodotti e tutelare le realtà produttive che lavorano nel rispetto della tradizione e dell'unicità dei prodotti tipici –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   come il Governo intenda agire per tutelare i prodotti caseari italiani, tutelando migliaia di posti di lavoro e il valore sociale e culturale della produzione di latticini tipici di tutte le province d'Italia. (4-09956)


   CAPONE, GINEFRA, MONGIELLO, VENTRICELLI, GRASSI, MARIANO, MICHELE BORDO, PELILLO, MASSA, CASSANO, VICO e LOSACCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni grande preoccupazione sta assumendo, tra gli amministratori e nelle popolazioni pugliesi, la notizia di autorizzazioni da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e da parte del Ministero dello sviluppo economico per la prospezione delle coste pugliesi finalizzate alla ricerca, meglio coltivazione, di idrocarburi;
   più specificamente dai siti istituzionali dei due Ministeri e da quanto riportato dagli organi di stampa si apprende di una autorizzazione su un milione 400 mila ettari di area del mar Adriatico dal Gargano a Santa Maria di Leuca, a quanto si legge l'ultima in ordine di tempo, rilasciata alla Petroleum Geo Service Asia Pacific a conclusione della Via presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre negli stessi giorni è stato dato il via libera anche a Enel Longanesi per la ricerca di petrolio sulla costa jonica, al largo di Gallipoli;
   è sufficiente – in ogni caso – osservare la mappa sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa alle procedure di Via-Vas in corso, e nello specifico alle prospezioni idrocarburi, mappate in verde, e alla ricerca idrocarburi, mappata in fucsia, per una idea aggiornata sullo stato dell'arte e sul coinvolgimento intensivo della regione Puglia e dell'ultimo segmento del canale adriatico in fatto di ricerca/prospezioni idrocarburi;
   secondo quanto riportato da organi di stampa «nell'intera area sarà dunque possibile esplorare i fondali utilizzando la tecnica dell'air gun, la pistola sottomarina ad area compressa in grado di generare onde sismiche utili per poter individuare i possibili giacimenti petroliferi. Non le trivellazioni, quelle arriverebbero solo una volta accertata la presenza del petrolio, ma la nuova tecnica che negli anni ha sostituito l'esplosivo in mare, ritenuta meno dannosa per l'ambiente ma letale per la fauna marina, in particolare per i cetacei»;
   si legge inoltre: «Con il nuovo decreto, datato 12 giugno, il Ministero autorizza dunque la Petroleum Geo-service Asia Pacific ad effettuare prospezioni di idrocarburi liquidi e gassosi sull'intero tratto pugliese, una linea di mare spessa e lunghissima, che assorbe al suo interno anche le aree richieste – e ottenute – dalla Northern Petroleum, una sovrapposizione che comunque non scoraggia le compagnie, abituate anche a capitalizzare sul mercato ogni singolo atto autorizzativo»;
   alla linea lungo il basso Adriatico deve aggiungersi quella jonica che per quanto riguarda la regione Puglia è relativa all'autorizzazione rilasciata ad Enel Longanesi Development «con un progetto che prevede l'Air Gun nell'area centrale del Golfo di Taranto, di fronte alle coste di Gallipoli e Nardò e, sull'altra sponda, di Rossano Calabro». Anche in questa area, secondo la mappa presente sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono cinque i siti autorizzati per la ricerca di idrocarburi e sei finalizzati alla prospezione idrocarburi;
   è dunque questo stato di cose che fa osservare: «L'accerchiamento denunciato dalle istituzioni locali e dagli ambientalisti è un dato di fatto, soprattutto tenuto conto che alle richieste più vecchie arrivate al traguardo in queste ore si sono aggiunte successivamente quelle della texana Schlumberger Italia, per 4.285 chilometri quadrati, che si estendono dal Salento a Taranto, e interessano i comuni salentini di Porto Cesareo, Nardò, Galatone, Gallipoli, Melissano, Racale, Sannicola, Taviano, Alliste, Ugento, Castrignano del Capo, Morciano di Leuca, Patù, Salve e nel Tarantino, oltre al capoluogo anche Torricella, Lizzano, Manduria, Pulsano, Maruggio, Castellaneta, Palagiano, Leporano, Ginosa, Massafra nel tarantino, proseguendo verso Basilicata e Calabria. E poi ci sono quelle della Global Med, con sede in Colorado, che la scorsa estate bussò alla porta di 24 comuni salentini del Basso Salento con la richiesta di prospezione per 1.493,7 chilometri quadrati al largo di Leuca (oltre che di Crotone e Capo Colonna). Solo una delle due istanze è bloccata per il contenzioso con Petroceltic Italia-Edison, anche lei interessata alla medesima area. Per il resto, l’iter è in corso e non è detto che non si concluda a breve, dando il via a quella che da parte dei territori si annuncia come una resistenza a oltranza»;
   per opporsi a tale stato di cose lo scorso 18 giugno la giunta regionale pugliese ha approvato d'urgenza la delibera con cui dà mandato all'Avvocatura di impugnare dinanzi al TAR del Lazio i nove decreti di Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e tale linea sarebbe stata anticipata e confermata anche nel corso dell'incontro organizzato dal comune di Polignano a Mare il 17 giugno scorso allo scopo di concordare una strategia unitaria;
   nello stesso incontro svoltosi a Polignano la presidenza del consiglio regionale ha presentato una scheda tecnica dove si sottolinea: «il 71 per cento delle richieste di permessi per prospezioni di idrocarburi in mare riguarda la Puglia; ... le tecniche geosismiche adottate per risultano estremamente dannose per l'ambiente e la fauna sottomarina e marina; ... ad un chilometro di distanza dal sito in cui si effettua la prospezione l'intensità sonora si mantiene sui 150 decibel (120 possono causare negli uomini danni irreversibili)», E ancora: «la probabilità di trovare idrocarburi secondo i tecnici è stimata intorno al 17 per cento, mentre il petrolio adriatico è classificato col grado 9 della scala internazionale Api (fino a 25 è petrolio pesante, oltre i 40 leggero). Le torri petrolifere possono elevarsi dalle acque marine fino a 60 metri, visibili dalla costa; le più vicine sorgerebbero all'interno delle 12 miglia dal litorale». Nel corso dell'incontro il presidente del consiglio regionale ha poi ricordato come già nei primi anni ’70 «l'Eni di Mattei aveva scartato gli idrocarburi dell'Adriatico perché troppo costoso estrarli, troppo scadenti e buoni al massimo per bitumare strade»;
   tale parere negativo espresso dai vertici del Governo regionale viene confermato tecnicamente anche dall'autorità di bacino che per voce dell'assessore alle opere pubbliche della Puglia sottolinea come nella regione «negli ultimi anni siano state istituite numerose aree protette costiere e parchi marini che, pur introducendo vincoli nell'uso del territorio hanno sviluppato una cultura ambientale della popolazioni locali interessate e di quelle extraregionali»;
   nel frattempo contro le prospezioni in mare si sono pronunciati anche i vertici nazionali di Federalberghi che in una nota ufficiale afferma: «I sei decreti emessi dal Ministero dell'Ambiente nei primi mesi di giugno hanno di fatto consegnato tutto il mare pugliese nelle mani delle società multinazionali che avevano richiesto le autorizzazioni alla trivellazione per la ricerca di giacimenti petroliferi. Sono interessati a questa operazione 1,6 milioni di ettari di mare: una superficie paragonabile a quella dell'intera Puglia». E prosegue: «L'impatto dell'intera operazione è dirompente per il futuro della nostra regione: il settore del turismo non può permettersi il lusso di vedere vanificati gli importanti investimenti, pubblici e privati, degli ultimi cinque anni, e proprio adesso che l'intera filiera comincia i registrare i primi segnali positivi rispetto alla drammatica crisi che ci ha aggredito negli ultimi tre anni e che il brand Puglia naviga a piene vele nei mercati internazionali». Mentre il presidente regionale di Federalberghi si dichiara «al fianco dei sindaci e della gente di Puglia nella mobilitazione per salvare le bellezze della nostra costa»;
   a questo stato di cose va sommato l'allarme del rischio connesso alla presenza di ordigni inesplosi nel mare Adriatico. Rischio che coinvolge il fronte italiano, quello croato e, più in generale, anche le coste delle altre sponde adriatiche come si evince dalla comunicazione del Ministero dell'economia della Croazia del 2 gennaio 2015 circa la concessione da parte del Governo di Zagabria di dieci licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico in seguito alla prima gara pubblica conclusasi il 2 novembre 2014 e come d'altra parte confermano anche numerosi atti parlamentari prodotti in questi anni;
   in particolare il Governo, rispondendo nell'aprile scorso a una interrogazione in merito, per voce della sottosegretaria all'ambiente onorevole Silvia Velo, si è detto consapevole della presenza di «numerosissimi ordigni bellici inesplosi, caricati anche con aggressivi chimici, distribuiti in svariate aree di fondale marino in Adriatico, la cui esplosione accidentale potrebbe causare danni diretti agli organismi marini o provocare la fuoriuscita incontrollabile di prodotti petroliferi dai pozzi in via di perforazione» e che a tal fine era stata prevista sia una azione di bonifica degli ordigni in capo al Nucleo Sdai della marina militare con uno stanziamento di 5 milioni di euro, sia la condizione di una «adeguata attività di survey» relativamente alle autorizzazione alle attività di ricerca cui le società sarebbero, a quanto pare, obbligate anche in Croazia;
   d'altra parte anche nell'Alto Adriatico la regione Veneto si è dichiarata per voce del suo Governatore contraria alle trivellazioni paventando il rischio di incidenti sulle piattaforme con gravissime ripercussioni sull'ecosistema causa il cosiddetto fenomeno di subsidenza;
   va ricordato inoltre, e stavolta sotto il profilo prettamente energetico, che la Puglia in modo rilevante (pari circa all'80 per cento eccedente il proprio fabbisogno di energia) ha contribuito e contribuisce al bilancio energetico nazionale con le centrali a carbone di Brindisi, con la raffineria petrolifera, con l'oleodotto di Taranto, con gli impianti per la produzione di energia eolica e fotovoltaica e, da ultimo, con i gasdotti che attraversando l'Adriatico potrebbero a breve collegare il sistema produttivo dell'est europeo alla dorsale appenninica, e che alla produzione di energia ha pagato un prezzo altissimo in termini di tutela e salvaguardia territoriale, di minacce alla salute delle popolazioni, di aumento dell'incidenza tumorale –:
   quale sia, ad oggi lo stato, dell'arte relativamente alla situazione descritta;
   quali iniziative intendano intraprendere a tutela del mare Adriatico e delle coste pugliesi;
   quali iniziative intendano intraprendere in relazione ai rischi più volte paventati relativamente agli ordigni inesplosi nel Mare Adriatico;
   se in relazione a quanto sopra descritto e anche in considerazione di analogo stato d'animo tra le popolazioni e gli amministratori locali croati non si renda opportuno l'avvio di una moratoria in sede europea tale da definire protocolli comuni e condivisi relativamente alle richieste di prospezioni e autorizzazioni alla ricerca e coltivazione di idrocarburi e, contemporaneamente, non si ritenga necessaria e opportuna la definizione di un protocollo condiviso tra i Paesi che si affacciano sul corridoio Adriatico a tutela dell'ambiente marino e costiero, a salvaguardia dell'unicità di quell'ambiente e degli sforzi sviluppatisi negli anni verso un turismo di qualità. (4-09959)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come riportato sul sito online dell'Agenzia internazionale stampa estero (AISE) il 24 giugno 2015 in un articolo intitolato «Massimo Lavezzo Cassinelli ambasciatore a Monaco», si apprende che quest'ultimo dal 15 giugno 2015 è il nuovo ambasciatore italiano nel Principato di Monaco;
   il diplomatico, che ha iniziato la sua carriera nel 1982 svolgendo molti prestigiosi incarichi, succede a Antonio Morabito, ambasciatore dal 1o ottobre 2010, coinvolto nell'indagine della procura di Reggio Calabria che ha portato all'arresto dell'ex Ministro Claudio Scajola l'8 maggio 2014 per il «caso Matacena»;
   in data 26 luglio 2014, in un articolo pubblicato sul sito online Repubblica.it dal titolo «Consulenze d'oro e palazzi da sogno. Ora la Farnesina dovrà tagliare» si parlava di «costi – e degli sprechi – della diplomazia italiana ai tempi della grande crisi», citando, tra gli altri, il caso dell'ambasciata di Monaco: «C’è l'ambasciata nel principato di Monaco, diventata tale solo nel 2006 (Ministro degli esteri Gianfranco Fini), con 10 addetti. Per l'ambasciatore Antonio Morabito era a disposizione un appartamento in affitto in Avenue Princesse Grace, una delle dieci strade più care al mondo (da poco lasciato)»;
   come riportato sul sito istituzionale dell'ambasciata d'Italia nel Principato di Monaco, lo storico consolato generale di I classe a Monaco è, infatti, stato elevato ad ambasciata d'Italia con il decreto del Presidente della Repubblica n. 33 del 15 maggio 2006, a decorrere dal 2 gennaio 2006;
   quelle d'Italia e di Francia risultano essere le uniche ambasciate presenti sul territorio monegasco –:
   quali siano i costi dell'ambasciata italiana nel Principato di Monaco a carico dello Stato e, soprattutto, quale sia la sua utilità per l'Italia. (4-09953)


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 9731 del 20 luglio 2015 il TAR del Lazio, sez. III ter, ha dichiarato illegittimo il decreto del Presidente della Repubblica del 25 giugno 2014 con il quale è stata disposta la soppressione dell'ambasciata d'Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana);
   nella sentenza, il decreto di cui si è disposto l'annullamento è definito «un provvedimento (...) lesivo degli interessi dei residenti italiani nella Repubblica Dominicana» che viola il criterio dell’«invarianza dei servizi» posto a base della riorganizzazione della rete consolare voluta dal decreto-legge del 6 luglio 2012 sulla spending review, di cui il provvedimento sanzionato è applicazione;
   l'organo di giustizia amministrativa riconosce che «la soppressione di una delle più rilevanti sedi consolari dell'America centrale, in un territorio dove sono presenti, in pianta stabile, circa 30.000 italiani, diverse imprese commerciali nazionali, meta turistica di circa 100.000 connazionali» appare «illogica e incoerente» con le finalità contenute nello stesso decreto presidenziale, dal momento che «la sede che la sostituisce si trova a 1500 km ed è raggiungibile solo in aereo e con alti costi»;
   nella sentenza si afferma, inoltre, che è da escludere che «la soppressione possa compensarsi con la Presenza di un Consolato generale onorario e con la predisposizione di una sezione distaccata dell'ambasciata di Panama presso la locale Delegazione dell'Unione europea» –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare per dare esecuzione alla sentenza del TAR del Lazio con riferimento all'ambasciata di Santo Domingo, tenendo conto delle considerazioni espresse nella sentenza sulla necessità di rispettare il criterio dell'invarianza dei servizi e dell'opportunità di superare i gravi disagi cui sono andati incontro i nostri connazionali dopo la chiusura degli uffici. (4-09955)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra l'8 e il 9 luglio 2015 si è innescato un incendio che ha interessato la struttura centrale del Cosmari, Consorzio obbligatorio smaltimento rifiuti — ATO n. 3 provincia di Macerata localizzato nel comune di Tolentino in Contrada Pane di Chienti, per un'area totale di circa cinquemila metri quadrati destinati a stoccaggio di multimateriali tra cui rifiuti indifferenziati e soprattutto plastica e carta;
   la colonna di fumo che si è alzata durante la notte si è diffusa in tutta l'area arrivando a coinvolgere città densamente abitate come Civitanova, Macerata e la stessa Tolentino;
   è lo stesso Consorzio ad aver dichiarato attraverso un comunicato diffuso nella mattinata di giovedì 9 luglio: «L'incendio — è attualmente sotto controllo e non esiste pericolo immediato per la popolazione. L'Arpam e l'Asur, prontamente giunte sul posto, unitamente alle autorità interessate, sono già attive per effettuare i campionamenti dell'aria e del suolo e dei raccolti dei terreni interessati. Considerate le attuali condizioni meteo, e qualora si dovessero avvertire o avvistare presenza di fumo e di odori acri, si consiglia, a scopo precauzionale, alla popolazione dei comuni di: Corridonia, Pollenza, Tolentino, Urbisaglia e Colmurano nonché delle frazioni di Sforzacosta e Piediripa, di tenere al riparo gli animali da cortile, di non aprire le finestre e non usare l'aria condizionata. Si consiglia, altresì — provvisoriamente ed in attesa dell'esito delle prime analisi, di lavare accuratamente, sotto acqua corrente, prima del loro consumo, ortaggi e frutta prodotti nei territori interessati. Ogni cambiamento significativo della situazione verrà prontamente comunicato alla popolazione con successivi comunicati stampa diffusi sui siti dei comuni»;
   da voci dirette dei cittadini si è appreso che l'allerta è stata diramata con notevole ritardo rispetto il succedersi degli eventi, nonostante le forze dell'ordine abbiano comunicato in breve tempo ai sindaci dei comuni coinvolti ciò che stava avvenendo;
   come se non bastasse, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 2015 è divampato un incendio all'interno della proprietà di Giustozzi Ambiente di Montecassiano in provincia di Macerata, ove le fiamme si sono propagate in un deposito dove vengono accumulate balle di rifiuti; a bruciare è stato del materiale a base di alluminio, che era contenuto all'interno di un grosso sacco che si trovava dentro un container; l'azienda opera nel campo dello smaltimento dei rifiuti speciali della provincia –:
   se non ritenga necessario verificare, attraverso l'intervento del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, se vi siano rischi di danno ambientale diffuso e persistente anche in relazione alla probabile dispersione e accumulazione della diossina sui terreni nei fatti relativi agli impianti del Cosmari, se del caso trasmettendo le risultanze di tali accertamenti anche ai competenti uffici della ASL al fine di garantire contestualmente la salute dei lavoratori e l'idoneità dei locali alla prosecuzione della prestazione lavorativa;
   quali informazioni intenda acquisire, per quanto di competenza, inclusi gli esiti dell'attività svolta dall'ARPAM e dall'ASUR per chiarire quanto accaduto sull'ambiente e sulla salute dei cittadini in relazione ai fatti occorsi negli impianti del Cosmari;
   se non ritenga necessario assumere iniziative, anche a livello normativo, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti prodotti da stabilimenti industriali potenzialmente idonei a produrre forti impatti sull'ambiente e sulla salute dei cittadini, seppur non ricadenti nella disciplina connessa agli incidenti rilevanti, affinché il prefetto competente, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, adotti in ogni caso un piano di emergenza minimo, anche sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore, per fornire tempestivamente alla popolazione informazioni specifiche relative all'incidente e al comportamento da adottare. (3-01634)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che l'Enac abbia ritirato il progetto di ampliamento dell'aeroporto Canova di Treviso ideato da Save incluso nel master plan presentato da Enac al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il valore complessivo di 130 milioni di euro per 19 anni di lavori. Il progetto avrebbe portato lo scalo trevigiano dagli attuali 2 milioni e 300 mila passeggeri all'anno a ben 4 milioni e mezzo di passeggeri, raddoppiando quindi gli attuali voli e triplicando gli spazi commerciali e direzionali dello scalo, ma la commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – CTVIA – per ben tre volte, nel novembre 2013, nel marzo 2014 e nell'agosto del 2014, ha bocciato il master plan perché l'ampliamento aeroportuale avrebbe creato un'infrastruttura con impatti rilevanti dal punto di vista ambientale in un contesto già altamente urbanizzato;
   nel dossier del piano nazionale aeroporti, inviato il 18 febbraio 2015 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in allegato allo schema di decreto del Presidente della Repubblica – recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione – al paragrafo 16.2, è prevista una riqualificazione dell'aeroporto di Ciampino come city airport, con soglia di traffico inferiore ai livelli attuali onde ridurre l'impatto ambientale sul territorio comunale;
   il master plan presentato dall'Enac per l'aeroporto di Firenze-Peretola è attualmente in fase di valutazione d'impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e prevede la costruzione di un nuovo aeroporto al posto dell'attuale, opera che darebbe la possibilità di aumentare il numero di passeggeri annui a oltre 4 milioni nello scalo fiorentino. La nuova costruzione comporterebbe degli impatti significativi sull'ambiente e disagi alla popolazione in un'area urbanizzata e in presenza di siti naturali protetti e soggetta a rischio idraulico;
   nei pressi dell'area oggetto del master pian dell'aeroporto di Firenze sono in corso anche nuove opere e lavori che aumenteranno il livello di urbanizzazione della zona e quindi l'impatto antropico aumenterà a prescindere dalla realizzazione del nuovo aeroporto per cui a breve ci sarà l'entrata in funzione della Scuola Marescialli e Nuova Stazione CC di Castello con circa 2000 presenze giornaliere; è previsto altresì il nuovo insediamento urbanistico residenziale PUE Castello di Unipol-SAI; al posto del vecchio mercato ortofrutticolo sorgerà il nuovo stadio ACF Fiorentina con annessa cittadella viola con previsioni di alberghi e centri commerciali che ovviamente attireranno potenziali clienti non solo nei giorni dedicati agli incontri sportivi; sono previsti infine il riposizionamento del mercato ortofrutticolo con relativa infrastruttura dedicata alla logistica in cui accederanno i mezzi degli autotrasportatori, il nuovo grande centro di «deposito e logistica» di ESSELUNGA, in cui accederanno i mezzi degli autotrasportatori, la nuova terza corsia dell'Autostrada A11, il nuovo inceneritore di Case Passerini –:
   se il Governo al fine di tutelare un'area con equilibri ecologici sensibili come la «Piana» in cui insiste il nuovo progetto dell'aeroporto fiorentino, ritenga opportuno non concedere parere favorevole alla valutazione d'impatto ambientale del master plan presentato da Enac. (5-06128)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2015 la Sogin ha consegnato all'Ispra l'aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) alla localizzazione del deposito nazionale e della relativa documentazione, richiesto nel mese di aprile dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico;
   in realtà la mappa era già stata inviata a inizio gennaio dalla Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. I tecnici dovevano verificare il rispetto della guida tecnica per la localizzazione (pubblicata nel giugno 2014) che prevedeva quindici criteri di esclusione delle aree su cui dovrà essere costruito il deposito all'interno di un parco tecnologico;
   in particolare, sono da escludere le aree vulcaniche, le località a più di 700 metri sul livello del mare o a una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le zone a sismicità elevata, a rischio frane, inondazioni, le zone che costeggiano i fiumi e tutte le superfici dove c'e una pendenza maggiore del 10 per cento. Sono escluse anche le aree naturali protette, quelle che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   il 20 luglio 2015 l'ISPRA ha inviato ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e dello sviluppo economico la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari, ancora secretata;
   per rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diverse, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti, e gli elementi di combustibile esauriti; le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), in medicina, e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   il deposito nazionale sarà un'infrastruttura di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi, consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Insieme al deposito è prevista la realizzazione del parco tecnologico: un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   il nostro Paese ha l'obbligo di dar vita ad un sito di stoccaggio permanente delle scorie, sancito dalla direttiva europea 2011/70 Euratom, che impone ad ogni Stato membro la realizzazione di un punto di stoccaggio in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi, anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali. Sono 23 i siti italiani che attualmente ospitano questa «spazzatura atomica», tra cui il centro Itrec Trisaia di Rotondella (MT);
   indiscrezioni giornalistiche affermavano che la Basilicata e in particolare Matera, Montescaglioso, Montalbano Jonico, Banzi, Palazzo san Gervasio, Genzano di Lucania e Altamura erano stati individuati nella carta preliminare delle aree potenzialmente idonee per il deposito unico nazionale delle scorie;
   la città di Matera, Capitale della Cultura 2019, e l'area murgiana non possono essere indicate come sito per l'ubicazione del deposito nazionale di scorie radioattive, in quanto ciò creerebbe un pregiudizio all'immagine della città dei Sassi, Patrimonio dell'Unesco –:
   se il Governo non ritenga quanto prima di rendere pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) e quali iniziative intenda assumere per evitare che si riproponga la Basilicata quale sito per il deposito unico nazionale delle scorie, regione in cui già è presente il deposito di stoccaggio scorie radioattive di III categoria nell'impianto di Itrec di Rotondella. (5-06131)


   ZARATTI e COSTANTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o gennaio 2014 è entrata in vigore la legge 27 dicembre 2013, n. 147, che stabilisce, al comma 304, quanto segue: «Al fine di consentire, per gli impianti di cui alla lettera c) del presente comma, il più efficace utilizzo, in via non esclusiva, delle risorse del Fondo di cui al comma 303, come integrate dal medesimo comma, nonché di favorire comunque l'ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi, con particolare riguardo alla sicurezza degli impianti e degli spettatori, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative e la previsione di modalità innovative di finanziamento:
    a) il soggetto che intende realizzare l'intervento presenta al comune interessato uno studio di fattibilità, a valere quale progetto preliminare, redatto tenendo conto delle indicazioni di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, e corredato di un piano economico-finanziario e dell'accordo con una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente. Lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi di intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale. Il comune, previa conferenza di servizi preliminare convocata su istanza dell'interessato in ordine allo studio di fattibilità, ove ne valuti positivamente la rispondenza, dichiara, entro il termine di novanta giorni dalla presentazione dello studio medesimo, il pubblico interesse della proposta, motivando l'eventuale mancato rispetto delle priorità di cui al comma 305 ed eventualmente indicando le condizioni necessarie per ottenere i successivi atti di assenso sul progetto;
    b) sulla base dell'approvazione di cui alla lettera a), il soggetto proponente presenta al comune il progetto definitivo. Il comune, previa conferenza di servizi decisoria, alla quale sono chiamati a partecipare tutti i soggetti ordinariamente titolari di competenze in ordine al progetto presentato e che può richiedere al proponente modifiche al progetto strettamente necessarie, delibera in via definitiva sul progetto; la procedura deve concludersi entro centoventi giorni dalla presentazione del progetto. Ove il progetto comporti atti di competenza regionale, la conferenza di servizi è convocata dalla regione, che delibera entro centottanta giorni dalla presentazione del progetto. Il provvedimento finale sostituisce ogni autorizzazione o permesso comunque denominato necessario alla realizzazione dell'opera e determina la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell'opera medesima;
    c) resta salvo il regime di maggiore semplificazione previsto dalla normativa vigente in relazione alla tipologia o dimensione dello specifico intervento promosso»; secondo il comma 305, gli interventi di cui al comma 304, laddove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate;
   a seguito dell'accordo del 26 maggio 2014 con la AS Roma, Eurnova s.r.l., in qualità di promotore, con il coordinamento e il monitoraggio di Protos s.p.a. e di KPMG Advisory s.p.a. ha redatto, ai sensi della norma richiamata, lo studio di fattibilità, trasmesso a Roma Capitale in data 29 maggio 2014 con protocollo n. 82424;
   l'area oggetto dell'intervento, censita nel nuovo catasto terreni ai fogli 857, 858, è sita nel quadrante sud del territorio comunale lungo la Via Ostiense — Via del Mare, circa al chilometro 9, nella zona Tor di Valle del IX Municipio del comune di Roma ed ospita l'ippodromo di Tor di Valle, chiuso dal 2013, realizzato in occasione delle Olimpiadi del 1960. È delimitata da via Ostiense — via del Mare a sud, a nord — nord ovest dall'ansa del fiume Tevere e ad est dal depuratore ACEA;
   in definitiva il programma proposto dal promotore consiste nella realizzazione del cosiddetto stadio della Roma (consistenza di 49.000 metri quadrati), del cosiddetto business park (consistenza di 336.000 metri quadrati), nella realizzazione di opere di urbanizzazione per 270 milioni di euro, tra cui sono comprese quelle definite come di connettività esterna, di importo pari a 135 milioni di euro (dati dello studio di fattibilità) oltre al contributo di 10 milioni di euro per l'adeguamento della tratta ferroviaria Eur Magliana — Tor di Valle per prolungamento metro, ipotizzando lo scomputo integrale del contributo di costruzione;
   con deliberazione n. 132 del 22 dicembre 2014 dell'Assemblea capitolina di Roma Capitale è stato dichiarato, ai sensi della lettera a) del comma 304 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, il pubblico interesse della proposta di realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle in variante al piano regolatore generale e in deroga al piano generale del traffico urbano, presentata dalla società Eurnova;
   il 15 giugno 2015 il progetto è stato trasmesso alla regione Lazio che ha a disposizione 180 giorni per verificare la fattibilità dell'opera previa conferenza di servizi alla quale prenderanno parte tutti gli enti coinvolti, dai dipartimenti regionali per l'ambiente alla protezione civile, passando per le aziende di trasporto pubblico e le amministrazioni a diverso titolo coinvolte;
   l'area, situata nell'ansa del Tevere, sarebbe classificata nel piano stralcio n. 5 del piano assetto idrogeologico della regione Lazio come area di esondazione, nonché direttamente interessata da vincoli paesaggistici volti al mantenimento e alla conservazione di paesaggi naturali e da altri vincoli di inedificabilità assoluta;
   secondo lo studio di fattibilità e per l'equilibrio economico finanziario dell'opera oltre all'impianto sportivo e le cubature commerciali ad esso collegate, verrebbero previsti circa 1 milione di metri cubi di nuova edificazione a destinazione uffici, alberghi e centri commerciali a compensazione delle opere di urbanizzazione ed infrastrutturazione a carico del privato;
   l'intervento così come proposto assume la rilevanza di una nuova centralità urbana dal forte peso urbanistico, in deroga al piano regolatore generale di Roma Capitale, con elevato consumo di suolo, destinato a produrre un forte impatto ambientale e sull'assetto generale della mobilità di quadrante, grave ipoteca sul riconoscimento dell'interesse pubblico dell'opera;
   la sola dimensione delle superfici asfaltate da destinare a parcheggi a raso ammonterebbe a ben 22 ettari, determinando l'impermeabilizzazione di un'area pari a tre volte la dimensione del Circo Massimo, con gravissima alterazione dell'equilibrio idrologico in una zona già più volte interessata da eventi alluvionali;
   occorrerebbe verificare se l'intervento proposto sul quale è stato già dichiarato il pubblico interesse risponda alle norme di cui ai commi 304 e 305 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ed in particolare se il complesso delle volumetrie previste siano strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e se per la realizzazione del nuovo stadio della AS Roma siano state valutate preventivamente interventi di recupero d'impianti già esistenti o la localizzazione in aree già edificate della città –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della proposta presentata dalla Eurnova s.r.l., in qualità di promotore, con il coordinamento e il monitoraggio di Protos s.p.a. e di KPMG Advisory s.p.a. per la realizzazione del nuovo stadio della AS Roma nell'area di Tor di Valle e delle ricadute sul sistema idrogeologico, paesaggistico e ambientale del territorio.
(5-06134)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o giugno 2015, la società che gestiva l'aeroporto di Firenze-Peretola, «Aeroporto di Firenze s.p.a.» (ADF) è stata incorporata dalla «Società Aeroporto Toscano (S.A.T.) Galileo Galilei s.p.a.», quest'ultima ha mutato la propria denominazione sociale in «Toscana Aeroporti s.p.a.» che attualmente è il gestore dell'aeroporto di Firenze;
   da diversi anni la società «Aeroporto di Firenze s.p.a.», oggi divenuta «Toscana Aeroporti s.p.a.», ha avanzato diverse proposte della costruzione di un nuovo Aeroporto al posto dell'attuale scalo fiorentino;
   il master plan 2014-2029, redatto da ADF s.p.a. è stato inoltrato ad ENAC che, il 3 novembre 2014, ha provveduto alla conclusione dell'iter istruttorio di approvazione tecnica dello stesso;
   in data 24 marzo 2015, l'ENAC ha effettuato a mezzo stampa una comunicazione di avvio di procedura di valutazione di impatto ambientale, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, denominato «Aeroporto di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029» che prevede la costruzione di un nuovo aeroporto a Firenze al posto di quello esistente;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, «Norme in materia ambientale» disciplina, tra l'altro, le procedure di valutazione d'impatto ambientale;
   l'articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 1, stabilisce che: «L'istanza è presentata dal proponente l'opera o l'intervento all'autorità competente. Ad essa sono allegati il progetto definitivo, lo studio di impatto ambientale, la sintesi non tecnica e copia dell'avviso a mezzo stampa, di cui all'articolo 24, commi 1 e 2. Dalla data della presentazione decorrono i termini per l'informazione e la partecipazione, la valutazione e la decisione» –:
   quale sia il motivo per cui la procedura di valutazione d'impatto ambientale è stata presentata da ENAC e non dalla società proponente il progetto che di fatto ha redatto il master plan, «Aeroporto di Firenze s.p.a.», oggi divenuta «Toscana Aeroporti s.p.a.» e se tale procedura sia in linea con quanto disposto dall'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006. (5-06139)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione della giunta regionale n. 5308 del 30 maggio 1988, la regione Puglia ha presentato istanza per la dichiarazione di «area ad elevato rischio di crisi ambientale», ai sensi dell'articolo 7 della legge 8 luglio 1986, n. 349, come modificato dall'articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305, del territorio della provincia di Taranto comprendente i comuni di Taranto, Crispiano, Massafra e Montemesola;
   la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 30 novembre 1990, dichiara il territorio della provincia di Taranto «area ad elevato rischio di crisi ambientale» e nella citata deliberazione è stato richiesto al Ministero dell'ambiente di predisporre, d'intesa con la regione Puglia e con gli altri enti locali interessati, il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio di Taranto che, previa ricognizione dello stato di inquinamento delle acque, dell'aria e del suolo, nonché delle relative fonti inquinanti, definisca la tipologia, la fattibilità ed i costi degli interventi di risanamento;
   in data 1o maggio 1993 viene istituito il comune di Statte nel territorio già compreso nel comune di Taranto;
   con il decreto del Ministro dell'ambiente del 15 giugno 1995, n. 086/95/SIAR, viene nominata la Commissione Stato-regione Puglia-enti locali, prevista dalla citata deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990, con compiti di coordinamento delle attività relative al risanamento dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale;
   in data 17 ottobre 1995 viene emanato il decreto del Ministero dell'ambiente, con il quale sono stati impegnati 65 miliardi di lire in favore della regione Puglia per il finanziamento dei primi interventi finalizzati al risanamento delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale di Brindisi e di Taranto;
   in data 11 luglio 1997 il Consiglio dei ministri, delibera il rinnovo della area ad elevato rischio di crisi ambientale;
   in data 29 luglio 1997 la Commissione Stato-regione Puglia-enti locali ha espresso parere favorevole sullo schema di piano di disinquinamento per il risanamento del territorio citato della provincia di Taranto;
   in data 20 marzo 1998 per mezzo della deliberazione di giunta della regione Puglia n. 458, la regione ha espresso l'intesa sullo schema di piano di disinquinamento per il risanamento del territorio citato della provincia di Taranto;
   con il decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998 «Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto», pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 280 del 30 novembre 1998 – supplemento ordinario n. 196, viene approvato il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto, comprendente i comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, descritto tramite apposite schede con una serie di interventi e provvedimenti, nonché dei relativi costi, nell'allegato A del medesimo decreto. Il piano costituisce atto di indirizzo e coordinamento per le amministrazioni statali, gli enti pubblici anche economici, la regione Puglia e gli enti locali. Ai sensi dell'articolo 6, comma 8, della legge n. 305 del 1989, l'approvazione del piano ha effetto di dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere in esso previste;
   nel suddetto decreto del Presidente della Repubblica del 1998 «Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto» all'articolo 4 vengono stanziati 48,228 miliardi di lire per una serie di interventi a titolarità pubblica con copertura economica del Ministero dell'ambiente per quanto riguarda 25 interventi descritti in schede nell'Allegato A, definiti con priorità 1, rispettivamente a cura del Ministero dell'ambiente, della regione Puglia, della provincia di Taranto, dei comuni di Taranto, Montemesola, Statte, Massafra, del consorzio ASI, e dell'autorità portuale di Taranto. 14 interventi definiti con priorità 2 descritti in schede nell'Allegato A dal costo totale di 95,150 miliardi di lire rispettivamente a cura della provincia di Taranto, dei comuni di Taranto, Crispiano, Statte, Massafra, del consorzio ASI. 10 interventi definiti con priorità 3 descritti in schede nell'Allegato A dal costo totale di 53,5 miliardi di lire rispettivamente a cura dei comuni di Taranto, Crispiano, Statte, Massafra, Montemesola. Il totale degli interventi a titolarità pubblica risultano 64 con un costo totale di 388,600 miliardi di lire;
   nel suddetto decreto del Presidente della Repubblica sono stabiliti anche 28 interventi a titolarità privata di priorità 1 per un costo totale stimato di 235,235 miliardi di lire, più 3 interventi sempre a titolarità privata di priorità 2 per un costo totale stimato di 6,8 miliardi di lire, rispettivamente a cura delle aziende Ilva, Agip (ora ENI), In.Cal.Gal, Cementir;
   nel decreto del Presidente della Repubblica del 1998 «Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto» all'articolo 6 viene istituito il comitato tecnico di coordinamento e di controllo del piano, così composto:
    due rappresentanti del Ministero dell'ambiente, di cui uno con funzione di presidente;
    due rappresentanti della regione Puglia, uno dei quali in rappresentanza dell'assessorato ambiente;
    un rappresentante della provincia di Taranto;
    un rappresentante ciascuno per i comuni di Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola, Statte;
   con i seguenti compiti definiti dall'articolo 7:
    a) verifica lo stato di avanzamento dei progetti e la rispondenza degli interventi in via di realizzazione agli obiettivi ed alle disposizioni del piano;
    b) accerta gli ulteriori fabbisogni finanziari rispetto alle risorse di cui all'articolo 5, comma 3;
    c) cura l'aggiornamento del piano, dopo i primi due anni e successivamente con cadenza almeno triennale, mediante l'eventuale rimodulazione degli interventi, a fronte dell'evoluzione del quadro ambientale e delle situazioni tecnologiche, definendo l'allocazione delle risorse disponibili al momento;
    d) garantisce il coordinamento delle attività di informazione sullo stato di attuazione del piano. Per l'espletamento dei compiti il comitato si avvale di una segreteria tecnica. Le funzioni di segreteria tecnica saranno svolte dalla provincia di Taranto che può avvalersi del supporto dell'Enea. Le delibere del comitato vengono trasmesse al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'attivazione dei trasferimenti di risorse previsti;
   ad oggi non risulta un elenco degli interventi realizzati, di quelli in fase di realizzazione e di quelli che non si sono potuti realizzare, in quanto non vi sono notizie del comitato tecnico di coordinamento e di controllo del piano e dei relativi costi sostenuti per gli interventi nonché dell'effettivo utilizzo dei fondi pubblici già stanziati ed anche delle opere a cura dei soggetti privati;
   a quanto consta all'interrogante, tra gli inadempimenti relativi agli interventi presenti nell'allegato A per i quali si registra la mancanza di comunicazionedella realizzazione degli interventi, l'interrogante pone in evidenza:
    a) l'inosservanza alla scheda «1D» a cura del comune di Taranto, di priorità 1, che si pone come obbiettivo il recupero e la valorizzazione di aree degradate di interesse paesaggistico alle sponde del bacino del mar Piccolo dal costo di 200 milioni di lire;
    b) l'inosservanza alla scheda di intervento del suddetto decreto del Presidente della Repubblica, «20B» a cura del consorzio ASI, di priorità 2, che si pone come obbiettivo di contenere gli effetti inquinanti delle acque di prima pioggia, dall'area industriale A.S.I., nel mar Piccolo, realizzando un sistema di contenimento delle acque di prima pioggia con apposite vasche dal costo di 500 milioni di lire;
    c) l'inosservanza alla scheda «8D» a cura del comune di Taranto, di priorità 3, che si pone come obbiettivo la protezione e valorizzazione delle isole Cheradi, considerate «Aree ad elevato pregio ambientale», prevedendo l'istituzione di una riserva naturale delle isole e la riserva marina dei fondali prospicienti le isole, dal costo totale di 900 milioni di lire;
   per quanto riguarda le isole Cheradi, nonostante il decreto del Presidente della Repubblica del 1998 sopraccitato, ad oggi non risulta alcuna istituzione né di riserve naturali, né di aree marine protette; le stesse isole non risultano inoltre menzionate negli elenchi dell'articolo 34 «Istituzione di parchi e aree di reperimento» e dell'articolo 36 «Aree marine di reperimento» della legge del 6 dicembre 1991, n. 394, «legge quadro sulle aree protette», né nell'elenco previsto dall'articolo 31 della legge del 31 dicembre 1982, n. 979, «Disposizioni per la difesa del mare» –:
   quale sia lo stato di attuazione di tutti gli interventi previsti nel decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998 «Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto», sia di quelli a titolarità pubblica che di quelli a titolarità privata e quale sia il costo sostenuto fino ad ora per ognuno dei suddetti interventi, soprattutto dei 3 interventi riferibili alle schede «1D», «20B», «8D» espressi in premessa;
   quale sia stata l'attività del comitato tecnico di coordinamento e di controllo del piano dalla sua istituzione fino ad oggi e se siano state e tuttora vengano eseguite tutte le funzioni e i compiti di cui all'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica del 1998 e quali risultati esso abbia conseguito;
   quali siano i motivi che hanno impedito l'istituzione di una riserva naturale delle isole Cheradi e la riserva marina dei fondali prospicienti le isole di cui in premessa e se il Ministro intenda promuovere l'istituzione di un'area protetta, ovvero un'area marina protetta, delle isole Cheradi e i fondali prospicienti le isole, visto il pregio ambientale descritto nell'intervento della scheda «8D» nell'Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica del 1998. (5-06140)


   MASSIMILIANO BERNINI, BARONI, LOMBARDI, RUOCCO e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la riserva naturale di Tuscania è un'area naturale protetta istituita nel 1997. Occupa una superficie di 1.901 ettari ricadente nel territorio del comune di Tuscania, nel Lazio;
   la riserva si sviluppa su un'area collinare a vocazione agricola, tra i 224 metri s.l.m. di San Savino, a nord, e i 30-40 metri s.l.m. del fiume Marta, che taglia in due la riserva. Il territorio è quello caratteristico della Maremma laziale, della Maremma litoranea e dell'Etruria viterbese. Più del 60 per cento del territorio è coltivato e scandito da oliveti e terreni atti alla semina. La ricca area archeologica di Tuscania è interna alla riserva;
   all'interno della riserva sono stati individuati ben due siti di interesse comunitario: il SIC IT6010020 – Fiume Marta (alto corso) e il SIC IT60100036 – Sughereta di Tuscania;
   nel fiume Marta, oltre a specie comuni come il cavedano, si trovano: la lampreda di ruscello, la cheppia, il barbo e il ghiozzo di ruscello, la rovella, il vairone. Queste specie sono considerate di interesse comunitario e per questo è stata voluta la tutela dell'alto corso del Marta;
   importante, dal punto di vista dell'avifauna, è la presenza, nei pressi del fiume, di varie specie di volatili come il pendolino europeo (Remiz pendolinus), il martin pescatore (Alcedo atthis) e l'usignolo di fiume (Cettia cetti), mentre nelle zone più agricole che si incontrano verso valle si trovano l'allodola (Alauda arvensis), la quaglia (Coturnix coturnix), la ghiandaia marina (Coracias garrulus), il rigogolo (Rigogolus canorus), la calandra (Melanocorypha calandra), la cappellaccia (Galerida cristata). Tra i rapaci si ricordano l'albanella minore (Circus pygarcus), il lodolaio (Falco subbuteo), l'allocco (Strix aluco), il gheppio (Falco tinnunculus) e lo sparviero (Accipiter nisus);
   lungo l'alto corso del fiume si sviluppa la flora igrofila e ripariale: sono presenti il pioppo, l'ontano, il salice e ampie zone a canneto. Presso alcune sorgenti si trova la rara felce detta capel Venere (Adiantum capillus-veneris) e il sambuco. Lungo il basso corso, e quindi scendendo di quota, si trovano cerri, lecci, lentischi, carpini, roverelle, aceri, frassini e cornioli. Di rilevanza ambientale è la presenza della sughereta;
   nell'aprile 2010 i carabinieri della compagnia di Tuscania, nel corso di un servizio teso alla prevenzione e repressione di reati contro l'ambiente, sono intervenuti presso la locale cartiera dove hanno rilevato un ingente quantitativo di pulper e rifiuti vari che risultava in uno stato di totale abbandono, così da dar luogo ad una discarica abusiva senza osservare alcuna normativa sullo stoccaggio e sullo smaltimento di rifiuti pericolosi. I militari, durante il controllo nella cartiera, hanno rinvenuto e sequestrato circa 13.000 metri cubi circa di pulper, misto anche ad altri rifiuti stoccati in un deposito a cielo aperto, nonché un canale di riciclo dei fanghi del processo di lavorazione della carta ed un container ripieno di materiale ferroso. Tutto il materiale sequestrato nella cartiera è stato messo a disposizione della procura della Repubblica presso il tribunale di Viterbo per la successiva convalida e per l'immediato smaltimento da parte di ditte specializzate;
   a seguito delle circostanze di cui alla precedente premessa, la cartiera veniva rilevata dalla società EFW;
   con ordinanza n. 3 del 21 febbraio 2011 la provincia di Viterbo, avendo riscontrato irregolarità che fanno riferimento in particolare al mancato smaltimento dei rifiuti accumulato dalla precedenti gestioni così come invece la nuova ditta si era impegnata a fare sottoscrivendo l'allegato tecnico della determina dirigenziale n. 8 A.I.A. dell'11 novembre 2010, diffidava e sospendeva ai sensi dell'articolo 29-decies, comma 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'impianto per la fabbricazione della carta e cartone della ditta E.F.W. Tuscania srl, attivo in Loc. Pian delle Mole;
   dalla data dell'ordinanza fino al 2013, anno di chiusura della cartiera, si può facilmente riscontrare tramite articoli di quotidiani online come la vicenda sia stata molto dibattuta senza mai trovare una soluzione definitiva ai due principali problemi venuti alla luce nell'intera vicenda che sono la perdita di lavoro degli operai nonché la problematica dello smaltimento dei rifiuti di cui alle precedenti premesse –:
   se siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza e di concerto con la competente soprintendenza, affinché siano tutelati i beni di interesse paesaggistico e archeologico e sia fatto il possibile per garantire la protezione dei siti SIC IT6010020 — Fiume Marta (alto corso) e il SIC IT60100036 — Sughereta di Tuscania di cui in premessa;
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda occupazionale dei lavoratori della cartiera. (5-06142)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già nell'estate 2012 l'ecosistema fluviale del fiume Ticino ha rischiato di essere fortemente compromesso da una siccità causata dalla scarsità di piogge dei mesi precedenti. Le criticità rientrarono grazie alla proficua collaborazione tra Parco Lombardo della Valle del Ticino e Consorzio del Ticino (l'ente che gestisce il deflusso dell'acqua nel lago Maggiore); quest'ultimo, infatti, grazie ad un accumulo preventivo d'acqua garantito dal fatto che era stato assunto come livello di riferimento 1,50 metri sullo zero idrometrico a Sesto Calende liberò nel fiume la quantità d'acqua in eccesso che era conservata nel Lago Maggiore, permettendo al Ticino di sopperire al grave momento, contribuendo, inoltre, ad apportare benefici al fiume Po in cui confluisce il fiume Ticino e garantendo anche la quantità d'acqua necessaria alla attività agricola e alla produzione energetica. Anche le istituzioni preposte hanno segnalato negli ultimi giorni lo «stato comatoso» del fiume Po; infatti, questo sta vivendo una fase di siccità preoccupante per l'agricoltura e per gli operatori turistici costretti a tenere le imbarcazioni attraccate;
   con lettera datata 7 marzo 2014 il direttore dell'ufficio federale dell'ambiente UFAM della Confederazione svizzera, ha chiesto chiarimenti al direttore generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in merito alle anomalie riscontrare sulla regolazione del lago Maggiore e di adoperarsi affinché le istituzioni preposte rispettassero il disciplinare di regolazione (disciplinare in vigore ma risalente al gennaio 1940). Sollecitudine nata dal timore della Confederazione Svizzera di possibili inondazioni derivanti dai forti cumuli sia di neve che di acqua nei bacini di monte nella regione subalpina;
   tale lettera ha creato i presupposti della decisione del Ministero che, con una nota inviata nel giugno 2014, invitava il Consorzio del Ticino ad adoperare la regolazione dei livelli del lago secondo quanto stabilito nella vigente regolamentazione, mantenendo la regolazione estiva entro il limite +1.0 metro rispetto alla zero idrometrico di Sesto Calende;
   con nota congiunta, inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i presidenti del Parco lombardo della Valle del Ticino e del Parco Ticino Piemonte e Lago Maggiore hanno esposto la contrarietà degli enti ad interrompere il programma di sperimentazione DMV fiume Ticino/gestione livelli lago Maggiore. Questi hanno fatto notare come la sperimentazione, avviata cinque anni prima, ha permesso di garantire la quantità d'acqua necessaria agli agricoltori e alle industrie sempre nel rispetto dell'ambiente fluviale. Dalla relazione tecnica del Parco Lombardo della Valle del Ticino in merito al sopracitato programma di sperimentazione, si evince come al 31 maggio 2014 la situazione di accumulo nevoso e dei bacini di Monte fosse molto inferiore rispetto agli anni 2012 e 2013, periodo in cui la sperimentazione a quota +1,50 metri era in piena applicazione; ciò non comportò alcun problema idrico né a valle né a monte. La relazione, inoltre, fa osservare come il Ministero abbia dato seguito ad una richiesta della Confederazione Svizzera senza acquisire alcuna informazione dai soggetti territoriali interessati, considerando che le modalità di regolazione dei flussi del lago siano di competenza solo italiana, con il solo obbligo di comunicazione agli svizzeri;
   il Parco del Ticino nella relazione presentata alla conferenza di servizi del 29 aprile 2015 evidenziava come per l'anno in corso fosse reale il pericolo della siccità estiva in quanto i grafici di afflusso idrico erano simili a quelli dei precedenti anni che poi si erano dimostrati particolarmente critici (2003, 2006 e 2012) e che nonostante ciò non si è ritenuto necessario riportare il livello a 1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende in modo di avere più risorsa idrica a disposizione;
   con deliberazione n. 1/2015 del 12 maggio 2015 l'autorità di bacino del fiume Po, in risposta alle istanze del Consorzio Ticino che chiedeva di portare la quota di regolazione estiva del Lago a +1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende, ha approvato l'avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del lago Maggiore imponendo però la quota di livello massimo a +1,25 metri e modalità di svaso preventivo più rigide rispetto a quelle vigenti fino a quel momento. Questa decisione ha portato il Parco Lombardo della Valle del Ticino ad inviare, il 14 luglio 2015, una diffida all'autorità di bacino del fiume Po sollecitando l'incremento del livello massimo di regolazione del lago Maggiore nel periodo estivo a +1,50 metri sullo zero idrometrico di Sesto Calende;
   fino al 31 ottobre 2015, a Milano, si terrà Expo 2015; all'interno dell'esposizione universale sono presenti laghetti, canali e impianti che vengono alimentati con acqua del fiume Ticino portata attraverso il canale Villoresi; ciò comporta necessariamente un conseguente aumento del fabbisogno di afflusso d'acqua –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato, attivarsi presso gli enti preposti, per garantire al fiume Ticino il flusso d'acqua necessario, sostenendo la sperimentazione DMV fiume Ticino/gestione livelli lago Maggiore che eleva da +1.00 a +1,50 anche per gli anni a venire la regolazione estiva del Lago e chiarire la posizione della Confederazione Svizzera su tale questione. (4-09929)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha comminato una maxi multa da 20 milioni di euro per non aver rispettato la normativa europea sui rifiuti in Campania;
   il provvedimento prevede, inoltre, una penalità da 120mila euro per ciascun giorno di mancata applicazione delle corretta direttiva comunitaria, dall'emissione della sentenza;
   in una nota diffusa alcuni giorni fa, la Corte europea ha dichiarato che «la direttiva relativa ai rifiuti ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente» e si sottolinea come «gli Stati membri abbiano il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili»;
   i magistrati lussemburghesi hanno rilevato, inoltre, che dopo la crisi dei rifiuti scoppiata in Campania nel 2007 «la Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento contro l'Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata e adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica», ritenendo che tale circostanza «rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l'ambiente»;
   secondo i giudici estensori del provvedimento sanzionatorio, già nel 2010 la Corte di giustizia dell'Unione europea aveva stabilito che l'Italia non aveva rispettato gli obblighi previsti in forza della direttiva europea;
   sempre secondo i giudici, tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania e, inoltre, «in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di “eco balle”), che deve ancora essere smaltita, il che richiederà verosimilmente un periodo di circa quindici anni»;
   nel provvedimento si legge, inoltre, che perduravano «carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania»;
   considerando la situazione non in linea con le direttive, «la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010»;
   la Corte ha tuttavia deciso uno «sconto» rispetto alla sanzione proposta dalla Commissione;
   stando a quanto stabilito dalla legge e ribadito recentemente dal Ministro interrogato, è stata introdotta una norma «a gennaio di quest'anno: le sanzioni che riguardano le Regioni saranno pagate dalle Regioni stesse»;
   il presidente della regione Campania uscente, Stefano Caldoro, in seguito alla nota diffusa dalla Corte di giustizia, ha dichiarato che «La Regione Campania, in quanto ente, non è tra i soggetti che devono pagare», aggiungendo che «è giusto che chi ha sbagliato paghi», e che «quando l'Europa parla di regione non intende l'ente regionale ma l'ente territoriale, che include tutti gli enti che in quella regione agiscono, enti nazionali, Comuni, Province e Consorzi»;
   a giudizio dell'interrogante è opportuno fare chiarezza sull'intera vicenda;
   a giudizio dell'interrogante, è inaccettabile che il pagamento della multa comminata dall'Unione europea ricada sulle comunità campane, in particolare quelle residenti nella zona che ha assunto la denominazione «Terra dei fuochi», già così duramente colpite dagli sversamenti illegali e dai conseguenti danni alla salute di chi vi abita –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di competenza, per rimediare alla condizione che ha portato la Corte di giustizia dell'Unione europea a sanzionare così pesantemente l'Italia e per chiarire chi dovrà pagare la multa comminata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che il costo delle sanzioni ricada sui cittadini;
   se intenda adoperarsi, per quanto di competenza, per accertare le responsabilità del mancato smaltimento delle ecoballe presenti in Campania. (4-09935)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di maggio 2015, gli abitanti di via Fausto Gullo, in località Vallo, nel comune di Borgia (Catanzaro), vivono il solito disagio della mancanza d'acqua che, a periodi alterni, oramai, si protrae da anni. Inoltre, quelle poche volte che il servizio viene fornito è insufficiente, poiché la quantità d'acqua che arriva dai rubinetti è così esigua da non consentire l'utilizzazione degli elettrodomestici quali, ad esempio, lo scaldabagno e la lavatrice;
   questa situazione si protrae da anni ed innumerevoli sono le volte in cui gli abitanti hanno fatto presente la situazione agli amministratori comunali, i quali hanno sempre «promesso» interventi e soluzioni definitive – mai messe in atto – trovando soluzioni provvisorie e per brevi periodi, insufficienti a porre fine all'emergenza;
   l'interrogante ha appreso da notizie a mezzo stampa che, per quest'anno, «c’è il rischio che dal 18 agosto prossimo venga addirittura ridotta la portata della fornitura dell'acqua: il comune di Borgia, infatti, compare nell'elenco degli oltre 60 comuni che risultano morosi nei confronti della Sorical, la società che gestisce gli acquedotti calabresi»;
   sempre dalla stampa locale si apprende che «la fornitura idrica sarà garantita ogni giorno da un'autobotte con una capacità di circa 50 quintali», quindi va da sé che potrà rifornirsi solo chi possiede un serbatoio;
   questa situazione di disagio si presenta solo nei periodi estivi, periodi in cui l'acqua è utilizzata maggiormente, creando gravi disagi soprattutto igienico-sanitari, si pensi ai bambini, agli anziani e agli ammalati;
   l'amministrazione comunale, circa sette anni fa, per porre rimedio a tale problema ha eseguito dei lavori sulla rete idrica – lavori finanziati dalla regione Calabria per un ammontare di euro 258.000,00 – che hanno interessato tutta la via con l'installazione di nuove tubature che avrebbero dovuto, non solo sostituire le vecchie, ma porre fine anche al problema della mancanza d'acqua;
   a distanza di sette anni non si comprende perché le tubature nuove non siano state allacciate alle abitazioni, creando la situazione paradossale dell'esistenza di due reti idriche, una nuova mai messa in funzione ed una vecchia che porta spesso nelle case acqua sporca, piena di ruggine e che emana cattivo odore, con un grave pericolo per la salute degli abitanti;
   per l'erogazione della sopracitata acqua sporca il comune di Borgia, a giudizio dell'interrogante ingiustificatamente, ha preteso negli anni compresi tra il 2009 e il 2013 una «quota per la depurazione delle acque reflue»;
   l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari è indissolubilmente legato al diritto alla vita e alla dignità umana nonché alla necessità di beneficiare di adeguate condizioni di vita. Il Consiglio d'Europa ha dichiarato che l'accesso all'acqua deve essere riconosciuto quale diritto umano fondamentale essendo l'acqua una risorsa essenziale per la vita;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998 prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   il prezzo della fornitura deve essere commisurato all'effettivo consumo e non può essere fissato secondo criteri meramente presuntivi che prescindano dalla situazione reale –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di assicurare che non sia compromesso il fondamentale diritto all'acqua nel caso di Borgia e in quelli analoghi;
   se non ritengano urgente, ai sensi della direttiva 98/83/CE del Consiglio, adottare opportune iniziative per limitare l'utilizzo delle acque, ripristinarne la qualità ed informare i cittadini fruitori del servizio in merito ai rischi connessi, anche alla luce dell'esigenza di non disattendere impegni derivanti dalla partecipazione all'Unione europea. (4-09945)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con una popolazione che si aggira intorno ai 119.000 abitanti, Ponticelli è un quartiere di Napoli situato nella zona orientale della città. Comune autonomo fino al 1925, oggi forma insieme ai quartieri Barra e San Giovanni a Teduccio la VI municipalità del comune di Napoli. Il declino di Ponticelli comincia con la ricostruzione del dopoguerra e la grande speculazione edilizia: furono costruite centinaia di case popolari che costituirono rioni malsani e sovrappopolati come ad esempio Rione De Gasperi, il Lotto Zero che parte da via Bartolo Longo, il Parco Conacal e il parco Galeazzo che raccolse gli sfollati di varie zone del centro di Napoli dopo il terremoto del 1980;
   in quello stesso anno vennero realizzati dei container, composti da pavimenti, travi, soffitti ed elementi coibentanti, in amianto, aventi funzione abitativa provvisoria per poter accogliere gli oltre 400 sfollati provenienti dalla parte della città di Napoli interessata dal terremoto;
   i «bipiani» erano originariamente divisi in due villaggi (detti A e B) ai lati della parallela di via Volpicella, e, dopo l'abbattimento del Villaggio B avvenuto nel 2003, resta in piedi solo il Villaggio A;
   queste abitazioni, nella disponibilità del comune di Napoli, versano in stato di gravissimo degrado, oltre che per l'assenza di ogni requisito di sicurezza negli impianti, anche per l'avanzato stato di deterioramento delle lastre di amianto; abitazioni che costituiscono un serio pericolo non soltanto per chi abita all'interno del Villaggio A, ma anche per le popolazioni abitanti nelle immediate vicinanze, considerata l'estrema densità abitativa dell'area in questione;
   ad oggi il comune di Napoli ha sì effettuato l'abbattimento di parte dell'insediamento iniziale, ma non riesce ad ultimare le opere a causa della cronica mancanza di fondi che impedisce di ricollocare le famiglie che lì risiedono; lo stesso comune di Napoli ha riconosciuto a dodici nuclei familiari il diritto alla casa, collocandoli nelle graduatorie di assegnazione, ed ha individuato nel corso degli anni svariate soluzioni alternative per poter ricollocare i residenti, ma ogni ipotesi è naufragata per la mancanza di copertura finanziaria;
   la vicenda in questione riveste, per dimensioni e collocazione geografica, un'importanza di rilievo nazionale, trattandosi di un ennesimo sito particolarmente pericoloso dal punto di vista ambientale presente in Campania;
   il comune di Napoli dal 2011 non ha più posto in essere alcuna azione concreta, per il percorso costruito con fatica nei precedenti 10 anni, e per ricollocare in una situazione abitativa più sicura chi ora vive nel Villaggio «A» per poi procedere con l'ultimazione dell'abbattimento del campo Bipiani di Ponticelli, scongiurando il drammatico rischio per la salute della cittadinanza legato alla presenza di amianto; ad oggi è stato effettuato solo un censimento delle popolazioni residente dopo la formale messa in mora dell'ONA (Osservatorio nazionale amianto) –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per fare chiarezza sullo stato dei luoghi e garantire la sicurezza dei cittadini e l'incolumità pubblica in un contesto urbano di altissima densità abitativa;
   se non sia opportuno assumere un'iniziativa, se del caso anche normativa, per far fronte alla problematica descritta in premessa. (4-09965)


   VILLAROSA, D'UVA e GRILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2014, alle ore 00:50 del mattino, delle fiamme intense si sono levate in prossimità della RM di Milazzo, la raffineria mediterranea operante nel territorio «del Mela» dall'ottobre 1961. Oltre alle fiamme ed al fumo la popolazione ha percepito anche i forti odori frutto della combustione. Secondo la Gazzetta del Sud del 28 settembre 2014 sono bruciati circa 600.000 litri di idrocarburi provenienti da uno dei circa 40 serbatoi, il TK513, presenti nel sito, uno dei più vicini alle abitazioni antistanti la RM;
   anche nelle ore successive, nonché nelle giornate di domenica e lunedì, cioè due giorni e mezzo dopo l'incidente iniziale, i cittadini hanno assistito all'alternarsi di nuovi incendi e alla formazione di estese nuvole nere che, in base al vento, si sono dirette verso la Valle del Mela o verso il centro di Milazzo;
   in relazione alla presenza sul medesimo territorio dell'impianto RM, di una centrale termoelettrica ad olio combustibile, di una fabbrica di amianto (dismessa ma non ancora del tutto bonificata), di un elettrodotto aereo quasi ultimato ed altro elettrodotto, l'area è soggetta alla disciplinata prevista per la prevenzione degli incidenti rilevanti, cosiddetta direttiva Seveso, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 334 del 1999 che prevede, inter alia, la predisposizione e coordinamento di un piano di emergenza esterno (articolo 20 del citato decreto) da parte del prefetto, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, (previa consultazione della popolazione) che è comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero dell'interno ed al dipartimento della protezione civile;
   in data 19 luglio 2015 numerosi cittadini assistono ad un nuovo «strano evento», ovvero emissione consistente di fumi densi e fiamme altissime; tale «strano evento» è stato documentato da diverse foto apparse sulle principali testate online della provincia di Messina ed anche in un articolo del 20 luglio pubblicato sulla Gazzetta del Sud. Tale «strano evento» tuttavia è stato non solo considerato normale dal responsabile, della comunicazione verso l'esterno della stessa RAM di Milazzo, ma addirittura, nella nota apparsa alle 14,46 del giorno stesso sul sito ufficiale raffineriadimilazzo.it, è stato oltremodo minimizzato, a giudizio degli interroganti offendendo nel profondo le coscienze dei cittadini preoccupati, giustamente, da quell'ecomostro che potrebbe arrecare seri danni prima o poi nell'indifferenza di tutti;
   gli interroganti si auspicano che un domani la popolazione non riceverà notizie tranquillizzanti solo per limitare il livello di panico, e, conseguentemente il livello di rischio della popolazione stessa –:
   se sia a conoscenza dello «strano fenomeno» accaduto in data 19 luglio 2015;
   se intenda acquisire ogni utile elemento sulla natura del fenomeno del 19 luglio 2015 esposto in premessa e sulle modalità di gestione della comunicazione verso l'esterno della RAM di Milazzo;
   se non si ritenga opportuno conoscere, nell'ottica della trasparenza e dell'informazione alla cittadinanza, quali sostanze siano state bruciate e quali siano stati i prodotti immessi nell'aria durante il fenomeno di «sfiaccolamento» dalla RAM;
   se abbia disposto un sopralluogo all'interno dello stabilimento e provveduto alla conseguente comunicazione alla Commissione europea dell'accadimento di un incidente rilevante sul proprio territorio, a tal fine verificando l'esistenza e la eventuale adeguatezza del piano di emergenza esterno, nonché il corretto funzionamento dell'impianto anche in relazione al rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata dal suddetto dicastero in data 16 maggio 2011. (4-09967)


   DAGA, NESCI, DIENI, PARENTELA, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico con delibera 523/14 ha multato il comune di Saracena per il costo dell'acqua applicato ai propri cittadini. Secondo il Governo infatti, le tariffe del servizio idrico integrato del comune in provincia di Cosenza sarebbero troppo basse e così l'Authority ha chiesto al sindaco Mario Albino Gagliardi di adeguarle a quelle nazionali facendole quintuplicare (http://tv.ilfattoquotidiano.it);
   l'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico rimprovera a Saracena di non aver trasmesso tutti gli elementi (dati) necessari per la determinazione della tariffa secondo il suo metodo;
   grazie al fatto che il paese alle pendici del parco del Pollino gestisce direttamente l'intero ciclo delle acque non affidandolo alla Sorical (e quindi alla regione Calabria), la bolletta del servizio idrico oscilla tra i 26 centesimi per le fasce basse fino a un massimo di 90 centesimi per gli esercizi commerciali;
   si legge sul sito del comune di Saracena che questo comune è riconosciuto come l'unico della regione Calabria ad aver anticipato e applicato gli obiettivi del referendum sull'acqua pubblica del 2011 (avendo unificato tutti e 4 i passaggi per il ciclo dell'acqua pubblico e cioè adduzione, captazione, distribuzione e depurazione di competenza comunale), e che ora viene preso di mira dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico perché non otterrebbe dei profitti nell'erogazione dell'acqua pubblica dai suoi cittadini (http://saracena.asmenet.it);
   il comune ha approvato in data 26 maggio 2015 una delibera di consiglio che conferma gli attuali indirizzi programmatici e tariffari attuati dall'amministrazione comunale in merito al ciclo integrato dell'acqua (http://albosaracena.asmenet.it) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga opportuno, visti i diversi casi sollevati relativamente all'operato dell'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, assumere iniziative normative per riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la fissazione dei criteri e del metodo tariffario relativo al servizio idrico, sottraendo quindi all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. (4-09968)


   SEGONI, BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto militare di Amendola si estende per circa 2.000 ettari. Il territorio compreso nel perimetro dell'area militare ha sempre avuto una grande valenza naturalistica, in quanto principalmente costituito da terreni saldi caratterizzati per la presenza di estese formazioni di habitat prioritario ascrivibili ai seguenti habitat: «Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea – cod. habitat 6220» e «Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) – cod. habitat 6210». Tra le specie vegetali più rappresentative, oltre alle molteplici specie di orchidee, si segnala la Stipa austroitalica. L'area ospita inoltre moltissime specie di uccelli legate agli ambienti steppici tra le quali spicca l'ultima popolazione italiana di gallina prataiola (Tetraxtetrax). Per le ragioni sopra descritte il territorio di pertinenza dell'aeroporto è stato inserto all'interno della ZPS/SIC «Valloni e steppe pedegarganici» e successivamente ricompreso nella ZPS «Promontorio del Gargano»;
   la ZPS/SIC «Valloni e steppe pedegarganiche» rappresenta una delle ultime aree significative di habitat sub steppico dell'Italia peninsulare ed ospita importanti habitat e specie gravemente minacciati a livello nazionale ed europeo. Pur essendo formalmente tutelata come ZPS/SIC dal mese di dicembre 1998 (data proposta pSIC 06/1995 recepita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto ministeriale del 3 aprile 2000 Gazzetta Ufficiale del 22 aprile 2000), l'area è stata soggetta a ripetute e massicce aggressioni che hanno portato, nell'arco degli ultimi 10 anni, ad un forte degrado e ad una costante perdita di biodiversità. È viceversa mancata completamente una gestione attiva rivolta alla conservazione del sito. La più massiccia aggressione all'ambiente steppico è avvenuta nel 1999 per la realizzazione del contratto d'area di Manfredonia, un progetto di «sviluppo» che, ad avviso degli interroganti, scavalcando tutte le procedure di valutazione degli impatti e di corretta pianificazione, ha avviato l'urbanizzazione e la conseguente totale distruzione di alcune delle aree meglio conservate della ZPS. Dopo ripetuti tentativi di dialogo non raccolti dagli enti, la LIPU ha sporto formale denuncia alla Commissione europea per violazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (pratica 2001/4156 SG (2001) A/2150). Tale denuncia ha portato nel 2001 all'avvio di una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano e quindi all'invio di un parere motivato in cui si contestava la violazione della direttiva. Tale procedura d'infrazione è stata recentemente archiviata in quanto il Governo italiano si era impegnato a tutelare il sito. Tali promesse non sono state mantenute e non a caso recentemente si è riproposto il rischio che nel comune di Manfredonia venga realizzato un enorme impianto di stoccaggio del GPL in piena ZPS. L'ambiente è stato compromesso anche dalla messa a cultura delle aree caratterizzate da habitat prioritario e dall'ampliamento dell'aeroporto con conseguente realizzazione di numerosi edifici e altri manufatti;
   tutti questi interventi vengono eseguiti all'interno della ZPS/SIC secondo gli interroganti in contrasto con la direttiva «Habitat» 92/43 e le relativa norme di recepimento dello Stato italiano (decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997) oltre che con la direttiva «Uccelli» 79/409 e senza tener conto delle normative di riferimento sulle procedure di valutazione di impatto ambientale previste dalla regione Puglia e dallo Stato italiano;
   nell'area viene permesso l'accesso a cercatori di funghi e agricoltori, cacciatori, ma a quanto consta agli interroganti sistematicamente viene negato l'accesso ai ricercatori che svolgono indagini sull'avifauna d'interesse comunitario;
   l'area rappresenta l'ultima stazione di nidificazione conosciuta dell'ultima popolazione peninsulare di gallina prataiola (Tetrax tetrax);
   Pro Natura e il WWF hanno espresso l'intenzione di richiedere la riapertura di una procedura d'infrazione comunitaria ai sensi dell'articolo 4, n. 4, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e ai sensi dell'articolo 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche –:
   se i fatti esposti in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative di competenza necessarie, urgenti e concrete il Governo intenda assumere al fine di garantire la conservazione dell'habitat naturale e di ridurre e compensare i danni ambientali già determinati nel sito, anche alla luce dell'esigenza di evitare ulteriori procedure di infrazione. (4-09969)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'istituzione sinfonica abruzzese (ISA) è una delle più prestigiose realtà nazionali nel panorama musicale italiano;
   con 50 dipendenti sviluppa una intensa attività regionale, nazionale ed internazionale;
   nonostante il trauma del terremoto dell'Aquila, l'ISA è stata in grado di rialzarsi subito con passione e professionalità;
   versa da tempo in una grave crisi finanziaria per il taglio dei contributi nazionali e regionali;
   da quattro mesi gli orchestrali sono senza stipendio;
   è necessario che il Governo e la regione Abruzzo predispongano un piano per affrontare questa grave crisi dell'ISA –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere con urgenza per favorire un accordo tra le parti interessate e risolvere questo problema nell'interesse non solo dei lavoratori e lavoratrici dell'ISA, ma della cultura musicale nazionale. (4-09926)


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante in data 26 marzo 2015 presentava l'atto n. 4-08583 per chiedere al Ministro di intervenire al fine di impedire l'abbattimento delle ville storiche site nel comune di Roseto degli Abruzzi;
   nella succitata interrogazione, infatti, si faceva riferimento alla legge della regione Abruzzo n. 49 del 2012 – approvata in attuazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – che ha introdotto una serie di misure dirette a «incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, la promozione della riqualificazione delle aree degradate, la riqualificazione degli edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione o da rilocalizzare e lo sviluppo della efficienza energetica e delle fonti rinnovabili» e che si concretizzavano, per gli immobili aventi destinazione residenziale, nella possibilità di realizzare una volumetria supplementare anche previo abbattimento dell'esistente;
   il secondo comma dell'articolo 1 della predetta legge regionale n. 49 del 2012 stabilisce la facoltà per i comuni di avvalersi delle misure incentivanti «sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e della precisione negli strumenti urbanistici dei piani attuativi»;
   il comune di Roseto degli Abruzzi (Teramo), con delibera consiliare n. 67 del 28 dicembre 2012, ha recepito la disciplina in questione con modalità che appaiono all'interrogante – e va sottolineato ancora una volta – tali da estendere impropriamente quanto previsto dalla succitata legge regionale;
   in particolare, sulla base di tale delibera, si è consentito l'abbattimento di una «villa storica», denominata «Villa Paris», in territorio di Roseto degli Abruzzi;
   come è stato già evidenziato nell'interrogazione precedente, un'analoga sorte potrebbero avere anche alle altre sedici ville storiche presenti nel centro abitato di Roseto, le quali, invece, venivano tutelate dalla precedente delibera comunale n. 5 del 23 febbraio 2010, di recepimento della legge regionale n. 16 del 19 agosto 2009, che prevedeva la non applicabilità della normativa regionale in parola proprio a questa tipologia di patrimonio edilizio avente rilevanza storica;
   contro l'abbattimento delle ville storiche si è pronunciata l'Associazione «Italia nostra» molto presente e attiva sul territorio abruzzese;
   risulta all'interrogante che nel frattempo anche altre ville storiche siano state messe in vendita, probabilmente con lo scopo di essere demolite e sostituite con costruzioni più moderne e «funzionali» –:
   se il Ministro sia a conoscenza che la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici dell'Aquila si sia espressa contro l'abbattimento della Villa Paris con motivazioni assolutamente condivisibili sul piano giuridico e che tale parere sia stato disatteso dall'amministrazione comunale di Roseto degli Abbruzzi;
   se non ritenga di dover porre in essere con urgenza le iniziative necessarie per la tutela del patrimonio storico e architettonico del territorio di Roseto degli Abruzzi anche al fine di impedire che tale patrimonio possa subire lo stesso destino di «Villa Paris». (4-09947)


   PALMIZIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   durante il 45o festival internazionale del teatro di piazza, che come di consueto si svolge nella città di Santarcangelo di Romagna (RN), il 19 luglio 2015 alle 18:30 si è tenuto uno spettacolo di danza moderna, la cui coreografia risalente al 2000 è stata reinterpretata da due artisti di fama mondiale, Frank Willens e Bors Charmatz. Lo spettacolo (untiled) (2000), rappresenta l'ultimo lavoro coreografico firmato da Tino Sehgal, Leone d'oro come miglior artista della Biennale di Venezia nel 2013;
   l'esibizione di danza è stata interpretata dall'artista Frank Willens che, in un luogo pubblico e in un orario alla portata di molta gente nonché di minori, dopo aver ballato completamente nudo in mezzo alla piazza davanti al Teatro del Lavatoio, ha orinato davanti al pubblico, creando una feroce polemica, anche sui social network, da parte di coloro che erano presenti allo spettacolo i quali hanno minacciato di presentare un esposto alla magistratura, per quella che l'organizzazione ha definito danza moderna;
   Silvia Bottiroli, direttrice artistica del Santarcangelo festival, dopo le numerose polemiche, ha spiegato, come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, che l'esibizione di danza fa riferimento ad «un corpo che si fa fontana, come la posa del Manneken Pis di Bruxelles trattandosi non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace, ma di una dichiarazione rispetto al rapporto tra danza e storia, tra dimensione dell'arte e dimensione e della vita individuale e politica»;
   l'Associazione Santarcangelo dei Teatri, presieduta dallo stesso sindaco della città di Santarcangelo di Romagna, organizza il festival italiano dedicato alle arti della scena contemporanea ed è finanziato dal comune che ospita il suddetto festival, da quello di Rimini e da diversi comuni limitrofi, nonché da importanti partner istituzionali quali il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la regione Emilia-Romagna e la Banca popolare dell'Emilia Romagna;
   tra i maggiori partner istituzionali internazionali figura anche la Commissione europea, che finanzia direttamente le attività dell'Associazione Santarcangelo dei Teatri con l'obiettivo di operare in relazione con istituzioni culturali e organizzazioni artistiche italiane e internazionali, promuovendo un tipo di spettacolo che, di certo, non arrechi nocumento agli spettatori;
   nel giro di poche settimane, è la seconda proposta artistica che crea polemica in Romagna, dopo le cartoline provocatorie di Maurizio Cattelan, che, ad inizio mese, hanno tappezzato Rimini con sgargianti e inopportune gigantografie pop, destando un forte sdegno da parte della grande maggioranza dei cittadini romagnoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se il Ministro ritenga sia stato fatto un utilizzo opportuno e consono al decoro pubblico, nonché conforme alla legge, dei finanziamenti concessi all'Associazione Santarcangelo dei Teatri;

se il Ministro non ritenga di dover porre in essere un sistema di vigilanza sugli eventi realizzati da parte di enti ed associazioni che utilizzano finanziamenti statali. (4-09950)


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa si apprende che ANBIMA (Associazione bande musicali italiane autonome) e FENIARCO (Federazione nazionale italiana che riunisce le associazioni corali di tutte le regioni italiane e delle province autonome di Trento e Bolzano) sarebbero state escluse dai finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017, nonostante le solenni promesse ricevute dal Ministero;
   in merito alla Feniarco, l'interrogante sollecita la necessità e l'urgenza di rivedere il contributo per adeguarlo alle esigenze della Federazione che rappresenta 21 associazioni territoriali, 2 associazioni partner, 2.700 cori associati, 70.000 cantori, 2.000 maestri/direttori e che ha offerto gratuitamente 25.000 concerti alla popolazione su tutto il territorio nazionale. È necessario potenziare economicamente una federazione musicale-culturale così ampia, che ha saputo fare rete sul territorio e valorizzare uno straordinario patrimonio culturale di base;
   le stesse considerazioni valgono naturalmente per il movimento bandistico che vanta nel nostro Paese una lunga storia ed una prestigiosa tradizione e che raccoglie numerose realtà musicali attive in tutti i territori, svolgendo un'azione di promozione culturale e sociale preziosissima ed irrinunciabile;
   sarebbe davvero inaccettabile e incomprensibile tale esclusione, dopo i tanti riconoscimenti avuti negli anni e dopo tutto il prezioso lavoro svolto per decenni, sia dai cori che dalle bande musicali con le rispettive organizzazioni federative, su tutto il territorio nazionale, con risultati di grande prestigio anche a livello internazionale –:
   se la notizia dell'esclusione dai finanziamenti del FUS per il triennio 2015-2017 corrisponda al vero;
   se, nel caso affermativo, non ritenga invece necessario assumere iniziative per destinare alle suddette realtà musicali un contributo di almeno 250 mila euro l'anno per ciascuna di esse, come ampiamente meritano. (4-09964)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune toscano di Roccastrada stata da poco annunciata l'imminente chiusura della locale stazione dei carabinieri, attualmente ubicata presso i locali del palazzo comunale;
   la notizia ha suscitato sconcerto e allarme nella popolazione residente, visto che negli ultimi anni si sta registrando nella zona un aumento dei furti, soprattutto nel corso delle ore notturne;
   la notizia è giunta al termine di una lunga e complessa vicenda che ha preso avvio nel 1999 quando la proprietà dell'immobile che ospitava allora la stazione ha avviato una procedura di sfratto per morosità a fronte del mancato pagamento del canone da parte del Ministero;
   nelle more della procedura per sfratto, nel 2007 l'amministrazione comunale aveva acquistato una palazzina di proprietà dell'ENEL con destinazione specifica ed esclusiva ad ubicarvi la nuova stazione dei carabinieri;
   nel 2009 è stato approvato il progetto definitivo per la ristrutturazione dell'immobile a tali fini ma i lavori non sono mai iniziati, e la vicenda è dapprima finita nel silenzio, poi l'amministrazione comunale ha lamentato l'impossibilità di trovare un valido accordo economico con il Ministero; infine ha lamentato la scarsezza di fondi che impediva la messa in opera dei lavori –:
   se siano informati dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda, assumere in merito. (4-09962)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il modello 770 è il documento cui sono obbligati i sostituti d'imposta, comprese le amministrazioni dello Stato, per comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell'anno precedente, nonché gli altri dati contributivi ed assicurativi richiesti;
   tale modello, sia semplificato sia ordinario, deve essere presentato online dai sostituti di imposta, direttamente o tramite un intermediario abilitato (professionisti, associazioni di categoria, Caf, e altro), entro il 31 luglio 2015;
   come già segnalato negli anni scorsi da numerose associazioni di rappresentanza degli operatori economici e dei professionisti, la previsione di tale scadenza per un adempimento così rilevante in un periodo già saturo di altre scadenze in materia fiscale e del lavoro crea un disagio evidente;
   accogliendo le molte richieste provenienti dai consulenti del lavoro, dai ragionieri, dai commercialisti e dai tributaristi, il Governo sia nel 2012, nel 2013 che nel 2014 aveva disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la proroga della presentazione del modello 770 al 30 settembre;
   alla luce delle recenti semplificazioni introdotte con la dichiarazione dei redditi precompilata il modello del 770 contiene gli stessi dati delle certificazioni uniche già in possesso dell'Agenzia delle entrate e necessarie per la predisposizione del modello 730 che, nel caso degli autonomi, saranno inviate sempre entro il 31 luglio;
   nella dichiarazione con la quale i sostituti devono comunicare i dati relativi alle ritenute effettuate nel 2014, i versamenti eseguiti, i crediti, le compensazioni operate e i dati contributivi ed assicurativi, dovranno peraltro essere compilati ex novo la parte D dedicata all'assistenza fiscale, il prospetto riassuntivo SS, il quadro ST, con le ritenute operate anche per assistenza fiscale e imposte sostitutive, il quadro SV per le trattenute di addizionali comunali all'Irpef, il prospetto SX per il riepilogo crediti e compensazioni ed infine il quadro SY, che riguarda le somme liquidate a seguito di pignoramenti presso terzi. Il 770 ordinario poi va usato per comunicare le ritenute operate sui dividendi, proventi da partecipazione, redditi di capitale, operazioni di natura finanziaria e indennità di esproprio, versamenti effettuati, compensazioni operate e crediti di imposta utilizzati; si tratta dunque di numerosi adempimenti, resi ancor più complessi nella loro conclusione anche dal fatto che il modello 770 deve essere firmato anche dai soggetti che sottoscrivono la relazione di revisione (revisore contabile, responsabile della revisione, nel caso di società di revisione, oppure dal collegio sindacale);
   nella compilazione del modello 770 semplificato si deve inoltre tenere conto di particolari regole, se nel 2014 o entro il 31 luglio 2015 si sono verificate operazioni straordinarie che abbiano determinato o meno l'estinzione del sostituto di imposta; se il soggetto preesistente si è estinto, senza prosecuzione dell'attività (come in caso di fallimento o liquidazione), la dichiarazione deve essere presentata dal curatore fallimentare, dal commissario o dal liquidatore, oppure, se l'attività è proseguita da un altro soggetto (come in caso di fusione o scissione totale), da colui che succede nei precedenti rapporti, includendo anche i dati relativi al periodo dell'anno in cui ha operato il sostituto di imposta estinto; se, infine, l'operazione non ha comportato estinzione del soggetto (come in caso di trasformazione o conferimento d'azienda) gli obblighi dichiarativi spettano a tutti i soggetti che sono intervenuti nelle operazioni: si tratta dunque di adempimenti complessi e numerosi;
   per tutti questi motivi, l'eventuale riproposizione del differimento al 20 settembre anche per l'anno 2015 non solo consentirebbe ai sostituti di imposta di avere più tempo per adempiere correttamente alla compilazione delle dichiarazioni e a tutti gli adempimenti sopra evidenziati, ma potrebbe avere anche effetti positivi per le aziende, che beneficerebbero di due mesi in più per pagare le imposte e le addizionali del 2014 non versate alle scadenze previste ed usufruirebbero così dell'istituto del ravvedimento operoso; di conseguenza ne trarrebbero vantaggio pure le casse erariali –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto e data l'imminente scadenza del termine, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per procedere, anche per il 2015, ad un rinvio al 20 settembre della scadenza per la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate del modello 770 da parte dei sostituti d'imposta, fissando stabilmente al 20 settembre la scadenza di questo adempimento, per evitare che annualmente operatori economici e professionisti incorrano nelle medesime difficoltà. (5-06106)


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno, in sede di dichiarazione dei redditi e del valore della produzione, relativi all'anno precedente, è possibile recuperare eventuali crediti d'imposta;
   l'articolo 1, commi 586 e 587, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), come novellati dall'articolo 1, comma 726, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha stabilito che l'Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla presentazione del modello 730 o del modello Unico, effettui dei controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia qualora si tratti di un rimborso superiore a 4.000 euro, e, se il rimborso risulta congruo, viene erogato dall'Agenzia delle entrate entro il settimo mese successivo;
   molte imprese altoatesine e normali cittadini lamentano che le sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate in provincia di Bolzano non hanno ancora pagato alcuni crediti d'imposta superiori ai 4.000 euro relativi ai modelli 730/2014, in riferimento all'anno di imposta 2013;
   l'Agenzia delle entrate locale inizialmente ha fatto sapere che l'erogazione sarebbe stata effettuata entro il 31 dicembre 2014, termine poi successivamente prorogato al 28 febbraio 2015 ed effettivamente la maggior parte dei crediti dovuti è stata pagata entro il mese di marzo 2015, ma ci sono ancora creditori che non hanno ricevuto quanto dovuto;
   da notizie informali sembra che il ritardo derivi dal Ministero dell'economia e delle finanze che eroga i pagamenti alle sedi territoriali solo in tranche, in tal modo non riuscendo a soddisfare tutti i beneficiari –:
   quali siano i motivi del cospicuo ritardo nei rimborsi relativi ai crediti d'imposta indicati in premessa e quando ritenga plausibile mettere in condizione le sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate della provincia di Bolzano di liquidare le somme dovute alle imprese e ai cittadini che ancora devono ricevere i crediti d'imposta relativi al modello 730/2014 per i redditi relativi al periodo d'imposta 2013. (5-06107)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   un articolo apparso sul quotidiano Corriere della sera del 20 luglio 2015 ha riportato la notizia che il verdetto della Corte Costituzionale del marzo scorso che ha dichiarato illegittimi gli incarichi dirigenziali attribuiti a 800 funzionari dell'Agenzia delle entrate senza concorso, avrebbe comportato, relativamente al solo trimestre aprile-giugno, un danno erariale pari ad un miliardo e mezzo di euro, una voragine nei conti pubblici destinata a salire qualora tardasse ulteriormente ad intervenire una soluzione che sani la situazione;
   la paralisi in cui è scivolata l'amministrazione finanziaria ha infatti comportato, sul versante del recupero, il mancato completamento di quel 30 per cento di accertamenti sintetici a carico di imprese e professionisti che ogni anno nello stesso periodo riuscivano a far recuperare all'Agenzia delle entrate una cifra quasi doppia, facendo in tal modo presumere che dei 10 miliardi di euro che ogni anno derivano all'erario dalla sola attività di accertamento, sul totale dei 14 miliardi di euro che derivano dal recupero dell'evasione fiscale, se ne genereranno appena la metà;
   non va meglio sul versante dei rimborsi IVA che, a causa dell'assenza di dirigenti che firmano i relativi atti, ha visto riesplodere il contenzioso tributario da parte della gran parte delle 50.000 imprese italiane che ogni anno vantano un credito nei confronti del fisco pari a circa 9 miliardi di euro: tale ultima condizione rischia anche di paralizzare l'economia, visto che i rimborsi IVA rappresentano un polmone finanziario essenziale alla sopravvivenza di molte di esse;
   com'era facilmente immaginabile, l'effetto domino generatosi all'indomani della suddetta sentenza della Consulta ha comportato, a carico delle commissioni tributarie provinciali, un contenzioso tributario ingestibile e costituito unicamente da richieste di accesso agli atti presentate dai contribuenti, e finalizzate all'annullamento, previa verifica delle firme apposte sugli atti, di quelli sottoscritti dai dirigenti decaduti in virtù del pronunciamento;
   il Governo ha prospettato, come soluzione di parte del problema che, nelle more del perfezionamento del concorso per l'assunzione di nuovi dirigenti, l'Agenzia delle entrate possa coprire le vacanze nell'organico con 580 posizioni speciali secondo un meccanismo che prevede che i 300 dirigenti a cui sono rimasti i pieni poteri possono delegare, previa procedura selettiva, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale; tali deleghe sarebbero affidate al fine di fronteggiare l'eccezionalità della situazione e comunque avrebbero efficacia non oltre il 31 dicembre 2016;
   tale ipotizzata soluzione, se, da una parte, sana la vicenda legata al difetto di attribuzioni delle funzioni ai funzionari «di fatto», dall'altra lascia comunque in sospeso la querelle sulla legittimità degli atti di accertamento firmati dai dirigenti illegittimi e sulla quale è attesa una decisione della Corte di Cassazione –:
   se le stime sul mancato gettito erariale a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale del mese di marzo 2015 e riportate in questi giorni sulla stampa, ovvero circa 1,5 miliardi di euro per il solo trimestre aprile-giugno, corrispondano al vero e come pensi di arginare i nefasti effetti, destinati a prodursi anche con riferimento all'anno 2016, che si abbatteranno sui conti pubblici. (5-06108)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa, dopo insistenti e pressanti richieste di incontro da parte delle associazioni di categoria e appena tre giorni prima della scadenza del pagamento delle tasse, un comunicato dell'Agenzia delle entrate ha annunciato la riduzione di circa il 70 per cento, rispetto allo scorso anno, degli importi per la deduzione di spese non documentate da parte delle imprese di autotrasporto;
   sembra infatti che la Ragioneria generale dello Stato abbia bloccato la fruibilità delle agevolazioni relative alle cosiddette «deduzioni forfettarie», ritenendo i 60 milioni di euro destinati alla copertura di tale agevolazione non sufficientemente capienti;
   il Governo ha quindi disatteso gli impegni assunti nei mesi scorsi ed ha drasticamente ridotto gli importi giornalieri delle deduzioni, facendoli passare da 56 a 18 euro, da 19,60 a 6,30 euro e da 92 a 30 euro a seconda dell'ambito territoriale in cui il servizio viene svolto;
   quello che all'interrogante risulta essere veramente grave e inaccettabile è che il Governo abbia disatteso alla sua funzione istituzionale, di fatto relegandola a mero registro delle decisioni della ragioneria, che prescindendo da considerazioni politiche, dispongono sulla base delle poste in bilancio: si procede così alla rovescia, cioè dall'ammontare della copertura disponibile invece che dall'opportunità o dalla necessità di quelle deduzioni;
   si tratta di deduzioni e crediti d'imposta essenzialmente legati al recupero forfettario delle spese sostenute dagli autotrasportatori per le trasferte e che, in questa drammatica congiuntura economica, sono la sola voce che consente a migliaia di piccole imprese monoveicolari di sostenere i propri bilanci;
   se questo provvedimento non verrà rivisto, ne andrà della sopravvivenza delle aziende artigiane del nostro Paese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, perché una corretta gestione amministrativa presuppone una redazione di un bilancio nel quale inserire costi e ricavi e quindi risorse economiche su cui fare affidamento;
   la morfologia del territorio e la carenza di infrastrutture di trasporto stradali e ferroviarie contribuisce a fare dell'autotrasporto un'attività insostituibile per l'intera economia ed è quanto mai necessario, soprattutto in questo periodo di crisi, scongiurare la chiusura delle imprese e l'alterazione del regolare servizio di movimentazione delle merci, che rappresenta per il sistema produttivo italiano, per la grande distribuzione e, quindi, per l'intera collettività una risorsa primaria –:
   se il Ministro ritenga doveroso valutare l'opportunità di aumentare la misura delle deduzioni, che appare insufficiente e inadeguata alle reali esigenze del settore, permettendo ai contribuenti di recuperare le eventuali maggiori imposte versate tramite compensazione dell'eccedenza sul modello F24, al fine di salvaguardare le piccole imprese di trasporto monoveicolari, anche utilizzando risorse destinate attualmente ad altri capitoli di spesa in questo momento non altrettanto prioritari. (5-06109)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dalla stampa locale, l'ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate di Fidenza, a partire dal prossimo 1o gennaio 2016, dovrebbe cessare la propria attività di assistenza fiscale, nei riguardi della comunità locale, indirizzando presso la sede di Parma distante oltre 30 chilometri, gli utenti fidentini inclusi quelli che rientrano nei comuni di Bore, Busseto, Fontevivo, Noceto, Polesine Parmense, Salsomaggiore Terme, Soragna e Zibello;
   tale decisione, che sembrerebbe essere confermata anche dalla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate, ha provocato evidenti e comprensibili malumori all'interno della vasta area di cittadini e imprenditori, direttamente interessati dalla definizione, in considerazione del fatto che, l'eventuale chiusura del servizio, determinerebbe conseguenti disagi causati da gravosi spostamenti verso l'ufficio del capoluogo di provincia per compiere una moltitudine di atti amministrativi e fiscali e di adempimento che, com’è noto, sono nel nostro Paese esorbitanti; 
   a tal fine, l'interrogante evidenzia come l'ufficio di Parma, oltre a presentare delle forti criticità legate al sovraffollamento degli sportelli, risulta difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici da parte dei cittadini residenti nella parte occidentale della provincia di Parma e pertanto una decisione come quella in precedenza richiamata, contribuirebbe negativamente ad aggravare una situazione di estrema precarietà dal punto di vista dell'assistenza e della qualità del servizio fornito ai contribuenti di Fidenza e dei comuni limitrofi –:
   se i Ministri interrogati intendano confermare le notizie esposte in premessa, secondo le quali dal prossimo anno la sede dell'Agenzia delle entrate di Fidenza cesserà la propria attività;
   in caso affermativo, quali siano le motivazioni di tale decisione in considerazione dell'importanza che l'ufficio territoriale della medesima Agenzia riveste non solo per i fidentini, ma anche per gli altri numerosi comuni interessati che usufruiscono dei servizi e dell'assistenza fiscale della predetta Agenzia in maniera rilevante;
   se non intendano adoperarsi per una revisione di tale scelta in considerazione del fatto che la chiusura di un servizio pubblico di rilevanza sociale ed economica come quello dell'Agenzia delle entrate nel comune di Fidenza, peraltro recentemente ristrutturato, rischia inevitabilmente di determinare evidenti inefficienze in termini di qualità di servizio e di assistenza per i contribuenti della provincia di Parma.
(4-09940)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2015 grazie all'intervento della magistratura si svelano i rapporti diretti fra la ‘ndrangheta e la società Betuniq, attiva nel settore del gioco d'azzardo;
   tale società ha sede a Malta, ma poteva contare su una rete commerciale estesa in tutta Italia, tramite agenzie giochi e scommesse e CTD;
   si trattava in teoria di gioco online, che tuttavia attraverso conto fittizi intestati alla società permetteva il gioco in contante e quindi evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco;
   numerosi interventi di parlamentari e associazioni hanno sottolineato in tutti questi anni il rischio di legami fra criminalità organizzata e sistema del gioco d'azzardo legale, invitando quindi a maggiore vigilanza e controlli le autorità preposte, a partire da Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   fra le ipotesi degli inquirenti c’è anche la volontà del capofila dell'operazione Meriolino Gennaro di accumulare capitali per partecipare nel 2016 al bando per le concessioni di Stato;
   il Governo, a giudizio dell'interrogante, ha scelto di far cadere la possibilità offerta dalla delega fiscale di riformare il sistema del gioco d'azzardo legale in Italia –:
   come sia stato possibile che in Italia si sviluppasse una organizzazione criminale così ramificata in un campo teoricamente soggetto a concessione pubblica, senza alcun intervento da parte dell'autorità pubblica, esclusa la magistratura; 
   se e come siano state effettuate le dovute verifiche di competenza sulla società Betuniq;
   se alla luce di quanto verificatosi si ritenga di assumere immediatamente iniziative per modificare le procedure di controllo da parte delle autorità competenti sulla catena societaria di tutti i soggetti operanti nel settore del gioco d'azzardo;
   se non si ritenga di dover intanto assumere iniziative per una moratoria immediata sull'apertura di nuovi punti gioco, dopo che l'inchiesta ha dimostrato chiaramente come non esista una frontiera chiara fra gioco legale e illegale;
   come si intenda operare, per quanto di competenza, per impedire le infiltrazioni della malavita organizzata nelle gare del 2016. (4-09944)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 20 maggio 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze scriveva all'università di Bari per segnalare gli esiti della verifica amministrativo-contabile eseguita dal 9 luglio al 9 ottobre 2012, le cui conclusioni, in sintesi, erano una contestazione dell'erogazione indebita di risorse, dal 2004 al 2013, pari a 20 milioni di euro per la progressione orizzontale dei dipendenti e di 15 milioni per la progressione verticale di tecnici amministrativi a elevata professionalità. Nella stessa nota, si suggeriscono interventi correttivi (riduzione fondo straordinari, riduzione componente accessoria degli stipendi e altro), riconoscendo la necessità di evitare «forme di contenzioso per mancata remunerazione di prestazioni o incarichi effettivamente resi», che invece delle scelte arbitrarie di rivalsa sugli stipendi degli attuali professori o l'imposizione della retrocessione attiverebbero;
   in data 15 giugno, il direttore generale avvocato Gaetano Prudente (il cui mandato terminerà il 31 luglio) «nelle more dell'intervento della Corte dei Conti» mette in atto misure che vanno, invece, a pesare proprio sui dipendenti (oltre quelle suggerite dal Ministero dell'economia e delle finanze), a partire dall'individuazione della platea dei beneficiari delle due progressioni economiche orizzontali onde predisporne la retrocessione –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro sulla vicenda, con particolare riguardo alle iniziative che l'università di Bari intende adottare per porre rimedio a quanto rilevato nel corso della verifica amministrativo-contabile, alla luce della necessità di evitare scelte pregiudizievoli per i dipendenti e foriere, a giudizio dell'interrogante, di probabili contenziosi. (4-09952)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come comunicato dalle organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria Sappe e Uil penitenziari di Avellino, il 15 luglio 2015, alle 3,00 del mattino, l'istituto penitenziario di Bellizzi Irpino è stato interessato da una violenta protesta posta in essere dai detenuti a causa della mancanza d'acqua;
   a quanto è dato sapere, i detenuti hanno incendiato effetti personali, stracci e lenzuola imbevuti di olio e carta, bottiglie di plastica, e hanno provocato lo scoppio di alcune bombolette di gas;
   la protesta si è verificata in alcune celle del reparto di sicurezza;
   un sovrintendente della polizia penitenziaria ha dovuto ricorrere d'urgenza alle cure del pronto soccorso di Avellino per aver inalato fumi all'interno della sezione nella quale i detenuti hanno incendiato stracci imbevuti di olio e carta, bottiglie di plastica e bombolette vuote;
   grazie al pronto intervento del personale, la protesta è stata gestita con professionalità ed intelligenza evitando che potesse degenerare coinvolgendo altri reparti dell'istituto di pena irpino;
   le organizzazioni sindacali che hanno denunciato l'accaduto hanno sollecitato una immediata soluzione dei problemi tecnici che determinano la mancanza d'acqua nell'istituto di pena;
   a quanto è dato sapere, si tratta di un problema che deriva dal malfunzionamento delle pompe idriche installate nell'istituto;
   stando ai rilievi degli operatori della polizia penitenziaria, è un problema che si protrae ormai da molto tempo, almeno 6 anni, senza che chi di dovere abbia provveduto alla riparazione delle pompe garantendo il corretto funzionamento dell'impianto di distribuzione dell'acqua potabile;
   l'emergenza idrica che coinvolge la città di Avellino rischia di acuire il problema della mancanza di acqua nel penitenziario di Bellizzi Irpino;
   a giudizio dell'interrogante, occorre evitare che altri problemi si sommino alla condizione di difficoltà nelle quali versano gli istituti di pena a causa del sovraffollamento e della carenza di personale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto e quali provvedimenti intenda adottare nell'immediato per risolvere definitivamente il problema della mancanza di acqua potabile nell'istituto di pena di Bellizzi Irpino;
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare per garantire il corretto funzionamento di detto istituto di pena, assicurando la tutela della dignità dei detenuti e di chi vi lavora e garantisce, con non poco sacrificio, la sicurezza e la integrità dell'intera comunità carceraria. (4-09923)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il calvario dei fucilieri del Reggimento «San Marco» della Marina militare italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, è iniziato ben tre anni fa quando furono arrestati in India perché accusati di aver ucciso due pescatori locali;
   da allora il tribunale speciale di New Delhi continua a rinviare il procedimento penale, che, di fatto, non è mai cominciato, in quella che l'interrogante giudica l'indifferenza assoluta dei vari Governi italiani nel frattempo succedutisi, che, in tale vicenda, hanno drammaticamente mostrato tutto il loro scarso peso nello scacchiere internazionale;
   come se ciò non bastasse, proprio dal nostro Paese è piovuta una frase choc contro i due militari che da anni stanno vivendo una esistenza difficilissima sempre con dignità e rispetto delle istituzioni;
   in particolare, un esponente politico della sinistra radicale, il segretario di Rifondazione Comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, pochi giorni fa postava su Facebook: «Ma non è ora che impicchino i due marò ?»;
   a fronte dell'aspra polemica scatenata da tale vergognoso post, Pantaleoni non solo non ha smentito quanto scritto ma ha tentato di giustificarsi, spiegando in una lunga nota cosa intendesse rappresentare;
   solo successivamente il post è stato cancellato e Pantaleoni ha abbozzato una frase di scuse, cercando di minimizzare l'accaduto e definendo la frase una semplice «battuta», ma l'accortezza, seppure tardiva, non è bastata e sono arrivate anche le dovute dimissioni;
   di fronte a tali vergognose parole di odio, ancora più gravi se proferite dal segretario di un partito politico, ci si sarebbe aspettati una netta condanna da parte di tutto il mondo politico, compresa la sinistra del nostro Paese e, invece, nulla è stato proferito al riguardo, se non da esponenti di destra;
   per un post su facebook che augurava lo stupro dell'allora Ministro dell'integrazione del Governo Letta, Cecilie Kyenge, la padovana consigliera di quartiere in quota Lega Nord, Dolores Valandro, è stata giustamente condannata in via definitiva a un anno e un mese di carcere per il reato di istigazione a delinquere aggravata dall'odio razziale;
   analogamente, il vice-sindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini, è stato condannato per istigazione all'odio razziale dalla corte d'appello di Venezia per un suo intervento contro nomadi, musulmani e immigrati ad un raduno leghista nel 2008 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, se sia a conoscenza dell'avvio di eventuali indagini, al riguardo;
   quali iniziative il Governo stia portando avanti per una positiva conclusione della vicenda dei due fucilieri della Marina militare italiana. (4-09951)


   PALMIZIO e LONGO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di calore che costantemente da oltre un mese, interessa l'intero territorio nazionale, sta causando gravi disagi all'interno delle strutture carcerarie, con conseguenti difficoltà fisiche dei detenuti negli spazi detentivi, dal punto di vista della vivibilità e conseguentemente anche della salute;
   al riguardo, l'interrogante segnala, che i recenti casi di suicidio all'interno del carcere Regina Coeli di Roma di due detenuti, a cui si associa anche il decesso di un altro avvenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano, a causa di un infarto, s'inquadrano all'interno di una serie di concause fra le quali, oltre al numero degli agenti penitenziari, sotto organico e alla presenza insufficiente di psicologi per l'assistenza dei detenuti, si segnala anche e soprattutto il perdurare dell’«emergenza caldo» che ha fatto aumentare in modo significativo le segnalazioni di sofferenza e preoccupazione da parte dei detenuti, dei loro familiari e dei legali;
   l'interrogante segnala, altresì, come la lettera inviata dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Parma, al direttore generale dell'Ausl di Parma e al direttore degli istituti penitenziari della medesima città, nella quale sollecita misure per facilitare le condizioni di vita dei detenuti, a causa delle condizioni climatiche estremamente disagevoli, sia indicativa ed eloquente nell'evidenziare le condizioni attuali delle carceri italiane, già di per se complesse e che possono esacerbare situazioni di forte pressione dei detenuti;
   l'adozione di misure tempestive in grado di fronteggiare le numerose criticità che investono le strutture penitenziarie italiane ed in particolare quelle legate all'eccezionale emergenza caldo, che persiste su tutte le aree geografiche della penisola, risulta pertanto, a giudizio dell'interrogante, indispensabile ed opportuna, al fine di porre rimedio ad una situazione divenuta oramai invivibile, che lede la dignità umana –:
   quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di contrastare l'eccezionale ondata di calore che sta determinando gravissime ripercussioni sulla salute dei detenuti all'interno delle carceri italiane, il cui sovraffollamento contribuisce negativamente ad aumentare l'invivibilità negli spazi detentivi;
   se ritenga condivisibili le valutazioni contenute nella lettera del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Parma, in precedenza richiamata, finalizzate all'introduzione di misure volte a facilitare le condizioni di vita dei detenuti, in considerazione del perdurare dell’«emergenza caldo» e, in caso affermativo, come intenda estendere tali interventi a tutte le strutture penitenziarie del Paese. (4-09957)


   VILLAROSA e GRILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ordine del giorno n. 9/02496-A/001 presentato il 24 luglio 2014 dal primo firmatario del presente atto, ed accolto dal Governo impegna l'Esecutivo a mettere in atto tutte le procedure necessarie per predisporre le condizioni idonee per la trasformazione dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione, così come già progettato dal provveditore dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia e dai direttori generali del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   precedentemente, in data 17 luglio 2014, anche tramite l'interrogazione n. 4-05574, sempre a prima firma Villarosa, si chiedevano chiarimenti al Ministro interrogato in merito al progetto di conversione della struttura Barcellonese –:
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato in merito alla trasformazione dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione;
   quale potrebbe essere una realistica previsione del tempo necessario affinché la nuova struttura carceraria detentiva possa operare a pieno regime. (4-09966)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   FRANCO BORDO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il piano nazionale degli Aeroporti (PNA), predisposto nel febbraio dell'anno 2012 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e dall'ENAC, prevedeva che la Macroarea del centro Italia comprendeva gli aeroporti di Fiumicino, Roma Ciampino, Ancona, Perugia e Pescara;
   il sistema aeroportuale del Lazio risultava formato dai seguenti aeroporti: 1) aeroporto di Fiumicino, quale hub internazionale; 2) aeroporto di Roma Ciampino, come City Airport; 3) aeroporto di Viterbo, quale terzo scalo dedicato ai soli voli low cost, con entrata in funzione entro il 2019;
   il traffico previsto al 2030, per gli aeroporti del Lazio, era stato articolato fra un minimo, un medio e un massimo di passeggeri/anno (p/a), il cui dato finale era stato fissato come segue: 1) Fiumicino: min. 70 milioni (p/a), medio 75 milioni (p/a), max 80 milioni (p/a); 2) Ciampino: min. 3 milioni (p/a), medio 3 milioni (p/a), max 3 milioni (p/a); 3) Viterbo: min. 6 milioni (p/a), medio 8 milioni (p/a), max 10 milioni (p/a);
   nell'ultimo Piano nazionale degli aeroporti presentato dal Governo nel corso della conferenza Stato-regioni svoltasi il 19 febbraio 2015, negli aeroporti del Lazio, cioè Fiumicino e Ciampino-Viterbo è stato stralciato secondo i tre scenari, il traffico totale per l'anno 2030 è stato previsto come segue: 1) Fiumicino: min. 63 milioni (p/a), medio 67,5 milioni (p/a), max 72 milioni (p/a); 2) Ciampino: min. 2.2 milioni (p/a), medio 2.4 milioni (p/a), max 2.7 milioni (p/a);
   in funzione del Piano nazionale degli aeroporti del 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012 è stato approvato l'Atto unico della convenzione-contratto di programma ENAC-AdR, l'aeroporto di Viterbo, è stato stralciato senza addurre nessuna motivazione, facendo così venire meno, per la regione Lazio, il terzo aeroporto che per il suo volume di traffico si sarebbe posto tra i primi aeroporti d'Italia;
   per fare fronte ai primi interventi infrastrutturali per Viterbo erano stati stanziati 325 milioni di euro che, dato l'avvenuto stralcio dell'aeroporto, sarebbero stati indirizzati/utilizzati per la realizzazione di infrastrutture necessarie all'aeroporto di Fiumicino;
   lo stralcio dell'aeroporto di Viterbo è avvenuto nonostante fosse in essere l'intesa programmatica del 31 gennaio 2008 fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Regione Lazio che prevedeva la delocalizzare del traffico dei voli low cost dall'aeroporto di Ciampino a quello di Viterbo;
   la convenzione-contatto di programma ENAC-AdR in parola ed i relativi allegati tracciano la pianificazione e lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi del sistema aeroportuale di Fiumicino da realizzarsi in due fasi: 1) Fiumicino Sud, da svilupparsi fra il 2012 e il 2021 e prevedeva la costruzione, riorganizzazione e ristrutturazione, entro l'attuale sedime, delle infrastrutture esistenti; 2) se nell'anno 2021 sarà raggiunto il volume di passeggeri di 51 milioni, verrà sviluppato fra il 2022 e il 2044 Fiumicino Nord, consistente nella realizzazione del secondo aeroporto a nord dell'attuale sedime;
   la zona interessata all'ipotesi del raddoppio dell'aeroporto è di ben 1300 ettari di territorio tutti ricadenti all'interno della riserva naturale statale del litorale romano totalmente vincolati a zona 1 (totalmente inedificabile) e 2 (edificabile a fini agricoli);
   sui terreni dove è ipotizzato la realizzazione del secondo aeroporto, prima della bonifica idraulica sorgeva lo «stagno di Maccarese» per cui la Commissione parlamentare d'inchiesta istituita con legge n. 325 del 1961 dichiarava che i terreni non erano idonei per la realizzazione dell'aeroporto;
   sempre nei terreni interessati al raddoppio dell'aeroporto insistono molti siti archeologici fra cui il villaggio dell'età del rame denominato Fianello-Le Cerquete;
   negli ultimi anni, in particolare nell'aeroporto di Fiumicino, si registra una significativa e costante flessione di voli e passeggeri rispetto alle previsioni sulle quali è basata la vigente convenzione contratto di programma ENAC-AdR;
   dai dati pubblicati da ENAC, rispetto alle previsioni contenute nella convenzione contratto di programma, a Fiumicino e Ciampino, i passeggeri/anno sono stati i seguenti: Fiumicino 1. 2012 – 313.850 mov/a con 37,6 milioni p/a rispetto una previsione di 38,3 milioni (-3,4 per cento); 2. 2013 – 301.922 mov/a con 35,9 milioni p/a contro una previsione di 39 milioni (-7,2 per cento); 3. 2014 – 312.118 mov/a con 38,6 milioni p/a contro una previsione di 39,6 milioni (-2,5 per cento);
   negli stessi anni, nel solo aeroporto di Fiumicino, i passeggeri dei voli low cost hanno registrato significativi incrementi: 6.9 milioni p/a nel 2012; 6.1 milioni p/a nel 2013 e 9.5 milioni p/a nel 2014; mentre per l'aeroporto di Ciampino dove insistono solo voli low cost, negli stessi anni, abbiamo la seguente situazione: 4.5 milioni p/a; 4.7 milioni p/a; 5 milioni p/a;
   escludendo i passeggeri dei voli low cost l'aeroporto di Fiumicino avrebbe registrato un calo del traffico ancora più rilevante, stimabile tra il -22 per cento ed -25 per cento rispetto alle previsioni;
   i passeggeri anno dei voli low cost, negli aeroporti della Capitale, nel 2014, sono stati di 14,5 milioni, quantità che di fatto giustificherebbe, sin da ora, l'individuazione di un aeroporto di servizio a quello di Fiumicino dove dislocare tutti i voli low cost e che sarebbe per volume di traffico il terzo aeroporto d'Italia;
   i voli low cost dell'aeroporto di Ciampino devono essere notevolmente ridimensionati, cioè non devono superare i 60 movimenti giornalieri, al fine di alleggerire la pressione dell'inquinamento acustico e atmosferico;
   appare quanto mai urgente l'immediata apertura di un aeroporto di supporto di Fiumicino per i voli low cost, come avviene in tutta Europa che non risulti a ridosso dei centri abitati, in modo tale da evitare che Fiumicino, da hub intercontinentale quale dovrebbe essere, diventi il punto di riferimento di voli low cost;
   ad esempio, l'individuazione dell'Aeroporto di Latina Scalo, quale aeroporto di supporto dell'Aeroporto di Fiumicino per i voli low cost, potrebbe rappresentare la più logica e la più praticabile nel breve periodo, rappresentando un volano per lo sviluppo dell'economia pontina, permettendo di creare un reale Network Aeroportuale del Lazio;
   la scelta dell'aeroporto a Latina è infatti supportata da uno studio di prefattibilità, commissionato dall'ente camerale, al Centro di ricerca di logistica e trasporti della facoltà di ingegneria, Università La Sapienza di Roma, dipartimento di idraulica, trasporti e strade e presentato già in data 28 febbraio 2007 nella sala consiglio della camera di commercio. Alla presentazione dello studio erano presenti il comune di Latina, la provincia di Latina, oltre ai rappresentanti di Confindustria, Federlazio, Confesercenti, Confcommercio, Lega Coop e Confcooperative, della CGIL, CISL e della UGL;
   lo studio presentato ha infatti rafforzato la fattibilità del progetto di realizzazione dell'aeroporto in provincia di Latina, indicando, in modo scientifico, verificata l'esistenza di condizioni tecniche, i punti di forza della scelta, a cominciare dalla vicinanza della stazione ferroviaria e dalla riscontrata insussistenza di vincoli ambientali ed archeologici, quale migliore ipotesi da perseguire per la sua localizzazione l'attuale sede del «Comani»;
   l'attività di studio condotta ha definito lo scenario di riferimento con l'identificazione dei fattori di successo dell'aeroportualità minore a livello europeo, una previsione della domanda passeggeri e del cargo aereo e, quindi, una verifica degli aspetti infrastrutturali dell'aeroporto di Latina con la successiva ipotesi di prefattibilità;
   il Comani, attuale aeroporto militare, ha avuto inoltre un largo consenso di indirizzo a livello regionale quale nuovo polo aeroportuale, come peraltro indicato nelle linee guida dell'assessorato alla mobilità della regione Lazio che pone l'obiettivo di soddisfare il potenziale di domanda, sviluppare le opportunità di traffico turistico e merci e di valorizzare le specializzazioni e le economie di scala;
   tale polo aeroportuale potrebbe infatti assorbire, a fronte di una domanda complessiva di 69 milioni di passeggeri stimata per il 2020 (così indicato in un recente studio dell'ENAC), tra i 6,5 milioni ed i 13 milioni di passeggeri, considerando che la capacità degli aeroporti di Roma arriverebbe a coprirne al massimo 56 milioni; lo scalo di Latina, pertanto, potrebbe accogliere, da subito, il traffico charter e low cost trasferito da Ciampino e quello turistico diretto a Roma, Napoli e tutte le località turistiche tra le due grandi mete;
   per il traffico cargo, di contro, stando alle limitate movimentazioni di merce via aerea nel Lazio, dovute alla insufficienza di servizi doganali e aeroportuali efficienti e con costi competitivi, è stata suggerita la via della specializzazione merceologica, con la realizzazione di piattaforme dedicate e/o di business park, così come implementato anche in altri Paesi europei (si è riportato l'esempio dell'aeroporto di Vatry specializzato nel florovivaismo);
   importante è inoltre considerare che la distanza tra Roma e Latina è di soli 60 chilometri, e che con il progetto della «Super Pontina», ormai avviato dalla, regione Lazio, creerebbe le migliori condizioni anche in termini di collegamento longitudinale via gomma. Il traffico via ferro è inoltre già garantito dalla tratta Roma-Latina, che liberata dalla alta velocità permette un collegamento veloce in termini di percorrenza, infatti, con scarsi 30 minuti, si sarebbe infatti dall'aeroporto di Latina Scalo, già dotato della stazione ferroviaria, a differenza di altre soluzioni, a Roma Termini. In conclusione, ad avviso degli interroganti, l'aeroporto di Latina potrebbe rappresentare la soluzione migliore per accogliere e trasferire su Roma, via gomma e via ferro, i passeggeri dei voli low cost –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non ritenga opportuno promuovere una consultazione permanente con i comuni interessati al fine di individuare al più presto un aeroporto di servizio a quello di Fiumicino dove dislocare i voli low cost, valutando con particolare attenzione l'ipotesi descritta dell'aeroporto di Latina Scalo, nonché la possibilità di destinare almeno parte dei 325 milioni di euro a suo tempo previsti per l'aeroporto di Viterbo all'adeguamento dell'aeroporto di supporto a quello di Fiumicino. (5-06110)


   CATALANO e OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 192 del 2014, convertito dalla legge n. 11 del 2015, ha previsto che all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, le parole: «31 dicembre 2014» fossero sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2015»;
   la disposizione citata pareva destinata a prorogare la sospensione di validità delle norme sul noleggio con conducente, introdotte dalla legge n. 21 del 1992 dall'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008;
   tali norme, asseritamente anti-abusivismo, sono state censurate dall'Antitrust per la loro natura anticoncorrenziale, risultano a giudizio degli interroganti inadeguate a regolamentare il servizio pubblico di noleggio con conducente — alla luce dei principi ribaditi dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e da quelli ricavabili dalle pronunce della Corte Costituzionale — e potrebbero addirittura esporre l'Italia a procedure in sede europea;
   l'intreccio normativo creato dai numerosi rimandi e proroghe ha determinato un'incertezza normativa rispetto alla vigenza delle norme di cui al decreto-legge n. 207 del 2008, malgrado l'autorevole opinione espressa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in particolare, con sentenza n. 8359/2015, il tribunale di Milano ha sostenuto la vigenza delle norme in discussione, argomentando, tra l'altro, che «non si ritiene vincolante, né convincente, il parere (di segno opposto, ndr) dato dal Direttore Generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 7 settembre 2012 alla Camera di commercio di Frosinone (depositato da parte appellata) secondo il quale l'articolo 29 più volte citato non sarebbe allo stato in vigore. Trattasi di un mero parere di un funzionario amministrativo e non di un atto normativo, non idoneo pertanto a fornire interpretazioni autentiche della legge»;
   sia le norme introdotte dal decreto-legge n. 207 del 2008 sia l'incertezza normativa rispetto alla loro vigenza, determinano gravissimi danni al settore del noleggio con conducente italiano, e rischiano di consegnare l'intero settore alla concorrenza straniera e a forme di abusivismo totale –:
   quali urgenti iniziative intenda il Governo adottare al fine di espungere definitivamente dall'ordinamento le norme anticoncorrenziali introdotte dal decreto-legge n. 207 del 2008. (5-06111)


   NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, SPESSOTTO, CARINELLI, LIUZZI, DE LORENZIS e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 luglio 2015 è stata perfezionata l'acquisizione del 100 per cento delle quote della società Tirrenia Compagnia Italiana di Navigazione spa (CIN), ex compagnia di navigazione di Stato, da parte dell'imprenditore Vincenzo Onorato, già presidente della Moby spa;
   l'imprenditore, che ha acquisito le quote della Tirrenia precedentemente detenute da Clessidra SGR e dagli altri azionisti di minoranza con un'operazione da 100 milioni di euro, gestisce oggi più del 90 per cento delle rotte tra la Sardegna e il continente;
   in concomitanza con la definizione del nuovo assetto azionario si è dimesso l'allora amministratore delegato della società di navigazione, Ettore Morace. La società ha pertanto provveduto a nominare i nuovi vertici aziendali, tra cui il nuovo amministratore delegato, Massimo Mura;
   poiché si sono verificate le condizioni previste dall'articolo 16 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 recante Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, la comunicazione dell'operazione di concentrazione è stata fornita all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che sta provvedendo ai relativi accertamenti ma che a oggi ancora non si è espressa al riguardo;
   in base all'articolo 6, comma 1, della suddetta legge nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione, «l'Autorità valuta se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione»;
   secondo la stessa legge, «se l'Autorità ritiene che un'operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell'articolo 6», quest'ultima avvia l'istruttoria entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza. Al termine dell'istruttoria l'Autorità, ai sensi del comma 2 dell'articolo 6, quando accerta che l'operazione comporta le conseguenze indicate, «vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze»;
   la concentrazione in mano ad un unico soggetto della quasi totalità del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna desta fortissime preoccupazioni in quanto la mancanza di concorrenza rischia di determinare un forte abbassamento del livello qualitativo dei servizi offerti e un cospicuo aumento delle tariffe per passeggeri e merci. Oltre ai cittadini sardi, che già attualmente risentono duramente degli svantaggi legati all'insularità e che non possono godere in pieno del diritto alla mobilità, anche l'economia turistica della regione potrebbe subire ripercussioni estremamente negative a causa dell'innalzamento dei prezzi dei traghetti e del relativo, inevitabile, calo di presenze sull'isola. Non meno rilevante è, ad avviso degli interroganti, il probabile rischio di compromissione del mantenimento degli attuali livelli occupazionali dell'azienda;
   in data 18 luglio 2012 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stipulato con la Compagnia Italiana di Navigazione spa, soggetto aggiudicatario del ramo d'azienda Tirrenia navigazione spa, una ,Convenzione che disciplina gli obblighi e i diritti derivanti dall'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori, redatta ai sensi dell'articolo 1 comma 998 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009 convertito con modificazioni dalla legge n. 166 del 2009. Il rapporto oggetto della Convenzione terminerà il 18 luglio 2020;
   a detta degli interroganti sarebbe opportuno che il Ministro interrogato fornisca chiarimenti sulle azioni che intende intraprendere in riferimento alla situazione che gli interroganti ritengono di quasi monopolio che si è creata in seguito all'operazione societaria di cui in parola, considerato che risulta a rischio il pubblico servizio erogato dalla Tirrenia e per il quale quest'ultima, pur essendo una società privata, riceve dallo Stato ogni anno un corrispettivo pari a euro 72.685.642,00 –:
   quali iniziative il Ministro in indirizzo, nell'ambito delle proprie competenze, intende adottare al fine di verificare che l'avvenuta acquisizione della totalità delle quote della Tirrenia Compagnia Italiana di Navigazione spa non comporti un peggioramento della qualità, frequenza ed economicità dei collegamenti da e per la Sardegna e non leda dunque il concetto di continuità territoriale oltre che penalizzare l'economia soprattutto a vocazione turistica dell'isola. (5-06112)


   BRUNO, SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come sottolineato in una nota del gruppo Ferrovie dello Stato del 20 luglio 2015: «Il treno regionale 3171 Firenze- Arezzo, effettuato con un nuovo elettrotreno Jazz, prodotto da Alstom, si è fermato oggi pomeriggio intorno alle 14.10 sulla linea direttissima Firenze-Roma, per la perdita dell'anta di una porta di accesso. I sistemi di sicurezza del treno hanno subito segnalato al macchinista l'avaria imponendogli l'immediato stop. Nessun danno ai viaggiatori. Attuate le procedure di sicurezza, il treno, fermo tra Rovezzano e San Donato, ha potuto proseguire la sua corsa fino alla stazione di Figline a velocità ridotta e con la porta presenziata dal personale di Trenitalia. A Figline i circa 100 passeggeri sono scesi e hanno continuato il viaggio sul treno regionale 3159. Si sono registrati rallentamenti sulla circolazione dei treni lungo la Direttissima, con deviazioni sulla linea lenta e ritardi medi di trenta minuti per 20 treni. Il nuovo elettrotreno Jazz, costruito da Alstom, è stato consegnato a Trenitalia il 31 dicembre 2014 e ha iniziato il servizio commerciale a fine marzo 2015. Trenitalia ha già avviato i dovuti accertamenti e chiesto alla ditta costruttrice Alstom tutte le verifiche tecniche»;
   non si tratta del primo incidente di tale tipologia verificatosi sulla linea direttissima Firenze-Roma, essendosi già verificato che il 18 aprile 2012 una porta del Vivalto regionale 2315 ha ceduto nella galleria di San Donato (Fi), all'incrocio con un Frecciarossa; il 20 novembre 2012 si è verificato il crollo di un finestrino a bordo del treno n. 11805, sempre all'interno della galleria di San Donato sulla linea direttissima Firenze-Roma;
   in risposta ad una richiesta di accesso agli atti (prot. n. 008841/2013 del 6 dicembre 2013), l'ex direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, Alberto Chiovelli ha sottolineato che «come si evince dal citato rapporto annuale sulla sicurezza delle ferrovie, le tematiche concernenti i malfunzionamenti dalle porte dei treni e, in generale, la perdita di componenti da materiale rotabile (ivi compreso il distacco di porte o finestrini), sono oggetto di specifico approfondimento e di vigilanza da parte dell'Agenzia che, in caso di inconvenienti o non conformità riscontrate, ha inoltrato all'impresa ferroviaria interessata, le proprie richieste e raccomandazioni finalizzate a migliorare i processi di manutenzione necessari al corretto funzionamento delle porte e ad evitare la perdita di componenti da materiale rotabile»;
   nella risposta di Ansf emerge che «per quanto concerne il cedimento della porta del Vivalto regionale 2315 accaduto il 18 aprile 2012 e oggetto specifico della richiesta di cui trattasi, risulta agli atti dell'agenzia il “Rapporto informativo di Trenitalia, nel quale si ipotizza un atto vandalico all'origine dell'evento, alla luce delle tracce di urto presenti sulla superficie della porta”»;
   il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, il 20 luglio 2015, nelle ore immediatamente successive al distacco della porta ha dichiarato: «Trenitalia e FS devono garantire la sicurezza anche limitando la velocità dei treni dell'Alta Velocità»;
   l'assessore regionale ai trasporti, Vincenzo Ceccarelli, ha specificato che: «Uno sportello di un treno Jazz nuovo di zecca è saltato nell'incrocio con un av nella galleria del San Donato» –:
   se siano stati valutati gli effetti delle possibili interferenze tra i nuovi treni «Jazz» ed i treni ad alta velocità, con particolare riferimento al loro passaggio nella Galleria di San Donato e quali iniziative, indicando anche quali cause abbiano determinato il distacco della porta dal treno «Jazz» sopra menzionato (anche alla luce di eventuali approfondimenti), siano state conseguentemente intraprese per garantire la sicurezza dei convogli e degli utenti che percorrono quotidianamente la galleria del San Donato e la linea direttissima Firenze-Roma. (5-06113)


   CAPARINI e ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto pubblico di tutte le regioni italiane sembra paralizzato negli ultimi mesi e sta creando disagi inimmaginabili a tutti i cittadini per inadeguatezza dei mezzi, mancata manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e scioperi bianchi dei lavoratori per protestare contro gli amministratori;
   il trasporto pubblico locale rappresenta il servizio per eccellenza rispetto al quale i cittadini misurano la qualità della vita;
   il caos nel quale versa il trasporto pubblico locale è frutto, ad avviso degli interroganti, delle politiche accentratrici di questo Governo, che sottrae autonomia e competenze ai territori e l'ipotesi di tagli al servizio autobus per quei comuni che rifiutano di aderire al patto della mobilità versando il proprio contributo economico è assolutamente inaccettabile;
   tale situazione di degrado e disservizio secondo gli interroganti è stata generata o comunque aggravata dalla «legge Delrio», che ha trasformato le province in enti di secondo livello, senza più un'amministrazione democraticamente eletta dai cittadini a governare quegli ambiti vicini alla quotidianità dei cittadini;
   la riforma non solo non ha ridotto, come nelle intenzioni, la spesa degli enti pubblici, ma ha anche portato ad un peggioramento dei servizi che tali enti continuano ad erogare. Paradossalmente, viene chiesto un sostegno ai comuni per assicurare il trasporto pubblico e vengono al contempo tagliati i servizi –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare in tempi rapidi per garantire, sull'intero territorio nazionale, un adeguato servizio pubblico di trasporto facendosi promotore, anche in Consiglio dei ministri, di provvedimenti finalizzati a rivedere i tagli agli enti locali e interventi mirati a sbloccare le risorse vincolate dal patto di stabilità. (5-06114)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da organi di stampa che l'autorità portuale di Livorno stia provvedendo ad un corposo ampliamento delle banchine con un maxi-piano, per cui già dalla prima decade di luglio avrà luogo la pubblicazione del bando di gara con procedura ristretta per l'individuazione del promoter della piattaforma europa dello scalo di Livorno;
   nel dettaglio, si apprende, è prevista la creazione di 5 chilometri di nuove banchine, 2 milioni di metri quadrati di piazzali e fondali, con una profondità fra i 16 e i 18 metri, una nuova imboccatura in grado di accogliere le navi portacontainer di dimensioni più grandi. Inoltre, l'intera opera prevede anche la realizzazione di un terminal contenitori, di dighe foranee per proteggerlo e di opere di equipment;
   l'investimento complessivo ammonterebbe ad 805,14 milioni di euro secondo la società di consulenza D'Apollonia (Gruppo Rina), che ha redatto il piano economico-finanziario che si basa, sotto il profilo tecnico, sui dati dello studio di fattibilità della piattaforma europa e, sotto il profilo di mercato, sulla relazione redatta da Ocean Shipping Consultant. Nel dettaglio, 504,46 milioni sarebbero impegnati come project financing, mentre i restanti 300,68 milioni sarebbero interamente a carico del pubblico;
   elemento centrale nell'ottica della realizzazione del piano sarebbe rappresentato dai traffici che, secondo la Ocean Shipping Consultant, di qui al 2035, potrebbero ammontare, secondo una prospettiva ottimistica, a 2,7 milioni di teu (container da 20 piedi) o, in una prospettiva differente, a 2,3 milioni;
   altre valutazioni tecniche notano che l'incremento dei traffici non può considerarsi in misura uguale in tutti i porti per le differenze e la concorrenza. In particolare, si assume che manchi un modello statistico in quanto i flussi sarebbero stati ottenuti semplicemente moltiplicando i teu registrati negli anni passati per un numero ottenuto dividendo la crescita attesa in termini di export per la crescita attesa in termini di prodotto interno lordo senza considerare che in Italia il rapporto fra export e prodotto interno lordo tende ormai ad essere sempre negativo;
   si apprende, dallo studio presente nella Trimestrale on line di economia della logistica e dei trasporti, sistemi di logistica, giugno 2015, a proposito del traffico portuale italiano e di alcune previsioni al 2030, che secondo l'ISTAT, nel 2013 sono transitati per i porti italiani 457 milioni di tonnellate di merci (215 milioni in import, 77 milioni in export, 165 milioni in cabotaggio ovvero 298 milioni in sbarco, 159 in imbarco). Tale dato 2013 è inferiore al totale 1997. Tuttavia, è pur vero che il traffico marittimo italiano (calcolato sommando al traffico portuale internazionale la metà del traffico di cabotaggio) presenta – soprattutto a partire dal 2003 – un'ottima correlazione con l'andamento del prodotto interno lordo espresso in valori concatenati ed aumenta qualora dal traffico marittimo così determinato venga sottratta la quota di traffico container dei porti di «puro» transhipment;
   nel citato studio, però, si segnala che nel totale movimentato dai porti italiani non è ovviamente computata quella quota di merci (prevalentemente trasportata in container) che utilizza porti non italiani (in primis Nord europei) per l'imbarco e/o lo sbarco. Ma, si precisa ulteriormente, come l'attendibilità del modello proposto, stante l'ampiezza delle serie storiche esaminate, mostra la sua attendibilità massima fino al 2023. Per il periodo successivo, invece, occorrerebbe apportare delle correzioni statistiche –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possano fornire specifiche informazioni circa la procedura amministrativa posta in essere e la sua regolarità, anche sotto un profilo ambientale;
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda verificare le valutazioni tecniche a fondamento della legittimità del progetto, se, in favore della realizzazione dello stesso, abbia previsto lo stanziamento di fondi e, in caso affermativo, quale sia il preciso ammontare e il processo di erogazione delle medesime risorse. (5-06123)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da organi di stampa che, nella galleria di San Donato e nel tratto tra Firenze Rovezzano e Arezzo sulla Direttissima Firenze-Roma, allorquando un treno Vivalto a due piani incontra un Frecciarossa, si verifica lo scostamento di pochi millimetri della porta del treno regionale a causa dello spostamento d'aria causato dalla velocità del Tav;
   ne deriva, in alcuni casi, l'interruzione della continuità del circuito elettrico con lo spegnimento della spia del blocco porte che consente al macchinista di essere sicuro che tutte le porte del mezzo siano chiuse e non possano essere aperte dall'interno. Senza questa spia accesa, per regolamento dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, il macchinista deve fermare il treno;
   con il treno fermo, per l'effetto, ci sarebbero ritardi e disagi per tutta la linea della tratta interessata;
   i treni Vivalto, di conseguenza, dal 14 giugno, non possono circolare più in direzione sud sulla direttissima, secondo una comunicazione interna di Ferrovie in cui si indicano le tratte Orte-Settebagni per entrambi i sensi di marcia e Rovezzano-Arezzo binario pari e dispari nel senso di marcia nord-sud;
   i treni Vivalto, in ogni caso, sono stati tolti dalla direttissima già da tempo, dopo l'incidente del 18 aprile 2012 quando su un treno diretto a Roma una porta aveva ceduto dopo aver incrociato un Frecciarossa nella galleria di San Donato;
   secondo Trenitalia, diversamente, si tratterebbe di un problema tecnico del treno e non di sicurezza dei Vivalto sulla linea. L'assenza dei Vivalto sulla linea, di cui la regione ha acquistato 150 carrozze negli ultimi anni destinate alle varie tratte della Toscana, era stata spiegata anche come una scelta per non disperdere il materiale in lunghi viaggi verso Roma ma farlo ruotare sulle linee regionali;
   attualmente, si riferisce, che sulla direttissima per il Valdarno i Vivalto sono solo al mattino verso Firenze quando non ci sono incroci con le Frecce –:
   se il Ministero interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa fornire chiarimenti in ordine allo stato di sicurezza delle tratte interessate, al fine di garantire l'efficienza del trasporto per i numerosi pendolari interessati e la loro incolumità;
   se il Ministro interrogato, con riferimento alla specifica categoria di treni evocati in premessa, possa fornire informazioni dettagliate circa l'omologazione degli stessi a livello tecnico, provvedendo, se del caso, a porre in essere controlli specifici;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, in accordo con il gestore del servizio, per sopperire all'assenza di questi treni allo scopo di mantenere inalterate la qualità e la frequenza del servizio ai cittadini e come intenda intervenire per evitare i disagi arrecati agli utenti conseguenti ai ritardi e alla soppressione dei treni. (5-06124)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 febbraio 2012 con decreto del Presidente del Consiglio del ministri, il professor avvocato Sergio Prete, presidente dell'autorità portuale di Taranto, ai sensi del comma 4-quater dell'articolo 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, è stato nominato commissario straordinario, a titolo gratuito, per le seguenti opere e lavori relativi al porto di Taranto:
    a) piastra portuale di Taranto;
    b) dragaggio per l'approfondimento dei fondali al molo polisettoriale e connessa vasca di contenimento dei fanghi di dragaggio;
    c) consolidamento/adeguamento della esistente banchina del molo polisettoriale;
    d) nuova diga foranea a protezione dall'agitazione del moto ondoso in Darsena molo polisettoriale;
    e) potenziamento collegamenti ferroviari del porto di Taranto;
    f) rettifica, allargamento e adeguamento strutturale della banchina di levante del molo San Cataldo e della Calata 1;
   al commissario straordinario vengono attribuite le funzioni di stazione appaltante ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni e integrazioni;
   l'accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d'emergenza socio-economico e ambientale siglato in data 26 aprile 2012 – tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per la coesione territoriale e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Puglia, l'autorità portuale di Taranto, il commissario straordinario, il comune e la provincia di Taranto, la Taranto Container Terminal SpA (TCT), la Evergreen line, la Sogesid Spa e il gruppo Ferrovie dello Stato (RFI SpA e Trenitalia SpA) – ha l'obbiettivo di superare diverse criticità infrastrutturali, tra cui quelle indicate dalla multinazionale Evergreen, che è all'interno della TCT, che più volte ha rappresentato l'eventualità di trasferire tutte le linee di sua proprietà dal porto di Taranto al porto del Pireo in Grecia, qualora non fossero state esaudite alcune richieste concernenti la carenza di protezione della diga foranea, l'inadeguatezza dei fondali e delle banchine, i collegamenti infrastrutturali insufficienti, l'esclusione dall'utilizzo di parti di banchina e piazzali, già assegnati con atto concessorio, causa il permanere in loco di un terminal rinfuse;
   l'accordo per lo «sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d'emergenza socio-economico e ambientale» ha aggiornato ed integrato i precedenti protocolli d'intesa già siglati rispettivamente l'11 maggio 1998, il 23 luglio 1998 e il 5 novembre 2009;
   i tempi di attuazione del suddetto accordo stabilivano che entro 24 mesi dalla sottoscrizione dello stesso, si sarebbero dovuti realizzare gli interventi previsti, le azioni necessarie al fine di porre in essere le condizioni considerate dalle parti «indispensabili» per il rilancio dello scalo jonico;
   nel protocollo d'intesa del 26 luglio 2012 «Interventi urgenti di bonifica ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto» – tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero della coesione territoriale, regione Puglia, comune e provincia di Taranto – vengono stabiliti i finanziamenti di alcune opere nel porto di Taranto; esso è stato realizzato considerando anche l'accordo datato 26 aprile 2012, per lo «sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d'emergenza socio-economico e ambientale» destinando 187 milioni di euro per la realizzazione degli interventi portuali;
   una serie di ricorsi al TAR da parte di soggetti partecipanti al bando dei lavori da eseguire, ha portato ad un ritardo nella messa in opera dei lavori di adeguamento della banchina del terminal container di Taranto;
   il 21 settembre 2014 la multinazionale Evergreen, azionista della TCT (Taranto container terminal), ha escluso il porto di Taranto dai porti di approdo delle navi oceaniche per l'ammodernamento delle gru esistenti e l'installazione di nuove e contestualmente la stessa multinazionale ha annunciato che il porto di Taranto non sarebbe rientrato nelle rotte oceaniche della compagnia in ragione della nuova flotta che richiede fondali più profondi per l'attracco;
   a causa delle decisioni intraprese dalla TCT e dalla Evergreen in particolare, 536 lavoratori a Taranto sono in cassa integrazione da circa 2 anni ed ora, con lo scadere della stessa, gli stessi lavoratori evidenziano tramite, sit-in e manifestazioni, la loro evidente preoccupazione nell'impossibilità di continuare a lavorare nel porto di Taranto in quanto sono stati destinatari di lettere di avvio di procedure di mobilità;
   da diversi mesi il Governo ha provato tramite diversi incontri ad affrontare le problematiche in questione con scadenti risultati ed ultimamente ha annunciato, a seguito dell'ennesimo incontro che, attraverso l'autorità portuale, verrà dato immediato avvio ad un'operazione di scouting, al fine di sollecitare manifestazioni d'interesse e di istituire una newco con operatori che stiano sul mercato, eventualmente anche con una presenza di soggetti a partecipazione pubblica con l'auspicio di portare di concludere entro i 75 giorni della procedura di mobilità;
   a detta dell'interrogante, la difficile situazione crea due problemi fra tutti; il primo è legato alla instabilità lavorativa dei 563 addetti, mentre il secondo problema è il blocco del molo polisettoriale del porto di Taranto che non viene utilizzato così come pianificato dal piano regolatore;
   da fonti stampa si apprende, secondo quanto riferito dal Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, che la riqualificazione del molo polisettoriale del porto di Taranto e il relativo ammodernamento della banchina di ormeggio sono stati assegnati all'Ati Consorzio Stabile Grandi Lavori che prevedeva l'utilizzo, previo svuotamento, delle vasche presenti nell'area ex Belleli occupate da circa 80.000 metri cubi di fanghi di dragaggio di competenza della Terminal Container Taranto (TCT), giacenti dal lontano 2005. L'area è stata sequestrata e successivamente dissequestrata nel 2012 per permettere la procedura di avvio allo smaltimento dei fanghi, ma ad oggi non si conosce se tale smaltimento sia stato regolarmente effettuato;
   il secondo, terzo, quarto e quinto sporgente e la calata 3 del porto di Taranto sono in concessione e al servizio dell'ILVA che da diversi anni ha diminuito la propria produzione e quindi attività a causa delle note vicende giudiziarie, ambientali e di mercato che la riguardano e, nonostante ciò, Ilva rimane monopolista dei suddetti sporgenti e calate;
   anche la Cementir Italia srl ha avuto in concessione per molti anni la calata 4 e parte del 4o sporgente in radice, a giudizio dell'interrogante monopolizzando queste aree e privando qualunque altro soggetto della possibilità di sbarcare ed imbarcare da queste relative aree;
   il quarto sporgente del porto di Taranto ha un pescaggio di 25 metri sia in testata che nella parte a levante, più che sufficiente ad accogliere grandi navi;
   in data 11 dicembre 2014 una gru utilizzata da ILVA, si è spezzata durante la fase di movimentazione, negli specchi acquei prospicienti il quarto sporgente all'interno del porto di Taranto e ad oggi, giace in parte sui fondali;
   sia Ilva che Cementir, avrebbero dovuto eseguire lavori di infrastrutturazione ed adeguamento ambientale nei rispettivi sporgenti e calate, ma ad oggi non risulta all'interrogante che le opere per propria competenza siano state effettuate;
   da fonti stampa si apprende, secondo quanto diffuso dal Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, che sia stato redatto per conto dell'autorità portuale di Taranto, uno studio circa l'analisi del sistema infrastrutturale/intermodale del porto di Taranto, nel contesto della portualità nazionale ed europea e del grado di efficienza e competitività delle infrastrutture portuali esistenti, commissionato alla società Pricewaterhouse Coopers Advisory Spa di Milano –:
   quali iniziative e con che modalità i Ministri interrogati intendano risolvere le problematiche evidenziate in premessa, ossia, l'instabilità lavorativa dei 563 addetti e il mancato utilizzo del molo polisettoriale;
   quali risultati abbia conseguito il presidente dell'autorità portuale di Taranto in veste di commissario straordinario;
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno verificare la possibilità di utilizzo di altri sporgenti o calate presenti nel porto di Taranto, come terminal container, al fine di salvaguardare immediatamente l'occupazione ed evitare ulteriori dragaggi;
   se siano mai stati effettuati studi e ricerche per stabilire quale sia, in percentuale, l'utilizzo effettivo dei moli del porto di Taranto ed in particolare del quarto sporgente;
   se siano state attuate tutte le operazioni di messa in sicurezza e bonifica previste dall'accordo del 26 aprile 2012, in particolare quelle riguardanti l'ex Yard Belleli e se, a seguito della dichiarata liquidazione della TCT, quest'ultima sarà comunque chiamata a rispondere della procedura relativa allo smaltimento dei fanghi proveniente dai dragaggi descritti in premessa;
   se Ilva e Cementir, che hanno in concessione gli sporgenti e le calate indicate in premessa, abbiano effettuato tutti i lavori di propria competenza stabiliti dalle concessioni e da tutti gli atti riguardanti le infrastrutture portuali che hanno in concessione, compresi i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere costruite nel rispetto delle prescrizioni, e se abbiano compiuto l'escavazione periodica degli specchi d'acqua antistanti le banchine;
   se, in merito alla gru spezzata e parzialmente giacente sui fondali nei pressi del IV sporgente, le attuali condizioni statiche della gru garantiscano le previste e corrette condizioni di sicurezza per l'ambiente marino e per i lavoratori e quali siano le azioni poste in essere affinché l'Ilva provveda velocemente alla rimozione della stessa gru e al ripristino delle iniziali condizioni degli specchi d'acqua al fine di tutelare la sicurezza della navigazione e dell'ambiente marino;
   se, al fine di garantire la trasparenza sulla gestione e le potenzialità del porto di Taranto, lo studio commissionato alla società Pricewaterhouse Coopers Advisory spa di Milano indicato in premessa, possa essere reso pubblico e quali siano i contenuti del medesimo. (5-06125)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   emerge dal recente documento «Opere pubbliche: criticità e prospettive nello scenario europeo» elaborato dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) e presentato il 12 giugno 2015 in occasione dei lavori di «Verso Venezia 2015», un continuo aumento delle spese per le varianti in corso d'opera, soprattutto in corrispondenza di ribassi eccessivi. In particolare, il richiamato studio evidenzia che maggiori ribassi in sede di offerta alimentano incrementi progressivi di costo, vanificando qualunque forma di risparmio e di gestione efficiente dell'opera;
   detti aspetti patologici deriverebbero dalla tipologia di appalto con cui l'opera viene affidata e realizzata, in ragione del sempre più frequente ricorso al cosiddetto appalto integrato ed al contraente generale generando un incremento dei costi in corso d'opera. Nel dettaglio, secondo lo studio, nel caso di opere concluse con appalto-integrato, l'incidenza del costo delle varianti sull'importo di aggiudicazione è stato del 118 per cento, a fronte di una media generale, tra le opere concluse pari al 106 per cento. Inoltre, l'appalto integrato si è rivelato spesso molto inefficiente fino a condurre al raddoppio dei costi preventivati in misura nettamente superiore a ciò che accade nel caso delle opere realizzate con appalti di sola esecuzione. Questi ultimi, tuttavia, rappresentano una quota minoritaria degli appalti come si nota in quelli della legge obiettivo che rappresentano appena il 13 per cento degli importi aggiudicati a fronte di oltre il 30 per cento delle assegnazioni effettuate con appalto integrato;
   allo stato, in una gara indetta con il criterio del prezzo più basso, la stazione appaltante non sottopone a valutazione la documentazione tecnica per comprovare la qualità del servizio o dei materiali adoperati, ma considera la sola offerta economica. In tal modo, si genera un meccanismo per cui il massimo ribasso è passato nel tempo da sistema in grado di affermare la più aperta competizione tra imprese sane ed organizzate a strumento di deviazione finanche per un agevole accesso alle gare da parte della criminalità organizzata;
   il descritto contesto finisce per incidere sul valore strategico assegnato dalle politiche pubbliche alla realizzazione di nuove infrastrutture dato che rispetto alla molteplicità di opere individuate nel programma varato con la legge obiettivo del 2001 risultano aggiudicati, secondo il detto studio, poco più del 50 per cento degli interventi programmati ed in più molte opere aggiudicate non sono state avviate o hanno accumulato ritardi;
   sul punto, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, oggetto di prossima attuazione, mira a sostituire il criterio del minor prezzo con quello della offerta economicamente più vantaggiosa, laddove il vantaggio economico tiene conto non solo del costo immediato ma dell'intero ciclo di vita del bene o servizio appaltato. Al considerando 90 si rinomina il citato criterio nel senso di incentivare una valutazione sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, effettuata anche sulla base di un approccio costo/efficacia, come ad esempio la determinazione dei costi del ciclo di vita. Ciclo di vita che comprende tutti i costi che emergono durante il ciclo di vita dei lavori, delle forniture o dei servizi;
   già il decreto legislativo 33 del 2013, all'articolo 23, impone specifici obblighi di pubblicazione, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», concernenti i provvedimenti amministrativi di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per ciascuno dei provvedimenti citati sono pubblicati il contenuto, l'oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento. La pubblicazione avviene nella forma di una scheda sintetica, prodotta automaticamente in sede di formazione del documento che contiene l'atto –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intervenire per affrontare le criticità descritte in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative intendano adottare per la migliore gestione dell'intervento pubblico al fine di limitare il ricorso all'appalto integrato e al contraente generale e incentivare il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa in luogo di quello del minor prezzo;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere iniziative volte a prevedere che la pubblicazione concernente i provvedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, di cui già all'articolo 23 del decreto legislativo 33 del 2013 specifichi l'ammontare delle varianti affinché le stesse possano essere oggetto di monitoraggio e controllo. (5-06126)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 94, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) sancisce che le funzioni relative alla cura e alla gestione degli albi provinciali degli autotrasportatori di cose per conto di terzi debbano essere svolte dagli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con le risorse umane disponibili a legislazione vigente ed inoltre stabilisce che entro sei mesi le funzioni sono trasferite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, comprese le relative risorse finanziarie da destinare al funzionamento degli uffici. Fino a tale data, le predette funzioni di cura e di gestione degli albi provinciali sono esercitate, in via transitoria, dalle province;
   in data 8 gennaio 2015 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pubblicato il 4 maggio 2015 nella Gazzetta Ufficiale n. 101, «Trasferimento di funzioni in materia di tenuta degli Albi provinciali degli autotrasportatori dalle province agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 1, comma 94, della legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità 2014)». Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri elenca le competenze degli uffici della motorizzazione civile, oltre alle attribuzioni già esercitate:
    a) ricevere e istruire le domande delle imprese per l'iscrizione nell'albo e decidere sul loro accoglimento;
    b) redigere l'elenco di tutti gli iscritti della provincia nell'albo, eseguire tutte le variazioni e curarne la pubblicazione;
    c) accertare se permangono i requisiti per l'iscrizione nell'albo;
    d) deliberare le sospensioni, le cancellazioni e i provvedimenti disciplinari previsti dalla normativa;
    e) curare l'osservanza, da parte dei propri iscritti, delle norme in materia di autotrasporto di cose per conto di terzi, ai fini dell'applicazione delle sanzioni disciplinari previste dalla legge;
    f) promuovere, nell'ambito locale, anche d'intesa con le associazioni della categoria, lo sviluppo e il miglioramento del settore dell'autotrasporto di cose;
    g) esercitare ogni altro ufficio ad essi delegato dal comitato centrale;
    h) curare la tenuta e l'aggiornamento del registro elettronico nazionale, sulla base delle disposizioni dettate dal dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   in data 23 aprile 2015 è stato siglato nella conferenza unificata Stato – città – autonomie locali l'accordo sull'applicazione dell'articolo 1, comma 94, della legge n. 147 del 2013, che tra l'altro, prevedeva per assicurare la continuità delle funzioni connesse alle gestione dell'albo, che per un periodo massimo di sei mesi dalla data di pubblicazione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le province e le città metropolitane attualmente competenti completino l'istruttoria delle istanze ricevute e dei procedimenti avviati fino al giorno precedente alla pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (4 maggio 2015) e trasmettano i dati e le informazioni concernenti i procedimenti avviati e curati, nel rispetto dei tempi procedimentali stabiliti da ogni amministrazione;
   a differenza di quanto stabilito nell'accordo 23 aprile 2015, in merito alla necessità di garantire un periodo di sei mesi di transizione dalla pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 maggio 2015, il trasferimento è stato attivato già il 4 maggio 2015, con la sospensione dei servizi e delle attività svolte sino ad allora dalle province;
   diverse segnalazioni hanno messo in evidenza molteplici difficoltà per gli autotrasportatori che attualmente non riuscirebbero ad effettuare operazione di iscrizione o variazione presso le motorizzazioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità espresse in premessa e quali iniziative intenda adottare per risolverle.
(5-06127)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN) è stabilito nel regolamento (UE) n. 1315 del 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE, in cui si individuano i progetti di interesse comune e si stabilisce quali sono le priorità per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti comprendente una struttura a doppio strato che consiste in una «rete globale» e in una «rete centrale» istituita sulla base della rete globale. L'aeroporto di Foggia, Gino Lisa, appartiene alla rete Globale della TEN-T;
   nell'anno 2011, la regione Puglia si è impegnata tramite l'utilizzo dei Fondi FAS, a stanziare 14 milioni di euro per l'allungamento della pista dell’«Aeroporto Gino Lisa» di Foggia. Nel giugno del 2012 la Commissione europea ha ritenuto opportuno contattare la regione Puglia per chiarire la coerenza dello stanziamento con le regole vigenti in materia di aiuti di Stato;
   in risposta alla comunicazione delle autorità italiane, avvenuta il 23 luglio 2014, il 3 settembre 2014 i servizi della Commissione hanno inviato a dette autorità una lettera in cui elencavano le informazioni mancanti, che sono tuttavia necessarie per valutare la compatibilità con il mercato interno, alla luce degli orientamenti del 2014 sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree. I finanziamenti pubblici previsti potranno essere sbloccati soltanto dopo che la Commissione si sarà pronunciata sulla compatibilità degli aiuti destinati all'aeroporto Gino-Lisa, purché risultino rispettate le altre disposizioni del diritto dell'Unione;
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 18 luglio 2015, si apprende che la regione Puglia abbia ricevuto una lettera dalla Commissione europea in cui la stessa vuole conoscere chi verserà la quota di spettanza privata per l'allungamento della pista dell'aeroporto di Foggia Gino Lisa per cui sembrerebbe che a fronte di questa richiesta, i 14 milioni di euro stanziati dalla regione Puglia si configurerebbero come «aiuti di Stato» e non potranno essere utilizzati interamente per le opere di allungamento della pista perché verrebbe decurtata una parte pari al 25 per cento dell'investimento –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di chiarire la situazione che si è venuta a creare. (5-06129)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Sicilia, e specie l'area dello stretto di Messina, sta subendo numerose difficoltà anche connesse all'erogazione del servizio di trasporto viaggiatori a fronte di sempre maggiori aumenti di costi per i traghetti. Eppure il diritto alla continuità territoriale, che si colloca nell'ambito della garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e della coesione di natura economica e sociale, dovrebbe garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti;
   nei territori richiamati il servizio attualmente è gestito in regime di sostanziale monopolio dalla «Caronte & Tourist SpA», nata dall'unione delle precedenti «Caronte SpA» e «Tourist Ferry Boats SpA»;
   opera anche la «Bluferries», quale società a cui RFI, in data 1o giugno 2012, ha conferito il ramo d'azienda «Navigazione traghettamento mezzi gommati e passeggeri, con e senza autoveicoli». Da tale data Bluferries è subentrata a RFI nell'offerta del servizio di traghettamento di linea di mezzi gommati (automezzi commerciali e autovetture) e passeggeri (con e senza auto al seguito) sulle rotte Messina (Porto)-Villa San Giovanni e Messina (Tremestieri)-Villa San Giovanni. Di conseguenza, con l'avvio dell'operatività di Bluferries, l'unica attività di RFI nel settore navigazione e il traghettamento di convogli ferroviari, mediante navi ferroviarie (marchio Bluvia) che operano dal porto di Messina al porto di Reggio Calabria al fine di dare continuità al servizio di rete anche nell'isola;
   altro soggetto operante è, infatti, proprio il marchio «Bluvia», con il quale la società RFI opera tramite navi ferroviarie monodirezionali, ma il suo ruolo risulta dunque marginale;
   altro soggetto ancora si occupa del servizio, Meridiano, quale società che presta il servizio di trasporto marittimo nello Stretto di Messina per mezzi gommati (automezzi commerciali e autovetture) e passeggeri, sulle rotte Reggio Calabria-Messina (Tremestieri) e Reggio Calabria-Messina (porto);
   si delinea di conseguenza che il mercato del trasporto marittimo nello stretto di Messina è caratterizzato da una domanda particolarmente rigida, in quanto esprime un bisogno di mobilità che non può essere soddisfatto altrimenti. Dal lato dell'offerta, infatti, accanto a C&T, principale operatore, e a RFI, ha fatto il suo ingresso nel mercato Meridiano, che oggi ha una presenza molto più ridotta in termini di approdi e frequenza delle corse;
   dopo l'ingresso di Meridiano c’è stata un'evoluzione degli assetti di mercato. In primo luogo è stato istituito il terminal Tremestieri (2006) dedicato al traffico merci e gestito da un'impresa comune a cui partecipano C&T, RFI e Meridiano. In secondo luogo, RFI, che prima operava solo con i traghetti a marchio Bluvia e prevalentemente per il traghettamento dei treni sullo stretto, è entrato nel mercato con la propria controllata Bluferries (2010), che opera sia tramite navi bidirezionali (traghettamento gommato e passeggeri) che mezzi veloci (questi ultimi nel trasporto di passeggeri) e, attraverso la partecipazione al Consorzio Metromare, ha acquisito una posizione crescente;
   pur in un contesto caratterizzato da una generale contrazione dei flussi di traffico, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2012 sono lievemente aumentate le quote di RFI e Meridiano nel segmento del trasporto di merci, ma emerge altresì che, nel contesto illustrato, si collocano i sostanziali aumenti tariffari praticati almeno nell'ultimo triennio dagli operatori, principalmente C&T e RFI. Tali aumenti, a quanto risulta all'interrogante, sarebbero stati introdotti con una certa frequenza e spesso in modo contestuale;
   ciò rischia, da un lato, di riverberarsi sulla qualità e sull'efficienza del servizio di trasporto e, dall'altro, di pregiudicare anche gli scambi intracomunitari, quando, sulla base di una serie di elementi oggettivi di diritto e di fatto, può esercitare un'influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti di scambio tra Stati membri, in una misura che potrebbe nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere al fine di garantire il diritto alla mobilità a prezzi sostenibili per tutti i cittadini e specie per i residenti nel territorio siciliano, costretti a dover far fronte allo svantaggio dell'insularità.
(5-06135)


   SOTTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nonostante la legge n. 56/14 di riforma delle province e di istituzione delle città metropolitane individui nel 2015 l'anno di attuazione della riforma, a luglio 2015 solo sei regioni hanno approvato una legge di riordino delle funzioni non fondamentali delle province;
   dall'analisi dei testi risulta che nessuna delle sei regioni ha previsto il passaggio del personale e dei relativi costi a partire dal 1o gennaio 2015; pertanto attualmente le funzioni continuano a restare in capo alle province, senza garantirne la totale corrispondente copertura finanziaria;
   la legge di stabilità per l'anno 2015 prevede minori trasferimenti alle province per 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016, 3 miliardi nel 2017 e secondo i dati Sose, la società del Governo che si occupa di stabilire i criteri di efficienza della spesa pubblica, a fronte di un fabbisogno per spesa corrente di 2 miliardi 360 milioni le province e le città metropolitane hanno a disposizione per i servizi essenziali delle funzioni fondamentali 2 miliardi 145 milioni, con una carenza di 215 milioni;
   secondo i dati forniti dall'Upi dal 2013 al 2015 gli investimenti per la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali sono crollati da 7.318 euro/Km a 2.170 euro/Km;
   in tutta Italia decine di migliaia di chilometri di strade provinciali sono lasciate all'abbandono e godono di scarsa o assente manutenzione, con inevitabili e gravi ripercussioni sulla viabilità e sulla sicurezza per gli automobilisti;
   ad aggravare la difficile situazione della rete viaria provinciale in molti territori hanno pesato, nel corso del 2014 e del 2015, eventi calamitosi e condizioni meteorologiche eccezionali che hanno ulteriormente compromesso lo stato delle strade provinciali con frane, smottamenti, interruzioni e gravi danni al tessuto stradale;
   la drastica riduzione dei fondi e il quadro incerto sugli investimenti e sul reperimento di fondi straordinari per la copertura delle funzioni fondamentali in capo alle province mettono a serio rischio per il 2015/2016 la manutenzione delle strade e lo sgombero neve e frane su di esse nel prossimo inverno;
   ad esempio, in Abruzzo le province gestiscono ad oggi una rete viaria di 6.500 chilometri, dei quali 1.500 trasferiti negli anni scorsi dall'Anas attraverso la regione e per i quali quest'ultima non eroga più fondi; nella sola regione Abruzzo, gli interventi per il dissesto idrogeologico relativi ai danni per gli eventi calamitosi 2015 ammonterebbero ad un totale di circa 100 milioni –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare per garantire un'efficiente manutenzione e una corretta gestione della rete viaria provinciale italiana e per far fronte alla carenza di investimenti per la sicurezza e la percorribilità delle strade provinciali, nonché se non ritenga opportuno il passaggio sotto la gestione dell'Anas di quelle strade provinciali che ne posseggano i requisiti. (5-06137)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1 del decreto legislativo 9 agosto 2007, n. 162, recepisce l'articolo 4, comma 1 della direttiva 2004/49/CE, che pone «l'obiettivo del mantenimento e, ove ragionevolmente praticabile, del costante miglioramento della sicurezza del sistema ferroviario italiano»;
   il 9 ottobre 2013 l'ANSF (Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie) ha pubblicato il «Rapporto annuale sulla sicurezza delle ferrovie italiane ricadenti nelle competenze dell'ANSF» dal quale si apprende che per alcune gallerie ferroviarie vi sia una generale mancanza dell'analisi dei rischi e dei piani generali di emergenza;
   le autorità locali competenti per la stesura dei piani di emergenza e soccorso (PES) sono i prefetti, già sollecitati dal Ministero dell'interno per adottare ogni possibile iniziativa volta, da un lato, a sensibilizzare le autorità governative territoriali in merito e, dall'altro, a fornire indicazioni tecniche alle strutture territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiamate a pronunciarsi sulle questioni riguardanti le tratte ferroviarie di competenza. Con apposite circolari, lo stesso Ministero ha invitato i prefetti a dare ulteriore massimo impulso alla definizione delle pianificazioni in argomento, con il coinvolgimento delle altre strutture territoriali competenti e del gestore della rete ferroviaria. Il dipartimento dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico ha sensibilizzato tutte le strutture territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco al fine di fornire ogni possibile forma di supporto, assistenza e informazione alle prefetture impegnate nella redazione delle predette pianificazioni;
   nel corso del 2013 l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ha svolto attività ispettiva su delle gallerie ferroviarie, alcune delle quali risultate allora tutte prive del piano di emergenza e soccorso, mancanza che, a quanto consta all'interrogante, tuttora perdura per due gallerie sulla linea ferroviaria Bari-Taranto: – galleria Madonna del Carmine; – galleria Santa Croce –:
   quale sia la prefettura territorialmente responsabile dell'adozione dei piani di emergenza e soccorso per le gallerie in questione;
   a fronte di un ritardo che perdura da almeno 2 anni, quali siano le motivazioni ostative dell'adozione dei piani di emergenza e soccorso per le suddette gallerie e quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché i prefetti territorialmente competenti adeguino finalmente i piani di emergenza e soccorso (PES). (5-06143)


   MOGNATO, NARDUOLO, CAMANI, ZARDINI, NACCARATO, MURER e GINATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto in data 20 luglio 2015 lo sciopero nazionale dei lavoratori dipendenti diretti e indiretti (driver e facchinaggio) del vettore TNT;
   lo sciopero, indetto unitariamente dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, è stato indetto per protestare contro la scelta unilaterale della proprietà di avviare le procedure di licenziamento per 239 persone nelle diverse sedi nazionali del vettore, di cui 18 in Veneto nelle filiali di Padova, Verona, Vicenza e Venezia;
   la partecipazione allo sciopero ha avuto dei lavoratori dipendenti è stata molto alta;
   le organizzazioni sindacali avevano chiesto di sospendere le procedure di licenziamento per avviare un confronto e impegnare l'azienda a presentare un piano industriale per il rilancio produttivo e occupazionale;
   solo due anni fa TNT spa aveva chiuso 31 filiali in Italia (in Veneto Belluno e Rovigo) annunciando un piano di rilancio con un piano industriale mirato essenzialmente alla piena redditività aziendale;
   le attuali procedure di licenziamento appaiono agli interroganti funzionali non tanto a logiche di rilancio industriale, quanto a garantire lo snellimento ulteriore dell'azienda nella prospettiva dell'incorporazione in FedEx spa;
   non è accettabile considerare le filiali italiane di TNT spa come «pesi», facendo pagare a queste ultime le scelte di gestione di questi ultimi anni –:
   se il Governo intenda attivarsi affinché TNT spa ritiri la procedura di licenziamento e sia istituito immediatamente un tavolo di confronto tra l'azienda e le organizzazioni sindacali per la definizione di un serio e credibile piano industriale di rilancio delle attività delle filiali italiane. (5-06144)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2015 un incendio ha interessato la tratta ferroviaria Potenza-Metaponto nel tratto compreso tra le stazioni di Garaguso-Grassano e Salandra;
   tale incendio ha determinato la interruzione della circolazione dei treni lungo la tratta, tra cui anche l'Intercity Taranto-Roma, che ha accumulato un ritardo di circa 120 minuti creando non pochi disagi ai viaggiatori;
   non è purtroppo la prima volta che nel corso della stagione estiva incendi interessano la vegetazione in prossimità della tratta ferroviaria in questione;
   sarebbe opportuno attivare un maggiore controllo del territorio in prossimità della infrastruttura anche per prevenire simili disagi;
   si potrebbero usare le stazioni dismesse lungo la tratta come presidi per volontari e associazioni e per progetti di pubblica utilità finalizzati a prevenire il rischio di incendi;
   ci sono tanti lavoratori appartenenti al bacino della ex mobilità in deroga che potrebbero essere coinvolti da specifici progetti, d'intesa con regione, enti locali e RFI, per prevenire situazioni come quella verificatasi in occasione dell'incendio citato in premessa –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per verificare la possibilità di attivare un progetto sperimentale, d'intesa con regione, enti locali ed RFI, per l'utilizzo delle stazioni dismesse come presidi antincendio e di impiegare nello stesso progetto lavoratori fuoriusciti dai meccanismi di tutela degli ammortizzatori sociali, al fine di monitorare la tratta ferroviaria e metterla in sicurezza rispetto al rischio di incendi. (5-06145)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende che, a seguito dell'inaugurazione di 6 stazioni sulla metropolitana linea C di Roma, il Ministro Delrio ha fatto intendere che si dovranno trovare delle nuove modalità per andare avanti con la costruzione della «Metro C» che facciano risparmiare tempi e costi, utilizzando anche risorse private e contestualmente, ammettendo che le risorse pubbliche sono ancora da trovare;
   dall'articolo di stampa «La metro C si allunga. Ma salta il contratto» pubblicato sul giornale «il Tempo», si apprende che il modello utilizzato per la costruzione dell'opera in oggetto è quello del «contraente generale» con un Consorzio che riceve la commessa e che a sua volta l'appalta ad altre ditte che poi subappaltano i lavori specifici. Secondo la fonte stampa, questa modalità ha fatto incrementare i costi che in otto anni dalla posa della prima pietra avrebbe generato 555 milioni di euro di extracosti derivanti da contenziosi per 45 riserve, per un'opera che a fronte dei 2,9 miliardi di euro di costo totale, ad oggi è costata invece 3,9 miliardi euro con investimenti spesi al 70 per cento dal Governo, al 18 per cento al comune di Roma e al 12 per cento dalla regione Lazio;
   sempre dalle stesse fonti stampa si apprende che proseguono i contenziosi, in quanto il Consorzio sarebbe in attesa del pagamento di 200 milioni di euro rispetto alle fatture dovute dal comune di Roma che contestualmente contesta alle ditte, penali per oltre 35 milioni a causa dei ritardi nei lavori;
   il Ministro Delrio avrebbe dichiarato che i fondi pubblici si potrebbero ottenere attraverso il meccanismo per collegare l'Europa (CEF), fondi che recentemente l'Europa ha stanziato per l'Italia al fine di finanziare parzialmente diverse opere legate alle reti TEN-T, ma in realtà gli stessi fondi appena stanziati non sono destinati alla Metro C;
   da fonti stampa si apprende altresì che l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha inviato alla Corte dei conti un dossier di 44 pagine in cui viene criticato il progetto della Metropolitana C di Roma le cui vicende hanno fatto sì che i cantieri si protraessero a lungo facendo lievitare notevolmente i costi, tanto da mettere in dubbio il futuro stesso dei lavori. Inoltre, nel suddetto dossier l'ANAC scriverebbe che: «si ritiene che l'operato di Roma Metropolitane non sia coerente con i principi di trasparenza ed efficienza per aver messo a gara un progetto di tale rilevanza in carenza di adeguate indagini preventive per una parte molto estesa del tracciato e senza tenere in debito conto i pareri espressi dalla Soprintendenza archeologica. Secondo l'ANAC tutte le modifiche introdotte nel contratto di appalto «appaiono a vantaggio del Contraente generale (il Consorzio Metro C)», come per esempio la scelta di accelerare il completamento delle stazioni meno complesse, come quelle di superficie, rispetto a quelle della tratta prioritaria;
   nelle fonti di stampa si segnala tra l'altro, che la Corte dei Conti, giudicò nel 2014 la Metropolitana C di Roma come «irrazionale e antieconomica» per via delle scelte tecniche e progettuali «contrarie alle pratiche costruttive», con un danno erariale stimato di quasi 400 milioni di euro –:
   quali siano le modalità con cui il Ministro intenda garantire la prosecuzione della costruzione dell'opera e quali saranno i meccanismi di finanziamento per affrontare il completamento della stessa;
   sulla base di quali elementi oggettivi il Ministro abbia reso le dichiarazioni di cui in premessa;
   se il Governo sia a conoscenza delle criticità di cui in premessa e quali iniziative di propria competenza intenda adottare al riguardo. (5-06149)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada dei Parchi Pescara-Roma non ha un adeguato servizio di assistenza per i carburanti e la sosta degli utenti;
   si è promesso ripetutamente di costruire una stazione di servizio nella Valle Peligna, nei pressi del casello di Pratola Peligna-Sulmona, a metà tra Pescara e Avezzano, ma a distanza di anni e anni non si è realizzato niente;
   ora la situazione si è ulteriormente aggravata per la chiusura della stazione di servizio di Chieti (direzione Roma), ormai da molti mesi;
   si è così creata una inedita e inaccettabile situazione nella quale per oltre cento chilometri non esiste nessuna stazione di servizio sull'Autostrada dei Parchi dal raccordo con l'autostrada adriatica sino a Magliano dei Marsi;
   ciò naturalmente provoca disagi agli utenti dell'autostrada ingiustificati anche rispetto ai pedaggi consistenti che vengono pagati senza poter disporre di un servizio di assistenza accettabile –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti della società concessionaria dell'Autostrada dei Parchi per risolvere tale incresciosa situazione. (4-09925)


   PALMIZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   su alcuni mezzi ferroviari di Trenitalia, che transitano lungo la tratta della regione Emilia Romagna, si stanno registrando numerosi problemi tecnici inerenti al funzionamento degli impianti di condizionamento;
   nell'arco di pochi giorni, vi sono stati, infatti, diversi malfunzionamenti. Tra questi, si segnala che il treno regionale veloce Bologna-Ancona delle 14:35 è rimasto bloccato circa 40 minuti per problemi sulla linea senza aria condizionata; il regionale 6489 delle 20:00 in partenza da Bologna è rimasto in avaria per 30 minuti, anche questo senza aria condizionata, tanto che alcuni passeggeri sono stati colpiti da malori; infine, il regionale veloce Milano-Bologna, il 15 luglio, si è riempito di fumo dai finestrini abbassati, per contemporanee avarie a freni e aria condizionata;
   il 19 luglio 2015, il Frecciabianca 9811 Milano-Lecce, delle ore 13:15, è rimasto fermo per oltre 2 ore nella campagna tra Anzola dell'Emilia e la stazione di Lavino con l'aria condizionata fuori uso. Il treno che aveva già registrato 15 minuti di ritardo per un guasto tecnico ha arrestato la sua corsa, intorno alle ore 14:00, in una zona completamente desolata, in cui non si poteva né scendere né aprire le porte per il rischio di essere investiti;
   considerate le elevate temperature registrate negli ultimi giorni in tutte le regioni d'Italia, molti bambini e anziani che erano a bordo hanno accusato forti malori per il troppo caldo essendo costretti a restare bloccati sul treno. Solo con l'intervento della polizia, dei carabinieri e dei vigili del fuoco è stato consentito ai passeggeri di scendere sui binari in attesa che si effettuassero gli interventi necessari;
   un locomotore sostitutivo, partito da Bologna, ha poi raggiunto il Frecciabianca per portarlo prima a Lavino, dove è rimasto fermo per consentire attività di assistenza ai passeggeri, e poi a Bologna per verificare nuovamente le condizioni dei passeggeri. La situazione è poi tornata alla normalità intorno alle 17:00, quindi dopo quattro ore dalla partenza, quando il treno è ripartito alla volta di Lecce;
   secondo Trenitalia l'aria condizionata non era funzionante, già al momento della partenza, in quattro carrozze su nove, poiché gli impianti andrebbero in blocco a causa delle temperature troppo alte causando quindi gravi disagi ai passeggeri che non erano stati neppure avvertiti, al momento di salire sul medesimo, della situazione di difficoltà;
   la Uil Trasporti Emilia-Romagna, con l'occasione, ha sostenuto che il lavoro di manutenzione delle carrozze che di norma ogni anno si svolge tra febbraio e aprile, questa volta non è stato fatto nel modo e con le tempistiche giuste. Inoltre, c’è stato un cambio di appalto da una società a un'altra, e per diverse questioni burocratiche vi sono stati dei ritardi che ora stanno causando notevoli problematiche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative affinché Trenitalia ponga in essere un sistema di vigilanza sui convogli ferroviari, prevenendo guasti e avarie, e quali azioni intenda promuovere al fine di garantire ai cittadini un servizio di qualità salvaguardando e tutelando il diritto alla mobilità. (4-09927)


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il «diritto alla mobilità», sancito dalla Costituzione viene palesemente e ormai sistematicamente violato in Calabria, regione che si trova in una situazione di sempre più pronunciato isolamento, dato il più volte segnalato ridimensionamento della rete di trasporti che dovrebbe collegare il territorio al resto d'Italia e d'Europa;
   ma non è solo il trasporto pubblico, che dovrebbe essere interesse generale garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro posizionamento geografico sul territorio nazionale secondo il principio di uguaglianza, ad essere limitato in Calabria: l'interruzione, che si protrae ormai da mesi, della circolazione su un lungo tratto dell'autostrada A3 compreso tra gli svincoli di Mormanno e Laino Borgo, sta portando al grave rischio di provocare un ulteriore arretramento del territorio con aumento della disoccupazione;
   lo stesso presidente della regione Mario Oliverio ha riconosciuto infatti, il 24 giugno 2015, a margine di un incontro col Ministro interrogato, che «il danno di un vorticoso calo dell'economia turistica andrebbe senz'altro ad incidere sensibilmente sul Pil regionale, sulla media reddituale e sull'occupazione»;
   tra l'altro, anche i sindacati hanno rilanciato più di recente l'allarme: la Cgil calabrese ha ricordato l'8 luglio 2015 che «sono a rischio migliaia di posti di lavoro fra il settore turistico, Autogrill, comparto agricolo senza considerare le possibili ripercussioni per gli stessi lavoratori del cantiere in esecuzione»;
   com’è noto i lavori sul tratto autostradale erano interrotti dal 2 marzo 2015, data in cui perse la vita Miholca Adrian, un operaio dell'impresa Nitrex, precipitando nel vuoto durante i lavori per la demolizione del Viadotto Italia che è uno dei più alti d'Europa;
   l'11 luglio 2015 gli artificieri hanno fatto brillare le quattro campate del viadotto e l'Anas ha così potuto iniziare i lavori per il ripristino sulla corsia nord, aprendo un tratto a senso unico alternato;
   la demolizione delle campate sulla carreggiata sud dell'autostrada, già indebolite e di cui era prevista la demolizione, dovrebbe essere propedeutica alle prove di stabilità sulla carreggiata opposta, che potrebbe quindi essere riaperta successivamente al termine dei lavori, previo dissequestro della struttura: i tempi previsti, secondo quanto dichiarato dall'Anas, dovrebbero essere fissati alla prima settimana di agosto 2015;
   nel frattempo la situazione del trasporto stradale è già stata messa a dura prova: nella giornata del 19 luglio 2015 la deviazione tra Mormanno e Laino Borgo sulle provinciali 134, 241 e 133 ha visto un incidente mortale che ha portato al blocco della carreggiata con la conseguente paralisi del traffico veicolare e disservizi generalizzati;
   in piena stagione turistica questo tipo di situazioni sta causando danni incalcolabili;
   il Ministro Graziano Del Rio, in un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati, il 17 giugno 2015, faceva le seguenti affermazioni: «ho assunto degli specifici impegni circa il finanziamento anche della viabilità alternativa. Nel piano pluriennale Anas abbiamo stanziato 27 milioni di euro per potere modificare la viabilità alternativa. È in corso di studio avanzato il tavolo per rendere di nuovo nazionale la strada statale 19 che si trova in uno stato di abbandono e che pure potrebbe rappresentare un'alternativa, così come stiamo valutando la possibilità di trasferire merci, come sa, su treno e su nave per evitare i disagi dovuti al trasporto con automezzi su gomma»;
   il Ministro continuava facendo presente «che l'impegno del Governo a favore della strada nazionale calabrese prevede 890 milioni di euro per la messa in sicurezza, come lei sa, del tracciato storico della Jonica, 610 milioni per i due macrolotti della nuova autostrada, 2 miliardi 300 milioni per il completamento della Salerno-Reggio Calabria, nonché oltre 335 milioni per il completamento dell'itinerario della strada statale 182 “Trasversale delle Serre”, perché conosciamo appunto la grave situazione viabilistica della Calabria» –:
   se verrà rispettato il termine della prima settimana di agosto 2015 per la riapertura a senso unico alternato al traffico automobilistico della carreggiata nord del Viadotto Italia;
   se siano stati impegnati e in che modo i 27 milioni di euro per potere modificare la viabilità alternativa rispetto al tratto dell'A3 attualmente chiuso tra Mormanno e Laino Borgo, indicati dal Ministro Graziano Del Rio nella risposta ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati, il 17 giugno 2015;
    quali siano le tempistiche attese per la messa in sicurezza del tracciato storico della Strada statale Jonica, e per il completamento dell'itinerario della strada statale 182 «Trasversale delle Serre».
(4-09934)


   DELL'ORCO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il mese di luglio 2015 è stato caratterizzato da un drastico peggioramento della Capitale che ha prodotto gravi disagi per gli utenti del servizio anche sull'ordine pubblico;
   i predetti disagi si sono manifestati attraverso la soppressione di numerosi treni, il conseguente rallentamento del servizio, le lunghe attese dei passeggeri sulle banchine dunque oggetto di sovraffollamento, il mancato funzionamento dei servizi di condizionamento all'interno dei convogli, con particolare riferimento alle linee A e B della metropolitana di Roma, sulla Ferrovia Roma – Lido, sulla linea Roma – Viterbo;
   gli effetti di suddetti disagi sono stati acuiti dalle elevate temperature e dall'aumento della domanda di mobilità dovuta al consistente afflusso di turisti nella capitale, costringendo gli utenti a muoversi con grandi difficoltà in condizioni indecorose, ai limiti della sopportazione umana così come testimoniato anche dai numerosi casi di malori che hanno richiesto l'intervento degli operatori del 118;
   ad avviso dell'Azienda di trasporto pubblico romano, Atac spa, la causa di tali disservizi andrebbe ascritta a responsabilità individuali da parte dei macchinisti a seguito dell'avvio del sistema automatico di rilevazione delle presenze e all'incremento delle ore di guida decise dall'azienda;
   analoghe responsabilità sarebbero state individuate anche dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, che ha denunciato lo sciopero bianco messo in atto dai macchinisti e la volontà da parte del 40 per cento di questi ultimi di non timbrare il cartellino, chiedendo ad Atac di avviare un'indagine interna per accertare responsabilità individuali;
   di contro, i dipendenti Atac, in una lettera alla cittadinanza, accusano il sindaco Marino e i dirigenti della società di essere fautori di processi sommari contro i macchinisti, asserendo che la causa dei disservizi è da rinvenire non in scioperi bianchi o in proteste in atto, bensì nella decisione unilaterale di riorganizzare il servizio rendendo pressoché impossibile la copertura dello stesso se non tramite il ricorso a straordinari, anche alla luce della carenza di organico soprattutto ai livelli operativi;
   sempre nella lettera firmata dai lavoratori Atac della Roma Lido si legge che: «malgrado il cambio di giunta comunale, molti dei personaggi che risultano indagati o rinviati a giudizio a causa dello scandalo, rimangono al posto che occupavano anche con Alemanno. A questo bisogna aggiungere il pessimo stato dei treni in servizio sulla nostra ferrovia, materiali già usurati da decenni di servizio su altre linee o addirittura mai utilizzati vista la loro inaffidabilità e ulteriormente messi alla prova da una manutenzione ritenuta secondaria rispetto alla metro B. Questi fattori, uniti alla scarsità di ricambi e alla carenza d'organico anche nei reparti manutentivi fanno sì che col passare del tempo, la flotta della Lido diventi sempre più inaffidabile e che la responsabilità della sicurezza venga affidata solo al personale di bordo. Il peggioramento del servizio, giunto in questi ultimi giorni quasi al blocco totale, è frutto quindi del pessimo stato dei materiali rotabili e dell'impossibilità di coprire i turni oltre l'ordinario ... La pessima gestione dei mezzi e delle risorse, lo scandalo degli stipendi d'oro, gli appalti truccati, la bigliettazione fasulla non possono essere addebitati ai macchinisti, capotreni, capistazione, agenti di stazione, operai e dirigenti locali...»;
   a latere delle posizioni delle parti, i dati relativi al disservizio sono di oggettiva gravità. Rispetto al mese precedente, nel solo mese di luglio, durante le manovre di manovre di prova, sarebbero stati dichiarati guasti da parte dei macchinisti, e dunque scartati per malfunzionamenti, il triplo dei convogli. Rispetto ai dati di luglio 2014 il dato è ancora più significativo visto che il numero di convogli rimandati in rimessa e dunque di corse soppresse risulta quadruplicato;
   a riprova della gravità della situazione e delle condizioni inaccettabili cui sono costretti i viaggiatori, Atac spa ha inteso introdurre il divieto di effettuare riprese o scattare foto lungo le banchine e a bordo dei convogli, quasi a riprova della volontà dell'azienda di nascondere quanto sta avvenendo e impedire la realizzazione di una documentazione sembrerebbe nel vago tentativo di impedire il costituirsi di una memoria storica e di una prova visiva della drammatica situazione;
   in data 30 giugno 2015 l'amministratore delegato di Atac spa ha dichiarato che nel 2014 l'azienda ha chiuso con una perdita pari a 141 milioni di euro, confermando il fallimentare piano industriale e la necessità di ottenere ulteriori finanziamenti da parte del comune di Roma che però non risulterebbero, ad oggi, essere stati inseriti nel bilancio comunale;
   non risulta agli interroganti essere stato predisposto da parte dell'azienda un piano industriale che miri a garantire l'economicità e l'efficienza nella gestione oltre che un risanamento. Il piano presentato per il 2015 prospetta una perdita tendenziale di ulteriori 100 milioni di euro;
   in occasione del Giubileo straordinario indetto dal Papa, la città sarà chiamata, a partire dal mese di dicembre, fino a novembre 2016, ad accogliere e quindi garantire una, dignitosa mobilità a milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo che ovviamente utilizzeranno principalmente i servizi di trasporto pubblici –:
   se il Governo, stante quanto in premessa, e nell'ambito delle proprie competenze, non reputi assolutamente necessario procedere ad approfondite verifiche in ordine alle cause che hanno determinato il grave disservizio che ha interessato la mobilità capitolina, al fine di evitare il ripetersi di analoghi fenomeni, oltre che procedere ad una verifica della situazione economica dell'Atac, anche in vista del prossimo giubileo e in considerazione degli ingenti trasferimenti da parte dello Stato a Roma Capitale in favore, anche, del trasporto pubblico locale. (4-09937)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa dell'8 giugno 2015, Trenitalia ha notificato agli utenti le nuove regole relative all'abbonamento per i treni AV Frecciarossa e Frecciargento, in vigore a partire dal primo di luglio 2015;
   nel comunicato, è stata annunciata l'obbligatorietà della prenotazione del posto sul treno scelto e la gratuità della prenotazione del viaggio di andata e ritorno degli abbonati, con possibilità di modificare le prenotazioni, nonché l'applicazione di una mora di 8 euro per i contravventori;
   si apprende che, durante un'intervista in merito a dei disordini scoppiati sulla tratta Torino-Milano, pubblicata il 27 giugno su La Stampa di Torino, il direttore della divisione lunga percorrenza di Trenitalia, Gianfranco Battisti, alla domanda in merito alle nuove regole, abbia motivato la scelta di modificare le condizioni dell'abbonamento AV con la necessità di adeguamento agli standard di concorrenza e redditività del business;
   sempre dall'intervista, si apprende che sia stato contestato al direttore un aumento del prezzo dell'abbonamento non giustificato dal miglioramento del servizio, che risulterebbe, invece, peggiorativo per via della insufficienza dei posti da prenotare sui treni utilizzati dai pendolari nelle ore di punta;
   numerose sono state le lettere di protesta inviate a Trenitalia direttamente dagli interessati per manifestare il disagio che tale nuove regole creano;
   sul blog change.org è stata lanciata una petizione per chiedere di «eliminare l'obbligo di prenotazione per gli abbonati Alta Velocità». La petizione è motivata dal fatto che i pendolari dell'alta velocità, dovendosi recare a lavoro in determinati orari ed essendo vincolati alla prenotazione dei posti, che sono limitati, rischiano di non poter viaggiare in alcuni orari e di non raggiungere i luoghi di lavoro in tempo;
   da un articolo del 16 luglio 2015 pubblicato su La Stampa si legge che Trenitalia abbia rivisto l'obbligo di prenotazione fino a settembre, permettendo, quindi, agli abbonati di viaggiare anche senza prenotazione e senza incorrere in sanzione;
   dallo stesso articolo si apprende che Trenitalia, per venire incontro alle richieste degli abbonati, stia considerando di avviare le procedure per le «prenotazioni multiple», con cui sarebbe possibile prenotare il posto per l'intero mese di abbonamento, e, in contemporanea, stia valutando di realizzare un «abbonamento multiplo», che consenta l'accesso indifferenziato sia ai treni freccia rossa che Italo –:
   quali siano le reali strategie poste in essere da Trenitalia per venire incontro alle difficoltà dei pendolari abbonati all'alta velocità;
   se non intenda assumere iniziative per potenziare il servizio per la fascia oraria maggiormente frequentate da abbonati all'alta velocità aumentando i posti prenotabili o in alternativa incrementando le corse. (4-09954)


   SEGONI, ARTINI, MUCCI, BALDASSARRE, BARBANTI, RIZZETTO, PRODANI, TURCO e BECHIS. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   importanti criticità sulle tratte ferroviarie toscane si sono registrate a partire dall'11 luglio 2015, con particolare riferimento alla linea direttissima Firenze-Roma
   le situazioni più gravi si sono verificate il 15 e 16 luglio. Il 15 luglio, come riporta l'assessore regionale Vincenzo Ceccarelli, si è verificata «l'emergenza per un incendio provocato dal passaggio di un treno merci estero, secondo quanto comunicato da Trenitalia, con ripercussioni su ben 73 treni regionali e no. Il 16 luglio «nella tratta Rovezzano-Campo di Marte, l'abbattimento della linea aerea di contatto»;
   inoltre in vari punti della rete ferroviaria si sono verificati incendi divampati a causa delle sterpaglie limitrofe ai binari, come specificato nella nota del 16 luglio di Rfi: «Due incendi sviluppatisi in aree adiacenti alle linee ferroviarie, uno nei pressi di Arezzo e l'altro nei pressi della Galleria di San Donato, alle porte di Firenze, hanno costretto a numerose deviazioni mentre nella stazione di Firenze Campo di Marte erano in corso i lavori di ripristino della linea di alimentazione dei treni per un precedente guasto»;
   secondo Rfi «la concomitanza degli eventi ha amplificato gli effetti delle anormalità. RFI comunica che già ad aprile aveva chiesto, tramite le Prefetture, la rimozione di alberi, sterpaglie, erbacce e rami secchi nelle aree adiacenti le sedi ferroviarie. Operazioni da effettuare a cura dei proprietari, privati o Enti. Richiesta motivata per diminuire i rischi di incendi, soprattutto nei mesi di alte temperature, che determinano pesanti ripercussioni sulla circolazione ferroviaria (rallentamenti o sospensioni del traffico) per le operazioni di spegnimento. Il traffico ferroviario ha registrato ritardi medi di 80 minuti sia verso Nord sia verso Sud»;
   gli utenti hanno denunciato con insistenza situazioni di profondi disagi con ritardi consistenti e mal comunicati, mancanza di aria condizionata in molte carrozze, e convogli soppressi anche per mancanza di personale. Inoltre, le situazioni di estrema criticità hanno palesato la mancanza di un piano organizzativo per la gestione dell'emergenza, da parte di Trenitalia e Rfi;
   secondo l'assessore regionale Vincenzo Ceccarelli «è evidente che ci sono gravi carenze in una quota parte del materiale rotabile che Trenitalia utilizza per i servizi, con particolare riferimento ai treni che provengono dall'Umbria e che non sono di nostra competenza. Per questo continuiamo a chiedere ai gestori che spieghino pubblicamente quanto sta accadendo e che producano uno sforzo straordinario per porre rimedio alla situazione creatasi e attendiamo chiarimenti inequivoci e rassicurazioni dagli organi competenti» –:
   se intenda chiarire dettagliatamente le cause che hanno determinato i disservizi sopramenzionati;
   quali siano le azioni che il Ministro intende intraprendere e ha intrapreso nei confronti di Rfi e Trenitalia per garantire il servizio pubblico e far fronte alle emergenze;
   se intenda specificare le misure intraprese e i fondi stanziati dai gestori per la manutenzione della rete toscana, con riferimento anche alla manutenzione esterna ai binari (specificando le competenze di Rfi ed enti locali) e al materiale rotabile;
   quali siano le azioni che intende intraprendere per tutelare gli utenti a seguito dei gravi disservizi che si sono verificati sulla rete;
   se non reputi opportuno, vista la situazione di profonda criticità, assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché venga riconosciuto «un bonus speciale» come risarcimento per i pendolari del Valdarno, come richiesto dal Comitato Pendolari Valdarno Direttissima. (4-09970)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI e AMENDOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 luglio 2015 nel corso della trasmissione «47.35. Parallelo Italia» condotta da Gianni Riotta, in diretta televisiva da Napoli, su rai3, è andata in onda, visto da centinaia di migliaia di cittadini, un episodio di assoluta intolleranza;
   la trasmissione di approfondimento politico in diretta da piazza Municipio di Napoli ha visto la presenza di alcuni gruppi di contestatori che per tutta la serata hanno inscenato azioni di protesta;
   la sicurezza ha bloccato anche un manifestante che voleva salire sul palco e cori e contestazioni hanno fatto da sottofondo a buona parte della trasmissione;
   la situazione è poi degenerata durante l'esibizione della cantante Malyka Ayane quando sono stati lanciati degli oggetti tra cui una bottiglia verso il palco inducendo la cantante ad interrompere la propria performance;
   si è in presenza di un episodio di intolleranza molto grave che non ha consentito che si potesse svolgere in maniera normale una trasmissione televisiva del servizio pubblico –:
   se le autorità preposte fossero a conoscenza di possibili situazioni di pericolo per la location individuata e quali misure fossero state adottate per prevenire situazioni che poi si sono verificate, nonché se e cosa non abbia funzionato; poiché potrebbe scattare un meccanismo emulativo, quali iniziative di competenza intenda adottare per scongiurare il ripetersi di simili episodi che arrecano non pochi danni all'immagine del Paese nonché al sereno svolgimento di trasmissioni che hanno come obiettivo quello di informare l'opinione pubblica. (3-01636)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   FIANO, MARIANI e FERRARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le cronache di questi giorni, con una serie di episodi dal rilevante impatto sulla opinione pubblica, stanno sollevando la questione «sicurezza» lungo le tratte ferroviarie;
   aggressioni, scippi, atti di violenza, ai danni di passeggeri e del personale viaggiante sui treni rappresentano un problema reale lungo la rete ferroviaria nazionale;
   tra gli episodi più recenti ed eclatanti, che hanno destato allarme e preoccupazione, va senz'altro ricordata in questa sede l'aggressione e violenza sessuale subita da una ragazza di vent'anni su un treno regionale, in pieno giorno, sulla tratta tra Livorno e Pisa;
   così come altrettanto grave e cruento è stato, qualche giorno prima, l'episodio avvenuto l'11 giugno 2015 ai danni di un capotreno, di un treno del servizio Trenord, in una tratta nella periferia nordovest di Milano, quando a bordo di un treno che arrivava dall'Expo ed era destinato a Rogoredo, è stato aggredito da una gang con un machete, subendo la quasi amputazione di un braccio;
   non c’è dubbio infatti che lo stesso personale in servizio sui treni, magari nell'atto di compiere la verifica dei titoli di viaggio, si trova spesso esposto ad aggressioni da parte di persone che senza controllo o titolo di viaggio accedono alle carrozze dei treni;
   secondo i dati resi noti da Ferrovie dello Stato italiane, dall'inizio dell'anno ad oggi, sono state oltre 140 le aggressioni subite dal personale in servizio;
   le regioni maggiormente a rischio sarebbero Lombardia, Campania, Toscana, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna e, le stesse Ferrovie, hanno stilato una sorta di «lista nera» che comprende una quindicina di tratte ad altissimo rischio, sulle quali hanno esplicitamente richiesto un rafforzamento del personale di polizia, ponendola come condizione per la continuazione del servizio;
   la questione della sicurezza non riguarda solo i convogli ma anche alcune stazioni ferroviarie, laddove criminalità locale e straniera, prostituzione, e situazioni di degrado, finiscono per condizionare fortemente la vita del personale in servizio sui treni e dei viaggiatori –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, al fine di evitare il verificarsi di un'ulteriore degenerazione della situazione, per garantire un livello adeguato di sicurezza, e di conseguente efficienza, sia ai cittadini che viaggiano sui treni, sia a tutti gli operatori delle reti ferroviarie, anche prevedendo, d'intesa con gli altri Ministri competenti, l'adozione di un piano straordinario per la sicurezza lungo le tratte e le stazioni ferroviarie, in particolare quelle più specificatamente a rischio del nostro Paese. (5-06115)


   QUARANTA, MARCON e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 17 luglio 2015, presso la prefettura di Treviso, si svolgeva una manifestazione pacifica, organizzata da alcuni comitati ed associazioni di cittadini, contro le violenze che il giorno precedente erano state perpetrate da parte di gruppi neofascisti riconducibili all'organizzazione Forza Nuova nei confronti di alcuni migranti e delle strutture di accoglienza che ad essi erano state destinate;
   senza usare alcuna forma di violenza né incontrare resistenze, i manifestanti sono entrati nell'atrio della prefettura per poi sedersi a terra in forma di protesta pacifica e non-violenta;
   senza alcun preavviso nei confronti dei manifestanti – i quali avevano invece richiesto un'interlocuzione con i dirigenti della Digos presenti – è stata fatta intervenire la squadra celere, in tenuta antisommossa (guidata dal questore Tommaso Cacciapaglia in persona) – che ha caricato e malmenato con l'ausilio di scudi e manganelli, i giovani manifestanti, molti dei quali minorenni, e alcuni giornalisti presenti;
   dei circa 60 manifestanti presenti – nessuno dei quali ha mai assunto, durante tutto lo svolgimento dell'azione, atteggiamenti violenti o comunque diversi dalla resistenza passiva – almeno 37 persone sono state fermate e arrestate, ivi compreso, a quanto consta agli interroganti, un numero ancora ignoto di minori;
   come riferito da notizie stampa, il prefetto di Treviso sarà rimosso dall'incarico al prossimo Consiglio dei ministri, tuttavia nulla si sa circa l'accertamento delle precise responsabilità in capo allo stesso, nonché al questore Cacciapaglia, che ha guidato personalmente l'intervento della squadra celere –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro interrogato per accertare le precise responsabilità in capo al prefetto e al questore, quanto ai fatti avvenuti a Treviso, illustrati in premessa, ivi compreso l'avvio di un'indagine interna al riguardo. (5-06116)


   INVERNIZZI e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'amministrazione comunale di Sellero, in provincia di Brescia, risultano essere entrate in possesso dello Stato due unità abitative site nel suo territorio, in via Tasso, ai numeri civici 14 e 16;
   qualora il titolo dell'appropriazione da parte dello Stato sia il sequestro o la confisca, in quanto supposte parti di patrimoni illegalmente accumulati tramite la conduzione di attività nel contesto di organizzazioni criminali di tipo mafioso, le norme vigenti ne consentono la riassegnazione a progetti di utilità sociale;
   la predetta amministrazione comunale di Sellero ritiene che le citate unità abitative potrebbero rientrare in un programma di housing sociale, volto ad attenuare l'emergenza abitativa sul suo territorio e in tutta la Val Camonica –:
   nell'ipotesi in cui le unità abitative site in Sellero, a via Tasso 14 e 16, siano state effettivamente sequestrate o confiscate in quanto ritenute parti di patrimoni illegalmente accumulati con la conduzione di attività nel contesto di organizzazioni criminali di tipo mafioso, cosa osti all'accoglimento dell'istanza inoltrata dal comune di Sellero, che desidererebbe acquisirle per destinarle a programmi di housing sociale. (5-06117)


   NUTI, LUPO, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 luglio 2014 i Ministeri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze, le regioni, le province autonome, ANCI e UPI hanno approvato il piano operativo nazionale per fronteggiare l'afflusso straordinario dei cittadini extracomunitari;
   il Governo ha assunto l'onere di reperire le risorse finanziarie necessarie a gestire l'emergenza derivante dall'afflusso non programmato di migranti sul territorio nazionale;
   il piano prevede che la fase di primo soccorso sia realizzata in strutture governative a ciò deputate; il Ministero dell'interno, di concerto con le regioni e gli enti locali, finanzia e provvede all'attivazione di centri/Hub di livello regionale e interregionale per la gestione della fase di prima accoglienza e qualificazione, organizzata per consentire il regolare afflusso verso il Sistema SPRAR;
   come rilevato dal sito internet del Ministero dell'interno, i Centri di primo soccorso e prima o primissima accoglienza, regolarmente autorizzati, sono quelli di Lampedusa, Elmas, Otranto e Pozzallo;
   il comune di Augusta (SR) svolge funzione di centro di primissimo soccorso e assistenza ai migranti, in assenza di un centro di primo soccorso e assistenza (CPSA) autorizzato; benché il Ministero dell'interno fornisca sostegno economico per le esigenze primarie, lo stesso non copre gli oneri finanziari per il personale impiegato e le spese di pulizia, che rimangono integralmente a carico dell'ente;
   attualmente, le condizioni economiche dell'ente locale non consentono di sostenere tale sforzo, pur volendo l'ente aderire all'appello alla leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali di governo del territorio e avendolo, finora, dimostrato concretamente –:
   se intenda provvedere al ristoro integrale delle spese sostenute dal comune di Augusta o, in caso contrario, trasferire soccorso e accoglienza dei migranti presso i comuni provvisti di Centri di primo soccorso e assistenza autorizzati. (5-06118)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il piano urbanistico comunale (PUC) è uno strumento di gestione del territorio comunale del nostro Paese, disciplinato dalla legislazione urbanistica e composto da elaborati cartografici e tecnici che regolano la gestione delle attività di trasformazione urbana e territoriale del comune di pertinenza;
   nell'ambito del piano urbanistico comunale l'amministrazione comunale, secondo la legge 18 aprile 1962, n. 167, predispone il cosiddetto piano di edilizia economica popolare (PEEP), un piano attuativo che serve per programmare, gestire e pianificare tutti gli interventi riguardanti l'edilizia economica popolare;
   gli alloggi realizzati nell'ambito del piano di edilizia economica popolare sono interessati da alcune clausole limitative al loro utilizzo; in particolare, i limiti riguardano la locazione e l'alienazione per quanto concerne:
    a) requisiti necessari per potere acquisire un alloggio;
    b) iniziale non locabilità o inalienabilità;
    c) successiva possibilità di locare o alienare, ma a canone o prezzo inferiore a quello di mercato;
   le leggi 22 ottobre 1971 n. 865 e 17 febbraio 1992 n. 179 contengono norme per l'edilizia residenziale pubblica (o edilizia sociale, dall'inglese social housing) — ERP —, espressione con cui ci si riferisce a tre tipologie di operazioni edilizie che vedono l'attivazione della pubblica amministrazione statale, a livello nazionale e/o locale, per offrire ai consociati immobili abitativi in proprietà, in locazione o in superficie;
   il ruolo concretamente svolto dalle amministrazioni pubbliche contribuisce a differenziare le tipologie e, pertanto, si suole distinguere in:
    a) edilizia residenziale sovvenzionata di esclusiva proprietà pubblica: l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato, mediante finanziamenti integralmente pubblici e le abitazioni così realizzate vengono cedute in locazione a canoni molto bassi a soggetti (nuclei familiari) in particolare condizione di disagio economico e sociale, identificati attraverso appositi bandi pubblici;
    b) edilizia residenziale agevolata in proprietà e/o a canone calmierato: l'amministrazione incentiva l'edificazione residenziale attribuendo specifiche agevolazioni creditizie alle imprese costruttrici (finanziamenti pubblici — statali, regionali e/o comunali — sotto forma di contribuiti in conto capitale oppure di agevolazioni particolari sui finanziamenti); anche in questo caso i soggetti destinatari delle abitazioni devono possedere particolari requisiti di reddito minimo e massimo e soprattutto non possedere una casa di proprietà e generalmente sono individuati anch'essi attraverso appositi bandi che stabiliscono anche particolari requisiti di preferenza (ad esempio giovani coppie, oppure anziani soli, e altre situazioni simili). In tempi recenti i bandi pubblici di finanziamento per l'edilizia agevolata propongono un nuovo modello: l'edilizia a canone calmierato, in pratica i promotori degli interventi si impegnano, in cambio di finanziamenti pubblici in conto capitale e/o agevolazione anche tributarie (abbattimento oneri urbanizzazione, o esonero del pagamento IMU per un certo numero di anni), a realizzare abitazione da cedere, per periodi non inferiori a 8 anni, ad affitti calmiera predefiniti in sede di bando;
    c) edilizia residenziale convenzionata in diritto di superficie o proprietà: l'ente pubblico non offre agevolazioni creditizie, ma stipula una convenzione con i costruttori, con la quale, a fronte di concessioni da parte dell'amministrazione pubblica (riguardanti l'assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti all'urbanizzazione del comparto e all'edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati. In particolare, due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell'ambito della «edilizia residenziale convenzionata»:
     I) la convenzione di attuazione di un piano di edilizia economico popolare (P.E.E.P.), che si pone nell'ambito del più ampio procedimento di edilizia residenziale pubblica tracciato dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 35 suddetta legge n. 865 del 1971;
     II) la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) che sul punto ha sostituito la disciplina in precedenza dettata dalla «Legge Bucalossi»;
   si apprende da fonti di stampa che nel comune di Lecce la gestione dell'assegnazione delle case popolari sarebbe stata operata da una «associazione per delinquere» bipartisan, posta in essere da fittiani e PD, per cui la procura salentina ha notificato avvisi di garanzia a due membri della giunta di centrodestra, nelle persone di Attilio Monosi, con la delega al Bilancio e alle Politiche abitative, e di Luca Pasqualini, ex Addetto all'Ufficio Casa, attualmente Assessore comunale alla Mobilità. Oltre ai loro, ci sono altri due nomi sul registro degli indagati: quello di Antonio Torricelli, vicepresidente democratico del Consiglio comunale, e quello del dirigente Pasquale Gorgoni, ex Addetto all'Ufficio Casa e transitato poi nell'Ufficio Patrimonio;
   i reati contestati «commessi fino a febbraio 2015»: associazione per delinquere, corruzione per atto d'ufficio, corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, abuso d'ufficio, falsità materiale, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e truffa;
   sempre secondo fonti di stampa, la motivazione a fondamento dei provvedimenti emessi si baserebbe sulla circostanza che le indagini hanno permesso di ipotizzare la sussistenza di «gravi e plurimi favoritismi» negli iter burocratici relativi all'assegnazione delle case parcheggio, alle sanatorie delle abitazioni occupate abusivamente, allo scambio di immobili e concessioni di quelli di nuova costruzione, come anche nell'aggiudicazione di locali commerciali di proprietà comunale;
   ne sono seguite: perquisizioni personali e di tutti gli uffici, appartamenti e auto nella disponibilità degli indagati, oltre che di sedi e mezzi di società di cui sono o sono stati titolari anche per interposta persona e sequestri di computer e documenti;
   dall'informativa delle Fiamme Gialle, riferita dalla stampa, emerge che i quattro accusati, in concorso tra loro, hanno agevolato chi non era in possesso dei requisiti richiesti e non era collocato in posizione congrua nelle graduatorie di merito «con grave evidente danno dei legittimi aspiranti all'assegnazione»;
   a monte dell'indagine, come rammenta anche la stampa, vi è un esposto, risalente al tempo della campagna elettorale per le amministrative del 2012, in cui si assumeva l'esistenza di una compravendita di voti dietro la gestione degli alloggi pubblici derivanti da episodi di pagamenti in denaro tra inquilini per lo scambio di appartamenti, presunte assegnazioni discrezionali, occupazioni abusive, passaggi dalle case parcheggio agli alloggi fatti tramite semplici delibere;
   si tratterebbe di elementi di gravi e persistenti violazioni di legge con pregiudizio degli interessi generali della cittadinanza, anche considerato che il diritto all'abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e, in questo periodo di crisi, in cui precarietà e disoccupazione non garantiscono più nessuna copertura sociale, sempre più vaste aree di popolazione si sono trovate in emergenza abitativa tanto che questa situazione investe, non solo le fasce sociali più deboli, ma una sempre più ampia «fascia grigia» fatta di persone sole, nuclei familiari mono-genitori, giovani coppie, lavoratori precari, immigrati, studenti, anziani soli;
   nella città di Lecce, in particolare, la prima graduatoria di assegnazione delle case popolari risale al 1999 e la seconda nel 2012, sulla base di un bando pubblicato nel 2011, con procedure, riferisce la stampa, tanto a rilento da alimentare il sospetto, appunto, che potessero rispondere a meccanismi altri, mentre erano in attesa 1380 famiglie –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. (5-06136)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 luglio 2015 a Bruxelles, prima della gara amichevole tra Anderlecht e Lazio, si sono verificati scontri tra sostenitori belgi e laziali;
   il contatto è avvenuto in Place de la Vaillance, le forze dell'ordine sono inter- venute fermando 23 tifosi della Lazio che sono stati rilasciati dopo qualche ora;
   il portavoce della polizia di Bruxelles, citato dal sito del giornale belga Derniere Heure, ha affermato che fra le 18 e le 19, alcuni tifosi della Lazio e dell'Anderlecht sono venuti in contatto e si sono scontrati;
   non si comprende la presenza dei tifosi della Lazio (circa sessanta) per la partita, visto che la dirigenza dell'Anderlecht aveva vietato la vendita dei biglietti ai tifosi ospiti per ragioni di sicurezza;
   alcuni tifosi italiani, tuttavia, si sono radunati a Place de la Vaillance dove è nata la bagarre con alcuni supporter della squadra belga;
   una cinquantina di persone, secondo la polizia, hanno preso parte alla rissa, ma nessuno sarebbe rimasto ferito in modo grave. Doppia la tipologia degli arresti: alcuni per la rissa, altri hanno invece riguardato tifosi laziali sprovvisti di biglietto;
   alla luce degli atti vandalici summenzionati, è evidente che il fenomeno della violenza legato ad eventi sportivi necessita di ulteriori azioni: infatti, nonostante le diverse azioni messe in atto negli ultimi anni anche dalla Unione europea per prevenire questo fenomeno (quali: l'accordo di cooperazione firmato il 14 ottobre 2014; la decisione del Consiglio concernente la sicurezza in occasione di partite di calcio internazionali; la risoluzione del Consiglio per l'adozione negli Stati membri del divieto di accesso agli impianti dove si svolgono partite di calcio di rilevanza internazionale; la risoluzione del Consiglio concernente un manuale per la cooperazione tra forze di polizia a livello internazionale) si continua ad assistere a gravi episodi di violenza –:
   se intenda valutare la possibilità di proporre nelle sedi indicate la predisposizione di interventi normativi al fine di creare uno strumento comune europeo di prevenzione delle violenze legate ad eventi sportivi sia all'interno che all'esterno degli impianti di gioco. (4-09930)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono ormai sempre più numerose le aree del territorio nazionale nelle quali le forze dell'ordine risultano sotto organico, sia in rapporto alle piante organiche previste che in relazione alle condizioni locali dell'ordine pubblico;
   dell'elenco è ormai parte anche l'Agrigentino, stando a quanto rilevano alcune organizzazioni locali del personale della polizia di Stato, che lamentano pubblicamente insostenibili carenze di personale;
   risulterebbero necessitare di rinforzi la questura di Agrigento in generale e, nello specifico, le specialità della stradale, della polfer e della polizia postale, nonché gli indispensabili presidi di Palma di Montechiaro, Licata, Porlo Empedocle, Sciacca e Canicattì;
   all'ufficio porto d'armi della questura d'Agrigento sono state attribuite anche delicate funzioni collegate alla gestione dell'immigrazione;
   recenti statistiche hanno assegnato alla provincia di Agrigento l'ultimo posto della graduatoria delle città italiane classificate sulla base della loro qualità di vita, anche a causa del crollo del locale tasso di occupazione al 40 per cento, che è destinato a produrre inevitabili ripercussioni sull'ordine pubblico e la sicurezza –:
   come il Governo intenda fronteggiare i problemi determinati nell'Agrigentino dalla carenza di organici assegnati ai locali presidi delle forze dell'ordine in generale e della polizia di Stato in particolare e se si conti o meno di assegnare delle risorse addizionali alla questura di Agrigento ed ai presidi generalizzati in premessa.
(4-09943)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 luglio 2015 per iniziativa della magistratura a Bologna viene messa in atto un'operazione di sgombero di un edificio di proprietà dell'INPS sito in via dei Mille;
   l'edificio era stato occupato nella giornata precedente, al fine di garantire un ricovero temporaneo a 80 persone, fra cui 15 minori, impossibilitati a trovare un alloggio a condizioni di mercato;
   lo sgombero ha quindi contribuito ad alimentare l'emergenza abitativa nella città emiliana, inserendosi in un contesto che vede prevalere un'impostazione repressiva rispetto ad una più attenta ai bisogni materiali elementari e insoddisfatti dei cittadini;
   come evidenziato anche dalle istituzioni locali, nonostante la presenza conclamata di minori, non sono stati minimamente coinvolti nell'operazione i servizi sociali, neppure con una semplice informativa, rompendo così una prassi consolidata di collaborazione –:
   se lo sgombero dell'immobile, inutilizzato da anni, sia stato richiesto dall'INPS/INPDAP e nel caso da quale struttura sia partita la domanda e con quali motivazioni. (4-09948)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il tema dell'accoglienza dei profughi e della loro distribuzione sul territorio nazionale crea quotidianamente una serie di tensioni sociali, anche a causa della totale assenza di un piano organizzato e di criteri univoci in base ai quali predisporre la sistemazione degli stessi;
   negli scorsi giorni sono stati messi in campo dei veri e propri blitz notturni nei comuni di Acerra e Giugliano in Campania per sistemare centinaia di profughi, ed in particolar modo nel primo dei due comuni, in zona Spinello, si è verificato il tentativo di ospitare alcuni profughi in alloggi rispetto ai quali l'amministrazione comunale aveva contestato l'agibilità delle strutture, mentre a Giugliano in Campania sono stati sistemati più di cento profughi nella struttura turistica «Di Francia»;
   nell'edizione del quotidiano il Mattino del 21 luglio 2015 il prefetto di Napoli Gerardo Pantalone ha sottolineato l'opportunità che i comuni della provincia di Napoli ospitino in media quaranta profughi ciascuno;
   tali dichiarazioni hanno suscitato notevole preoccupazione sia tra le amministrazioni comunali, sia tra gli operatori turistici ed economici che attendono l'arrivo della stagione estiva per dare nuovo slancio alle economie locali –:
   quali iniziative intendano assumere per garantire che siano effettuate tutte le verifiche e i controlli necessari prima di adibire le strutture all'accoglienza degli immigrati, nonché al fine di evitare un tracollo economico delle strutture ricettive della provincia di Napoli. (4-09949)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Trieste la maggior parte degli immigrati e richiedenti asilo arriva dal confine via terra con la Slovenia, Paese dell'area Schengen, che a sua volta confina con altri Paesi dell'area quali la Croazia e l'Austria;
   di conseguenza, in base al regolamento di Dublino, dovrebbero essere questi Paesi e non l'Italia a identificare gli immigrati e a svolgere sul proprio territorio la procedura per i richiedenti asilo;
   il mancato rispetto del regolamento pone l'Italia in una condizione di difficoltà e appare pertanto opportuno che il nostro Paese, come già fanno la Francia e l'Austria, applichi i trattati di riammissione, in base ai quali gli Stati firmatari si sono accordati per respingere reciprocamente gli immigrati irregolari che provengono dal territorio dell'altro Paese;
   l'Italia ha siglato trattati di questo tipo con una ventina di Paesi, tra i quali anche la Slovenia, sin dal 1996, l'Austria e la Croazia;
   ai fini dell'applicabilità dei citati trattati sono di particolare importanza le tempistiche relative all'ingresso e alla scoperta della presenza sul territorio nazionale degli stranieri, e questo rende assolutamente necessario il potenziamento delle forze dell'ordine lungo il confine –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere affinché l'Italia faccia rispettare le norme dei trattati di riammissione rispetto alla situazione di cui in premessa.
(4-09961)


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato di polizia COISP ha avviato una raccolta firme su tutto il territorio nazionale per chiedere la rimozione del cippo eretto in ricordo di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, a Genova;
   nell'ambito di tale iniziativa è stata negata al sindacato l'autorizzazione a svolgere una manifestazione in detta piazza indetta «per ricordare quei giorni, per ricordare gli scontri di piazza, le scene di devastazione e saccheggio con il pensiero che un estintore possa diventare un'arma da usare contro le Forze dell'Ordine», in occasione del quattordicesimo anniversario degli scontri verificatisi nel luglio del 2001 alla riunione del G8;
   nella nota con la quale ha comunicato il diniego la questura ha affermato che «l'iniziativa in oggetto viene ritenuta incompatibile sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica sia per la contestualità sia per l'oggetto», autorizzando, invece, per la medesima data e il medesimo luogo la celebrazione organizzata dal Comitato piazza Carlo Giuliani con la presenza degli attivisti no global;
   il divieto emesso dal questore di Genova di realizzare i presidi per la raccolta firme che chiedono la rimozione del cippo è stato esteso a tutti i comuni della provincia genovese, mentre, a quanto consta all'interrogante, si sta tranquillamente svolgendo in centinaia di altri comuni in tutta Italia;
   a giudizio dell'interrogante la decisione della questura comprime in modo ingiustificato e incomprensibile le libertà di pensiero e di manifestazione dei poliziotti, riconosciute ad ogni cittadino dalla Costituzione, il che rappresenta una lesione ancor più grave se si considera che è a carico di servitori dello Stato che sono sempre in prima linea, anche rischiando la propria vita, per difendere tali libertà in favore di altri –:
   quali siano le motivazioni alla base dell'adozione dei provvedimenti in questione e se non ritenga di rivedere l'estensione del divieto. (4-09971)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, BOCCUZZI, ALBANELLA, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, ZAPPULLA, GIORGIO PICCOLO, MICCOLI, BARUFFI, GIACOBBE, GRIBAUDO e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («manovra salva Italia») ha generato un fenomeno, quello dei cosiddetti esodati, che mai si era verificato così grave nel passato, né con riforme del sistema pensionistico né con manovre finanziarie;
   dal dicembre 2011 ad oggi, sono stati approvati sei provvedimenti relativi alle salvaguardie e in sede di risposta presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati all'atto di sindacato ispettivo n. 5-03439, si apprende che l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha stimato in cifra 49.500 soggetti, suddivisi nelle varie categorie oggetto di salvaguardie precedenti e che meriterebbero di essere oggetto di ulteriori provvedimenti;
   con la legge 228 del 2012 articolo 1, comma 235, è stato istituito un apposito fondo, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di finanziare interventi in favore delle categorie di lavoratori di cui agli articoli 24, commi 14 e 15, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, 6, comma 2-ter, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, e 22 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   l'articolo 2, comma 5, della legge 147 del 2014 prevede espressamente: «Sulla base dei dati del monitoraggio effettuato dall'INPS, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il 30 giugno di ogni anno, trasmette alle Camere una relazione in ordine all'attuazione delle disposizioni di salvaguardia, con particolare riferimento al numero di lavoratori salvaguardati e alle risorse finanziarie utilizzate»;
   ad oggi non è stata ancora trasmessa alle Camere da parte del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali la relazione in ordine all'attuazione delle disposizioni di salvaguardia, con particolare riferimento al numero di lavoratori salvaguardati e alle risorse finanziarie utilizzate;
   nel frattempo sono state presentate dai diversi gruppi parlamentari proposte di legge per la settima salvaguardia a favore degli esodati, per correggere le contraddizioni esistenti nelle sei già approvate e per proseguire, ma esse sono tuttora in corso di esame presso la Commissione lavoro della Camera, in quanto ad oggi non è dato sapere, se l'Inps abbia proceduto ad effettuare il monitoraggio sul numero dei lavoratori salvaguardati e sulle risorse finanziarie utilizzate per le precedenti salvaguardie, così come previsto dall'articolo 2, comma 5, della legge 147 del 2014 –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di sollecitare l'Inps a comunicare i dati relativi al monitoraggio previsto dalla norma sopra richiamata, affinché il Ministro stesso possa riferire i relativi esiti e rendere possibile l'utilizzo dei conseguenti risparmi, a copertura di ulteriori interventi salvaguardia. (5-06102)


   MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, DE LORENZIS e TRIPIEDI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di lunedì 20 luglio 2015, veniva «battuta» dai media una notizia riportante l'ennesimo caso di sfruttamento e di mancata applicazione delle più comuni misure in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro in ambito agricolo, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 e successive modificazioni (testo unico, sulla salute e sicurezza sul lavoro);
   la notizia riguarda il decesso in provincia di Lecce, tra S. Isidoro e Avetrana, di un bracciante agricolo di 47 anni originario del Sudan, a seguito probabilmente delle estreme condizioni di lavoro relative alla raccolta dei pomodori in aperta campagna nonostante i 40 gradi centigradi; a nulla è valso l'intervento dei sanitari del 118;
   a dare l'allarme sono stati gli stessi compagni del deceduto che condividevano le medesime condizioni proibitive di lavoro e la tipologia del contratto stagionale, con una retribuzione assolutamente inadeguata rispetto al livello di rischio dell'attività e al numero di ore di lavoro svolte;
   ai sensi del testo unico, sulla salute e sicurezza sul lavoro, Capo III – gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro sezione I – misure di tutela e obblighi – Articolo 15 – Misure generali di tutela –, tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro si prevede: a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza; b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro; c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; d) il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo, e altro;
   all'Articolo 17 – obblighi del datore di lavoro non delegabili – il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, ai fini di garantire la Salute la Sicurezza e l'igiene dei lavori durante le attività, di cui è diretto responsabile in sede penale;
   secondo l'articolo 28 del testo unico la valutazione di tutti i rischi aziendali al fine della loro eliminazione alla fonte, deve essere redatta in un apposito documento periodicamente aggiornato, a disposizione degli organi di vigilanza (ASL);
   sempre nel suddetto articolo, il datore di lavoro deve provvedere alla sistemazione dei luoghi di lavoro che deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151(N), quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e quelli derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall'articolo 89, comma 1, lettera a), del decreto, interessati da attività di scavo;
   la valutazione dei rischi deve adeguarsi al progresso della tecnica ed oggi è possibile valutare gli stress termici a cui sono soggetti i lavoratori attraverso vari modelli, tra questi il PHS MODEL (Predicted Heat Strain index) facilmente applicabili e che forniscono un «allert» qualora le condizioni di lavoro divengano proibitive, e altre indicazioni, quali il numero e la lunghezza delle pause ed il quantitativo di acqua da somministrare ai dipendenti per la reidratazione, aspetti che il datore di lavoro è obbligato a rispettare;
   il settore primario è caratterizzato perlopiù da lavori usuranti e pericolosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, e i controlli da parte degli organi di vigilanza risultano essere assolutamente inadeguati;
   il settore primario italiano è molto sensibile ai fenomeni di «lavoro nero» e
sfruttamento anche minorile, come riportano altri recenti fatti di cronaca inerenti al mercato ortofrutticolo di Guidonia, nonché alle infiltrazioni della criminalità; organizzata al punto che la direzione e investigativa antimafia in una recente conferenza stampa parla espressamente di: «Prezzi ortofrutta gonfiati da patto criminale tra Mallardo e Casalesi»;
   il caporalato è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente nel 2011, essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato;
   l'articolo 14 del testo unico – Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – prevede, al fine di far cessare il pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori di cui all'articolo 92, comma 1, lettera e), che gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni quando riscontrano l'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali, adottato sentito il Ministero dell'interno e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano –:
   quali iniziative il Governo stia adottando per fronteggiare il fenomeno dilagante dello sfruttamento di alcune categorie di lavoratori e del caporalato nel settore primario, considerando soprattutto che la più diffusa forma di caporalato è proprio quella che riguarda la manodopera agricola, prevedendo controlli incrociati tra produzione dell'azienda agricola, reale fabbisogno della manodopera e contributi versati;
   per quali ragioni non sia stato ancora pienamente applicato l'articolo 14 del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che prevede la sospensione delle attività a rischio;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intendano assumere al fine di evitare il ripetersi di eventi così tragici nel mondo agricolo, con particolare riguardo al potenziamento degli organi di vigilanza, ASL e ispettorati del lavoro, in modo da rendere capillari i controlli presso le realtà imprenditoriali del mondo agricolo;
   se non si ritenga opportuno assumere urgenti iniziative, anche di carattere normativo, al fine di garantire la tutela della salute sui luoghi di lavoro con particolare riguardo alla fattispecie di cui in premessa asicurando la puntuale applicazione dei modelli di stress termico già previsti dalla normativa vigente. (5-06130)


   GIACOBBE, GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, DI SALVO, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2015, sulla Gazzetta Ufficiale S. G. n. 154, è stato pubblicato il decreto 22 giugno 2015 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «Revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo (15A05090)»;
   la legge 8 agosto 1995, n. 335, ha ridefinito il sistema previdenziale italiano introducendo il sistema di calcolo contributivo mediante il quale l'importo della pensione annua si ottiene moltiplicando il montante individuale dei contributi per il coefficiente di trasformazione relativo all'età dell'assicurato al momento del pensionamento;
   tale coefficiente viene rideterminato periodicamente sulla base delle rilevazioni demografiche e dell'andamento effettivo del tasso di variazione del prodotto in terno lordo di lungo periodo rispetto alle dinamiche dei redditi soggetti a contribuzione previdenziale;
   l'applicazione di nuovi e più elevati divisori previsti nella tabella A, allegata al decreto 22 giugno 2015, determina una riduzione del dividendo, e quindi del valore del trattamento previdenziale, a partire da gennaio 2016;
   con il decreto n. 65 del 2015, come modificato durante l’iter parlamentare, si è evitato che l'altro meccanismo che interviene sul valore del montante contributivo producesse una riduzione del suo valore; in tale provvedimento si prevede, infatti, che il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo non possa essere inferiore ad uno, in linea generale, ed in particolare per l'anno 2014 in cui sarebbe stato inferiore, determinando una svalutazione del montante contributivo, e che per questo stesso anno non sia praticato il recupero sulle rivalutazioni successive;
   l'intervento legislativo operato con il decreto-legge n. 65 del 2015 è stato determinato dalla consapevolezza della necessità di non gravare negativamente sul montate contributivo in conseguenza di una fase particolarmente negativa dell'andamento dell'economia;
   quanto alla rideterminazione dei coefficienti di trasformazione, essa accompagna l'applicazione dell'incremento dei requisiti anagrafici e contributivi derivante dal crescere dell'aspettativa di vita;
   è stato osservato che l'intervento di correzione del coefficiente di trasformazione potrebbe determinare effetti distorsivi, dando luogo ad un dividendo tra montante e coefficiente, inferiore (seppure di poco) all'anno precedente l'intervento stesso, con un possibile disincentivo a rimanere al lavoro;
   più in generale, e soprattutto, il fatto che periodicamente siano modificati i riferimenti sia per la maturazione del diritto (spostandola progressivamente in avanti), sia per il calcolo dell'importo della pensione, fa sì che il sistema sia segnato da notevole incertezza per i progetti di vita delle persone, soprattutto dei lavoratori più giovani;
   del resto, è difficile spiegare che, per ciascuno, l'aspettativa di vita possa cambiare con il passare del tempo. A questo si somma l'evidente ingiustizia rappresentata dal fatto che per condizioni di lavoro molto diverse sia prevista una aspettativa di vita uguale;
   la sostenibilità economica del sistema previdenziale, soprattutto nel medio lungo periodo, è condizionata anche dalla sua sostenibilità sociale, posto che l'incertezza relativa al tempo del pensionamento e l'aspettativa di un trattamento previdenziale non adeguato o comunque dignitoso, potrebbe incentivare la fuoriuscita dal sistema pubblico di fasce di lavoro e di quote di contribuzione –:
   se il Governo intenda avviare una riflessione su questi argomenti per valutare le possibili contraddizioni degli attuali meccanismi di «regolazione endogena» del sistema contributivo, con l'obiettivo di rendere il sistema più affidabile per gli assicurati e realmente sostenibile socialmente, oltre che finanziariamente;
   se il Governo non ritenga, anche attraverso l'acquisizione dall'Istituto nazionale per la previdenza sociale di dati e simulazioni relativi agli aspetti più complessi (in particolare sulla durata dei periodi in cui i lavoratori di diversi settori e mestieri percepiscono mediamente la pensione), di dover valutare l'introduzione di elementi di diversificazione dell'aspettativa di vita relativa a ciascuno di tali settori e mestieri;
   se il Governo intenda realizzare una verifica su quali sarebbero gli effetti sulla sostenibilità economica di medio e lungo periodo di interventi volti ad attenuare gli effetti sociali dell'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione e di un'applicazione differenziata per settori della norma che riguarda l'aumento dell'aspettative di vita. (5-06132)


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2015 si è svolto in tutta Italia lo sciopero del personale TNT, diretto ed indiretto (driver e facchinaggio), contro la scelta unilaterale dell'azienda di aprire una nuova procedura di licenziamento collettivo per 239 esuberi, di cui 18 nel Veneto, individuati nelle filiali di Padova, Verona, Venezia e Vicenza;
   le iniziative che si sono articolate durante tutta la giornata, anche attraverso l'allestimento di presidi davanti alle diverse filiali, hanno avuto una buona partecipazione sia dei lavoratori direttamente coinvolti, sia di persone che comunque hanno voluto esprimere la propria solidarietà e partecipazione. Nella filiale di Padova, dove era presente anche la sottoscritta, il presidio è cominciato dalle 5 di mattina per proseguire durante la giornata;
   la TNT, dopo il pesante processo di espulsione di centinaia di lavoratori avviato due anni fa, ha avviato una nuova fase di licenziamenti collettivi fra i propri dipendenti diretti;
   solo la grande manifestazione di protesta del 2013 che ha visto coinvolte le parti sociali, ha consentito di ridurre significativamente l'impatto sui lavoratori della pesante fase di riorganizzazione. Nel Veneto, di fatti, sono «usciti» dall'azienda solo «volontari incentivati»;
   avendo avuto modo di incontrare direttamente sia la FILT CGIL VENETO e i lavoratori a rischio di licenziamento, l'interrogante ritiene i licenziamenti non giustificati soprattutto in vista della probabile vendita a FEDEX nel prossimo autunno;
   il rischio che si paventa è di perdere importanti professionalità quando si potrebbero utilizzare gli strumenti a disposizione per riorganizzare l'azienda e renderla più efficiente, ad esempio i contratti di solidarietà che permetterebbero di organizzare il lavoro in maniera più flessibile e al contempo di mantenere il reddito per i lavoratori;
   appare quindi ovvia la necessità di un intervento delle istituzioni al fine di salvaguardare i lavoratori e i relativi posti di lavoro –:
   se il Ministro interrogato non intenda agire urgentemente al fine di convocare un tavolo di concertazione con la partecipazione delle parti sociali coinvolte, al fine di evitare la nuova fase programmata di licenziamenti e salvaguardare famiglie e lavoratori che resterebbero senza reddito, anche attraverso la promozione di altri strumenti di sostegno al reddito, quali ad esempio i contratti di solidarietà. (5-06133)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, SCOTTO, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 22 del 2015, in attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto «Jobs Act»), ha introdotto la nuova assicurazione sociale per l'impiego, ovvero la nuova indennità di disoccupazione, che ha sostituito le precedenti Aspi e mini-Aspi, per i lavoratori dipendenti (con esclusione dei lavoratori del pubblico impiego a tempo indeterminato e i lavoratori agricoli);
   il decreto citato prevedeva l'entrata in vigore per tale nuova indennità a partire dal 1o maggio 2015;
   alcuni organi di stampa riferiscono di come, tuttavia, a fronte dell'entrata in vigore delle nuove norme, diversi lavoratori licenziati, che ne hanno fatto richiesta, sono ad oggi privi di sussidio;
   in un articolo apparso sulla testata Il Fatto Quotidiano.it il 10 luglio 2015, a firma di Paola Saliani, viene riportato il caso di un lavoratore licenziato i primi giorni di maggio che, trascorso un mese dalla richiesta del sussidio di disoccupazione senza ricevere riscontri, si è rivolto all'INPS per ottenere informazioni circa l’iter della domanda, apprendendo che lo stato di attesa dipendeva dal ritardo dei «programmi di liquidazione Naspi» che permettono la quantificazione dell'esatto ammontare dell'indennità;
   tale ritardo è confermato dal messaggio INPS n. 4334 del 25 giugno 2015, a firma del direttore generale Massimo Cioffi, che evidenzia come «la procedura di liquidazione della NASpI sarà rilasciata in versione definitiva per tutte le strutture territoriali entro il 15 luglio 2015»;
   a segnalare con forza i disagi causati dal nuovo regime di indennità è anche l'Anief, che in una recente nota diffusa agli organi di stampa ha sostenuto cornea distanza di due mesi e mezzo dall'entrata in vigore delle nuove indennità di disoccupazione «il sindacato continua a ricevere miriadi di segnalazioni sulla mancata erogazione della prima rata», con disagi per 200 mila docenti precari (Italpress, 14 luglio 2015);
   il presidente dell'INPS Tito Boeri il 14 luglio 2015, a margine di un'audizione al Senato sul jobs Act, ha annunciato l'avvio della procedura di liquidazione degli assegni della Naspi, con i primi pagamenti previsti già dal giorno successivo (Ansa, 14 luglio 2015);
   nonostante tali dichiarazioni il problema resta attuale e rilevante, posto che, considerato il periodo di ferie estive e la strutturale carenza di personale della pubblica amministrazione, appare improbabile che l'INPS riesca a liquidare tutte le pratiche, ad oggi inevase, prima del mese di settembre 2015;
   la condizione di sussistenza di molti cittadini che hanno perso il lavoro è gravemente compromessa da ritardi burocratici – a giudizio degli interroganti – intollerabili quanto facilmente prevedibili, e non presi a sufficienza in considerazione dal Governo nell'attuazione del nuovo regime normativo –:
   se il Ministro interrogato è a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   considerato che il sussidio di disoccupazione, per la stragrande maggioranza delle persone che perdono il lavoro, rappresenta un sussidio vitale, e che il protrarsi dei ritardi nell'erogazione di questa fondamentale forma di sostegno al reddito rappresenta un pregiudizio per molti insostenibile, poiché essi sono privati da mesi di ogni forma di sostentamento, quali iniziative urgenti;
   intenda adottare il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di accelerare la liquidazione delle indennità. (4-09931)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con un sostanziale «blitz» della società americana Dinicola è stato messo a segno un vero e proprio attacco Usa- Europa al pecorino sardo;
   nei giorni scorsi è stato autorizzato un marchio comunitario per l'utilizzo etichetta formaggi Dop;
   si tratta sostanzialmente di una decisione che secondo i consorzi apre le porte ai falsi nella produzione di formaggi;
   i consorzi per la tutela delle produzioni Dop sono in rivolta per la mancata tutela del marchio Dop;
   si tratta ad avviso dell'interrogante di un vero e proprio attacco al pecorino sardo e non solo, attacco a doppia firma, USA e Europa, un colpo letale alla principale produzione lattiero casearia della Sardegna;
   l'Europa non solo non tutela i marchi Dop nel settore lattiero caseario, ma con un «blitz» dell'ufficio per l'armonizzazione del mercato interno e dell'ufficio italiano marchi e brevetti è stata praticamente sottratta al pecorino sardo l'esclusiva sulla commercializzazione del prodotto;
   con una formula di marchio comunitario e marchio italiano è stato di fatto consentito a quella che appare all'interrogante una «società ombrello» americana di mettere le mani sulle produzioni del pecorino sardo e non solo;
   si tratta di una vera e propria privazione di esclusiva maturata negli uffici di registrazione marchi nei quali è stata condotta l'operazione;
   con questa operazione «giocata» nel silenzio della burocrazia europea, e non solo, si mette a rischio una partita fondamentale per il pecorino sardo e la tutela dei prodotti a denominazione d'origine;
   tutto questo avviene in quella che appare all'interrogante la sostanziale inerzia della politica sarda e di quella nazionale;
   una produzione straordinariamente importante come quella del pecorino sardo (romano) viene praticamente danneggiata con una vera e propria falla comunitaria nel sistema dei marchi e brevetti;
   il timore è che dietro il «marchio ombrello» aziendale Usa «Di Nicola» possano essere commercializzati formaggi con l'indicazione nell'etichetta di denominazioni geografiche italiane: dal Gorgonzola al Pecorino Sardo Romano, ma anche al Parmesan, all'Asiago e alla Mozzarella;
   si tratta di un disastro economico perché questi marchi Dop, con un'operazione nefasta, perdono l'esclusiva sulle loro produzioni;
   è di fatto il via libera ufficiale a un mercato poco trasparente;
   si tratta di una decisione di una gravità inaudita avvenuta nel silenzio generale e nella consueta assenza del Governo nazionale e di quello regionale;
   è urgente un'immediata revoca di quella registrazione e il ripristino dell'esclusività dei marchi Dop del pecorino sardo (romano);
   si rischia un danno per miliardi di euro al sistema produttivo sardo e non solo;
   con questa operazione secondo l'interrogante non solo non si tutela il marchio, ma si assesta un colpo durissimo al principio di prodotto esclusivo e tutelato;
   anziché tutelare il marchio, esso viene dilapidato con registrazioni che, secondo l'interrogante, sono suscettibili di danneggiare prodotti Dop e Igp;
   come detto gli uffici europei interessati hanno di fatto registrato un'etichetta che fa capo a una società Usa denominata DiNicola che potrà commercializzare quei prodotti non come Dop ma utilizzando, l'etichetta con il nome del Dop;
   un'operazione gravissima che ad avviso dell'interrogante sostanzialmente consentirà di registrare nuovamente come marchi nomi che in Europa sono già protetti con il sistema delle denominazioni d'origine;
   il rischio è evidente: l'utilizzo di indicazioni geografiche come termini di specifica in un marchio generale portando a considerare Gorgonzola, Romano e Asiago nomi generici con la conseguenza che saranno considerati nomi comuni e quindi non soggetti a tutela né come indicazioni geografiche né come marchio d'impresa;
   l'operazione è stata compiuta tra gli Stati Uniti e Bruxelles proprio perché, a giudizio dell'interrogante, i produttori Usa di formaggi e salumi non vogliono la «gabbia» del prodotto Dop italiano;
   si tratta di un'operazione che i Consorzi Dop made in Italy cercano di contrastare in tutte le sedi;
   su questa operazione si gioca l'economia di un sistema decisivo per l'economia della Sardegna e l'assenza delle istituzioni nazionali e regionali è gravissima;
   per questa ragione secondo l'interrogante deve essere immediatamente convocato un vertice tra il Governo e i responsabili dei consorzi Dop che su questo hanno già presentato ricorso alla Commissione europea e al Ministro;
   il danno che si rischia sul mercato americano potrebbe essere letale per il settore lattiero caseario della Sardegna e non solo –:
   se il Governo non intenda assumere urgentemente iniziative per far revocare queste registrazioni di marchi;
   se il Governo non intenda proporre iniziative, anche normative e in sede comunitaria, al fine di evitare il ripetersi di questi gravissimi fatti;
   se non intenda assumere iniziative per evitare in ogni modo questo pericolo per le produzioni Dop della Sardegna e non solo. (5-06147)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2012, n. 135 ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI (subentrata all'UNIRE con legge 15 luglio 2011, n. 111 ma mai dotata di statuto) con il passaggio al Ministero competente, tra l'altro, di tutti i rapporti passivi ed attivi;
   la rendicontazione di chiusura dell'ASSI, al 14 agosto 2012, evidenziava un patrimonio immobiliare, dapprima dell'UNIRE, all'esito dell'accorpamento degli enti tecnici ippici. In sintesi, si trattava di uffici alla via Sommacampagna in Roma, particelle (fabbricati e terreni) all'Arcoveggio in Bologna e fabbricati e terreni nel comune di Settimo Milanese (Milano) –:
   se corrisponda al vero che questo patrimonio, ad oggi, sia di proprietà del Demanio, quale valutazione sia stata attribuita allo stesso e quali iniziative a carattere «risarcitorio» si intendano operare per assicurare giuste disponibilità a beneficio della filiera ippica. (4-09924)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), organismo scientifico collegato all'Organizzazione mondiale della sanità, ha pubblicato sulla rivista «Lancet» il 20 marzo 2015 le risultanze degli studi e dei test di laboratorio condotti su alcuni pesticidi e prodotti chimici correntemente utilizzati in agricoltura e nelle pratiche di giardinaggio non solo in aree private, ma, soprattutto, pubbliche come parchi e giardini frequentati prevalentemente da bambini e anziani, cioè i soggetti su cui maggiormente può dimostrarsi nocivo tale uso;
   da questi studi si evince che risultano «probabilmente cancerogeni» l'erbicida denominato glifosato, e gli insetticidi malathion, diazinon, paration e tetrachlorvinphos e, per quanto concerne il glifosato, si rileva correlazione con la vulnerabilità al linfoma non Hodgkin dei lavoratori esposti;
   i prodotti a base di glifosato risultano ampiamente diffusi nelle pratiche agricole in atto nel nostro Paese, con particolare riferimento alle coltivazioni di mais, soia e colza e negli interventi di diserbo praticati anche ai margini delle strade e nelle aree pubbliche ad alta frequentazione;
   alcuni Paesi hanno già rinunciato all'uso del glifosato. In Danimarca l'uso dei glifosati (p.es. Roundup) è vietato già dal 2003. Proprio di recente negli Stati Uniti il National Cancer Institute, Centers for Disease classifica il glifosato come «probabilmente cancerogeno per l'essere umano»;
   l'intenso utilizzo di tale prodotto può pertanto configurare un grave rischio non solo per i consumatori delle derrate agricole interessate, ma anche per i lavoratori dei settori direttamente esposti al contatto con l'erbicida, nonché per tutti i cittadini che frequentano parchi pubblici o passeggiano vicino alle aiuole trattate con tali sostanze;
   nel rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque diffuso dall'ISPRA si afferma, fra l'altro, che «la presenza del glifosato e del suo metabolita, l'acido aminometilfosfonico, è ampiamente confermata, anche se il suo monitoraggio è tuttora effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8 per cento dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, mentre il metabolita nel 56,6 per cento»;
   va precisato che gli studi esaminati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, segnalano un aumento del rischio di tumore tra i giardinieri e agricoltori, non nella popolazione generale. Secondo l'Agenzia, «...gli studi caso-controllo di esposizione professionale condotti in Svezia, Stati Uniti e Canada hanno rivelato un aumento del rischio del linfoma di non Hodgkin...»;
   alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che il diserbante provocava danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle e al tubolo renale e di adenomi delle cellule pancreatiche;
   queste problematiche e i gravi rischi sulla salute connessi, erano già stati evidenziati il 6 maggio 2015 in Commissione agricoltura della Camera, con un'interrogazione a risposta immediata (5-05514) del Gruppo «Sinistra Ecologia Libertà». In quell'occasione, il sottosegretario Giuseppe Castiglione rispondendo al suddetto atto di sindacato ispettivo, chiariva che «il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può esprimersi unicamente in merito all'efficacia agronomica dei prodotti fitosanitari, mentre gli aspetti connessi alla tutela della salute umana rientrano tra le competenze del Ministero della salute»;
   il glifosato inoltre è l'erbicida accoppiato all'impiego delle principali sementi geneticamente modificate di mais e soia –:
   quali siano i dati concernenti la vendita e l'impiego in Italia dei prodotti di sintesi a base di glifosato, malathion, diazinon, paration e tetrachlorvinphos;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario e urgente acquisire le risultanze degli studi pubblicati dallo IARC e assumere iniziative per procedere alla sospensione cautelativa della commercializzazione nel nostro Paese dei prodotti contenenti tali principi attivi;
   se non ritengano necessario adeguare il piano di azione nazionale sull'uso dei pesticidi, adottato con decreto interministeriale del 22 gennaio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 del 12 febbraio 2014, al fine di valutare adeguatamente il livello di rischio provocato dai prodotti in questione e la sua diffusione sul territorio nazionale, adottando i provvedimenti conseguenti;
   se non ritengano necessario confermare il divieto, esteso all'intero territorio nazionale, di utilizzo di sementi geneticamente modificate, in attuazione della direttiva (UE) n. 2015/412 dell'11 marzo 2015;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per vietare il medesimo glifosato sul territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» a tutela della salute degli operatori del settore agricolo, nonché dei consumatori e dell'ambiente, e in attesa di una risposta definitiva sulla sua più che probabile cancerogenicità;
   se il Governo non ritenga opportuno evitare di rinnovare l'autorizzazione ministeriale alla messa in commercio del prodotto fitosanitario, affinché non si utilizzi più sul territorio nazionale;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere affinché non sia rinnovata l'autorizzazione comunitaria, con riferimento alla normativa europea di settore. (3-01635)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   BURTONE, CARDINALE e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il piano sanitario della regione siciliana 2011-2013, in linea con gli orientamenti programmatici nazionali e internazionali, ha inteso rimodulare la rete materno-infantile per garantire adeguati standard di qualità relativamente all'organizzazione ed alle funzioni collegate all'assistenza, con la finalità di attuare progressivamente le previsioni di cui alle «Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» di cui all'accordo della Conferenza unificata Stato-regioni, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2011;
   nel 2012 quindici punti nascita pubblici e privati sono stati chiusi, con Leonforte e Piazza Armerina nell'Ennese, seguite nel 2013 da Niscemi e Mazzarino (Caltanissetta), Augusta (Siracusa), Alcamo e Mazara del Vallo (Trapani) e nel 2014 Barcellona Pozzo di Gotto e Mistretta (Messina), oltre alle case di cura private «Valsalva» di Catania, «Orestano» e «Demma» di Palermo, «Villa Rizzo» di Siracusa e «Villa dei Gerani» di Trapani;
   secondo il documento che la direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute ha inviato all'assessore alla sanità della regione Sicilia «I punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia Sottana, S. Stefano di Quisquina e Licata devono essere disattivati entro il 31 dicembre»;
   si tratta di una riorganizzazione che discende dal rinnovato quadro normativo e dalla logica dei numeri: l'attività dei punti nascita deve superare o almeno toccare la soglia dei 500 parti. Partendo dal caso Nicole – la bambina morta in circostanze ancora poco chiare, «presumibilmente durante trasporto da Catania verso l'Utin di Ragusa», annota il Ministero – il documento ricorda di avere impartito «stringenti prescrizioni inerenti il completamento del previsto piano di riorganizzazione dei punti nascita. Le prescrizioni riguardano tra l'altro la chiusura/accorpamento dei punti nascita con volumi di attività inferiori a 500 parti l'anno, il completamento dell'attivazione su tutto il territorio regionale di Stam/Sten e, laddove la Regione volesse mantenere in attività Punti nascita il cui numero di parti sia al di sotto dello standard minimo, la formulazione di una proposta sulla quale il Ministero della salute esprimerà un parere preventivo vincolante»;
   la direzione per la programmazione sanitaria elenca le richieste di deroga inviate al Ministero dalla regione siciliana: «La Sicilia ha inviato una prima nota in cui viene chiesto di valutare la deroga per 9 punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti l'anno: Mussomeli, Bronte, Nicosia, Mistretta, Peraltro già chiuso nel 2012, Corleone, Lipari, Petralia, Pantelleria più casa di cura S. Stefano di Quisquina. Successivamente, il 23 aprile, è pervenuta al Ministero una ulteriore nota con la quale la Regione chiede la deroga anche per i punti nascita di Cefalù e Licata, a causa degli oggettivi insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio»;
   valutato il quadro complessivo, la direzione generale della programmazione sanitaria ha emesso il proprio parere ritenendo non accoglibile la deroga per motivazioni legate alla necessità di assicurare la presenza degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza di cui all'accordo Stato-regioni nella logica del rispetto dei principi di appropriatezza organizzativa, efficienza, economicità ed efficacia” disponendo così la chiusura entro il 31 dicembre dei punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia Sottana, S. Stefano di Quisquina e Licata;
   per quanto riguarda Nicosia e Corleone, il Ministero chiede alla regione di valutare alcune opzioni, ovvero «attivare un sistema di collegamento tra i due Punti e i rispettivi centri Hub di Enna e Palermo, con la previsione della rotazione del personale medico (ostetricia, anestesiologia e pediatria del comparto) per almeno una settimana al mese. In alternativa, qualora la procedura non dovesse essere attivata in maniera sostanziale e continuata, i Punti nascita di Nicosia e Corleone dovranno essere disattivati ed il personale seguirà le donne in gravidanza fino alla 38a settimana e successivamente le indirizzerà verso i Punti nascita più vicini»;
   su Pantelleria, invece, per le caratteristiche orografiche di particolare disagio, il Ministero «concorda con il mantenimento in attività, esclusivamente per l'espletamento delle gravidanze fisiologiche, mentre per quelle a rischio deve essere previsto il trasferimento verso il centro Hub di riferimento»;
   il quadro si completa con Paternò (preso atto dell'informativa della regione e il Punto nascita è già stato chiuso, con il trasferimento di utenza, personale e apparecchiature su Biancavilla) e con il punto nascite di Cefalù che resta in bilico, concordando il Ministero con la richiesta di deroga però previo monitoraggio annuale insieme al punto nascite di Termini Imerese;
   il documento finisce con la richiesta alla regione di avviare una informazione trasparente verso la popolazione per informarla delle nuove disposizioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere la propria decisione sulla chiusura entro il 31 dicembre 2015 dei punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Petralia Sottana, S. Stefano di Quisquina e Licata vista la loro particolare collocazione, evitando così di creare disservizi alla popolazione e garantendo anche in questa parte del territorio l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione. (5-06119)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 48 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003 è stata istituita l'Agenzia italiana per il farmaco (AIFA);
   l'AIFA è competente per l'attività regolatoria dei farmaci in Italia ed opera in autonomia, trasparenza ed economicità;
   l'autorevolezza e l'autonomia scientifica dell'AIFA è supportata dall'attività di due commissioni tecnico-scientifiche composte da esperti di comprovata e documentata esperienza nel settore;
   la Commissione tecnico scientifica (CTS) che si occupa delle attività connesse alle domande di autorizzazione in commercio di nuovi medicinali (AIC) dei quali determina il rapporto costo-efficacia. Inoltre, valuta ed esprime parere consultivo sulla classificazione dei farmaci ai fini della rimborsabilità;
   il Comitato rimborsi e prezzi (CRP) svolge l'attività negoziale connessa alla rimborsabilità dei farmaci;
   entrambe le commissioni prevedono la presenza di componenti di diritto; designati dal Ministero della salute, dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni. È previsto inoltre un osservatore nominato dal Ministero della salute;
   negli scorsi giorni sono state effettuate le nomine designate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni;
   i nuovi nominati per il Comitato rimborsi e prezzi (CRP) sono: dottor Stefano Sagratella; dottor Tiberio Corona; dottoressa Giovanna Scroccaro; professoressa Amelia Filippelli;
   i nuovi nominati per la Commissione tecnico-scientifica sono: dottor Antonio Giacomo Maria Addis; dottoressa Anna Maria Marata; dottor Paolo Schincariol; dottor Armando Genazzani;
   è necessario garantire che i componenti della Commissione tecnico-scientifica (CTS) e del Comitato rimborsi e prezzi (CRP) siano al riparo da qualsiasi influenza da parte delle aziende farmaceutiche;
   con delibera del consiglio di amministrazione dell'AIFA, n. 7 del 25 marzo è stato approvato il Regolamento per la disciplina dei conflitti di interesse all'interno dell'Agenzia Italiana del Farmaco. Lo scopo di quest'ultimo è «assicurare che nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali assegnate all'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) non interferiscano interessi ricollegabili all'industria farmaceutica che potrebbero influenzare l'imparzialità nelle valutazioni e nelle decisioni che ne conseguono...»;
   il comma 1 dell'articolo 124 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, prevede che: «Ogni impresa farmaceutica in possesso delle autorizzazioni previste dal titolo III o dal titolo IV, ovvero che, in base ad uno specifico accordo con il titolare dell'AIC, provvede all'effettiva commercializzazione di medicinali, che organizza o contribuisce a realizzare, mediante finanziamenti o erogazione di altre utilità anche indiretti, in Italia o all'estero, un congresso, un convegno o una riunione su tematiche comunque attinenti all'impiego di medicinali dalla stessa impresa prodotti o commercializzati, deve trasmettere al competente ufficio dell'AIFA, almeno sessanta giorni prima della data dell'inizio del congresso o incontro, una comunicazione, con firma autenticata, contenente i seguenti elementi:
    a) propria denominazione o ragione sociale, codice fiscale e sede;
    b) sede e data della manifestazione;
    c) destinatari dell'iniziativa;
    d) oggetto della tematica trattata, correlazione esistente fra questa e i medicinali di cui l'impresa è titolare, programma e razionale scientifico della manifestazione;
    e) qualificazione professionale e scientifica dei relatori;
    f) preventivo analitico delle spese; quando l'impresa si limita a fornire un contributo agli organizzatori, devono essere indicati l'entità e le modalità dello stesso, nonché eventuali diritti o facoltà concessi dagli organizzatori come corrispettivo» –:
   quali siano gli esiti delle verifiche effettuate dall'AIFA su tutti i componenti della Commissione tecnico-scientifica e del Comitato rimborsi e prezzi e se queste attestino inequivocabilmente se la loro presenza non interferisca con eventuali interessi ricollegabili direttamente o indirettamente all'industria farmaceutica, che potrebbero influenzare la loro imparzialità nelle valutazioni o nelle decisioni adottate o da adottare. (5-06120)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è registrata un'aggressione ai danni di un infermiere in servizio presso la R.EM.S, residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria di Caltagirone;
   l'infermiere a seguito di un alterco con un «ospite» della struttura ha ricevuto un pugno in piena faccia, subendo un trauma facciale con contusione alla regione zigomatica e periorbitaria destra con edema palpebrale e 5 giorni di prognosi per infortunio;
   non è purtroppo la prima volta che all'interno della struttura, dalla data di apertura a seguito della riforma degli ex operatori psichiatrici giudiziari avvenuta nel mese di aprile 2015, vengono denunciati episodi del genere da parte del personale in servizio;
   in considerazione delle difficili condizioni in cui è costretto ad operare, una parte del personale ha già presentato domanda di trasferimento e ancora permangono una serie di incertezze organizzative che sono state poste all'attenzione delle istituzioni competenti da parte delle organizzazioni sindacali al fine di trovare una soluzione –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottate con la massima urgenza al fine di assicurare condizioni di sicurezza al personale in servizio presso la struttura di Caltagirone per lo svolgimento del proprio lavoro nonché per evitare il ripetersi di simili episodi. (5-06104)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati diffusi dall'Associazione sanità privata accreditata territoriale, il budget per le attività della radioterapia nei centri convenzionati in Campania è esaurito da più di un mese: l'azienda sanitaria locale Napoli 2 nord, in particolare, ha visto l'esaurimento delle risorse già a metà del mese di giugno 2015; per Salerno l'esaurimento delle risorse è previsto per i primi giorni di settembre, e poi a catena Napoli 1 Centro, e, nel mese di ottobre toccherà a Caserta;
   i presìdi che offrono il servizio di radioterapia sono appena 22 a fronte di ben 39 strutture che, secondo gli standard nazionali, dovrebbero essere funzionanti;
   alla luce di questi dati, mancano almeno 17 centri di radioterapia tra pubblico e privato;
   tali dati rivelano un enorme divario tra la Campania e il Centro-nord Italia in termini di strutture attive;
   le province di Avellino e Benevento ne sono addirittura completamente sprovviste, fatta eccezione per le strutture pubbliche ospedali S.G. Moscati e Rummo, che non sempre riescono a garantire tempi rapidi nelle prestazioni;
   a giudizio dell'interrogante è del tutto inaccettabile che i pazienti di due realtà importanti come Irpinia e Sannio non possano disporre di almeno un centro che offra il servizio di radioterapia, dovendosi spostare, all'occorrenza, nelle province limitrofe con non pochi disagi;
   a giudizio dell'interrogante occorre intervenire sul sistema di remunerazione delle prestazioni che comporta sistematicamente il precoce esaurimento delle risorse: i fondi per le prestazioni sono terminati il 16 giugno 2015 a Napoli Nord, il 1o settembre si esauriranno a Salerno, poco dopo le risorse termineranno all'Asl Na 1 Centro, ed entro la metà di ottobre anche Caserta esaurirà il budget;
   per quanto riguarda la radiologia entro il prossimo mese di agosto le risorse saranno ridotte a zero in quasi tutte le aziende sanitarie locali della Campania;
   a giudizio dell'interrogante, non è accettabile che la radioterapia, notoriamente una terapia «salvavita» e pertanto non rinunciabile dai pazienti, non venga garantita con continuità ed efficienza;
   dalla struttura commissariale è stata recentemente emessa una circolare inviata ai direttori generali delle Asl che segnala la tendenza all'aumento di attività di buona parte delle branche della specialistica ambulatoriale nelle varie asl e conferma la inderogabilità dei tetti di spesa anche per la dialisi e la radioterapia, entrambe terapie «salvavita»;
   negli anni scorsi dette terapie avevano usufruito di contratti integrativi per assicurare la capienza del budget rispetto al fabbisogno;
   stando alle indicazioni della struttura commissariale, una soluzione andrebbe ricercata nell'incremento delle attività delle strutture pubbliche;
   a giudizio dell'interrogante, tale soluzione è praticabile, solo se adeguatamente coniugata con una riorganizzazione strutturale che eviti ai pazienti liste di attesa interminabili e disagi conseguenti –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere alla luce di quanto suesposto e se non ritenga di dover intervenire sulla struttura commissariale affinché anche le province di Avellino e Benevento possano avere un presidio che offra il servizio di radioterapia ai pazienti che ne hanno bisogno, così salvaguardando i livelli essenziali di assistenza. (4-09922)


   CULOTTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il piano sanitario della regione siciliana 2011-2013, in linea con gli orientamenti programmatici nazionali e internazionali, ha inteso rimodulare la rete materno-infantile per garantire adeguati standard di qualità relativamente all'organizzazione ed alle funzioni collegate all'assistenza, con la finalità di attuare progressivamente le previsioni di cui alle «Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» di cui all'accordo della Conferenza unificata Stato – regioni, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2011;
   la Sicilia nel marzo 2015 aveva chiesto al Ministero della salute di valutare la deroga per 9 punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti l'anno: Mussomeli, Bronte, Nicosia, Mistretta, Corleone, Lipari, Petralia Sottana, Pantelleria più casa di cura S. Stefano di Quisquina. Successivamente, la regione chiede la deroga anche per i punti nascita di Cefalù e Licata, a causa degli oggettivi insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio;
   valutato il quadro complessivo, la direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute ha emesso il proprio parere;
   la deroga è ritenuta non accoglibile per motivazioni legate alla necessità di «assicurare la presenza degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza di cui all'accordo Stato – Regioni nella logica del rispetto dei principi di appropriatezza organizzativa, efficienza, economicità ed efficacia»;
   è quindi è prevista la chiusura entro il 31 dicembre 2015 dei punti nascita di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, S. Stefano di Quisquina e Licata ed entro il 30 settembre 2015 del punto nascita di Petralia Sottana;
   per quanto riguarda il punto nascita dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia Sottana, ad oggi sono tutte valide le ragioni per le quali il comprensorio si era mobilitato per la deroga:
    a) distanza dagli altri presidi ospedalieri;
    b) viabilità precaria ora estremamente aggravata dal crollo dell'autostrada A19 che ha determinato l'isolamento di quell'area;
    c) altitudine dei centri abitati, 1000 metri, con frequenti innevamenti e relativi rischi per la circolazione e, quindi, per la vita dei pazienti;
   l'ospedale di Petralia ha da sempre rappresentato un punto strategico per tutto il comprensorio e oggi lo diventa maggiormente date le condizioni di isolamento e di estrema difficoltà per le Madonie e per tutte le attività del territorio. La strada statale 643, Polizzi-Scillato, sulla quale è dirottato l'80 per cento del traffico della Palermo-Catania, dopo il crollo del viadotto sulla A19, è già una trappola oggi e lo sarà ancora di più nel prossimo inverno per l'assoluta imprevedibilità dei tempi di percorrenza, in primo luogo per i mezzi di soccorso;
   nell'ultimo quinquennio (2010 – 2014) nell'ospedale in questione sono stati effettuati 620 parti con la media di 120 parti/annui; le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 1293, con una media annua di 258,6, mentre gli interventi di ginecologia ammontano a 249, 49,8 annui;
   l'assemblea dei sindaci, degli amministratori, dei rappresentanti delle associazioni di categoria e delle forze politiche e sociali, svoltasi a Petralia Sottana l'11 luglio 2015, ha deciso di avviare subito la mobilitazione del comprensorio madonita, con un calendario di iniziative di lotta contro la chiusura del punto nascita e per il rilancio dell'ospedale;
   appena due settimane fa le Madonie sono state scelte dalla giunta regionale, rispetto ad altre aree della regione siciliana, come territorio in cui sperimentare un nuovo modello di sviluppo economico attraverso la strategia nazionale delle aree interne (S.N.A.I.), basato sulla sanità e la scuola, sulla mobilità e sulle risorse del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti rappresentati e quali siano, per quanto di competenza, i suoi orientamenti in merito;
   se non ritenga opportuno intervenire, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, concedendo una deroga all'ospedale di Petralia Sottana e quindi a tutto il territorio madonita, già abbondantemente dilaniato dai problemi di mobilità garantendo in tal modo parità di accesso al diritto alla salute. (4-09963)


   NESCI, LOREFICE, BARONI e CIPRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la politica monetaria perseguita dallo Stato italiano a partire dalla legge n. 82 del 1992 e il sistema dell'euro sono a giudizio dell'interrogante obiettivamente la causa prima della perdita di sovranità popolare, dei tagli progressivi di risorse destinate ai servizi pubblici, dell'aumento spaventoso della tassazione, dello svuotamento dei diritti fondamentali e della crisi dell'economia reale del Paese;
   il debito pubblico dipende dall'emissione della cartamoneta;
   la Banca centrale europea (Bce), che di fatto appartiene a privati pur svolgendo una funzione definita pubblica, incassa come corrispettivo il valore nominale delle banconote ordiate dallo Stato;
   di fatto la Banca centrale europea riceve, in cambio della richiesta di stampa di denaro, quantità enormi di euro – moneta di cui essa è proprietaria – sottratte invero alla collettività;
   in questo quadro giuridico e politico, si assiste ogni giorno a una ridefinizione – funzionale al complessivo discutibile sistema del debito pubblico – degli standard ospedalieri e sanitari, nonché allo smantellamento della sanità pubblica, nonostante il diritto fondamentale alla salute sancito dalla Costituzione all'articolo 32;
   tra gestione aziendalistica della sanità – entrata nell'ordinamento con il disposto dell'articolo 3, comma 1-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, comma introdotto dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 –, misure di austerità e pareggio di bilancio, la cura dei pazienti è oggi subordinata a conti e numeri, a discapito della dignità umana e dell'eguaglianza dei cittadini, costretti, specie in regioni come la Calabria, ad avere strutture da terzo mondo e carenza grave di personale, fatti spesso «legittimati» anche dal piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   secondo la testata Il Corriere della Calabria, di recente cinque strutture sanitarie calabresi su nove «hanno comunicato al commissario per il piano di rientro le assunzioni necessarie, ma le richieste sforano già la quota di un migliaio di nuovi assunti annunciata dal commissario ad acta»;
   nella regione Calabria esistono graduatorie pubbliche ancora valide per l'assunzione di personale in ambito sanitario;
   le riferite graduatorie, stando all'articolo 4 del decreto-legge 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013, devono scorrere prima che vengano banditi altri concorsi per sostituire il personale necessario negli ospedali della regione, già commissariata per emergenza sanitaria nel 2007 e in seguito, nel 2010, per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   secondo la commissione ministeriale d'indagine che nell'aprile del 2008 relazionò sulle condizioni del servizio sanitario della Calabria, una diffusa illegalità nelle procedure di gestione e una forte ingerenza della politica, che negli anni ha determinato assunzioni clientelari, hanno creato nel tempo gravi danni sistemici;
   nella regione Calabria alcune recenti nomine di commissari di azienda sanitaria sarebbero avvenute in contrasto con la normativa anticorruzione di cui al decreto legislativo 39 del 2013 e altre nomine di dirigenti sanitari sarebbero state fatte con modalità dubbie sotto il profilo del rispetto delle leggi vigenti, come più volte denunciato dai parlamentari calabresi del Movimento 5 stelle –:
   alla luce della gestione commissariale in atto, finalizzata al rientro dai disavanzi sanitari, sulla base di quali ricognizioni riguardo all'organico e di quali consultazioni con i vertici delle aziende sanitarie della regione Calabria e con quali precise modalità e con quali garanzie di legalità saranno effettuate le assunzioni in parola. (4-09972)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS e MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2015 sulle pagine del quotidiano La Nazione, viene riportata la sconvolgente notizia che presso la cooperativa «il Forteto» le vittime dei maltrattamenti continuano a lavorare alle dipendenze dei loro aguzzini;
   la testata online «okmugello.it» riporta la notizia di una donna N.B. (vittima al processo) che avrebbe accusato crisi d'ansia e attacchi di panico dopo essere stata (nuovamente) messa a lavorare al fianco della madre affidataria (Daniela Tardani, condannata in primo grado a sette anni proprio per maltrattamenti dei suoi confronti);
   quanto sopra dimostrerebbe, a giudizio delle interroganti, che la maledizione de «il Forteto» continua a mietere vittime;
   le interroganti ritengono che l'accaduto sia paradossale, oltre ad essere l'ennesimo sintomo di una giustizia malata, incapace di difendere in maniera adeguata le vittime di violenza;
   il 9 luglio 2015 la Camera ha approvato la mozione n. 1-00937 a prima firma dell'interrogante in cui si impegna il Go- verno «ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa “il Forteto” affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo»;
   il 26 febbraio 2015 l'interrogante ha depositato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-08167, in cui si chiede al Governo se non fosse il caso di verificare con un supplemento d'ispezione che le irregolarità emerse dalle precedenti ispezioni fossero state effettivamente sanate e in caso di perdurare delle irregolarità se intendesse procedere al commissariamento –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere, eventualmente anche di carattere normativo, al fine di avere un effettivo controllo sulla cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando, per quanto di competenza, le responsabilità politiche al riguardo. (5-06103)


   CANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane, in data 1o luglio 2015, ha comunicato al sindaco di Carbonia che, ai sensi dell'articolo 5 della delibera 342/14/CONS del 26 giugno 2014 ed in riferimento ad una precedente comunicazione datata 3 febbraio 2015, dal 7 settembre 2015 verrà chiuso l'ufficio postale di Cortoghiana, sito in via Grand'Acquet n. 1 a Carbonia;
   già con precedente atto di sindacato ispettivo, n. 5-04693, l'interrogante aveva posto il problema in merito alla chiusura di una serie di uffici postali in Sardegna tra cui, appunto, quello di Cortoghiana;
   nell'ambito della risposta al suddetto atto di sindacato ispettivo, pervenuta in data 16 aprile 2015, il Governo evidenziava la necessità di una massima concertazione tra Poste Italiane e le amministrazioni locali e che, proprio su richiesta del Governo, Poste Italiane aveva accettato di coinvolgere fin da subito regioni e comuni (attraverso le rispettive associazioni) nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali;
   in merito a suddetto caso non vi è tuttavia riscontro di una avvenuta concertazione tra le istituzioni;
   si tratta quindi di una decisione grave ed eccessivamente penalizzante per la comunità di riferimento e tali obiezioni si basano su elementi oggettivi e non di mero campanile;
   l'Agcom ha infatti ribadito che occorre richiamarsi ad alcuni dei principi programmatici espressi nelle premesse della direttiva 2008/6/CE in particolare: «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione»; essa riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica»;
   nella stessa risposta al precedente atto di sindacato ispettivo, il Governo riferiva che l'Agcom ha assicurato di proseguire nell'attività di vigilanza provvedendo, a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni di servizio in riferimento agli uffici postali –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda attivare al fine di evitare la chiusura dell'ufficio postale di Cortoghiana attivando davvero la necessaria interlocuzione istituzionale, fino ad oggi assente, ed assicurando anche a questa comunità il permanere del servizio come previsto dal contratto di programma. (5-06105)


   CINZIA MARIA FONTANA e ARLOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Koch Heat Transfer Company srl di Bagnolo Cremasco (Cremona), azienda che produce scambiatori di calore per il settore petrolchimico e che fa parte dell'omonima multinazionale americana, ha attivato nei giorni scorsi la procedura unilaterale per la messa in mobilità dei circa 120 lavoratori occupati nel sito di Bagnolo Cremasco e la conseguente chiusura dello stabilimento;
   tale decisione avrà ripercussioni anche sui circa 20 dipendenti di un'altra ditta, la Ferrotec di Rimini, destinataria di commesse che la Koch Heat Transfer Company esternalizza da un paio di anni –:
   se il Ministro intenda attivare un tavolo di confronto con l'azienda, al fine di addivenire al ritiro della procedura unilaterale di mobilità dei 120 lavoratori del sito di Bagnolo Cremasco e di cercare nel frattempo soluzioni alternative all'annunciata chiusura per garantire certezze occupazionali ai lavoratori coinvolti. (5-06121)


   MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da tempo la comunità di Jesolo lamenta l'assenza per lunghi periodi del segnale dei canali Rai sul digitale terrestre;
   suddetto problema relativo alla ricezione del segnale dei canali della televisione pubblica purtroppo non è una novità per il litorale veneziano;
   tale problema si accentua in particolare durante le ore serali suscitando le lamentele anche dei tantissimi turisti che affollano alberghi e campeggi;
   il sindaco di Jesolo ha anche inviato una lettera ai responsabili Rai per avere risposte in merito a tale disservizio che arreca un danno d'immagine alla stessa azienda pubblica –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di assicurare il ripristino del segnale nel comprensorio citato in premessa consentendo la visione delle reti Rai.
(5-06138)


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come ancora riscontrabile dall'apposita sezione dedicata all'interno del sito del Ministero dello sviluppo economico, in data 18 giugno 2015, sarebbe scaduto il permesso di ricerca idrocarburi liquidi e gassosi denominato «CARISIO», ubicato in parte del territorio delle province di Novara, Vercelli e Biella;
   gli operatori titolari di tale permesso di ricerca sono il «Rappresentante Unico» ENI s.p.a. (con il 47,5 per cento delle quote) e i «Contitolari» PETROCELTIC ITALIA s.r.l. (con il 47,5 per cento delle quote) e COMPAGNIA GENERALE IDROCARBURI s.p.a. (con il 5 per cento delle quote);
   da un articolo pubblicato il 5 luglio 2015 sulla pagina locale novarese del quotidiano La Stampa si legge come «La multinazionale energetica [ENI S.p.A.] che svolge il ruolo di rappresentante unico dell'area di sondaggio di idrocarburi che si estende per 728 chilometri quadrati nelle province di Novara, Vercelli, Biella, il 15 giugno ha inoltrato al Ministero dello sviluppo economico la “richiesta di proroga della sospensione del decorso temporale del permesso Carisio.”»;
   nel campo «note» della sezione dedicata al permesso di ricerca «CARISIO» sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si può leggere come «Con nota del 15/07/2015 (prot. DVA-2015-0018498) è stata concessa una proroga di 45 giorni per la consegna delle integrazioni.»;
   si riporta come da un secondo articolo pubblicato il 20 luglio 2015 nella pagine piemontese de La Stampa si possa apprendere come «Il termine originario per consegnare gli approfondimenti necessari per l'istruttoria per la valutazione di impatto ambientale del pozzo da 40 milioni di euro era stato fissato al 13 luglio ma la multinazionale energetica presieduta da Emma Marcegaglia “in ragione della quantità e della complessità delle richieste fatte pervenire dalla Regione Piemonte e dal Ministero dell'ambiente ha domandato uno spostamento in avanti del termine. Da Roma, dalla direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Mattm, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la risposta non si è fatta attendere. Il dirigente Renato Grimaldi ha comunicato a tutte le parti coinvolte nel procedimento autorizzativo che “Eni ritiene necessaria la proroga ‘per elaborare le integrazioni alla documentazione depositata in riscontro alle osservazioni emerse’. Si concedono altri 45 giorni di tempo”.»;
   in data 5 giugno 2015 la COMPAGNIA GENERALE IDROCARBURI s.p.a., come già riportato in precedenza contitolare del permesso di ricerca «CARISIO», risulterebbe essere di proprietà di IDREG LIGURIA s.p.a. (95 per cento delle quote) e della HYDRO DRILLING INTERNATIONAL s.p.a. (5 per cento delle quote);
   dal portale «www.fallimentialessandria.com» risulta come la HYDRO DRILLING INTERNATIONAL s.p.a. avrebbe dichiarato fallimento in data 26 maggio 2015 –:
   per quale motivo e secondo quali criteri oggettivi siano stati concessi ad ENI s.p.a. ulteriori 45 giorni di proroga alla scadenza del permesso «CARISIO», considerando che la stessa sarebbe dovuta coincidere con il 18 luglio 2015;
   se, considerando il fallimento di uno dei suoi azionisti, COMPAGNIA GENERALE IDROCARBURI s.p.a. soddisfi ancora i criteri di garanzia economica forniti ai tempi della presentazione di istanza per il progetto «CARISIO»;
   in caso di risposta negativa, se i Ministri interrogati ritengano di riconsiderare, al vaglio dei criteri di sostenibilità economica/finanziaria, l'ammissibilità dell'istanza di permesso di ricerca in questione. (5-06141)


   BARBANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del 4 marzo 1994, registrato alla Corte dei Conti in data 5 dicembre 1994 Reg. 08 – F. 288, il signor Cannizzaro Antonio residente a Sibari (CS) ha ottenuto la concessione per l'esercizio della radiodiffusione sonora a carattere commerciale in ambito locale con la denominazione Radio Sibari Sole;
   con scrittura privata registrata il 30 agosto 1999 la ditta individuale Cannizzaro Antonio ha ceduto l'intera impresa radiofonica denominata Radio Sibari Sole alla ditta individuale Cannizzaro Ivano;
   il 24 marzo del 2000, mediante atto notarile è stata costituita la società Cooperativa Radio Sibari Sole a.r.l. che ha acquisito la ditta individuale Radio Sibari Sole dal signor Cannizzaro Ivano;
   in data 30 settembre 2001 la Cooperativa Radio Sibari Sole, ai sensi del decreto legge n. 5 del 23 gennaio 2001 convertito dalla legge n. 66 del 20 marzo 2001, ha presentato la richiesta di prosecuzione dell'esercizio dell'attività di radiodiffusione sonora e ha ricevuto, dal Ministero dello sviluppo economico in data 24 febbraio 2004, la seguente risposta affermativa: «...che a seguito della verifica effettuata sulla documentazione prodotta la Radio Sibari Sole Scrl, con sede in Cassano allo Jonio (CS) via vico XII 4 novembre 5, titolare dell'emittente radiofonica locale Radio Sibari Sole a carattere Commerciale in ambito locale, risulta in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, commi 2-bis e 2-ter della citata legge n. 66 del 2001. Pertanto la medesima può proseguire nell'esercizio dell'attività di cui sopra, con gli obblighi e i diritti del concessionario fino all'adozione del Piano di assegnazione delle frequenze di radiodiffusione sonora in tecnica analogica, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2 della citata legge n. 66/2001.»;
   dopo quattro anni in cui la società ha promosso fortemente il progetto predisponendo forti investimenti quali una nuova sede ed nuova strumentazione, in data 1 ottobre 2008 il Ministero dello sviluppo economico, con la nota DGSCER/3/907182, ha comunicato alla Cooperativa Radio Sibari Sole l'avvio del procedimento di revoca relativo alla prosecuzione dell'attività di radiodiffusione sonora ai sensi della legge n. 66 del 20 marzo 2001, in quanto la cessione dell'impresa radiofonica, denominata Radio Sibari Sole dalla ditta individuale CANNIZZARO Antonio alla ditta individuale CANNIZZARO Ivano, è avvenuta in violazione dell'articolo 1, comma 14 della legge n. 650 del 1996, che prevede che le concessioni costituite da imprese individuali possono essere acquisite da società di capitali o da società cooperative a responsabilità limitata e non da altra impresa individuale non concessionaria;
   il Ministero suddetto quindi ha dichiarato non più valida la successiva cessione dell'emittente in questione a favore di della citata società, non essendo più il cedente un soggetto legittimato, e ha giustificato la precedente autorizzazione concessa dal Ministero stesso, un proprio «mero errore materiale»;
   il provvedimento è stato impugnato davanti al T.A.R. del Lazio, evidenziando che il Ministero dello sviluppo economico stava avviando una procedura di revoca di concessione, erroneamente, poiché secondo la legge: «La pubblica amministrazione può dare luogo alla revoca di un atto affetto da vizi di merito, sempre in presenza del presupposto fondamentale del pubblico interesse»;
   sarebbe stato inoltre necessario parlare di annullamento e non di revoca – entro tempi ragionevoli – ma il T.A.R. del Lazio, ha negato la sospensione del provvedimento, così come il Consiglio di Stato, fino a che la questione non fosse stata valutata nel merito;
   la Società Radio Sibari Sole non è ad oggi riuscita a conseguire una risposta nel merito nonostante siano trascorsi 5 anni –:
   se e con quali iniziative il Ministro interrogato intenda intervenire per sanare questa situazione, in modo da salvaguardare investimenti e posti di lavoro in un momento di congiuntura economica negativa. (5-06148)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSINAROLO e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'emissione delle carte-valori postali, così come la loro fabbricazione, è per legge riservata allo Stato e, in particolare, il programma di emissione è elaborato dal Ministero dello sviluppo economico;
   il Ministro dello sviluppo economico o un suo delegato presiede la Consulta per l'emissione delle carte-valori postali e la filatelia. La Consulta è un organismo tecnico-consultivo composto da circa trenta componenti, in rappresentanza delle amministrazioni e degli enti coinvolti nell’iter di realizzazione delle carte-valori postali, nonché da esperti del mondo filatelico e da personalità della società civile;
   la Consulta concorre all'elaborazione del programma, esprime i propri pareri ed orientamenti sulla relativa bozza predisposta dall'amministrazione, sulle proposte presentate e, in generale, su argomenti di politica filatelica;
   risulta agli interroganti che il 20 novembre 2014 il Sottosegretario per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, il quale rappresenta il Ministro dello sviluppo economico in seno alla Consulta per l'emissione delle carte-valori postali e la filatelia, avrebbe annunciato una nuova seduta della Consulta, per i primi mesi del 2015, ed un incontro con le parti, particolarmente atteso, al fine di affrontare le varie problematiche che hanno investito il settore ma che tale impegno è rimasto del tutto disatteso;
   risulta inoltre agli interroganti che, di fronte a tale situazione, i presidenti delle Associazioni filatelisti italiani professionisti, della Federazione fra le società filateliche italiane e dell'Unione stampa filatelica italiana, ovvero i tre sodalizi che, a livello nazionale, rappresentano rispettivamente commercianti, associazioni collezionistiche e stampa specializzata abbiano sollecitato il Sottosegretario, senza aver alcun riscontro, in data 22 aprile e 9 giugno 2015;
   nel frattempo sono state rilevate incessanti integrazioni al programma, che hanno giù fatto superare il numero di 100 francobolli previsto per l'anno in corso. In particolare il rilievo si riferisce al titolo per l'Expo 2015, organizzato in ben sedici esemplari diversi e, dunque, anche con un notevole esborso richiesto ai collezionisti per l'annata, ora superiore agli 82,00 euro;
   un ulteriore aspetto è rappresentato dal continuo aggiungersi di titoli a soggetto religioso come, ad esempio, le emissioni relative al Concistoro ordinario pubblico per la creazione di nuovi cardinali (francobollo emesso il 22 febbraio 2014), al gesuita Martino Martini (emissione dell'8 marzo), alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (24 aprile), a san Camillo de Lellis (14 luglio), alla canonizzazione di papa Ormisda (20 luglio), all'Associazione guide e scouts cattolici italiani (7 agosto), a Pio X (20 agosto) o per il Natale 2014 (1o dicembre), per san Giovanni Bosco (19 maggio 2015), per il tempio di Santa Maria della Consolazione a Todi (27 maggio), per l'Istituto Pia società figlie di san Paolo (15 giugno), per san Filippo Neri (22 luglio), per la Scuola di Barbiana (giorno non ancora definito di settembre) ed infine per il Natale 2015 (novembre) ed il Giubileo straordinario della misericordia (dicembre);
   in relazione a quanto esposto in precedenza è doveroso sottolineare che, pur non disconoscendo la storia e l'importanza per la società nazionale del credo cattolico, occorre ricordare la laicità che lo Stato deve mantenere, anche verso elementi dall'alto significato simbolico come i francobolli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se ritenga opportuno prevedere immediatamente la convocazione dei rappresentanti dei tre sodalizi del settore filatelico di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanti siano i bozzetti diversi che l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato è tenuto a sottoporre alla Commissione per ogni francobollo da realizzare ed i relativi costi. (4-09928)


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   16 luglio 2015 l'azienda Koch Heat Transfer di Bagnolo Cremasco (CR), facente parte del gruppo Koch Chemical Technology Group Italia srl, ha comunicato ai lavoratori l'intenzione di chiudere l'azienda e di aver aperto la procedura di mobilità nei loro confronti, con una ricaduta occupazionale su 114 lavoratori occupati a vario titolo nell'azienda;
   la decisione è giunta inaspettata dal momento che l'azienda già nel 2013 era andata incontro ad una lunga vertenza coi lavoratori dovuta ad una incisiva riorganizzazione;
   le gravissime ripercussioni che questa scelta unilaterale dell'azienda avrebbe sul tessuto produttivo, occupazionale e sociale, coinvolgendo pesantemente un elevato numero di famiglie e il relativo indotto, inducono a sollecitare l'intervento del Ministro interrogato con la massima urgenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia ha adottato e intenda intraprendere al fine di scongiurare l'annunciata chiusura dell'azienda Koch Heat Transfer di Bagnolo Cremasco. (4-09932)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in vista della scadenza (prevista il 25 luglio 2015) della consultazione pubblica del Ministero dello sviluppo economico sulla valutazione strategica dei rigassificatori in Italia, fra cui la realizzazione dell'impianto di Porto Empedocle, le autorità locali di Agrigento e i rappresentanti del distretto turistico Valle dei Templi hanno espresso la netta contrarietà all'esecuzione dell'opera, considerata la certezza del grave impatto ambientale nonché la vocazione ad alta densità turistica dell'area interessata;
   al riguardo, l'amministratore delegato della Snam, Malacarne, in un'intervista pubblicata dal quotidiano «Il Corriere della Sera» il 12 luglio 2015, ha dichiarato il suo assenso all'eventuale decisione di ricevere il progetto per la realizzazione del rigassificatore in Sicilia, predisposto da Enel, che rientra all'interno di una strategia energetica nazionale, stabilita dal Ministero;
   il manager della medesima società di impianti di gasdotti ha tuttavia evitato di rilevare che il gasdotto di collegamento, (che dovrebbe essere costruito proprio dall'azienda Snam Rete Gas che rappresenta), attraverserà, se realizzato, la buffer zone (zona di rispetto) del parco archeologico agrigentino, delimitata dall'Unesco, e per di più sottoposta a vincoli paesaggistici, archeologici e idrogeologici;
   a tal fine, l'interrogante evidenzia, come a suo parere, l'approccio culturale e psicologico, in merito alla realizzazione di impianti di stoccaggio, di rigassificazione e distribuzione del gas naturale, in senso generale, non deve essere pregiudizievole e strumentale, in quanto una volta conclamato un adeguato livello di sicurezza e di basso impatto ambientale, non può che rappresentare un ritorno notevole in termini di sviluppo economico e industriale per le aree interessate a livello nazionale;
   tuttavia, l'area specifica dell'agrigentino ed in particolare di Porto Empedocle, individuata per la realizzazione del rigassificatore, proprio per le sue elevate e inimitabili peculiarità paesaggistiche, culturali turistiche e ambientali, non sembra a parere dell'interrogante, possedere le caratteristiche idonee per la costruzione dell'impianto;
   l'interrogante evidenzia come, anche a seguito delle dichiarazioni dell'amministratore delegato Malacarne (nel corso della citata intervista rilasciata al Corriere della Sera), secondo le quali Snam Rete Gas sarebbe favorevole a comprare il progetto, a condizione però che il Ministero interrogato lo dichiari «strategico» per le esigenze del Paese, siano urgenti e necessarie iniziative del Governo, volte a garantire la massima trasparenza sulle decisioni finali in merito alla realizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, in merito all'eventuale costruzione dell'impianto energetico riportato in premessa;
   quali siano gli orientamenti del Governo, in vista dell'imminente scadenza della consultazione pubblica del Ministero dello sviluppo economico sulla valutazione strategica dei rigassificatori in Italia ed, in particolare, in relazione a quello di Porto Empedocle;
   quali siano gli orientamenti del Governo, con riferimento alle dichiarazioni espresse dall'amministratore delegato della Snam nell'intervista in precedenza richiamata, nella quale si ritiene disponibile ad acquisire il progetto del rigassificatore di Porto Empedocle, la cui realizzazione, a giudizio dell'interrogante, nonostante gli esiti della consultazione pubblica al riguardo non siano ancora conclusi, è contrastata dalla maggior parte degli agrigentini. (4-09939)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Monitor dei distretti delle Marche, curato dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo per Banca dell'Adriatico, ha registrato una flessione del 2,1 per cento nei primi mesi del 2015 per l’export dei distretti delle Marche, dopo un «tentativo di ripresa negli ultimi due trimestri del 2014»;
   il dato registrato è in controtendenza rispetto alla media dei distretti italiani che segnano invece un + 3 per cento;
   secondo lo studio citato, ad incidere particolarmente sul dato dell’export marchigiano, è l'andamento negativo dei tre distretti della moda: il settore calzature nel fermano con un -4,5 per cento delle pelletterie di Tolentino (-5,9 per cento), e Jeans valley di Montefeltro (-3,6 per cento), e del distretto delle cappe aspiranti e elettrodomestici di Fabriano (-3,2 per cento), che pagano, ancora una volta, una forte contrazione della domanda dalla Russia, mercato di riferimento per i comparti economici citati, dove le imprese distrettuali marchigiane detengono quote significative;
   secondo il direttore generale di Banca dell'Adriatico Roberto Dal Mas, che ha commissionato lo studio, «La caduta delle esportazioni in Russia nel corso del primo trimestre dell'anno (-36,6 per cento) conferma un trend pesantemente negativo, in atto dal secondo trimestre del 2013. Questo andamento è stato influenzato dalla debolezza dell'economia russa, dalle sanzioni imposte dall'Europa in seguito all'acuirsi della crisi ucraina e dal calo del prezzo del petrolio, che hanno progressivamente indebolito la domanda russa. Tutti i distretti in avvio d'anno hanno confermato un calo delle esportazioni su questo mercato» (Milano Finanza, 21 luglio 2015);
   la crisi diplomatica con la Russia è lungi dall'essere risolta in tempi brevi, come dimostra anche la recente (17 giugno del 2015) decisione all'unanimità degli ambasciatori permanenti degli Stati dell'Unione europea di prorogare, sino al 31 gennaio 2016, le sanzioni economiche contro la Russia, ratificata il 22 giugno 2015 dal Consiglio dei ministri degli esteri europei, alla quale è seguita l'immediata reazione del Governo di Mosca con l'annuncio di ricambiare «nei confronti della Ue l'estensione delle sanzioni» (La Repubblica, 23 giugno 2015) –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per far fronte al trend negativo illustrato in premessa; 
   quali iniziative intenda assumere per scongiurare il rischio che il prolungamento delle sanzioni possa comportare la perdita, o la significativa contrazione, delle quote di mercato russo conquistate con investimenti importanti da parte delle imprese marchigiane nel corso degli anni. (4-09941)


   L'ABBATE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo vetrario Sangalli rappresenta il primo produttore di vetro piano in Italia (copre circa il 30 per cento del mercato), con siti produttivi a Monte Sant'Angelo (Foggia) e San Giorgio di Nogaro (Udine), con una produzione di circa 1.300 tonnellate al giorno ed impiegando complessivamente oltre 400 addetti. Res nota est che tale Gruppo versi in grave dissesto finanziario;
   quasi tutte le società del Gruppo (in particolare Sangalli Vetro Manfredonia — già Manfredonia Vetro, Sangalli Vetro, Sangalli Vetro Porto Nogaro, Sangalli Vetro Satinato) hanno ricevuto contributi pubblici in conto capitale (e non) sia grazie ai tre Protocolli al contratto d'area di Manfredonia sia grazie a risorse del Fondo di rotazione per iniziative economiche del Friuli Venezia Giulia, come dimostrato dalla presenza di Friulia spa al 35 per cento nel capitale sociale di una delle anzidette società. La finanziaria regionale Friulia spa, come è noto, opera soltanto con l'ausilio di un patto parasociale che, in questo caso, è stato disdettato e poi rinnovato;
   in aggiunta ai finanziamenti di cui sopra, a fine 2013, Sangalli Vetro Manfredonia è stata ammessa al beneficio di ulteriori agevolazioni dalla regione Puglia per euro 6.889.323,60 quale contributo al rifacimento del fornofloat. Va, tuttavia, tenuto presente però che l'Unione europea fissa un tetto massimo ai contributi pubblici per la regione Puglia nella misura del 70 per cento delle somme ammesse a contributo;
   ad oggi, le condizioni finanziarie del Gruppo sono di sofferenza se non addirittura di insolvenza, in quanto al 31 dicembre 2013 gli amministratori riportavano un indebitamento verso gli istituti di credito per 128,4 milioni di euro, superiore al fatturato complessivo che risulta in peggioramento rispetto all'esercizio precedente, con perdite complessive per 11,3 milioni di euro relative all'esercizio 2013;
   al 13 ottobre 2014, l'impianto più moderno e più remunerativo del Gruppo, appartenente alla società Sangalli Vetro Magnetronico di Monte S. Angelo (Foggia), uno dei due impianti coater in Italia, scontava un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria di 15 giorni per tutte le 26 risorse, che si aggiunge ai periodi precedenti. Stante il contributo pubblico già deliberato dalla regione Puglia in data 19 novembre 2013 (pubblicazione B.U.R.P. n. 159 del 4 dicembre 2013) a questo scopo, fonti aziendali riportano che la fermata dell'impianto float di Monte S. Angelo (Foggia) è prevista per fine anno 2014;
   tuttavia si teme che tale fermata venga in un primo tempo prorogata per poi diventare definitiva;
   alla luce della situazione attuale, pare non abbia trovato un esito positivo l'accordo di riscadenziamento dell'indebitamento complessivo, siglato in data 20 novembre 2013 che prevedeva l'ingresso di un nuovo socio russo, attraverso la società lussemburghese Glasswall. Alla luce di quanto detto ad avviso dell'interrogante non è da escludere la presentazione della richiesta di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del decreto legislativo 270 del 1999 (cosiddetto Prodibis) per i seguenti motivi: la società ha superato, anche se di poco, la soglia necessaria dei 200 dipendenti, l'indebitamento complessivo supera (e di molto) i due terzi sia del totale dell'attivo dello stato patrimoniale sia dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio. Appare evidente che l'accordo del 20 novembre 2013 sia divenuto inefficace giacché la holding italiana del Gruppo (Vetro Partecipazioni di Susegana, Treviso), unica società che registra la presenza del nuovo socio Glasswall, risulta ancora oggi inattiva;
   secondo quanto riportato nel relativo verbale, si evince che il bilancio 2013 di Sangalli Vetro Manfredonia sia stato approvato dai manager russi addirittura per telefono e che il consiglio d'amministrazione era ed è composto da un numero di componenti superiore a quanto previsto dallo Statuto. Da ultimo, si constata che il Presidente del collegio sindacale, dottor Gianbattista Rossetti (già arrestato per tentata corruzione nel 1984 e poi amnistiato), risulta essere membro della «Commissione Amministrazione Straordinaria per le Grandi Imprese in Crisi», istituita presso il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili;
   si richiama l'interrogazione a risposta scritta 4-02323 e la relativa risposta –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza della descritta situazione in seno al gruppo industriale tutto, ed in particolare di quella relativa al polo produttivo di Monte S. Angelo (Foggia) e se l'eventuale ricorso allo strumento dell'amministrazione straordinaria ex decreto legislativo 270 del 1999, visto alla luce della recente posizione della commissione europea in tema di amministrazione straordinaria, non rischierebbe di essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato (come già accaduto in vari casi), anche in considerazione delle erogazioni già percepite dal gruppo e dei precedenti per frode fiscale del patron del Gruppo, Giorgio Sangalli;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per promuovere il dialogo con la proprietà (e gli istituti di credito), allo scopo di predispone un piano industriale efficace per la salvaguardia della produzione e dei livelli occupazionali, anche nell'ipotesi in cui si dovesse nominare un commissario straordinario, al fine di evitare (o almeno limitare) le ripercussioni in seno al comparto vetrario italiano;
   se i Ministri interrogati intendano comunicare notizie riguardanti la situazione debitoria attuale e quella relativa alle eventuali controversie pendenti nei confronti dell'Agenzia delle entrate e dell'autorità giudiziaria e se gli aiuti stanziati dalla regione Puglia verranno erogati ad avanzamento o a fine lavori di rifacimento del forno float di Manfredonia, come ragionevolmente ci si aspetterebbe stante l'elevato rischio di fallimento della società singola e dell'intero gruppo vetrario.
(4-09958)


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste Italiane presentato nel mese di febbraio 2015 prevedeva per la Lombardia la chiusura di 61 uffici postali e l'apertura a giorni alterni di altri 120 uffici, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici» perché ubicati soprattutto nelle realtà montane e svantaggiate, senza considerare che queste zone vivono condizioni generali di servizio già di per se disagiate;
   in seguito alle numerose proteste e grazie anche alla mozione presentata dal gruppo della Lega Nord che ha impegnato il Governo a favorire una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte per valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata ed individuare soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, 15 dei 61 uffici lombardi, cioè 1 su 4, di cui era prevista la chiusura, rimarranno aperti e attivi;
   la scelta degli uffici da salvaguardare appare però non rispondere alle numerose problematiche presenti anche in altri comuni lombardi, come quello di Cadorago (Co), dove la chiusura dell'ufficio postale di Bulgorello negherebbe il servizio ad una zona di utenza composta da Bulgorello-Puginate-Socco con un bacino di 4.000 abitanti oltre ad aziende ed artigiani obbligate a servirsi di uffici postali distanti almeno 2 chilometri e non collegati da trasporto pubblico;
   gli uffici postali nelle piccole realtà rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura diventa un problema per tutta la comunità e soprattutto per le fasce più deboli, contribuendo al depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni, negando agli abitanti la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle utenze o la riscossione della pensione, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   il provvedimento di chiusura dell'ufficio di Bulgorello era stato momentaneamente sospeso per valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata ed individuare soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, eppure in questi giorni Poste Italiane ha sentenziato la definitiva chiusura;
   questa decisione unilaterale di Poste Italiane di chiudere l'ufficio postale di Bulgorello è ancora più incomprensibile per la concreta e costruttiva proposta avanzata dall'amministrazione comunale e avallata dalla cittadinanza di ridurre l'apertura dell'ufficio di Casilino (un'altra frazione di Cadorago) attualmente aperto 6 giorni, per poter distaccare i dipendenti 2 volte a settimana nell'ufficio di Bulgorello, i cui locali verrebbero concessi gratuitamente dal comune;
   la chiusura si inserisce in un contesto già critico e carente del servizio postale, con strumenti di lavoro inadeguati, organici insufficienti, sistemi informatici obsoleti, con lunghe attese degli utenti presso gli uffici;
   in merito all'interesse economico della società Poste Italiane, con sentenza n.1262 dell'11 marzo il Consiglio di Stato in relazione al progetto di razionalizzazione attivato da Poste Italiane ha ribadito che «Poste non può fare spending review sulle spalle dei piccoli centri, determinando disservizi e disagi soprattutto alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici». Per questo motivo, concludono i giudici amministrativi, «le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, e anche delle conseguenze che la presenza ha sull'utilità sociale –:
   se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza per pervenire a una momentanea sospensione del processo riorganizzativo di Poste Italiane affinché possano essere rivalutate con attenzione le caratteristiche del comune di Cadorago e degli uffici attualmente attivi nelle frazioni del comune, così da scongiurare la chiusura di un presidio tanto importante per la comunità come l'ufficio postale di Bulgorello, esaminando seriamente le proposte avanzate dall'amministrazione comunale tese a razionalizzare i costi ma, al contempo, a salvaguardare i servizi fondamentali per la cittadinanza. (4-09960)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Pellegrino n. 1-00815, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 411 del 17 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    a fine 2015 scadranno gli impegni presi nel 2000 con il lancio da parte delle Nazioni Unite degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) e partirà la nuova fase degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), come deciso e contenuto nel documento approvato dai Capi di Stato e di Governo convenuti alla Conferenza di Rio +20 del 2012 «Il futuro che vogliamo»;
    è attualmente in corso il processo negoziale che porterà nel mese di settembre 2015 all'adozione finale dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile nel cui ambito avranno un ruolo di rilievo i target ambientali;
    fra gli obiettivi è ancora considerato l'accesso all'acqua un bene comune cui ormai spesso si fa riferimento anche come diritto umano;
    per la prima volta all'interno degli obiettivi è considerata la questione delle migrazioni (nel decimo cluster di obiettivi, cluster 10, «Reduce inequality within and among countries»;
    il testo in corso di discussione contiene uno specifico cluster di obiettivi (cluster 13) direttamente connessi ai cambiamenti climatici;
    a Parigi, dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, si terrà la XXI sessione della Conferenza delle Parti COP 21 dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere decisi gli impegni in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari verso i Paesi più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici;
    gli effetti dei cambiamenti climatici arrecano grave pregiudizio ai diritti umani delle popolazioni interessate, quali il diritto alla salute, all'acqua, alla terra, alle fonti di sostentamento, al cibo, ai diritti culturali, e qualsiasi iniziativa o impegno internazionale sul clima dovrà tener conto della dimensione relativa ai diritti umani;
    milioni di indigeni, donne ed uomini di ogni regione, sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, ai disastri naturali ad essi connessi, agli effetti negativi di politiche di adattamento e mitigazione, alla continua dipendenza dai combustibili fossili e, allo stesso tempo, l'applicazione delle loro conoscenze tradizionali può consentire soluzioni efficaci in termini di conservazione di ecosistemi, adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici;
    nell'autunno 2015 si terrà anche la Conferenza delle Parti della Convenzione per la lotta alla desertificazione UNCCD, ad Ankara dal 12 al 23 ottobre 2015, e nell'autunno del 2016 quella della Convenzione sulla biodiversità CBD in Messico a novembre, le altre due convenzioni ambientali globali delle Nazioni Unite, le cui decisioni indirizzano le politiche globali e nazionali su terre aride e biodiversità anche in relazione agli effetti dei cambiamenti climatici e di cui dunque si dovrà tenere conto;
    sempre nel 2016, a Quito, si terrà la terza Conferenza del programma delle Nazioni Unite UN Habitat che ha ufficialmente individuato i cambiamenti climatici come uno dei temi principali per la dimensione urbana, e in generale, per gli insediamenti umani;
    a fine 2014 è stato completato il quinto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici prodotto dal Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) dal quale appare evidente la gravità della crisi climatica e l'urgenza di ridurre le emissioni di gas serra per evitare un ulteriore pericoloso riscaldamento del pianeta;
    già nel 2009, a Copenaghen, al fine di evitare «pericolose interferenze con il sistema climatico», i firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) hanno condiviso l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale del pianeta al di sotto di 2 gradi rispetto alla temperatura media del periodo preindustriale e di prendere in considerazione la possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi;
    la temperatura media globale dell'atmosfera è in chiaro aumento; tale aumento, non essendo uniforme, agisce maggiormente su alcune zone, fra le quali l'area mediterranea;
    in Italia si sta registrando un trend di aumento pari a più del doppio di quello globale: nel 2014 è stato registrato un aumento di +2,4 gradi rispetto alla media 1880-1909;
    secondo il comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, continuando ad emettere gas-serra senza serie politiche di riduzione ci sarà un riscaldamento globale compreso tra 2 e 4 gradi entro fine secolo, con conseguenze enormi a livello globale, alcune ancora difficilmente valutabili, anche per il nostro Paese;
    l'Italia non ha raggiunto l'impegno di riduzione previsto dal protocollo di Kyoto (6,5 per cento di riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990); la riduzione delle emissioni osservata in questo periodo è stata dovuta prevalentemente alla crisi economica in corso che ha ridotto consumi e produzione;
    a causa della recessione, in Italia come in molti paesi dell'Unione europea, sono state ridotte le risorse finanziarie per implementazione dei controlli ambientali e delle politiche climatiche e energetiche;
    l'Unione europea si è impegnata a nuovi e più ambiziosi obiettivi per gli anni 2020 («pacchetto clima energia»: riduzione del 20 per cento delle emissioni nel 2020 rispetto al 1990), nel 2030 («2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy»: riduzione del 40 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990) e nel 2050 («Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050»: riduzione dell'80-95 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto al 1990);
    l'Unione europea ha approvato e inviato il 6 marzo 2015 al segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) i suoi «contributi programmati e definiti a livello nazionale» (Inde) che prevedono un impegno a ridurre le emissioni europee nel 2030 di almeno il 40 per cento rispetto al 1990,

impegna il Governo:

   a favorire l'approvazione, in occasione della prossima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, di un accordo globale vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi determinati e scadenzati, in grado di far rispettare le indicazioni del comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici e di avviare adeguate strategie nazionali di mitigazione e adattamento;
   a farsi promotore affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del Libro verde sul quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche, prevedendo: una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 45 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 40 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 35 per cento;
   a sostenere con sollecitudine l'accordo di Lima sui cambiamenti climatici approvato al termine dell'ultima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e definire in tempi brevi, attraverso un percorso democratico e partecipativo, le modalità per l'attuazione in Italia dei contributi programmati e definiti europei;
   a sostenere, nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, obiettivi ambiziosi per contrastare il cambiamento climatico e per avviare azioni di decarbonizzazione, anche con un adeguato supporto finanziario e tecnologico ai Paesi più poveri;
   ad assumere iniziative per implementare politiche migratorie pianificate e ben gestite, migrazioni sostenibili sulla base della libertà di mobilità e di migrazione prevista dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, e quindi per contrastare e prevenire ogni migrazione forzata per effetto, ad esempio, di guerre, persecuzioni, disastri e impatti dei cambiamenti climatici, favorendo il riconoscimento dello status di «climate refugees»;
   a sostenere il riconoscimento della relazione tra cambiamenti climatici e diritti umani, includendo nel documento finale di Parigi i diritti dei popoli indigeni, la loro conoscenza tradizionale, il diritto alla terra ed all'autodeterminazione, alla partecipazione diretta ed effettiva alle politiche climatiche e all'accesso diretto alle risorse finanziarie, assicurandone il rispetto e la promozione in ogni programma o progetto di mitigazione, adattamento, trasferimento di tecnologie, riduzione delle emissioni e capacity building;
   nel quadro degli impatti previsti, a sostenere in ogni sede il principio dell'acqua come bene comune e diritto umano, da affermare nel diritto internazionale e nelle Costituzioni dei singoli Stati;
   ad adottare entro il 2015 in Italia tutte le iniziative necessarie per la ratifica e l'implementazione degli impegni europei nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con particolare riguardo all'emendamento approvato a Doha nel 2012 per la ratifica degli impegni relativi al secondo periodo del protocollo di Kyoto, circa gli ulteriori impegni vincolanti in materia di riduzione di gas serra;
   ad assumere le necessarie iniziative, sia in ambito nazionale che in sede di Unione europea, volte ad incrementare le risorse per la cooperazione allo sviluppo sostenibile, nonché per il fondo verde per il clima, anche al fine di sostenere i costi di adattamento per quei Paesi in via di sviluppo maggiormente colpiti dagli impatti del cambiamento climatico;
   ad approvare entro settembre 2015 la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con la comunità scientifica nazionale, procedendo immediatamente con la definizione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ne recepisca le indicazioni definendone priorità, tempistiche e impegni di spesa;
   ad attivarsi in ambito nazionale e in sede di Unione europea affinché si adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax), al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle;
   ad avviare le opportune iniziative volte a contrastare e impedire, nell'ambito dell'accordo globale sul clima in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, i progetti di ingegneria climatica o geoingegneria, una serie di metodi e tecnologie che mirano influire deliberatamente sul sistema climatico, alterandolo, con effetti non conosciuti e potenzialmente devastanti;
   ad avviare appropriate e immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, anche attraverso la riduzione degli investimenti statali nelle industrie legate all'estrazione di nuovi prodotti fossili nel territorio nazionale, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale e definendo conseguentemente un vero piano nazionale energetico;
   ad adottare una nuova politica energetica, individuando e sostenendo misure di indirizzo della scelta delle fonti secondo criteri di riduzione e azzeramento delle emissioni e stabilendo una road map sulle varie priorità, al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici climalteranti;
   ad assumere iniziative in ambito nazionale, nonché ad attivarsi nell'ambito dell'Unione europea, al fine di contrastare la povertà energetica e la vulnerabilità dei consumatori, attraverso una tariffazione equa dell'energia elettrica e termica, in grado di garantire le fasce più deboli dei cittadini;
   ad assumere iniziative per escludere dal Patto di stabilità le spese dello Stato, delle regioni e degli enti locali, legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e in particolare alla messa in sicurezza del territorio e alla protezione civile;
   a sostenere le azioni delle regioni finalizzate ad aumentare la resilienza del territorio promuovendo le opportune sinergie tra mitigazione e adattamento, anche in collegamento con le iniziative in atto a livello europeo (come l'iniziativa del «patto dei sindaci» sull'adattamento al cambiamento climatico);
   a favorire, per quanto di competenza, lo sviluppo in modo coordinato di adeguati piani regionali e locali di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le misure ad alto grado di sostenibilità ambientale, evitando impatti negativi sull'ambiente e sugli ecosistemi delle misure stesse;
   ad istituire un qualificato ed organico servizio meteo-climatico nazionale con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare e ecosistemi);
   a riconoscere concretamente la centralità delle città e delle autorità locali in materia di pianificazione urbanistica e di programmazione socio-economico-ambientale;
   ad adottare politiche, piani e programmi sia a livello nazionale che a livello internazionale, anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, che contribuiscano efficacemente al raggiungimento dei target previsti dagli Obiettivi di sviluppo sostenibili.
(1-00815)
(Nuova formulazione) «Pellegrino, Zaratti, Scotto, Kronbichler, Palazzotto, Franco Bordo, Zaccagnini, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Rubinato n. 3-01631, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 465 del 20 luglio 2015.

   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-04863 del mese di febbraio 2015 era stato già messo in luce come, a seguito di un episodio occorso a Treviso il 16 febbraio 2015, in cui un contingente di circa 35 profughi era stato invitato a disperdersi dopo esser stato fotografato dalla questura e sottoposto alle visite mediche, la locale prefettura non aveva trovato alcuna struttura disponibile per la loro accoglienza e i profughi avevano trascorso la notte in un pullman davanti alla stazione; nell'atto citato si faceva presente inoltre al Ministro dell'interno come le nuove ondate di migranti avrebbero rischiato di creare forti tensioni in Veneto, dove gli amministratori locali devono già gestire una considerevole presenza di lavoratori extracomunitari, regolarmente integrata, che si è poi ritrovata senza lavoro a causa del perdurare degli effetti della crisi, oltre al problema degli stessi cittadini residenti sfrattati e rimasti senza casa dopo aver perso il lavoro, come rilevato dalla presidente di Anci Veneto, Maria Rosa Pavanello;
   veniva altresì sottolineato che il presidente della regione Luca Zaia aveva dichiarato sulla stampa che «non ha mai firmato il cd. Patto per l'accoglienza di Luglio», nonostante dal verbale della Conferenza unificata Stato, regioni e autonomie locali del 10 luglio 2014 anche la regione Veneto risulti essere stata parte dell'intesa per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari; si evidenziava che il numero delle Commissioni per gestire le richieste d'asilo in costante crescita e fornire risposte in tempi adeguati era assolutamente non congruo; si chiedeva quindi quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intendesse adottare, di concerto con la regione stessa, per dare effettiva attuazione alla sopracitata intesa e per porre i prefetti e gli amministratori locali nelle condizioni di supportare in modo sostenibile, sia sul piano economico che amministrativo, le procedure di accoglienza;
   nonostante le azioni intraprese dal Governo, ad oggi non è stata data ancora piena attuazione ai contenuti dell'intesa, salvo che per il raddoppio delle Commissioni, il cui lavoro è comunque ancora inadeguato essendoci migranti presenti nelle strutture da quasi un anno che non sono stati ancora chiamati per il colloquio; così se da un lato il Governo continua ad inviare contingenti di migranti, per distribuirli in modo equo e sostenibile sui vari territori, dall'altro la regione non presta alcuna collaborazione ai prefetti e agli enti locali (salvo garantire il dovuto presidio sanitario) per reperire strutture diffuse per l'accoglienza, di modo che gli amministratori locali vedono l'emergenza ricadere sui loro territori senza alcuna forma di pianificazione e gli stessi cittadini percepiscono una situazione di disorganizzazione e disordine che alimenta un clima di timore ed insicurezza;
   nonostante una minoranza di comuni collaborativi e lo straordinario impegno delle locali associazioni del terzo settore abbiano consentito di ospitare in modo decoroso una parte rilevante degli arrivi, in questo ultimo periodo la situazione è diventata insostenibile in diverse località del Veneto, come ad esempio nel comune di Eraclea (Venezia), una località balneare per famiglie, dove circa 250 migranti sono da oltre un mese in un residence dove una coop onlus ha preso in affitto 63 unità immobiliari per l'ospitalità; tutt'attorno i proprietari delle case o gli affittuari degli appartamenti sono furibondi, mentre il sindaco denuncia un danno al settore turistico locale che, tra prenotazioni annullate e minori presenze, vale un calo di oltre il 20 per cento; da ultimo, ad Eraclea si è registrata la ribellione degli immigrati, seguita dalle proteste di turisti e commercianti;
   in particolare, poi nella Marca Trevigiana (l'area territoriale che si estende attorno alla città di Treviso), dopo l'episodio del febbraio 2015 si sono verificati una serie di eventi non adeguatamente governati che stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali più responsabili ed i rappresentanti delle associazioni che si occupano dell'accoglienza, creando dissidi tra i rappresentanti delle istituzioni al punto che sui media sono state riportate dichiarazioni contrastanti sulla stessa efficacia della gestione da parte del prefetto, a quanto consta all'interrogante contestata da taluni sindaci, mentre la stessa riceveva il plauso da parte dei massimi esponenti leghisti, quali il presidente della provincia e quello della regione per aver affermato nel maggio 2015 che «nella Marca non c’è più posto»;
   in particolare, il 10 giugno 2015, un centinaio di migranti sono giunti nella provincia di Treviso nell'arco di poco più di ventiquattro ore, e a seguito dell'impossibilità per i centri di accoglienza presenti in loco di accoglierli tutti il prefetto ha adottato in tutta fretta una soluzione provvisoria di emergenza, inviando una cinquantina di questi alla caserma Salsa di Treviso, una struttura del tutto inadatta poiché non rispetta neppure le condizioni minime igienico-sanitarie, né gli standard regionali di accoglienza previsti, ragion per cui è intervenuta, facendosene carico, la Caritas di Treviso;
   il 1o luglio 2015, di fronte ad un ulteriore contingente di 130 rifugiati destinato alla Marca, ottanta persone circa sono state collocate in via provvisoria dalla prefettura – a seguito di un accordo dell'ultimo minuto raggiunto con le Ferrovie dello Stato – in un locale dentro la stazione di Treviso, l'ennesima sistemazione del tutto inadeguata, giunta dopo una nota inviata dal prefetto ai 95 sindaci di quest'area nella quale si sosteneva, tra le altre cose, che «in assenza di una prospettiva di sistemazione» i «richiedenti asilo sarebbero stati collocati in spazi pubblici della provincia a partire dal capoluogo»; stante l'insostenibilità anche igienico-sanitaria della collocazione è quindi intervenuta l'amministrazione comunale di Treviso per trovare un'altra sistemazione provvisoria per alcuni giorni nell'area cosiddetta della ex Dogana;
   il 14 luglio 2015, a Villorba, a ridosso del casello di Treviso nord, sono stati letteralmente «scaricati» da un autobus, arrivato dalla Turchia attraverso i Balcani e che si è immediatamente dileguato, altri 47 richiedenti asilo, provenienti da Pakistan e Afghanistan, cosa che ha acuito una situazione già al collasso per la gestione degli arrivi smistati dallo Stato nella Marca trevigiana; il sindaco di Villorba li ha fatti salire su un pullman, portandoli a sua volta nella città capoluogo dove sono stati presi in carico per l'identificazione dai carabinieri;
   da ultimo, il 16 luglio 2015, alle prime luci dell'alba un centinaio di migranti provenienti da due strutture di accoglienza temporanea della Marca sono stati trasferiti su disposizione della prefettura, sembra senza alcun preavviso, nel comune di Quinto in trenta appartamenti ancora vuoti di due condomini di proprietà del gruppo Guaraldo (in concordato preventivo), alle porte del capoluogo;
   quando i residenti degli altri appartamenti hanno visto i 101 profughi (96 uomini e 5 donne provenienti da Nigeria, Costa d'Avorio e Pakistan) scendere da due corriere ed entrare negli appartamenti accanto ai loro è scoppiato il pandemonio. Gli abitanti sono subito scesi in cortile e hanno dato vita a un duro sit-in, proseguito nella notte, avendo deciso di dormire nelle tende montate in cortile; la protesta dapprima pacifica è poi esplosa in rivolta dopo la mezzanotte, quando un gruppo di persone è entrato in un locale del piano terra usato come magazzino, tirandone fuori materassi, reti, divani, televisori ed incendiandoli e aggredendo il custode della cooperativa sociale Xenia di Grosseto incaricata dalla prefettura di occuparsi dell'accoglienza dei migranti; il giorno successivo la prefettura ha poi deciso di trasferire i migranti alla caserma Serena, mentre una trentina di giovani dell'associazione ZTL occupava l'ingresso della prefettura di Treviso per protesta contro il prefetto; gli stessi venivano portati poi di peso dalle forze dell'ordine in tenuta antisommossa in questura per l'identificazione;
   la percezione di insicurezza e l'allarme diffuso tra i cittadini a seguito di tali episodi ad avviso dell'interrogante sono strumentalizzati da talune forze politiche ed alcuni amministratori locali, oltre che alimentati dalla mancanza di una fattiva collaborazione con le prefetture del presidente della regione; inoltre, espressioni utilizzate da quest'ultimo, quali ad esempio «Stanno africanizzando il Veneto» e ancora «Quella del Prefetto è una dichiarazione di guerra», a giudizio dell'interrogante favoriscono l'alzarsi della tensione sociale e anche l'insorgere di forme di intolleranza e xenofobia nei confronti dei migranti, nonostante la maggioranza dei veneti sia costituita da persone tolleranti ed accoglienti; infine l'esito ottenuto dagli abitanti protagonisti della rivolta di Quinto – che va stigmatizzata, anche se scatenata dalla decisione sbagliata di collocare un numero elevato di profughi in palazzine abitate da poche famiglie residenti – rischia di scatenare l'emulazione, visti i titoli già apparsi sulla stampa, quali ad esempio «Salvini e i ribelli di Quinto ora infiammano Eraclea “Faremo così ovunque”»;
   è evidente che un fenomeno migratorio di queste dimensioni necessita di soluzioni ampie e di lungo periodo a livello europeo e internazionale, ma appare anche necessario di fronte all'emergenza sistematica sui territori regionali assumere iniziative urgenti a livello nazionale, anche di carattere normativo, atte a garantire la possibilità di effettuare le procedure di identificazione direttamente nelle strutture di prima accoglienza dopo l'approdo sulle coste italiane, attuando rapidamente il rimpatrio di chi risulta in modo evidente non essere un rifugiato;
   inoltre, al fine di realizzare una accoglienza equilibrata e sostenibile, appare più opportuno individuare in regioni come il Veneto, anziché un unico hub regionale, troppo grande e di difficile gestione, un hub più piccolo in ogni provincia utilizzando caserme (dismesse, ma anche parzialmente in uso, ove fattibile d'intesa tra i Ministeri della difesa e dell'interno), previamente individuate sul territorio e attrezzate, al fine di garantire il rispetto delle condizioni minime di accoglienza per un periodo determinato, evitando rischi di ghettizzazione; in tali strutture vanno approntati in collaborazione con le associazioni del terzo settore anche servizi per favorire l'integrazione (formazione, apprendimento della lingua e altro) al fine di consentire poi una accoglienza diffusa di piccolissimi gruppi di migranti sul territorio in collaborazione con le associazioni e gli enti locali e il loro coinvolgimento in attività/lavori socialmente utili, per evitare che rimangano a lungo inattivi;
   è urgente altresì individuare meccanismi alternativi atti a garantire una velocizzazione delle procedure di esame delle domande dei richiedenti asilo, al fine di consentire da un lato a tutti i richiedenti asilo una risposta certa, in un tempo ragionevole, e di permettere, dall'altro, la turnazione dei migranti accolti nelle strutture di accoglienza –:
   se e quali iniziative urgenti, anche sul piano normativo, intenda adottare per fronteggiare l'emergenza in atto nella regione Veneto ed in particolare nella provincia di Treviso, per prevenire ulteriori episodi di disordine e violenza, al fine da un lato di mettere i comuni e le associazioni del terzo settore che ospitano i migranti nelle condizioni effettive di offrire un'accoglienza dignitosa a quanti fuggono da guerre e persecuzioni, approntando piccoli hub provinciali funzionali alla successiva accoglienza diffusa con percorsi di concreta integrazione attraverso attività di formazione e lavori socialmente utili, e dall'altro di velocizzare i tempi di esame e risposta alle richieste di protezione internazionale in modo da procedere in tempi sostenibili al rimpatrio di chi risulta non averne diritto. (3-01631)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Caparini n. 4-09132 dell'8 maggio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Busin n. 4-09759 del 9 luglio 2015;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione L'Abbate n. 5-04210 del 3 dicembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09958;
   interrogazione a risposta in Commissione Capone e altri n. 5-05874 del 24 giugno 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09959.