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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 14 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    sono in fase istruttoria i progetti preliminari relativi al Progetto: Adeguamento e messa in sicurezza della strada statale 131 «Carlo Felice» dal km 108+300 al km 209+500 – Risoluzione nodi critici 1o e 2o stralcio;
    il progetto prevede la messa in sicurezza della strada statale 131 dal km 108+300 al km 209+500 mediante la realizzazione di 6 nuovi svincoli, l'adeguamento di 21 svincoli esistenti, la riqualificazione delle strada provinciale 124 e strada provinciale 125, la sistemazione degli accessi diretti sulla strada statale 131 e l'adeguamento della viabilità a servizio degli accessi chiusi, l'inserimento di nuove piazzole di sosta e la realizzazione di impianti di illuminazione in tutte le intersezioni;
    il soggetto proponente ANAS spa Tipologia di opera: Opere stradali;
    il termine di presentazione osservazioni era fissato per il 12 luglio del 2015;
    sono interessate le province: Sassari, Nuoro, Oristano;
    l'arteria viaria interessa i Comuni di: Cargeghe, Torralba, Muros, Mores, Giave, Bonnanaro, Bauladu, Florinas, Macomer, Bortigali, Bonorva, Abbasanta, Sassari, Borore, Birori, Paulilatino, Siligo, Aidomaggiore, Cheremule, Tramatza, Codrongianos, Norbello, Cossoine, Ploaghe;
    si ritiene di formulare i seguenti rilievi:
     1) Il tratto di strada oggetto dell'intervento, seppur parziale, riguarda un'area della Sardegna di grande rilevanza archeologica nuragica;
     2) Gli innesti proposti non risultano verificati rispetto alla panoramica (skyline) relativamente ai siti nuragici di cui l'area di intersezione stradale è particolarmente densa;
     3) Non risulta esaminata la possibilità di rendere funzionale le intersezioni stradali e relativi svincoli relativamente agli stessi siti archeologici;
     4) Non risulta esaminata la straordinaria opportunità di rendere l'arteria stradale strumento indispensabile, proprio per la sua importanza viaria, per la valorizzazione e la tutela delle esclusive emergenze archeologiche nuragiche;
     5) Si valuti la possibilità di porre come condizione per la valutazione strategica ambientale la connotazione di «autostrada dei Nuraghi» al fine della tutela, valorizzazione e fruizione dell'immenso patrimonio archeologico nuragico della Sardegna;
    nel merito delle singole osservazioni proposte in questo documento si ritiene di dover sottolineare l'importanza e il rilievo nuragico delle seguenti aree nuragiche, attraversate e intersecate con il tratto strada statale 131 oggetto dell'istruttoria in oggetto:
     a) Il santuario nuragico di Santa Cristina è un sito archeologico situato nel comune di Paulilatino, in Sardegna. L'area archeologica si trova nei pressi della chiesa campestre di Santa Cristina, da cui prende il nome. Il sito si compone essenzialmente di due parti: la prima, quella più conosciuta e studiata, costituita dal tempio a pozzo, un pozzo sacro risalente all'età nuragica, con strutture ad esso annesse: capanna delle riunioni, recinto e altre capanne più piccole. La seconda parte del complesso a circa duecento metri a sud-ovest è costituita da un nuraghe monotorre, da alcune capanne in pietra di forma allungata di incerta datazione ed un villaggio nuragico, ancora da scavare, di cui sono visibili solo alcuni elementi affioranti.
     b) Il nuraghe Losa di Abbasanta: il complesso archeologico del Nuraghe Losa è stato oggetto di diverse campagne di scavo già dalla fine dell'Ottocento e per tutto il corso del Novecento. Non è stato portato alla luce del tutto, ma sono state evidenziate soprattutto le strutture megalitiche di età nuragica. Restano ancora da indagare sia l'originario agglomerato di abitazioni nuragiche sia quelli sovrappostisi in età successive. Il nucleo delle strutture preistoriche è costituito da un nuraghe a tholos di tipo complesso a pianta trilobata, svettato in corrispondenza del piano superiore. Il nuraghe si articola in una torre principale troncoconica intorno alla quale sono disposte tre torri minori unite da cortine murarie a contorno concavo-convesso.
     c) Villaggio nuragico Macomer: il complesso nuragico di Tamùli è un importante sito archeologico risalente all'età del Bronzo medio (1500-1200 a.C.). È situato ad una altezza di 720 m, sul declivio del monte di Sant'Antonio, dove la catena del Marghine si congiunge con il Montiferru e fa parte del comune di Macomer, provincia di Nuoro, da cui dista circa 5 chilometri. Il sito era ben noto già nella prima metà dell'Ottocento grazie soprattutto alla descrizione che lo studioso gen. Alberto Della Marmora fece nel suo Voyage en Sardaigne, pubblicato nel 1840. Nell'atlante allegato illustrò compiutamente con numerosi disegni il nuraghe, due delle tre tombe dei giganti presenti, i betili ed alcuni conci presenti sul posto; A circa 150 metri dal villaggio è presente la necropoli, composta da tre tombe dei giganti del tipo isodomo con pareti a filari e lastra di testata.
     d) La valle dei nuraghi è una denominazione moderna, coniata nel XX secolo, che definisce un'area del Logudoro Meilogu, in Sardegna, estesa nei territori dei comuni di (senza fonte) Torralba, Giave, Bonorva, Mores, Thiesi, Bonnanaro, Borutta, Cheremule e Ittireddu, nella quale sono presenti i resti di oltre trenta nuraghi e di dieci tombe di giganti. In quest'area favorevoli fattori ambientali e climatici hanno contribuito alla formazione di insediamenti umani, attestati da resti di stanziamenti all'aperto, di insediamenti in grotta e di necropoli a ipogeo (domus de janas: tra queste quella di Sant'Andrea Priu, presso Bonorva, riutilizzata come chiesa rupestre da religiosi di osservanza bizantina, e quella di Mandra Antine, nelle campagne di Thiesi, che presenta decorazioni dipinte di protomi taurine. Vi si trova inoltre il dolmen Sa Coveccada, posto in agro di Mores. Tra i resti di numerosi nuraghi e dei relativi villaggi, l'esempio più imponente è costituito dal nuraghe Santu Antine, a pianta trilobata. Nel territorio della Valle sono state rinvenute sedici pietre miliari (attualmente conservate nel locale Museo della Valle dei Nuraghi) da riferirsi alle due importanti direttrici viarie (tra Cagliari e Porto Torres e Olbia e una seconda strada disposta in senso est-ovest, che la collegava ad un'altra direttrice nord-sud dell'isola.
     e) Il nuraghe Santu Antine: il nuraghe, uno dei gioielli dell'architettura protosarda, è costituito da una torre centrale e da un bastione trilobato con ai vertici tre torri circolari. Fu costruito durante l'età del Bronzo, probabilmente nel corso del XVI secolo a. C. Si tratta dunque di un edificio preistorico, edificato quando in Sardegna fioriva la Civiltà Nuragica, della quale il Nuraghe Santu Antine rappresenta una delle testimonianze più significative sia per le dimensioni che per le caratteristiche architettoniche. I materiali provenienti dagli scavi sono visibili presso il Museo della Valle dei nuraghi del Logudoro-Meilogu di Torralba.
     f) Monte d'Accoddi talvolta scritto Akkoddi, è un importante sito archeologico attribuito alla Cultura di Abealzu-Filigosa e più precisamente della Sardegna prenuragica. Per la concentrazione di differenti tipologie costruttive, il monumento è a tutt'oggi considerato unico non solo in Europa ma nell'intero bacino del Mediterraneo, tanto singolare da essere accomunato morfologicamente a una ziqqurat mesopotamica. Monte d'Accoddi è situato nella Nurra, regione della Sardegna nordoccidentale, e più precisamente nel comune di Sassari, in prossimità del vecchio tracciato della Strada statale 131 Carlo Felice, in direzione di Porto Torres. Il complesso si trova all'interno di una porzione di territorio che registra una rilevante presenza di monumenti preistorici distanti fra loro poche centinaia di metri. Tra i più importanti da segnalare, oltre a Monte d'Accoddi, le necropoli di Su Crucifissu Mannu, Ponte Secco, Li Lioni, Sant'Ambrogio, Su Jaiu, Spina Santa e Marinaru, i dolmen e menhir di Frades Muros, oltre ad una decina di nuraghi. Il monumento, unico nel bacino del Mediterraneo, faceva parte di un complesso di epoca prenuragica, sviluppatosi sul pianoro a partire dalla seconda metà del IV millennio a.C. e preceduto da tracce di frequentazione riferibili al neolitico medio. Il secondo santuario, conosciuto anche come «Tempio a gradoni» ricorda nel suo complesso le contemporanee ziqqurat mesopotamiche è stato attribuito alla cultura di Abealzu-Filigosa;
    gli innesti proposti non risultano verificati rispetto alla panoramica (skyline) relativamente ai siti nuragici di cui l'area di intersezione stradale è particolarmente densa;
    nella relazione archeologica allegata al progetto che pure prende in esame l'esistenza di emergenze archeologiche diffuse non si considera l'impatto paesaggistico in relazione ai siti archeologici contigui e prossimi all'arteria viaria. Non risultano simulate le visuali panoramiche sui siti archeologici e sul paesaggio archeologico. Appare indispensabile verificare tale impatto visivo delle intersezioni sia in grado di tutelare e proteggere la visuale dalla strada delle insorgenze archeologiche. A questo, oltre all'elencazione asettica dei siti archeologici, occorre una valutazione strategica areale in grado di meglio tutelare non solo i singoli episodi archeologici ma il paesaggio nuragico nel suo insieme;
    non risulta esaminata la possibilità di rendere funzionale le intersezioni stradali e relativi svincoli relativamente agli stessi siti archeologici;
    risulta assente, conseguentemente, l'esame di un possibile sviluppo progettuale in grado di valorizzare e rendere più efficacemente fruibili i siti e i compendi nuragici che proprio in virtù del contesto viario finirebbero per caratterizzare l'opera viaria in chiave archeologica nuragica configurando di fatto un investimento infrastrutturale e immateriale culturale di notevole rilevanza per l'area oggetto di intervento. Le diverse intersezioni stradali e gli svincoli non risultano studiati nei posizionamenti in situ al fine di favorire anche attraverso le complanari l'accesso alle principali aree archeologiche richiamate nelle presenti osservazioni;
    non risulta esaminata la straordinaria opportunità di rendere l'arteria stradale strumento indispensabile, proprio per la sua importanza viaria, per la valorizzazione e la tutela delle esclusive emergenze archeologiche nuragiche;
    come già richiamato non risulta affrontata con la dovuta attenzione l'opportunità strategica, che altrimenti ne sarebbe compromessa per sempre, di realizzare sul piano strategico una vera e propria Autostrada dei nuraghi predisponendo nel piano di valorizzazione della stessa arteria una caratterizzazione nuragica tale da renderla unica nella sua progettazione, realizzazione e gestione. Un piano progettuale che come condizione sul piano strategico paesaggistico e ambientale rendesse fruibili le aree archeologiche con connessioni viarie, segnaletica e attraverso l'uso di energia rinnovabile la stessa illuminazione;
    è fin troppo evidente che, prescindendo dall'applicazione rigorosa della normativa in materia di valutazione d'impatto ambientale, la caratteristica areale circostante del sedime stradale oggetto dell'intervento proposto pone in essere con evidenza macroscopica l'esigenza di tener conto dell'importanza archeologica non solo del singolo episodio nuragico ma del sistema in termini più ampi paesaggistici, ambientali, antropici e culturali. La valutazione di impatto ambientale (VIA) nazionale è stata introdotta in Italia sulla base di norme transitorie che traggono origine da quanto definito dall'articolo 6 della legge n. 394 del 1986 istitutiva del Ministero dell'ambiente e conformemente alla direttiva del Consiglio della Comunità europea n. 85/337 del 1985 modificata ed integrata dalla direttiva CEE 97/11. Secondo la normativa comunitaria i progetti che possono avere un effetto rilevante sull'ambiente, inteso come ambiente naturale e ambiente antropizzato, devono essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale. Tale esame non può prescindere dall'obiettivo di perseguire la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione, indirizzo e infrastrutturazione primaria che guidano la trasformazione del territorio. In particolare il richiamo legislativo e concettuale all'antropizzazione si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento,

impegna il Governo:

   porre come indirizzo per la progettazione definitiva e la stessa valutazione ambientale strategica della principale arteria viaria della Sardegna la connotazione strategica, ambientale e paesaggistica di «autostrada dei Nuraghi» al fine della tutela, valorizzazione e fruizione dell'immenso patrimonio archeologico nuragico della Sardegna funzionale;
   valutare la possibile realizzazione sul piano ambientale, paesaggistico, strategico, antropologico e culturale di un piano di valorizzazione che tenga conto dello straordinario e unico insieme archeologico nuragico racchiuso nel tratto viario oggetto di valutazione al fine di realizzare una sostanziale «autostrada dei nuraghi» che faccia interagire il sistema viario con la tutela e la valorizzazione del complesso e articolato compendio archeologico nuragico prenuragico della Sardegna.
(7-00734) «Pili».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei principali produttori di uova in Europa al punto che nei negozi e nei supermercati del territorio nazionale è quasi impossibile trovare uova fresche provenienti da altri Paesi, benché secondo i dati Eurostat, ogni anno l'Italia importa oltre 50 milioni di tonnellate di uova e ovoprodotti dalla Polonia, quasi 20 milioni dalla Spagna, 6 milioni dall'Olanda, 5,7 milioni dalla Romania, 3,7 dalla Francia, 3,2 dalla Slovacchia;
    in Italia nel 2014 sono state consumate 13 miliardi e 228 milioni di uova il che significa che ogni italiano ha consumato 218 uova di cui, 144 consumate tal quali e le restanti 74 sotto forma di preparazioni varie. In particolare, secondo le stime Unaitalia, l'industria pastaria assorbe circa 750 milioni di uova, l'industria dolciaria e dei gelati circa 1 miliardo, le maionesi e le altre preparazioni industriali circa 350 milioni. A tali cifre devono aggiungersi circa 2,4 miliardi di uova che, sempre secondo le stime Unaitalia vengono assorbite dalle piccole e piccolissime aziende artigiane, sia pastarie che dolciarie;
    sono ovoprodotti pastorizzati il tuorlo d'uovo (standard, con l'aggiunta di zucchero o sale e naturale per maionese), l'albume d'uovo, l'albume d'uovo liottizzato e il tuorlo d'uovo speciale per pasta, tutti commercializzati in forma liquida, congelata o in polvere, mentre sono derivati dell'uovo, la Lisozima (per uso alimentare e farmaceutico), la conalbumina e altre proteine;
    per le uova fresche in guscio, grazie alla normativa europea sull'etichettatura, dal 2004 il timbro è apposto su ogni singolo uovo ed indica la modalità di produzione (3 in gabbia, 2 a terra, 1 all'aperto, O biologiche), il Paese di origine (IT per l'Italia), addirittura il comune ed il codice dello stabilimento; anche sulle scatole è obbligatorio precisare a chiare lettere la modalità di allevamento;
    le norme sull'etichettatura non prevedono tuttavia alcuna informazione in merito alle uova che si trovano negli ovoprodotti destinati alla produzione della pasta all'uovo, dei biscotti, dei dolci, delle produzioni industriali, delle salse (maionese), della pasta fresca e degli altri prodotti dell'industria alimentare o della ristorazione;
    la mancanza di informazioni chiare diventa eclatante in alcuni prodotti come la maionese, dove addirittura si evidenziano discrasie tra quanto riportato nell'etichetta della confezione, ad esempio uova da allevamento a terra, e quanto scritto sul lato opposto, dove compaiono le indicazioni più dettagliate come «tuorlo d'uovo pastorizzato»;
    interpretando i dati sull’import, ovvero l'assenza nei supermercati di uova in guscio provenienti dall'estero e la mancanza di disposizioni circa la provenienza delle uova negli alimenti che le contengono, si è portati a pensare verosimilmente che le uova importate siano destinate nella quasi totalità alla preparazione di prodotti contenenti uova;
    secondo Antonio Mengoni dell'omonima azienda agricola umbra fratelli Mengoni S.r.l, sono numerosi i marchi italiani che importano visto che attualmente il costo delle uova italiane arriva a 1,05 o 1,06 euro al chilo, mentre all'estero si possono comprare con 90-95 euro centesimi al chilo;
    il divario dei prezzi di cui al punto precedente induce un maggiore import di uova ed una minore competitività, spingendo i produttori a tagliare il più possibile i costi, con ricadute negative sulla qualità dei prodotti e sul benessere animale, portando ad esempio ad aumentare la densità degli animali nelle gabbie arricchite, oggi obbligatorie;
    dal 2012 ad oggi, insieme ai produttori storici come Francia, Italia, Spagna e Olanda, ascendono nell'Unione europea Paesi come la Polonia e la Romania che secondo Assoavi si collocano tra i principali otto produttori europei, la cui maggiore competitività è dovuta a vari fattori, tra cui il costo minore dei mangimi, essendo forti produttori di cereali, gli ingenti finanziamenti strutturali dell'Unione europea, il minor costo della manodopera e un sistema di permessi e controlli più blando;
    dal settembre 2014, una decisione comunitaria permette le importazioni nei Paesi unionali del colosso ucraino Imperavo, un gigante da 23 milioni di galline distribuite in 19 allevamenti, che non ha l'obbligo di adeguarsi alla normativa sulle gabbie arricchite tantomeno a quella sull'uso degli antibiotici, e che segue le sorti di un altro gigante euroasiatico, la Ovostar Union, altra azienda ucraina ammessa all’export verso l'Unione europea a partire dal 2014;
    gli accordi di cui al punto precedente rientrano nel quadro di numerosi altri trattati di partenariato di libero scambio che l'UE sta stipulando con diversi Paesi, tra questi quello con l'Ucraina che entrerà a regime dal primo gennaio del 2016,

impegna il Governo:

   ad intensificare i controlli su uova e ovoprodotti provenienti dall'estero e a verificare il rispetto della tracciabilità totale fino al prodotto finito;
   ad intraprendere ogni utile azione, presso le competenti sedi unionali, affinché:
    a) si riveda l'attuale normativa sull'etichettatura delle uova inserendo l'obbligo di indicazione, per i prodotti contenenti uova, delle stesse informazioni previste per le uova in guscio;
    b) si introduca l'obbligo della stampigliatura di origine anche per le uova destinate all'industria alimentare con esclusione delle uova rotte, sporche e di peso inferiore a 40 grammi;
    c) si predisponga una normativa efficace sull'etichettatura e la tracciabilità degli oviprodotti impiegati nell'industria alimentare anche al fine di garantire e promuovere il rispetto dei diritti degli animali da allevamento;
    d) si valuti l'opportunità di predisporre procedure per verificare le condizioni di produzione e di lavoro degli operatori del settore avicolo nei Paesi terzi, al fine di verificare il rispetto delle norme europee sul benessere animale, sulle modalità e tecniche di allevamento, sulle qualità dei mangimi usati e i programmi di controllo e cura.
(7-00733) «Massimiliano Bernini, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, Lupo, L'Abbate».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 23 giugno 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inaugurato la funivia skyway del Monte Bianco, già inserita tra le opere strategiche di interesse nazionale;
   i nuovi impianti adottano modernissime tecnologie strutturali e garantiscono ampie viste panoramiche dirette a richiamare i visitatori;
   da quanto riferito da Roberto Francesconi, amministratore delegato (ANSA - AOSTA, 8 LUG), l'obiettivo della società concessionaria Funivie del Monte Bianco è di raggiungere la quota di 250.000 passaggi in tre anni, anche se per creare utili sembra che servono 150.000 passaggi annui;
   tuttavia, sembra che nell'esercizio 2010 e 2011 il socio privato della società, che detiene il 49,9 per cento della stessa società ha realizzato utili posti a riserva, operazione che comporterebbe l'elevazione del patrimonio netto della società e pertanto il valore delle quote di proprietà;
   finora sono stati spesi 138 milioni per la realizzazione della skyway ma l'opera verrà a costare complessivamente circa 150 milioni di euro per lavori aggiuntivi sulle linee elettriche, opere stradali ed espropri, secondo quanto riferito dall'amministratore delegato alla stampa; sembra che la cifra verrà coperta da fondi statali;
   si ritiene necessario capire le motivazioni che hanno generato la lievitazione dei costi dell'opera rispetto al progetto esecutivo originario;
   i cittadini lamentano una serie di questioni legate alla realizzazione dell'opera, sulla copertura finanziaria complessiva e sull'eventuale impegno da parte dei soci privati della società Funivie del Monte Bianco a mantenere le loro quote;
   occorre quindi, ai fini di una piena trasparenza amministrativa, rendere pubblica sul sito istituzionale della regione, nella sezione operazione trasparenza, la concessione che attribuisce la gestione dell'impianto e delle eventuali pertinenze, come bar, ristoranti e altro –:
   se corrisponda al vero l'impegno del Governo a finanziare il completamento della funivia e delle opere connesse, determinandone la quantificazione e le tempistiche, e, in tal caso, se non ritengano opportuno garantire ai cittadini ulteriore trasparenza amministrativa sulle questioni evidenziate in premessa e sui motivi della lievitazione dei costi della realizzazione della skyway, anche in considerazione del fatto che l'opera è stata inserita tra quelle di interesse strategico per il Paese.
(4-09820)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto tra l'università «Magna Graecia» di Catanzaro – cui fa capo l'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro – e la regione Calabria, finalizzato all'integrazione dell'assistenza sanitaria regionale attraverso l'erogazione di prestazioni dell'Azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», è normato dal combinato disposto degli articoli 1 del decreto legislativo n. 517 del 1999 e 17 della legge regionale n. 11 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, che lo disciplina attraverso uno specifico protocollo quadro di intesa della durata e validità di quattro anni;
   il primo protocollo è stato approvato con DGR n. 799 dell'ottobre 2004 ed avendo una validità di quattro anni, è scaduto nell'ottobre 2008;
   come noto nella pubblica amministrazione il regime di prorogatio non è consentito, salvo che – per mera prassi e non certo per formale deroga di legge – per pochi mesi e in assenza di alternativa, fattispecie entrambi inesistenti nella vicenda di seguito rappresentata;
   nei primi mesi del 2011 il commissario ad acta, trovandosi la regione in regime di commissariamento per l'attuazione del piano di rientro, inviava una bozza di protocollo di intesa in esame preventivo ai Ministeri, senza ottenerne l'approvazione per la decretazione;
   il subcommissario per l'attuazione del piano di rientro, Luigi D'Elia, non appena nominato (giugno 2011), al fine di rispondere alle sollecitazioni ministeriali e del cosiddetto «tavolo Massicci», ritenendo non lecito il regime di vacatio iniziò a concertare con il rettore lo schema del nuovo protocollo;
   dopo sette mesi di negoziazione, si pervenne a uno schema concordato tra i due soggetti dianzi citati, che fu recepito con decreto del commissario ad acta n. 110 del 5 luglio 2012;
   a sottolineare l'importanza del protocollo in parola, si cita un'annotazione della Commissione Serra-Riccio (commissione governativa d'inchiesta sulla sanità calabrese attivata nel 2008), in ordine al protocollo all'epoca vigente: «Bisognerebbe ripensare al rapporto esistente con l'unica Università della Calabria, che attraverso protocolli d'intesa eccessivamente sbilanciati a favore dell'Università condizionano le scelte organizzative fondamentali della Mater Domini e non assicurano prestazioni assistenziali adeguate, all'impegno finanziario previsto»;
   la validazione del rapporto regione/università (e, quindi, la legittimazione del finanziamento) doveva avvenire con la sottoscrizione del protocollo da parte del commissario ad acta e del rettore, ciascuno per le parti rappresentate;
   il rettore, però, dopo avere concertato e concordato il testo del nuovo protocollo, anziché procedere alla sua sottoscrizione rimetteva tutto in precariato, chiedendo al commissario ad acta una calendarizzazione per iniziare nuovamente la trattativa;
   il commissario ad acta Giuseppe Scopelliti, che avrebbe dovuto garantire il rispetto delle leggi – a maggior ragione di quelle da lui stesso emanate – nonché gli interessi della regione, dopo avere pienamente condiviso lo schema del nuovo protocollo ed avere sottoscritto senza eccepire alcunché la relativa proposta di decreto (divenuto, quindi, decreto del commissario di asta n. 110 del 2012), non ha mai assunto la dovuta posizione di tutela e difesa degli interessi della regione ma ha continuato ad erogare, in un illegittimo regime di prorogatio, finanziamenti mensili pur in assenza di protocollo di intesa;
   il subcommissario per l'attuazione del piano di rientro, Generale Luciano Pezzi, inviò una nota, n. 11395 del 14 gennaio 2013, firmata anche dal commissario ad acta Scopelliti, al rettore dell'università «Magna Graecia», con cui lo invitava alla sottoscrizione del protocollo entro il 31 gennaio 2013;
   nella suddetta nota, lo stesso protocollo regione/università veniva definito «atto che ha reso finora legittimo il finanziamento pubblico all'azienda in questione»;
   il 31 gennaio 2013 è trascorso da oltre tre anni e, ad oggi, nulla è stato sottoscritto, mentre azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» ha continuato a essere oggetto di finanziamento mensile da parte della regione sulla base del dato storico e non della produzione effettiva, come impongono le vigenti leggi in merito;
   il decreto del commissario ad acta n. 9 del 2015, nella parte relativa ai rapporti regione/università, recita, fra l'altro: «La Regione Calabria ha decretato con DPGR n. 110/12 la proposta di protocollo di intesa tra la regione e l'università degli Studi Magna Graecia, essendo il precedente scaduto nell'anno 2008. Il Protocollo regola, per legge, i rapporti tra l'università e la regione in materia di attività integrate di didattica, ricerca ed assistenza svolta per conto del servizio sanitario regionale, nel rispetto dell'autonomia delle strutture competenti e negli interessi comuni della tutela della salute della collettività, della formazione di eccellenza, dello sviluppo della ricerca biomedica e sanitaria. Si regolano, in particolare, l'assetto organizzativo, la programmazione, la gestione economico-finanziaria e patrimoniale dell'Azienda ospedaliero-universitaria. In particolare queste ultime sono riportate a coerenza con le norme vigenti in merito, prevedendo lo specifico articolo 27 del protocollo un finanziamento per produzione e funzioni, contrariamente a quanto accaduto in passato;
   i Ministeri affiancanti hanno espresso, con parere n. 46 del 24 gennaio 2013, specifici rilievi nei confronti del contenuto del modello di Accordo approvato dal DPGR n. 110 del 2012, successivamente ribaditi in sede di tavolo di verifica. La regione ha, conseguentemente, proceduto alla riformulazione del modello di accordo per renderlo coerente con le osservazioni ministeriali e, previa negoziazione con l'università, ha trasmesso in approvazione preventiva ai Ministeri affiancanti una nuova proposta di accordo. La nuova bozza è stata valutata con parere protocollo CALABRIA-DGPROG-13/06/2014-0000135-P; si è, pertanto, provveduto ad apportare le variazioni necessarie per superare gli ulteriori rilievi formulati dai Ministeri affiancanti, sempre previa negoziazione con la controparte universitaria. È stata in via di massima condivisa con il rettore una nuova bozza di protocollo di intesa che si ritiene idonea a superare i rilievi precedentemente formulati dai Ministeri vigilanti e coerente con la nuova programmazione regionale. In particolare l'allegato n. 1 alla bozza di protocollo individua la configurazione complessiva dell'azienda ospedaliera universitaria Mater Domini nonché le corrispondenti UU.OO.CC. attivate o da attivare a regime»;
   quanto affermato nel decreto del commissario ad acta n. 9 del 2015 – e sopra testualmente riportato – contrasta con (ed omette) una parte di realtà documentale, in quanto, come esposto il 21 maggio dagli odierni interroganti alla procura della Repubblica di Catanzaro e alla procura della Corte dei conti (Sez. di controllo per la Calabria), lo schema del nuovo protocollo allegato al decreto n. 110 del 2012 era stato tempestivamente modificato dai subcommissari Pezzi e D'Elia, già nel marzo 2013, in coerenza con le osservazioni espresse dai Ministeri affiancanti con parere n. 46 del 24 gennaio 2013;
   la riferita modifica era stata inviata, in uno con la relativa proposta di decreto, alla firma del commissario ad acta Scopelliti, esattamente in data 7 marzo 2013, e da allora non è mai stata restituita, senza alcuna motivazione, dal commissario ad acta;
   dovendosi procedere al riparto del fondo annuale alle aziende sanitarie ed ospedaliere della regione per il loro funzionamento, nel marzo 2014 veniva emanato il decreto del commissario ad acta n. 33 del 2014;
   tale decreto del commissario ad acta in ordine al finanziamento dell'Aou «Mater Domini», stabilisce testualmente: «dato atto che riguardo alla Azienda ospedaliera “Mater Domini”, non essendo stato ancora sottoscritto il protocollo d'intesa con l'università “Magna Graecia” di Catanzaro e che lo stesso è stato trasmesso al vaglio preventivo dei Ministeri competenti, in riferimento ai criteri di finanziamento e nelle more della formalizzazione dell'atto, il trasferimento delle risorse effettuato nell'anno 2013 sulla base del Dpgr-Ca n. 4 del 2013 (riparto FSR 2012) è da considerarsi quale anticipazione, ai sensi della normativa vigente, della definitiva assegnazione che sarà determinata con successivo provvedimento, coerentemente al predetto protocollo»;
   pertanto, la somma mensilmente corrisposta all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», qualunque essa sia, rappresenta una «anticipazione», che dovrà, pertanto, vedere un automatico conguaglio, a favore di una delle parti, ove la somma anticipata non corrisponda precisamente al dovuto;
   il settore economico-finanziario del dipartimento tutela della salute della regione Calabria, in una nota dell'agosto 2014 inviata al dirigente generale facente funzione precisò: «Poiché quanto fino ad oggi trasferito alla AO Mater Domini, pari a euro 28.209.951,00 per il periodo gennaio-luglio 2014, costituisce un importo prossimo al livello di produzione mediamente reso dall'azienda negli ultimi esercizi e considerato che questo Settore sta procedendo ad erogare i ratei mensili ancora sulla base del DPGR-CA n. 4 del 2013 (Riparto FSR 2012), né risulta ancora sottoscritto il citato protocollo regione/università, si comunica che dal mese di settembre p.v. i decreti di erogazione mensile non recheranno la quota prevista per i Mater Domini a meno che i trasferimenti non vengano disposti dalla S.V. il cui gruppo firma sarà apposto sulle bozze dei provvedimenti»;
   come già esposto dagli, interroganti alla procura della Repubblica di Catanzaro e alla procura della Corte dei conti (sezione di controllo per la Calabria), l'allora dirigente generale, Bruno Zito, non ritenne di adottare atti consequenziali alle affermazioni del responsabile e del vice responsabile del settore economico-finanziario del citato dipartimento, autorizzando l'erogazione mensile con una nota in cui sono confuse «funzioni cosiddette non tariffabili» (ad esempio rianimazione, pronto soccorso, etc.) con prestazioni, invece, tariffabilissime, così riconoscendo all'AOU «Mater Domini» un surplus di finanziamento pari al 40 per cento laddove le disposizioni statali vigenti consentono un riconoscimento non superiore al 30 per cento;
   con il decreto del commissario ad acta n. 41/2015 del 21 maggio 2015 è scritto che, «nelle more della sottoscrizione del protocollo d'intesa con l'università “Magna Graecia” di Catanzaro e considerato quanto riportato nel DPGR-CA n. 33/2014 in riferimento ai criteri di finanziamento, si stabilisce di considerare l'effettiva produzione assistenziale resa nel 2014, verificata alla data del 19 marzo del 2015 e comprensiva anche di File F, coerentemente con quanto stabilito dall'articolo II del protocollo d'intesa tra regione e l'università “Magna Graecia” di Catanzaro n. 799 del 2004), considerato attualmente essere in regime di prorogatio, laddove si stabilisce che il finanziamento annuo dell'azienda sia comprensivo dell'incremento tariffario non inferiore al 20 per cento delle prestazioni di ricovero e ambulatoriali, in considerazione della particolare complessità organizzativa e produttiva riconosciuta per le funzioni di didattica e ricerca connesse alle attività assistenziali»;
   sul quotidiano «La Gazzetta del Sud si legge», nell'edizione catanzarese del 9 luglio c.a., che il bilancio per l'esercizio 2013 dell'azienda ospedaliera universitaria Mater Domini non è stato approvato dal commissario ad acta e che il medesimo è stato chiuso con una perdita di 15,5 milioni di euro, che la spesa non è stata rispettata soprattutto per studi e consulenze;
   con lettera del 25 giugno 2015, per ora senza di risposta, l'odierna prima firmataria della presente interrogazione ha chiesto al commissario straordinario dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, Antonio Belcastro, di conoscere i motivi per cui, stando a una recente classifica di «Assobiomedica» sui tempi di pagamento degli «enti Sanitari», la stessa azienda ospedaliera risulta avere i maggiori ritardi di pagamento in tutta Italia, con tempi medi di 1.555 giorni –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali urgenti iniziative intendano assumere, anche per il tramite del Commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della regione Calabria, per risolvere – anche alla luce del fatto che, come in premessa ricordato, la nuova bozza dell'atto d'intesa è stata valutata con parere protocollo CALABRIA-DGPROG-13/06/2014-0000135-P – i gravi problemi derivanti dalla mancata sottoscrizione del suddetto protocollo e per la cessazione dell'attuale, indebito meccanismo di assegnazione di risorse della regione Calabria all'università di Catanzaro, relativamente all'attività della ricordata azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini». (4-09821)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MARCOLIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'11 luglio 2015, alle 6.30 del mattino, il consolato italiano al Cairo è stato investito dagli effetti della detonazione a distanza di una bomba radiocomandata da 450 chilogrammi, nascosta all'interno di un'autovettura;
   l'ora dell'attentato lascia immaginare la volontà dei suoi autori di contenere al massimo il numero delle vittime, accrescendo tuttavia il valore di segnalazione politica dell'attacco;
   sembra scarsamente credibile la pista battuta dalle autorità egiziane, che tendono ad accreditare la possibilità di un attentato in realtà rivolto non al consolato, ma verso una personalità coinvolta nei grandi processi che stanno concludendosi con la condanna a morte di centinaia di militanti e dirigenti della Fratellanza musulmana;
   l'attentato è stato rivendicato da sedicenti adepti dello Stato islamico;
   al nostro Paese i jihadisti potrebbero rimproverare tanto l'appoggio politico garantito al regime del generale al-Sisi, quanto l'accresciuta pressione militare del nostro Paese nei confronti dell'Esecutivo libico basato a Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale;
   a fronte del grave gesto, il Ministro interrogato ha assicurato che «il nostro Paese non si lascerà intimidire» –:
   se il Governo non ritenga che alcuni aspetti specifici della sua politica estera in Medio Oriente e Nord Africa rappresentino un grave fattore di rischio terroristico specifico per l'Italia. (3-01614)


   AMENDOLA, CARROZZA, CASSANO, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PORTA, QUARTAPELLE PROCOPIO, RACITI, RIGONI, ANDREA ROMANO, SERENI, SPERANZA, TACCONI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'11 luglio 2015 un'autobomba è esplosa davanti al consolato italiano nel centro storico del Cairo, causando la morte di un uomo e una decina di feriti, tra cui tre bambini;
   la polizia egiziana ha effettuato tre arresti per l'attentato, spiegando che sarebbero stati identificati i tre presunti autori: Hassan Samir, Hussein Barakat e Takek Abd El Sattar, tre elementi del gruppo Ansar beit el maqdes, attivo nel Sinai e legato ai movimenti radicali islamici, mentre si sta accertando il loro effettivo collegamento con l'Isis ovvero con la Fratellanza musulmana;
   il Ministro interrogato è volato al Cairo lunedì 13 luglio 2015 per portare un messaggio di vicinanza del Governo e dell'Italia all'ambasciatore Maurizio Massari e al personale e alle forze della sede diplomatica e ha affermato che «non dobbiamo interpretare questo attentato come qualcosa di diretto particolarmente nei confronti degli italiani, ma certamente verso la presenza dei Paesi che condividono con l'Egitto un comune impegno contro il terrorismo»;
   inoltre, ha incontrato il Ministro degli esteri egiziano, Sameh Soukri, ribadendo il sostegno di Roma al Presidente Abdel Fattah al Sisi e il comune obiettivo di «lavorare insieme per asciugare l'acqua in cui nuotano i terroristi»;
   in Egitto il clima sta tornando pesante a causa della crescente insicurezza: recentemente era stato assassinato il procuratore generale Hisham Barakat, responsabile di molte condanne a morte di Fratelli musulmani, mentre nel Sinai gruppi di jihadisti avevano massacrato oltre cento persone, e dunque mantenere la sicurezza diventa la sfida più grande per Al-Sisi;
   in particolare, il ruolo del Governo egiziano è fondamentale anche nella soluzione della vicenda libica che vede sviluppi interessanti in questi giorni, dal momento che proprio il 12 luglio 2015 si sarebbe raggiunto a Skhirat, in Marocco, una nuova versione di accordo di pace, con la mediazione dell'inviato dell'Onu Bernardino Leon, su cui già concorda il Governo di Tobruk e su quale si sta cercando il consenso delle autorità di Tripoli, per formare un Governo ad interim di unità nazionale basato su un accordo di divisione dei poteri;
   in una situazione così delicata e visto il ruolo di mediatore de facto del nostro Paese, alcuni analisti hanno ipotizzato che una o più milizie libiche abbiano realizzato l'attentato al consolato italiano per ottenere un più basso profilo del Governo nei negoziati in Libia e, più in generale, nel teatro magrebino –:
   quali azioni intenda porre in essere il Governo per contribuire a un'effettiva stabilizzazione interna dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo che sostenga con la massima determinazione il contrasto ai movimenti radicali di matrice islamista e riesca a promuovere, nel contempo, l'affermazione progressiva dello Stato di diritto e del processo di modernizzazione cui aspirano quei popoli. (3-01615)

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   tra il 1860 e il 1885 sono state registrate più di 10 milioni di partenze dall'Italia. Nell'arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all'ammontare della popolazione che vi era al momento dell'Unità d'Italia (23 milioni nel primo censimento italiano) si trasferì in quasi tutti gli Stati del mondo occidentale e in parte del Nord Africa: si trattò, infatti, di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 – il 1900 interessò prevalentemente le regioni settentrionali, con tre regioni che fornirono da sole circa il 47 per cento dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9 per cento), Friuli-Venezia Giulia (16,1 per cento) ed il Piemonte (13,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia;
   si può distinguere l'emigrazione italiana in due grandi periodi: quello della grande emigrazione tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del XX secolo (dove fu preponderante l'emigrazione americana) e quello dell'emigrazione europea, che ha avuto inizio a partire dagli anni cinquanta;
   la dimensione del fenomeno migratorio italiano è importantissima; nessun altro Paese europeo ha avuto un flusso costante di emigranti per un periodo così lungo. Tutte le regioni italiane, nessuna esclusa, hanno contribuito alla grande massa di italiani nel mondo. L'emigrazione italiana oltre ad essere stata una via di fuga da condizioni socioeconomiche difficili ha anche rappresentato una opportunità per lo sviluppo dell'economia marittima nella costa ligure dell'Ottocento, un escamotage di fronte alle crescenti pressioni sociali nei primi del Novecento, una facile soluzione alla questione meridionale e una importante fonte di sostentamento attraverso le rimesse degli emigranti per più di un secolo;
   la grande emigrazione ha avuto come punto d'origine la diffusa povertà di vaste aree dell'Italia e la voglia di riscatto d'intere fasce della popolazione, la cui partenza significò per lo Stato e la società italiana un forte alleggerimento della «pressione demografica»;
   a partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l'Africa, che riguardò principalmente l'Egitto, la Tunisia ed il Marocco, ma che nel secolo XX interessò pure l'Unione Sudafricana e le colonie italiane della Libia e dell'Eritrea;
   in Argentina e negli Stati Uniti si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Brasile ed Uruguay fu sia stabile che temporanea (emigración golondrina). A dare avvio alla possibilità di emigrazione verso le Americhe fu il progresso in campo navale della seconda metà dell'Ottocento, con navi a scafo metallico e sempre più capienti, che ridusse sia il costo (prima improponibile per un emigrante povero) sia la pericolosità del viaggio. L'emigrazione verso il Brasile fu favorita a partire dal 1888 quando in quel Paese fu abolita la schiavitù, cosa che rese favorevole quel Paese all'accoglienza di manodopera d'immigrazione;
   i periodi interessati dal movimento migratorio vanno dal 1876 al 1915 e dal 1920 al 1929 circa. Sebbene il fenomeno fosse già presente fin dai primi anni dell'Unità d'Italia è nel 1876 che viene effettuata la prima statistica sull'emigrazione a cura della direzione generale di statistica;
   venne stimato che solo nel primo periodo partirono circa 14 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), a fronte di una popolazione italiana che nel 1900 giungeva a circa 33 milioni e mezzo di persone;
   nel 2015 i giovani italiani escono dalle università con un'ottima preparazione ma, paradossalmente, il dato emerge inequivocabile dai «cervelli italiani» fuggiti all'estero che ilGiornale.it ha interpellato nelle ultime settimane. Tutti sono d'accordo su un punto: la formazione che hanno ricevuto è buona e non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi, anzi spesso è vero il contrario, nel senso che avvertono una certa superiorità (culturale) di partenza;
   un altro aspetto che emerge in modo netto è questo: l'Italia non sa o non riesce a valorizzare i propri talenti. Però sentirselo ricordare dai migliori giovani connazionali che, una volta arrivati all'estero, trovano tutt'altra musica (un sistema dove il merito – e solo quello – premia le persone) lascia capire quanta strada debba ancora fare il nostro Paese prima di potersi dire «normale»;
   accanto all'emigrazione per «fame» e disperazione che sta riprendendo piede in molte regioni italiane a causa della crisi mondiale c’è quella di chi cerca, all'estero, una piena affermazione di sé, una valorizzazione, umana e professionale, che stenta a trovare in Italia. E se una volta i connazionali emigravano per poter stare meglio, andando a fare i lavori più umili in giro per il mondo, oggi si esportano anche «cervelli», persone ben preparate e colte, in grado di fornire un valore aggiunto importante ai Paesi che i accolgono e li integrano;
   persone il cui merito viene riconosciuto e valorizzato. In molti casi il cosiddetto «ascensore sociale» si concretizza partendo da un volo aereo: quello usato per trasferirsi in un altro Paese –:
   se il Governo sia a conoscenza dei numeri aggiornati degli italiani emigrati per lavoro negli ultimi 5 anni di età compresa tra i 18 ed i 40 anni e che non siano necessariamente iscritti all'AIRE;
   se sia intenzione del Governo porre in essere tutte le politiche tese a garantire un eventuale rientro dei «cervelli» in fuga;
   se il Governo abbia contattato o in caso contrario, abbia intenzione di contattare in tempi brevi, le associazioni dei corregionali e connazionali all'estero, solitamente strutturate su base regionale, al fine di incentivare politiche di collaborazione con quelle che sono definite le eccellenze italiane nel mondo. (3-01611)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è indubbio che sia nell'interesse generale la riconversione di una quota sempre maggiore di produzione di energia elettrica, da fonti fossili a fonti rinnovabili e, in particolare, «pulite», in cui rientra certamente l'idroelettrico. È necessaria tuttavia una strategia e programmazione a livello nazionale e regionale riguardo all'ambiente, alla salute, alla sicurezza pubblica, all'approvvigionamento energetico, per soppesare il bilancio complessivo tra i benefici generali ed i danni che ne possono derivare;
   ben il 90 per cento dei corsi d'acqua che compongono il tratto alpino del bacino del fiume Piave è attualmente caratterizzato da impianti e derivazioni realizzati a fini di produzione di energia idroelettrica, e molti altri progetti sono in fase di approvazione. Trattasi di aree connotate da elevata naturalità e da scarse/assenti pressioni antropiche, per larga parte tutelate all'interno della rete Natura 2000 quali siti di importanza comunitaria (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) ai sensi delle direttive habitat (92/43/CEE) e uccelli (2009/147/CE). A causa delle opere in questione numerosi corsi d'acqua sono stati compromessi o addirittura sostanzialmente prosciugati;
   anche l'Adige, nel suo tratto basso veronese è ora interessato dalla realizzazione di 4 progetti di derivazione, posti a circa 30 chilometri l'uno dall'altro: Pescantina (circa 3 megawatt di potenza), San Giovanni Lupatoto e Belfiore (della potenza complessiva installata di 3,778 megawatt), Badia Polesine (con potenza nominale di circa 8 megawatt e potenza massima di circa 11 megawatt). I primi 3 sono in fase di iter avanzato o in fase di realizzazione, mentre l’iter autorizzativo per Badia Polesine è all'inizio;
   l'articolo 1 della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) impone agli Stati membri il miglioramento, o almeno la conservazione, della qualità dei corpi idrici;
   in base a quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea la valutazione dell'impatto cumulativo è imprescindibile (cfr., ex multis, la sentenza 28 febbraio 2008, sezione II, causa C2/07, e la sentenza 25 luglio 2008, sezione III, causa C142/07);
   le procedure finalizzate all'autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti idroelettrici sono disciplinate dalle disposizioni contenute nel regio decreto n. 1775 del 1933 «T.U. sulle acque pubbliche», ai fini dell'ottenimento dei rilascio della concessione di derivazione d'acqua pubblica e dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia-elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità» per l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio dell'impianto e delle opere connesse. In attuazione dell'articolo 12, del citato decreto legislativo n. 387 del 2003, sono state approvate con il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 le «Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», che hanno previsto l'adeguamento delle discipline regionali in materia entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. L'entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011 ha ridotto il termine massimo per la conclusione del procedimento unico. Alla luce della recente riforma attuata con il decreto ministeriale 6 luglio 2012 (articolo 10) e con le conseguenti «procedure applicative» emanate dal Gestore servizi energetici, per gli impianti idroelettrici, possono richiedere l'iscrizione al registro per gli incentivi i soggetti in possesso del titolo concessorio alla derivazione;
   la delibera di giunta regionale Veneto n. 694 del 14 maggio 2013 aggiorna le procedure per il rilascio sia della concessione di derivazione di acqua pubblica – a prescindere dal suo utilizzo – sia dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti idroelettrici, con capacità di generazione pari o superiore a 100 kW. Ai fini di agevolare l'accesso al registro per gli incentivi, la prima fase si conclude con il rilascio del provvedimento concessorio sulla derivazione d'acqua e sulla base di questo si attiva la seconda fase relativa all'autorizzazione;
   il comitato bellunese «Acqua Bene Comune» ha commissionato alla società di consulenza ambientale Terra S.r.l. di San Donà di Piave (VE) una relazione dal titolo «Lo sfruttamento idroelettrico in provincia di Belluno» del marzo 2013, asseverata da giuramento, che è stata allegata alla denuncia alla Commissione europea nel giugno del 2013;
   nella relazione emerge che il susseguirsi di provvedimenti statali, regionali e provinciali, promananti dall'autorità del bacino dei fiumi dell'Alto Adriatico, sono stati emanati in violazione della normativa dell'Unione europea: si ravvisano per esempio plurime violazioni della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) nell'ambito del Piano di gestione dei bacini idrografici delle Alpi Orientali. Il censimento dei corpi idrici e delle relative «condizioni di riferimento» (condizioni idromorfologiche e fisico chimiche nonché biologiche) risulta infatti incompleto, sommario e superficiale. Risulterebbe inoltre non pienamente rispettata da parte delle autorità la direttiva 2011/92/UE sulla valutazione dell'impatto ambientale (VIA), con l'esclusione di qualsiasi valutazione per i progetti ritenuti minori e, quanto alla generalità dei progetti, nel caso in cui gli stessi soddisfino sulla carta determinati parametri senza tenere conto né della loro ubicazione (in violazione dell'articolo 2), né del loro rilevante impatto cumulativo. Vengono altresì sollevate obiezioni circa il rispetto della direttiva 2001/42/CE sulla valutazione ambientale strategica (VAS), in particolare alla luce del fatto che l'autorità competente per la VAS del Piano di tutela delle acque della Regione Veneto (piano attuativo del succitato piano di gestione) risulta essere sostanzialmente la stessa che ha elaborato e approvato il medesimo, nonché della direttiva Habitat, con valutazioni di incidenza ambientale sui progetti — VINCA — gravemente lacunose (fonte: interrogazione eurodeputato Andrea Zanoni dell'8 luglio 2013 n. E-008111-13);
   la ditta Lagarina Hydro srl con sede in Limena (PD) via L. Pierobon 46, ha presentato alla sezione di Rovigo del bacino ideografico Adige Po istanza di concessione per derivazione di mod. medi 1.532,29 di acqua pubblica dal fiume Adige in località La Rosta nel comune di BADIA POLESINE per uso idroelettrico (BUR n. 18 del 20 febbraio 2015). Il progetto è stato depositato dal 21 aprile 2015 al 21 maggio 2015 – per le eventuali osservazioni da parte di amministrazioni, cittadinanza ed associazioni – solo nei due comuni di Badia Polesine e Terrazzo, senza procedere preventivamente ad audizioni pubbliche, come previsto dalla legge e dalla convenzione di Aharus sottoscritta anche dall'Italia;
   il progetto di sbarramento del fiume Adige è posizionato più a valle rispetto a quelli di Pescantina, San Giovanni Lupatoto e Belfiore e gli effetti cumulativi dei progetti, per le loro conseguenze soprattutto a valle, si estendono su 4 province (Verona, Rovigo, Padova e Venezia) per un bacino di 500 mila abitanti, che sono stati tenuti all'oscuro di tutto: durante la fase istruttoria sono stati ignorati non solo privati, associazioni di categoria e stakeholders, ma anche gli enti e le istituzioni che sono deputati al presidio del territorio e senza tener conto che il fiume Adige viene utilizzato a scopi potabili da moltissimi comuni polesani, anche non rivieraschi, tramite la rete dell'acquedotto Polesine Acque;
   l'eventuale realizzazione dell'Opera avrebbe conseguenze su: assetto territoriale e modifica degli habitat naturali; sicurezza idraulica; possibili ripercussioni negative sulla stabilità degli argini a monte della traversa; qualità delle acque e della conservazione della biocenosi; naturale trasporto solido fluviale con ripercussioni a valle particolarmente gravose per l'incremento del tasso di erosione degli argini posti a valle e con ripercussioni sui naturali processi di ripascimento litoranei; aumento della risalita del cuneo salino; aumento delle difficoltà di approvvigionamento delle acque potabili nei periodi di magra del fiume e maggiori costi per la potabilizzazione sia per l'uso maggiore di pompe di sollevamento sia nel caso di modifica dei carichi inquinanti; aumento costi derivazione delle acque a scopi irrigui per l'agricoltura posti a valle della traversa;
   il tratto di fiume interessato, incluso nella Rete Natura 2000, è identificato come IT 3210042 fiume Adige tra Verona Est e Badia Polesine ed è soggetto alle disposizioni del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare e come tale è soggetto alla tutela del testo unico 42-2004 sulla conservazione dei beni culturali e il paesaggio. Le suddette misure di protezione sono state emesse a causa della sua rilevante bellezza paesaggistica e per la presenza di numerose emergenze naturalistiche incluse nelle direttive europee 79-409 CEE (Uccelli) e 92-43 CEE (habitat) finalizzate a salvaguardare specie di uccelli e ambienti naturali compromessi a causa dell'intervento umano o per altre cause;
   la società Lagarina Hydro srl con sede legale a Limena (PD), in via Pierobon 46, da visura camerale risulta costituita il 16 luglio 2014 ed ha un capitale sociale di 10 mila euro. Amministratore unico è Alessandro Stefanello e la società è formata da ETAV srl, socio al 51 per cento con sede a Arborea (OR) località Masangionis snc e dalla H2O e Partner, socio al 49 per cento con sede a Grezzana (Verona) via Roma 68. La Lagarina Hydro srl risulta legata alla Intercantieri Vittadello SPA, con la quale condivide anche sede e indirizzo telefonico. La Vittadello spa è società legata al Consorzio Venezia Nuova (scandalo Mose), e risulta coinvolta indirettamente negli scandali di mafia capitale tramite Riccardo Mancini (Mancini detiene il 40 per cento della Terni Scarl, società con sede a Limena in via Pierobon 46, specializzata nel trattamento dei rifiuti – la cui attività è cessata il 10 novembre 2014 – e il 10 per cento, della Bellolampo Scarl di proprietà della Intercantieri Vittadello Spa con sede a Limena in via Pierobon 46 per il 65 per cento, di Torricelli Srl con sede a Forlì in via Masetti 11/L per il 15 per cento e di Loto Impianti Srl con sede a Siracusa via Arsenale 44/46 per il 10 per cento). Fonte: Mattino di Padova del 12 dicembre 2014 –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali azioni intendano intraprendere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per garantire il controllo dello sfruttamento dei fiumi per produzione elettrica, alla luce delle violazioni in tema ambientale segnalate e alle esigenze primarie dell'uso dell'acqua a scopi potabili e irrigui;
   se non ritengano opportuno  assumere iniziative normative per rendere obbligatorio il dibattito pubblico già dalla fase di proposta iniziale (modello francese) e non ad iter avviato, per progetti sia privati che pubblici che riguardino opere di impatto sul territorio;
   se ritengano opportuno assumere iniziative dirette a rivedere la normativa di riferimento per la concessione di derivazione delle acque a scopi energetici, provvedendo ad una sostanziale riforma della normativa in materia, per coniugare la necessità di produzione energetica con la tutela ambientale e la conservazione della qualità delle acque, sempre tenendone in considerazione l'uso primario (scopi umani e irrigui), anche in considerazione del fatto che il combinato delle norme sulla semplificazione burocratica e della anticipazione dell'autorizzazione alla derivazione, di fatto ad oggi consente di autorizzare progetti impattanti e meramente speculativi, prima che sia stato presentato uno studio di incidenza ambientale VINCA (e/o di impatto ambientale VIA) sul progetto vero e proprio;
   se intendano assumere iniziative normative per evitare che società coinvolte negli scandali dei grandi appalti spesso sottocapitalizzate e costituite ad hoc, mediante il fenomeno della costruzione delle cosiddette «scatole cinesi», possano proporre progetti di forte impatto ambientale e con benefici dubbi per la collettività. (4-09824)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI, DI SALVO e LAVAGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso immobiliare di Villa Massoni, detta «della Rocca», sito nel comune di Massa (MS), risalente al sec. XVII, già villa ducale sotto Carlo I e Carlo II Cybo Malaspina, di proprietà privata, ma risulta inserito, con decreto 27 settembre 1975, nell'elenco dei beni culturali della provincia di Massa Carrara, vincolati ai sensi del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, cosiddetto «Codice Urbani»;
   la tutela ricade su tutto il complesso della Villa e dell'annesso parco;
   ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo di cui al primo capoverso, la vigilanza sui beni culturali spetta in via esclusiva al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre l'ispezione su tali beni vincolati è affidata ai soprintendenti, i quali, ai sensi dell'articolo 19, possono in ogni tempo e con il preavviso di cinque giorni controllare lo stato di conservazione e di custodia dei beni culturali;
   all'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo citato, sono espressamente previste a tutela dei beni culturali «misure cautelari e preventive», «obblighi conservativi» «interventi conservativi imposti», «procedura di esecuzione degli interventi conservativi imposti», «oneri per gli interventi conservativi imposti»;
   ai sensi dell'articolo 1 comma 5 del vigente «codice Urbani» «I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione»;
   è nota, ormai da anni, la condizione di assoluto degrado in cui versa il bene culturale «Villa Massoni», detta «della Rocca»;
   il bene suddetto, dichiarato di interesse culturale fin dal citato decreto del 1975, nella sua unicità costituisce una insostituibile testimonianza storico-artistica valorizza il patrimonio culturale nazionale;
   il 21 giugno 2015 la procura della Repubblica presso il tribunale di Massa, nell'ambito del procedimento penale aperto per il reato di cui all'articolo 733 del codice penale a carico dei fratelli Casonato, proprietari dell'intero compendio immobiliare, ha proceduto ad un sequestro preventivo, ex articolo 321 del codice di procedura penale, di Villa Massoni e dell'annesso parco –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda mettere a disposizione della competente soprintendenza i fondi necessari per poter esercitare le prerogative e adempiere gli obblighi di legge relativamente ai beni vincolati di Villa Massoni ed annesso parco, anche allo scopo di permettere l'esecuzione degli interventi più opportuni ed urgenti, nella attuale fase di vigenza della misura cautelare reale, così da rendere effettivo l'approccio sinergico tra Ministero e procura della Repubblica, anche nell'interesse della collettività, così come previsto dagli articoli 6, 38 e 43 del «codice Urbani». (4-09814)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   su «lacittà.eu», sito di informazione online viterbese, in un articolo del 12 luglio 2015 si può leggere la denuncia di un giornalista circa la perdita di un affresco del ’400 avvenuta a causa dei lavori all'intonaco della parte che lo ospitava in via San Leonardo 25 a Viterbo;
   la testimonianza dell'autore dell'articolo che aveva notato un'impalcatura di fronte alla parete ospitante gli affreschi, è la seguente: «Quei personaggi a mezzo busto con i caratteristici capelli arricciati, insomma un affresco unico a Viterbo, mai visti simili esposti sulle vie della nostra città. Sono paragonabili a quelli che si trovano in una sala del Palazzo Chigi. Incuriosito mi sono avvicinato ai muratori e ho chiesto cosa stessero facendo: “Stiamo rifacendo la facciata”. Risposta secca»;
   da quanto si apprende dalla testimonianza, il giornalista avrebbe avvisato le varie autorità competenti del comune, tra le quali il sindaco, circa il pericolo di arrecare possibili danni all'opera quattrocentesca;
   dalla descrizione dell'articolo si viene a conoscenza del fatto che il dirigente ai lavori pubblici e ambiente – manutenzioni – urbanistica – sportello unico per l'edilizia – residenziale pubblica del comune di Viterbo sarebbe intervenuto di persona sul posto prendendo visione degli affreschi;
   a metà articolo il giornalista scrive che «Alle ore 13 del 10 luglio 2015, passo ancora avanti alla casa con gli affreschi e vedo il ponteggio costruito fino al tetto e ben protetto da teli, quelli classici usati in edilizia. Tutto ben coperto. Ero ancora tranquillo, perché non ho guardato bene la facciata, non pensavo fosse accaduto l'irreparabile, e mi sono recato alla redazione e per scrupolo ho telefonato al dirigente ai Lavori Pubblici, il quale mi ha detto che quelli non erano affreschi, che non erano antichi, che l'intonaco si sbriciolava e che aveva avuto il consenso, non so da chi, e vorrei tanto saperlo, certo non dalla Soprintendenza, all'oscuro di tutto, che la facciata poteva essere privata dell'intonaco, che ripeto ha le pitture»;
   allertati dal giornalista, sia l'ispettore capo della polizia di Stato, in servizio presso la squadra di polizia giudiziaria Felice Orlandini che Fabiano Tiziano Fagliari Zeni Buchicchio, ispettore onorario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono recati in via San Leonardo 23 prendendo visione di quanto accaduto e intimando «ai muratori di non abbattere l'ultimo pezzetto di affresco rimasto, posto sulla parte destra della facciata» –:
   se sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se la Soprintendenza sia stata tenuta all'oscuro dei fatti come si testimonia nell'articolo;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere nell'immediato per portare in evidenza eventuali responsabilità dell'accaduto (4-09817)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   come stabilito dall'articolo 47 della Costituzione italiana «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito;
   come previsto all'articolo 1, comma 1, della legge n. 108 del 7 marzo 1996:
    «La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticata per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica e finanziaria»;
   per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposta e tasse, collegate alla erogazione del credito;
   secondo la suddetta legge la determinazione del tasso limite, oltre il quale gli interessi sono sempre usurai, viene effettuata trimestralmente dal Ministero del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi (UIC);
   la determinazione di cui sopra individua: il tasso effettivo globale medio annuo (comprensivo di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse) applicato da banche e società finanziarie nel trimestre precedente;
   tiene conto della variazione del tasso ufficiale di sconto (TUS) correggendo i predetti valori;
   include la classificazione per categorie di operazioni omogenee in base alla natura, oggetto, importo, durata, rischi e garanzie delle operazioni;
   contempla la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei tassi medi rilevati;
   la legge 7 marzo 1996 n. 108 sull'usura non esclude alcun soggetto, nemmeno le banche che peraltro sono già soggette ad un regime di controllo amministrativo tramite l'istituto di Vigilanza che è la Banca d'Italia;
   la legge di cui sopra, relativamente alle banche stabilisce, qualora nell'esercizio della loro attività si delinei il reato di usura, un aggravamento della pena stessa;
   alla luce di quanto in premessa preme agli interpellanti avere spiegazioni in merito alla vicenda dell'imprenditore signor Paolo De Carlo riportata da Il Fatto Quotidiano in data 10 luglio 2015;
   infatti, come riportato dal suddetto quotidiano, l'imprenditore De Carlo, a seguito di numerose preclusioni per l'accesso al credito, ottiene dalla Banca di credito operativo di Alberobello e Sammichele di Bari, di cui è socio, un affidamento di conto corrente da 200 mila euro per le normali esigenze di cassa;
   a seguito dell'espansione della propria attività, la Banca di cui sopra, decide di accordare al signor De Carlo uno sconto ulteriore sulle condizioni stabilite salvo revocarle in seguito;
   infatti, con la crisi finanziaria le condizioni di credito accordate al signor De Carlo peggiorano rapidamente e la Banca decide di triplicare le spese e le competenze previste, applicando una commissione di massimo scoperto mai pattuita e illegale;
   su un conto corrente viene imposto un tasso d'interesse passivo del 15 per cento a fronte di una soglia d'usura del momento fissata al 13,635 per cento fino ad arrivare a chiedere l'immediato rientro nonostante le garanzie, le fidejussioni e la proroga delle scadenze di 270 giorni concessa dal Governo per tutte le esposizioni garantite da un Cofidi (Consorzio Intefidi) (Fatto Quotidiano, 10 luglio 2015);
   come risulta dall'articolo di stampa citato, sui mutui erogati dalla Bcc di Alberobello e Sammichele di Bari e dalla banca Nuova Terra vengono praticati tassi significativamente superiori alla soglia d'usura;
   la Banca risulta commissariata e nonostante ciò «la pratica dell'usura è continuata come nulla fosse e i commissari – chiamati a rispondere del loro operato contra legem – hanno opposto le circolari di Bankitalia con la formula matematica da utilizzare per il calcolo del tasso effettivo globale (Teg) (Fatto Quotidiano, 10 luglio 2015);
   risulta all'interpellante che tra i commissari della BCC di Alberobello Giuseppe Tammaccaro, sia indagato nell'ambito dell'inchiesta sul crac della casa di cura «Divina Provvidenza»;
   le circolari di Banca d'Italia, nello specifico circolare Banca d'Italia 30 settembre 1996 e successive, avrebbero consentito alla Bcc di Alberobello e Sammichele di Bari e dalla Banca Nuova di continuare a praticare tassi usurai, violando di fatto la legge 7 marzo 1996, n. 108;
   riguardo alle circolari di cui sopra, con sentenza n. 46669/2011, la Corte di cassazione ha stabilito che: «la CMS (commissione di massimo scoperto, ndr) deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti, ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l'utente sopporta in relazione all'utilizzo del credito, indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d'Italia (circolare Banca d'Italia 30.9.1996 e successive) in cui si prevedeva che la CMS non dovesse essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, traducendosi in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari»;
   la Corte di cassazione stabilisce che «Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo»;
   le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza di Bankitalia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in sé particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito [...]»;
   con sentenza n. 350 del 2013 la Corte di cassazione ha inoltre stabilito che «quando il tasso di mora, le penali e le varie spese, tutte messe insieme superano il tasso soglia, stabilito dalla legge antiusura 108/96, anche i mutui diventano usurari e possono essere annullati con le relative procedure giudiziali bloccate»;
   la Banca d'Italia, il cui conflitto di interesse con le banche socie secondo gli interpellanti sempre più evidente e che non adotta l'ordinaria vigilanza nei noti dissesti bancari come ad esempio il Mps, la Banca delle Marche, Carige, utilizzando i commissariamenti discrezionali e spesso arbitrari come politica creditizia, risulta abbia addirittura nominato commissari, come il signor Fernando De Flaviis, con gravissimi problemi giudiziari tra i quali vi è l'accusa di delitto di usura, come risulta dagli atti della procura della Repubblica presso il tribunale di Ascoli Piceno n. 1603/05/RG «Notizie di reato modello 21», relativamente al periodo in cui ricopriva la carica di direttore generale della Cassa di risparmio della provincia di Teramo, banca Tercas, tra il 1998 ed il 2005;
   la Ber (Banca Emilia Romagna), nella bufera a causa di tre inchieste della procura di Bologna, veniva commissariata nel mese di luglio 2009, a seguito di denunce dei clienti e di una funzionaria in merito al comportamento dell'ex direttore Paolo Lelli, ex Cassa di risparmio di Bologna, che avrebbe investito nei derivati finiti malissimo e in allegri fidi, all'insaputa dei clienti per coprire i buchi. Alla fine, alcuni clienti non solo hanno perduto milioni di euro, ma si sono indebitati con la banca senza saperlo. Ma si parla anche di delibere di affidamento e di firme non regolari;
   anche Riccardo Sora, a settembre 2014 nominato dalla Banca d'Italia commissario della CariChieti e da poco spostato nella stessa carica alla Banca popolare dell'Etruria, risulta tra gli indagati della procura di Rimini «per indebita restituzione dei conferimenti»;
   l'indagine appena conclusa dalla guardia di finanza di Rimini riguardo 26 ex amministratori della locale Cassa di Risparmio (CaRim), commissariata da Bankitalia nell'ottobre 2010;
   gli accertamenti condotti dai militari hanno consentito di far emergere, secondo la prospettazione della procura della Repubblica che vi era «un sodalizio criminale composto dai vertici dell'istituto, in carica nel periodo dal 2009 fino al commissariamento disposto dalla Banca d'Italia nel 2010, che, a seguito di elargizione di mutui e di finanziamenti non assistiti da adeguate garanzie, ometteva dolosamente di evidenziare nei bilanci della Carim le perdite già maturate da tempo tramite stime e valutazioni palesemente non corrispondenti alla reale situazione del credito». Sempre secondo quanto emerso dalle indagini gli indagati, membri pro tempore del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale avrebbero partecipato attivamente e sistematicamente al processo di concessione e revisione delle linee di credito concesse dalla Banca Carim Spa a favore di soggetti o gruppi societari da tempo insolventi;
   la Banca d'Italia, che inoltre, ad avviso degli interpellanti ha precise responsabilità nel mancato contrasto all'usura e sulla pratica dell'anatocismo (cioè il pagamento di interessi sugli interessi) ha perfino organizzato un «corso antiusura» con il patrocinio di Bankitalia e Scuola Superiore della Magistratura nella sede dell'Abi, per magistrati «a lezione» da banchieri con una serie di esponenti che risultano sotto indagine –:
   in che modo il Governo intenda intervenire al fine di corroborare la posizione di indipendenza e garanzia della Banca d'Italia considerato che, ad avviso degli interpellanti, quanto descritto in premessa e l'attuale assetto azionario della Banca d'Italia non garantiscono la indispensabile autonomia;
   se il Governo intenda rafforzare mediante le opportune iniziative normative i requisiti di onorabilità dei commissari che, alla luce delle considerazioni fatte in premessa, non sembrano essere garantiti;
   quali azioni il Ministro dell'economia e delle Finanze voglia adottare al fine di garantire il rispetto del diritto al credito contemplato all'articolo 47 della Costituzione italiana e il rispetto della legge n. 108 del 7 marzo 1996.
(2-01036) «Ruocco, Pesco, Alberti, Fico, Pisano, Villarosa, D'Incà».

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comma 989 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 262 (finanziaria 2007) ha autorizzato il Governo ad emanare un regolamento, entro il 30 settembre del 2007, volto a rivedere la disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, secondo criteri di semplificazione, accorpamento ed adeguamento graduale dell'ammontare delle tasse e dei diritti sulla base del tasso d'inflazione a decorrere dalla data della loro ultima determinazione, con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   in ottemperanza a tale disposizione e successive modificazioni, è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica del 28 maggio 2009, n. 107, indicando all'articolo 4 i parametri generali di riferimento per l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi in tutti i porti nazionali;
   l'articolo 4 ha stabilito che «L'adeguamento viene effettuato ... prendendo a base il 75 per cento del tasso d'inflazione ufficialmente rilevato ...» e specifica che per il porto franco di Trieste ... «prendendo tuttavia a base il 100 per cento del tasso ufficiale d'inflazione»;
   in data 24 dicembre 2012 i Ministeri competenti hanno emanato il decreto attuativo recependo le indicazioni del predetto decreto del Presidente della Repubblica;
   l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi, stante alle disposizioni menzionate, risulta essere più gravoso per il porto di Trieste con ripercussioni economiche negative per gli operatori che svolgono la propria attività nel porto;
   per tutelare i propri interessi le varie associazioni di spedizionieri, agenzie marittime ed in generale tutti gli operatori del porto hanno segnalato di aver presentato ricorso al Tar del Lazio chiedendo l'annullamento sia del decreto ministeriale del 24 dicembre 2012 sia del decreto del Presidente della Repubblica del 28 maggio 2019, n. 107, e di aver ricorso in giudizio, a seguito di rigetto con sentenza del 4 marzo 2014 n. 2472/2014, davanti al Consiglio di Stato ed in attesa di giudizio;
   l'appello presentato al Consiglio farebbe riferimento al regime giuridico e fiscale speciale di cui gode il porto franco di Trieste in virtù delle disposizioni contenute agli articoli 1-20 dell'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, e ratificato con legge 25 novembre 1952, n. 3054;
   in particolare in esso si farebbe riferimento all'articolo 5 dell'allegato che stabilisce: «le autorità del Territorio Libero (poi dello Stato italiano) non percepiranno sulle merci in importazione, in esportazione od in transito attraverso il Porto Franco né dazi doganali, né altri gravami, che non siano il corrispettivo di servizi prestati»;
   nel ricorso verrebbe anche ribadito che proprio in virtù di tale obbligo lo Stato italiano abbia adottato disposizioni in materia facendo salve le prerogative in materia di tasse portuali con opportuni criteri più favorevoli rispetto agli altri scali nazionali come da articolo 3, comma 2, del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 13 maggio 1988, n. 153: «Al fine di tener conto del ruolo internazionale del porto franco di Trieste, in armonia con la funzione statutaria fissata dall'allegato VIII del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato con legge 25 novembre 1952, n. 3054, l'aumento di cui al comma 1 non si applica altresì in detto scalo. Le modalità di applicazione di tutte le tasse e diritti marittimi vigenti per navi, merci e passeggeri nel porto di Trieste saranno definite con decreto del Ministro della marina mercantile, di concerto con il Ministro delle finanze, in esecuzione dei princìpi stabiliti dal suddetto allegato» –:
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare per adeguare la normativa riportata in premessa agli obblighi assunti dallo Stato italiano in merito ai principi sanciti dal dall'Allegato VIII del Trattato di Parigi del 1947;
   quali siano i motivi secondo cui per il porto di libero di Trieste non sembra che siano stati rispettati i parametri sanciti dal Trattato del 47. (4-09819)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   per effetto della legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 526) che reca disposizioni in materia di spese a carico dei comuni per gli uffici giudiziari, e, a seguito della modifica del secondo comma dell'articolo 1, legge 24 aprile 1941, n. 392, viene disposto il trasferimento, a partire dal 1o settembre 2015 delle competenze in materia di uffici giudiziari e delle relative spese obbligatorie, dai comuni al Ministero della giustizia;
   il comune di Forlì, dopo approfondite verifiche e, alla luce del parere espresso da parte degli uffici comunali competenti, ha dovuto assolvere all'obbligo imposto dalla legge e, di conseguenza non potrà più farsi carico di oneri e servizi garantiti sino ad oggi, anche fronte dei pesanti tagli nei trasferimenti statali che, solo nel 2015 e in forza degli obblighi imposti, hanno colpito l'ente per oltre 7 milioni di euro;
   nonostante siano emersi con evidenza i problemi collegati al nuovo scenario così delineatosi, non sono ancora state rese note le modalità, le tempistiche e le risorse attraverso le quali lo  Stato si farà carico dei costi e gestirà l'erogazione di quei servizi fino ad oggi garantiti dall'amministrazione presso il palazzo di giustizia;
   se questa situazione gravissima non cambia (il comune infatti, pur confermando la massima disponibilità nella prima fase di transizione, non pagherà più le bollette) si rischia in poche settimane la paralisi totale e, di conseguenza, la chiusura di un tribunale «macina fascicoli», al terzo posto in regione per produttività, che genera un notevole indotto;
   in occasione della «Giornata della giustizia», tribunale e procura hanno reso noti anche i dati dell'attività, aggiornati alla fine del 2014: una mole di lavoro incredibile, ma soprattutto una operosità in netto contrasto con le accuse rivolte alla categoria, testimoniata dalla diminuzione dei fascicoli pendenti, nonostante i nuovi procedimenti aperti;
   l'accorpamento della soppressa sede distaccata di Cesena ha praticamente raddoppiato il carico di lavoro del tribunale che conta 61 dipendenti in servizio, a fronte di una pianta organica di 74 unità. A ciò va aggiunto che entro il prossimo anno sono previsti 9 pensionamenti, di cui 3 entro novembre 2015;
   allo stato, l'unico supporto previsto è l'assegnazione di tre amministrativi provenienti dalla provincia: personale ovviamente sprovvisto di competenze specifiche, che necessiterà di formazione da parte dei dipendenti più esperti –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare la funzionalità e operatività del sistema giustizia forlivese, oltre che per ovviare alla carenza di personale amministrativo.
(2-01035) «Molea, Mazziotti Di Celso».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   come è noto, il Governo non ha inteso rinnovare per tutto il 2015 la sospensione dell'esecuzione degli sfratti per finita locazione nei confronti di nuclei familiari in possesso di determinati requisiti: reddito familiare non superiore a 27 mila euro e contemporaneamente la persistenza di gravi fragilità quali presenza di minori, anziani ultra sessantacinquenni portatori di handicap gravi, malati terminali;
   fortissime sono state le proteste delle organizzazioni degli inquilini che hanno svolto, nel corso della conversione in legge del decreto cosiddetto «mille proroghe» iniziative, anche presso la Camera dei Deputati, come per esempio quella promossa dall'Unione inquilini il 20 gennaio 2015 a Piazza Monte Citorio;
   tuttavia, in sede di conversione del decreto-legge in materia di differimento termini (decreto-legge n. 192 del 2014) è stato inserito il comma 10-bis dell'articolo 8 che ha previsto quanto segue: «10-bis, Nelle more dell'attuazione, per l'annualità 2015, del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui all'articolo 11, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni, e dell'effettiva attribuzione delle risorse alle regioni, e comunque fino al centoventesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentire il passaggio da casa a casa per i soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita locazione di cui all'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, il competente giudice dell'esecuzione, su richiesta della parte interessata, può disporre la sospensione dell'esecuzione di dette procedure»;
   la norma sostanzialmente dispone, pertanto, che i nuclei familiari, con i limiti di reddito e le condizioni di fragilità suddette, al fine di consentire loro il passaggio da casa a casa, possano godere di contributi economici previsti dal succitato decreto del Ministro dei trasporti, relativo al cosiddetto fondo sociale affitti, e, nelle more di tale erogazione, possano avere dal giudice competente, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ovvero entro il 27 giugno 2015, una sospensione delle procedure di esecuzione;
   il previsto decreto ministeriale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2015, ha stabilito che:
    a) una quota non superiore al 25 per cento delle risorse ripartite alle regioni per il fondo sociale affitti relativo al 2015, di complessivi 100 milioni, sia riservata a detti nuclei familiari, «promuovendo prioritariamente la sottoscrizione di contratti a canone concordato»;
    b) entro 30 giorni (quindi entro il 5 aprile 2015) i comuni avrebbero dovuto comunicare alle regioni il numero dei provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione per i soggetti interessati; in possesso dei requisiti di reddito e delle condizioni di fragilità stabiliti;
    c) entro i successivi 30 giorni (pertanto entro il 5 maggio 2015) le regioni avrebbero dovuto provvedere al riparto delle disponibilità e all'erogazione delle risorse statali trasferite;
   le suddette procedure prevedono tempistiche serrate al fine di permettere che la scadenza del 27 giugno non provochi episodi di esecuzioni forzata ai danni dei detti soggetti con redditi bassi e gravi fragilità familiari, senza che siano precedentemente messi in campo quei strumenti economici che consentano di attuare la previsione fondamentale della norma: «consentire il passaggio da casa a casa»;
   il loro rigoroso rispetto è pertanto necessario, anche al fine di prevenire gravi condizioni di disagio nelle aree metropolitane e nelle altre città, già interessate in questi anni da un fenomeno generale di incremento degli sfratti (in particolare per la causale della morosità) molto elevato e che mette gravemente a repentaglio la coesione sociale –:
   quanti e quali siano i comuni che hanno comunicato alle regioni gli elenchi dei soggetti in possesso dei requisiti per godere dei contributi previsti dalla norma legislativa in questione, sulla base dei fondi ripartiti alle regioni con il succitato decreto;
   quali e quante siano le regioni che hanno, conseguentemente, provveduto al riparto delle risorse disponibili e all'erogazione delle risorse statali trasferite;
   in quanti e quali comuni siano stati erogati i contributi ovvero tali procedure siano in corso di svolgimento;
   quanti nuclei familiari abbiano, a tutt'oggi, usufruito concretamente di detto contributo e conseguentemente quanti nuovi contratti a canone concordato siano stati sottoscritti a favore dei suddetti nuclei familiari;
   se non ritenga necessario, infine, al fine di prevenire conseguenze gravi nella coesione sociale e per garantire il rispetto della finalità della norma legislativa in questione, intervenire con un provvedimento di urgenza, al fine di prolungare il termine stabilito dal suddetto comma 10-bis dell'articolo 8 della legge 11 del 2015, rendendolo quantomeno coincidente con la concreta erogazione del contributo ai nuclei familiari e l'effettivo completamento del percorso previsto del passaggio da casa a casa.
(2-01034) «Morassut, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interporto «A. Vespucci» in località Guasticce, del comune di Collesalvetti (Livorno la cui realizzazione è stata resa possibile con finanziamenti pubblici, della Comunità europea e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con uno stanziamento di ventisei milioni di euro nel 2008, finalizzati alla «realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e impiantistiche nelle aree destinate all'attività di logistica» è in fase di completamento nelle opere di urbanizzazione e di messa in sicurezza idraulica;
   i suoi 300 ettari rappresentano l'ideale retroterra portuale di Livorno e, con l'ampliamento della cinta doganale, l'interporto costituisce un ulteriore incentivo all'attività di logistica dell'area vasta costiera;
   l'avvio dell'impresa ha come base l'accordo di programma sottoscritto tra la regione Toscana, tutti gli enti locali interessati e gli enti pubblici competenti per materia, l'11 gennaio 2007 per la progettazione dello sviluppo dell'area costiera Pisa-Livorno e che comprendeva, tra l'altro, «iniziative coordinate per la predisposizione dei progetti: (...) piattaforma logistica costiera e difesa idraulica» al quale tutte le parti devono attenersi rigorosamente e senza deroghe;
   il consiglio comunale di Collesalvetti, il 26 settembre 2012, con variante al piano strutturale, ha destinato, tra l'altro, il 40 per cento delle aree dell'interporto ad attività manifatturiere e commerciali e in conseguenza di ciò ha approvato, in data 30 aprile 2013, la variante al regolamento urbanistico con la quale ha introdotto nelle NN.TT.AA. (per il 25 per cento dell'intera area) la possibilità di realizzare le attività produttive e di trasformazione (F2) le attività di fabbricazione (F3) e le attività di recupero (F6) e di servizio, limitatamente ad impianti di riciclaggio, riutilizzo e recupero di rifiuti (H), in deroga al divieto previsto dalla normativa vigente;
   in varie occasioni la regione Toscana è stata chiamata alla valutazione sulla variante al piano strutturale del comune di Collesalvetti e in particolare sulla destinazione del 40 per cento dell'area ad attività manifatturiera e commerciale che a giudizio dell'interrogante è in palese contraddizione con le finalità logistiche e retroportuali dell'area e in aperto contrasto con l'accordo di programma sottoscritto agli inizi del 2007;
   con proprio intervento dell'agosto 2013 la regione inviava proprie osservazioni al comune di Collesalvetti confermando «come, anche in sede di approvazione, la variante al Regolamento Urbanistico (comunale) non sia esaustiva riguardo le valutazioni e verifiche in rapporto alla connessione e compatibilità delle nuove funzioni introdotte con la prioritaria funzione logistica, nonché rispetto agli effetti cumulativi di carattere ambientale e paesaggistico delle previsioni (vecchie e nuove) nel loro insieme» e auspicando, da parte dell'amministrazione comunale di Collesalvetti, la revisione di tutta la variante per tutto il territorio comunale, non solo dell'interporto, nel rispetto delle norme paesaggistiche e del piano di indirizzo territoriale con un'attenzione maggiore rivolta ai dimensionamenti e alla razionalità delle nuove destinazioni introdotte;
   nonostante le osservazioni critiche della regione, il consiglio comunale di Collesalvetti ha ostinatamente, con delibera del 4 aprile 2014, perseverato nel non prevedere quantomeno lo stralcio delle parti della variante oggetto di osservazioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario verificare se allo stato l'intero iter procedurale di costruzione dell'interporto in questione, compresi i vari e successivi interventi dei numerosi soggetti pubblici interessati, siano congrui, nel rispetto della normativa vigente e dell'accordo di programma, al progetto e alle finalità originariamente previste e che costituiscono la base integrante e necessaria per la concessione dei finanziamenti pubblici ed europei, o se contengano elementi di incoerenza, anche al fine di evitare di incorrere in eventuali, possibili infrazioni da parte dell'Unione europea. (4-09822)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   agli interpellanti sono giunte reiterate segnalazioni in merito alla presenza di componenti in amianto sugli elicotteri in uso ai vigili del fuoco;
   a tal proposito, peraltro, si sottolinea come sin dal 1992 sul territorio italiano siano state bandite la commercializzazione e la produzione di amianto. Nonostante ciò, così come denunciato con l'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-09498 di mercoledì 17 giugno 2015 (alla quale non è stata ancora data risposta nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del Regolamento della Camera), alcune fonti giornalistiche hanno segnalato che un documento dell'ente minerario del Governo indiano rivela che l'Italia nel 2011 e nel 2012 sarebbe risultato il maggiore importatore al mondo di amianto con rispettivamente oltre 1.040 tonnellate e 2.000 tonnellate. Tale nocivo minerale sarebbe tuttora impiegato non solo nel campo dell'edilizia, ma sarebbe ancora utilizzato dall'azienda Agusta Westland, partecipata di Finmeccanica e guidata da Daniele Romiti, che fornisce elicotteri a tutti i Corpi armati dello Stato. Il minerale sarebbe presente anche in alcuni elicotteri in uso dalla Guardia di finanza (ma secondo quanto riportato nella denuncia giornalistica anche agli altri corpi di sicurezza), gli AB412, A109, NH500 prodotti dalla predetta azienda;
   risulta di tutta evidenza l'estrema gravità della circostanza riportata – e nei confronti della quale non risultano al momento smentite – per cui una azienda partecipata da Finmeccanica – e quindi dallo Stato italiano – seguiti ad acquistare e utilizzare amianto nella fabbricazione di beni strumentali che vengono poi utilizzati dalle forze di sicurezza italiane;
   secondo quanto segnalato agli interpellanti, peraltro, in seguito alle numerosissime denunce da parte del personale dei vigili del fuoco e anche grazie all'intervento della magistratura con il dottor Raffaele Guariniello che avrebbe aperto un fascicolo di indagine a Torino, sarebbero state avviate seppur parzialmente le necessarie bonifiche sugli elicotteri in dotazione ai vigili del fuoco;
   tuttavia, i provvedimenti adottati risultano, a parere degli interpellanti, insufficienti e comunque inadeguati, per cui occorrerebbe senz'altro un maggiore e più incisivo impegno nella bonifica dei aeromobili e una maggiore sistematicità nel sottoporre il personale che utilizza elicotteri a controlli sanitari periodici e nel verificare la non contaminazione degli aeromobili e dei luoghi di lavoro;
   infine, a parere degli interpellanti sarebbe necessario ottenere il riconoscimento per i vigili del fuoco, per lo meno con riferimento agli addetti al traffico elicotteristico, di categoria a rischio con eventuali benefici economici, pensionistici, ma soprattutto sanitari, dal momento che tutto il personale del Corpo nazionale non ha tutele assicurative per mancanza di fondi e conseguentemente tutto l'onere diagnostico e terapeutico grava sulle spalle di lavoratori che vengono beffati doppiamente dallo Stato –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza del fatto che l'Italia ancora importa amianto, cosa che gli interpellanti ritengono vergognosa e se non si sentano in dovere di attivarsi, ciascuno per quanto di competenza, affinché cessi quanto prima l'importazione e l'utilizzo di un minerale che ha provocato e sta provocando in Italia e nel mondo milioni di morti tra atroci sofferenze;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover accelerare le operazioni di bonifica dei mezzi infestati dall'amianto;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover intensificare i controlli sul personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco esposto all'amianto;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover riconoscere al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco la specialità di categoria a rischio, garantendo loro una copertura assicurativa in relazione alle patologie sviluppate per causa di servizio con particolare attenzione alla malattie asbesto correlate.
(2-01033) «Luigi Di Maio, Cozzolino, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Parentela, Petraroli, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Zolezzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consigliere di minoranza del comune di Santa Marina (Sa) Michele Tagliaferri, da tempo, con varie denunce alle autorità competenti, evidenzia alcune anomalie in merito alla gestione dell'amministrazione pubblica del suo comune. Lo stesso consigliere, che all'indomani delle ultime elezioni amministrative locali 15 e 16 maggio 2011 già denunciava alla procura della Repubblica di Lagonegro probabili brogli elettorali, segnalava irregolarità in merito al rilascio o al diniego di cambio di residenza sul territorio comunale finalizzate al voto, l'affidamento con procedure dubbie di servizi portuali e di servizi sociali, e la illegittimità di alcuni atti varati dall'amministrazione chiedendone un formale ed adeguato controllo. Anche in materia ambientale, già dagli anni passati, venivano segnalati alla procura di Sala Consilina la irregolarità dei lavori, di smaltimento di materiali tossici, quale l'amianto in località Policastro Bussentino così come, alla competente soprintendenza è stata segnalata la realizzazione di lavori di bitumazione ai margini di una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e la realizzazione da parte del Comune, senza ottenere autorizzazione, di negozi sulla via Tirrenia facenti parte di un progetto di riqualificazione della zona sottoposto a conformità della Soprintendenza. Lo scorso giugno l'Autorità Nazionale Anti Corruzione inviava al comune di Santa Marina la comunicazione (protocollata 0076123 del 15 giugno 2015) di avvio procedimento istruttorio per la richiesta di chiarimenti di regolarità delle procedure di determinazioni adottate contestando eventuale violazioni degli articoli 91 e 92 del decreto legislativo 163 del 2006 –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se si ritenga che sussistano i presupposti per avviare iniziative ai sensi dell'articolo 141 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. (5-06045)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un grosso immobile di otto piani, da ben 28 mila metri quadrati, del valore presunto di almeno 70 milioni di euro, situato a Roma, in via Curtatone 3, nei pressi della stazione Termini, risulta occupato abusivamente dall'ottobre 2013, quando venne «espropriato» dai «movimenti per la casa»;
   da allora, l'immobile è di fatto inaccessibile tanto ai suoi proprietari quanto alle stesse forze dell'ordine; persino il personale della Croce Rossa ha bisogno di esibire documenti per potervi entrare;
   nel frattempo, ai proprietari dell'immobile viene tuttora imposto il pagamento delle utenze di servizio, prima fra tutte quella per la fornitura dell'elettricità, di importo pari a 35 mila euro ogni due mesi;
   la procura sospetta inoltre che i capi «movimenti per la casa» che hanno occupato lo stabile, lo amministrino illegalmente, chiedendo ai clandestini ivi ospitati la corresponsione di un affitto da 200 euro mensili per stanza;
   sottoposto a vincoli dalla soprintendenza di Roma, a causa della presenza al suoi interno di elementi di pregio, il palazzo di via Curtatone era ritenuto in buono stato fino all'occupazione;
   domenica 21 giugno, sono riusciti ad entrare nell'immobile, sotto gli occhi della Polizia, una quarantina di presunti rifugiati di origine africana;
   in seguito a questi nuovi arrivi, nel palazzo dovrebbero trovarsi oggi non meno di 500 clandestini, in maggioranza eritrei e somali, e forse anche di più;
   le persone che risiedono nell'area si chiedono come abbiano fatto i presunti 40 nuovi rifugiati giunti il 21 giugno ad accedere alla struttura e chi li abbia mandati, visto che le autorità della Questura hanno negato vi sia stato alcun accompagnamento a via Curtatone da parte di elementi della polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri;
   la situazione dello stabile occupato a via Curtatone non è isolata, concernendo diverse decine di immobili della capitale;
   sarebbe opportuno fermare almeno l'esazione delle bollette per le forniture dei servizi pubblici essenziali alla struttura di via Curtatone 3 a Roma, che i proprietari continuano a ricevere malgrado non dispongano più dell'immobile –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione creatasi nell'immobile di via Curtatone 3 a Roma e delle violazioni della legge che vi avvengono, anche sotto il punto di vista della sostanziale «estorsione» di canoni di affitto non dovuti, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere con riferimento alla salvaguardia dell'ordine pubblico e agli anomali effetti sui proprietari provocati dall'occupazione abusiva;
   se il Governo conosca la cifra esatta degli immigrati extracomunitari ospitati nella struttura di via Curtatone 3 a Roma e l'identità di coloro che li gestiscono;
   per quali ragioni le forze dell'ordine domenica 21 giugno 2015 non siano intervenute per impedire l'accesso di altri clandestini. (4-09813)


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto denunciato da fonti sindacali, per l'intera giornata del 1o luglio i server della polizia scientifica di Palermo sono stati bloccati a causa delle temperature troppo alte e della mancanza di un impianto di condizionamento ambientale adatto;
   nonostante le numerose richieste inoltrate da oltre un anno al Ministero dell'interno al fine di ottenere una sistemazione idonea – secondo quanto denunziato dai vertici siciliani del sindacato di polizia Consap – sono stati installati in una stanza che custodisce i tre grandi e delicati server solo due condizionatori per uso domestico del tutto insufficienti. Pertanto, tutte le attività della polizia scientifica, dalla balistica al laboratorio fotografico, dalla squadra sopralluoghi alla grafologia, compresa la ricezione reperti, si sono fermate fino al giorno dopo;
   inoltre, agli inizi del 2011, il Ministero ha dotato il gabinetto di polizia scientifica di Palermo di due camper, attrezzati per effettuare rilievi a fronte di attacchi batteriologici. Poco dopo uno di questi due camper venne dotato di macchinari per effettuare foto segnalamenti in situazioni di emergenza o di lontananza dalla sede della polizia scientifica;
   sempre secondo quanto segnalato dalle medesime fonti sindacali, il camper adibito al «foto-segnalamento» è fermo da circa due mesi perché, come tutte le normali vetture, necessita di revisione periodica. In un rimpallo di competenze tra il Ministero e la questura di Palermo non si riescono a reperire i 600 euro necessari alla riparazione di alcune disfunzioni causate dalla normale usura: il risultato di ciò è che un camper dotato di attrezzature per migliaia di euro è inutilizzabile;
   un'ulteriore problematica segnalata da fonti sindacali è che il laboratorio fotografico della questura di Palermo è bloccato da circa un mese perché la stampante dedicata è fuori uso e al momento, quindi, non è possibile stampare le foto dei sopralluoghi. Per i fascicoli più urgenti da presentare all'autorità giudiziaria i funzionari di polizia sono costretti all'utilizzo di stampanti di fortuna. Sembrerebbe imminente l'arrivo dei ricambi dei pezzi non funzionanti, ma, non essendo previsto l'intervento di un tecnico, dovrebbero essere i poliziotti stessi, pur senza avere nessuna competenza specifica, a procedere alle sostituzioni;
   la valutazione di quanto illustrato in premessa non può che essere estremamente negativa, dal momento che la polizia scientifica di Palermo ha una mole di lavoro enorme e ha sempre svolto lavoro di grande eccellenza e qualità, anche nei periodi oscuri delle stragi di mafia, dimostrandosi all'altezza;
   in tempi più recenti, spesso il personale della scientifica è stato impiegato per l'identificazione delle vittime dei tragici naufragi dei barconi nel canale di Sicilia e con l'esodo dei migranti la scientifica di Palermo svolge un ruolo di primaria importanza, ma risulterebbe clamorosamente sprovvista di un sistema di aerazione per i suoi server. Il mancato collegamento con il server centrale a Roma comporta l'impossibilità di identificare, in tempo reale, le persone sottoposte a foto segnalamento per risalire alla loro identità, qualora queste siano considerate sospette di legami con ambienti terroristici. Il rischio, pertanto, è di non essere in grado di effettuare importantissimi controlli sui migranti in arrivo nella Sicilia occidentale;
   tutta questa vicenda pone degli inquietanti interrogativi sulla affidabilità e impenetrabilità del livello di massima allerta e sul potenziamento della polizia per i pericoli legati al terrorismo, soprattutto in considerazione del fatto che le coste siciliane distano poche decine di chilometri da quelle libiche in mano all'organizzazione terroristica internazionale denominata ISIS –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto segnalato in premessa e se non ritenga di dover tempestivamente intervenire al fine di garantire la funzionalità di indispensabili settori operativi della questura di Palermo. (4-09816)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio 2015, in serata, è scoppiata una rissa al parco pubblico di Borghetto Lodigiano, comune in provincia di Lodi;
   all'origine della rissa, che ha coinvolto una sessantina di immigrati egiziani ed è terminata con un bilancio pesante di feriti e contusi, vi sarebbe stato un diverbio tra donne;
   l'amministrazione comunale di Borghetto Lodigiano ha reagito decretando la chiusura serale del locale parco pubblico e chiedendo alla prefettura ed alla questura territorialmente competenti di collaborare con i loro mezzi e risorse umane al ristabilimento dell'ordine, allo scopo di poter riconsegnare al più presto alla cittadinanza la struttura senza limitazioni di orario;
   il comportamento aggressivo e violento del gruppo di egiziani che ha scatenato la rissa dovrebbe essere in qualche modo sanzionato, almeno amministrativamente, per stabilire una forma di dissuasione efficace e convincerli che il territorio urbano di Borghetto Lodigiano non può essere trasformato in un campo di battaglie –:
   se e in che modo il Governo intenda rispondere all'appello rivolto dall'amministrazione comunale di Borghetto Lodigiano alla prefettura ed alla questura territorialmente competenti al fine di ottenere i mezzi e le risorse umane indispensabili a ristabilire l'ordine pubblico nell'area del locale parco pubblico;
   se il Governo intenda assumere misure e di quale natura nei confronti degli immigrati egiziani che hanno scatenato la rissa al parco pubblico di Borghetto Lodigiano il 10 luglio 2015. (4-09818)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORGETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013 operava per la direzione territoriale Lombardia area monopoli la società di servizi aziendali denominata Jolly Service s.r.l.;
   il 31 maggio 2015 è scaduto il contratto di appalto con la predetta società ed i Monopoli di Stato non hanno proceduto al rinnovo;
   il successivo appalto se lo è aggiudicato, con decorrenza 1o giugno 2015, la Romeo Gestioni s.p.a. di Roma, che a sua volta ha subappaltato alla società Fire Service s.r.l. con sede legale a Napoli;
   secondo quanto riferito all'interrogante, nonostante i lavoratori della Jolly Service s.r.l. avessero ricevuto rassicurazioni, in primis dai Monopoli stessi e poi verbalmente anche dalla società subentrante, in merito ad un passaggio diretto, alcuni di essi si sarebbero visti recapitare la lettera di licenziamento dalla società Jolly Service con decorrenza 31 maggio 2015 ed al contempo l'invito a presentarsi sul posto di lavoro dal 1o giugno 2015, pur non avendo firmato alcun nuovo contratto almeno fino al giorno 4 giugno successivo (ma retrodatato al 1o);
   con gran sorpresa dei diretti interessati, sembra, per quanto risulta all'interrogante, che non ci sia stato alcun passaggio diretto, ma la stipula di un nuovo contratto con arretramento stipendiale e perdita di quanto maturato in termini di scatti di anzianità e ferie, nonché modifica delle mansioni;
   risulta all'interrogante che ad esempio, un dipendente della Jolly Service abbia prestato attività lavorativa presso i Monopoli come addetto alla reception, uso del centralino, smistamento della posta, e varie altre mansioni impiegatizie; col nuovo contratto si sarebbe ritrovato nel ruolo di visionatore d'area (Ccnl servizi fiduciari – livello D), con un mese di prova ed un termine di 8 mesi –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per verificare la correttezza procedurale ai sensi di legge sia da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli – area monopoli direzione territoriale della Lombardia – sia da parte della neo-società aggiudicatrice dell'appalto nell'assunzione ed attribuzione di competenze agli e dipendenti della Jolly Service. (4-09823)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea ha inviato all'Italia una diffida per l'eliminazione del divieto dell'utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari destinati al consumo umano, quali formaggi, yogurt o latte alimentare;
   il divieto è attualmente previsto dalla legge 11 aprile 1974, n. 138, recante «Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana», e ha permesso sin qui all'Italia di realizzare primati a livello internazionale nella produzione casearia;
   secondo quanto denunciato dalla Coldiretti, con il via libera alla polvere di latte spariranno 487 formaggi tradizionali censiti dalle regioni italiane e un eventuale accoglimento dell'indicazione proveniente dall'Unione europea avrà conseguenze drammatiche sulla qualità dei prodotti;
   il latte in polvere commercializzato in Europa proviene per la maggior parte da Francia e Germania e la notizia relativa all'imminente abolizione del divieto di utilizzarlo in Italia ha già fatto aumentare le speculazioni sull’import di latte e crema in polvere di oltre il quindici per cento rispetto al 2014;
   l'assenso dell'Italia a questa ennesima insensata imposizione proveniente dall'Unione europea determinerebbe un danno inestimabile alla produzione casearia nazionale, colpendo ancora una volta la produzione agricola e causando la perdita di migliaia di posti di lavoro –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere in merito, al fine di salvaguardare e tutelare l'eccellenza della produzione nazionale. (3-01613)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   BUSINAROLO, PESCO, SORIAL, D'INCÀ, SIBILIA, CRIPPA, CASO, BRUGNEROTTO, AGOSTINELLI, ALBERTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BUSTO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASTELLI, CECCONI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, COZZOLINO, DA VILLA, DADONE, DAGA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, DIENI, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRACCARO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRANDE, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NESCI, NUTI, PARENTELA, PETRAROLI, PISANO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RUOCCO, SARTI, SCAGLIUSI, SPADONI, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI, VILLAROSA e ZOLEZZI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   sul sito de Il Fatto quotidiano si apprende che: «I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo. Due le partite: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Guardia di finanza da parte del morituro Governo Letta. E la staffetta tra questi e Renzi, amico dei commensali. In questo contesto l'attuale numero due della Guardia di finanza dice che il figlio di Napolitano “Giulio oggi a Roma è potente, è tutto”. Poi sembra dire che il Capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico) Letta ce l'hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella non fa una piega, anzi»;
   sempre dallo stesso articolo si apprende che durante lo stesso pasto «Adinolfi resta sul tema: “Giulio oggi a Roma è tutto o comunque è molto. Giusto? Tutto, tutto ... e sembra che... l'ex capo della polizia ... Gianni De Gennaro e Letta ce l'hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella commenta criptico: “A quello si aggiunge, quello è il colore...”, seguono parole incomprensibili. Fortunato pensa al potere del figlio del Presidente: “Comunque lui è un uomo, c'ha studi professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un'influenza col padre. Come è inevitabile... ha novant'anni c'ha un figlio solo”. Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi: “Non è normale che tutti sappiano che bisogna passare da lui per arrivare” e Nardella sembra accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire consulenze dalla pubblica amministrazione”»;
   in sintesi, riportando anche quanto pubblicato su Il Fatto quotidiano domenica 12 luglio 2015, in merito anche alle intercettazioni telefoniche tra Renzi e il generale della Guardia di finanza Adinolfi, risulta che nel 2014 Matteo Renzi, ancora soltanto segretario del Partito democratico, interviene per stoppare la conferma del comandante Capolupo, su richiesta di un sottoposto del comandante, intromettendosi in una nomina di competenza del Ministro dell'economia e delle finanze e del Governo;
   sempre nello stesso articolo, il giornalista si chiede come mai lo stesso Matteo Renzi, nel 2014 «appena nominato segretario del Pd, da un lato supporta Adinolfi – nonostante sia notoriamente vicino a Gianni Letta, Adriano Galliani e Silvio Berlusconi – e dall'altro proprio a lui comunica la sua intenzione di far cadere Enrico Letta con l'aiuto di Berlusconi»;
   ed ancora chiede il giornalista: «Adinolfi, in qualità di comandante interregionale di Toscana ed Emilia-Romagna, era il vertice di un corpo che avrebbe potuto svolgere controlli e indagini sul feudo del suo rivale di allora nel Pd, Pier Luigi Bersani (lambito dalla Guardia di finanza nell'indagine sulla sua segretaria), e sul suo feudo: Firenze»;
   come riporta, altresì, il medesimo articolo di stampa: «Il Fatto ha scritto molti articoli su vicende imbarazzanti per lei, come la storia dei contributi pensionistici figurativi ottenuti dal 2004 al 2013 da provincia e comune grazie all'assunzione nella sua azienda di famiglia alla vigilia della scelta di Pds e Margherita di candidarla alla provincia. La Guardia di finanza è andata a prendere le carte su un caso simile che ha coinvolto Josefa Idem a Ravenna, in Romagna, e l'ex Ministro è stata indagata per truffa. Eventuali accertamenti della Guardia di finanza in Toscana non hanno dato alcun esito su di lei. Adinolfi non ha compiti di polizia giudiziaria ma lei ha mai parlato con lui di queste storie? E non ritiene che la sua sponsorizzazione del comandante possa appannare le certezze dei cittadini su un'azione rigorosa ed equanime delle Fiamme gialle?»;
   ed infine, sempre dall'articolo sopra citato, il giornalista pone questo quesito al Presidente del Consiglio dei ministri: «Adinolfi, secondo il Noe, avrebbe criticato le modalità di nomina del suo comandante e potrebbe avere alluso a un ricatto ai danni del Presidente Napolitano, facendo illazioni sulle ragioni della proroga di Capolupo. Non crede debba dimettersi da comandante in seconda?». Ed ancora: «Perché il segretario del Pd si fa dare dello “str...” da un generale che tuba al telefono con Gianni Letta?» –:
   se e come il Governo intenda fare chiarezza, di fronte al Parlamento e ai cittadini, in relazione a questa torbida vicenda, che fa apparire lo Stato italiano, nelle sue più alte cariche – dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio dei ministri – sotto costante ricatto da parte di figure già emerse nell'ambito di diverse indagini – da Why not alla P4 – e se e quale ruolo abbia avuto esattamente l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri e segretario del Pd in questa vicenda. (3-01612)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i piani di rientro sono finalizzati a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute è impegnato nell'affiancare le regioni nel raggiungere gli obiettivi previsti dai piani;
   la regione siciliana è sottoposta al piano di rientro dal disavanzo finanziario sanitario e vigilata dal Ministero della salute;
   il 29 dicembre 2014 con protocollo DEL/436/23 dicembre 2014 è stato pubblicato un «avviso di indagine di mercato esplorativo», da parte dell'ospedale Garibaldi di Catania per l'acquisto un robot chirurgico;
   dal sito «Sud Giornalismo d'Inchiesta», del 7 luglio del 2015 si apprende che:
    la Digos di Catania, ha attuato, su disposizione della procura della Repubblica, un sequestro di documentazione e di atti riguardanti le modalità di acquisto di un robot chirurgico, presso l'ospedale Garibaldi, nel capoluogo etneo;
    l'inchiesta giudiziaria è partita perché l'acquisto del robot chirurgico era stato programmato per l'ospedale Cannizzaro di Catania, mentre, invece, l’iter dell'acquisto del macchinario è stato avviato dall'ospedale Garibaldi;
    a fare cambiare destinazione al robot chirurgico dall'ospedale Cannizzaro all'ospedale Garibaldi sia stata una riunione indetta dal Sindaco di Catania, Enzo Bianco;
    l'assessore regionale alla salute della regione siciliana, Lucia Borsellino, ha impugnato la legittimità della decisione assunta in sede comunale in merito all'individuazione della sede ospedaliera per il robot chirurgico, in quanto decisa in una sede illegittima;
   dal giornale Siciliaweb dell'8 luglio 2015 si apprende che:
    il costo di ogni robot è di circa 3 milioni di euro e di 4 milioni solo per la manutenzione;
    la procedura di acquisto del robot è stata interrotta dalla stessa azienda sanitaria Garibaldi di Catania;
    ex dirigente dell'ufficio acquisti del ospedale Garibaldi, Salvo Torrisi, ha presentato un esposto all'assessorato alla salute della regione siciliana sulle modalità dell'acquisto del macchinario –:
   se il Ministro interrogato abbia monitorato, nell'opera di affrancamento della regione Sicilia per il piano di rientro, la decisione assunta il 29 dicembre 2014 con protocollo DEL/436/23 dicembre 2014 Avviso di indagine di mercato esplorativo, da parte dell'ospedale Garibaldi di Catania per l'acquisto di un robot chirurgico;
    se l'acquisto del robot chirurgico, dal costo di 3 milioni di euro e di 4 milioni di euro per la manutenzione all'anno, fosse stato compatibile con il piano di rientro dal disavanzo finanziario sanitario della regione siciliana;
    quali iniziative intenda intraprendere, per le sue specifiche competenze, per verificare se siano stati violati i livelli essenziali di assistenza per i cittadini catanesi. (5-06044)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   LATRONICO, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 12 giugno 2015 è stato emanato il decreto ministeriale n. 122 sulla procedura di valutazione d'impatto ambientale per la fase di indagini sismiche 3D del permesso di ricerca di idrocarburi denominato «d 79 F.R.-EN» localizzato nel Golfo di Taranto richiesto dalla società Enel Longanesi;
   il progetto prevede l'operazione di acquisizione sismica a mare attraverso strumentazione idonea all'individuazione di accumuli di idrocarburi gassosi nel sottosuolo marino, nell'area ubicata nel Golfo di Taranto ad una distanza minima dalla costa pari a 35 chilometri. I comuni interessati in Basilicata sono Nova Siri, Policoro, Rotondella, Scanzano, Pisticci, Bernalda;
   il progetto di ricerca di idrocarburi potrebbe provocare indubbi effetti negativi su tutti i comuni ubicati lungo la costa e sul comparto turistico, interessando la parte costiera con alterazione delle correnti e dell'equilibrio ecologico del mare, in un'area dove sono presenti diverse attività e produzioni agroalimentari di pregio;
   il sito individuato ha un alto valore naturalistico, essendo presenti habitat marini naturali ed anche specie da proteggere (ad esempio, la tartaruga caretta, in via di estinzione dalle coste italiane);
   nell'area interessata è presente anche la riserva naturale regionale Bosco Pantano di Policoro, istituita con legge regionale 8 settembre 1999, n. 28, oasi Wwf dal 1995. La riserva interessa un'area di 550 ettari a bosco relitto di latifoglie decidue, nei comuni di Policoro e Rotondella;
   esiste un'ampia letteratura scientifica prodotta a livello mondiale da prestigiosi istituti di ricerca che hanno analizzato gli effetti che potrebbero avere sui cetacei le attività di ricerca di idrocarburi in mare e le eventuali successive fasi di trivellazione con tecnologie (air gun) basate sull'emissione di onde acustiche ad elevata energia, in grado di creare danni irreversibili agli apparati uditivi dei cetacei presenti nel Mar Jonio;
   alla concessione di tale permesso, si oppongono, con numerose e fondate argomentazioni, enti pubblici, cittadini e associazioni –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare la realizzazione di progetti di trivellazione nel Mar Ionio, in quanto incompatibili con la vocazione economica, agricola e turistica dei territori interessati. (3-01616)


   DI LELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Hp enterprise services Italia è una multinazionale che opera nel comparto informatico, sia nel settore software che in quello hardware, ed è presente in Italia con varie sedi sul territorio nazionale, una di queste quella di Pozzuoli;
   lo stabilimento di Pozzuoli nasce nel 1990 a Caserta, ha visto il massimo livello occupazionale nell'anno 2000 con circa 450 professionisti nello sviluppo software e successivamente, con il trasferimento a Pozzuoli e l'acquisizione da parte di Hp, il numero di occupati si è assestato intorno alle 300 unità, andando sempre più a decrescere, per i continui piani di esodo che Hp ha bandito negli ultimi anni, portando il numero attuale di addetti a quasi 200;
   la sede di Pozzuoli si caratterizza per elevate competenze maturate in circa 25 anni da professionisti in massima parte laureati, che hanno segnato tante storie di successo nel panorama dell’ict (information and communication technology) nazionale;
   basti pensare che oggi, nell'unità produttiva di Pozzuoli, si gestiscono da più di 8 anni le applicazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, così come è in prima linea per i progetti del Ministero della giustizia, dell'Inail, di banche, di assicurazioni, di Enel, dell'Inps, di Eni e di altri, ed ha operato ed opera anche in molti ambiti internazionali;
   Hp Pozzuoli è una risorsa incredibile di competenze tecniche e funzionali, che ha portato tante persone di quest'azienda a governare (come consulenti) i processi di trasformazione di tantissimi clienti nei più svariati settori industriali e della pubblica amministrazione;
   la sede di Pozzuoli è ora agli onori della cronaca per l'ennesima vertenza sindacale, che si profila alquanto complicata, in un territorio già devastato dalla disoccupazione. Lo stabilimento, infatti, è ad un passo dalla chiusura, stando a quanto comunicato dalla direzione aziendale nel corso dell'incontro del 7 luglio 2015 con le rappresentanze dei circa 160 dipendenti. Secondo quanto riferito dal sindacato e da diverse fonti giornalistiche, nonché ribadito, da ultimo, con la lettera aperta di venerdì 10 luglio 2015 indirizzata dalla direzione aziendale ai dipendenti, 30 di essi saranno trasferiti in altre sedi del gruppo, probabilmente Roma, mentre gli altri 130 saranno acquisiti dalla Matic mind;
   una cessione questa che sta creando molta apprensione tra i lavoratori del sito di Pozzuoli: la Matic mind è, infatti, un'azienda con soli 180 dipendenti in tutta Italia, appena 11 a Napoli nella sede al Centro direzionale;
   ulteriore preoccupazione deriva dalle contrattazioni singole coi dipendenti: la Matic mind non intende effettuare negoziazioni collettive con gli oltre 100 dipendenti che acquisirà dalla multinazionale americana. Inoltre sembra, sempre secondo quanto riportato sui quotidiani, che la stessa Matic mind abbia attivato una procedura di contratti di solidarietà con il conseguente ulteriore dubbio di non possedere quei requisiti di continuità lavorativa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e quali iniziative urgenti abbia intenzione di assumere al fine di scongiurare l'ennesima chiusura di uno stabilimento produttivo in un territorio che, per molti motivi, ha sofferto e continua a soffrire una forte crisi occupazionale, rassicurando gli oltre 100 dipendenti della Hp in merito al loro futuro lavorativo. (3-01617)


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei casi di morosità, o presunta tale, la compagnia elettrica fornitrice dei servizi può sospendere la fornitura dell'energia dopo aver inviato una raccomandata che specifica un termine ultimo, pari a 15 o 20 giorni, trascorso il quale la fornitura viene interrotta se il pagamento non viene eseguito;
   la raccomandata deve indicare le modalità con cui il cliente deve comunicare l'avvenuto pagamento, il termine oltre il quale il cliente, qualora insista a non pagare, si vedrà sospesa la fornitura;
   è prevista, inoltre, l'eventualità che, se le condizioni tecniche del contatore lo consentano, prima della sospensione della fornitura la potenza erogata possa venir ridotta di un livello pari al 15 per cento della potenza disponibile;
   si tratta di procedure assolutamente condivisibili che stabiliscono un iter che tutela l'utente, rendendolo informato della situazione di morosità che potrebbe portare alla sospensione del servizio;
   sono state stabilite una serie di sanzioni per le compagnie fornitrici qualora non rispettino le formalità sopra ricordate;
   la tenuità delle sanzioni previste, però, non appare congrua ad evitare eventuali forzature da parte delle suddette compagnie nei confronti dell'utente, data l'evidente sproporzione nei rapporti di forza tra società fornitrici e utente finale;
   più in generale, appare chiaro che il sistema concepito oltre 20 anni fa per la fornitura di servizi quali elettricità o gas presenta molte falle e di fatto non regge più, soprattutto per quel che riguarda la tutela del consumatore finale –:
   se e in che modo il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza e ove ne sussistano i presupposti, per tutelare in maniera più efficace il consumatore finale, tenuto conto degli interessi in campo. (3-01618)


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   pochi mesi fa Ikea, azienda multinazionale attiva nel settore low cost, ha annunciato il taglio dei contratti integrativi dei lavoratori, che dovrebbero diventare operativi dal 1o settembre 2015 (Corriere del Mezzogiorno, 29 maggio 2015; la Repubblica, 30 maggio 2015), i quali prevedono maggiorazioni salariali per i lavoratori legate ai turni domenicali e ai giorni festivi, nonché i premi di produzione. Tali integrazioni costituiscono una parte determinante degli stipendi, che si aggira attorno al 18-20 per cento;
   dopo la disdetta unilaterale di tutta la contrattazione integrativa vi era stata un'immediata e ferma reazione di sindacati e lavoratori, sfociata nelle prime 8 ore di sciopero territoriale effettuate all'unisono in diverse sedi del gruppo, sciopero deliberato in data 29 maggio 2015 dai sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, al termine del coordinamento unitario tenutosi a Firenze;
   nonostante ciò, i sindacati hanno più volte ribadito la volontà di proseguire la trattativa, considerato anche il precedente di anni di relazioni industriali «costruttive»;
   dopo la prima mobilitazione si sono svolti diversi incontri tra sindacati e azienda al fine di approfondire le reciproche posizioni; tuttavia, dopo aver constatato il permanere di posizioni distanti, in data 3 luglio 2015 le organizzazioni sindacali hanno proclamato, durante un incontro tenutosi a Bologna, una giornata di sciopero nazionale per l'11 luglio 2015;
   si tratta del primo caso di sciopero nazionale da quando il gruppo ha aperto i suoi punti vendita in Italia –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di agevolare una soluzione della vertenza che non pare nemmeno giustificata dalla situazione economica del gruppo, che vanta utili significativi – per l'anno fiscale 2013-2014, ad esempio, Ikea ha registrato un utile netto globale di 3,3 miliardi di euro, con un aumento di fatturato del 2,8 per cento – garantiti anche dal peculiare assetto societario che comprende holding, franchising e varie fondazioni, e in quale modo intenda stimolare il ciclo produttivo dell'intero comparto per dissuadere l'attore economico principale, anche convocando un tavolo con le parti interessate, dallo smantellare un tessuto produttivo ormai radicato sul territorio italiano. (3-01619)


   GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Acciai speciali Terni spa, nota anche come Ast, è una società italiana operante nel settore della metallurgia, siderurgia e informatica, fondata il 10 marzo 1884 con il nome di Società degli alti forni, fonderie e acciaierie di Terni;
   l'azienda, attraverso società controllate e partecipate in Italia e all'estero, è specializzata nella lavorazione e distribuzione di acciai (inox, basso legati e al carbonio, fucinati e titanio) destinati principalmente ai settori alimentari, edili, casalinghi, elettrodomestici, energetici e alle industrie di base, siderurgiche e meccaniche;
   ad oggi, Acciai speciali Terni spa si qualifica come gruppo industriale leader per l'impiantistica moderna e sofisticata, per le innovazioni tecnologiche e produttive e per la qualità dei propri processi e prodotti, classificandosi come uno dei maggiori poli siderurgici mondiali;
   si sono create ulteriori prospettive di mercato per Acciai speciali Terni spa grazie all'imposizione di dazi all'importazione di acciaio dalla Cina (che, però, attualmente è temporanea) e alla chiusura da parte di Outokumpu dello stabilimento europeo concorrente sito a Bokum;
   pertanto, Acciai speciali Terni spa ricopre un ruolo strategico nel panorama non solo nazionale, ma anche europeo e mondiale nella produzione di acciai speciali, essendo tra i primi produttori mondiali di laminati piani inossidabili e costituendo un imprescindibile pilastro economico per l'intera regione umbra e per il Centro Italia;
   il polo siderurgico di Terni rappresenta il più grande sito industriale dell'Italia centrale e produce il 15 per cento del prodotto interno lordo umbro, occupando fra manodopera e indotto circa 5.000 lavoratori; a fine 2014, infatti, il totale degli addetti era di circa 2.750 unità: di questi 2.230 erano impiegati in Acciai speciali Terni spa, di cui circa 1.690 operai, 530 impiegati e 26 dirigenti, e circa 520 nelle società controllate;
   dal 2014 Acciai speciali Terni spa è controllata nuovamente dalla ThyssenKrupp, che nel novembre 2013 ha riacquisito, tra le altre, le attività di parte di Inoxum, di Acciai speciali Terni spa e delle sue società controllate (Sdf, Tubificio e Aspasiel). Il passaggio è avvenuto dopo un periodo di due anni per effetto della cessione della proprietà da parte della multinazionale finlandese Outokumpu, che ebbe ad acquistare la proprietà del polo dalla stessa ThyssenKrupp il 7 novembre 2012; l'operazione, che si è resa necessaria a seguito della richiesta della Commissione europea per evitare la costituzione di imprese aventi posizioni dominanti sul mercato europeo, si è perfezionata con l'approvazione dell'Unione europea in data 13 gennaio 2014;
   in ragione di tale perfezionamento, ThyssenKrupp ha fornito alla Commissione europea un piano di attività sugli investimenti in Acciai speciali Terni spa e sugli interventi per migliorarne la redditività, sulla base del quale la Commissione europea ha ritenuto che l'acquisizione avrebbe preservato una concorrenza effettiva, mantenendo una quarta forza competitiva nel mercato dello spazio economico europeo dell'inox;
   successivamente ThyssenKrupp ha annunciato lo sviluppo e la presentazione entro il mese di luglio 2014 di un nuovo piano industriale, al fine di rendere profittevole il sito di Terni, risanando i conti degli ultimi esercizi;
   nel luglio 2014 Thyssenkrupp-Acciai speciali Terni spa ha presentato un piano di rilancio che, al fine di rendere profittevole il sito di Terni, ne prevedeva un drastico ridimensionamento. Secondo le previsioni del management tedesco (nella persona dell'amministratore delegato Lucia Morselli e di Joachim Limberg in qualità di amministratore delegato dell'area materials services di ThyssenKrupp), il piano ipotizzava, entro l'anno fiscale 2015-2016, lo spegnimento di uno dei forni elettrici dello stabilimento e la riduzione dei livelli occupazionali di circa 550 unità, prevedendo altresì interventi sui costi in tutte le aree, per un risparmio stimato di 100 milioni di euro in 5 anni (39 milioni di euro nei primi due anni, più altri 61 da spalmare nel quinquennio);
   i licenziamenti previsti dal primo piano Thyssenkrupp-Acciai speciali Terni spa erano così distribuiti: 220 nei primi due anni e 330 alla fine dei due anni; a questi si sarebbero aggiunti poi altri 400 dipendenti delle ditte esterne e dell'indotto. L'azienda ThyssenKrupp aveva, infatti, proposto anche un taglio del 20 per cento dei contratti stipulati con le ditte esterne, dalla manutenzione ai trasporti, passando per la vigilanza, la pulizia e l'edilizia industriale, per arrivare ad un licenziamento complessivo di circa 900-950 dipendenti dell'intero sito ternano, con prevedibili effetti sull'intero tessuto economico e sociale del ternano, che verrebbe sottoposto ad un forte depauperamento di risorse produttive ed occupazionali;
   i sindacati locali e nazionali hanno ritenuto «inaccettabile» il piano Thyssenkrupp-Acciai speciali Terni spa e all'incontro del 25 luglio 2014 presso la camera del lavoro di Terni gli stessi hanno definito il piano industriale dell'azienda come un piano finanziario che puntava al ridimensionamento e che sanciva la deindustrializzazione di Terni e dell'Umbria intera;
   il piano di licenziamenti presentato da ThyssenKrupp per Acciai speciali Terni spa avrebbe implicato costi sociali ed industriali elevatissimi, in termini di impatto sia sull'occupazione diretta delle imprese del gruppo sia sulla riduzione dei volumi di produzione, sulle attività e sulle imprese dell'indotto;
   nel corso della successiva trattativa sindacale è intervenuta da ultima la proposta dell'amministratore delegato Morselli, la quale proponeva una mobilità agevolata per circa 300 addetti con un incentivo economico di circa 80.000 euro, ma i sindacati locali ritennero inaccettabile questa condizione rigettando l'ipotesi di accordo sulla mobilità agevolata;
   in data 5 settembre 2014, dopo un confronto durato oltre quattordici ore, presso il Ministero dello sviluppo economico, la proprietà delle Acciai speciali Terni spa ha sottoscritto un'intesa con le organizzazioni sindacali in base alla quale la ThyssenKrupp ha ritirato la procedura di mobilità per circa 550 lavoratori dipendenti, nonché la disdetta del contratto collettivo integrativo sociale ed ha stabilito il termine del 5 ottobre 2014 entro il quale trovare una soluzione condivisa in merito al piano di ristrutturazione proposto dall'azienda a tutela dei livelli occupazionali e della capacità produttiva del sito umbro;
   purtroppo, il 9 ottobre 2014 il «fitto calendario di incontri» deciso al tavolo del Ministero per discutere il piano industriale di ThyssenKrupp, nella speranza di trovare una composizione tra gli interessi di efficientamento dell'azienda e la richiesta di tutele dei lavoratori e dei livelli occupazionali, è sfociato in un nulla di fatto e il 10 ottobre 2014 l'azienda ha riattivato la procedura di mobilità per 537 lavoratori dipendenti (fra operai, quadri e impiegati: 473 per la sola Acciai speciali Terni spa, i restanti distribuiti nelle società controllate);
   l'annosa vicenda dell'azienda di Terni, prima in mani finlandesi che l'avrebbero voluta come centro produttivo dell'area mediterranea e poi, a causa di un abuso di posizione dominante nella produzione dell'acciaio inossidabile riconosciuto dall'autorità europea antitrust, nuovamente in mani tedesche, che hanno ribaltato il piano espansivo dei finlandesi, rafforzando gli stabilimenti in Germania a scapito di quelli italiani, ha provocato lunghi scioperi da parte dei lavoratori, nonché scontri di piazza fra le forze dell'ordine e i manifestanti a partire dal mese di agosto 2014;
   in data 3 dicembre 2014, dopo quattro mesi di una delle vertenze più dure degli ultimi trent'anni, è stato siglato il nuovo accordo per l’Acciai speciali Terni spa e le controllate Aspasiel, Sdf e Tubificio;
   tale accordo modifica profondamente il piano industriale di ridimensionamento del 17 luglio 2014, prevedendo un piano di ristrutturazione, rilancio e sviluppo su quattro anni che si pone l'obiettivo di garantire almeno un milione di tonnellate di fuso, il mantenimento dei 2 forni, un significativo piano di investimenti, una politica commerciale adeguata, la gestione delle eccedenze attraverso la fuoriuscita esclusivamente volontaria e incentivata, evitando di fatto licenziamenti coatti, la tutela dei contratti a tempo determinato e degli apprendisti e il nuovo contratto integrativo, che prevede: il mantenimento delle maggiorazioni notturne e dell'indennità domenicale, un premio per tutti di 723 euro detassati e decontribuiti che non è stato ancora erogato, un percorso che garantisce la tutela anche ai lavoratori delle ditte terze. Nel corso dell'ultima fase della trattativa è stato respinto il tentativo dell'azienda di introdurre la cassa integrazione guadagni straordinaria per 400 lavoratori per 24 mesi;
   a seguito del recente annuncio della vendita della controllata Vdm (società specializzata nel business delle leghe speciali) da parte della Thyssenkrupp, nei giorni scorsi i sindacati nazionali e locali, preoccupati per le possibili pericolose ripercussioni su Acciai speciali Terni spa, hanno chiesto al Ministro dello sviluppo economico un urgente incontro in sede governativa per la verifica dell'accordo del 3 dicembre 2014. Nella nota congiunta firmata da Fiom, Fim, Uilm, FismiceUgl si legge: «Tale richiesta, già inoltrata, ha assunto un carattere di urgenza a fronte di quanto determinatosi negli ultimi giorni che dal nostro punto di vista non è in linea con quanto concordato nell'accordo del 3 dicembre 2014. La suddetta richiesta è ancor più necessaria in considerazione del fatto della ferma volontà, da parte del management di Acciai speciali Terni spa, di non voler ripristinare le corrette relazioni sindacali. Ciò è dimostrabile dall'improvviso sottrarsi, in sede locale, al confronto sulle tematiche dell'accordo stesso»;
   sono quindi, due i motivi alla base della richiesta: l'improvvisa vendita da parte della multinazionale della controllata Vdm e la riorganizzazione aziendale che sarebbe stata decisa dal management al di fuori della contrattazione sindacale, mettendo a repentaglio sia la sicurezza, sia gli obiettivi di produzione aziendali sottoscritti nell'accordo;
   nel comunicato della ThyssenKrupp che ha annunciato la vendita di Vdm, riacquistata a fine 2013 dai tedeschi da Outokumpu, la multinazionale è tornata a dire di aver sempre sottolineato di non aver intenzione di mantenere le due società (Vdm e Acciai speciali Terni spa) «nel medio-lungo termine»; tuttavia, la cessione della società specializzata nel business delle leghe speciali potrebbe avere ripercussioni sul brevissimo termine;
   ThyssenKrupp ha annunciato la vendita di Vdm group a Lindsay Goldberg, un fondo americano con sede in Europa a Düsseldorf. Il valore dell'operazione non è stato divulgato, ma il colosso industriale tedesco ha sottolineato che influirà positivamente sulla sua situazione finanziaria. La vendita consentirà, inoltre, al colosso tedesco dell'acciaio di ridurre «l'esposizione al settore volatile dei materiali supportando l'obiettivo strategico di rendere ThyssenKrupp un gruppo industriale diversificato e portando a una correzione del book value di circa 100 milioni di euro»;
   i sindacati hanno sottolineato: «Oltre alla necessità di mantenere in equilibrio le produzioni tra area a caldo e area a freddo, abbiamo sempre chiesto al management aziendale quale futuro potesse avere il titanio. Negli ultimi anni Acciai speciali Terni spa ha eseguito la produzione in conto lavorazione per Vdm fino allo scorso autunno. Come sindacato denunciammo che il mercato che aveva in passato Titania, per le scelte poco lungimiranti effettuate in Germania anni orsono, in poco tempo fosse andato distrutto, con i clienti che si sono dispersi». «Dall'accordo del Ministero dello sviluppo economico, Acciai speciali Terni spa ha affermato in più di una circostanza la volontà di rimanere nel mercato del titanio. Come sindacato abbiamo chiesto al management aziendale cosa abbia messo in campo per valorizzarne la strategia commerciale, quali azioni siano state elaborate per creare gli stock strategici, senza ottenere risposte esaustive e di prospettiva. Ora il tempo sta scadendo. Il sito di Terni deve attrezzarsi il più velocemente possibile per non perdere questo business sicuramente di nicchia ma dall'elevato valore aggiunto, che per anni è rimasto strategico nelle logiche aziendali»;
   nell'accordo firmato il 3 dicembre 2014 le parti si erano impegnate a rilanciare la produzione del titanio, che ora è a rischio smantellamento, nonostante si sia acquisita una nuova commessa, ed è una delle produzioni di Acciai speciali Terni spa che hanno fatto la forza del sito siderurgico di Terni;
   in una fase come questa, poi, sarebbe necessario rafforzare le opportunità formative per i soggetti più deboli, anche fortificando la cultura dell'apprendimento nel luogo di lavoro;
   ad oggi non esiste un piano di investimenti nel settore della formazione e della ricerca e sviluppo, anzi si stanno perdendo risorse interne ed esterne, come il centro sviluppo materiale;
   il prossimo semestre diventa determinante per Acciai speciali Terni spa perché è assolutamente necessario recuperare i volumi, facendo attenzione sempre alla qualità;
   relativamente all'imposizione di dazi, la misura è provvisoria, mentre la decisione definitiva sarà presa alla fine dell'inchiesta che era stata aperta a giugno 2015 dalla Commissione europea su richiesta di alcune aziende europee rappresentate da Eurofer; i vantaggi che potrebbero derivarne per Terni e il sistema Italia sarebbero notevoli;
   un segnale importante potrebbe arrivare anche dall'investimento sulla linea 6, che garantirebbe performance migliori, consentendo un'ottimale gestione delle linee a freddo, dando slancio all'area a caldo –:
   quali urgenti iniziative intenda il Governo assumere per assicurare il rispetto dell'accordo del 3 dicembre 2014, supportare il rilancio della realtà produttiva ed occupazionale di Acciai speciali Terni spa e tutelare il patrimonio di competenze produttive acquisite negli anni, salvaguardando il valore strategico che Acciai speciali Terni spa ricopre per l'economia umbra e italiana, scoraggiando fenomeni di smantellamento e delocalizzazione industriale che provocano il depauperamento delle risorse dell'intero settore dell'acciaio, la cui perdita rappresenterebbe un duro colpo per la politica industriale italiana. (3-01620)


   TANCREDI, MINARDO e VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il ritardo nella realizzazione di una rete digitale a banda larga ultraveloce ovvero, più in generale, di nuova generazione, rappresenta uno dei maggiori fattori frenanti di una concreta prospettiva di crescita economica del Paese in un contesto di competizione globale;
   il Governo ha dato un segnale molto chiaro e apprezzabile con il varo, a marzo 2015, di un documento strategico denominato «Strategia italiana per la banda ultralarga»;
   in questo documento risulta particolarmente condivisibile l'impostazione che capovolge un pensiero che è stato a lungo dominante: quello secondo cui l'offerta infrastrutturale deve seguire gli andamenti della domanda. Il documento si apre, invece, richiamando uno scenario che non è una suggestione futuribile come il nome («Internet delle cose») lascerebbe intendere, ma è – al contrario – una realtà già concreta per le parti più avanzate e ricche del pianeta e presto lo diventerà – ce lo si deve augurare – anche per il nostro Paese;
   quindi, l'offerta di reti di nuova generazione deve diventare un «obiettivo Paese». Forse uno dei più importanti e strategici;
   ma nel documento non sono contenute (e non potrebbe essere altrimenti) tutte le scelte necessarie ad articolare un concreto ed efficace intervento pubblico sul settore;
   altri atti, dotati di forza di legge (o per lo meno di atto amministrativo), devono articolare gli indirizzi contenuti nel documento strategico che ha il limitato (ma fondamentale) compito di delineare una volontà politica e una prospettiva di governo;
   esistono almeno tre versanti da considerare;
   il primo è un versante finanziario: quante risorse pubbliche si riesce a mettere in campo e quali sono gli effetti che si attendono in termini di investimenti privati. Su questo si apprende qualcosa dalla stampa (da ultimo un'intervista su Il Sole 24 ore di martedì 14 luglio 2015 del vice segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri), ma ancora non emergono le cifre di una strategia chiara, soprattutto in termini di investimenti privati e di analisi convincenti costi-benefici;
   il secondo è un versante normativo, che ha richiesto (e richiederà ancora) la modifica di una legislazione ancora non idonea a rendere raggiungibili gli obiettivi del piano;
   il terzo è un versante strategico e riguarda il ruolo delle imprese private nella realizzazione della strategia. Non solo del principale operatore nel settore delle telecomunicazioni – che ancora oggi vede i propri bilanci gravati dagli effetti a lungo termine di una delle privatizzazioni peggio gestite dal Governo italiano (ci si riferisce, evidentemente, alle note vicende del 1997). Ma anche degli altri operatori del settore, dell’Enel, degli altri gestori delle principali utilities;
   questi versanti dovranno progressivamente chiarirsi attraverso una serie coerente, ma anche serrata, di atti;
   si è parlato per mesi di un decreto in via di elaborazione. Ma poi tale decreto è andato, evidentemente, incontro a difficoltà nella fase della definizione dei dettagli;
   adesso, senza che il decreto sia stato emanato, si torna a parlare del solo aspetto finanziario. E quindi dell'assegnazione di risorse derivanti dal fondo sviluppo e coesione;
   ma si tratta di vicende che si seguono sulla stampa. Mentre appare importante che l'intera vicenda divenga oggetto di un completo e approfondito dibattito parlamentare, data la rilevanza strategico di questo tema e il peso di interessi di parte che deve essere, invece, bilanciato dall'interesse generale, la cui sede di formazione è – e non può che essere – il Parlamento;
   infatti, dal momento che la rete fissa a banda ultralarga in fibra ottica costituisce un'infrastruttura strategica, non meno rilevante, per le ricadute positive che può comportare sul piano della crescita complessiva dell'economia di un Paese che voglia mantenersi competitivo, delle altre infrastrutture fisse, a partire da quelle di trasporto ed energetiche, è decisivo che il Governo sia dotato di una strategia molto chiara, ma soprattutto che il Parlamento dia il proprio contributo alla definizione di tale strategia –:
   quale sia la tempistica con cui il Governo intende procedere su ciascuno dei tre versanti indicati in premessa, con particolare riferimento ai passaggi successivi, in modo da conoscere se intenda o meno assecondare e seguire la domanda dei singoli utenti. (3-01621)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   HP ES è una multinazionale operante nel comparto informatico, sia nel settore software che in quello hardware;
   essa è presente in Italia con varie sedi, tra cui una a Pozzuoli, in provincia di Napoli;
   il sito oggi a Pozzuoli era originariamente nato nel 1990 a Caserta ed aveva visto il raggiungimento del massimo livello occupazionale nell'anno 2000, con circa 450 dipendenti;
   successivamente, con il trasferimento a Pozzuoli e con l'acquisizione da parte di HP, il numero di occupati si attestò intorno alle 300 unità, andando sempre più a decrescere per effetto dei continui piani di esodo che HP ha messo in atto negli ultimi anni, portando il numero agli attuali circa 200 addetti;
   la sede di Pozzuoli si caratterizza per elevate competenze maturate in circa 25 anni da professionisti in massima parte laureati, che hanno segnato tante storie di successo nel panorama dell'ICT nazionale;
   basti pensare che da più di otto anni nell'unità operativa di Pozzuoli si gestiscono le applicazioni del Ministro istruzione, dell'università e della ricerca;
   il sito è impiegato in progetti del Ministero della giustizia e di altri enti pubblici, ed opera, inoltre, anche in ambiti internazionali;
   il sito dell'HP di Pozzuoli è una risorsa incredibile di competenze tecniche e funzionali;
   ciononostante l'unità operativa di Pozzuoli sembra essere considerata solo un punto sulla cartina geografica, ed il management italiano di HP ha deciso di svendere un'incredibile potenziale che è stato depotenziato negli anni per via di inaccettabili scelte di decentramento del lavoro in altri Paesi;
   il 7 luglio 2015 l'HP ha annunciato la dismissione del sito, stabilendo che dei 161 addetti 31 saranno trasferiti presso la sede di Roma e 130 saranno oggetto di cessione individuale del contratto di lavoro alla Maticmind;
   la Maticmind ha un organico di circa 190 addetti sull'intero territorio nazionale, e la sede di Napoli conta solo 17 addetti;
   la Maticmind sta di fatto acquistando una forza lavoro di 130 addetti (che rappresentano quasi tutto il suo attuale organico nazionale): ciò fa sorgere non poche perplessità sull'operazione, soprattutto se si considera che la Maticmind ha recentemente richiesto ed ottenuto un contratto di solidarietà, e cioè un ammortizzatore sociale;
   è dubbio, a questo punto, che la Maticmind possegga quei requisiti di continuità lavorativa dichiarati dal management di HP nelle scorse settimane;
   in una fase di profonda desertificazione industriale come quella che ha colpito il Mezzogiorno, e la Campania in particolare, negli ultimi anni, non si può rischiare un ulteriore impoverimento di territori già duramente colpiti dalla crisi economica ed occupazionale –:
   se non ritengano opportuno, doveroso ed urgente intervenire al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e la continuità retributiva dei lavoratori e delle lavoratrici fino ad ora impiegati da HP. (4-09815)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Martella e altri n. 3-01609, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Casellato, Crimì.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato, aggiunta di firme e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Locatelli n. 1-00553, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 268 del 21 luglio 2014 che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Antezza, Labriola, Gigli, Fitzgerald Nissoli.

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Unicef nel mondo ci sono oltre 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori, precoci, forzati (child, early, forced marriage);
    l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana sono le regioni in cui questa pratica è più largamente diffusa dove, non casualmente in coincidenza, sono presenti altri gravi fenomeni, come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l'analfabetismo. Ma si registrano casi anche in Medio Oriente e Africa settentrionale, così come in Europa, compresa l'Italia, per effetto dei processi migratori, anche se il fenomeno è di difficile rilevazione, in quanto spesso queste unioni non vengono registrate;
    questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per «liberarsi» delle figlie, considerate un peso, perché «poco produttive», nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali;
    al contrario, essi comportano una serie di conseguenze negative che segnano per sempre la vita delle spose bambine: queste ultime vengono precocemente sottratte all'ambiente della famiglia e a volte della comunità di origine, sono spesso soggette a violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, vittime di abusi e sfruttamento, impedite nelle opportunità educative (solitamente il matrimonio comporta l'abbandono scolastico) e di lavoro, vivono esperienze che comportano conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale;
    al matrimonio precoce seguono quasi sempre gravidanze altrettanto precoci, che provocano decine di migliaia morti, una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un'alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici;
    già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell'educazione nelle azioni di prevenzione;
    nel programma di azione della stessa Conferenza i Governi firmatari si erano impegnati a proteggere e promuovere il diritto degli/delle adolescenti a ricevere un'educazione sulla salute riproduttiva e a garantire l'accesso universale a queste informazioni;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce espressamente i/le bambini/e (ossia persone di età tra 0 e 18 anni) come titolari di diritti e l'articolo 16 della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) menziona il diritto di essere protette da matrimoni precoci;
    molti Paesi, compresi quelli in cui questa pratica è diffusa, hanno stabilito per legge l'età minima per il matrimonio, l'istruzione obbligatoria e i reati contro i minori, ma le norme tradizionali o di ordine religioso continuano ad avere il sopravvento sulla legislazione nazionale;
    malgrado la dichiarazione, pressoché universale, di impegno a porre fine alla pratica, si calcola che matrimoni di bambine di meno di 15 anni continueranno ad essere celebrati e che in questo decennio saranno 50 milioni le bambine che potrebbero rischiare di sposarsi prima di quell'età;
    il 22 ottobre 2014, con la risoluzione votata all'unanimità in Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, il Governo si era sostanzialmente già impegnato ad intraprendere con urgenza ogni iniziativa utile sul fenomeno dei matrimoni precoci e forzati di minori in Iraq;
    il 18 dicembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati; questa risoluzione comprende raccomandazioni «di sostanza» sulle quali convergono gli Stati membri, con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte delle Nazioni Unite e delle loro agenzie, di Stati membri, organizzazioni internazionali, espressioni della società civile ed altri rilevanti attori;
    il 2 luglio 2015 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato per consenso la risoluzione sui matrimoni precoci e forzati «Rafforzare gli sforzi per prevenire e eliminare i matrimoni precoci e forzati», il cui negoziato è stato co-presieduto da Italia e Sierra Leone;
    l'azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili. Secondo i dati delle Nazioni Unite, pubblicati in occasione della giornata internazionale «tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili», il numero delle ragazze vittime di questa pratica, che mette in serio pericolo la loro vita, è diminuito e l'adozione unanime da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite della risoluzione del dicembre 2012, con la quale gli Stati membri sono stati invitati a intensificare gli impegni per la completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili, ha certamente contribuito al conseguimento di questo risultato;
    la questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell'azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile;
    il nostro Paese ho svolto un grande ruolo, riconosciuto a livello internazionale, nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che ha fatto acquisire all'Italia un'autorevolezza internazionale tale da consentirgli di svolgerne uno altrettanto importante nella prevenzione ed eliminazione dei matrimoni di minori, precoci e forzati;
    il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles il 4 e 5 giugno 2014, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, porre fine a tutte le forme di discriminazione e di violenza contro donne e ragazze, porre fine ai matrimoni di minori, precoci e forzati e promuovere la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alla risoluzione «Matrimoni di minori, precoci, forzati», adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014, e alla risoluzione «Rafforzare gli sforzi per prevenire e eliminare i matrimoni precoci e forzati», adottata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il 2 luglio 2015;
   a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale una rinnovata campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine, con l'impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
   a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all'abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati.
(1-00553)
(Ulteriore nuova formulazione) «Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Gigli, Spadoni, Nicchi, Gebhard, Giorgia Meloni, Bechis, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Fitzgerald Nissoli, Gadda, Gribaudo, Gullo, Iori, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari, Carfagna, Giammanco, Scuvera, Antimo Cesaro, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Antezza, Labriola».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Bechis n. 1-00946 del 13 luglio 2015.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-08470 del 19 marzo 2015;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-01464 del 28 aprile 2015.
   interrogazione a risposta in Commissione Latronico del 1o luglio 2015 n. 5-05930;
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n. 5-05983 del 6 luglio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-09777 del 9 luglio 2015.