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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 15 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, modificando l'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, stabilisce una nuova proroga, fino al 31 ottobre 2015, del termine fissato per l'adeguamento alla normativa antincendio delle strutture ricettive turistico-alberghiere che siano dotate di almeno 25 posti letto e siano in possesso dei requisiti per l'ammissione al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, approvato con decreto ministeriale interno 16 marzo 2012;
    la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha rilevato che tale adeguamento, se non sostenuto da mirati interventi, rischia di compromettere l'esercizio di numerose attività (circa 14 mila strutture) in un settore di assoluto rilievo per il Paese;
    la Commissione europea ha avviato il 29 settembre 2011 una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il non corretto recepimento della direttiva 89/391/CE, censurando, tra l'altro, le proroghe susseguitesi dal 2001 che stanno procrastinando l'applicazione delle disposizioni di sicurezza antincendio, con rischi anche per la sicurezza dei lavoratori, alla cui tutela mira la citata direttiva;
    l'articolo 11, comma 2, del citato decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, ha previsto l'emanazione, entro il mese di aprile del 2014, di un decreto del Ministro dell'interno finalizzato all'aggiornamento e alla semplificazione delle disposizioni della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere approvata con decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 1994. Tale decreto non è al momento ancora stato emanato;
    l'aggiornamento e la semplificazione dei requisiti, in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a cinquanta posti letto, che devono essere disposti con il citato decreto, risultano determinanti per predisporre un'adeguata pianificazione degli interventi di adeguamento da parte delle strutture ricettive interessate;
    nel mese di dicembre 2014 è stato presentato lo schema di decreto ministeriale recante «Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139», conosciuto come «nuovo codice di prevenzione incendi», volto a conseguire gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione del corpo normativo relativo alla prevenzione incendi attualmente in vigore anche attraverso un nuovo approccio metodologico più aderente al progresso tecnologico e agli standard internazionali;
    a norma della direttiva 98/34/CE, gli Stati membri devono informare la Commissione europea – pena l'inapplicabilità della regolamentazione alle singole persone dichiarata dai tribunali nazionali – di qualsiasi progetto di regolamentazione tecnica prima della sua adozione. A partire dalla data di notifica del progetto, un periodo di status quo di tre mesi – durante il quale lo Stato membro notificante non può adottare la regolamentazione tecnica in questione – consente alla Commissione e agli altri Stati membri di esaminare il testo notificato e rispondere adeguatamente;
    a seguito della citata notifica (avvenuta il 18 dicembre 2014 – 2014/641/I), è stato presentato dalla Commissione europea un parere circostanziato legato alla possibilità che tale regolamento possa creare ostacoli alla libera circolazione delle merci con il conseguente effetto di prorogare il periodo di status quo per altri tre mesi, al 19 giugno 2015; termine entro il quale lo Stato membro interessato è tenuto a spiegare l'intervento che intende compiere in risposta a tale parere,

impegna il Governo:

   ad intervenire urgentemente in sede comunitaria al fine di agevolare l'entrata in vigore del nuovo codice di prevenzione incendi;
   ad adottare, entro il mese di luglio 2015, il decreto del Ministro dell'interno finalizzato all'aggiornamento e alla semplificazione delle disposizioni della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere approvata con decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 1994, rendendosi promotore di un'agevole valutazione in sede comunitaria;
   ad assumere iniziative per prevedere specifici sgravi fiscali per i lavori di adeguamento alla normativa antincendio delle strutture turistico-alberghiere.
(7-00738) «Arlotti, Benamati, Taranto, Senaldi, Basso, Cani, Montroni, Bargero, Bini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    è di alcune settimane fa la notizia che l'Unione europea ha deciso di autorizzare l'uso del latte in polvere per la produzione casearia;
    la decisione dell'Unione europea ha sollevato un coro pressoché unanime di critiche. Produttori, consumatori, uomini di cultura ed esperti di alimentazione hanno concordato sul fatto che l'unico beneficio dall'uso di latte in polvere nell'industria casearia è, appunto, quello di avere minori costi di trasporto e di conservazione a tutto discapito della qualità del prodotto finale;
    la rivista specializzata «L'Informatore Agrario» ha pubblicato nel numero 26/2015 un interessante articolo del professor Geremia Gios sul tema dell'utilizzo di latte in polvere nell'industria casearia e sulle possibili difese da parte della nostra produzione casearia di qualità;
    va da sé che non sono sicuramente gli agricoltori italiani, come quelli di ogni altro Paese comunitario, ad avvantaggiarsi di questa malintesa interpretazione della libera concorrenza. Come non se ne avvantaggeranno le piccole industrie di trasformazione o la filiera del latte italiana;
    la normativa nazionale e comunitaria difetta, innanzitutto, nel fatto che non si obbliga ad apporre in etichetta l'origine della materia prima latte;
    a giudizio del professor Gios e dell'interrogante, si ha l'impressione che un passo alla volta si creino condizioni per cui diventa sempre più difficile salvaguardare le produzioni di qualità italiane. Quelle produzioni in cui contano anche l'origine del prodotto agricolo e le modalità con cui esso è stato ottenuto e non solo la «ricetta» con cui si arriva al prodotto agroalimentare finale;
    probabilmente, il tempo di difendere i segni distintivi della produzione agroalimentare italiana in modo diverso, con un'altra strategia, è giunto;
    non ci si dovrebbe più limitare a difendere i marchi, i simboli, le produzioni italiane dalla contraffazione sic et simpliciter, ma si dovrebbe impostare una politica della ricerca scientifica che dimostri che i prodotti ottenuti in un certo modo sono, alla lunga, meno salubri di altri. In tal modo si potrà chiedere alle istituzioni europee che i costi per differenziare sul mercato i prodotti siano a carico di chi produce alimenti di qualità inferiore;
    solo se dimostra che c’è un interesse collettivo a non avere esternalità negative al momento della produzione, o della trasformazione, o del consumo si potrà contrastare l'accettazione acritica di regole basate sui teorici modelli della concorrenza perfetta,

impegna il Governo:

  a promuovere uno sforzo congiunto di produttori, mondo della ricerca e parte pubblica per produrre un'adeguata documentazione scientifica quale base necessaria per una rivisitazione del quadro complessivo entro cui si colloca la politica agricola comunitaria;
  a coinvolgere in questa attività gli enti di ricerca scientifica agroalimentare e ad assumere iniziative per stanziare fondi straordinari per avviare un serio programma di ricerca nel senso inteso in premessa;
  ad adottare i provvedimenti e le iniziative necessarie a difendere la produzione agroalimentare di qualità e con essa l'agricoltura italiana.
(7-00735) «Catanoso».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, AGEA, è stata istituita con il decreto legislativo del 27 maggio 1999, n. 165 (a norma dell'articolo 11 della legge del 15 marzo 1997, n. 59), successivamente modificato da una serie di interventi legislativi, in particolare l'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012, a sua volta modificato dall'articolo 1, comma 295 della legge di stabilità 2014;
    con il decreto legislativo n. 165 del 1999, adottato nell'ambito del processo di decentramento amministrativo promosso dalla «legge Bassanini» è stata disposta la soppressione dell'azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo, AIMA, la sua messa in liquidazione e l'istituzione dell'AGEA;
    l'AGEA è ente di diritto pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. L'agenzia è dotata di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile;
    l'AGEA è sottoposta al controllo della Corte dei conti quale ente cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. L'ultima relazione è relativa all'attività svolta nel triennio 2010-2013 del 23 maggio 2013;
    l'Agenzia è subentrata dal 16 ottobre 2000 all'AIMA in tutti i rapporti attivi e passivi, nonché nella qualifica di organismo pagatore attribuito in precedenza all'AIMA;
    l'Agenzia, in qualità di interlocutore e di responsabile nei confronti dell'Unione europea, esercita le funzioni di coordinamento degli organismi pagatori regionali, nonché altri compiti attribuiti dalla normativa europea (Regolamento di esecuzione n. 908 del 2014) e nazionale (articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 1999;
    l'articolo 12, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha stabilito che l'Agenzia agisce come unico rappresentante dello Stato italiano nei confronti della Commissione Europea per tutte le questioni relative al Fondo europeo agricolo di Garanzia, FEAGA, ed al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, FEASR, ed è responsabile nei confronti dell'Unione europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti derivanti dalla Politica agricola comune, PAC, nonché degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, finanziati dal FEAGA e dal FEASR;
    resta ferma la competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nella gestione dei rapporti con la Commissione europea afferenti alle attività di monitoraggio dell'evoluzione della spesa concernente la PAC, nonché alle fasi successive alla decisione di liquidazione dei conti adottata ai sensi della vigente normativa europea. In materia, l'agenzia assicura il necessario supporto tecnico al Mipaaf fornendo, altresì, gli atti dei procedimenti, l'agenzia ha, pertanto, il compito di prestare al Ministero il suo supporto tecnico;
    l'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001 attribuisce alle regioni l'incarico di istituire servizi e organismi regionali (in possesso dei requisiti prescritti dai regolamenti comunitari) con le funzioni di organismo pagatore, spostando così a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti FEAGA nel contempo riconoscendo all'Agenzia il ruolo di organismo di coordinamento;
    le funzioni di coordinamento peraltro dovrebbero essere le sole, a regime, riconosciute all'Agenzia, che svolge anche la funzione di organismo pagatore dello Stato italiano per l'erogazione di aiuti, contributi e premi comunitari, disposti dall'Unione europea e finanziati dai Fondi agricoli, fino al momento in cui gli organismi pagatori istituiti dalle regioni entreranno nel pieno delle loro funzioni;
    in Italia sono 11 gli organismi pagatori riconosciuti, di cui: otto operanti a livello regionale (Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Calabria, Piemonte, Lombardia, provincia autonoma di Bolzano e provincia autonoma di Trento); due operanti a livello nazionale in relazione a specifiche misure (Ente nazionale risi per il settore risicolo e l'Agenzia delle dogane per le restituzioni alle esportazioni, SAISA); e l'AGEA che appunto svolge tale ruolo per le regioni che non hanno un proprio Organismo pagatore;
    all'Agenzia compete anche il coordinamento degli organismi di supporto e, ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 99 del 2004 come novellato dall'articolo 7 della legge n. 34 del 2008 (legge comunitaria 2007), è l'autorità nazionale responsabile delle misure necessarie per assicurare l'osservanza delle normative comunitarie relative ai controlli di conformità alle norme di commercializzazione degli ortofrutticoli e delle banane, avvalendosi della società Agecontrol spa;
    l'Agecontrol spa è una società costituita per lo svolgimento di attività di controllo, il cui portafoglio azionario è interamente posseduto dall'AGEA, che effettua per la stessa Agenzia i controlli di primo e di secondo livello nonché i controlli ex-post, volti ad accertare la realtà e la regolarità delle operazioni nell'ambito del sistema di finanziamento del FEAGA;
    ai sensi del medesimo decreto legislativo n. 99 del 2004 (articolo 14, commi 9, 10 e 10-bis) AGEA gestisce il Sistema informativo agricolo nazionale, SIAN, con conseguente trasferimento delle connesse risorse finanziarie, umane e strumentali, allo scopo di semplificare gli adempimenti amministrativi e contabili a carico delle imprese agricole. AGEA può costituire una società a capitale misto pubblico-privato, con partecipazione pubblica maggioritaria, alla quale affidare lo sviluppo e la gestione del SIAN (è preposta la società del Sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell'agricoltura, SIN spa; società costituita in applicazione della legge n. 231 dell'11 novembre 2005, è partecipata al 51 per cento dall'AGEA e il 49 per cento residuo fa capo alle società private, individuate mediante gara, che assicurano la fornitura dei servizi informatici ed ingegneristici);
    agli organismi pagatori è anche concesso di stipulare convenzioni con centri autorizzati di assistenza agricola, CAA, istituiti dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, o da loro associazioni, da associazioni dei produttori e dei lavoratori, da associazioni di liberi professionisti e dagli enti di patronato e di assistenza professionale. Con tali convenzioni i CAA possono ricevere l'incarico di effettuare le attività inerenti:
     a) la tenuta e conservazione delle scritture contabili;
     b) l'assistenza nella predisposizione delle dichiarazioni di coltivazione e di produzione, nella compilazione delle domande di ammissione a benefici comunitari, nazionali e regionali e nel controllo della regolarità formale delle dichiarazioni, anche attraverso l'immissione dei relativi dati nel sistema informativo, mediante utilizzo delle procedure del SIAN;
     c) lo svolgimento di interrogazioni alle banche dati del SIAN per permettere la conoscenza dello stato di ciascuna pratica da parte dei propri associati;
     d) l'accertamento e l'attestazione, nell'ambito delle competenze assegnate dalla legge, di fatti o circostanze di ordine meramente tecnico concernenti situazioni o dati certi relativi all'esercizio dell'attività di impresa;
    per assicurare una maggiore fluidità procedurale al sistema dei pagamenti agli agricoltori, è stato anche attribuito agli organismi pagatori il potere di conferire immediata esigibilità alle domande di aiuti, presentate attraverso i centri autorizzati di assistenza agricola, rimanendo salvi i controlli comunitari e quanto stabilito dalle convenzioni stipulate tra i Centri e gli organismi pagatori;
    di tutto rilievo è il compito attribuito all'Agenzia di segnalare al Ministro ed alle regioni l'inerzia o inadempienza degli organismi pagatori, così attivandosi le procedure sostitutive previste dall'articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998;
    le risorse destinate dallo Stato al sostegno delle imprese del comparto agroalimentare sono state negli ultimi anni fortemente ridotte, per effetto di una spending review a parere degli scriventi inefficace, che ha finito per colpire prevalentemente le dotazioni rivolte agli investimenti e all'innovazione, senza incidere in modo significativo su alcuni nodi decisivi della spesa corrente;
    in questo contesto la riforma dell'Agenzia costituisce indubbiamente una priorità di azione, rivolta a soddisfare una pluralità di esigenze, tutte riconducibili alla finalità di rendere più efficienti i servizi resi alle imprese del settore agricolo e qualificare la spesa pubblica di settore;
    è necessario e non più differibile procedere alla immediata ristrutturazione e razionalizzazione del sistema di erogazione degli aiuti comunitari in agricoltura, completando il trasferimento al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali delle funzioni di coordinamento del sistema degli organismi pagatori in agricoltura, così da mantenere in capo all'AGEA le sole funzioni di organismo pagatore;
    tale percorso era stato avviato dall'articolo 12 della legge del 7 agosto 2012, n. 135 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95, che, tuttavia, per le caratteristiche e l'urgenza dell'intervento, non avevano proceduto ad un organico e meditato riordino del complesso delle attività di coordinamento, alle quali si deve invece porre mano in vista delle imminenti attività di applicazione della riforma della Politica agricola comune 2014-2020,

impegna il Governo:

   a trasferire in capo ad Agea le competenze degli altri due organismi pagatori, Ente nazionale risi per il settore risicolo e l'Agenzia delle dogane per le restituzioni alle esportazioni, SAISA, al fine di razionalizzare il sistema dei pagamenti in un unico ente pagatore nazionale;
   a completare in modo organico il trasferimento delle funzioni e delle competenze attualmente detenute, direttamente e indirettamente, dall'Agea al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, lasciando all'Agenzia il solo compito di organismo pagatore nazionale.
(7-00736) «Zaccagnini, Franco Bordo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare perché rappresenta l'eccellenza dei nostri territori nella misura in cui non è solamente un settore destinato alla produzione di alimenti, ma identifica un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità di notevoli potenzialità;
    il valore della produzione agroalimentare può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, della tracciabilità degli alimenti e dall'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali e di contraffazione dei prodotti agroalimentari;
    l'Italia vanta il primato, fra i Paesi dell'Unione europea, di una tutela della qualità delle produzioni agroalimentari elevata: si pensi che il Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato come la denominazione d'origine protetta (162), DOP, l'indicazione geografica e protetta (109), IGP, e la specialità tradizionale garantita (2), STG, che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione;
    in merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, gli interventi del legislatore italiano si sono scontrati nel corso degli anni con l'impostazione, ancora prevalente in sede europea, tendente a ritenere incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine, DOP, e alle indicazioni di provenienza, IGP;
    il principio dell'indicazione del luogo d'origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (articolo 3 della direttiva 2000/13/UE, recepito dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 109/1992);
    è importante sottolineare che il principio è stato confermato anche dal nuovo Regolamento n. 1169/2011 (UE), il quale si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, inclusi i prodotti destinati al consumo immediato presso ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione (non ricompresi dalla precedente direttiva 2000/13/UE). Restano esclusi dall'ambito di applicazione del Regolamento gli alimenti non preimballati, gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta;
    il Regolamento 1169/2011 estende l'obbligo di indicare il luogo d'origine o di provenienza a carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili (a decorrere dal 1o aprile 2015, ai sensi del Regolamento attuativo Regolamento n. 1337/2013) (articolo 26, paragrafo 2). Per le carni bovine l'obbligo di indicazione di origine (paese di nascita, ingrasso e macello) è già esistente sulla base della normativa europea sopravvenuta ai fenomeni di encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta «mucca pazza»);
    alle indicazioni obbligatorie contenute nel regolamento (articolo 26, circa l'origine, e articolo 9, sugli altri elementi obbligatori da inserire in etichetta), gli Stati membri, ai sensi del Regolamento 1169/2011 (articolo 39) possono introdurre disposizioni relative ad ulteriori indicazioni obbligatorie con particolare riferimento al Paese d'origine o al luogo di provenienza di alimenti, solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza e ciò sia ritenuto rilevante per i consumatori;
    gli Stati membri devono dunque fornire prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni (una recente consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha evidenziato che i consumatori italiani vogliono conoscere sempre l'origine delle materie prime: latte fresco il 95 per cento degli intervistati, prodotti lattiero-caseari il 90 per cento e lo 82 per cento è disposto a spendere di più pur di sapere l'origine e la provenienza) e devono inoltre previamente comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le norme integrative relative (articolo 45 Reg. UE);
    è utile rammentare che il legislatore nazionale ha tradizionalmente attribuito grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare ai fini della tutela della qualità e della relativa autenticità del prodotto stesso. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze, e, pertanto, il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio — quindi degno di segnalazione al consumatore – anche per le produzioni non «a denominazione protetta»;
    la legge n. 4 del 2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari ha il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori, disponendo l'obbligo (articoli 4 e 5), per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo, di origine o di provenienza. L'etichetta deve altresì, in conformità alla normativa dell'Unione europea, segnalare l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale;
    le modalità applicative della legge n. 4 del 2011, sono state demandate a decreti interministeriali chiamati a definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine;
    per sbloccare l'attuazione della legge sull'etichettatura e, dunque, l'adozione dei decreti di essa attuativi – ad oggi non ancora adottati – nel corso dell'attuale legislatura è intervenuto l'articolo 3, commi 7-9, del decreto legislativo n. 91 del 2014, che da un lato ha previsto una consultazione pubblica tra i consumatori per comprendere in quale misura le informazioni relative all'origine dei prodotti alimentari e della materia prima agricola siano in grado di indirizzare le scelte dei consumatori, e dall'altro, ha disposto che i decreti attuativi dovessero essere adottati entro il 25 dicembre 2014. Tali decreti dovranno conformarsi alla nuova disciplina europea del Regolamento n. 1169/2011, che si applica (salvo eccezioni specifiche) a decorrere dal 13 dicembre 2014;
    il Vice Ministro Oliverio in più occasioni pubbliche e nel dibattito parlamentare, ha confermato l'impegno del Governo ad attuare la legge 4 del 2011 nel rispetto della normativa europea e dunque a notificare, in fase di progetto, gli schemi di decreti ministeriali alla Commissione europea e agli altri Stati membri;
    la normativa nazionale (decreto legislativo n. 109 del 1992, non abrogata, ma comunque destinata ad essere disapplicata nelle parti incompatibili con il nuovo Regolamento Ue 1169/2011) prevede che i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono riportare la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (articolo 3 lettera f)). Tale previsione, per poter essere mantenuta nell'ordinamento nazionale, dovrà essere notificata alla Commissione europea;
    il 20 maggio 2015 la Commissione europea ha pubblicato due distinte relazioni, a seguito di uno studio casi commissionato nel 2014 diretto a consumatori, agli operatori del settore e alle Autorità competenti degli Stati membri, che sono state illustrate durante il Consiglio europeo dell'agricoltura del 16 giugno 2015. La prima relazione riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente che rappresentano più del 50 per cento di un alimento. La seconda relazione riguarda l'indicazione obbligatoria del Paese di origine del latte, del latte usato per la produzione dei prodotti lattiero-caseari e dei tipi di carni differenti dalle carni di origine bovina, suina, ovina, caprina e dei volatili;
    secondo la Commissione europea, in merito all'etichettatura di origine obbligatoria, la sua apposizione comporterebbe maggiori oneri economici e non, non quantificati ma solo enunciati, per la maggior parte dei prodotti esaminati, quindi per la Commissione prevale il legame causale ed effettuale costi/benefici per l'etichettatura d'origine, e non il principio di informazione e conoscenza consapevole di quello che si è scelto come prodotto da consumare;
    la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, nella sostanza si vuole imporre al nostro Paese, per mere logiche dettate dalle lobby delle multinazionali e non dal diritto alla salute e alla conoscenza del prodotto, di produrre formaggi senza latte;
    la diffida (del 29 maggio 2015 procedura d'infrazione n. 2014/4170) è stata inviata perché il nostro ordinamento prevede il divieto di utilizzare polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale (legge n. 138 del 1974, Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana);
    la motivazione giuridica posta a base della diffida dalla Commissione europea, sarebbe la violazione dell'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea;
    il caso EU-Pilot (EU Pilot 5697/13/AGRI) nei confronti dell'Italia, per la non conformità al diritto europeo delle norme nazionali sulla fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, era stato avviato il 18 novembre 2013, con la raccolta di informazioni da parte della Commissione europea riguardanti il recepimento in Italia della direttiva 2001/114/CE (relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana) del Consiglio del 20 dicembre 2001, impegnandosi a comunicarne successivamente le risultanze;
    la normativa italiana sulla produzione dei prodotti lattiero-caseari ha origine dal regio decreto del 15 ottobre 1925, n. 2033;
    il 2 luglio 2015 il Viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel rispondere ai question time parlamentari presentati in Commissione agricoltura, ha evidenziato di aver già comunicato alla Commissione europea che, in assenza di un'armonizzazione a livello europeo, tutti i Paesi dell'Unione europea hanno la possibilità di introdurre specifiche disposizioni sulla fabbricazione dei formaggi, con speciale riferimento alle previsioni di produzione e alle materie prime utilizzabili e che, l'eventuale abrogazione della legge n. 138 del 1974 avrebbe provocato un vuoto normativo in un settore tradizionale e fondamentale dal punto di vista socio-economico per il nostro Paese;
    la Commissione ha evidenziato al riguardo come, a livello europeo, vi siano già specifiche protezioni per la politica della qualità (DOP e IGP). Come possibile alternativa al divieto, la Commissione europea ha suggerito di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori dell'eventuale presenza di latte in polvere;
    la Commissione europea ritiene che la legge italiana in materia della tutela della qualità delle produzioni rappresenti una restrizione alla «libera circolazione delle merci», essendo che la polvere di latte e il latte concentrato sono di utilizzo comune in Europa per la produzione di formaggi di dubbia se non di pessima qualità (i maggiori produttori europei di latte in polvere sono la Germania e la Francia). Altri elementi critici sono la non conoscenza della filiera di produzione, gli standard igienico-sanitari, la quantità ormonale contenuta, la tracciabilità del prodotto di tali surrogati e le conseguenza a medio-lungo periodo sulla salute umana;
    l'adeguamento normativo che l'Europa ci chiede è, di fatto, una vera e propria deregolamentazione dei sistemi dei controlli di cui il nostro Paese è leader nel mondo e, la diretta conseguenza, sarà un non contrasto delle sofisticazioni e delle adulterazioni, all'aumento di tali reati che non verranno più perseguiti qualora il nostro ordinamento recepisse tale indicazione, oltre alla perdita culturale che la produzione lattiero-casearia narra dei territori con la notevole qualità, diversità, sicurezza e quantità delle produzioni casearie;
    è evidente secondo i firmatari della presente risoluzione, che alla base di questa scelta della Commissione europea non vi è l'applicazione né del principio di precauzione e né tanto meno la tutela delle produzioni e delle certificazioni di qualità, anzi vi è la messa a repentaglio del made in Italy, per poi addivenire ad adeguamenti ordinamentali che di fatto disperderanno l'evocazione di garanzia che il made in Italy ha nel mondo;
    è indubbio che ci sono i grandi proventi delle multinazionali del settore le quali hanno tutti gli interessi per creare le precondizioni per il Transatlantic Trade and Investment Partnership, che si rivelerà la tomba delle produzioni alimentari di qualità e certificate;
    il 31 marzo 2015 è terminato il regime delle quote latte e l'Italia dovrà pagare una multa, circa 41 milioni di euro, per aver splafonato nelle quantità delle quote assegnate al nostro Paese nell'ultima campagna lattiero-casearia. Quindi, se passasse questo pericolosissimo adeguamento normativo sul nostro territorio arriverà latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito a costi bassissimi, di pessima qualità con conseguenze socio-economiche pesantissime per la tenuta degli allevamenti italiani;
    è opportuno ricordare tutti i processi di deregolamentazione nel settore della trasformazione del primario operati finora dalla Commissione europea come, ad esempio, dal vino senza uva (wine kit che promettono di ottenere in pochi giorni le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua), al cioccolato senza cacao, di aumentare la gradazione del vino (vino zuccherato) attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa (lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo), la possibilità per alcuni tipi di carne di non indicare l'aggiunta di acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere elusa, la circolazione libera di imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (cosiddetti similgrana) in tutta Europa o come le mozzarelle dove, una su quattro, non sono prodotte in Italia ma ottenute con semilavorati industriali (cagliate) che provengono dall'estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea. A quanto summenzionato bisogna aggiungere la mancanza di informazioni chiare e definite per l'olio extravergine di oliva ottenuto da olive straniere dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è quasi impossibile leggere in etichetta nei supermercati scritte come «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», tutto questo a scapito dei consumatori e della sicurezza alimentare;
    è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va radicalmente rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contraddittoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste antinomie giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, a mo’ d'esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza;
    le esportazioni di formaggi e latticini italiani nel primo trimestre del 2015 sono aumentate del 9 per cento per effetto della reputazione conquistata a livello internazionale che rischierebbe di essere messa a rischio dalla liberalizzazione dell'uso di latte in polvere;
    il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell'agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro e con quasi 180 mila occupati nell'intera filiera. Ad oggi, sono sopravvissute appena 35 mila stalle che hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente;
    il via libera alla polvere di latte comporterà l'aumento della dipendenza dall'estero con la chiusura delle stalle, la perdita di posti di lavoro e l'abbandono delle montagne, delle aree collinari e rurali. Per ogni centomila quintali di latte in polvere importato in più, scompaiono 17 mila mucche e 1200 occupati solo in agricoltura, cui si aggiunge l'elevato costo ambientale perché il processo di trasformazione del latte in polvere in quello fresco, comporta, per il processo di re-idratazione, un elevato consumo di acqua;
    per fare un esempio in Italia sono stati censiti dalle Regioni 487 formaggi tradizionali, da un chilo di latte in polvere, che costa sul mercato internazionale 2 euro, è possibile ottenere 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt il tutto con l'identico sapore perché viene meno l'elemento distintivo dei diversi territori: si produrrà l'omologazione e l'appiattimento dei sapori e dei saperi agroalimentari;
    nel primo trimestre del 2015 le importazioni di latte e crema in polvere (privi di proprietà organolettiche) sono aumentate del 16 per cento rispetto allo scorso anno e, circostanza alquanto singolare, che i due terzi delle importazioni provengono dalla Francia e dalla Germania;
    desta preoccupazione commista a indignazione e sconcerto il fatto che le sollecitazioni affinché l'Europa ci mettesse sotto procedura di infrazione siano partite dall'associazione italiana delle industrie lattiero-casearie (Assolatte),

impegna il Governo:

   a porre in essere le azioni necessarie e opportune al fine di evitare che il nostro ordinamento venga deregolamentato, adeguandolo a quello comunitario, a scapito delle produzioni di qualità del lattiero-caseario che utilizzano latte e non latte in polvere, concentrato e ricostituito per la produzione di formaggi;
    ad appellarsi, nelle sedi comunitarie, al principio di sovranità alimentare, sicurezza alimentare e principio di precauzione al fine di scongiurare che questa alchimia giuridico-lobbistica si traduca in realtà ordinamentale;
    a confutare, in punto di diritto e nelle sedi opportune, la base giuridica posta a fondamento da parte della Commissione europea, che ha prodotto quale conseguenza la diffida nei confronti del nostro Paese, visto che l'articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea afferma che: «...la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni...», posto che è evidente la forte componente normativa su base «discrezionale» (... quando reputi...);
    ad adottare le opportune e necessarie azioni politico-istituzionali per difendere il made in Italy nel settore agroalimentare dalla crescente pressione internazionale e comunitaria, che mira alla deregolamentazione e all'abbassamento degli alti standard qualitativi che sono alla base e a garanzia delle produzioni di qualità del nostro sistema Paese;
    ad adottare speditamente i decreti attuativi, ad oggi non ancora adottati, della legge n. 4 del 2011 col fine di definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine;
    ad assumere iniziative per introdurre per il latte fresco e quello a media e lunga conservazione l'etichettatura del luogo di origine, di provenienza e dello stabilimento di produzione e confezionamento, affinché il «latte 100 per cento italiano» e i suoi derivati, siano opportunamente valorizzati per gli elevati standard di qualità e di salubrità nel mercato europeo e mondiale.
(7-00737) «Franco Bordo, Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso:
   le disposizioni della legge della Provincia Autonoma di Bolzano del 19 maggio 2015, n. 6 «Ordinamento del personale della Provincia», salvo quanto diversamente disposto con legge provinciale o sulla base della stessa, trovano applicazione per il personale della provincia e degli enti pubblici da essa dipendenti o il cui ordinamento rientra nella competenza legislativa propria o delegata della provincia;
   il comma 3 dell'articolo 3 della legge menzionata prevede, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, che l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse e che non costituisce assegnazione di mansioni superiori l'attribuzione di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse. Tale normativa, senza peraltro specificarne il rango, regolerebbe delle ipotesi di assegnazione di personale a mansioni di rango superiore, concretando una modificazione temporanea del contenuto della prestazione lavorativa;
   il comma 4, articolo 3 della legge recita: «La disciplina del trasferimento di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile si applica anche nel caso di passaggio di personale degli enti di cui all'articolo 1 a società o enti privati, per effetto di norme di legge, di regolamento o norme contrattuali, che attribuiscono agli stessi le funzioni o parte delle funzioni esercitate dagli enti di appartenenza. In tali casi vengono sentite le organizzazioni sindacali rappresentative a livello di comparto»;
   il capo V della legge rubricato «Diritti sindacali» interviene sui diritti sindacali e sui rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile come la contrattazione collettiva in merito a partecipazione sindacale, diritti e rappresentatività sindacale, regolamentazione di assemblee, organi, congedi e permessi sindacali ed esercizio del diritto di sciopero;
   la sentenza della Corte Costituzionale n. 221/2012 riconosce che sia il diritto del lavoro, per ciò che riguarda i rapporti intersoggettivi tra datore di lavoro e lavoratore, che il diritto sindacale, cioè quella parte del diritto del lavoro che concerne il sistema di norme strumentali poste dallo Stato o dalle stesse organizzazioni di lavoratori o imprenditori che nelle economie di mercato disciplinano la dinamica del conflitto di interessi e quindi del rapporto intersoggettivo, derivante dall'ineguale distribuzione dei poteri nei processi produttivi, rientrerebbero nella disciplina dell'ordinamento civile e come tali appartenenti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del riformato articolo 117 della nostra Costituzione;
   la legge della provincia autonoma di Bolzano del 19 maggio 2015, n. 6, introduce, a giudizio dell'interpellante, una regionalizzazione del diritto del lavoro e sindacale, intervenendo in materia di competenza esclusiva dello Stato, in contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione –:
   se il Governo intenda deliberare l'impugnativa della legge della provincia autonoma di Bolzano, 19 maggio 2015, n. 6 «Ordinamento del personale della provincia», con particolare riferimento ai commi 3 e 4 dell'articolo 3 e del Capo V, per contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.
(2-01037) «Fraccaro».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARNEVALI, CINZIA MARIA FONTANA e GASPARINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in materia di istruzione scolastica, l'articolo 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) ha attribuito alle province, in relazione all'istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni inerenti al supporto del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio;
   anche una sentenza del Consiglio di Stato del 9 aprile 2013 (n. 01930/2013 Reg. Prov. Coll. n. 09749/2011 Reg. Ric.), riferita al contenzioso tra il comune di Vimercate e provincia di Monza, ha stabilito la competenza esclusiva della provincia in materia di assistenza educativa e trasporto scolastico agli alunni disabili della scuola secondaria superiore;
   l'articolo 85 della legge 56 del 2014 ha definito le funzioni fondamentali in capo alle province affermando, nel contempo, che le rimanenti funzioni – tra cui l'assistenza educativa e il trasporto scolastico degli alunni disabili delle scuole secondarie superiori e gli interventi di integrazione scolastica a favore di studenti disabili sensoriali – saranno attribuite alle regioni attraverso un processo di riordino che individui le risorse finanziarie necessarie all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite;
   tale processo di riordino non è ancora concluso, in quanto molte regioni non hanno ancora legiferato in materia, altre hanno invece provveduto a legiferare individuando modalità diverse: alcune, infatti, hanno mantenuto le funzioni in capo alle regioni con attribuzioni di risorse economiche, altre hanno delegato ancora le province definendo tuttavia ruoli e risorse economiche non sempre sufficienti. Ciò sta determinando condizioni di profonda incertezza sulla garanzia del diritto allo studio di numerosi alunni disabili;
   il diritto all'istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela sia a livello internazionale – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 18 del 2009 – che nell'ordinamento interno, in attuazione della disposizione contenuta nel terzo comma dell'articolo 38 della Costituzione;
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104 garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società  –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per superare l'incertezza su competenze e risorse in merito ai servizi di inclusione scolastica dei disabili e garantire così su tutto il territorio nazionale, a partire dall'anno scolastico 2015/2016, pari condizioni di diritto allo studio riferite al servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio frequentanti le scuole secondarie superiori, così come al servizio di integrazione scolastica a favore degli alunni con disabilità sensoriali. (5-06050)


   MICCOLI, GNECCHI, DAMIANO, CAMPANA, SIMONI, PATRIZIA MAESTRI, BARUFFI, CASELLATO, GIORGIO PICCOLO, GRIBAUDO e ALBANELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella società tecnologica in cui viviamo le informazioni assumono sempre maggiore importanza, così grande da imporre specifiche strategie per la salvaguardia degli interessi dello Stato;
   con decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 sono stati conferiti poteri speciali sulla governance nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni cosiddette «golden power»;
   con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85 è stato emanato il «Regolamento per l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni» a norma dell'articolo 2, comma 1 del sopraindicato decreto-legge;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86 è stata definita, tra l'altro, l'Attività di coordinamento in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali;
   l'uso dei sistemi di comunicazione è largamente diffuso. Per l'Istat, già nel 2013, il 96,8 per cento delle imprese con almeno 10 addetti, disponeva di una connessione a internet;
   la Ericsson spa è una multinazionale con sede in Svezia ed è uno dei più grandi gruppi nel settore delle Telecomunicazioni. Presente in 150 Paesi si occupa della realizzazione di reti e della fornitura di servizi. In tale contesto ha un ruolo di leadership nella rete telefonica fissa tradizionale, nelle reti di nuova generazione, reti IP, banda larga, radiomobile GSM e GPRS e reti UMT;
   l'azienda opera in Italia sin dal 1918 e costituisce una della realtà più importanti del gruppo, al quinto posto per fatturato. È fornitore di riferimento dei principali operatori di telecomunicazioni fisse e mobili come Telecom Italia, Tim, Wind e 3 e offre i propri servizi anche a Vodafone e ad altri operatori regionali. I dipendenti, tra unità di mercato e ricerca & sviluppo, sono più, di 3 mila, dislocati in dieci regioni;
   negli ultimi dieci anni la Ericsson ha acquisito rami di aziende e pezzi di rete, incrementando così la sua market share ma anche l'organico che, di volta in volta, diveniva sovradimensionato rispetto al business acquisito. Tali eccedenze sono state gestite, dal 2004, con la concretizzazione di ben 12 procedure di mobilità che hanno accompagnato all'uscita più di mille lavoratori;
   nel marzo del 2015 è stato firmato al Ministero dello sviluppo economico l'accordo che ratifica la cessione dello stabilimento Ericsson di Marcianise (Caserta) alla Jabil (azienda USA non soggetta a norme europee);
   il 5 maggio 2015 l'azienda ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale. I lavoratori «strutturalmente eccedenti rispetto alle esigenze aziendali» sono 166 dipendenti di cui 16 dirigenti, 47 quadri, 103 impiegati;
   a seguito di ciò, la prima fase di confronto con le parti in sede aziendale si è conclusa con un mancato accordo ed è prevista la convocazione di un tavolo negoziale presso il Ministero del lavoro per il giorno 14 luglio 2015;
   i suddetti lavoratori, nell'incontro che si è svolto il giorno 2 luglio 2015 in Parlamento con alcuni deputati PD della Commissione lavoro, hanno espresso il timore che, ai numeri elencati nella procedura, «se ne possano aggiungere altri 200 l'anno, fino al 2017, salvo aggravamenti derivanti da fusioni tra operatori di telefonia che potrebbero determinare in Ericsson un esubero di circa 1000 persone»;
   il 27 novembre 2013 il Governo ha sottoposto al parere parlamentare lo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento per l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni a norma dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21;
   in base all'articolo 5 del suddetto regolamento «i poteri speciali di cui all'articolo 2 del decreto-legge si applicano nella misura in cui la tutela degli interessi essenziali dello Stato, ivi compresi quelli connessi ad un adeguato sviluppo infrastrutturale, non sia adeguatamente garantita dalla sussistenza di una specifica regolamentazione di settore, anche di natura convenzionale connessa ad uno specifico rapporto concessorio»;
   sulla base di ricavabili informazioni, la stessa Ericsson gestisce apparecchiature, ovvero contratti del fornitore Telecom Italia; tra gli utenti finali ve ne sono alcuni di estrema importanza per la difesa nazionale quali il Ministero dell'interno, la guardia di finanza ed i carabinieri;
   la delocalizzazione, da parte di ogni azienda dell'ICT, di servizi «strategici» potrebbe – tramite subappalti, incorporamenti, cessioni ed altro – prendere vie incontrollabili, estranee o nemiche dell'Italia e della Unione europea, tramite una concorrenza sleale con l'utilizzo di informazioni di varia natura ed importanza;
   alle informazioni già circolanti si stanno aggiungendo, sempre più, quelle derivanti dalla digitalizzazione, anche della pubblica amministrazione;
   con l'avvio della banda larga e ultralarga la quantità d'informazioni crescerà in modo esponenziale;
   il furto d'informazioni personali – effettuato tramite sistemi di comunicazione hardware e software – ad un numero sempre crescente di cittadini-utenti è talmente dilagante da scoraggiare persino denunce all'AGCOM nella percezione, se non nella certezza, di essere inermi, ovvero non adeguatamente protetti dallo Stato (tecnici addetti alla rete accedono a dati personali e/o sensibili quali intestazione sim, tabulati di chiamate, celle di posizionamento e altro);
   la Ericsson oggi evolve verso i servizi full ICT e sul software. Proprio questo «cambiamento di paradigma tecnologico sempre più spostato sulle attività di sviluppo software a discapito delle forniture hardware», dichiarato dalla stessa azienda nella procedura di mobilità, ha determinato una profonda revisione delle attività professionali richieste dal mercato di riferimento»;
   la motivazione descritta e addotta dall'azienda, come causa del licenziamento collettivo, appare alle Organizzazioni Sindacali insufficiente a giustificare la procedura; anzi, la rinnovata «mission aziendale» risulta loro un pretesto per delocalizzare i servizi in altri Paesi a costi inferiori e godere degli sgravi fiscali del Jobs act in merito alle nuove assunzioni;
   sempre le sigle sindacali evidenziano come non esista «mancanza di lavoro» poiché: «diffuse sono le azioni di off-shoring (verso Paesi dell'est europeo, la Cina e l'India) e di near shoring con finte consulenze che vedono una numerosa presenza di personale di altre aziende che operano, senza distinzione di sorta, a fianco dei dipendenti Ericsson; non esiste un problema pressante dei costi se ancora in questa fase vengono erogati notevoli bonus economici e individuali; vi sono soluzioni non traumatiche, quali un ulteriore utilizzo dei contratti di solidarietà e l'apertura di una nuova mobilità volontaria, associati a un serio programma di reinternalizzazione di attività che creerebbe le condizioni per avviare un profondo programma di riprofessionalizzazione tale da consentire il superamento di questa fase –:
   se, stante l'estrema rilevanza strategica del I.C.T. e il coinvolgimento, come utenti, di vari Ministeri nonché delle Forze Armate il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'interno (coordinato come previsto dagli uffici preposti della PDCM) non ritengano opportuno determinare l'introduzione di più efficaci strumenti tecnici (software) e giuridici, anche sanzionatori ed anche, ove necessario, ampliando i poteri, di organi ed organismi pubblici, atti a favorire maggiori tutele sia in difesa dei singoli cittadini, sia per lo Stato, attraverso un confronto con le società coinvolte, a partire dalla Ericsson;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico interrogati non ritengano necessaria una convocazione delle parti ad un tavolo negoziale, con il coinvolgimento delle regioni interessate dagli esuberi, in particolar modo la regione Lazio, tra tutte quella su cui è più pesante la ricaduta occupazionale (103 dipendenti solo a Roma), posto che tale esigenza nasce dalla consapevolezza di non trovarsi di fronte ad una manifesta crisi, bensì dinanzi ad una riorganizzazione aziendale;
   quali misure si intendano intraprendere per prospettare soluzioni tenuto conto che l'azienda è un importante committente dello Stato italiano. (5-06063)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con un vero e proprio blitz nei giorni scorsi è stato sottoscritto a Lussemburgo un accordo per la realizzazione di un metanodotto Algeria — Catalogna;
   nella direzione di nuove interconnessioni energetiche l'Unione europea ha stanziato 550 milioni di euro;
   si è trattato di un vero e proprio blitz europeo che di fatto sottrae il metano algerino alla Sardegna e lo cede alla Catalogna;
   si tratta di un piano sotto traccia concretizzato con la firma a Lussemburgo nei giorni scorsi che sostanzialmente spiazza la Sardegna e l'Italia che vengono bypassate con il silenzio di tutti;
   secondo l'interrogante l'ignavia italiana e l'incapacità della regione hanno consentito un'operazione che praticamente «fa fuori» la Sardegna e l'Italia dal gas algerino;
   la firma europea rischia di essere il colpo finale per il metano in Sardegna;
   l'attività del presidente del Consiglio Renzi e di quello della regione Sardegna hanno di fatto favorito, ad avviso dell'interrogante, quei gruppi, a partire dalle «cooperative rosse», che puntano a devastare le coste della Sardegna con la realizzazione di rigassificatori approvvigionati con pericolose e imponenti navi metaniere;
   mentre in Europa è scontro per conquistare il metano algerino dopo la crisi russo-Ucraina, l'Italia perde l'opportunità;
   una posizione, quella dei governi razionale e regionale, che deve essere contrastata con una dura opposizione ad un progetto devastante per la Sardegna come quello dei rigassificatori;
   la decisione dell'Unione europea di aumentare l'importazione di gas dall'Algeria, raddoppiando la rotta dei Pirenei, bypassando in tal modo l'Italia secondo l'interrogante, è la dimostrazione dell'inconsistenza del Governo Renzi;
   la Commissione europea ha firmato a Lussemburgo un memorandum d'intesa con i Governi di Francia, Spagna e Portogallo per l'avvio di un gruppo di lavoro di alto livello per favorire le interconnessioni nell'Europa sud-occidentale, in particolare tra la penisola iberica e il vecchio continente, a cominciare dal progetto Midcat (Midi-Catalogne), gasdotto che dovrebbe oltrepassare i Pirenei già inserito nella lista dei «progetti d'interesse comunitari»;
   dopo la firma del memorandum, la Commissione europea ha messo a disposizione 550 milioni di euro per sostenere i progetti di interconnessione che rientrano nel programma di finanziamento da 5,85 miliardi del periodo 2014-2020;
   l'Unione europea sostiene dunque il progetto del gasdotto per la Catalogna, pensato per collegare il Paese iberico con la Francia, permettendo così di allargare le esportazioni di gas algerino al resto dell'Europa occidentale;
   l'Algeria è il decimo Stato per riserve di gas al mondo, con depositi stimati a oltre 4,5 mila miliardi di metri cubi circa;
   gli analisti, tuttavia, ritengono che il Paese stia esportando in Europa solo 25 miliardi di metri cubi a fronte di una capacità di 54 miliardi di metri cubi;
   il Paese nordafricano è attualmente il maggiore fornitore di gas della Spagna, dove il metano algerino rappresenta il 55 per cento delle importazioni;
   la realizzazione del MidCat consentirebbe alla Catalogna la totale indipendenza energetica e raddoppierebbe l'attuale capacità;
   il progetto Algeria – Catalogna è portato avanti da Tigf (Transport et Infrastructures Gaz France), società attiva nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale nel sud ovest della Francia, in cui l'azienda italiana Snam detiene una quota del 40,5 per cento;
   una presenza ad avviso dell'interrogante scandalosa quella dell'Eni proprio perché è sempre stato il soggetto oppositore del metanodotto algerino verso la Sardegna;
   a farne le spese potrebbe essere il progetto Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia);
   durante il recente vertice intergovernativo tenuto a Villa Madama nel mese di giugno 2015, il premier algerino Abdelmalek Sellai aveva dichiarato in conferenza stampa che l'Algeria è pronta a ripristinare insieme all'Italia il progetto di gasdotto Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia);
   il progetto Galsi, concordato tra Italia Sardegna e Algeria nel 2003, è l'unico progetto in Europa che ha tutte le autorizzazioni necessarie –:
   se non ritenga di doversi immediatamente attivare per scongiurare che altri progetti europei possano pregiudicare il progetto di connessione tra Algeria-Sardegna-Europa denominato Galsi;
   se non ritenga di dover cogliere un'opportunità dall'attuale condizione di crisi internazionale per rilanciare il progetto avviandone la realizzazione in considerazione del fatto che tale opera risulta aver completato tutto l’iter burocratico autorizzativo;
   se non ritengano di dover attivare le relazioni con l'Algeria e l'Europa per non disperdere tale opportunità e assumere la giusta centralità nel Mediterraneo su questo tema rilevante dell'energia. (5-06070)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI, D'UVA, NUTI, SARTI e DADONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Pietro Citrigno, ex editore de «L'Ora della Calabria», è stato definitivamente condannato a quattro anni ed otto mesi di reclusione per il reato di usura aggravata al termine dell'indagine convenzionalmente denominata «Twister»;
   in seno all'operazione, la direzione investigativa antimafia ha disposto una serie di sequestri (ammontanti a beni per oltre cento milioni di euro), tra cui quello di due società, Riace srl e Centro clinico San Vitaliano srl, le quali — secondo quanto riferito dal giornalista Pablo Petrasso in un articolo pubblicato domenica 5 luglio sul portale de «Il Corriere della Calabria» — nel luglio 2014 sono state confiscate dalla direzione investigativa antimafia di Catanzaro perché ritenute riconducibili all'imprenditore Pietro Citrigno;
   sempre secondo Petrasso, risulta che queste società abbiano peraltro contribuito con finanziamenti a iniziative politiche nell'area di Cosenza, città in cui maturò la clamorosa vicenda del quotidiano «L'Ora della Calabria», giornale che nel febbraio 2014 non uscì in edicola per un'inquietante vicenda, che ebbe rilievo nazionale, di pressioni riconducibili a un contesto politico-imprenditoriale;
   secondo quanto riportato anche dal giornale online «Strettoweb» in un articolo del 31 luglio 2014, il Tribunale di Cosenza, nel disporre altra confisca dei beni e con riferimento alle complesse risultanze di accertamenti patrimoniali eseguiti dagli uomini della Dia, ha individuato elementi da cui desumere la pericolosità di Citrigno, che — secondo la predetta fonte giornalistica — per la Dia è da ritenersi in «contiguità (e non già intraneità) con alcuni esponenti di spicco delle consorterie criminose operanti nel territorio cosentino»;
   in un post del 4 giugno 2015 pubblicato sul blog «L'Ora siamo noi», il giornalista Luciano Regolo, ex direttore del quotidiano «L'Ora della Calabria», ha scritto come in commissione Antimafia si sia discusso del caso del «bavaglio» al giornale;
   come si legge in un articolo pubblicato nel maggio 2014 sul portale della testata giornalistica «Internazionale», Regolo dichiarò che «ai membri dell'antimafia è stato tracciato un quadro chiarissimo di quelle che sono le relazioni personali, familiari, economiche e affaristiche, dei soggetti che hanno concorso alla chiusura dell’Ora della Calabria; nessun particolare è stato nascosto, così come molta attenzione è stata prestata al rapporto intercorrente tra la famiglia Citrigno e lo stampatore Umberto De Rose»;
   Regolo disse alla commissione Antimafia che stranamente il liquidatore della testata, Giuseppe Bilotta, era consulente, quale commercialista, di Piero Citrigno;
   Regolo denunciò pubblicamente l'improvviso oscuramento del sito del quotidiano «L'Ora della Calabria», dopo la vicenda della mancata uscita in edicola, e in seguito diverse altre difficoltà, riassunte in un lungo articolo pubblicato il 25 aprile sul sito «giornalistitalia.it»;
   nel medesimo articolo è sintetizzato che in Calabria «il sistema dell'accorduni, delle intese ai confini della legalità, è trasversale, senza confini di partito»;
   nonostante i tanti sforzi profusi dopo la chiusura del quotidiano «L'Ora della Calabria», lo stesso Regolo non riuscì poi a creare un nuovo giornale, progetto cui lavorò per mesi, denunciando, nel suddetto articolo, che «alla fine i silenzi, l'ignorare soprusi e manchevolezze serie, si traducono in un ausilio concreto ai prepotenti e in un ostacolo, in un mezzo d'isolamento e logoramento verso chi, invece, intende esercitare e fare esercitare la professione giornalistica nella piena legalità, nel rispetto dei diritti sindacali»;
   in un suo editoriale, Regolo denunciò, a suo avviso, un immobilismo della prefettura e della procura di Cosenza, della prima sulla liquidazione del quotidiano «L'Ora della Calabria», della seconda sulle indagini riguardanti la gestione del quotidiano calabrese e alcuni rapporti particolari intorno alla medesima gestione, come si legge in una nota del 24 settembre 2014 apparsa sul portale «Cn24tv.it»;
   per gli interroganti, il contesto delineato è complesso e preoccupante –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se non ritengano di acquisire ulteriori elementi in ordine alla chiusura del quotidiano «L'Ora della Calabria» e alla sua vicenda liquidatoria. (4-09826)


   BORGHESE e MERLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto attuativo approvato dal Governo il 10 aprile 2015 sono finalmente operative le modifiche al «bonus bebé  previste dalla legge di stabilità del 2015;
   tale disposizione asserisce che per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 lo Stato riconosce un contributo di importo, da 80 euro a partire dal mese di nascita o di adozione del bambino;
   di tale bonus possono farne richiesta i genitori di cittadini italiani, ma anche i membri di uno Stato dell'Unione europea o di uno Stato extracomunitario se risiedono in Italia e se possiedono il permesso di soggiorno;
   l'agevolazione è valida soltanto per i genitori che hanno un Isee (indicatore della situazione economica equivalente) in corso di validità non superiore a 25.000 euro annui;
   per ottenere il bonus occorre fare una richiesta compilando una domanda on line sul sito dell'Inps e inviandola, in via telematica, all'Istituto se si possiede il codice PIN, oppure rivolgendosi ad un Caf, un patronato o un intermediario abilitato che provvederà a predisporre il modello di domanda e a trasmetterlo direttamente all'Istituto;
   la domanda deve essere presentata entro 90 giorni dalla nascita o l'entrata in famiglia del bambino e, dopo averla ricevuta, l'INPS, provvederà a verificare se possiedi i requisiti;
   la domanda ha effetto dalla data di nascita del bambino e, non si perde nessuna mensilità;
   se invece la richiesta viene inoltrata dopo 90 giorni dalla nascita, il bonus decorrerà solo a partire da tale data;
   per i figli nati dopo il 1o gennaio 2015, ma prima dell'entrata in vigore del decreto attuativo (10 aprile 2015), i 90 giorni partono da quest'ultima data cosicché nessuna mensilità andrà persa;
   il bonus dura tre anni, ma la domanda va presentata una volta sola, per il primo anno, mentre per il secondo e il terzo anno sarà sufficiente rinnovare l'Isee;
   se nel frattempo la famiglia perde i requisiti richiesti dalla legge per l'accesso al bonus, l'Inps ne sospende l'erogazione –:
   quale sia la motivazione per la quale la norma del decreto attuativo è stata informata con un criterio così restrittivo per le attuali condizioni economiche, in quanto tale importo dovrebbe rappresentare un sostegno tangibile ai nuclei familiari che, coraggiosamente, in un periodo di crisi come questo, scelgono di far nascere bambini;
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per la definizione di una norma aggiuntiva che valorizzi la procedura relativa a tale «boccata di ossigeno» per le famiglie, in quanto, si stanno creando notevoli difficoltà, e i ritardi in atto stanno creando molti disagi. (4-09841)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2015 il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, ha approvato il decreto n. 80 inerente la «determinazione tetti di spesa per l'acquisto da soggetti privati accreditati di prestazioni di assistenza ospedaliera anno 2015»;
   con tale decreto i commissari hanno distribuito le risorse, non più assegnabili, della liquidata «Fondazione Campanella» (10 milioni), che si aggiungono ai circa 189 milioni di euro già previsti;
   la distribuzione ha premiato soprattutto due strutture private dell'Asp di Cosenza appartenenti allo stesso proprietario, la famiglia Greco, che si è visto assegnare da solo il 20 per cento del fondo complessivo da redistribuire nella provincia d Cosenza, per un valore pari a circa tredici milioni e quattrocentomila euro;
   dopo la firma del decreto da parte anche del direttore generale del medesimo dipartimento, professor Riccardo Fatarella, il governatore Mario Oliverio ha chiesto, secondo quanto riporta il sito del giornale «Il Corriere della Calabria», «l'immediata sospensione del decreto stesso» tramite una lettera al commissario al piano di rientro, Massimo Scura, e al sub-commissario, Andrea Urbani;
   nella succitata missiva, ancora, si legge: «Capiamo le difficoltà di chi, come il commissario Scura, da soli pochi mesi in Calabria, conosce poco la complessità, gli abusi e le clientele vecchi e nuove che si annidano nel sistema sanitario calabrese. Il rispetto delle regole e della trasparenza deve costituire nella pratica quotidiana e nella pubblica amministrazione un vincolo imprescindibile»;
   la mancanza di trasparenza è evidente anche per quanto denunciato dal presidente dell'Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), Enzo Paolini, secondo il quale, come riporta «Il Quotidiano del Sud» del 14 luglio 2015 sarebbero «deboli i requisiti motivazionali» e, soprattutto, «la procedura, che prevede due fasi, non è stata rispettata con le Asp completamente esautorate dalla fase di negoziazione»;
   in altre parole, mentre gli erogatori privati discutevano con il naturale interlocutore, cioè le varie, aziende sanitarie provinciali, i due commissari avrebbero emanato il suddetto decreto n. 80 anticipando, a giudizio dell'interrogante immotivatamente, la conclusione della legittima, regolare e dovuta negoziazione tra erogatori privati ed asp;
   nello stesso succitato decreto, peraltro, si legge testualmente: «dato atto che le aziende sanitarie provinciali hanno formulato, con documenti agli atti del Dipartimento Tutela della Salute, per l'anno 2015, proposte di budget da assegnare ad ogni erogatore privato, quale tetto finanziario massimo attribuibile e non superabile; considerato che, dall'istruttoria effettuata dai competenti uffici del Dipartimento Tutela della Salute, relativamente alle proposte delle Aziende si rilevava una discordanza con i criteri stabiliti a livello regionale per l'assegnazione dei budget, rappresentati dal recupero della mobilità passiva (interventi chirurgici ortopedici, oncologici, sulla tiroide) dall'implementazione della complessità dei ricoveri, dall'incremento della neuroriabilitazione (cod. 75), dell'appropriatezza e della complementarietà con le prestazioni erogate dalle strutture pubbliche; ritenuto, pertanto, di dover apportare delle modifiche ai budget per l'anno 2015 proposti dalle aziende sanitarie provinciali e quindi rideterminarli secondo quanto rappresentato nell'allegato al presente decreto»;
   per quanto sopra riportato, a parere dell'interrogante si rileva chiaramente la scelta di dubbia legittimità dei commissari, in quanto una volta accortisi della discordanza con i criteri stabiliti a livello regionale per l'assegnazione dei budget imputata alle asp, avrebbero dovuto chiedere alle stesse, naturale controparte per legge degli erogatori privati (i contratti, infatti sono sottoscritti, come precisato poc'anzi, dal vertice dell'Asp e dal singolo erogatore privato), la correzione e non certo sostituirsi alle asp, rideterminando autonomamente i singoli budget;
   nonostante tali, incongruenze il commissario Scura ha risposto al governatore Oliverio, affermando che il decreto n. 80 non verrà sospeso ma che anzi «sta imprimendo un cambio di passo radicale rispetto al passato sotto il profilo gestionale e questo forse non va giù a quanti per anni hanno agito in maniera clientelare e discrezionale» –:
   se non ritengano opportuno, per quanto precisato in premessa, assumere iniziative affinché sia revocato il decreto n. 80/2015 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Calabria. (4-09846)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo storico albergo di Cagliari, l'hotel Mediterraneo, ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per 27 dipendenti;
   27 famiglie si ritroveranno in gravissime difficoltà;
   l'albergo è stato chiuso nonostante fosse perfettamente agibile, per dei lavori di ristrutturazione che a 2 anni dalla chiusura non sono praticamente cominciati, e i dipendenti sono senza stipendio ormai da mesi e mesi;
   l'albergo è stato acquisito nel 2013 da una società russa, il cui nome è reiservice srl;
   la nuova proprietà russa non ha fatto conoscere le reali intenzioni e quali siano i limiti che ostano l'avvio e la conclusione dei lavori;
   nel luglio 2013 la società reistar viene ceduta ad una società russa, la quale per un breve periodo di tempo ha continuato a gestire l'albergo decidendo inspiegabilmente di chiuderlo nonostante fosse un albergo perfettamente funzionante, per un imminente intervento di ristrutturazione;
   la fine dei lavori era prevista per la fine del 2014, il personale ha usufruito di ammortizzatori sociali come cigs frequentando dei corsi di formazione regionali;
   da subito i lavori andavano a rilento, più che lavori di ristrutturazione si sono effettuati interventi di demolizione delle parti interne della struttura rendendola totalmente inagibile;
   durante il periodo dei corsi e dopo numerose riunioni sindacali, senza nessun risultato favorevole al personale dell'albergo, la società reistar cedeva tutto il personale, all'insaputa dello stesso, alla società reiservice srl avente come amministratore unico Vitaly Khomyakov;
   nel frattempo il 31 maggio del 2015 terminava il periodo di erogazione di ammortizzatori sociali;
   la reiservice ha proposto tramite un verbale da firmare una sospensione del personale senza nessun obbligo retributivo e contributivo per 2 anni;
   parte del personale non ha firmato tale verbale, intuendo si trattasse di un temporeggiamento da parte dell'azienda che pare non aver idea di cominciare i lavori per la riapertura dell'hotel;
   dopo diverse trattative anche il resto del personale è tornato sui suoi passi e non ha firmato, poiché le richieste dei verbali determinavano un licenziamento unicamente ai danni del personale;
   la società reiservice ha iniziato la procedura di licenziamento collettivo di tutto il personale;
   la reiservice nel 2014 non ha presentato richiesta per 7 mesi di ammortizzatori sociali, arrecando ulteriori danni economici al personale a cui già da mesi non veniva corrisposto alcuna spettanza dall'azienda;
   tale situazione appare particolarmente complessa per la presenza di una società di proprietà estera e rischia di creare un danno rilevante sotto ogni punto di vista alla città capoluogo;
   si rende indispensabile un intervento sia sul fronte societario per verificare nell'ambito delle relazioni diplomatiche di competenza del ministero degli esteri quali siano le reali intenzioni del proprietario e uno di natura sociale per evitare che i lavoratori vengano espulsi dal mondo del lavoro senza alcun tipo di tutela –:
   se non ritenga di dover valutare di adottare iniziative utili per favorire una compiuta tutela dei lavoratori e la ripresa operativa dell'importante struttura economica al centro di Cagliari considerato che la stessa si trova dinanzi alla basilica di Bonaria causando, dopo lo sventramento, un impatto visivo negativo di grande rilevanza. (4-09842)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 13 il 14 luglio 2015 presso lo stabilimento Mythen di Ferrandina si è registrata una perdita di ossigeno a causa di un problema agli impianti;
   sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i tecnici dell'Arpab per ripristinare condizioni di sicurezza e monitorare la situazione;
   fortunatamente non sono state segnalati danni a cose e persone;
   l'impianto in questione è chiuso da un anno e vi è un curatore fallimentare;
   in riferimento a tale stabilimento industriale l'interrogante ha già presentato una serie di atti di sindacato ispettivo, in attesa di risposta, nei quali ha chiesto al Governo di conoscere il futuro dei lavoratori, oltre 80, che vi lavoravano;
   la Mythen produceva biodiesel, olio di soia, epossidato, glicerina pura e fosfato monopotassico sostanze di una certa problematicità ambientale;
   nelle scorse settimane in considerazione dello stato di abbandono si erano segnalati anche furti di rame;
   il nuovo episodio riportato in premessa richiama la necessità di affrontare la questione concernente il futuro del suddetto impianto e dei suoi lavoratori anche in considerazione del termine della copertura degli ammortizzatori sociali –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione riportata in premessa e se non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza per la messa in sicurezza dell'impianto in considerazione della sua complessità anche in termini ambientali e per verificare eventuali proposte d'interesse imprenditoriale per il sito al fine di offrire una prospettiva occupazionale ai lavoratori in vista della scadenza degli ammortizzatori sociali. (5-06048)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è una sostanza cancerogena che, per questioni d'interesse e opportunismo, non è mai stata presa nella giusta considerazione. Motivi di diverso genere, politici, economici, sanitari, hanno ritardato la vera conoscenza dei rischi dell'amianto;
   purtroppo le morti da amianto sono sempre in costante aumento;
   da anni nello Stabilimento Sacelit di Italcementi di Senigallia, si continua a morire per colpa dell’«amianto killer», e a detta di istituzioni sanitarie territoriali, la curva arriverà sino al 2020 con il pericolo che saranno interessati anche soggetti che non hanno lavorato nelle fabbriche interessate;
   la Sacelit ha prodotto manufatti in «amianto killer» grazie al lavoro di 380 operai, di cui 90 donne, negli anni in cui tutto questo si sarebbe potuto evitare;
   l'ultimo decesso tra ex dipendenti dello stabilimento senigalliese è avvenuto il nove luglio 2015. L'ex operaio Sacelit era da anni costretto a un tremendo calvario. Viveva su una sedia a rotelle, attaccato a una bombola di ossigeno a causa di una gravissima malattia polmonare provocata dall'amianto;
   l'ennesima morte causata dall'amianto. Una sostanza «killer», micidiale, terrificante che, da anni, continua e purtroppo continuerà per molti altri anni, a portare a decessi;
   perlustrando Senigallia e le frazioni, appare evidentissima la presenza di fabbricati, capannoni dismessi con lastre di amianto rotte e deteriorate, ormai annerite e che continuano a rilasciare pericolose fibre di amianto –:
   considerate le centinaia di persone decedute dal 1983, ex lavoratori Sacelit ma anche residenti nella zona d'insediamento della fabbrica, il Governo non intenda assumere iniziative urgenti, anche in collaborazione con la locale amministrazione comunale, al fine di effettuare un apposito censimento delle abitazioni di tutta l'area del territorio circostante alla «fabbrica della morte», dell'intera area vasta della città e dell’hinterland, al fine di prevenire altri decessi dovuti alla situazione inquinante dell'amianto «killer». (4-09832)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2015, è scoppiato un grosso incendio nel maceratese partito dalla nota discarica Cosmari;
   un capannone della Cosmari che stoccava materie plastiche e carta, è stato avvolto dalle fiamme e una colonna di fumo nero si è alzata ben visibile in cielo, nella notte. L'incendio si è esteso per circa cinque mila chilometri quadrati;
   in seguito l'Arpam ha eseguito i prelievi che a giudizio dell'interrogante sicuramente confermeranno la presenza di diossine, poiché è risaputo che la combustione di materie plastiche clorurate, a elevate temperature (250o), produce diossine. È importante anche sapere in che quantità si siano disperse tali sostanze e quanto estesa sia l'area in cui queste sono eventualmente ricadute rispetto al punto in cui si è sviluppato l'incendio;
   secondo le autorità locali e regionali, non esiste un pericolo immediato per la salute. A detta delle istituzioni interessate, il rischio non deriva tanto da un'inalazione breve e occasionale di queste sostanze, quanto dal fatto che le diossine si depositano sul suolo e sulle parti arboree dei pascoli e dei seminativi, per essere magari ingerite da animali da pascolo e da allevamento. Le stesse diossine possono anche essere trasportate dalle acque superficiali e raccolte nei sedimenti, raggiungendo la fauna ittica, per finire nella catena alimentare e raggiungere l'uomo –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali informazioni intenda acquisire, per quanto di competenza, inclusi gli enti delle analisi effettuate dall'Arpam interessata per verificare la reale situazione ambientale che ha colpito il maceratese;
   se non intenda eventualmente promuovere, anche avvalendosi degli uffici ministeriali e dell'Ispra, un sopralluogo della zona colpita dall'incendio per appurare la situazione reale, anche in considerazione del fatto che la zona è frequentata soprattutto in questo periodo estivo dà massicce presenze turistiche italiane e straniere. (4-09833)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Pagani sarebbero molteplici i focolai di amianto, che potrebbero avere ripercussioni negative sull'ambiente e sulla salute di coloro che abitano negli immediati dintorni;
   a denunciare tale grave situazione sono alcuni cittadini, sulla scia del lavoro realizzato dalle associazioni attive sul territorio di Nocera Inferiore che hanno cominciato una mappatura di zone a rischio amianto e poco meno di un mese fa avevano presentato le fotografie di prefabbricati di amianto a Nocera Inferiore e di sversamenti a Nocera Superiore e Pagani;
   numerosi sarebbero i punti critici interessati: capannoni, strutture fatiscenti industriali e case private con ancora parte del tetto ricoperto da piastre di amianto, nel bel mezzo dei diversi nuclei urbani, a pochi metri da un liceo e da una scuola elementare, nei pressi della stazione ferroviaria e nelle vicinanze dei vigili urbani;
   alcune fotografie mostrerebbero una copertura del tetto in cemento-amianto anche presso la struttura della ex Fatme, zona questa, tra l'altro, più volte al centro di polemiche su potenziali progetti di reindustrializzazione;
   come più volte denunciato, ma sempre caduto nel vuoto, quello dell'amianto è un problema che non riesce a trovare una risoluzione definitiva in molti territori dell'Agro sarnese nocerino;
   il materiale eternit, chiamato così per indicare la sua resistenza, è composto da fibra cemento con amianto, che, se deteriorato, si sfalda producendo fibre, causa di tumori;
   di recente, a Mercato San Severino, un'ordinanza ha imposto il censimento dei materiali contenenti amianto, nella consapevolezza, testimoniata dal sindaco Romano, che «È indispensabile monitorare tutte le eventuali e possibili fonti di inquinamento, attraverso un'azione preventiva, per salvaguardare la salute pubblica. Una di queste fonti potrebbe consistere nella presenza di materiali contenenti amianto, nei fabbricati pubblici o privati. Per questo è partito, con il supporto della polizia ambientale, il censimento obbligatorio dei materiali contenenti amianto libero»;
   anche in altre città sono state emanate ordinanze simili con censimenti che convergeranno in un piano di rischio regionale;
   tutte le denunce sulla presenza di amianto nel comune di Pagani, invece, sarebbero cadute nel vuoto, nonostante la situazione generale desti preoccupazione a causa della vicinanza di amianto al centro cittadino e ad alcuni plessi scolastici –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative, per quanto di competenza ritengano opportuno adottare in relazione al perdurare di siti di amianto sul territorio di Pagani e a tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente. (4-09834)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal 2003 la Commissione europea contesta le modalità di trasposizione della direttiva 337/85 e successive modificazioni e integrazioni nell'ordinamento italiano con particolare riferimento alle procedure di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (cosiddetto «screening V.I.A.»);
   nel 2006 e nel 2008 la Commissione, a seguito dell'approvazione dei due decreti legislativi nn. 152 del 2006 e 04 del 2008, aveva «congelato» la procedura confidando in una corretta attuazione da parte dell'Italia della direttiva V.I.A.;
   nel 2009 la Commissione europea, ritenendo insufficienti i provvedimenti legislativi sopra richiamati, con un parere motivato ha «riattivato» la procedura d'infrazione (ora 2009/2086) sulle modalità di svolgimento della valutazione di impatto ambientale;
   in particolare, la Commissione è intervenuta sul tema delle cosiddette soglie che l'Italia aveva fissato per escludere una serie di progetti dalla procedura di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (cosiddetto «screening V.I.A.»);
   per anni, infatti, l'Italia, sia a livello centrale sia a livello delle regioni e province autonome, ha evitato di attivare la procedura di screening per i progetti al di sotto delle soglie dimensionali, quando la direttiva n. 337 del 1985 e successive modificazioni e integrazioni imponeva agli Stati membri di verificare la necessità della procedura di V.I.A. (almeno della fase di screening) per qualsiasi progetto potesse avere un potenziale impatto ambientale;
   la direttiva, infatti, pone una serie di criteri da prendere in considerazione per valutare la necessità o meno della procedura di V.I.A. e quello dimensionale era solo uno tra i tanti;
   una volta (ri)attivata la procedura di infrazione il Governo ha inteso provvedere attraverso due provvedimenti, il decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito dalla legge n. 116 del 2014 dell'11 agosto 2014) e poi con il decreto ministeriale n. 52 del 30 marzo 2015;
   in sede di discussione presso le Commissioni parlamentari per il rilascio del parere di competenza, quest'ultimo decreto è stato oggetto di forti e puntuali critiche da parte del gruppo del Movimento 5 Stelle, su diversi aspetti, tra cui il dimensionamento delle nuove soglie e l'interpretazione del cosiddetto «effetto cumulo»;
   in particolare, sull’«effetto cumulo» esisteva, prima ancora dell'emanazione del decreto ministeriale, una sentenza, quella dell'11 febbraio 2015 sul caso C-531/13, in cui la Corte di giustizia europea stabiliva che l’«effetto cumulo» deve essere valutato non solo tra progetti simili ma anche su interventi di natura diversa che possono produrre effetti simili dal punto di vista dell'impatto ambientale (http://curia.europa.eu);
   nonostante le critiche e questi riferimenti giurisprudenziali il Governo ha comunque emanato il decreto ministeriale mantenendo inalterate le disposizioni su questi temi e, in particolare, prevedendo che l'effetto cumulo sia considerato solo tra progetti della stessa tipologia;
   a quanto consta agli interroganti il 21 maggio 2015 la Commissione europea ha scritto al Governo italiano una nota in cui si rileva che il decreto ministeriale non è sufficiente, a giudizio della direzione generale ambiente, per superare i rilievi evidenziati nella procedura d'infrazione;
   nella nota la Commissione chiede allo Stato italiano di rispondere entro 30 giorni in merito alle ulteriori criticità sollevate dai servizi della Commissione;
   in particolare, sono tre i quesiti principali proposti dalla Commissione, con ulteriori livelli di approfondimento per due di questi: aver continuato a privilegiare l'uso delle soglie senza impiegare tutti i criteri di cui all'allegato III della direttiva (quesito n. 1); non aver previsto la verifica di assoggettabilità per le modifiche ai progetti esistenti (quesito n. 2); prendere in esame l'effetto cumulo solo tra progetti dello stesso tipo e non tra quelli che possono avere simile impatto (quesito n. 3 lettera A punto 1); aver stabilito di non assoggettare a screening i progetti previsti a scala di VAS senza precisare che la scala di dettaglio della VAS deve essere tale da rendere possibile una verifica puntuale degli eventuali impatti dei singoli progetti (quesito n. 3 lettera A punto 2); aver stabilito in maniera arbitraria un limite di 1 chilometro tra i progetti per attivare la procedura di valutazione dell'effetto cumulo (quesito n. 3 lettera A punto 3); aver individuato, ai fini della valutazione di progetti in aree che non rispondono agli standard ambientali comunitari, esclusivamente la direttiva 2008/50 relativa alla qualità dell'aria ambiente e la direttiva 91/676 «nitrati» e non già le altre direttive, tra cui la direttiva 60/2000 «acque» (quesito n. 3 lettera B); aver introdotto un'incongruenza nell'ordinamento italiano relativo allo screening di progetti all'interno delle aree protette (quesito n. 3 lettera C) –:
   se il Governo abbia risposto e in che modo alle sollecitazioni della Commissione europea;
   se la Commissione europea abbia a sua volta ulteriormente risposto alle eventuali spiegazioni del Governo;
   se non ritenga di intervenire normativamente correggendo i contenuti del decreto ministeriale accogliendo fin da subito i rilievi dei servizi della Commissione, considerati anche gli eventuali costi per la collettività che potrebbero derivare da una condanna e l'incertezza che scaturisce sugli iter da seguire per decine di progetti;
   qualora non vi sia stata una risposta da parte della Commissione, tenendo anche conto delle conseguenze derivanti dalla prosecuzione di una procedura di infrazione, se siano state prese iniziative, anche in collaborazione con le regioni e le province autonome, affinché sia comunque assicurata la sottoposizione alla procedura di screening di tutti i progetti che possono avere un impatto sull'ambiente secondo quanto previsto dalla direttiva n. 337 del 1985 e successive modificazioni e integrazioni;
   se non ritenga, tenuto conto dell'obbligo di garantire alti standard di tutela ambientale, anche per gli effetti che i progetti possono avere sulla salute umana, di promuovere un monitoraggio delle procedure attuate dalle regioni almeno dal 2009 ad oggi con particolare riferimento alle aree in cui non sono rispettati tali standard, come quelli sulla qualità dell'aria, delle acque superficiali e sotterranee e dei nitrati attivando una valutazione caso per caso per individuare quali progetti che avrebbero dovuto essere sottoposti a screening siano stati realizzati in mancanza della procedura prevista sulla base della direttiva comunitaria e quali effetti ambientali abbia comportato tutto ciò, al fine di prendere opportuni provvedimenti per la tutela della salute umana e dell'ambiente. (4-09836)


   BARGERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 426 del 1998 ha inserito l'ACNA di Cengio fra i siti di interesse nazionale ad elevato rischio ambientale e nel 1999, dopo 117 anni, lo stabilimento chiuse e i restanti 230 lavoratori vennero messi in cassa integrazione;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 marzo 1999 è stato istituito un commissario delegato per lo stato di emergenza: la bonifica è stata considerata conclusa nel 2008. Permane tuttavia una situazione di incertezza sul futuro dell'area, metà della quale (il sarcofago in cui sono stati depositati i rifiuti, la cui superficie è pari a circa 25 ettari) è inutilizzabile per qualsiasi scopo, mentre l'altra metà è a disposizione per eventuali insediamenti industriali;
   le trattative e gli accordi tra l'ENI, che attraverso la Syndial (ex Enichem) è proprietaria dell'ex Acna e la regione Liguria prevedono il passaggio delle aree in mano pubblica, per avviare progetti vari di re-industrializzazione, sostenibili e compatibili;
   la storia dell'Acna come fabbrica chimica è finita da tempo. La storia del suo impatto sull'ambiente è destinata a durare a lungo;
   nel 2009 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto della normativa ambientale nella riabilitazione dell'ex sito dell'Acna di Cengio. Un successivo intervento della Commissione è degli inizi del 2011, sempre per mancato rispetto delle normative comunitarie in tema di trattamento dei rifiuti. Nei giorni scorsi proprio Eni-Syndial, proprietaria del sito ex Acna, ha chiesto il permesso di poter captare, per i prossimi 15 anni, fino a 300 litri al secondo dal Bormida rispetto ai 20 litri al secondo attuali, che secondo la relazione tecnica sarebbero necessari per la bonifica –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per ottenere in breve tempo un bilancio idrico dettagliato, veritiero e verificabile inerente ai flussi idrici all'interno dello stabilimento e se intenda ottenere da Eni un cronoprogramma che indichi in modo chiaro e inequivocabile modalità e tempi per il completamento delle attività di bonifica e messa in sicurezza del sito, con particolare approfondimento riguardo alle modalità attraverso le quali si intende conseguire il «tendenziale azzeramento del percolato», come stabilito dall'accordo del 2000 tra le regioni Liguria e Piemonte, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed Eni. (4-09838)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOTARO e NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio scorso è stato pubblicato dal Ministro della difesa il cosiddetto «libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa – La nostra Difesa» documento che, secondo le premesse ivi indicate, e le intenzioni più volte espresse dallo stesso Ministro in carica, costituisce iniziativa di analisi strategica e sintesi progettuale con il triplice scopo:
    1) d'indicare quale strumento militare meglio possa affrontare le sfide e le opportunità di pertinenza del dicastero della difesa;
    2) individuare quale modello di governance e di conseguente organizzazione meglio possa garantire al Dicastero la sua rispondenza a moderni criteri di efficacia, efficienza ed economicità;
    3) sviluppare gli elementi culturali ed organizzativi che consentano alla Difesa di contribuire in modo organico allo sforzo del Paese per sviluppare l'indispensabile cornice di sicurezza;
   per dichiarazione espressa, contenuta nelle stesse premesse del documento (Cap. 1, paragrafo 9) i suoi contenuti costituiscono la base per lo sviluppo delle soluzioni attuative che dovranno essere affinate e realizzate, per il processo di «trasformazione della Difesa e dello Strumento militare», in particolare, com’è ovvio, per quanto attiene alla revisione della governance, all'adeguamento del modello operativo quale complesso delle forze, alla politica del personale e alla politica scientifica, industriale e d'innovazione tecnologica della difesa, attraverso una serie di provvedimenti normativi, di natura legislativa, da sottoporre al Parlamento, secondo uno schema, con relativa tempistica riferita alle necessarie attività istruttorie e di predisposizione preliminare interna alla struttura ministeriale, specificato nell'ultimo capitolo (n. 10) dello stesso «Libro Bianco»;
   nelle recenti due audizioni davanti alle Commissioni congiunte affari esteri e difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, del 14 maggio e 4 giugno 2015, rispondendo anche ad alcune sollecitazioni specifiche di parlamentari intervenuti e conformemente a talune sottolineature sul punto del Presidente di una delle Commissioni coinvolte, la Ministra ha ribadito con chiarezza la necessità ordinamentale e giuridica, oltre all'assoluta opportunità politica, che le soluzioni attuative dei principi di carattere generale indicati dal «Libro Bianco» siano sottoposti alla valutazione ed alle determinazioni del Parlamento, attraverso l'adozione di future idonee disposizioni di legge, su corrispondente iniziativa del Governo ed eventualmente di membri stessi degli organismi legislativi, a cominciare dai componenti delle Commissioni competenti per materia;
   viceversa, in queste ultime settimane, si stanno diffondendo notizie, provenienti da ambienti stessi del Ministero della difesa e dello Stato maggiore della difesa, secondo cui la Ministra avrebbe già impartito disposizioni per la predisposizione di nuove disposizioni normative, con cui si intenderebbe procedere all'attuazione immediata di parti rilevanti delle indicazioni di principio contenute nel cosiddetto «Libro Bianco», da inserire in un emanando decreto legislativo del Governo, in riferimento alla delega contenuta nella legge 31 dicembre 2012, n. 244, in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale ed organizzativo delle forze armate (cosiddetto «legge Di Paola»);
   tale ultima legge, all'articolo 2, comma quinto, prevede che, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi per l'attuazione della delega indicata all'articolo 1 della medesima norma, il Governo può adottare «disposizioni integrative» degli stessi decreti delegati, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi;
   il precedente Governo, presieduto dall'onorevole Enrico Letta e con Ministro della difesa il Senatore Mauro, ha dato attuazione alla delega ricevuta dal Parlamento con la legge n. 244 del 2012 in parola, tramite l'adozione del decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, il cui schema era stato precedentemente sottoposto alle Commissioni parlamentari di merito, che si erano espresse sul testo, subordinando il proprio parere favorevole a diverse condizioni espresse;
   gli eventuali decreti legislativi indicati all'articolo 2, comma 5, della legge n. 244 del 2012 secondo il dettato delle stesse disposizioni, potrebbero essere emanati dal Governo soltanto per correggere ed integrare disposizioni già contenute nel decreto legislativo n. 7 del 2014, e non certo prevedendo nuove disposizioni per l'attuazione di un nuovo disegno strategico complessivo e di una riorganizzazione generale del settore della difesa, in attuazione ad un documento d'indirizzo, come il cosiddetto «Libro Bianco», semplicemente illustrato nei suoi contenuti al Parlamento, senza che questo abbia potuto nemmeno esprimersi sullo stesso con un voto delle Assemblee legislative;
   l'inserimento di qualsivoglia disposizione attuativa di quanto indicato nel cosiddetto «Libro Bianco» in prossimi decreti legislativi correttivi e integrativi del decreto legislativo n. 7 del 2014 (cosiddetto «legge Di Paola») costituirebbe indubitabile violazione costituzionale per l'evidente illegittimità delle eventuali norme in parola per il vizio costituito dallo «eccesso di delega»;
   l'attuazione di parti anche limitate delle previsioni del cosiddetto «Libro Bianco» attraverso l'indicato illegittimo artifizio normativo, sottrarrebbe comunque al Parlamento, la possibilità di un esame puntuale e idoneo del disegno complessivo del Governo in ordine alla futura politica della difesa e della sicurezza;
   tutto ciò, al di là delle considerazioni di natura giuridico-costituzionale sopra espresse, appare del tutto inopportuno anche punto di vista meramente politico –:
   se siano state effettivamente impartite disposizioni dal Ministro della difesa agli organi ministeriali e dello Stato Maggiore della difesa per la predisposizione di norme per l'attuazione di parti del cosiddetto «Libro Bianco» da inserire nel testo di un decreto legislativo di correzione ed integrazione del decreto legislativo n. 7 del 2014, di prossima imminente adozione, in base alla delega contenuta nella legge n. 244 del 2012 («legge Di Paola») e quali siano le ragioni di una tale scelta.
(5-06059)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   fra l'anno 2003 e l'anno 2009 la banca internazionale Barclays propone alla clientela la possibilità di contrarre mutui ipotecari indicizzati al franco svizzero con tasso Libor (acronimo di London Interbank Offered Rate): in particolare, il contratto standard prevede che:
  «Art. 4: “Le parti convengono che il presente mutuo è in Euro indicizzato al Franco Svizzero...»
   A) Per il primo semestre o frazione scadente il 31 maggio o il 30 novembre:
    a1) - l'eventuale differenza tra gli interessi calcolati al “Tasso di Interesse Convenzionale” e gli interessi effettivamente dovuti in base al tasso LIBOR (London Interbank Offered Rate) FRANCO SVIZZERO SEI MESI rilevato per valuta il primo giorno lavorativo del mese di erogazione, sulla pagina LIBOR02 del circuito Reuter e pubblicato su “Il Sole 24 Ore”, maggiorato di uno spread, tipicamente 1,300 punti percentuali;
    a2) - l'eventuale differenza tra il “Tasso di Cambio Convenzionale” Euro / Franco Svizzero e quello rilevato per valuta rispettivamente il 31 maggio o il 30 novembre, sulla pagina FXBK del circuito Reuter e pubblicato su il “Sole 24 Ore” ... [omissis]. La differenza così determinata sarà applicata all'equivalente in Franchi Svizzeri (calcolato al “tasso di cambio convenzionale”) di quanto liquidato dalla Parte Mutuataria in linea capitale ed interessi nel corso dei sei mesi o frazione che precedono le date del 1o giugno e del 1o dicembre;
   B) Per i semestri successivi, sino alla scadenza del contratto di mutuo:
    b1) - l'eventuale differenza tra gli interessi calcolati nel semestre precedente in base al “Tasso di Interesse Convenzionale” e gli interessi effettivamente dovuti in base al tasso LIBOR (London Interbank Offered Rate) Franco Svizzero 6 mesi per valuta 31 maggio relativamente al semestre 1o giugno-30 novembre per valuta 30 novembre, relativamente al semestre 1o dicembre-31 maggio, rilevato sulla pagina LIBOR02 del circuito Reuter e pubblicato su “Il Sole 24 Ore”, maggiorato di uno spread, tipicamente di 1,300 punti percentuali;
    b2) - l'eventuale differenza tra il “Tasso di Cambio Convenzionale” Euro / Franco Svizzero e quello rilevato per valuta, il 31 maggio per il semestre scadente a tale data o il 30 novembre per il semestre scadente a tale data, rilevato sulla pagina FXBK del circuito Reuter e pubblicato su “il Sole 24 Ore” ... [omissis]. La differenza così determinata sarà applicata all'equivalente in Franchi Svizzeri (calcolato al “tasso di cambio convenzionale”) di quanto liquidato dalla Parte Mutuataria in linea capitale ed interessi nel corso dei sei mesi o frazione che precedono le date del 1o giugno e del 1o dicembre.

  Ad ogni scadenza l'importo globale determinato dalla somma algebrica delle cifre rivenienti dalle operazioni sopra descritte, costituirà il conguaglio positivo o negativo e sarà regolato come segue:
   in caso di conguaglio positivo in favore della parte mutuataria, l'importo sarà accreditato in uno speciale rapporto di deposito fruttifero appositamente acceso presso la Banca a nome della stessa Parte Mutuataria... [omissis];
   in caso di conguaglio negativo per la Parte Mutuataria, l'importo sarà addebitato sul rapporto di deposito fruttifero di cui sopra e con le stesse valute di cui sopra sino alla concorrenza del saldo eventualmente disponibile e, per il resto, sulla prima rata utile dopo il 1o dicembre ed il 1o giugno»;
   tutto ciò dimostra, ad avviso dell'interrogante, che si tratta di una tipologia di prodotto che si configura a tutti gli effetti come un derivato currency swap, che tuttavia non viene proposto come prodotto finanziario separato rispetto al contratto di mutuo ipotecario, ma come parte integrante, nonostante la differenza evidente in termini di complessità fra i due prodotti;
   la proposta Barclays, così come quelle analoghe diffuse a livello globale, intendeva evidentemente giovarsi della decisione della Banca centrale svizzera di imporre un tetto massimo al valore del franco svizzero relativamente alle altre valute, decisione poi rientrata nel gennaio 2015, con conseguente forte apprezzamento della moneta elvetica;
   questo ha prodotto, con riferimento ai suddetti mutui, un fortissimo aumento della massa debitoria, che si configura di fatto nell'immediato come un ostacolo enorme a qualsiasi ipotesi di surroga o di estinzione anticipata, fenomeno, questo, che, data la diffusione di mutui in franco svizzero, negli altri Paesi dell'Unione europea, ha prodotto una potenziale crisi sistemica di insolvenza;
   in Italia il fenomeno non è, per fortuna, ancora così ampio, pur coinvolgendo migliaia di famiglie ignare, peraltro, di aver contratto un mutuo in valuta straniera, dato che il rapporto con il CHF è di fatto mediato da un derivato;
   questo avrebbe dovuto comportare il rispetto delle forme e delle norme comportamentali prescritte dal T.U.F. e dal regolamento intermediari Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 riguardo, in particolare, alla concessione del diritto di recesso per i contratti offerti a distanza, all'accertamento dell'adeguatezza del contratto agli obiettivi di investimento ed all'esperienza dei contraenti in materia di strumenti finanziari ed all'obbligo di informazione;
   l'Istituto di credito, interpellato, ha negato che il contratto possa configurarsi come un derivato, evidenziando l'assenza di finalità speculative;
   con dispositivo del 25 marzo 2015 l'Arbitro bancario finanziario ha sancito, per quanto di competenza, la nullità della clausola di cui in oggetto, ritenuta abusiva in quanto priva del principio fondamentale di trasparenza –:
   se non ritenga di assumere iniziative normative al fine di fornire un'interpretazione autentica che eviti la necessità di continui ricorsi per via giurisdizionale, chiarendo in particolar modo se la clausola contrattuale riportata in premessa debba intendersi o meno come derivato, secondo la definizione corrente. (5-06065)


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno, in sede di dichiarazione dei redditi e del valore della produzione, relativi all'anno precedente, è possibile recuperare eventuali crediti d'imposta;
   l'articolo 1, commi 586 e 587, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), come novellati dall'articolo 1, comma 726, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha stabilito che l'Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla presentazione del modello 730 o del modello Unico, effettui dei controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia qualora si tratti di un rimborso superiore a 4.000 euro, e, se il rimborso risulta congruo, viene erogato dall'Agenzia delle entrate entro il settimo mese successivo;
   molte imprese altoatesine e normali cittadini lamentano che le sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate in provincia di Bolzano non hanno ancora pagato alcuni crediti d'imposta superiori ai 4.000 euro relativi ai modelli 730/2014, in riferimento all'anno di imposta 2013;
   la direzione locale dell'Agenzia delle entrate inizialmente ha fatto sapere che l'erogazione sarebbe stata effettuata entro il 31 dicembre 2014, termine poi successivamente prorogato al 28 febbraio 2015, ed effettivamente la maggior parte dei crediti dovuti è stata pagata entro il mese di marzo 2015, ma ci sono ancora creditori che non hanno ricevuto quanto dovuto;
   da notizie informali sembra che il ritardo derivi dal Ministero dell'economia e delle finanze che eroga i pagamenti alle sedi territoriali solo in tranche, in tal modo non riuscendo a soddisfare tutti i beneficiari –:
   quali siano i reali motivi del cospicuo ritardo nei rimborsi relativi ai crediti d'imposta indicati in premessa e quando ritenga plausibile mettere in condizione l'ufficio dell'Agenzia delle entrate di Brunico di erogare quanto dovuto alle imprese e ai cittadini che ancora devono ricevere i crediti d'imposta relativi al modello 730/2014 per i redditi relativi al periodo d'imposta 2013. (5-06066)


   CAUSI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante il testo unico delle disposizioni in materia di IVA, dando attuazione al precetto eurounitario dell'articolo 17 della direttiva Cee 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE – sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – stabilisce al primo comma che «Per la determinazione dell'imposta dovuta a norma del primo comma dell'articolo 17 o dell'eccedenza di cui al secondo comma dell'articolo 30, è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione...»; al secondo comma si prevede che «non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta...»;
   il comma 3, lettera c), del medesimo articolo 19 stabilisce che l'indetraibilità non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da cessioni di beni ai sensi dell'articolo 2, terzo comma, lettere a), b), d) ed f) del medesimo testo unico; in particolare, ai sensi della citata lettera a), l'indetraibilità non si applica se si tratta di cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro;
   il tenore inequivocabile del citato articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, le indicazioni fornite al riguardo dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le risposte fornite dall'Agenzia delle entrate a specifici interpelli in materia, nonché le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, hanno portato gli organismi di formazione, in presenza di finanziamenti comunitari, a considerare in buona fede l'IVA sugli acquisti pienamente detraibile e quindi a non considerarla quale costo a discarico del contributo comunitario, pena la violazione di specifiche disposizioni dell'Autorità di gestione nazionale;
   l'amministrazione finanziaria ha tuttavia emanato una serie di atti di accertamento nei confronti dei predetti soggetti a seguito di tali operazioni, contestando loro la possibilità di detrarre l'IVA assolta sugli acquisti dagli stessi posti in essere, mutando così l'orientamento interpretativo;
   a parere degli interroganti, tale nuovo orientamento dell'amministrazione, oltre a risultare infondato sul piano della disciplina tributaria, potrebbe determinare un notevole aggravio tributario per i suddetti organismi, in spregio della certezza del diritto, comportando il rischio di portare al collasso soggetti che svolgono una funzione importante per il contrasto alla disoccupazione;
   nella seduta della Camera dei deputati di venerdì 20 febbraio 2015, in sede di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2803-A/17, impegnandosi «nelle more dell'approvazione della disciplina attuativa per la gestione dei Fondi europei per il Programma Operativo 2014-2020, necessaria a chiarire per il futuro la disciplina IVA per gli Organismi di Formazione, a prorogare la detrazione dell'imposta, assolta (...) sugli acquisti posti in essere dagli organismi di formazione professionali, operati nell'ambito dei finanziamenti comunitari del PO 2007/2013, in presenza di operazioni fuori campo IVA ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, lettera a), o comunque in ogni caso a stabilire la conformità alla normativa vigente, alle pregresse indicazioni del Ministero del lavoro e agli indirizzi già dati in precedenza dall'Agenzia delle Entrate del comportamento fiscale degli organismi di formazione professionale in materia di detraibilità IVA sugli acquisti affinché l'incertezza normativa e le differenti linee interpretative delle Amministrazioni dello Stato non pongano agli organismi di formazione nella condizione di dover sostenere, ora per allora ed in palese spregio alla certezza del diritto, spese di contenzioso tributario e costi che, in caso di diversa interpretazione, sarebbero stati ammissibili al finanziamento, mettendo a rischio la tenuta del sistema di formazione ed istruzione professionale in un momento così difficile per la situazione socio economica e gli alti tassi di disoccupazione anche giovanile»;
   a seguito dell'interrogazione n. 5-05268, svolta presso la Commissione Finanze della Camera sulla medesima questione, in data 9 aprile scorso il Sottosegretario di Stato delegato a rispondere ribadiva tuttavia l'interpretazione seguita dall'Amministrazione finanziaria, in base alla quale per i beni e i servizi utilizzati esclusivamente per realizzare operazioni fuori campo IVA – rectius, servizi di formazione fuori campo IVA in quanto non riconducibili ad un rapporto caratterizzato dal nesso di sinallagmaticità – non compete alcuna detrazione d'imposta;
   il 17 giugno 2015 è stata pubblicata la sentenza n. 12523 della Corte Suprema di Cassazione, Sezione V Civile, che ha respinto un ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate contro un Consorzio attivo nel campo della formazione professionale, motivando tale decisione anche sulla base della corretta interpretazione di quanto previsto dall'articolo 14, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, norma in applicazione della quale l'Agenzia delle entrate, pur rilevando che nella specie non sussisteva un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni rese dall'organismo di formazione ed i finanziamenti erogati da enti pubblici, aveva invece proceduto a recuperare a tassazione l'IVA detratta sugli acquisti effettuati per l'organizzazione delle proprie attività;
   la Suprema Corte di Cassazione ha così chiarito che «una volta incontestato il fatto che detti finanziamenti non siano erogati in adempimento di un rapporto contrattuale, il loro inquadramento ai fini IVA va rettamente operato (...) in applicazione del richiamato articolo 2, terzo comma, lett. a), decreto del Presidente della Repubblica 633/72. Ancorché si tratti di operazioni non imponibili il diritto alla detrazione d'imposta – che si ricorda per costante giurisprudenza di questa Corte (24426/13) e della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia Unione Europea Sez I Sent. 26-03-2015 n. 499/13; Corte di Giustizia Unione Europea Sez VIII Sent. 11-12-2014 n. 590/13; Corte di Giustizia Unione Europea Sez VII Sent. 13-02-2014 n. 590/13) – “costituisce parte integrante del meccanismo dell'IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni” – assolta nella specie in rivalsa sugli acquisti effettuati per l'esercizio delle attività di formazione, non viene in discussione, perché, come già esattamente osservato da questa Corte (28046/09), rammentando il dettato del primo comma dell'articolo 19 decreto del Presidente della Repubblica 633/72, “nessuna norma (...) stabilisce che le operazioni effettuate utilizzando risorse graziosamente ottenute, perdano, per ciò solo, ab origine, il carattere commerciale; e che l'imprenditore beneficiato di un finanziamento esente da IVA debba sopportare, senza poterla detrarre a suo tempo, l'imposta scontata su tali operazioni che, di per sé, né sono esenti né sono strumentali ad altre operazioni esenti”»;
   è necessario dare certezza normativa ai soggetti attivi nel campo della formazione professionale coinvolti nei procedimenti promossi dall'Agenzia delle entrate, volti a recuperare l'IVA detratta dai predetti soggetti sugli acquisti effettuati negli anni scorsi, al fine di evitare, anche alla luce della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, il rischio di aumento del contenzioso tributario e dei relativi costi –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per prevedere un puntuale coordinamento volto a conformare l'interpretazione dell'attuale disciplina normativa in materia di detraibilità dell'IVA degli acquisti posti in essere dagli organismi di formazione, in presenza di finanziamenti comunitari, alla citata pronuncia della Corte di Cassazione. (5-06067)


   VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 160, lettera b), della legge n. 147 del 2013, ha sostituito il comma 3 dell'articolo 106 del TUIR prevedendo che sia le svalutazioni che le perdite su crediti iscritte in bilancio da parte degli enti creditizi e finanziari sono deducibili a fini IRES nell'esercizio in cui sono imputate a bilancio e nei quattro successivi (complessivamente 5 anni); la medesima disposizione ha inoltre stabilito che le svalutazioni e le perdite dedotte in quote da un quinto l'una si devono assumere al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio (comma 160, lettera c));
   la disposizione, come precisato dalla relazione tecnica di accompagnamento, ha trovato applicazione anche ai fini IRAP, consentendo la deducibilità sia delle perdite su crediti da «cancellazione» sia delle svalutazioni, producendo maggiori valori deducibili ai fini IRAP come, conseguenza della deduzione delle rettifiche con un effetto positivo sul gettito stimato nel 20 per cento annuo;
   nel quantificare gli effetti di gettito, la relazione tecnica ha utilizzato i dati contenuti nel prospetto dei crediti di cui al quadro RS del modello di dichiarazione UNICO 2012 società di capitali ed enti commerciali, dai quali emergeva per le sole banche:
    1) un importo complessivo di svalutazioni crediti civilistiche per circa 13,7 miliardi di euro relativi a 664 soggetti;
    2) un importo complessivo di svalutazioni crediti fiscali deducibili nell'anno (nei limiti pertanto dello 0,3 per cento dei crediti) di circa 4,7 miliardi di euro;
    3) un'eccedenza fiscalmente deducibile nei 18 esercizi successivi, di circa 9,1 miliardi di euro:
   le perdite su crediti da elementi certi e precisi sono state stimate in misura pari a circa 3,7 miliardi di euro;
   così come si evince dalla relazione tecnica la simulazione è stata parametrata su diversi anni, ipotizzando costanti nel tempo i dati rilevati e stimando le deduzioni fiscali a legislazione vigente e le deduzioni a legislazione proposta per i diversi anni considerati; ai fini della stima si è tenuto conto altresì del fatto che in base a specifica elaborazione, circa il 35 per cento delle eccedenze fiscalmente riportabili nei 18 esercizi successivi risulta attribuibile a soggetti bancari in perdita fiscale; tale circostanza concorre a generare, sia a legislazione vigente che a legislazione proposta, crediti d'imposta per Deferred Tax Assest (stante il permanere dell'indeducibilità piena nell'esercizio determinata dal riporto ai 4 esercizi successivi); nella relazione tecnica si afferma pertanto di aver tenuto conto di una capienza nel reddito del 65 per cento in sede di determinazione del differenziale di deducibilità IRES relativo al passaggio dal riporto in 18 anni alla deducibilità in cinque esercizi;
   dalla relazione tecnica si evince che:
    1) per le banche era previsto un maggior gettito ai fini IRES e IRAP per 1.342 milioni di euro per l'anno 2013 e 465 milioni di euro per l'anno 2014;
    2) per le assicurazioni era previsto un minor gettito ai fini IRES e IRAP per 28 milioni di euro per l'anno 2013 e 53 milioni di euro per l'anno 2014;
    3) per gli intermediari finanziari era previsto un minor gettito a fini IRES e IRAP per 29 milioni di euro per l'anno 2013 e 240 milioni di euro per l'anno 2014 –:
   se a consuntivo le previsioni di maggior e minor gettito fiscale a carico delle banche, assicurazioni ed intermediari finanziari per gli anni 2013 e 2014 corrispondano ai valori indicati in premessa ed eventualmente, in caso negativo, quali siano i relativi valori e gli scostamenti. (5-06068)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 1985 il comune di Romano di Lombardia (provincia di Bergamo) assegnava in diritto di superficie un terreno destinato dal piano regolatore generale a «servizio di protezione civile e di pubblica sicurezza» ad una società cooperativa affinché la stessa provvedesse alla costruzione di un edificio da adibire a caserma dei vigili del fuoco;
   in adempimento a quanto previsto dalla convenzione costitutiva del diritto di superficie, la società cooperativa realizzava un unico edificio, inserito negli archivi catastali dell'Agenzia delle entrate (ex Agenzia del territorio) nel modo seguente:
    n. 1 fabbricato categoria B01 - caserma;
    n. 2 fabbricati categoria A02 - abitazione civile;
    n. 4 fabbricati categoria C06 - autorimessa;
   in data 8 ottobre 1990 l'intero edificio veniva ceduto in comodato d'uso gratuito, attualmente ancora in corso, al Ministero dell'interno – direzione generale della protezione civile e dei servizi antincendio «ad uso Caserma Vigili del Fuoco Volontari – Distaccamento di Romano di Lombardia»;
   la società cooperativa superficiaria è tuttora proprietaria degli immobili; in base a tale presupposto la stessa sarebbe tenuta al pagamento dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   le imposte dovute sarebbero pari ad euro 27.408,00 a titolo di IMU per ciascuno degli anni 2012-2013-2014-2015 (totale IMU euro 109.632,00) ed euro 8.608,00 a titolo di Tasi per ciascuno degli anni 2014-2015 (totale TASI euro 17.216,00);
   in data 5 marzo 2013 il comune di Romano di Lombardia ha rivolto pertanto un quesito specifico sulla tematica al Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento delle finanze – direzione federalismo fiscale, chiedendo se la cooperativa de qua potesse beneficiare del regime di esenzione dal pagamento dell'imposta ex articolo 7 comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992 oppure, in subordine, ai sensi dell'articolo 9 comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011;
   in data 6 maggio 2015 il Ministero dell'economia e delle Finanze – dipartimento delle finanze – direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale – ufficio XII ha risposto al quesito con nota prot. 13028, negando che il caso prospettato rientri in quelli per i quali sussiste possibilità di esenzione e tuttavia sostenendo che «alle considerazioni appena svolte si deve aggiungere che il Comune potrebbe introdurre, nei limiti della potestà regolamentare riconosciuta dalla legge, una disposizione di favore che non può comunque tradursi in un'esenzione e che, in via generale, preveda riduzioni di imposta nel caso in cui gli immobili siano sottoposti a un vincolo di destinazione per il soddisfacimento di esigenze di carattere pubblico» –:
   se il Governo non intenda fornire elementi di chiarimento all'amministrazione comunale di Romano di Lombardia posta l'apparente contraddittorietà del parere descritto in premessa così da agevolare la determinazione dell'amministrazione comunale, anche in riferimento al pregresso. (5-06062)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2014, «legge di stabilità 2015» ha introdotto il meccanismo del cosiddetto «split payment»;
   detto meccanismo ha messo in difficoltà i consorzi stabili, creati dal legislatore italiano per promuovere l'aggregazione delle piccole e medie imprese e favorire la competitività delle aziende italiane rispetto alla concorrenza;
   i consorzi stabili costituiscono una figura tipica nel settore degli appalti di lavori pubblici, introdotta dall'allora «legge Merloni» ed ora disciplinati espressamente dall'articolo 36 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   i consorzi stabiliti rappresentano una importante forma di aggregazione imprenditoriale, introdotta per favorire la competitività in un sistema produttivo caratterizzato da micro, piccole e medie imprese e, come tale, fortemente penalizzato nelle sue potenzialità rispetto ad analoghi sistemi imprenditoriali di altri Paesi;
   tale opportunità è stata recepita dalle imprese che hanno dato luogo a numerosi consorzi stabili, cogliendo le potenzialità offerte da uno strumento che tende a valorizzare le rispettive specializzazioni ed esperienze, pur conservando l'individualità delle singole imprese e sviluppando effetti sinergici di sicuro interesse;
   le difficoltà di detti consorzi sono legate alla sopravvenuta incapacità finanziaria di far fronte agli impegni assunti con le imprese consorziate;
   le trasformazioni del mercato, unitamente alla complessa fase di recessione degli ultimi anni, hanno fatto emergere esigenze e necessità di interventi senza i quali talune peculiarità positive dei consorzi stabili rischiano di restare inespresse;
   a giudizio dell'interrogante, occorre cercare di migliorare la disciplina dello split payment che viene ad incidere pesantemente sulle capacità finanziarie dei consorzi stabili e che sta creando serie ripercussioni sulla stessa capacità di permanere sul mercato di tali forme di aggregazione;
   lo split payment, particolare modalità di assolvimento dell'IVA da parte della pubblica amministrazione, (che opera come committente) è foriero, infatti, di grossi problemi di liquidità in capo ai consorzi che hanno natura «passante», in quanto operano in proprio verso la committenza e designano già dall'aggiudicazione della gara le consorziate che effettueranno fattivamente i lavori. Se la stazione appaltante versa direttamente ed integralmente all'erario l'intera IVA che il consorzio stabile le addebita in fattura (come attualmente previsto), questo sarà cronicamente a credito di IVA e soprattutto non avrà la liquidità sufficiente per pagare le fatture alle consorziate (che, a loro volta, dovranno assolvere l'IVA sulle fatture emesse al consorzio);
   a giudizio dell'interrogante si tratta di un problema finanziario di estrema rilevanza per la peculiarità dei consorzi stabili, che hanno una natura meramente aggregativa, spesso con modesta struttura operativa propria e che si avvalgono delle imprese consorziate precedentemente indicate (già in sede di gara) come esecutrici della commessa in caso di aggiudicazione;
   è evidente, pertanto, che il consorzio stabile ha un modestissimo (se non nullo) debito IVA, dato che contrappone la fattura ricevuta dalle consorziate per le prestazioni eseguite a quella emessa nei confronti della committenza. Con l'applicazione del meccanismo di split payment si ritrova con un credito IVA sostanzialmente pari a quello versato all'Erario dalla stazione appaltante e con «l'obbligo» di chiederne il rimborso (seppure in via trimestrale) con aggravi di costi e di adempimenti amministrativi e fiscali;
   a ciò si aggiunga la circostanza che vede la consorziata (esecutrice dell'opera) nell'obbligo di emettere fattura con IVA al consorzio stabile (e quindi riversarla all'erario) ed il consorzio a non avere la liquidità sufficiente per pagare la fattura alla consorziata;
   a giudizio dell'interrogante si tratta di una problematica grave che richiede soluzioni immediate, perché il meccanismo dello split payment, così come attualmente operante, è fortemente lesivo e penalizzante per le imprese aderenti ai consorzi stabili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che il Governo debba rendersi promotore di un provvedimento che escluda l'applicazione del meccanismo dello split payment qualora il soggetto emittente fattura alla pubblica amministrazione sia un consorzio stabile (con modalità analoghe a quelle esistenti a favore dei professionisti o dei soggetti applicanti regimi speciali di IVA);
   se, in subordine, non ritenga di assumere iniziative affinché sia introdotto un calmieramento alla norma prevedendo che le imprese consorziate che fatturano al consorzio stabile possano applicare l'IVA con il sistema del reverse charge nei confronti del proprio consorzio di appartenenza. (4-09830)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIGONI, PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'esigenza dell'adeguamento della legislazione italiana in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione e di appalto pubblico nasce non solo dal mutato quadro ordinamentale comunitario, ma anche da profonde ragioni di efficienza, trasparenza ed economicità nella gestione della cosa pubblica;
   tali obiettivi prioritari, a parere dell'interrogante, devono potersi coniugare proficuamente con il particolare contesto politico e sociale del Paese, caratterizzato da una crisi senza precedenti del comparto dell'edilizia e con le indispensabili scelte di politica industriale, di cui vi è ha urgente bisogno, al fine di assicurare una visione strategica per il futuro industriale di alcuni settori, quale quello delle manutenzioni autostradali;
   già ora, il comparto è attraversato da notevoli incertezze e difficoltà, di cui è testimonianza il caso della Impresa ABC Costruzioni spa, operante con lavori di manutenzione ordinaria del corpo stradale e investimenti in nuove opere o modifiche strutturali su tratte autostradali e che ha annunciato, su un totale di 124 operai, un esubero di 69 operai e 4 impiegati su 19 attualmente in forza;
   nonostante il perdurare della crisi, il settore vanta modelli organizzativi avanzati, unici nel sistema delle imprese di costruzioni del nostro Paese, come dimensioni di impresa medio-grandi, innovazione tecnologica, alta specializzazione e professionalità degli operatori, formazione continua, standard di sicurezza;
   l'intervento di riforma deve accompagnarsi a misure volte a scongiurare i possibili licenziamenti, prevedendo gli opportuni obblighi per le concessionarie di garantire la continuità occupazionale e lavorativa nonché assicurare che la predisposizione dei bandi di gara risulti in linea con le clausole sociali che la stessa Unione europea esorta ad adottare –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di monitorare la situazione occupazionale nel settore delle manutenzioni autostradali, per non disperdere il patrimonio di professionalità e competenze delle imprese e delle maestranze impiegate, anche alla luce del nuovo quadro normativo che discenderà dal recepimento della disciplina comunitaria in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché dal riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. (5-06058)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra venerdì e sabato 10-11 luglio 2015 presso il comune di Irsina si è verificato una rapina ai danni del bancomat della Banca Popolare di Puglia e Basilicata;
   nel compierla è stato usato dell'esplosivo e i ladri si sono mossi con velocità e scaltrezza armati anche di mitra;
   una volta racimolato il bottino, circa 40 mila euro sono fuggiti a bordo di due Audi di grossa cilindrata di colore nero in direzione della Puglia disseminando chiodi a zampa di gallina per scoraggiare ogni tentativo di inseguimento;
   da tempo nel nord della Basilicata, nel comprensorio dell'alto Bradano ai confini con la Puglia si registrano incursioni criminali dedite a furti e rapine;
   la posizione geografica, la vastità del territorio in questione e la prossimità di importanti arterie stradali rendono più complicato il compito delle forze dell'ordine;
   il sindaco di Irsina ha chiesto al prefetto di Matera di convocare un comitato per l'ordine e la sicurezza a seguito di questo episodio;
   è evidente la necessità di rafforzare in termini di uomini e mezzi la presenza delle forze dell'ordine –:
   se e quali iniziative il Ministro, dopo questo nuovo ed inquietante episodio intenda assumere al fine di rafforzare il controllo del territorio in questione potenziando la presenza delle forze dell'ordine. (5-06047)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto nel Paese un sensibile deterioramento delle condizioni di sicurezza, che si traduce in un diffuso aumento dei reati, con una crescita sensibile dei furti in appartamento;
   stando ai dati pubblicati dal Censis in un rapporto presentato al pubblico il 21 febbraio scorso, solo i furti in appartamento denunciati sono passati dai 10.887 del 2004 ai 251.422 del 2014;
   la macro-aerea del Paese maggiormente colpita dall'incremento è il Nord-Ovest, in cui durante il 2014 si sono verificati ben 92.100 furti in abitazione;
   quanto a numero di reati per abitanti, la provincia di Asti è risultata al vertice della graduatoria, con 9,2 furti in abitazione ogni mille abitanti, quasi uno su cento;
   Asti e provincia sono altresì risultate al ventitreesimo posto tra le province italiane per crimini totali. Oltre ad essere prime per furti nelle abitazioni, si sono trovate tra le prime 10 per truffe e frodi (aumentate dell'8,8 per cento rispetto al 2013);
   risultano in costante aumento nell'Astigiano anche le azioni predatorie connesse allo scarso controllo del territorio, come i borseggi (+10,2 per cento) e le rapine negli esercizi commerciali (+5,3 per cento);
   una delle rapine è sfociata nell'uccisione del giovane tabaccaio Manuel Bacco, assassinato il 20 dicembre 2014 mentre tentava di difendere il proprio esercizio;
   negli ultimi sette mesi, si sono verificati nell'Astigiano almeno altri due omicidi: giovedì 25 giugno, Francesco Indino, camionista, è stato trovato privo di vita in Campo del Palio, in pieno centro, con la testa fracassata, probabilmente a colpi di cric o spranga; sabato 4 luglio 2015 è stata invece la volta di Maria Luisa Fassi, uccisa a coltellate nella sua tabaccheria di corso Volta per motivi ancora da chiarire. Nella stessa via, otto giorni dopo, un cittadino marocchino ha accoltellato il figlio riducendolo in gravi condizioni;
   si moltiplicano le aggressioni violente, specialmente quelle dirette ai commercianti a scopo di rapina;
   alla crescita delle attività criminali in atto nell'Astigiano non è verosimilmente estranea la presenza sul territorio di un carcere di massima sicurezza, dal momento che tale circostanza determina solitamente l'avvicinamento all'area di familiari potenzialmente pericolosi;
   Asti è posizionata strategicamente sui alcuni tra i maggiori assi viari e ferroviari del Paese, in particolare quelli che congiungono Milano, Torino e Genova;
   a dispetto dell'evidente situazione di emergenza venutasi a creare nell'astigiano, il 12 dicembre 2014 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha provveduto a trasferire a nuova destinazione il prefetto di Asti, Pierluigi Faloni, senza che venisse opportunamente sostituito;
   la provincia di Asti risulta da allora sprovvista di un Prefetto titolare, a dispetto delle sollecitazioni giunte da più parti affinché il Governo provvedesse alla nomina del successore di Pierluigi Faloni;
   Asti e provincia stanno pesantemente risentendo degli effetti che la spending review sta dispiegando nel comparto sicurezza, nel quale è in atto una sensibile contrazione degli effettivi e dei presidi delle forze di polizia;
   la questura di Asti lamenterebbe attualmente carenze di personale pari al 20 per cento della pianta organica prevista –:
   quali misure il Governo intenda assumere per fronteggiare l'emergenza criminalità in atto ad Asti e provincia e se intenda incrementare il personale impiegabile in servizi operativi presso la Questura di Asti. (4-09825)


   NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO e CAMANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 luglio alle ore 2,30 a Ospedaletto euganeo, in provincia di Padova, presso uno degli stabilimenti dell'azienda Veronesi, azienda leader in Italia della produzione di mangimi, si è sviluppato un incendio di vaste dimensioni nel parcheggio interno;
   l'incendio ha danneggiato 15 motrici su 25 presenti nel parcheggio e i relativi camion contenenti i mangimi;
   le motrici sono di proprietà delle imprese di autotrasporti che lavorano per la Veronesi e, in particolare sono state colpite le imprese Trasporti romagna di Malo (Vi) e Turra trasporti di Este (Pd);
   l'incendio ha causato gravi danni per circa 2 milioni di euro;
   le prime indagini hanno rinvenuto dei contenitori di benzina posti sotto le motrici; su una parte dell'edificio dello stabilimento è stata trovata la scritta «No ogm, no allevamenti»;
   dalle prime indagini l'incendio risulta chiaramente di origine dolosa;
   il grave episodio ha le caratteristiche di un attentato per danneggiare e minacciare un'attività imprenditoriale di primaria importanza;
   l'episodio ha suscitato allarme e preoccupazione nella popolazione e nelle istituzioni locali per il possibile inquinamento ambientale causato dall'incendio e per il rischio che l'attentato possa essere riconducibile a minacce e intimidazioni nei confronti delle imprese coinvolte –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   in che modo il Ministro, attraverso gli uffici territoriali competenti, intenda attivarsi, per quanto di competenza, per contribuire a fare luce sulla vicenda e per prevenire il rischio che tali episodi possano determinare un clima di intimidazione e minaccia contro le imprese.
(4-09828)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, consente l'annotazione nelle scritture ausiliarie di magazzino dei cali e delle altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra giacenze fisiche effettive e quelle risultanti dalle scritture di carico e scarico;
   l'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 441 del 1997 prevede invece che le eventuali differenze quantitative, derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino, di cui al citato articolo 14, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d'imposta oggetto del controllo;
   le eccedenze conseguenti ad una rimanenza effettiva superiore a quella contabile, seppure rientrante nei limiti di tolleranza ammessi dalla normativa in materia di accise, sono sanzionate ai sensi dell'articolo 48 del decreto legislativo 504 del 1995;
   l'applicazione delle norme sopra citate determina notevoli inconvenienti in occasione delle verifiche fiscali e viene ancora più complicata dalla diversa interpretazione da parte degli organismi istituzionali preposti alla verifica e all'accertamento, che attribuiscono alle differenze inventariali (risultanti dalla differenza quantitativa tra le schede di magazzino e le quantità di beni rilevate negli inventari di magazzino) natura di presunzioni di acquisto o di vendita;
   tali differenze inventariali non sono determinate dalla volontà del contribuente di eludere o evadere i propri obblighi tributari, ma sono riconducibili a molteplici cause di carattere organizzativo o funzionale;
   la corretta individuazione della percentuale di calo e di computo dell'imposta è condizione essenziale per sottrarsi a sanzioni di natura amministrativa, con conseguenze anche penali, e a presunzioni di cessione ai fini dell'IVA;
   in particolare non risulta comprensibile il principio secondo il quale una base imponibile, ossia il valore dei carburanti, per un'imposta (le accise) possa essere calcolata al netto delle eccedenze ritenute ammissibili dalla legge (decreto legislativo 504 del 1995), mentre per un'altra imposta (Iva) debba essere calcolata al lordo delle eccedenze;
   inoltre l'articolo 50 del decreto legislativo n. 504 del 1995, al comma 2, stabilisce che la tenuta della contabilità e dei registri si considera irregolare allorquando la differenza tra le risultanze contabili e le giacenze reali è superiore ai cali di cui all'articolo 4, ossia alle misure di calo ammissibile indicate dalla normativa doganale;
   nella valutazione dei cali sembra non si tenga conto della lunghezza del periodo di tempo al quale si riferisce il calo, né del differenziale termico tra il prodotto scaricato dall'autobotte e quello giacente nel serbatoio sotterraneo dell'impianto di distribuzione dei carburanti, oltreché delle tolleranze cui sono soggetti tutti gli strumenti di misurazione utilizzati dal carico dell'autobotte al serbatoio dell'auto;
   gli attuali cali ammessi comportano un differenziale termico tra prodotto nell'autobotte e prodotto nel serbatoio, pari ad 1 solo grado centigrado per il gasolio, e a 2,5 gradi per la benzina;
   tale situazione è molto rara, poiché, avendo assunto altri parametri di misurazione delle tolleranze nelle altre fasi della filiera, il differenziale termico è di gran lunga maggiore;
   sembrerebbe che non esista alcuna misurazione dell'effettivo differenziale termico tra il momento della nazionalizzazione del prodotto e quello della consegna sugli impianti;
   a tale proposito va ricordato che la variazione volumetrica si attesta all'1 per mille per ogni grado (in più o in meno) alla temperatura che si registra al momento del carico presso raffineria o deposito –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopraesposti;
   se il Ministro intenda adottare tutte le opportune iniziative, sia di carattere interpretativo, sia, laddove risulti necessario, di natura normativa, volte a sanzionare le eccedenze ai fini Iva solo se superiori ai limiti di legge, ossia il 5 per mille;
   se il Ministro intenda definire più precisamente la procedura di quantificazione dei cali, considerando in primo luogo la lunghezza del periodo preso a riferimento per la verifica dei cali;
   se, a questi fini, il Ministro intenda disporre soluzioni normative per stabilire che la temperatura dei carburanti debba essere misurata al momento dello scarico del prodotto dall'autobotte, così da poter correttamente scaricare dal registro l'inevitabile perdita volumetrica che si produce per effetto della temperatura del serbatoio, che in genere è più bassa, e che ovviamente andrà misurata. (4-09831)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana nell'ambito dell'inchiesta della procura di Venezia su presunte infiltrazioni della ’Ndrangheta nel veneziano sono state eseguite due perquisizioni presso la località Lido;
   il 9 luglio i carabinieri del Ros hanno notificato un avviso a comparire al figlio del noto imprenditore Saverio De Martino, anch'egli indagato per associazione per delinquere di stampo mafioso;
   a carico di Antonio De Martino sembrerebbe esservi un'ipotesi di corruzione nella quale sarebbe coinvolto l'ex sindaco Ugo Bergamo, chiamato in causa in qualità di assessore alla mobilità;
   secondo gli inquirenti, nel 2011, al fine di ottenere il via libera al progetto di ristrutturazione per finalità turistiche di un'area denominata Parco delle Rose, presso il Lido di Venezia, Antonio De Martino avrebbe chiesto all'esponente politico di fare pressioni al commissario Vincenzo Spaziante;
   in cambio dei presunti favori ricevuti, gli avrebbe promesso contributi elettorali e gli avrebbe pagato un soggiorno per due persone in un albergo di lusso a Capo Vaticano, in Calabria;
   l'ipotesi di associazione mafiosa, contestata a De Martino, si riferisce invece a presunti appoggi che l'imprenditore avrebbe garantito alla ’Ndrangheta nell'infiltrarsi a Venezia e nel pianificare investimenti in Irlanda;
   per questa attività De Martino si sarebbe avvalso dell'aiuto di Roberto Laggia, imprenditore del vetro di Murano, che non risulta essere indagato, in passato coinvolto in un presunto favoreggiamento a Felice Maniero;
   una terza perquisizione è stata eseguita a carico di un sottocapo della capitaneria di porto di Venezia, in relazione ad un'ipotesi di rivelazione di atti d'ufficio;
   secondo gli inquirenti De Martino sarebbe stato avvisato prima di un controllo negli stabilimenti balneari del Des Bains ed Excelsior al Lido;
   le ricostruzioni degli inquirenti hanno sollevato forti preoccupazioni nelle comunità del veneziano per l'ennesimo caso di un sodalizio criminale nel quale gli interessi dell'economia e di amministratori del territorio appaiono legati alla criminalità organizzata –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, per quanto di competenza, per acquisire elementi circa i rapporti tra imprenditoria, amministratori locali ed esponenti di cosche mafiose nel veneziano;
   quali iniziative di competenza il Ministro anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda assumere per prevenire e contrastare il radicamento della criminalità organizzata nel territorio del Veneto. (4-09843)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul finire del 2011 la prefettura di Napoli insediò una commissione di accesso presso il comune di Torre del Greco che completò i suoi lavori dopo le elezioni comunali del 2012;
   tali lavori si sono conclusi con la indicazione di una serie di prescrizioni affidate alla nuova amministrazione, che nel frattempo si era insediata, essendo stato sconfitto il sindaco oggetto della commissione di accesso;
   nel 2014 si sono tenute nuove elezioni comunali anticipate, che hanno comportato la rielezione dello stesso sindaco oggetto delle prescrizioni prefettizie del 2012;
   fin dal suo insediamento il sindaco dottor Ciro Borriello ha operato in maniera assolutamente disinvolta rispetto ai rilievi mossi dalla commissione d'accesso;
   a tal proposito è emblematica la vicenda nettezza urbana, sulla quale la procura della Repubblica di Torre Annunziata recentemente ha inviato avvisi di garanzia al sindaco Borriello, all'assessore al ramo, alla segretaria comunale e ad altri, tra cui la ditta fratelli «Balsamo», oggetto delle ripetute prescrizioni della commissione di accesso (avvisi di garanzia per corruzione, concussione e altro, come abbondantemente riportato dalla stampa);
   recentemente, il suddetto sindaco Borriello è stato condannato dal tribunale di Torre Annunziata, in primo grado a tre anni e tre mesi oltre interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per i reati di falso in atto pubblico e truffa ai danni del servizio sanitario nazionale;
   in un ulteriore processo, così detto abusivopoli, pende appello del pubblico ministero della procura della Repubblica di Torre Annunziata verso il predetto Borriello, assolto in primo grado dai presunti reati di abuso di ufficio e soppressione di atti veri;
   tutti i fatti esposti sono stati ripetutamente e clamorosamente riportati dalla stampa per cui si ha l'impressione, nell'opinione pubblica che il comune di Torre del Greco sia al centro di una attività amministrativa interamente improntata alla illegalità diffusa;
   l'aspetto più grave è determinato dal fatto che destinatario, tra gli altri, degli avvisi di garanzia per la nettezza urbana vi è anche la segretaria comunale, probabilmente allo oscuro delle vicende pregresse, che avrebbe dovuto invece assicurare la legalità dei provvedimenti;
   la permanenza in servizio del segretario comunale destinatario di un avviso di garanzia, come detto, per concussione e corruzione e altro non favorisce un clima di serenità istituzionale –:
   quali decisioni il Ministro interrogato, alla luce delle prescrizioni già impartite dalla commissione di accesso nel 2012 e, secondo l'interrogante, violate nei casi indicati ed anche in altri intenda assumere, e se ritenga opportuno valutare se non sia il caso di nominare una nuova commissione di accesso che verifichi e completi il lavoro effettuato dalla precedente commissione di accesso tra il 2011-2012 e quali ulteriori iniziative intenda assumere per un comune di circa centomila abitanti guidato da un sindaco condannato in primo grado per i reati indicati in premessa. (4-09844)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'inchiesta della procura della Repubblica di Roma, resa pubblica dalle notizie dei media dei primi giorni del dicembre 2014 e conosciuta come «mafia capitale», alcune cooperative e consorzi di cooperative con sede in Roma, amministrate e gestite dal signor Salvatore Buzzi, coinvolto nella medesima inchiesta ed arrestato, venivano opportunamente sottoposte ad amministrazione giudiziaria;
   agli stessi amministratori giudiziari è stata affidata la gestione di tutte le attività in corso riconducibili alle cooperative e ai consorzi e specificatamente Cooperativa 29 giugno onlus, Cooperativa 29 giugno servizi, Eriches 29, Formula sociale società cooperativa sociale — onlus, Abc società cooperativa sociale. Occorre a tal proposito precisare che si tratta di una gestione che attiene per lo più ad affidamenti di servizi pubblici esternalizzati ed aventi come amministrazioni appaltanti il Ministero dell'interno, nonché alcune prefetture del territorio nazionale compresa quella di Roma e alcuni comuni sul territorio nazionale, compreso quello di Roma Capitale; 
   nel corso della gestione degli attuali amministratori, secondo quanto segnalato all'interrogante, si sarebbero evidenziate gravi problematiche sindacali: basti pensare che nel gruppo di cooperative e consorzi menzionati lavorano a vario titolo e con contratti individuali diversi circa 1.360 lavoratori;
   sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, si sono altresì evidenziate carenze anche gravi circa la qualità stessa del servizio reso per conto dei committenti e delle istituzioni pubbliche appaltanti, per lo più attinenti all'accoglienza di migranti. Nello specifico si parla di minori stranieri non accompagnati, richiedenti asilo singoli e nuclei familiari senza fissa dimora, madri con bambini e soggetti appartenenti alle cosiddette categorie denominate impropriamente «vulnerabili»: l'inappropriatezza di tale definizione, secondo quanto segnalato e a parere dell'interrogante, sarebbe da ricondursi alle criticità e alle estreme fragilità di cui tutti i migranti sarebbero, a vario titolo, portatori a causa della drammatica esperienza da loro vissuta;
   tali problematiche, peraltro in buona parte preesistenti all'attuale gestione, sono state oggetto un'intensa attività sindacale da parte dell'Unione sindacale di base (USB), che ha svolto a questo proposito numerosi incontri, con le istituzioni affidatarie di tali servizi, manifestazioni, nonché denunce pubbliche;
   l'amministrazione giudiziaria sostituisce a tutti gli effetti la gestione pratica degli appalti in essere affidati alla preesistente gestione: nello specifico l'attività degli amministratori regola i rapporti di lavoro con il personale, rendendo quindi necessario intrattenere rapporti sindacali per quanto concerne le problematiche strettamente sindacali e del servizio fornito alle varie tipologie di utenti;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, gli stessi amministratori da fine febbraio 2015 starebbero procedendo, mediante il mancato rinnovo contrattuale, all'allontanamento della gran parte degli iscritti USB che si sono contraddistinti nelle denunce pubbliche e che hanno fatto parte delle delegazioni nei vari incontri con le istituzioni appaltanti, producendo ulteriore aggravio nella carenza di organico nei vari servizi già denunciato dall'organizzazione sindacale. Tali mancati rinnovi contrattuali sarebbe o stati motivati con la chiusura di alcuni servizi, la cui prosecuzione, al contrario, sarebbe stata assicurata dalle istituzioni interessate. In particolare, la segnalazione fatta pervenire dall'USB all'interrogante riguarda precisamente quattro lavoratori iscritti al predetto sindacato –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto denunciato in premessa e se non ritenga, per quanto di competenza e nella qualità di vertice politico della stazione appaltante dei servizi esternalizzati dalle prefetture, di doversi attivare affinché da un lato rimanga invariata la qualità dei servizi prestati in un settore estremamente delicato e, dall'altro, possono essere risolte le problematiche dei lavoratori delle cooperative sopra richiamate. (4-09845)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   molti bandi, sia italiani che europei, per posizioni di lavoro o per progetti di ricerca riservati a giovani ricercatori/ricercatrici prevedono che i candidati o le candidate debbano aver conseguito il dottorato di ricerca in data non anteriore al termine fissato nel bando, ma prevedono anche che questo termine possa essere anticipato nel caso di maternità delle candidate;
   ad esempio, il bando Starting Grants 2015 per i finanziamenti dell’European Research Council a giovani ricercatori (http://erc.europa.eu) prevede alla pagina 17 che il dottorato sia stato conseguito successivamente al primo gennaio 2008, ma che questo termine sia anticipato di 18 mesi per ogni figlio della candidata interessata;
   analogamente, il bando SIR 2014 (Scientific Independence of young Researchers) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (http://attiministeriali.miur.it) prevede all'articolo 2, comma 2, lettera a), un'analoga anticipazione di 18 mesi del termine iniziale sulla data di conseguimento del dottorato per ogni figlio della candidata interessata;
   diversamente dagli esempi sopra citati, il bando 2014 del programma per giovani ricercatori «Rita Levi Montalcini» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (http://cervelli.cineca.it) non ha previsto analoga misura;
   risulta all'interrogante che è in preparazione il bando 2015 del programma per giovani ricercatori «Rita Levi Montalcini» –:
   se il Ministro non ritenga opportuno che, a garanzia del principio delle pari opportunità, il prossimo bando del programma per giovani ricercatori «Rita Levi Montalcini» si allinei agli altri bandi italiani ed europei prevedendo un anticipo di 18 mesi per ogni figlio delle candidate rispetto alla data dopo la quale dovrà essere stato conseguito il dottorato di ricerca. (5-06051)


   LUIGI GALLO e MICILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con regio decreto-legge del 9 novembre 1885 viene eretto in ente morale l'istituto «Domenico Martuscelli», già «Principe di Napoli», fondato da Domenico Martuscelli e designato come istituto scolastico posto alle dipendenze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ospita ragazzi non vedenti ed ipovedenti con pluriminorazione sia come convittori che come semi-convittori;
   l'istituto «Domenico Martuscelli» ha conservato tali fini ai sensi e per gli effetti del regio decreto-legge del 16 agosto 1926, n. 1780, ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: de facto, esso rientra nella categoria dei cosiddetti enti strumentali attraverso i quali lo Stato persegue gli scopi istituzionali dell'educazione e dell'istruzione che gli sono propri;
   nello specifico, come riportato sul sito web dello stesso istituto – www.istitutomartuscelli.it –, «lo scopo dell'istituto “Domenico Martuscelli” è la valorizzazione e lo sviluppo delle competenze intellettive, relazionali e sociali degli utenti minorati della vista, con particolare riguardo alla fascia giovanile. Ciò avviene attraverso una serie di attività e servizi in un percorso di sviluppo formativo, culturale e sociale finalizzato ad un positivo inserimento e una consapevole integrazione nella società civile dei disabili visivi, anche con handicap aggiuntivi»;
   accanto alle attività educative, l'istituto ha mantenuto una specifica attività assistenziale rivolta anche ad anziani non vedenti; attualmente la sede dell'ente, che dispone della possibilità di ospitare undici anziane, accoglie quattro non vedenti alle quali vengono forniti servizi riabilitativi, di assistenza materiale e sanitaria, attività ludiche e di integrazione sociale;
   l'istituto è stato sempre governato da un consiglio di amministrazione rappresentativo della Unione italiana ciechi – Uic – e della classe politica locale; la continuità nella gestione, così come riportato dal dottor Toni Nocchetti, presidente dell'associazione «Tutti a scuola onlus», le cui dichiarazioni sono state rese note da un articolo pubblicato il 28 marzo 2015 sul sito web del periodico de Il fatto quotidianowww.ilfattoquotidiano.it –, è stata salvaguardata dai rappresentanti della Uic che ancora oggi guidano l'istituto con il presidente ed il vice e da un consiglio costituito da un rappresentante del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della regione, del comune e dei «benefattori», con cui condividere strategie e governance;
   negli anni, le donazioni cospicue ricevute e le convenzioni con le province di appartenenza dei ragazzi cui erano rivolte le attività e i servizi, per cui queste pagavano una retta, hanno permesso che il patrimonio immobiliare di tale istituto crescesse fino a raggiungere un ammontare, come dichiarato dal dottor Toni Nocchetti nel succitato articolo e come deducibile dal sito dello stesso istituto alla sezione «Gare e appalti» «Fittasi Appartamenti / Uffici / Depositi / Magazzini di Proprietà dell'Ente», di circa euro 50.000.000;
   inoltre, si calcola che l'istituto ricavi, solo dagli affitti degli edifici, circa euro 900.000 l'anno, alcuni dei quali sono stati dati in affitto agli stessi dipendenti ed a componenti del consiglio; altra entrata cospicua è l'affitto del teatro Cilea, sempre di proprietà dell'istituto «Domenico Martuscelli», e dato in gestione alla famiglia Pisco, che ammonta a circa euro 7.000 al mese. Risultano, inoltre, circa ulteriori 8.000 metri quadrati di locali coperti non utilizzati e da ristrutturare, come descritto il 21 aprile 2015 in un documento a cura di Mariano Peluso, apparso sul sito movimento.napoli.it;
   inter alia, balza all'occhio soprattutto il fatto che il piano terra rappresenta un vero e proprio spreco di risorse pubbliche dato che i locali di cui è costituito rappresentano una risorsa unica, ospitando l'ambulatorio con tutte le specialiste mediche, una palestra completamente arredata per la fisioterapia, una sala per la logopedia e l'ortottica ed un living per l'intrattenimento, sempre in base alle descrizioni riportate dal succitato documento;
   nonostante il cospicuo patrimonio immobiliare di cui l'istituto dispone e delle entrate annue fisse derivanti dal pagamento degli affittuari, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che avrebbe dovuto vigilare sul controllo della buona gestione del Martuscelli, per mezzo dell'ufficio scolastico regionale diretto dalla dottoressa Luisa Franzese, con prot. n. AOODRCA8172/1, in data 18 novembre 2014 (http://itdoczz.com/doc) non ha approvato il conto consuntivo per l'anno 2013 né il bilancio di previsione per il 2014 dello stesso istituto, a causa di un deficit di cassa pari a –59.404,20 euro e di una differenza tra residui attivi e passivi pari a –6.273.751,00 euro;
   «indifferente e distratto» viene descritto dalla stampa l'atteggiamento dell'ufficio scolastico regionale della Campania che, ad oggi, continua a non prendere provvedimenti aggiuntivi a quello sopra descritto, malgrado i ripetuti appelli dei genitori dei non vedenti e dei dipendenti del Martuscelli, con lo scopo di dirimere una vicenda sempre più delicata e imbarazzante («Niente fondi, zero stipendi e progetti di rilancio l'agonia dell'Istituto per non vedenti al Vomero», pubblicato in data 12 maggio 2015 su sito www.retenews24.it); tale immobilismo sembrerebbe dunque presagire uno scenario quantomeno illogico: la chiusura di un centro di eccellenza quale è il Martuscelli per un disavanzo che potrebbe essere risanato con una liquidità inferiore ad un terzo del solo patrimonio immobiliare di cui dispone;
   la situazione dell'istituto «Domenico Martuscelli» ha scatenato, quindi, la rabbia e la disperazione di un folto gruppo di genitori e ragazzi non vedenti che in data 7 novembre 2014 hanno protestato occupando l'incrocio tra via Cilea, via Belvedere e via San Domenico a Napoli con striscioni e cassonetti della spazzatura, impedendo la circolazione verso Corso Europa;
   secondo quanto riportato nell'articolo pubblicato nella stessa data della manifestazione su vomero.napolitoday.it a cura di Mario Parisi, uno dei tanti manifestanti dichiarava: «È una vergogna che un istituto di tale importanza, che ospita bambini e ragazzi da tutta la regione, rischi la chiusura. A pagarne le conseguenze saranno proprio questi ragazzi e le loro famiglie. Di istituti con queste competenze ne esistono pochissimi in Italia»;
   il giorno 14 aprile 2015 è stato pubblicato l'articolo «Il paradosso Martuscelli» sul sito www.napolicittasociale.it; dallo stesso si evince oltremodo l'amarezza di genitori, sempre più convinti che «La costante e drastica riduzione delle attività nel corso degli anni sia riconducibile una volontà precisa di far chiudere il Martuscelli e utilizzarlo ad altri scopi, mentre i ragazzi con disabilità non interessano a nessuno poiché non ci si può arricchire»;
   in base a quanto riportato nell'articolo di cui di cui sopra, la direttrice amministrativa dell'istituto, Enza Avino, a causa della mancanza di liquidità per pagare i dipendenti e i debiti, e il succitato dottor Toni Nocchetti di «Tutti a scuola onlus», concordano nel ripensare l'istituto aprendolo alla pluridisabilità ciò che risulta auspicabile è una «attenta revisione dello statuto dell'istituto, lo scioglimento del consiglio di amministrazione e la nomina di un commissario, nonché la riorganizzazione e il rinnovo delle attività, istituendo servizi per le diverse disabilità, convenzioni con le università e corsi di formazione per l'autosufficienza e una casa alloggio per il “dopo di noi”»;
   a giudizio dell'interrogante qualora il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso l'ufficio scolastico regionale, avesse adempiuto negli anni al primario dovere di vigilare sul controllo costante della buona gestione dell'istituto, oggi il Martuscelli non si ritroverebbe con un patrimonio immobiliare di 50.000.000 di euro e, nel contempo, un disavanzo di oltre 6.000.000 di euro –:
   se il Ministro, nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza di cui al regio decreto-legge del 16 agosto 1926, n. 1780, sia a conoscenza della grave e precaria condizione nella quale riversa ad oggi l'istituto «Domenico Martuscelli» e delle vicende che, negli ultimi anni, ivi hanno condotto;
   stante l'abbondanza del patrimonio immobiliare posseduto dall'istituto «Domenico Martuscelli» e nel rispetto della nobile missione da esso perseguita di rendere un servizio sociale, culturale e formativo all'avanguardia a tante persone con disabilità percettive, quali iniziative il Ministro intenda attuare a tutti i livelli per far sì che la regione Campania e l'intero Paese non perdano per sempre un simile patrimonio di competenze quale è l'istituto;
   se non ritenga appropriato intervenire per un riesame di quanto alla nota prot. n. AOODRCA8172/1 del 18 novembre 2014, citata in premessa, a firma dalla dottoressa Luisa Franzese, direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Campania;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro in merito ai suggerimenti manifestati, per mezzo degli organi di stampa, dalla direttrice amministrativa dell'istituto, Enza Avino, e dal dottor Toni Nocchetti, la cui conoscenza delle vicende descritte non è in discussione, riguardanti la revisione dello statuto dell'istituto, la nomina di un commissario, la riorganizzazione e il rinnovo delle attività al fine di istituire servizi per diverse disabilità, convenzioni, corsi di formazione per l'autosufficienza e una casa alloggio per il «dopo di noi».
(5-06055)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. Per sapere – premesso che;
   oramai da tempo, l'Istituto Braga di Teramo, assieme ad altri istituti musicali nazionali, versa in gravi difficoltà economiche causate dai continui tagli alla cultura attuati da enti locali e nazionali,
   l'istituto Braga è ridotto oramai al collasso, senza bilancio e partita di entrate;
   il personale è in arretrato di 14 mensilità. Situazione difficilmente risolvibile senza aiuti istituzionali;
   l'istituto è una delle più antiche ed eccellenti istituzioni musicali in Italia, nato sin dal 1895 (ex Cetra-Braga dal 1937) professionalmente ad altissimo livello e specializzato nella formazione. Da qui sono usciti anche grandi talenti del panorama musicale nazionale;
    questa crisi di istituti culturali importanti è diffusa in tutta Italia e in merito, l'interrogante stesso, è cofirmatario della proposta di legge 2573/14 che mira alla soluzione della questione oramai divenuta deflagrante e sottolinea la disattenzione al potenziale culturale della nazione, che proprio della sua cultura musicale vanta riconoscimenti mondiali da sempre;
   più volte le rappresentanze sindacali unitarie hanno chiesto incontri e chiarimenti sul merito al Ministero rilevando che la sentenza del TAR del Lazio n. 733/14 del 21 gennaio 2014 è passata in giudicato e ne è stata data esecuzione statizzando l'IMP G. Braga di Teramo; il Consiglio di Stato, con sentenza 3 aprile 2015, ha rigettato il ricorso proposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca contro il giudizio di ottemperanza;
   l'istituto deve 1.500.000 euro di stipendi arretrati, non ha copertura economica per il 2015, la sede di Piazza Verdi è inagibile e non può effettuare le lezioni che al momento sono spostate all'Università di Teramo, per cui occorrono fondi per la ristrutturazione dell'edificio –:
   come intendano adoperarsi i Ministri interrogati affinché vengano messi in atto e con grandissima urgenza tutte le iniziative necessarie per garantire le normali attività didattiche, gestionali e amministrative previste nei dettati delle sentenze richiamate;
   quali modalità si pensi di mettere in atto affinché siano individuate eventuali responsabilità economiche e giuridiche imputabili al livello Centrale di Governo. (4-09829)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è quanto mai singolare la situazione che si sta verificando a Martellago, in provincia di Venezia, dove il dirigente scolastico della scuola primaria «Carlo Goldoni» si è visto respingere dal Ministero dell'istruzione la richiesta di una classe in più a tempo pieno;
   l'esigenza scaturisce dal fatto che, non solo è aumentato il numero dei alunni che si iscriveranno alla prima classe, ma anche dal fatto che, tra questi, ci sono quattro bambini disabili;
   in tal senso, il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola», ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 33, è molto chiaro e dispone:
    a) all'articolo 5, comma 2, che «le classi iniziali delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado, ivi comprese le sezioni di scuola dell'infanzia, che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni»;
    b) all'articolo 10, comma 1 che, «salvo il disposto dell'articolo 5, commi 2 e 3, le classi di scuola primaria sono di norma costituite con un numero di alunni non inferiore a 15 e non superiore a 26, elevabile fino a 27 qualora residuino resti»;
   il rispetto della presente normativa non sembra essere stato preso in considerazione dal Ministero dal momento che, a Martellago, vi saranno solo tre classi: una con 29 alunni per il tempo normale e due classi dove verranno suddivisi 49 alunni, compresi i quattro disabili;
   diversi articoli di giornale hanno riportato la vicenda sottolineando il fatto che tanti genitori hanno avanzato l'ipotesi di ricorso al Tar per tutelare l'interessi dei loro figli a ricevere, in condizioni di sicurezza che forse non potrebbero essere garantite da classi troppo affollate, un'adeguata istruzione;
   a tal proposito giova ricordare una recente sentenza del Tar di Palermo. Il tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (sezione terza) infatti, con sentenza n. 02250/2014, in merito al ricorso registro n. 00401/2014 presentato da genitori e studenti, ha sdoppiato, nel corso dell'anno scolastico, una classe quarta di un liceo palermitano formata da 24 alunni, di cui 4 con disabilità, derivante dalla fusione di due classi più piccole entrambe con alunni con disabilità, perché composta da un eccessivo numero di studenti. Secondo il Tar l'eccessivo numero di alunni oltre a compromettere la sicurezza degli stessi, va ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili. La sentenza mette in discussione i criteri con cui vengono formate le classi imponendo, per la prima volta con una sentenza al riguardo, il rispetto del tetto massimo di 20 alunni nelle classi successive alla prima e, nello stesso tempo rimarca la formazione delle classi prime;
   infatti nella sentenza si legge testualmente, con riferimento alla legislazione interna e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (articolo 24, «Educazione», commi 1, 2, 3, 4 e 5): «Orbene, una lettura improntata a parametri di logicità impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le “classi iniziali” debba considerarsi valido per tutte le classi» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere, al fine di garantire agli alunni delle classi prime della scuola elementare «Carlo Goldoni» di Martellago e a tutti gli alunni degli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado standard adeguati di sicurezza, qualità della didattica e del rapporto docente/studente, inclusione e integrazione, specie per gli alunni con difficoltà. (4-09835)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso, da notizie a mezzo stampa, che, il primo luglio 2015 è stato inviato al Ministro interrogato, al direttore dell'ufficio scolastico regionale e per conoscenza al provveditorato di Crotone un documento sottoscritto da quattordici genitori di alcuni alunni delle terze classi della scuola media di Papanice (CR) in cui si richiede che «venga inviata un'ispezione alla scuola media di Papanice che faccia luce sul modo con cui è stato condotto l'esame di licenza media»;
   sembra che qualcosa negli esami non sia andato per il verso giusto e, a parere dell'interrogante, è opportuno che si faccia chiarezza sulla vicenda e che i sopracitati sottoscrittori dell'appello vengano ascoltati nel merito –:
   se il Ministro interrogato sia a con conoscenza dei fatti esposti e se intenda approfondire la vicenda attraverso un'ispezione ministeriale in loco. (4-09839)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   IORI, ALBANELLA, AMATO, ANTEZZA, ARLOTTI, PAOLA BOLDRINI, CAPONE, CARLONI, CARNEVALI, CAROCCI, CARRESCIA, COVA, DELL'ARINGA, FAMIGLIETTI, GADDA, CARLO GALLI, GANDOLFI, GIULIANI, GRASSI, IACONO, LAFORGIA, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MALPEZZI, MANFREDI, MARCHI, MARIANO, MAZZOLI, MIOTTO, MONACO, MORANI, MORETTO, NARDUOLO, PATRIARCA, PIAZZONI, PICCIONE, PORTA, MARCO DI MAIO, QUARTAPELLE PROCOPIO, REALACCI, ROMANINI, ROTTA, SCUVERA, SENALDI, SGAMBATO, TIDEI, VAZIO, VENITTELLI, VERINI, ZAMPA e ZANIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i più recenti dati emersi dal rapporto ILO (International labour organization), diffusi in occasione della giornata mondiale contro il lavoro minorile del 12 giugno 2015, sono almeno 168 milioni i bambini e gli adolescenti nel mondo costretti a lavorare, di cui 85 milioni in occupazioni altamente rischiose, occupati anche in miniera o in fabbrica;
   il lavoro minorile è una realtà che non interessa i Paesi poveri e in via di sviluppo, poiché i bambini lavoratori sono presenti anche nel nostro Paese, sia pure non quantificabili con sicurezza perché si tratta di un fenomeno sommerso e perché l'ISTAT, che nel 2000 aveva elaborato un report sull'argomento, non ha più aggiornato i dati; la quantificazione è affidata alla documentazione raccolta da Save the Children tramite il rapporto «Game Over» del 2014 da cui emerge che in Italia almeno 380.000 minori sotto i 16 anni sono coinvolti in attività lavorative: una cifra spaventosa, che corrisponde al 7 per cento della popolazione dei minorenni nella fascia di età dai 7 ai 15 anni;
   di questi bambini lavoratori ben 28.000, ossia l'11 per cento, svolgono compiti pericolosi per la loro sicurezza e per la loro salute o si trovano in condizioni ai limiti dello sfruttamento, con un impegno continuativo per un alto numero di ore o in orario notturno; impiegati principalmente in famiglia (44,9 per cento) o fuori dal circuito familiare, svolgono attività lavorativa principalmente nella ristorazione, nell'agricoltura, nel commercio e nell'artigianato, spesso in condizioni di sfruttamento e sono ancora più esposti al rischio di abusi e violenze;
   dal rapporto Save The Children – Ministero della Giustizia «Lavori ingiusti», pubblicato nel giugno 2014, emerge che ben il 66 per cento dei minorenni nel circuito della giustizia minorile ha svolto attività lavorativa in età precoce, prima dei 16 anni e, di questi, il 73 per cento sono italiani; inoltre il 40 per cento ha lavorato anche prima del compimento dei 13 anni e l'11 per cento ha svolto attività lavorativa persino prima degli 11 anni;
   questi dati allarmanti, mettono in luce anche la stretta relazione fra il lavoro minorile (con conseguente abbandono scolastico, che in Italia è al 18,2 per cento fra i più elevati d'Europa nell'età di passaggio fra la scuola media e superiore) e il coinvolgimento di bambini e ragazzi nelle reti criminali;
   la dolorosa realtà del lavoro minorile non solo priva le bambine e i bambini della loro infanzia, ne compromette l'educazione e il percorso scolastico, la salute, la sicurezza, lo sviluppo e il rapporto con i coetanei, ma ne pregiudica ogni prospettiva futura e la possibilità di garantirsi un'istruzione e un lavoro dignitoso a lungo termine: i risultati dell'analisi ILO rilevano infatti che l'aver svolto lavoro in minore età è associato ad un abbandono precoce del percorso scolastico; a loro volta, coloro che lasciano la scuola prima dei 15 anni hanno generalmente un rischio maggiore di rimanere fuori dal mercato del lavoro o di trovare unicamente occupazioni instabili e a breve termine;
   il lavoro minorile è un dramma indegno di un Paese civile, sottovalutato e sottostimato anche per la mancanza di un monitoraggio istituzionalizzato di questo fenomeno che distrugge il presente e il futuro di centinaia di migliaia di bambini e adolescenti, e che oggi, anche in mancanza di una risposta concreta delle Istituzioni, rischia di aggravarsi ulteriormente;
   come sancito all'articolo 32 della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, è preciso dovere dello Stato proteggere i bambini dallo sfruttamento economico e dalla costrizione ad ogni tipo di lavoro che possa comportare rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione, di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale, adottando le necessarie misure legislative, amministrative, sociali ed educative, nonché prevedendo pene e sanzioni appropriate;
   anche la legislazione italiana ha emanato negli anni normative precise per impedire il lavoro minorile; tra le più importanti: legge n. 77 del 1967 (tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti), legge n. 157 del 1981 (Età minima di accesso al lavoro che prevede 15 anni in generale, 13 per i lavori leggeri, 18 per i lavori pesanti), legge n. 176 del 1991 articolo 28, (diritto all'educazione) e articolo 32: (Protezione da sfruttamento economico ed attività nocive), legge n. 148 del 2000, (Proibizione e immediata azione per l'eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile) decreto legislativo 345 del 1999 (Protezione dei giovani sul lavoro) con integrazioni del decreto legislativo 262 del 2000 e del decreto legislativo 345 del 1999, decreto legislativo 77 del 2005 (alternanza scuola-lavoro), legge 296 del 2007 (istruzione obbligatoria impartita per almeno 10 anni, da 6 a 16 anni, con conseguente aumento a 16 anni dell'età per l'accesso al lavoro, escluso il settore dello spettacolo e dello sport –:
   se, il Ministro interrogato, non ritenga improcrastinabile un intervento delle istituzioni finalizzato ad affrontare il dramma del lavoro minorile, anche attraverso l'adozione di un piano di azione nazionale mirato;
   se non ritenga necessario attivare un sistema istituzionalizzato di raccolta dati aggiornati relativi alla diffusione del lavoro minorile in Italia e di monitoraggio regolare del fenomeno su tutto il territorio italiano, anche incaricandone l'ISTAT (che nel 2000 elaborò un report sull'argomento, non più aggiornato);
   quali misure intenda mettere in atto, con il coinvolgimento delle forze dell'ordine, per la vigilanza, al fine di prevenire e contrastare efficacemente il fenomeno del lavoro minorile in Italia e lo sfruttamento di bambini e adolescenti;
   se non ritenga opportuno predisporre, avvalendosi dei principali media, campagne informative di prevenzione e di sensibilizzazione su questo fenomeno di dolorosa inciviltà. (5-06046)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, emanato in attuazione di quanto disposto darla legge 10 dicembre 2014 n. 183, prevede, a partire dal 1o maggio 2015 l'introduzione della Naspi (nuova assicurazione sociale per l'impiego), la nuova indennità di disoccupazione che andrà a sostituire le precedenti forme di sostegno Aspi e mini-Aspi;
   in caso di disoccupazione involontaria, può chiedere il sussidio chi si trova in stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 181 del 2000 e successive modificazioni e dunque chi possa far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione e chi abbia trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
   la Naspi è riconosciuta, inoltre, anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro come da procedura di cui all'articolo 7 della legge numero 604 del 1966, modificato dal comma 40 dell'articolo 1 della legge n. 92 del 2012;
   gli svantaggi rispetto al precedente ammortizzatore sociale Aspi sono molteplici, ma tra questi si riscontrano i seguenti;
   l'assegno di disoccupazione della Naspi viene decurtato più velocemente rispetto alla vecchia Aspi, in quanto subisce una riduzione del 3 percento al mese dal quarto mese di fruizione e, nel caso in cui si percepisca l'indennità per 16 mesi si ottiene una penalizzazione del 39 percento;
   nel calcolo della nuova Naspi non vengono tenuti in considerazione i periodi contributivi che, nell'arco dei 4 anni precedenti al momento di disoccupazione, hanno già dato luogo ad assegni di disoccupazione;
   dal 2016 la Naspi sostituirà anche l'indennità di mobilità, prevista oggi per le aziende più grandi. In questo caso la durata massima dell'indennità di mobilità (che varia in base all'età del lavoratore) di 36 mesi sarà comunque ridotta a un'indennità massima di 24 mesi;
   è previsto un tetto per i contributi figurativi ottenibili durante la fruizione della Naspi, mentre per la Aspi tale tetto non era previsto. I contributi figurativi che possono essere ottenuti corrispondono a un importo massimo di 1,4 volte l'importo massimo dell'Aspi;
   con messaggio Inps n. 4334 del 25 giugno 2015, si apprende che. «[...]La procedura di calcolo e pagamento della prestazione è attualmente in corso di sperimentazione presso le Sedi pilota. La stessa, infatti, ha necessitato di importanti implementazioni rispetto alla precedente procedura di liquidazione disoccupazione ASPI [...]»;
   il messaggio termina avvisando che: «La procedura di liquidazione della Naspi sarà rilasciata in versione definitiva per tutte le strutture territoriali entro il 15 luglio 2015»;
   ai già succitati svantaggi si va, quindi, ad aggiungere quello della lungaggine burocratica della pubblica amministrazione che farà slittare di almeno 3 mesi l'erogazione dell'ammortizzatore sociale, nonostante questo diventi, per il lavoratore rimasto disoccupato, di primaria importanza per il proprio sostentamento e quello della sua famiglia;
   si elude, in questo modo, l'articolo 38 della Costituzione che sancisce: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;
   la fase di sperimentazione per la procedura di calcolo e per il pagamento della prestazione è stato sufficientemente esteso –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per ovviare al grave problema del ritardo dell'erogazione dell'ammortizzatore sociale Naspi, di cui in premessa. (5-06049)


   CIPRINI, GALLINELLA, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da www.rassegna.it del 13 luglio 2015: «Un altro incidente sul lavoro in Umbria nella giornata di lunedì 13 luglio, dopo quello avvenuto alla vetreria di Piegaro, con un 21enne e un 50enne ustionati. Questo nuovo grave episodio si è verificato nel primo pomeriggio in un cantiere edile a Cerqueto di Marsciano, sempre in provincia di Perugia. Un giovane muratore, di nazionalità rumena, è caduto al suolo dall'altezza di 3 metri, ha riportato gravi lesioni alla testa, evidenziate dagli accertamenti radiologici effettuati al suo arrivo al pronto soccorso all'ospedale di Perugia. Quindi è stato ricoverato nella struttura complessa di neurochirurgia, in prognosi riservata. In un tweet Cgil, Cisl e Uil dell'Umbria ribadiscono “l'assoluta urgenza” sul fronte della sicurezza sul lavoro nella regione»;
   proprio il 13 luglio 2015 il Giornale dell'Umbria dava notizia di un incendio alla vetreria di Piegaro (Perugia) ove rimanevano feriti due operai investiti dalle fiamme e che hanno riportato ustioni su oltre il 30 per cento del corpo;
   secondo l'Osservatorio sulla sicurezza sul lavoro di Vega Engineering – in base ai dati nazionali aggiornati al 31 maggio 2015 ed elaborati su dati ufficiali INAIL – la regione Umbria si piazza al 2o posto in graduatoria in base all'indice di incidenza per i casi di morte sul lavoro con un indice di incidenza sugli occupati pari al 25,1 per cento;
   la provincia di Perugia mantiene il dato del 22,3 per cento di incidenza di casi di morte sul lavoro sugli occupati classificandosi al 22o posto in graduatoria in base all'indice di incidenza;
   come riportato da www.perugiatoday del 10 giugno 2015, in base all'elaborazione statistica dell'Osservatorio, nei primi 4 mesi del 2015 a livello nazionale le morti sul lavoro, senza considerare quelle in itinere, sono state 223, contro le 196 dello stesso periodo del 2014. In Umbria le vittime sono 8, in media 2 al mese, dato che pone la regione al primo posto in Italia per incidenza sul numero di occupati (22,3 infortuni mortali ogni milione di occupati, contro una media nazionale di 9,9). Gli infortuni tendono ad aumentare con il passare dei giorni della settimana, raggiungendo un picco proprio il venerdì, quando lo stress e la fatica accumulati sono ai massimi livelli. L'incidenza massima degli infortuni mortali si registra proprio tra i lavoratori over 65, con 58,5 infortuni mortali ogni milione di occupati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei dati pubblicati dall'Osservazioni sicurezza sul lavoro di Vega Engineering;
   quali misure e/o azioni il Governo intenda adottare per contrastare i casi di incidenti sul lavoro nella regione Umbria, partendo dall'assoluta necessità di aumentare i controlli sul rispetto dei parametri di sicurezza nei luoghi di lavoro e di sanzionare quanti non li rispettano;
   di quali dati disponga il Governo sui controlli effettuati nella regione Umbria dagli organi preposti alla sicurezza e prevenzione sul lavoro negli ambienti di lavoro e quale sia stato l'esito degli stessi. (5-06057)


   DURANTI e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   «Taranto Isolaverde Spa» nasce a dicembre 2004 per consentire la stabilizzazione degli ultimi 118 «Lsu» rimasti in carico alla provincia di Taranto. Inizialmente le azioni della società mista erano detenute per il 51 per cento dalla provincia di Taranto e per il 49 per cento da «Italia Lavoro Spa». A partire dal 2010, in seguito alla vendita da parte di «Italia Lavoro Spa» delle proprie quote di partecipazione (a cui nessun privato è risultato essere interessato), la società è posseduta al 100 per cento dalla provincia di Taranto;
   sin dagli inizi all'organico aziendale è stato integrato personale non «Lsu», mentre negli anni successivi sono stati progressivamente inseriti anche gli ex Lsu rivenienti dai piani di impresa in scadenza e non più rinnovati;
   i settori in cui opera il personale sono: supporto amministrativo ai centri per l'impiego e ad alcuni uffici dell'ente; servizio verifiche impianti termici; servizio di uscierato/guardiania presso le università; i servizi di manutenzione e pulizie degli immobili dell'ente e delle strade provinciali; manutenzione, pulizie e custodia dello stabile dell'istituto musicale «Paisiello»;
   tutto il personale citato è inquadrato secondo il CCNL Servizi Integrati Multiservizi FISE;
   dal 1o settembre 2010 per la durata di 12 mesi, e dal giugno 2012 sempre per la durata di 12 mesi, oltre 200 lavoratori sono stati sottoposti a cassa integrazione guadagni in deroga, con esclusione dei dipendenti operanti nei centri per l'impiego addetti al front office ed i lavoratori dedicati al servizio verifiche impianti termici;
   nel settembre 2013, a causa della crisi aziendale in corso, la società è stata posta in liquidazione (ex articolo 2484 codice civile), e tutto il personale è stato sottoposto a contratto di solidarietà difensivo ai sensi dell'articolo 5, comma 5, della legge n. 263 del 1993 al 50 per cento dell'orario lavorativo. Da gennaio 2014 fino al 20 ottobre 2014 invece non è stato svolto il 25 per cento del lavoro;
   in data 19 settembre 2014, con deliberazione del sub commissario prefettizio, si è disposta la riduzione del capitale sociale da 150.292,00 euro a 50.000,00 euro, ed è stato revocato lo stato di liquidazione;
   in data 19 novembre 2014 è stato siglato un nuovo verbale di accordo per sottoporre tutto il personale a contratto di solidarietà difensivo al 50 per cento del monte ore, per il periodo dal 1o dicembre 2014-31 maggio 2015, ulteriormente rinnovato sino al 30 novembre 2015;
   nel gennaio 2015 viene definitivo un nuovo consiglio di amministrazione che sostituisce l'amministratore unico esistente;
   suddetto consiglio di amministrazione, dal 13 maggio 2015, ha emesso diversi comunicati aziendali sospendendo di fatto quasi tutte le attività lavorative svolte dai dipendenti dell'azienda, salvo revoca;
   ad oggi, sulla totalità di 231 dipendenti, operano solo quelli impiegati negli uffici centrali e i dipendenti del servizio verifiche impianti termici, pur se in contratto di solidarietà;
   ad oggi si attende l'approvazione del progetto «Difesa del Suolo», ma, nonostante il presidente della provincia di Taranto asserisca di aver già presentato la documentazione necessaria, risulta all'interrogante da incontri tecnici tenuti presso il competente ufficio della regione Puglia, che ciò non sia mai avvenuto;
   in riferimento al residuo di 950.000,00 euro, derivante dal progetto relativo al ciclo di rifiuti interrotto circa due anni, non si ha notizia del se, e del come, la provincia intenda utilizzarlo e come mai fino ad ora non sia stato ancora chiesto il cambio di destinazione d'uso di quei fondi;
   la cessazione dell'attività di supporto del personale «Isolaverde» ai Cti (avvenuta dal 30 aprile 2015, mentre dal 13 maggio 2015 tutto il personale è stato sospeso) è causa di disagio anche per gli utenti della provincia jonica, che non riescono ad accedere in maniera ottimale al servizio data la presenza di pochissimi operatori;
   nonostante le dichiarazioni del presidente della provincia di Taranto, circa l'indisponibilità dell'ente di fondi necessari utili ad erogare servizi ai cittadini, risultano pubblicazioni di bandi di gara sull'albo pretorio. Risulta inoltre l'affidamento ad aziende esterne di attività sino ad ora sempre svolte dal personale dipendente di Isolaverde;
   la mancanza di personale addetto sta inoltre causando disservizi ulteriori, come ad esempio la mancata manutenzione delle strade provinciali, mettendo a rischio l'incolumità dei cittadini tutti;
   in data 6 luglio 2015, nel corso del consiglio provinciale di Taranto, è stata autorizzata la 2 procedura di liquidazione della società;
   i lavoratori di Isolaverde garantiscono da anni servizi ed attività essenziali alla comunità jonica, a costi sicuramente più convenienti rispetto alla esternalizzazione degli stessi, contribuendo quindi ad una migliore gestione delle disponibilità finanziarie dell'ente provincia;
   la provincia jonica versa in uno stato di forte disagio economico e sociale, che verrebbe ulteriormente aggravato dalla perdita definitiva dei posti di lavoro di cui in premessa –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di tutto quanto esposto in premessa;
   se non intenda assumere tempestivamente iniziative, per quanto di competenza, e comunque necessariamente prima che decadano i 75 giorni dalla procedura di liquidazione, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di fronteggiare le criticità che riguardano la situazione dei lavoratori. (5-06069)

Interrogazione a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243 («riforma Maroni»), ha introdotto un regime pensionistico sperimentale, consistente nella possibilità, per le lavoratrici con 35 anni di anzianità contributiva e 57 anni di età (58 per le lavoratrici autonome), di andare in pensione anticipatamente, con liquidazione del trattamento pensionistico secondo le regole di calcolo del sistema contributivo;
   tale regime (denominato «opzione donna») è stato confermato, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2015, dalla cosiddetta riforma Fornero; l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 6 dicembre, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto, in particolare, che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate dal citato articolo 1, comma 9;
   in seguito l'Inps è intervenuta con varie circolari interpretative (n. 35 del 2012 per il settore privato e n. 37 del 2012 per il pubblico impiego) per specificare, in maniera restrittiva, che la data del 31 dicembre 2015 rappresenta il termine di scadenza per l'accesso alla pensione (entro cui esercitare l'opzione per il contributivo) e non il termine per maturare i requisiti anagrafici e contributivi necessari, che risulterebbe, invece, di fatto, anticipato di oltre un anno, per effetto dell'applicazione del «meccanismo delle finestre»;
   numerose incertezze sono state avanzate sulla correttezza e legittimità dell'interpretazione fornita dall'ente previdenziale, anche alla luce delle evidenti criticità applicative che ne deriverebbero;
   nel mese di novembre 2013, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione (rispettivamente la 7-00159 e la 7-00040) con la quale si impegnava il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015»;
   i numeri testimoniano che, pur a fronte di una penalizzazione consistente sul piano economico, l'opzione donna negli ultimi tre anni, a fronte dell'incremento dei requisiti standard, è stata scelta da un numero crescente di lavoratrici: dalle 1.377 pensioni liquidate nel 2011 si è passati alle 5.646 del 2012 fino alle 11.527 del 2014;
   altro strumento di flessibilità è previsto dall'articolo 1, comma 40, della legge n. 335 del 1995. Alle donne soggette al sistema contributivo è riconosciuto un anticipo di età rispetto a quanto richiesto per la pensione di vecchiaia pari a quattro mesi per ogni figlio con un massimo complessivo di un anno;
   in base alla legge n. 243 del 2004 l'opzione è valida per tutto il 2015, anno entro cui devono essere maturati i requisiti di accesso alla pensione (che poi, per effetto delle finestre mobili, scatta effettivamente fino a 19 mesi dopo);
   l'Inps, con il messaggio n. 9304 del 2 dicembre 2014, ha comunicato di aver sottoposto al vaglio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali determinati aspetti operativi circa i termini di accesso alla pensione sulla base del predetto regime sperimentale, permanendo alcune incertezze interpretative;
   l'Istituto ha disposto che, in attesa dei chiarimenti richiesti, «le eventuali domande di pensione di anzianità in regime sperimentale presentate dalle lavoratrici che perfezionano i prescritti requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza della pensione si collochi oltre la medesima data, non devono essere respinte ma tenute in apposita evidenza»;
   nel mese di marzo 2015 è stata avviata, innanzi al Tar del Lazio, una class action contro l'Inps, volta ad ottenere la revoca o la modifica delle circolari n. 35 e n. 37 del 14 marzo 2012 che impediscono alle lavoratrici che maturano i requisiti nel 2015 di accedere alla «Opzione donna» –:
   se e quali iniziative siano state intraprese per dar seguito al dispositivo delle risoluzioni citate in premessa e se e quali chiarimenti il Ministro abbia fornito in risposta alle perplessità avanzate dall'istituto previdenziale;
   se non ritenga opportuno procurare ulteriori dati e chiarimenti sulla questione in generale, e quali siano, in particolare, le sue determinazioni al fine di dare esito positivo alle domande di pensione presentate e quelle accolte con riserva. (4-09840)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, CIPRINI e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ai consorzi di bonifica, incaricati dell'esercizio e della manutenzione delle opere pubbliche di bonifica, quali la sicurezza idraulica, la gestione degli impianti e delle reti irrigue e la tutela del patrimonio ambientale e agricolo, è assegnato un ruolo fondamentale nell'amministrazione e nella conservazione della risorsa idrica;
   i consorzi costituiti tra proprietari degli immobili che traggono beneficio dalla bonifica, come disposto dal regio decreto 13 febbraio 1933, n. 125, sono riconosciuti con decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ai fini dello svolgimento dei compiti istituzionali;
   come noto, in attuazione del regolamento (UE) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondò europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di fronteggiare una serie di problematiche di portata nazionale, ha predisposto un programma operativo nazionale di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 che riguarda, tra l'altro, la realizzazione di investimenti irrigui con una dotazione di circa 300 milioni di euro;
   a quanto risulta agli interroganti, il Ministero non dispone né di informazioni né di dati utili a valutare l'efficienza dei consorzi né eventuali criticità legate alla gestione degli stessi da parte dei consorziati e pertanto non è in grado di monitorare l'efficace utilizzo delle risorse finalizzate all'amministrazione della risorsa idrica;
   in alcuni territori le attività di bonifica e manutenzione delle opere pubbliche svolte dai consorzi sono valutate dalle comunità interessate assolutamente insoddisfacenti e, anche a fronte delle numerose pronunce della Corte di cassazione che legittima la richiesta di contributo solo con l'accertamento del concreto beneficio per singolo immobile, le polemiche ed i contenziosi riguardanti il pagamento delle quote consortili sono sempre più frequenti –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato relativamente a quanto espresso in premessa, e se non ritenga urgente intraprendere ogni utile iniziativa volta a garantire la valutazione e il monitoraggio dell'attività svolta dai consorzi di bonifica, in considerazione delle ingenti somme previste per la gestione della risorsa idrica dal programma operativo nazionale di sviluppo rurale.
(5-06052)


   GALLINELLA, LUPO, GAGNARLI, PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il negoziato in corso tra l'Unione europea e gli Stati Uniti per la conclusione del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti è ad un punto cruciale anche a seguito dell'approvazione, l'8 luglio 2015; da parte del Parlamento europeo della proposta di risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione;
   la questione della protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette è uno dei capitoli negoziali più rilevanti soprattutto per il nostro Paese leader mondiale nella produzione di prodotti certificati;
   è indispensabile garantire che l'accordo includa disposizioni volte ad impedire l'uso illecito di denominazioni geografiche unionali ingannevoli per i consumatori e salvaguardare i regimi che contribuiscono in modo sostanziale alla loro protezione, posto che gli USA si oppongono da sempre alle richieste europee in tema di indicazioni geografiche;
   è altresì indispensabile che si forniscano informazioni chiare e succinte sull'origine dei prodotti e che si converga su standard comuni in tema di indicazione obbligatoria dell'origine in grado non solo di proteggere i consumatori ma anche di porre le condizioni di una equa concorrenza tra gli operatori economici nell'accesso ai rispettivi mercati;
   da quanto si apprende a seguito di incontri ufficiali con i responsabili europei del negoziato, una delle possibili soluzioni sarà l'inserimento nel TTIP (Transatlantic trade and investment partnership) di una lista di prodotti DOP ed IGP, per i quali l'esportazione nel mercato statunitense registra trend positivi ed in continua crescita, che beneficeranno del riconoscimento accordato dalla legge americana ai prodotti con marchi registrati –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa, se sia già stato predisposto un elenco di prodotti DOP ed IGP da inserire nell'accordo affinché ne sia garantita la tutela, e se sarà reso pubblico. (5-06053)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'annunciata chiusura del reparto di terapia intensiva neonatale presso l'ospedale di Crotone sarebbe gravissima ed inaccettabile per il territorio;
   il reparto è operativo da circa 30 anni e comporterebbe per la logistica e le caratteristiche territoriali di questo comprensorio l'effetto di trasferire i neonati in condizioni di necessità presso i reparti TIN di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria;
   le carenze infrastrutturali potrebbero compromettere la stessa salute dei prematuri;
   sull'ospedale di Crotone gravano infatti i pazienti degli altri piccoli ospedali in via di forte depotenziamento o chiusura, come Cariati e San Giovanni in Fiore;
   la terapia intensiva neonatale di Crotone è l'unica presente lungo la fascia jonica da Trebisacce a Crotone e, al suo interno, è attivo un servizio di cardiologia neonatale per bambini cardiopatici o operati al cuore che vengono seguiti anche in collegamento col Policlinico di San Donato Milanese ed il Bambino Gesù di Roma;
   la sanità in provincia di Crotone e nel circondario è profondamente afflitta e mortificata dalle condizioni arretratissime della rete stradale e ferroviaria, oltre che dalle condizioni di quasi totale isolamento di tanti piccoli comuni delle aree interne;
   depotenziare ulteriormente l'ospedale di Crotone significa infliggere un colpo mortale alla sanità pubblica penalizzando le popolazioni della fascia jonica e della zona silana;
   si tratterebbe, tra l'altro, di una decisione in netto contrasto con gli orientamenti manifestati dal Governo a seguito di gravi episodi che si sono verificati a discapito di neonati in altre regioni e che hanno indotto tempestivamente il Governo medesimo a pretendere il potenziamento delle strutture di terapia intensiva neonatale –:
   se il Governo, in considerazione del commissariamento in atto della sanità calabrese, sia a conoscenza di tale previsione e quali iniziative di competenza intenda adottare per salvaguardare il reparto di terapia intensiva neonatale di Crotone, con ciò tutelando il diritto alla salute e i livelli essenziali di assistenza di un comprensorio molto vasto dalle complesse peculiarità orografiche e logistiche. (5-06060)


   BURTONE, ZAPPULLA, CARDINALE e AMODDIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato nazionale di bioetica nel documento del 30 marzo del 2001, avente per titolo «La terapia del dolore: orientamenti bioetici», afferma che «Per molte donne comunque il dolore del parto è un grosso scoglio da superare, un passaggio che assorbe molte energie limitando le possibilità di una partecipazione più concentrata e serena, all'evento, partecipazione che costituisce l'optimum da realizzare per le vie più varie»;
   in Italia il ricorso al parto cesareo è in costante aumento, in special modo nelle regioni meridionali, portando il nostro Paese ai vertici, in negativo, della classifica europea. Ciò, nonostante l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) raccomandi dal 1985 di non superare il 15 per cento dei parti totali ed il Ministero della salute italiano abbia raccomandato di non superare la soglia del 20 per cento;
   il piano sanitario nazionale 2010-2012, oltre alla Conferenza Stato-regioni nell'accordo del 16 dicembre 2010, auspica una maggiore sicurezza ed umanizzazione del parto e sollecita un maggior ricorso alla parto analgesia, alla diminuzione dei tagli cesarei, alla promozione e sostegno dell'allattamento al seno oltre che una più efficace organizzazione dei servizi territoriali;
   è stato presentato dallo stesso Ministro Lorenzin lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante «Nuova definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria» che prevede il suddetto servizio anestesiologico per tutto il territorio nazionale;
   si è venuti a conoscenza mezzo stampa che il gruppo «il parto indolore è un diritto... anche a Siracusa!!» composto per lo più da mamme e donne gravide di circa 1400 membri provenienti da Siracusa e provincia, dopo aver interpellato in merito direttore dell'ASP 8. Brugaletta, l'assessore regionale alla sanità Borsellino e lo stesso Ministro della salute Lorenzin, quest'ultima per ben due volte, ad oggi non ha ricevuto alcuna risposta concreta in merito all'attivazione del servizio mancante della parto analgesia e in merito all'adeguamento e alla messa in sicurezza del reparto di ostetricia e ginecologia del P.O. Umberto I di Siracusa;
   presso il P.O. Umberto I di Siracusa, struttura di II livello con più di 1.600 parti l'anno, nulla è stato ancora fatto per l'attivazione del servizio di parto analgesia, nonostante le continue e pressanti richieste e sarebbe opportuno che la sopracitata struttura di II livello, fosse potenziata in considerazione del fatto che ad oggi vi è una sola sala travaglio e una sola sala parto –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali risposte intenda dare, per quanto di competenza, alle istanze sopra riportate.
(5-06061)


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, TOFALO, MICILLO, SIBILIA, LUIGI GALLO, COLONNESE, GRILLO, LOREFICE e PISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera universitaria OO.RR «San Giovanni di Dio e Ruggi D'Aragona» di Salerno con la deliberazione del direttore generale n. 1030 del 27 novembre 2014 ha approvato il «regolamento per la disciplina dell'orario di lavoro del personale dipendente»;
   l'articolo 7 di sopra citato regolamento disciplina l'istituto del lavoro straordinario stabilendo il limite massimo annuo individuale di lavoro straordinario in 180 ore annue per tutti i dipendenti. Tale limite può essere ulteriormente superate solo previa autorizzazione della direzione aziendale e nel rispetto di un contingente massimo del 5 per cento del personale in servizio e comunque non oltre il limite individuale di 250 ore annue. In sede di contrattazione decentrata possono essere individuate limitate aree/o servizi aziendali per le quali diviene indispensabile garantire i livelli essenziali di assistenza – che, a seguito del blocco del turn over, presentano evidenti carenze di organico – anche attraverso il superamento dei predetti limiti, fatto salvo la preventiva e totale applicazione di tutti gli altri strumenti contrattuali, se previsti nel CCNL di categoria. Le prestazioni devono essere preventivamente comandate dal dirigente responsabile; il comando contestuale o successivo è ammesso esclusivamente nei casi in cui le prestazioni siano imposte da situazioni di emergenza od urgenza (ad esempio nei servizi sanitari in cui occorra disporre la prosecuzione turno o la copertura di turni scoperti per l'assenza improvvisa del lavoratore, come la malattia). La disposizione deve contenere l'indicazione delle attività da svolgere, delle giornate e degli orari nonché l'opzione del dipendente per il recupero o il pagamento;
   le modalità di prestazione del lavoro straordinario, così come specificato nel decreto commissariale n. 23 del 2013, sono da eseguirsi nel rispetto delle disponibilità presenti nel relativo fondo contrattuale e del budget assegnato alla struttura di appartenenza con le connesse modalità di fruizione dei riposi compensativi o recupero orario;
   in data 11 febbraio 2015, al direzione amministrativa e sanitaria dell'azienda ospedaliera universitaria OO.RR. «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno emanava una circolare (prot. N. 4183/2015) con cui è stato stabilito che nessun dipendente possa superare le 40 ore mensili di straordinario e che «qualsiasi ulteriore necessità di superare il predetto limite individuale di 40 ore per eventi eccezionali ed imprevedibili deve essere autorizzata preventivamente dalla Direzione Strategica previa motivata relazione del responsabile richiedente»;
   la predetta circolare è la conseguenza di una verifica trimestrale dell'azienda al IV trimestre 2014 e di un'analisi dei dati dello straordinario pagato a favore del personale dipendente nel periodo gennaio-novembre 2014, da cui è emerso che «diverse unità di personale, soprattutto del ruolo tecnico, hanno percepito emolumenti per prestazioni straordinarie aggiuntive in palese violazione delle norme contrattuali e di legge nonché di qualsiasi ragionevole esigenza e sfuggendo a qualsiasi controllo da parte degli uffici a ciò deputati»;
   nella circolare della direzione amministrativa e sanitaria dell'azienda ospedaliera e universitaria si evidenzia anche che in particolare, 257 dipendenti (pari all'11,5 per cento del totale del personale di comparto a tempo indeterminato) hanno superato il tetto delle 500 ore pro capite/anno;
   da fonti di stampa del 17 febbraio 2015 – riportando il contenuto della circolare, parla di una spesa sanitaria di circa 4 milioni di euro e di dipendenti «scoperti» ad aver svolto 18 ore di lavoro consecutivo;
   il direttore generale dell'azienda sanitaria, Vincenzo Viggiani, ancora sul Mattino del 17 febbraio 2015, afferma che fermo restando le carenze di personale determinate dal blocco del turn over occorre un intervento, in quanto alcuni sforamenti non sono giustificabili;
   le disposizioni dell'atto aziendale 4183/2015 sono state al centro di un incontro durato circa cinque ore tra il direttore amministrativo del Ruggi, Salvatore Guetta, e le organizzazioni sindacali interne, convocato d'urgenza il 16 febbraio 2015;
   l'incontro si è concluso con la sospensione di suddetto regolamento fino a marzo 2015;
   per i sindacati l'applicazione rigorosa dei contenuti nel documento avrebbe significato di fatto, bloccare le attività di interi reparti dei 5 plessi. A causa della carenza di personale medico, infermieristico e ausiliario, solo il ricorso allo straordinario consente la copertura dei turni;
   nonostante il ricorso al lavoro straordinario ci sono strutture che lavorano a ritmo ridotto, come ad esempio le sale operatorie del plesso di Mercato San Severino dell'ospedale Ruggi d'Aragona, attive solo sei ore al giorno invece di dodici proprio per l'impossibilità di disporre di personale a sufficienza;
   le associazioni sindacali di categoria denunciano che la mancata assunzione di nuovo personale rischia di degenerare in nuova crisi la prossima estate, quando occorrerà garantire i turni di ferie e l'unica soluzione possibile sarà la riduzione dei posti letto;
   vi è inoltre un problema di ricorrente affollamento al pronto soccorso ospedaliero. L'Ordine dei medici di Salerno ricorda che da gran tempo insiste sulla necessità di adeguare gli spazi del pronto soccorso e si interroga su quali sono i veri motivi per cui non si sono ancora completati i lavori già appaltati, oltre alla necessità di integrare il personale medico e infermieristico;
   l'azienda sanitaria ha attualmente una carenza d'organico di circa 300 unità;
   la procura di Salerno ha aperto una indagine sugli straordinari del personale sanitario dell'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno. L'azienda salernitana ha sforato il tetto del fondo destinato agli straordinari con una spesa di 7 milioni e mezzo di euro nel 2014, attestandosi prima nella classifica stilata dalla regione Campania;
   ancora il direttore generale Vincenzo Viggiani, interpellato dal quotidiano La Città di Salerno in data 17 febbraio 2015, non ha escluso l'esistenza di una inchiesta della procura di Salerno sulla questione degli straordinari al Ruggi;
   a parere degli interroganti l'azienda, che si vanta di essere il fiore all'occhiello della sanità salernitana, ha tante ombre grigie da chiarire. Si sono spesi milioni e milioni di euro per appalti e ristrutturazioni che ancora non sono state ultimate. Così come si ricorre troppo facilmente all'utilizzo di consulenze con compensi raddoppiati rispetto a quanto avrebbero dovuto percepire. Le denunce dei sindacati sugli appalti degli ultimi anni non hanno portato ancora a nessun risultato. In compenso, l'azienda continua a registrare una carenza organica di oltre 300 unità, tra operatori socio-sanitari e assistenti sociosanitari;
   con queste conseguenze: il centro trasfusionale, dal prossimo marzo, non potrà garantire più le urgenze e le emergenze se non vengono autorizzati gli straordinari; la sala operatoria di ortopedia è chiusa per allagamento; la terapia iperbarica rischia di chiudere dal prossimo mese per carenza di tecnici. In medicina d'urgenza manca l'operatore ausiliario e c’è un solo Oss per ogni turno, mentre in pediatria si è costretti a ricorrere a rientri pomeridiani –:
   di quali elementi disponga il Ministro, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, in relazione a quanto esposto in premessa con particolare riguardo all'asserito sforamento del fondo contrattuale legato agli straordinari e all'eventuale nesso di causalità tra la carenza di organico e le carenze igienico-sanitarie dei reparti;
   quali iniziative di competenze si intendano adottare per ovviare al blocco del turn over di fronte ad uno spopolamento di risorse interne nei vari reparti;
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, non ritenga necessario assumere ogni ulteriore iniziativa per assicurare i livelli essenziali di assistenza e la stabilità finanziaria della sanità campana.
(5-06064)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2015 è stato stanziato per gli anni 2015-2016 un fondo da un miliardo di euro per tutti i farmaci innovativi compresi quelli per curare l'epatite C (HCV). Il fondo risulta coperto da un contributo statale di 100 milioni di euro per l'anno 2015, e da una quota delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del piano sanitario nazionale, per un importo pari a 400 milioni di euro per l'anno 2015 e 500 milioni di euro per il 2016;
   nei giorni scorsi il decreto che stabilisce le modalità per l'erogazione delle somme del fondo per l'acquisto di farmaci innovativi è stato trasmesso dal Ministero della salute alla Conferenza Stato-regioni in attesa del parere prima dell'entrata in vigore;
   sui 50 mila malati gravi con epatite C rientranti nei criteri stabiliti dall'Aifa, ne sono stati trattati ad oggi solo circa 10 mila, soprattutto a causa delle indisponibilità economiche da parte delle regioni;
   con una delibera di giunta del mese di maggio 2015, la regione Toscana ha annunciato l'erogazione gratuita del farmaco per l'epatite C a tutti i pazienti bisognosi. Una platea di circa 26.224 malati con infezione da virus dell'epatite C potenzialmente trattabili con farmaci ad azione diretta antivirale;
   tale decisione, contestata anche dal direttore di Aifa, Luca Pani, segna un evidente divario tra le possibilità nell'accesso alle cure di un malato che vive nelle regioni più ricche e uno che vive in quelle più povere;
   il rapporto di Cittadinanza Attiva – Tribunale del malato, nell'ambito del programma «Epatite, C Siamo !» ha evidenziato numerose difformità riguardo sia ai criteri di accesso ai farmaci che ai numeri di centri prescrittori individuati, nonché alle misure stabilite per l'accesso agli stessi da parte dei pazienti stranieri temporaneamente presenti sul territorio italiano –:
   quali iniziative intenda intraprendere, d'intesa con le regioni, per garantire su tutto il territorio nazionale il diritto a guarire dall'epatite C;
   quali iniziative intenda attivare in sede comunitaria per la promozione di un piano europeo di eradicazione dell'epatite C. (4-09827)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, PELLEGRINO, ZARATTI, FRANCO BORDO, MELILLA, DURANTI, QUARANTA e PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»), recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014), riconosce all'articolo 38 «il carattere strategico delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale», delineando una procedura semplificata, sottoposta alla competenza del Ministero dello sviluppo economico, per il rilascio di titoli concessori unici, che permettono di eseguire le diverse attività di ricerca, sondaggi e trivellazioni per finalità di approvvigionamento energetico o di stoccaggio;
   la procedura semplificata suddetta prevede, tra le altre cose, che se i progetti «petroliferi» comportano una «variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell'autorizzazione ha effetto di variante urbanistica»; 
   tale procedura – a parere degli interroganti – comporta una inaccettabile compressione del processo di partecipazione, non solo dei cittadini ma delle istituzioni territoriali, rispetto ad attività industriali-energetiche in grado di incidere in modo significativo sugli assetti paesaggistici, ambientali e urbanistici dei territori coinvolti;
   nel BUIG – bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – Anno LIX N. 4 – 30 aprile 2015 è stata pubblicata l'istanza di permesso di ricerca in terraferma denominata «MONTE PORZIO», presentata dalla società MAC OIL s.p.a, con sede legale a Roma, via Lucullo n. 11 – c.a.p. 00187 –, presentata in data 2 aprile 2015;
   l'ubicazione e la delimitazione del permesso richiesto comprende i comuni di Barchi, Castel Colonna, Castellone di Suasa, Corinaldo, Fratte Rosa, Mondavio, Mondolfo, Monte Porzio, Montemaggiore al Metauro, Monterado, Orciano di Pesaro, Ostra, Piagge, Ripe, San Costanzo, San Giorgio di Pesaro, San Lorenzo in Campo, Senigallia, nelle province di Pesaro-Urbino e Ancona, per una superficie di 208,70 chilometri quadrati (Foglio della Carta d'Italia alla scala 1: 100.000 (I.G.M.): 109, 110, 116, 117);
   a quanto risulta agli interroganti, nessuno dei comuni indicati ha ricevuto comunicazioni in merito alla suddetta istanza di permesso di ricerca in terraferma denominata «MONTE PORZIO»;
   la circostanza ha sollevato comprensibili allarmi nelle comunità coinvolte per ragioni che attengono alla salute, ma anche al valore paesaggistico dell'area e alle possibili ripercussioni economiche negative nel settore del turismo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di fornire ogni informazione utile sulla istanza di permesso di ricerca in terraferma denominata «MONTE PORZIO»;
   considerato che, a seguito dell'entrata in vigore della nuova procedura introdotta dal cosiddetto decreto sblocca Italia, diverse regioni hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale, ravvisando come illegittima l'estromissione dei territori da scelte che incidono profondamente sul patrimonio e sulle risorse naturali e paesaggistiche degli stessi, quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per consentire, nelle more della decisione della Consulta, la massima trasparenza nel processo di rilascio di titoli concessori inerenti alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale. (5-06054)


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella risposta, fornita in data 1o aprile 2015 dal viceministro dello sviluppo economico Claudio Da Vincenti, all'interrogazione n. 5-04770 avente ad oggetto «interventi di patrimonializzazione della società ITALTEL» si segnalava che Italtel avrebbe avuto diritto al sostegno della società di servizio per le patrimonializzazione e ristrutturazione delle imprese se in possesso dei requisiti richiesti e conformemente ai criteri e alle modalità di concessione previsti dal suddetto decreto;
   nella citata interrogazione si richiamava il profilo societario di Italtel S.p.A., società protagonista del settore delle tecnologie per le telecomunicazioni che vanta oltre novanta anni di storia ed è attualmente in fase di riqualificazione tecnologica e di superamento dei passati squilibri patrimoniali;
   dalla stampa nazionale (articolo a firma di A. Puato sul «Corriere Economia», settimanale del «Corriere della Sera» del 5 luglio 2015; articolo a firma di C. Festa sul «Sole 24 ore» del 5 luglio 2015), lo statuto del cosiddetto «Fondo Salva imprese» è approntato nelle sue linee generali, ma non ancora approvato ufficialmente e non pare esservi certezza sulla tempistica di tale approvazione;
   stando a quanto riportato dal citato articolo del «Corriere Economia», Italtel è candidata ad essere oggetto di un investimento da parte del fondo in comproprietà con l'attuale socio Cisco –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di indicare la tempistica per l'attivazione del fondo «salva imprese»;
   se tale fondo sia intenzionato ad investire per l'acquisto di una quota di capitale di Italtel e a quanto ammonti tale quota;
   quali e quante garanzie economiche e finanziarie saranno richieste alla società in questione e quale sarà il loro costo. (5-06056)

Interrogazione a risposta scritta:


   GADDA, ROSSI, SENALDI, COPPOLA, MARCO DI MAIO, FANUCCI, MORANI, NARDI, PIAZZONI e VAZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa ha presentato il nuovo piano aziendale di distribuzione della corrispondenza per il periodo 2015-2020, promosso al fine di ridurre i costi del servizio universale. Lo stesso si basa su una distribuzione a giorni alternati per un totale di cinque consegne ogni due settimane (tre distribuzioni nella prima settimana e due nella seconda);
   il nuovo piano dovrebbe entrare a regime in tre fasi: il 1o ottobre 2015, il 1o aprile 2016 e il 1o febbraio 2017, coinvolgendo inizialmente una ristretta fascia di popolazione (pari allo 0,6 per cento) fino a giungere al 25 per cento di copertura al termine della terza fase;
   questo piano, nella versione originaria, era rivolto ai comuni cosiddetti minori, per popolazione: quelli al di sotto dei 30 mila abitanti, o ai 200 abitanti di densità. Una platea di 5.296 comuni (su 8.046 totali) che raccolgono complessivamente circa 15,4 milioni di cittadini;
   si fa presente che di questi 5.000, molti interventi riguardavano la Basilicata (in 126 Comuni, oltre il 75 per cento della popolazione lucana), la Valle d'Aosta (45,5 per cento della popolazione residente) e la Lombardia (423 comuni, coinvolgendo quasi il 30 per cento degli abitanti);
   l'AGCOM, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in un primo parere ha imposto a Poste Italiane spa un ridimensionamento del piano, limitando a 4 mila comuni la possibilità di introdurre la distribuzione del servizio universale a giorni alterni: una riduzione dell'impatto del piano che comunque non è ancora soddisfacente;
   a queste limitazioni si aggiungono le chiusure programmate da parte di Poste Italiane spa di alcuni uffici postali – di cui 65 nella sola regione Lombardia – e la riduzione dell'orario di apertura al pubblico per 121 uffici in tutta la Lombardia;
   il combinato disposto tra le due previsioni comporta un sicuro impoverimento dell'offerta e della capillarità dei servizi, creando grave nocumento in particolare ai piccoli centri abitati, alle aree più periferiche e alle fasce della popolazione più deboli: cittadini anziani o disabili;
   la mancata garanzia di continuità nel servizio universale danneggia l'utenza più fidelizzata, quella che – in particolare – ha aderito ad abbonamenti cartacei per quotidiani o settimanali che devono essere distribuiti con puntualità;
   si ricorda che il servizio di posta universale – opportunamente finanziato con risorse pubbliche – che garantisce l'accesso alla corrispondenza ogni giorno lavorativo, nella sede di ogni persona giuridica o naturale, è un obbligo confermato dalla direttiva europea sui servizi di posta del 2008;
   a tal proposito, la previsione di Poste Italiane spa rischia di porre il nostro Paese in una situazione di infrazione, posto che la consegna a giorni alterni è consentita solo in casi eccezionali –:
   se il Ministro sia a conoscenza del contenuto del piano di Poste Italiane e quali siano le ricadute di dette previsioni nel territorio della Lombardia e della provincia di Varese;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire il rispetto della direttiva europea e quindi il servizio postale universale. (4-09837)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Martella e altri n. 3-01609, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Naccarato, Rubinato, De Menech, Miotto, Pastorelli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Sibilia n. 4-08944, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 416 del 27 aprile 2015.

   SIBILIA, LIUZZI, DE LORENZIS, SPADONI, COLONNESE, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 novembre 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana un concorso pubblico, con scadenza 30 dicembre 2013, per titoli ed esami, per il reclutamento di 208 (duecentootto) allievi agenti di polizia penitenziaria maschile e per 52 (cinquantadue) allievi agenti di polizia penitenziaria femminile riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) e quadriennale (VFP4);
   lo scorrimento delle graduatorie per codesto concorso viene approvato con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, il cui all'articolo 3, comma 3-bis, recita testualmente: «Al fine di incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio connessi allo svolgimento di Expo Milano 2015, le Forze di polizia, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, sono autorizzate, in via straordinaria, per l'immissione nei rispettivi ruoli iniziali, ai sensi del medesimo articolo 2199, allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi indetti per l'anno 2013, approvate entro il 31 ottobre 2014, ferme restando le assunzioni dei volontari in ferma prefissata quadriennale, ai sensi del comma 4, lettera b), dello stesso articolo 2199, relative ai predetti concorsi. Alle assunzioni di cui al presente comma si provvede nell'ambito delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente»;
   all'interno della Legge di Stabilità 2015 viene approvato un emendamento all'articolo 21 che recita testualmente «Dopo il comma 11 aggiungere, il seguente: “11-bis. Ai fini delle assunzioni di personale previste dall'articolo 3, comma 3-sexies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, l'articolo 3, comma 3-bis, del medesimo decreto, si interpreta nel senso che lo scorrimento ivi previsto riguarda anche i concorsi banditi nell'anno 2012 ed indetti per l'anno 2013»;
   nel Bollettino Ufficiale del Ministero della giustizia n. 1 del 15 gennaio 2015 viene pubblicata l'approvazione della graduatoria del concorso a n. 208 posti elevati a 435 di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria maschile, riservato ai volontari in ferma prefissata annuale delle Forze armate (VFP1), indetto con P.D.G. 20 novembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2013, n. 94, e l'approvazione della graduatoria del concorso a n. 52 elevati a 134 posti di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria femminile, riservato ai volontari in ferma prefissata annuale delle Forze armate (VFP1) e quadriennale (VFP4), indetto con P.D.G. 20 novembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2013, n. 94;
   su 741 allievi agenti maschili risultati idonei a visita 373 risultano già partiti a dicembre 2014 nell'ambito del 169o corso di formazione, 273 partiranno nell'ambito del 170o corso di formazione previsto per maggio 2015, 70 risultano essere i vincitori VFP4 e con 10 rinunciatari rimangono fuori 15 allievi maschili;
   su 297 allieve agenti donne risultate idonee visita 120 risultano già partiti nell'ambito del 169o corso di formazione, 103 partiranno nell'ambito del 170o corso di formazione previsto per maggio 2015, 18 risultano essere vincitori VFP4 e con 2 rinunciatari rimangono fuori 54 allieve donne;
   sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 92 del 23 novembre 2012 è stato pubblicato un concorso per reclutamento di 170 (uomini) e 44 (donne) di allievi agenti di Polizia Penitenziaria mentre sul Bollettino Ufficiale del Ministero della giustizia n. 3 del 15 febbraio 2014 viene approvata la graduatoria del concorso predetto della quale, in seguito agli accertamenti effettuati dal Dipartimento Amministrazione Pubblica, sembrerebbe che il numero degli idonei non vincitori è di 136 in seguito alle diverse rinunce –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e della situazione prospettata e quali iniziative ritenga opportuno intraprendere al fine di integrare gli esclusi in via straordinaria. (4-08944)

Ritiro di firme da un documento del sindacato ispettivo.

  Interrogazione a risposta scritta Cristian Iannuzzi e altri n. 4-05108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2014: sono state ritirate le firme dei deputati: Spessotto, Daga, Lombardi, Tofalo.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Silvia Giordano e altri n. 4-08105 del 24 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06064;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e Micillo n. 4-09503 del 17 giugno 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06055;
   interrogazione a risposta scritta Duranti n. 4-09782 del 9 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06069.