Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 10 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la redazione dei piani relativi al traffico, alla «zonizzazione» e al risanamento acustico (piano urbano del traffico, programma attuativo annuale, piano di risanamento acustico) è regolata dalla legge per le finalità di tutela della salute umana e della protezione dell'ambiente;
    il codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, all'articolo 36, commi 1 e 4, dispone che i comuni con più di 30.000 abitanti sono tenuti ad adottare piani urbani del traffico finalizzati ad ottenere miglioramenti nella circolazione e nella sicurezza stradale e riduzione dell'inquinamento atmosferico e acustico;
    il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2004, n. 142, adottato ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 447 del 1995 per «il contenimento e la prevenzione dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare» è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 1o giugno 2004;
    i criteri previsti dal citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 142 del 2004 per la «zonizzazione» acustica del territorio comunale autorizzano i comuni a consentire, nelle arterie stradali comunali, livelli di rumore pari a 70 dB(A) nelle ore diurne e 60 dB(A) nelle ore notturne, a fronte di un limite fissato per le nuove autostrade in 65 dB(A) nelle ore diurne;
    ad esempio, nel 2013, il comune di Segrate ha approvato i piani di «zonizzazione» (PUT, PAA, PRA) inquadrando l'asse stradario «Cassanese» nella classe «D» – per la quale il citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 142 del 2004 prevede valori di rumorosità di 70 dB(A) per le ore diurne e 60 dB(A) per le ore notturne – ancorché la suddetta strada attraversi un'area completamente residenziale;
    i valori di rumorosità ammessi dal comune di Segrate per la via Cassanese sono quindi superiori persino a quelli assegnati a nuove autostrade come l'autostrada Brescia-Bergamo-Milano (Bre.Be.Mi), per la quale sono previsti i limiti di 65 dB(A) per le ore diurne e di 55 dB(A) per le ore notturne;
    l'inquinamento acustico misurato più volte sulla via Cassanese a Segrate è tale da costituire pericolo per la salute: infatti, i valori di rumore misurati su detta arteria sono risultati superiori a 70 dB(A) nelle ore diurne e a 60 dB(A) nelle ore notturne;
    è provato che il rumore non insidia solo il sonno, ma è causa di tachicardia, variazione della pressione arteriosa e della capacità respiratoria, gastriti, alterazioni visive e nervose e – non ultimo – della perdita di udito; la persistenza dell'inquinamento acustico nell'ambiente abitativo, oltre a provocare disturbo, fino a configurarsi nei rapporti privatistici come «molestia nel possesso di immobile» tutelato dall'articolo 1170 del codice civile, costituisce soprattutto un motivo di grande sofferenza per i cittadini;
    l'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute come inviolabile e assoluto; la Corte di cassazione, in ripetute sentenze, ne ha specificato l'interpretazione, asserendo che esso non ha come oggetto solo la incolumità fisica, ma si identifica soprattutto con il diritto ad un ambiente salubre, che non è suscettibile di compressione ad opera di interessi di ordine collettivo o generale;
    il citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 142 del 2004 appare pertanto non compatibile con i principi costituzionali per manifesto contrasto con il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione: infatti, le pertinenti disposizioni, nel definire fasce pertinenziali e limiti di immissione di rumore che ignorano sia le regole della generazione e della diffusione del rumore, sia le conseguenze di disturbo della popolazione ad esso esposta, sono ben lontane dall'assicurare effettivamente ed efficacemente la prevenzione e la riduzione del rumore generato dal traffico veicolare;
    i casi in cui si prescrivono gli interventi di mitigazione ex post attraverso i piani previsti dal decreto del Ministro dell'ambiente 29 novembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 285 del 6 dicembre 2000, risultano in larga misura correlati alla presenza di ricettori particolarmente protetti (non sempre, per altro, garantendo il conseguimento dell'obiettivo fissato dalla norma) e talora sono riferiti all'esigenza di rispettare i minori limiti di rumore fissati per le ore notturne;
    per conseguenza, l'evidente sopravvalutazione delle esigenze, anche finanziarie, delle società concessionarie e degli enti titolari delle infrastrutture, comporta che per decine di migliaia di chilometri quadrati di territorio nazionale (un'estensione stimata tra il 20 e il 25 per cento della superficie complessiva del territorio dello Stato) risulti normativamente sancita l'ammissibilità di livelli di rumorosità dai più ritenuti intollerabili,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2004, n. 142, al fine di adeguare i limiti del rumore derivante dal traffico veicolare e del conseguente inquinamento acustico in base alle esigenze di tutela della salute, assicurando il rispetto dell'articolo 32 della Costituzione.
(1-00944) «De Rosa, Micillo, Mannino, Daga, Busto, Terzoni, Zolezzi, Grillo, Baroni, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è il primo produttore di ciliege in Europa e il quarto nel mondo, con una produzione diffusa in numerose aree dell'intero territorio nazionale che, nel periodo 2004-2008, è cresciuta del 41,2 per cento, raggiungendo il 7,2 per cento della produzione mondiale (che si è incrementata, nello stesso periodo, del 9,1 per cento); la produzione cerasicola italiana – frutto della tradizione rurale italiana ed in particolare di quei territori che meglio di altri in Europa hanno saputo sviluppare le migliori tecniche agronomiche – presenta caratteristiche di assoluta qualità ed eccellenza., in termini organolettici, nutrizionali e di immagine, che la rendono particolarmente apprezzata all'estero;
    la ciliegicoltura italiana vanta inoltre numerosissime varietà autoctone, molte delle quali sono state utilizzate per la sperimentazione e il miglioramento genetico a livello planetario. Ancora oggi il livello qualitativo italiano è irraggiungibile benché inizi a subire l'influenza di dinamici competitor quali Spagna, Turchia, Siria, Romania che, seppur con poche varietà e per specifici periodi, riescono sempre di più a guadagnare spazio nei migliori mercati europei e mondiali;
    le ciliege italiane rappresentano pertanto uno dei migliori e più affascinanti esempi della produzione ortofrutticola «made in Italy»; la rilevanza della produzione cerasicola nazionale non è data solo dal suo prodotto frutticolo, ma anche dalla produzione legnosa (sono di essenza di legno di ciliegio i migliori mobili della produzione della Brianza); inoltre, la coltivazione delle ciliege – che avviene in piantagioni poste generalmente in collina e media montagna – assume anche una particolare valenza ambientale, essendo legata a valori ecologici, di assetto e salvaguardia del territorio dal rischio idrogeologico, di redditività delle aree marginali di alta collina e montagna;
    nel 2009 si è tuttavia verificata, a fronte della crescita complessiva del mercato mondiale, una inversione di tendenza nella produzione italiana, con un arretramento rispetto al 2008 in tutti gli indici di riferimento; più precisamente, il totale degli impianti è passato da 29.740 a 29.726, la superficie in produzione da 28.900 a 28.796 ettari; la produzione da 137.580 a 129.079 tonnellate, la produzione raccolta da 134.387 a 116.179 tonnellate;
    anche nell'anno 2010 questa tendenza negativa risulta confermata; le principali cause di questo trend negativo sono da riscontrare negli elevati costi di produzione e nei rischi i d'impresa molto alti, condizionati dalla brevità della stagione produttiva, fortemente legata a fattori climatici e meteorologici, dalla produzione disseminata su terreni frazionati e di estensione ridotta, da una produzione estera sempre più dinamica, nonché dalla necessità di migliorare, mediante idonei progetti di ricerca, il panorama varietale con l'offerta di nuove tipologie produttive;
    è indubbio, dunque, che occorre intervenire con immediatezza per invertire il trend negativo, tenuto conto del significato strategico della produzione di ciliege nel paniere frutticolo dell'Italia, del valore economico complessivo delle attività ad essa legate e del rilevante numero di persone impegnate; in particolare, occorre definire specifiche iniziative per rilanciare il settore della ciliegicoltura, rendendo la produzione più competitiva nel mercato mondiale e sviluppando azioni per un ulteriore miglioramento della qualità, per la valorizzazione e la promozione di questo prodotto di eccellenza; è necessario inoltre riservare una specifica attenzione alla ciliegicoltura oltre che nel quadro delle politiche per il settore ortofrutticolo, anche in quelle finalizzate alla promozione degli alimenti caratteristici del territorio nazionale, in quanto dotati di un particolare valore nutrizionale; ridare ossigeno al settore comporterà risvolti positivi in termini di sviluppo dell'occupazione e di prodotto interno lordo nazionale così come sarà di fondamentale importanza rilanciare l'immagine di un prodotto vissuto dai consumatori al vertice qualitativo della produzione ortofrutticoltura italiana, di grande e storico prestigio, capace di trainare l'intero comparto nazionale in quanto primo frutto della primavera,

impegna il Governo:

   ad istituire uno specifico «tavolo di settore cerasicolo» presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con lo scopo di approfondire tutte le problematiche che interessano il relativo comparto produttivo nonché a definire adeguate e specifiche politiche di rilancio del settore;
   ad elaborare un piano di settore, che affronti tutte le questioni di rilievo per la ciliegicoltura italiana e gli specifici obiettivi da raggiungere, con riferimento a: valorizzazione delle produzioni e marketing territoriale, promozione della meccanizzazione, di innovative tecniche colturali, di conservazione e di trasformazione del prodotto, ricerca e miglioramento genetico, difesa fitosanitaria;
   ad adottare specifiche iniziative per programmare e finanziare la realizzazione di progetti di valorizzazione e marketing territoriale, attività di ricerca, promozione della qualità e innovazione di processo, contributi di filiera;
   a favorire la formazione di consorzi di produttori per rendere la ciliegia un volano di sviluppo dei territori in cui viene coltivata;
   ad adottare iniziative mirate a sostenere lo sviluppo e la valorizzazione delle filiere cerasicole, con riferimento anche alle filiere della trasformazione agroalimentare e del legno di ciliegio;
   ad attivare iniziative di promozione del consumo di ciliege, anche nell'ambito di quelle già previste nel campo della nutrizione e della sicurezza alimentare, della dieta mediterranea, della cultura alimentare e del consumo di frutta nelle scuole, del turismo enogastronomico;
   a sviluppare un reale coordinamento nella valorizzazione di tutto il qualificato paniere di produzioni ortofrutticole finalizzato a promuovere concrete e specifiche azioni promozionali per consolidare il mercato del «made in Italy» in Italia, in Europa e nel mondo nonché a tutelare la ciliegicoltura e tutti i prodotti italiani di qualità da fenomeni di agropirateria e di sofisticazioni;
   a prevedere la partecipazione dell'Associazione nazionale città delle ciliegie al tavolo di settore da istituire presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nonché ad ulteriori organismi operanti nel campo della nutrizione e della sicurezza alimentare, della promozione della dieta mediterranea, della cultura alimentare e del consumo di frutta nelle scuole, e, in particolare, alla Commissione per la promozione e la valorizzazione del turismo enogastronomico presso il dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   ad assumere iniziative per riconoscere la ciliegia quale «frutto della Nazione» per il verde delle foglie, il bianco raggiante della propria fioritura, il rosso brillante dei succosi frutti, attivandosi per l'istituzione della «giornata nazionale della ciliegia» da prevedersi nel primo week-end del mese di giugno.
(7-00731) «Catanoso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti spa (C.D.P.) è una società per azioni, partecipata per l'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,45 per cento da diverse Fondazioni bancarie e per il restante 1,5 per cento con azioni proprie, la cui mission è gestire l'ingente risparmio postale italiano;
   attualmente la carica di Presidente della Cassa depositi e prestiti è ricoperta dal professor Franco Bassanini mentre Giovanni Gorno Tempini ricopre la carica di amministratore delegato;
   la gestione suddetta ha prodotto negli anni un bilancio sempre in attivo e assicurato dividendi agli azionisti impegnati nel capitale; l'ultimo utile di esercizio da bilancio 2014 è di 2,17 miliardi di euro. Nonostante ciò, da mesi è nota la volontà del Presidente del Consiglio e dei suoi consulenti economici di procedere, prima della naturale fine del mandato, ad un cambio di vertice «targato» Claudio Costamagna e Fabio Galia, provenienti dal mondo della finanza speculativa internazionale;
   notizie di stampa, ormai copiose sull'argomento, sostengono che questo cambio al vertice deriverebbe dalla volontà del Governo di voler imprimere un'accelerazione ad alcuni dossier, a cominciare dal progetto per la rete a banda ultralarga, su cui il team dell'esecutivo e il professor Franco Bassanini si sarebbero trovati su posizioni divergenti così come sul ruolo di Cassa depositi e prestiti in Telecom Italia. Le dichiarazioni rilasciate dal consulente Andrea Guerra confermano di fatto quella che prima era solo una indiscrezione giornalistica, difatti stesso sostiene: «ricordiamoci che la Deutsche Telecom ha la cassa depositi tedesca tra i soci e Orange-France telecom ha la cdp francese [...]. Secondo me è cambiato il momento, è cambiata l'era, secondo me bisogna essere più incisivi e forse persone diverse possono essere più incisive» (Formiche.net, 2 luglio 2015);
   secondo gli interpellanti di fatto tale dichiarazione bypassa le prerogative del Governo;
   la coppia scelta da Andrea Guerra con il benestare del Ministro Padoan e del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi è con buona probabilità di grande fiducia del manager considerando che nel suo passato in Luxottica, Costamagna ricopriva la carica di presidente del comitato risorse umane cui spettano, tra le altre cose, le proposte per la definizione di una politica per la remunerazione degli amministratori e dei dirigenti con responsabilità strategiche;
   inoltre, risulta agli interroganti che mentre l'esecutivo non rende noti e trasparenti i motivi che spingono a le citate dimissioni collettive anticipate, si profilerebbero per Cassa depositi e prestiti alcune modifiche statutarie di rilievo tra cui l'abolizione della nota «clausola etica» voluta dalla cosiddetta «direttiva Saccomanni» del 2013 che vieta la nomina in caso di rinvio a giudizio. L'imminente modifica statutaria dovrebbe dunque permettere la nomina di Fabio Gallia, attuale amministratore delegato di Bnl-Bnp Paribas al posto dell'attuale amministratore delegato Tempini. Inoltre, su Gallia pende ad oggi un rinvio a giudizio da parte della procura di Trani per un processo sui derivati che ne rende al momento impossibile la nomina;
   attualmente la nomina del presidente è a carico delle fondazioni bancarie che esprimono nella propria lista tre nominativi mentre l'amministratore delegato è in capo al MEF (Ministero dell'economia e delle finanze) che presenta una lista di sei nominativi;
   la scelta di presentare in sede di Assemblea dei soci un'unica lista (di maggioranza e di minoranza) per il rinnovo dei vertici avverrà solo successivamente in sede di assemblea ordinaria, mentre saranno discusse nell'assemblea di venerdì 10 luglio 2015 le modifiche dello statuto, che dovrebbero accogliere le richieste avanzate dagli azionisti di minoranza per una maggiore garanzia sul rendimento degli investimenti;
   come si rileva alcuni organi di informazione si profilerebbe per Cassa depositi e prestiti la possibilità di divenire la bad bank dei crediti inesigibili delle banche;
   sull'operazione, informa il quotidiano La Repubblica del 19 giugno 2015, l'Eurostat (istituzione europea posta in essere proprio per vigilare sulle istituzioni economiche) è particolarmente attenta, considerando che qualora vi fossero i profili di un'agenzia pubblica questa dovrebbe mutare l'attuale status di market unit rientrando dopo ben diciassette anni nel perimetro del settore pubblico;
   ad avviso degli interroganti la strada delle dimissioni da parte dei consiglieri e dei vertici comporterebbe, tra l'altro un esborso di buonuscite a carico degli italiani, considerando che si tratta di contratti rescissi anzitempo senza giusta causa;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan, nelle rare volte in cui si è espresso sul «Caso CDP», sembra aggirare le insistenti domande, che giungono con modalità bipartizan da diversi gruppi politici e dalla società italiana, tentando di «gettare acqua sul fuoco», come avvenuto nel caso della risposta fornita all'interrogazione n. 3-01584 presentata alla Camera in cui ha sostenuto che «il ruolo di Cdp come operatore di mercato rimane invariata oggi e lo sarà anche in prospettiva futura» e «che non vi saranno oneri aggiuntivi per CdP», annunciando dunque che tutto il consiglio di amministrazione sarà azzerato;
   il ruolo di Cassa depositi e prestiti riveste una consistente importanza strategica anche in considerazione delle ingenti risorse provenienti dal risparmio privato –:
   quali siano le reali motivazioni alla base del cambio di vertici all'interno di Cassa depositi e prestiti e con quali modalità si procederà al percorso di rinnovo;
   quali siano le modifiche statutarie che si intendano apportate e quale sarà il nuovo piano industriale della Cassa stessa e quali garanzie saranno offerte ai risparmiatori;
   se il Governo condivida le dichiarazioni del consulente Guerra;
   quale sia il costo totale delle buonuscite che verranno erogate.
(2-01030) «Pesco, Toninelli, Alberti, Paolo Nicolò Romano, Villarosa, Fico, Sorial, Castelli, Corda, D'Ambrosio, Daga, Ruocco, Nesci, Cancelleri, Luigi Gallo, Frusone, Rizzo, Basilio, Cecconi, Nuti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COLONNESE e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   parlando della situazione critica della Grecia, in un'intervista rilasciata il 28 giugno 2015 al Corriere della Sera, il Ministro Padoan ha reso dichiarazione da cui si evince che l'Italia avrebbe ottemperato di fatto, senza bisogno di firmarle, alle condizioni di un eventuale Memorandum of understanding che sarebbe richiesto per un eventuale entrata in azione delle Omt (Outright monetary transactions), ossia uno degli scudi anti-speculazione della Bce;
   in pratica il Ministro Padoan dice che non ci sarebbe nemmeno bisogno di siglare in modo formale quelle richieste che, a parole, persino Monti si era rifiutato di accettare: lo scudo anti-spread prevede che i Paesi dell'Eurozona coinvolti si impegnino ad applicare rigide riforme concordate con la Trojka (Bce-Ue-Fmi) in un memorandum;
   il Ministro Padoan avrebbe infatti detto di non temere nessun contagio della situazione greca per l'Italia, sottolineando che il Paese sarebbe al riparo da eventuali attacchi speculativi contro i titoli di Stato, perché anche se ci fossero «fenomeni di instabilità di breve termine, la Bce ha tutti gli strumenti a disposizione per evitare che questa instabilità diventi eccessiva»;
   sembra che la sovranità italiana in pericolo: da quando è stato adottato l'euro di fatto senza chiedere il consenso dei cittadini italiani, il Paese sta subendo tagli del welfare e degli investimenti produttivi e l’austerity sta causando un abbassamento del livello dei diritti del lavoratore, a scapito soprattutto delle giovani generazioni, smantellando alla lunga il settore produttivo, minando alla base la sostenibilità economica dei Paesi che devono sottostare a queste regole e generando una crisi che difficilmente potrà essere reversibile;
   secondo l'economista Nino Galloni «l'obiettivo delle autorità europee non consiste nella difesa dei creditori e dell'euro stesso in quanto tale, ma nel raggiungere la completa sottomissione dei popoli, annullando la democrazia e i diritti» –:
   se il Governo non consideri urgente chiarire il contenuto delle dichiarazioni rilasciate, di cui in premessa, visto che fanno riferimento a decisioni della massima importanza prese senza nessun atto formale, e fare luce sulle implicazioni che ne derivano visto che esse investono la vita dei cittadini italiani, nonostante siano state prese a giudizio degli interroganti senza il loro consenso, e dunque dovrebbero essere di dominio pubblico. (4-09790)


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Hacking Team è un'azienda milanese specializzata nello sviluppo e gestione di software per hackerare computer e smartphone, e in questo modo intercettare le loro comunicazioni. La società lavora espressamente per Governi, forze dell'ordine e agenzie di intelligence di tutto il mondo e fra questi anche l'Italia. I suoi prodotti sono utilizzati per «bucare» target difficili da raggiungere con altri mezzi, ad esempio con le normali intercettazioni telefoniche. L'azienda ha sempre spiegato che i suoi programmi sarebbero utilizzati solo in investigazioni delicate che riguardano terroristi, pedofili, crimine organizzato e altri reati odiosi. Il programma più noto di Hacking Team – RCS o Da Vinci – è quello che si chiama in gergo un trojan, cioè un software che di nascosto si installa su un pc; una volta installato però ne spia tutta l'attività – mail, chat, chiamate Skype, documenti salvati, password digitate – assumendone di fatto il controllo e trasmettendone i contenuti a chi lo sta gestendo da remoto;
   Hacking Team è entrata sempre più nel mirino di attivisti della Rete e organizzazioni che difendono i diritti digitali – come la Electronic Frontier Foundation e Privacy International – che l'accusano di vendere i suoi software-spia (spyware) anche a Governi illiberali e repressivi i quali poi utilizzerebbero questi programmi per spiare su dissidenti, giornalisti e avvocati. Il Citizen Lab – laboratorio dell'università di Toronto – ha redatto numerosi rapporti che documentano violazioni dei diritti umani compiute in vari Paesi – dall'Etiopia al Marocco – attraverso l'utilizzo del programma di Hacking Team. Fino ad oggi l'azienda milanese ha sempre respinto ogni addebito, sostenendo di seguire le leggi europee al riguardo, di non esportare in Paesi presenti nelle liste nere dell'Unione europea, Nato o Usa, e di non avere responsabilità diretta delle tracce del suo software o della sua infrastruttura di comando rinvenute dai vari ricercatori su computer di giornalisti e attivisti;
   il 6 luglio 2015, l’account Twitter di Hacking Team è stato hackerato e un file da oltre 400 gigabyte con email, codice e documenti riservati, sono stati messi online, rendendoli pubblici;
   in un articolo pubblicato sull'edizione online di Wired, si fa menzione di un rapporto del 2014 che sottolinea come per la prima volta la rete utilizzata dai Governi che usano il software dell'azienda italiana Hacking Team è stata «radiografata». Il rapporto si chiama «Mapping Hacking Team's Untraceable Spyware», pubblicato dal laboratorio antisorveglianza Citizen Lab dell'Università di Toronto, e firmato dai molti ricercatori di sicurezza. Lo studio mappa l'infrastruttura segreta di server usati dai Governi per raccogliere i dati sottratti ai computer dei loro target usando il software commercializzato dell'azienda con sede a Milano. Il portavoce di Hacking Team, Eric Rabe, in una recente intervista, ha ribadito quanto detto nel 2014, ovvero che la lista pubblicata da Citizen Lab è inaccurata. Nel corso della stessa intervista, il portavoce si rifiuta di rispondere sull'accuratezza della lista, quando il giornalista evidenzia che la lista del 2014 sembra corrispondere al materiale pubblicato dai «leaks» di questi giorni;
   alcune delle mail riportate online, anche da vari attivisti che le hanno ormai riprese dal profilo hackerato mostrerebbero i rapporti commerciali dell'azienda con Paesi come il Sudan, eventualità che invece sarebbe stata negata nella corrispondenza di Hacking Team con l'Onu. Proprio Privacy International – in una lettera al Governo italiano del 2014 in cui chiedeva conto del finanziamento di Hacking Team da parte della regione Lombardia (tramite il fondo Finlombarda Gestioni SGR spa) – ricordava che il Sudan era «soggetto a misure restrittive sul commercio d'armi da parte dell'Unione europea». In uno dei «leaks» di questi giorni la dicitura usata per Sudan e Russia in una lista di HT che dettaglia i propri clienti segnala che tali regimi non sono supportati «ufficialmente»;
   in quanto alle vendite in Sudan, Paese sotto embargo Onu, emerse da una fattura del 2012, il portavoce dell'azienda Rabe non conferma né smentisce;
   in una lettera alla Commissione europea, l'europarlamentare Marietje Schaake scrive: «I documenti pubblicati online suggeriscono che l'azienda avrebbe venduto il suo malware Remote Control System (RCS) al governo sudanese nel 2012, e avrebbe ricevuto a marzo 2015 un pagamento per i suoi servizi da Kvant, produttore di radar militari controllato dal governo russo», e ancora «se così fosse avrebbe violato il regime europeo di sanzioni sul Sudan e la Russia (...). La Commissione europea crede o no che Hacking Team abbia violato il suo sistema di sanzioni?» e infine «è stata informata dal governo italiano dell'esistenza di una qualche precedente autorizzazione per permettere ad Hacking Team di esportare in Sudan e Russia?»;
   i documenti resi pubblici nei «leaks» segnalano rapporti con clienti passati e presenti con Arabia Saudita, Bahrain, Azerbaijan, Uzbekistan, Nigeria, Etiopia;
   l'accordo di Wassenaar è il primo accordo multilaterale a carattere globale che controlla contemporaneamente l’export di armi convenzionali e di beni e tecnologie sensibili a doppio uso. Esso non è diretto contro nessuno Stato in particolare, limitandosi ad attuare uno dei principi fondamentali delle Nazioni Unite sulla collaborazione internazionale, lo sviluppo tecnologico anche se con il comune impegno assunto di combattere il terrorismo internazionale, contrastando con fermezza quei Paesi che presentino comportamenti di ostilità nei confronti della comunità internazionale, cercando di evitare trasferimenti di armi o di tecnologie che possano rafforzarli e di impedire le esportazioni verso regioni la cui situazione sia considerata seriamente preoccupante in termini di mantenimento della stabilità e della pace internazionale (aree, ad esempio, in cui siano in corso conflitti o gravi tensioni). L'accordo completa e rinforza, senza apportare duplicazioni, gli esistenti regimi di non proliferazione nel settore delle armi di distruzioni di massa e dei vettori idonei al loro trasporto;
   secondo fonti di stampa, Hacking Team avrebbe venduto prodotti al Governo del Sudan. L'ONU avrebbe chiesto in cinque diverse occasioni se Hacking Team avesse mai fatto affari con il Sudan, senza avere mai risposta. L'ultima lettera dall'ONU è datata 15 maggio 2015, con richiesta di risposta entro il 30 giugno 2015;
   in una dichiarazione a mezzo stampa, Hacking Team avrebbe annunciato che nel pesante attacco hacker subito avrebbe perso anche il controllo di alcuni dei suoi software «spia», ora nelle mani di criminali informatici. Uno di questi sistemi, riporta l’Associated Press, sfrutta una nota falla di Adobe Flash Player per entrare nei computer. La falla consente di violare pc con sistemi operativi Windows, OS X e Linux e viene veicolata da browser come Explorer, Firefox, Chrome e Safari e potrebbe portare all'utilizzo del programma RCS, uno dei prodotti di Hacking Team, contro ogni obiettivo scelto –:
   se vi siano rapporti in essere della pubblica amministrazione con l'azienda «Hacking Team» e quali prodotti di Hacking Team siano attualmente in uso presso enti pubblici italiani, ivi comprese le forze dell'ordine;
   se il Governo abbia intenzione di avviare un'indagine interna per verificare se vi siano falle nei prodotti acquistati da Hacking Team. (4-09795)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche (Redattore Sociale 17 aprile 2015) che il signor Hussein, invalido al 100 per cento attualmente vive nell'Iraq martoriato dalla guerra, e disabile e non può raggiungere la madre e il fratello che vivono regolarmente in Italia;
   il signor Hussein ha ottenuto dall'ambasciata italiana il nulla osta per l'ingresso nel nostro Paese per ricongiungersi alla madre, ma questo beneficio non spetta inspiegabilmente al padre, nonché suo tutore;
   il signor Hussein ha una disabilità mentale e non può arrivare in Italia da solo, è necessario che sia accompagnato da suo padre, ovvero la persona che lo cura da sempre;
   la famiglia del signor Hussein (padre, madre e cinque figli) erano immigrati in Italia nel 1992, dopo due anni di guerra nel golfo persico. La madre signora Fawziya aveva scelto di emigrare, oltre che per scappare dai bombardamenti, anche per curare l'altro suo figlio Musa, affetto dalla Rosai Dorfamn, una grave malattia rara che lo ha reso cieco, sordo e paralizzato, probabilmente, causata dall'uranio impoverito utilizzato nelle bombe in Iraq. La situazione del signor Musa, nonostante le cure ricevute in Italia, è peggiorata e i medici non possono far altro che alleviare la sofferenza attraverso le cure palliative;
   nel 2008 il signor Mustapha, il terzo figlio maschio di 19 anni, è stato travolto fatalmente da un auto mentre stava andando a lavoro in motorino, a Firenze. Il dramma ha rischiato di spaccare la famiglia già provata il signor Khadim, marito di Fawziya, è rientrato in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein per riacquistare i propri diritti civili che erano venuti meno a causa delle percussioni da parte del regime. Per non gravare ulteriormente sulla moglie che rimaneva sola con Musa, si è portato dietro Hussein;
   la signora Fawziya continua a lavorare a Firenze e ad assistere il figlio Musa malato, che riesce a comunicare soltanto attraverso l'utilizzo delle mani. Non si arrende, nonostante una vita di sventure, tra guerre e drammi familiari. Vive in una casa popolare nella periferia della città. Oggi, dopo una vita sconvolta da traumi indicibili, la signora Fawziya vorrebbe soltanto una parvenza di serenità e vorrebbe soprattutto avere la possibilità che Hussein, il figlio invalido che vive in Iraq col padre, possa riabbracciare il fratello Musa;
   la situazione in Iraq è sempre più difficile a causa dell'Isis ed il signor Khadim teme per la propria vita e per quella del figlio;
   la signora Fawziya ha scritto ripetutamente all'ambasciata italiana, che però continua a negare il visto d'ingresso al marito Khadim;
   la Caritas di Firenze, sta aiutando la signora Fawziya nella sua battaglia e ha messo a disposizione una struttura residenziale per accogliere il signor Hussein e suo padre –:
   quali siano le ragioni del diniego del visto al signor Khadim padre e tutore del signor Hussein;
   se il Governo non ritenga urgente intervenire per sbloccare la situazione nel più breve tempo possibile. (4-09791)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo l’«Indagine Piccoli Comuni 2012» dell'associazione ambientalista Legambiente e dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) realizzata dall'Istituto per la finanza e le economie locali (IFEL), nei piccoli comuni italiani, ossia le realtà amministrative con popolazione residente inferiore o pari a 5.000 abitanti, vivono circa 10 milioni di persone e la superficie territoriale amministrata dai piccoli comuni ricopre il 54 per cento del territorio nazionale. Il 72 per cento dei comuni, infatti, ha meno di 5.000 abitanti, eppure rappresentano una realtà importantissima per la difesa dell'ambiente, della cultura e dell'agricoltura. Rappresentano inoltre delle vere e proprie roccaforti di identità e sono custodi del patrimonio storico-artistico, naturale ed enogastronomico italiano. Infatti, in queste aree vi si trova il 16 per cento dei musei ed aree archeologiche di proprietà statali e il 94 per cento di essi presenta almeno un prodotto DOP. I piccoli comuni sono anche il luogo privilegiato di sperimentazione delle buone pratiche più innovative in fatto di energia, economia verde e riciclo dei rifiuti;
   purtroppo però, ormai da tempo si assiste ad un progressivo spopolamento, che ha assunto carattere strutturale, di vaste aree interne del Paese, montane ed insulari. Tale fenomeno sta determinando così una vera e propria emergenza che necessita, a parere dell'interrogante, dell'adozione di una serie di strumenti normativi e di adeguate risorse pubbliche, da adottare con carattere di urgenza;
   con la perdita di abitanti, le comunità locali di queste aree smarriscono la propria identità culturale, i patrimoni locali si deteriorano e perdono valore, le attività economiche vengono abbandonate, tradizioni millenarie, uniche, irripetibili finiscono per sempre, mentre aumenta il dissesto idrogeologico connesso alla mancata cura del territorio per effetto dello spopolamento e, parallelamente, cresce la congestione nei centri urbani e crescono i problemi di degrado ambientale;
   a determinare tale fenomeno hanno contribuito anche l'adozione di politiche di sviluppo, volte a privilegiare, in termini di investimenti pubblici nelle infrastrutture e di creazione di servizi, le aree sviluppate dell'Italia e le politiche di bilancio, improntate al contenimento e alla razionalizzazione della spesa pubblica, che attraverso i cosiddetti «tagli lineari» hanno comportato una drastica riduzione di diversi servizi nei settori importanti, quali il trasporto urbano, sanitario e quello scolastico. La diminuzione della presenza pubblica in termini di servizi, unita ad una sempre più preoccupante diminuzione delle attività economiche private ha avuto significativi riflessi anche sul piccolo commercio urbano e sull'artigianato che hanno subito una drastica riduzione. Gli effetti più evidenti ed immediati si sono maggiormente evidenziati nei comuni di dimensione demografica minore con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, anche in considerazione, delle caratteristiche insediative storiche dei sistemi montani e collinari, basati su un'articolazione molto diffusa di centri abitati gravitanti sul comune capoluogo;
   a titolo di esempio, nel solo territorio Bellunese, area a netta prevalenza di piccoli comuni montani (dai dati desunti annualmente dai registri anagrafici comunali e rielaborati dal sistema statistico della regione Veneto), si prefigura un crollo demografico dei tanti piccoli paesini sempre più abbandonanti, della montagna Bellunese. E il trend di decrescita comincia ad accelerare sempre più. L'ultimo dato elaborato (2013) parla di 209.430 abitanti in provincia di Belluno;
   a conferma delle precedenti osservazioni si può citare il raffronto con il trend di crescita delle altre province venete che hanno caratteristiche morfologiche diverse dal Bellunese. Infatti, mentre la provincia di Belluno decresce, tutte le altre (eccetto l'altrettanto «periferica» Rovigo) crescono. Il Veneto è passato da poco più di 4 milioni di abitanti negli anni ’70 ai quasi 5 milioni di abitanti nel 2013. Treviso è cresciuta di 190 mila unità, Vicenza di circa 162 mila, Verona di 161 mila e Padova di 141 mila e Venezia cresce solo di 21 mila abitanti –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per istituire un Osservatorio nazionale sullo spopolamento, da realizzare attraverso accordi con l'UPI, l'UNCEM, le province, le regioni maggiormente coinvolte nel fenomeno e con il supporto scientifico delle università;
   se e quali iniziative intenda intraprendere, al fine di: migliorare la mobilità verso e dentro le zone rurali in spopolamento; migliorare le infrastrutture e i servizi maggiormente «sensibili» ai fini della qualità della vita (servizi sanitari, servizi scolastici, servizi per il tempo libero e le attività sportive, servizi telematici e altro); realizzare laboratori artistici e culturali per i giovani, in collegamento con istituti d'arte, accademie musicali, che comprenderanno anche attività estive di stage; recuperare e riqualificare gli edifici, gli spazi pubblici e le reti di servizio; promuovere attività di ricerca e alta formazione nei comuni, in cui le università potrebbero essere incentivate a localizzare ricerche e corsi di alta formazione su tematiche legate alle risorse ambientali e culturali dei territori; attrarre nuove iniziative imprenditoriali compatibili con le specificità locali; promuovere e attivare pacchetti integrati di localizzazione per attrarre nuovi abitanti nei territori marginali, inclusi gli immigrati, attraverso la messa a disposizione a condizioni di vantaggio di immobili pubblici e privati non utilizzati da destinare ad attività produttive (artigianato, turismo, servizi e altro), terreni e case rurali non utilizzati da destinare ad attività agricole, forestali e di turismo rurale; promuovere e sostenere condizioni di lavoro flessibile, soprattutto per le donne, anche attraverso il telelavoro; estendere ai piccoli comuni gli incentivi, già previsti a favore delle zone montane, della «pluriattività» da parte dei coltivatori diretti per lavorazioni di sistemazione e manutenzione del territorio; dare precedenza ai piccoli comuni nell'accesso ai finanziamenti pubblici per la realizzazione di programmi di e-government e per la realizzazione del sistema pubblico di connettività (larga banda); disporre incentivi finanziari e «premi di insediamento» a favore di coloro che trasferiscono la residenza e/o la sede di lavoro, pongono in essere interventi di recupero del patrimonio abitativo, ovvero avviano un'attività economica, nei piccoli comuni; garantire al fine di promuovere e di sostenere lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, il riequilibrio demografico del Paese, contrastandone lo spopolamento e favorendone il progressivo ripopolamento. (4-09788)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 2, della legge delega sulla riforma fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, impegna il Governo, tra l'altro, ad introdurre norme per la revisione delle imposte sulla produzione e sui consumi al fine di semplificare gli adempimenti e razionalizzare le aliquote;
   in attuazione delle richiamate norme è stato pubblicato il decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi; con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 29 dicembre 2014, inoltre, sono state emanate le disposizioni in materia di commercializzazione dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide contenenti o meno nicotina (cosiddette sigarette elettroniche);
   le modifiche alla tassazione delle sigarette, divenute operative dal 1o gennaio 2015, concernono sia la struttura sia la misura dell'accisa; viene introdotto un onere fiscale minimo, che prende in considerazione, per fissare un importo minimo di tassazione, sia l'accisa sia l'IVA: per effetto delle modifiche, dunque, la variazione dell'imposta dovrebbe — complessivamente — risultare meno influenzabile dalla variazione del prezzo dei prodotti; le modifiche investono anche i tabacchi lavorati diversi dalle sigarette;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 83 del 2015 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 62-quater del testo unico accise di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, introdotta dall'articolo 11, comma 22, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, che prevedeva, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'imposta di consumo del 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico sulle sigarette elettroniche, comprese le parti di ricambio, e sulle ricariche non contenenti nicotina;
   il citato decreto legislativo n. 188 del 2014 ha modificato l'articolo 62-quater inserendo il comma 1-bis, il quale assoggetta i prodotti da inalazione senza combustione, contenenti o meno nicotina, e costituiti da sostanze liquide, a un'imposta modellata in termini radicalmente differenti rispetto a quelli della norma oggetto di censura; si introduce così una nuova categoria dei tabacchi da inalazione senza combustione, definiti come prodotti del tabacco non da fumo che possono essere consumati senza processo di combustione, il cui livello di tassazione viene calibrato in base a quello che grava sulle sigarette; sono quindi sottoposti ad imposta di consumo anche i liquidi costituiti da sostanze diverse dal tabacco, che non hanno una funzione medica, immessi nelle cosiddette sigarette elettroniche; sono comunque esclusi dall'accisa i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che consentono il consumo di tali liquidi;
   lo scopo dichiarato dal Governo delle suddette norme è di perseguire politiche sanitarie di riduzione dell'accessibilità del tabacco e generare nuove entrate per l'Erario;
   con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è consentita la variazione delle citate aliquote, al fine di assicurare la realizzazione delle maggiori entrate complessive nette previste dal citato decreto quantificate in 145 milioni di euro per il 2015 e 146 milioni di euro dal 2016;
   le maggiori entrate confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, volto a compensare eventuali nuovi o maggiori oneri introdotti da altri decreti di attuazione della delega fiscale –:
   se il gettito erariale realizzato nel primo semestre del 2015 derivante dall'introduzione della riforma in materia di tassazione dei tabacchi e dei loro succedanei sia in linea con le stime di previsione fornite in sede di approvazione del decreto legislativo attuativo della delega fiscale ovvero se vi sia la necessità di un intervento volto a modificare le aliquote, o di procedere ad una revisione della metodologia di calcolo per i prodotti succedanei al tabacco basata su criteri oggettivi legati alla peculiarità dei medesimi prodotti. (5-06035)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la nota della Corte dei conti, sezione di controllo per la regione siciliana, del 18 giugno 2015 prende in esame il piano di riequilibrio finanziario pluriennale II semestre 2014 del comune di Catania; tale piano è stato approvato con delibera consiliare n. 14 del 2 febbraio 2013;
   la verifica da parte della Corte dei conti del piano di riequilibrio finanziario pluriennale II semestre 2014 del comune di Catania nello specifico riscontra molteplici criticità a partire da:
    a) «il mancato raggiungimento dell'obiettivo connesso alla Misura 1 “rideterminazione aliquote e tariffe”»;
    b) «il mancato raggiungimento dell'obiettivo connesso alla Misura 2 “copertura dei costi di gestione dei servizi a domanda individuale”»;
    c) «il mancato raggiungimento dell'obiettivo connesso alla Misura 8 “gestione dell'indebitamento”»;
    d) «il mancato raggiungimento dell'obiettivo connesso alla Misura 9 “gestione del patrimonio”»;
    e) «la continua e reiterata violazione degli articoli 193 e 194 del TUEL (Testo unico delle leggi degli enti locali), poiché l'ente ha finanziato debiti fuori bilancio in assenza del riconoscimento preventivo da parte dell'organo consiliare, rinviando il relativo pagamento agli esercizi successivi”»;
    f) «con riferimento alle partecipazioni societarie e non detenute dall'ente si è evidenziata, inoltre, la mancata rappresentazione del quadro complessivo dei rapporti debito-credito esistenti nei confronti degli organismi partecipati”»;
   g) «si sono inoltre individuati i seguenti ulteriori profili di criticità, che potrebbero mettere a rischio la sostenibilità del piano di riequilibrio finanziario: le modalità di finanziamento delle passività emerse dopo l'approvazione del piano, ivi compresi gli ulteriori debiti fuori bilancio e l'aumento del disavanzo di amministrazione da euro 140.000.000,00 nel 2011 ad euro 143.000.000,00 nel 2013, quale ulteriore perdita di bilancio da ripianare”»;

   un'altra nota della Corte dei conti, sezione di controllo per la regione siciliana, del 18 giugno 2015, in merito al rendiconto 2013 del comune di Catania, evidenzia:
    1) «relativamente alla gestione di cassa: l'aumento dell'anticipazione di cassa inestinta al termine dell'esercizio al termine dell'esercizio da euro 49.445.678,80, relativa all'anno 2012, ad euro 115.537.641,01 nell'esercizio 2013, con aggravio degli oneri per interessi passivi»;
    2) «una situazione debitoria critica e non ancora definita che desta preoccupazione per le refluenze negative sugli equilibri di bilancio, in ragione dei seguenti fattori di criticità: la presenza, nell'esercizio 2013, di un consistente ammontare di debiti fuori bilancio (euro 122.835.691,85 da riconoscere, oltre l'importo riconosciuto nel corso del medesimo esercizio)»;
    3) «la violazione degli articoli 193 e 194 del TUEL per aver, l'ente finanziato, anche in passato, debiti fuori bilancio in assenza del preventivo riconoscimento da parte dell'organo consiliare e rinviato il pagamento ai successivi esercizi»;
    4) «criticità connesse alla spesa per il personale, con particolare riferimento: (...) c) alle nuove assunzioni di personale nel 2013 in presenza di una riduzione del personale di 106 unità; d) all'assenza di informazioni in merito agli incarichi di collaborazione autonoma, conferiti nell'esercizio 2013»;
    5) «il ricorso alle anticipazione di tesoreria, non può costituire uno strumento volto ad assicurare in modo costante e continuo un finanziamento per l'ente ma fisiologicamente, per risultare coerente con la previsione normativa, deve solo servire a garantire le risorse necessarie per affrontare eventuali momentanee carenze di liquidità dell'ente»;
    6) «il dato relativo al recupero dell'evasione tributaria è ancora più significativo dell'incapacità dell'ente di organizzare in modo efficiente i servizi interessati per favorire il necessario recupero delle risorse indispensabili per assicurare la sana gestione finanziaria dell'ente. Nell'esercizio 2013 risultano accertamenti relativi al recupero dell'evasione tributaria per complessivi 36,6 milioni di euro e riscossioni pari a 120 mila euro che rappresentano lo 0,3 per cento dell'accertato»;
    «si deve ricordare che l'imputazione delle spese di bilancio ad esercizi diversi da quelli di riferimento può costituire una delle fattispecie elusive attraverso la quale si aggirano i limiti imposti dalla normativa relativa al patto di stabilità»;

   il decreto-legge n. 267 del 2000 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» all'articolo 193, comma 1 prevede «Gli enti locali rispettano durante la gestione e nelle variazioni di bilancio il pareggio finanziario e tutti gli equilibri stabiliti in bilancio per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti, secondo le norme contabili recate dal presente testo unico (...)»;
   il comma 2 prevede: «Con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta entro il 31 luglio di ciascun anno, l'organo consiliare provvede con delibera (...) del permanere degli equilibri generali di bilancio (....)»;
   il decreto legislativo n. 267 del 2000 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» all'articolo 194 il comma 1 prevede: «Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da: alla lettera b): “copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio (...)”» –:
   se intenda inviare un'ispezione del servizio ispettivo di finanza pubblica al fine di verificare la sussistenza dell'equilibrio di bilancio nel comune di Catania e quali eventuali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(5-06038)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dalla recente ricerca del Censis «Gli italiani e il cibo. Rapporto su “un'eccellenza da condividere”», è emerso che 2,4 milioni di famiglie italiane hanno avuto difficoltà nel comprare il cibo necessario nel corso dell'ultimo anno;
   con un milione di persone in più rispetto, al 2007, il numero delle famiglie in difficoltà nell'acquistare generi alimentari sarebbe cresciuto di circa l'85 per cento dall'inizio della crisi economica tuttora in atto nel nostro Paese, arrivando quasi a raddoppiare e a comprendere il 9,2 per cento del totale delle famiglie italiane;
   le difficoltà maggiori sono state rilevate nel sud del Paese: in Puglia (16,1 per cento), Campania (14,2 per cento) e Sicilia (13,3 per cento);
   il disagio alimentare cresce con la dimensione della famiglia: il 12,2 per cento delle famiglie con figli minori (830.000 nuclei) nell'ultimo anno non ha potuto acquistare il cibo necessario a causa di difficoltà economiche e le famiglie con figli sono anche quelle che hanno subito di più i tagli alla spesa alimentare negli anni 2007-2014: –15,6 per cento le coppie con due figli, –18,2 per cento le coppie con tre o più figli;
   anche le differenze sociali sarebbero implicate in questo problema, arrivando ad investire l'ambito alimentare visto che le preesistenti disuguaglianze sono state acuite dalla crisi: nel periodo 2007-2014 le famiglie con capofamiglia operaio hanno registrato una riduzione della spesa alimentare del 17,3 per cento in termini reali, mentre quelle di dirigenti e impiegati del 9,7 per cento, a fronte di una riduzione media del 12,9 per cento;
   l'8 maggio scorso l'interrogante aveva presentato una interrogazione parlamentare, atto Camera n. 4-09122, per chiedere al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali se fossero a conoscenza del problema della «povertà alimentare», purtroppo in rapida crescita tanto da far pensare ad un vero e proprio ritorno della fame nel nostro Paese, e in che modo volevano attivarsi per combattere questo trend ed organizzare programmi di sostegno per i milioni di persone che già versano in condizioni di povertà così grave da non potersi alimentare adeguatamente, con particolare attenzione per i minori coinvolti in queste situazioni di grave indigenza, ma l'interrogazione non ha ancora ricevuto alcuna risposta;
   secondo un recente rapporto dell'Istat, in Italia, oltre 6 milioni di persone versano in una situazione di povertà assoluta e di queste, oltre 4 milioni, vivono sotto la soglia della povertà alimentare, cioè la condizione di chi può permettersi solo una spesa alimentare povera per quantità e qualità;
   anche nelle città italiane più importanti come Milano, Roma e Napoli, associazioni e onlus servono ormai oltre 2 milioni di pasti gratis ogni anno a persone di classi sociali molto differenti, e sempre più spesso anche a lavoratori che, pur avendo un'occupazione, non riescono a guadagnare abbastanza per mantenersi;
   nelle principali città italiane, la fame è ormai un problema giornaliero per migliaia di persone: a Milano, l'Opera San Francesco, ente gestito dai frati cappuccini e mensa più grande del capoluogo lombardo, nel 2014 ha sfornato oltre 869 mila pasti caldi; a Roma i dati del comune parlano di 627.890 utenti annui per quanto riguarda le mense sociali e 86.070 pasti a domicilio: la mensa di via Dandolo, gestita dalla comunità di Sant'Egidio, ha visto aumentare le richieste con 2.807 nuove iscrizioni nel 2014 tra cui 417 di italiani; a Napoli, vi sono 10 mense, per una media di 1.500 pasti erogati al giorno;
   secondo alcuni dati rielaborati dalla Coldiretti, nel 2012 in Italia le persone che hanno beneficiato dei servizi mensa sono state oltre 300 mila, mentre quasi 3,8 milioni hanno usufruito dei pacchi alimentari distribuiti dagli enti di assistenza;
   i frequentatori delle mense stanno rapidamente cambiando: se prima si trattava principalmente di persone senza fissa dimora, o migranti, nell'ultimo biennio si nota un aumento degli anziani e delle nuove categorie sociali come i padri separati o le vittime del gioco d'azzardo. Tra l'altro, cominciano ad affacciarsi anche membri di quelle che erano le cosiddette categorie benestanti, come promotori finanziari e qualche avvocato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in che modo intendano intervenire per frenare l'impoverimento della popolazione italiana, a difesa di un diritto fondamentale come quello ad una giusta alimentazione, sempre con particolare riguardo per le fasce più deboli della popolazione come anziani e minori, ai quali la condizione di carenza alimentare può arrecare i danni più gravi. (4-09789)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA, DEL GROSSO, FERRARESI, SARTI, VIGNAROLI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2015 in un articolo del quotidiano abruzzese «Il Centro» si informa circa l'esistenza di una discarica tra Chieti e Bucchianico (CH), in cui risultano essere presenti rifiuti di vario genere: dalle pile esauste ai rifiuti ospedalieri, passando per montagne di materiale disseminato lungo il versante di una collina;
   lo stesso cronista rivela: «la mega discarica non è sconosciuta alla Procura. Nel 2009 venne sequestrata dalla Guardia di Finanza di Pescara che la scoprì sorvolando la zona con un elicottero. Ma dopo sei anni nessuno l'ha mai bonificata»;
   il 23 giugno 2015: una nuova visita alla stessa discarica, posta sotto sequestro, svela decine di documenti che non furono prelevati, neppure sei anni prima quando l'area venne sequestrata in seguito ad una inchiesta sfociata in una condanna in primo grado, quindi in un ricorso in appello e infine in una causa che pende in Cassazione;
   la presenza dei documenti citati è provata da un video pubblicato dallo stesso quotidiano Il Centro e, tra questi, risulta esservi una delibera della giunta regionale della Campania, datata 2007, che dà il via libera allo smaltimento di rifiuti di ogni tipo, persino di quelli contenenti arsenico, nel sito di Pantano ad Acerra. La stampa ipotizza che nessuno degli atti furono sequestrati al tempo del processo e mai portati via;
   secondo quanto riportato dallo stesso articolo di stampa, la Procura di Chieti ha avviato un'inchiesta, anche sulla base degli articoli pubblicati dal Centro, valutando la violazione dell'articolo 256 del decreto legge 152 del 2006;
   nonostante la chiusura del processo penale in primo grado e la relativa condanna, sebbene le norme in materia ambientale prevedano che gli enti locali e la regione bonifichino i siti inquinati e potenzialmente pericolosi recuperando il costo dagli eventuali responsabili del dolo, non è mai avvenuta alcuna bonifica;
   la notte tra il 27 e 28 giugno la discarica viene avvolta dalle fiamme causate, probabilmente, da un incendio di natura dolosa. Dalle cronache si evince che, oltre al materiale presente in discarica, anche i documenti in situ siano andati persi nel rogo;
   l'incendio protrattosi almeno fino al 30 giugno, ha innalzato fumo probabilmente tossico, propagatosi per un raggio di almeno 2 chilometri;
   da notizie di stampa del primo luglio 2015 si apprende che il 12 gennaio del 2012 il giudice Patrizia Medica condanna a 8 mesi di arresto e 15 mila euro di ammenda Domenico Leombruni, la società che stoccava rifiuti pericolosi mischiandoli a quelli non pericolosi, tra i quali batterie esauste al piombo, al nichel cadmio e accumulatori, fanghi, olii esausti, farmaci scaduti, solventi diluenti e resine, nella mega discarica di Colle Marcone;
   secondo fonti giornalistiche nel dispositivo della sentenza si legge che «L'incredibile paradosso della vicenda è costituito dal fatto che le condizioni drammatiche dell'area sequestrata dalla Guardia di finanza il 10 febbraio 2009 erano state accuratamente monitorate dal Corpo Forestale dello Stato, Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale di Chieti (NIPAF) che, sin dal 14 marzo 2008 aveva trasmesso alla Procura della Repubblica di Chieti il fascicolo delle riprese fotografiche, dal quale risultava chiaramente che la Serveco S.r.l., in violazione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione regionale, aveva abbandonato una quantità inverosimile di rifiuti su tutta l'area pavimentata del sito di stoccaggio, nonché direttamente sul terreno, miscelando tra loro le diverse tipologie di rifiuti... L'evidenza e la gravità delle violazioni accertate non aveva però condotto all'adozione di alcun provvedimento cautelare, tanto che risultavano effettuate, in data 10 agosto 2008 ed in data 17 novembre 2008, sempre dal NIPAF di Chieti, ulteriori e sempre più eloquenti fotografie del sito, raccolte nei fascicoli fotografici trasmessi alla procura della Repubblica di Chieti ed acquisiti agli atti». E ancora: «La situazione sopra descritta si era protratta ed ulteriormente aggravata sino a quando, a seguito di un sorvolo con elicottero, la guardia di finanza sezione aerea di Pescara, aveva accertato sull'area». E l'aveva finalmente sequestrata di propria iniziativa;
   sempre da fonti di stampa si apprende che nel 2012, il giudice Patrizia Medica mise in mora la procura di Chieti scrivendo: «Rilevato altresì che anche dopo tale provvedimento non era stata svolta alcuna indagine, né assunta alcuna valida iniziativa per porre in sicurezza il sito sequestrato, dispone la trasmissione alla procura della Repubblica di Chieti di copia della sentenza, chiedendo di essere informata dell'esito del procedimento»;
   nella conclusione del dispositivo della sentenza è così formulata: «letto l'articolo 192 del decreto legislativo 152 del 2006 ordina il dissequestro del sito, condannando Leombruni a rimuovere ed avviare a recupero o smaltimento di rifiuti depositati sulla area gestita dalla Serveco S.r.l., sotto la vigilanza della polizia provinciale e del sindaco del comune di Chieti (Umberto Di Primio, ndr) che disporrà, con ordinanza, le operazioni necessarie ed il termine entro il quale provvedere alla bonifica del sito. Decorso il termine indicato nell'ordinanza sindacale, alla bonifica dell'area provvederà il sindaco di Chieti, con esecuzione in danno di Leombruni tenuto al rimborso delle spese sostenute dall'Ente» ma è evidente che la bonifica non è mai avvenuta –:
   se il Ministro intenda promuovere un'ispezione presso la procura della Repubblica di Chieti per l'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (4-09798)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo compreso fra maggio e giugno del 2015 i viaggiatori in partenza dalla stazione ferroviaria di Trento hanno subito notevoli disagi e lunghe code a causa della prolungata rimozione di due biglietterie automatiche gestite da Trenitalia;
   sembrerebbe che la lentezza nelle procedure di sostituzione e reinstallazione degli erogatori automatici, come peraltro di altri interventi di ripristino della funzionalità della stazione, sia stata determinata da una difficoltà di raccordo e di comunicazione tra Centostazioni spa, concessionaria della gestione dell'infrastruttura della stazione ferroviaria di Trento, e la Soprintendenza per i beni architettonici;
   la gestione dei binari della stazione ferroviaria di Trento, di competenza statale poiché di proprietà di RFI, non sarebbe opportunamente coordinata con la gestione della stazione adiacente, capolinea della linea ferroviaria a scartamento ridotto Trento-Malè di proprietà della provincia autonoma di Trento, la quale, al pari della linea ferroviaria della Valsugana, rappresenta un'attrattiva turistica distintiva del territorio trentino e pertanto elemento logistico essenziale di supporto al sistema economico locale;
   negli ultimi anni, a più riprese, sulla stampa locale sono stati riportati disservizi e situazioni di disagio oggetto di lamentela dei viaggiatori e dei gestori dei servizi interni alla stazione così riassunti: sale abbandonate e sbarrate, locali trasandati, mediocre fruibilità dell'atrio centrale, stato di decadenza dei servizi igienici, sovrastrutture metalliche non conformi ai parametri estetici standard, provvisorietà nell'utilizzo del quarto binario che si protrae da 10 anni, orari di apertura e servizio di assistenza clienti Trenitalia non commisurati alle necessità dei viaggiatori, inadeguatezza della segnaletica per gli spostamenti interni e per le destinazioni e i poli funzionali esterni alla stazione, servizio di deposito bagaglio inefficiente e non all'altezza delle esigenze della città di Trento;
   sulla stampa locale sono stati riportati anche problemi di sicurezza come la non conformità del parapetto al sottopasso secondario che nel 2010 sarebbe stata la concausa di una caduta mortale;
   la criticità delle condizioni della stazione ferroviaria di Trento sono state ribadite anche da una lettera del 15 giugno 2015 del circolo di Trento di Legambiente e indirizzata al presidente della provincia autonoma di Trento, al sindaco di Trento, alla direzione territoriale produzione RFI di Verona, Cantostazione spa e alla direzione regionale di Trenitalia;
   si è provveduto recentemente alla sistemazione dei pluviali della nuova pensilina, al tamponamento dell'apertura del vano ascensore e all'installazione di una pompa di svuotamento delle acque meteoriche e sono in programma i lavori per il restauro dei bagni; tuttavia, tali interventi non basterebbero a modernizzare l'infrastruttura destinata al passaggio dei viaggiatori né tantomeno a rimediare in forma sistematica e risolutiva ai persistenti inconvenienti provocati dall'obsolescenza delle installazioni, delle finiture e degli arredamenti dell'edificio;
   dalla serie di rilievi menzionati si evince come la stazione ferroviaria di Trento versi in uno stato di sostanziale degrado ed abbandono e necessiti di lavori di manutenzione straordinaria finalizzati a una riqualificazione e un adeguamento funzionale generale dell'infrastruttura, attraverso la quale, nel 2014 sono transitati più di 7 milioni di viaggiatori (dati Trentino Trasporti: 4.769.931 viaggiatori nel 2007, 5.728.535 nel 2010 e 7.185.158 nel 2014);
   il restauro dell'immobile dovrebbe consentire una migliore connessione con le altre direttrici ferroviarie locali, ovvero le tratte Valsugana e Trento-Malè-Marilleva, e con i poli di trasporto pubblico su gomma, urbano ed extraurbano, localizzati in prossimità della stessa, nonché permettere di conseguire le opportunità in termini di spazi informativi e servizi di assistenza ai viaggiatori di cui la stazione ferroviaria potrebbe predisporre, ad esempio, per favorire la pubblicizzazione di eventi, musei, parchi e bellezze artistiche e naturali sia di livello locale che nazionale nonché la promozione dell'offerta turistica locale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali siano gli elaborati progettuali in itinere per garantire lo stato di conservazione dei beni architettonici e artistici e per perseguire il restauro di finiture e arredamenti, la riqualificazione dell'immobile e l'adeguamento funzionale dell'infrastruttura;
   se il Governo ritenga di intervenire nell’iter progettuale, anche attraverso la previsione di insediamenti remunerativi, a compensazione della spesa necessaria per gli investimenti e con quali modalità.
(5-06036)


   CARLONI, SALVATORE PICCOLO, MANFREDI, BOSSA, COCCIA, TINO IANNUZZI, SGAMBATO e TARTAGLIONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea 1 della Metropolitana di Napoli è dotata di ascensori, percorsi e segnaletica per le persone disabili su sedia a rotelle, ma i treni hanno un significativo dislivello rispetto alla banchina;
   sono sempre più numerosi i disabili che utilizzano la sedia a rotelle elettronica, che garantisce autonomia, ma è molto pesante (oltre i 100 chilogrammi) a causa delle due batterie piombo gel di cui è dotata, ed è difficile da manovrare manualmente per chi voglia aiutare il disabile a superare anche un singolo scalino;
   a seguito di vivaci proteste dei disabili, per affrontare il problema del dislivello dei treni rispetto alla banchina nella linea 1 della metropolitana di Napoli, in particolare nella stazione Garibaldi, nel febbraio 2014 si è tenuta una riunione presso gli uffici dell'azienda che gestisce la metropolitana – l'Azienda napoletana di mobilità, partecipata dal comune di Napoli – alla presenza del direttore produzione esercizio e manutenzioni;
   in tale riunione fu concordata una soluzione utilizzata nella metropolitana di Berlino, semplice ed economica: una tavoletta pieghevole di metallo leggera e trasportabile, da appoggiare e togliere dopo l'uso con l'ausilio del personale, previa comunicazione da parte del disabile della stazione di salita e discesa;
   fu acquistato un prototipo e furono fatti sopralluoghi, ma in seguito i dirigenti della Metropolitana fecero sapere che l'USTIF – l'Ufficio speciale trasporti impianti fissi di Napoli, deputato a rilasciare il nulla osta ai fini della sicurezza per sistemi di trasporto quali le metropolitane – aveva rifiutato di aderire all'accordo con i disabili, evidenziando anche l'assenza nei treni in esercizio di ancoraggi adatti alle sedie a rotelle elettroniche;
   a seguito di un'intensa campagna mediatica e dopo ulteriori sollecitazioni, l'azienda napoletana di mobilità, ha, di fatto, rinviato a un tempo indefinito la soluzione del problema, proponendo per il superamento del dislivello tra piano banchina e piano di incarrozzamento del rotabile, l'installazione di rampe fisse «nello spazio compreso tra la striscia gialla e il margine esterno della banchina in prossimità dell'apertura della prima porta passeggeri adiacente alla cabina di guida, in modo che non sia necessario l'intervento del macchinista per la messa in opera della rampa amovibile... si è in attesa di una proposta progettuale in linea con le indicazioni date.»; una soluzione evidentemente onerosa, sia dal punto vista economico che dei tempi di realizzazione; è necessaria infatti anche la progettazione per l'installazione di impianti fissi, il collaudo e l'addestramento dei macchinisti alla fermata in corrispondenza delle rampe;
   per quanto riguarda l'assenza nei treni in esercizio di ancoraggi adatti alle sedie a rotelle elettroniche, l'azienda napoletana di mobilità ha comunicato di essere propensa ad accogliere la proposta dei disabili di posizionare la carrozzina all'interno del veicolo, a tergo della cabina conducente; questa collocazione evita infatti spostamenti incontrollati e pericolosi della sedia a rotelle in caso di frenata, può assicurarne la stabilità anche senza specifici ancoraggi e risponde pertanto alle prescrizioni sulla sicurezza in materia;
   l'azienda intende pertanto rispettare responsabilmente la normativa sulla sicurezza, ma è poco sollecita nell'applicare le norme relative all'eliminazione delle barriere architettoniche, al diritto di accesso e alla mobilità dei disabili, un ambito in cui il nostro Paese è in una situazione di grave arretratezza;
   non vi sono ragioni tecniche evidenti per non adottare soluzioni rapide, economiche ed efficaci (quali quelle proposte dai disabili già ampiamente in uso in altre città d'Europa) a favore di altre più complesse, con tempi di realizzazione indefiniti, con enormi disagi per i disabili e per le loro famiglie, che devono dotarsi di sistemi di trasporto alternativi e più costosi;
   la direzione generale per i sistemi di trasporto a impianti fissi e il trasporto pubblico locale, una delle 8 direzioni in cui è articolato il dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha funzioni di controllo sull'azienda napoletana di mobilità e sull'USTIF di Napoli –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere per garantire:
    a) il rispetto della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 e dei relativi obblighi assunti dall'Italia con la sottoscrizione della Convenzione il 30 marzo del 2007 e in particolare, al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita;
    b) l'applicazione, con azioni rapide ed efficaci: dell'articolo 9 della Convenzione, che obbliga gli Stati ad adottare «misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l'accesso all'ambiente fisico, ai trasporti, all'informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali» con l'identificazione e l'eliminazione di ostacoli e barriere all'accessibilità, tra l'altro, negli edifici, nella viabilità, nei trasporti e nelle strutture interne ed esterne, comprese scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; dell'articolo 19 della Convenzione, in tema di «vita indipendente ed inclusione nella società» delle persone con disabilità, che prevede, tra l'altro, che «i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni»; dell'articolo 20 della medesima Convenzione, in tema di mobilità personale, che obbliga gli Stati parti ad adottare, tra l'altro, misure efficaci a garantire alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile, nei modi e nei tempi da loro scelti ed a costi accessibili e ad agevolare l'accesso da parte delle persone con disabilità ad ausilii per la nobilita, apparati ed accessori, tecnologie di supporto (...) rendendoli disponibili a costi accessibili;
    c) nell'immediato, l'adozione di una soluzione tecnica, rapida ed economica, che consenta ai disabili – anche quelli dotati di sedia a rotelle elettronica – l'accesso alle stazioni della linea 1 della metropolitana di Napoli, in particolare alla stazione Garibaldi. (5-06040)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano «La Voce di Romagna», il 20 giugno 2015, le condizioni del porto di Ravenna, sia dal punto di vista della precarietà legata al sistema infrastrutturale, che del progressivo insabbiamento dell'avamporto, sono divenute insostenibili;
   i gestori dei traffici delle navi sia in entrata che in uscita all'interno dello scalo marittimo (considerato di seconda categoria e prima classe in virtù del decreto ministeriale n. 1776 del 21 agosto 1975 e della legge no 84 del 1994 che lo indica come sede di autorità portuale), come riporta il medesimo articolo, rilevano in particolare che il dosso all'imboccatura del porto sta determinando gravi disagi, penalizzando il traffico più importante (quello dei container) e la movimentazione quantitativamente rilevante nell'ambito dello scambio delle merci legate ai cereali;
   l'associazione degli spedizionieri internazionali è intervenuta nei confronti degli enti locali, in considerazione dei livelli emergenziali in cui si trova il porto ravennate, ribadendo la richiesta all'Autorità portuale d'intervento per la manutenzione ordinaria, al fine di evitare ulteriori declassamenti (come quelli recentemente disposti dalla capitaneria di porto), che hanno avuto effetti particolarmente gravi sui traffici commerciali;
   l'importanza dei fondali, per garantire una migliore efficienza all'interno dello scalo marittimo ravennate, prosegue l'articolo della «Voce della Romagna», è stata richiamata dal presidente della suesposta associazione, il quale ha auspicato il superamento delle contrapposizioni in corso tra il settore produttivo e l'ente portuale, al fine di addivenire ad un progetto condiviso in grado di rilanciare l'attività marittima e commerciale del porto di Ravenna che rappresenta l'unico porto dell'Emilia-Romagna e che in virtù della sua strategica posizione geografica, si caratterizza come leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati del Mediterraneo orientale e del mar Nero e svolge una funzione importante per quelli con il Medio e l'Estremo oriente;
   l'interrogante evidenzia inoltre ulteriori profili di criticità derivanti dalla situazione conflittuale determinatasi nella gestione del porto, che si riscontrano nell'ambito della decisione relativa all'imminente realizzazione della piattaforma logistica all'interno del porto, contrastata dalla Confindustria dell'Emilia – Romagna e condivisa invece dall'autorità portuale di Ravenna che ritiene quale unica soluzione possibile per il ripristino della normalità l'esecuzione dell'opera;
   nel frattempo dallo scorso febbraio, il porto si è insabbiato con un dosso che ne ha limitato la navigabilità, e il cui sbarramento rende impraticabile la prosecuzione delle attività al suo interno, con gravi ripercussioni sul piano commerciale ed economico per l'intera città –:
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati per risolvere nel più breve tempo possibile la situazione del porto di Ravenna al fine di ripristinarne la piena operatività;
   quali piani intendano adottare per il ripristino delle condizioni di normalità a seguito dell'insabbiamento dell'avamporto e se a tal fine i Ministri interrogati non intendano acquisire elementi in merito al rispetto delle procedure di dragaggio al fine di evitare ulteriori situazioni di disagio;
   quali orientamenti intendano esprimere sulla proposta della realizzazione della piattaforma logistica, i cui costi sono stimati in circa 220 milioni di euro che nei fatti sta riscontrando pareri discordanti all'interno della società civile ravennate. (4-09787)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione nazionale di lotta contro l'illegalità e le mafie «Antonino Caponnetto» ha approvato una relazione sulle elezioni regionali 2015 nella regione Campania, dal titolo «Il voto di scambio in Campania alle regionali 2015 e i condizionamenti camorristici»;
   in tale relazione, fatta pervenire all'interrogante, si svolge un esame della situazione in cui si sono svolte le ultime elezioni regionali;
   in particolare si nota che «in Campania alle ultime regionali ha votato appena il 52,9 per cento degli aventi diritto. Il dato sull'astensionismo, che altrove indica prevalentemente protesta e disaffezione dei cittadini verso la classe politica, in Campania risulta particolarmente favorevole alle “macchine del voto”, sempre all'opera anche a cavallo tra una tornata elettorale e l'altra. Infatti, con un dato di astensionismo così elevato, risulta ovviamente più semplice ottenere i risultati “desiderati”, potendo contare su una platea di elettori che, già abilmente preparata in precedenza, non deve poi fare i conti con un altro 50 per cento circa di votanti secondo la propria libera opinione»;
   sempre nella medesima relazione si nota che «paradossalmente la presenza di una forte componente del voto di opinione a favore del M5S ha ulteriormente favorito tale fenomeno, perché ha convogliato verso di sé anche il voto di protesta, lasciando così praticamente “sola” al voto la componente elettorale “preconfezionata”, che oltre ad essere “numericamente predominante”, risente di un “duplice tipo di condizionamento”»;
   infatti, «una quota è quella tradizionale legata al “voto di scambio per bisogno” (...): sottrarre a priori i diritti e poi elargirli come favori in cambio del voto (lavoro, casa, giustizia, salute, etc.)»;
   al contempo, «più pericolosa – ma non meno attiva ed imponente – è la componente che opera lungo il crinale del voto di scambio politico-mafioso. Il metodo resta lo stesso, ma rafforzato dal potere di intimidazione e da consegne del silenzio inflessibili. In tal caso gli eletti, diretti rappresentanti di questo o quel clan (talvolta di intere alleanze mafiose) dovranno poi agire, nel corso del loro mandato, favorendo i loro “grandi elettori” con leggi ad hoc, interrogazioni parlamentari, delibere, corsie preferenziali nei concorsi, assunzioni di personale. Questa seconda tipologia, già collaudata in maniera ferrea nei piccoli e medi comuni fin dagli anni ’80 (spesso quelli che saranno poi sciolti per mafia), domina ormai la scena anche in occasione del voto per il rinnovo della regione, principale ed unico centro di spesa pubblica che gestisce i flussi miliardari in arrivo dall'Europa. Le due tipologie del voto di scambio illustrate, peraltro, non conoscono una netta separazione, ma spesso percorsi comuni, caratterizzati da comitati e candidati contigui ad entrambi i sistemi»;
   tale relazione prosegue: «difficile, poi, stabilire ed indicare con precisione le influenze mafiose sul voto del 31 maggio, in assenza di specifiche ed accurate indagini, che invece dovrebbero – alla luce delle precedenti considerazioni, a tutti note e condivise – basarsi anche su accertamenti di tipo induttivo (...) Al momento in Campania risulta – attraverso la stampa – che siano stati aperti due filoni d'indagine sul voto di scambio politico-mafioso ma, a quanto si legge, riguarderebbero casi isolati e circoscritti, non certo l'intero fenomeno»;
   nella relazione, infine, si indicano le situazioni di alcuni eletti che, sulla base di considerazioni legate a precedenti riguardanti i soggetti interessati ovvero persone loro vicine per legami di natura familiare, lavorativa o amicale, presentano elementi di rischio;
   in particolare, anche sintetizzando quanto riportato in una tabella allegata alla predetta relazione dell'associazione «Antonino Caponnetto» si possono desumere i seguenti dati: Armando Cesaro, eletto nella lista Forza Italia con 27.939 preferenze ha avuto il padre Luigi e i fratelli del padre indagati per concorso esterno in associazione camorristica; Alberico Giambino, eletto nella lista Fratelli d'Italia con 10.585 voti è stato in passato arrestato e condannato a due anni e dieci mesi per «violenza privata» al termine di un processo dov'era imputato per collusioni con il clan camorristico Frezza-Petrosino; è stato poi assolto: ma un'inchiesta bis della direzione distrettuale antimafia di Salerno è culminata con una nuova richiesta di arresto;
   Massimo Grimaldi, eletto nel la lista Caldoro Presidente con 10.089 preferenze è citato in un processo a carico di esponenti del clan Mallardo e dei Casalesi, pur senza essere indagato; lo stesso risulterebbe viceversa indagato per peculato nell'inchiesta cosiddetta «rimborsopoli» (21.300 euro le spese pazze contestate); Nicola Marrazzo, eletto nella lista del Partito Democratico con 12.525 voti, indagato per «rimborsopoli» (spese pazze per 43.284 euro), è fratello di Angelo, la cui impresa nel settore rifiuti è stata colpita da interdittive antimafia; lo stesso Nicola Marrazzo è stato assessore al comune di Casandrino sciolto per camorra; per quanto riguarda Franco Moxedano, eletto nelle liste dell'Italia dei Valori con 4.413 voti, il fratello Mario e suo figlio Raffaele sono stati arrestati dalla procura di Catanzaro durante l'ultima campagna elettorale per aver truccato le partite della locale squadra di calcio: per Mario Moxedano i pm calabresi ipotizzano collegamenti col clan Iannazzo della `ndrangheta; Luciano Passariello, eletto nella lista Fratelli d'Italia con 8.330 preferenze, fino alla scorsa legislatura era componente della Commissione anticamorra, risulta indagato dalla DDA di Cagliari per riciclaggio a favore dei Casalesi; Michele Schiano, eletto con 21.539 nella lista Forza Italia, ex sindaco di Qualiano, nel 2012 un pentito accusa Schiano di collusioni con i colletti bianchi del clan Mallardo attraverso il camorrista Domenico Aprovitola (arrestato); nel 2014, peraltro, il nome di Michele Schiano, detto «Macchiulella» torna nelle carte giudiziarie dell'inchiesta sul clan Simeoli di Marano (Polverino); Ermanno Russo, eletto con 16.276 voti nella lista Forza Italia, è cugino del deputato Paolo Russo (indagato per camorra e poi prosciolto); entrambi sono notoriamente «feudatari» di Marigliano-Nola e da sempre legati a Nicola Cosentino e Luigi Cesaro; Lello Topo, eletto nelle liste del Partito Democratico con 20.551 voti, ex sindaco di Villaricca, è avvocato dirigente alla ASL, ma secondo una recente sentenza del Consiglio di Stato non aveva i titoli per partecipare a quel concorso; Flora Beneduce, eletta per Forza Italia con 14.360 preferenze è moglie dell'ex assessore regionale Armando De Rosa e, con il marito, è sotto processo per abusi edilizi che hanno devastato l'area archeologica della piana di Sorrento –:
   se il Governo intenda rafforzare, per quanto di competenza, le attività investigative e di prevenzione in materia di rapporti tra criminalità organizzata e pubbliche amministrazioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover esercitare il potere di iniziativa legislativa affinché venga definita una normativa che consenta una maggiore incisività nella selezione dei candidati in relazione alle vicende processuali che riguardino loro e persone loro vicine o per lo meno nella segnalazione pubblica delle situazioni di rischio. (4-09785)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si ai prende da notizie di stampa, il COISP (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia) ha ottenuto la possibilità di manifestare il giorno 20 luglio 2015 in piazza Alimonda a Genova. Obiettivi della manifestazione sono, a detta del segretario regionale ligure Matteo Bianchi, la discussione di quanto avvenuto durante il G8 di Genova e in particolare, i fatti della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, e la rimozione della targa in onore di Carlo Giuliani;
   da anni, nella stessa piazza e nello stesso tragico giorno, che ha visto l'uccisione di Carlo Giuliani, si riunisce l'associazione creata in memoria del giovane, con altre associazioni e movimenti. Pertanto, la manifestazione del COISP con le sue motivazioni sembrerebbe all'interrogante avere uno scopo meramente provocatorio, considerato anche che ci sono sentenze chiare di condanna sui responsabili della gestione dell'ordine pubblico, durante i giorni del G8 di Genova –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di dover accertare le ragioni addotte da chi ha concesso la disponibilità della piazza al COISP;
   se non ritenga urgente intervenire per evitare che tale manifestazione abbia luogo, scongiurando anche la possibilità di disordini pubblici. (4-09786)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 giugno 2015 nel corso di un'intercettazione è emersa la volontà, da parte di un boss condannato per camorra e del fratello, di punire in maniera esemplare il cronista dalle cui inchieste erano nate le indagini che avevano portato alla cattura del suddetto boss;
   il fratello del boss asseriva in quella conversazione di voler «spaccare il cranio» al giornalista in questione;
   il cronista oggetto delle minacce è Nello Trocchia, giornalista campano autore di libri-inchiesta su mafie e corruttele e collaboratore del Fatto Quotidiano, del programma «In onda» di La7 e dell'Espresso;
   la cosa è stata immediatamente segnalata attraverso un'informativa riservata alla procura antimafia di Napoli;
   nonostante sia passato ormai un mese da allora, tuttavia, Nello Trocchia non ha ancora ricevuto nessuna misura di protezione;
   la procedura volta a garantire un'azione di tutela è ben collaudata e solitamente tempestiva, fatta di passaggi attentamente codificati: la procura deve inviare la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in prefettura;
   a questo punto il prefetto dovrebbe convocare il Comitato per l'ordine e la sicurezza, ovvero l'organo che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona «esposta a rischio»;
   non si spiega come mai una procedura così chiara e solitamente rapida non sia ancora arrivata a compimento;
   da quanto si apprende la procura, a distanza di qualche giorno dalla ricezione dell'informativa, avrebbe effettivamente inviato alla procura generale il fascicolo, ma da lì in poi ne sono perse le tracce;
   ciò di cui si discute nei Comitati per l'ordine e la sicurezza è materia riservata, quindi la prefettura non ha rilasciato dichiarazioni sulla vicenda;
   ciò che è certo è che al momento nessuna misura a protezione del giornalista è stata presa;
   l'elenco dei giornalisti minacciati di ritorsione per il loro operato è ormai estremamente lungo;
   il rischio è che progressivamente venga messa a repentaglio la possibilità stessa di esercitare la professione giornalistica e tutelare fino in fondo l'esercizio della libertà d'informazione;
   tra il 2006 e il 2014 sono stati registrati 2.300 casi accertati di violenza nei confronti di giornalisti, con una stima di altri fatti che eleverebbe il numero a circa diciottomila episodi intimidatori;
   solo nei primi sei mesi dell'anno il Centro europeo per libertà dell'informazione di Lipsia (ECPMF) ha contato 206 minacce ai danni dei giornalisti italiani;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo «Al giornalista devo spaccargli il cranio». Boss minaccia collaboratore del Fatto.it. Ma dopo un mese protezione non arriva» pubblicato 1'8 luglio 2015 dall'edizione online de «Il Fatto Quotidiano» –:
   se non ritenga doveroso ed urgente intervenire al fine di verificare le motivazioni per cui non sono state ancora adottate misure per la tutela di Nello Trocchia;
   se non ritenga doveroso ed urgente agire in modo da garantire che le più adeguate misure di tutela disponibili vengano adottate immediatamente;
   se vi siano altri casi analoghi in questo momento nel Paese e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di evitare che episodi di questo tipo possano ripetersi. (4-09792)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Nello Trocchia è un cronista campano, collaboratore de «Il Fatto Quotidiano», de «In onda» su La7 e de «L'Espresso»;
   da sempre impegnato in inchieste di peso sulla criminalità organizzata, Trocchia è autore anche di numerosi libri, come «La Peste», in cui si racconta il sistema di complicità tra camorra e Stato nel business dei rifiuti;
   secondo quanto si legge su diversi organi di stampa («L'Espresso», «Il Fatto Quotidiano»), in un'informativa riservata, inviata con urgenza alla procura antimafia di Napoli, si riporta il contenuto di un'intercettazione in cui, con riferimento a Trocchia, il fratello di un boss dice: «A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare»;
   su «L'Espresso» si legge che il dialogo, intercettato dalle cimici, «avrebbe dovuto attivare rapidamente la procedura che di solito si innesca in questi casi: la procura invia la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in Prefettura. A questo punto il prefetto dovrebbe convocare il comitato per l'ordine e la sicurezza, l'organo, cioè, che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona "esposta a rischio"»;
   a distanza di trenta giorni, tuttavia, nulla è successo;
   secondo quanto risulta ancora a «L'Espresso», «la procura, a distanza di qualche giorno, ha inviato in procura generale il fascicolo. Da qui in poi se ne sono perse le tracce. Dalla Prefettura rispondono che ciò di cui si discute nei comitati dell'ordine e la sicurezza è materia riservata. Quindi non confermano né smentiscono l'arrivo dei documenti. Ma in ogni caso nessuna misura a protezione del giornalista è stata ancora presa. E neppure è stato informato ufficialmente che i due intercettati tramavano alle sue spalle, arrivando persino a pianificare una spedizione punitiva»;
   a parere dell'interrogante, il giornalista è evidentemente esposto ad un concreto pericolo anche perché l'informativa riporta, per quel che è emerso dai giornali, anche colloqui in cui i due fratelli sostengono infatti di avere individuato il luogo di lavoro di Trocchia e che quindi potrebbero agire senza problemi. Per questo motivo i militari dell'Arma definiscono le frasi captate dai microfoni come «esplicite minacce rivolte al giornalista del Fatto Quotidiano» –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per tutelare la sicurezza personale del giornalista Nello Trocchia. (4-09799)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il terzo periodo del comma 519 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) consentì la stabilizzazione di personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a favore degli iscritti negli appositi elenchi di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, da almeno tre anni e con almeno di centoventi giorni di servizio;
   con il decreto ministeriale 27 agosto 2007 n. 3747, emanato ai sensi del citato comma 519 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, il Ministero dell'interno indisse una procedura selettiva, per titoli ed accertamento dell'idoneità motoria, per la copertura di posti nella qualifica di vigili del fuoco nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per la stabilizzazione del personale precario;
   tuttavia, nelle more intervenne la norma interpretativa di cui al comma 91 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la quale precisò che il requisito dei centoventi giorni si dovesse intendere riferito al quinquennio 2002/2007;
   un vigile del fuoco precario propose istanza di partecipazione a tale procedura, ma ne fu escluso con riguardo appunto alla norma citata, in quanto egli svolse si il servizio di vigile del fuoco discontinuo, ma non nel periodo indicato;
   pertanto si instaurò un lungo contenzioso circa l'esclusione che si concluse sfavorevolmente per il ricorrente con la sentenza n. 9 del 24 giugno 2011 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato;
   nel frattempo, però, sette concorrenti in una situazione analoga al ricorrente furono ammessi con riserva alla procedura selettiva, in forza della cautela concessagli dalla VI sezione del Consiglio di Stato;
   i sette concorrenti superarono le prove e furono avviati al lavoro con invito a presentarsi nella sede indicata per la frequenza del prescritto corso di formazione professionale, pena la decadenza dalla posizione che avevano ottenuto superando le prove concorsuali;
   tale invito fu formulato con lettera datata 15 ottobre 2009 a firma del dirigente della direzione centrale per le risorse umane del dipartimento dei Vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno. In tale comunicazione si comunicava «che la S.V., in esecuzione dell'esito del ricorso proposto, con provvedimento in corso, viene assunta con riserva quale vigile del fuoco in prova del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e pertanto dovrà presentarsi il giorno 3 novembre 2009 alle ore 8,30 presso la scuola per la formazione di base P.zza Scilla 2 — 00178, Roma Capannelle, per iniziare la frequenza del corso di formazione professionale che avrà poi seguito presso la struttura che verrà successivamente comunicata e della durata complessiva di sei mesi. Ciò premesso, si informa che la mancata presentazione in servizio, senza giustificato motivo, sarà intesa come rinuncia all'assunzione. La S.V. dovrà presentarsi munita della seguente documentazione in fotocopia». Veniva, inoltre, richiesto, ai fini dell'assunzione, che tutti i vincitori rendessero tutte le dichiarazioni obbligatorie previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 2005, tra cui quella attestante «di impegnarsi a non avere, alla data di assunzione in servizio, altro rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con altra P.A. o datore di lavoro privato e quindi esercitare il diritto di opzione per il nuovo impiego presso il Ministero dell'interno dalla medesima data di assunzione»;
   pertanto, al fine di ottemperare a quanto richiesto dall'amministrazione, i sette concorrenti in oggetto hanno dovuto rinunziare alla loro attività lavorativa all'epoca in itinere;
   nel frattempo, terminate il corso di formazione e la conseguente fase di applicazione pratica, i sopra elencati vigili hanno conseguito la definitiva nomina in ruolo, come vigili del fuoco, ed hanno prestato il previsto giuramento ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 2005;
   in conclusione, nella fattispecie, si discute sull'ammissibilità di una assunzione nel pubblico impiego condizionata come è avvenuto nel caso di specie dove i signori vigili hanno, in buona fede e senza dolo alcuno, creduto nella loro assunzione a tempo indeterminato essendo si consapevoli dell'assunzione con riserva, ma legittimamente e in buona fede convinti che il buon esito del corso, il giuramento e il passaggio in ruolo avessero di fatto sanato il tutto;
   nel frattempo, tuttavia, sopraggiunse la già citata sentenza n. 9 del 24 giugno 2011 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato che vedendo soccombere il ricorrente innescò la procedura di annullamento della nomina iniziata il 12 luglio 2011 e terminata con il licenziamento dei sette vigili del fuoco;
   peraltro, il Consiglio di Giustizia amministrativa delle regione siciliana (sezione giurisdizionale, 23 aprile 2001, n. 179), ha stabilito che «quando il giudice amministrativo, con pronuncia cautelare, abbia ammesso con riserva il ricorrente alle prove concorsuali, se il ricorrente supera le prove, l'amministrazione può scegliere se congelare le fasi successive del procedimento di assunzione in attesa della sentenza di merito, oppure se procedere all'assunzione definitiva, per assicurare l'immediata copertura del posto; non può procedere invece a un'assunzione con riserva in quanto essa, richiedendo comunque le dimissioni definitive dal precedente impiego, comporterebbe per il ricorrente un pregiudizio incompatibile con la funzione di garanzia della tutela cautelare»;
   non si capisce per quali ragioni il Ministero dell'interno non abbia tenuto conto di tali banali principi di buon senso;
   attualmente pendono i ricorsi in appello proposti dai succitati vigili per contestare l'annullamento della loro nomina ed il comportamento della pubblica amministrazione che dapprima li ha indotti a credere in buona fede nella definitività del rapporto di pubblico impiego instaurato salvo poi procedere, in maniera a loro avviso illegittima, all'annullamento in autotutela degli atti assunti, senza considerare che i vigili in questione hanno dovuto rinunciare al proprio precedente impiego, assumendo impegni finanziari e familiari gravosi. –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda illustrata in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato possa risalire alle motivazioni sulla base delle quali si sia proceduto all'assunzione definita dei soggetti, nonostante non fosse ancora intervenuta la sentenza del giudice amministrativo sul merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, per quanto di competenza amministrativa o mediante l'esercizio del potere di iniziativa normativa al fine di giungere ad una soluzione che risolva questa controversa vicenda in favore dei sette vigili del fuoco prima assunti e poi licenziati. (4-09800)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, PETRAROLI e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un articolo pubblicato, a pagina 25, su «La Gazzetta del Mezzogiorno» in data 29 maggio 2015 e titolato «Ecco come ti ammazzo le università meridionali» a firma di Lino Patruno riportava i seguenti dati allarmanti sullo status in cui versano le università del meridione: «Il Sud ha perso in dieci anni 87 mila studenti (meno 36,6 per cento Puglia, meno 49,4 Basilicata)». E ancora: «Così il Sud ha la più bassa percentuale di laureati (18,9 per cento) in un'Italia già ultima in Europa»;
   secondo quanto riportato nell'articolo, a causa della «Riforma Gelmini», che contiene il sistema della cosiddetta «premialità», una gran fetta dei finanziamenti statali per le università sono stati dirottati dal Sud al Nord: si parla di 160 milioni di euro in soli tre anni e di altri 100 milioni per i prossimi anni;
   il sistema della premialità consiste nell'erogare maggiori finanziamenti a quelle università i cui laureati trovano occupazione in tempi brevi, che hanno meno studenti fuori corso e ricevono fondi privati;
   sulla base del sistema della premialità il Sud risulta maggiormente penalizzato a causa delle sue difficili condizioni socio-economiche;
   secondo gli articoli 3 e 34 della Costituzione della Repubblica, lo Stato italiano deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, per cui i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi;
   il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia» del 2014 descrive un quadro allarmante del sistema universitario, mostrando, tra l'altro, preoccupazioni sulla sua efficienza;
   come già riportato in un'interrogazione a risposta in Commissione, a prima firma D'Uva pubblicata il 23 marzo 2015, il meccanismo della premialità aumenta il divario tra le università del Nord e quelle del Sud in maniera non più accettabile e a danno solo e soltanto degli studenti e delle loro famiglie gravate da tasse universitarie sempre più alte –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare di porre in essere una qualche iniziativa, per quanto di competenza, per fermare l'emorragia di studenti dalle università del Sud e garantire il pieno rispetto del diritto allo studio costituzionalmente garantito;
   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi per introdurre un organo di controllo sull'osservanza delle disposizioni in materia di diritto allo studio, già previsto dall'articolo 20, comma 1 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, affinché l'attuale sistema di finanziamenti non costringa gli studenti ad abbandonare i corsi di studi universitari anche a causa di una tassazione non adeguata. (4-09794)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Electrosys con sede in Orvieto (PG), attiva nel settore dell'elettronica di precisione, si trova in concordato preventivo dal luglio 2014 e recentemente è stato siglato un accordo con la società Elenos per la cessione dell'azienda;
   tuttavia, nonostante la conclusione dell'accordo, rimane forte l'incertezza e la preoccupazione per il futuro dell'azienda e soprattutto per la sorte dei lavoratori dipendenti;
   infatti, come si apprende dalla stampa on line (www.orvieto24.it del 3 febbraio 2015), «L'ultimo stipendio, o meglio acconto sullo stipendio, lo hanno percepito a febbraio 2014. Circa 500 euro, poi più niente. Sono i circa ottanta dipendenti della Electrosys che da un anno non vengono pagati, ottanta famiglie che non possono più contare su uno stipendio, famiglie che da un anno non sanno più a che santo votarsi. Fa da sottofondo a tutto questo la spinosa vicenda del passaggio di proprietà: il giudice ha deciso per l'offerta di affitto di ramo di azienda proposta dalla Elenos ma i dipendenti dicono che al contrario di quanto affermato dal sindaco Giuseppe Germani, da Andrea Scopetti e Andrea Taddei Segretario e Capogruppo PD Orvieto, "niente sarebbe definito poiché il giudice — secondo quanto riferito da un gruppo di dipendenti — starebbe valutando la congruità dell'offerta prima di dare il suo ok alla firma o di predisporre il fallimento di azienda." Azienda che nel frattempo — dicono i dipendenti sarebbe ancora aperta e nel cui stabilimento accoglierebbe ogni giorno una ventina di persone che — a detta dei dipendenti — nessuno sa cosa fanno, ma soprattutto nessuno sa come e se verranno pagati. E certamente non sono stati pagati gli ottanta dipendenti che dopo la firma del concordato di giugno si aspettavano almeno di ricevere la cassa integrazione. E invece no. E perché no ? Perché sempre secondo quanto riferito dai dipendenti — alcuni vizi di forma evidenziati in alcuni documenti presentati dai sindacati e da Confindustria al Ministero, sarebbero l'origine del blocco di tutta la procedura. Procedura che, ormai ferma da mesi, nessuno riesce a sbloccare.»;
   intanto, considerato il lasso di tempo trascorso, forte è il rischio che la Electrosys perda importanti commesse e i clienti acquisiti con conseguente indebolimento della società e ricadute sui livelli occupazionali –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e se sia vero che i dipendenti della Electrosys non hanno percepito alcuna retribuzione né goduto del trattamento di cassa integrazione e per quali motivi;
   quali misure urgenti intendano adottare per favorire un rilancio dell'attività e per tutelare i livelli occupazionali anche verificando la sussistenza dei presupposti per la concessione di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito. (3-01610)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la mancanza di chiarezza in merito al rapporto tra Inalca (gruppo Cremonini) ed il Consorzio cooperativo euro 2.000 pone a serio rischio occupazionale e retributivo i 950 soci lavoratori;
   Inalca – si ricorda – è la prima azienda in Italia e fra le prime in Europa nella macellazione e lavorazione di carni bovine; il rapporto con Consorzio euro 2.000 è nato oltre quindi anni fa, con una serie di cooperative consorziate che in questi anni hanno cambiato nome ben 5 volte: una «girandola» di nomi da confondere chiunque abbia tentato di ricostruire la vicenda; Inalca e Consorzio 2000 sono socie di GESCAL Srl, società di intermediazione di appalti negli stabilimenti Inalca;
   come si apprende anche dalla stampa, il 27 giugno 2015 è emerso un buco di 12 milioni di euro al bilancio del Consorzio euro 2.000, il tutto all'insaputa dei soci che, in questi anni, non hanno mai votato un bilancio, partecipato agli utili o ad un consiglio di amministrazione, e all'insaputa del committente Inalca;
   alle domande del perché è stato creato un buco di tale entità sembrerebbe siano state date timide e vaghe risposte inerenti a «un mancato pagamento di un conguaglio da parte di Inalca», un mancato adeguamento delle tariffe in altri appalti e circa 8 milioni dei 12 per crediti che il Consorzio vantava verso le cooperative che erano associate;
   ancor meno chiare sono le ragioni per cui, dopo quindici anni di strettissima collaborazione, l'Inalca ha disdettato il contratto d'appalto con il Consorzio euro 2.000 a decorrere dal 31 maggio 2015;
   ai sindacati è stato comunicato che, per continuare a lavorare, i dipendenti di Consorzio euro 2.000 avrebbero dovuto dare le dimissioni per giusta causa (mancato pagamento degli stipendi) ed accettare di essere assunti con contratto a termine per sei mesi da un'agenzia di lavoro interinale, la società di somministrazione Trenkwalder Srl, garantendo anche un acconto di 1.000 euro sulle mensilità ancora da percepire;
   la maggior parte dei lavoratori coinvolti sono operativi nella Bassa Lodigiana, basti pensare che su circa 950 dipendenti ben 600 sono a Ospedaletto –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda assumere per far luce sulla vicenda esposta in premessa a garanzia dei lavoratori interessati. (5-06037)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con l'interrogazione n. 4-06664 presentata il 30 ottobre dello scorso anno, rimasta ad oggi senza risposta, si richiamava l'attenzione del Ministro sulla grave situazione che ha colpito i lavoratori licenziati collettivamente in data 28 dicembre 2012 dall'Azienda Centro Alimentari Di Mario S.r.l di Frosinone; la situazione è andata ulteriormente aggravandosi soprattutto se si considera la pesante ricaduta in termini economici non solo sulle famiglie coinvolte, ma anche sull'intero territorio circostante;
   la soluzione del problema si rende quanto mai urgente anche perché altri lavoratori, che hanno cessato di fruire dell'indennità ASPI nel settembre 2014, hanno già percepito le indennità di mobilità in deroga;
   invece, a tutt'oggi, i lavoratori, di cui alla sopra richiamata interrogazione n. 4-06664, non hanno ancora ottenuto la liquidazione delle indennità di mobilità in deroga, pur avendone presentato la prevista domanda sin dal gennaio 2014;
   tale mancata erogazione va ad aggiungersi alle già gravose condizioni economiche in cui i lavoratori versano da così lungo tempo, per di più accentuate dal fatto che non vi sono notizie certe e rassicuranti al riguardo –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, con riferimento alla delicatissima situazione evidenziata, per risolvere il problema e concorrere ad attenuare le pesanti condizioni di disagio sociale subite dai lavoratori mediante la corresponsione di quanto previsto ai sensi di legge. (4-09796)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IORI, ALBANELLA, AMODDIO, BENI, PAOLA BOLDRINI, CAPONE, CARLONI, CARNEVALI, CARRA, FABBRI, GANDOLFI, GNECCHI, MARCHI, PATRIARCA, ROSTELLATO, SBROLLINI, SENALDI, SGAMBATO, TIDEI, VALERIA VALENTE e ZAMPA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dopo due proroghe, il 31 marzo 2015 avrebbe dovuto finalmente concretizzarsi la tanto attesa chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e la conseguente dimissione di tutti gli internati ritenuti in grado di proseguire il loro cammino terapeutico-riabilitativo all'esterno o nelle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza);
   sebbene fosse comprensibile e prevedibile che il processo di definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari non sarebbe stato immediato ed omogeneo in tutte le strutture, non possono esservi tuttavia battute d'arresto che vedano ulteriormente procrastinato l’iter di chiusura di questi luoghi di detenzione;
   il lungo e faticoso percorso ha già subito troppi rallentamenti intollerabili e richiede un monitoraggio e, ove necessario, un immediato intervento da parte delle istituzioni;
   in diversi ospedali psichiatrici giudiziari si stanno verificando disordini ed eventi gravissimi, nonché episodi di violenza ed autolesionismo come quelli recentemente riportati dalla cronaca:
   in Toscana, presso l'ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino, dove risultano ancora rinchiuse novanta persone, in quanto nessuna delle strutture alternative è ancora operativa, nei primi di giugno un detenuto di 27 anni ha tentato di togliersi la vita impiccandosi con le lenzuola ad una grata;
   a novembre dello scorso anno, nella medesima struttura, due poliziotti hanno subito una violenta aggressione da parte di un internato;
   il consigliere regionale uscente della Campania, Antonio Amato, a seguito di un'ispezione presso l'ospedali psichiatrici giudiziari di Secondigliano (Napoli), in cui sono internate ancora 54 persone, ha denunciato una cella data alle fiamme e ha dato notizie di ripetuti atti di autolesionismo tra gli internati, nonché del rifiuto da parte degli agenti penitenziari di recuperare i registri a causa della carenza di personale;
   le Rems sono pronte solo in alcune regioni, mentre altre non sono ancora in grado di ricevere i pazienti dimessi, e dunque non è dato sapere se sono stati predisposti programmi specifici per le misure alternative all'internamento e se è stato attuato un potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale;
   è necessario accelerare il processo di chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari garantendo in tempi rapidi la realizzazione e la messa in funzione di tutte le Rems non ancora attive, ed è altresì indispensabile rafforzare le strutture deputate alla salute mentale sul territorio, sostenere efficacemente i percorsi individualizzati di cura e di inclusione sociale;
   è indispensabile intervenire immediatamente ed efficacemente per evitare altri gravi eventi come quelli già accaduti, predisponendo migliori controlli sulle condizioni e il trattamento dei soggetti ancora internati negli ospedali psichiatrici giudiziari prossimi alla chiusura nonché sull'effettiva e tempestiva attuazione delle dimissioni –:
   se sia a conoscenza dei gravi episodi avvenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino e Secondigliano (Napoli) e se non ritenga opportuno intervenire tempestivamente, intensificando l'attività di controllo in questa fase di chiusura delle strutture, per garantire la salute e l'integrità fisica di tutte le persone ancora internate e del personale;
   quali iniziative intenda attuare per perseguire ed accelerare il percorso di chiusura definitiva di tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari avviato, ovvero il processo di dimissione degli internati, la messa in funzione delle Rems e il potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale. (5-06039)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono passati ormai quasi 5 mesi dal tragico episodio della neonata di Catania;
   le amministrazioni regionali e nazionali si erano indignate: richieste di commissariamento, di commissioni di inchiesta, di interventi dei Nas, annunci di dimissioni irrevocabili;
   i responsabili sarebbero stati trovati ed avrebbero pagato e, soprattutto, si era dichiarata la ferma intenzione di porre mano ai necessari correttivi del sistema, con l'attivazione, tra l'altro, di un funzionale trasporto neonatale di emergenza;
   pur avendo preso atto, già da tempo, dell'accordo Stato-regioni relativo alle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza del precorso nascita, e avendo attinto ai relativi finanziamenti, non si è proceduto in maniera consequenziale, tanto che, già nel 2012, il comitato Lea ha ritenuto la regione siciliana inadempiente rispetto ai compiti previsti dall'accordo;
   nel D. A. del 21 dicembre 2011, pubblicato nel G.U.R.S. n. 8 del 2012 e relativo ad assegnazione di somme per l'attivazione dei servizi STEN/STAM erano stati stanziati 5 milioni di euro, di cui 470 mila a Gela, nel comprensorio dell'ASP di Caltanissetta, che avrebbe dovuto attivare l'UTIN e 470 mila a Enna, che avrebbe dovuto attivare il sistema STEN/STAM;
   ad oggi, nel P.O. di Mussomeli, rimane attivo un punto nascita, con meno di 500 nati l'anno, che viene garantito con un dirigente medico pediatra che interviene in pronta disponibilità pomeridiana e notturna, alla pari di un dirigente medico della U.O. di anestesia e rianimazione e di un dirigente medico della U.O. di ostetricia e ginecologia, che intervengono con la medesima attivazione. Eventuali trasferimenti materno-fetali o neonatali da Mussomeli, vengono effettuati presso la UTIN di Agrigento, più facilmente raggiungibile di quella di Enna, dal personale del P.O. di Mussomeli;
   anche dopo la vicenda della bambina catanese deceduta subito dopo il parto, la situazione non appare per nulla migliorata;
   il 13 marzo 2015 viene emanato il D.A. del 26 febbraio, avente per oggetto «Riordino e razionalizzazione della rete dei servizi di trasporto emergenza neonatale (STEN) e assistito materno (STAM)», con il quale viene stabilito che, a decorrere dal 30 aprile 2015, dovranno garantire, lo STEN e lo STAM le strutture di seguito elencate, secondo il bacino di utenza assegnato;
   per la Sicilia occidentale, l'azienda ospedaliera Cervello di Palermo garantirà il servizio per le province di Palermo e Trapani. Per la Sicilia centrale, l'ASP di Enna, con il P.O. Umberto I di Enna, garantirà il servizio per le province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Per la Sicilia orientale, l'AOUP di Catania, con il P.O. Santo Bambino, garantirà il servizio per le province di Catania, Ragusa e Siracusa, l'ASP e l'AUOP di Messina garantiranno il servizio per la provincia di Messina;
   date queste disposizioni, interviene anche il Ministero della salute che invia dei commissari i quali prendono atto di una situazione disastrosa, nonostante i tentativi di smentita dell'assessorato alla salute della regione;
   ad oggi non è stato attivato nessuno STEN o STAM nelle province di Caltanissetta, Agrigento ed Enna e ci si è dovuti attivare con un protocollo interno, per assicurare un minimo di servizio di trasporto da poter effettuare in sicurezza;
   il 2 marzo 2015 il Ministero della salute, consapevole dei ritardi, invia alla Regione una nota, con la quale sollecita ed impone di adeguarsi, entro e non oltre il 30 giugno del 2015 alle disposizioni ministeriali sul percorso nascita, evidenziando la possibilità, in caso di verifiche negative, di poter esercitare i poteri sostitutivi previsti dalla normativa vigente;
   ne consegue un'ulteriore nota, inviata dall'assessorato alla salute della regione siciliana ai direttori generali di Caltanissetta, Catania e Palermo, in cui si chiede di relazionare sull'argomento, ciascuno per il bacino di propria competenza e si rimane in attesa di urgente riscontro;
   non si può rischiare che si possa ripetere la tragedia della piccola neonata catanese e, a giudizio dell'interrogante, occorre procedere in tempi brevissimi nei sensi indicati dalle varie ispezioni ministeriali;
   pochi giorni fa, l'assessore regionale siciliano alla sanità, Lucia Borsellino, si è dimessa «omissis. .. avendo sentito fortemente il dovere di attendere la scadenza del 30 giugno entro la quale il ministero della Salute ha rivolto alla regione l'assolvimento di alcune prescrizioni relative a taluni adempimenti in tema di assistenza materna e neonatale che hanno visto l'assessorato da me guidato e l'intero servizio sanitario regionale pronti a rendere conto dei relativi interventi ed attività svolte pur essendo già da tempo autonomamente programmati»;
   il presidente della regione siciliana, invece, ha nominato un «comitato di saggi» piuttosto che risolvere tali serie problematiche;
   il ministro interrogato, a giudizio dell'interrogante, dovrebbe prendere l'iniziativa di intervenire nella materia dell'emergenza e del soccorso neonatale siciliano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza intende adottare il ministro interrogato affinché possano essere risolte le problematiche esposte in premessa. (4-09793)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS, LIUZZI, TOFALO, QUINTARELLI, BASSO, CATALANO, BONOMO, PELUFFO, BARBANTI, BRUNO BOSSIO, BARGERO, CAPUA e ASCANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2015 dei soggetti allo stato ignoti si sono introdotti nel profilo tenuto sul social network denominato Twitter della società denominata HT (Hacking Team) S.r.l. corrente in Milano al via della Moscova 14, specializzata in sistemi di sorveglianza informatica, diffondendo, come riferiscono numerose fonti di stampa, una gran mole di documenti interni afferenti alla società (circa 400 gigabyte di dati);
   dalla documentazione diffusa emergerebbe che la predetta società operante in Italia, Stati Uniti e Singapore, abbia fornito e fornisca software per la sorveglianza informatica, tra i quali i software denominati «Da Vinci» e «Galileo», a diversi Stati sovrani tra i quali figurano, oltre all'Italia, anche Paesi sottoposti a regimi non democratici quali Etiopia, Bahrain, Egitto, Kazakhstan, Marocco, Russia, Arabia Saudita, Sud Sudan, Azerbaijan e Turchia. Alcuni dei quali come il Sudan sottoposti a veri e propri regimi di embargo a livello europeo;
   fonti stampa suggeriscono che tali software sarebbero utilizzati per azioni di sorveglianza informatica rivolte a dissidenti e attivisti politici, nonché giornalisti e altri interlocutori invisi ai regimi dei Paesi considerati;
   sulla vicenda, da quanto si apprende dalla stampa, la procura della Repubblica di Milano avrebbe aperto un fascicolo di indagine contro ignoti per accesso abusivo a sistema informatico;
   le rivelazioni di questi giorni sembrerebbero confermare i sospetti e le denunce presentate anche in tempi non recenti da organizzazioni non governative internazionali quali «Reporters sans frontières» e Privacy International;
   nel giro di qualche ora dalla diffusione delle suddette informazioni la notizia ha fatto letteralmente il giro del mondo essendo ripresa dai principali organi di stampa a livello europeo e mondiale, quali ad esempio, il britannico The Guardian, The Washington Post e Le Monde per citare quelli con maggiore diffusione;
   come noto, a livello europeo sin dal 2009 vige un sistema di controllo delle esportazioni verso Paesi terzi di tecnologie e beni a duplice uso per assicurare il rispetto degli impegni e delle responsabilità internazionali presi dagli Stati, che hanno aderito ai regimi di controllo all'esportazione;
   tali norme sono contemplate dal regolamento (CE) 428/09 successivamente modificato dal regolamento (UE) n. 388 del 2012, il quale istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso. In Italia le disposizioni del regolamento n. 428 del 2009 sono state recepite con il decreto-legge n. 96 del 9 aprile 2003 e l'attività di controllo è demandata al Ministero interrogato;
   da quanto si apprende dai leak pubblicati, presumibilmente la società in oggetto offriva servizi per i sistemi informativi di sicurezza di vari Paesi tra i quali come detto l'Italia. A questo proposito stante l'attacco informatico cui è stata oggetto la società è ragionevole supporre che i sistemi informatici dalla stessa prodotti possano avere delle falle di sicurezza tali da esporre a rischio i dati acquisiti nonché le indagini in corso sulla base degli stessi dati –:
   quali controlli e quali iniziative siano state poste in essere o saranno posti in essere per evitare che la società sopra citata, così come altre società operanti nel territorio della Repubblica italiana, siano precluse dalla fornitura di software atti alla sorveglianza di massa in favore di regimi non democratici e/o sottoposti a misure di embargo;
   se i Ministri interrogati, per quanto di rispettiva competenza, possano dare informazioni e delucidazioni relativamente alla possibilità che importantissimi dati sensibili di vari Paesi posti nei medesimi server o in sistemi informatici con un livello di sicurezza uguale o inferiore a quelli violati siano stati rubati, estrapolati e diffusi e quali conseguenze questo comporti per il nostro Paese;
   se i Ministri interrogati, per quanto di rispettiva competenza, intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare il livello attuale di sicurezza dei software forniti dalla società sopracitata al nostro Paese nonché porre in essere iniziative utili per prevenire eventuali conseguenze pregiudizievoli per le indagini in corso avviate sulla base dei dati acquisiti attraverso i predetti software. (4-09797)

Apposizione di firma a una interrogazione e cambio del presentatore.

  L'interrogazione a risposta scritta Molteni n. 4-09770, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2015, è da intendersi sottoscritta dal deputato Giancarlo Giorgetti che ne diventa il primo firmatario.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Busto n. 7-00729, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 458 del 9 luglio 2015.

   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea UNCLOS), firmata a Montego Bay nel 1982, ratificata da 167 Stati e dall'Unione europea, entrata in vigore nel 1994, rappresenta, a livello internazionale, il sistema di regole degli oceani e dei mari, finalizzato a disciplinarne tutti gli usi. Definisce, inoltre, i principi che regolano l'ambiente marino e la gestione delle risorse naturali dei mari e degli oceani;
    la legge 2 dicembre 1994, n. 689, ha autorizzato l'Italia alla ratifica ed esecuzione della Convenzione;
    nella Parte VI della Convenzione, all'articolo 75, viene definito il concetto di piattaforma continentale di uno Stato costiero, intesa come il naturale prolungamento del territorio di uno Stato, che «comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine», oltre le 200 miglia nautiche, ma entro le 350 o calcolato misurando 100 miglia nautiche dall'isobata dei 2.500 metri;
    l'articolo 77, comma 1, secondo cui «lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali», sancisce un diritto esclusivo relativamente all'uso delle risorse minerali e non viventi in genere, sia del fondale che del sottosuolo, nonché di quelle viventi appartenenti alle specie sedentarie, salvo consenso diverso concesso dallo stesso Stato rivierasco;
    a seguito di ciò, l'Italia ha esercitato il proprio diritto di sfruttamento minerario e biologico della flora e della fauna riemersale entro le aree della piattaforma continentale – quest'ultima definita in accordo con il Governo tunisino già con la legge 3 giugno 1978 n. 347 – e, inoltre, ha attribuito concessioni petrolifere a società private, senza però potere regolare e controllare lo sfruttamento esclusivo della pesca, trattandosi di attività non inerente all'istituto della piattaforma continentale;
    l'assenza dell'esercizio di controllo e di tutela biologica ha permesso ai pescatori italiani, ma anche tunisini, spagnoli, turchi, greci e giapponesi, sul banchi di pertinenza italiana – come Banco Avventura, Pantelleria, Talbot e Grahham, per fare alcuni esempi – di attingere indiscriminatamente al mare e depauperare le principali nursery di moltissime specie ittiche mediterranee del tratto compreso tra il canale di Sicilia e le coste tunisine, usando metodi leciti, ma anche illeciti;
    la distruzione delle specie in crescita è una delle cause della diminuzione del pescato delle marinerie nazionali e locali che, oltre alla riduzione progressiva delle taglie delle catture, determina un danno economico al settore e ai lavoratori, con la conseguente necessita di dover prevedere aiuti economici;
    l'istituto della «zona economica esclusiva» – ZEE –, definita nella parte V della Convenzione UNCLOS, agli articoli 55-75, come «la zona al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico stabilito nella presente Parte», costituisce un fondamentale strumento per porre un freno allo sfruttamento indiscriminato della pesca, per la tutela dell'ambiente marino e delle risorse biologiche, per lo sviluppo di una pesca sostenibile, nell'interesse anche dell'industria peschereccia nazionale e dei posti di lavoro che essa contribuisce a creare;
    la stessa Unione europea ha sensibilizzato gli Stati membri a proclamare la propria ZEE per garantire l'attuazione della politica di gestione delle risorse ittiche, di competenza esclusiva, al fine di contrastare, tra l'altro, lo sviluppo della pesca illegale da parte di pescherecci dei Paesi asiatici, che pregiudica anche il perseguimento degli obiettivi europei di gestione di tali risorse;
    l'Italia non ha tuttora proclamato la propria ZEE, nonostante l'importanza di tale strumento e le ampie problematiche di delimitazione tra Stati continui e rivieraschi nel Mediterraneo;
    la circostanza che, nelle more, Paesi della sponda sud del Mediterraneo, come la Tunisia, abbiano proclamato la propria ZEE, estendendo in tal modo diritti esclusivi di sfruttamento economico su spazi marini del Mediterraneo, accentua gli squilibri e la posizione di svantaggio a danno dell'Italia e delle sue politiche ambientali e della pesca, nonché degli interessi nazionali dei soggetti operanti nel settore;
    la proclamazione della ZEE conferirebbe all'Italia poteri sovrani di controllare le proprie acque, proteggere il proprio inestimabile patrimonio marino e gestire la risorsa pesca, con importanti ricadute anche in settori limitrofi e strategici per il nostro Paese, come il turismo;
    anche la convenzione di Barcellona relativa alla tutela dell'ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo, adottata nel 1976 e modificata nel 1995, nonché i protocolli elaborati a seguito, hanno lo scopo di proteggere l'ambiente marino e costiero del Mediterraneo dall'inquinamento, attraverso l'incoraggiamento di piani regionali e nazionali volti allo sviluppo sostenibile;
    l'articolo 38 della legge n. 164 del 2014 incentiva, come attività strategiche, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, pur comportando un elevato rischio per l'equilibrio e la tutela dell'ambiente marino;
    l'Italia dovrà recepire entro il 19 luglio 2015, la direttiva europea 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE, per salvaguardare l'ambiente marino, le coste e le risorse naturali contro i rischi di incidenti;
    l'Italia, con decreto del Presidente della Repubblica del 27 ottobre 2011, n. 209 – Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2011 –, ha regolamentato l'istituzione della Zona di protezione ecologica – ZPE – del Mediterraneo nord-occidentale, del Mar Ligure e del Mar Tirreno, in attuazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare;
    l'articolo 1 dello stesso decreto esclude però lo stretto di Sicilia dalla ZPE, nonostante il riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, quale area di massima biodiversità mediterranea,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire, quanto prima, una zona di protezione ecologica nel canale di Sicilia passaggio propedeutico alla ZEE tal fine di attuare le misure previste di protezione dell'ambiente e degli ecosistemi marini;
   a istituire, successivamente, nel Canale di Sicilia, in Accordo con la Tunisia, la zona economica esclusiva, così da poter imporre il diritto italiano di tutela e protezione del proprio ambiente marino, mettendo fine a tutte le attività che sinora hanno contribuito a deturpare, senza controllo e confine, il nostro mare;
   a garantire la gestione delle risorse naturali marine e costiere, integrando queste stesse in un piano di sviluppo economico e sociale che sia doverosamente controllato e sostenibile, al fine di salvaguardare le risorse del mare nazionale, difendendole dalle mire degli Stati non autorizzati;
   ad avviare tutte le procedure nazionali e internazionali affinché l'intero tratto di mare dello stretto di Sicilia possa avere un'adeguata protezione, riconoscendone l'elevato valore naturalistico ed economico, sottraendolo ai pericoli dello sfruttamento di qualsiasi tipo.
(7-00729)
«Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Sibilia».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli n. 5-04468, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 363 del 15 gennaio 2015.

   GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 marzo 2014, il Presidente del Consiglio annunciava a mezzo stampa (http://www.flcgil.it) un piano per le scuole da 3,5 miliardi di euro per la messa in sicurezza e per il rilancio del settore dell'edilizia;
   in data 27 marzo 2014 lo stesso Presidente del Consiglio sui media ribadiva che i cantieri sarebbero partiti a giugno ed i 3,5 miliardi erano già stati stanziati;
   in data 12 aprile 2014, sempre durante trasmissioni televisive, il Presidente del Consiglio dichiarava che i cantieri per questi interventi sarebbero partiti dal 15 giugno in tutti i comuni ed i 3,5 miliardi di euro stanziati sarebbero stati svincolati dal patto di stabilità;
   in data 4 luglio 2014 il Governo italiano assegnava i finanziamenti ai comuni (http://www.governo.it). Per Cortona ad esempio, comune di residenza della interrogante, risultano stanziati 7 mila euro;
   nel comune di Cortona tutti gli edifici scolastici posti sotto la responsabilità comunale necessitano di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; in particolare, sull'edificio scolastico di Fratta Santa Caterina urgono seri interventi di tipo strutturale di messa in sicurezza. Su tale edificio, di proprietà di terzi, il comune di Cortona paga da anni il canone di affitto ad un privato;
   da anni le amministrazioni comunali cortonesi annunciano la volontà di costruire un nuovo edificio di proprietà comunale nella stessa località Fratta Santa Caterina che ospiti la scuola elementare, in sostituzione del vetusto edificio attualmente utilizzato, risolvendo sia i problemi di messa in sicurezza dello stesso che quelli legati all'esborso del canone di affitto al legittimo proprietario;
   l'amministrazione precedente a quella attuale dichiarava altresì di aver presentato presso la Presidenza del Consiglio un progetto per la realizzazione di tale polo scolastico in località Fratta Santa Caterina;
   è evidente che per la realizzazione del polo scolastico a Cortona, il comune necessita di ben altri fondi rispetto a quelli che risultano stanziati dall'attuale Governo per la copertura del piano governativo sull'edilizia scolastica;
   per la realizzazione di tale opera, come risulta da un estratto della mail inviata dal sindaco Francesca Basinieri al Presidente del Consiglio e pubblicata on line, il comune prevede una spesa complessiva di 3 milioni di euro, di cui 2,25 milioni per lavori a base d'asta ed oneri di sicurezza e 750 mila per somme a disposizione, quali Iva, acquisto terreno, lavori in economia ed altro. Da quanto si apprende dalla stessa mail «tali importi deriveranno in gran parte dallo sblocco di fondi già presenti nelle casse comunali di Cortona (...)»;
   il disegno di legge di riforma della Scuola, presentato dal Governo il 27 marzo 2015, è stato approvato dalla Camera, in via definitiva, in data 9 luglio 2015. Dopo mesi di trattative e proteste, ritardi e retromarce, la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge di riforma con 277 sì, 173 no e 4 astenuti nel voto finale a Montecitorio;
   la Riforma, ai commi dal 153 al 179 (ex articolo 19-20-21) comprende disposizioni che riguardano la realizzazione di edifici scolastici innovativi dal punto di vista architettonico, tecnologico, impiantistico, dell'efficienza energetica e della sicurezza strutturale e antisismica, la composizione e le competenze dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica, un piano del fabbisogno nazionale in materia di edilizia scolastica 2015-2017, lo stanziamento di 40 milioni di euro per il 2015 per il finanziamento di indagini diagnostiche dei solai e dei controsoffitti degli edifici scolastici, e altre disposizioni simili –:
   se il Governo sia a conoscenza ed abbia effettivamente ricevuto la proposta progettuale del polo scolastico che si vorrebbe realizzare in località Fratta Santa Caterina a Cortona e, in caso affermativo, se possa renderne noti i dettagli, anche in virtù delle disposizioni contenute nella riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. (5-04468)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Sisto n. 3-01235 del 18 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Capozzolo n. 5-06009 dell'8 luglio 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Ciprini e Gallinella n. 5-04672 del 6 febbraio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01610.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Franco Bordo e altri n. 1-00943 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 458 del 9 luglio 2015. Alla pagina 26934, prima colonna, alla riga ottava deve leggersi: «narra dei territori con la notevole qualità» e non come stampato.