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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 21 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei cambiamenti climatici rappresenta una criticità rilevante a livello mondiale: le temperature aumentano rispetto alle medie stagionali degli anni precedenti, i regimi delle precipitazioni atmosferiche si modificano, il conseguente scioglimento dei ghiacciai determina l'innalzamento del livello medio globale del mare. La comunità scientifica internazionale prevede che tali cambiamenti continueranno nei prossimi decenni e che gli eventi climatici estremi all'origine di pericoli quali alluvioni e siccità diventeranno sempre più frequenti e intensi;
    l'impatto e i fattori di vulnerabilità per la natura, per l'economia e per la salute variano a seconda delle regioni, dei territori e dei settori economici e le previsioni delineate anche per l'Europa dalle ricerche scientifiche sono decisamente critiche e preoccupanti;
    è altamente probabile che la maggior parte del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo sia dovuto all'osservato aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra a causa delle emissioni provenienti dalle attività umane. La temperatura globale è aumentata di circa 0,8 gradi negli ultimi 150 anni e si prevede un ulteriore incremento;
    un aumento superiore ai 2 gradi rispetto alle temperature preindustriali accresce il rischio di cambiamenti climatici pericolosi per i sistemi umani e naturali globali. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) ha stabilito l'obiettivo di limitare l'aumento della temperatura media globale rispetto al periodo preindustriale al di sotto dei 2 gradi;
    le emissioni globali di gas a effetto serra devono stabilizzarsi nel decennio attuale e ridursi del 50 per cento, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2050. Prendendo in considerazione gli sforzi necessari da parte dei Paesi in via di sviluppo, l'Unione europea sostiene l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell'80-90 per cento entro il 2050 (rispetto a quelli del 1990);
    i cambiamenti climatici rappresentano un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche e costituiscono una delle principali sfide attuali per l'umanità. L'ampiezza della problematica dei cambiamenti climatici necessita, quindi, di una visione globale che ricerchi soluzioni integrate, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali;
    gli impatti più significativi si verificheranno, probabilmente, nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo e sui Paesi più poveri che, quindi, dovranno essere oggetto da parte dei Paesi più sviluppati e della comunità internazionale di politiche di consumo di energia rinnovabile con apporto di tecnologie e risorse per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poveri hanno, infatti, meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell'impatto ambientale perché non hanno la preparazione e le risorse per sviluppare i processi necessari e non possono coprirne i costi, pur patendo le problematiche ambientali di inquinamento globale prodotte dallo sviluppo di altri Paesi più avanzati dal punto di vista economico ed industriale. Questo stato di fatto obbliga ad elaborare un progetto comune basato su un consenso mondiale per trovare forme efficaci di risoluzione della gravi difficoltà ambientali e sociali che incidono sulle azioni necessarie per ridurre le emissioni;
    i gas ad effetto serra sono emessi sia da processi naturali sia da attività umane. Le attività umane rilasciano una grande quantità di altri gas a effetto serra nell'atmosfera, aumentando le concentrazioni atmosferiche di tali gas, potenziando così l'effetto serra e surriscaldando il clima;
    la causa principale dell'effetto serra accelerato (dovuto alle attività umane) è l'anidride carbonica, responsabile per oltre il 60 per cento. I ricercatori europei hanno scoperto di recente che le attuali concentrazioni di anidride carbonica nell'atmosfera sono le più elevate degli ultimi 650.000 anni;
    nei Paesi industrializzati, l'anidride carbonica costituisce oltre l'80 per cento delle emissioni di gas ad effetto serra. Dal XIX secolo le concentrazioni sono aumentate del 30 per cento circa in conseguenza della combustione di enormi quantità di combustibili fossili per la produzione di energia principalmente nei Paesi industrializzati. Attualmente, si sta immettendo ogni anno nell'atmosfera oltre 25 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Le principali fonti di gas a effetto serra generati dall'uomo sono: la combustione di carburanti fossili (carbone, petrolio e gas) nella produzione di energia, nel trasporto, nell'industria e nel riscaldamento e condizionamento di edifici ed abitazioni (anidride carbonica); l'agricoltura (metano) e le modifiche della destinazione dei suoli come la deforestazione (anidride carbonica); la messa a discarica dei rifiuti (metano); l'utilizzo dei gas fluorurati di origine industriale;
    il settore agricolo è tra i principali produttori di gas serra e, al contempo, è forse il settore socio-economico che subirà le più gravi conseguenze dai cambiamenti del clima globale; l'agricoltura di tipo intensivo e basata su un forte apporto della chimica è una delle cause principali dei cambiamenti climatici, direttamente responsabile di circa il 14 per cento delle emissioni di gas serra a livello globale. Inoltre, è indirettamente responsabile di un ulteriore 30 per cento di emissioni, attraverso la conversione delle foreste in terre coltivabili, la produzione di fertilizzanti e il trasporto e la trasformazione degli alimenti;
    è possibile analizzare il fenomeno dei cambiamenti climatici in un duplice aspetto: quello ambientale e quello economico;
    dal punto di vista ambientale, c’è da evidenziare, intanto, che i maggiori aumenti della temperatura a livello europeo si registrano nell'Europa meridionale e nella regione artica; le maggiori diminuzioni delle precipitazioni si registrano nell'Europa meridionale con aumenti nel Nord e nel Nord-Ovest. Gli aumenti previsti in termini di intensità e frequenza delle ondate di calore, delle inondazioni, della diffusione di alcune malattie infettive e pollini incidono negativamente sulla salute umana;
    i cambiamenti climatici costituiscono un'ulteriore pressione sugli ecosistemi, portando a spostamenti verso Nord di molteplici specie vegetali e animali. Si registra un impatto negativo sull'agricoltura, sul settore forestale, sulla produzione energetica, sul turismo e sulle infrastrutture in generale;
    tra le regioni europee particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici vi è l'Europa meridionale e il bacino mediterraneo (a causa di aumenti delle ondate di calore e della siccità), le aree montuose (a causa dell'aumento dello scioglimento della neve e del ghiaccio), le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali (a causa degli aumenti del livello del mare e delle crescenti piogge intense, alluvioni e tempeste), l'estremo nord Europa e l'Artico (a causa delle temperature in aumento e dei ghiacciai in scioglimento);
    secondo quanto si evince dal documento di «Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici», i potenziali impatti derivanti dai cambiamenti climatici e le principali vulnerabilità per l'Italia tracciano uno scenario catastrofico;
    è altamente probabile, infatti, il possibile peggioramento delle condizioni già esistenti di forte pressione sulle risorse idriche, con conseguente riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, soprattutto in estate nelle regioni meridionali e nelle piccole isole; sono possibili le alterazioni del regime idrogeologico che potrebbero aumentare il rischio di fenomeni di dissesto idrogeologico in zone come la valle del fiume Po e le aree alpine ed appenniniche; sono probabili il degrado del suolo e il rischio più elevato di erosione e desertificazione con una parte significativa del sud del Paese; sono previsti maggiori incendi boschivi e aumento di siccità nella zona alpina e le regioni insulari (Sicilia e Sardegna) che mostrano le maggiori criticità; è alto anche il rischio di perdita di biodiversità e di ecosistemi naturali;
    sono possibili, inoltre, ripercussioni sulla salute umana, specialmente per i gruppi più vulnerabili della popolazione, per via di un possibile aumento di malattie e mortalità legate al caldo, di malattie cardio-respiratorie da inquinamento atmosferico;
    in Italia nel 2104 si è constatato un aumento di temperatura pari a circa due gradi rispetto alla media tra gli anni 1880-1909 e, secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, si prevede un surriscaldamento globale fino a quattro gradi entro fine secolo in assenza di adeguate iniziative di contrasto a questo fenomeno. L'Italia non ha raggiunto gli obiettivi di riduzione di emissioni stabiliti dal protocollo di Kyoto (6,5 per cento di riduzione nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990), anche se comunque ha registrato delle riduzioni nelle emissioni favorite anche dal contesto di crisi economica e dei consumi;
    dal punto di vista economico, gli unici due studi che tentano un'analisi complessiva degli impatti sul prodotto interno lordo italiano dei cambiamenti climatici sono «Carraro (2009)» e «McCallum et al. (2013)» anche se i numeri evidenziati vanno considerati come stime altamente per difetto dei danni potenziali. L'approccio valutativo utilizzato, infatti, considera solo marginalmente gli eventi estremi e non cattura né gli eventi catastrofici né le dimensioni più sociali degli impatti;
    le ricerche «Carraro (2009)» si riferiscono agli studi condotti nell'ambito della conferenza nazionale sul clima del 2007. La ricerca, che si basa sulla modellistica CGE, dimostra che anche in uno scenario di minimo aumento della temperatura, circa 0,93 gradi rispetto al 2001, la perdita indotta dai cambiamenti climatici potrebbe essere compresa tra lo 0,12 per cento e lo 0,16 per cento del prodotto interno lordo nel 2050 (usando ad esempio il prodotto interno lordo dell'Italia nel 2009 come riferimento ciò ammonterebbe a circa 2.5 miliardi di euro di mancata produzione di beni e servizi). La perdita economica potrebbe arrivare fino allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo se la variazione di temperatura fosse di +1,2 gradi. Gli impatti aumentano in modo esponenziale nella seconda metà del secolo, con una riduzione del prodotto interno lordo nel 2100 sei volte più grande che nel 2050, nonostante si ipotizzi un aumento lineare della temperatura;
    sembrerebbe che le perdite economiche più rilevanti derivanti dagli impatti climatici si materializzino nel settore turistico (17 e 52 miliardi di euro di perdita diretta nel 2050 per scenari climatici rispettivamente di +2 gradi e +4 gradi rispetto al 2000); danni diretti elevati vengono evidenziati inoltre nel settore agricolo, (fino a 13 e 30 miliardi di euro nel solo 2050 per un aumento di temperatura rispettivamente di 2 gradi e 4 gradi rispetto al 2000) seguiti, ma a distanza, da quelli relativi ai fenomeni di dissesto idrogeologico (circa 550 milioni di euro annui nel 2050 associati per la precisione a fenomeni alluvionali derivanti dalla sola forzante climatica per uno scenario di aumento di circa 1 grado rispetto al 2000);
    nel corso del vertice della Terra del 1992 tenutosi a Rio de Janeiro è stato stabilito che «gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile» e che «la protezione dell'ambiente è parte integrante del processo di sviluppo e non può considerarsi in maniera isolata». Inoltre, riprendendo alcuni concetti della dichiarazione di Stoccolma del 1972, il vertice ha sancito «la cooperazione internazionale per la cura dell'ecosistema di tutta la Terra, l'obbligo di chi inquina di farsene carico economicamente, il dovere di valutare l'impatto ambientale di ogni opera e progetto. Ha proposto l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra in atmosfera per invertire la tendenza al riscaldamento globale». Nel 2000 le Nazioni Unite hanno promosso gli Obiettivi di sviluppo del millennio i cui relativi impegni scadranno nel 2015 per dare vita ad una nuova fase di Obiettivi di sviluppo sostenibile, come stabilito nel documento approvato dai Capi di Stato e di Governo nella Conferenza di Rio del 2012 per i quali è già in essere la fase negoziale;
    sono numerose le iniziative dell'Unione europea volte all'adattamento e alla drastica mitigazione del fenomeno e tante quelle che ovviamente mirano al taglio delle emissioni di gas a effetto serra;
    con la ratifica del protocollo di Kyoto si invitano 15 Stati membri dell'Unione a ridurre nel periodo dal 2008 al 2012 le proprie emissioni collettive in una misura inferiore all'8 per cento rispetto alle emissioni registrate nel 1990; il miglioramento continuo dell'efficienza energetica di un'ampia serie di attrezzature ed elettrodomestici; l'obbligo di un maggiore utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, quali quelle eoliche, solari, idriche e la biomassa, e di carburanti rinnovabili nel settore dei trasporti, quali i biocarburanti; il sostegno allo sviluppo delle tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio per intrappolare e immagazzinare l'anidride carbonica emessa dalle centrali elettriche e da altri grandi impianti; l'intervento tramite il sistema europeo di scambio dei titoli di emissione di gas serra (EU-ETS), lo strumento chiave dell'Unione europea per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dall'industria;
    il pacchetto dell'Unione europea su clima ed energia del 2009 costituisce una legislazione vincolante per l'attuazione degli obiettivi 20-20-20 entro il 2020: una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dell'Unione europea almeno del 20 per cento al di sotto dei livelli del 1990, il 20 per cento del consumo energetico dell'Unione europea dalle risorse rinnovabili e una riduzione del 20 per cento del consumo di energia primaria rispetto ai livelli previsti;
    successivamente, l'Unione europea, durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, ha approvato ad ottobre 2014 il pacchetto clima energia al 2030 che prevede impegni vincolanti a livello europeo e nazionale con una riduzione entro il 2030 del 40 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, un aumento del 27 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili e un aumento dell'efficienza energetica seguendo la nuova direttiva europea;
    molti Paesi europei hanno adottato programmi nazionali finalizzati alla riduzione delle emissioni. Anche l'Italia ha previsto una serie di importanti provvedimenti per uniformarsi alle strategie europee volte alla mitigazione del fenomeno dei cambiamenti climatici;
    nella seduta del 30 ottobre 2014 la Conferenza Unificata ha infatti approvato la «Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici». Il documento, redatto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delinea la strategia di azioni finalizzate alla riduzione dell'impatto dei cambiamenti climatici verso l'ambiente ed il sistema socio-economico nazionale. Il piano è elaborato nell'ambito della Strategia europea di adattamento al cambiamento climatico (SEACC, adottata a livello europeo il 16 aprile 20013) e rappresenta il più importante testo di «visione nazionale» su come affrontare l'impatto dei mutamenti del clima per proteggere la salute e il benessere della popolazione, preservare il patrimonio naturale, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici;
    allo scenario critico fin qui delineato, però, si oppongono le note positive delineate dalle analisi dell'Agenzia europea dell'ambiente e le proiezioni effettuate dagli Stati membri secondo le quali l'Unione europea sarà probabilmente in grado di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 21 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, superando l'obbiettivo postosi pari al 20 per cento. Con il 14 per cento del consumo finale di energia generata da fonti rinnovabili nel 2012, l'Unione europea si trova avanti anche rispetto al percorso pianificato per raggiungere il 20 per cento di energia rinnovabile entro il 2020. Analogamente, il consumo di energia dell'Unione europea sta subendo un calo più rapido di quanto non sarebbe necessario per raggiungere l'obbiettivo di efficienza energetica entro il 2020;
    si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), nell'ambito della quale l'obiettivo comune sarà quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni, che porti al contenimento dell'aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale che entrerà in vigore dal 2020, così come stabilito dal vertice di Durban, nel 2011 (COP 17) che ha avviato la piattaforma di Durban, all'interno della quale ogni singolo Paese sta comunicando i propri obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra,

impegna il Governo:

   a sostenere l'attuazione di un accordo globale che favorisca, a partire dal 2020, la riduzione delle emissioni di fattori inquinanti che incidono sull'alterazione delle condizioni climatiche con l'obiettivo di arrivare al contenimento dell'aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi rispetto ai precedenti valori;
   ad adottare in via definitiva la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici finalizzata al raggiungimento degli obiettivi fissati al 2030 ed al 2050 dall'Unione Europea e a definire un piano nazionale di attuazione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che ne recepisca immediatamente le indicazioni definendo le priorità di intervento, le tempistiche e gli impegni di spesa;
   a favorire nell'ambito della cooperazione internazionale per i Paesi poveri e/o in via di sviluppo la produzione di energia in forme meno inquinanti, tramite accordi di sussidio per il trasferimento tecnologico e l'assistenza tecnica;
   a promuovere politiche di sviluppo di energie rinnovabili ed alternative e di attività produttive sostenibili, anche con trasferimenti di tecnologie idonee e di risorse, in Paesi in via di sviluppo che promuovano piani di riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera;
   a promuovere azioni di regolamentazione e controllo per garantire che i crediti di emissione siano effettivamente uno strumento efficace di riduzione globale dei gas inquinanti, impedendo speculazioni nella compravendita degli stessi che portino a favorire maggiori consumi energetici e quindi maggiori emissioni da parte di alcuni Paesi;
   ad istituire un servizio meteorologico nazionale distribuito (SMND) con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare, ecosistemi) a supporto delle azioni e delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali;
   a promuovere il risparmio energetico nelle amministrazioni locali con l'impiego di energie alternative e pulite e l'utilizzo efficiente delle risorse naturali negli edifici pubblici e nell'illuminazione pubblica, soprattutto nell'ambito delle smart city;
   a promuovere la ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico e privato finalizzato alla riduzione delle emissioni in atmosfera ed al minino fabbisogno di energia e di risorse naturali, favorendo l'impiego di materiali sostenibili, naturali, seminaturali a basso impatto ambientale nel loro ciclo produttivo;
   a promuovere investimenti per sostenere la mobilità sostenibile, il trasporto pubblico, l'uso di biocombustibili di seconda e terza generazione, in modo da conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti;
   a promuovere politiche locali finalizzate alla riduzione di emissioni, tramite lo sviluppo del trasporto urbano a basso inquinamento, l'utilizzo di energie alternative e di una economia dei rifiuti e del riciclo;
   a promuovere iniziative volte a favorire e potenziare l'inserimento dell'educazione ambientale nelle scuole di ogni ordine e grado affinché gli studenti possano comprendere e maturare a fondo la complessità delle relazioni tra natura e attività umane e tra risorse ereditate da risparmiare e da trasmettere alle generazioni future e affinché si possano formare generazioni con stili di vita e comportamenti corretti verso l'ambiente e che siano in grado di mantenere un equilibrio costante nella propria vita nella gestione degli aspetti ambientali, sociali, culturali ed economici;
   a promuovere ogni utile iniziativa al fine di poter ridurre le emissioni di gas serra in agricoltura, favorendo la diffusione di un'agricoltura sostenibile che possa mitigare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici attraverso l'utilizzo delle tecnologie più avanzate utili ad adattare le pratiche agricole ai cambiamenti e agli eventi climatici estremi, migliorando le condizioni del suolo e delle acque, conservando la diversità biologica e utilizzando nuovi metodi produttivi più efficienti e meno inquinanti, capaci di proteggere il suolo dal sovrasfruttamento e di aumentare la capacità di stoccaggio di anidride carbonica dei terreni agricoli;
   a favorire, tramite iniziative normative specifiche che prevedano anche idonei incentivi, la riconversione e l'innovazione delle modalità e dei processi produttivi nei settori industriali con i maggiori tassi di emissione di gas in atmosfera per consentire la massima efficienza energetica, il minor utilizzo di materie prime e la riduzione delle stesse emissioni.
(1-00954) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Vargiu, D'Agostino».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente «Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012», pubblicato nel novembre del 2012, fornisce una comprensiva base scientifica di riferimento sugli impatti ambientali ai cambiamenti climatici a livello europeo, i cui principali risultati sono:
     a) il decennio (2002-2011) è stato il periodo storicamente più caldo in Europa con temperature sulle aree emerse di 1,3 gradi superiori rispetto al livello preindustriale, contemporaneamente le ondate di calore sono aumentate in frequenza e durata, provocando migliaia di morti nell'ultimo decennio;
     b) la precipitazione media sta diminuendo in Europa meridionale e sta aumentando in Europa settentrionale: le proiezioni climatiche indicano che tale trend continuerà anche in futuro, così che si verificherà un aumento di inondazioni fluviali a causa dell'intensificazione del ciclo dell'acqua causato dalle temperature più alte;
     c) i fenomeni di siccità stanno diventando più intensi e frequenti in Europa meridionale, mentre si prevede la diminuzione delle portate fluviali minime estive;
     d) l'area dell'Artico si sta riscaldando più velocemente delle altre aree europee: la fusione dei ghiacciai continentali della Groenlandia è raddoppiata dagli anni ’90. Inoltre, dal 1850 i ghiacciai alpini hanno perso circa 2/3 del loro volume;
     e) il livello medio marino sta crescendo causando un aumento del rischio di inondazioni costiere. Il livello medio globale marino è cresciuto di 1,7 millimetri all'anno nel XX secolo e di 3 millimetri all'anno negli ultimi decenni;
     f) la disponibilità di risorse idriche per l'agricoltura nell'Europa meridionale sta drasticamente diminuendo;
     g) i cambiamenti climatici hanno anche un ruolo nella trasmissione di malattie che provocano impatti rilevanti sulla salute umana;
     h) molti sono i cambiamenti nella biodiversità: fioriture anticipate di piante e di fitoplancton e zooplancton, migrazioni di piante e animali a latitudini più settentrionali o ad altitudini più elevate. Studi mostrano un rischio potenziale di future estinzioni;
    le principali fonti scientifiche di riferimento (rapporti di IPCC2, 3 e EEA4, APAT/ISPRA5, ENEA6, FEEM7, CMCC8) concordano nel sostenere che nei prossimi decenni la regione europea e mediterranea dovrà far fronte ad impatti dei cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno dell'Europa meridionale e del Mediterraneo le aree più vulnerabili d'Europa. In Italia nei prossimi decenni si andrà incontro ad un innalzamento eccezionale delle temperature (soprattutto in estate), ad un aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità ed episodi di precipitazioni piovose intense), ad una riduzione delle precipitazioni annuali medie e dei flussi fluviali annui, all'erosione e all'inondazione delle zone costiere (con conseguente alterazione degli ecosistemi marini), alla possibile perdita di una rilevante parte del patrimonio storico-artistico-culturale. Nel complesso si assisterà all'aumento inesorabile del rischio di disastri ambientali, all'aumento dello stress idrico (con conseguente drastica riduzione delle risorse idriche), alla riduzione della sicurezza alimentare, alla riduzione dei diritti alla salute, all'inasprimento dello sfruttamento delle risorse naturali, all'aumento delle ineguaglianze e delle marginalizzazioni sociale ed economica, dei conflitti e delle migrazioni;
    a Parigi dal 30 novembre 2015 all'11 dicembre 2015, si terrà la XXI sessione della Conferenza delle parti-Cop 21 dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere decisi gli impegni in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari verso i Paesi più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici;
    l'Italia, ad oggi, non ha raggiunto l'impegno di riduzione previsto dal Protocollo di Kyoto (6,5 per cento di riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990); la riduzione delle emissioni osservata in questo periodo è stata dovuta prevalentemente dalla crisi economica in corso che ha ridotto consumi e produzione;
    quello della mitigazione e dell'adattamento ai cambiamenti climatici è un problema che necessita di un approccio multisettoriale, multidisciplinare e multisistemico, che impatta, in particolare, l'ambiente, le attività produttive, l'agricoltura, i rischi metereologici e idrogeologici, la società, le politiche energetiche, i flussi migratori;
    l'industria del carbone è la più grande fonte di emissioni di anidride carbonica, il gas serra che sta cambiando il clima del pianeta e che rischia di innescare una serie di impatti devastanti per la vita della Terra così come la si conosce;
    secondo BankTrack e gli altri promotori dell'appello/petizione «Banks, do the Paris pledge to quit coal», «Siamo in grado di porre fine alla nostra dipendenza dal carbone, ma dobbiamo farlo in fretta. Un modo per raggiungere questo obiettivo è che le banche la smettano di finanziare questa industria». Il problema è che, come scriveva già a maggio Rinnovabilil.it, il 20 per cento dei 170 milioni di euro necessari per organizzare la Conferenza delle parti Unfccc di Parigi arriverà da finanziamenti privati e che la Francia ha già stilato una prima lista di queste aziende partner «amiche», tra le quali ci sono Engie (ex Gdf Suez), Edf, Renault-Nissan, Suez environment, Air France, Fesr, Axa, Bnp Paribas, Air France, Lvmh, Ikea. Alcune di queste multinazionali vendono o utilizzano abbondantemente combustibili fossili, «brand che negli anni sono diventati un simbolo dell'inquinamento e della violazione dei diritti», scrive Rinnovabilil.it;
    le banche che la maggioranza delle persone utilizza ogni giorno stanno alimentando la crisi climatica, canalizzando centinaia di miliardi di dollari per un settore che è ormai in crisi e, se è vero che il carbone è in crisi in molti Paesi, dal 2000 la produzione mondiale è cresciuta del 69 per cento, 7,9 miliardi di tonnellate all'anno, cosa che ha portato anche ad un aumento dei finanziamenti (a volte nascosti) da parte delle banche;
    nel recente rapporto «Boom and bustTracking the global coal plant pipeline» Coalswarm e Sierra club spiegano che dal gennaio 2010 nel mondo è stata proposta la costruzione di 2.177 impianti a carbone e molti sono in corso di progettazione o in fase di costruzione. Se queste centrali a carbone entreranno in servizio grazie ai finanziamenti bancari, la Cop21 Unfccc di Parigi è destinata al fallimento;
    BankTrack ritiene che, proprio per il ruolo centrale che hanno, le banche dovrebbero aiutare finanziariamente la transizione energetica, «spostando rapidamente il loro portafoglio energetico dai combustibili fossili al finanziamento dell'efficienza energetica e delle energie innovabili, transizione che deve iniziare con un impegno pubblico lasciando perdere il carbone»;
    secondo la conclusione a cui è giunto di recente il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), se non s'interviene in fretta i mutamenti del clima produrranno effetti gravi, estesi e irreversibili sulla popolazione e sugli ecosistemi del mondo intero;
    per evitare che la temperatura media del pianeta aumenti pericolosamente di oltre due gradi rispetto ai livelli preindustriali (il cosiddetto obiettivo dei due gradi) tutti i Paesi dovranno ridurre in maniera consistente e costante le emissioni di gas a effetto serra;
    questa transizione verso un mondo a basse emissioni non solo può essere effettuata senza compromettere la crescita e l'occupazione, ma può decisamente offrire a tutti i Paesi, europei e del resto del mondo, l'opportunità di ridare slancio all'economia;
    non si deve trascurare il fatto che la lotta ai cambiamenti climatici genera un concomitante miglioramento del benessere pubblico, con i benefici che ne derivano, e ritardare questa transizione farà, invece, aumentare i costi complessivi e restringerà i margini di manovra per ridurre efficacemente le emissioni e prepararsi agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tutti i Paesi devono agire in fretta e insieme ed è questa la sfida raccolta fin dal 1994 dalle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in nome della quale oltre 90 Paesi, sia sviluppati sia in via di sviluppo, hanno annunciato il proposito di ridurre le loro emissioni entro il 2020. Tali propositi non sono stati però sufficienti a raggiungere l'obiettivo dei due gradi e, nel 2012, la Conferenza delle parti dell'UNFCCC ha avviato i negoziati per giungere a un nuovo accordo giuridicamente vincolante e applicabile a tutte le parti, grazie al quale il mondo potrà incamminarsi sulla buona strada per raggiungere tale obiettivo, accordo del 2015 che dovrà essere definitivamente concluso a Parigi nel dicembre 2015 per essere applicato a partire dal 2020;
    i passi avanti compiuti in occasione della recente Conferenza sul clima di Lima hanno gettato le premesse per la conclusione a Parigi del suddetto accordo, ma la decisione più importante adottata a Lima riguarda le modalità con cui i Paesi dovranno formulare e comunicare gli obiettivi di riduzione delle emissioni da essi proposti con largo anticipo rispetto alla Conferenza di Parigi;
    molto prima della Conferenza di Lima, l'Unione europea ha dato prova di leadership e di determinazione nella lotta ai cambiamenti climatici a livello mondiale: al vertice europeo di ottobre 2014 i Capi di Stato e di Governo hanno convenuto che l'Unione europea deve intensificare gli sforzi e entro il 2030 ridurre le proprie emissioni di almeno il 40 per cento rispetto ai livelli del 1990, decisione a cui hanno fatto eco gli annunci della Cina e degli Stati Uniti;
    a Lima gli Stati membri dell'Unione europea hanno annunciato il proposito di versare circa la metà della capitalizzazione iniziale di 10 miliardi di dollari del fondo verde per il clima per assistere i Paesi in via di sviluppo e all'interno dell'Unione europea è stato poi adottato un nuovo piano di investimenti, mediante il quale nell'arco dei prossimi tre anni (2015-17) si sbloccheranno investimenti pubblici e privati nell'economia reale pari ad almeno 315 miliardi di euro, che consentiranno di modernizzare e «decarbonizzare» l'economia dell'Unione europea;
    una delle priorità è quella di costruire un'unione dell'energia resiliente con politiche lungimiranti in materia di cambiamenti climatici con lo scopo di tradurre la decisione presa al vertice europeo di ottobre 2014 nell'obiettivo per le emissioni proposto dall'Unione europea, ossia il suo contributo stabilito a livello nazionale (Indc - Intended nationally determined contribution), che deve essere presentato entro la fine del primo trimestre del 2015;
    è necessario proporre che tutte le parti dell'UNFCCC presentino i loro Indc con ampio anticipo rispetto alla Conferenza di Parigi. La Cina, gli Stati Uniti e altri Paesi del G20, così come i Paesi a reddito medio e alto, dovrebbero essere in grado di farlo entro il primo trimestre del 2015, mentre ai Paesi meno sviluppati dovrebbe essere accordata maggiore flessibilità;
    è fondamentale tracciare le linee di un accordo trasparente, dinamico e giuridicamente vincolante che contenga impegni equi e ambiziosi di tutte le parti stabiliti in base a una situazione geopolitica ed economica mondiale in costante evoluzione;
    l'impegno che bisognerebbe prendere a livello europeo e che tutti i singoli Paesi dell'Unione europea dovrebbero ottemperare, dovrebbe essere quello di ridurre le emissioni mondiali di almeno il 60 per cento entro il 2050 rispetto ai livelli del 2010. Se il livello di ambizione fissato a Parigi non fosse sufficiente a raggiungere questo obiettivo, occorrerebbe stilare un programma di lavoro, da avviare nel 2016 in stretta collaborazione con il fondo verde per il clima, per individuare altre misure di riduzione delle emissioni;
    le grandi economie, in particolare l'Unione europea, la Cina e gli Stati Uniti, dovrebbero dar prova di leadership politica aderendo al protocollo il più presto possibile, accelerandone in tal modo l'entrata in vigore, che dovrebbe avvenire non appena sia ratificato dai Paesi che insieme rappresentano attualmente l'80 per cento delle emissioni mondiali. Nell'ambito del nuovo protocollo, i finanziamenti, lo sviluppo e il trasferimento di tecnologia, come pure la costituzione di capacità a supporto dell'azione per il clima, dovrebbero favorire la partecipazione di tutti i Paesi e agevolare un'attuazione efficace ed efficiente delle strategie di riduzione delle emissioni e di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici;
    l'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (Icao), l'Organizzazione marittima internazionale (imo) e il Protocollo di Montreal dovrebbero adoperarsi per regolare con efficacia entro la fine del 2016 le emissioni prodotte dal trasporto aereo e marittimo internazionale, nonché la produzione e il consumo di gas fluorurati;
    il possibile ruolo di altre politiche dell'Unione europea, come il commercio, la ricerca scientifica, l'innovazione e la cooperazione tecnologica, la cooperazione economica allo sviluppo, la riduzione del rischio di catastrofi e la politica ambientale, dovrebbe contribuire al rafforzamento della politica dell'Unione europea per il clima sul fronte internazionale;
    fondamentale è garantire riduzioni ambiziose di emissioni, diminuendo le emissioni mondiali di almeno il 60 per cento, entro il 2050, rispetto ai livelli del 2010 e definendo, in tale contesto, impegni di mitigazione che siano chiari, specifici, ambiziosi, equi e giuridicamente vincolanti e che consentano di raggiungere l'obiettivo dei due gradi;
    gli impegni devono essere coerenti con i principi dell'UNFCCC, da applicarsi tenuto conto delle responsabilità, delle capacità e delle diverse situazioni nazionali in costante evoluzione;
    è necessario incoraggiare uno sviluppo sostenibile resiliente ai cambiamenti climatici, promuovendo la cooperazione internazionale e sostenendo politiche che rendano i Paesi meno vulnerabili e più capaci di adeguarsi agli effetti dei cambiamenti climatici, promuovendo un'attuazione e una cooperazione efficienti ed efficaci, incoraggiando l'adozione di politiche che stimolino il settore pubblico e quello privato a effettuare controlli di tutti i settori economici e di tutte le fonti di emissione, compresa l'agricoltura, la silvicoltura e altri usi del suolo;
    l'Unione europea ha già messo in campo misure importanti per diventare l'economia più efficiente del mondo sotto il profilo delle emissioni: grazie all'obiettivo per il 2030 ridurrà l'intensità delle emissioni della sua economia di un ulteriore 50 per cento e con il piano di investimenti approvato di recente mobiliterà ingenti finanziamenti privati che serviranno a modernizzarla e «decarbonizzarla» ancor più. La strategia dell'Unione europea sull'adattamento, che integra le strategie dei singoli Stati membri, punta a rendere l'Europa più resiliente ai cambiamenti climatici;
    l'adattamento basato sugli ecosistemi, oltre a ridurre il rischio di alluvioni e l'erosione del suolo, è in grado di migliorare la qualità dell'acqua e dell'aria e la transizione verso economie a basse emissioni e resilienti ai cambiamenti climatici sarà possibile solo trasformando a fondo i modelli d'investimento;
    bisognerebbe promuovere gli investimenti in programmi e politiche a basse emissioni, impegnando tutti i Paesi a creare contesti più favorevoli a investimenti rispettosi del clima utilizzando le risorse in modo efficace per raggiungere vari obiettivi, concordati a livello internazionale, in materia di clima e sviluppo sostenibile; i Paesi in grado di farlo dovrebbero mobilitare un sostegno finanziario a favore delle parti del protocollo ammesse a beneficiarne;
    alla Conferenza di Parigi si dovrebbe anche decidere di proseguire il programma di lavoro inteso a individuare misure di mitigazione supplementari nel 2016, in stretta collaborazione con il fondo verde per il clima ed altri istituti finanziari; si tratta di un programma che assumerà particolare importanza se sarà riscontrato un divario tra il livello complessivo di ambizione degli impegni di mitigazione e le emissioni che occorre ridurre per conseguire l'obiettivo dei due gradi;
    lo sviluppo e l'adozione delle tecnologie nel settore del clima possono svolgere un ruolo chiave nella realizzazione degli obiettivi relativi ai cambiamenti climatici, nonché concorrere alla creazione di posti di lavoro e a una crescita economica sostenibile;
    secondo molte ricerche scientifiche, i cambiamenti climatici in atto stanno determinando un intensificarsi di eventi metereologici estremi e relativi rischi idrogeologici. Ad oggi, in Italia non è attivo un servizio meteorologico nazionale distribuito, mentre il servizio geologico nazionale appare sottodimensionato in relazione alla complessità geologica del territorio italiano. Risultano, invece, avviati i lavori su proposte di legge di iniziativa parlamentare relativi alla riforma delle agenzie ambientali (atto Senato n. 1458) e alla riorganizzazione della protezione civile (discussione in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati delle proposte di legge atti Camera nn. 2607, 2972 e 3099),

impegna il Governo:

   a farsi promotore, in ogni opportuna sede internazionale, di accordi sul clima vincolanti e duraturi finalizzati a:
    a) contenere la variazione della temperatura media globale entro il limite di 1,5 gradi;
    b) raggiungere progressivamente, sul medio e lungo periodo, una totale decarbonizzazione;
    c) ridurre il livello di anidride carbonica atmosferica fino al livello preindustriale, al fine di azzerare ogni tipo di influenza antropica sul clima globale;
    d) sostenere l'accordo di Lima sui cambiamenti climatici approvato al termine dell'ultima sessione della conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici;
   indipendentemente dagli accordi raggiunti in sede della prossima Conferenza delle parti, a raggiungere a livello nazionale obiettivi ancora più ambiziosi, in modo da farsi promotore a livello mondiale di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, divenendone una delle economie trainanti;
   a farsi promotore in sede europea dell'adozione di una fiscalità ambientale basata sull'impronta ecologica, sull'analisi del ciclo vita e sull'emissione di carbonio, in modo da favorire la conversione degli attuali sistemi energetici ed industriali verso modelli a basse emissioni;
   ad attivarsi affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del «Quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche», prevedendo una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 45 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 40 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 35 per cento;
   ad individuare e a destinare, già nel disegno di legge di stabilità per il 2016, finanziamenti significativi, con importi certi e crescenti nel tempo, per l'attuazione di un piano di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici, da definire sulla base della strategia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, considerando le strategie di adattamento e mitigazione come un settore prioritario per il rilancio dell'economia, per la creazione di occupazione, su cui investire in ricerca scientifica e per cui competere per ottenere una posizione di leadership mondiale;
   ad impiegare tutti i proventi derivanti dalla vendita all'asta dei permessi di emissioni (ets) al finanziamento del sopra citato piano di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici;
   ad avviare immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, anche attraverso la riduzione degli investimenti statali nelle industrie legate all'estrazione di nuovi prodotti fossili nel territorio nazionale, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico, nonché sull'efficiente produzione, accumulo e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale e definendo conseguentemente un vero e proprio piano energetico nazionale;
   a predisporre con urgenza dei piani per affrancare le isole minori dalla dipendenza energetica da gasolio, considerandole per conformazione e per peculiari caratteristiche geografiche e sociali dei laboratori sperimentali prioritari per lo sviluppo di energie rinnovabili ecosostenibili, smart grid e sistemi di accumulo;
   ad assumere iniziative per subordinare lo sconto in bolletta per i cosiddetti impianti energivori all'adozione di misure concrete per l'efficientamento energetico di detti impianti, prevedendo particolari agevolazioni per le aziende che si dotano di certificazione energetica e che mettono in atto piani per abbassare la propria impronta ecologica ed energetica;
   ad assumere iniziative per stabilizzare lo sconto fiscale al 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica e per definire misure volte a:
    a) favorirne un ampio utilizzo anche da parte di imprese ed enti pubblici;
    b) aumentare gli importi massimi detraibili;
    c) estendere le detrazioni anche a sistemi di recupero, autodepurazione e riutilizzo delle acque piovane e delle acque di scarico;
   ad assumere iniziative per definire un quadro normativo relativo al consumo di suolo, all'assetto del territorio e alle disposizioni generali in materia urbanistica, tale che i tessuti urbani siano dotati di ampi spazi con suolo naturale e abbondante copertura vegetale arborea, allo scopo di contrastare il riscaldamento degli ambienti urbani, fenomeno che a sua volta riveste un ruolo determinante nel riscaldamento globale;
   ad adottare misure specifiche ed urgenti per il potenziamento e l'efficientamento della filiera del legname made in Italy, favorendone e incrementandone l'impiego, in particolare per costruzioni in bioedilizia, mobilia ed opere di ingegneria naturalistica, allo scopo di incrementare la quantità di carbonio fissato in manufatti ad elevata durabilità;
   ad incentivare e a potenziare le colture agrarie che possono intervenire nella mitigazione dei cambiamenti climatici, ovvero le colture a ridotto consumo di energia, acqua e sostanze chimiche, favorendo lo sviluppo di un tessuto agricolo resiliente in cui la produttività non pregiudichi la biodiversità e favorendo il mantenimento e l'ulteriore sviluppo di opere e tecniche agrarie utili alla stabilizzazione dei versanti e alla regimazione delle acque meteoriche;
   a favorire politiche compatibili con un abbattimento di emissioni climalteranti e con la decarbonizzazione dell'economia, con particolare riferimento al settore delle politiche energetiche e a quello dei trasporti, favorendo il recupero della materia in luogo del recupero energetico all'interno del ciclo dei rifiuti;
   a promuovere programmi di partenariato con Paesi poveri o emergenti in modo da raggiungere il duplice obiettivo di emancipare il loro sviluppo da fonti energetiche fossili e di favorire la diffusione e penetrazione nel mercato globale di tecnologie e know-how made in Italy nel settore delle energie rinnovabili;
   a favorire il riconoscimento dello status di «climate refugees» e ad introdurre, nelle procedure di gestione ed integrazione del richiedente asilo, la possibilità di creare ambiti di operatività territoriale in forma strettamente volontaria, al fine di incrementare il livello di integrazione dei richiedenti rispetto agli usi e ai costumi nazionali, anche attraverso l'impiego in lavori per l'implementazione della strategia di adattamento ai cambiamenti climatici nell'ottica della gestione sostenibile delle politiche migratorie e compatibilmente con la Dichiarazione universale dei diritti umani;
   a considerare prioritari, per la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e per l'armonizzazione delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali, l'istituzione di un servizio meteorologico nazionale distribuito (smnd), l'istituzione di un servizio geologico nazionale distribuito e a favorire, per quanto di competenza, il compimento dell’iter delle proposte di legge richiamate in premessa relative alla riorganizzazione della normativa inerente al sistema nazionale di protezione civile e alla riforma del sistema della rete delle agenzie ambientali.
(1-00955) «Segoni, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   Expo Milano 2015 è l'Esposizione universale che ha avuto il via il primo maggio 2015 e che terminerà il 31 ottobre 2015, incentrata sull'alimentazione e la nutrizione ed avente l'obiettivo di promuovere e garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri;
   trattasi di un'area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, con più di 140 Paesi e organizzazioni internazionali coinvolti, con una attesa di oltre 20 milioni di visitatori;
   il raggiungimento della quota di visitatori prevista (20 milioni) è fondamentale per il successo dell'iniziativa internazionale, sia dal punto di vista del rientro economico che da quello del raggiungimento dell'obiettivo culturale, ovvero di rappresentare la piattaforma di un confronto di idee e soluzioni condivise sul tema dell'alimentazione che stimoli la creatività dei Paesi, promuovendo le innovazioni per un futuro sostenibile;
   Expo 2015 che dovrebbe promuovere nuovi e confacenti stili di vita fondati sulla condivisione delle risorse tra i popoli, nasce e si sviluppa attraverso diffusi fenomeni di corruttela su cui già da tempo sta indagando la magistratura italiana;
   il quadro dei fenomeni corruttivi è allarmante e i reati ipotizzati sono numerosi: associazione a delinquere, corruzione, turbativa d'asta, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, nonché rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio;
   tra i fatti più eclatanti si ricordano gli arresti di Antonio Acerbo (ai domiciliari), responsabile Construction di Padiglione Italia e commissario delegato di Expo 2015 per il progetto «Vie d'acqua» (secondo l'accusa avrebbe favorito l'imprenditore Maltauro), di Angelo Paris, direttore generale di Expo 2015 Spa (in particolare, direttore generale della divisione construction and dismantling e di responsabile dell'ufficio contratti di Expo 2015) che ha patteggiato, di Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture lombarde, di Pierpaolo Perez, capo dell'ufficio gare e appalti della società operativa Infrastrutture lombarde società per azioni (Ilspa), di Enrico Maltauro, imprenditore (aggiudicatario bando vie d'acqua) che ha patteggiato, di Andrea Castellotti, manager della società Tagliabue e facility manager Padiglione Italia Expo 2015 Spa;
   il raggiungimento dei 20 milioni di visitatori è fondamentale per la «riuscita economica» dell'esposizione internazionale, ovvero per il rientro dei capitali investiti, in gran parte dei contribuenti italiani, come riportato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2013 e nell'allegato 2 dello stesso;
   i costi sostenuti per la realizzazione di EXPO 2015 possono così essere schematizzati: 2 miliardi di euro per realizzare gli edifici e i padiglioni di Expo e 15,8 miliardi di euro per le opere infrastrutturali di collegamento, mentre la ripartizione tra il capitale pubblico e privato dei 2 miliardi di euro risulta essere: 1,76 miliardi di euro a carico dello Stato (stanziati dai provvedimenti «Sblocca, Italia», «Fare», legge di stabilità e altri), 159 milioni di euro a carico del comune di Milano, 79,5 milioni di euro dalla provincia di Milano, 159 milioni di euro dalla regione Lombardia e 79,5 milioni di euro dalla Camera di commercio di Milano (finanziamento privato);
   da un'inchiesta giornalistica del. Fatto Quotidiano il numero dei visitatori di EXPO Milano 2015 risulta essere inferiore a quello dichiarato dal commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015, nonché l'amministratore delegato di Expo 2015 Spa, Giuseppe Sala che nel comunicato del 9 luglio 2015, ha diffuso una cifra per i due mesi di apertura, di 6,1 milioni;
   secondo l'indagine giornalistica di cui prima, basatasi sui numeri registrati con precisione millimetrica dai tornelli, che comprendono anche gli addetti, chi lavora nel sito, gli operatori professionali, il personale dei padiglioni, i volontari, i vigilanti e gli omaggi (almeno 10 mila persone al giorno) i «visitatori reali» non risultano essere più di 1,6 milioni a maggio e 1,8 a giugno ovvero meno di 3 milioni e mezzo nei due mesi;
   alla luce di queste misurazioni, e dato che Expo spa ha ipotizzato che nei primi due mesi arrivasse il 36 per cento dei visitatori totali, questi dovrebbero essere, nei sei mesi dell'esposizione, 11 milioni, ben al di sotto dei 20 milioni promessi;
   se i visitatori saranno meno della metà di quelli previsti e dato che il costo del biglietto è stato di molto ridotto da una politica di sconti fin qui attuata (il 15 per cento degli ingressi totali avvengono dopo le ore 19 con un costo del biglietto di 5 euro), appare plausibile il rischio che gli incassi degli ingressi non saranno sufficienti a garantire il rientro dei capitali pubblici investiti;
   come si evince dal sito di Expo, i compiti del commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 e amministratore delegato di Expo 2015 Spa sono importanti e fondamentali per la riuscita di Expo Milano 2015, in quanto vigila sull'intera organizzazione di Expo Milano 2015 con poteri sostitutivi per la risoluzione di eventi ostativi alla realizzazione delle opere essenziali e connesse all'adesione dei partecipanti o al regolare svolgimento dell'Evento, partecipa alle riunioni del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) riguardanti le decisioni strategiche per Expo Milano 2015, riferendo ogni tre mesi, espone periodicamente al Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione e sull'organizzazione generale dell'Evento e ha il compito di attivare tutti gli strumenti per la completa realizzazione del progetto con poteri di deroga alla legislazione vigente a mezzo di ordinanza (nei limiti indicati con delibera del Presidente del Consiglio sentito il Presidente della regione Lombardia) immediatamente efficaci e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per individuare eventuali responsabilità del commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 alla luce delle sue recenti dichiarazioni, e quale sia la reale consistenza dei visitatori di Expo 2015 ad oggi;
   quali iniziative si intendano promuovere per una maggiore trasparenza sul numero di ingressi giornalieri dei visitatori di Milano Expo 2015, ad esempio anche mediante un contatore collegato direttamente ai tornelli e facilmente fruibile sul sito ufficiale di EXPO;
   se non si ritenga che le stime al ribasso del numero di visitatori totali — anche in considerazione della riduzione del prezzo dei biglietti — non stia gravando sul bilancio complessivo dell'iniziativa, mettendo a rischio il «rientro» dei finanziamenti pubblici.
(2-01039) «Massimiliano Bernini, Lupo, Benedetti, Gagnarli, Parentela, Gallinella, L'Abbate, D'Incà».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   era il 17 settembre 2013 quando l'allora Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport Graziano Delrio partecipava, nel Salone d'Onore del Coni, alla presentazione dei mondiali di ciclismo che si sarebbero tenuti dal 22 al 29 settembre dello stesso anno, in Toscana. All'evento erano presenti il presidente del Coni Giovanni Malagò, il precedente sindaco di Firenze (oggi Presidente del Consiglio dei ministri) Matteo Renzi con gli altri sindaci delle quattro città toscane attraversate dai mondiali, il Presidente della Federazione ciclistica italiana, Renato Di Rocco;
   «un evento reso possibile da un grande lavoro collettivo — affermava il Ministro Delrio —, con pochi mezzi pubblici, realizzato grazie al Coni, a enti nazionali e locali, a privati, interessati a regalare all'Italia questa occasione»;
   sono passati due anni dalla fine dei mondiali di ciclismo, purtroppo però a Firenze ci sono ancora molte aziende che devono essere pagate per il lavoro compiuto in quell'evento sportivo: una stima, al ribasso, parla di almeno 1,5 milioni di euro che il Comitato organizzatore deve ancora saldare ad almeno una ventina di piccole e medie imprese;
   la manifestazione ha portato lustro e visibilità alla Toscana, ma una volta spenti i riflettori sulla kermesse iridata un aspetto è apparso subito chiaro: regione e comuni hanno celebrato il successo della manifestazione a scapito di molti imprenditori toscani, che non hanno mai incassato ciò che era loro dovuto, da un minimo di 10 mila a un massimo di svariate centinaia di migliaia di euro, e che in qualche caso rischiano tuttora di dover chiudere l'attività per le fatture inevase dagli organizzatori del mondiale;
   anche se gli enti locali da parte loro hanno dichiarato di avere regolarmente pagato ciò che avevano messo a bilancio per la manifestazione, ciò non significa che debbano «lavarsi le mani» di fronte ai mancati pagamenti dei fornitori da parte del comitato organizzatore, anche perché molti imprenditori hanno accettato di lavorare per l'evento a fronte di acconti minimi, proprio per il ruolo di «garanzia» che avevano i comuni e la regione Toscana;
   il comitato ha sottolineato che i ritardi nell'erogazione del fondi ai creditori sono avvenuti a causa della mancanza di puntualità dei trasferimenti da parte degli enti locali e che, se questi fossero pervenuti regolarmente e tempestivamente, la situazione contabile sarebbe in perfetto equilibrio;
   giova ricordare che al comitato i comuni interessati hanno destinato 1,3 milioni di euro, mentre la regione Toscana ha contribuito con 400 mila euro dei 18,5 milioni complessivi stanziati, serviti anche per riasfaltare le strade interessate dalle gare. Quello toscano è stato uno dei mondiali più costosi della storia: oltre 40 milioni di euro, a fronte degli 11 spesi per Mendrisio 2009 e dei 10 di Copenaghen 2010;
   a due anni di distanza dal mondiale, alcune aziende hanno intrapreso azioni legali, mentre altre hanno preferito seguire canali extragiudiziali nella speranza di rientrare del credito. Sembrerebbe inoltre che alcune aziende siano invece state pagate e perciò sarebbe interessante conoscere con quale criterio siano state scelte;
   la cifra che attualmente la Federazione ciclistica sembra avere a disposizione, meno di 1,2 milioni di euro, non è sufficiente a risolvere la pesante situazione creditoria ancora pendente;
   in ogni caso sarebbe opportuno appurare effettivamente se i comuni e la regione Toscana siano ancora debitori nei confronti del Comitato organizzatore dei mondiali di ciclismo 2013, evento sul quale il Governo di allora tanto aveva puntato, per dare lustro all'immagine del Paese e della Toscana in particolare, e per promuovere l'ulteriore diffusione di questo sport –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e di quali ulteriori elementi disponga al riguardo;
   se siano consapevoli della pesante ricaduta occupazionale negativa che avrebbe l'eventuale chiusura delle numerose aziende ancora creditrici, ove i diretti responsabili non decidano, senza ulteriori ritardi, di rimborsare i crediti tuttora esistenti nei confronti di numerose imprese che rischiano di chiudere le attività nel caso in cui non riescano a rientrare degli investimenti fatti in occasione dei mondiali di ciclismo svoltisi a Firenze nel 2013;
   se risulti al Governo che alcune aziende siano già state soddisfatte nei loro crediti e, in caso affermativo, se sia noto in base a quale criterio siano state individuate.
(2-01040) «Borghesi, Fedriga».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l’«Investor-State Dispute Settlement» – ISDS è un meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato e investitore privato; questo strumento consente alle aziende di accedere ad un processo arbitrale se ritengono di aver ricevuto un trattamento ingiusto dalle pubbliche autorità, se pensano di essere state discriminate a favore di imprese nazionali oppure se considerano una legislazione, adottata dallo Stato nel quale operano, discriminatoria e quindi d'ostacolo per le loro attività. Le disposizioni che prevedono l'istituto dell'ISDS sono contenute in un gran numero di trattati bilaterali per gli investimenti, in alcuni accordi commerciali internazionali (ad esempio nell'Accordo Nordamericano per il Libero Scambio – NAFTA) e in accordi internazionali di investimento come il «Trattato sulla Carta dell'energia». Tali clausole sono basate su quelle analoghe presenti nell'accordo CETA in negoziazione tra Unione europea e Canada. A livello globale, il ricorso allo strumento dell'Isds è in continuo aumento: nel 2012 erano aperti 154 contenziosi di questo tipo, di cui 58 aperti nel solo 2012, con una crescita del 250 per cento rispetto al 2000. La clausola Isds, è contenuta anche nel trattato commerciale Usa-Unione europea, noto con sigla Ttip, transatlantic trade and investment partnership, in via di negoziazione;
   nonostante la Commissione europea si sia affannata nel presentare nel modo più positivo possibile queste clausole, pubblicando una serie di risposte alle critiche più pressanti, l'idea dell'opinione pubblica è decisamente negativa, per il timore che un arbitrato possa stravolgere decisioni politiche democraticamente prese. I sindacalisti europei sono contro il TTIP e le ISDS, come molte organizzazioni per la salute, gruppi di rappresentanza della società civile e membri del Parlamento europeo. Lo stesso presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha espresso vivaci preoccupazioni concernenti le clausole Isds, sottolineando come la competenza dei giudici degli Stati membri dell'Unione europea possa essere limitata dalle controversie investitore-Stato. Infine, anche il Governo tedesco ha denunciato forti dubbi sulla necessità di introdurre le clausole ISDS, in considerazione del fatto che gli investitori americani sono sufficientemente tutelati dai tribunali europei;
   le clausole ISDS consentono il cosiddetto «forum shopping», un'azienda può citare uno Stato dinanzi ad un arbitro anche se non esistono accordi specifici tra lo Stato dell'azienda e lo Stato citato. Infatti, è sufficiente che esistano accordi con lo Stato nel quale l'azienda ha una sede secondaria. Un esempio è l'azione proposta dalla americana Philip Morris (Usa) contro l'Australia sulla base degli accordi tra Australia e Hong Kong, dove la Philip Morris ha una sede secondaria, anche se non esistono specifici accordi tra Usa e Australia. La proposta della Commissione europea è di escludere i casi di aziende «mailbox», pretendendo che l'azienda straniera debba stabilire una effettiva sede con attività economiche sostanziali prima di poter portare in giudizio lo Stato. Ovviamente le multinazionali, che sono quelle che possono creare maggiori problemi ad uno Stato, non hanno nessuna difficoltà a superare questo ostacolo;
   trattamento giusto ed equo: il principio del trattamento «fair and equitable» (FET) è previsto dalle clausole ISDS, in modo da assicurare un trattamento giusto ed equo agli investitori esteri. Il principio in questione, come del resto tutti i principi generici, può portare facilmente ad abusi. Le applicazioni dei tribunali arbitrali variano notevolmente. La proposta della Commissione europea è di prevedere una lista di specifici diritti in relazione ai quali si applica la clausola FET. Purtroppo tale lista non è «chiusa» e quindi può teoricamente portare comunque ad applicazioni estensive;
   le procedure ISDS sono molto dispendiose, le cause costano cifre enormi, gli onorari degli arbitri, pagati fino a 3.000 dollari al giorno, sono elevatissimi e a carico delle parti. Sono gli arbitri a decidere chi paga, ed è accaduto che anche se uno Stato ha vinto la causa ha dovuto comunque provvedere per le spese del giudizio. Anche solo questo aspetto può far sì che uno Stato sia restio a introdurre normative che potrebbero provocare azioni legali da parte degli investitori esteri;
   la Commissione europea intende introdurre un «right to regulate» al fine di promuovere l'interesse pubblico rispetto ad altri interessi. In realtà in questo modo il «diritto alla regolamentazione» del Governo diventa un'eccezione rispetto alla protezione degli investimenti aziendali, che assumono il ruolo primario; inoltre tale diritto è tutelato solo in relazione ad «obiettivi legittimi», che però non sono specificati. Alla fine saranno gli arbitri a decidere quali sono. I tribunali nazionali sono disegnati per essere indipendenti, imparziali, e rispettosi del principio della separazione dei poteri. Non accade lo stesso con i tribunali arbitrali: ognuna delle parti in causa sceglie uno dei tre arbitri, mentre il terzo è scelto di comune accordo oppure dal segretario generale del Centro internazionale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti (ICSID), il quale è scelto a sua volta dal presidente della Banca mondiale. In caso di appello tutti e tre gli arbitri sono nominati dal presidente della Banca mondiale. Il presidente della Banca mondiale è nominato dagli Usa. È evidente lo squilibrio a favore degli Stati Uniti. Un collegio arbitrale non ha il potere di abrogare una norma legislativa nazionale, però può statuire che quella norma compromette i profitti presenti e futuri dell'investitore estero, per cui lo Stato verrà condannato a risarcire tali mancati guadagni. Ad esempio, la canadese Gabriel Resource ltd cita la Romania perché il legislatore, per motivi di sicurezza dei cittadini, ha impedito la realizzazione di una miniera a cielo aperto, per la quale erano stati spesi dall'azienda 1,4 miliardi. Alla fine la norma rimarrà in vigore, ma lo Stato potrebbe essere costretto a pagare fino a 4 miliardi alla GBU, cioè circa il 2 per cento del prodotto interno lordo nazionale. Un disincentivo così forte influisce sicuramente sulle procedure di formazione delle nuove leggi. Secondo uno studio UNCTAD (Conferenza dell'ONU sul Commercio) il 70 per cento delle richieste degli investitori viene accolta almeno in parte;
   come ipotizzato alcuni mesi fa dalla Campagna Stop TTIP Italia, l'Italia deve rispondere per la prima volta nella sua storia ad una denuncia causata da un ISDS. A confermarlo è l'ICSID, il Centro internazionale di risoluzione delle dispute (legato alla Banca mondiale) dove chiarisce come tre investitori di energie rinnovabili, il belga Blusun S.A., il francese Jean-Pierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein, abbiano denunciato la Repubblica italiana per la revisione del sistema incentivante sull'energia fotovoltaica. La possibilità di adire all'arbitrato privato dell'ICSID la offre l’Energy Charter Treaty, il trattato di liberalizzazione dell'energia che prevede l'istituzione di un organismo risoluzione delle controversie tra investitori privati e Stati. Il caso che riguarda l'Italia è stato anche inserito in un dossier della Commissione Juri del Parlamento europeo del 2014 (pagina 13). Il tribunale si è costituito il 12 giugno 2014 con la francese Dentons Europe come consulente di parte per gli investitori. Per l'8 maggio scorso era attesa la memoria difensiva dell'Avvocatura dello Stato, ma il silenzio imposto sull'ISDS, per evitare problemi sul negoziato TTIP, non permette di capire come stia procedendo la causa –:
   se il Governo intenda accettare che nella conclusione di atti pattizi, commerciali o di altra natura, bilaterali o multilaterali, venga inclusa la previsione per la composizione delle controversie internazionali investitore-Stato (ISDS) col modello «ISDS light» contenuto nella risoluzione Lange approvata l'8 luglio 2015 al Parlamento europeo e le modalità secondo le quali nello specifico, verranno formati i tribunali degli arbitrati già indicati nella risoluzione stessa;
   quali adeguamenti normativi l'Italia dovrà adottare per uniformarsi alle prescrizioni contenute nella risoluzione Lange inerenti all’«ISDS light» e se sia in grado di descrivere nel suo insieme il meccanismo di funzionamento dello stesso;
   se il Governo non reputi opportuno approfondire le conseguenze dell'adesione al trattato TTIP, anche alla luce del fatto che il nostro Paese sia impegnato a rispondere per la prima volta nella sua storia ad una denuncia per la quale si dovrebbe attivare un ISDS;
   se il Governo non reputi di agire, nelle opportune sedi a livello nazionale, sovranazionale e internazionale, per promuovere ogni possibile iniziativa volta ad eliminare dalla versione finale dell'Accordo economico e convenzionale globale (CETA) e dalla versione finale del trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti le previsioni per la composizione delle controversie ISDS;
   se il Governo non reputi opportuno ostacolare la matrice ideologica delle clausole ISDS che consentiranno di contestare possibili riforme e leggi innovative a tutela dei cittadini, non solo politiche ambientali ma anche riforme in materia di diritto d'autore o di tutela dei dati personali, considerato che l'introduzione della riforma della privacy dell'Unione europea, limitando il trattamento dei dati personali dei cittadini europei da parte delle aziende americane, potrebbe avviare una miriade di cause ISDS, perché, appunto, riduce i guadagni attesi da queste aziende;
   se il Governo non reputi opportuno impegnarsi affinché vi sia pieno rispetto del trattato di Lisbona, sul quale la politica commerciale dell'Unione europea, ha assunto una caratura fortemente sociale (principio di precauzione, articolo n. 191), in quanto deve essere condotta nel rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti dell'uomo, mentre al contrario, le clausole ISDS prevedono un pericoloso ribaltamento mettendo le aziende prima degli Stati e i profitti prima dei cittadini.
(2-01043) «Zaccagnini, Kronbichler, Fratoianni, Scotto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in seguito alla crisi scoppiata tra la Russia e l'Ucraina a febbraio 2014, e in particolare in seguito al referendum tenutosi in Crimea nel successivo mese di marzo che ha visto prevalere una maggioranza favorevole all'annessione alla Russia, Stati Uniti, Unione europea ed alcuni altri Paesi del nostro continente, nonché il Giappone e l'Australia hanno posto in essere sanzioni contro la Federazione russa;
   le sanzioni, attuate a partire dal 17 marzo 2014 da Stati Uniti, Unione europea e Canada e, successivamente, anche da Giappone, Australia, Albania, Islanda, Montenegro, Moldavia, Norvegia e Svizzera hanno gradualmente esteso il proprio raggio d'azione includendo progressivamente il congelamento dei beni di un numero crescente di cittadini russi, limitazioni all’export verso la Russia di strumenti e tecnologia militare, limiti alla cooperazione energetica e restrizioni alla possibilità delle banche russe di contrarre prestiti di breve e medio termine sui mercati finanziari dei paesi aderenti alle sanzioni;
   le sanzioni, che sarebbero dovute terminare il 31 luglio 2015, sono state estese fino al 31 gennaio 2016 su proposta dei partecipanti alla riunione del G7 (Germania, Francia, Inghilterra, Italia, Giappone, Canada, Stati Uniti e Unione europea) che si è tenuta in Germania il 7 e 8 giugno 2015;
   come conseguenza delle sanzioni, fin da marzo 2014 la Federazione russa ha imposto restrizioni all'ingresso sul suo territorio ad alcuni cittadini provenienti dai Paesi che hanno adottato le sanzioni medesime nonché l'embargo all'importazione di una serie di prodotti provenienti dagli stessi Paesi. Il divieto riguarda in particolare i prodotti agricoli, con profonde ricadute negative sull’export e sulla economia italiana ovvero sui posti di lavoro collegati. In seguito alla decisione di prolungare ulteriormente le sanzioni, la Federazione russa ha specularmente esteso le proprie contromisure, dichiarando di volervi includere anche altri prodotti;
   le sanzioni e le conseguenti contro-sanzioni russe hanno, come si è detto, ricadute fortemente negative sulla economia italiana: secondo Confcommercio oggi la Russia non figura più tra le prime dieci destinazioni dell’export italiano proprio a causa delle sanzioni. Da un'analisi dell'Associazione italiana per il commercio estero emerge inoltre che le imprese italiane sono state colpite doppiamente dal gioco delle sanzioni incrociate di Unione europea Russia. Infatti, se il settore dell’agrofood italiano è fortemente penalizzato dalle sanzioni imposte sull'esportazione di prodotti alimentari europei verso la Russia (con danni stimabili superiori al miliardo di euro e un calo di almeno il 25 per cento), tutti gli altri settori merceologici sono colpiti dall'effetto boomerang delle sanzioni europee sul settore finanziario russo, che impedisce di fatto alle banche russe di poter operare e garantire i pagamenti dei compratori russi nei confronti dei fornitori italiani;
   le restrizioni economiche e commerciali imposte alla Russia stanno anche causando effetti negativi sui consumi in Italia da parte dei turisti provenienti dalla Federazione. Da un'indagine di Federmodaitalia-Confcommercio e Global Blue (società leader nei servizi connessi allo shopping tax-free dei turisti stranieri) emerge nei primi tre mesi del 2015 un calo molto pesante sia in termini di volume di acquisti (-54 per cento rispetto a un anno prima), che in valore delle transazioni (-56 per cento) da parte dei clienti russi;
   il settore più colpito, però, è sicuramente quello agroalimentare: secondo Coldiretti le esportazioni agroalimentari dell'Italia in Russia sono praticamente dimezzate (-51,1 per cento) nel primo trimestre del 2015, ma sono del tutto azzerate per l'ortofrutta, i formaggi e la carne e derivati, mentre la decisione di prorogare di un anno l'embargo sui prodotti alimentari da parte della Russia costerà all'Italia oltre 20 milioni di euro al mese. I prodotti colpiti dalle contromisure russe, oltre alla carne di manzo, suina e avicola, alla frutta e alla verdura, al latte ed ai formaggi includeranno presto, secondo quanto affermato dalle autorità russe, anche le conserve di pesce, fiori e dolciumi;
   il danno maggiore delle sanzioni, che rischia ricadute di lungo periodo, è determinato però dal fatto che lo «stop» alle importazioni ha provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Italian Sounding, ovvero di falso made in Italy di salumi e formaggi, con la produzione casearia russa che nei primi quattro mesi del 2015 ha registrato infatti un sorprendente aumento del 30 per cento e riguarda ormai anche imitazioni di mozzarella, robiola o parmesan. La conferma viene dal padiglione russo all'Expo dove sono stati addirittura esposti formaggi che richiamano all'Italia, ad esempio con il marchio «Prego» e con una scritta «Original Italian Recipe» sulla confezione, arricchita da un gagliardetto tricolore. I falsi prodotti italiani arrivano in Russia anche da molti Paesi che non sono stati colpiti dall'embargo, come la Bielorussia, l'Argentina o il Brasile;
   infine, ma non meno grave, l'impossibilità di esportare sul mercato russo provoca per molti prodotti alimentari una situazione di eccesso di offerta sul mercato europeo con ricadute negative sui prezzi riconosciuti agli agricoltori. Per porre rimedio a questo problema la Commissione europea ha varato un primo «Regolamento delegato (UE) n. 913/2014 della Commissione, del 21 agosto 2014, che istituisce misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di pesche e pesche noci», seguito dal successivo «Regolamento delegato (UE) n. 932/2014 della Commissione, del 29 agosto 2014, che istituisce misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di taluni ortofrutticoli e che modifica il regolamento delegato (UE) n. 913/2014», al fine di includere nelle misure un numero maggiore di prodotti. Con il protrarsi delle sanzioni, anche le misure eccezionali sono state reiterate ed ampliate con l'adozione di un ulteriore «Regolamento Delegato (UE) n. 1031/2014 della Commissione del 29 settembre 2014 che istituisce ulteriori misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di alcuni ortofrutticoli» e del «Regolamento delegato (UE) n. 1371/2014 della Commissione, del 19 dicembre 2014, recante modifica del regolamento delegato (UE) n. 1031/2014 della Commissione che istituisce ulteriori misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di alcuni ortofrutticoli». È attualmente in bozza presso la Commissione un ulteriore «Regolamento Delegato recante modifica del regolamento delegato (UE) n. 1031/2014 della Commissione che istituisce ulteriori misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di alcuni ortofrutticoli», prorogando ancora i termini delle misure di sostegno;
   al fine di mitigare gli effetti del calo dei prezzi, i succitati regolamenti – incluso quello attualmente in bozza – prevedono un aiuto finanziario dell'Unione «per i produttori di ortofrutticoli deperibili maggiormente colpiti dalla perdita improvvisa del mercato di esportazione» che operino ritiri dal mercato, mancata raccolta o raccolta prima della maturazione, rinunciando quindi a vendere i propri prodotti, destinandoli invece alla «distribuzione gratuita a determinati enti, come gli organismi di beneficenza, le scuole e ogni altra destinazione equivalente approvata dagli Stati membri». L'aiuto finanziario previsto viene ripartito tra i diversi Paesi e prodotti secondo quote stabilite dalla Commissione;
   appare agli interpellanti, sentite le associazioni di categoria, che le quantità ad oggi assegnate all'Italia dai suddetti regolamenti, ivi compreso quello in discussione, siano state troppo basse rispetto all'effettivo raccolto risultato invenduto per gli agricoltori italiani e, soprattutto, che l'entità dei rimborsi non abbia tenuto debitamente conto degli effettivi costi di produzione nel nostro Paese, indubbiamente più alti rispetto a quelli di altri Paesi europei;
   il regolamento attualmente in bozza appare altresì eccessivamente rigido nel momento in cui, come i precedenti, pretende di elencare in modo esaustivo i prodotti agricoli danneggiati dalle sanzioni. Sarebbe più opportuno, a parere degli interpellanti, che fosse prevista una riserva che consentisse ai singoli Stati di inserire nelle misure anche prodotti agricoli diversi da quelli inizialmente elencati ove fosse dimostrato che gli stessi hanno subito gli effetti del mancato export;
   il 25 giugno 2015 l'Assemblea, con i voti dei deputati della maggioranza e l'astensione di Sel, ha approvato la mozione sostenuta dal Governo Renzi che impegna il nostro Paese «a procedere in linea con le decisioni della comunità internazionale rispetto alle sanzioni contro la Russia, mantenendole in essere finché non vi sarà una diversa determinazione comunemente assunta sulla base di positivi sviluppi e di un ripristinato rispetto del diritto internazionale». Nella stessa seduta sono state invece state respinte le mozioni di Forza Italia e Lega che chiedevano invece un impegno orientato alla revoca delle sanzioni;
   il giorno prima, 24 giugno 2015, il Senato aveva impegnato il Governo, con una risoluzione presentata dal Gruppo Forza Italia, «ad adoperarsi per una riflessione profonda sulle sanzioni alla Federazione Russa e per un riesame del sistema sanzionatorio»;
   a distanza di più di un anno dal loro inizio le sanzioni contro la Federazione russa si sono dimostrate completamente inefficaci non essendo servite a garantire una soluzione diplomatica alla crisi in Crimea, ed addirittura estremamente dannose per l'economia europea e italiana in particolare –:
   se, alla luce di quanto esposto, il Presidente del Consiglio e il Ministro interpellato possano fornire chiarimenti in merito all'esito della «riflessione profonda sulle sanzioni» che il Governo si è impegnato a fare e alle misure adottate di conseguenza;
   se il Presidente del Consiglio e il Ministro interpellato non ritengano necessario adoperarsi maggiormente in sede europea ed internazionale affinché le sanzioni contro la Federazione russa vengano ridiscusse e, al più presto, abolite prima che i loro effetti negativi sul mercato e sull’export italiano siano diventati danni permanenti;
   se, nelle more di quanto richiesto sopra, il Presidente del Consiglio e il Ministro interpellato non ritengano urgente adoperarsi affinché il regolamento attualmente in bozza presso la Commissione europea, che emenda il citato regolamento 1031/2014, venga redatto in modo da tenere conto degli effettivi costi di produzione degli agricoltori italiani e delle effettive quantità di prodotti agricoli colpite dall'embargo russo, sicuramente maggiori di quelle attualmente previste, nonché si intenda assumere iniziative affinché il suddetto regolamento preveda in capo ai Governi dei singoli Stati la facoltà di segnalare come destinatari delle misure eccezionali anche prodotti agricoli diversi da quelli inizialmente elencati ove fosse dimostrato, ovvero dimostrabile, che gli stessi hanno subito gli effetti negativi del mancato export.
(2-01044) «Bergamini, Brunetta».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la crisi economica e finanziaria nazionale si è riverberata, com’è noto in modo ancor più drammatico nelle regioni meridionali, creando una condizione di grave prostrazione che non può essere lenita dall'intervento pubblico a causa della carenza di risorse;
   l'unico flusso di risorse attingibile resta quello dei fondi strutturali europei che prevedono l'intervento comunitario a sostegno della progettualità delle regioni, chiamate ad intervenire a sostegno per una quota parte;
   nel settennato 2007-2013 solo il 75 per cento delle risorse è stato attribuito, mentre non è ancora partito il nuovo ciclo, 2014/2020;
   per concorrere a rendere possibile il pieno attingimento di fondi valutabili intorno ai 44 miliardi di euro, venne istituita tre anni fa, dall'allora Ministro Barca, l'Agenzia per la coesione territoriale quale organo di indirizzo e di presidio all'attuazione della programmazione dei fondi territoriali;
   l'agenzia, però, a causa di macchinosi passaggi burocratico-amministrativi e della mancata adozione di ben 13 decreti attuativi, non è entrata nella sua piena operatività;
   d'altro canto, anche la responsabilità governativa nel settore dei fondi strutturali europei appare priva di un riferimento preciso, sicché l'unica risorsa possibile per far fronte alla grande difficoltà delle regioni meridionali, oggi appare non coordinata, non assistita e non presidiata da strumenti tecnici strategici; in una parola, i fondi rischiano di diventare inattingibili –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire che la progettualità finanziaria dei fondi strutturali europei, ultima possibilità per la ripresa delle aree meridionali, sia coordinata e sostenuta dal Governo.
(2-01041) «Pisicchio».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   vi è l'intendimento da parte del Governo di intervenire sul Corpo forestale dello Stato e di pervenire ad un complessivo riordino delle forze di polizia attualmente in essere nel nostro Paese;
   questa considerazione va affiancata alla proposta della creazione di un numero telefonico unico di emergenza, su cui è in corso un ulteriore dibattito;
   nonostante sia avviato quindi questo processo di riforma, sulle reti nazionali continua a venire trasmesso lo spot che pubblicizza il numero di emergenza del Corpo forestale dello Stato, il 1515, con il noto attore Mario Girotti, in arte Terence Hill, che, per dare risalto al messaggio, rievoca scene della celebre serie Un passo dal cielo;
   sebbene il suddetto spot sia stato realizzato per una campagna del 2012, la sua reiterata trasmissione non soltanto rappresenta un costo, data l'occupazione dello spazio televisivo, ma è relativa a contenuti che, con ogni probabilità, diverranno desueti entro pochi mesi e potrebbero ingenerare confusione nel cittadino che è indotto a memorizzare un numero d'emergenza che tra breve sarà superato, anche in vista del superamento del Corpo forestale dello Stato;
   il costo peraltro non sarebbe solo quello relativo dell'occupazione dello spazio televisivo, ma anche quello della perdita, per la televisione pubblica, della possibilità di un utilizzo alternativo dello stesso per comunicazioni di natura commerciale –:
   se il Governo ritenga opportuna, e con quali motivazioni, la prosecuzione della campagna di comunicazione per pubblicizzare il numero di emergenza del Corpo forestale dello Stato, alla luce del dibattito in corso circa un suo assorbimento e dell'istituzione di un numero unico;
   quale sia il costo della campagna di comunicazione per l'anno 2015. (4-09915)


   RICCIATTI, FERRARA, PELLEGRINO, ZARATTI, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, KRONBICHLER e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 17 luglio 2015 alle ore 2:10 del mattino è divampato un incendio nella fabbrica di bitume Casali nel consorzio di Castelferretti, a Falconara Marittima (Ansa 17 Luglio 2015);
   l'incendio è stato circoscritto dopo qualche ora, grazie all'intervento di diverse squadre dei vigili del fuoco; tuttavia, nel corso dello stesso si è sprigionata una nube intensa con livelli di tossicità ancora da chiarire, che è stata monitorata dall'Arpa e dall'Asur, l'azienda sanitaria regionale;
   le temperature elevate della stagione estiva hanno fatto sì che diversi cittadini abbiano dormito con le finestre aperte, svegliandosi nelle prime ore del mattino e riscontrando un odore acre nell'aria, anche all'interno delle abitazioni;
   l'amministrazione comunale, su sollecitazione dell'Asur e con l'assenso della prefettura, a partire dalle ore 6,46 del mattino del 17 luglio, in via precauzionale ha diramato alla cittadinanza comunicazioni audiofoniche, invitando bambini ed anziani a non uscire di casa;
   l'azienda nelle ore successive all'incendio ha diramato, a sua volta, una nota nella quale, sulla scorta delle varie rilevazioni effettuate nelle stessa mattinata e degli accertamenti di Arpam, comune di Falconara, Asur, protezione civile, polizia municipale e carabinieri, ha dichiarato che tale nube «non è risultata a nessun effetto tossica; le polveri diffuse sono sì risultate superiori alla media dei monitoraggi quotidianamente effettuati dal Comune di Falconara (effetto naturale di un incendio), ma comunque nettamente inferiori ai valori limite di attenzione previsti dalle norme» (Ansa 17 luglio 2015);
   anche il comune di Falconara ha chiarito il giorno successivo, ricostruendo la dinamica dell'accaduto, come il «rischio di tossicità è stato escluso nel giro di poco tempo» (Il Corriere Adriatico, 19 Luglio 2015);
   alcune organizzazioni cittadine, tra i quali il comitato Mal'Aria e l'associazione Onda Verde, hanno riferito, viceversa, di essere in possesso di alcuni referti di pronto soccorso di cittadini che si sono rivolti presso la struttura ospedaliera, successivamente alle emissioni conseguenti all'incendio, in preda a problemi respiratori e malesseri vari riconducibili all'evento. In uno di questi casi è stata rilevata una leggera intossicazione da monossido di carbonio –:
   se il Governo sia in grado di fornire chiarimenti circa la composizione ed il livello di tossicità della nube sprigionatasi a seguito dell'incendio illustrato in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno, al fine di rasserenare la cittadinanza, rendere pubblico il contenuto delle relazioni dei vigili del fuoco, intervenuti la notte del 17 luglio 2015 e gli ulteriori dati di cui risulti in possesso. (4-09916)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio 2015, a seguito dei cruenti episodi di cronaca avvenuti nella città di Asti come il brutale assassinio di Maria Luisa Fassi, uccisa con ben 45 coltellate nella sua tabaccheria nel pieno centro di Asti il 4 luglio 2015, si è riunito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Asti che ha concluso i lavori dichiarando che la situazione generale dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio provinciale è sostanzialmente buona poiché in questi ultimi due anni si è verificata una tendenziale diminuzione dei reati. A seguito di tale conclusione l'organo consultivo, preposto a garantire l'ordine e la sicurezza pubblica nella provincia di Asti, ha stabilito di non ritenere necessaria la modifica degli attuali piani di prevenzione e controllo del territorio e, pertanto, di mantenere inalterato l'attuale livello di impiego dei reparti operativi delle forze dell'ordine e dei servizi assicurati sul territorio;
   tali conclusioni hanno sorpreso tutti, in quanto contrastano con i dati di tutte le statistiche sui reati consumati in Italia e che, viceversa, vedono Asti conseguire il poco invidiabile primato di capitale italiana dei furti nelle abitazioni (9,2 furti in abitazione ogni mille abitanti), mentre è tra le prime 10 in classifica per truffe e frodi e guadagna ogni anno posizioni per le azioni predatorie tipiche dello scarso controllo del territorio quali i borseggi e le rapine negli esercizi commerciali, tra cui alcune approdate alla cronaca nazionale perché terminate tragicamente come nel caso del giovane tabaccaio Manuel Bacco, assassinato il 20 dicembre 2014 per difendersi da un tentativo di rapina, e la sopra ricordata Maria Luisa Fassi. Secondo gli ultimi dati disponibili, per crimini totali Asti e provincia sono al ventitreesimo posto in classifica in Italia;
   le conclusioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Asti sono sconfessate non solo dai dati appena menzionati ma anche dagli stessi operatori della sicurezza che hanno indetto, per mercoledì 22 luglio 2015, una fiaccolata di protesta contro i continui tagli al comparto della sicurezza ormai non più sostenibili. Il corteo, promosso dalle segreterie provinciali delle sigle sindacali più rappresentative della polizia di Stato – Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (SIULP), Sindacato autonomo di polizia (SAP), Sindacato italiano appartenenti polizia (SIAP), Sindacato italiano lavoratori polizia per la C.G.I.L (SILP CGIL), Unione generale del lavoro polizia (UGL Polizia), Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forza di polizia (COISP), Unione italiana del lavoro polizia (UIL Polizia) – toccherà, non a caso, due luoghi simboli degli tagli alla sicurezza del territorio di Asti: la prefettura e la questura, entrambi prossimi alla soppressione. Infatti, la prefettura di Asti è senza prefetto da oltre sette mesi, precisamente dal 12 dicembre 2014, mentre per la questura si paventa addirittura il declassamento in semplice commissariato di polizia. Tutte decisioni che sommate alla continua e sistematica riduzione degli organici e delle risorse finanziarie e strumentali di tutte le forze dell'ordine preposte al controllo del territorio astigiano spiegano, senza ombra di dubbio, le ragioni dell'aumento esponenziale dei reati che fanno di Asti e provincia il far west della micro e macro criminalità a livello nazionale;
   l'interpellante ha più volte sollecitato il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ad intraprendere urgenti iniziative volte ad assicurare ad Asti e provincia il nuovo prefetto e a garantire una maggiore presenza delle forze dell'ordine sul suo territorio. Da sottolineare in merito la missiva inviata il 22 dicembre 2014 e l'interrogazione parlamentare n. 3-01345, presentata nella seduta n. 388 del 10 marzo 2015, a cui però non sono seguite risposte da parte del Ministro. Ragione per cui l'interrogante si è visto costretto, in data 6 luglio 2015, a presentare formale denuncia alla procura della Repubblica di Asti nei confronti del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, per il reato di cui all'articolo 328 del codice penale di rifiuto di atti d'ufficio, omissione: «il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni»;
   le ragioni di questa omissione da parte del Ministro Alfano sono da ricercarsi anche nella volontà del Governo di sopprimere molte sedi prefettizie. Infatti, in Parlamento è prossimo all'approvazione, in via definitiva, del disegno di legge delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, già approvato dal Senato il 30 aprile 2015, dove all'articolo 7, comma 1, lettera d), riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato, è contemplata la razionalizzazione della rete organizzativa delle prefetture – Uffici territoriali del Governo. Oltre alla revisione delle sue competenze e delle sue funzioni la norma dispone la riduzione del suo numero. Infatti, l'articolo 7, comma 1, lettera d) del soprarichiamato disegno di legge delega il Governo: «con riferimento alle Prefetture-Uffici territoriali del Governo: a completamento del processo di riorganizzazione, in combinato disposto con i criteri stabiliti dall'articolo 10 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e in armonia con le previsioni contenute nella legge 7 aprile 2014, n. 56, razionalizzazione della rete organizzativa e revisione delle competenze e delle funzioni attraverso la riduzione del numero, tenendo conto delle esigenze connesse all'attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, in base a criteri inerenti all'estensione territoriale, alla popolazione residente, all'eventuale presenza della città metropolitana, alle caratteristiche del territorio, alla criminalità, agli insediamenti produttivi, alle dinamiche socio-economiche, al fenomeno delle immigrazioni sui territori fronte rivieraschi e alle aree confinarle con flussi migratori»;
   una volta approvata la soprarichiamata norma, riportata integralmente, il Governo ridurrà le attuali 105 prefetture a non più di 40 e, con ogni probabilità, la prefettura di Asti sarà tra quelle da sopprimere, altrimenti non si spiegherebbe il ritardo della mancata nomina del nuovo prefetto da ben sette mesi dall'intera cittadinanza attesa;
   pur condividendo la necessità di interventi volti a ridefinire la fisionomia dello Stato ai fini del contenimento della spesa pubblica, queste non devono ricadere sulla qualità dei servizi e sulla sicurezza dei cittadini, poiché altri sono i costi e i privilegi da tagliare e non certo i servizi essenziali alla cittadinanza come la sicurezza –:
   se il Governo non ritenga opportuno fornire chiarimenti su quanto esposto in premessa e, in particolare, sulle sue reali intenzioni in merito alla soppressione della prefettura e, secondo quanto paventato dai sindacati di polizia, della questura di Asti;
   se il Governo, alla luce della recrudescenza dei fenomeni di criminalità, come dimostrano gli efferati omicidi di queste ultime settimane e i dati statistici, che pongono Asti ai vertici delle classifiche nazionali per tassi di reati commessi, non ritenga indispensabile preservare la sede prefettizia e la questura di Asti dalle ipotesi circolate di soppressione;
   se il Governo non ritenga urgente intraprendere immediati provvedimenti per sopperire alla mancanza di risorse umane, finanziarie e strumentali che da anni impediscono alle forze dell'ordine della provincia di Asti di svolgere in maniera compiuta ed adeguata le loro attività di prevenzione e controllo del territorio. (4-09918)


   TERZONI, BENEDETTI, L'ABBATE, SPESSOTTO, BUSINAROLO, COLLETTI, DE LORENZIS, CECCONI, VACCA, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   un recente libro-inchiesta pubblicato del giornalista dell’Espresso Gianluca Di Feo intitolato «Veleni di Stato» (Rizzoli 2009), sulla base di documenti tedeschi, inglesi, americani ha sollevato il tema della presenza invisibile ma reale sul territorio italiano della preoccupante eredità dell'enorme arsenale chimico bellico creato dal regime fascista ed occultato dai tedeschi e di quello disperso dalle forze alleate durante l'ultima guerra (http://espresso.repubblica.it);
   la zona adriatica a cavallo della linea gotica, è indicata come uno dei luoghi significativi in cui ciò è avvenuto, insieme alle coste pugliesi, al golfo di Napoli, al Lago Maggiore, alla Lombardia, al Lazio;
   tre vagoni di testate chimiche, corrispondenti a 84 mila litri di arsenico, arrivarono a Pesaro e vennero svuotati di notte in mare. Stessa sorte seguirono 4.300 grandi bombe C500T contenenti iprite, il famoso gas tossico e vescicante, per un totale di 1.316 tonnellate, oltre un milione di litri, che entro il 10 agosto 1944 vennero caricate su barconi, e gettate al largo. Pochi anni dopo la fine della guerra, in una interrogazione parlamentare del 20 novembre 1951 (http://legislature.camera.it) il sottosegretario alla Marina mercantile Ferdinando Tambroni, rispondendo ad una interrogazione parlamentare dell'Onorevole Enzo Capalozza (sindaco di Fano nel 1944, deputato poi senatore del Pci nel dopoguerra, giudice della Corte costituzionale) avente ad oggetto «Rastrellamento di bombe all'iprite nel tratto dell'Adriatico tra Ancona e Pesaro», rispondeva in maniera dettagliata, riconoscendo l'esistenza di un pericolo ancora presente, citando «gli infortuni dei pescatori locali per contaminazione da aggressivo chimico», riportando le coordinate geografiche della «zona in cui le bombe ad iprite sarebbero state affondate»: quattro punti geografici ubicati in mare, di fronte al porto di Cattolica, a Casteldimezzo ed a Fosso Sejore (tra Pesaro e Fano), a distanze variabili tra uno e tre miglia dalla riva, e due punti sulla terraferma – probabilmente un errore di trascrizione – nei comuni di Cattolica e San Giovanni in Marignano. L'inchiesta ufficiale del 1951 lasciava aperti molti interrogativi e non risultano infatti attuate successive campagne militari di indagini e ancora oggi prive di risposte esaurienti: molti ordigni sono stati rinvenuti nel dopoguerra, ma non si sa precisamente dove e quanti siano oggi gli involucri d'acciaio sepolti da fango e sabbia sui fondali, se possano essere recuperabili, se con il tempo potranno corrodersi rilasciando sostanze tossiche, né si sa – ove ciò avvenisse – quali conseguenze potrebbero avere per l'ambiente, per la salute dei cittadini, per l'economia turistica;
   anche Legambiente in passato ha lanciato l'allarme con il dossier «Armi chimiche: Un'eredità ancora pericolosa» (2012) ricordando che «sono migliaia le bomblets, piccoli ordigni derivanti dall'apertura delle bombe a grappolo, sganciati dagli aerei Nato sui fondali marini del basso Adriatico durante la guerra in Kosovo. Questi arsenali, prodotti dall'industria bellica italiana dagli anni 20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostanze tossiche che da più di ottant'anni causano gravi danni all'ecosistema della Penisola e alla salute delle popolazioni locali»;
   sarebbero 24 le zone di affondamento degli ordigni abbandonati da velivoli dell'Alleanza atlantica nel mare Adriatico di ritorno dai bombardamenti in Kosovo nel 1999. E prima ancora in Bosnia Herzegovina nel 1994-95;
   ad attestare la presenza di ordigni, all'uranio impoverito e non, sono le mappe e le coordinate della Nato, nonché i dati secretati dalla Marina militare che sono stati svelati da «LEFT» nel 2007;
   il 22 settembre 2004, in un'interrogazione parlamentare del senatore Ds Franco Danieli al Presidente del Consiglio dei ministri, si menziona la presenza in Adriatico oltre che di «residuati chimici della seconda guerra mondiale di produzione Usa», proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925, soprattutto di «bombe a grappolo del tipo blu 27 e proiettili all'uranio impoverito»;
   il 25 maggio 1999, la poco nota deliberazione 239 del consiglio regionale delle Marche prendeva atto che «in questo ultimo periodo è continuato lo sganciamento di bombe da parte di aerei Nato nell'Adriatico, anche a ridosso della costa marchigiana»;
   già allora l'assise regionale considerava «il grave danno arrecato all'ecosistema marino» e paventava «il pericolo di esplosioni a danno dei lavoratori della pesca»;
   nella seduta n. 625 del 28 maggio 1999 il sottosegretario per la difesa Brutti dichiarava che «sin dall'avvio delle operazioni militari nei Balcani, le autorità militari dell'Alleanza avevano individuato alcune zone di mare in acque internazionali per consentire ai velivoli di sganciare, in un quadro di procedure di sicurezza, i carichi esterni dei velivoli, in particolare le bombe, qualora i velivoli stessi si fossero venuti a trovare in condizioni di avaria, di emergenza. Queste aree sono denominate jettison areas» ed elencava le aree «ufficiali» di sgancio;
   nel 2013 Luigi Alcaro, responsabile del servizio emergenze ambientali in mare per l'ISPRA e grande conoscitore dei segreti che i fondali marini custodiscono, e in particolare della situazione del mare Adriatico, grazie agli studi compiuti proprio per l'ISPRA, in una intervista rilasciata alla testata online Ambiente&ambiente dichiarò che «gli studi bibliografici, le interviste agli operatori della pesca e le indagini condotte in alcune aree pilota hanno permesso di evidenziare come la presenza di armi chimiche nei mari italiani sia accertata con particolare riferimento al basso Adriatico. Osservazioni dirette da parte di ISPRA sono state eseguite in un'area pilota distante 35 miglia nautiche a largo di Molfetta dove sono state osservate bombe d'aereo corrose contenenti iprite, un composto vescicante prodotto e stoccato anche durante la seconda guerra mondiale. La presenza di questo inquinante è certa perché le analisi di laboratorio di campioni di sedimento prelevati nelle vicinanze degli ordigni hanno rilevato la presenza di prodotti di degradazione dell'iprite». Nella stessa intervista Alcaro evidenzia come la mappatura delle aree di affondamento realizzata da ISPRA abbia rilevato aree molteplici, la cui estensione e consistenza sono incerte a causa della frammentazione dei dati disponibili;
   ora quelle stesse aree, interessate dalla presenza di ordigni risalenti alla seconda guerra mondiale e alle più recenti guerre in Bosnia e Kosovo, sono coinvolte da permessi di prospezione d 1 B.P-.SP e d 1 F.P-.SP, localizzati appunto nell'Adriatico centrale e nell'Adriatico meridionale che verranno condotti anche con l'esecuzione di rilievi geofisici mediante sismica a riflessioni con la tecnica dell’air gun –:
   se il Governo sia in grado di confermare e dettagliare le aree interessate dalla presenza degli ordigni come riportato in premessa;
   se il Governo sia in grado di rassicurare sul fatto che l'utilizzo delle tecniche di prospezione dei fondali marini, tra le quali quella dell’air gun, possa non risultare pericoloso per l'ecosistema marino e per l'incolumità degli operatori nel momento in cui vengono condotti in aree in cui è accertata la presenza di ordigni inesplosi;
   se nella predisposizione dei documenti necessari ad ottenere la valutazione di impatto ambientale i proponenti delle operazioni di prospezione abbiano preso in considerazione questo aspetto, ossia la presenza degli ordigni e le eventuali conseguenze;
   se, nel caso in cui questo non sia avvenuto e se non sia possibile accertare l'assenza di ordigni nelle aree interessate dalle operazioni di prospezioni, non ritengano di dover procedere con la sospensione dei permessi fino a quando non sarà prodotta una cartografia dettagliata di queste aree in grado di escludere la sovrapposizione delle aree di rilascio degli ordigni con quelle di ricerca dei depositi di idrocarburi;
   se non ritengano di dover promuovere in maniera propedeutica alle attività di prospezione e coltivazione dei giacimenti petroliferi un'azione di bonifica della aree in cui venisse accertata la presenza degli ordigni inesplosi. (4-09919)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   secondo fonti attendibili della cooperazione italiana, nei giorni scorsi l'esercito libanese ha sgomberato 41 campi profughi siriani che ospitavano circa 5300 persone e altri 13 sgomberi, per un totale di oltre 800 persone, sono previsti in questi giorni;
   dai primi mesi dell'anno, su richiesta del Governo libanese, l'UNHCR ha sospeso la registrazione dei profughi siriani rifugiatisi in Libano che fino ad allora contavano 1.172.753 persone;
   è del tutto verosimile che negli ultimi mesi la situazione sia progressivamente sfuggita al controllo, tanto che ormai si parla di stime di più di 1,2 milioni di profughi siriani su una popolazione libanese di poco meno di 4,5 milioni di abitanti;
   i campi profughi sgomberati dall'esercito, insistendo lungo le principali vie di comunicazione, avevano quindi un carattere provvisorio;
   lo sgombero dei campi pone le persone evacuate sulla strada, sotto il sole cocente e senza alcuna protezione. È di tutta evidenza che senza una supervisione e un coordinamento delle Nazioni Unite la situazione dei profughi in Libano possa degenerare sia in termini di sicurezza che per conseguenze di carattere igienico sanitario;
   rebus sic stantibus, l'emergenza umanitaria in Libano non potrà che crescere esponenzialmente con il prosieguo dei mesi estivi e questi interventi di ordine pubblico dell'esercito libanese ne rappresentano un campanello di allarme;
   è d'altra parte parimenti evidente che i profughi siriani in questo momento non hanno alcuna possibilità di rientrare nel loro Paese;
   questo stato di cose pone i nuovi profughi di fronte all'opzione di emigrare per mare con tutto quello che, come dimostrano gli esodi dalla costa libica, questo comporta in termini di incolumità fisica;
   lo Stato libanese fino ad ora ha dimostrato una grande disponibilità accogliendo e ospitando un grandissimo numero di profughi in proporzione alla popolazione;
   tra Italia e Libano intercorrono rapporti di amicizia di lunga data, rafforzati anche dal pluriennale comando italiano della missione UNIFIL che ha dato al nostro Paese una credibilità speciale presso i libanesi;
   a tutt'oggi l'Italia è il primo partner commerciale della Repubblica del Libano –:
   quali iniziative il Governo intraprenderà sia in sede di Unione europea sia in sede di Nazioni Unite, nonché attraverso il contributo della cooperazione allo sviluppo al fine di garantire il rispetto dei diritti umani dei profughi della guerra civile in Siria e al fine di sostenere lo Stato libanese nello sforzo di accoglienza e protezione.
(2-01045) «Nicoletti, Quartapelle Procopio, Cinzia Maria Fontana».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto è dato sapere, si prospetta la possibilità di sopperire alla decadenza dei dirigenti dell'Agenzia delle entrate, dichiarati illegittimi con sentenza, n. 37/2015 della Corte Costituzionale, riconoscendo, a fronte di una remunerazione, le deleghe di firma ai funzionari dell'Agenzia, fino all'assunzione dei vincitori del concorso ad hoc che sarà bandito per reclutare i nuovi dirigenti;
   si ritiene che tale soluzione sia di dubbia legittimità, poiché secondo l'interrogante aggira la pronuncia della Consulta che, nel dichiarare la decadenza dei dirigenti in questione, ha evidenziato che tale ruolo debba essere svolto dal personale rispetto al quale si è proceduto, secondo legge, alla verifica dei necessari requisiti curriculari. Tra l'altro, è assurdo e paradossale che applicando tale soluzione potrebbero essere delegati proprio quei funzionari dell'Agenzia che sono decaduti dal ruolo di dirigente;
   attualmente, infatti, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimi i funzionari incaricati come dirigenti senza concorso, questi stessi funzionari continuano a esercitare le medesime funzioni attraverso la delega di firma e con una decurtazione dallo stipendio di circa due terzi, applicata con la decadenza dal ruolo da dirigente. Quindi, è evidente che la proposta in questione mira a far ottenere a questi funzionari una remunerazione aggiuntiva, considerando che per la delega di firma non è prevista nessuna indennità;
   nel ritenere di dubbia legittimità che tali funzionari continuino a svolgere le funzioni da dirigente, a maggior ragione si considera ancora più grave riconoscere una remunerazione aggiuntiva a questi funzionari, in virtù della delega di firma in questione;
   ebbene, la Corte Costituzionale ha stabilito che l'assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo all'istituto della reggenza, regolato in generale dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica dell'8 maggio 1987, n. 266. Pertanto, la reggenza, che va conferita previa indizione delle procedure concorsuali, deve essere affidata all'ex nona qualifica funzionale, vale a dire ai funzionari di ex carriera direttiva che sono stati fatti confluire inopinatamente nella terza area; al riguardo, l'Agenzia oltre al ruolo è in possesso dei curricula di tutti i funzionari della terza area per poter procedere alla verifica e di individuare il personale destinatario della reggenza che, si ribadisce, appartiene all'ex nona qualifica funzionale –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro su quanto esposto in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro per escludere che i funzionari svolgano le funzioni da dirigente con delega di firma, a fronte di una remunerazione aggiuntiva, considerato che altrimenti ad avviso dell'interrogante, verrebbe aggirata, come esposto in premessa, la sentenza della Corte Costituzionale continuando ad affidare a persone senza i richiesti meriti e competenze le funzioni dirigenziali;
   contestualmente, se e quali iniziative intenda adottare il Ministro affinché l'assegnazione delle posizioni dirigenziali avvenga come ha stabilito la Corte Costituzionale, ossia ricorrendo all'istituto della reggenza regolato in generale dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266 e, quindi, affidando la reggenza all'ex nona qualifica funzionale, vale a dire ai funzionari di ex carriera direttiva che sono stati fatti confluire nella terra area. (5-06097)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 della Costituzione italiana, coerente anche con la previsione dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, prevede che, «a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia»;
   la disciplina attuativa di tale normativa costituzionale è prevista nel testo unico delle spese di giustizia – decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 agli articoli 76 e seguenti;
   l'articolo 77 di tale decreto presidenziale prevede che il limite reddituale per poter accedere al patrocinio a spese dello Stato e senza spese a proprio carico deve essere aggiornato ogni due anni per evitare che l'erosione dell'inflazione impedisca di aiutare le persone effettivamente bisognose;
   il limite reddituale superiore previsto in origine dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 era fissato in euro 9.296,22 d'imponibile ed è stato successivamente aggiornato ad euro 10.628,16, in adeguamento all'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, il 20 gennaio 2009, ma in riferimento al 30 giugno 2008;
   successivamente da due anni, vi è stata una variazione in aumento che ha portato il limite reddituale ad euro 10.776,28 adeguandolo all'aggiornamento ISTAT alla data del 30 giugno 2010;
   la più recente variazione in aumento è, quindi, pervenuta dal Ministero di giustizia con decreto del 1o aprile 2014, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 2014, n. 169, innalzando il limite reddituale ad euro 11.369,24;
   tale aumento ha, tuttavia, solo recuperato il biennio dal 1o luglio 2010 al 30 giugno 2012 e con riferimento solo all'inflazione nominale, ma senza includere il biennio già scaduto, dal 1o luglio 2012 al giugno 2014 per di più senza tener conto della maggior perdita di acquisto legata alla crisi che hanno sofferto le famiglie italiane;
   essendo ormai decorsi ulteriori 36 mesi, dall'ultima variazione effettiva del limite reddituale, appare necessario adeguare, per i periodi relativi al biennio 1o luglio 2012 – 30 giugno 2014, il predetto limite di reddito fissato ad oggi in euro 11.369,24 con riferimento al giugno 2012;
   l'intervento risulterebbe, vieppiù, necessario rilevando che nel periodo relativo al biennio considerato, dai dati accertati dall'istituto nazionale di statistica, risulta una variazione in aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati pari ad oltre il 2,40 per cento;
   il medesimo limite reddituale è reso, sovente, più difficile da raggiungere, poiché i soggetti richiedenti l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato incontrano differenti interpretazioni sulla determinazione esatta del proprio reddito al netto degli oneri deducibili, così vedendo, a volte, escludere l'applicazione delle deduzioni di legge e conseguentemente subendo un aumento nominale del proprio reddito che impedisce loro l'accesso al beneficio;
   l'adeguamento del limite reddituale per l'accesso al patrocinio a spese dello Stato consentirà di accedere alla effettiva tutela dei diritti avanti alla giurisdizione della Repubblica a persone che, in questo momento, non se lo potrebbero permettere;
   l'impoverimento del potere di acquisto delle famiglie italiane è di fatto ben superiore a quanto indicato dall'indice Istat e richiederebbe persino che lo stesso, decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 venisse modificato, includendo, in aumento, oltre alla variazione Istat, anche la rivalutazione monetaria del periodo di riferimento –:
   se sia a conoscenza della situazione testé descritta;
   se, quando e in quale forma il Ministro interrogato intenda accogliere la richiesta – già espressa dall'Organismo unitario dell'avvocatura ed anche nella mozione deliberata nello scorso ottobre dal XXXII Congresso nazionale forense – di porre in essere ogni necessaria iniziativa affinché venga rapidamente emanato il decreto ministeriale che modifica il limite reddituale superiore per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato adeguandolo al limite di legge per come effettivamente maturato alla data odierna, ed affinché si precisi che tale importo è al netto degli oneri deducibili ammessi per legge. (5-06095)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in queste ore si è formalmente perfezionato l'annunciato acquisto di Tirrenia da parte dell'armatore Vincenzo Onorato, per la somma complessiva – così trapela da fonti giornalistiche – di 100 milioni di euro;
   attraverso la liquidazione dei tre ex soci del gruppo – fondo Clessidra, Gip e Shipping Investment – Onorato acquisisce il 100 per cento della proprietà azionaria della compagnia di navigazione e, congiungendo il nuovo acquisto alla proprietà di Moby Lines, realizza il controllo assoluto del 95 per cento dei collegamenti marittimi tra la Sardegna e la Penisola;
   in questa maniera si conclude la singolare parabola del processo di privatizzazione della ex compagnia di navigazione dello Stato: dal monopolio pubblico della navigazione al monopolio privato, dopo anni nei quali le tariffe della Tirrenia privatizzata sono schizzate progressivamente alle stelle, senza che mai vi fosse una corrispondente implementazione della qualità e quantità del servizio;
   il monopolio privato dei mari di Sardegna oggi è formalmente una realtà, quindi anche la palese infrazione della logica che ispira e delle norme che regolano la libera concorrenza, sistema ideologico sulla base del quale iniziò vent'anni fa l'era delle privatizzazioni;
   al di là della palese violazione della «filosofia» del libero mercato va ribadito che esiste un diritto alla mobilità di ogni cittadino della Repubblica, che trae ispirazione dai valori e principi inscritti nella Costituzione, perciò anche di coloro che vivono in un'isola;
   tale diritto dei cittadini sardi risulta palesemente limitato, innanzitutto da una condizione di insularità che – incredibilmente ancora nel 2015 – condiziona pesantemente gli spostamenti da e verso la Sardegna, in secondo luogo dai disservizi, le carenze qualitative e quantitative del servizio e il progressivo incremento delle tariffe;
   la politica della cosiddetta «continuità territoriale» – quella aerea e quella marittima – fin qui non solo non ha funzionato, ma si è dimostrata un vero e proprio fallimento, incidendo pesantemente sia sul comparto turistico, che in questi ultimi anni ha subito importanti contrazioni laddove al peggioramento generalizzato delle condizioni di vita delle persone si è aggiunta l'esplosione delle tariffe (per una famiglia venire in nave in Sardegna oggi può costare fino a 1000 euro), che su quello commerciale, fortemente penalizzato sia nell’export che nelle importazioni dal costo esorbitante del trasporto merci;
   in Sardegna il dato saliente della cosiddetta crisi economica è la sua strutturalità, ovvero non si tratta di una fase transitoria ma di un dato ormai – in assenza di un mutamento di segno nella considerazione dello Stato – consolidato: da una parte il collasso del sistema produttivo sardo, la chiusura della maggior parte degli impianti produttivi industriali e la crisi generalizzata di tutti i comparti, dall'altra l'oggettiva impossibilità che l'economia sarda possa riorganizzarsi e risorgere, in assenza di una strategia pubblica di rinascita economica e sociale della Sardegna, innanzitutto una politica del trasporto pubblico delle persone e delle merci;
   in questi giorni cresce la preoccupazione nell'isola circa il rischio che il neonato monopolio privato della navigazione possa ulteriormente produrre un aggravio nei costi e un peggioramento della situazione esistente;
   il 6 luglio 2015 la regione Sardegna, che già aveva espresso – insieme con la grande parte della rappresentanza politica sarda – forte preoccupazione per la trattativa in corso fra Onorato e i soci di Tirrenia, ha depositato un esposto all'autorità anti-trust nella quale si mette in evidenza il «rischio» di monopolio –:
   se con riferimento ai collegamenti fra la Sardegna e la Penisola non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per promuovere la concorrenza, la riduzione delle tariffe e l'effettiva esigibilità del diritto alla mobilità per tutti i cittadini.
(2-01042) «Piras, Zaccagnini, Franco Bordo, Quaranta, Duranti, Ricciatti, Nicchi, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a Roma in data 15 luglio 2015 l'incontro tra i sindacati e il Sottosegretario De Caro in relazione alla situazione delle Officine Trenitalia di Fabriano;
   a tal proposito, è stato già depositato dalla prima firmataria della presente interrogazione un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta n. 4-07952 presentato l'11 febbraio 2015, seduta n. 375) con il quale si chiedeva senza allo stato ricevere risposta, quali misure i Ministri e il Governo intendessero mettere in atto per affrontare una situazione che si presentava già critica, anche al fine di tutelare i lavoratori coinvolti nella struttura;
   questa officina è stata sempre considerata strategica e punto nevralgico delle tratte Ancona-Roma con servizio Fabriano-Civitanova, Fabriano-Pergola e Fabriano-Ancona Porto d'Ascoli, che da sempre ha svolto diverse attività manutentive, dalle revisioni cicliche dei rotabili alle più sofisticate operazioni riguardanti gli organi più complessi delle locomotive diesel;
   nel deposito locomotive lavorano 20 persone dipendenti di Trenitalia che però diventano una trentina se si tiene conto degli addetti di due ditte appaltatrici che svolgono mansioni di pulizia e di servizi accessori;
   questi lavoratori dell'impianto di manutenzione hanno svolto nel tempo i propri incarichi con serietà, competenza e responsabilità. Nonostante tutto, l'arrivo di nuovi treni diesel determinerà una riduzione delle ore lavorative previste, cosicché ci sarà una diminuzione notevole degli operatori presenti nell'impianto di appartenenza;
   appare ovvio che alla riduzione di ore seguiranno, come conseguenze, la chiusura definitiva del deposito ferroviario e il trasferimento delle lavorazioni in altri siti di Trenitalia;
   la problematica del sito era emersa già più di un anno fa e nel corso di un incontro svoltosi recentemente presso la direzione del trasporto regionale Marche, alle organizzazioni sindacali di settore è stato prospettato un ulteriore ridimensionamento della struttura a fine anno;
   durante il tavolo di confronto, da quanto si apprende da fonti stampa, sono state discusse possibili alternative per scongiurare la chiusura delle officine, riconvertendole in sede di manutenzione per carrelli di manovra e macchinari utilizzati di norma per la manutenzione delle linee ferroviarie, operazioni che oggi vengono svolte nelle soli sedi di Bologna e Cosenza;
   nell'ambito dei trasporti ferroviari la regione Marche è fortemente penalizzata soprattutto nei collegamenti delle zone interne con i capoluoghi di provincia quali Urbino, Macerata e Ascoli Piceno, sedi oltretutto di importanti poli universitari e località fortemente vocate al turismo;
   il piano di ridimensionamento delle officine si affianca ad altri interventi sulle tratte dell'entroterra che hanno provocato una riduzione del numero di convogli sulla tratta Fabriano-Civitanova e l'interruzione della tratta Fabriano-Pergola a causa di eventi calamitosi ormai dal 13 novembre del 2013;
   la situazione delle officine di Trenitalia rischia di attivare un «effetto cascata» che andrebbe ad aggravare la già drammatica condizione occupazionale del territorio fabrianese –:
   in che modo i Ministri interrogati intendano intervenire per far sì in modo che la proposta discussa durante il tavolo di confronto possa realizzarsi nel più breve tempo possibile;
   quali iniziative di competenza, di carattere ordinario e straordinario, il Governo intenda mettere in atto per perseguire un'efficiente politica dei trasporti nella regione Marche, in particolare nella zona interna oggi fortemente penalizzata;
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di effettuare una puntuale ricognizione sullo stato dei lavori di ammodernamento e adeguamento delle infrastrutture nelle Marche, al fine di ripristinare e potenziare l'offerta attuale di mezzi pubblici;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare che i predetti ridimensionamenti vengano effettuati e quali iniziative intenda ad ogni modo intraprendere affinché, per il futuro, non siano programmati ulteriori ridimensionamenti del sistema pubblico marchigiano dei trasporti, già segnato, ad avviso degli interroganti, dall'incapacità del governo regionale di gestire le risorse disponibili e dalla mancata copertura dei contributi di esercizio degli esercenti; conseguentemente, se non intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, un tavolo istituzionale di confronto tra l'azienda Trenitalia e la regione Marche per affrontare l'urgente necessità del trasporto ferroviario marchigiano, in risposta alle esigenze della popolazione. (3-01633)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data del 18 giugno 2015 un autoarticolato che trasportava su di sé una voluminosa gru, durante l'attraversamento del sottopassaggio autostradale in Verona – Via Forte Tomba, nella zona sud di Verona, sulla strada statale 12, andava ad impattare contro la volta inferiore del sottopassaggio causando svariati danni al ponte autostradale e giungendo ad intaccare in profondità anche l'armatura in metallo delle travi in cemento armato;
   si è aperto necessariamente il cantiere per consentire il ripristino dell'arco del ponte per tutta la sua lunghezza stanti i gravi danni subiti; la viabilità, di conseguenza, ha dovuto subire delle limitazioni, ed è stato istituito un sistema viario provvisorio per il quale viene impedita la circolazione dei mezzi articolati nel sottopassaggio, che vengono direzionati verso le adiacenti tangenziali, senza che si creino vistosi rallentamenti del traffico;
   paradossalmente, questo casuale danneggiamento ha evidenziato che la mancanza di passaggio degli autoarticolati ha creato un decongestionamento della strada statale 12 in quel tratto, consentendo un ordinato fluire del traffico leggero tale da provocare un diffuso ed inaspettato sollievo agli abitanti della zona sud di Verona che finalmente si trovano a percorrere lo stesso tragitto con tempi di percorrenza dimezzati;
   in particolare, da molti anni, alcuni comitati di quartiere e la cittadinanza veronese chiedono all'ANAS che venga realizzata una variante alla strada statale 12 che consentirebbe al traffico pesante di evitare il tratto di strada oggi interessato dal nuovo cantiere, per convogliarlo sulle tangenziali già presenti in zona, vicinissime e collegate alla rete autostradale dell'adiacente A-4 Milano-Venezia, la quale a distanza di qualche chilometro si raccorda anche con la A-22 Modena-Brennero;
   l'ANAS, tuttavia a quanto è dato sapere, a breve, non avrebbe intenzione di attuare questa variante, sebbene possa consentire una circolazione più rapida, ordinata e meno invasiva per il quartiere rispetto agli ingorghi creati dal traffico pesante sino ad oggi nella zona sud di Verona e permettere altresì alla gran parte del traffico pesante di non entrare in città –:
   se sia a conoscenza della situazione testé descritta;
   se e quali interventi intendano assumere al fine di sollecitare un intervento immediato da parte dell'ANAS, anche al fine della realizzazione della variante alla super strada 12 nella zona di Verona sud, ed in quali tempi, al fine d'indirizzare il traffico pesante sulle tangenziali adiacenti all'autostrada A-4, onde evitare disagi ai quartieri dell'area interessata e garantire l'incolumità degli utenti ed un miglioramento delle condizioni di viabilità della zona;
   se ritengano opportuno chiarire l'ammontare delle risorse già investite, e che saranno investite, ed in quali tempi, dall'ANAS per la rete autostradale, con particolare riguardo alle tratte autostradali e ai raccordi autostradali in gestione diretta nella zona del veronese e, nello specifico, alla variante alla super strada 12 nel tratto della zona sud di Verona;
   se ritengano opportuno avviare le procedure finalizzate al declassamento della super strada 12 a strada regionale onde consentire uno spostamento di competenze dall'ANAS ad altri enti regionali, per garantire un avvicendamento nella gestione del tratto stradale, che possa eventualmente permettere di intervenire con tempi più rapidi nella realizzazione della variante, comportando un decongestionamento del traffico nella zona sud di Verona. (5-06096)


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della relazione al Parlamento, il presidente dell'Autorità di regolazione dei trasporti, Andrea Camanzi, con riferimento alle misure di regolazione in materia ferroviaria, di trasporto pubblico locale, aeroportuale, autostradale e di tutela dei diritti dei passeggeri, ha evidenziato come la qualità dei servizi offerti nei confronti dei passeggeri, sia tuttora estremamente carente;
   al riguardo, il massimo rappresentante dell'Authority ha rilevato che il numero dei reclami da parte degli utenti di servizi di trasporto pubblico in Italia (quasi 300 nell'ultimo anno quelli pervenuti direttamente) rappresenta soltanto un aspetto di una serie più ampia di difficoltà complesse, che interessa il sistema della mobilità; il livello d'insoddisfazione dei passeggeri, nonostante alcuni risultati positivi ottenuti, conferma l'esigenza di migliorare fortemente l'adeguatezza della capacità offerta;
   per quanto concerne la segnalazione dei disservizi, prosegue la relazione, le più ricorrenti riguardano la soppressione dei servizi, la carenza delle informazioni, che è causa anche di mancate coincidenze intermodali, l'inadeguatezza di stazioni e convogli alle esigenze delle persone con disabilità e le difficoltà ad ottenere rimborsi, unitamente al mancato riconoscimento di compensazioni;
   il presidente Camanzi, a tal fine, ha ricordato, come la materia della tutela dei diritti dei passeggeri incrocia, evidentemente, quella della qualità dei servizi e della struttura dell'offerta; la richiesta di mobilità da parte dei passeggeri italiani, aumenta costantemente al fine di poter fruire di una offerta di servizi competitivi adeguata a soddisfare le loro esigenze;
   a giudizio dell'interrogante, l'analisi del presidente dell'Autorità di regolazione dei trasporti, risulta parzialmente condivisibile, in quanto se da un lato conferma ancora una volta le croniche difficoltà esistenti, in merito alla carenza di qualità dei servizi offerti ai passeggeri del trasporto pubblico, dall'altro, non delinea un percorso d'intervento del legislatore, ferma restando la funzione di garanzia e di indipendenza nel settore dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481;
   la necessità di accelerare le misure d'intervento, sia dal punto di vista delle privatizzazioni del sistema di trasporto pubblico locale, che di potenziamento delle infrastrutture di viabilità, in particolare nei riguardi delle aree del Mezzogiorno, la cui area territoriale non è mai stata all'attenzione del Governo in carica, a parere dell'interrogante, si affianca all'esigenza di migliorare la natura delle misure da adottare, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche dell'efficienza della spesa nel trasporto pubblico –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate e messe in luce dal presidente Camanzi, e dei reclami e delle segnalazioni di numerosi disservizi che continuano a gravare sui passeggeri del trasporto pubblico locale, non intenda prevedere in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2016, ulteriori misure ad hoc in favore del settore del trasporto pubblico nazionale, per migliorare la qualità dei servizi offerti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per il trasporto pubblico locale, e in particolare nei riguardi dei pendolari, le cui elevate difficoltà, come confermano i numerosissimi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della precedente legislatura, ma anche nella presente, configurano oramai una situazione di grave ritardo per l'Italia, rispetto ai principali partner dell'Unione europea, in tema di mobilità e di trasporto pubblico. (5-06099)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, LUPO, NUTI, D'UVA, MARZANA e RIZZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Alcuni articoli d'inizio luglio 2015 del giornale on-line Sud Giornalismo d'Inchiesta danno conto di quanto segue;
   il 4 luglio 2015 sono state trasferite all'ospedale Vittorio Emanuele di Catania tredici salme recuperate al largo della Libia, dove lo scorso 18 aprile si verificò un'immane tragedia, con il decesso di 700 immigrati;
   nella stessa mattina del 4 luglio del 2015 sono state compiute operazioni da parte del servizio disinfezione del comune di Catania della zona adiacente al reparto di ginecologia del Vittorio Emanuele;
   il servizio disinfezione si occupa di impedire ogni possibile infezione, che può scaturire dalla presenza delle salme; le operazioni di disinfezione prevedono l'uso di sostanze chimiche disinfettanti molto fastidiose da respirare; nel caso specifico, sono state effettuate non interrompendo la funzionalità dei reparti di ginecologia e di radiologia del Vittorio Emanuele, permettendo l'accesso ai pazienti e ai lavoratori;
   le operazioni si sono svolte anche al cospetto degli assessori comunali D'Agata e Scialfa; i due esponenti istituzionali mostrano segni di nervosismo per la presenza e per le domande della stampa sulla procedura di profilassi effettuata per trasferimento delle salme;
   i rappresentanti istituzionali del comune di Catania affermano che quanto eseguito per la disinfezione dell'ospedale Vittorio Emanuele è una procedura normale; mentre operatori sanitari e medici sostengono che quel tipo di bonifica non ha precedenti;
   gli accertamenti medico-legali sono condotti, alla presenza di polizia scientifica e mobile, da esperti dell'università di Catania e degli Atenei di Palermo e Messina;
   il professor Antonio Gulisano, direttore della diagnosi prenatale dell'ospedale Vittorio Emanuele ha denunciato che le operazioni di trasferimento delle salme in ambienti non refrigerati e la conseguente perdita di liquami hanno determinato complicazioni all'interno del reparto, compreso il ricovero di alcuni dipendenti per l'insorgere di sintomi da tossicosi;
   i corpi sono stati trasportati all'ospedale Vittorio Emanuele dentro normali sacche e depositati in ambienti non adatti a contenerli; i locali in questione sono delle vecchie sala parto del reparto di ginecologia; nello stesso padiglione ogni giorno si assistono donne incinte;
   un'intervista, rilasciata a Sud Giornalismo d'Inchiesta il 5 luglio, il professore Antonio Gulisano, direttore del reparto di diagnosi prenatale solleva forti dubbi sull'operazione di trasferimento delle salme in putrefazione al Vittorio Emanuele; il responsabile del reparto prenatale afferma, che la scelta del luogo sarebbe stata individuata dalla prefettura di Catania;
   i vertici istituzionali del comune di Catania, dal sindaco Bianco, all'assessore D'Agata, interpellati dalla stampa, hanno dichiarato che le operazioni collegate al trasferimento delle salme all'ospedale Vittorio Emanuele di Catania hanno coinvolto vari enti, dalla prefettura alla procura;
   l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 285 del 1990, regolamento di polizia mortuaria prevede, al comma 1, che i comuni devono disporre di un obitorio per l'assolvimento delle seguenti funzioni obitoriali:
    a) mantenimento in osservazione e riscontro diagnostico dei cadaveri di persone decedute senza assistenza medica; medico-legale riconoscimento e trattamento igienico-conservativo;
    b) l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 285 del 1990, regolamento di polizia mortuaria prevede, al comma 2, che nel territorio di ciascuna unità sanitaria locale le celle frigorifere debbono essere non meno di una ogni ventimila abitanti;
   l'articolo 45, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 285 del 1990, prevede che le autopsie, anche se ordinate dall'autorità giudiziaria, devono essere eseguite dai medici legalmente abilitati all'esercizio professionale;
   nell'audizione del 7 luglio 2015 presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie criminali, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, dottor Giovanni Salvi sostiene a proposito dei migranti: «Vi anticipo un'altra notizia, che non è ancora nota, ma non è più segreta, ovvero che abbiamo chiesto il giudizio immediato per il capitano e per il suo assistente per l'affondamento dell'imbarcazione che il 18 aprile ha provocato centinaia di morti, probabilmente più di 800. Non sapremo mai i dati esatti. Il recupero che si sta facendo ne indica già alcune centinaia. Ve ne sono circa 70 fuori, 90 li avevamo identificati nella prima ispezione; poi ci sono quelli all'interno della nave e tutti quelli che sono andati dispersi» –:
   quali chiarimenti possano fornire i Ministri interrogati in ordine alle operazioni di cui in premessa che appaiono agli interroganti discutibili e rischiose, per la salute dei cittadini e del personale sanitario e medico, in particolare in relazione ai seguenti aspetti:
    a) l'utilizzo di normali sacche per salme, non adatte a trattenere i liquami;
    b) il ricorso del personale sanitario dell'ospedale a cure per tossicosi;
    c) il trasferimento delle salme nel reparto di ginecologia, nel quale ogni giorno vengono assistite donne incinte;
   alla luce delle dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Catania, dottor Giovanni Salvi, se siano ipotizzabili nuovi trasferimenti di cadaveri di migranti al fine di essere sottoposti a processi di identificazione e accertamento delle cause della morte sotto tutela dell'autorità giudiziaria;
   se siano a conoscenza del luogo dove sono state allocate attualmente le altre salme dei migranti periti in mare il 18 aprile 2015;
   se, nel caso in cui sia prevista una prosecuzione dell'azione di identificazione e accertamento della morte per come già avvenuta e descritta in premessa, non valutino di convocare un tavolo congiunto tra comune di Catania, regione siciliana, prefettura, ASP, per pianificare le azioni necessarie, tutelando la salute dei cittadini e del personale medico-sanitario;
   se si intenda in tale ambito la possibilità di usare i locali dell'Istituto di medicina legale dell'università di Catania, dotato di ambienti appositi per i processi di identificazione dei cadaveri e di riconoscimento delle cause della morte anziché locali inidonei e non preposti a questo scopo come accaduto nell'episodio descritto in premessa;
   quali iniziative di competenza, intendano intraprendere i Ministeri interrogati per evitare che si possano ripetere gli episodi accaduti all'ospedale Vittorio Emanuele di Catania per come descritti in premessa. (5-06100)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dei licenziamenti disposti dall'IVP Centralpol/Sevitalia in data 1o ottobre 2014, nei confronti di tredici guardie giurate, contestualmente, alla perdita dell'appalto SNAM ITALGAS acquisito dall'ATI SECURITY SERVICE & ARGO;
   sui licenziamenti in questione si è pronunciato il tribunale di Roma che, con sentenza del 15 febbraio 2015, ha ordinato la reintegra dei lavoratori in questione, provvedimento che non è mai stato ottemperato. La vertenza di lavoro è ora passata dinanzi al giudice di secondo grado;
   ebbene, non solo i licenziamenti in questione appaiono illegittimi, ma sembrerebbe che l'IVP Centralpol/Sevitalia non rispetti pienamente i requisiti del decreto ministeriale n. 269 del 2010 che prevede la corretta applicazione della contrattazione collettiva in tutte le sue parti. Sul punto, infatti, l'UGL e l'Osservatorio nazionale sindacale hanno più volte dichiarato che la Sevitalia Sicurezza come Centralpol sembra non rispetti interamente il Ccnl, non versi il tfr ai fondi pensione, non proceda al versamento del quinto dello stipendio, né alla corresponsione dei premi produzione –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo rispetto ai fatti esposti in premessa alla luce del potere di controllo sugli istituti di vigilanza;
   se e quali iniziative intenda adottare il Governo per acquisire elementi sui fatti esposti in premessa, con particolare riguardo alla conformità della condotta dell'IVP Centralpol/Sevitalia al decreto ministeriale n. 269 del 2010 che prevede la corretta applicazione della contrattazione collettiva in tutte le sue parti. (5-06101)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mar Mediterraneo risultano operative le missioni europee «Triton» e «Poseidon», i cui fondi di finanziamento sono stati aumentati per far fronte all'impellente esigenza di potenziare gli interventi di ricerca e salvataggio di migranti in mare;
   il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato la partecipazione italiana alla missione EuNavfor Med che però, in attesa di parere positivo da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, attiverà solo la prima delle fasi previste ovvero quella di indagine e monitoraggio sulle reti che favoriscono l'immigrazione irregolare;
   i mezzi navali messi a disposizione da diversi Paesi membri dell'Unione europea sono operativi e, se pure non riescono a evitare del tutto incidenti e la perdita di altre vite in mare, di certo contribuiscono a salvare migranti ma anche a favorire un incremento degli arrivi;
   nel periodo gennaio-giugno 2015 si stima siano sbarcati sulle coste italiane circa 67.500 migranti;
   l'Unione europea preferisce imbarcarsi in una missione militare costosa e dagli sviluppi incerti quale EuNavfor Med, piuttosto che aprire dei canali umanitari che consentano ai richiedenti asilo di raggiungere l'Europa in modo legale e sicuro;
   gli stessi Stati membri che hanno offerto mezzi logistici per le operazioni nel Mediterraneo non mostrano solidarietà nella gestione globale del fenomeno non supportando, ad esempio, la questione dei ricollocamenti; altri Stati adottano misure autonome e di dubbia legittimità per il contrasto all'immigrazione, come l'Ungheria, il cui Parlamento ha di recente approvato una legge per l'istituzione di un muro di separazione al confine con la Serbia –:
   quali siano i mezzi impiegati nelle missioni operative nel Mediterraneo che si stanno occupando di attività di ricerca e soccorso, come siano strutturate e quale monitoraggio e coordinamento vi sia tra queste e il Ministero dell'interno per la gestione degli sbarchi;
   quali iniziative il Governo stia adottando per ripensare profondamente il sistema di accoglienza italiano che ad avviso dell'interrogante non risulta in grado di far fronte in maniera efficace ed efficiente alla situazione attuale;
   quali iniziative il Governo stia adottando, di concerto con gli altri Stati membri, per accelerare i lavori avviati dall'Agenda europea sulle migrazioni, in particolar modo per la gestione dei flussi e dei ricollocamenti. (4-09913)


   SALTAMARTINI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la decisione di trasferire circa 100 immigrati a Casale San Nicola, un'area di Roma in cui risiedono 250 cittadini e non priva di criticità, tra le quali si segnalano in primo luogo le carenze del sistema di illuminazione e dei trasporti pubblici, è stata all'origine di una protesta pubblica iniziata dai residenti da oltre due mesi;
   il 17 luglio 2015 con l'arrivo dei primi 19 sedicenti profughi ci sono state gravi tensioni, dimostrazioni e proteste tra i residenti e le forze dell'ordine;
   gli immigrati sono stati destinati ad una struttura, la ex scuola Socrate, sulla cui agibilità in condizioni di sicurezza si è in passato dubitato al punto tale da disporne il sequestro pro tempore;
   il trasferimento dei sedicenti profughi risulta essere stato autorizzato dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli;
   nel corso delle proteste sono rimasti feriti 14 poliziotti, chiamati loro malgrado a dar corso alle deliberazioni assunte dal Governo e a fronteggiare l'ira comprensibile della popolazione residente;
   si sono registrati feriti anche tra i dimostranti residenti, alcuni dei quali hanno dovuto ricorrere alle cure in ospedale;
   i residenti lamentano da tempo l'incremento della pressione migratoria gravante sull'area del Casale di San Nicola e la mancanza di servizi alla cittadinanza, ma, a quanto consta agli interroganti, a dispetto delle loro proteste nessuno, né il sindaco, né il presidente del Municipio, tanto meno la questura e la prefettura, hanno ritenuto di doverli ricevere per ascoltare le problematiche sollevate dal Comitato cittadino e quindi verificare soluzioni alternative –:
   se, prima di assumere la decisione di destinare 100 migranti irregolari alla ex scuola Socrate di Casale San Nicola, il Governo abbia consultato il sindaco di Roma e quello del XV municipio della capitale ed eventualmente con quale risultato;
   se il Governo intenda completare l'operazione trasferendo tutti i presunti profughi che contava di inviare alla ex scuola Socrate di Casale San Nicola o ritenga invece di doverla arrestare, anche alla luce delle problematiche sollevate dai residenti;
   se sia certa l'agibilità della ex scuola Socrate;
   se il Governo ritenga davvero opportuno gravare la città di Roma dell'onere di accogliere ulteriori immigrati in attesa di riconoscimento dello status di rifugiato, destinandoli per giunta ad aree e quartieri privi di servizi e già significativamente degradati, proprio mentre si attende un'azione di riqualificazione della capitale in vista dell'ormai imminente inizio dell'Anno Santo straordinario. (4-09914)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la decisione dell'università di Torino di esonerare dal pagamento dei contributi per i prossimi due anni, gli studenti in possesso della qualifica di profugo, risulta, a giudizio dell'interrogante, ingiusta ed inaccettabile considerando che a differenza loro, per gli studenti piemontesi e le neo mamme incinte, è invece previsto uno sconto in termini percentuali minimo, per l'iscrizione all'ateneo piemontese;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia, come nonostante i responsabili dell'università (a seguito delle numerose proteste emerse per tale decisione), avessero dichiarato che tale delibera rientra, all'interno delle disposizioni indicate dalla legge n. 763 del 1981, che prevede l'esonero, per queste figure, dal pagamento delle tasse qualora abbiano una attestazione che versino «in stato di bisogno accertato» (per il periodo di 2 anni scolastici dalla data del rimpatrio), ciononostante il provvedimento medesimo appare discriminatorio, rispetto alle esigenze e ai diritti degli studenti piemontesi;
   la necessità di ristabilire le corrette priorità nelle politiche universitarie all'interno della regione Piemonte, appare pertanto, a parere dell'interrogante, urgente ed indispensabile, in considerazione della miopia ideologica, che l'interrogante rileva a seguito delle decisioni adottate dall'ateneo di Torino;
   la decisione di esonerare dal pagamento delle tasse universitarie i profughi appare all'interrogante ingiusta e discriminatoria, nei confronti di migliaia di studenti italiani ai quali invece è riconosciuta soltanto una riduzione dei contributi da versare all'università per l'iscrizione al biennio accademico –:
   quali orientamenti intendano esprimere, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e necessaria un'iniziativa normativa ad hoc, volta a modificare la legge 26 dicembre 1981, n. 763, nella parte riguardante l'esonero dei profughi, dal pagamento delle tasse qualora abbiano una attestazione che versino «in stato di bisogno accertato», per il periodo di 2 anni scolastici dalla data del rimpatrio. (4-09920)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dai dati forniti dall'INPS sulle operazioni di salvaguardia degli esodati emerge che, al 13 luglio 2015, solo il 46 per cento di quelli rientranti nelle sei salvaguardie e la cui domanda è stata accolta stanno ricevendo la pensione;
   su 170.230 lavoratori le posizioni certificate dall'INPS sono 114.317 e 78.334 quelle liquidate; ve ne sono poi 50045 domande non accolte, oltre 7249 ancora giacenti e precisamente quelle per le quali l'INPS non ha ancora ultimato il lavoro di certificazione delle istanze cioè il procedimento sulla ammissione o meno degli esodati alla salvaguardia;
   nel dettaglio risulta la seguente situazione:
    prima salvaguardia (articolo 24, commi 14 e 15, della legge n. 214 del 2011): su 65000 salvaguardie previste ne sono state accolte 64.374 e sono 49.137 le pensioni liquidate;
    seconda salvaguardia (articolo 22, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012): su una platea potenziale di 35000 esodati le certificazioni inviate dall'INPS sono state 17.566 e le pensioni liquidate 10.684;
    terza salvaguardia (articolo 1, commi 231 e seguenti della legge n. 228 del 2012): a fonte di 16.130 salvaguardie previste le certificazioni inviate sono state 7.344 e le pensioni liquidate 6.487;
    quarta salvaguardia (articoli 11 e 11-bis, del decreto-legge 102/2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 124 del 2013: su una platea di esodati di 5.000 unità le certificazioni accolte sono state 3.504 e le pensioni liquidate 3.149;
    quinta salvaguardia (articolo 1, comma 194 e seguenti, della legge n. 147 del 2013): a fronte di una platea potenziale di 17.000 unità le certificazioni inviate sono state 3.465 e le pensioni liquidate 3.385;
    sesta salvaguardia (articolo 2 della legge n. 147 del 2014: su 32.100 esodati previsti le certificazioni accolte sono state 18.064, di cui 12.920 già inviate agli interessati e 5.492 le pensioni liquidate;
   rispetto alla sesta salvaguardia emerge chiaramente che ci sono ancora diverse posizioni disponibili e finanziate;
   fra gli esodati ancor più drammatica è la situazione di coloro che beneficiano della legge 104 del 1992 e, al loro interno, quella dei dipendenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a fronte di poco più di 5104 domande «accolte» e di circa 1.168 ancora giacenti, le certificazioni inviate sono poco meno di 1800 (esattamente quelle previste dalla legge n. 147 del 2014), mentre per altri 3.364 l'Inps non ha dato risposta benché la citata legge n. 147 del 2014 preveda espressamente di inviare a ciascun istante l'esito (positivo o negativo che sia) della domanda anche ai fini dell'eventuale tutela giurisdizionale;
   la mancata definizione del procedimento (mancanza di certificazione) da parte dell'INPS comporterà per i lavoratori della scuola di dover poi protrarre di un altro anno l'uscita;
   nella sesta salvaguardia a fronte di 32100 posti previsti i procedimenti definiti sono 12920 (5104 domande giacenti e 18064 accolte);
   è sconcertante constatare che alcune centinaia di lavoratori che dovevano e potevano essere tutelate con la 4a salvaguardia rischiano di essere escluse anche dalla VI anche in contrasto con la circolare (n. 16171 del 25 novembre 2014) della direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (dottoressa Ferrari) con la quale si precisava che gli esclusi dalla IV tutela avessero la precedenza nella VI;
   nonostante le ripetute dichiarazioni di voler applicare i cosiddetti «vasi comunicanti» nulla è stato ancora fatto minando così la credibilità delle istituzioni in un rimpallo di competenze fra Ministero del lavoro e delle politiche sociali e INPS;
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-08138, annunciata nella seduta n. 381 del 25 febbraio 2015, relativa alle «salvaguardie» e all'utilizzo dei «vasi comunicanti», non ha avuto ancora risposta dal Regolamento;
   il 16 giugno 2015 in un incontro fra rappresentanti degli esodati e la dirigente generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dottoressa Costanza Ferrari, è stato rappresentato che il Ministero dell'economia e delle finanze e la ragioneria generale dello Stato hanno dato comunicazione all'INPS che tutte le economie rimaste nelle sei salvaguardie potranno essere autorizzate solo dopo la definizione di tutte le precedenti;
   ciò appare all'interrogante in palese contrasto con il comma 235 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 e con il comma 193 della legge n. 147 del 2014 che impone la convocazione da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di una conferenza dei servizi (o tavolo tecnico) per accertare annualmente i risparmi e per ridestinarli al fondo esodati –:
   quali siano gli intendimenti del Ministero dell'economia e delle finanze e della ragioneria generale dello Stato e come si intenda assicurare il rispetto delle previsioni delle leggi n. 228 del 2012 e n. 147 del 2014;
   se ritenga di assumere con urgenza iniziative nei confronti dell'INPS per contestare i ritardi e la mancata definizione di procedimenti della VI salvaguardia che espongono la pubblica amministrazione a ricorsi di massa;
   se e come si ritenga di dover intervenire per tutelare in particolare i dipendenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, beneficiari della legge n. 104 del 1992, al fine di evitare la beffa di veder riconosciuto dall'Istituto nazionale d previdenza sociale il diritto in tempi tali da dover comunque protrarre di un altro anno l'uscita dal mondo del lavoro. (5-06098)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la direzione aziendale dell'Ipermercato Auchan di Rivoli (Torino) da alcuni mesi ha assunto nei confronti di quattro dipendenti un atteggiamento che gli interroganti giudicano vessatorio e repressivo e che mal si giustificherebbe con la crisi aziendale che il gruppo sta attraversando a livello nazionale, e che si collocherebbe anzi al di fuori di qualsivoglia processo di ristrutturazione o taglio dei costi;
   risale, infatti, alla primavera del 2014 il primo tentativo dei capi di linea di contattare direttamente e singolarmente le lavoratrici ed i lavoratori assunti con contratto part-time ed addetti alla barriera casse, proponendo loro una variazione del contratto di lavoro che prevedeva per tutti l'obbligo di prestare il proprio lavoro durante la domenica e/o i giorni festivi e la piena disponibilità ad una forma di flessibilità oraria «selvaggia», proposta coerentemente rifiutata dai lavoratori che, perfettamente consapevoli dei propri diritti, si sono opposti ad una modifica del loro contratto al di fuori della legge senza il loro previo consenso;
   a quanto consta agli interroganti di fronte al suddetto rifiuto, la direzione dell'ipermercato sarebbe passata dal comportamento persuasivo a quello coercitivo, arrivando perfino a prospettare il trasferimento per tutti coloro che si fossero opposti alle nuove condizioni di contratto;
   solo alcune lavoratrici, che con grande dignità hanno dichiarato di non voler sottostare a quella che è apparsa un'imposizione, si sarebbero viste recapitare tra i mesi di agosto e settembre del 2014 una lettera di «missione temporanea» con la quale si comunicava loro la trasferta presso l'Ipermercato Auchan di Cuneo, senza vedersi, per questo, neanche riconosciuta la prevista maggiorazione della retribuzione nei periodi di trasferta, né anticipi per spese di viaggio, ma solo rimborsi a piè di lista, alla fine del mese, per benzina e pedaggio autostrada;
   tali missioni temporanee sono durate sino al dicembre 2014 allorquando le lavoratrici, assistite legalmente dal sindacato, hanno impugnato presso il tribunale di Cuneo il provvedimento di trasferimento, iniziativa che avrebbe provocato da parte dell'azienda la trasformazione del provvedimento aziendale da missione temporanea a trasferimento definitivo, adducendo lo stato di crisi aziendale. A fronte di ciò le lavoratrici si sarebbero visti cancellati anche i rimborsi-viaggio, nonostante si trovino costrette a percorrere quotidianamente, tra andata e ritorno, circa 240 chilometri al giorno, e quindi praticamente azzerata tutta la retribuzione part-time –:
   di quali elementi disponga il Governo e se non ritengano, di fronte a quello che è stato ritenuto dalle lavoratrici interessate un atto di ritorsione attuato dalla direzione aziendale dell'ipermercato Auchan di Rivoli, di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano rispettati i diritti dei lavoratori e le tutele contrattuali. (4-09921)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano economico: «Il Sole 24 ore», il 17 luglio 2015, da un'indagine condotta da Ref (ricerche, economia e finanza), su iniziativa di Confindustria, l'istituto della conferenza di servizi, regolato dall'articolo 14 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche, nato per coordinare, semplificare e accelerare l’iter dei progetti infrastrutturali e produttivi, presenta una serie di rilevanti criticità che richiedono profonde modifiche legislative, in particolare legate alla riduzione dei tempi decisionali;
   i tempi troppo lunghi, l'eccesso di carico burocratico sulle imprese che investono, le ripetute richieste di integrazioni documentali, lo scarso coordinamento fra i diversi uffici della pubblica amministrazione, rappresentano infatti, secondo quanto riporta l'articolo del quotidiano richiamato, alcuni dei numerosi aspetti di criticità che interessano la conferenza di servizi, come risulta dall'analisi svolta da Ref su 200 amministratori locali dei settori ambiente, attività produttive e urbanistica e su un gruppo di imprenditori che operano in settori in cui le conferenze di servizi svolgono un ruolo di primo piano;
   nonostante i ripetuti interventi normativi degli ultimi anni, prosegue il rapporto Ref, quella della conferenza sembra essere una vicenda esclusivamente italiana, composta di veti, blocchi e ritardi che hanno avuto ripercussioni anche sulla libertà d'impresa, sulle decisioni di investimento e, in definitiva, sulla crescita dell'economia;
   i tempi di conclusione rispetto alla previsione normativa, che dal campione di amministrazioni coinvolte nell'analisi, risultano essere per il 35 per cento, superiori ai 10,5 mesi, ovvero al tempo massimo consentito dalla legge anche quando la conferenza di servizi segue l’iter più lungo, che comporta l'acquisizione della valutazione d'impatto ambientale (via), confermano, secondo il rapporto, le principali difficoltà che riguardano lo strumento amministrativo citato;
   il settore ambientale inoltre, per la complessità delle autorizzazioni, risulta essere quello maggiormente intricato, con una percentuale di amministrazioni interessate che arriva fino al 50 per cento, a causa della complessità delle autorizzazioni, che presenta una durata dei procedimenti amministrativi più dilatata rispetto al complesso dei campi analizzati;
   rafforzare il ruolo dell'amministrazione procedente, attribuendole effettivamente la direzione e il coordinamento dell'intera conferenza, unitamente al rafforzamento dell'utilizzo della telematica, secondo il rapporto Ref, può costituire un valido intervento per riformare uno strumento amministrativo in grave difficoltà;
   il quadro complessivo che emerge dall'indagine Ref – Confindustria, evidenzia, a giudizio dell'interrogante, come a seguito delle interviste effettuate agli amministratori locali e gli imprenditori, si confermi l'esigenza di modifica e lo strumento di coordinamento in profondità, anche e soprattutto in considerazione della rilevanza che la conferenza di servizi riveste per le decisioni d'investimento delle imprese;
   intervenire al fine di introdurre modifiche incisive in relazione al suesposto strumento amministrativo, risulta a parere dell'interrogante, estremamente importante, in quanto le necessarie correzioni s'inseriscono in un più ampio piano di ammodernamento dell'impianto amministrativo del Paese, i cui effetti ritardano fortemente a manifestarsi, nonostante le dichiarazioni ottimistiche a più riprese sostenute al riguardo dal Presidente del Consiglio Renzi –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento all'analisi svolta da Ref che evidenzia una molteplicità di critiche nei riguardi della conferenza di servizi che richiede profonde modifiche riformatrici;
   quali iniziative intenda assumere in tempi rapidi, al fine di modificare l'impianto funzionale di tale strumento, anche considerando i suggerimenti propositivi contenuti nel rapporto, in precedenza richiamato, della società di ricerca.
(4-09917)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Agostinelli e Businarolo n. 5-05331, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  L'interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-08994, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Borghesi n. 4-09630 del 30 giugno 2015;
   interpellanza Zaccagnini n. 2-01021 del 2 luglio 2015;
   interpellanza Piras n. 2-01029 del 9 luglio 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Gebhard n. 5-06066 del 15 luglio 2015;
   interpellanza Massimiliano Bernini n. 2-01038 del 16 luglio 2015.