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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 16 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    per cercare di risollevare le sorti dell'ultimo nucleo di orso bruno delle Alpi italiane, nel 1996 prende avvio mediante finanziamenti LIFE dell'Unione Europea il Progetto Ursus – tutela della popolazione di orso bruno del Brenta, noto come Life Ursus;
    l'intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promosso dal Parco naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la provincia autonoma di Trento e l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi ISPRA) – si basa su una fase preparatoria;
    lo studio di fattibilità individua la reintroduzione sul territorio quale unico metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50 individui;
    lo studio di fattibilità considera – in Trentino occidentale e in parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona – in più di 1700 chilometri quadrati le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale;
    la realizzazione del progetto vede, tra il 1999 e il 2002, il rilascio di 10 orsi provenienti dalla Slovenia, dei quali la maggior parte sembra ben adattata al nuovo territorio, tanto da registrare dal 2002 almeno 9 nascite;
   N. 1 Orso MASUN – Sesso M – Età 4-5 – Peso (Kg) 99 – Anno 1999; N. 2 Orso KIRKA – Sesso F – Età 3 – Peso (Kg) 55 – Anno 1999 – partorito due cuccioli (2002); N. 3 Orso DANIZA – Sesso F – Età 4-5 – Peso (Kg) 100 – Anno 2000 – morta; N. 4 Orso JOZE – Sesso M – Età 5-6 – Peso (Kg) 140 – Anno 2000; N. 5 Orso IRMA – Sesso F – Età 5-6 – Peso (Kg) 113 – Anno 2000 – morta sotto una valanga; N. 6 Orso JURKA – Sesso F – Età 4 – Peso (Kg) 90 – Anno 2001; N. 7 Orso VIDA – Sesso F – Età 3-4 – Peso (Kg) 70 – Anno 2001 – forse in Austria; N. 8 Orso GASPER – Sesso M – Età 3 – Peso (Kg) 105 – Anno 2002; N. 9 Orso BRENTA – Sesso F – Età 3 – Peso (Kg) 70 – Anno 2002; N. 10 Orso MAYA – Sesso F – Età 5-6 – Peso (Kg) 86 – Anno 2002 – partorito due cuccioli (2003);
    l'orsa che si aggira per i boschi del Monte Bondone (probabilmente la stessa responsabile della brutale aggressione di Cadine di qualche settimana fa) è ancora considerata pericolosa e nei suoi confronti è ancora in vigore l'ordinanza di cattura;
    in merito alla questione si è espresso anche il presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, affermando che per far fronte ai danni procurati dall'orso è importante avere la possibilità – dal punto di vista legislativo – di intervenire prontamente come avviene in Slovenia anche solo in caso di danni;
    ciò è dovuto al fatto che gli esemplari di orso attualmente localizzati in Trentino sono oggettivamente troppi in un territorio limitato ed è indispensabile un intervento per ridurne il numero;
    la presenza dell'orso sta diventando insostenibile, lo dimostrano i più recenti episodi di aggressione avvenuti il 29 maggio sulle pendici della Paganella oppure il 10 giugno a Cadine (frazione di Trento) dove un 45 enne è stato aggredito mentre camminava sulle pendici del Monte Bondone a pochi chilometri dalla città;
    in seguito a tali episodi non ha tardato a farsi sentire anche la voce dell'opinione pubblica trentina in merito all'accordo con lo stop al progetto life ursus. L'opinione pubblica si schiera a favore di una riduzione del numero degli orsi per far fronte ai pericoli che conseguono dalla presenza di tale nucleo sempre più numeroso in un territorio abitualmente frequentato da cittadini e turisti;
    da ciò emerge la volontà in primis di tener conto della sicurezza dell'essere umano, riducendo il numero di esemplari presenti nell'area montuosa, con una prosecuzione del progetto in zone meno popolate e con maggiore espansione territoriale;
    mentre la paura dilaga, numerose sono le persone che negli ultimi giorni espressamente chiedono alla politica di poter riavere indietro i loro boschi del Trentino dal momento che il numero di orsi i quali popolano l'area montuosa è incrementato in maniera sostanziale e sempre più si diffonde la paura tra le persone che hanno smesso di frequentare le aree montuose;
    ad alimentare la paura numerosi episodi di aggressioni da parte degli orsi nei confronti dell'uomo, attacchi violenti che si sono riscontrati anche all'interno del centro abitato dove l'orso si sta avvicinando sempre più;
    ciò con conseguenti danni in termini di turismo e per il settore agricolo, secondo le segnalazioni di danneggiamenti subiti da agricoltori, allevatori e pastori trentini;
    relativamente all'ambito turistico e ambientale è risaputo che in Trentino è grazie al turismo e all'agricoltura che le persone possono continuare a vivere e a lavorare nelle valli, mentre i dati parlano chiaro e gli indici di spopolamento sono in aumento, pertanto è obiettivo comune preservare e favorire tali settori di vitale importanza per l'economia e la sussistenza della regione,

impegna il Governo:

   a istituire un tavolo urgente di lavoro sul tema che permetta di ridiscutere normative e procedure d'intervento;
   a concedere l'autorizzazione per la cattura dei plantigradi fino ad una diminuzione del numero di esemplari in base alla soglia consentita, considerando i parametri di densità e ampiezza del territorio in cui si sono verificate nuove nascite, al fine di tutelare la popolazione e i flussi di turisti intenzionati a usufruire del territorio montagnoso della regione Trentino Alto-Adige senza pericoli in seno alla possibilità di attacchi da parte del suddetto nucleo di orsi;
   ad assumere iniziative normative per accordare il diritto di un dimezzamento immediato del numero degli esemplari di orso che attualmente popolano il territorio Trentino.
(1-00947) «Ottobre, Plangger, Gebhard, Schullian, Furnari, Alfreider, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese l'utilizzo di latte in polvere per la produzione di prodotti caseari è vietato dalla legge 11 aprile 1974, n. 138; il divieto in parola è di portata assai ampia e proprio la sua configurazione ha arginato (anche se non eliminato) l'enorme afflusso nel mercato nazionale di prodotti lattiero-caseari contraffatti;
    una disciplina di questo tipo ha avuto anche un ulteriore, importantissimo, effetto: si è infatti preservato un modello produttivo e degli standard qualitativi che hanno reso l'Italia un Paese leader nel settore caserario, sia a livello europeo che a livello globale;
    in altre parole, è proprio grazie a questa scelta, ormai risalente a più di quarant'anni fa, che la qualità dei formaggi prodotti nel nostro Paese è nota in tutto il mondo e costituisce la ragione principale dei notevoli livelli di esportazione nel settore;
    molte testate giornalistiche hanno recentemente riportato la notizia che la Commissione europea stia per aprire una procedura di infrazione contro l'Italia proprio a causa della legge 11 aprile 1974, n. 138, la quale costituirebbe una compressione della libertà di circolazione delle merci sul mercato europeo, e in particolare di quelle realizzate con latte in polvere;
    una simile ricostruzione dei fatti da parte della Commissione, qualora fosse riscontrata in atti, sarebbe ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto erronea ed infondata, dal momento che la legge in questione non è finalizzata alla protezione di determinati prodotti caseari italiani ma a impedire frodi alimentari – posto che un formaggio realizzato senza latte è una frode – e, cosa ancora più importante, a preservare la salubrità e la qualità degli alimenti, e dunque a tutelare la salute umana;
    dinanzi all'obbligo dello Stato di garantire la salute dei cittadini – principio fondamentale dello Stato costituzionale italiano che certo non ammette compressioni a favore dell'esercizio di mere libertà economiche – l'eventuale acquiescenza del Governo alle indicazioni che possano provenire dalla Commissione europea sarebbe secondo i firmatari del presente atto di indirizzo inaccettabile ed illegittima;
    la direzione che si sta intraprendendo in Europa in tema di qualità degli alimenti non solo è totalmente contraria agli interessi dell'Italia, ma sta portando l'idea di «mercato unico» a degli esiti paradossali e controproducenti;
    l'eventuale abolizione del divieto di utilizzo di latte in polvere nel settore caseario avrebbe inoltre notevoli conseguenze negative sulle migliaia di fattorie italiane, le quali sarebbero certamente pregiudicate dall'ingresso nel mercato di prodotti derivanti dal latte in polvere;
    rispetto ad un quadro fattuale di questo tipo è necessario un intervento deciso del Governo italiano nelle competenti sedi europee per arrestare iniziative di questo tipo, posto che la libertà di mercato non può essere intesa come una corsa al ribasso anche qualitativo: una scelta di questo tipo è illogica ed estremamente pericolosa per la cittadinanza, i consumatori e gli stessi imprenditori agricoli,

impegna il Governo:

   a intraprendere ogni opportuna iniziativa volta al mantenimento nell'ordinamento giuridico italiano della legge 11 aprile 1974, n. 138;
   a sostenere in ogni sede europea la necessità della vigenza di una simile normativa non solo in Italia ma anche nel resto dell'Unione europea, realizzando così una concorrenza tra prodotti di qualità;
   a resistere, con ogni mezzo legale, a qualsiasi iniziativa che la Commissione possa intraprendere sul punto.
   ad implementare politiche nazionali di contrasto alle frodi alimentari nel settore lattiero-caseario.
(1-00948) «Pastorelli, Di Lello, Locatelli, Labriola, Furnari, Andrea Maestri, Ottobre, Pastorino, Marguerettaz, Plangger, Gebhard, Alfreider, Rizzetto, Barbanti, Matarrelli, Fava».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 riordina l'assetto della docenza universitaria;
    in particolare il capo II disciplina anche gli aspetti riguardanti il regime di tempo pieno e tempo definito dei professori ordinari, l'aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità nonché le sanzioni in caso di inosservanza del regime delle incompatibilità;
    l'articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 dispone che il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nel caso di nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro;
    l'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 prevede che il professore che venga a trovarsi in una situazione di incompatibilità come previsto dal capoverso precedente, deve darne comunicazione, all'atto della nomina, al rettore, che adotta il provvedimento di collocamento in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio; il successivo articolo 15 del decreto precedentemente citato dispone che il professore ordinario che violi le norme sulle incompatibilità è diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità e che decorsi quindici giorni dalla diffida senza che l'incompatibilità sia cessata, il professore decade dall'ufficio;
    le norme vigenti non prevedono alcun meccanismo nel caso in cui la presunta situazione di incompatibilità non emerga;
    le norme vigenti non sono applicabili in caso di presunta situazione di incompatibilità del rettore di una università, in quanto il rettore dovrebbe diffidare se stesso a sanare l'eventuale situazione di incompatibilità e, in caso di inottemperanza, proporre al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca la dichiarazione di decadenza;
   né il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, né tantomeno la legge 30 dicembre 2010, n. 240 disciplina un meccanismo volto a far emergere eventuali casi di incompatibilità non comunicati al rettore,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative con l'obiettivo di introdurre un meccanismo volto a far emergere le eventuali situazioni di incompatibilità dei professori universitari anche attraverso l'utilizzo di un organo di controllo quale l'ANAC che debba verificare obbligatoriamente, su segnalazione di professori, studenti e personale universitario, l'eventuale situazione di incompatibilità e segnalarlo al rettore;
   ad assumere iniziative anche di carattere normativo per rendere applicabili le norme sulle incompatibilità dei professori universitari anche ai rettori delle università.
(7-00739) «Vacca, Luigi Gallo, Sibilia, D'Uva, Simone Valente, Marzana, Brescia, Di Benedetto».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 31 dicembre 2014, n.192, come convertito dalla legge febbraio 2015, n. 1 ha stabilito la proroga fino al 31 ottobre 2015 del termine fissato per l'adeguamento alla normativa antincendio delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto esistenti alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 9 aprile 1994 – che come noto ha approvato la regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere – e in possesso dei requisiti per l'ammissione al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, approvato con decreto ministeriale interno 16 marzo 2012;
    il punto 21.2 del decreto ministeriale 9 aprile 1994, con cui è stata approvata la regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere, ha previsto l'adeguamento delle attività ricettive esistenti, alle nuove disposizioni dettate dalla regola tecnica, entro otto anni «per l'adeguamento, all'interno delle camere per ospiti, dei materiali di rivestimento, dei tendaggi e dei materassi» alla prescrizioni dettate dalla regola tecnica in materia di reazione al fuoco dei materiali. Per le altre prescrizioni (ad eccezione di quelle di carattere gestionale, per le quali veniva fissato un termine di 2 anni per l'adeguamento) il termine previsto era invece il 31 dicembre 1999;
    l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 411 del 2001 ha prorogato il previsto termine di 8 anni e quello del 31 dicembre 1999 fino al 31 dicembre 2004. Tale termine è stato, poi, ulteriormente prorogato e poi differito al 31 dicembre 2013 dall'articolo 15, comma 7, del decreto-legge n. 216 del 2011. L'articolo 11 del decreto-legge n. 150 del 2013 ha prorogato tale termine al 31 dicembre 2014;
   la limitazione della proroga alle sole strutture ammesse, a domanda, al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, poi successivamente approvato con il decreto ministeriale interno 16 marzo 2012, è stata introdotta dal citato comma 7 del decreto-legge n. 216 del 2011;
    l'articolo 11 del decreto-legge n. 150 del 2013 ha precisato, nel prorogare il termine, che il possesso dei requisiti per l'ammissione al piano citato deve verificarsi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto-legge;
    il comma 8 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 216 del 2011 ha previsto l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011 (provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti) in caso di: omessa presentazione dell'istanza; mancata ammissione al piano straordinario; mancato completamento dell'adeguamento antincendio al 31 dicembre 2013;
    la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 216 del 2011 aveva all'epoca rilevato che tale adeguamento, se non sostenuto da mirati interventi, rischiava di compromettere l'esercizio di numerose attività (circa 14 mila strutture) in un settore di assoluto rilievo per il Paese;
   tale relazione ricordava, inoltre, la procedura di infrazione per il non corretto recepimento della direttiva 89/391/CE, avviata il 29 settembre 2011 dalla Commissione europea che, tra l'altro, ha censurato le proroghe che si susseguono ormai dal 2001 e che stanno procrastinando all'infinito l'applicazione delle disposizioni di sicurezza antincendio, rilevando che l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011 di semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, introducendo il sistema della SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e connesse verifiche in tempi stretti, rischiava di determinare ulteriori difficoltà nell'adeguamento antincendio con chiusura di numerosissime attività. Di qui la necessità di pervenire ad una soluzione «ponte», individuata nel piano straordinario, che accompagnasse, con la gradualità necessaria, le strutture verso il vigente regime di semplificazione antincendio per tutti gli adempimenti relativi ai successivi rinnovi e alle verifiche periodiche;
    successivamente, l'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n. 150 del 2013 ha previsto l'emanazione, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto-legge, di un decreto ministeriale interno finalizzato all'aggiornamento e alla semplificazione (in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a 50 posti letto) delle disposizioni della regola tecnica approvata con decreto ministeriale 9 aprile 1994 che, pur tuttavia ad oggi non risulta ancora emanato, giustificando la proroga in esame alla luce del fatto che l'emanazione di tale decreto sarebbe stata preventivabile per i primi mesi del 2015;
    quello della prevenzione incendi rappresenta un tema di particolare importanza e complessità che coinvolge non solo la sicurezza dei clienti delle strutture turistiche, ma anche di tutti gli operatori che vi svolgono la loro attività;
    occorre trovare al più presto una soluzione concretamente percorribile in modo da risolvere l'annosa problematica dell'adeguamento alle disposizioni antincendio che si protrae da oltre 20 anni;
    le proroghe succedutesi in questi ultimi anni non hanno consentito un'efficace programmazione degli investimenti e degli interventi, considerato che gli oneri per l'adeguamento sono molto rilevanti, in particolare per le piccole attività. Inoltre, la realizzazione dei dispositivi antincendio nelle strutture situate nei centri storici spesso contrasta con la normativa per la tutela dei beni artistici e architettonici, risultando di fatto impossibile ottenere i relativi permessi;
    occorre, quindi, individuare soluzioni che non penalizzino ulteriormente il settore turistico, già gravemente colpito dalla pesante crisi economica in atto;
    l'attuale situazione deriva dal fatto che l'Italia, a suo tempo, ha recepito in toto la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti, di per sé non cogente, senza porsi il problema delle effettive modalità di applicazione;
    molti altri Paesi hanno recepito la medesima raccomandazione solo per le nuove strutture, permettendo a quelle esistenti di adeguarsi solo in occasione di ristrutturazioni, modifiche o ampliamenti che sono periodicamente necessari;
    la normativa italiana non ha peraltro tenuto conto dell'intrinseca sicurezza della stragrande maggioranza dei nostri alberghi, i quali, diversamente da quelli di molti. Paesi europei, dove il problema è sicuramente maggiore e più impellente, sono realizzati in muratura e non in legno e non fanno largo uso di moquette o simili;
    da quanto premesso si deduce che il decreto ministeriale 9 aprile 1994, da un lato, ha stabilito obiettivi troppo ambiziosi e difficilmente attuabili, tanto da essere successivamente modificato per gli alberghi esistenti con il decreto ministeriale 6 ottobre 2003, dall'altro, non ha previsto norme transitorie, facendo tabula-rasa delle situazioni preesistenti, al punto che, anche gli adeguamenti effettuati dalle strutture in regola in base alla previgente legislazione, sono stati annullati;
    le proroghe che si sono succedute, in conseguenza di tale situazione, sono state sempre troppo brevi, al massimo due o tre anni, o di anno in anno, e non hanno consentito una effettiva programmazione degli investimenti e degli interventi, considerando che gli interventi di adeguamento implicano altre autorizzazioni che hanno tempistiche a loro volta molto lunghe e, in alcuni casi, possono contrastare con le stesse scadenze delle normative antincendio;
    in Europa l'applicazione della raccomandazione che in Italia ha portato all'emanazione del decreto ministeriale 9 aprile 1994, è stata, quasi ovunque più cauta, secondo la relazione della Commissione sull'applicazione della raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti (86/666/CEE) del 2001 nella quale sono state analizzate, a livello europeo, le modalità di applicazione dei vari stati della raccomandazione e gli interventi da attuare ai fini di una effettiva sicurezza antincendio delle strutture alberghiere;
    dalla predetta relazione si evince che: numerosi stati membri (Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Finlandia, Regno Unito, Lussemburgo e Paesi Bassi) hanno scelto di limitare l'applicazione delle disposizioni della raccomandazione agli alberghi di nuova costruzione o al momento dell'esecuzione di lavori di risistemazione, di modifica o di ampliamento dei vecchi alberghi;
    la Commissione ritiene che le specificità del settore (complessità, varietà delle situazioni e dei contesti regolamentari nazionali) che avevano motivato la scelta di una raccomandazione come strumento giuridico, giustifichino il mantenimento di un approccio flessibile. Un'armonizzazione rigida delle prescrizioni tecniche applicabili in tutti gli alberghi esistenti nella comunità non rappresenterebbe evidentemente una soluzione realizzabile;
    infine, la stessa Unione europea si è posta il problema della disapplicazione della propria raccomandazione per gli alberghi esistenti ed ha incaricato l'HOTREC – associazione che rappresenta gli alberghi, i ristoranti e i bar europei – di sviluppare «linee guida» più flessibili che consentano, con interventi differenziati a seconda delle caratteristiche dell'albergo, di raggiungere il medesimo livello di sicurezza;
    recentissimamente Assohotel-Confesercenti ha lanciato un allarme relativo al termine di completamento dei lavori di adeguamento antincendio per gli alberghi fissato dal comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 al 31 ottobre 2015;
    detta scadenza sembrerebbe mettere a in serio rischio la sopravvivenza di oltre 10.000 imprese alberghiere italiane, nonostante ad oggi non sia ancora stata data attuazione ai provvedimenti che prevedevano la semplificazione dei requisiti, in particolare per le strutture ricettive turistico alberghiere fino a cinquanta posti letto;
    ad avviso di Assohotel-Confesercenti ad oggi, pur rimanendo fermi i termini di adeguamento, invece di provvedere all'effettiva semplificazione dei requisiti (e quindi alla riduzione degli oneri di adeguamento connessi) è stata unicamente predisposta una bozza di normativa, per gli alberghi esistenti da 26 a 50 posti letto che, lasciando ancora un grandissimo divario nei confronti degli alberghi fino a 25 posti letto, non aggiorna le disposizioni antincendio con la «particolare semplificazione» richiesta. La circostanza che migliaia di albergatori non siano ancora riusciti ad adeguare le proprie attività alle disposizioni del decreto ministeriale 9 aprile 1994 e rende inevitabilmente palese quanto questa norma antincendio fosse, per gli alberghi esistenti, sbagliata e non sostanzialmente attuabile. Oltretutto, non è possibile sapere quale sia la situazione statistica in merito all'adeguamento degli alberghi esistenti in quanto le richieste specifiche, dai pochi dati pubblici disponibili, risalenti al 19 ottobre 2013, risulta che:
     1) le strutture alberghiere (nuove ed esistenti) conformi alle disposizioni del decreto ministeriale 9 aprile 1994 erano circa il 17,0 per cento di quelli totali (e, quindi, l'83,0 per cento del totale degli alberghi non risulta ancora adeguato completamente);
     2) gli alberghi in regola ai fini dell'esercizio risultavano circa il 54,1 per cento di quelli totali;
     3) gli alberghi che non risultavano in alcun modo in regola, ovvero che non avevano neppure presentato domanda di ammissione al piano straordinario di adeguamento risultavano circa l'11,8 per cento di quelli totali;
    inoltre, le statistiche dei vigili del fuoco, mostrano che, nel periodo 1999-2008, la mortalità per incendio negli alberghi italiani è mediamente pari ad una persona ogni miliardo di presenze: valore questo che risulterebbe nettamente inferiore alla frequenza di uno su un milione che, in Paesi evoluti come l'Olanda, la Spagna, la Francia e la Germania è considerata la soglia di accettabilità. Ma nonostante gli studi dei vigili del fuoco mostrino che non è necessario ridurre il rischio d'incendio per gli alberghi esistenti perché risultano già praticamente sicuri, si impone ugualmente di sostenere costi per interventi che non sono giustificati dai benefici in termini di sicurezza che ne scaturirebbero. Nonostante la Commissione europea abbia annunciato l'intenzione di rivedere la raccomandazione europea del 1986 sulla sicurezza antincendio negli alberghi – sempre secondo Assohotel-Confesercenti – viceversa, in Italia, in questo periodo di stagnazione economica, si continua ad imporre agli alberghi esistenti la realizzazione di lavori che potrebbero risultare inutili, senza verificare se tali interventi siano effettivamente necessari e, soprattutto, senza cercare di capire quali siano le ragioni per le quali dopo oltre vent'anni dall'emanazione del decreto ministeriale 9 aprile 1994 e le modifiche del decreto ministeriale 6 ottobre 2003, una percentuale ancora elevata di albergatori non sia ancora riuscita ad adeguarsi alle sue disposizioni,

impegna il Governo:

   a promuovere con urgenza la costituzione di un tavolo di confronto composto dalle rappresentanze di tutte le parti interessate finalizzato ad affrontare in modo finalmente complessivo e risolutivo tutte le annose problematiche relative alla prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere descritte dal presente atto di indirizzo;
   a porre in essere presso le competenti sedi europee ogni atto di competenza volto ad inserire nell'ambito di una nuova raccomandazione, disposizioni più particolareggiate, adeguate e concrete, nei casi di alberghi esistenti qualora non fossero applicabili gli orientamenti della raccomandazione 86/666/CEE;
   ad assumere iniziative normative per introdurre, se del caso con l'intesa e la partecipazione delle regioni interessate, a favore dei gestori delle strutture ricettive interessate, agevolazioni o sistemi di incentivazione volti a facilitare, ove realmente opportuno e necessario, le operazioni di adeguamento alle norme di prevenzione incendi.
(7-00740) «Ricciatti, Ferrara, Scotto, Zaratti, Pellegrino, Quaranta, Airaudo, Placido, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Zaccagnini, Sannicandro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, D'UVA, BRESCIA e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 7 aprile 2014, n. 58 recante le misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico prevedeva, all'articolo 1 comma 2-ter, di bandire entro il 31 dicembre 2014 la prima tornata del corso-concorso nazionale per il reclutamento dei dirigenti scolastici per la copertura delle vacanze di organico delle regioni per le quali si era esaurita la graduatoria di riferimento;
   l'articolo 6, comma 6, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 prorogava il termine entro cui bandire il corso concorso per i dirigenti scolastici al 31 marzo 2015;
   l'articolo 17, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 novellava l'articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 al fine di garantire continuità e uniformità a livello nazionale al reclutamento dei dirigenti scolastici, eliminando la modalità del corso concorso ai fini della selezione dei dirigenti su base regionale e introducendo il corso concorso selettivo di formazione e bandito dalla Scuola nazionale dell'amministrazione;
   la legge cosiddetta «buona scuola» appena approvata dal Parlamento prevede che a decorrere dall'anno scolastico 2016/2017, per la copertura dei posti dell'istituzione scolastica, il dirigente scolastico propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento;
   secondo un articolo di stampa del Sole 24 ore del 15 luglio 2015 gli istituti scolastici che il prossimo anno avranno bisogno di un dirigente «reggente», perché senza il dirigente titolare, sono oltre 1700 su un totale di 8123 scuole autonome e 385 scuole sottodimensionate;
   l'ultimo concorso per dirigenti scolastici della Lombardia è stato annullato da un giudizio del TAR. Di conseguenza la sentenza conduce gli istituti scolastici della regione ad una situazione di emergenza in quanto molti di questi istituti non avranno un dirigente di ruolo;
   in Campania l'ufficio scolastico regionale ha bloccato 206 immissioni in ruolo di dirigenti scolastici a causa delle controversie giudiziarie;
   ad avviso dell'interrogante è alquanto rilevante, anche alla luce dei meccanismi di individuazione dell'organico delle autonomie degli istituti scolastici, sia in termini di numerosità dei docenti necessari, sia nella scelta del docente stesso, introdotti recentemente per via legislativa, che almeno un quinto degli istituti scolastici saranno gestiti da dirigenti reggenti, e quindi con incarichi provvisori;
   in un contesto in cui il ruolo del dirigente scolastico è provvisorio come nelle reggenze, è anche possibile ipotizzare uno scenario in cui un dirigente scolastico tenda a favorire l'istituto in cui è di ruolo rispetto alle reggenze;
   ad avviso dell'interrogante nelle regioni in cui si registra una insufficienza numerica di dirigenti scolastici, come la Campania e la Lombardia, si rischia un esito disastroso nell'applicazione della «buona scuola» che non ha tenuto conto né della situazione reale delle reggenze, né del fatto che la legge di stabilità del 2015 ha previsto l'abolizione dell'esonero dall'insegnamento dei vicari dei dirigenti, e quindi, di fatto, ha sottratto una preziosa collaborazione ai dirigenti scolastici reggenti di più istituti scolastici –:
   per quale motivo non sia stato ancora bandito il corso concorso per dirigenti scolastici, nonostante la scadenza prevista dal decreto-legge 7 aprile 2014, n. 58;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per assicurare la copertura delle dirigenze vacanti anche in considerazione del contenzioso di cui alle premesse. (5-06071)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, PAGLIA e PAGANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'incrocio stradale fra la strada statale 16 Adriatica e la Ravegnana nel territorio del comune di Ravenna è teatro di gravi sinistri, anche mortali;
   l'ultimo sinistro in ordine di tempo si è verificato in data 14 luglio 2015 e ha visto 9 feriti (di cui 4 bambini) e 3 mezzi coinvolti;
   la frequente sinistrosità, nota agli enti preposti alla gestione del tratto stradale interessato, è certamente imputabile a condotte di guida imprudenti e contrarie alle norme del codice della strada ma soprattutto alla conclamata inadeguatezza strutturale ed oggettiva pericolosità dell'incrocio;
   gli interventi di messa in sicurezza di cui da anni si discute sono ritardati da pastoie burocratiche e asserita carenza di risorse;
   la sicurezza degli utenti della strada merita seria considerazione e non è più rinviabile un intervento strutturale risolutivo –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione denunciata e dei gravissimi tassi di incidentalità e di mortalità di detto incrocio;
   quali interventi di competenza il Governo intenda adottare e finanziare, con la massima urgenza e con indicazioni di responsabilità, tempi e modalità degli interventi medesimi. (4-09852)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dei numerosi incontri svolti a Bruxelles, nelle scorse settimane e anche nella presente, per definire il quadro delle nuove misure finanziarie nei confronti della Grecia, la Commissione europea, secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano: «la Stampa» lo scorso 15 luglio, è intervenuta nuovamente nei confronti dell'Italia, sollecitando, una più celere introduzione d'interventi per la revisione della spesa pubblica, da compensare con una maggiore flessibilità dei parametri europei sulla contrattazione;
   al riguardo, riporta il medesimo articolo, nel documento elaborato in ambito comunitario, l'impegno rivolto ad assicurare che le misure sulla spending review, siano parte integrante della politica di bilancio, è dettato dal fatto che l'assenza di tali interventi, nel corso degli ultimi anni, ha inciso negativamente sulla generale efficienza a lungo termine dell'esercizio della spesa;
   gli effetti di tale carenza di misure, ha reso conseguentemente più difficile conseguire, un aggiustamento verso obiettivo a medio termine pari ad almeno lo 0,25 per cento del pil nel 2015 e allo 0,1 del pil nel 2016;
   l'interrogante a tal fine evidenzia come, sebbene definita più volte prioritaria, in particolare nel corso degli ultimi anni, la revisione della spesa pubblica nel nostro Paese, non ha prodotto risultati commisurati alle promesse;
   le valutazioni delle proposte di revisione della spesa pubblica in Italia elaborate negli ultimi anni dall'ex commissario straordinario Carlo Cottarelli, a cui sono seguite quelle tutt'ora poco chiare, anche del nuovo commissario per la revisione della spesa, Yoram Gutgeld, su quali siano i settori dell'attività pubblica su cui è possibile intervenire per realizzare risparmi di spesa, non sembrano a giudizio dell'interrogante, perseguire una direzione favorevole, in grado di coincidere con le richieste d'intervento della Commissione europea al nostro Paese;
   per scongiurare l'aumento dell'IVA nel 2016 e ridurre la pressione fiscale negli anni successivi, è necessario a parere dell'interrogante, cogliere l'obbiettivo della revisione qualificata della spesa, le cui decisioni effettive, si sono rivelate un insuccesso –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento all'azione di politica economica e finanziaria, che nei prossimi mesi il Governo, anche in sede d'esame di sessione di bilancio, dovrà prevedere;
   se il Governo intenda confermare, alla luce degli ultimi indicatori economici, che evidenziano l'ulteriore aumento del debito pubblico e delle misure adottate in sede internazionale nei riguardi della Grecia, (che rischiano anche se in parte di ripercuotersi negativamente sull'Italia), la volontà di attuare il processo di revisione della spesa nelle aree di intervento delineate nel DEF dello scorso aprile.
(4-09853)


   BARBANTI e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è fatto notorio che il settore sanitario della regione Calabria è commissariato dal 2010 e tra gli obiettivi che il Governo ha assegnato al commissario Massimo Scura e al sub commissario Andrea Urbani c’è la «Definizione dei contratti con gli erogatori privati accreditati e dei tetti di spesa delle relative prestazioni»;
   il 6 luglio 2015, è stato emanato il decreto commissariale n. 80 del 2015 con il quale, pur mantenendo invariato il saldo del capitolo di bilancio pari a 189 milioni di euro, riassegna la parte del fondo precedentemente erogato alla fondazione Campanella;
   l'importo in questione è pari a circa 10 milioni di euro, fondi che dovrebbero essere utilizzati, come disposto da decreto, per garantire il miglior funzionamento di tutti gli enti che erogano prestazioni per il servizio sanitario nazionale e che la struttura commissariale dovrebbe utilizzare dando priorità dell'utilizzo che garantisca la possibilità di fornire maggiori e migliori prestazioni ai Drg (raggruppamenti omogenei di diagnosi) caratterizzati da forte mobilità passiva dei pazienti, con i conseguenti disagi e aumento dei costi di cura per gli stessi;
   dalla comparazione del budget assegna o alle singole strutture accreditate con il decreto n. 80 del 2015 rispetto al budget 2014 e con la prestazioni e attività effettivamente fornite nel 2014, emerge che il criterio adottato appare diametralmente opposto a quello stabilito nel decreto citato infatti sono state premiate con finanziamenti alcune strutture che non erogano prestazioni a forte impatto sulla mobilità passiva; 
   vi è poi da rilevare il fatto che nel decreto sopra citato la struttura commissariale non ha reso noto i criteri utilizzati per l'erogazione dei fondi quindi, ad avviso degli interroganti, c’è il fondato sospetto che i criteri utilizzati non siano coincidenti coi criteri di trasparenza ma al contrario a quelli di opacità e soprattutto siano stati improntati a quello della discrezionalità;
   si segnala altresì che il budget per le strutture dell'Asp di Cosenza è stato incrementato di 6 milioni di euro, e fonti di stampa hanno reso noto che il 3 luglio sono state convocate tutte le strutture sanitarie della provincia di Cosenza per un incontro tenutosi il 6 luglio alle ore 11 presso la sede dell'Asp stessa al fine di stabilire l'ottimale allocazione delle risorse rispetto alle finalità previste nel decreto. Durante l'incontro non sono stati in alcun modo illustrati i criteri che sarebbero stati adottati per l'utilizzo dei fondi pubblici. Nonostante ciò, il giorno stesso la struttura commissariale ha proceduto a firmare il decreto nel quale sono indicate le strutture sanitarie beneficiarie di fondi pubblici e pubblicarlo, circostanza che fa supporre che i budget erano stati già definiti ben prima dell'incontro con le strutture sanitarie competenti. A nostro avviso risulta evidente che la riunione sia stata meramente formale poiché era stato di già deciso modalità e beneficiari dei fondi del budget 2015 da assegnare;
   si rileva da fonti di stampa che il 33 per cento della quota già assegnata alla fondazione Campanella oggi in liquidazione, pari a un valore di 10 milioni di euro, sia stata distolta dalla disponibilità della stessa fondazione per essere assegnata, senza alcun confronto preventivo con gli organi politici della regione e senza dare alcuna motivazione a sostegno della decisione presa unilateralmente dal commissario ad acta, a due strutture sanitarie private di Cosenza in evidenti e note difficoltà economiche, le case di cura, «Sacro Cuore» e «madonna della Catena» che fanno tutte capo al gruppo «iGreco» di Cariati;
   in seguito ai fatti descritti, il presidente della regione Mario Oliverio ha chiesto al commissario per il piano di rientro di sospendere gli effetti scaturenti dal decreto e dare avvio ad una nuova istruttoria per l'emanazione di un decreto sostitutivo. Il commissario ha ritenuto inopportuno quanto richiesto da Oliverio dichiarando di voler proseguire nella sua azione;
   si segnala che, in un caso analogo, il Consiglio di Stato con sentenza n. 870 del 2014 ha censurato l'azienda sanitaria di Bari la quale, assegnando il budget seguendo un criterio meramente storico ha attribuito una ulteriore quota ad una sola struttura accreditata. I giudici hanno chiarito che è necessario, nel caso di assegnazione di fondi pubblici, seguire il principio di trasparenza rendendo noti i criteri adottati per l'assegnazione delle risorse, in modo che venga evitata l'alterazione del principio di concorrenza tra imprese e venga reso possibile il fatto che le prestazioni in precedenza erogate dall'azienda avvantaggiata possono essere fornite da altre strutture del territorio, siano esse pubbliche o private convenzionate col servizio sanitario nazionale –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi e soprattutto urgenti intendono porre in essere al fine di scongiurare il ripetersi di simili fatti e per evitare l'instaurarsi di un contenzioso tra la regione Calabria e le case di cura potenzialmente in grado di beneficiare dei fondi stessi in cambio dell'erogazione del servizio e far sì che in Calabria si adottino provvedimenti da parte del commissario di governo improntati al rispetto del principio di trasparenza. (4-09861)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Tirreno Power è uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia; è presente con 20 centrali di cui 3 termoelettriche (tra le quali Vado Ligure), e 17 centrali elettriche;
   tra il 2000 e il 2007, secondo la procura della Repubblica di Savona, circa quattrocento persone residenti nell’«area di ricaduta» della centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano sarebbero decedute per gli effetti delle emissioni in atmosfera dei gruppi a carbone che alimentano la centrale stessa;
   secondo il procuratore ci sarebbero stati anche «tra i 1.700 e i 2.000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini sarebbero ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012»;
   sull'attività di Tirreno Power sono aperti da tempo due filoni d'inchiesta da parte della procura, uno per disastro ambientale e l'altro per omicidio colposo. Per il primo filone sono arrivate anche le dimissioni dell'ex direttore generale della centrale di Vado Ligure, chiamato a rispondere sulle emissioni degli impianti e indagato per disastro ambientale;
   l'11 marzo 2014 il gip di Savona ha disposto il sequestro di due gruppi a carbone della centrale di Vado Ligure, per il superamento alcuni limiti di emissioni imposti dall'autorizzazione integrata ambientale;
   da quanto riportato su un articolo di Ferruccio Sansa de il Fatto Quotidiano, del 15 luglio 2015, le registrazioni degli investigatori «dimostrano come la pubblica amministrazione con particolare riferimento all'allora Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, si adoperi per suggerire la strada a Tirreno Power per aggirare la prescrizione che impone la copertura del carbone. De Vincenti secondo gli investigatori avrebbe ipotizzato di chiedere al Csm un'azione disciplinare contro il pm Francantonio Granero.». E per proseguire «le frasi dei dirigenti dei Ministeri sono rivelatrici: Se si volesse fare una cosa pulita. Questa pulita non potrà mai essere meno sporca...» e ancora «Abbiamo una porcata da fare in trenta minuti, scritta da loro, dallo sviluppo economico [...] Mi sputerei in faccia da solo». Fino ad un riferimento forse all'ILVA: «stiamo scrivendo un'altra norma porcata... c'ho un conato»;
   sul quotidiano La Stampa, del 15 luglio 2015, a firma di Marco Grasso e Marco Menduni così viene riportata la vicenda: «la macchinazione per costruire una norma ad hoc che contenga un'interpretazione di più favorevole a Tirreno Power, coinvolge i più alti livelli e nell'inchiesta dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Genova si citano spesso (anche se non appaiono mai direttamente) due membri del Governo. Il primo è Claudio De Vincenti (PD), ex viceministro dello sviluppo economico, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che secondo i militari si adopera per suggerire la strada a Tirreno Power per aggirare le prescrizioni ambientali, e vorrebbe un'ispezione del Csm per bloccare il titolare delle indagini, il procuratore di Savona Francantonio Granero. Il secondo è il suo ex superiore, Federica Guidi, nel cui ufficio riceverebbe l'ex Guardasigilli Paola Severino, avvocato difensore della Tirreno Power. Tema del summit, per gli inquirenti, sarebbe proprio il piccolo “Porcellum”»;
   dalle intercettazioni ambientali di due alti funzionari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Giuseppe Lo Presti, dipendente della divisione per il rilascio dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) e Antonio Milillo emerge il dissenso e il disgusto per la predisposizione di una norma volta a «stressare il sistema»;
   continuando, dall'intercettazione risulta che «l'avvocato Paola Severino abbia a questo proposito un incontro con il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi»;
   da quanto appreso dal quotidiano la Repubblica, del 15 luglio 2015, si evince che l'ex presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, abbia operato per «delegittimare la consulenza tecnica epidemiologica ambientale». Precisamente «il 18 giugno del 2014 Minervini», direttore del dipartimento ambiente regionale «chiama Franco Merlo, biologo dell'istituto nazionali tumori di Genova. Merlo: ...Ti manderemo qualcosa... ma poi insomma ti organizzi... la metti insieme in un documento unico o ciascuno ? Minervini: Si e la firmo io in un verbale... che noi abbiamo fatto una cosa che era... diciamo così, che seguiva gli schemi scientifici» –:
   se il Governo, in virtù di quanto esposto in premessa, specie in relazione agli ultimi gravi avvenimenti che hanno interessato le figure del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, considerato che le intercettazioni sembrano, secondo gli interroganti, confermare il tentativo di «aggirare le prescrizioni ambientali» a vantaggio della Tirreno Power, non ritenga opportuno avviare una valutazione in merito all'effettive responsabilità dei membri del Governo coinvolti nelle vicende riportate a mezzo stampa;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda adoperarsi per un'analisi della produzione energetica mediante centrali a carbone avviando il nostro Paese al superamento di tale tecnologia inquinante, inutile e dannosa per la salute e per l'ambiente. (4-09871)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dai quotidiani e specificamente da la Repubblica del 15 giugno 2015 «Lo avevano soprannominato “il quasi eminenza” per le sue amicizie in Vaticano. Vero: manager della Regione, ma soprattutto, vice presidente dell'ospedale della Curia, il Galliera, messo lì dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a cui era legatissimo. Poi lo scandalo Mensopoli, l'assoluzione in Cassazione. Ma i guai per lui non finiscono. Giuseppe Profiti, ex presidente dell'ospedale Bambin Gesù di Roma, compare tra gli indagati per il concorso alla bancarotta della Casa Divina Provvidenza di Bisceglie, un crac da 500 milioni che ha portato all'arresto di dieci persone e alla richiesta dei domiciliari per il senatore Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama (...). Nell'ordinanza di custodia, si parla di “ambiziosi e sotterranei fini di riconquista dell'Ente commissariato”. La figura di Profiti emerge dopo la nomina voluta dal vescovo di Molfetta, Luigi Martella, commissario episcopale scelto dalla Santa Sede. Nelle conversazioni con un suo collaboratore, Profiti paragona la Casa a un territorio di conquista. “Dopo quarant'anni di possesso, insomma, della collina da parte dei vietnamiti, l'abbiamo liberata. Questa è la nostra piantina. Poi che cosa farci di questa collina, non si sa”. Aggiunge di doversi porre al livello tra il commissario straordinario, il vescovo e il direttore generale, voluto da Azzollini, per coprirsi “anche a destra”. Profiti vuole un “bilanciamento politico” e si muove quindi per orientare la scelta dei commissari»;
   Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera del 22 giugno 2015 rende noto in un pezzo titolato «Il manager e il sottosegretario del PD, saldatura per orientare le nomine» che «Per riuscire a imporre uomini di fiducia nella gestione della Congregazione della Divina Provvidenza, Giuseppe Profiti cercò appoggi in svariati partiti. E si rivolse anche all'allora viceministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, il politico del Pd che qualche mese fa ha preso il posto di Graziano Delrio come sottosegretario a Palazzo Chigi. Gli atti dell'inchiesta sulla gestione delle cliniche vaticane in Puglia rivelano la rete che gli uomini fedeli al senatore Antonio Azzollini hanno cercato di tessere per garantirsi il controllo totale delle strutture sanitarie. Un obiettivo del quale avevano informato anche le gerarchie ecclesiastiche – in particolare il cardinale Giuseppe Versaldi e l'ex segretario di Stato Tarcisio Bertone – evidenziando la capacità di poter dirottare i finanziamenti pubblici. Un comportamento vietato dalla legge e infatti il reato ipotizzato è il peculato (...) Molto attivo risulta Profiti, presidente del consiglio d'amministrazione del Bambin Gesù e delegato dal vescovo di Molfetta Monsignor Luigi Martella a occuparsi del dissesto finanziario della Congregazione. Il suo obiettivo appare chiaro: affiancare al commissario nominato per la gestione e risultato vicino al parlamentare del Pd Francesco Boccia, «persone di fiducia». Il 5 dicembre 2013 parla con il collaboratore Mauro Pantaleo, lo informa del fatto che sta andando al Senato da Azzollini e poi discute con lui le ulteriori mosse. Profiti: «Ehi, dimmi. Ero con De Vincenti al telefono. Domani mattina alle nove...». Pantaleo: «Come ? Ah no, vabbé. Ok, grazie. No, ti volevo dire, nell'istanza di amministrazione straordinaria stiamo mettendo, ti volevo chiedere soltanto un'ultima conferma, la frase relativa al Bambin Gesù, cioè nel senso... La frase relativa alla possibile partnership col Bambin Gesù, previa verifica della volontà dei commissari e previa verifica di gradimento da parte del Bambin Gesù del piano che verrà presentato eventualmente. Questo ti va bene ? O la vuoi togliere ?». Profiti: «No, a me va bene. A me può andar bene». «Metti due persone» Tre mesi dopo, il problema non è evidentemente risolto. Annotano gli investigatori della Guardia di Finanza: «Profili parla con Vito Cozzoli, fresco di nomina a capogabinetto del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Profiti spiega la necessità di inserire due persone di sua fiducia, uomini «Bambin Gesù», da affiancare al commissario straordinario e sollecita il suo interlocutore a sensibilizzare in tal senso anche il neo viceministro De Vincenti. I due fanno chiaro riferimento al fatto che vi erano due parlamentari, entrambi presidenti di Commissione di provenienza geografica pugliese, i quali guardano all'Ente con pari interesse, riferendosi al senatore Azzollini e all'onorevole Boccia». Sarebbe stato proprio quest'ultimo a suggerire a Profiti di parlare con Simonetta Moleti, «vice capogabinetto allo Sviluppo economico, stretta collaboratrice di De Vincenti». I magistrati evidenziano come «De Vincenti, sottosegretario anche nel governo guidato da Enrico Letta, era già stato contattato direttamente dallo stesso Profiti per orientare la nomina a commissario straordinario di Gianpaolo Grippa, suo uomo di fiducia, in sostituzione di Mauro Pantaleo». Tentativo che però non è evidentemente andato a buon fine, visto che alla fine ha prevalso il commissario indicato da Boccia»;
   un Sottosegretario al pari di un Ministro è tenuto in maniera rigorosa ad attenersi al principio della neutralità della pubblica amministrazione; tali comportamenti si applicano naturalmente anche alle strutture, apicali e non, dei gabinetti ministeriali –:
   quanti accessi/passi negli ultimi 5 anni ci siano eventualmente stati per Profiti presso il Ministero dello sviluppo economico per conferire col vice Ministro ovvero con membri del gabinetto o dirigenti generali;
   se e a quale titolo il Vice Ministro pro tempore de Vincenti, venendo meno al principio di neutralità, attuasse delle strategie atte a nominare persone vicine al Profiti e comunque ascoltasse con interesse e ricevesse le sollecitazioni a favore di nominativi per candidati a commissario per la gestione della Divina Provvidenza, in una vicenda che, ad avviso degli interroganti, assume anche i toni di una guerra contro esponenti dello stesso partito del de Vincenti;
   a quale titolo Simonetta Moleti, vice capogabinetto allo sviluppo economico, venendo meno al principio di neutralità, attuasse delle strategie atte a nominare persone vicine al Profiti, persona tra l'altro esterna alla pubblica amministrazione della Repubblica italiana, comunque ricevesse con interesse le sollecitazioni a favore di nominativi per candidati a commissario per la gestione della Divina Provvidenza. (4-09872)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'OTTAVIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge brasiliana prevede che le imprese condannate per corruzione non possano più partecipare ad appalti pubblici per cinque anni; si è aperta una grande possibilità per le aziende italiane specializzate nei settori petrolifero, delle infrastrutture, dei porti e aeroporti che sono stati recentemente privatizzati, oltre che in quella della costruzione di strade, ferrovie, dighe, ospedali, scuole, case popolari e altro;
   poche settimane sono passate dall'incontro tra il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e la Presidente del Brasile Dilma Rousseff –:
   quali informazioni le strutture italiane di rappresentanza in Brasile, quali ambasciata, consolati, ICE, abbiano o stiano fornendo al Governo e alle strutture di rappresentanza degli imprenditori italiani;
   quale tipo di assistenza e di informazione venga data alle imprese italiane che intendono partecipare alla realizzazione delle opere sopra dette. (4-09854)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'agosto 2006, Terna Rete Italia spa ha avviato le procedure autorizzative per la realizzazione di una nuova linea elettrica a 150kV nella zona settentrionale della Sardegna, denominata «Tempio-Buddusò» che insisterà su gran parte del territorio del comune di Berchidda e dei comuni limitrofi di Calangianus, Alà dei Sardi e Buddusò (nella provincia di Olbia Tempio). Tale linea elettrica sarà parte di un più articolato e complesso progetto che prevede una seconda linea, sempre a 150kV, denominata «Santa Teresa-Tempio»;
   nel dettaglio, le opere previste nel quadro progettuale di Terna consisteranno in:
    a) una nuova linea elettrica 150kV denominata «S. Teresa-Tempio» (provincia Olbia – Tempio Comuni di: Santa Teresa – Aglientu – Luogosanto – Luras – Tempio Pausania);
    b) una nuova linea elettrica 150kV denominata «Tempio-Buddusò (provincia Olbia – Tempio comuni di: Calangianus – Berchidda – Alà dei Sardi – Buddusò;
    c) una nuova stazione elettrica 150kV di smistamento denominata S/E TEMPIO, in adiacenza alla esistente CP Tempio, comprensiva dei relativi raccordi alla Rete AT esistente (provincia Olbia-Tempio – comune di Tempio Pausania);
    d) una nuova stazione elettrica 150kV di smistamento, denominata S/E BUDDUSÒ, nelle vicinanze della esistente CP Buddusò, comprensiva dei relativi raccordi alla Rete AT esistente (provincia Olbia – Tempio comune di Buddusò;
   le altre caratteristiche tecniche principali dei collegamenti sono:
    tipologia elettrodotto: elettrodotto aereo in semplice terna e parte in cavo interrato;
    lunghezza del tracciato: 95 chilometri (di cui 90 chilometri in aereo e 5 chilometri in cavo);
    tensione nominale: 150kV in corrente alternata;
    frequenza nominale: 50Hz;
    corrente nominale: 870A (corrente in servizio normale definita dalla norma CEI 11-60 per il periodo freddo);
    potenza nominale: 226 MVA;
    tipologia conduttore: alluminio acciaio diam. 31,5 mm;
    tipologia del cavo: n. 3 cavi A.T. unipolari in alluminio, isolati con polietilene reticolato XLPE di 1600 mmq di sezione;
    tipologia Stazioni Elettriche: n. 2 stazioni di smistamento in «aria» e in doppia sbarra AT;
    tensione nominale: 150kV in corrente alternata;
    frequenza nominale: 50Hz;
    numero stalli AT: 7 per la SE Tempio e 11 per la SE Buddusò;
    potere di interruzione interruttori: 31,5 kA;
   le procedure relative all'individuazione del tracciato sono iniziate il 2 agosto 2006 e sono proseguite per anni, fino alla scelta definitiva della «fascia di fattibilità», nell'ambito dell'ultimo tavolo tecnico di coordinamento regionale tra i comuni coinvolti e Terna S.p.a. tenutosi il 12 settembre 2012;
   il 3 novembre 2013 è stata presentata agli enti competenti un'istanza di autorizzazione alla realizzazione degli interventi previsti, contenente la comunicazione di avvio del procedimento. Al comune di Berchidda veniva anche comunicato di sospendere ogni determinazione amministrativa per un periodo di tre anni relativa alle domande di permesso a costruire nelle aree potenzialmente impegnate dai futuri impianti;
   il 4 aprile 2015 Terna ha diramato l'avviso pubblico per la richiesta di autorizzazione alla costruzione e pronuncia di compatibilità ambientale, con conseguente avvio dell'iter procedurale di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio/imposizione in via coattiva di servitù di elettrodotto;
   il 7 aprile 2015 è stato stabilito il termine di presentazione delle osservazioni del pubblico sullo studio d'impatto ambientale;
   l'aspetto più controverso della suddetta procedura autorizzativa attiene in modo particolare al primo passaggio afferente all'individuazione della «fascia di fattibilità» del tracciato. Tale passaggio ha sollevato e solleva tutt'oggi numerose critiche relative ad una mancata correttezza della procedura stessa. La scelta del corridoio da parte di Terna sarebbe infatti venuta meno al presupposto principale che sta alla base della VAS – Valutazione ambientale strategica. La VAS si configura, infatti, come uno strumento finalizzato a favorire l'integrazione di piani e programmi con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, verificandone preventivamente l'eventuale impatto ambientale complessivo, in un'ottica di concertazione e condivisione con le amministrazioni locali ed il pubblico. Terna, al contrario, avrebbe imposto un'unica soluzione di corridoio senza proporre nessuna alternativa né in sede di concertazione con gli organi regionali, né con gli enti locali;
   l'iter procedurale sembrerebbe, inoltre, essere stato poco trasparente, essendo mancata una adeguata consultazione dell'amministrazione ione comunale di Berchidda e degli altri enti locali. I 135 proprietari dei terreni su cui graverà la servitù di elettrodotto lamentano infatti di essere venuti a conoscenza del progetto solo il 4 aprile 2015, data di pubblicazione dell'avviso. Addirittura, alcuni di essi ne sarebbero venuti a conoscenza successivamente, grazie al passaparola tra gli interessati soggetti all'imposizione in via coattiva della servitù di elettrodotto. Inoltre, ai fini della localizzazione del corridoio, Terna non avrebbe mai proposto soluzioni alternative agli enti locali interessati, ai quali avrebbe sostanzialmente «imposto» l'attuale tracciato;
   appaiono condivisibili le motivazioni fornite da Terna allorché indica la necessità di potenziare la rete nord della Sardegna (ed in particolare della Costa Smeralda) e di garantire la sicurezza e la qualità della fornitura, soprattutto durante il carico del periodo estivo. Tuttavia, per l'imponenza dei tralicci (alti fino a 40 metri), per i suoi 95 chilometri di estensione di tracciato ed i 150 kV di potenza e la sua localizzazione l'opera rischia di deturpare un'area di assoluto pregio naturalistico e di comprometterne in modo esiziale ed irreversibile il modello di sviluppo, basato sulla salvaguardia e la sostenibilità ambientale e sulla valorizzazione economica e turistica dei territori circostanti;
   l'opera, se realizzata secondo il progetto di Terna, rischierebbe infatti di mettere in sofferenza l'intero habitat, ciò sia con riferimento all'esistenza di specie faunistiche endemiche in via d'estinzione, quali l'aquila reale e l'aquila del Bonelli (quest'ultima specie è anche inserita nell'elenco della lista rossa IUCN dei vertebrati italiani 2013 ed appartiene alla categoria CR - «Critically endangered», categoria che comprende solo 6 specie d'uccelli), sia con riferimento ad una biodiversità assolutamente unica: sugherete, macchia mediterranea e aree boscate residuali di antiche formazioni, scomparse a seguito di incendi e disboscamenti;
   l'analisi critica del quadro ambientale si può quindi incentrare su due punti fondamentali: da un lato l'incidenza in corrispondenza dei siti Natura 2000 e del territorio adiacente, seppur non in essi ricompreso ma, comunque, oggetto dell'intervento di progetto, e dall'altro l'analisi dell'impatto del tracciato sulle aree ad alto pregio ambientale, quali quelle vocate alla viticoltura;
   per quanto concerne il primo punto, nel comune di Berchidda le aree protette ed i siti della Rete Natura 2000 più vicini alle opere risultano essere SIC «Monte Limbara», il parco naturale «Monte Limbara» e l'Oasi di protezione faunistica «Filogosu» e «Bolostiu». Il piano paesistico della regione autonoma della Sardegna tutela anche le aree a gestione speciale dell'Ente foreste per un totale di oltre 200.000 ettari che ricadono in gran parte all'interno di aree protette di altra tipologia. Di queste, nell'area di studio sono presenti: Filigosu, con i limiti in parte coincidenti con l'omonima oasi permanente di protezione faunistica; il SIC Monte Limbara, costituito da un'area di 16.624 ettari;
   l'istituendo parco del Limbara è uno dei parchi regionali dalla regione autonoma della Sardegna individuati ai sensi della legge regionale n. 31 del 7 giugno 1989. Esso si trova nella nuova provincia di Olbia-Tempio, a cavallo delle regioni storiche della Gallura e del Monteacuto. Si estende sui monti del Limbara coprendendo un'area di 19.833 ettari, da Tempio Pausania fino al lago Coghinas. Le montagne sono granitiche e vi si possono ammirare spettacolari forme di erosione;
   le oasi di protezione faunistica Su Filigosu e Bolostiu sono individuate nel paesaggistico della regione Sardegna come «altre aree protette», ai sensi della legge regionale n. 23 del 1998. Il tracciato dell'elettrodotto si incunea proprio tra le due oasi;
   ai sensi dell'articolo 142 della legge n. 42 del 2004 (il Monte Limbara supera ampiamente la quota altimetrica dei 1200 metri) è vietato realizzare opere che interferiscano con la visuale della montagna. A tal proposito, si è espresso anche il TAR della regione Emilia Romagna (sentenza n. 225 del 21 marzo 2013), respingendo l'istanza per la richiesta di autorizzazione alla costruzione di un parco eolico che interferiva visivamente con la montagna. È evidente che, anche in questo caso, tenuto conto dell'estrema vicinanza del tracciato alla montagna e all'area SIC in generale, la realizzazione dell'elettrodotto sarebbe assolutamente incompatibile con la salvaguardia del paesaggio;
   l'area interessata dai lavori di realizzazione dell'opera è stata peraltro in passato ripetutamente colpita da vasti incendi e pertanto è soggetta al divieto di edificabilità previsto dalla legge n. 353 del 21 novembre 2000 «Legge-quadro in materia di incendi boschivi» che all'articolo 10, comma 1 stabilisce: «Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia;
   per quanto riguarda il secondo punto, il tracciato dell'elettrodotto insiste su aree di assoluto pregio vocate alla viticoltura di qualità, con particolare riferimento alle produzioni di vini DOCG (unico territorio in Sardegna a potersi fregiarsi di tale disciplinare ad alto valore qualitativo). La conca di San Michele, così come la vallata di Canaredu-Su Sueredu (i siti intersecati dall'elettrodotto) non solo presenta una considerevole estensione di vigneti che rientrano all'interno della denominazione di origine controllata e garantita Vermentino di Gallura, ma è anche sede di stabilimenti di trasformazione ed agriturismi e, quindi, meta di percorsi enogastronomici che rivestono importanza capitale per l'economia locale (si pensi che nel raggio di 400 metri dal traliccio n. 64 sono localizzate 3 cantine vinicole. Analogamente è presente una cantina in prossimità del traliccio n. 75);
   il progetto presentato da Terna ha suscitato generale contrarietà e preoccupazione da parte delle istituzioni locali, degli imprenditori agricoli, degli operatori turistici e delle comunità residenti. Da tali contrarietà e preoccupazioni sono nati un comitato popolare, denominato «No at Berchidda» ed una petizione che ha raccolto ad oggi oltre 800 sottoscrizioni;
   attualmente, l’iter autorizzativo dell'elettrodotto sta, al di là delle numerose criticità e contrarietà avviandosi alla sua fase conclusiva e si attende solo il parere finale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale –:
   se il Governo ritenga che la realizzazione del nuovo elettrodotto «Santa Teresa - Tempio» e «Tempio-Buddusò» e delle due nuove stazioni elettriche di «Tempio e Buddusò» sia compatibile con il territorio coinvolto, considerata la sua unicità ambientale, paesaggistica, turistica e agricola;
   per quali motivi Terna non abbia assicurato la necessaria concertazione e condivisione con le amministrazioni locali, il pubblico, i proprietari dei suoli e con tutti gli attori economici del territorio relativamente alla scelta del tracciato dell'elettrodotto, scelta che non ha favorito l'integrazione di piani e programmi con gli obiettivi di sviluppo sostenibile;
   se il Governo intenda, nell'ambito della propria competenza, proporre a Terna spa, in accordo con tutti gli attori pubblici e privati, un quadro progettuale di efficientamento e riorganizzazione della rete della Sardegna settentrionale, riconsiderando l'alternativa di un nuovo corridoio maggiormente sostenibile ed eco-compatibile. (4-09848)


   DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Cengio, in provincia di Savona, ai confini tra Piemonte e Liguria, e nelle vicinanze del comune di Saliceto in provincia di Cuneo, nasce nel 1882 lo stabilimento dinamitificio Barberi. La fabbrica cresce nel corso dei venti anni successivi fino a occupare circa cinquanta ettari di superficie producendo acido solforico, oleum, tritolo. Inizia così l'inquinamento dell'intero territorio. Lo stabilimento si trova su un'ansa del fiume Bormida, sub affluente del Po e principale affluente del Tanaro. Inizia così un'attività di sversamento e inquinamento delle falde acquifere locali. Nel 1909 viene vietato l'utilizzo dei pozzi nei comuni limitrofi del cuneese: Saliceto, Camerana e Monesiglio. Qualche anno più tardi sarà chiuso anche l'acquedotto di Cortemilia;
   dalla metà degli anni ’20 la fabbrica viene rilevata da Italgas e convertita alla produzione di coloranti assumendo alla fine del decennio il nome di Aziende chimiche nazionali associate successivamente Azienda coloranti nazionali e affini (Acna). Si succedono le proprietà conducendo Acna in Montedison e pbi in Enimont fino al controllo di Enichem;
   alla fine degli anni ’30 gli agricoltori e gli allevatori locali ricorrono contro lo stabilimento per il grave inquinamento cui sono soggetti i terreni e i corsi d'acqua. Tra gli anni ’60 e ’70 giunge la sentenza favorevole ai ricorrenti e alcuni amministratori locali avviano campagne di informazione e denuncia per l'aggravarsi delle condizioni ambientali del territorio. Fumi tossici, avvelenamento idrico, interramento di scarti industriali caratterizzano l'area della Valle del Bormida e in particolare quella tra il savonese, il cuneese e l'astigiano;
   tra gli anni ’80 e la fine degli anni ’90 dal sito Acna si registrarono ulteriori perdite di gas tossici, alcuni incidenti durante la produzione e gravi danni fisici a operai e cittadini del luogo condussero il Governo a decidere per una prima chiusura temporanea dello stabilimento nel 1988. Di pari passo, si sviluppava l'impegno associazionistico, sindacale e di alcuni comuni al fine di tutelare e salvaguardare il proprio territorio con varie manifestazioni. In concomitanza si avviavano i lavori per realizzare nel sito un inceneritore al fine di smaltire i residui della produzione. Il Consiglio di Stato interruppe i lavori per l'inceneritore già nel 1993 per assenza della Valutazione di Impatto Ambientale, il blocco definitivo al progetto giunse dal Governo nel 1996;
   lo stabilimento viene chiuso nel giugno 1999 quando viene avviata la fase di bonifica che secondo il programma dovrà durare fino al 2013-2014. A occuparsi delle attività di risanamento del sito è la Syndial spa, società del gruppo Eni. Il sito viene sottoposto a gestione commissariale fino al 2005. Nel corso delle indagini svolte dalla commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, nel 2000, si registra che i fanghi tossici dell'Acna di Cengio furono smaltiti anche nella discarica di Pianura, a Napoli, per un totale di almeno 800 mila tonnellate. Nel corso degli anni i vertici Acna vengono ripetutamente indagati per disastro ambientale, vengono altresì avviate le procedure per richieste di indennizzo e risarcimento danni per le patologie, i decessi e i gravi danni causati dall'attività dello stabilimento;
   all'inizio del 2015 le indagini della regione Piemonte, dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale e della competente Asl del comune di Saliceto, il comune risultante più inquinato, danno esito positivo confermando il miglioramento della qualità delle acque del Bormida e quindi la possibilità di far revocare dall'amministrazione comunale l'ordinanza che ne vietava l'utilizzo a tutela della sicurezza dei cittadini;
   il 4 giugno 2015 Syndial spa ha presentato la documentazione per l'istanza di «rinnovo della concessione n. 4146 del 20/07/1960 relativa alla derivazione dal Fiume Bormida di Millesimo». Il rinnovo consiste in una concessione quindicennale per derivare 3 moduli di acqua, pari a 300 litri al secondo, dal fiume Bormida di Millesimo, mediante esistente opera di presa;
   nella documentazione Eni Syndial dichiara che i 300 litri al secondo verranno impiegati «per l'utilizzo negli impianti ad oggi ancora attivi (Trattamento acque) nel sito ex ACNA e per eventuali scenari di sviluppo futuro sull'area attualmente di proprietà di Syndial S.p.a.». Allo stesso modo nello Studio di impatto ambientale presentato dalla società di bonifica si conferma che il volume idrico richiesto servirà «al fine di garantire l'apporto idrico per le attività attualmente presenti in sito e riconducibili alle operazioni di bonifica ancora in corso e in vista di eventuali sviluppi futuri del sito industriale.»;
   Eni Syndial spa fa riferimento a futuri sviluppi industriali dell'area ex Acna di Cengio da cui diventerebbe necessario il rinnovo dell'autorizzazione di prelievo idrico dal fiume Bormida, senza mai però specificare quali siano questi sviluppi futuri del sito industriale. Inoltre nello studio di impatto ambientale non è presente alcun calcolo dettagliato circa il reale fabbisogno di acqua riconducibili alle operazioni di bonifica;
   per oltre un secolo l'attività svolta nell'insediamento chimico Acna ha inferto gravi danni al territorio ligure e piemontese inquinando acque superficiali, sotterranee e suoli dell'intera Val Bormida, con sostanze derivanti da più di 374 diversi composti chimici tossici e nocivi quali polvere pirica, nitroglicerina, dinamite e tritolo, acido nitrico, acido solforico, fenolo, pigmenti, coloranti ed intermedi organici industriali derivanti soprattutto da benzene, acido Bon, betanaftolo, acido Schaeffer e ftalocianine;
   il sito dell'ex Acna di Cengio con legge n. 426 del 1998 è entrata a far parte dei siti di interesse nazionale ad elevato rischio ambientale, rappresentando oggi uno dei cinque siti della regione Piemonte per il quale i vari governi nazionali, le amministrazioni locali e quelle regionali hanno speso quasi 61.500.000 di euro. La sola regione Piemonte ha quantificato in 206.084.723,32 euro il costo delle misure di riparazione dovute ai danni ambientali;
   le preoccupazioni e le perplessità relative alla richiesta effettuata da Syndial Spa per la concessione idrica sono state sollevate e ribadite anche dai cittadini e dalle comunità della Val Bormida, in particolare dalla Associazione Rinascita Vallebormida che ha avuto modo di segnalare a mezzo stampa e on line come «attualmente, il prelievo medio si attesterebbe attorno ai 20 litri al secondo» a fronte dei 300 litri richiesti dalla società del gruppo Eni, specificando che «considerando che sul sito ex Acna non esistono più attività produttive, anche gli attuali 20 litri al secondo rappresentano un quantitativo assai elevato. Ma, secondo quanto riportato alla interno della relazione tecnica, sarebbe necessario per permettere il completamento della attività di bonifica [...] riteniamo che, nella sostanza, la concessione sia ormai decaduta e che Eni possa continuare temporaneamente a derivare i quantitativi di acqua attualmente utilizzati (per la conclusione dei lavori di messa in sicurezza del sito, ndr), ma solo se verrà presentato in breve tempo un bilancio idrico dettagliato, veritiero e verificabile inerente ai flussi idrici all'interno dello stabilimento». In tal senso si sono espressi anche alcuni esponenti delle amministrazioni locali interessate e della regione Piemonte al fine di ricevere chiarimenti per l'uso che si intende fare della concessione –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto illustrato, se e quali iniziative intenda avviare per chiarire il ruolo e le attività attuali e future che la società Syndial spa del gruppo Eni intende svolgere nel sito ex Acna di Cengio nel rispetto della concessione riconosciuta all'avvio dei lavori e soprattutto nel rispetto delle condizioni ambientali e di rilancio del territorio interessato dall'inquinamento prodotto dalle attività dello stabilimento Acna. (4-09859)


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel quartiere Lunghezza sito nel municipio VI Roma delle Torri è presente una discarica abusiva dove originariamente era presente una cava per l'attività estrattiva di materiale piroclastico;
   lo scarico abusivo di rifiuti si è protratto all'interno della stessa dalla metà degli anni 70 fino agli anni 90;
   il piano di lavoro, approvato in «Conferenza di Servizi», prevedeva la bonifica integrale dell'area da parte del comune di Roma capitale che, ad oggi, non è ancora avvenuta;
   il 12 ottobre 2012 è stato presentato e approvato dall'assemblea  un ordine del giorno, all'interno del quale si chiedeva che le entrate derivanti dagli accordi TAV – Roma capitale, cifra pari a 3.038.000 euro, fossero impegnate nella totale bonifica dell’ex discarica e con la parte restante trasformare la zona in parco;
   i cittadini, nell'ambito della «conferenza di servizi» hanno chiesto un'indagine epidemiologica;
   l'area della discarica è interessata dal tracciato della linea ferroviaria Tav, è attraversata dall'autostrada A24 ed è attraversata da un elettrodotto;
   il municipio VI a seguito di una richiesta da parte di gestore Vodafone ha indicato l'area come alternativa al lastrico solare offerto da un privato in via Ancarano 18;
   via Ancarano e la discarica sono limitrofi ed entrambi interessati dall'impatto delle precedenti menzionate opere (TAV, A24, elettrodotto, discarica);
   la legge quadro sull'inquinamento elettromagnetico – legge n. 36 del 2001 – prevede di attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 191 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in ambito europeo, la risoluzione dal Parlamento europeo del 4 settembre 2008 «Valutazione intermedia del piano d'azione europeo per l'ambiente e la salute 2004-2010», denuncia l'aumento dei casi di elettrosensibilità e raccomanda di «ridurre l'esposizione alle radiazioni elettromagnetiche», mentre la risoluzione del Consiglio d'Europa del 27 maggio 2011 invita i Paesi membri a fissare «limiti cautelativi di esposizione alle microonde per lungo termine (...), in accordo con il principio di precauzione»;
   numerose risoluzioni di scienziati indipendenti come l’International commission for electromagnetic safety (ICEMS) e il Gruppo Bioinitiative, citati rispettivamente dal Consiglio d'Europa e dal Parlamento europeo come riferimenti scientifici indipendenti promuovono l'abbassamento dei limiti di sicurezza in quanto gli attuali standard non si basano sulle evidenze biologiche, e sempre più numerosi sono gli studi scientifici che dimostrano una maggiore incidenza di leucemie e linfomi nei bambini — e una maggiore mortalità per leucemia per tutte le età — in prossimità di fonti di emissione di onde elettromagnetiche;
   su impulso della Commissione europea, nell'ottobre 2011 è stato, approvato dal Ministero dello sviluppo economico il piano nazionale banda larga, finalizzato all'adeguamento infrastrutturale del Paese;
   medici, fisici, biologi, ingegneri ricercatori rappresentanti politici rappresentanti di associazioni, di comitati legalmente costituiti e di fondazioni, stanno denunciando i gravissimi rischi per la salute e per l'ambiente connessi all'esposizione crescente a campi elettromagnetici da radio frequenze che sono emessi da cellulari tablet, computer collegati in rete senza fili antenne Wi-fi, ripetitori radio televisivi e della telefonia mobile (DECT, GSM, UMTS E LTE);
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato nel 2011 la radiofrequenza come possibile cancerogeno per l'uomo in classe 2B, smentendo che esistono solo effetti termici di tali campi; tanto che, sono emerse in poco tempo nuove evidenze scientifiche dei rischio cancerogeno;
   le emissioni elettromagnetiche di questi dispositivi di telecomunicazioni vanno a sommarsi alle altri fonti di inquinamento presenti sul quadrante compreso nella discarica;
   la realizzazione di un traliccio di telefonia mobile, comprometterebbe l'eventuale avvio di riqualificazione ambientale della zona e preclude la realizzazione del parco –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopracitati e di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se ritenga che sussistano i presupposti per avviare, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica in relazione agli effetti sulla popolazione della citata installazione;
   se non ritenga il Ministro interrogato di disporre al riguardo ogni verifica e attività ispettiva, anche da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), per constatare lo stato di inquinamento dell'area. (4-09860)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da «tuttosbagliatotuttodarifare», blog di critiche costruttive sul turismo e sulla cultura, in un articolo del 28 novembre 2014 si legge che, secondo una stima di Federalberghi in merito al ricettivo italiano, i pernottamenti abusivi in un anno risultino essere 100 milioni, causando la perdita di 70 mila posti di lavoro per i giovani del settore;
   inoltre, secondo Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, gli esercizi ricettivi regolari in Italia ospiterebbero in un anno 103 milioni di turisti italiani e stranieri, per 360 milioni di pernottamenti, dando lavoro a più di 230 mila addetti. In difesa degli esercizi regolari e per contrastare l'abusivismo alberghiero, Federalberghi e le associazioni dei lavoratori avrebbero chiesto ufficialmente che tali attività siano sottoposte ad un efficace sistema di controllo;
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014 noto come «decreto Cultura», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014, relativo a «disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», all'articolo 10, comma 1, ha previsto disposizioni urgenti per riqualificare e migliorare le strutture ricettive turistico-alberghiere e per favorire l'imprenditorialità nel settore turistico;
   il comma 5 del sopracitato articolo 10, recita testualmente: «Per le medesime finalità di cui al comma 1, nonché per promuovere l'adozione e la diffusione della “progettazione universale” e l'incremento dell'efficienza energetica, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, previa intesa in sede di Conferenza unificata, aggiorna gli standard minimi, uniformi in tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche, ivi compresi i condhotel e gli alberghi diffusi, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alle capacità ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali e dei sistemi di classificazione alberghiera adottati a livello europeo e internazionale»;
   in una precedente interrogazione, la n. 5-04732, gli interroganti avevano già evidenziato come, nel 2014, la crescita del settore alberghiero in Italia fosse inferiore alla media europea con un conseguente e sensibile calo dell'occupazione nel settore causato anche dalla concorrenza di strutture ricettive abusive o semiabusive;
   nella risposta del 21 aprile all'interrogazione, il Sottosegretario ai Beni e alle attività culturali e del turismo, Francesca Barracciu, ha ribadito «che è in fase di ultimazione la bozza del decreto di classificazione alberghiera a seguito di un serrato confronto con le Regioni e le categorie interessate, nel corso del quale sono emerse notevoli difficoltà, talune resistenze all'innovazione e al cambiamento ed una significativa diversità di approccio e di punti di vista, anche all'interno delle diverse rappresentanze di categoria e tra le regioni. Il Ministero è dunque impegnato nel tentativo, non facile, di compiere una sintesi (per quanto possibile condivisa) tra le diverse posizioni emerse, al fine di ammodernare il sistema delle classificazioni alberghiere e di metterlo al passo con le migliori pratiche dei Paesi competitori europei e internazionali. Si concorda con la necessità di implementare le attività di controllo per garantire le imprese che quotidianamente lavorano nel rispetto della legalità soprattutto per assicurare la sicurezza ed il benessere della clientela»;
   in un recente articolo, pubblicato da Il Messaggero del 22 giugno 2015, viene riportata la notizia di un esperimento condotto da «Italia a Tavola» per verificare l'attendibilità di TripAdvisor, celebre sito di recensioni. «Italia a Tavola» avrebbe iscritto al sito un ristorante, «La scaletta», mai esistito, a Moniga del Garda, attribuendogli recensioni ottime e facendolo balzare in cima alle classifiche del gradimento;
   è evidente che nessun controllo sia stato fatto per verificare la reale esistenza dell'attività al momento della sua iscrizione, né tanto meno siano stati predisposti dei controlli sulle finte recensioni positive riferite al falso profilo. L'esperimento dimostra chiaramente l'inattendibilità del mezzo e ripresenta, una volta di più, il problema della classificazione di tutti e servizi ricettivi –:
   quali iniziative concrete intenda adottare il Governo per contrastare il fenomeno dell'abusivismo alberghiero e per avviare controlli mirati al fine di tutelare sia gli operatori che gestiscono in modo corretto le strutture ricettive, sia la clientela, garantendo la regolarità delle strutture;
   a che punto sia l’iter del decreto di classificazione alberghiera e se non ritenga di prevedere una classificazione inerente a tutto il sistema dei servizi integrati turistici onde evitare che operatori onesti e rispettosi della legge vengano penalizzati economicamente in particolare in questo frangente di crisi economica generale;
   se il Governo sia intenzionato a raccogliere e valutare proposte relative ad un efficiente e verificabile metodo di classificazione e valutazione delle strutture che abbia come obiettivi l'esclusione di recensioni false ed il quotidiano rilevamento in tempo reale delle presenze turistiche e delle motivazioni. (5-06078)

Interrogazione a risposta scritta:


   COPPOLA, MORETTO, COVA, RICHETTI, MALPEZZI, GIUSEPPE GUERINI, QUINTARELLI, RUBINATO, BOCCADUTRI, FERRARI, MARCO DI MAIO, DALLAI, GADDA, VAZIO, FREGOLENT, FANUCCI e DONATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, il legislatore italiano ha dato attuazione alla Direttiva 2001 29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, disciplinando tra l'altro il diritto di copia privata di opere tutelate dal diritto d'autore attraverso l'introduzione nella legge 22 aprile 1941, n. 633 (d'ora innanzi, anche LDA) dell'articolo 71-sexies, commi 1 e 2, secondo cui «È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all'articolo 102-quater» (comma 1) e «La riproduzione di cui al comma 1 non può essere effettuata da terzi. La prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione di fonogrammi e videogrammi da parte di persona fisica per uso personale costituisce attività di riproduzione soggetta alle disposizioni di cui agli articoli 13, 72, 78-bis, 79 e 80» (comma 2);
   tale disposizione rendeva dubbia la possibilità per le imprese di fornire a privati servizi di videoregistrazione da remoto di opere tutelate dal diritto d'autore senza la preventiva autorizzazione dei titolari dei diritti;
   in seguito, con il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, il legislatore italiano è intervenuto nuovamente sulla materia in esame modificando il primo comma del 71-septies LDA nel seguente modo «Gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti ed esecutori ed i produttori di videogrammi, e i loro aventi causa, hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi di cui all'articolo 71-sexies. Detto compenso è costituito, per gli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, da una quota del prezzo pagato dall'acquirente finale al rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali è calcolata sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso per apparecchio. Per i supporti di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti. Per i sistemi di videoregistrazione da remoto il compenso di cui al presente comma è dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso»;
   tale intervento normativo ha quindi chiarito la piena legittimità dei servizi di registrazione da remoto, facendoli rientrare nell'eccezione per copia privata in forza della quale la riproduzione di videogrammi e fonogrammi da parte di privati per uso personale e senza scopo di lucro deve intendersi libera, fatta salva la necessità di riconoscere ai titolari dei diritti un equo compenso per il pregiudizio subito in conformità a quanto previsto dall'articolo 5, paragrafo 2, lettera b) della direttiva e dall'articolo 71-sexies, comma 1 LDA;
   in base al comma 2 dell'articolo 71-septies LDA l'equo compenso di cui al punto precedente è determinato, nel rispetto della normativa comunitaria e comunque tenendo conto dei diritti di riproduzione spettanti ai titolari, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il comitato consultivo permanente per diritto d'autore e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti;
   peraltro, con nota del 23 febbraio 2009, prot. n. 29900 MARKT Dl/DB D (2009), la Commissione europea aveva rappresentato al Governo italiano dubbi circa la compatibilità della disposizione di cui all'articolo 71-septies, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 633 del 1941 con le disposizioni della direttiva 2001/29/CE ed in particolare con le disposizioni di cui all'articolo 2 (diritto esclusivo di riproduzione) e all'articolo 3 (diritto di messa a disposizione del pubblico dell'opera protetta) della direttiva citata;
   a seguito della suddetta nota la Commissione europea aveva inoltre preannunziato la sua intenzione di aprire una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano nel caso in cui la disposizione in questione (cfr. articolo 71-septies, primo comma, ultimo periodo LDA) non fosse stata nel frattempo abrogata;
   in tale contesto, al momento di adottare il decreto ministeriale 30 dicembre 2009 recante la determinazione della misura del compenso per copia privata, il Ministero per i beni e le attività culturali aveva deciso di sospendere in via cautelativa la fissazione dell'equo compenso in relazione ai servizi di videoregistrazione da remoto in attesa che fossero superati i dubbi emersi a livello comunitario sull'inclusione dei servizi in questione nell'ambito dell'eccezione per copia privata di cui all'articolo 71-sexies della legge n. 633 del 1941 e di cui alla direttiva 2001/29/CE;
   all'esito dei colloqui e dei chiarimenti intervenuti tra i competenti organi del Governo italiano e della Commissione europea, l'ultimo periodo del primo comma dell'articolo 71-septies LDA è tutt'ora in vigore né per questo risultano avviate nei confronti dello Stato italiano procedure di infrazione a causa della pretesa incompatibilità della disposizione in esame con la disciplina comunitaria relativa alle eccezioni e limitazioni dei diritti esclusivi di riproduzione delle opere tutelate spettanti ai titolari dei diritti;
   nel frattempo il decreto ministeriale 30 dicembre 2009 è stato sostituito dal decreto ministeriale 20 giugno 2014;
   il nuovo decreto ministeriale non reca la determinazione dell'equo compenso dovuto dai fornitori di servizi di videoregistrazione da remoto, né chiarisce nella relazione illustrativa di accompagnamento le ragioni per cui il Ministero ha deciso di non provvedervi;
   in tale contesto, stante la piena vigenza dell'ultimo periodo del primo comma dell'articolo 71-septies LDA e considerata l'assenza di qualsivoglia procedura di infrazione a carico dell'Italia per la mancata abrogazione della disposizione in questione, deve ritenersi che le persone fisiche private sono libere di effettuare una copia privata, per uso personale e senza fini di lucro, di videogrammi e fonogrammi tutelati dal diritto d'autore, anche avvalendosi di servizi di videoregistrazione da remoto forniti da terzi e senza la necessità di ottenere l'autorizzazione preventiva da parte dei titolari dei diritti; e ciò nel pieno rispetto della normativa italiana e comunitaria in tema di eccezioni e limitazioni del diritto esclusivo di riproduzione spettante ai titolari dei diritti;
   l'unica condizione per la libera prestazione dei servizi di videoregistrazione da remoto è pertanto rappresentata dalla corresponsione ai titolari dei diritti di un equo compenso a titolo di indennizzo del pregiudizio subito in conseguenza della limitazione posta al loro diritto esclusivo di riproduzione delle opere protette;
   in base al secondo comma dell'articolo 71-septies LDA, il Ministero per i beni e le attività culturali avrebbe dovuto provvedere alla fissazione dell'equo compenso in questione entro e non oltre il 31 dicembre 2009;
   tuttavia, nonostante il termine indicato al punto precedente sia ormai superato da oltre cinque anni, il Ministero non ha ancora provveduto in questo senso né ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto di non provvedervi al momento dell'adozione del decreto ministeriale 20 giugno 2014 che da ultimo ha sostituito il precedente decreto ministeriale 30 dicembre 2009;
    il perdurare di tale situazione sta arrecando danno tanto ai fornitori di servizi a causa delle incertezze collegate all'attuale quadro normativo quanto ai titolari dei diritti ai quali è così negata la possibilità di ottenere un'equa remunerazione a fronte della copia privata effettuata dai privati per mezzo di servizi da remoto erogati da terze parti –:
   quali siano le ragioni per cui l'equo compenso dovuto dai fornitori di servizi di videoregistrazione da remoto, come da articolo 71-septies LDA, non è stato fissato con il decreto ministeriale 20 giugno 2014 sulla determinazione della misura del compenso per copia privata;
   se e quando il Ministro intenda dare piena attuazione all'articolo 71-septies, commi 1 e 2 della legge sul diritto d'autore, provvedendo mediante decreto previo espletamento della procedura prevista dalla legge, alla determinazione dell'equo compenso dovuto dai fornitori di servizi di videoregistrazione da remoto in un importo commisurato alla remunerazione ottenuta dai fornitori stessi a fronte dell'erogazione del servizio. (4-09856)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DURANTI, MARCON, PIRAS e RICCIATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 185 del 9 luglio 1990, successivamente modificata dalla legge n. 148 del 17 giugno 2003, si sono introdotte norme sul controllo della esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento;
   nello specifico, si prevede il divieto di esportazione di armamenti verso: Paesi in stato di conflitto armato; Paesi la cui politica sia in contrasto con l'articolo 11 della Costituzione, Paesi sotto embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell'ONU o dell'Unione europea; Paesi con accertate gravi violazioni delle Convenzioni sui diritti umani;
   all'articolo 5 della citata legge si prevede come strumento di indirizzo e di controllo una relazione annuale con cui il Presidente del Consiglio dei ministri riferisce al parlamento circa le operazioni autorizzate e svolte nell'anno precedente;
   la relazione annuale ha permesso, in particolar modo nei primi anni dalla entrata in vigore della legge n. 185 del 1990, una sensibile diminuzione dell’export delle armi verso Paesi con situazioni problematiche o in aperto conflitto;
   tale positivo trend ha subìto una involuzione negli ultimi anni. Nel quinquennio 2004/2009 infatti è stata l'Unione europea ad essere l'area di maggior vendita delle armi italiane, mentre nel quinquennio successivo il traffico di export ha visto interessato principalmente Medio Oriente e Paesi del Nord Africa, cioè regioni ad alto asso di instabilità, come si evince in maniera dettagliata dai dossier di studio e ricerca presentati dalla «Rete italiana disarmo» e dall’«Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa» (O.P.A.L.);
   l'involuzione del trend di cui al paragrafo precedente dipende anche e soprattutto dalla qualità delle relazioni che vengono trasmesse al Parlamento, divenute negli anni, a giudizio degli interroganti, molto meno trasparenti e caratterizzate da una minore fruibilità dei dati. Condizioni queste che a giudizio degli interroganti hanno compromesso il pieno controllo da parte del Parlamento;
   nel febbraio del 2013 il Governo italiano, con l'allora Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, ha regalato all'esercito libico venti «autoblindo Puma» (compresi di addestramento degli equipaggi e scorta di pezzi di ricambio) prodotti dalla Iveco, come contributo alla rinascita di un apparato statale dopo la caduta di Gheddafi;
   a quanto si apprende da una inchiesta pubblicata sul sito on-line dell'Espresso in data 15 luglio 2015, dall'inizio del 2014 ed in seguito alla esplosione della nuova guerra civile i sopra citati blindati italiani sono stati impiegati dalle brigate che sostengono l'autorità di Tripoli, espressione di partiti fondamentalisti legati ai «Fratelli Musulmani», gli unici al momento che si rifiutano di firmare l'accordo di pace raggiunto grazie all'intervento di Bernardino Leon;
   inoltre, sempre a quanto si apprende dalla inchiesta dell'Espresso, gli autoblindati Puma sarebbero stati modificati con installazione di «lanciatori trinati per missili antiaerei russi Kub», gli stessi che un anno fa si ritiene abbiano abbattuto il Boeing malese sul cielo ucraino, causando 298 vittime –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa, e se non intenda rendere la relazione più dettagliata, fruibile e trasparente consentendo, quindi, un controllo del Parlamento più stringente, nel pieno rispetto della legge n. 185 del 1990. (5-06079)


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il caporal maggiore capo VSP Marianna Di Luzio, nata a BARI il 10 gennaio 1983, in servizio presso il reparto comando e supporti tattici «FRIULI» in Bologna dall'anno 2010 presentò varie istanze di trasferimento finalizzate al riavvicinamento alla famiglia residente a Bari e alla cura dei propri figli (all'epoca di anni 2 e 1), con un occhio di riguardo verso il figlio minore sofferente per dei disturbi psichici;
   visti i rigetti del Ministero della difesa alla richiesta di trasferimento definitivo, a quella di aggregazione temporanea per l'insorgenza della patologia psichica del figlio e dell'assegnazione temporanea triennale ai sensi dell'articolo 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 per la tutela ed il sostegno della maternità/paternità (dichiarata dal Ministero non applicabile al personale militare nonostante il Codice dell'Ordinamento Militare ne sancisse il diritto a beneficiarne con l'articolo 1493), il caporal maggiore Di Luzio impugnava i provvedimenti dinanzi al Tribunale amministrativo dell'Emilia Romagna;
   il TAR con l'ordinanza cautelare n. 970/2011 sospendeva i provvedimenti di rigetto, ordinando all'Amministrazione Militare di provvedere all'esecuzione, ma lo Stato Maggiore dell'Esercito con nota n. 406 del 17 gennaio 2012 comunicava il rifiuto all'esecuzione dell'ordinanza in quanto non condivisibile e altamente lesiva per la funzionalità/operatività della Forza Armata;
   solo dopo la sentenza n. 238/2012 del Tar Emilia Romagna il dipartimento impiego del Personale dell'Esercito disponeva l'assegnazione temporanea a Bari; lo Stato Maggiore dell'Esercito, però, impugnava la sentenza, considerata un inaccettabile precedente per l'applicazione dell'articolo 42-bis decreto legislativo n. 151 del 2001, ma il Consiglio di Stato prima rigettava l'ordinanza di sospensiva con provvedimento n. 2867/2012 e poi con sentenza n. 2683/2013 respingeva l'appello sancendo l'applicazione dell'articolo 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 a tutela e sostegno della maternità/paternità al personale militare e condannava il Ministero della difesa al risarcimento del danno patito dal figlio del caporal Maggiore Di Luzio per ritardata esecuzione dell'ordinanza del Tar Emilia Romagna, quantificandolo in euro 10.000;
   la situazione personale del Caporal Maggiore Capo Di Luzio peggiorava però sensibilmente in quanto si separava dal marito con sentenza n. 1577/2013 e la salute del figlio peggiorava inesorabilmente (oltre alla mamma del militare affetta da carcinoma papillare della tiroide e altre patologie che la rendono invalida). Formulava, pertanto, in data 17 aprile 2014, istanza di assegnazione definitiva presso l'ente in cui presta temporaneamente servizio ai sensi del testo unico sulle procedure d'impiego per il personale militare. A causa della mancata risposta alla sua richiesta ripresentava nuova domanda in data 4 giugno 2014. Perdurando, anche questa volta, il silenzio dell'amministrazione, presentava in data 27 ottobre 2014 istanza di poter conferire con il Ministro della difesa ai sensi dell'articolo 735 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010. Il Comandante del Comando militare Esercito «PUGLIA» di Bari, invocando la sospensione dei termini relativi all'istanza di conferimento al Ministro, in data 05 dicembre 2014 dava corso ad un'iniziativa d'ufficio volta all'assegnazione definitiva a Bari a cui non veniva dato nessun riscontro;
   il militare decideva di diffidare, in data 9 gennaio 2015, l'Amministrazione chiedendo di dare riscontro alle sue istanze e di concludere il procedimento d'ufficio, allegando anche un aggiornamento sulla salute precaria del bambino;
   stante l'ennesimo silenzio dell'Amministrazione, con ricorso del 9 febbraio 2015 il caporal maggiore Di Luzio proponeva giudizio avverso il silenzio amministrativo e per la declaratoria dell'obbligo di provvedere;
   con sentenza n. 524/2015 il Tribunale amministrativo della Puglia accoglieva il ricorso e ordinava al Ministero di «concludere con provvedimento espresso i procedimenti ad istanza di parte dichiarando l'obbligo dell'Amministrazione a provvedere in merito». Il TAR motivava inoltre che «al fine di evitare futuri inutili contenziosi, il Collegio non può esimersi dall'evidenziare che l'Amministrazione dovrà tenere debito conto, in sede di decisione finale sulle istanze di parte, delle segnalazioni contenute nella nota del 5 dicembre 2014 del Gen. Comandante (che evidenzia, come già sottolineato, la particolarissima situazione del militare nonché il suo sempre leale e meritorio comportamento in servizio)»;
   dopo l'udienza di discussione, il dipartimento impiego del personale notificava al caporal Maggiore Di Luzio che la scadenza del periodo di assegnazione temporanea (fissata per il 10 aprile 2015) veniva prorogata al 9 giugno 2015 «al fine di esplorare ogni possibile soluzione volta a contemperare esigenze istituzionali come quelle dell'interessata» (anche a seguito dell'intervento dell'Osservatorio militare che riusciva ad interessare il Ministro della difesa);
   con nota del 15 aprile 2015 il Comandante del comando militare esercito «PUGLIA», in dichiarata esecuzione della sentenza del TAR, comunicava al graduato che le sue due istanze tese all'assegnazione definitiva dovevano ritenersi inammissibili;
   il caporal maggiore Di Luzio, sgomenta ed incredula, impugnava il provvedimento a suo avviso elusivo della sentenza del TAR, chiedendone la nullità e l'illegittimità;
   il TAR Puglia, chiamato nuovamente ad esprimersi, concedeva prima sospensiva inaudita altera parte con decreto n. 320/2015, considerato che «certamente sussistono in relazione alla particolare situazione familiare del militare e alle documentate criticità del figlio minore della stessa, i presupposti dell'estrema gravità ed urgenza, che consentono di sospendere l'ordine di far rientro nelle sede di servizio (Bologna) il 9 giugno 2015» e successivamente, con sentenza n. 951/2015 accoglie il ricorso per l'ottemperanza della sentenza del TAR Puglia n. 524/2015, dichiarando la nullità del provvedimento che dichiarava inammissibili le istanze del graduato e disponendo che il commissario ad acta (già indicato nella sentenza n. 524/2015 nella persona del Capo di Stato Maggiore della difesa) dia esecuzione decidendo sulle istanze del militare tenendo conto della situazione personale della stessa –:
   se il ministro sia a conoscenza dei fatti indicati;
   se, riscontrando la palese violazione delle normative afferenti al benessere del personale, non intenda provvedere ad emanare apposita circolare che chiarisca a tutte le componenti della difesa, le modalità per richiedere il trasferimento definitivo;
   se non intenda approfondire ed eventualmente condannare l'operato dei gerarchi che non hanno ottemperato quanto previsto dall'articolo 1493 del Codice dell'ordinamento militare causando spese inutili all'amministrazione della difesa.
(5-06080)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2013 l'amministrazione comunale di Torino ha decretato la chiusura delle gallerie del museo civico intitolato a Pietro Micca e dedicato all'assedio del capoluogo piemontese del 1706;
   alla deliberazione comunale seguiva nel novembre 2013 il provvedimento di riassegnazione ad altra sede del personale in servizio presso le gallerie del Pietro Micca;
   è proprio per facilitarne il mantenimento nella fruibilità del pubblico che a suo tempo l'amministrazione della difesa, proprietaria dell'infrastruttura, aveva affidato al comune di Torino la gestione del Pietro Micca;
   il museo è stato valorizzato anche dall'opera prestata dai volontari dell'Associazione amici del museo Pietro Micca;
   la manutenzione del museo e delle gallerie, tuttavia, è progressivamente venuta meno, vanificando anche gli «interventi tampone» disposti di volta in volta per fronteggiare le emergenze;
   la protezione delle gallerie – situate a sei e dodici metri di profondità rispettivamente e quindi soggette ad allagamenti soprattutto in coincidenza con i forti temporali che si abbattono su Torino – pone in effetti problemi significativi;
   proprio la segnalazione di questi inconvenienti alle autorità, concepita come una sollecitazione ad intervenire, ha determinato la scelta del comune di disporre la chiusura delle gallerie del Pietro Micca e trasferire altrove il personale addetto;
   tali circostanze privano i torinesi ed i visitatori del capoluogo piemontese della possibilità di accedere ad una importante testimonianza storica del passato –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo ritenga possibile assumere ed in che tempi per restituire alla fruibilità della cittadinanza e dei turisti italiani e stranieri le gallerie del museo Pietro Micca, e se in particolare l'amministrazione della difesa non possa farsi carico degli interventi manutentivi straordinari, la cui assenza ha contribuito a determinare la decisione del comune di Torino di chiudere la struttura. (4-09862)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FANUCCI, MARCO DI MAIO, DONATI e PARRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la ripresa di attenzione del Governo e del Parlamento verso il tema delle politiche abitative pubbliche, condensata nella legge del 23 maggio 2014, n. 80 di conversione con modificazioni del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, recante «Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015», è un fattore altamente positivo;
   dopo sette anni consecutivi di riduzione del numero di abitazioni compravendute (-53,6 per cento, tra il 2007 ed il 2013), nel corso del 2014 si è registrato un'interruzione del trend negativo con una crescita del 3,6 per cento rispetto al 2013;
   nel primo trimestre del 2015 il numero di abitazioni compravendute si riduce del 3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Tale andamento, però, risulta alterato dall'elevato valore di confronto del primo trimestre 2014, periodo nel quale il numero di abitazioni compravendute era aumentato in modo significativo per effetto dell'entrata in vigore dal 1o gennaio 2014, del nuovo regime delle imposte di registro, ipotecaria e catastale che ha reso più conveniente l'acquisto dell'abitazione soprattutto per gli immobili usati;
   al netto dell'effetto fiscale del mutato regime di imposta sopra richiamato l'Agenzia delle entrate stima, nel primo trimestre 2015, una variazione positiva dello 0,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   il rinnovato interesse verso il bene casa è confermato anche dai dati Istat relativi alle intenzioni di acquisto di abitazioni da parte delle famiglie che torna a crescere posizionandosi su dei livelli tra i più alti degli ultimi anni. La quota di famiglie che dichiara di essere favorevolmente disposta all'acquisto di un'abitazione ad aprile 2015 risulta, infatti, pari al 2,6 per cento in aumento rispetto al minino registrato due anni fa (aprile 2013) che manifestava una frequenza pari all'1 per cento; l'ultimo rapporto Nomisma sul mercato immobiliare (marzo 2015) evidenzia che circa il 4 per cento delle famiglie, pari a oltre 900.000 nuclei, dichiara di avere intenzione di acquistare un'abitazione nei prossimi 12 mesi e di essere già attivo nella ricerca;
   una riprova dell'interesse delle famiglie verso l'acquisto dell'abitazione è dato dalle recenti statistiche di CRIF, in base alle quali a maggio 2015 il numero di domande di mutui presentate dalle famiglie è cresciuta del 84,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2014. Il dato aggregato relativo al periodo gennaio-maggio 2015 si attesta ad un +54,2 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 2014; tale dinamica beneficia senza dubbio, oltre che dei fattori che hanno agito dal lato della domanda, anche di elementi favorevoli dal lato dell'offerta dove si riscontra, a partire dalla fine del 2013, un miglioramento dei criteri applicati per la concessione dei mutui da parte degli istituti finanziatori. Dall'inizio della crisi finanziaria nel 2008, i mutui erogati alle famiglie italiane per l'acquisto della casa hanno subito un crollo senza precedenti: se nel 2007 venivano erogati quasi 63 miliardi di euro, nel 2013 le banche hanno messo a disposizione delle famiglie appena 21,4 miliardi, con una riduzione di oltre il 65 per cento;
   nonostante nel 2014 si sia registrato un dato positivo nell'offerta di muti pari al +13 per cento rispetto all'anno precedente, per i piccoli proprietari il miglioramento della qualità dell'abitare passa prevalentemente per uno scambio tra la «vecchia» abitazione ed una nuova o riqualificata più performante sotto il profilo energetico e strutturale;
   in ogni caso l'operazione di sostituzione «immobiliare» è particolarmente difficile nel caso in cui la «vecchia abitazione» abbia goduto all'atto del suo acquisto originario delle agevolazioni cosiddette «prima casa» (articolo 1 e relativa nota II-bis, tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131) e in fase di rogito della nuova casa acquistata il proprietario non sia riuscito ancora a vendere tale immobile;
   possedendo, al momento del rogito, un immobile che ha goduto di tali agevolazioni, non si può avere alcuna agevolazione fiscale dedicata alla prima casa: vieppiù tale agevolazione non potrà essere recuperata nemmeno in seguito;
   tale situazione può minare in modo consistente la valenza dell'offerta, limitando significativamente il contributo alla ripresa del settore immobiliare;
   sarebbe opportuno preservare il trattamento fiscale riservato alla «prima casa» anche nei casi in cui l'acquisto dell'immobile, da considerarsi come «prima casa», avvenga prima di aver venduto l'immobile sul quale si è già goduto delle agevolazioni cosiddetta «prima casa»;
   occorre pervenire ad una vera e propria strategia fiscale che incentivi il mercato sia stimolando le compravendite di immobili destinati a prima abitazione, sia prevedendo ulteriori agevolazioni dedicate all'acquisto di abitazioni di nuova generazione, con effetti positivi sulla riqualificazione del tessuto urbano e sulla qualità dell'abitare;
   in tale ottica andrebbero potenziati alcuni strumenti agevolativi già esistenti, quali la detrazione riconosciuta per l'acquisto d'immobili di nuova costruzione o incisivamente ristrutturati da mettere a reddito, attraverso la possibilità di convertire la stessa con uno sconto di prezzo da parte del costruttore/cedente –:
   se il Governo intenda introdurre un sistema d'incentivi diretti a favorire le operazioni di sostituzione della prima casa, attraverso la possibilità di applicare le «agevolazioni prima casa» (imposta di registro al 2 per cento o IVA al 4 per cento) e l'imposta sostitutiva sul mutuo pari a 0,25 per cento (articolo 18, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601) anche qualora il nuovo acquisto sia effettuato prima della vendita dell'abitazione posseduta e da sostituire e, comunque, nel rispetto di due condizioni essenziali:
    a) l'immobile acquistato soddisfi sin dal rogito tutti i requisiti previsti dalla normativa agevolativa in materia (riepilogati nella già citata nota II-bis all'articolo 1, tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131);
    b) l'immobile da vendere su cui si è già goduto delle agevolazioni sia poi alienato entro un anno dall'acquisto del nuovo immobile agevolato;
   se il Governo intenda valutare, inoltre, l'introduzione di un sistema di incentivi diretti a favorire la permuta tra abitazioni usate e quelle particolarmente performanti sotto il profilo energetico attraverso:
    a) la riduzione al minimo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale a carico delle imprese acquirenti i fabbricati «usati»;
    b) l'introduzione di una detrazione fiscale correlata al prezzo di acquisto, a favore degli acquirenti del fabbricato nuovo o riqualificato e ad elevato standard energetico;
    c) la rimodulazione della deduzione riconosciuta per l'acquisto di immobili di nuova costruzione o incisivamente ristrutturati, da locare, consentendo di trasferire la stessa al costruttore/cedente dietro il riconoscimento di uno sconto di prezzo e se non ritiene, a tal fine, urgente accelerare l'emanazione del decreto attuativo per dare concreta operatività all'agevolazione. (5-06074)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 6 novembre 2012 ha disposto la fusione per incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nella Agenzia delle dogane;
   il Governo Monti fece rientrare tale operazione nel quadro della cosiddetta «spending review», sicché doveva essere un provvedimento necessario per il riassestamento della spesa pubblica. Tuttavia, si ritiene che tale accorpamento non abbia determinato alcun risparmio di spesa, ma addirittura dei costi, oltre il susseguirsi di ulteriori gravi criticità. Sul punto, già al tempo della disposta fusione, la Dirstat segnalò che l'intervento in questione veniva adottato in mancanza di valutazioni e studi approfonditi, nonché del confronto costruttivo con gli operatori del campo, gli unici in grado di prevedere l'impatto che può avere una norma nella sua concreta applicazione;
   ebbene, innanzitutto, si rileva che nell'ambito dell'attuale Agenzia delle dogane e dei Monopoli si sta perpetrando un'ingiustizia nei confronti del personale ex monopoli di Stato il cui trattamento economico è inferiore rispetto a quello goduto dal personale delle dogane. Pertanto, si profila l'incardinarsi di un contenzioso il cui prevedibile esito costerebbe alle casse erariali molto più di quanto si è pensato di poter risparmiare (stima prevista 10 milioni di euro all'anno);
   inoltre, l'accorpamento ha determinato ulteriori e gravi problematiche di gestione:
    attualmente le aree dogane e monopoli restano separate in attesa di una riorganizzazione complessiva, e, quindi, non solo è inesistente il risparmio di spesa, ma vi è addirittura un aumento di costi;
   l'AAMS, in quanto Amministrazione autonoma ha un proprio bilancio, anche se il rapporto di lavoro è regolato dal contratto collettivo del comparto agenzie fiscali, ed è l'unico ente che gestisce il pubblico gioco e la circolazione dei tabacchi. Essa provvede all'autofinanziamento delle proprie spese di funzionamento, presenta avanzo di gestione, registra puntuali riscossioni e assicura quindi il gettito erariale. L'organizzazione di tale ente sarebbe dovuta sfociare nella trasformazione dei Monopoli di Stato in agenzia, ma i relativi provvedimenti attuativi non hanno avuto seguito ed è, invece, intervenuta la fusione con le dogane. A riguardo, si ritiene che non possano coesistere due strutture che presentano compiti di istituto, ordinamento e organizzazione del tutto diversi;
   l'accorpamento dei Monopoli di Stato alle dogane è stato, a parere dell'interrogante, un intervento assurdo ed insensato. Tra l'altro, non si è tenuto conto che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato adotta sistemi contabili pubblicistici, mentre le dogane bilancio civilistico, sistemi che tecnicamente tra di loro sono incompatibili. Ed ancora, i provvedimenti adottati ai fini della fusione si ritengono vulnerabili e, quindi, pericolosi per l'efficacia ed il regolare svolgimento dell'accertamento e della riscossione delle entrate e determinano un dannoso dispendio di risorse umane, strumentali e finanziarie che vengono impiegate per la riorganizzazione sul piano logistico, informatico e funzionale di un apparato oltremodo complesso per il diverso funzionamento della struttura incorporante rispetto alla incorporata;
   per quanto predetto, è evidente che occorrono immediati interventi per riparare alla disparità di trattamento economico in danno del personale ex monopoli di Stato, nonché provvedimenti che rimuovano gli effetti contorti e dannosi causati dall'accorpamento –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali urgenti provvedimenti intenda adottare il Ministro affinché sia eliminata l'attuale disparità di trattamento economico che lede i diritti dei dipendenti dell'ex Monopoli di Stato;
   se e quali urgenti interventi intenda intraprendere per riparare alle gravi criticità, come esposte in premessa, determinate dalla dannosa incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nella Agenzia delle dogane. (5-06076)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COPPOLA, MORETTO, COVA, RICHETTI, MALPEZZI, GIUSEPPE GUERINI, QUINTARELLI, RUBINATO, BOCCADUTRI, FERRARI, MARCO DI MAIO, DALLAI, GADDA, VAZIO, FREGOLENT, FANUCCI e DONATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è innegabile l'accelerazione assunta dal progresso tecnologico e dallo sviluppo delle nuove tecnologie, fatto reso evidente dalla ormai nota legge di Moore, formulata nel 1965 e non ancora confutata, che sostanzialmente afferma che la potenza di un calcolatore è destinata a raddoppiare ogni due anni, mettendo in evidenza così la crescita esponenziale dei dispositivi tecnologici;
   all'interno di questo trend di crescita si inserisce lo sviluppo dell'economia digitale e delle professioni strettamente collegate all'utilizzo di strumenti informatici;
   l'ordinamento attuale, con riferimento al Testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 2 dicembre 1986, n. 917 prevede l'ammortamento dei beni materiali per i professionisti e per le imprese sulla base dei coefficienti di ammortamento individuati con decreto ministeriale 31 dicembre 1988 del Ministero dell'economia e delle finanze, pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 27 del 2 febbraio 1989, supplemento ordinario n. 8, basati sulla stima della vita utile del bene e suddivisi per categorie omogenee;
   per quanto riguarda il tema specifico, un professionista nel campo del digitale che utilizza un personal computer rientra, nella categoria «Attività non precedentemente specificate» come da allegato 22 del decreto ministeriale sopra citato, ed il suo bene principale ha un'aliquota di ammortamento del 20 per cento come specificato alla voce «Macchine d'ufficio elettronimeccaniche ed elettroniche compresi i computers e i sistemi telefonici elettronici»;
   con aliquota al 20 per cento un dispositivo tecnologico può essere ammortizzato completamente in non meno di 5 anni;
   i dispositivi digitali, soprattutto a fini professionali, hanno una durata media di non superiore a 36 mesi, tenuto conto dell'avanzamento tecnologico come da premesse –:
   se sia intenzione del Ministro, in considerazione allo sviluppo tecnologico attuale, aggiornare le aliquote di ammortamento per tutto il sistema produttivo, alla luce anche della velocità di obsolescenza dei dispositivi digitali, considerato che una revisione delle aliquote, e in generale del decreto ministeriale 31 dicembre 1988, porterebbe con se il vantaggio di una spinta all'innovazione tecnologica strumentale di professionisti e imprese, per permettere loro di affrontare con strumenti adeguati le sfide competitive che l'economia digitale comporta.
(4-09857)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un articolo del sito internet quotidianosanita.it riferisce le problematiche della sanità siciliana;
   la sanità regionale, pubblica e convenzionata, assorbe il 54 per cento della spesa complessiva sostenuta dalla regione siciliana, attestandosi a 9 miliardi e 508 milioni di euro per il 2014 e registrando un incremento di circa 615 milioni rispetto all'anno precedente;
   per quanto concerne le entrate è arrivata ad assorbire il 62 per cento del totale, quota che aumenta fino al 71 per cento circa se si considera l'incidenza della spesa sanitaria corrente sul totale delle entrate correnti regionali;
   si sono ripresentate, anche per il 2014, le difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie a coprire la quota di spesa sanitaria a carico della regione, pari, per il trascorso esercizio, a 4 miliardi e 263 milioni di euro;
   questo è quanto ha scritto la Corte dei conti nella propria relazione sul rendiconto generale della regione siciliana;
   secondo quanto scrivono i giudici contabili siciliani, a pesare notevolmente in termini sistemici è la strutturale carenza di liquidità del bilancio regionale che ha determinato il mancato rispetto dell'obbligo, a carico della regione, di trasferire, entro la fine dell'esercizio, almeno il 99 per cento delle risorse complessive destinate al finanziamento del settore sanitario al fine di velocizzare i pagamenti dei fornitori delle aziende sanitarie, garantendo a queste ultime un'adeguata capacità di cassa;
   ciò risulta di particolare evidenza con riferimento alla quota a carico della regione, che, a fronte di un impegno pari ad oltre 4,2 miliardi di euro, ha trasferito alle aziende, nel corso del 2014, meno di 1,3 miliardi (circa il 30 per cento del dovuto);
   la sezione siciliana della Corte ha rilevato che a fronte della «sostanziale inefficacia delle misure di contenimento della spesa sanitaria nel settore degli acquisti», lo sforzo fiscale aggiuntivo richiesto ai cittadini siciliani «rischia di consolidarsi per un ulteriore lungo periodo». Viene quindi evidenziato come sussistano per il futuro «gravi e preoccupanti problematicità circa la sostenibilità della spesa sanitaria e dell'onere restitutorio a carico della Regione»;
   tuttavia, nonostante le difficoltà di cassa del bilancio regionale, il 2014 conferma i progressi già evidenziati nei precedenti esercizi nel riassorbimento degli squilibri del settore sanitario. La gestione relativa all'esercizio mostra, infatti, sulla base dei dati di consuntivo da ultimo trasmessi, un avanzo di 54 milioni di euro (al netto della gestione accentrata), confermando la chiusura in utile dell'esercizio precedente;
   la componente dei crediti verso la regione per spesa sanitaria corrente, pari a circa 3,9 miliardi di euro, evidenzia un incremento di 239 milioni di euro rispetto all'omologo dato del 2013, che già registrava, rispetto al precedente esercizio, una crescita di oltre mezzo miliardo di euro;
   la Corte conti chiude la parte della sua relazione sulle finanze della regione siciliana dedicata alla sanità rilevando che «Si confermano, pertanto, le criticità già rilevate con riferimento al mancato trasferimento delle risorse di spettanza regionale, con il conseguente deficit di cassa delle aziende e l'inevitabile allungamento dei tempi di pagamento dei fornitori, che si riflette negativamente sull'economia dell'Isola» –:
   quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, i Ministri interrogati affinché possano essere risolte le problematiche esposte in premessa.
(4-09858)


   RUOCCO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano la Repubblica nelle pagine milanesi dava la notizia in data 8 maggio 2015 di una complicata vicenda penale arrivata in giudizio che coinvolgeva anche un esponente di rilievo di Equitalia nazionale;
   La Repubblica citata così scriveva: «Un'auto della Questura usata per accompagnare in albergo la famiglia di amici dopo un concerto al Forum di Assago. Un'altra per trasportare una coppia di conoscenti in arrivo dalla Sardegna, dall'ospedale Galeazzi, dove avevano prenotato una visita specialistica, fino in albergo. E due altri favori a un vecchio amico che, dalla propria abitazione in centro, deve raggiungere una volta la stazione Centrale, un'altra Linate. Per l'uso quantomeno disinvolto del parco macchine della polizia, il vicequestore Fabio Campilongo, ex dirigente della divisione Personale della Questura, è a processo insieme ad altri tre poliziotti (gli autisti) per abuso d'ufficio. Per lui, il pm Piero Basilone ha chiesto una condanna a un anno e due mesi, mentre per i tre autisti, suoi sottoposti, e per le quattro persone che hanno beneficiato delle auto di Stato, il pm ha chiesto condanne tra gli otto e i dieci mesi. A portare alla luce l'uso a fine privato delle auto, le intercettazioni ambientali dell'indagine “White” della Dda su un grosso traffico di droga, da cui sono emersi contatti telefonici tra uno degli imputati di quell'inchiesta, Enrico Miretta Colombo, raggiunto negli anni anche da provvedimenti di confisca per mafia, e lo stesso Campilongo. Intercettato nel 2010 dal Nucleo investigativo dei Carabineri, proprio Miretta parlava della sua amicizia col dirigente della Questura. Sono stati poi gli investigatori della squadra mobile a portare avanti questo filone d'indagine, da cui è emerso come il capo del personale, ora trasferito a Roma, ordinasse ai suoi sottoposti, anche durante l'orario di servizio, di accompagnare i suoi amici negli spostamenti in città. Gli episodi sono tutti del 2011. Il primo riguarda l'uso “di autovettura e personale dell'amministrazione per trasportare la famiglia” di due imputati, coi loro due figli, “per ragioni esclusivamente private all'hotel Monte Bianco di via Monterosa, al termine di un concerto al Forum di Assago”. Campilongo “rappresenta falsamente all'autista”, un'agente donna e parte lesa, che la signora da incontrare al Forum “era moglie di un collega”. In un secondo caso, l'auto viene messa a disposizione di “due coniugi giunti a Milano dalla Sardegna per una visita specialistica al Galeazzi. A beneficiare degli altri due trasferimenti – una volta in Centrale, una volta a Linate – è invece Giuseppe Del Vecchio, responsabile della security di Equitalia, nipote del procuratore generale Manlio Minale. Del Vecchio è “persona conosciuta negli ambienti investigativi per aver rivestito ruoli di responsabile commerciale in alcune principali società operanti nel mercato delle intercettazioni”. Per lui, la Procura ha già ottenuto, in uno stralcio del processo, nel marzo 2014, la condanna sei mesi di reclusione. Per Campilongo, i tre agenti, e le quattro persone che hanno beneficiato dei favori, la sentenza arriverà il mese prossimo»;
   si apprende pertanto da La Repubblica che del Vecchio «responsabile della security di Equitalia... persona conosciuta negli ambienti investigativi per aver rivestito ruoli di responsabile commerciale in alcune principali società operanti nel mercato delle intercettazioni» ha subito una condanna a sei mesi; il ruolo di Del Vecchio è confermato dal sito istituzionale di Equitalia quale responsabile funzione supporto valutazione rischi esterni e sicurezza Equitalia spa;
   in ogni caso desta preoccupazione che il capo della security di Equitalia avesse rapporti col Miretta, uomo dalle relazioni preoccupanti e imputato nell'inchiesta su crimine organizzato e droga «White» della direzione distrettuale antimafia di Milano;
   ad oggi non è dato sapere nulla dei destini del Del Vecchio in Equitalia dopo la condanna, e cioè se mantenga la sua delicata carica, se sia stato sospeso, se si dimesso ovvero sia stato licenziato;
   si è letto negli ultimi anni ad abundantiam sui quotidiani ed è stato segnalato anche da numerosi atti di sindacato ispettivo in questa legislatura la presenza di numerose denunce, arresti e processi a carico di dipendenti infedeli di Equitalia;
   l'articolo 35 del CCNL della riscossione in ogni caso prevede che il lavoratore il quale venga a conoscenza, per atto dell'autorità giudiziaria che nei suoi confronti sono svolte indagini preliminari ovvero è stata esercitata l'azione penale per reato che comporti l'applicazione di pena detentiva anche in alternativa a pena pecuniaria, deve darne immediata notizia all'azienda; analogo obbligo incombe sul lavoratore che abbia soltanto ricevuto informazione di garanzia; inoltre l'articolo 35 prevede pure «L'azienda può anche disporre, in ogni fase del procedimento penale in atto, l'allontanamento dal servizio del lavoratore/lavoratrice interessato per motivi cautelari. L'allontanamento dal servizio per motivi cautelari viene reso noto per iscritto al lavoratore/lavoratrice interessato e può essere mantenuto dall'azienda per il tempo dalla medesima ritenuto necessario ma non oltre il momento in cui sia divenuta irrevocabile la decisione del giudice penale» –:
   se il Del Vecchio abbia riportato una condanna ovvero sia addivenuto a un patteggiamento per i fatti citati da La Repubblica dell'8 maggio 2015;
   se il Del Vecchio sia ancora dipendente in servizio oppure sospeso, ovvero sia stato licenziato se non si è dimesso;
   in quale data siano avvenuti l'eventuale licenziamento o le eventuali dimissioni di Del Vecchio;
   se il Del Vecchio avesse comunicato o meno ai sensi dell'articolo 35 del CCNL ai vertici di Equitalia nel 2011 la sottoposizione a indagini e poi a processo a Milano, non appena ebbe contezza della propria posizione di indagato;
   quanti siano attualmente i dipendenti di Equitalia sotto indagine ovvero sotto processo per vicende dell'ufficio riscossivo;
   se tutti i dipendenti di Equitalia sotto indagine ovvero sotto processo di cui sopra abbiano comunicato ritualmente e tempestivamente la propria posizione ai vertici di Equitalia; nel caso ciò non fosse avvenuto, quali provvedimenti disciplinari siano stati eventualmente adottati;
   se i dipendenti di Equitalia sotto indagine ovvero sotto processo di cui sopra siano stati allontanati dal servizio cautelativamente o meno;
   se i dipendenti di Equitalia, di età sopra i 54 anni, licenziati, sospesi o dimessisi sotto avviso di garanzia ovvero processo ovvero condannati abbiano potuto usufruire in questi anni dei benefici e delle guarentigie del cosiddetto fondo esuberi. (4-09867)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Banca Marche è commissariata dall'anno 2013 a causa del dissesto finanziario in cui versava;
   Banca Marche risulta essere il maggiore disastro bancario verificatosi in Italia dopo quelli dei casi Sindona e Calvi;
   gli attuali commissari di Banca Marche, nell'atto di citazione depositato presso il tribunale di Ancona, chiamano in causa i vecchi vertici dell'istituto bancario marchigiano per chiedere un risarcimento multi milionario;
   si parla di un danno di oltre 280 milioni di euro, che secondo la difesa dovranno risarcire gli ex amministratori: l'ex direttore generale, gli ex presidenti e anche la società di revisione milanese che controllava i bilanci;
   numerose le irregolarità contestate ai sopra citati da parte dei Commissari: dalle carenze e violazioni commesse da amministratori, sindaci e funzionari nella gestione dal 2006 fino al commissariamento; gravissime anomalie e violazioni di gestione;
   dagli atti risulterebbero numerose le pratiche di finanziamenti di molti milioni, concesse senza le dovute garanzie, e in tempi molto accelerati;
   agli atti emergerebbero circa 80 delibere risalenti a luglio del 2008 che hanno concesso finanziamenti privi di ogni garanzia, approvate dal consiglio di amministrazione in modo molto superficiale e molto velocemente;
   nel 2009 il Comitato esecutivo avrebbe dato esito positivo ad altri 78 finanziamenti in meno, nonostante l'istituto iniziava ad accumulare grosse perdite pari a 520 milioni di euro;
   il prossimo autunno il commissariamento compie due anni, ma ancora non è certa la strada per l'uscita, che passa necessariamente per la ricapitalizzazione. Da mesi si parla d'interessamenti da parte di una società finanziaria americana, pronta a far rinascere l'istituto assieme ad alcuni imprenditori locali;
   Banca d'Italia già a febbraio 2015 sollecitava la chiusura del Commissariamento di Banca Marche come sollecitava la chiusura degli attuali 16 commissariamenti in tutta Italia, ma la soluzione resta ancora sconosciuta –:
   quali siano, per quanto di competenza, le politiche messe in campo per tutelare i lavoratori di Banca Marche e i correntisti, poiché Banca Marche è la banca dei cittadini marchigiani, degli artigiani e dei professionisti onesti che per decenni hanno creduto e investito in buona fede nell'Istituto e che oggi a causa di un grave danno subìto si vedono in una situazione senza via di uscita. (4-09868)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il patrocinio a spese dello Stato, detto anche gratuito patrocinio, è uno strumento che garantisce il diritto di difesa, in attuazione dell'articolo 24 della Costituzione della Repubblica italiana, a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia;
   la disciplina attuativa di tale disposizione costituzionale è racchiusa nel «Testo Unico Spese di Giustizia» (decreto del Presidente della Repubblica 115 del 2002) negli articoli 76 e seguenti, con la specifica previsione di un tetto reddituale all'articolo 77 che delimitai soggetti aventi diritto al gratuito patrocinio. La norma prevede inoltre che il predetto tetto reddituale venga aggiornato ogni 2 anni per evitare che l'inflazione impedisca di aiutare concretamente coloro che non hanno risorse economiche sufficienti per accedere alla giustizia;
   il tetto reddituale previsto in origine dal decreto del Presidente della Repubblica 115 del 2002 era di 9.296,22 di imponibile ed è stato aggiornato il 20 gennaio 2009 a euro 10628,16, in adeguamento alla crescita dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operi e impiegati, tuttavia ciò con riferimento fino al 30 giugno 2008. Nel 2013, successivamente, vi è stata una ulteriore variazione in aumento che portato il tetto reddituale a euro 10.776,28, ma adeguandolo soltanto ai dati aggiornati ISTAT al 30 giugno 2010;
   la più recente variazione in aumento è pervenuta dal Ministero di giustizia con il decreto del 1o aprile 2014 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 23 luglio 2014, n. 169) e ha portato il tetto reddituale a euro 11.369,24. Tuttavia tale aumento è stato fatto in riferimento al periodo 1o luglio 2010-30 giugno 2012, senza invece considerare il periodo 1o luglio 2012-30 giugno 2014;
   appare quindi urgente aggiornare il tetto reddituale per il periodo 1o luglio 2012-30 giugno 2014 al fine di dare concreta attuazione all'articolo 24 della Costituzione della Repubblica italiana, anche perché, in tale biennio, l'ISTAT ha certificato una variazione in aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati di oltre il 2,4 per cento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda intraprendere affinché venga immediatamente emanato il decreto ministeriale per modificare il tetto reddituale in modo da adeguarlo al tetto di legge per come maturato alla data odierna. (5-06072)


   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stato bandito il concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area C, posizione economica C1 indetto con PDG 21 novembre 2003 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16 aprile 2004, la cui graduatoria ufficiale definitiva è stata pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23;
   la procedura di assunzione è stata avviata il 30 giugno 2009 e solo a marzo 2012 si è proceduto all'assunzione dei restanti vincitori del bando suddetto, oltre che di altri 32 ex educatori C2 (questi ultimi vincitori del concorso pubblico per esami a 50 posti nell'area C, posizione economica C2, profilo professionale di educatore, indetto con PDG 23 novembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale — IV serie speciale — «concorsi ed esami» n. 30 del 16 aprile 2004), le cui nomine erano in sospeso da due anni;
   al momento risulta che lo scorrimento della graduatoria del concorso C1 è giunto al 474o posto: restano altri 413 idonei;
   considerato il fatto che il Ministero competente valuterà i provvedimenti da adottare per risolvere la questione del sovraffollamento carcerario, data l'entità della popolazione carceraria, inclusa l'adozione di misure alternative al carcere;
   sono ingenti i suicidi, gli atti autolesionistici e le denunce provenienti da operatori penitenziari;
   il rapporto detenuti/educatori risulta sempre più alto, come emerso dallo studio condotto da Carcere Possibile Onlus, secondo cui, ad oggi il rapporto educatore/detenuto è di circa 1 a 1000 –:
   se il Ministro non ritenga opportuno che vengano assunti ulteriori educatori presso le strutture carcerarie per ampliare l'esigua pianta organica prevista per questo profilo professionale, attingendo tali educatori dagli idonei della vigente graduatoria sopra menzionata, eventualmente impiegandoli anche in funzioni similari presso altri dipartimenti del Ministero della giustizia, come il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria (DOG) con qualifica di cancellieri all'esecuzione penale, data la continua interazione con gli educatori penitenziari che operano presso i carceri. (5-06075)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA, GRILLO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione n. 71 del 2014, così come emessa dalla Corte dei Conti, recante «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.», stabilisce che l'assetto organizzativo societario del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane è quello di un gruppo industriale, con holding capogruppo Ferrovie dello Stato italiane spa;
   le azioni della società Ferrovie dello Stato Italiane spa così come definito dalla determinazione n. 71 del 2014, appartengono, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato Italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   in data 31 ottobre 2000, il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio, in favore della società di trasporti e servizi per azioni «Ferrovie dello Stato», della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60, concessione successivamente trasferita alla società Rete Ferroviaria Italiana spa;
   attraverso tale decreto ministeriale, il Ministero affidava, quale oggetto della concessione, il collegamento ferroviario via mare fra la penisola e la regione siciliana, garantendo, a tal fine, la sola continuità territoriale ferroviaria;
   la società Rete Ferroviaria Italiana spa opera oggi nell'area dello stretto di Messina anche mediante la propria controllata, la Bluferries S.r.l., istituita nel 2010, la quale ha come oggetto sociale il trasporto marittimo, anche con mezzi veloci, di persone, automezzi e merci, nonché lo svolgimento e la fornitura di tutte le operazioni e i servizi portuali ai mezzi navali sugli approdi, senza, tuttavia, alcun obbligo specifico, né alcuna concessione esclusiva;
   la gestione delle attività di trasporto passeggeri e di logistica, invece, sono affidate alla società Trenitalia, interamente controllata dal gruppo società Ferrovie dello Stato Italiane spa, e suddivisa in tre aree business e in direzioni centrali, tra i quali compiti figura l'erogazione del servizio di mobilità in ambito metropolitano, regionale e interregionale, fornendo attraverso i contratti di servizio regionali risposte adeguate alla domanda espressa dalle diverse realtà territoriali;
   in data 15 maggio 2015, il quotidiano la Gazzetta del Sud, pubblicava sulla propria edizione cartacea, la segnalazione del Comitato pendolari siciliani riguardante possibili irregolarità riferite ai corretti chilometraggi da applicare nei titoli di viaggio utili al collegamento tra le località delle sponde dello Stretto, e, di conseguenza, nella determinazione delle tariffe dei biglietti ferroviari delle società «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.» e «Trenitalia» che prevedano un traghettamento dell'utente;
   secondo quanto riportato dall'articolo, le società applicherebbero ai titoli di viaggio un chilometraggio fedele alla distanza effettiva dei due punti considerati, includendo in tale calcolo anche la distanza del tratto di mare dello retto nel caso in cui le stazioni ferroviarie di destinazione e di arrivo ne prevedano l'attraversamento;
   nonostante tale criterio, tuttavia, è possibile verificare come all'interno dei titoli di viaggio venga espressamente riportato dalla società di emissione, che lo stesso deve intendersi «non comprensivo dei costi per il servizio di traghettamento», costringendo, così, il passeggero ad un ulteriore pagamento per l'attraversamento dello stretto di Messina, nonostante la tariffa del titolo, calibrata sulla base dei chilometri effettivamente percorsi, dovrebbe già assicurarne il passaggio senza costi aggiuntivi;
   così come riportato dall'articolo, infatti, l'utente, al quale viene applicata una tariffa calibrata su una distanza effettiva di 39 chilometri per usufruire del collegamento tra le stazioni di Rometta Marea (ME) e Scilla (RC), quindi comprensiva del tratto di mare che separa le coste siciliane da quelle calabresi, non può comunque beneficiare del servizio di traghettamento;
   per tali motivi si ritiene debbano essere rivalutati i chilometraggi, a oggi applicati sulla base della distanza percorsa su binari «a terra», assicurando all'interno del titolo di viaggio anche il servizio di traghettamento senza ulteriori costi aggiuntivi, evitando un doppio ed indebito pagamento e, allo stesso tempo, tutelando la continuità territoriale tra le sponde dello stretto di Messina già fortemente limitata dall'assenza di un piano organico e strutturale del sistema di collegamento –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda adoperarsi, nei limiti delle sue competenze, affinché le società di cui in premessa verifichino la possibile sussistenza di anomalie nella definizione dei chilometraggi nei titoli di viaggio rilasciati per tutte le destinazioni che prevedano l'attraversamento dello stretto di Messina e, di conseguenza, nell'applicazione delle relative tariffe, scongiurando un'eventuale ingiusta ripetizione nel pagamento del servizio, e tutelando la necessaria continuità territoriale. (4-09866)


   SPESSOTTO, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come noto, l'inchiesta condotta dalla procura di Firenze sul Tav ha avuto origine dalle indagini sugli appalti illeciti per l'alta velocità nel nodo fiorentino e per la costruzione del sotto-attraversamento della città, per poi allargarsi a tutte le più importanti tratte dell'alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre grandi opere, compresi alcuni relativi all'Expo;
   il 30 giugno 2015 l'associazione di volontariato Idra, che da anni si occupa dei progetti e delle realizzazioni in materia di alta velocità ferroviari ed è attiva per la promozione e la tutela del patrimonio ambientale e culturale, ha indirizzato una lettera al presidente dell'ANAC Raffaele Cantone, manifestando la propria preoccupazione per la prosecuzione dei lavori per la costruzione della nuova stazione AV/AC di Firenze Foster, nonostante la gravità delle indagini tuttora in corso in merito alla gestione degli appalti per l'alta velocità nella suddetta città;
   l'associazione Idra ha espresso altresì una forte preoccupazione per il ritardo nella conclusione dell'istruttoria sul passante di Firenze, avviata dall'Anac nell'estate del 2014, sulla base degli esposti inoltrati dalla stessa associazione all'attenzione dell'Autorità presieduta da Raffaele Cantone, esposti in cui venivano evidenziate le criticità legate al «rilevante incremento» dei costi dell'opera e al «consistente ritardo nell'esecuzione dei lavori»;
   nonostante la gravità delle imputazioni contestate a 32 persone fisiche e 7 società nel procedimento penale apertosi lo scorso maggio a Firenze sulla gestione degli appalti per l'alta velocità (associazione a delinquere, corruzione, traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni dello Stato per i costi gonfiati di smaltimento dei fanghi, frode in pubbliche forniture per il mancato monitoraggio degli effetti degli scavi sulla stabilità di una scuola media e per l'utilizzo di conci di rivestimento del tunnel diversi da quelli prescritti nel capitolato e ritenuti non sufficientemente resistenti in caso di incendio), risulta agli interroganti che i lavori per la realizzazione del nodo fiorentino siano attualmente in fase di prosecuzione, pur in assenza dei controlli svolti dall'Osservatorio, istituito presso il Ministero dell'ambiente, e decaduto dalle sue funzioni nei mesi scorsi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno – per quanto di rispettiva competenza e alla luce delle considerazioni esposte in premessa – assumere iniziative per sospendere i lavori attualmente in corso nei cantieri per la realizzazione dello snodo Alta velocità di Firenze, in attesa che vengano resi pubblici gli esiti delle indagini condotte dalla direzione vigilanza lavori, servizi forniture dell'Anac sullo stato di attuazione dell'opera e, in particolare, sui tempi di esecuzione, sui costi dell'intervento, sulle perizie di variante, sul piano degli affidamenti, sul contenzioso con il general contractor.
(4-09869)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2015, il Ministero dell'interno, la direzione regionale per la Sardegna dei vigili del fuoco, la direzione generale della protezione civile della Sardegna e il Corpo forestale e di vigilanza ambientale della regione Sardegna hanno sottoscritto la «Convenzione per la collaborazione del corpo nazionale dei VV.F. nella campagna estiva antincendi in concorso con il dispositivo di lotta A.I.B. della Regione Autonoma della Sardegna e il sostegno della R.A.S. – D.G.P.C. nel presidio di soccorso tecnico urgente e protezione civile operato dal CNVVF nelle aree del territorio regionale ad aumentato rischio nei mesi estivi – Anno 2015»;
   nel dettaglio, l'articolo 5 della convenzione, nell'attribuzione dei rispettivi ruoli, stabilisce che «Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nell'ambito del piano tecnico organizzativo per il concorso alla lotta agli incendi boschivi, opera d'intesa con il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale in tutte le fasi di pronto intervento e di allertamento preventivo, ivi compresi gli scambi informativi su ogni incendio attraverso le proprie Sale Operative (Regionale e S.O. 115 Provinciali), la Soup e i Centri Provinciali (COP)»;
   all'articolo 11 viene stabilito che «La Regione concorrerà alle maggiori spese derivanti dall'impegno stagionale del Corpo Nazionale dei VV.F. con un contributo di 600 mila euro», che risulterebbe un importo irrisorio se raffrontato ai 56 milioni di euro complessivi che la regione Sardegna impiegherebbe per la C.E.A. 2015;
   con un'informativa del successivo 29 giugno, la direzione regionale della Sardegna dei vigili del fuoco ha provveduto a comunicare ai comandi provinciali le disposizioni conseguenti la sottoscrizione della convenzione, relative alla struttura operativa da attuare e all'assegnazione delle risorse economiche erogate dalla regione Sardegna;
   le rappresentanze sindacali dei vigili del fuoco hanno espresso diverse osservazioni negative in merito alla summenzionata convenzione; alcune sigle hanno annunciato l'avvio delle procedure relative alla proclamazione dello stato di agitazione, mentre il 15 luglio gli operatori del comando provinciale di Sassari hanno organizzato una manifestazione pubblica di protesta per denunciare la grave carenza di personale, attrezzature e mezzi;
   in particolare, nel corso della consultazione sindacale del 19 maggio 2015, tutte le sigle sindacali presenti, così come emerge chiaramente dal verbale stilato e sottoscritto al termine della seduta, hanno espresso parere contrario alla stipula della convenzione con la regione Sardegna;
   dal testo del verbale si evince con chiarezza che i pareri contrari, diversamente articolati, convergono su alcuni punti, come l'esiguità dell'importo del contributo regionale, considerato insufficiente a gestire una C.E.A. adeguata a fronteggiare l'emergenza incendi che ogni anno interessa la Sardegna, nonché il forte sottodimensionamento degli organici e delle dotazioni strumentali dei vigili del fuoco della Sardegna;
   nel dettaglio, emergerebbe che le risorse aggiuntive della regione consentirebbero di approntare squadre boschive supplementari solo per 40 giorni, dal 10 luglio al 20 agosto, a fronte di un periodo di allerta che, per le condizioni climatiche particolari dell'isola, potrebbe perdurare anche per sei mesi;
   verrebbe rilevata una grave insufficienza di automezzi fuoristrada idonei alla lotta agli incendi boschivi con capacità idrica sufficiente a fare fronte alla C.E.A. 2015. Si segnala in tal senso che la fornitura dei citati mezzi, prevista dall'accordo triennale di collaborazione 2010-2012, tra Ministero dell'interno e regione Sardegna, non sarebbe mai stata fatta;
   peraltro, le organizzazioni sindacali denunciano il forte ritardo, almeno un anno, nel pagamento degli straordinari riconosciuti per le attività connesse alla C.E.A.;
   l'impegno nella campagna estiva antincendi, con esiguità di mezzi, risorse e uomini, potrebbe non conciliarsi con la molteplicità di servizi che il personale dei vigili del fuoco garantisce quotidianamente nelle attività di emergenza di intervento tecnico;
   in generale, la sottoscrizione della convenzione avrebbe fatto emergere una serie di criticità che da anni le organizzazioni sindacali del settore denunciano;
   in particolare, le articolazioni regionali della Sardegna del corpo nazionale dei vigili del fuoco, indipendentemente dalla partecipazione alle campagne estive antincendio, si troverebbero in una situazione di profonda e insostenibile difficoltà per effetto del grave sottodimensionamento degli organici in tutti i comandi provinciali e dell'inadeguatezza di strumenti operativi a loro assegnati;
   la carenza di personale attualmente si attesterebbe attorno alle 250 unità, che passerebbero a 350, nel caso riprendessero operatività i distaccamenti di Mandas, Bono e Cuglieri, per garantire il rispetto delle direttive sulle tempistiche d'intervento previste dal dispositivo di soccorso tecnico urgente;
   l'età media del personale in servizio è di 46 anni che, secondo le rappresentanze sindacali, risulterebbe troppo elevata per le esigenze operative del servizio;
   resterebbe irrisolta la questione del potenziamento e dell'ammodernamento della colonna mobile regionale per renderla operativamente autonoma nell'isola;
   nel corso di una visita istituzionale in Sardegna, il 2 e 3 ottobre 2014, il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, avrebbe fornito rassicurazioni in merito all'impegno del Ministero per la risoluzione di alcune questioni in sospeso, come la costituzione di una colonna mobile regionale, l'incremento degli automezzi per i comandi provinciali e i distaccamenti nel territorio, il trasferimento in Sardegna dei vigili del fuoco sardi in servizi nella penisola (circa 240 unità), la definitiva sospensione del servizio di volontariato-precariato e l'avvio dei procedimenti per l'assunzione di nuovo personale;
   non risulterebbe all'interrogante che gli impegni assunti dal sottosegretario siano stati a tutt'oggi rispettati e, in particolare, per quanto riguarda il rientro in Sardegna del personale sardo in attività nella penisola; solo 60 operatori avrebbero fatto rientro, ma di questi, 15, per effetto di un avanzamento di carriera, sarebbero già state ritrasferiti nella penisola;
   questo stato di cose avrebbe determinato una situazione di grave sofferenza e difficoltà dei comandi provinciali nel fare fronte alle diverse attività che impegnano il Corpo dei vigili del fuoco, attività che si intensificano nella stagione estiva;
   è il caso di sottolineare che la Sardegna è ai primi posti in Italia per numero di roghi che si sprigionano ogni anno e per quantità di superficie interessata, a causa delle particolari condizioni climatiche, caratterizzate dalle alte temperature e dai forti venti, tutte condizioni che, oltre a protrarsi per diversi mesi all'anno, rendono gli effetti degli incendi boschivi particolarmente violenti e complesse e ardue le operazioni di spegnimento;
   secondo il rapporto annuale del Corpo forestale dello Stato, nel 2013, Sardegna e Sicilia risultavano le regioni più colpite dal fenomeno degli incendi, totalizzando insieme circa il 25 per cento degli eventi con oltre il 50 per cento delle superfici totali percorse dal fuoco;
   in particolare, il rapporto indicava la Sardegna al primo posto, con 10.588 ettari, tra superficie boscata e non boscata, distrutti, e 302 eventi registrati. Nel 2014, la Sardegna si è collocata al terzo posto, con 6.919 ettari percorsi dalle fiamme e 479 eventi, mentre dal 1o gennaio al 28 giugno di quest'anno, si sono registrati 57 roghi con 7431 ettari di terreno bruciati –:
   quali iniziative intenda adottare per fare sì che le articolazioni sarde del Corpo nazionale dei vigili del fuoco possano essere dotate di una struttura permanente, con risorse strumentali e un organico adeguati a fronteggiare il fenomeno degli incendi boschivi;
   se non ritenga opportuno rafforzare gli organici dei comandi provinciali dei vigili del fuoco della Sardegna anche accelerando il rientro nell'isola dei 240 vigili del fuoco sardi impegnati nella penisola;
   se non ritenga opportuno dotare la direzione regionale del corpo nazionale dei vigili del fuoco di una colonna mobile regionale per aumentare la risposta operativa in caso di calamità gravi e improvvise;
   se non ritenga opportuno dotare la direzione regionale del corpo nazionale dei vigili del fuoco di moderni mezzi adeguatamente allestiti anche per il contrasto degli incendi boschivi;
   se non ritenga opportuno procedere a nuove assunzioni di personale operativo dei vigili del fuoco anche per consentire un potenziamento degli organici in attività e ridurre l'età media degli operatori in servizio. (3-01622)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Nello Trocchia è un giornalista campano, collaboratore del Fatto Quotidiano, dell’Espresso e di La7 nonché autore di alcuni libri-inchiesta su vicende di mafia e corruzione;
   da intercettazioni ambientali risalenti al 10 giugno 2015, è emerso che durante un colloquio in carcere tra un boss «condannato per camorra» e suo fratello, il giornalista veniva esplicitamente e pericolosamente minacciato di morte;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, presumibilmente sarebbe stata proprio un'inchiesta di Trocchia a far scattare le indagini che hanno portato all'arresto del suddetto boss;
   l'intercettazione in questione viene tempestivamente segnalata dai carabinieri, attraverso un'informativa riservata, alla procura antimafia di Napoli;
   sempre dalla stampa si apprende che la procura antimafia di Napoli, dopo qualche giorno dalla ricezione dell'informativa, ha inviato il relativo fascicolo alla procura generale, ma da qui in poi nulla si è mosso;
   a tutt'oggi, a distanza di oltre un mese, Nello Trocchia non ha ricevuto alcuna protezione, nonostante la procedura, volta ad assicurare la tutela della persona «esposta a rischio», sia solitamente rapida e immediata;
   a parere dell'interrogante, se i fatti sono effettivamente andati così, si fa fatica a comprendere perché non siano ancora state ancora disposte le dovute misure di sicurezza in quanto non si può lasciare solo chi mette a rischio la vita per combattere l'illegalità, attraverso l'esercizio della propria professione, soprattutto se sono in gioco i diritti democratici di informazione e libertà di parola –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e, nell'ambito delle proprie competenze, quali iniziative intendano adottare per accertare l'accaduto e intervenire con urgenza in modo da garantire al giornalista, Nello Trocchia, le più adeguate misure di protezione.
(5-06073)


   FANUCCI e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Valdinievole è stata ed è tuttora una privilegiata piattaforma d'insediamento della criminalità, territorio fertile anche per l'investimento dei proventi di attività illecite;
   già a partire dall'espansione economica, coincidente con il secondo periodo degli anni 60’, foriero di un favorevole sviluppo commerciale della piccola e media impresa, in specie manifatturiera (calzaturifici, pellami e altro) e alberghiera, la Valdinievole è stata oggetto di flussi di immigrazione nazionale, i cui effetti d'esodo hanno registrato un parallelo effetto di recepimento di gruppi delinquenziali, rapidamente insediatisi sul territorio;
   parallelamente, benché in epoca successiva, attestato agli inizi degli anni 90’ e sino ai primi anni del nuovo millennio, è approdato in Valdinievole un numero esponenziale di stranieri, per lo più provenienti dall'area balcanica — e in particolare di etnia albanese — prima — e romena, in rapida successione, composto da elevate percentuali di soggetti gravitanti in aree criminali transnazionali;
   l'alta incidenza di attività delittuose — che riguarda in particolare il traffico degli stupefacenti, il racket della prostituzione, i reati contro la persona e contro il patrimonio — ha oggi assunto quasi carattere permanente, destabilizzando le radicate certezze sociali maturate sul lungo periodo percettivo. Rispetto alla criminalità locale quella straniera si presenta numericamente più consistente e, sotto il profilo della realizzazione predatoria, particolarmente aggressiva;
   d'altro canto, l'entrata nell'Unione europea della Romania ha consentito ai vari gruppi delinquenziali rumeni di gestire il racket della mendicità subdola e molesta, anche utilizzando invalidi e minori, il racket della prostituzione — impiegando giovani connazionali — nonché la realizzazione su larga scala di furti in abitazione, vieppiù programmati e orientati alla logica della preordinata verifica di strumenti di tutela passiva;
   pare staticamente evincibile il dato di rilevanza delittuosa ascrivibile a batterie di criminali di etnia albanese, efferati protagonisti di eventi ad alto impatto realizzativo, specializzati nel traffico degli stupefacenti, in rapine, furti e attività predatorie su vasta scala commerciale, generando non trascurabili effetti percettivi di allarme sociale;
   i pressoché cadenzati e periodici episodi delittuosi (rapine e furti), che non occasionalmente evidenziano peculiarità consumative avvinte dal carattere della serialità e della violenza alle persone con modalità inconsuete, riverberano effetti allarmistici sull'opinione pubblica, con diffusione di vissuti d'insicurezza anche nelle mura domestiche;
   la diffusa crisi economica, incardinata in un ambito territoriale intriso di confluenze economiche commerciali e turistiche di ampio rilievo nazionale, ha indubitabilmente generato effetti destabilizzanti nel contesto sociale della Valdinievole, determinando una crescente presenza di gruppi criminali di etnia straniera, ai quali si sono aggiunti clandestini e cittadini comunitari elettivamente orientati al guadagno fondato quantomeno sull'espediente, quale radicato stile di vita. Tali emersioni, com’è intuibile, hanno delineato l'esigenza di garantire un cospicuo e capillare incremento di presenza istituzionale orientato al controllo sociale e necessariamente espresso in termini di prevenzione sulla scorta del controllo del territorio;
   a conferma delle rappresentate esigenze d'incisiva presenza territoriale, il commissariato di P.S. di Montecatini Terme ha attuato una serie d'iniziative di contrasto e prevenzione alle attività criminali, quali il monitoraggio delle zone rischio e gli incessanti e minuziosi controlli a persone appiedate e automontate, intensificate con il personale del reparto prevenzione crimine di Firenze. Questo ha posto un freno alla fase d'incremento e serialità degli episodi di violenza, a conferma del fatto che con un'adeguata disponibilità di uomini e mezzi l'attività di prevenzione si potrebbero avere risultati positivi e si potrebbe arginare il fenomeno;
   sotto altro profilo valutativo, benché di analoga portata e rilevanza territoriale, si pone l'aspetto relativo alla gestione dell'ordine pubblico in Valdinievole, con epicentro di rilievo nella cittadina di Montecatini Terme;
   la particolare confluenza di interessi territoriali, peraltro enfatizzata dall'indubbia vocazione turistica e commerciale del comune sopra richiamato, rende tale porzione territoriale costante destinazione organizzativa di eventi di particolare valenza, tanto in termini di presenza numerica, quanto di attenzione mediatica;
   i numerosi e continuativi servizi specifici a tal fine svolti presentano un quadro di impegnativo intervento nell'ambito dell'ordine pubblico, costituito da manifestazioni di eterogenea espressione, di cui un'elevata percentuale di matrice sportiva ovvero culturale, a livello internazionale, senza peraltro tralasciare eventi e presenze legate al mondo politico, non solamente nazionale;
   la richiesta di elevazione del commissariato P.S. Montecatini Terme a rango dirigenziale è già stata avanzata dalla questura di Pistoia (anno 2014) al Ministero dell'interno ed è attuale oggetto di valutazione al dipartimento della P.S.;
   l'attuale dirigente, attesi i riconosciuti meriti di servizio e le eccezionali competenze professionali, in data 20 maggio 2015, in sede di consiglio di amministrazione, è stato promosso alla qualifica di 1o dirigente della P.S., in attesa di essere inviato alla frequenza del corso trimestrale di formazione dirigenziale (ottobre 2015);
   qualora il decreto di riqualificazione del commissariato P.S. Montecatini Terme a rango dirigenziale intervenisse entro l'autunno, l'attuale dirigente potrebbe essere riassegnato al termine del corso, con continuità nelle funzioni, alla rivalutata sede di Montecatini Terme, estendendo, con maggiore incisività e incrementate risorse umane, il proprio impegno professionale, riconosciutogli da tutte le istituzioni locali e dalla cittadinanza intera, che hanno, in più occasioni, espresso copiosi apprezzamenti e incondizionata stima per la competenza professionale e le squisite capacità organizzative e gestionali, offrendo un'immagine di estremo rilievo in tutti gli ambienti locali, anche a fronte del notevole senso di responsabilità dimostrato nella direzione delle attività investigative e nella gestione dell'ordine pubblico;
   nel mese di giugno 2015, si è proceduto alla stipula del contratto di locazione con il comune di Montecatini Terme, consentendo al locale ufficio di P.S. di ottenere — in tempi estremamente brevi — una prestigiosa sede, le cui metrature d'utilizzo risultano pienamente compatibili con l'incremento numerico di personale conseguente alla auspicata rivalutazione di rango dirigenziale –:
   se il Governo intenda procedere celermente, alla luce della particolare rilevanza assunta dal citato ambito territoriale, all'elevazione del commissariato P.S. Montecatini Terme a rango dirigenziale, con conseguente competenza territoriale ampliata e suffragata dal corrispondente incremento numerico di personale, offrendo concrete risposte tanto preventive, quanto repressive, ad oggi gravemente limitate da una previsione strutturale insufficiente alle crescenti necessità del territorio. (5-06077)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le immissioni in ruolo costituiscono per i docenti un momento decisivo della carriera scolastica;
   per causa della vicenda del crescente debito pubblico — che, dovuto quasi integralmente al sistema privato di emissione della cartamoneta, comporta l'aumento progressivo ed inutile di tagli e tasse — la certezza dell'immissione di cui sopra diventa sempre più determinante, anche per la mancanza di reddito che si registra nella categoria, costretta in larga misura a un risaputo precariato;
   il fenomeno del precariato è particolarmente diffuso proprio in ambito scolastico e risulta avere un'incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell'insegnamento, così fortemente penalizzate;
   secondo l'interrogante, è necessaria la corretta applicazione delle regole sull'immissione in ruolo del personale docente, rispetto alla quale non può in alcun modo esserci ambiguità;
   stando alle normative vigente in materia di pubblico impiego — articoli 437, 438 e 439 del decreto legislativo n. 297 del 1994 — e dai chiarimenti ministeriali intercorsi successivamente — prot. n. 39 segr. dir. pers. del 28 maggio 2001; prot. n. 196 del 3 febbraio 2006; prot. n. 3699 del 29 febbraio 2008 e ss. —, il personale viene inizialmente nominato in prova (per un anno) e l'assunzione de facto è subordinata all'esito positivo della stessa;
   tale meccanismo è stato riconosciuto anche dalla sentenza n. 21558 del 13 agosto 2008 emessa dalla Cassazione civile, sezione lavoro;
   altra questione d'interesse pubblico è la mobilità professionale, per esempio il passaggio di ruolo dalla scuola primaria a quella dell'infanzia;
   come stabilito dal decreto legislativo n. 297 del 1994, tale passaggio equivale de facto ad una nuova immissione in ruolo, giacché la nomina può avvenire in un solo ruolo, stante il fatto che il personale docente viene immesso solo a termine dell'anno di prova summenzionato;
   pertanto, riferendosi alle disposizioni ministeriali un docente sarebbe obbligato a ripetere ex novo il periodo di prova nella scuola dell'infanzia, in quanto quello già superato nella scuola primaria non è valido in questo ruolo;
   è dunque utile e doveroso che il Ministro interrogato chiarisca se un docente ancora in periodo di prova — e dunque non ancora confermato in ruolo — possa presentare richiesta di trasferimento da scuola primaria a scuola dell'infanzia, anche restando nello stesso distretto provinciale;
   inoltre, se un docente che ottiene il passaggio di ruolo per un dato anno scolastico dalla scuola primaria — per cui, dunque, già ha assolto al suo anno di prova — a quella dell'infanzia, mentre è in periodo di nuova prova per il nuovo ruolo (scuola dell'infanzia), non è chiaro se questi possa chiedere e ottenere un trasferimento interprovinciale nella scuola dell'infanzia oppure se sia tenuto a rispettare tutte le norme summenzionate, valide certamente per un neoassunto;
   per ultimo, non è ancora univoco se i titolari di precedenza secondo la legge n. 104 del 5 febbraio 1992 siano svincolati dall'impossibilità di richiedere il trasferimento durante il periodo di prova o meno –:
   se non ritenga opportuno chiarire in via generale e astratta, rispondendo alla suddetta interrogazione, le questioni sollevate in premessa, di modo da agevolare la corretta applicazione delle norme sull'immissione in ruolo, anche evitando ricorsi. (4-09850)


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO, SANNICANDRO, PALAZZOTTO, NICCHI, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   diversi organi di stampa (Ansa, 14 luglio 2015; Il Corriere Adriatico, 15 luglio 2015) hanno diffuso l'allarme delle segreterie generali della regione Marche di FLC-CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS-Confsal, sulle gravi carenze di personale docente e Ata nelle scuole marchigiane, che creeranno prevedibilmente significativi disagi al corretto svolgimento del prossimo anno scolastico;
   l'ufficio scolastico regionale tramite una dettagliata lettera del direttore regionale dottoressa Maria Letizia Melina, inviata al Ministero dell'istruzione, dell'università a della ricerca, ha inoltrato una richiesta di altri 200 posti, senza i quali non sarebbe garantito il regolare avvio del prossimo anno scolastico;
   nella lettera viene denunciata l'assoluta insufficienza dei posti attualmente disponibili in organico per far fronte allo sdoppiamento delle cosiddette «classi pollaio», ed alla copertura dei corsi serali, dei licei musicali e coreutici, dei corsi di bilinguismo, della scuola in carcere, delle sezioni antimeridiane della scuola dell'infanzia, del tempo pieno nella scuola primaria richiesto e non assegnato, dei corsi di laboratorio nei tecnici e professionali per permettere lo sdoppiamento delle classi, giacché in molti di questi l'alto numero degli allievi per classe rende di fatto impraticabile l'attività di laboratorio;
   tra gli altri problemi urgenti segnalati c’è quello relativo al personale ATA, non essendo stati ancora chiariti i criteri con i quali verrà operato il taglio dei 2020 posti già previsti dalla legge di stabilità 2015;
   le organizzazioni sindacali riferiscono come alcuni istituti comprensivi della regione abbiano una media di collaboratori scolastici di 1,1 per plesso, e, qualora venissero tagliati ulteriori posti, il rischio di non riuscire a garantire finanche l'apertura e la chiusura degli istituti che funzionano anche di pomeriggio e quelle a tempo pieno, diventa concreto –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per far fronte alla cogente situazione illustrata in premessa;
   se non ritenga opportuno chiarire i criteri con i quali verranno operati i tagli al personale Ata, previsti nella legge di stabilità 2015. (4-09855)


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, BRESCIA, DI BENEDETTO, SIBILIA, LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa del mese di luglio 2015 si apprende che il professore Luciano D'Amico, rettore dell'università di Teramo il giorno 4 luglio 2015 è stato eletto presidente di TUA, la nuova società di trasporto pubblico costituita dalla regione Abruzzo di cui la stessa regione detiene il 100 per cento del capitale;
   il professor Luciano D'Amico ricopriva, dal 13 agosto 2014, la carica di presidente della società di trasporti della regione Abruzzo Arpa s.p.a;
   l'articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dispone che il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nel caso di nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro;
   l'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, prevede che il professore che venga a trovarsi in una situazione di incompatibilità come previsto dal capoverso precedente, deve darne comunicazione, all'atto della nomina, al rettore, che adotta il provvedimento di collocamento in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio;
   il successivo articolo 15 del decreto precedentemente citato dispone che il professore ordinario che violi le norme sulle incompatibilità è diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità e che decorsi quindici giorni dalla diffida senza che l'incompatibilità sia cessata, il professore decade dall'ufficio;
   l'assenza della corresponsione di un'indennità in favore del professore D'Amico per la carica di presidente della TUA non determina, comunque, il venir meno della incompatibilità –:
   se il Ministro intenda adottare un'iniziativa normativa per superare le criticità della normativa vigente in materia di incompatibilità con riferimento ai rettori che proprio in ragione del meccanismo normativo sopra delineato si troverebbero a denunciare se stessi. (4-09863)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, COLLETTI, PETRAROLI e VACCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo SISAL è da 65 anni uno dei principali operatori del mercato italiano dei giochi, operante nei settori del gioco e dei servizi di pagamento;
   è un gruppo che, attraverso le sue società, è titolare di concessioni per l'esercizio e lo sviluppo dei giochi numerici a totalizzatore nazionale oltre che nell'ambito delle slot machine, in qualità di concessionario del Ministero dell'economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS);
   il controllo del gruppo è in capo alla Sisal Group spa, controllata a sua volta dalla Gaming Invest Sàrl, società di diritto lussemburghese;
   gli interroganti hanno appreso che la SISAL sta procedendo ad un importate processo di esternalizzazione e delocalizzazione con conseguente rischio, per molti lavoratori, di perdere il proprio impiego;
   in particolare tale circostanza emerge dai comunicati di alcune sigle sindacali, come quello del 23 marzo 2015 delle RSU-RSA/SISAL, nonché dei lavoratori, come ad esempio quello diramato dai dipendenti delle agenzie Match Point di Napoli del 16 giugno 2015;
   si evince da tali comunicati che, da un lato, 12 negozi, 1 wincity e 1 bingo di proprietà diretta della SISAL sarebbero rientrati in un piano di «cessioni di ramo d'azienda» ex articolo 47 della legge n. 428 del 1990, con il coinvolgimento di circa 130 dipendenti a tempo indeterminato (molti dei quali nelle zone di Napoli, Puglia e Abruzzo);
   dall'altro lato emerge la volontà della SISAL di procedere alla delocalizzazione, in Albania, del call center di primo livello con conseguente apertura della procedura di licenziamento collettivo per 97 lavoratori dislocati fra Milano e Roma (come già accaduto per il call center di Palermo, outsourced, che chiuderà proprio a causa della delocalizzazione in Albania mandando a casa 140 persone);
   per quanto risulta agli interroganti la SISAL sembra aver rappresentato la necessità di procedere alle predette «riorganizzazioni aziendali» per i seguenti motivi:
    1) la legge di stabilità 2014 prevede per il SISAL il pagamento di una imposta aggiuntiva di circa 46 milioni di euro;
    2) la contrazione del mercato dei giochi in conseguenza della crisi economica;
    3) la concorrenza dei centri di trasmissione flussi di gioco all'estero che non pagano le tasse in Italia, i cui flussi di scommesse vengono indirizzati verso «paradisi fiscali». Il Governo con la legge di stabilità 2014, invece di farli chiudere, ha avviato una sanatoria nei loro confronti;
    4) il «contenzioso SLOT» di 70 milioni di euro pagati nell'esercizio 2013;
    5) l'incremento del «PREU» sulle videolottery;
   le criticità sopra espresse si traducono, per SISAL, in difficoltà alla sostenibilità del costo del lavoro, ma le soluzioni individuate dall'azienda sono state quelle della disdetta del contratto integrativo aziendale nonché di un processo di dismissione di punti di vendita «non redditizi»;
   gli interroganti hanno altresì appreso che, nonostante tali problematiche, sembra che la SISAL abbia partecipato ad un'asta giudiziale per l'acquisizione di circa 55 punti del gruppo SIS aderente a SNAI (compresi 300 dipendenti e 200 collaboratori), come emerge dal comunicato dei lavoratori del 16 giugno 2015 di cui in precedenza;
   a ciò si aggiunga che, ad una prima indagine, sembrerebbe che le società cessionarie dei rami di azienda, di cui si è detto in precedenza, presentano caratteristiche tali da rendere almeno dubbia la solidità imprenditoriale delle stesse: sono società appena costituite con capitali sociali molto bassi, anche 500 euro, che per contro dovrebbero rilevare attività con volumi di affari di qualche milione all'anno;
   a parere degli interroganti è quantomeno inopportuno che una società titolare di concessione pubbliche proceda da un lato a disfarsi di propri lavoratori attraverso cessioni di rami d'azienda a società che, probabilmente, non riusciranno a garantire livelli occupazionali e che, in nome del profitto, delocalizzi la propria attività all'estero –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla vicenda;
   quali siano le iniziative di tutela che il Governo intenda intraprendere a difesa dei dipendenti di una azienda nazionale che opera per concessione dei monopoli di Stato relativamente alla gestione dei giochi;
   se sia a conoscenza di quali siano tutte le misure di salvaguardia che SISAL abbia intrapreso o intenda intraprendere al fine di evitare la perdita di posti di lavoro;
   se sia a conoscenza dell'esistenza di un diritto di prelazione per gli stessi dipendenti in caso di cessioni di ramo d'azienda;
   se sia a conoscenza di quali garanzie Sisal abbia chiesto, per i dipendenti rientranti nella cessione, alle società cessionarie dei punti vendita e se sappia cosa intenda fare Sisal qualora tali garanzie non venissero rispettate;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di introdurre, nell'immediato, strumenti di contrasto alle delocalizzazioni delle attività produttive e, quindi, di difendere gli asset occupazionali in Italia;
   se non si ritenga necessario convocare, in tempi ragionevolmente brevi, un tavolo a cui prendano parte tutti i soggetti interessati, al fine di fare chiarezza sul destino dei lavoratori nonché di avanzare proposte concrete per scongiurare i licenziamenti dei lavoratori. (4-09865)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   Expo Milano 2015 è l'Esposizione universale che ha avuto il via il primo maggio 2015 e che terminerà il 31 ottobre 2015, incentrata sull'alimentazione e la nutrizione, ed avente l'obiettivo di promuovere e garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri;
   trattasi di un'area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, con più di 140 Paesi e organizzazioni internazionali coinvolti, con una attesa di oltre 20 milioni di visitatori;
   il raggiungimento della quota di visitatori prevista (20 milioni) è fondamentale per il successo dell'iniziativa internazionale, sia dal punto di vista del rientro economico che da quello del raggiungimento dell'obiettivo culturale, ovvero di rappresentare la piattaforma di un confronto di idee e soluzioni condivise sul tema dell'alimentazione che stimoli la creatività dei Paesi, promuovendo le innovazioni per un futuro sostenibile;
   Expo 2015 che dovrebbe promuovere nuovi e confacenti stili di vita fondati sulla condivisione delle risorse tra i popoli, nasce e si sviluppa attraverso diffusi fenomeni di corruttela su cui già da tempo sta indagando la magistratura italiana;
   il quadro dei fenomeni corruttivi è allarmante e i reati ipotizzati sono numerosi: associazione a delinquere, corruzione, turbativa d'asta, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, nonché rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio;
   tra i fatti più eclatanti si ricordano gli arresti di Antonio Acerbo (ai domiciliari), responsabile Construction di Padiglione Italia e commissario delegato di Expo 2015 per il progetto «Vie d'acqua» (secondo l'accusa avrebbe favorito l'imprenditore Maltauro), di Angelo Paris, direttore generale di Expo 2015 Spa (in particolare, direttore generale della divisione construction and dismantling e di responsabile dell'ufficio contratti di Expo 2015) che ha patteggiato, di Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture lombarde, di Pierpaolo Perez, capo dell'ufficio gare e appalti della società operativa Infrastrutture lombarde società per azioni (Ilspa), di Enrico Maltauro, imprenditore (aggiudicatario bando vie d'acqua) che ha patteggiato, di Andrea Castellotti, manager della società Tagliabue e facility manager Padiglione Italia Expo 2015 Spa;
   il raggiungimento dei 20 milioni di visitatori è fondamentale per la «riuscita economica» dell'esposizione internazionale, ovvero per il rientro dei capitali investiti, in gran parte dei contribuenti italiani, come riportato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2013 e nell'allegato 2 dello stesso;
   i costi sostenuti per la realizzazione di EXPO 2015 possono così essere schematizzati: 2 miliardi di euro per realizzare gli edifici e i padiglioni di Expo e 15,8 miliardi di euro per le opere infrastrutturali di collegamento, mentre la ripartizione tra il capitale pubblico e privato dei 2 miliardi di euro risulta essere: 1,76 miliardi di euro a carico dello Stato (stanziati dai provvedimenti «Sblocca Italia», «Fare» legge di stabilità e altri), 159 milioni di euro a carico del comune di Milano, 79,5 milioni di euro dalla provincia di Milano, 159 milioni di euro dalla regione Lombardia e 79,5 milioni di euro dalla Camera di commercio di Milano (finanziamento privato);
   da un'inchiesta giornalistica del Fatto Quotidiano il numero dei visitatori di EXPO Milano 2015 risulta essere inferiore a quello dichiarato dal commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015, nonché l'amministratore delegato di Expo 2015 Spa, Giuseppe Sala che nel comunicato del 9 luglio 2015, ha diffuso una cifra per i due mesi di apertura, di 6,1 milioni;
   secondo l'indagine giornalistica di cui prima, basatasi sui numeri registrati con precisione millimetrica dai tornelli, che comprendono anche gli addetti, chi lavora nel sito, gli operatori professionali, il personale dei padiglioni, i volontari, i vigilanti e gli omaggi (almeno 10 mila persone al giorno) i «visitatori reali» non risultano essere più di 1,6 milioni a maggio e 1,8 a giugno ovvero meno di 3 milioni e mezzo nei due mesi;
   alla luce di queste misurazioni, e dato che Expo spa ha ipotizzato che nei primi due mesi arrivasse il 36 per cento dei visitatori totali, questi dovrebbero essere, nei sei mesi dell'esposizione, 11 milioni, ben al di sotto dei 20 milioni promessi;
   se i visitatori saranno meno della metà di quelli previsti e dato che il costo del biglietto è stato di molto ridotto da una politica di sconti fin qui attuata (il 15 per cento degli ingressi totali avvengono dopo le ore 19 con un costo del biglietto di 5 euro), appare plausibile il rischio che gli incassi degli ingressi non saranno sufficienti a garantire il rientro dei capitali pubblici investiti;
   come si evince dal sito di Expo, i compiti del commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 e amministratore delegato di Expo 2015 Spa sono importanti e fondamentali per la riuscita di Expo Milano 2015, in quanto vigila sull'intera organizzazione di Expo Milano 2015 con poteri sostitutivi per la risoluzione di eventi ostativi alla realizzazione delle opere essenziali e connesse all'adesione dei partecipanti o al regolare svolgimento dell'Evento, partecipa alle riunioni del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) riguardanti le decisioni strategiche per Expo Milano 2015, riferendo ogni tre mesi, espone periodicamente al Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione e sull'organizzazione generale dell'Evento e ha il compito di attivare tutti gli strumenti per la completa realizzazione del progetto con poteri di deroga alla legislazione vigente a mezzo di ordinanza (nei limiti indicati con delibera del Presidente del Consiglio sentito il Presidente della regione Lombardia) immediatamente efficaci e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per individuare eventuali responsabilità del commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 alla luce delle sue recenti dichiarazioni, e quale la sia la reale consistenza dei visitatori di Expo 2015 ad oggi;
   quali iniziative intenda promuovere per una maggiore trasparenza sul numero di ingressi giornalieri dei visitatori di Milano Expo 2015, ad esempio anche mediante un contatore collegato direttamente ai tornelli e facilmente fruibile sul sito ufficiale di EXPO;
   se non ritenga che le stime al ribasso del numero di visitatori totali – anche in considerazione della riduzione del prezzo dei biglietti – non stia gravando sul bilancio complessivo dell'iniziativa mettendo a rischio il «rientro» dei finanziamenti pubblici.
(2-01038) «Massimiliano Bernini, Lupo, Benedetti, Gagnarli, Parentela, Gallinella, L'Abbate».

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al fine di monitorare, tutelare e rendere trasparente il mercato dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale è stata istituita la Commissione unica nazionale — CUN con il compito di definire anticipatamente tendenze di mercato e prezzi relativi alla settimana successiva;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha incaricato la Borsa merci telematica italiana società cooperativa per azioni di sovrintendere alle funzioni di segreteria della CUN conigli vivi con una azione di supporto nella definizione, su base settimanale, degli elementi informativi necessari ai commissari per svolgere il proprio lavoro;
   risulta all'interrogante che Borsa merci telematica abbia chiesto al Ministero della salute di poter inoltrare direttamente alle ASL delle regioni ove hanno sede la maggior parte degli allevamenti e dei macelli la richiesta di fornitura dei dati in loro possesso relativi ai carichi di macellazione dei conigli;
   il Ministero non ha accolto la suddetta richiesta ritenendo più opportuno procedere direttamente a verificare la disponibilità, da parte delle regioni, dei dati in questione per poi trasmetterli a Borsa merci telematica al fine di consentirgli lo svolgimento del lavoro;
   ad oggi, nonostante la richiesta di cui sopra sia stata inoltrata nel 2013, non risulta trasmesso a Borsa merci telematica alcun elemento informativo da elaborare, con conseguente impossibilità per la CUN di operare e procedere alla definizione dei prezzi di riferimento –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga di dover procedere con urgenza alla raccolta dei dati in possesso delle regioni e alla loro trasmissione a Borsa merci telematica, anche in considerazione della recente istituzione delle commissioni uniche nazionali per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare, introdotta dal decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, per la cui operatività è indispensabile poter disporre di elementi informativi aggiornati e dettagliati.
(4-09849)


   CARDINALE e BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha annunciato entro la fine dell'anno 2015 la chiusura del punto nascita dell'ospedale «Maria Immacolata Longo» di Mussomeli;
   la deroga richiesta dalla regione siciliana per il mantenimento di alcuni punti nascita, sulla base della situazione orografica del territorio e delle difficoltà di collegamento, è stata respinta con la motivazione che manchino i princìpi di appropriatezza, efficienza, sostenibilità economica ed efficacia previsti dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010;
   il numero di parti in questi anni nel punto nascita dell'ospedale «Maria Immacolata Longo» di Mussomeli non è cresciuto, verosimilmente, per le cronache carenze di organico dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia che, a fronte dei 6+1 medici previsti, abbia avuto gli attuali 2+1;
   l'ospedale di Mussomeli ha raggiunto l'eccellenza, grazie all'adeguato organico medico e paramedico, nei reparti di medicina, ortopedia e traumatologia, chirurgia, nefrologia e dialisi, gastroenterologia e oculistica;
   la situazione della rete stradale di collegamento con il comune capoluogo è ancora più precaria –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per concedere un'ulteriore deroga alla regione siciliana ed evitare l'annunciata chiusura del punto nascita dell'ospedale «Maria Immacolata Longo» di Mussomeli, considerato che alla disagiata collocazione geografica si è aggiunto anche il peggioramento dei collegamenti stradali. (4-09864)


   BARONI, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO, CECCONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, VIGNAROLI, DAGA e SARTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 aprile 2014 l'allora responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dell'azienda (SPPA) policlinico Umberto I, dottor Ivano Simeoni, trasmetteva al direttore generale del Policlinico, dottor Alessio, e ai diversi dirigenti delegati datori di lavoro, una relazione di sopralluogo e valutazione dei rischi dei locali ambientali di ubicazione cabine elettriche MT (Media tensione) BT (Bassa Tensione), UPS (Gruppo statico di continuità) e gruppi elettrogeni dell'Umberto I;
   la relazione, di ben 265 pagine, corredata da foto e documentazione, evidenziava in particolare (testualmente):
    «La valutazione del rischio elettrico effettuata per i locali ed aree tecniche di ubicazione di cabine elettriche di MT/BT, UPS e Gruppi Elettrogeni ha evidenziato una generalizzata situazione di alto rischio elettrico, alto rischio incendio e talune situazioni di ubicazione di UPS e cabine MT/BT a concreto rischio di formazione di atmosfere esplosive. La situazione verificata richiede interventi di massima priorità per adeguamenti impiantistici di cabine di MT/BT nonché strutturali dei locali sede di ubicazione degli impianti verificati per renderli compatibili dal punto di vista antincendio e di sicurezza elettrica alle attività ivi svolte. Inoltre la dislocazione di numerosi impianti di cabine elettriche di MT/BT e di UPS in locali inseriti nei percorsi ipogei e nei piani seminterrati del corpo; degli edifici, aggrava notevolmente i fattori di rischio in termini di sicurezza elettrica e antincendio. Se a questo si associa la generale mancanza della certificazione obbligatoria sugli impianti relativamente alla dichiarazione di conformità degli stessi alle norme tecniche di settore, alla mancanza di certificazione sulla messa a terra degli edifici, a quella relativa alla protezione dalle scariche atmosferiche, nonché una generalizzata carenza manutentiva sugli impianti e di carente vigilanza sull'operato delle ditte appaltatrici delle manutenzioni impiantistiche, si rende necessario ed ineludibile un intervento tecnico specialistico per una perizia tecnica di valutazione della rispondenza degli impianti alle norme tecniche ai fini del rilascio della DIRI, dichiarazione di rispondenza, nonché una necessaria segnalazione all'Autorità Giudiziaria sulla grave situazione di rischio in cui versa il nosocomio dal punto di vista impiantistico elettrico»;
   la suddetta relazione rilevava anche un'altra grave anomalia dovuta ad una generalizzata assenza di rifasatori in moltissimi impianti di cabine MT/BT che, oltre a rappresentare un dispendio energetico di notevole entità e ingenti costi ovviamente maggiorati della bolletta elettrica, può mettere a serio rischio la funzionalità di apparecchiature elettriche ed elettroniche utilizzate per l'attività assistenziale;
   inoltre vi si segnalavano anche diversi luoghi con infiltrazioni di umidità vicine ai contatori elettrici, zone prive di vernice e intonaco, presenza di cavi non estraibili in quanto cementati a causa di lavori di rifacimento precedenti, gruppo di continuità a servizio di sala operatoria fermi da due anni causa avaria, locali privi di vetro e di protezione antintrusione, presenza di canali e fili elettrici scoperti ecc.;
   in data 24 ottobre 2014 il dottor Alessio, a seguito del sequestro di alcuni locali del Policlinico Umberto I per rischio elettrico, dichiarava «Il sequestro è un errore ed ha le ora contate», nonostante circa un mese prima fosse scoppiato un incendio in altri locali del nosocomio;
   da altra ispezione effettuata presso il reparto di neurologia in data 30 marzo 2015 si poteva evincere che la situazione non era affatto migliorata, mancando addirittura l'estintore di sicurezza, obbligatorio in questo tipo di locale e, soprattutto, con la prova di disallaccio (e conseguente partenza del gruppo elettrogeno) che ha dato esito negativo, con possibilità di grave nocumento (con esiti potenzialmente fatali), per i pazienti che si trovano in sala operatoria allorché vada via la corrente;
   stranamente a circa un anno di distanza dalla sua prima relazione, con determina n. 24 del 15 aprile 2015, il dottor Simeoni veniva sollevato dall'incarico di RSPP ma continuava a denunciare ancora la mancanza di sicurezza negli impianti elettrici e sempre con le medesime motivazioni, ossia mancanza di manutenzione e assenza di controlli interaziendali oltre che dei necessari certificati di conformità. Tali denunce venivano riprese anche dal sindacato FIALS con lettera, trasmessa, via PEC, al Direttore Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria, dottoressa Flori De Grassi in cui si chiedeva contestualmente un intervento immediato per ripristinare la sicurezza negli impianti del Policlinico Umberto I;
   in data 27 gennaio 2015 è stato annunciato, nel corso di una conferenza stampa, il «restyling» del nosocomio alla presenza del dottor Alessio, del Rettore dell'Università La Sapienza Eugenio Gaudio, del coordinatore della cabina di regia del Ssr dottor D'Amato e al Presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, che riguarderà circa il 50 per cento degli edifici (17 su 39), 728 posti letto su 1485 per un totale di 80000 metri quadrati su 200000;
   in quella stessa occasione il Presidente Zingaretti aveva modo di ringraziare il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze per aver sbloccato dei fondi fermi da una quindicina di anni e che hanno provocato nel corso degli anni lavori a macchia di leopardo, senza una specifica programmazione con inevitabile spreco di risorse;
   i fondi necessari a tale imponente ristrutturazione in parte provengono da finanziamenti della regione Lazio (91 milioni) ed in parte da fondi ex articolo 71 della legge n. 448 del 1998 (Piano straordinario di interventi per la riqualificazione dell'assistenza sanitaria nei grandi centri urbani) per circa 130 milioni di euro;
   in data 9 luglio 2015 il quotidiano «il Messaggero» denunciava l'arresto di diversi impianti di aria condizionata che andava a riflettersi oltre che sulle corsie, anche su alcune camere operatorie che, di conseguenza, sono rimaste bloccate (alcuni testimoni parlano addirittura di blocco di diversi giorni) –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   se i Ministri, ognuno per quanto di sua competenza, intendano attivare tutti i controlli necessari a verificare che la cifra erogata all'interno del finanziamento in premessa, vada, in primis, a coprire le carenze in materia di sicurezza del Policlinico Umberto I, sicurezza sia per i pazienti che per il personale e tutte le persone che vi gravitano giornalmente;
   se intendano attivare, ognuno per quanto di sua competenza, anche i controlli necessari affinché i lavori di ristrutturazione siano portati a termine nei tempi previsti e senza sprechi di risorse pubbliche;
   se intendano accertare, ognuno per quanto di sua competenza, le responsabilità dei ritardi negli interventi, posto che la denuncia del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda risale ormai a 15 mesi fa e l'unico risultato ottenuto sembra essere stato quello del suo allontanamento. (4-09870)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la frazione di Granieri nel comune di Caltagirone conta una popolazione composta da oltre 400 abitanti;
   anche per il fatto che la frazione suddetta non dispone di sportelli bancari, l'ufficio postale svolge un'opera insostituibile di raccolta del risparmio e un servizio essenziale per l'intera comunità;
   risultano infatti attivati, nello sportello postale di Granieri, circa 400 libretti di risparmio postale e oltre 200 conti correnti postali;
   le poste rappresentano anche un immancabile punto di riferimento per i servizi di spedizione, utilizzati in grande quantità;
   nonostante il significativo sviluppo dell'ufficio postale, la filiale Catania-2 di Poste italiane, nell'opera di ristrutturazione e razionalizzazione ha annunciato la chiusura dello sportello situato in via Roma 1 nella frazione di Granieri, con decorrenza da giorno 7 settembre 2015;
   alle legittime critiche della comunità per la scelta operata da Poste italiane si deve registrare l'opposizione motivata da parte del commissario straordinario del comune di Caltagirone dottor Mario La Rocca che ha indirizzato a Poste italiane una lettera, evidenziando le perplessità sulla chiusura dello sportello e le conseguenze per l'intera comunità derivanti dalla chiusura dello stesso sportello;
   nella missiva del commissario straordinario, oltre alle citate motivazioni sulla raccolta del risparmio, si evidenziano le difficoltà di collegamento tra la frazione di Granieri e il resto del territorio comunale che comporterebbero evidenti difficoltà, in particolar modo della popolazione anziana, a trasferire conti e servizi in altri sportelli postali o bancari, lasciando la popolazione più anziana o priva di mezzi di trasporti privati, pesantemente isolata;
   davanti alla richiesta di chiusura dello sportello postale di Granieri, adottata per contenimento dei costi, si rileva come l'ufficio di Granieri sia ospitato a canone irrisorio presso locali di proprietà comunale e l'apertura sia limitata a 3 giorni settimanali;
   pertanto non sembrano ravvisarsi costi di gestione così elevati a fronte di una notevole raccolta del risparmio rapportata al territorio;
   la soppressione dell'ufficio postale assesterebbe un colpo irrimediabile alle prospettive di crescita economica della comunità di Granieri e arrecherebbe un danno economico anche alle stesse Poste Italiane che hanno sinora avuto un fatturato significativo;
   per le motivazioni citate in premessa, all'interrogante appare incomprensibile a quali logiche di presunta razionalizzazione delle spese obbedirebbe la chiusura dell'unico ufficio postale della frazione di Granieri –:
   se il Governo non intenda intervenire urgentemente presso Poste italiane al fine di evitare, per mere ragioni economiche peraltro di difficile comprensione, la chiusura dell'ufficio postale sito nella frazione di Granieri, nel comune di Caltagirone (CT), in programma per il prossimo 7 settembre 2015, trattandosi dell'unico ufficio postale presente in quella frazione, punto di riferimento per la popolazione per tutti i servizi postali ed evitare così evidenti difficoltà e disagi in particolar modo alla popolazione più anziana e priva di mezzi per poter raggiungere altri uffici presenti nel territorio comunale. (4-09847)


   RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, ZACCAGNINI, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, LUCIANO AGOSTINI e MARCHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'analisi elaborata da Coldiretti Marche, sulla base dei dati relativi al commercio estero, la crisi greca sta influendo notevolmente sull'equilibrio degli scambi commerciali tra la Grecia e il nostro Paese;
   il valore dell’export delle produzioni realizzate nella regione Marche verso la Grecia, nel 2008 ammontava a 265 milioni di euro, mentre nel 2014 tale valore si è assottigliato a 114 milioni di euro, pari ad una diminuzione del 57 per cento;
   per quanto riguarda, in particolare, le produzioni del comparto agroalimentare si segnala un calo del 49 per cento, anche se tale diminuzione incide in misura limitata sugli scambi commerciali complessivi dei prodotti dell'agroalimentare marchigiano;
   allargando lo spettro dell'analisi al panorama nazionale degli scambi, nel primo trimestre 2015 si è registrato uno storico record nell’import di olio di oliva dalla Grecia in Italia, con un incremento pari al 569 per cento, determinato anche dal calo della nostra produzione rispetto all'anno precedente che ammonta al 35 per cento;
   nello stesso periodo si segnala, anche, un aumento dell'84 per cento delle importazioni di frutta e verdura conservate;
   complessivamente l'Italia ha importato dalla Grecia prodotti agroalimentari per un importo di 720 milioni di euro, contro una esportazione nel Paese ellenico per circa 602 milioni di euro nel 2014. Pur trattandosi di importi poco significativi rispetto agli scambi commerciali complessivi dell'Italia (nel 2014 le esportazioni agroalimentari italiane hanno toccato i 34,3 miliardi di euro), tuttavia tali scambi sono concentrati in specifici settori, e ciò potrebbe incidere sulle difficoltà già in essere per alcuni comparti come, ad esempio, quello ittico che vede un import dalla Grecia pari al 30 per cento, quello della produzione di olio di oliva, al 21 per cento, di cereali al 12 per cento e di prodotti lattiero-caseari con l'11 per cento (dati Nomisma) –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare iniziative per sostenere l’export di prodotti agroalimentari italiani in Grecia, al fine di riequilibrare la bilancia commerciale tra i due Paesi;
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto dei principi del mercato comunitario, intendono adottare per salvaguardare i compatti produttivi agroalimentari italiani coinvolti, a seguito dell'importante incremento delle importazioni dalla Grecia.
(4-09851)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-04358, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simone Valente.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-04990, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Famiglietti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Parentela e altri n. 5-05021, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Da Villa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Segoni e altri n. 5-05419, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rondini n. 1-00945, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 460 del 13 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    le stime dell'Unicef più recenti indicano che globalmente (Cina esclusa) 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni – circa una su tre – si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni si sono sposate addirittura prima di avere compiuto 15 anni;
    il fenomeno delle «spose bambine» è direttamente proporzionale ai casi di mortalità materna e infantile, di malnutrizione e di analfabetismo;
    se è vero che questo fenomeno assume una portata strutturale insita nelle culture di riferimento di alcune aree mondiali come l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahriana, è altrettanto noto come il processo di mondializzazione e gli eventi di migrazione di massa abbiano permesso il radicarsi di questi comportamenti anche nei Paesi occidentali;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare è, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa ma anche dal più lontano Medio Oriente;
    da tempo anche in Italia è emersa la problematica delle «spose bambine», un fenomeno sommerso e poco conosciuto ma diffuso nelle comunità degli extracomunitari presenti nel nostro territorio; si stima siano 2 mila ogni anno i casi accertati;
    già nella Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo del 1994 era stato affrontato il tema delle «spose bambine», e dei connessi rischi di mortalità dovuti alle gravidanze precoci;
    la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
    il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 che afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
    il 18 dicembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima risoluzione sui matrimoni di minori, precoci e forzati nella quale si declinano le raccomandazioni per adottare una strategia comune di contrasto al fenomeno da condurre con rinnovata energia come si sta facendo al fine di eliminare la barbara pratica della mutilazione genitale femminile,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, disposizioni atte a contrastare efficacemente nel nostro Paese la diffusione del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, prevedendo l'introduzione di una fattispecie di reato specifica con sanzioni penali adeguate alla gravità della condotta, e norme sia civili che amministrative che consentano la revoca del permesso di soggiorno agli esercenti la potestà genitoriale che siano riconosciuti colpevoli di aver costretto le proprie figlie minori a sposarsi, nonché la procedibilità d'ufficio e la semplificazione delle norme ai fini della dichiarazione della nullità del matrimonio;
   a dare attuazione alla risoluzione A/RES/69/156 per l'eliminazione dei matrimoni precoci e forzati, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014;
   a sostenere in tutte le sedi internazionali campagne per prevenire e contrastare le pratiche che violano i diritti umani delle bambine con rinnovata energia anche in relazione all'aberrante fenomeno delle mutilazioni genitali.
(1-00945)
(Nuova formulazione) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Tofalo n. 4-08715, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 405 del 9 aprile 2015.

   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   molti esponenti politici già con mandato elettorale nei propri comuni stanno sfruttando una falla legislativa in merito all'incompatibilità e all'ineleggibilità di cui alla legge n. 165 del 2004, al fine di candidarsi alle elezioni regionali nelle fila del proprio partito;
   i sindaci dei comuni di Sant'Egidio Monte Albino e Agropoli hanno fatto ricorso contro i loro stessi comuni per aver ricevuto una multa in divieto di sosta. Il sindaco di Giffoni Valle Piana ha danneggiato la propria auto in una buca e ha fatto ricorso per i danni alla sua autovettura. Queste azioni sono servite per incorrere nell'incompatibilità di carica (fonte: http://www.gazzettadeipicentini.it);
   la dottrina ritiene riconducibili le ipotesi di abuso di diritto alle clausole generali di buona fede – articolo 1175 del codice civile, comma 2. L'articolo fa riferimento al concetto di correttezza, a cui può affiancarsi quello di buona fede in senso oggettivo, cioè il dovere di comportarsi con lealtà ed onestà. Tale concetto viene richiamato per specificare la figura dell'abuso del diritto, cioè di quella condotta che si sostanzia nell'esercizio di un diritto, in modo da ledere la sfera giuridica altrui (833 codice civile);
   caso particolare è quello del sindaco tutt'ora in carica del comune di Agropoli il quale aveva tempo fino al 16 aprile per rinunciare alla lite e rimanere in carica di sindaco oppure farsi dichiarare decaduto e avere la possibilità di essere candidato;
   in data 23 aprile 2015 il presidente del consiglio comunale convoca per il 28 aprile 2015 l'ultima delle tre adunanze di consiglio comunale per completare l’iter di decadenza e nella convocazione di tale citato consiglio comunale non precisa alcuna circostanza o documentazione sul ritiro o meno della lite pendente;
   solo in data 27 aprile si è appreso dagli organi di stampa che il sindaco Alfieri aveva rinunciato alla candidatura e che fino a tale data erano stati aperti suoi numerosi comitati elettorali in tutta la provincia di Salerno, sua circoscrizione elettorale, che confermavano la sua intenzione di ottenere la candidatura e quindi averne i requisiti;
   nel consiglio comunale del 28 aprile viene esibita una sua nota al presidente del consiglio comunale (non allegata nella convocazione datata 23 aprile) datata 9 aprile 2015 nella quale dichiara la sua volontà a ritirare la lite pendente e interrompere la causa di incompatibilità;
   tale nota non è stata trasmessa né al protocollo generale dell'ente né al segretario comunale, né tantomeno riportava documentazione comprovante l'effettiva rinunzia alla lite (così come si evidenzia dal verbale della seduta consiliare);
   successivamente il consigliere comunale di opposizione Agostino Abate ha presentato una specifica interrogazione consiliare scritta al presidente del consiglio comunale. Dalla risposta alla stessa si evince che è stata ricevuta la nota di intenzione di rinunzia alla lite direttamente dal sindaco e non per canali istituzionali in un giorno non precisato tra il 9 aprile e il 24 e che egli stesso volutamente avrebbe omesso di inserirla nella documentazione allegata alla convocazione per non influenzare il relativo voto di consiglio –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per integrare la legge 2 luglio 2004, n. 165, affinché descriva, non solo le incompatibilità, ma anche l'ineleggibilità temporanea di tali soggetti. (4-08715)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Marcon n. 4-09775, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 458 del 9 luglio 2015.

   MARCON, DURANTI, PIRAS e PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dal 26 marzo del 2015, da quando è stata lanciata operazione «Tempesta di fermezza» dall'Arabia Saudita e da Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Marocco e Sudan e appoggiati logisticamente da USA, GB e Francia, si stanno conducendo pesanti bombardamenti su città e villaggi yemeniti;
   l'operazione militare è stata avviata senza alcuna autorizzazione da parte dell'ONU e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, successivamente riunitosi per discutere in merito il 14 aprile, con la risoluzione n. 2216, non avvalla l'intervento militare ma si limita a condannare l'azione dei ribelli Houti e impone loro un embargo sulle armi;
   i bombardamenti sono stati in questi mesi indiscriminati, colpendo anche obiettivi civili: interi quartieri e campi profughi non vengono risparmiati dall'operazione militare a guida saudita causando centinaia di morti tra i civili soltanto nelle ultime settimane;
   reported.ly è un sito di giornalismo che esiste dal dicembre 2014 ed è formato da un gruppo di giornalisti che lavorano da diversi Paesi che realizzano anche inchieste giornalistiche molto approfondite;
   in una delle inchieste più recenti, scritta dal giornalista Malachy Browne, reported.ly, realizzato con la collaborazione dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza di Brescia (OPAL), si è occupato della guerra che si sta combattendo in Yemen e delle bombe che vengono usate dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita per colpire i ribelli Houthi e si è occupato in particolare di alcuni componenti di armi prodotti in Italia e usati poi per assemblare armi che hanno bombardato lo Yemen;
   l'inchiesta ha ricostruito e documentato la costruzione e la spedizione dei componenti di alcune bombe prodotte da costruttori europei e destinate agli Emirati Arabi Uniti, uno degli stati che fanno parte della coalizione che sta bombardando lo Yemen. L'inchiesta ha scoperto che le bombe costruite con questi componenti sono state usate in Yemen, dove potrebbero anche essere stati compiuti attacchi contrari alle norme del diritto internazionale;
   i componenti sono stati prodotti da Rheinmetall AG, una società tedesca che ha avuto tra i suoi principali azionisti alcune società finanziarie statunitensi –, come per esempio il fondo pensionistico dello stato di New York e altri fondi assicurativi e d'investimento –, e il fondo pensionistico sovrano, della Norvegia. Attraverso i loro investimenti in Rheinmetall, queste organizzazioni stanno generando profitti;
   un gruppo di hacker che si fa chiamare «Yemen Cyber Army» ha sottratto diversi documenti e comunicazioni diplomatiche che provano la spedizione di componenti di bombe dal territorio della UE alla penisola arabica. Lo Yemen Cyber Army ha poi mandato il materiale a Reported.ly: i documenti mostrano come alcuni componenti siano partiti dal porto di Genova e siano arrivati a Gedda, in Arabia Saudita. Da lì sono stati trasferiti a Jebel Ali, a Dubai, e poi via terra a un centro di produzione di armi di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti;
   i componenti delle bombe –, che sono bombe di tipo MK82 e MK84 –, sono partiti da Genova perché sono realizzati in Sardegna dalla RWM Italia s.p.a., una società sussidiaria della Rheinmetall. I componenti sono poi assemblati dall'azienda Burkan Munitions Systems per le forze armate degli Emirati Arabi Uniti;
   tra i documenti in possesso di Reported.Iy c’è anche una lettera del 21 aprile 2015 spedita da Burkan Munitions. La lettera chiede all'esercito degli Emirati Arabi Uniti di concedere un permesso di transito per una spedizione per maggio attraverso il porto di Gedda, in Arabia Saudita. La lettera è stata trasmessa dal quartiere generale dell'esercito all'ambasciata degli Emirati Arabi Uniti di Riyad, in Arabia Saudita. L'ambasciata ha chiesto «un permesso diplomatico per facilitare le procedure d'ingresso [al porto di Gedda, ndr] per la nave Jolly Cobalt, noleggiata dalle forze armate degli Emirati Arabi Uniti». Il comunicato è stato contrassegnato come «molto urgente» ed è stato spedito dal Ministero degli affari esteri dell'Arabia Saudita a molti altri Ministeri: e anche al re Salman, al principe Abdullah e al ministro dei Trasporti, che ha anche la funzione di presidente dell'autorità portuale dell'Arabia Saudita;
   la nave in questione, la Jolly Cobalto, è il traghetto porta container più grande del mondo. I dati di MariniTraffic.com e i documenti di spedizione del Gruppo Messina –, la società italiana che possiede la nave –, dicono che è partita da Genova il 12 maggio ed è arrivata a Dubai il 5 giugno. Le informazioni sul contenuto del carico parlano di sei container da 12 metri con all'interno componenti delle bombe MK82 e MK84 prodotte da RWM Italia. Il comunicato stampa dice che il carico conteneva componenti per bombe, e non ordigni veri e propri;
   di queste bombe MK82 e MK84 prodotte da RWM Italia non c’è traccia nelle autorizzazioni rilasciate dal Governo italiano nel 2014 (export 2014). Per cui si ipotizza che la spedizione si stata autorizzata nel 2015 dal Governo;
   andando a ritroso, nella relazione inviata alle Camere nel 2013 (esportazioni autorizzate per l'anno 2012) ci sono licenze per l’export alla RWM Italia nei confronti dell'Arabia Saudita di bombe MK82 e MK84 e componentistica accessoria per 8,5 milioni di euro (precisamente per 1.000 bombe 500LB MK82 INERTE e 300 bomber 2000LB MK84 INERTE);
   fermo restando le bombe spedite a maggio 2015 agli Emirati Arabi Uniti, un ulteriore ipotesi potrebbe essere quella che le bombe che vengono usate dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita siano appartenenti a questa partita di export;
   nella relazione del 2013 risultano ulteriori esportazioni di 500LB MK82 INERTE, le quali però risultano irrintracciabili, con destinazione sconosciuta;
   altrettanto sconosciuta risulta essere nella relazione presentata alle Camere nel 2014 (relativa all’export del 2013), l'autorizzazione all'esportazione rilasciata a RWM Italia per più di 62 milioni di euro per 3.650 bombe 1000LB MK83 ATTIVA e per 300 bombe 1000LB MK83 INERTE per un valore di 120 mila euro;
   appare opportuno per cui un chiarimento sulle autorizzazioni per l’export concesse a RWM Italia –:
   se il Ministro abbia intenzione di chiarire la procedura seguita per l'invio di componenti di bombe dello scorso maggio;
   se il Governo abbia autorizzato l'esportazione di bombe MK82 o MK84 verso gli Emirati Arabi Uniti o l'Arabia Saudita nel 2015;
   se il Governo non intenda fornire i dettagli delle esportazioni effettuate dalla RWM Italia per cui risultano sconosciute le destinazioni per le bombe MK82, MK84 e MK83. (4-09775)