Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 20 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 la Conferenza dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel cui ambito dovranno essere definiti gli obiettivi e gli impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni nell'aria per contenere l'effetto serra ed i cambiamenti climatici;
    l'Italia ha ridotto in misura significativa le emissioni di gas serra, sia per effetto della recessione che ha ridotto i consumi, sia grazie alla modernizzazione e, quindi, alla migliore efficienza dei sistemi di produzione ed utilizzazione dell'energia che ha portato a risparmi nei consumi e ad una più ampia e costosa utilizzazione delle energie rinnovabili;
    la riduzione effettiva delle emissioni di gas serra, in attuazione del protocollo di Kyoto, ha scarsi o addirittura nulli effetti positivi sul clima se è concretamente effettuata, peraltro con alti costi, solo da pochi Paesi, prevalentemente appartenenti all'Unione europea, tra cui l'Italia, mentre non viene affatto attuata o lo è in misura insufficiente dai responsabili dei maggiori volumi di emissioni di gas serra che sono: gli Stati Uniti e i Paesi cosiddetti Brics e cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, nonché dai Paesi di nuova industrializzazione del sud-est asiatico;
    l'Unione europea si è già impegnata, da parte sua, al raggiungimento di nuovi ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, peraltro molto onerosi e penalizzanti sotto il profilo economico per un'area economica che fa registrare un basso tasso di sviluppo ed un forte tasso di disoccupazione, ma questo sforzo virtuoso sarà sostanzialmente inutile se il resto del mondo continuerà ad ignorare sostanzialmente il problema;
    altro fenomeno, purtroppo fino ad ora sottovalutato, che incide negativamente sul clima e di cui bisogna tenere adeguato conto, è la progressiva riduzione della superficie delle foreste pluviali equatoriali per effetto di uno sfruttamento dissennato che sta intaccando quello che è il polmone verde del pianeta; tale fenomeno è particolarmente grave in Brasile, Indonesia, India, Africa centrale, Nuova Guinea e Sud-Est asiatico;
    va comunque tenuto conto che le oscillazioni climatiche determinate dalla natura sono immensamente più forti di quelle provocate dall'uomo, a partire dalla rivoluzione industriale; si pensi solo al succedersi nel tempo delle glaciazioni e dei periodi con clima temperato, e, su scala molto più ridotta e temporanea, si considerino gli effetti sul clima planetario provocati delle eruzioni del vulcano Tambora nel 1815, del Krakatoa nel 1883 e, più recentemente, del Pinatubo nel 1991, per cui le politiche, pur opportune, di contenimento delle emissioni di gas serra, anche se saranno realizzate finalmente su base planetaria, potranno avere effetti sicuramente benefici ma non decisivi sull'evoluzione del clima, specie nel lungo periodo, quindi per tale specifica ragione il tema del contenimento delle emissioni di gas serra va considerato in modo pragmatico e non ideologico,

impegna il Governo:

   a favorire, nell'ambito della prossima Conferenza di Parigi tra i Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un accordo globale e realmente vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi realistici e opportunamente cadenzati che dovranno essere rispettati da tutti i Paesi aderenti;
   a richiedere l'introduzione di sanzioni credibili ed efficaci per i Paesi aderenti che non rispetteranno gli impegni assunti per la riduzione graduale delle emissioni di gas serra, in quanto, se dovesse persistere l'attuale situazione che vede solo pochi Paesi, per lo più europei, che agiscono concretamente, affrontando costi elevati, per ridurre le emissioni si avrebbero due risultati fortemente negativi: in primo luogo si vanificherebbero i benefici sul clima in quanto l'impegno dei Paesi virtuosi inciderebbe solo su una piccola parte delle emissioni su scala mondiale e, in secondo luogo, si distorcerebbe la concorrenza a vantaggio dei Paesi inadempienti;
   ad assumere iniziative per rivedere gli attuali incentivi per le energie rinnovabili che attualmente sono superiori a quelli che si applicano in media nell'Unione europea e che gravano eccessivamente sulle bollette energetiche dei cittadini e delle imprese, rendendole meno competitive, disincentivando in tale ambito l'uso di terreni adatti all'agricoltura per l'installazione di pannelli solari che dovranno essere collocati esclusivamente in aree sterili, e circoscrivendo gli incentivi strettamente alle fonti energetiche effettivamente rinnovabili e quindi non inquinanti;
   ad adottare, sia nell'ambito delle Nazione Unite, sia nell'ambito dell'Unione europea, sia – e soprattutto – sul piano nazionale, politiche sul contenimento delle emissioni dei gas serra realistiche e non ideologiche e che non siano inutilmente controproducenti sul piano economico per i cittadini e per le imprese.
(1-00953) «Palese, Castiello, Distaso, Martinelli, Romele, Vella, Occhiuto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, MARCHETTI, LUCIANO AGOSTINI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 luglio 2015 è stato presentato ad Ancona lo studio Ires-CGIL, curato dalla responsabile dell'ufficio studi dell'Ires Marche Novella Lodolini, denominato «Parità e pari opportunità nei luoghi di lavoro delle Marche» (Il Corriere Adriatico e Il Messaggero, 17 luglio 2015);
   dalla ricerca, condotta su 133 aziende regionali dei principali settori manifatturieri, per un totale di 44.000 occupati, di cui 18.000 donne e 26.000 uomini, è emerso che a parità di titoli le donne hanno qualifiche e stipendi inferiori agli uomini, e sono in percentuali più alte precarie o con contratti part-time;
   secondo lo studio citato, sul totale di 22.262 operai, le donne sono il 36 per cento, concentrate in quasi tutti i settori nei livelli più bassi. In particolare al 2o livello nell'abbigliamento, dove le operaie sono il 76,9 per cento del totale, al 3o e 4o livello nella meccanica (22,3 per cento) e pochissime tra gli operai specializzati del 5o livello. Ancora più evidenti le difficoltà delle donne di accedere agli alti livelli nella qualifica impiegatizia (16.374 gli impiegati totali di cui il 49,3 per cento donne). Nella meccanica le donne sono il 29,3 per cento degli impiegati concentrate soprattutto al 5o livello (solo pochissime raggiungono l'8o) e anche il settore del mobile (40,8 per cento) le vede a livelli medio bassi; poche le donne quadro, che raggiungono il 30 per cento del totale dei quadri (1.144); percentuali ancora inferiori per le dirigenti, con l'8,9 per cento (44) su un totale di 493;
   quanto alle tipologie contrattuali, nelle aziende prese a campione i rapporti a tempo parziale sono in media il 15,8 per cento e interessano il 32,0 per cento delle donne contro il 24,9 per cento degli uomini;
   altro fronte di significative disparità è sul piano delle retribuzioni, dove – tolte le retribuzioni dei dirigenti – la retribuzione media lorda annua dei lavoratori è di 26.600 euro, così distribuita per sesso: 29.600 nella media dei lavoratori maschi, contro una media di 21.100 euro per le donne; tali differenze retributive sono condizionate da diversi fattori, come il maggior ricorso delle donne al part-time, non sempre volontario, ai contratti a termine o, ancora, al ricorso alla cassa integrazione guadagni;
   significativo anche il dato delle progressioni di carriera, dove la quota degli uomini che hanno beneficiato di un passaggio di livello è quasi il doppio delle colleghe donne (ad essere promosse solo il 34,6 per cento del campione esaminato);
   altro settore di forte squilibrio è quello delle aspettative e dei congedi, in particolare quelli parentali, dove a fronte dei 1.007 congedi per maternità, risultano solo 13 uomini in congedo parentale, fotografia immediata di come la cura della famiglia gravi ancora principalmente sulle donne;
   dai dati riportati emerge, pertanto, un quadro in cui le donne sui posti di lavoro non godono delle medesime opportunità dei colleghi di sesso maschile, soprattutto per «condizioni di sistema» che non agevolano la conciliazione della vita professionale con quella familiare;
   tale situazione richiede, ad avviso degli interroganti, una decisa e concreta azione sul fronte delle politiche di pari opportunità, al fine di incidere sulle cause che determinano tale squilibrio, con l'obiettivo di ridurlo per avvicinarci a standard più consoni ad un Paese del livello di industrializzazione dell'Italia, sia pur fortemente in crisi in questo periodo –:
   quali iniziative misure intenda adottare il Presidente del Consiglio, nell'ambito della proprie competenze concernenti le politiche di pari opportunità, per intervenire su tale squilibrio tra donne e uomini sul posto di lavoro. (4-09901)


   SCOTTO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal 2000 nell'area dei Campi Flegrei, vasta caldera di natura vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli e compresa nei comuni di Napoli, Bacoli, Quarto Flegreo, Pozzuoli e Monte di Procida, vi sono evidenti segni di «risveglio» vulcanico;
   segni particolarmente evidenti di tale risveglio sono stati rilevati nell'area di via Pisciarelli e via Scarfoglio, quasi al confine tra il comune di Napoli e quello di Pozzuoli;
   in via Pisciarelli si è assistito, negli ultimi anni, ad un continuo aumento dell'attività delle fumarole, accompagnato da aumento della temperatura, apertura di nuove bocche fumaroliche, emissioni di fanghi e attività sismica localizzata;
   più in generale, in tutto il settore orientale del cono della Solfatara, che include anche via Scarfoglio, si è osservata una estensione dell'area che emette dal suolo gas di origine vulcanica CO2, a cui si aggiunge un aumento della quantità di produzione della stessa;
   l'aumento della CO2 vulcanica, unitamente alla ripresa dell'innalzamento del suolo dopo anni di subsidenza, ha suggerito al dipartimento della protezione Civile di passare lo stato del vulcano Campi Flegrei da «quiete» ad «attenzione scientifica»;
   in particolare un fattore emerso è quello della notevole attività freatica nell'area di via Pisciarelli e dintorni;
   nel gennaio del 2015 l'area emetteva quasi 3000 tonnellate di CO2 al giorno, una quantità notevole;
   è prevista, in quell'area, la realizzazione di un impianto geotermico pilota per la produzione di energia elettrica, delle condotte per il convogliamento del fluido geotermico e dell'elettrodotto interrato per la connessione alla rete elettrica ENEL;
   il progetto attualmente in campo è della società Geoelettric srl;
   sarebbe la prima volta che viene effettuata una perforazione per la realizzazione di un impianto geotermico per la produzione di energia elettrica in un'area avente caratteristiche di elevato degassamento ubicata peraltro in una zona fortemente popolata;
   vi sono forti dubbi anche relativamente alla natura del fluido reperito dalle perforazioni;
   secondo il modello proposto dai tecnici della Geoelettric si tratterebbe di un liquido, ma non si capisce su quali basi sia stata fatta tale valutazione, considerato che le perforazioni non hanno incrociato vapori;
   considerato che le perforazioni vengono effettuate in prossimità di fumarole e di zone ad elevato flusso di CO2, è plausibile l'ipotesi che i fluidi estratti contengano già una quantità di CO2 separata e, quindi, non disciolta;
   laddove tale CO2 separata venisse reiniettata insieme al liquido potrebbe interessare una zona molto calda con presenza di vapore; non si può escludere che il liquido reiniettato localmente non finisca col vaporizzare, con conseguente aumento del volume ed un rischio alto di generare fenomeni indesiderati quali attività sismica o esplosioni;
   l'estrazione o la reiniezione di fluidi potrebbero causare l'apertura di nuove fumarole e l'esaurimento di quelle esistenti, ed inoltre le perforazioni rischiano di destabilizzare un sistema che di per sé mostra di essere vicino a condizioni critiche, come testimoniato negli ultimi anni dal ripetersi sistematico di attività sismica di debole entità;
   il principio di precauzione, tra i principi fondamentali dell'Unione europea in materia di ambiente e salute, implica la necessità di adottare e imporre misure di cautela finalizzate al garantire la cura della salute e dell'ambiente, anche in situazioni di incertezza scientifica nelle quali sia solo ipotizzabile una situazione di rischio;
   il principio di precauzione legittima l'imposizione di determinate cautele in una fase anteriore a quella in cui, in una logica di tipo preventivo, debbono essere disposti gli interventi preordinati alla difesa dal pericolo;
   tale anticipazione della soglia di intervento è legittimata dalla peculiare natura di beni come la salute e l'ambiente, il cui danneggiamento non potrebbe essere adeguatamente riparato mediante un intervento successivo;
   è del tutto evidente come il caso in questione rientri tra le situazioni soggette al principio di precauzione, date le dannosissime ripercussioni che la realizzazione di un impianto geotermico in quell'area rischia di avere sulla vita della popolazione e sull'ambiente delle aree circostanti;
   la realizzazione di un impianto geotermico potrebbe avere effetti negativi sul turismo e, quindi, sul sistema economico e produttivo di Pozzuoli e Napoli;
   l'impianto geotermico pilota verrebbe realizzato, infatti, a soli 315 metri dalla bocca principale del vulcano Solfatara;
   la Solfatara è, ad oggi, la maggiore attrattiva turistica dei Campi Flegrei, con ricadute economiche su tutta l'area di Pozzuoli e Napoli;
   si tratta di un oasi naturalistica che presenta alcune singolarità naturali, geologiche, botaniche e faunistiche;
   si parla di un ambiente che andrebbe assolutamente salvaguardato e valorizzato, mentre nella migliore delle ipotesi la chiusura di fumarole per effetto delle trivellazioni determinerebbe l'eliminazione di un elemento attrattivo turistico;
   la realizzazione dell'impianto geotermico, inoltre, sembra all'interrogante incompatibile con le norme urbanistiche e paesaggistiche vigenti nel comune di Pozzuoli;
   per l'attuazione del progetto, infatti, è prevista la realizzazione di una centrale geotermica tipologicamente inquadrabile come capannone industriale di nuova costruzione di considerevoli dimensioni volumetriche su di una area di circa 4.400 metri quadri, per una superficie coperta di circa 2.000 metri quadri e un'altezza del corpo di fabbrica di circa 22 metri, e di tre pozzi di produzione e di 2 di reiniezione, di profondità di circa 900-950 metri ciascuno, tutti localizzati nel comune di Pozzuoli;
   la nuova volumetria da adibire a centrale geotermica risulta all'interrogante del tutto incompatibile con la disciplina urbanistica e paesaggistica come sopra riportata, prevedendosi nel piano regolatore generale il solo adeguamento tecnologico degli impianti funzionanti all'interno dei volumi esistenti, con il ricorso agli interventi di cui all'articolo, 73, punto 5;
   inoltre per il piano territoriale paesistico (articolo 16, zona A.I.) gli interventi ammissibili non prevedono nuova volumetria e, nel caso di ristrutturazione edilizia, la possibilità di recupero è subordinata all'approvazione di un piano urbanistico esecutivo preventivamente valutato dalla competente soprintendenza per i beni paesaggistici;
   al contrario, invece, una geotermia sostenibile a bassa entalpia diffusa su tutto il territorio comunale mediante la sperimentazione di un progetto di ricerca innovativo, che tenga conto delle caratteristiche peculiari dei Campi Flegrei, garantirebbe la possibilità di raggiungere gli obiettivi di cui al protocollo di Kyoto (riduzione delle emissioni di gas serra del 20 per cento e produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili del 20 per cento entro il 2020) –:
   se il Governo non ritenga opportuno, per quanto di competenza, acquisire elementi circa la realizzazione dell'impianto geotermico in questione in relazione al rischio sismico e vulcanico dell'area e alle esigenze di tutela paesaggistica dei luoghi, promuovendo un percorso finalizzato alla realizzazione di forme di geotermia sostenibile a bassa entalpia. (4-09912)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 luglio 2015, l'Italia è stata nuovamente condannata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea per non aver rispettato, nella regione Campania, la normativa europea in materia di rifiuti;
   la condanna comporta una spesa ingente per il nostro Paese, stabilita in 20 milioni di euro forfettari ai quali si aggiungono 120 mila euro giornalieri a partire dal 16 luglio 2015, per ogni giorno in cui il sistema dei rifiuti campano non risulti adeguato alle direttive comunitarie;
    in una nota emessa dalla Corte in occasione della sentenza, le motivazioni che impongo agli Stati di adeguarsi alla normativa europea vengono chiarite in modo molto netto: «La direttiva relativa ai rifiuti ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente. Gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili. Essi devono in tal modo creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che consenta all'Unione nel suo insieme e ai singoli Stati membri di garantire lo smaltimento dei rifiuti»;
   la gestione dei rifiuti in Italia permane, tuttavia, fortemente arretrata, con gravi squilibri territoriali, consentendo in molti casi un intervento diretto da parte della criminalità organizzata;
   il fenomeno conosciuto come ecomafia ha, infatti, progressivamente intrecciato le proprie attività, con il business dei rifiuti, con la complicità di uno Stato latitante e di amministrazioni fortemente ambigue;
   in particolar modo, la Campania è la regione italiana più colpita dalla criminale gestione dei rifiuti; di appena qualche settimana fa è la notizia del rinvenimento di una nuova, gravissima, contaminazione, la discarica abusiva di Calvi Risorta (per la quale sono state presentate dal gruppo SEL nell'ultimo mese due interrogazioni a prima firma Scotto, 409589 e 4-09500) definita dal generale Sergio Costa, comandante regionale del Corpo Forestale, come «la più grande discarica europea di rifiuti industriali»: un'area di circa 25 ettari in cui sarebbero stati interrati, negli ultimi decenni, più di due milioni di metri cubi di rifiuti industriali;
   la Campania è conosciuta soprattutto per la drammatica situazione sviluppatasi nella zona che si estende a nord della provincia di Napoli sino a Caserta, la cosiddetta «Terra dei fuochi», il cui nome deriva dal diffuso fenomeno dei roghi tossici;
   i succitati fenomeni sono solo gli esempi più tragici ed eclatanti di una gestione dei rifiuti totalmente inadeguata, configurabile in molti casi come criminale;
   ciò risulta ancor più evidente se si rintracciano i numerosi interventi delle istituzioni comunitarie, che, nel corso degli anni, hanno ammonito e sanzionato il nostro Paese in più di un'occasione;
   nel 2007, in particolare, si è verificato nella regione Campania un grave stato di crisi, in relazione alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   in seguito alla crisi è stato decretato uno stato di emergenza, approccio, purtroppo, estremamente diffuso nella gestione dei rifiuti, ma che, nella maggior parte, dei casi risulta aggravare situazioni già al collasso, senza essere in grado di produrre soluzioni sostenibili e durature;
   contestualmente all'avvio della crisi campana, la Commissione europea aprì una procedura di infrazione, deferendo l'Italia innanzi alla Corte di giustizia a causa della mancata creazione di una rete adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, sulla base del criterio della prossimità geografica, configurando un grave pericolo per la salute umana e l'ambiente;
   il 4 marzo 2010, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha, dunque, condannato l'Italia con la sentenza C-297/08, per non aver rispettato la direttiva 2006/12/CE, ossia non aver garantito che tutti i rifiuti fossero smaltiti o recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;
   nonostante la sentenza, negli anni 2010 e 2011 sono giunte alla Commissione numerose segnalazioni circa il permanere di situazioni fortemente critiche come l'accumulo di tonnellate di rifiuti in alcune città, oltre alla mai risolta questione delle ecoballe, sei milioni di rifiuti storici non ancora smaltiti che richiederanno più di 15 anni per essere eliminati;
   nel corso dei controlli relativi alla prima sentenza, la Commissione europea ha dunque constatato quanto ancora risulti inadeguato il trattamento dei rifiuti in Campania, ed ha deferito nuovamente l'Italia innanzi alla Corte di giustizia, con la conseguente, succitata, condanna, nella causa C-653/13;
   nella sentenza si è sottolineato come 5 anni di inadempienza risultino essere un periodo considerevole;
   quanto emerso in premessa, oltre a provocare incalcolabili danni alla salute umana e all'ambiente campani, costituirà un nuovo, significativo onere per lo Stato –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per contribuire, nel rispetto delle competenze di autorità regionali e locali troppo spesso a giudizio degli interroganti intenzionalmente latitanti in una questione che intacca profondamente una pluralità di diritti fondamentali, alla definitiva risoluzione di una devastazione tanto estesa e prolungata nel tempo, per la quale risulta evidente la necessità di attivare sinergie con ogni soggetto in grado di intervenire positivamente, tra cui, in primis, cittadini, comitati, associazioni;
   nell'immediato, come intenda procedere per contenere gli effetti della sentenza, configurabili, oltre che nei 20 milioni di euro forfettari, in una spesa di 120 mila euro giornalieri per ogni giorno di inadempienza a partire dal 16 luglio 2015 risorse che, invece, avrebbero potuto essere investite positivamente per adeguare il sistema di rifiuti campano alla normativa comunitaria. (4-09899)


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, VIGNAROLI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stata staccata l'acqua nelle scuole occupate di via Zucca a Pirri, via Flumentepido, nel quartiere di Is Mirrionis, e in via Regina Elena, nella ex scuola Mereu;
   nelle suddette scuole vivono decine di famiglie indigenti di Cagliari, molti bambini e alcuni adulti gravemente malati che per disperazione hanno deciso di occupare alcune strutture comunali inutilizzate le quali ora si trovano costrette anche a stare senza acqua perché, in quanto abusivi, è stato disposto lo slaccio;
   l'acqua è un bene naturale e un diritto umano universale. Il diritto all'acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico-sanitari è un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani, come sancito dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite A/64/L.63/Rev. 1 del 26 luglio 2010;
   per difendere questo diritto è stato fatto un referendum nel 2011, per sottrarre l'acqua e la sua gestione al mercato che questo diritto mette in secondo piano rispetto agli obiettivi di profitto;
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 47 del 2014, cosiddetto: «piano casa», ormai convertito in legge, ha l'obiettivo di impedire che chiunque occupi senza alcun titolo un immobile possa chiedere la residenza e l'allacciamento ai pubblici servizi (gas, luce, acqua e altro). Questo articolo pone ad avviso degli interroganti dubbi di costituzionalità. Non si possono mettere in relazione eventuali reati, da perseguire secondo le norme del codice di procedura penale e civile, con diritti come quello e dalla residenza e all'allacciamento di servizi fondamentali, come acqua, luce e gas –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopracitati;
   se i Ministri interrogati intendano sostenere iniziative normative che fermino i distacchi idrici e garantiscano a tutti i cittadini il quantitativo minimo vitale di 50 litri per persona al giorno;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per rivedere il contenuto dell'articolo 5 del cosiddetto «decreto-legge Lupi». (4-09903)


   PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Valle della Bevera, situata in provincia di Varese è posta al confine italo-elvetico ed è dotata della più grande risorsa idrica in grado di fornire acqua alla città di Varese e provincia;
   nell'ultimo periodo la valle è tornata al centro della cronaca a causa di un accordo transfrontaliero firmata dalla regione Lombardia e il Canton Ticino;
   con deliberazione n. X/2948 del 19 dicembre 2014 la Giunta della regione Lombardia ha approvato lo schema di intesa di coordinamento transfrontaliero per la gestione dei materiali inerti fra la Regione Lombardia e il Cantone Ticino con la quale si facilita il trasporto di materiali per l'edilizia (sabbia e ghiaia) dalla Lombardia verso il Ticino e materiali di scavo (terra e rocce), rifiuti edili di origine minerale (rifiuti misti dell'attività di costruzione e demolizione) dal Ticino verso la Lombardia, stimati in circa tre milioni di metri cubi;
   secondo l'accordo tuttora la Svizzera intende non abolire i controlli di frontiera per le merci in entrata, eccezion fatta per la sabbia e la ghiaia, mentre esige che non vi sia nessun controllo sugli inerti in uscita diretti in Italia, che comprendono rifiuti edili misti contenenti anche amianto, messo al bando in Italia con legge n. 257 del 12 marzo 1992;
   con l'articolo 2 del predetto accordo si prevede, infatti, di agevolare lo sdoganamento degli stessi materiali tramite la semplificazione delle procedure e l'adozione di processi amministrativi efficienti (procedura telematica del regime delle esportazioni, ECS) in tutti i valichi di frontiera;
   in tutto questo ci «guadagna» solo la popolazione di Ticinese di Mezzana che vede il proprio paese protetto; i costruttori edili del Cantone potranno smaltire senza problemi i rifiuti indesiderati e avere sabbia in tempi ridotti;
   a perderci in quest'accordo sono i cittadini di Varese e dei comuni limitrofi, poiché la vicinanza al confine mette a rischio le zone destinate a cave che danneggiano l'ambiente, in particolare le zone dove si trovano le falde acquifere –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dell'accordo citato in premessa e se intenda adottare iniziative di competenza per tutelare i cittadini del territorio e, in particolare, per evitare l'ingresso di materiale vietato quale il cemento amianto proveniente da altri Paesi. (4-09910)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO, REALACCI, ROTTA, PATRIARCA, GRASSI, IACONO, SCHIRÒ, ALBINI, COVA, ROMANINI e MORETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 della Costituzione italiana, coerente anche con la previsione dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, prevede che, a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia;
   la disciplina attuativa di tale normativa costituzionale è prevista nel testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, negli articoli 76 e seguenti;
   proprio l'articolo 77 di tale decreto prevede che il tetto reddituale individuante i soggetti aventi diritto al patrocinio senza spese a proprio carico deve essere aggiornato ogni «2 anni», per evitare che l'erosione dell'inflazione impedisca di aiutare le persone effettivamente bisognose;
   il tetto reddituale previsto in origine dal citato decreto del Presidente della Repubblica era di 9.296,22 euro di imponibile ed è stato aggiornato il 20 gennaio 2009, in adeguamento alla crescita dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, a 10.628,16 euro ma con riferimento al 30 giugno 2008;
   tre anni fa vi è stata una variazione in aumento che ha portato il tetto reddituale a 10.776,28 euro, adeguandolo soltanto all'aggiornamento Istat al 30 giugno 2010;
   la più recente variazione in aumento è pervenuta dal Ministero della giustizia con decreto 1o aprile 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 23 luglio 2014, n. 169, che ha portato il tetto reddituale a 11.369,24 euro;
   tale aumento ha, tuttavia, solo recuperato il biennio dal 1o luglio 2010 al 30 giugno 2012 e con riferimento solo all'inflazione nominale, non recuperando il biennio già scaduto dal 1o luglio 2012 al 30 giugno 2014 e ciò senza tener conto dell'ancor maggiore perdita di acquisto legata alla crisi che hanno patito le famiglie italiane;
   pertanto, essendo oramai decorsi 3 anni dall'ultima variazione effettiva del tetto reddituale, appare necessario adeguare, per i periodi relativi al biennio 1o luglio 2012-30 giugno 2014, il limite di reddito fissato ad oggi in 11.369,24 euro con riferimento al 30 giugno 2012;
   l'intervento risulta vieppiù necessario rilevato che, nel periodo relativo al biennio considerato, dai dati accertati dall'Istituto nazionale di statistica, risulta una variazione in aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati pari ad oltre il 2,40 per cento;
   il predetto tetto reddituale è sovente reso più difficile da raggiungere, perché i soggetti richiedenti l'ammissione si scontrano con differenti interpretazioni da parte dell'amministrazione sulla determinazione esatta del proprio reddito al netto degli oneri deducibili, così vedendo a volte escludere l'applicazione delle deduzioni di legge e conseguentemente subendo un aumento nominale del proprio reddito che impedisce l'accesso al beneficio;
   l'adeguamento del tetto reddituale per l'accesso al patrocinio a spese dello Stato consentirà di accedere all'effettiva tutela dei propri diritti avanti la giurisdizione della Repubblica a persone che oggi non se lo possono permettere;
   l'impoverimento del potere di acquisto delle famiglie italiane è di fatto ben superiore a quanto censito dall'indice Istat e richiederebbe persino che lo stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 venisse modificato includendo in aumento, oltre alla variazione Istat, anche la rivalutazione monetaria del periodo di riferimento;
   la richiesta di adeguamento del tetto reddituale è stata già oggetto di espressa istanza sia da parte del XXXII Congresso nazionale forense, con l'approvazione della mozione n. 32 in data 11 ottobre 2014, che dello stesso organismo unitario dell'Avvocatura, dapprima nel febbraio 2015, quindi da parte dell'Assemblea del medesimo organismo il 29 maggio scorso –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno ed urgente procedere all'emanazione del decreto ministeriale per la modifica del tetto reddituale quale requisito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adeguandolo al tetto di legge per come maturato alla data odierna, precisando altresì che tale importo è al netto degli oneri deducibili ammessi per legge. (5-06092)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (OSAPP), sindacato maggiormente rappresentativo del personale del Corpo di polizia penitenziaria, da tempo segnala e di fatto denuncia la drammatica situazione in cui versa l'Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti» di Torino a causa della cronica e grave carenza di agenti di polizia penitenziaria, sia per quanto attiene alla cura dei detenuti sia per quanto attiene alle condizioni lavorative dello stesso personale;
   il funzionamento della struttura del Ferrante Aporti si regge esclusivamente su quelle unità di personale di polizia penitenziaria, costrette a svolgere turni di servizio massacranti che possono superare anche le dieci/dodici ore in un giorno, e che pagano un alto prezzo in termini di rinuncia obbligata alla regolare fruizione del riposo settimanale programmato, per effetto di una discutibile organizzazione del lavoro, proprio in ragione della carenza di personale di polizia penitenziaria, persino costretto a svolgere anche fino a settanta ore di straordinario in un mese, in violazione della normativa vigente in materia;
   le ragioni di tale grave carenza di organico andrebbero anche individuate, a quanto risulta all'interrogante, nelle procedure che hanno determinato il sostanziale depotenziamento della struttura, mediante una politica di concessione abnorme di distacchi concessi ai sensi dell'articolo 7 del contratto collettivo nazionale quadro per la ripartizione dei distacchi e permessi alle organizzazioni sindacali rappresentative nei comparti per il triennio 2013-2015, disposti senza che fossero adottati i necessari correttivi;
   alla stessa stregua non si comprendono né le ragioni che hanno indotto l'amministrazione centrale della giustizia minorile a distaccare personale anche verso alcuni centri di prima accoglienza, né la scelta di spostare personale in articolazioni secondarie, per quanto attiene al numero dei detenuti, contigui allo stesso carcere minorile –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa e, prioritariamente al fine di assegnare al carcere minorile in questione le dotazioni di personale sufficienti a garantire la sicurezza dei detenuti e degli operatori della struttura, nonché di assicurare il rispetto del vigente CCNL del comparto. (4-09902)


   NICCHI e GELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il piccolo Giacomo di poco più di sei anni ha trascorso quasi tutta la sua vita nel carcere di Sollicciano a Firenze;
   Giacomo è arrivato nella sezione femminile di Sollicciano come «ospite» insieme alla mamma nel 2010, all'età di un anno;
   la madre era stata arrestata a Bari nel 2009 per reati legati allo sfruttamento della prostituzione e deve scontare la pena fino al 2019;
   nel caso della madre di Giacomo qualsiasi percorso alternativo è stato finora impossibile perché è troppo alta la pena da scontare per reati gravi;
   la legge prevede che i bambini non vengano separati dalle madri detenute fino a tre anni, ma nel 2011 ne è stata aumentata l'età fino a sei anni, a patto però che siano in un icam, un istituto a custodia attenuata per le detenute madri;
   a Firenze, ma in generale in Toscana, non sono presenti icam. Sono anni che si sta attendendo l'apertura della casa delle detenuti madri a Firenze, ed è stata anche individuata una struttura ad hoc di proprietà della Madonnina del grappa, c’è stato l'appalto, ma i lavori non sono ancora partiti, e la struttura che lo avrebbe potuto ospitare si sta deteriorando giorno dopo giorno;
   il piccolo Giacomo non è un caso eccezionale, visto che in Italia ci sono decine di casi di bambini detenuti sotto i tre anni –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per risolvere il caso del bambino recluso nel carcere fiorentino di Sollicciano in modo da consentire al piccolo Giacomo di sei anni di trascorrere una vita normale lontano dalla prigione senza recidere la relazione con la madre;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto, affinché i finanziamenti già predisposti per la realizzazione di un icam a Firenze siano utilizzati per accelerarne l'apertura. (4-09908)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a causa delle piogge invernali si è verificato uno smottamento di terreno all'ingresso dello svincolo Fagnano-«Lago 2 Uomini» direzione Guardia Piemontese della SS 283 denominata delle «Terme»;
   l'ANAS, in seguito all'evento franoso, procedeva opportunamente a chiudere lo svincolo e a deviare la circolazione;
   la deviazione costringe a percorsi alternativi assai lunghi e tortuosi con grave disagio per i cittadini di Fagnano Castello e per i numerosi turisti che si recano al mare o alle montagne percorrendo quella strada;
   nei pressi dello smottamento esiste una costruzione adibita a ristorante che si trova in condizioni di grave emergenza strutturale tanto da essere divenuta pericolante;
   i lavori di ripristino da parte dell'ANAS della viabilità dello svincolo sono resi più difficoltosi proprio dalla presenza di questo immobile pericolante;
   l'ANAS, a quanto consta all'interrogante, più volte ha richiamato e diffidato il proprietario a provvedere alla messa in sicurezza dell'immobile che costituisce un rischio non solo per la circolazione ma anche per l'incolumità pubblica –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per consentire all'ANAS un rapido completamento dei lavori di ripristino della viabilità nello svincolo di cui in premessa;
   quali iniziative l'ANAS intenda attuare per la definitiva messa in sicurezza dell'intera area interessata dallo smottamento. (4-09904)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto ferroviario in Calabria continua ad essere caratterizzata da una seria carenza strutturale e dal continuo taglio di servizi;
   come denunciato recentemente dalle organizzazioni sindacali FILT CGIL, FIT CISL, UIL Trasporti, UGL Trasporti, il territorio calabrese è stato condannato, di fatto, all'isolamento ferroviario da una politica di tagli e di mancata «previsione di investimenti per il potenziamento delle infrastrutture, di rinnovamento del materiale rotabile» come, del resto, si evince dallo stesso piano industriale 2014/2017 presentato da Ferrovie dello Stato italiane;
   a tutto ciò si aggiungano i problemi derivanti da un mancato piano di assunzioni per favorire il ricambio generazionale del personale operante nella regione Calabria e la mancanza di potere decisionale dei dirigenti locali in conseguenza dell'accentramento delle scelte strategiche aziendali di Ferrovie dello Stato italiane e Trenitalia;
   di recente, ad esempio, come denunciato dalle stesse, organizzazioni sindacali, Trenitalia ha, secondo l'interrogante «arbitrariamente», inviato in trasferta il personale del settore cargo Calabria presso impianti di altre regioni, cosicché questi è diventato «Il serbatoio da cui attingere risorse per colmare le esigenze del territorio del Centro Nord», operazione che sembra delineare una vera e propria strategia di «dismissione completa del trasporto merci su ferro da e per la Calabria»;
   tutto ciò avviene nonostante la presenza del porto di Gioia Tauro che, al contrario, richiederebbe un potenziamento del sistema del trasporto merci su ferro;
   sulla stampa locale e nazionale oltre che sui social network non si contano più le segnalazioni di utenti che, nonostante l'apertura della stagione estiva, denunciano ritardi e disservizi su tutta le reti ferroviaria calabrese ed in particolare su quella ionica, nonché la vetustà delle carrozze e le loro condizioni igieniche indegne di un Paese civile;
   a tutto ciò si aggiunga la mancanza di una seria politica di garanzia della sicurezza del personale viaggiante e degli stessi passeggeri tanto che, nonostante i recenti episodi di violenza emersi anch'essi con grande clamore sugli organi di stampa, nessun treno calabrese è stato inserito nel programma di convogli da scortare con personale POLFER;
   in Trenitalia e Ferrovie dello Stato italiano, nonostante siano sostenute in gran parte da denaro pubblico, continuano a prevalere secondo l'interrogante di strategie «aziendaliste» che, nei fatti, tagliano servizi nelle aree non sviluppate e, di conseguenza, contribuiscono a mantenere tali aree in una condizione di sotto-sviluppo;
   tutto quanto sopra esposto mette a serio rischio lo stesso diritto alla mobilità di persone e merci sul territorio calabrese –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per richiamare Trenitalia e Ferrovie dello Stato italiano, ad una politica di investimenti che inverta la tendenza in atto e le riporti alla loro mission fondamentale di aziende che devono garantire il diritto alla mobilità di merci e persone su tutto il territorio nazionale e, soprattutto, nella aree meno sviluppate, come la Calabria. (4-09905)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-04863 del mese di febbraio 2015 era stato già messo in luce come, a seguito di un episodio occorso a Treviso il 16 febbraio 2015, in cui un contingente di circa 35 profughi era stato invitato a disperdersi dopo esser stato fotografato dalla questura e sottoposto alle visite mediche, la locale prefettura non aveva trovato alcuna struttura disponibile per la loro accoglienza e i profughi avevano trascorso la notte in un pullman davanti alla stazione; nell'atto citato si faceva presente inoltre al Ministro dell'interno come le nuove ondate di migranti avrebbero rischiato di creare forti tensioni in Veneto, dove gli amministratori locali devono già gestire una considerevole presenza di lavoratori extracomunitari, regolarmente integrata, che si è poi ritrovata senza lavoro a causa del perdurare degli effetti della crisi, oltre al problema degli stessi cittadini residenti sfrattati e rimasti senza casa dopo aver perso il lavoro, come rilevato dalla presidente di Anci Veneto, Maria Rosa Pavanello;
   veniva altresì sottolineato che il presidente della regione Luca Zaia aveva dichiarato sulla stampa che «non ha mai firmato il cd. Patto per l'accoglienza di Luglio», nonostante dal verbale della Conferenza unificata Stato, regioni e autonomie locali del 10 luglio 2014 anche la regione Veneto risulti essere stata parte dell'intesa per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari; si evidenziava che il numero delle Commissioni per gestire le richieste d'asilo in costante crescita e fornire risposte in tempi adeguati era assolutamente non congruo; si chiedeva quindi quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intendesse adottare, di concerto con la regione stessa, per dare effettiva attuazione alla sopracitata intesa e per porre i prefetti e gli amministratori locali nelle condizioni di supportare in modo sostenibile, sia sul piano economico che amministrativo, le procedure di accoglienza;
   nonostante le azioni intraprese dal Governo, ad oggi non è stata data ancora piena attuazione ai contenuti dell'intesa, salvo che per il raddoppio delle Commissioni, il cui lavoro è comunque ancora inadeguato essendoci migranti presenti nelle strutture da quasi un anno che non sono stati ancora chiamati per il colloquio; così se da un lato il Governo continua ad inviare contingenti di migranti, per distribuirli in modo equo e sostenibile sui vari territori, dall'altro la regione non presta alcuna collaborazione ai prefetti e agli enti locali (salvo garantire il dovuto presidio sanitario) per reperire strutture diffuse per l'accoglienza, di modo che gli amministratori locali vedono l'emergenza ricadere sui loro territori senza alcuna forma di pianificazione e gli stessi cittadini percepiscono una situazione di disorganizzazione e disordine che alimenta un clima di timore ed insicurezza;
   nonostante una minoranza di comuni collaborativi e lo straordinario impegno delle locali associazioni del terzo settore abbiano consentito di ospitare in modo decoroso una parte rilevante degli arrivi, in questo ultimo periodo la situazione è diventata insostenibile in diverse località del Veneto, come ad esempio nel comune di Eraclea (Venezia), una località balneare per famiglie, dove circa 250 migranti sono da oltre un mese in un residence dove una coop onlus ha preso in affitto 63 unità immobiliari per l'ospitalità; tutt'attorno i proprietari delle case o gli affittuari degli appartamenti sono furibondi, mentre il sindaco denuncia un danno al settore turistico locale che, tra prenotazioni annullate e minori presenze, vale un calo di oltre il 20 per cento; da ultimo, ad Eraclea si è registrata la ribellione degli immigrati, seguita dalle proteste di turisti e commercianti; così pure tensioni fortissime si sono registrate nei giorni scorsi a Padova, dopo la collocazione nell'ex caserma Prandina di una tendopoli con oltre 150 migranti di diverse etnie, ha sollevato dissidi sia tra questi ultimi, che tra i cittadini, che hanno promosso un comitato e sit-in contro la collocazione decisa dalla prefettura;
   in particolare, poi nella Marca Trevigiana (l'area territoriale che si estende attorno alla città di Treviso), dopo l'episodio del febbraio 2015 si sono verificati una serie di eventi non adeguatamente governati che stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali più responsabili ed i rappresentanti delle associazioni che si occupano dell'accoglienza, creando dissidi tra i rappresentanti delle istituzioni al punto che sui media sono state riportate dichiarazioni contrastanti sulla stessa efficacia della gestione da parte del prefetto, a quanto consta all'interrogante contestata da taluni sindaci, mentre la stessa riceveva il plauso da parte dei massimi esponenti leghisti, quali il presidente della provincia e quello della regione per aver affermato nel maggio 2015 che «nella Marca non c’è più posto»;
   in particolare, il 10 giugno 2015, un centinaio di migranti sono giunti nella provincia di Treviso nell'arco di poco più di ventiquattro ore, e – a seguito dell'impossibilità per i centri di accoglienza presenti in loco di accoglierli tutti – il prefetto ha adottato in tutta fretta una soluzione provvisoria di emergenza, inviando una cinquantina di questi alla caserma Salsa di Treviso, una struttura del tutto inadatta poiché non rispetta neppure le condizioni minime igienico-sanitarie, né gli standard regionali di accoglienza previsti, ragion per cui è intervenuta, facendosene carico, la Caritas di Treviso;
   il 1o luglio 2015, di fronte ad un ulteriore contingente di 130 rifugiati destinato alla Marca, ottanta persone circa sono state collocate in via provvisoria dalla prefettura – a seguito di un accordo dell'ultimo minuto raggiunto con le Ferrovie dello Stato – in un locale dentro la stazione di Treviso, l'ennesima sistemazione del tutto inadeguata, giunta dopo una nota inviata dal prefetto ai 95 sindaci di quest'area nella quale si sosteneva, tra le altre cose, che «in assenza di una prospettiva di sistemazione» i «richiedenti asilo sarebbero stati collocati in spazi pubblici della provincia a partire dal capoluogo»; stante l'insostenibilità anche igienico-sanitaria della collocazione è quindi intervenuta l'amministrazione comunale di Treviso per trovare un'altra sistemazione provvisoria per alcuni giorni nell'area cosiddetta della ex Dogana;
   il 14 luglio 2015, a Villorba, a ridosso del casello di Treviso nord, sono stati letteralmente «scaricati» da un autobus, arrivato dalla Turchia attraverso i Balcani e che si è immediatamente dileguato, altri 47 richiedenti asilo, provenienti da Pakistan e Afghanistan, cosa che ha acuito una situazione già al collasso per la gestione degli arrivi smistati dallo Stato nella Marca trevigiana; il sindaco di Villorba li ha fatti salire su un pullman, portandoli a sua volta nella città capoluogo dove sono stati presi in carico per l'identificazione dai carabinieri;
   da ultimo, il 16 luglio 2015, alle prime luci dell'alba un centinaio di migranti provenienti da due strutture di accoglienza temporanea della Marca sono stati trasferiti su disposizione della prefettura, sembra senza alcun preavviso, nel comune di Quinto in trenta appartamenti ancora vuoti di due condomìni di proprietà del gruppo Guaraldo (in concordato preventivo), alle porte del capoluogo;
   quando i residenti degli altri appartamenti hanno visto i 101 profughi (96 uomini e 5 donne provenienti da Nigeria, Costa d'Avorio e Pakistan) scendere da due corriere ed entrare negli appartamenti accanto ai loro è scoppiato il pandemonio. Gli abitanti sono subito scesi in cortile e hanno dato vita a un duro sit-in, proseguito nella notte, avendo deciso di dormire nelle tende montate in cortile; la protesta dapprima pacifica è poi esplosa in rivolta dopo la mezzanotte, quando un gruppo di persone è entrato in un locale del piano terra usato come magazzino, tirandone fuori materassi, reti, divani, televisori ed incendiandoli e aggredendo il custode della cooperativa sociale Xenia di Grosseto incaricata dalla prefettura di occuparsi dell'accoglienza dei migranti; il giorno successivo la prefettura ha poi deciso di trasferire i migranti alla caserma Serena, mentre una trentina di giovani dell'associazione ZTL occupava l'ingresso della prefettura di Treviso per protesta contro il prefetto; gli stessi venivano portati poi di peso dalle forze dell'ordine in tenuta antisommossa in questura per l'identificazione;
   la percezione di insicurezza e l'allarme diffuso tra i cittadini a seguito di tali episodi ad avviso dell'interrogante sono strumentalizzati da talune forze politiche ed alcuni amministratori locali, oltre che alimentati dalla mancanza di una fattiva collaborazione con le prefetture del presidente della regione; inoltre, espressioni utilizzate da quest'ultimo, quali ad esempio «Stanno africanizzando il Veneto» e ancora «Quella del Prefetto è una dichiarazione di guerra», a giudizio dell'interrogante favoriscono l'alzarsi della tensione sociale e anche l'insorgere di forme di intolleranza e xenofobia nei confronti dei migranti, nonostante la maggioranza dei veneti sia costituita da persone tolleranti ed accoglienti; infine l'esito ottenuto dagli abitanti protagonisti della rivolta di Quinto – che va stigmatizzata, anche se scatenata dalla decisione sbagliata di collocare un numero elevato di profughi in palazzine abitate da poche famiglie residenti – rischia di scatenare l'emulazione, visti i titoli già apparsi sulla stampa, quali ad esempio «Salvini e i ribelli di Quinto ora infiammano Eraclea “Faremo così ovunque”»;
   è evidente che un fenomeno migratorio di queste dimensioni necessita di soluzioni ampie e di lungo periodo a livello europeo e internazionale, ma appare anche necessario di fronte all'emergenza sistematica sui territori regionali assumere iniziative urgenti a livello nazionale, anche di carattere normativo, atte a garantire la possibilità di effettuare le procedure di identificazione direttamente nelle strutture di prima accoglienza dopo l'approdo sulle coste italiane, attuando rapidamente il rimpatrio di chi risulta in modo evidente non essere un rifugiato;
   inoltre, al fine di realizzare una accoglienza equilibrata e sostenibile, appare più opportuno individuare in regioni come il Veneto, anziché un unico hub regionale, troppo grande e di difficile gestione, un hub più piccolo in ogni provincia utilizzando caserme (dismesse, ma anche parzialmente in uso, ove fattibile d'intesa tra i Ministeri della difesa e dell'interno) o strutture ospedaliere anch'esse dismesse, previamente individuate sul territorio e attrezzate, al fine di garantire il rispetto delle condizioni minime di accoglienza per un periodo determinato, evitando rischi di ghettizzazione; in tali strutture vanno approntati in collaborazione con le associazioni del terzo settore anche servizi per favorire l'integrazione (formazione, apprendimento della lingua e altro) al fine di consentire poi una accoglienza diffusa di piccolissimi gruppi di migranti sul territorio in collaborazione con le associazioni e gli enti locali e il loro coinvolgimento in attività/lavori socialmente utili, per evitare che rimangano a lungo inattivi;
   è urgente altresì individuare meccanismi alternativi atti a garantire una velocizzazione delle procedure di esame delle domande dei richiedenti asilo, al fine di consentire da un lato a tutti i richiedenti asilo una risposta certa, in un tempo ragionevole, e di permettere, dall'altro, la turnazione dei migranti accolti nelle strutture di accoglienza –:
   se e quali iniziative urgenti, anche sul piano normativo, intenda adottare per fronteggiare l'emergenza in atto nella regione Veneto ed in particolare nella provincia di Treviso, per prevenire ulteriori episodi di disordine e violenza, al fine da un lato di mettere i comuni e le associazioni del terzo settore che ospitano i migranti nelle condizioni effettive di offrire un'accoglienza dignitosa a quanti fuggono da guerre e persecuzioni, approntando piccoli hub provinciali funzionali alla successiva accoglienza diffusa con percorsi di concreta integrazione attraverso attività di formazione e lavori socialmente utili, e dall'altro di velocizzare i tempi di esame e risposta alle richieste di protezione internazionale in modo da procedere in tempi sostenibili al rimpatrio di chi risulta non averne diritto. (3-01631)

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la garanzia della legalità dell'azione amministrativa negli enti locali e dell'indirizzo politico che la orienta è una questione centrale sia per assicurare l'erogazione dei servizi ai cittadini secondo i ben noti principi di efficienza, efficacia, economicità, buon andamento ed imparzialità, quanto per tutelare le istituzioni nel loro alto ruolo di presidio della legge specie nei confronti dei tentativi di un uso improprio delle risorse pubbliche e di infiltrazione della criminalità organizzata;
   destano pertanto preoccupazione i fatti che si sono verificati nel comune di Palizzi e che sono stati segnalati, oltreché da organi di stampa, dagli stessi consiglieri di minoranza, che hanno portato al superamento dei limiti dei poteri assegnati all'organo politico nonché ad una serie di condotte inopportune, se non illegittime, che certamente non possono essere ignorate dall'autorità statale;
   anzitutto, tra queste, l'interrogante segnala il fatto che l'amministrazione comunale di Palizzi, prima con delibera n. 3 del 13 giugno 2014 e poi con decreto sindacale n. 3 del 27 febbraio 2015, ha attribuito rispettivamente i poteri gestionali e le funzioni di responsabile del servizio tecnico al sindaco, Arturo Walter Scerbo, e quelli di responsabile del servizio affari generali e finanziario al vice sindaco, Davide Bruno Plutino;
   tale quadro, configura una stortura nella suddivisione dei poteri per come sanciti dalla Costituzione dato che i due terzi della giunta comunale di Palizzi sono diventati, in deroga alla legge n. 388 del 2000, i responsabili di area preposti all'emissione dei pareri di regolarità tecnica e finanziaria sugli indirizzi di governo proposti dalla giunta stessa;
   questo atto ha posto inoltre i presupposti per il conferimento al sindaco Scerbo, nell'ambito del progetto Europeo «LIFE Caretta Calabria», della funzione di supporto al responsabile unico del procedimento, con decreto regionale n. 1157 del 24 febbraio 2015 – Registro dei decreti dei dirigenti della regione Calabria, in base all'attestazione della sua qualifica di dirigente-dipendente comunale, e in violazione dell'articolo 10 e 261 del decreto del Presidente della Repubblica 207 del 2010;
   tra gli altri fatti di dubbia liceità si segnala inoltre che il sindaco Scerbo, componente di un raggruppamento temporaneo di professionisti (RTP), aggiudicatario della redazione del Piano strutturale associato (capofila comune di Palizzi, contratto conferimento incarico del 18 marzo 2009, repertorio n. 3/09), si dimise da detto RTP – dopo essersi candidato alla carica di sindaco – con nota prot. 2864 del 31 maggio 2011 – indicando arbitrariamente e senza titolo il suo sostituto nella persona della dottoressa Maria Giuseppina Pezzano;
   lo stesso sindaco, in seguito, nella qualità di responsabile della posizione organizzativa area tecnica, provvede con determina n. 41 del 25 febbraio 2015, a formalizzare tale annunciata sostituzione, nominando fiduciariamente come suo sostituto l'architetto Giuseppina Pezzano, già candidata a consigliere comunale nella lista capeggiata dallo stesso Scerbo nelle elezioni comunali di Palizzi del 2011;
   si ricorda inoltre come sia stata denunciata una vera e propria persecuzione praticata nei confronti di componenti delle famiglie dei candidati della lista avversaria al sindaco, minacciati durante la campagna elettorale, secondo quanto emerge dall'articolo de «Il quotidiano» di domenica 15 marzo 2015, pagina 1 e pagina 12, dalla moglie del primo cittadino, dipendente della polizia di Stato, la quale sarebbe indagata dalla procura di Locri per accesso abusivo a sistema informatico o telematico;
   secondo quanto indicato nell'esposto l'eliminazione sistematica degli oppositori interni del sindaco avrebbe toccato anche il Comandante dei vigili urbani capitano Marino Aurelio, qualifica funzionale D), costretto a difendersi davanti al TAR per chiedere l'annullamento di provvedimenti viziati da eccesso di potere nei suoi confronti;
   l'area di vigilanza, accorpata a quella degli affari generali, sotto la Direzione del vice sindaco, sarebbe stata ridimensionata ed appiedata nonché privata di tutti gli strumenti di comunicazione, anche telematica, quali, ad esempio, il telefono fisso; il telefono cellulare di servizio; il fax, indispensabili per l'espletamento delle sue funzioni specifiche;
   le forme di controllo delle minoranza all'interno del consiglio sono state inoltre più volte limitate attraverso l'espulsione dall'aula del consiglio del capogruppo della minoranza con l'uso della forza pubblica;
   alla minoranza, sarebbe stato in un certo senso impedito l'accesso agli atti garantito dall'articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dato che, alla domanda espressa attraverso raccomandata, delle registrazioni del Consiglio comprovanti il fatto di cui sopra, sarebbe stato opposto un immotivato diniego da parte del segretario comunale, in quanto «non in giacenza presso codesto ufficio»;
   va segnalato inoltre che il ruolo di garanzia della stazione unica appaltante della provincia di Reggio Calabria, la cui costituzione è stata tra l'altro perseguita ai fini di combattere le infiltrazioni mafiose, è stato ridimensionato dall'amministrazione comunale di Palizzi, che nel giro di dieci giorni ha modificato per ben due volte la convenzione con la stessa SUAP, riservando al responsabile di posizione organizzativa, ossia il sindaco, la gestione di quasi tutte le gare d'appalto, con le delibere C.C. n. 12 del 29 settembre 2014 e C.C. n. 25 del 16 ottobre 2014;
   a quanto risulta all'interrogante l'amministrazione non adempirebbe peraltro agli obblighi previsti dalla legge anticorruzione dato che non predisporrebbe la relazione annuale sul piano anticorruzione;
   il sindaco d'altra parte non farebbe mistero della propria adesione alla Massoneria anche attraverso messaggi diffusi per via telematica;
   il nome Arturo Scerbo risulterebbe peraltro inserito nell'elenco accorpato dei Massoni italiani, alla pagina 502, Biblioteca del Pratico Mondo –:
   se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per procedere ai sensi degli articoli nn. 141 e seguenti del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, alla luce di quanto rappresentato in premessa. (4-09906)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno accademico 2008/2009, il conservatorio di musica di Santa Cecilia di Roma ha delocalizzato i propri percorsi di studio nel settore musicale nella città di Rieti;
   l'esecuzione di questo progetto, frutto di un accordo con la provincia di Rieti – ente all'epoca competente in materia di valorizzazione dei beni culturali e in quelle connesse alla istruzione secondaria di secondo grado –, ha implicato peraltro il recupero e la valorizzazione di un immobile di pregio di proprietà della provincia stessa, Villa Battistini;
   l'iniziativa mirava da un lato a riconvertire un immobile pubblico di pregio in sede di un istituto di alta cultura (nonché, in parte qua, anche in polo museale), e dall'altro a coltivare e valorizzare la domanda (e la stessa offerta) di professionalità artistiche nel territorio della provincia di Rieti, attraverso politiche culturali adeguate;
   i lavori di adeguamento della struttura alle necessità didattiche proprie di un conservatorio, ivi compresi quelli di recupero di oggetti e suppellettili di interesse storico-artistico appartenuti al Mo Battistini, hanno comportato un  investimento di euro 716.560 di cui euro 240.000 dalla Mis. C.1 del fondo sociale europeo, euro 330.000 dal fondo regionale Lazio e euro 146.560 da un mutuo della provincia di Rieti;
   un'ulteriore somma, pari a euro 1.000.000, è stata stanziata anche per la sistemazione definitiva degli edifici soprastanti il corpo centrale della Villa e della dépendance, per la realizzazione di un parcheggio auto e di uno spazio per le rappresentazioni all'aperto;
   a fronte di un simile impegno di risorse pubbliche, dopo soli 6 anni dall'inaugurazione dei corsi, le attività didattiche del conservatorio di Santa Cecilia a Rieti sembrerebbero essere messe in serio rischio;
   a quanto consta all'interrogante, i costi di gestione della struttura (tra cui la remunerazione dei docenti) e gli ingenti tagli ai trasferimenti erariali ai bilanci degli enti che in parte sostengono il progetto (regione, provincia e comune), stanno determinando la chiusura della succursale reatina in questione;
   un simile epilogo, non solo renderebbe inutili gli investimenti pubblici finora approntati, non solo priverebbe il territorio reatino di una risorsa culturale e formativa di notevole pregio, ma pregiudicherebbe la stessa conclusione dei percorsi accademici iniziati dagli attuali iscritti (ben 127 studenti);
   a ciò si aggiunga, la gravissima situazione in cui versano i docenti del conservatorio stesso, i quali, non solo hanno oggettive difficoltà nell'essere debitamente pagati, ma rischiano altresì di perdere il loro impiego presso la suddetta struttura, qualora la direzione decida di cessarne le attività didattiche;
   una simile situazione è inaccettabile in un Paese come il nostro, dove la cultura dovrebbe essere il bene primario da tutelare, per mezzo del quale creare crescita e sviluppo;
   la cittadinanza locale, e gli stessi studenti del conservatorio di Rieti, che in questi mesi si sono mobilitati per salvare una struttura che gli appartiene e da cui dipende il loro futuro, hanno diritto a risposte chiare da parte delle istituzioni dello Stato –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se il Ministro, di concerto con il conservatorio di Santa Cecilia, la regione Lazio e gli enti locali interessati, non ritenga opportuno adottare le opportune iniziative di competenza affinché, da un lato, la succursale di Rieti del suddetto conservatorio non venga chiusa, e dall'altro si pervenga a un assetto che consenta la sostenibilità dei costi di gestione della struttura;
   se il Ministro, di concerto con il conservatorio di Santa Cecilia, la regione Lazio e gli enti locali interessati, non ritenga opportuno, nella denegata ipotesi che si debba addivenire alla interruzione delle attività didattiche della struttura, adottare le opportune iniziative di competenza affinché gli studenti già iscritti vedano garantito il loro diritto a portare a termine il percorso di studi. (5-06094)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Open.Co è un nuovo importante soggetto imprenditoriale, nato da meno di un anno a seguito della fusione fra la ex Cormo di San Martino in Rio (RE) con la Coop Legno di Castelvetro di Modena;
   questa operazione è inserita nel complessivo processo di ristrutturazione della filiera del legno e di riorganizzazione del settore delle costruzioni, a seguito dei duri anni di crisi, ma anche dei segnali di ripresa che si sostiene siano presenti, come indicavano chiaramente le parole di Daniele Sitta, presidente e direttore generale di Open.co per cui «La fusione è la risposta alla perdurante crisi del settore dell'edilizia che ha investito in modo drammatico, e senza eccezioni, tutte le aziende della filiera delle forniture»;
   nei mesi scorsi la ex Cormo, e con essa San Martino in Rio ed il territorio limitrofo, hanno pagato un presso pesante passando da circa 350 lavoratori a 230;
   le notizie del perdurare di crisi ed incertezze sarebbero giunte dopo che risulta si sia lavorato all'ipotesi di una newco, realizzata dalla cooperativa reggiana Sicrea, per creare un nuovo soggetto, comprendente gli stabilimenti di Coop Legno, della ex Cormo, della ferrarese Lavoranti in Legno, per garantire continuità occupazionale a realtà che interessano complessivamente oltre 500 lavoratori: più di 150 alla Coop Legno, 230 alla ex Cormo e i rimanenti a Ferrara;
   le organizzazioni sindacali hanno immediatamente dichiarato lo stato di agitazione e richiesto l'attivazione di un tavolo regionale di crisi, ritenendo, inoltre, che la vertenza possa inserirsi nell'ambito dell'accordo quadro regionale dell'aprile 2015 riguardante la riorganizzazione della filiera delle cooperative legate al settore delle costruzioni;
   secondo Fillea-Cgil al termine di un incontro che si è tenuto pochi giorni fa in Legacoop regionale nel piano di aggregazione si parla del ramo modenese di Open.Co, della 3Elle di Imola, di una cooperativa ferrarese, ma non si fa alcuna menzione dello stabilimento di San Martino in Rio;
   la filiera del legno è particolarmente importante nel campo delle costruzioni e può rappresentare un punto di equilibrio fra soluzioni di sostenibilità ambientale ed i processi di supporto alle politiche di sviluppo, nelle quali le costruzioni hanno peso rilevante (se accompagnate da un'adeguata attenzione dalla sostenibilità);
   le aziende oggi riunite in Open.Co hanno operato importanti investimenti sul piano tecnologico e dell'innovazione di prodotto e di processo, che andrebbero depauperati se non si riuscisse ad individuare una soluzione positiva;
   a tal proposito Gianluca Sassi, consigliere M5S per la Regione Emilia Romagna, ha presentato una interrogazione per chiedere alla Giunta guidata da Stefano Bonaccini cosa intenda fare per risolvere tale situazione –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano adottato o intendano adottare per la salvaguardia dei numerosissimi lavoratori a rischio sul territorio nazionale, e nella fattispecie di questi sopracitati 500, il cui numero potrebbe incrementarsi ulteriormente anche in relazione alle attività dell'indotto;
   quali strategie intendano adottare a tutela di un settore che rappresenta, nell'ambito del computo delle costruzioni, uno degli elementi di cerniera con le politiche di tutela ambientale e di risparmio energetico, particolarmente interessante per la ridefinizione di una strategia di crescita occupazionale ed economica sostenibile. (4-09898)


   PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Pali Italia (ex Tecnopali), ditta specializzata nel settore illuminazione, telecomunicazioni e alta tensione che opera a Parma e ad Anagni (Frosinone) da oltre trent'anni, a fronte del calo della domanda di mercato e della necessità di ristrutturare la propria posizione debitoria nei confronti delle banche, culminata nel gennaio 2013 con la richiesta di concordato preventivo, ha prospettato nei mesi scorsi la definizione di un nuovo piano industriale che avrebbe reso necessario un forte ridimensionamento dell'organico;
   il 28 novembre 2013 la Pali Italia s.p.a. ha sottoscritto, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un accordo di cassa integrazione guadagni straordinaria con le organizzazioni sindacali in favore di un massimo di 208 unità lavorative. Il trattamento è stato autorizzato con decreto ministeriale n. 78503 del 28 gennaio 2014 e successivamente prorogato con decreto ministeriale n. 84388 del 17 settembre 2014 fino al 19 novembre 2014;
   il 27 gennaio 2015 l'azienda ha depositato presso la cancelleria del tribunale di Parma il ricorso di ammissione alla procedura di concordato preventivo in bianco e nel corso della riunione svoltasi il 4 marzo 2015 al Ministero ha espresso la necessità di cessare le attività svolte presso i siti di Parma e Anagni (FR) convenendo con le organizzazioni sindacali di avanzare un'ulteriore richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria, per crisi aziendale e cessazione di attività per un periodo di 12 mesi a decorrere dal 19 febbraio 2015 in favore di un numero massimo di 156 unità lavorative;
   il 12 giugno 2015 l'amministrazione ha comunicato che, ai sensi dell'articolo 1, comma 9, della legge n. 223 del 1991 l'istanza presentata potrà essere presa in considerazione limitatamente al raggiungimento del limite dei 36 mesi di fruizione della cassa integrazione guadagni straordinaria, ma, considerato che gli stabilimenti di Anagni (FR) e Parma hanno già usufruito rispettivamente di 33 e 34 mesi di integrazione salariale, l'istanza non potrà sostanzialmente essere accolta per il periodo richiesto e concordato con le organizzazioni sindacali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e di quali iniziative intenda farsi promotore al fine di scongiurare che oltre 150 lavoratori rimangano privi di strumenti di ammortizzazione sociale a fronte di una crisi aziendale che pare essere ancora oggi in piena evoluzione. (4-09900)


   GALATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1156, lettera g-bis) della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha disposto a decorrere dall'esercizio finanziario 2008 lo stanziamento, a carico del fondo per l'occupazione, di un contributo pari a 50 milioni di euro annui per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e per le iniziative connesse alle politiche attive per il lavoro, in favore delle regioni che rientrano negli obiettivi di convergenza dei fondi strutturali dell'Unione europea attraverso la stipula di un'apposita convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2014), dispone che le risorse impegnate per le finalità di cui all'articolo 1, comma 1156, lettera g-bis) della predetta legge n. 296 del 27 dicembre 2006, sono destinate, per l'anno 2014, nella misura di 50 milioni di euro, agli enti pubblici della regione Calabria al fine di stabilizzare, con contratto di lavoro a tempo determinato, i lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità ed i lavoratori di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, al fine di avviare un percorso di inserimento lavorativo dei suddetti lavoratori ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 125 e in attuazione dei commi da 208 a 212 dello stesso articolo 1 della legge n. 147/2013;
   in data 8 ottobre 2014 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha adottato con proprio decreto, nuove misure dirette a stabilizzare, con contratto di lavoro a tempo determinato, i lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità ed i lavoratori di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468 degli enti pubblici della regione Calabria;
   l'articolo 1, comma 207 della legge n. 147 del 2013 introduce per l'anno 2014 per le assunzioni a tempo determinato finanziate a favore, degli enti pubblici della regione Calabria con le risorse di cui all'articolo 1, comma 1156 lettera g-bis) della legge 27 dicembre 2006, n. 296, una disciplina derogatoria, stabilendo che le assunzioni a tempo determinato possano essere effettuate in deroga all'articolo 9, comma 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni;
   in data 17 dicembre 2014, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha approvato con proprio decreto ministeriale la graduatoria degli enti pubblici della regione Calabria ammessi al contributo ai sensi della legge 27 dicembre 2013, n. 147, al fine di stabilizzare con contratto di lavoro a tempo determinato, i lavoratori impegnati in attività socialmente utili e di pubblica utilità e i lavoratori di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468;
   le risorse stanziate con detto decreto sono state ripartite tra n. 267 enti pubblici nelle 5 province di Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Crotone e Vibo Valentia, beneficiarie dei trasferimenti in contribuzione con ricadute occupazionali per un totale di n. 4005 lavoratori contrattualizzati sul territorio regionale;
   le organizzazioni sindacali ritengono che la Calabria sia un'area territoriale che risulta fortemente penalizzata dall'assenza, registrata negli ultimi anni, di una strategia integrata di Governo e di indirizzo politico, diretta a promuovere un effettivo rilancio del territorio in un'ottica di crescita e sviluppo economico e sociale e sottolineano l'assoluta necessità ed urgenza di un intervento che consenta lo stanziamento dei fondi per il prosieguo dei contratti e la risoluzione di una problematica grave, dalla cui protrazione può derivare un danno immediato e diretto alle condizioni esistenziali di migliaia di lavoratori e famiglie calabresi, contribuendo ad un ulteriore ed inaccettabile aggravio di una situazione economica territoriale già critica ed insostenibile;
   l'interrogante, inoltre, sottolinea che la situazione di disagio materiale nel quale versa il bacino di lavoratori interessati e coinvolti dalla questione e determinato da continui ritardi nelle erogazioni delle spettanze da parte di amministrazioni dello Stato e degli enti territoriali, i quali sono a loro volta posti nella sostanziale impossibilità di procedere al regolare pagamento delle prestazioni lavorative, oltre a compromettere il diritto ad una serena esistenza, che dovrebbe essere garantito a tutti i lavoratori, rischia di inficiare ancor di più il già incrinato rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, con pesanti conseguenze sul piano sociale –:
   entro quali tempi il Ministro ritenga di promuovere un'iniziativa idonea a consentire agli enti pubblici della regione Calabria, ammessi al contributo ai sensi della legge 27 dicembre 2013, n. 147, di procedere al regolare pagamento delle spettanze in favore dei lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità, nonché dei lavoratori di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468. (4-09907)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo ILVA, che si occupa della produzione e lavorazione di acciaio, è costituito da ILVA s.p.a. e da un insieme di società operative strutturalmente collegate e funzionali al processo produttivo della stessa ILVA s.p.a. Il principale impianto produttivo è lo stabilimento a ciclo integrale di Taranto;
   dal 3 giugno 2013, con decreto-legge n. 61 del 2013, l'impianto è sottoposti a commissariamento straordinario ed è ammesso, con decorrenza 21 gennaio 2015, alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma dell'articolo 2 del decreto-legge n. 347 del 2003;
   il 12 giugno 2015 moriva dopo quattro giorni di agonia Alessandro Morricella, 35enne operaio Ilva, investito da una violenta fiammata mista a ghisa liquida ad elevata temperatura che si è sprigionata dall'impianto AFO2, mentre effettuava le operazioni di controllo della temperatura dell'altoforno. Il pubblico ministero De Luca, titolare del fascicolo e il procuratore Sebastio hanno iscritto quattro persone nel registro degli indagati per cooperazione in omicidio colposo e omissione delle cautele sui luoghi di lavoro. Nel decreto con il quale ha convalidato il sequestro senza facoltà d'uso dall'altoforno 2 dello stabilimento siderurgico richiesto dalla procura tarantina, il G.I.P. Rosati descrive in maniera pacifica come l'impianto fosse «sprovvisto dei più elementari dispositivi destinati e idonei alla protezione dell'incolumità dei lavoratori», spiegando come oltre agli accertamenti svolti dagli investigatori sia stata proprio l'azienda con il suo atteggiamento a confermare questa mancanza. L'Ilva subito dopo l'incidente si è «affrettata – scrive il gip Rosati – a piazzare delle artigianali barriere metalliche di protezione in prossimità dei punti più pericolosi dell'impianto» e contemporaneamente a «commissionare» a una ditta specializzata la predisposizione di dispositivi automatizzati per eseguire la misurazione della temperatura della ghisa, la stessa che ha ucciso Morricella. È stata, quindi, proprio l'Ilva «attraverso tali modifiche a confessare l'enorme e inaccettabile lontananza dei dispositivi di sicurezza presenti sull'impianto»;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, modificato in maniera importante dal decreto legislativo n. 106 del 2009, impone in capo ad Ilva e al datore di lavoro, la valutazione e la responsabilità sulla sicurezza del lavoro e l'eliminazione dei rischi;
   la Direttiva 2009/104/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante lo svolgimento delle loro mansioni sostituisce la direttiva 89/655/CEE e prevede, inoltre, i seguenti obblighi per il datore di lavoro:
    a) adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori nell'impresa o nello stabilimento siano adeguate al lavoro da svolgere o opportunamente adattate a tale scopo;
    b) vigilare affinché le attrezzature di lavoro, la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione, siano sottoposte a una verifica iniziale e a una verifica dopo ogni montaggio in un nuovo cantiere o in una nuova località di impianto;
    c) provvedere affinché i lavoratori dispongano di informazioni adeguate e, se del caso, di istruzioni per l'uso delle attrezzature di lavoro;
    d) fornire agli utilizzatori delle attrezzature una formazione adeguata;
    e) o consultare e far partecipi i lavoratori o i loro rappresentanti di tutte le decisioni riguardanti le attrezzature di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per assicurare una maggiore vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro all'interno dello stabilimento ILVA di Taranto;
   se il Governo intenda disporre una ispezione da parte degli organi competenti previsti dalla normativa vigente volta a verificare il reale rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
   se si intenda chiarire, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008, chi tra il direttore dello stabilimento e la proprietà ricopre la figura del datore di lavoro;
   se si intenda chiarire, per quanto di competenza, perché nessuno dei commissari straordinari dell'azienda sia stato chiamato a rispondere per la morte dell'operaio Alessandro Morricella;
   se intenda fornire chiarimenti sulla situazione attuale in merito alla sicurezza dei lavoratori all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto alla luce delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e alle direttive dell'Unione europea.
(4-09909)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il carcinoma ovarico platino-resistente è una condizione patologica a prognosi infausta che in Italia interessa ogni anno circa 500 donne;
   tutti i trattamenti valutati fino ad oggi hanno mostrato scarsissima efficacia nei confronti di questa patologia, per la quale non ci sono «standard of care» di documentata oggettività. La sopravvivenza per le donne affette da carcinoma ovarico platino-resistente è attualmente di circa 12 mesi e le terapie disponibili, sono riconducibili alla classe delle terapie palliative, anche perché si limitano al controllo dei sintomi e al miglioramento della qualità di vita;
   per il trattamento del carcinoma ovarico platino-resistente la Commissione europea ha approvato il 31 luglio 2014, circa un anno fa, il «bevacizumab», conosciuto con il nome di Avastin, e già rimborsato per il trattamento di altre forme di tumore;
   la Commissione europea ha basato le sue decisioni sui risultati dello studio di fase III AURELIA, in cui l'associazione di carcinoma ovarico platino-resistente alla chemioterapia ha dimostrato tre effetti di rilevante interesse: il raddoppio dell'età di sopravvivenza, lo «stop» alla progressione della malattia, e un deciso miglioramento dei tassi di risposta rispetto alla sola somministrazione del chemioterapico;
   a questi tre effetti va aggiunto anche un deciso miglioramento della qualità di vita delle pazienti per una effettiva e documentata riduzione della sintomatologia gastro-intestinale, che rappresenta una problematica estremamente invalidante per le donne affette da carcinoma ovarico platino-resistente;
   le principali linee guida internazionali in Europa e negli USA, considerati gli effetti positivi del «bevacizumab», ne raccomandano l'uso, dopo una procedura di valutazione accelerata dell'FDA (Priority review);
   in Italia, dopo un anno dall'approvazione della Commissione europea non è ancora stata approvata la rimborsabilità del «bevacizumab» nel carcinoma ovarico platino-resistente, pur trattandosi di un farmaco che il servizio sanitario nazionale rimborsa in altre patologie specifiche; ovviamente a questo punto il costo del farmaco ricade direttamente sulle donne affette da carcinoma ovarico platino-resistente, con un effetto discriminante tra chi può permettersi di acquistarlo e chi no, tra le italiane e le altre donne europee;
   essendo stato l'Avastin, nome commerciale del «bevacizumab», al centro di polemiche che nulla hanno a che vedere con il carcinoma ovarico platino-resistente, sarebbe davvero drammatico se l'onda lunga di quella questione ritardasse o impedisse ad almeno 500 donne ogni anno di potersi curare, migliorando in modo significativo la durata e la qualità della loro vita –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, se il Ministro non intenda garantire l'accesso al farmaco anche in Italia, accelerando le procedure di rimborsabilità presso l'AIFA, in modo da renderlo disponibile nel più breve tempo possibile a persone la cui aspettativa di vita è strettamente legata all'assunzione del farmaco. (3-01630)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   BUSINAROLO, DE LORENZIS e RIZZO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca recenti hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica un caso risalente al 2012, quando il signor G.L., tecnico professionale (geologo) in Anas Spa, compartimento di Perugia, nelle vesti di direttore operativo per i lavori riguardanti la direttrice Civitavecchia-Orte-Rieti, tratta Terni (San Carlo), confine regionale, accortosi di presunte irregolarità verificatesi nel maggio 2012, si rivolgeva al nucleo di polizia tributaria (Guardia di Finanza) di Perugia, esponendo che all'ex direttore dei lavori, nonché RUP (Responsabile unico dei lavori), ingegner M.L., era stata liquidata nella misura del 50 per cento (pari ad un ammontare di 230.000 euro) dall'Anas spa l'incentivo riguardante l'articolo 18 della legge n. 109 del 1994);
   in particolare veniva segnalata l'anomalia derivante dal fatto che il regolamento Anas, che stabilisce le modalità di erogazione di detto incentivo, prevede che lo stesso deve avvenire all'emissione del certificato di ultimazione dei lavori, della relazione sul conto finale, della nomina del collaudatore ed alla presentazione delle parcelle di tutti gli aventi diritto. Tutte circostanze che, però, in questa precisa situazione non si sono verificate, in quanto i lavori si trovavano a quel periodo al 70 per cento;
   nell'esposto venivano inoltre segnalati l'impiego delle autovetture aziendali ad uso personale e la corresponsione di una elevata indennità di alloggio pari a circa 1.500,00/1.800,00 euro, senza l'utilizzo degli appartamenti che erano in uso ai precedenti dirigenti;
   successivamente il signor G.L. si è rivolto al servizio mobbing dell'ospedale di Foligno (Perugia) lamentando di essere divenuto bersaglio di molestie a livello morale, vessazioni, persecuzione e violenze di natura psicologica perpetrate da alcuni suoi colleghi e superiori, nonché a quanto gli interroganti il timore della possibilità di un eventuale trasferimento in altra sede;
   bisogna ricordare, inoltre, che nel settembre del 2012 il signor G.L. ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura della Repubblica di Perugia per presunta violazione dell'articolo 368 del Codice penale (calunnia) nei confronti dei dirigenti del compartimento ANAS dell'Umbria (procedimento n. 4/114/13 RG) e nei suoi confronti veniva aperto un procedimento disciplinare;
   successivamente ai fatti sopra esposti lo stesso si è dimesso dal ruolo di direttore dei lavori a causa di un rapporto lavorativo, con i vertici aziendali, ormai gravemente incrinato;
   nell'ottobre scorso la procura della Repubblica di Perugia ha emanato tre avvisi di garanzia nei confronti dei dirigenti dell'azienda pubblica, ramo umbro, contestando loro il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato;
   il caso sopra descritto presenta le caratteristiche che connotano il cosiddetto «whistleblowing», ovvero il fenomeno per cui il lavoratore del settore pubblico, venuto a conoscenza di irregolarità ed anomalie messe in atto da colleghi o superiori, decide di denunciare l'accaduto agli organi competenti. Nella maggior parte dei casi, però, coloro che scelgono, con coraggio e determinazione, di denunciare diventano vittime di atteggiamenti persecutori e denigratori, lesivi della propria dignità e professionalità, proprio ad opera dei denunciati;
   quello del cosiddetto «whistleblowing» costituisce uno strumento legale operativo anche in Italia da qualche anno ma che, ad oggi, non ha trovato la giusta e piena diffusione, proprio in virtù del timore di denunciare per evitare atteggiamenti ritorsivi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se ritengano opportuno ed improcrastinabile intervenire, ciascuno secondo la propria competenza, anche attraverso azioni di carattere normativo, al fine di favorire la piena e concreta attuazione del «whistleblowing», offrendo tutela e certezza a tutti quei lavoratori, del settore pubblico ma anche di quello privato, che agendo con trasparenza ed onestà, scelgono di denunciare i colleghi o superiori «infedeli», autori di comportamenti irregolari o anomali, senza il timore di diventare vittime di soprusi e vendette trasversali.
(3-01629)

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la delibera di giunta del Comune di Palermo n. 240 del 18 dicembre 2014 ha per oggetto «individuazione dei posti da ricoprire ex articolo 110 commi 1 e 2 ed individuazione degli ulteriori requisiti specifici ai sensi degli articoli 50 e 51 Parte II Titolo II — Area dirigenza — del vigente R.O.U.S — Atto di indirizzo»;
   nel comune di Palermo, infatti, vi era una carenza di personale con ruolo dirigenziale anche a causa di un precedente bando, risalente al 1998 per otto posti per ingegneri dirigenti, che nel 2011 è stato annullato dal TAR in quanto il bando era rivolto ai soli interni e chiuso a candidature esterne: da allora vi era un solo dirigente tecnico, Nicola Di Bartolomeo, il quale ha guidato praticamente tutti i settori;
   la delibera di giunta richiamata nasce già viziata nella forma in quanto, se da una parte ha ricevuto il parere favorevole di regolarità tecnica e il visto del sindaco (il parere di regolarità contabile non era dovuto), non ha ricevuto il parere di regolarità amministrativa da parte del segretario comunale in quanto la delibera della giunta è arrivata oltre il termine di 48 ore previsto dal Regolamento sui controlli interni;
   il 28 dicembre veniva pubblicato sul sito del comune di Palermo l'avviso del comune di Palermo per «Selezioni Pubbliche per il conferimento di quattordici incarichi dirigenziali a tempo determinato per anni uno ex articolo 100, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000», riguardante l'assunzione di 14 soggetti, di cui 12 con la qualifica di dirigente tecnico e 2 con la qualifica di dirigente contabile;
   gli ulteriori requisiti specifici richiesti in relazione al tipo di professionalità del posto da ricoprire, aggiuntivi e integrativi rispetto a quelli generali, ai sensi degli articoli 50 e 51 del R.O.U.S., venivano poi elencati nell'allegato B al medesimo avviso;
   questo avviso di selezione, a parere degli interroganti, sarebbe gravido di irregolarità, alcune delle quali sollevate anche grazie all'azione del segretario generale, nonché responsabile della prevenzione della corruzione, del comune di Palermo, dottor Dall'Acqua: egli ha segnalato in due occasioni, tramite nota datata 29 dicembre 2014, una prima volta, e una seconda volta, anche in qualità di Responsabile della prevenzione della corruzione al comune, con una nota datata 16 gennaio 2015, che i requisiti richiesti per le singole posizioni offerte rischierebbero «di apparire personalizzati e potenzialmente identificativi dei soggetti incaricandi», evidenziando altresì la «irragionevolezza di alcuni requisiti di accesso»;
   dubbi sono stati sollevati anche in merito alla durata di tali contratti in quanto, il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 19, relativo agli incarichi di funzioni dirigenziali, comma 2, in cui, tra l'altro, si stabilisce che «la durata dell'incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni»: l'applicabilità di tale norma agli enti locali, ancorché naturale e logica in quanto pubbliche amministrazioni, è stata confermata dalla sentenza della Corte di Cassazione del 13 gennaio 2014, n. 478;
   inoltre l'intera procedura concorsuale sarebbe viziata gravemente: infatti l'avviso di selezione non conteneva criteri numerici o di giudizio per la valutazione dei titoli e non preveda la presenza di una graduatoria; tali irregolarità sono amplificate dall'assenza di una commissione esaminatrice, così come previsto dalla legge;
   infatti, nel corso del mese di dicembre 2014 è stato modificato il regolamento che disciplina il funzionamento e la composizione delle commissioni concorsuali, tramite deliberazione della giunta comunale 207 del 2 dicembre 2014, in cui si trova allegato il «Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi – Parte II: Acquisizione risorse umane e progressioni di carriera» nello specifico è stata modificata la parte relativa alle assunzioni a tempo determinato per copertura posti in dotazione e fuori dotazione organica, attualmente disciplinati dagli articoli 50 e 51 del sopra citato regolamento, ove si stabilisce che i curricula vengano inviati al Sindaco il quale individua, a suo insindacabile giudizio tramite formale provvedimento motivato, i vincitori;
   in precedenza, invece, la norma, contenuta all'articolo 54 del Regolamento, prevedeva la costituzione di una commissione esaminatrice composta dal direttore generale, dal capo di gabinetto e dal segretario generale, con il compito di esaminare i curriculum, effettuare gli opportuni colloqui personali ed individuare i vincitori tramite formale provvedimento motivato comparativo;
   gli articoli 50 e 51 del regolamento sarebbero in palese contrasto con quanto stabilito dalla legge in materia, in particolare, secondo quanto previsto dall'articolo 35, comma 3, lettere b) ed e) del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: nello specifico tali norme, relative al reclutamento del personale impongono l’«adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire» e disciplina la «composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali»;
   agli interroganti appare lampante l'illegittimità della procedura concorsuale presso il comune di Palermo in quanto attualmente solo il Sindaco, organo politico apicale all'interno del comune di Palermo, è l'unico soggetto titolato a decidere in merito agli esiti concorsuali, e non più un gruppo di soggetti esperti in materia di risorse umane e concorsi pubblici, così come richiesto dalla normativa in materia;
   l'assenza di criteri numerici o di giudizio per la valutazione dei titoli, la mancanza di una commissione esaminatrice e l'assenza di una graduatoria, secondo gli interroganti, pregiudicano irrimediabilmente il risultato della selezione stessa in quanto ha prodotto come risultato una mera lista dalla quale il sindaco ha potuto liberamente attingere secondo la propria volontà;
   visti i numerosi dubbi espressi anche a mezzo stampa, si era diffusa l'idea che la selezione pubblica si fosse arenata invece il 15 giugno sono stati pubblicati sul sito del comune di Palermo i risultati della selezione e i nomi dei vincitori delle posizioni dirigenziali con i rispettivi uffici;
   esaminando i nomi dei vincitori emerge che dei 14 vincitori, 13 risultano essere funzionari interni al comune di Palermo e di questi ben 9 sono rappresentati da soggetti che ricoprivano, spesso nel medesimo ufficio per il quale sono stati selezioni come dirigenti, ruolo di «Referenti»; infatti, con tre separati atti, la disposizione di servizio n. 119 del 23 settembre 2014, la disposizione 67/c.a. del 2 ottobre 2014 e la nota protocollo 665657 del 12 agosto 2014, venivano individuati, per ciascun ufficio dell'area al quale non era stato preposto un dirigente, una figura di «referente» con la funzione di interfaccia e coordinamento dell'Ufficio medesimo: tale posizione, creata appositamente e non prevista dalla normativa, è stata assegnata a funzionari del comune conferendo loro una posizione sovraordinata rispetto a colleghi di pari livello;
   inoltre, si registra che sono pervenute per la selezione oltre 800 domande, tra le quali si presume anche talune da parte di soggetti aventi esperienza pluriennale in posizioni dirigenziali: non si capisce dunque, anche a causa della mancata pubblicazione dei provvedimenti motivati da parte del sindaco ai soggetti selezionati, come sia stato possibile che la quasi totalità dei soggetti selezionati siano funzionari e quasi tutti interni al comune medesimo;
   due dei funzionari poi selezionati per la posizione di dirigente, Mario Li Castri, considerato «braccio destro» del vice sindaco Emilio Arcuri, e Giuseppe Monteleone, erano stati indagati nel gennaio del 2015 per abusivismo, quindi ben prima la scelta da parte del sindaco dei nuovi dirigenti: nonostante questo il 15 giugno è stata pubblicata la loro selezione sul sito del comune di Palermo e 3 giorni dopo il 18 giugno è arrivata la notizia della decisione del Giudice per l'udienza preliminare di Palermo che ha firmato il decreto che dispone il giudizio immediato per i due soggetti, i quali devono rispondere a vario titolo, assieme ad altri 21 imputati, di abusivismo edilizio e falso ideologico;
   il testo unico degli enti locali articolo 110 comma 1 stabilisce che lo statuto dell'ente locale può prevedere la possibilità che un posto dirigenziale venga ricoperto mediante contratto a tempo determinato, in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica, esclusivamente previa selezione pubblica volta ad accertare il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto d'incarico;
   poiché prima della selezione pubblica di dirigenti a tempo determinato nelle disponibilità del comune vi era un solo dirigente tecnico a tempo indeterminato, ne consegue che 12 su 13 dirigenti tecnici siano attualmente a tempo determinato, quindi ben al di sopra della soglia prevista dalla legge;
   alla luce di quanto esposto sinora appare evidente una serie di palesi e gravi violazioni da parte del Comune di Palermo del TUEL nonché dell'imprescindibile principio costituzionalmente sancito all'articolo 97 della Costituzione di accesso alla Pubblica Amministrazione tramite concorso;
   la gravità dei fatti aveva portato uno degli interroganti a scrivere una lettera nel marzo di quest'anno al prefetto di Palermo per chiedere di fare chiarezza sui fatti esposti –:
   se il Governo intenda porre in essere, a fronte della situazione descritta in premessa, ogni iniziativa di competenza, anche alla luce della disciplina di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di assicurare l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa e, più in generale, il rispetto dei principi di cui all'articolo 97 della Costituzione. (4-09911)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CIPRINI, GALLINELLA e CECCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di martedì 14 luglio 2015 si è svolto a Roma presso la sede del Ministero dello sviluppo economico l'incontro tra sindacati, regioni Umbria e Marche, Invitalia e l'imprenditore Giovanni Porcarelli sull'accordo di programma e sulle relative modifiche in esso contenute in relazione alla vicenda della J.P. Industries di Fabriano;
   in seguito alla sentenza della corte di appello di Ancona del 28 aprile 2014 con la quale era stato dichiarato nullo l'atto di vendita dei due stabilimenti fabrianesi di Santa Maria e Marangone e di quello umbro di Gaifana della ex Ardo alla Newco dell'imprenditore Giuseppe Porcarelli si è cercato un accordo con le sette banche creditrici secondo le quali il prezzo di cessione stabilito dai commissari ministeriali, 13 milioni di euro, sarebbe stato troppo basso rispetto a una valutazione minima equa quattro volte superiore, attorno ai 54 milioni di euro;
   dalle notizie apprese alla stampa in seguito al summit ricordato sembrerebbe che tale accordo che servirebbe a rilanciare l'attività della JP Industries non sia stato ancora trovato;
   attualmente, inoltre, si è in attesa che la corte di Cassazione si pronunci nel prossimo autunno, mentre il 31 dicembre 2015 scadrà la cassa integrazione straordinaria per i 700 lavoratori coinvolti che, in assenza di una ripresa dell'attività produttiva, non verrà prorogata;
   il prossimo tavolo di confronto è stato fissato al Ministero dello sviluppo economico per il giorno 7 settembre 2015;
   a proposito della situazione della JP Industries sono già state depositate numerose interrogazioni (a risposta orale n. 3-00954 annunciata durante la seduta n. 265 del 16 luglio 2014 a prima firma Terzoni alla quale non è mai stata fornita risposta; interrogazione mai risposta in commissione n. 5-01114 presentato da Ciprini Tiziana il 2 ottobre 2013, seduta n. 89; interrogazione a risposta scritta n. 4-09424 presenta da Ciprini Tiziana l'11 giugno 2015, seduta n. 440). In queste interrogazioni è stato sottolineato come i fondi messi a disposizione con l'accordo di programma non sono stati investiti e non hanno creato occupazione a causa del carico burocratico previsto e dei vincoli imposti dalla legge n. 181. Inoltre si sottolinea e si ricorda come tutto fosse scaturito dall'operato dei commissari del Ministero dello sviluppo economico che secondo i giudici avrebbero travalicato «i limiti del potere discrezionale della P.A.», concedendo a Porcarelli uno sconto di quattro anni sul calcolo della redditività negativa dell'azienda (il badwill), indicato invece per legge in due anni (decreto legislativo n. 270 del 1999), nei quali chi compra deve garantire i livelli occupazionali, con conseguente sottostima del valore dell'azienda venduta ad «un quinto del valore», 12 milioni di euro invece di 54;
   il 29 gennaio del 2015, in seguito a un incontro avvenuto a Roma con il viceministro pro tempore Claudio De Vincenti, l'ex presidente della regione Marche Spacca annunciava una proroga dell'accordo di programma dal 2015 al 2017 e una sua semplificazione. Dopo quell'incontro si parlò di un accordo di programma che sarebbe stato reso più accessibile e flessibile, per favorire la presentazione di progetti imprenditoriali, non più soltanto nel settore industriale, ma anche in quello turistico e della valorizzazione ambientale;
   nello stesso incontro il viceministro aveva assicurato il mantenimento dell'attività produttiva anche nel sito umbro di Colle di Nocera e l'impegno verso le banche per una pronta ripresa produttiva;
   la rimodulazione dell'accordo di programma è stato uno dei temi affrontati proprio durante l'incontro del 14 luglio 2015 –:
   se sia a conoscenza degli elementi ulteriori inseriti nella rimodulazione dell'accordo di programma ed in che cosa consistano;
   quali iniziative intenda intraprendere per favorire l'accordo con gli istituti di credito come il Ministero si era impegnato a fare durante l'incontro del 29 gennaio 2015 al fine di scongiurare la definitiva chiusura dell'azienda. (3-01632)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SENALDI e MARANTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato con delibera del 3 aprile 2014 un procedimento nei confronti delle società Olmo Giuseppe s.p.a., Orsa Foam s.p.a., Vefer s.p.a., Pelma s.p.a., e Sitab s.p.a. per accertare l'esistenza di violazioni alla libera concorrenza;
   al termine del procedimento l'Autorità ha verificato la non infondatezza del procedimento in relazione agli elementi di valutazione acquisiti riferiti solo a due società delle cinque sopra citate: Olmo Giuseppe e Orsa Foam ritenute leader del mercato locale;
   tale decisione pare derivare dal fatto che le due società Olmo ed Orsa hanno una comune centrale d'acquisti di parte delle materie prime necessarie alla produzione di Poliuretano Espanso tramite le società compartecipate NIR e SIP, hanno messo in comune alcune produzioni e quindi che tramite le stesse società possano scambiarsi informazioni sensibili sotto il profilo antitrust;
   il mercato del Poliuretano espanso presenta una marginalità bassa ed i prezzi di mercato differiscono di pochi centesimi di euro, offrendo in larga parte al mercato prodotti praticamente identici e sostituibili, e l'andamento dei prezzi è logicamente similare come accade in moltissimi mercati di «commodities» di materie plastiche;
   inoltre, le quote di mercato attribuite alle società oggetto di sanzione, quote che dovrebbero giustificare la preponderanza sul mercato, a quanto consta agli interroganti, sono state contestate dalle società stesse, e la stessa relazione dell'Autorità segnala che i prezzi di Orsa ed Olmo sono più elevati rispetto al resto dei concorrenti che quindi hanno possibilità di insidiare il presunto controllo del mercato;
   in particolare la società controllante di ORSA Foam, Orsa s.r.l. ha aderito ad un piano di ristrutturazione del debito ex articolo 67 della legge finanziaria e rischia quindi, di essere sottoposta a procedura fallimentare, con i relativi problematici effetti occupazionali –:
   se il Governo abbia monitorato la situazione della società Orsa Foam soprattutto in relazione agli aspetti occupazionali. (5-06093)

Apposizione di firme ad un'interrogazione a risposta in Commissione e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Duranti n. 5-06079, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scotto, Costantino, Melilla, Nicchi, Pannarale, Franco Bordo, Zaccagnini e Sannicandro, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Duranti, Scotto, Marcon, Costantino, Melilla, Nicchi, Pannarale, Franco Bordo, Zaccagnini, Sannicandro, Piras, Ricciatti.».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Nicchi e Gelli n. 3-00909 del 1o luglio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09908;
   interrogazione a risposta scritta Businarolo e altri n. 4-07778 del 5 febbraio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01629;
   interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-08324 del 9 marzo 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06094.