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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 8 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i cambiamenti climatici sono in atto e producono già impatti drammatici in ogni area del pianeta. Il riscaldamento globale, secondo gli scienziati, è legato all'attività umana e in particolare all'uso di combustibili fossili e dunque di carbone, petrolio e gas. Dalle osservazioni empiriche si riscontra una crescente tendenza all'aumento della temperatura media globale legata all'aumento delle emissioni di gas serra che stanno modificando la composizione dell'atmosfera;
    la temperatura media globale è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012, mentre il decennio 2000-2010 è stato il più caldo dall'inizio delle rilevazioni climatiche e il 2014 è stato l'anno più caldo dall'inizio delle rilevazioni e, quel che più conta, è stato il tredicesimo anno consecutivo più caldo dall'inizio delle rilevazioni. Tra il 1983 e il 2012 l'emisfero settentrionale ha vissuto i trent'anni più caldi degli ultimi 1400 anni;
    si registrano già fenomeni di scioglimento dei ghiacci polari, di riduzione consistente dei ghiacciai delle medie latitudini, di innalzamento del livello dei mari insieme ad una maggiore frequenza di eventi atmosferici estremi, ad un'accentuata tendenza alla desertificazione e a fenomeni di acidificazione degli oceani;
    gli scienziati riuniti nell'IPCC, l'organismo che riporta alle Nazioni unite formato dall'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e dal programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep), hanno indicato la soglia dei due gradi in più rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale come limite da non superare nell'aumento della temperatura media globale per evitare effetti catastrofici con reazioni a catena non chiaramente stimabili;
    allo stato attuale, in assenza di interventi e politiche fortemente correttive di riduzione delle emissioni climalteranti, si arriverebbe ad un aumento della temperatura media globale tra i 3,8 e i 4,5 gradi entro la fine del secolo;
    la concentrazione di CO2 equivalente in atmosfera ha già superato le 400 parti per milione essendo 456 parti per milione la soglia prudenziale alla quale corrisponde un aumento stimato di due gradi della temperatura media globale rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale;
    se l'aumento della temperatura media globale non verrà contenuto, le conseguenze saranno catastrofiche. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono molteplici e colpiscono direttamente o indirettamente quasi tutti i settori del sistema economico mondiale. Il riscaldamento globale avrà conseguenze drammatiche sulle condizioni di vita in moltissime aree del pianeta e, se non corretto, porterà a fenomeni di migrazione di massa e allo scatenarsi o inasprirsi di conflitti sociali o a vere e proprie guerre causate dalla scarsità di risorse naturali come acqua o terre abitabili e coltivabili con enormi rischi per la salute umana e con la compromissione di ecosistemi naturali essenziali alla vita;
    la regione del Mediterraneo è particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, sia in termini di numero di persone a rischio, vista l'alta densità della popolazione, sia in termini economici. Nel prossimo futuro si potrebbero registrare aumenti della durata dei periodi di siccità e della frequenza e intensità degli eventi atmosferici estremi, con rischi crescenti di alluvioni ed esondazioni dei fiumi. Le regioni più a sud dell'area mediterranea in particolare saranno esposte al rischio di aumento delle ondate di calore, alla diminuzione della estensione delle aree boschive e coltivabili con conseguente aumento delle zone desertiche e desertificate, al rischio di innalzamento del livello dei mari con conseguente erosione delle zone costiere e delle città e aree urbanizzate situate in prossimità dei mari e diminuzione della disponibilità d'acqua anche per le produzioni agricole;
    ogni Paese e soggetto agli impatti dei cambiamenti climatici; una condizione di particolare vulnerabilità è però propria dei Paesi più poveri, più esposti agli effetti non equamente distribuiti di desertificazione e innalzamento del livello dei mari, più dipendenti dalle risorse naturali di base per la loro produzione agricola e con minori capacità di adattarsi all'impatto del riscaldamento globale; i Paesi più poveri subiscono un rischio maggiore non essendo però tra i Paesi che hanno prodotto le emissioni climalteranti che determinano il riscaldamento globale e lo stesso può dirsi per le nuove generazioni costrette a subire rischi che non hanno determinato; si pone dunque una stringente questione di giustizia climatica tra Paesi, oltre che tra generazioni;
    proprio questa stringente questione di giustizia climatica è a fondamento dell'impegno di papa Francesco in questa materia tramite la sua enciclica dedicata al clima e all'ambiente;
    la generazione attuale, la prima ad affrontare i cambiamenti climatici e l'ultima a poter vincere la sfida, ha però la possibilità di contrastare efficacemente il riscaldamento climatico in atto adottando politiche e interventi per contenere drasticamente le emissioni di gas climalteranti che devono ridursi del 40-70 per cento entro la metà del secolo per azzerarsi sostanzialmente a fine secolo;
    l'Unione europea, durante il semestre di presidenza di turno italiana, ha approvato ad ottobre 2014 il pacchetto clima energia al 2030 che prevede impegni vincolanti a livello europeo e nazionale con una riduzione entro il 2030 del 40 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, un aumento del 27 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili e un aumento dell'efficienza energetica seguendo la nuova direttiva europea;
    un accordo storico per la riduzione delle emissioni di gas serra è stato raggiunto nel novembre 2014 tra Stati Uniti e Cina con l'impegno da parte cinese a fermarne la crescita entro il 2030 insieme a quello americano di ridurle del 26-28 per cento entro il 2025 rispetto al 2005. L'accordo segue il forte impegno assunto dalla presidenza Obama per contrastare il cambiamento climatico con misure basate sull'applicazione del Clean Air Act del 1970 che dà al presidente il potere di emanare decreti per salvaguardare la qualità dell'aria. È la prima volta che le due superpotenze, responsabili per il 45 per cento delle emissioni mondiali, assumono un impegno simile;
    Parigi ospiterà dal 30 novembre all'11 dicembre di quest'anno il vertice delle Nazioni unite (COP21) nel quale i 194 Paesi che hanno aderito alla convenzione sul clima dovranno raggiungere un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni con l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale che entrerà in vigore dal 2020, così come stabilito dal vertice di Durban, nel 2011 (COP17) che ha avviato la piattaforma di Durban, all'interno della quale ogni singolo Paese sta comunicando i propri obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra (Intended nationally determined contributions – Indcs),

impegna il Governo:

   a sostenere, durante la prossima conferenza delle parti di Parigi, il raggiungimento di un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, in vigore dal 2020, per contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli precedenti alla rivoluzione industriale;
   a promuovere azioni che favoriscano una crescente riduzione delle emissioni climalteranti nel periodo precedente l'entrata in vigore del nuovo accordo globale, dunque prima del 2020, e che consentano di entrare in un sentiero di sviluppo che preveda la riduzione delle emissioni climalteranti al 2050 del 40-70 per cento rispetto al 2010 e il loro azzeramento a fine secolo, come anche previsto nel comunicato finale del G7 a Elmau in Germania dell'8 giugno 2015;
   ad adottare in via definitiva la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e a definire un piano nazionale di attuazione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che ne recepisca immediatamente le indicazioni definendo le priorità di intervento, le tempistiche e gli impegni di spesa;
   a sostenere, nell'ambito della cooperazione internazionale, progetti di sostegno delle economie dei Paesi in via di sviluppo che favoriscano lo sviluppo delle energie rinnovabili per aumentare l'accesso all'elettricità per le aree che ne sono ancora prive e che promuovano piani di adattamento agli impatti locali dei cambiamenti climatici, anche con l'opportuno trasferimento di tecnologia;
   a sostenere, per quanto di competenza, l'impegno dei sindaci e degli amministratori locali nel trasformare i territori che amministrano in comunità resilienti, che attenuino e sopportino meglio l'impatto dei cambiamenti climatici, e in comunità intelligenti, smart cities and areas, nelle quali i servizi fondamentali di trasporto, illuminazione, sostegno alle attività produttive impieghino sempre più energia pulita e siano sempre più efficienti nell'uso delle risorse naturali;
   a promuovere una riforma sostanziale che renda efficace il sistema europeo di scambio dei titoli di emissione di gas serra (EU-ETS) anche allargando la platea delle attività economiche incluse nel sistema e ad assumere iniziative per definire ed adottare, anche nelle opportune sedi comunitarie e internazionali, nuove forme di fiscalità ambientale che impongano una giusta tassazione al carbonio e dunque alle attività che producono emissioni climalteranti insieme ad un sistema di regole chiaro, uniforme e stabile nel tempo, per orientare le scelte di investimento delle imprese verso tecnologie e attività a bassissime emissioni di carbonio;
   ad avviare una revisione della strategia energetica nazionale, coerente con gli obiettivi ambiziosi fissati al 2030 e al 2050 in sede europea nonché con l'obiettivo di contenere entro la soglia dei due gradi l'aumento della temperatura media globale rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale con la finalità di decarbonizzazione a fine secolo ribadita nelle conclusioni dell'ultimo G7 a Elmau in Germania, attraverso la definizione di un piano energetico nazionale con obiettivi a medio e lungo termine;
   a istituire un servizio meteorologico nazionale distribuito (SMND) con compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera-mare-ecosistemi) a supporto delle azioni e delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali;
   a promuovere politiche industriali che con incentivi mirati sostengano le attività economiche efficienti nell'uso delle risorse naturali e dell'energia nel rispetto dei principi dell'economia circolare per dare alle imprese l'occasione di essere protagoniste nella necessaria riconversione in chiave ecologica dell'economia e di rafforzare le proprie competenze nei nuovi mercati che si aprono;
   ad assumere iniziative per prevedere specifici cicli di approfondimento nelle scuole di ogni ordine e grado per dare agli studenti le informazioni che meritano sui cambiamenti climatici in atto, sulle loro cause e sugli effetti potenziali così come sui comportamenti anche individuali che possono efficacemente contrastare il riscaldamento globale;
   a promuovere investimenti per sostenere la mobilità sostenibile, il trasporto pubblico, l'uso di biocombustibili di seconda e terza generazione, in modo da conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti;
   a promuovere l'impegno del settore agricolo nel conseguimento degli obiettivi di contenimento entro due gradi dell'aumento della temperatura media globale e degli obiettivi di decarbonizzazione, puntando a garantire una alimentazione sostenibile, e di qualità, impegno tanto più rilevante nell'anno in cui Milano ospita l'Expo dedicato al tema «Nutrire il pianeta».
(1-00941) «Stella Bianchi, Rosato, Lorenzo Guerini, Realacci, Borghi, Braga, Bratti, Giachetti, Sereni, Mariani, Manfredi, Dallai, Covello, Nardi, Carrescia, Tino Iannuzzi, Ginoble, De Menech, Gadda, Zardini, Morassut, Mazzoli, Marroni, Cominelli, Giovanna Sanna, Valiante, Paola Boldrini, Famiglietti, Basso, Giulietti, Baruffi, Mognato, Grassi, Castricone, Malisani, Tidei, Antezza, Folino, Iacono, Marco Di Maio, Venittelli, Prina, Ghizzoni, Rubinato, Mura, Lodolini, Cova, La Marca, Capone, Fossati, Scuvera, Amato, D'Incecco, Epifani, Richetti, Giuditta Pini, Carnevali, Pierdomenico Martino, Simoni, Rotta, Gribaudo, Cinzia Maria Fontana, Verini, Villecco Calipari, Causi, Manciulli, Martella, Berlinghieri, Gnecchi, Amendola, Manzi, Campana, Fregolent, Bonaccorsi, Piccoli Nardelli, Coppola, Coscia, Zanin, Becattini, Beni, Crimì, Quartapelle Procopio, Arlotti, Malpezzi, Rampi, Schirò, Amoddio, Nicoletti, Stumpo, Bargero, Coccia, Cenni, Zoggia, Mariano, Parrini, Ginefra, Fiano, Fontanelli, Gasparini, Terrosi, Valeria Valente, Raciti, Casati, Mauri, Luciano Agostini, Zampa, Scanu, Pes, Meta, Rostan, Palma, Giuseppe Guerini, Bini, Moscatt, Francesco Sanna, Ginato, Fanucci, Sbrollini, Taricco, Miotto, Andrea Romano, Zan, Martelli, Vico, Garofani, Marchi, Gandolfi, Misiani, Lavagno, Cassano, Migliore, Rossomando».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 5 luglio si è tenuto in Grecia il referendum sulla bozza di accordo presentata da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale nell'Eurogruppo che si è tenuto il 25 giugno 2015, composto da due documenti: il primo documento è intitolato «Riforme per il completamento dell'attuale programma e oltre» e il secondo «Analisi preliminare per la sostenibilità del debito»;
    alla consultazione referendaria la bozza di accordo è stata respinta dal popolo greco con il 61,31 per cento dei votanti;
    in seguito all'esito della consultazione referendaria il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato per il 7 luglio una riunione urgente dell'Euro summit, la conferenza dei Capi di Stato e di governo dell'Eurozona. Mentre è convocata per il 13 luglio prossimo la riunione dell'Eurogruppo;
    i creditori internazionali della Grecia premono per continuare a mantenere un programma di riforma con al centro misure basate sull'austerità, le stesse misure che hanno portato ad una asfissia di liquidità le casse greche e quindi alla conseguente impossibilità per le istituzioni elleniche di far fronte alle obbligazioni di debito in scadenza;
    le ultime richieste dell'Unione europea prima del referendum avrebbero implicato, in ragione di anno, una correzione di finanza pubblica di 4 punti di Pil. Per l'Italia ciò vorrebbe dire circa 70 miliardi di minori spese o di maggiori entrate su un arco di 12 mesi. L'intervento sulle pensioni richiesto sarebbe stato in grado di generare mezzo punto di Pil di risparmi nella seconda metà dell'anno in corso e un punto di Pil dal 2016. Ciò avrebbe significato un taglio brutale delle pensioni in essere, dopo i tagli già effettuati pari a circa il 35 per cento dell'importo medio, poiché anche il blocco totale dei pensionamenti avrebbe dato risparmi largamente insufficienti. Per fare un paragone, in Italia, vorrebbe dire recuperare, in un semestre, 9 miliardi di euro, dal sistema pensionistico; 18 miliardi all'anno dal primo anno;
    il tentativo di attuare il Memorandum proposto avrebbe, dunque, determinato ulteriori pesantissimi effetti recessivi ed aumentato ancora di più il debito pubblico in rapporto alla dimensione di un'economia reale sempre più piccola. Tra pochi mesi, la Grecia sarebbe stata di nuovo con l'acqua alla gola;
    il debito pubblico totale della Grecia è di 323 miliardi di euro, di cui solo un quinto è in mano a banche e investitori privati. Il Fondo monetario internazionale ne ha una trentina di miliardi (il 10 per cento), la Bce il 6 per cento. Il grosso, il 60 per cento, è detenuto dal resto dell'Eurozona: 142 miliardi dal «Fondo salvastati» e 53 miliardi dai singoli governi. Il «salvataggio della Grecia» da parte della troika, prima nel 2010 e poi nuovamente nel 2012 non è servito a risanare il bilancio dello Stato ma a ripagare i creditori della Grecia;
    il grosso dell'ammontare dei prestiti è stato utilizzato per ricapitalizzare le banche greche e per onorare gli impegni con i creditori dello Stato e dei privati greci, in gran parte banche tedesche e francesi, non per risanare i buchi di bilancio. Più precisamente, circa la metà del finanziamento è stato utilizzato per rimborsare i titoli in scadenza e a ripagare gli interessi sul debito, mentre il 20 per cento è andato alle banche greche; il resto dei fondi ha invece riguardato le attività di ristrutturazione e di riacquisto del debito;
    in definitiva, più dell'80 per cento degli «aiuti» della troika sono andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario, in particolare quello tedesco che è riuscito a ridurre la propria esposizione nei confronti della Grecia dell'80 per cento nel periodo tra il 2010 e il 2012;
    323 miliardi di euro rappresentano circa il 175 per cento del PIL (nel 2010 il rapporto debito pubblico/PIL era il 130 per cento) e l'impossibilità di pagarlo emerge dal rapporto preliminare del Comitato per la verità sul debito pubblico, costituito su decisione del Presidente del Parlamento greco;
    scrutando la composizione del debito si scopre che a fine 2009 le banche francesi erano esposte per oltre 78 miliardi, che si riducono a meno di due a fine 2014, mentre quelle tedesche passano, nello stesso periodo da 45 a 13,5, infine quelle olandesi da 12 a 1,2. Il debito è stato quindi travasato dal privato al pubblico, secondo il noto principio di privatizzare i profitti e socializzare le perdite;
    nelle conclusioni del rapporto commissionato dal Parlamento greco si legge infine che: «la gestione della crisi è stata un fallimento come conseguenza del fatto che è stata affrontata come una crisi del debito sovrano, mentre in realtà era una crisi bancaria»;
    la «crisi finanziaria greca», altro non è che in definitiva che una crisi creata per salvare i creditori, cioè le banche private;
    il 2 luglio 2015 è stato pubblicato il rapporto sull'insostenibilità del debito diramato dal Fondo monetario internazionale (FMI), il quale sostiene che alla Grecia servono altri 50 miliardi di euro di aiuti supplementari per i prossimi tre anni e che la situazione delle finanze greche continuerà a essere insostenibile senza una riduzione sostanziale del debito;
    all'epoca, nel 2010, il Fondo monetario internazionale avrebbe dovuto reclamare, come da consuetudine, un taglio dei debiti, di fatto un parziale default, per evitare il collasso del sistema finanziario greco. Tuttavia un default greco avrebbe costretto i principali governi europei a correre in soccorso delle proprie banche. Si preferì invece usare i soldi dei contribuenti, ma sotto forma di prestiti alla Grecia, nella speranza che li restituisse;
    per il Fondo monetario internazionale la Grecia non ripartirà mai più se non si mette mano al debito: allungare a 40 anni le scadenze, tagliare del 30 per cento il totale del debito, con pagamenti zero nei primi 20 anni;
    occorre quindi un accordo con la Grecia, che spezzi il circolo vizioso di austerità e recessione, e un piano di lavoro per segnare l'inizio della fine dell'incertezza economica e politica europea che si è determinata in 7 anni di «crisi greca»;
    occorre rompere la continua incertezza causata dagli irraggiungibili obiettivi di saldi di bilancio pubblico che, come nel caso greco, rafforzano il circolo vizioso di austerità e recessione e al contempo ripristinare un'agenda di crescita realistica con investimenti altrettanto realistici, certi e disponibili. Occorre altresì un'agenda di lavoro comune nell'Unione europea, e principalmente nell'Eurozona, per tassare progressivamente e molto di più i redditi più alti, le proprietà fondiarie e soprattutto le plusvalenze finanziarie, dando priorità alla lotta alla grande evasione fiscale ed all'elusione fiscale, al tempo stesso detassare il lavoro;
    ma soprattutto occorre proporre una conferenza europea sulla rinegoziazione del debito e aprire un processo di riforma dei trattati europei,

impegna il Governo:

   ad aiutare la Grecia a sostenere le sue ragioni in tutte le sedi europee e quindi presso l'Eurogruppo e il Consiglio europeo e nei consessi internazionali e a ribadire con forza, in tutte le sedi europee e non, che la sovranità nazionale e il mandato democratico, a partire dal risultato della consultazione referendaria dello scorso 5 luglio, devono essere rispettati e a rifiutare qualsiasi opzione «tecnocratica», che commissari di fatto le istituzioni democratiche, estranea ai valori fondanti dell'Unione europea;
   a impegnarsi nelle sedi istituzionali dell'Unione europea e nei consessi internazionali ad affrontare la questione del debito pubblico dei Paesi più esposti attraverso iniziative di rinegoziazione, stabilendo una diversa tempistica e una diversa rimodulazione sulla base della effettiva crescita e ripresa economica dei paesi coinvolti e promuovendo altresì l'emissione di eurobond finalizzati alla riduzione del debito e agli investimenti pubblici e all'occupazione;
   a proporre in sede europea una conferenza sul debito e ad avviare con gli altri partner europei un processo di riforma dei trattati europei che in primis abbia al centro l'allentamento dei rigidi parametri imposti dalle regole del fiscal compact, assumendo una posizione netta e priva di ambiguità nel voler riformare i parametri imposti dalle politiche di austerity;
   a istituire una commissione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri composta da esperti indipendenti per ricostruire le origini, le componenti e i detentori del credito italiano vantato verso la Grecia, vagliandone le caratteristiche e l'ammissibilità.
(1-00942) «Airaudo, Franco Bordo, Civati, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Gregori, Kronbichler, Andrea Maestri, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:  
    la Repubblica dell'Ecuador è un Paese che, nel corso degli ultimi otto anni durante i quali ha governato il Presidente Correa a capo di una rivoluzione democratica chiamata Revolucion Ciudadana, è stato caratterizzato da profondi cambiamenti sociali, primi tra tutti la riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, la riduzione delle discriminazioni culturali, la riaffermazione della sovranità nazionale e di una propria politica economica redistributiva;
    l'Ecuador, in questo lasso di tempo, è dunque riuscito a ritrovare una stabilità politica e sociale che ha messo fine a una stagione di continuo conflitto sociale, manifestazioni popolari e colpi di stato;
    il Paese, difatti, ha subito, in precedenza, una grave crisi economica con alti tassi di povertà e disuguaglianze, con una crisi inflazionistica terminata con un salvataggio delle banche che ha colpito tutta la classe media a beneficio del settore finanziario, dei governanti e delle oligarchie;
    viceversa, durante gli anni di governo Correa, è stato possibile sia combattere la povertà, che è diminuita con risultati straordinari – passando da un 52 per cento di povertà, calcolata secondo la misurazione delle necessità di base insoddisfatte, nel 2006, a un 31,1 per cento nel 2014 – sia adottare politiche volte alla inclusione scolastica, all'accesso all'istruzione e alla formazione, universitaria, post universitaria e professionale;
    dopo anni di dipendenze e imposizioni da parte del Fondo monetario internazionale, nel 2008 Rafael Correa ha espulso dal territorio nazionale i rappresentanti dell'FMI, dichiarando che: «...L'Ecuador non pagherò il proprio debito estero, perché fu contratto in maniera illegittima e anche perché l'80 per cento del debito è servito a rifinanziare il debito stesso, mentre solo il 20 per cento è stato destinato a progetti di sviluppo. È evidente che il sistema dell'indebitamento è una forma per difendere gli interessi delle banche e delle multinazionali, non certo dei Paesi che lo subiscono. La Commissione che abbiamo costituito è quindi giunta alla conclusione che il debito estero dell'Ecuador è illegittimo e dunque non verrà pagato...»;
    nella Costituzione ecuadoriana, tra l'altro, si riconoscono, tra gli altri, l'acqua come diritto umano fondamentale e irrinunciabile e di gestione pubblica; una economia popolare e solidale; le priorità dell'intervento dello Stato a favore dei più poveri, degli esclusi, degli emarginati, delle minoranze, delle persone diversamente abili; la cittadinanza universale; i pieni diritti alle coppie di fatto;
    il governo di Correa ha inoltre proceduto alla rinegoziazione dei contratti petroliferi con le compagnie multinazionali, generando nuove entrate da utilizzare per l’«investimento» sociale (in Ecuador non si utilizza il termine «spesa» sociale, ma «investimento» sociale): se prima le casse dello Stato percepivano solo il 13 per cento delle entrate lorde derivanti dalla vendita del greggio, oggi si parla di percentuali pari all'87 per cento;
    l'Alleanza bolivariana per le Americhe (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe), di cui l'Ecuador è membro, è un sistema di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina e i paesi caraibici e rappresenta oggi un modello collaudato d'integrazione dei popoli dei Caraibi e dell'America Latina, basato sui principi di cooperazione e solidarietà, dotato di una architettura finanziaria e bancaria alternativa alle politiche economiche neo-liberiste promosse dalle istituzioni del cosiddetto «consenso di Washington» e oggi anche europeo;
    in Ecuador, il 30 settembre del 2010, il Presidente Correa e il popolo ecuadoriano, sono già stati vittime di un tentativo di colpo di stato, manovrato da una minoranza che, come raccontato dettagliatamente all'epoca dai quotidiani Telegrafo e El Universo, manipolando l'informazione e grazie al supporto internazionale, ha sequestrato in un ospedale militare il Presidente Correa, in seguito liberato solo grazie alla reazione da parte della popolazione e all'intervento di squadre speciali della polizia;
    il presidente Correa nel 2008 non ha rinnovato agli USA il mandato per l'utilizzo della base aereo-navale di Manta in merito alla quale è giunto ad affermare che «... il Pentagono usava la base di Manta per realizzare missioni di spionaggio, intelligenza e riconoscimento violando la sovranità degli stati della regione. Ufficialmente si diceva che la base di Manta serviva per intercettare i voli dei narcotrafficanti. In realtà garantiva le comunicazioni e i contatti operativi del Comado Sud, stanziato in Miami, nella Florida, con le basi operative di Comalpa nel El Salvador, in Aruba, Curaçao e quelle create nella Colombia...»;
    recentemente la capitale, Quito, e la popolosa Guayaquil, sono state teatro di manifestazioni di protesta organizzate dai cosiddetti «Democracy Promoter», formati dalla fondazione statunitense, National Endowment for Democracy, con l'obiettivo di destabilizzare il presidente Rafael Correa con tecniche ormai note e ben delineate dal rapporto del filosofo americano Gene Sharp «Dalla dittatura alla democrazia» e già applicate in diversi Paesi dell'America Latina come Venezuela, Argentina, Brasile, Bolivia;
    il motivo, apparente, delle proteste sarebbe stato una proposta di legge del presidente Rafael Correa, «Ley de Redistribución de la Riqueza», che ha proposto una tassa progressiva, a partire dal 2,5 per cento, per coloro chi riceve beni in eredità tra i 35.400 e i 70.800 dollari: una sorta di «patrimoniale sulle eredità» che andrebbe a colpire, in realtà, quei settori super benestanti dell'Ecuador, che rappresentano, appena il 2 per cento della popolazione (ovvero non più di 300.000 persone su una popolazione di 15.459.512);
    il 15 giugno 2015 il presidente Correa ha annunciato il ritiro temporaneo della citata proposta legge sia nel quadro della visita di Papa Francesco nel continente latinoamericano (come prima tappa proprio l'Ecuador) sia per prevenire ulteriori atti di violenza e per permettere la realizzazione di una campagna nazionale di chiarimento e per evitare che i notiziari in spagnolo della TV statunitense CNN e della NTN24, continuino a adulterare il significato della proposta sostenendo che «tutti gli equadoregni saranno supertassati quando questa legge sarà approvata»;
    il presidente venezuelano Nicolás Maduro, il suo omologo Evo Morales e altri leader regionali, tra cui il presidente nicaraguense Daniel Ortega, hanno espresso sostegno totale all'Ecuador e al suo presidente Rafael Correa, che ha denunciato una cospirazione ordita per cercare di rovesciare il suo Governo,

impegna il Governo:

   a esprimere solidarietà e sostegno al popolo ecuadoriano e al governo costituzionale e istituzionale di Rafael Correa;
   a farsi promotore, in tutte le sedi internazionali nonché in tutti gli incontri diplomatici, bilaterali e multilaterali, nei quali oggetto di discussione sono i rapporti e le relazioni con Paesi dell'America Latina e dei Caraibi, del rispetto della sovranità e del processo democratico dell'Ecuador e dei Paesi dell'ALBA.
(7-00725) «Di Battista, Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Del Grosso, Scagliusi, Sibilia».


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'aeroporto militare «Luigi Rovelli» di Amendola (Foggia), ospita il 32o stormo dell'Aeronautica militare a cui è stato demandato l'impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto (APR), attualmente utilizzati in diverse aree critiche del pianeta, come l'area mediterranea e la penisola arabica;
    il predetto aeroporto sarà destinato ad ospitare anche la scuola di addestramento dei nuovi piloti da impiegare per la «guida» degli APR, velivoli equipaggiati con sistemi di sorveglianza e ricognizione che risultano attualmente prevalentemente pilotati da remoto da piloti con brevetto e con esperienza di volo su mezzi operativi;
    non è da escludere, peraltro, che i nuovi droni europei possano essere in futuro dotati di armi e munizioni da utilizzare nei vari teatri operativi in funzione non esclusivamente difensiva;
    tale opzione appare del tutto confliggente rispetto alla mission istituzionale delle operazioni di peace keeping in cui l'Italia è tuttora impegnata, che imporrebbe un utilizzo estremamente residuale delle armi e degli strumenti di aggressione e, viceversa, uno sviluppo di nuovi strumenti tecnologici con funzioni ricognitive come i droni APR;
    nel progetto di sviluppo degli APR è potenzialmente previsto l'addestramento di una nuova classe di piloti, da impiegare esclusivamente per il pilotaggio remoto e, quindi, senza la pregressa esperienza di volo aereo posseduta dai loro colleghi che attualmente controllano i medesimi velivoli;
    il predetto progetto formativo suscita dubbi ed incertezze riguardo all'effettiva capacità di addestramento del personale militare che dovrà essere impiegato per tali attività, posto che l'assenza di basi di esperienza di volo aereo potrebbe generare nei giovani piloti la sindrome dei «videogiochi», cioè di apparecchi telecomandati da utilizzare alla stregua dei più moderni videogames;
   è di tutta evidenza che la gestione di un complesso velivolo militare, dalla tecnologia avanzata e da impiegare in teatri operativi di guerra, ancorché a pilotaggio remoto, soprattutto nel caso di utilizzo di armi e munizioni necessiti dell'imprescindibile impiego di piloti in possesso di una robusta esperienza operativa in particolare sulla necessità di risparmiare vittime civili ed evitare effetti collaterali inaccettabili sotto il profilo del diritto umanitario e bellico;
    è quindi necessario che la nuova classe di piloti che la Difesa dovrà impiegare alla guida degli APR riceva analoga preparazione ed addestramento, ovvero percorra un periodo di affiancamento con piloti con reale esperienze operativa, anche attraverso sessioni di volo su velivoli di attacco al suolo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di prevedere percorsi formativi che non contemplino l'esclusiva formazione su aerei a pilotaggio remoto;
   ad organizzare la nuova scuola di piloti dell'Aeronautica militare di Amendola prevedendo un iter addestrativo completo con una robusta e consistente formazione operativa, per favorire la preparazione di una qualificata ed avanzata classe di piloti destinata alla guida degli APR;
   a sollecitare in tutte le sedi internazionali di cui l'Italia è parte la sottoscrizione di una convenzione sui limiti dell'impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto e sul rispetto del diritto internazionale a cominciare da quello umanitario.
(7-00726) «Basilio, Frusone, Corda, Tofalo, Rizzo, Paolo Bernini».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    sono circa 160 i comuni che hanno sottoscritto un «Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d'azzardo», con cui chiedono di avere più poteri di programmazione, controllo e ordinanza per regolamentare il fenomeno del gioco legale e limitare le potenziali conseguenze sociali sui territori che amministrano;
    nel frattempo, hanno adottato diversi provvedimenti riguardanti l'argomento, in alcuni casi considerati illegittimi dai tribunali amministrativi:
     a) sotto il profilo urbanistico sono state attuate varianti al regolamento urbanistico edilizio che limitano l'insediamento delle sale da gioco in alcune porzioni del territorio comunale;
     b) sotto il profilo delle pubbliche affissioni c’è chi è intervenuto sul Regolamento per l'applicazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni verificando la possibilità di vietare la pubblicità del gioco d'azzardo sul territorio comunale;
     c) sotto il profilo di polizia urbana alcuni comuni hanno inserito specifici regolamenti sulle sale da gioco cercano di definire le distanze degli apparecchi da zone considerate «sensibili» come scuole, parchi, chiese, fino a stabilire orari di apertura e chiusura delle sale stesse;
     d) sotto il profilo tributario alcuni comuni hanno scelto di agire sulla tassazione locale prevedendo l'applicazione dell'aliquota massima dell'Imu per le sale giochi e i bar con slot machine e conseguenti agevolazioni per gli esercizi che, invece, hanno scelto di non installarne nei propri esercizi;
    il tutto è potuto accadere a causa di un colpevole ritardo delle istituzioni statali le quali non hanno emanato la legge quadro nazionale;
    infatti, il comma 10 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012 recita: «L'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all'esito dei controlli di cui al comma 9, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo, ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali. Presso l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell'osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso spese»;
    il decreto sopra citato non è mai stato emanato;
    in presenza di tale vuoto normativo nelle circa 160 città sopra citate sono stati adottati regolamenti di polizia urbana con i quali si è stabilita una pianificazione, nonostante sulla materia non siano le autorità municipali competenti ad emanare la normativa di riferimento;
    alla luce di tale vuoto normativo, il giudice amministrativo ha censurato con sentenza tale comportamento e contemporaneamente la regione Piemonte è ricorsa persino alla leva fiscale, con il concreto rischio di eccedere le proprie competenze in materia;
    per quanto riguarda la magistratura amministrativa, il Tar dell'Emilia Romagna, in seguito all'emanazione di un regolamento di polizia urbana della città di Bologna, ha dichiarato l'atto illegittimo «in quanto la norma di fatto prescrive nuovi limiti distanziometrici tra i locali in questione e i cosiddetti luoghi “sensibili”, la cui introduzione nell'ordinamento (o modificazione) compete esclusivamente al legislatore nazionale, secondo quanto prescrive il decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012.» ricordando inoltre, nella stessa sentenza, un precedente giudizio sempre del T.A.R. Emilia-Romagna sez. II, 20 ottobre 2014 n. 976 in base alla quale il giudice amministrativo aveva già sostenuto che «la pianificazione delle sale da gioco e la riallocazione di quelle prossime a siti sensibili appartiene all'Amministrazione autonoma dei monopoli, come chiaramente indicato nel comma n. 10 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012. Tale attribuzione esclusiva trova conferma anche nella legge regionale n. 5/2013, articolo 6, che al comma II prevede che i comuni possono dettare previsioni urbanistiche sulle sale da gioco solo nel rispetto delle pianificazioni di cui al suddetto comma n. 10 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012»;
    con riferimento alla regione Piemonte la legge regionale finanziaria approvata nel febbraio 2014 ha previsto una serie di misure restrittive nei confronti dei titolari di esercizi commerciali che, pur nel rispetto della legge, hanno consentito il gioco legale nei propri locali, e premiali nei confronti di chi sceglie di non installare slot: infatti, la legge finanziaria per l'anno 2014, legge regionale n. 1 del 5 febbraio 2014, all'articolo 7 prevede che dal 1o gennaio 2015 per tre anni l'aliquota Irap sia ridotta dello 0,92 per cento per gli esercizi che provvederanno volontariamente alla completa disinstallazione degli apparecchi da gioco e nello stesso tempo che aumenti dello 0,92 per cento a carico di quegli esercizi nei quali gli apparecchi ludici resteranno installati;
    si ricorda per completezza di informazione e capacità di valutazione del fenomeno nella sua interezza, che lo Stato ogni anno incassa circa 35 miliardi di euro dalla tassazione complessiva su gioco d'azzardo, alcol e tabacco,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative urgenti e dovute per l'emanazione concertata del decreto da parte dei Ministri competenti, anche al fine di dare valenza effettiva al principio dello Stato costituzionale di diritto, garantire la certezza dello stesso, evitare giudicati differenti da parte dei giudici amministrativi ulteriormente aditi per risolvere questioni analoghe a quelle in esame, evitare di appesantire ulteriormente i tempi biblici che affliggono i tribunali e ridurre le spese superflue allocandole diversamente per ottimizzare il servizio giustizia, dettando le norme necessarie e corrette di imposizione fiscale;
   ad assumere iniziative per prevedere una moratoria dell'applicazione della normativa nazionale solo parzialmente emanata, in attesa che essa venga perfezionata con l'emanazione degli atti mancanti, per evitare che le azioni di supplenza messe in atto dagli enti locali vengano poste nel nulla con grave nocumento della popolazione, in particolare di quella afflitta da ludopatia.
(7-00728) «Barbanti».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'olio di palma è una materia prima di fondamentale importanza per l'industria italiana, in particolare per quella alimentare, oltre a quella chimica, oleochimica e cosmetica; il suo utilizzo è andato crescendo nel tempo e, secondo alcune ricerche, nel 2012 l'Italia ne ha importato circa un milione di tonnellate (terzo importatore in Europa); nel 2014 l'importazione ha raggiunto 1,7 milioni di tonnellate;
   l'olio di palma è la coltura di olio vegetale con il più alto rendimento: 11 volte superiore alla soia, 10 volte superiore al girasole e 7 volte maggiore della colza. L'olio di palma è quindi una risorsa fondamentale per rispondere al crescente fabbisogno di grassi della popolazione mondiale in rapido aumento, consentendo l'impiego di meno terra, meno pesticidi e meno acqua, preservando l'ambiente;
    l'olio di palma è oggi al centro di una campagna mediatica e politica, a giudizio della firmataria del presente atto, diffamatoria che sta ingannando i consumatori con affermazioni che non hanno alcuna validità scientifica, sta creando difficoltà all'industria alimentare, in particolare al settore dolciario nazionale e, in generale, rischia di deteriorare i rapporti commerciali con i paesi produttori dell'olio di palma. Inoltre, tale campagna sta falsando la competitività nel settore alimentare, spingendo le imprese produttrici di alimenti a non utilizzare l'olio di palma, favorendo altre sostanze che potrebbero avere rese inferiori con effetti negativi per la salute dei consumatori;
    l'olio di palma è un olio semi-solido, privo di acidi grassi trans che sono estremamente dannosi e possono aumentare il rischio di problemi cardiovascolari. Quando l'olio di palma viene sostituito con altri oli vegetali si ricorre spesso al processo dell'idrogenazione parziale, pericoloso per la salute. A seconda del grado di idrogenazione, oli vegetali parzialmente idrogenati possono difatti contenere dal 5 per cento al 40 per cento di acidi grassi trans;
    oltre 150 studi scientifici internazionali e numerose revisioni di questi studi realizzati da centri di ricerca indipendenti, fra cui uno realizzato dall'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri», hanno dimostrato che l'olio di palma non è, come dichiarato nelle campagne denigratorie, associabile a patologie di tipo cardiovascolare né risulta che «l'evidenza epidemiologica riporti un ruolo negativo degli acidi grassi saturi di per sé nella carcinogenesi»;
    al momento non esiste alcuno studio scientifico indipendente che abbia trovato pubblicazione in prestigiose riviste scientifiche, che dimostri il minimo rischio per l'uomo come conseguenza dell'assunzione dell'olio di palma;
    in seguito all'approvazione del regolamento 1169/11, adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 25 ottobre 2011, pubblicato in data 22 novembre 2011 ed entrato in vigore il 13 dicembre 2011, l'Unione europea ha introdotto una nuova normativa sull'etichettatura dei prodotti alimentari che obbliga ad una maggiore specificità nell'indicazione degli ingredienti elencati e favorisce la libera scelta del consumatore. Dalla data di applicazione del regolamento in Italia, il 13 dicembre 2014, i consumatori italiani possono vedere quando l'olio di palma è contenuto o meno in un prodotto; specificarne la sua assenza con un'etichettatura aggiuntiva è stato dimostrato contrario alla normativa europea;
    accostare, poi, l'olio di palma al fenomeno della deforestazione globale in modo indiscriminato rappresenta un danno sensibile alla reputazione di Paesi come la Malesia, il cui Governo si è impegnato internazionalmente a preservare il 50 per cento della superficie nazionale sotto copertura forestale. Oggi in Malesia più del 60 per cento del suolo è occupato da foreste naturali e il 23 per cento è destinato all'agricoltura. In Italia il suolo ricoperto da foreste rappresenta appena il 32 per cento di quello totale e quello agricolo il 47 per cento;
    secondo dati recenti, l'importazione e l'utilizzo di olio di palma in Italia fornisce un contributo al prodotto interno lordo di circa 1 miliardo di euro, 500 milioni sotto forma di gettito fiscale, e genera 14.600 posti di lavoro;
    in vista di Horizon 2020 l'Unione europea sta promuovendo una serie di politiche a favore del commercio internazionale, ispirate ai valori del libero scambio di merci e servizi, senza discriminazione a livello di Paese o di merce. Allo stesso tempo, l'Unione europea e l'ASEAN, l'Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico, stanno stringendo accordi per creare un'area di libero scambio di merci e servizi, fra i quali anche le materie prime agricole come l'olio di palma,

impegna il Governo

ad avviare tutte le iniziative di competenza, di concerto con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, al fine di promuovere una corretta divulgazione scientifica relativamente ai contenuti nutrizionali dell'olio di palma ed al suo contributo per il mantenimento di maggiori aree forestali.
(7-00724) «Dorina Bianchi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    con procedura di infrazione n. 2014/4170 la Commissione europea ha recentemente messo in mora il nostro Paese per violazione del diritto dell'Unione in materia di produzioni lattiero-casearie con riferimento, in particolare, alle norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per alimentazione umana;
    la legge 11 aprile 1974, n. 138, dispone infatti il divieto di detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio, ovvero cedere a qualsiasi titolo, o utilizzare, prodotti caseari preparati con latte in polvere o altro latte conservato con qualunque trattamento chimico o comunque concentrato;
    tale normativa, secondo l'Esecutivo comunitario, rappresenta una restrizione alla libera circolazione delle merci ed è pertanto lesiva delle norme in materia di libera concorrenza;
    ancorché un adeguamento del diritto nazionale a quello comunitario, come chiesto da Bruxelles, non riguarda le produzioni DOP e IGP per le quali non sarà mai possibile un utilizzo di materie prime diverse da quelle indicate nei rispettivi disciplinari, la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, concentrato o ricostituito, per la produzione di formaggi e yogurt, rappresenta senza dubbio una soluzione al ribasso che rischia di compromettere la qualità di oltre 400 produzioni nazionali, in gran parte formaggi, la cui specificità ed originalità sta proprio nella qualità della materia prima utilizzata, ovvero il latte, oltre che nel valore dei saperi e dei territori;
    una simile previsione danneggerebbe irrimediabilmente il patrimonio agroalimentare italiano frutto di una attenzione particolare alla qualità delle materie prime impiegate ed appare invece sostenere gli interessi delle multinazionali dell'industria alimentare e di una concezione di cibo come merce disponibile a basso prezzo;
    al fine di tutelare maggiormente il settore lattiero caseario nazionale è indispensabile rivedere la normativa unionale in materia di etichettatura di origine anche per garantire la trasparenza e la completezza delle informazioni ai consumatori,

impegna il Governo

ad intraprendere ogni utile azione volta a tutelare le produzioni lattiero-casearie italiane non certificate DOP ed IGP in modo da mantenere in vigore le disposizioni recate dalla legge n. 138 del 1974 e, qualora ciò non fosse possibile, anche a seguito di una eventuale pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ad assumere iniziative volte alla revisione del Regolamento (UE) 1169/2011 per introdurre l'obbligo di indicazione in etichetta dell'eventuale utilizzo di latte in polvere nella preparazione di prodotti lattiero-caseari, ovvero ad individuare ogni utile misura, tenuto conto della compatibilità con il diritto comunitario, che sancisca l'obbligo, almeno a livello nazionale, di tale indicazione.
(7-00727) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Dadone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che sono iniziati i lavori inerenti al progetto di valorizzazione del giardino e Casamento Torre, del giardino della Fruttiera di basso, della Fagianeria, della Capraia, della Porta di Mezzo, della chiesa di San Gennaro, del Cisternone, del Cellaio e dell'ex Eremo dei Cappuccini a Napoli del costo complessivo di euro 10.700.000,00, finanziato con i fondi comunitari POIn – «Attrattori Culturali, naturali e turismo» del fondo europeo di sviluppo regionale per gli anni 2007-2013 comprendenti la ristrutturazione e restauro dei alcuni immobili che termineranno nel 2015;
   il Real Bosco di Capodimonte, nato come sito di caccia e azienda agricola per iniziativa di Carlo III di Borbone, salito al trono di Napoli il 10 maggio 1734, è un complesso urbanistico che si estende su una superficie di 134 ettari, di grandissimo interesse storico e botanico (circa 400 entità vegetali impiantate sull'area nel corso di due secoli) con un patrimonio architettonico costituito da 16 edifici storici risalenti al XVIII – XIX secolo. I lavori di restauro prevedono interventi funzionali al recupero delle attività produttive qui storicamente radicate, alla formazione dei giovani e alla realizzazione dei servizi: riguardano 7 edifici e 5 aree per un totale di 5.299 metri quadri di superficie utile coperta, 22.920 metri quadri di aree utili scoperte, 8.886 metri quadri di terreni;
   il premio «Il Parco Più Bello», seleziona da più di dieci anni i parchi e i giardini pubblici e privati visitabili per promuovere a livello nazionale e internazionale un «turismo verde» che permetta al grande pubblico di scoprire questo prezioso patrimonio ad oggi ancora poco conosciuto. Nella XII edizione del concorso il Real Bosco di Capodimonte ha vinto il titolo di Parco Più Bello d'Italia 2014 per la categoria parchi pubblici;
   l'edificio Fagianeria fu adibito in passato adibito a «Polveriera», luogo in cui dovevano essere riposte le munizioni, la polvere da sparo e le diverse armi per i vari tipi di caccia e successivamente fu destinato al ricovero dei fagiani. Prima della distruzione durante la prima guerra mondiale, era una costruzione molto allungata, in gran parte occupata dal locale per le gabbie dei fagiani e racchiusa ai lati da due piccoli corpi di fabbrica per i custodi. Diroccato per anni è stato ristrutturato negli anni novanta conservando dell'originaria costruzione solo un volume ad un piano. Il recente progetto di valorizzazione e restauro finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale, prevede di ricostruire, nell'area di sedime originale con una struttura in muratura, il locale anticamente destinato alle gabbie per l'allevamento dei fagiani e di adibirlo a spazio per attività di ristoro, espositive, convegnistiche e di formazione. Sulla scorta di saggi che dimostrerebbero l'esatta collocazione delle antiche murature preesistenti, il progetto si prefigge lo scopo di ricalcare la planimetria agli atti d'ufficio e il prospetto storico conservato nell'Archivio del palazzo Reale di Caserta. A tutt'oggi una breve visita ha evidenziato un'enorme edificio in costruzione alla stregua di un mostro cementizio che ad avviso degli interroganti comporterebbe modificazioni all'ambiente pregiudizievoli dei valori paesaggistici del luogo. Altresì, secondo fonti giornalistiche, pare stiano sorgendo all'interno del bosco, sui viali, tre edifici enormi, all'insaputa dei napoletani e sotto l'egida della soprintendenza. Gli interroganti dubitano fortemente che sia rispettoso del decoro del sito di grandissimo interesse storico e botanico e dichiarato dal 13 ottobre 1965 «sito di particolare interesse culturale» ai sensi della legge n. 1089 del 1939, concepire e utilizzare il Real Bosco di Capodimonte come un’«azienda», nella quale promuovere e realizzare attività produttive;
   «Il parco è chiuso per verifica alberi pericolanti» con questa scritta su un foglio A4 affisso al cancello chiuso dell'entrata di Porta Bellaria, domenica 5 luglio la Soprintendenza avvisava i cittadini che il parco gratuito più amato dai napoletani non sarebbe stato accessibile. Ad avviso degli interroganti e della popolazione delusa che si era recata al Bosco per la gita domenicale, la motivazione non giustifica la chiusura del polmone verde più grande della città, sarebbe stato il caso di circoscrivere la parte inagibile, come è sempre stato fatto in passato;
   nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 4-04510 il Governo sostiene che «Il progetto ha come obiettivo la valorizzazione sostenibile del sito, puntando sul recupero e l'innovazione delle attività produttive e sulla promozione di attività capaci di realizzare un ciclo virtuoso che coniuga obiettivi di tutela, di formazione e sviluppo con l'attuale funzione prevalente di “parco pubblico cittadino”, al fine di realizzare una gestione sociale ed economica che tenga conto dei valori complessivi del sito». Il progetto in esame ha ad oggetto prevalentemente il recupero di beni architettonici e il loro reimpiego in attività (di carattere culturale, economico e altro) ancora non ben definite nella loro attuazione né tantomeno negli esiti della loro sostenibilità finanziaria, come si evince dalla risposta all'interrogazione parlamentare di cui sopra quando si afferma: «Solo una volta che sarà completato il restauro degli edifici, conformemente al progetto di restauro, verranno attivate le procedure per selezionare i soggetti cui affidare l'eventuale gestione dei servizi, connessi alle attività che si potranno svolgere nel parco», ci si chiede se invece non sia opportuno calibrare i progetti di recupero in maniera più diretta sulla messa insicurezza del sito in modo che in primis garantiscano la tutela e la piena fruibilità del patrimonio di flora e fauna che costituisce non una mera cornice dei recuperi architettonici, bensì l'effettiva peculiarità da salvaguardare. Tale osservazione discende dalla situazione di grave abbandono del sito, di cui giunge voce, per cui attualmente dei 134 ettari di estensione delle specie faunistiche e vegetali una cospicua parte risulta assolutamente non fruibile in quanto fisicamente non raggiungibile dal pubblico a causa di situazioni di degrado che hanno comportato la chiusura di strade e sentieri isolando le zone a fondo di talune valli. La situazione sembrerebbe tanto più grave lungo i confini del parco adiacenti al territorio del comune di Secondigliano e della zona di Miano ove il dissesto idrogeologico ha reso il paesaggio assolutamente non sicuro, come evidenziato dal crollo delle sedi stradali, del muro di cinta e finanche dell'antico ponte, una volta presente lungo il fianco destro del sito dell'ex Eremo dei Cappuccini;
   alla luce di quanto sopra, quindi, sorgono perplessità sulla opportunità di proseguire nell'investimento relativo al recupero degli immobili storici inseriti nel contesto patrimoniale del parco, in quanto le situazioni di rischio e di degrado ambientale potrebbero pregiudicare per ragioni di sicurezza dei visitatori la fruibilità del sito e la piena realizzazione di ogni iniziativa connessa con l'utilizzo di tali immobili, trasformando l'intero investimento in uno spreco di denaro pubblico –:
   quale sia l'entità precisa del dissesto idrogeologico di cui allo stato attuale e in quali tempi intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di assicurare la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia di un sito di inestimabile valore quale quello del Real Bosco di Capodimonte;
   in che maniera il Governo intenda valorizzare il patrimonio botanico, e non solo quello architettonico, garantendo, per quanto di competenza, la tutela e la piena fruibilità del patrimonio di flora e fauna e la sicurezza dei cittadini;
   se non ritenga più opportuno, per quanto di competenza, valorizzare il bosco e gli edifici evitando la realizzazione di costruzioni di proporzioni così vaste come quella attualmente in fabbricazione per la ristrutturazione della Fagianeria nel Real Bosco di Capodimonte che rischierebbe di recare pregiudizio al paesaggio, scongiurando l'apertura di attività commerciali al suo interno e l'utilizzo di siti di interesse storico in modo che agli interroganti appare poco confacente alla natura degli stessi;
   in che modo il Governo intenda assicurare che l'investimento non si rivelerà un ennesimo spreco di fondi pubblici, se a tutt'oggi non si ha la certezza circa gli esiti della sostenibilità finanziaria delle attività e se le procedure di selezione dei soggetti che gestiranno i servizi e le attività verranno attivate solo dopo il completamento del restauro degli edifici.
(2-01028) «Colonnese, Petraroli, Fico, Sibilia».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NIZZI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il 2 luglio 2015, in occasione della presentazione del cantiere del Mater Olbia, l'assessore ai trasporti della regione Sardegna, Massimo Deiana, ha presentato al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, a nome della regione Sardegna, un progetto sperimentale di quattro anni per superare il problema dell'insularità, che prevede una sorta di ponte aereo per collegare la Sardegna con il continente;
   nello specifico, il progetto presentato dall'assessore Deiana, denominato «main bridge», prevede ben 14 voli al giorno nella tratta da Cagliari a Roma, con un finanziamento da parte dello Stato di 65 milioni di euro e con un incremento di 1,6 milioni di posti ad un costo base di 25 euro;
   secondo le dichiarazioni dell'assessore Deiana, la scelta della regione di prevedere nel progetto il solo scalo di Cagliari sarebbe derivata dal fatto che l'aeroporto di Cagliari ha una domanda più elevata in confronto agli altri aeroporti sardi e che la rotta prioritaria libererebbe risorse regionali che potrebbero comunque essere utilizzate per potenziare i collegamenti con gli altri aeroporti, anche con un abbattimento dei costi –:
   se il Governo intenda accogliere il progetto proposto dalla regione Sardegna di introdurre un ponte aereo tra la Sardegna e il continente, che andrebbe nella direzione di migliorare la mobilità dei cittadini sardi e di ridurre ulteriormente il gap dovuto all'insularità;
   se il Governo non ritenga necessario, al fine dell'approvazione del progetto «main bridge», estendere nella pianificazione dei voli del progetto medesimo anche gli aeroporti di Olbia ed Alghero, per evitare che a beneficiare dello stesso siano soltanto i cittadini che vivono nel sud dell'Isola, tenendo presente che il problema della continuità territoriale è una difficoltà che interessa tutti i cittadini della Sardegna e, pertanto, non si possono utilizzare risorse dello Stato per avvantaggiare una parte del territorio, lasciando volutamente indietro il resto dei cittadini sardi. (5-06002)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2014 la Commissione europea autorizzò sussidi pubblici da parte del Governo britannico per la costruzione della nuova centrale nucleare di Hinkley Point. Secondo questo «aiuto di Stato» sarà garantito per 35 anni che l'energia prodotta dall'impianto sia pagata circa il doppio del valore di mercato attuale, con la differenza coperta con le risorse di tutti consumatori. La nuova centrale infatti per più di tre decenni godrà di uno «strike price» di 92,5 sterline (circa 123 euro) per ogni MWh generato, che in valore nominale al 2058, anno in cui scadrà l'incentivazione, diverranno 279 sterline per MWh;
   come per altri due impianti in costruzione in Europa, a Flamanville in Francia e Olkiluoto in Finlandia, anche nel Regno Unito si è assistito ad una lievitazione dei costi e a notevoli ritardi nella costruzione della centrale. L'impianto di Hinkley Point, secondo alcuni articoli del Financial Times, non costerà più 16 miliardi di sterline come preventivato un anno fa da EDF ma oltre un terzo in più: 24,5 miliardi di pound (cioè circa 31,7 miliardi di euro). La cifra iniziale di 16 miliardi, ha fatto sapere EDF, era in valuta 2012 e non comprendeva i costi del capitale e altri costi di preliminari. Da qui si evince che il sostegno pubblico per la costruzione del predetto impianto nucleare sia fondamentale;
   si apprende peraltro anche dal quotidiano online Quaenergia e dalle maggiori agenzie di stampa nazionale ed estere che, sull'aiuto di Stato britannico per la centrale di Hinkley Point, il Governo austriaco ha presentato ufficialmente, il 6 luglio 2015, una denuncia dinanzi alla Corte di giustizia europea contro la decisione della Commissione europea che ad ottobre 2014 aveva dato il via libera al sostegno pubblico di Londra per la nuova centrale da 3,3 GW, che nei programmi al 2023 dovrebbe fornire il 7 per cento del fabbisogno elettrico del Paese;
   lo Stato austriaco si è perciò appellato all'Unione europea contro l'aiuto britannico «perché non considera il nucleare una tecnologia sostenibile né in termini ambientali né in termini economici». E, secondo alcune agenzie stampa, il direttore del Ministero dell'ambiente austriaco, Andreas Molin aggiunge: «Se si accetta l'argomento che Hinkley Point sia un “fallimento di mercato” – come scritto nella decisione della Commissione sul via libera agli aiuti – lo strumento si potrebbe applicare a tutte le altre tecnologie per la produzione elettrica, probabilmente anche alle altre forme di conversione dell'energia e forse anche al di fuori del settore energetico. Pensiamo che la cosa riguardi ogni singolo mercato». All'azione austriaca potrebbero accodarsi – stando ad indiscrezioni del Guardian – anche il Lussemburgo e un altro Stato membro anche perché i trattati comunitari europei non giustificano un aiuto come quello britannico, essendo difficile dimostrare l'interesse comune dell'Unione nella costruzione di un reattore atomico nel Regno Unito;
   l'interrogante ha presentato sul medesimo argomento l'atto di sindacato ispettiva n. 4-08414 ancora senza risposta, pur sollecitata –:
   se il Governo italiano sia a conoscenza della vicenda e se non intenda valutare l'opportunità di fare ricorso, come già fatto dal Governo federale austriaco, contro la decisione della Commissione europea che, come detto, autorizzò nell'autunno 2014 nonostante la precaria sostenibilità finanziaria del progetto, il sussidio pubblico pluridecennale alla costruzione della centrale nucleare di Hinkley Point nel Regno Unito. (4-09744)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con sentenze nn. 834 e 835/2012 il Tar Calabria-Sezione di Catanzaro ha accolto i ricorsi nn. 436 e 437/2012 proposti da UNEBA e altre associazioni di assistenza privata, dichiarando l'illegittimità del silenzio serbato dalla regione Calabria in ordine alla determinazione delle tariffe delle strutture extraospedaliere e nominando il prefetto di Catanzaro o suo delegato commissario ad acta per l'ipotesi di inottemperanza da parte della predetta regione;
   verificata l'inottemperanza da parte della regione Calabria, il prefetto di Catanzaro ha delegato la dottoressa Laura Rotondo, dirigente in servizio presso la prefettura di Catanzaro, in qualità di commissario ad acta;
   a seguito di specifica richiesta da parte delle associazioni ricorrenti, si è tenuto in data 29 maggio 2015, presso la prefettura di Catanzaro, un primo incontro interlocutorio con le stesse nonché con le rappresentanze di tutte le strutture comunque interessate agli effetti dell'ottemperanza;
   successivi incontri si sono tenuti presso la medesima prefettura, nelle date 4 e 11 giugno;
   nell'incontro del 4 giugno il prefetto di Catanzaro, dottoressa Luisa Latella, ha ricordato ai presenti che al termine del precedente incontro le parti erano state invitate a presentare una proposta migliorativa per l'amministrazione rispetto alle istanze avanzate, ciò come base di una possibile proposta transattiva che tenesse conto anche dei vincoli imposti dal piano di rientro dal debito sanitario della regione Calabria;
   lo stesso prefetto ha altresì precisato che una transazione aperta a tutti potrebbe essere condotta solo dal commissario per il piano di rientro, previa rinuncia da parte delle associazioni ricorrenti all'ottemperanza;
   il prefetto ha poi aggiunto che per ogni opzione è d'obbligo la collaborazione e il coinvolgimento della regione e del commissario per il piano di rientro;
   nell'incontro in parola del 4 giugno, il commissario per il piano di rientro, ingegnere Massimo Scura, ha detto che l'importo calcolato dalle parti non trova fondamento in una tariffa regolarmente approvata, sottolineando come non vi sia alcun accantonamento e pertanto ogni cifra necessaria per saldare le annualità pregresse rappresenta una sopravvenienza passiva;
   lo stesso commissario Scura ha comunicato che i 20 milioni di euro inizialmente proposti per la definizione del pregresso potrebbero essere portati a 27 milioni da corrispondere in due annualità, aggiungendo che le parti dovranno ripartire fra di loro per definire il pregresso fino a giugno 2015, mentre dal primo luglio si dovrà partire con la tariffa unica con un incremento di 6 milioni annui rispetto all'attuale spesa;
   il prefetto ha dunque chiesto al commissario ad acta della possibilità di aggiornare la sua proposta di 27 milioni in 2 anni con una di 30 milioni da ripartire in 3 anni;
   a riguardo il commissario si è dichiarato disponibile, riservandosi di confermare la disponibilità in questo senso ed evidenziando che se dal punto di vista contabile l'eventuale rateizzazione del debito su più annualità potrebbe risolvere il problema in termini di cassa, nulla cambia in termini economici, in quanto l'imputazione della spesa continua a gravare sull'anno in corso;
   il prefetto ha quindi chiesto alle associazioni di valutare la proposta avanzata e di fornire una risposta nella prossima seduta, fissata all'undici giugno 2015, utile a prendere atto della possibilità di proseguire in un percorso transattivo ovvero a procedere all'ottemperanza con le parti ricorrenti;
   in una loro comunicazione al tavolo del prefetto, assenti al previsto incontro dell'undici giugno, rammentando che si era precedentemente «valutata l'ipotesi di un accordo transattivo con le associazioni che avrebbe dovuto comportare un esborso per la Regione pari a euro 27 mln o 30 mln», il commissario e subcommissario per l'attuazione del piano di rientro, Massimo Scura e Andrea Urbani, hanno – con sottolineatura grafica – rappresentato che «la situazione generale nazionale ci consiglia di non poter più confermare la proposta transattiva presentata», con «l'impossibilità per la regione di addivenire a qualsiasi formalizzazione di accordo transattivo nei contenuti sopra rappresentati»;
   i suddetti Scura e Urbani hanno ritrattato l'impegno transattivo assunto nell'incontro del 4 giugno 2015, nella citata nota adducendo, quale ulteriore motivazione, che «la Regione Calabria è regione commissariata e sottoposta a Piano di rientro dai disavanzi sanitari e alla vigilanza dei Ministeri della salute e dell'Economia», piano di rientro peraltro iniziato nel 2010 –:
   se sono a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritengono opportuno, per quanto riassunto in premessa – che a parere dell'interrogante dimostra la mancata conoscenza, da parte dei delegati al piano di rientro, sia del mandato ricevuto che dello specifico contesto operativo – procedere alla rimozione e sostituzione dei menzionati commissario e subcommissario. (4-09746)


   GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la libertà religiosa rappresenta un valore fondamentale della nostra Costituzione;
   è espressione di tale valore la possibilità di avere luoghi adeguati per l'esercizio di ciascun culto;
   nel gennaio 2013 è entrata in vigore l'intesa tra l'Unione Buddhista Italiana e Stato Italiano;
   la comunità buddista è perfettamente integrata e non ha mai manifestato alcuna forma di tensione con le autorità nazionali;
   sabato 27 giugno 2015 a Firenze il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in occasione della firma dell'intesa tra Repubblica Italiana e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, che, insieme all'Unione Buddista Italiana, è tra le più grandi associazioni buddiste in Italia, ha lanciato un forte monito per la lotta al terrorismo e per la promozione di una cultura del rispetto e della tolleranza. Ciò a testimonianza di questo forte e rinnovato contesto di attenzione verso tutte le confessioni religiose che operano nel nostro Paese;
   nonostante quanto segnalato appare però difficile per le confessioni religiose, diverse dalla cattolica individuare e acquisire luoghi di culto idonei;
   a titolo esemplificativo può essere citato il caso delle monache e dei monaci buddisti che avevano provato sin dal 2004 a costruire un monastero nella frazione di Pomaia nel comune di Santa Luce in provincia di Pisa;
   nonostante un travagliato iter amministrativo, culminato anche in un ricorso al Tar della comunità buddista, poi ritirato, non si riescono a superare le difficoltà per la costruzione del citato luogo di culto;
   il 13 giugno 2014 il Dalai Lama nel corso di una sua visita, ha benedetto il luogo dove deve sorgere il monastero alla presenza del sindaco, del presidente della provincia e della regione Toscana, rappresentata da un assessore regionale;
   in quella occasione vi fu una grande partecipazione popolare a testimonianza di una profonda integrazione della comunità buddhista nel contesto locale;
   al di là della vicenda che appare esemplificativa sia dell'integrazione tra la comunità buddista sia delle difficoltà pratiche che possono emergere nella costruzioni di luoghi di culto, occorrerebbe un'iniziativa forte del governo per agevolare l'integrazione delle comunità che, anche in quanto provenienti da culture diverse, professano religioni diverse da quella maggioritaria –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per individuare un percorso che porti in tempi brevi a rimuovere gli ostacoli ancora presenti nell'integrazione tra le diverse culture individuando forme e modi per assicurare, anche a cittadini e stranieri che professano religioni minoritarie, di poter usufruire di idonei luoghi di culto. (4-09754)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 dicembre 2007 è stato istituito il parco nazionale dell'Appennino Lucano-Val d'Agri Lagonegrese (d'ora innanzi individuato solo come «Ente Parco»), in attuazione dell'articolo 2, comma 5, della legge n. 426 del 1998;
   l'istituzione dell'Ente Parco è stata preceduta dall'intesa sancita con la regione Basilicata, espressa con decreto della giunta regionale n. 537 del 17 aprile 2007;
   l'articolo 9, comma 1, della legge n. 394 del 1991 (legge quadro sulle aree protette) prevede che l'ente parco abbia personalità di diritto pubblico e sia sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in esecuzione della determinazione del dirigente generale dell'ente parco n. 572 dell'11 dicembre 2013 sono state indette le seguenti pubbliche selezioni:
    per titoli ed esami riguardante l'assunzione a tempo indeterminato di n. 1 unità («previa valutazione di riserva del posto volto a favorire il superamento del precariato») per l'area C, livello economico C1, profilo professionale funzionario amministrativo - attività istituzionali e giuridiche dell'Ente;
    per titoli ed esami riguardante l'assunzione a tempo indeterminato di n. 1 unità («previa valutazione di riserva del posto volto a favorire il superamento del precariato») per l'area C, livello economico C1, profilo professionale funzionario tecnico-area tecnica II.pp. e pianificazione;
    per titoli ed esami riguardante l'assunzione a tempo indeterminato di n. 5 unità («previa valutazione di riserva del posto volto a favorire il superamento del precariato») per l'area B, livello economico B1, profilo professionale collaboratore amministrativo-attività istituzionali dell'Ente;
   in esecuzione della determinazione del direttore n. 0502/DG del 27 ottobre 2014 veniva indetta un'ulteriore selezione pubblica per titoli ed esami riguardante l'assunzione a tempo indeterminato di n. 1 unità («previa valutazione di riserva del posto volto a favorire il superamento del precariato») per l'area C, livello economico C1, profilo professionale funzionario amministrativo – attività istituzionali e amministrative dell'ente;
   per i primi 3 concorsi relativi ai profili C1 (amministrativo e tecnico) e B1 banditi in attuazione della determina n. 572 dell'11 dicembre 2013, all'articolo 9 dell'Avviso Pubblico «Presentazione titoli prestazioni lavorative» è prevista l'attribuzione di un punteggio pari a 0,15 per ogni mese di lavoro (escluse le frazioni di mese); il punteggio massimo attribuibile è pari a punti 10,00; tanto in ottemperanza al decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, articolo 8, comma 2, che prevede che «per i titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore a 10/30 o equivalente»;
   per il concorso relativo al profilo C1 scaturito dalla determina del 2 ottobre 2014, all'articolo 9 dell'avviso pubblico «Presentazione titoli prestazioni lavorative» era prevista l'attribuzione di un punteggio pari a 1/30 per ogni anno prestato; per frazioni di mese nessuna attribuzione; il punteggio massimo attribuibile, in trentesimi, è pari a punti 4/30, sempre in ottemperanza al decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, articolo 8, comma 2;
   le prime due selezioni sopra citate, sono state ultimate nel 2014. L'ultima – relativa alla alla selezione del profilo C1 scaturita dalla determina del 27 ottobre 2014 – si è conclusa con la prova orale il 13 marzo 2015 alla quale è seguita la pubblicazione della graduatoria;
   la circolare n. 1 del 29 gennaio 2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie ha chiarito, in particolare alle pagine 15 e 16, che le facoltà assunzionali degli enti locali e degli enti pubblici devono essere destinate: a) al reperimento di categorie infungibili; b) all'immissione in ruolo dei vincitori di concorso, le cui graduatorie sono in essere al 1o gennaio 2015; c) alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno dei dipendenti assunti a part-time (articolo 3 della legge n. 244 del 2007);
   le risorse rimanenti devono essere riservate al riassorbimento del personale soprannumerario rinveniente dal riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane;
   il comma 424 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) prevede la nullità delle assunzioni effettuate in violazione del disposto della stessa norma; come noto, la nullità non è soggetta a prescrizione e può essere fatta valere da chiunque e l'atto nullo comporta la responsabilità diretta del funzionario responsabile che lo sottoscrive, il quale non ha, in ogni caso, impegnato l'amministrazione –:
   per quale motivo sia stata avviata una nuova e distinta procedura concorsuale in data 27 ottobre 2014 a pochissimi mesi di distanza dalla precedente procedura e, per giunta, per un identico profilo professionale e per la medesima qualifica (ovvero «area C, livello economico C1, profilo professionale funzionario amministrativo - attività istituzionali e giuridiche dell'Ente»);
   se, prima di bandire i concorsi in premessa, l'ente parco abbia o meno espletato le procedure previste agli articoli 29-bis e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001, ivi incluso l’iter di cui all'articolo 34-bis del citato decreto legislativo n. 165;
   se le procedure concorsuali evidenziate in premessa rispettino le condizioni poste dai commi 418 e seguenti dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014);
   quali siano i motivi che hanno portato a differenziare il punteggio attribuito ai titoli per «prestazioni lavorative» dal primo avviso pubblico (0,15 punti per ogni mese di lavoro) rispetto all'avviso pubblico dell'11 dicembre 2014 (solo 0,03 punti per ogni mese di lavoro) nonostante l'assoluta identità di profilo e qualifica professionale messa a concorso. (5-06001)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2011 a Roseto degli Abruzzi (Teramo) e in altre cittadine della costa teramana una gravissima alluvione mise in ginocchio il territorio;
   la normale prassi prevede che, entro 24 ore da un evento climatico e/o naturale causante danni, la giunta regionale, dopo le dovute segnalazioni delle amministrazioni locali, richieda al Governo nazionale lo stato di calamità naturale;
   la giunta regionale, all'epoca guidata dal presidente Chiodi, insieme ai dirigenti di settori, avrebbe inviato la richiesta con 7 giorni di ritardo;
   a causa di questa inadempienza ci sarebbe stato il mancato riconoscimento dello stato di calamità, e l'impossibilità per i tantissimi cittadini che hanno subito i danni, di ricevere i rimborsi;
   va ricordato che oltre a vari danni a cose, ci fu addirittura una vittima –:
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per far sì che almeno parzialmente venga permesso ai cittadini di ottenere rimborsi a fronte dei gravi danni subiti, evitando una beffa intollerabile a causa di quella che l'interrogante ritiene una inadempienza istituzionale. (4-09732)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 giugno 2015 il quotidiano online «Corriere di Viterbo» pubblicava un articolo dal quale si veniva a conoscenza che nel distretto di Civita Castellana, la Asl di Viterbo – Centro regionale amianto (CRA) del Lazio – aveva riscontrato durante un'indagine, la presenza di amianto nell'impasto commercializzato per la produzione di ceramiche sanitarie;
   al fine di ottenere un approfondimento attraverso il microscopio a trasmissione (TEM), la Asl di Viterbo inviava un contro campione al Politecnico di Torino giacché da parte sua il laboratorio di igiene industriale CRA aveva già eseguito delle analisi (microscopia ottica a contrasto di fase, microscopia ottica a luce polarizzata e microscopia elettronica a scansione) abitualmente utilizzate per l'individuazione delle fibre di amianto;
   le analisi del politecnico di Torino hanno confermato l'esistenza di amianto nei campioni monitorati, invero i dati hanno fornito prova della presenza della tremolite – un silicato di calcio e di magnesio – ossia di un amianto anfibolico;
   a seguito delle citate analisi, la procura di Viterbo ha posto sotto sequestro lo stabilimento di Gallese in quanto distribuiva alle aziende del comprensorio il feldspato quale ingrediente principale degli impasti ceramici e sostanza in cui è stata riscontrata la presenza di amianto;
   nel sito sottoposto a sequestro, il materiale incriminato viene solo stoccato ed in parte lavorato, mentre viene estratto nella cava di Orune in Sardegna che però, a differenza dello stabilimento di Gallese, non è stata sottoposta ad alcun sequestro continuando ad operare regolarmente;
   la legge 27 marzo 1992 n. 257, anticipando quanto sostenuto dalla direttiva 2009/148/CE, detta le norme per la messa al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione nonché la produzione, secondo un preciso programma di dismissione che ha definito i criteri sia per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e sia quelli relativi ai benefici previdenziali applicabili ai lavoratori occupati nella produzione dell'amianto;
   successivamente la suesposta legge, veniva modificata dalla legge 4 agosto 1993 n. 271 con cui venivano estesi tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto. Il legislatore, tuttavia, non si limitava a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto ma metteva in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
   il decreto ministeriale del Ministro della sanità del 26 ottobre 1995 ha stabilito le metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica dei materiali contenenti amianto;
   il decreto ministeriale del Ministro della sanità del 14 maggio 1996 ha altresì disposto all'allegato 5 che tutti i laboratori pubblici e priva i che intendano effettuare attività analitiche sull'amianto devono essere in possesso dei requisiti minimi ed aderire ad un apposito programma di controllo qualità teso a verificare l'idoneità e l'affidabilità delle attività analitiche sull'amianto;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, ovvero il testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, prevede delle forme di tutela dei lavoratori nei vari ambienti di attività, dai diversi agenti chimici cui possono venire in contatto. Tra questi, viene considerato anche l'amianto. In particolare, l'articolo 254 del decreto, stabilisce che il valore limite di esposizione all'amianto deve essere pari a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, ponendo a carico dei datori di lavoro il controllo, affinché nessun lavoratore sia esposto ad una contaminazione di amianto nell'aria, che superi il valore limite. Il datore di lavoro, conseguentemente, ai sensi dell'articolo 249 del medesimo decreto, è tenuto a valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali che lo contengono, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive da attuare, affinché non venga superato il prescritto valore limite di esposizione, di cui al predetto articolo 254. Ai fini del rispetto di questo valore limite, il datore di lavoro ha altresì, l'obbligo di effettuare periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria del luogo di lavoro ex articolo 253. Oltre ciò i campionamenti che vengono effettuati a tale fine devono avvenire sempre previa consultazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti;
   l'articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008 al comma 3, lettera d) ed e), dispone rispettivamente che il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, al fine di garantire la più completa attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, ha il compito di programmare il coordinamento della vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché di garantire lo scambio di informazioni tra i soggetti istituzionali al fine di promuovere l'uniformità dell'applicazione della normativa vigente;
   l'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 altresì stabilisce che al fine di realizzare una programmazione coordinata di interventi, nonché uniformità degli stessi ed il necessario raccordo con il comitato di cui all'articolo 5, presso ogni regione e provincia autonoma opera il comitato regionale di coordinamento;
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 81 del 2008, dispone che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tramite le AASSLL. del servizio sanitario nazionale, il Ministero dell'interno tramite le strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro (ISPESL), il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico per il settore estrattivo, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), l'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA), gli organismi paritetici e gli enti di patronato, svolgono anche mediante convenzioni, attività di informazione, assistenza, consulenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle imprese artigiane, delle imprese agricole e delle piccole e medie imprese e delle rispettive associazioni dei datori di lavoro;
   l'articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008, dispone che la vigilanza sull'applicazione applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dall'azienda sanitaria locale competente per territorio;
   l'articolo n. 249 del decreto legislativo n. 81 del 2008, prevede che il datore di lavoro debba valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare;
   l'articolo n. 254 del decreto legislativo n. 81 del 2008, oltre ad aver fissato il valore limite di esposizione per l'amianto a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, dispone altresì che i datori di lavoro provvedono affinché nessun lavoratore sia esposto ad una concentrazione di amianto nell'aria superiore al valore limite. Quando il valore limite fissato al comma 1 viene superato, il datore di lavoro deve individuare le cause del superamento e adottare al più presto, misure appropriate per ovviare alla situazione. Il lavoro potrà proseguire nella zona interessata solo se vengono prese misure adeguate per la protezione dei lavoratori interessati;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 242 comma 1 dispone che al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento debba entro ventiquattro ore mettere in campo le misure necessarie di prevenzione e darne immediata comunicazione ai sensi dell'articolo 304, comma 2. Oltre ciò il secondo comma dell'articolo 242, precisa che qualora si verifichi un evento di potenziale contaminazione è necessario dapprima effettuare la comunicazione agli enti preposti ed intervenire con misure di messa in sicurezza d'emergenza, e successivamente effettuare un'indagine preliminare finalizzata a verificare la reale contaminazione;
   nell'allegato II alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativamente alle metodiche analitiche, il legislatore ha stabilito che le attività analitiche devono eseguite da laboratori pubblici o privati che garantiscano di corrispondere ai necessari requisiti di qualità. Inoltre, quanto alle attività di controllo, i responsabili degli enti preposti al controllo potranno pertanto verificare, attraverso un sistema di controllo qualità, la corretta applicazione delle metodiche analitiche, dei sistemi utilizzati nonché del rispetto delle buone pratiche di laboratorio e la validazione [UNI CEI EN ISO/IEC 17025, 5.4.5.1) dell'intero percorso analitico, dal prelievo dal campione alla restituzione del dato, potrà essere eseguita dagli Enti di controllo attraverso l'approvazione dei certificati analitici;
   inoltre nell'allegato V, il legislatore ha altresì stabilito alla tabella 1 che la concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti, per l'amianto è di 1000 mg/Kg espressi come ss, corrispondente al limite di rilevabilità della tecnica analitica (diffrattometria a raggi X oppure trasformata di Fourier); valore sia per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (A), sia per i siti ad uso commerciale e industriale (B);
   l'allegato XVII del Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH) stabilisce restrizioni in materia di fabbricazione, immissione sul mercato e uso di talune sostanze, preparati e articoli pericolosi. Ricomprendendo in tale elenco anche le fibre d'amianto Tremolite CAS n. 77536-68-6. Nello specifico viene previsto che l'immissione sul mercato e l'uso di queste fibre e degli articoli contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati;
   il Regolamento (CE) N. 1272/2008 (CLP) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, ha provveduto ad un aggiornamento del sistema di classificazione, etichettatura ed imballaggio di tutte le sostanze chimiche e le miscele, riprendendo i principi del Globally Harmonized System (GHS) il cui scopo è quello di garantire che a livello mondiale venga adottata una classificazione ed etichettatura armonica di tali sostanze e miscele;
   nel IV rapporto Registro nazionale mesoteliomi del 2012, ovvero il sistema di sorveglianza epidemiologica istituito ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 308 del 2002, redatto dal settore ricerca del dipartimento di medicina del lavoro dell'Inail, è stato tra le altre cose stabilito che: «Fra gli agenti cancerogeni l'amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro. La legge che nel 1992 ha bandito l'impiego dell'amianto ha posto l'Italia tra le nazioni che hanno condotto una politica di contrasto, di controllo e di prevenzione dei rischi specifici. Restano, tuttavia, ancora aperte le questioni della bonifica e del risanamento ambientale, della sorveglianza epidemiologica e sanitaria per la prevenzione primaria e secondaria, della tutela dei soggetti ammalati»;
   la situazione che si è venuta a creare a causa della presenza di amianto in svariati luoghi di lavoro è davvero grave –:
   quali iniziative intendano adottare per l'inadempienza relative alla legge n. 257 del 1992, norma che da oltre 20 anni mette al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione nonché la produzione di amianto e di prodotti che lo contengono;
   se sia stato interpellato il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro al fine di garantire la più completa attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni ed in particolar modo definire la programmazione degli interventi di vigilanza come previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   se, ai sensi dell'articolo 10 del medesimo decreto, siano stati coinvolti gli organismi preposti a svolgere attività di informazione, assistenza e consulenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese;
   se la vigilanza svolta nel quadro del coordinamento territoriale di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 sia stata attivata e come si intende operare in virtù dell'urgenza di un tempestivo coordinamento;
   se siano conoscenza della corretta applicazione da parte del datore di lavoro ed enti preposti al controllo del documento di valutazione dei rischi che stabilisce la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare nonché il controllo dell'esposizione ai sensi del combinato disposto degli articoli 249 (valutazione del rischio) e 254 (valore limite) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
   se il Ministro disponga di elementi in merito alla bonifica dei terreni o alla messa in sicurezza del sito per il sito di Gallese ed Orune, rispettivamente cave dove è stoccato ed estratto l'amianto posto che ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, in caso di contaminazione si deve provvedere alla bonifica dei terreni o alla messa in sicurezza del sito, al fine di prevenire il rischio di esposizione di persone a sostanze pericolose per la salute, impedire la diffusione della contaminazione nel suolo e nelle altre matrici ambientali e definire la disponibilità dell'utilizzo futuro di tali aree per nuove attività;
   se il Ministro sia a conoscenza della presenza di laboratori che sono in possesso dei necessari requisiti di qualità previsti per legge, (decreto legislativo n. 152 del 2006, Dm Sanità 26 ottobre 1995, decreto ministeriale 14 maggio 1996) al fine di verificare la presenza di amianto per la valutazione della concentrazione soglia di contaminazione nei siti da bonificare;
   se le autorità competenti e le autorità responsabili dell'attuazione cooperano nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dal regolamento n. 1907/2006 (REACH) e dal regolamento n. 1272/2008 (CLP) abbiano assolto i loro compiti, come previsto dalla vigente normativa;
   quali provvedimenti si intendano adottare per l'inosservanza del regolamento n. 1272/2008 che garantisce che i rischi presentati dalle sostanze chimiche siano chiaramente comunicati ai lavoratori e ai consumatori nell'Unione europea attraverso la classificazione e l'etichettatura delle sostanze chimiche ed impone a tutti i fornitori di una catena d'approvvigionamento l'obbligo generale di cooperare per soddisfare i requisiti in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio (articolo 4, paragrafo 9, del Regolamento n. 1272/2008 CLP). (4-09757)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Agenzia industrie difesa (AID) è stata istituita con il decreto legislativo n. 300 del 1999, dall'articolo 22 e disciplinato dagli articoli 8 e 9. I compiti e le funzioni dell'AID sono definiti dall'articolo 48 del codice dell'ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 2010. Conformemente a quanto stabilito dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 300 del 1999 e dall'articolo 48 del decreto legislativo n. 66 del 2010 «Scopo dell'Agenzia è quello di gestire unitariamente le attività dell'unità produttive e industriali della difesa...» con la missione di eseguire una loro razionalizzazione e ammodernamento. Inoltre «L'Agenzia utilizza le risorse finanziarie materiali ed umane delle unità dalla stessa amministrate...»;
   l'AID gestisce enti di produzione e impianti industriali (Riremumiles a Noceto di Parma, Stamimuter a Baiano, Spolemiles a T. Annunziata, Polvemiles a Fontana Liri, Stachifarmiles a Firenze, Milicorderia a C. di Stabia, Stagrafimiles a Gaeta e Arsenale a Messina) di proprietà del Ministero della difesa, i quali insistono su siti della predetta amministrazione. L'Agenzia opera con personale militare e civile dipendenti dalla stessa amministrazione, produce beni e servizi seguendo una procedura in house, destinati alle esigenze delle predette Forze Armate e gode di contribuzioni della difesa finalizzate al suo sostegno;
   dal sito istituzionale dell'Agenzia si palesa che «L'AID opera secondo criteri industriali, sotto la vigilanza del Ministro della difesa, con la missione di portare all'Economica Gestione gli stabilimenti industriali assegnati in gestione, in una logica di creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e la collettività»;
   l'articolo 6, comma 2, della Convenzione Triennale (2012/2014) tra Ministero della difesa e Agenzia, dispone che i mezzi e materiali dello Stato Maggiore dell'Esercito dismessi o eccedenti le esigenze di Forze Armate debbono essere prioritariamente posti all'attenzione dell'Agenzia, valutando il ricorso all'istituto della permuta, di beni e servizi in presenza di controprestazioni ritenute d'interesse. Il ricorso alla permuta di armi e beni in dismissione delle Forze armate è oggetto di remunerazione nei confronti dell'attività svolta dall'agenzia. Tale accordo non solo viene ribadito, ma addirittura viene ampliato dalla nuova Convenzione triennale (2015/2017) viene ulteriormente ampliato, infatti in base all'articolo 7 il Ministro della difesa potrà affidare all'AID l'espletamento di attività commerciali inerenti l'acquisto dei beni e servizi, e inoltre l'AID per conto del medesimo ente dovrà effettuare cessione di sistemi d'armi e di beni dismessi dalle Forze armate;
   a parere degli interroganti, l'AID non può assolvere compiti di intermediazione tra i comandi/enti delle Forze armate e il mercato esterno, e tanto meno non può operare come stazione appaltante in nome e per conto di comandi/enti delle Forze armate, derogando i dispositivi di legge dai quali è stata istituita. L'AID negli ultimi anni ha bandito, per conto del Ministero della difesa, una serie di bandi pubblici e operando in house in qualità di società di Servizio, non ha rispettato rigorosamente le prescrizioni, del decreto legislativo n. 163 del 2006, in apparente contrasto con quanto prescritto dagli articoli 75 e 113 del predetto codice dei contratti in materia di cauzione provvisoria e cauzione definitiva –:
   se il Ministro interrogato, conformemente ai dispositivi di legge vigenti, non reputi opportuno impiegare per le attività inerenti la cessione e la dismissione degli armamenti e dei beni delle Forze armate gli strumenti e le unità proprie del Ministero, sia a livello centrale che periferico, altamente specializzate in materia contrattuale, senza dover ricorrere all'AID, con risparmio di risorse umane e finanziarie ed evitando così anche inutili, superflue e antieconomiche duplicazioni di funzioni;
   quali siano le ragioni che spingono il Ministro interrogato a rivolgersi all'attività di mediazione dell'AID derogando la norma del codice dei contratti;
   quali siano le reali attività, servizi e beni prodotti dagli impianti industriali gestiti dall'AID, e a quanto ammonti il costo complessivo di gestione di ogni singolo stabilimento e dell'Agenzia stessa. (4-09734)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta orale:


   VIGNALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le politiche pubbliche di acquisto dei dispositivi medici da almeno 7 anni mostrano una crescente tendenza ad aggiudicare al massimo ribasso, con valori medi annui che oscillano tra -12 per cento e -18 per cento rispetto alle basi d'asta spesso a loro volta fissate a livelli inferiori rispetto alle condizioni medie dei mercati di riferimento nei dodici mesi precedenti, con evidenti ripercussioni sui prezzi e sui fatturati delle imprese;
   il livello medio dei prezzi dei dispositivi medici negli ultimi 7 anni ha infatti perso il 25 per cento e a questa caduta verticale dei prezzi si è accompagnata una diminuzione del fatturato delle imprese di circa il 10 per cento dal 2010 al 2013;
   in questi ultimi anni per taluni dispositivi il crollo dei prezzi è stato ancora più pesante, come ad esempio è avvenuto per le siringhe (-34 per cento) e gli stent (-30 per cento); e lo stesso dicasi per la contrazione di taluni mercati specifici che è stata dell'ordine del 40-50 per cento, come ad esempio è avvenuto per i dispositivi per monitoraggio funzionale in ambito cardiologico (-42 per cento), l'elettromedicina (-44 per cento), e soprattutto l’imaging diagnostico (-49 per cento). Tali dinamiche, sia pure con un rallentamento, sono proseguite anche nel 2014, mantenendo nella maggior parte dei casi i valori di fatturato al disotto dei livelli 2008;
   in parallelo è altresì diminuita la quota di mercato assorbita dalle strutture sanitarie pubbliche, passata dal 74,9 per cento nel 2010 al 73,4 per cento nel 2013 e al 72,1 per cento nel 2014;
   tutti gli indicatori succitati dimostrano come la spesa pubblica in dispositivi medici e la relativa marginalità delle imprese del settore siano drasticamente diminuite negli ultimi anni, arrivando oggi a toccare un livello al di sotto del quale non è più possibile parlare a parere dell'interrogante di efficienza e razionalizzazione della spesa;
   dal 2009 al 2014, significativo è stato il contributo che il settore sanitario ha fornito al contenimento della spesa primaria pubblica e così come la modesta incidenza della spesa sanitaria pubblica nel nostro Paese rispetto ad altri paesi europei come Germania e Francia. I tagli degli anni precedenti, infatti, tradotti in un calo del 25 per cento dei prezzi medi praticati dalle aziende del settore, hanno già causato la perdita di 6mila addetti su 60mila;
   la spesa in dispositivi medici 2013 è risultata di 5.457 milioni di euro, pari al 5,1 per cento del FSO di quell'anno; quella 2014 di 5.636 milioni, pari al 5,2 per cento del FSO. Valori quindi già molto lontani dal tetto pre-manovra e che lo diventerebbero ancora di più in base a quest'ultima;
   peraltro, non va dimenticato che senza dispositivi medici all'interno di un ospedale non è possibile erogare nessun tipo di prestazione sanitaria, neppure la più semplice;
   la legge di stabilità per il 2015 ha imposto alle Regioni di ridurre la spesa complessiva rispetto a quella vigente di circa 4 miliardi di euro annui per il periodo 2015-2017;
   con l'Intesa del 26 febbraio scorso Stato e regioni hanno stabilito di tagliare il vigente finanziamento statale ordinario (FSO) del Servizio sanitario nazionale (SSN) per il 2015 di circa 2.4 miliardi di euro (precisamente 2.352 milioni, importo leggermente più alto dell'incremento originariamente previsto nel Patto per la Salute per l'anno in corso);
   con l'intesa del 2 luglio 2015 si è previsto un tetto di spesa per i dispositivi medici pari al 4,4 per cento, che tale taglio sia reso permanente, ovvero vada a colpire anche il finanziamento 2016 indicato nell'ultimo Patto per la Salute, attraverso la rinegoziazione dei contratti e il payback, meccanismo quest'ultimo già in vigore per il settore del farmaco, dove la sua gestione è a carattere nazionale ed è curata dall'Aifa. Per non sforare il tetto ed evitare il payback la spesa in dispositivi medici dovrebbe essere abbattuta di un ulteriore 15 per cento, quando i prezzi sono già calati del -25 per cento, abbassando la qualità dell'assistenza sanitaria a livelli che non possono considerarsi accettabili;
   secondo la Federazione di Confindustria che rappresenta i produttori e i distributori di dispositivi medici, Assobiomedica, il payback rischia di provocare un aumento vertiginoso dei contenziosi tra imprese e pubblica amministrazione, e quindi di spese legali a carico di entrambi, una riduzione drastica della qualità dei servizi di assistenza sanitaria per i cittadini ed un impatto negativo per molte aziende stimabile fra i 300 e i 450 milioni, che rappresenterebbero una percentuale fra il 5,5 per cento e l'8 per cento del totale dei ricevi in Italia;
   fra le 3.000 aziende del settore vi sono moltissime PMI italiane, i cui margini sono di gran lunga inferiori a queste percentuali e che sarebbero quindi nell'oggettiva impossibilità di concorrere per la loro parte a questa misura, con inevitabile e forzosa chiusura o drastico ridimensionamento dell'attività. Mentre sul fronte delle grandi imprese multinazionali, largamente presente in Italia con importanti attività di ricerca e produzione, si assisterebbe ad una lunga sequenza di disinvestimenti e delocalizzazioni;
   il meccanismo del payback, qualora applicato, potrebbe far registrare effettive entrate per le casse regionali verosimilmente non prima di un paio di anni dalla sua introduzione. Immediate, invece, sarebbero le ripercussioni negative per le imprese che dovrebbero comunque subito accantonare nei propri bilanci appositi fondi per rischi e oneri, pari a circa 1 miliardo di euro nel triennio 2015-2017, che si tradurrebbero in altrettanti minori investimenti (in studi clinici, education, eccetera) –:
   quali azioni intenda adottare al fine di mitigare l'applicazione del meccanismo del payback, che si prevede di porre a carico dei dispositivi medici, alla luce delle evidenti ripercussioni negative non solo su un settore industriale ad alto tasso di innovazione ma anche sulla qualità e quantità delle prestazioni sanitarie dei cittadini italiani. (3-01604)


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   risale al 28 maggio 2015 la notizia, apparsa sul Corriere della Sera, della diffida che la Commissione europea, avrebbe indirizzato al nostro Paese;
   tale diffida è relativa alla elaborazione casearia;
   è noto che l'Italia col suo prodotto, il made in Italy, detiene l'eccellenza per quello che riguarda la produzione di formaggi e latticini che si basa essenzialmente sull'uso di prodotto latteario fresco. La legislazione nazionale, con la legge n. 138 del 1974, vieta l'uso di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostruito per la produzione dei formaggi. Questo ha fatto sì che la produzione italiana divenisse una delle eccellenze alimentari in Europa, e nel mondo, data l'alta qualità del prodotto certificato ed espressamente riportato in etichetta;
   la scelta assunta dall'Unione europea di obbligare l'Italia agli standard europei, sebbene con una piccola clausola che preserverebbe il marchio DOP, rappresenta un chiaro attacco alla produzione italiana migliore, minando così la superiorità del prodotto italiano e, quindi, abbassandone la qualità e la competizione economica all'interno dei mercati europei e alterandone il gusto. Il tutto a sfavore della economia nazionale e, invece, a favore delle economie altrui;
   si viene così a ricreare, anche in questo campo la supremazia economica di alcune nazioni su altre, modificando sapore e qualità della produzione italiana e omologandola agli standard europei;
   a fronte di questa scelta, a parere dell'interrogante, impropria e dannosa, le associazioni nazionali di produttori e consumatori stanno esprimendo il loro disappunto con iniziative e manifestazioni anche di grande levatura (in particolare di Coldiretti, Confagricoltura, CIA). C’è da chiedersi il motivo di questa decisione della Commissione europea, che solleva il dubbio di voler penalizzare una nazione che vanta una produzione alta di qualità di un bene alimentare non dannoso (eccetto le allergie individuali) alla salute pubblica e, oltretutto, non particolarmente dispendioso e abbordabile dalle tasche di molti –:
   come intendano operare, i Ministri interroganti, nei confronti dell'Unione europea al fine di:
    a) salvaguardare la produzione casearia italiana e la legislazione in merito alle scelte nazionali di produzione;
    b) difendere l'eccellenza del made in Italy. (3-01605)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PESCO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 3 del decreto legislativo n. 218 del 1997, recante la disciplina dell'accertamento con adesione, stabilisce: «Il termine per impugnare di cui al comma 2 è sospeso per un periodo di novanta giorni dalla presentazione dell'istanza del contribuente». Il richiamato comma 2 prevede: «Il contribuente destinatario di un avviso di accertamento non preceduto dall'invito a comparire, di cui all'articolo 5 decreto legislativo n. 218 del 1997, può formulare anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi la Commissione Tributaria Provinciale istanza in carta libera di accertamento con adesione». Lo scopo della sospensione è quello di consentire al contribuente di valutare le possibilità di verificare la convenienza o meno di aderire alla proposta dell'Ufficio, dopo aver esaminato gli elementi posti a base dell'accertamento e l'opportunità di evitare una soccombenza;
   ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 742 del 1969, invece, il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed amministrative «è sospeso dal primo di Agosto al trentuno di Agosto e riprende a decorrere dal termine del periodo di sospensione» nella specie, la sospensione si ispira al principio dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie;
   per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, i due termini di sospensione previsti dalle citate disposizioni sono cumulabili tra loro: in pratica, il termine per impugnare l'avviso di accertamento passa da 60 a 180 giorni in caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione in concomitanza del periodo di sospensione feriale previsto dall'articolo 1 n. 742 del 1969;
   dello stesso avviso è l'orientamento del Ministero dell'economia e delle finanze che con la risoluzione dell'11 novembre 1999 n. 159/E, mai messa in discussione, precisato che il periodo di sospensione di 90 giorni, di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218, rientra – per logica connessione con i termini processuali – nell'ambito applicativo dell'articolo 1, secondo periodo, della richiamata legge n. 742: «infatti, i due periodi di sospensione in argomento (feriale e quello di 90 giorni), avendo diverse finalità – collegata al periodo in cui ricadono i termini processuali, quella feriale; connessa ad un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione, quella dei 90 giorni – , non possono che applicarsi cumulativamente. Pertanto, si precisa che il periodo di sospensione feriale (1o agosto-15 settembre) è applicabile ogni qual volta il periodo di sospensione di 90 giorni venga a ricadere, come termine iniziale o come termine finale, nell'arco temporale che va dal 1o agosto al 15 settembre, come anche nell'ipotesi in cui il periodo feriale sia ricompreso nel periodo dei 90 giorni»;
   ebbene, il detto consolidato e condivisibile orientamento è stato di recente superato dalla Suprema Corte di cassazione con l'ordinanza n. 11632 del 5 giugno 2015 con la quale ha ritenuto non applicabile la sospensione del periodo feriale al termine di novanta giorni relativo all'accertamento con adesione, superando il diverso orientamento della prassi amministrativa e l'univoco orientamento giurisprudenziale; la Corte di cassazione ha chiarito la propria posizione ritenendosi contraria all'applicazione della sospensione dei termini riguardante il periodo feriale anche ai procedimenti non contraddistinti da natura propriamente giurisdizionale, quale quello dell'accertamento con adesione; secondo la Corte la sospensione del termine di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1977 è tesa a garantire (in vista dell'eventuale esperimento dell'accertamento con adesione) il tempo necessario per svolgere le opportune valutazioni in proposito; tale sospensione, dunque, va riferita al relativo procedimento amministrativo e deve escludersi la cumulabilità della medesima con l'altra tipologia di sospensione dettata dall'articolo 15 della legge n. 289 del 2002;
   con il dovuto rispetto alla Suprema Corte ed alla funzione nomofilattica ad essa attribuita, la decisione espressa con l'ordinanza 11632/2015 non può trovare condivisione alcuna, soprattutto sotto il profilo giuridico; contrariamente a quanto si sostiene, infatti, le previsioni normative di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 vanno necessariamente interpretate in combinato disposto con l'articolo 1 della legge n. 742 del 1969: infatti, i commi 2 e 3 richiamano espressamente «i termini per l'impugnazione» (ossia i termini processuali) che sono sospesi per novanta giorni se il contribuente, prima del decorso di essi, formula istanza di accertamento con adesione; è evidente allora che i termini processuali richiamati dalla disposizione siano da considerarsi comprensivi anche della sospensione feriale ove applicabile, giusta il disposto dell'articolo 1 della legge n. 742 del 1969. In altre parole, la locuzione del comma 3 dell'articolo 6 in commento contiene un rinvio implicito alla sospensione feriale e ciò non può che significare che i termini processuali, cioè quelli il cui decorso è sospeso nel periodo dal primo al trentuno di agosto, sono sospesi per novanta giorni in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione; alla luce di queste considerazioni la cumulabilità delle due sospensioni dei termini appare conclusione inevitabile oltre che l'unica giuridicamente sostenibile;
   in disparte le considerazioni sul piano giuridico, anche dal punto di vista pratico la decisione meriterebbe di essere censurata: essa getta infatti sgomento tra gli addetti ai lavori, andando a modificare un orientamento consolidatosi nel corso degli anni e mai contraddetto sin dalla sua introduzione risalente all'anno 1997, con le evidenti ricadute pratiche che ne derivano per il diritto alla difesa dei contribuenti; l'innovativa pronuncia, infatti, rischia di compromettere l'ammissibilità di migliaia di ricorsi pendenti, il cui termine per impugnare è stato calcolato attraverso il cumulo dei due diversi termini di sospensione, con ciò ledendo gravemente il diritto di difesa e del legittimo affidamento riservato nell'orientamento espresso dalla prassi amministrativa;
   inoltre, il criterio applicativo enunciato nell'ordinanza in commento crea ingiustificate disparità di trattamento ed uno stato di incertezza del diritto: a parità di condizioni, infatti, la non cumulabilità dei detti termini potrebbe anche non operare; ad esempio, in presenza di avvisi di accertamento notificati in pari data (esempio il primo luglio 2015), i termini della sospensione feriale e quello dell'accertamento con adesione sono cumulabili nel caso in cui l'istanza di adesione venga presentata l'ultimo giorno utile per il ricorso (30 settembre 2015 che diventerebbe 29 dicembre 2015); viceversa, la presentazione dell'istanza di adesione prima o durante la vigenza del periodo di sospensione feriale (esempio 30 luglio 2015) non consente il cumulo dei due termini (in questo caso il termine per impugnare scadrebbe il 30 novembre 2015); è evidente dunque il «caos» applicativo che deriverebbe dall'attuazione del principio ermeneutico sancito dalla Corte;
   in un tal contesto, sarebbe auspicabile e un intervento normativo del Governo volto a far chiarezza, semmai attraverso l'introduzione di una norma di interpretazione autentica volta a chiarire, con efficacia retroattiva, la cumulabilità del termine di sospensione di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1997 con il termine di sospensione feriale di cui all'articolo 1 della legge n. 742 del 1969 –:
   se condivida l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di cassazione con l'ordinanza n. 11632/2015 e, in caso negativo, se non ritenga opportuno introdurre, una norma di interpretazione autentica che preveda la cumulabilità del periodo di sospensione di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1997 con il periodo di sospensione dei termini processuali di cui all'articolo 1 della legge n. 742 del 1969 confermando l'orientamento già espresso con la risoluzione n. 159/E/1999. (5-06008)


   CAPOZZOLO e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 2, della legge delega sulla riforma fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, impegna il Governo, tra l'altro, ad introdurre norme per la revisione delle imposte sulla produzione e sui consumi al fine di semplificare gli adempimenti e razionalizzare le aliquote;
   in attuazione delle richiamate norme è stato pubblicato il decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi; con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 29 dicembre 2014, inoltre, sono state emanate le disposizioni in materia di commercializzazione dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide contenenti o meno nicotina (cosiddette sigarette elettroniche);
   le modifiche alla tassazione delle sigarette, divenute operative dal 1o gennaio 2015, concernono sia la struttura sia la misura dell'accisa; viene introdotto un onere fiscale minimo, che prende in considerazione, per fissare un importo minimo di tassazione, sia l'accisa sia l'IVA: per effetto delle modifiche, dunque, la variazione dell'imposta dovrebbe — complessivamente — risultare meno influenzabile dalla variazione del prezzo dei prodotti; le modifiche investono anche i tabacchi lavorati diversi dalle sigarette;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 83 del 2015 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 62-quater del testo unico accise di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, introdotta dall'articolo 11, comma 22, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, che prevedeva, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'imposta di consumo del 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico sulle sigarette elettroniche, comprese le parti di ricambio, e sulle ricariche non contenenti nicotina;
   il citato decreto legislativo n. 188 del 2014 ha modificato l'articolo 62-quater inserendo il comma 1-bis, il quale assoggetta i prodotti da inalazione senza combustione, contenenti o meno nicotina, e costituiti da sostanze liquide, a un'imposta modellata in termini radicalmente differenti rispetto a quelli della norma oggetto di censura; si introduce così una nuova categoria dei tabacchi da inalazione senza combustione, definiti come prodotti del tabacco non da fumo che possono essere consumati senza processo di combustione, il cui livello di tassazione viene calibrato in base a quello che grava sulle sigarette; sono quindi sottoposti ad imposta di consumo anche i liquidi costituiti da sostanze diverse dal tabacco, che non hanno una funzione medica, immessi nelle cosiddette sigarette elettroniche; sono comunque esclusi dall'accisa i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che consentono il consumo di tali liquidi;
   lo scopo dichiarato dal Governo delle suddette norme è di perseguire politiche sanitarie di riduzione dell'accessibilità del tabacco e generare nuove entrate per l'Erario;
   con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è consentita la variazione delle citate aliquote, al fine di assicurare la realizzazione delle maggiori entrate complessive nette previste dal citato decreto quantificate in 145 milioni di euro per il 2015 e 146 milioni di euro dal 2016;
   le maggiori entrate confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, volto a compensare eventuali nuovi o maggiori oneri introdotti da altri decreti di attuazione della delega fiscale –:
   se il gettito erariale realizzato nel primo semestre del 2015 derivante dall'introduzione della riforma in materia di tassazione dei tabacchi e dei loro succedanei sia in linea con le stime di previsione fornite in sede di approvazione del decreto legislativo attuativo della delega fiscale ovvero se vi sia la necessità di un intervento volto a modificare le aliquote, o di procedere ad una revisione della metodologia di calcolo per i prodotti succedanei al tabacco basata su criteri oggettivi legati alla peculiarità dei medesimi prodotti. (5-06009)


   SOTTANELLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il 2014 è stato l'anno in cui in alcune regioni si è proceduto all'assegnazione delle agevolazioni per le zone franche urbane (Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Puglia), mentre per L'Aquila l'assegnazione era già intervenuta nel corso del 2013;
   come previsto dall'articolo 4, comma 1, del decreto 10 aprile 2013 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, relativamente all'attività esercitata nella zona franca urbana, sono previste varie agevolazioni, tra cui l'esenzione dalle imposte sui redditi, l'esenzione dall'Irap, l'esenzione dall'Imu per i soli immobili siti all'interno della zona franca urbana e utilizzati per l'attività agevolata, l'esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente;
   l'esonero dal pagamento delle predette imposte e contributi non è direttamente applicabile, nel senso che è necessario calcolare quanto dovuto a titolo di imposta o contributo, utilizzando poi, per il relativo versamento mediante compensazione, il modello F 24 telematico;
   nessuna delle disposizioni o dei documenti di prassi emanati al riguardo indica la tipologia di agevolazione e il conseguente trattamento fiscale;
   non pare dubbio che l'agevolazione per le zone franche urbane costituisce un tipico caso di contributo in conto capitale, non essendo destinata né ad agevolare gli investimenti in beni strumentali ammortizzabili, né ad integrare gli ordinari ricavi o a ridurre gli ordinari costi di esercizio –:
   accertata la natura di contributo in conto capitale, se non ritenga opportuno chiarire come deve essere rilevata l'agevolazione in questione da parte dei beneficiari che siano in contabilità ordinaria e se tale agevolazione sia o meno tassabile, anche considerato che è concessa a titolo di de minimis, il che significa che l'importo concesso deve corrispondere all'importo effettivamente fruibile dal beneficiario, dovendosi allora ragionevolmente concludere che l'agevolazione in questione non sia in realtà soggetta ad alcuna tassazione, in quanto, in caso contrario, ogni eventuale tassazione ridurrebbe di fatto l'importo concesso e, quindi, l'importo fruibile. (5-06010)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2014 il quotidiano «Il Giornale» anticipava l'indiscrezione che il prestigioso e glorioso marchio automobilistico «Ferrari», dopo 67 anni di storia industriale strettamente intrecciata con quella del territorio sul quale opera dal 1947, l'Emilia Romagna, avrebbe potuto subire la stessa sorte degli altri prestigiosi marchi italiani del gruppo automobilistico Fiat Chrysler Automobiles che per usufruire di un regime fiscale più vantaggioso hanno da tempo trasferito la propria sede legale in Olanda;
   per mettere a tacere i termini della questione puntuale è pervenuta la smentita ufficiale della casa automobilistica di Maranello che ha definito la notizia «destituita di ogni fondamento»; infatti la Ferrari, azienda che ha saputo fare del made in Italy non solo un marchio ma un vero motivo di orgoglio su cui ergere valori, storia e tradizione, non avrebbe motivo di esistere lontano dall'Italia;
   eppure, ad appena un anno di distanza e senza le preventive interlocuzioni sia con le istituzioni, nazionali e locali, che con le parti sociali, l'amministratore delegato Sergio Marchionne ha seraficamente comunicato nei giorni scorsi la scelta rivoluzionaria ed unilaterale di trasferire anche la Ferrari, che solo grazie a contratti di licenza o franchising legati al suo brand realizza annualmente 100 milioni di fatturato, nei Paesi bassi secondo un modello finanziario ed una struttura societaria che vedrebbe al vertice una holding che sarà quotata sulla borsa olandese e che sarà una costola dell'attuale Fiat Chrysler Automobiles NV che ha sede legale in Olanda e domicilio fiscale nel Regno Unito; la scelta strategica, sempre secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato, sarebbe giustificata dal fatto che la legislazione olandese consente agli azionisti, attraverso complessi meccanismi dei voti multipli e delle «loyalties share», di mantenere la presa sull'azienda;
   recentemente grazie al decreto-legge n. 91 del 2014, cosiddetto «competitività» anche nel nostro Paese è stato consentito che gli statuti societari prevedano la maggiorazione dei diritti di voto, oppure la loro moltiplicazione;
   secondo una recente indagine, il marchio Ferrari oltre ad essere in assoluto il più conosciuto al mondo surclassando colossi come Google e Coca Cola, rappresenta universalmente l'Italia ed il fare italiano –:
   se, con riferimento a quanto riportato in premessa, al Governo risultino operazioni che riguardano il trasferimento all'estero sia del marchio Ferrari sia del relativo domicilio fiscale, visto quanto accaduto precedentemente con FCA, e quali siano le sue valutazioni rispetto ad un'operazione che rappresenterebbe oggettivamente un serio danno per le entrate tributarie nonché dell'immagine dell'intera nazione italiana. (5-06011)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   si è appreso del prelievo «forzoso» che il Governo intende attuare nei confronti delle regioni sottraendo alle stesse una parte dei contributi europei. Si tratta delle risorse del piano di azione coesione (Pac), non ancora impegnate entro il 2014, che l'Esecutivo vuole utilizzare a copertura finanziaria dei mancati introiti dell'erario che sono conseguiti alla manovra attuata alla fine del 2014 con la legge di stabilità, che ha previsto l'applicazione di tre anni di decontribuzione a quelle aziende che assumono nuovi lavoratori a tempo indeterminato;
   a quanto è dato sapere, tale misura al momento riguarda soltanto otto regioni italiane e a un valore stimato complessivo, da qui al 2018, di 3 miliardi e 500 milioni di euro. Tra queste regioni, c’è il Friuli Venezia Giulia che aveva reso operativo il proprio piano di azione coesione regionale - del valore complessivo di oltre 67 milioni di euro - nel maggio del 2014, e adesso, a causa del prelievo in questione, rischia una perdita per il proprio territorio di 15 milioni di euro di contributi europei;
   sebbene non sia ancora formalizzata la volontà dell'Esecutivo di procedere al prelievo dai fondi in questione, le informazioni che sopraggiungono dal Ministero dell'economia e delle finanze sembrano confermare tale notizia. Al riguardo, il sistema delle regioni ha immediatamente comunicato la propria contrarietà. In particolare, il Friuli Venezia Giulia minaccia di ricorrere al Tar contro il provvedimento che dispone il prelievo dai fondi, poiché troppo oneroso e, tra l'altro, destinato soltanto a una parte delle regioni –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se il Ministro intenda adottare iniziative per escludere il prelievo dai fondi destinati alle regioni, come esposto in premessa, considerando che si tratterebbe dell'ennesimo taglio di risorse in danno agli enti regionali, tra i quali il Friuli Venezia Giulia che è già particolarmente sofferente per il tasso di disoccupazione e le gravi crisi aziendali;
   premessa la necessità di non procedere ai prelievi in questione, quali siano le regioni interessate dall'eventuale provvedimento e per quali motivi siano soltanto otto. (5-06005)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 192 del 2012, con il quale è stata recepita la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni commerciali, dispone che le pubbliche amministrazioni effettuino i pagamenti nel termine di 30 giorni, salvo casi specifici previsti dalla stessa normativa;
   nonostante la legge sia in vigore da quasi due anni, il centro studi della Cgia di Mestre ha reso noto che la pubblica amministrazione deve saldare alle imprese italiane ben 60 miliardi di euro, evidenziando, di fatto, che una parte significativa dei principali comuni capoluogo di provincia, delle regioni e di altri enti pubblici non rispetta la scadenza indicata nella legge;
   il nostro Paese è già stato messo in mora dalle istituzioni europee in ragione dei tempi eccessivamente lunghi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni;
   a giudizio dell'interrogante, la normativa in vigore va migliorata, anche introducendo sanzioni da irrogare alle pubbliche amministrazioni inadempienti;
   i ritardi nella riscossione dei crediti impongono agli imprenditori di ricorrere agli istituti di credito per ottenere la liquidità necessaria a proseguire la propria attività. In molti casi la mancata o ritardata riscossione dei crediti ha determinato la definitiva chiusura delle aziende;
   la mancata corresponsione di quanto dovuto ai fornitori della pubblica amministrazione si ripercuote in particolare sulle piccole e medie imprese, già vessate dalla, grave condizione di disagio nella quale versano a causa della crisi economica che ha colpito il nostro Paese;
   le piccole e medie imprese costituiscono l'ossatura dell'apparato produttivo italiano;
   il Governo è proficuamente impegnato sul versante del rilancio dell'economia italiana –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario aprire una riflessione sull'attuazione del decreto legislativo n. 192 del 2012 e se non ritenga di dover adottare iniziative per apportare le modifiche necessarie a rendere maggiormente efficaci le disposizioni in esso contenute. (4-09729)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI e PARENTELA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2014, all'articolo 1, comma 344, ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, sia stabilita la ripartizione in quote delle risorse confluite nel capitolo del Ministero della giustizia in cui è versato il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato per essere destinate: oltre che all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, anche, e per il solo 2014, per consentire lo svolgimento di un periodo di perfezionamento, da completare entro il 31 dicembre 2014, a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. Si tratterebbe, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 25, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013), di lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati;
   l'onere di spesa, dalla richiamata legge di stabilità per il 2014, per consentire lo svolgimento del periodo di perfezionamento, è stato fissato in 15 milioni di euro. La suddetta legge ha, altresì, stabilito che la titolarità del predetto progetto formativo spetta al Ministro della giustizia;
   la legge di stabilità per il 2014, allo stesso articolo 1, comma 344, prevede che, a decorrere dall'anno 2015, una quota di 7,5 milioni di euro dell'importo destinato ai sopra citati progetti formativi del 2014, ovvero 15 milioni di euro, deve essere destinata all'incentivazione del personale amministrativo;
   con la legge di stabilità per l'anno 2015 non sono state introdotte previsioni normative inerenti i lavoratori cosiddetti tirocinanti presso gli uffici giudiziari: da più di cinque anni essi stanno dando supporto ai dipendenti degli uffici giudiziari, facendo fronte a pesanti carichi di lavoro, e sopperendo alle notevoli carenze di organico;
   solo con il decreto-legge n. 192 del 2014 è stata prevista la proroga dell'utilizzo dei suddetti tirocinanti ma fino al 30 aprile 2015 mediante l'utilizzo delle risorse del Fondo unico di giustizia, nemmeno interamente impiegate, e dunque ad oggi risulta cessato ogni apporto degli stessi nell'ambito degli uffici giudiziari;
   anche il Presidente della Corte di Cassazione ebbe a segnalare il prezioso apporto fornito e l'auspicio di una soluzione del problema dei cosiddetti tirocinanti della giustizia e allo stesso modo molti dirigenti degli uffici giudiziari tra cui il procuratore generale presso la procura generale della Repubblica di Reggio Calabria e il presidente della corte di appello di Reggio Calabria i quali, con missiva n. 2673 dell'8 maggio 2015, dopo aver premesso che i tirocinanti in questione hanno «acquisito le necessarie conoscenze per una loro più proficua utilizzazione all'interno degli uffici giudiziari cronicamente afflitti da deficit di personale amministrativo a fronte di un continuo aumento dei carichi di lavoro», chiedevano al Ministro della giustizia «di voler percorrere tutte le strade utili al fine di poter reimpiegare i suddetti lavoratori nel più breve tempo possibile prevedendo anche la possibilità di stipula di contratti di lavoro e non più tirocini»;
   ad oggi i cosiddetti tirocinanti della giustizia in Italia sono poco meno di tremila. Essi hanno ormai acquisito un ragguardevole bagaglio di competenza e di professionalità, non altrimenti e altrove utilizzabile, che se venisse disperso inciderebbe negativamente sul livello di efficienza degli uffici giudiziari –:
   quali urgenti iniziative o azioni intenda adottare il Governo al fine di salvaguardare i diritti e le aspettative dei tirocinanti di cui in premessa e non disperdere le professionalità e le competenze acquisite di cui gli stessi sono portatori e garantire il livello di efficienza degli uffici giudiziari;
   se non ritenga necessario valutare, nell'immediato, nell'ambito delle proprie competenze, la possibilità di ricorrere alla stipula di contratti di lavoro, anche a tempo determinato, nel rispetto della normativa vigente in materia di lavoro e di procedure concorsuali – per sopperire alla cronica carenza di organico degli uffici giudiziari italiani e non disperdere le competenze e la professionalità acquisite dai cosiddetti tirocinanti – favorendo il recepimento – con il coinvolgimento delle regioni e province autonome – di quanto previsto nelle linee-guida in materia di tirocini adottate con l'accordo del 24 gennaio 2013 dalla Conferenza unificata Stato, regioni e province autonome che contengono, in sede programmatica, l'impegno delle parti «a definire politiche di accompagnamento ed avviamento al lavoro anche attraverso la predisposizione di misure di incentivazione per la trasformazione dei percorsi formativi in contratti di lavoro» e reperendo le idonee risorse economiche anche di carattere europeo al fine di garantire il mantenimento di un adeguato funzionamento e livello di efficienza del servizio Giustizia a favore dei cittadini. (5-06000)


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, FERRARESI, DA VILLA, COZZOLINO e SPESSOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso l'ufficio del giudice di pace di Venezia sono previsti dalla pianta organica disposta con decreto ministeriale del 25 aprile 2013, un direttore amministrativo, 2 funzionari giudiziari, 1 cancelliere, 3 assistenti giudiziari, 2 operatori giudiziari ed un solo ausiliario;
   tuttavia, come si apprende dalla missiva del 19 maggio 2015 del segretario Luigi Cerica del coordinamento regionale Veneto della Federazione lavoratori pubblici diretta al Ministro della giustizia, «il posto di direttore amministrativo è vacante da anni, in servizio è presente 1 solo funzionario che però è stato trasferito con l'ultimo interpello della mobilità interna [...], mentre l'altro funzionario giudiziario è assente per malattia da agosto 2014 e non vi è certezza sulla data del rientro. Quindi, tra brevissimo l'ufficio sarà sprovvisto di funzionari giudiziari. L'unico cancelliere in servizio è prossimo alla pensione (mese di agosto). Un'assistente giudiziario è stato trasferito ad altro Ufficio Giudiziario. Dal 25 maggio 2015 resteranno in servizio soltanto 2 assistenti che si avvicenderanno in udienza penale, 3 operatori giudiziari ed un solo ausiliario con gravi problemi di salute...»;
   l'ufficio dal 29 aprile 2014 ha accorpato l'ufficio di Mestre e l'ufficio di Dolo con la loro ingente mole di fascicoli e con il relativo carico di lavoro;
   l'eccessivo carico di lavoro grava sulle spalle dei pochi lavoratori e causa ovviamente grande stress per la continua pressione che l'utenza, giustamente, è costretta ad esercitare per ottenere un adeguato servizio della giustizia. A questo permanente disagio si aggiunge la difficoltà delle lavoratrici rimaste in servizio che non riescono a godere del legittimo diritto alle ferie per cui vanterebbero ancora numerosi giorni di ferie di cui non hanno potuto ancora usufruire risalenti all'anno scorso;
   evidenti sono i disagi per l'utenza e l'impossibilità di offrire un adeguato servizio ai cittadini, imprese e professionisti: a causa del carico di lavoro l'ufficio non riesce a far fronte a importanti servizi a favore dell'utenza tanto che il Coordinamento regionale Veneto della Federazione lavoratori pubblici e il rappresentante dei lavoratori RLS (con missiva del 22 dicembre 2014 inviata via e-mail, fax e in via gerarchica) hanno attivato il cosiddetto «diritto di rimostranza» contestando l'eccessivo carico di lavoro che grava sui dipendenti addetti all'ufficio al fine di esonerare i lavoratori da eventuali responsabilità derivanti dall'impossibilità di adempiere compiutamente a tutte le incombenze amministrative richieste;
   appare grave anche la situazione lavorativa dei pochi lavoratori che a causa dell'ingente carico di lavoro rischiano un serio pregiudizio alla propria incolumità psico-fisica, la cui tutela spetta al datore di lavoro pubblico;
   l'articolo 110 della Costituzione prevede che «spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e se non ritenga inaccettabile la grave condizione di disagio creatasi presso l'ufficio del giudice di pace di Venezia e quali iniziative intenda adottare per ripristinare, nel concreto e nel più breve tempo possibile, le condizioni di normale funzionalità dello stesso ufficio;
   quali urgenti misure si intendano adottare al fine di tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori e garantire un adeguato livello di efficienza dei servizi offerti dall'ufficio del giudice di pace di Venezia;
   quali iniziative di competenza intenda adottare a fronte dei disagi lamentati dai lavoratori addetti all'ufficio e per assicurare ai cittadini, imprese e professionisti un adeguato livello di funzionalità dell'ufficio del giudice di pace di cui in premessa. (5-06003)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   in data 22 giugno 2015 una delegazione del Movimento 5 Stelle ha visitato il penitenziario «Giuseppe Montalto» di Alba, in provincia di Cuneo;
   la casa circondariale fu convertita in casa di reclusione nei primi mesi del 2014 e, stando a quanto denunciano i rappresentanti sindacali di polizia penitenziaria e i vertici della struttura, da allora non vi è stato alcun adeguamento in termini formativi, logistici, infrastrutturali e di sicurezza;
   a tale segnalazione, si aggiungono anche quelle relative all'organico considerato non adeguato al numero di detenuti ospitati nella struttura. Secondo i dati del Ministero della giustizia il penitenziario di Alba avrebbe 145 posti regolamentari, 133 dei quali sono già occupati. Tra questi anche 15 collaboratori di giustizia, per i quali si richiedono cautele particolari. Appena dopo la conversione in casa di reclusione, i detenuti ospitati erano 112 per una capienza massima di 127;
   secondo quanto riportato nel corso dell'incontro svoltosi tra la delegazione M5S, la direttrice della struttura, Giuseppina Piscioneri, e il segretario regionale del Sappe, Vicente Santilli, il numero di agenti sarebbe di 103 comprensivi del comandante e di quattro poliziotti distaccati. Dal 2008 a oggi sono transitati in acquiescenza ventinove unità di personale, in diversi ruoli e con diverse mansioni, che non sono mai state sostituite, conducendo così ad una pianta organica numericamente inferiore alle soglie di adeguatezza e di sicurezza;
   a dimostrazione di ciò i rappresentanti di polizia hanno ricordato i tre casi di tentativo di suicidio, sventati grazie alla reattività degli agenti presenti, cinque colluttazioni, sei ferimenti e ben trentotto episodi di autolesionismo;
   problematiche notevoli sono peraltro presenti anche in quello che si potrebbe definire l'ambito logistico della gestione penitenziaria: le vie d'accesso alla struttura sono disagevoli da percorrere così da rendere particolarmente complicato il transito di scorte e ambulanze. Dal punto di vista del trasporto, si lamenta la presenza di pochi mezzi a disposizione, peraltro alcuni con diverse centinaia di migliaia di chilometri al proprio attivo;
   il protrarsi di queste condizioni di precarietà e di malessere lavorativo sono sfociate dall'inizio del mese di luglio 2015 in una protesta, pacifica quanto significativa, da parte degli agenti che si rifiutano di consumare il pasto fornito loro dalla mensa del penitenziario –:
   il Ministro sia a conoscenza della grave condizione di disagio e di instabilità in cui sono chiamati a lavorare gli agenti di polizia penitenziaria della casa di reclusione di Alba, se e quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di ridurre i disagi e il malessere illustrati, di assegnare una pianta organica adatta all'impegno cui la struttura deve far fronte, adeguare il parco mezzi rinnovandolo e migliorare le condizioni di sicurezza per i detenuti e gli stessi agenti. (4-09736)


   CATALANO e PINNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è in corso la sessione 2014 degli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione forense, le cui prove scritte si sono svolte il 16, 17 e 18 dicembre 2014 e le cui prove orali si svolgeranno negli appelli di luglio (su opzione del candidato) e di settembre (secondo l'ordine di convocazione stabilito dalle singole commissioni);
   ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del relativo bando, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 71 del 12 settembre 2014, le prove orali consistono «nella discussione, dopo una succinta illustrazione delle prove scritte, di brevi questioni relative a cinque materie, di cui almeno una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto penale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico e diritto comunitario» nonché «nella dimostrazione di conoscenza dell'ordinamento forense e dei diritti e doveri dell'avvocato»;
   le materie della prova orale sono state scelte dai candidati al momento dell'iscrizione all'esame, prima degli scritti, e quindi circa 8 mesi fa;
   in data 1o luglio 2015, è giunta ai candidati, dall'indirizzo email «noreply. esameavvocatura@giustizia.it», la seguente comunicazione: «su disposizione di tutte le commissioni si comunica che: il diritto del lavoro include il relativo d. processuale e diritto sindacale; diritto amministrativo include il relativo d. processuale; diritto processuale penale include l'Ordinamento Penitenziario; Diritto commerciale non include il d. fallimentare»;
   la comunicazione, lungi dal rappresentare una mera precisazione, a giudizio degli interroganti ha contenuti innovativi, divergenti rispetto alla previsione del bando e tali da ledere in maniera significativa l'affidamento dei candidati;
   in particolare, non si comprende come possano le commissioni affermare che «diritto processuale penale include l'Ordinamento Penitenziario», considerato non solo che le due materie trattano testi normativi distinti, ma soprattutto che la netta diversità tra le stesse (e non riconducibilità della seconda nella prima) risulta agli interroganti confermata dalla quasi – se non proprio dall'assoluta – totalità della manualistica scientifica, che tratta le materie in separati testi, e dalla struttura dei vari corsi di laurea in giurisprudenza offerti dagli atenei italiani;
   ancor più significativamente, la netta diversità tra le due materie è asseverata dall'inequivoca formulazione dell'articolo 46, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che, nel disporre il futuro contenuto dell'esame (stante la proroga biennale del regime previgente) dispone che «nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario»;
   risulta infine agli interroganti che, quantomeno in Lombardia, diverse rivendite di manualistica scientifica siano state colte impreparate, non prevedendo la necessità di rifornirsi di adeguate scorte di manuali trattanti la materia dell'ordinamento penitenziario;
   gli interroganti si sono incentrati, nelle considerazioni di cui sopra, sulla questione della materia dell'ordinamento penitenziario, ritenendo tuttavia di dubbia legittimità rispetto alla tutela dell'affidamento dei partecipanti, anche i contenuti addizionali riferiti ad altre materie contenute nella comunicazione di cui sopra;
   in particolare, in riferimento alle materie diritto del lavoro e diritto amministrativo, l'obbligo di portare all'esame la relativa procedura pone specifici problemi alla luce del citato articolo 2, comma 3, del bando, che impone ai candidati la scelta di «almeno una (materia, ndr) di diritto processuale»;
   in forza della citata disposizione è stato imposto ai candidati di includere obbligatoriamente nella rosa delle materie per l'orale una a scelta tra diritto processuale civile e diritto processuale penale;
   una tale interpretazione si fonda sulla presunzione che il bando si riferisca al solo diritto del lavoro sostanziale e al solo diritto amministrativo sostanziale, con esclusione di quelli processuali;
   diversamente argomentando, l'obbligo di scegliere una materia processuale avrebbe dovuto ritenersi già soddisfatto con la scelta da parte del singolo candidato del diritto amministrativo o del diritto del lavoro;
   la non prevedibile aggiunta, a esame in corso e circa 8 mesi dopo la scelta delle materie della prova orale, di ulteriori contenuti non specificati nel bando risulta secondo gli interroganti scorretta nei confronti delle migliaia di candidati ammessi alle prove orali, e soprattutto di coloro che hanno optato per l'appello di luglio, i quali avranno pochissimo tempo a disposizione per studiare tali contenuti diversi e ulteriori rispetto a quelli originari;
   è certo che, se posti davanti alla scelta delle materie dell'esame orale con la completa conoscenza delle intenzioni della commissione d'esame, i candidati avrebbero potuto operare una selezione consapevole delle stesse (ed è presumibile che avrebbero operato una selezione diversa);
   in ogni caso, al di là della corretta interpretazione da dare alle disposizioni del bando, un tale livello di incertezza in un esame di Stato costituisce di per sé un fatto grave;
   a ciò si aggiunga che le modalità di assunzione e comunicazione della decisione della commissione d'esame sono, ad avviso degli interroganti, carenti anche sotto il profilo formale, mancando qualsivoglia riferimento alle ragioni e alle modalità di assunzione della decisione nonché a estremi che ne consentano l'identificazione provvedimentale –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   di quali notizie disponga il Governo;
   se la comunicazione telematica di cui in premessa sia stata inviata a tutti i candidati e se il suo contenuto sia stato diffuso anche con altre modalità;
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo, per tutelare l'affidamento dei candidati rispetto al contenuto del bando;
   in particolare, quali urgenti iniziative intenda adottare per verificare l'effettiva possibilità di ricomprendere all'interno delle materie previste dal bando i contenuti addizionali di cui alla comunicazione del 1 luglio 2015, secondo un'ottica di prevedibilità e alla luce delle prassi scientifiche, dottrinali e delle norme di legge;
   quali consequenziali iniziative intenda quindi adottare qualora tale indagine avesse, per uno o più di tali contenuti addizionali, esito negativo. (4-09753)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   OTTOBRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 9 gennaio 2015 – appresa la notizia che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Lupi aveva avviato la procedura per far approvare il progetto della Valdastico con delibera del Consiglio dei ministri il presidente della provincia autonoma di Trento Rossi e l'assessore alle infrastrutture della provincia, Gilmozzi ebbero modo di ribadire che come provincia autonoma di Trento «Siamo stati e continuiamo a essere contrari alla realizzazione della Valdastico», richiamando anche quanto la giurisprudenza costituzionale ed i pareri istruttori del Cipe affermano in ordine alla obbligatoria necessità di un'intesa preventiva sulla fattibilità dell'opera;
   l'11 novembre 2014 il Cipe «ha assunto motivate determinazioni in ordine all'esigenza di superare il dissenso manifestato dalla provincia autonoma di Trento sulla localizzazione dell'Autostrada A31 Valdastico Nord, 2o Lotto di completamento – da Valle dell'Astico alla A22 (Besenello) e di proseguire nello svolgimento della apposita procedura prevista dall'articolo 165, comma 6, lettera a) del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici)»;
   il 25 giugno 2015 nell'incontro fra il presidente della provincia autonoma di Trento Rossi, il Ministro delle infrastrutture e trasporti Delrio e il presidente della regione Veneto Zaia, si è giunti a valutare, ad avviso della provincia autonoma di Trento, le procedure possibili per un confronto sul progetto, al fine di valutare «la rispondenza del tronco autostradale A31-Valdastico nord agli obiettivi strategici dei trasporti e della mobilità»;
   a tale riguardo in una nota la provincia autonoma di Trento afferma: «come non vi sia alcuna intesa da parte della provincia autonoma di Trento per la realizzazione della Valdastico... la provincia autonoma comunica di non avere espresso alcun pronunciamento a proposito, ricordando nel contempo che il proprio atteggiamento sul tema rimane quello assunto fin dal 2010, improntato cioè a un principio di leale collaborazione all'interno delle procedure di legge»;
   il 20 maggio 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ebbe a ricordare che in ordine al progetto della Valdastico Nord «o si supera con un'intesa l'opposizione della provincia di Trento, oppure sia la Costituzione italiana sia la Commissione Europea renderanno impossibile l'opera»;
   come è noto la proroga della concessione al 31 dicembre 2026, concordata nel 2009 con la Commissione europa, si regge solo se entro il 30 giugno 2015 fosse stato approvato il progetto definitivo della Valdastico Nord;
   nella fase in cui la realizzazione della Galleria ferroviaria del Brennero e delle relative tratte di accesso è il maggiore progetto strategico cofinanziato dall'Unione europea, come opera in grado di tutelare l'eco sistema alpino e nel contempo di collegare l'Italia all'Europa nell'ambito dei corridoi TENT-T, non vi sono in realtà nuove ragioni per rivalutare il progetto della Valdastico Nord, che in sé non avrebbe alcun valore strategico in Trentino. Al contrario tale progetto appare del tutto contraddittorio con il giusto obiettivo di ammodernare i collegamenti infrastrutturali in Europa al fine di incentivare il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma;
   il 29 giugno 2015 fra i progetti chiave di alto valore aggiunto europeo, in particolari quelli transfrontalieri, l'Unione europea ha indicato la galleria di base del Brennero come uno dei progetti chiave di alto valore aggiunto europeo, per il quale è stato raccomandato un ulteriore finanziamento Cef (Connecting Europe Facility) pari a 1,2 miliardi di euro, che accresce così il margine di cofinanziamento dell'opera da parte dell'Unione europea, al fine di migliorare in modo significativo la capacità, efficienza economica e impatto ambientale del trasporto merci;
   in merito all'uscita della Valdastico Nord dalle opere della legge obiettivo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ebbe ad affermare che «le Grandi opere sono i grandi corridoi, i grandi porti, i grandi aeroporti: le grandi infrastrutture strategiche del Paese;
   il 13 maggio 2015 nel corso del question time alla Camera, il Ministro Delrio ebbe ad affermare, in risposta ad un'interrogazione sulla Valdastico, che «è oggetto di un contenzioso sul quale occorrerà ancora attendere gli esiti, nel senso che è ancora in corso la trattativa con la provincia autonoma di Trento, che non ha ancora espresso intesa sulla opera in sé, cioè un assenso alla realizzazione dell'opera. Questa intesa è richiesta sia rispetto all'individuazione dell'opera che alla sua localizzazione, in base alla legge obiettivo e al codice degli appalti pubblici, nonché rispetto al tracciato, sulla base delle norme attuative dello statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige di rango costituzionale... Alla luce della giurisprudenza costituzionale, non risulta possibile porre in essere al momento concreti atti di realizzazione dell'opera in esame, senza avere preventivamente acquisito l'intesa della provincia autonoma che potrà anche essere unica, ma comunque dovrà sussistere a doppio titolo: da una parte, ex legge n. 443 del 2001 e articolo 165 del decreto legislativo del 2006; dall'altra, ex decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 1974»;
   «Invero-concluse il Ministro nel question time come confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri, la procedura di cui all'articolo 165 consente di superare solo la carenza di consenso sulla localizzazione dell'opera, ossia sull'individuazione di quello che dovrà essere il corridoio lungo il quale sviluppare il tracciato dell'arteria autostradale, ma non può superare la carenza di quello che è richiesto da norme attuative dello statuto speciale»;
   il progetto della Valdastico Nord, come più volte è stato indicato e confermato in questi anni, avrebbe pesanti e insostenibili effetti legati all'inquinamento ambientale e acustico che su un territorio alpino avrebbero un impatto di tre-cinque volte superiore rispetto alle zone di pianura;
   la giunta della provincia autonoma di Trento, in data 23 febbraio 2015, ha approvato correttivi a legge sulle procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) con l'introduzione di una procedura coordinata, dunque rafforzativa, dei controlli anche in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti –:
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia dati aggiornati in materia all'impatto ambientale del progetto o se abbia avviato un esame delle possibili conseguenze ambientali, in particolare in ordine alla diffusione nell'aria di PM 10 (materiale presente nell'atmosfera in forma di particelle microscopiche) connesse in primo luogo al traffico su gomma;
   quali siano gli orientamenti del Ministero in ordine alla valutazione del progetto della Valdastico Nord con primario riferimento alla valutazione delle incompatibilità ambientali nel territorio della provincia di Trento. (3-01606)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 Gennaio 2015, in vigore dal 4 maggio 2015, in attuazione dell'articolo 1, comma 94 della legge 147 del 2013 (stabilità 2014), ha disposto che le funzioni relative alla tenuta e alla gestione degli Albi provinciali degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, in precedenza svolte dalle province, spettino agli uffici della motorizzazione civile nel rispettivo ambito territoriale di competenza;
   nonostante le istruzioni dettate dal Ministero dei trasporti agli uffici della motorizzazione per rendere operativo detto passaggio di competenze (contenute nella circolare ministeriale n. 2 del 13 maggio scorso), permangono numerose problematiche che, di fatto, stanno rallentando le pratiche per le iscrizioni all'Albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi e al Registro elettronico nazionale (REN), da parte delle nuove imprese;
   in particolare, risulta che molti uffici della MCTC abbiano difficoltà a mettere in atto le predette istruzioni anche per quelle pratiche che, in ottemperanza dell'Accordo Stato – Città ed autonomie locali del 23 aprile scorso, sono già state istruite dalle province ed in ordine alle quali l'unica attività richiesta alle motorizzazioni è quella di effettuare una «semplice verifica di correttezza formale dell'istruttoria stessa e logicità giuridico – sostanziale degli argomenti esposti nella relazione e nello schema di provvedimento proposto (dalla Provincia)»;
   le difficoltà di funzionamento delle motorizzazioni si stanno appalesando anche rispetto alle operazioni di revisione dei mezzi pesante. Infatti, le nuove procedure introdotte dal Ministero dei trasporti con la circolare prot. 8259 RU del 1o aprile 2015 (che prevedono dei tempi standard in relazione alla tipologia del veicolo da revisionare), richiedono la disponibilità di un numero di personale congruo al fine di non rallentare lo svolgimento delle predette operazioni, con inevitabili ripercussioni per le imprese di autotrasporto;
   la circolare ministeriale prima citata ha acconsentito alla possibilità di incrementare il numero delle prenotazioni per ciascuna seduta, tenuto conto della «quantità e del profilo del personale di aiuto eventualmente disponibile», assegnando ai Direttori Generali territoriali il compito di dare disposizioni per la rapida individuazione e formazione del personale, anche mediante affiancamento sul lavoro –:
   cosa intenda fare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per risolvere le criticità sopra evidenziate. (5-06013)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la società Industria Italiana Autobus ha acquisito l'ex Irisbus e in ragione della sua recentissima costituzione, si trova impedita a poter partecipare a gare d'appalto con determinati requisiti di natura economico-finanziaria;
   pur trattandosi di un'azienda formalmente nata da poco per acquisizione, l'Industria Italiana Autobus vanta un'esperienza tecnologica e di maestranze ultratrentennale che si è sviluppata nello stabilimento sito in Valle Ufita, provincia di Avellino;
   l'eventuale esclusione dalle gare d'appalto, indotta da capitolati che prevedono un'esperienza almeno di tre anni nel settore, penalizzerebbe non soltanto la nascita del nuovo polo dell'autobus di Valle Ufita ma anche i trecento dipendenti che, con grande sforzo di mediazione, anche del Governo, sono stati finalmente riassunti;
   le rappresentanze dei lavoratori della ex Irisbus hanno recentemente chiesto alla rappresentanza parlamentare irpina di porre la questione all'attenzione del Ministro interrogato;
   l'ex Irisbus rappresenta una realtà, fondamentale per l'economia della Valle Ufita e dell'Irpinia;
   sono decine le aziende irpine e campane legate all'indotto, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, che rischiano di avere ripercussioni dal mancato rilancio dell'attività produttiva della ex Irisbus;
   il Governo ha già dimostrato grande sensibilità e attenzione nei confronti di detta realtà industriale irpina con la convocazione di una serie di incontri tra la nuova proprietà e le parti sindacali, e la recente sottoscrizione dei decreti che autorizzano la cassa integrazione per gli operai –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare le possibili soluzioni che tengano conto della particolare realtà della ex Irisbus, ora Industria Italiana Autobus, che si trova nella condizione paradossale di avere una più che trentennale esperienza nel settore degli autobus, ma di fatto è impossibilitata a partecipare alle gare pubblica di appalto per la produzione di autobus. (4-09730)


   SANDRA SAVINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel 2013 il porto di Trieste sotto la guida della presidente dell'autorità portuale Marina Monassi con 56,6 milioni di tonnellate di merci ha conquistato il primato italiano per volumi di traffico movimentati, mentre nel 2014 lo scalo giuliano con una movimentazione complessiva di 506.007 teu, aveva stabilito il proprio nuovo record annuale di traffico dei container registrando una crescita del +10,34 per cento rispetto all'anno precedente;
   nei primi mesi del 2015 l'autorità portuale di Trieste – commissariata dal Governo nazionale a inizio anno – fa registrare invece un calo dei traffici dell'8 per cento; questo dato è in netta controtendenza rispetto al dato nazionale e risulta essere particolarmente significativo in considerazione del fatto che i porti concorrenti dal punto di vista territoriale hanno segnato un tasso di movimentazione in considerevole ascesa: più 24 per cento il porto croato di Fiume e più 18 per cento il porto sloveno di Capodistria –:
   quali decisioni intenda assumere il Ministro in indirizzo circa il commissariamento dell'authorità e stante la prossima scadenza del mandato semestrale del dottor Zeno D'Agostino, commissario straordinario alla luce delle performance negative registrate ed in considerazione della esigenza di non perdere significativi flussi di traffici che sembrano invece andare in direzione della Slovenia e della Croazia;
   quale sia la prospettiva per lo scalo giuliano in vista della prossima riforma sulla governance dei porti italiani e nella fattispecie, per la città di Trieste, se la previsione di un'unica autorità portuale, autonoma ma isolata dagli altri scali del nord Adriatico – come ampiamente annunciato dagli organi di stampa – dipenda in qualche modo dalle prossime scelte dell'Esecutivo in ordine all'impianto di rigassificazione di Zaule, con una paventata revisione strutturale delle potenzialità strategiche dello scalo giuliano. (4-09731)


   OCCHIUTO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la strada statale 107 «Silana-Crotonese», strada europea E846 di competenza di A.n.a.s. s.p.a., è una delle arterie viarie «trasversali» più importanti, in termini logistici e di volumi di traffico della Calabria poiché collega il versante tirrenico tramite l'innesto con la strada statale 18 presso Paola (CS) con il versante ionico tramite l'innesto con la strada statale 106 presso Crotone; nell'aprile del 2006 il viadotto «Cannavino», sito al chilometro 42,700 della strada statale 107 (Comune di Celico - CS), ha mostrato evidenti segni di cedimento strutturale con l'abbassamento del livello stradale della campata centrale, comportando la chiusura al traffico per alcune settimane;
   già durante i lavori di costruzione del viadotto su citato vennero alla luce le prime problematiche inerenti all'opera infrastrutturale, allorquando nell'agosto del 1972 lo spostamento di un pilone, probabilmente determinato dall'instabilità del terreno, provocò un crollo parziale causando la morte di quattro operai;
   lo stato di allerta per le condizioni del viadotto non sembra essere cessato poiché ciclicamente sottoposto a frequenti chiusure del traffico per permettere il monitoraggio dei sempre più palesi segni di collasso della struttura;
   la trafficata strada statale 107 è quotidianamente percorsa da un numero elevatissimo di mezzi, soprattutto pesanti, con conseguenti sollecitazioni in termini di carico statico sulla struttura del viadotto «Cannavino»;
   i segni di cedimento, visibilmente estesi in un altro punto della struttura, appaiono non arrestarsi, ma proseguono pericolosamente;
   la strada statale 107 rappresenta la più importante via di comunicazione trasversale della Calabria, servendo territori costieri e montani e rilevatasi sin da subito volano di sviluppo per l'economia dei luoghi attraversati;
   ancora ad oggi non si ha notizia sulle probabilità che si verifichi un serio cedimento strutturale e non è noto se le autorità preposte abbiano predisposto il ripristino dell'attuale viadotto o la costruzione di un nuovo tracciato parallelo a quello esistente –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine: a) di rendere note le reali condizioni del viadotto «Cannavino» e le previsioni tecniche sullo stato futuro dell'opera; b) di avviare, attraverso lo stanziamento dei fondi necessari, i lavori di ristrutturazione per la messa in sicurezza o di costruzione di un nuovo viadotto; c) di adottare, di concerto con tutti gli attori istituzionali territoriali, un piano strategico diretto ad evitare che la chiusura definitiva del viadotto «Cannavino» possa sortire conseguenze dannose per l'economia della regione Calabria, già minata dall'interruzione dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria a causa del crollo del viadotto «Italia». (4-09739)


   ARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il presidente di Corporacion America Italia Roberto Naldi, in un chiarimento a La Repubblica del 17 aprile 2015 sottolinea «l'aeroporto di Firenze è definito strategico dal Piano Nazionale degli Aeroporti, in seguito alla fusione con l'aeroporto di Pisa da cui nascerà Toscana Aeroporti. Ha diritto al 50 per cento di finanziamenti pubblici, stimati in 150 milioni di euro, investimenti che rimarranno ai cittadini toscani. L'aeroporto è infatti di proprietà del demanio, non della società che gestisce lo scalo grazie a una concessione quarantennale»;
   affermazioni confermate anche in successive dichiarazioni pubbliche in merito alla fusione della società «Toscana Aeroporti»;
   il Governo ha per il momento stanziato 50 milioni di euro per l'aeroporto di Firenze con inizio prescrittivo dei lavori entro il 31 agosto 2015, tramite il decreto-legge «Sblocca Italia», ma nel DEF non è stato previsto nessun finanziamento per tale infrastruttura;
   il piano nazionale aeroporti prevede ancora gli aeroporti di Pisa e Firenze strategici, ad avviso dell'interrogante in contrasto con le normative dell'Unione europea, con gli «orientamenti prescrittivi» pubblicati sulla GU UE 99/3 C del 4 aprile 2014 che chiariscono all'articolo 12, pagina 6, non si dovrebbero «creare distorsioni di mercato» che di fatto invece verrebbero a crearsi a favore di Toscana Aeroporti. Inoltre, a pagina 21 lettera «e» note esplicative a corredo  (88) viene specificato chiaramente che le valutazioni devono essere fatte per singolo aeroporto anche se parte di aggregazione –:
   con quali modalità, con quali tempi e con quali strumenti intenda garantire finanziamenti pubblici per il nuovo aeroporto di Firenze, specificando gli importi di tali finanziamenti, i riferimenti di legge, direttive e linee guida per rassegnazioni di tali fondi;
   quali finanziamenti pubblici e con quali modalità siano previsti per l'aeroporto di Pisa;
   con particolare riferimento ai criteri relativi ai finanziamenti Cef e agli aiuti di Stato indiretti, con quali modalità intenda garantire il rispetto del regolamento (UE) 1315/2013. (4-09756)


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, MELILLA, PAGLIA, PIRAS, ZACCAGNINI, FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera comunale n. 108 del 24 giugno 2004 viene siglato «l'Accordo tra Comune di Roma e TAV per la definizione degli interventi di mitigazione dell'impatto socio-ambientale nell'ambito dei lavori di realizzazione dell'ingresso a Roma della linea ferroviaria AV/AC»;
   l'accordo tra il comune di Roma e TAV prevedeva che le opere venissero fatte da TAV stessa, ma allo stato attuale, salvo qualche opera di manutenzione delle strade nel territorio di Corcolle e la realizzazione del centro anziani di metri quadrati 400 in località Lunghezza, le numerose altre opere previste dall'accordo non sono state realizzate;
   con l'ordine del giorno n. 4 il consiglio del municipio Roma delle Torri chiedeva di conoscere, fra le altre cose, «lo stato dell'arte dei lavori previsti e deliberati, i tempi di esecuzione delle opere previste e non ancora realizzate, il consuntivo delle risorse ancora disponibili»;
   con la risoluzione n. 25 del 2010 il comune di Roma decide, tramite il suo dipartimento sviluppo infrastrutture e manutenzione urbana, di valutare in importo economico quanto TAV avrebbe dovuto realizzare con l'esecuzione delle opere sopra citate e di avocarsi la realizzazione delle suddette;
   in base alle tariffe 2007, risulta che il valore delle opere ancora da realizzare ammonta ad euro 11.528.000,00, ma che le risorse finanziarie ancora disponibili ammontano a euro 4.024.000,00, e non spiega come sono stati spesi i soldi mancanti limitandosi ad affermare che «i fondi ancora disponibili non potranno soddisfare tutte le richieste formulate e sottoscritte con l'accordo di programma firmato nel 2005»;
   Corcolle è una di quelle periferie a rischio della metropoli romana, soprattutto per l'enorme carenza di servizi di base e trasporti –:
   perché TAV non abbia rispettato gli accordi presi nel 2004 e per quali motivi la cifra si sia ridotta da euro 11.528.000,00 a euro 4.024.000,00, e come abbia intenzione il Ministro interrogato per quanto di propria competenza di potenziare gli investimenti strategici per rendere fruibili e vivibili periferie come Corcolle. (4-09758)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   risultano essere già stati preparati novanta kit sanitari realizzati dalla Croce Rossa Italiana unitamente ad una ventina di tende della Protezione civile, in vista del loro utilizzo per garantire l'accoglienza a nuovi presunti profughi nei pressi dell'ex aula bunker adiacente al carcere Bassone di Como;
   a beneficio della medesima infrastruttura e per le stesse finalità sarebbero stati predisposti anche degli allacciamenti per acqua e gas;
   sarebbero altresì in viaggio verso lo stesso immobile detergenti, spazzolini e materassi nuovi;
   tutto lascia intendere che esiste la volontà di allestire nei pressi dell'ex aula bunker una vera e propria tendopoli destinata ad ospitare un certo numero di clandestini richiedenti protezione internazionale;
   la tendopoli verrebbe allestita in spazi esterni e non all'interno dell'ex aula bunker del Bassone, soltanto perché questa è stata giudicata inagibile;
   l'aula bunker del Bassone, un tempo utilizzata per processi di mafie, è in effetti in disuso da moltissimi anni;
   il Ministro della giustizia pro tempore respinse una richiesta della Lega Nord di sfruttare anche quella struttura, opportunamente restaurata e rinnovata, per ridurre il sovraffolamento carcerario, mentre oggi si decide di utilizzarne pertinenze ed aree adiacenti per dare inadeguata ospitalità ai presunti profughi;
   il numero di sedicenti profughi alloggiato a Como e provincia ha già superato il livello compatibile con la capacità di assorbimento del territorio e la possibilità di offrire un riparo dignitoso –:
   per quali ragioni il Governo, tramite la locale prefettura, si accinga ad utilizzare l'area dell'ex aula bunker del Bassone a Como per allestirvi una tendopoli considerato che non è stato ritenuto di riconvertirla a sito di detenzione;
   quanti profughi si conti di ospitare e per quanto tempo;
   se il Governo giudichi sostenibile il carico di presunti profughi destinato alla provincia comasca. (4-09737)


   SCOTTO. – Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'osservatorio sugli sfratti ha pubblicato i dati sull'andamento degli sfratti relativi al 2014;
   i dati offerti dal Ministero dell'interno confermano pienamente le preoccupazioni delle organizzazioni sindacali degli inquilini;
   l'andamento dell'emissione e più propriamente delle richieste di esecuzione dell'anno scorso confermano che a Napoli e provincia vi è un sostanziale aumento complessivo degli sfratti;
   gli sfratti per morosità rappresentano l'86,27 per cento degli sfratti emessi nel corso del 2014;
   rispetto a tutto il 2013 gli sfratti per morosità sono aumentati del 6 per cento circa, dato che in quell'anno la percentuale d'incidenza degli sfratti emessi per morosità su tutti gli sfratti decisi dal tribunale di Napoli era dell'80,84 per cento;
   altro dato preoccupante è quello relativo agli sfratti eseguiti rispetto alle richieste di esecuzione;
   gli sfratti eseguiti con l'intervento dell'ufficiale giudiziario nei primi sei mesi del 2014 avevano già superato la percentuale relativa all'intera annualità 2013;
   gli sfratti eseguiti nella prima metà del 2014, infatti, sono stati il 30 per cento delle richieste di esecuzione, mentre nel 2013 si sono eseguiti il 28,50 per cento delle richieste avanzate agli ufficiali giudiziari;
   il numero totale degli sfratti nel 2014 è stato di 3.583, di cui 1.767 nella città di Napoli, a fronte di 3.320 sfratti emessi nel 2013 (di cui 1.505 nel territorio comunale di Napoli);
   le richieste di esecuzione presentate agli ufficiali giudiziari sono state 6.590 nel 2014, mentre nel 2013 esse si erano fermate a 5.849;
   parliamo di variazioni che non possiamo in alcun modo considerare fisiologiche e, quindi, sottovalutare;
   questo incredibile aumento è avvenuto nonostante risultasse ancora in vigore, per il 2014, la sospensione degli sfratti per finita locazione per le categorie deboli (anziani, portatori di handicap, famiglie con figli a carico e così via);
   ciò implica che le cifre del 2015, di questo passo, rischino di assumere le proporzioni del dramma e di essere scoperte solo tra un paio d'anni, quando verranno raccolti i dati nella loro interezza;
   il tutto avviene nell'indifferenza delle istituzioni;
   in molte aree del Paese regioni e comuni, sebbene con ritardi ed insufficienze, hanno provveduto a dotarsi di strumenti di sostengo economico e risposte alloggiative, mentre invece la regione Campania ha sinora bloccato le già scarse risorse assegnate dal Governo, ed il comune di Napoli non è in grado, da solo, di far fronte a tale situazione;
   per fare qualche esempio, basti notare come il sostegno all'affitto, previsto dalla legge n. 431 del 1998 e riavviato da un anno dopo un blocco di risorse statali, viaggi con enormi ritardi, oppure come la regione non abbia ancora accreditato le risorse al comune di Napoli per il fondo affitto (per cui sono state pubblicate le graduatorie solo fino al 2010);
   in Campania le procedure previste dalla legge n. 11 del 2015 e le norme attuative indicate nel decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti emanato il 29 gennaio 2015 in merito al «Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione» non risultano ancora essere state attivate;
   vi sono, tuttavia, casi estremamente gravi che attendono una soluzione: parliamo non solo di famiglie sottoposte a sfratto e in condizioni soggettive di estrema difficoltà, ma soprattutto di famiglie che non hanno alcuna soluzione abitativa alternativa;
   in questi mesi alla CIGL Casa di Napoli, che più volte ha avanzato proposte e richieste di delucidazioni, non è mai stata data risposta, né dal Governo centrale né dagli enti locali –:
   se non ritengano opportuno e doveroso, per quanto di competenza, un intervento per porre un freno all'esponenziale crescita di sfratti eseguiti e garantire efficaci aiuti alle famiglie socialmente più deboli;
   se non ritengano di dover agire per accelerare le procedure al fine di distribuire le poche risorse stanziate;
   se non ritengano opportuna e doverosa un'iniziativa diretta alla sospensione della esecuzione degli sfratti e all'avvio di azioni amministrative per permettere, alle famiglie coinvolte, il passaggio da casa a casa. (4-09742)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso che il comune di Muggia è stato individuato dal Ministero dell'interno, per il tramite della prefettura di Trieste, quale comune presso il quale realizzare un centro di accoglienza profughi;
   è stata indicata la caserma dismessa della polizia di Stato in località Lazzaretto quale immobile volto all'identificazione e all'ospitalità degli immigrati; si tratta di località di confine molto ristretta a ridosso sul mare caratterizzata da diverse attività turistiche e commerciali;
   il comune di Muggia non è stato tempestivamente ed adeguatamente informato circa la decisione del Dicastero. Il sindaco del comune afferma: «Siamo stati informati dalla Prefettura di Trieste a cose fatte; la scelta del Lazzaretto da rivedere»;
   la regione Friuli Venezia Giulia in tema di accoglienza immigrati ha ampiamente superato le quote stabilite dal governo, come dichiarato pubblicamente dal governatore Serracchiani: «Abbiamo accolto 1200 persone in più rispetto alle 1700 che avevamo inizialmente pattuito»;
   i diversi centri profughi diffusi sul territorio regionale generano tra i cittadini forte preoccupazione per la sicurezza e l'incolumità, oltre che accrescere il clima negativo dovuto alla già pesante crisi economica –:
   se corrisponda al vero quanto affermato dal sindaco di Muggia circa l'individuazione di un ulteriore centro di accoglienza in località Lazzaretto e circa il mancato coinvolgimento del comune nella decisione assunta dal Ministero in indirizzo;
   quali provvedimenti intenda assumere il Ministro interrogato al fine di non aggravare ulteriormente la già critica situazione in cui versa il territorio friulano-giuliano, che per la sua posizione geografica è da tempo destinazione di flussi migratori incessanti sia via mare che via terra. (4-09750)


   MARZANA, CANCELLERI, MANNINO, RIZZO, NUTI, VILLAROSA, GRILLO, D'UVA, LOREFICE, DI VITA, LUPO e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il territorio del comune di Rosolini situato nella provincia di Siracusa è stato interessato da numerosi episodi di atti incendiari, di natura presumibilmente dolosa, che hanno preso di mira rappresentanti delle istituzioni locali e funzionari comunali ingenerando non poca apprensione e preoccupazione in tutta la comunità cittadina;
   nella notte tra il 19 e il 20 novembre 2012 è stata incendiata l'autovettura di proprietà del consigliere comunale Andrea Macauda, ennesimo incendio che ha minacciato la stabilità politica della città;
   infatti, nel marzo 2012 era stata preso di mira proprio il sindaco Nino Savarino con la sua «Auris» bruciata davanti alla propria abitazione, mentre nel marzo 2010 ad essere incendiate erano state le due auto della presidente del consiglio comunale Patrizia Calvo;
   sempre a fine novembre 2012, nella notte tra il mercoledì e il giovedì 29, un altro incendio, verosimilmente doloso, divampava nello studio medico del dottor Giovanni Frasca, noto professionista locale, già consigliere provinciale e assessore comunale;
   in data 27 dicembre 2012 a rimetterci due auto è stato Aurelio Basilico, comandante dei vigili urbani della città, personaggio di spicco della politica provinciale con il suo incarico di assessore provinciale oltre che assessore del vicino comune di Pachino;
   il 2013 inizia con un attentato incendiario contro l'abitazione rurale del consigliere comunale Piergiorgio Gerratana, seguito nel febbraio dello stesso anno dall'ennesimo incendio nei confronti del consigliere comunale Maurizio Rizza, al quale fu data alle fiamme la propria automobile posteggiata dinanzi l'abitazione;
   persino il quotidiano nazionale Il Sole 24 ore si è occupato della vicenda redigendo in data 15 febbraio 2013 un articolo dal titolo alquanto eloquente: «A Rosolini cercansi consiglieri comunali: minacce e attentati hanno fatto terra bruciata»; difatti gli atti incendiari compiuti verso esponenti politici hanno portato alle dimissioni di ben 4 consiglieri comunali, mentre i sostituti sembravano intenzionati a non accettare l'incarico;
   in quel periodo, la questione dibattuta nell'ambito del consiglio comunale era la realizzazione di un centro commerciale in contrada Zacchita, i cui atti successivamente sono stati sequestrati dai carabinieri;
   ed è proprio nell'ambito dell'inchiesta sulla costruzione del centro commerciale di Rosolini che in data 12 maggio 2014 la direzione distrettuale antimafia di Catania ha notificato quattro informazioni di garanzia;
   sempre in tale ambito gli investigatori stanno indaga do anche sulla serie di incendi di natura dolosa avvenuti negli anni passati, che, in qualche modo, potrebbero avere a che fare con la realizzazione della struttura, infatti tra le ipotesi della direzione distrettuale antimafia si sarebbe fatto ricorso al fuoco per intimidire soggetti che erano contrari alla realizzazione dell'opera;
   purtroppo la serie di attacchi incendiari non si è interrotta, infatti nella serata di sabato 28 febbraio 2015 l’ex presidente del consiglio comunale ed ex segretario del PD Corrado Assenza è stato vittima di un pesante attentato intimidatorio;
   come riportato su «Il Giornale di Sicilia» nell'edizione del 2 marzo 2015 «sabato sera, alle 20,45, in sosta nel parcheggio del ristorante Il Mirto, in contrada Casazza, dove si stava svolgendo la presentazione alla città della nuova alleanza in vista delle elezioni per il sindaco, la sua Audi A4 è stata presa di mira utilizzando la diavolina: così è stato dato fuoco al pneumatico anteriore destro con l'obiettivo di procurare molti danni visto che nel parcheggio erano in sosta decine di auto. Ad accorgersi del fumo nero che fuoriusciva dal parcheggio sono stati alcuni clienti che hanno immediatamente dato l'allarme»;
   «sul posto – si legge ancora nel summenzionato articolo – sono intervenuti anche i carabinieri di Rosolini che hanno avviato le indagini per risalire agli autori. L'atto incendiario arriva a 15 giorni dal nuovo appuntamento elettorale per i cittadini di due sezioni di Rosolini, chiamati a scegliere il sindaco»;
   gli atti intimidatori non si esauriscono soltanto in attacchi incendiari, infatti nell'ultima settimana del mese di maggio 2015 sono stati forati, per ben due volte, gli pneumatici dell'autovettura di rappresentanza del comune;
   successivamente è stato preso di mira il consigliere comunale Tina Cicciarella che nelle ultime settimane è stata vittima di due atti minatori: il 18 giugno ignoti hanno bucato due pneumatici dell'autovettura di proprietà del marito, mentre nella notte tra il 27 e il 28 giugno sono stati tagliati i tutti e quattro gli pneumatici dell'autovettura a lei intestata;
   questo è l'elenco, certamente incompleto, dei principali atti intimidatori che hanno turbato la stabilità politica e sociale del comune di Rosolini –:
   se non ritenga necessario inviare sul territorio nuclei specializzati di investigazione per dare, per quanto di competenza, sostegno e collaborazione alle forze di polizia giudiziaria già in attività, al fine di individuare l'autore o gli autori di questi atti criminali;
   se non ritenga che sussistono i presupposti per disporre l'invio di una commissione d'accesso presso il comune di Rosolini ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. (4-09755)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in data 24 giugno 2015, sul sito Inps.it, i pensionati e i lavoratori con reddito imponibile inferiore a 10 mila euro avranno la possibilità di visitare Expo Milano 2015, gratuitamente, grazie ad una iniziativa dell'Inps. Potranno accedere a tale iniziativa i pensionati che nel 2014 hanno percepito una pensione lorda inferiore a 10 mila euro e i lavoratori iscritti alle gestioni Inps che nel 2014 hanno avuto un imponibile previdenziale inferiore a 10 mila euro;
   sempre secondo il sito dell'ente previdenziale, la platea dei possibili destinatari sembra essere stimata in 2.200.000 persone su tutto il territorio nazionale. Inoltre, coloro che vorranno raggiungere il capoluogo lombardo in treno, potranno avere uno sconto del 50 per cento sulle normali tariffe;
   tenuto conto che l'Amministratore Delegato di Expo 2015 spa (la società che organizza l'Esposizione Universale), Giuseppe Sala, ed il commissario straordinario dell'INPS, Tiziano Treu hanno siglato una convenzione che ha altresì previsto:
    a) l'attivazione di canali di comunicazione riservati fra INPS e la società Expo 2015, attraverso i quali quest'ultima espone in via preferenziale quesiti relativi all'applicazione delle Linee Guida in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri;
    b) una corsia preferenziale per il rilascio dei DURC richiesti alle imprese dalla società EXPO 2015;
    c) la presenza di INPS al Centro Servizi riservato ai Partecipanti, attivo nelle fasi pre-evento ed evento;
   a giudizio dell'interrogante, è opportuno comprendere quali siano gli effettivi costi sostenuti dalla collettività per le iniziative citate, laddove in tempi di crisi, le varie richieste fatte in parlamento dalle opposizioni e finalizzate ad interventi in favore di chi vive sotto la soglia di povertà, dei pensionati minimi, e delle piccole imprese in relazione alle problematiche connesse al DURC, sono state puntualmente rispedite al mittente ed, invece, divengono fattibili e celermente attuate – come nel caso di specie – se disposte in occasione di EXPO, essendo inserite in quella che appare una mera operazione di «marketing» che pare prevalere su tutto il resto;
   rilevato che le tempistiche per il rilascio del DURC sono una problematica affrontata quotidianamente da varie imprese cui bisogna dare risposte certe, altresì considerato fondamentale poter agevolare i pensionati minimi e i cittadini non abbienti, in modo strutturale, tenendo in primo piano le esigenze di chi vive al di sotto della soglia di povertà, dei pensionati e delle piccole imprese, da considerarsi, loro sì, i primi attori cui rivolgere ogni attenzione, evitando iniziative, che se rimanessero isolate, assumerebbero i contorni di una pura e semplice strumentalizzazione nata a puri fini commerciali;
   tenuto conto e appurato il fatto che gli enti previdenziali competenti – come in occasione di Expo 2015 – sono in grado di rilasciare il DURC con tempistiche certe quali quelle offerte con la su citata convenzione e considerata la possibilità di stanziamenti quali quelli operati con tutte le iniziative descritte in premessa –:
   quali siano i costi sostenuti dalla collettività e dall'Inps per la realizzazione delle iniziative di cui alla Convenzione Expo 2015/INPS, anche al fine di poter programmare, sin dal prossimo anno, l'utilizzo di tali risorse per il mantenimento a regime dei benefici derivanti, oltre che in fatto di rilascio del DURC in tempi certi, anche in relazione ad agevolazioni in favore dei cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà, dei pensionati minimi, tenendo in considerazione la necessità di addivenire al più presto ad un aumento dei relativi trattamenti. (5-05999)


   SANGA, CARNEVALI, MISIANI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la «Grafiche Mazzucchelli spa» è azienda sita in Seriate (BG), rilevata nel 2012 dal gruppo Veneziani;
   a fine 2014 all'interno del gruppo si registrano i primi problemi: la controllata RotoAlba dopo un periodo di difficoltà verrà dichiarata fallita dal tribunale di Asti;
   anche in Grafiche Mazzucchelli vi sono alcune problematicità, ad esempio in relazione ai pagamenti degli stipendi; la tredicesima viene infatti rateizzata;
   con l'inizio del 2015 proseguono le difficoltà e i ritardi nei pagamenti degli stipendi: lo stipendio di marzo viene pagato a maggio; lo stipendio di aprile viene rateizzato in due soluzioni, la seconda delle quali viene pagata solo a fine maggio;
   il 15 giugno l'azienda deposita presso il tribunale di Milano la richiesta di preconcordato. Da, allora, degli stipendi di maggio e giugno e della quattordicesima non si sa più nulla;
   l'azienda è sempre stata in buona salute, con presenza costante di clienti e di commesse; solo il mancato pagamento negli anni dei fornitori ha impedito la stampa degli ordinativi richiesti –:
   se il Ministro intenda approvare nel più breve tempo possibile i provvedimenti di cassa integrazione straordinaria, per dare sostegno ai lavoratori;
   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, iniziative per il rilancio dell'attività aziendale, considerato che l'impresa è sempre stata in buona salute e che non risultano chiare le cause che hanno portato all'anticamera del fallimento;
   se si intendano mettere in campo le opportune iniziative per il coinvolgimento di tutte le istituzioni, anche locali, affinché si adoperino per dare continuità all'azienda. (5-06014)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   il 28 giugno 2015 la Candy, con un annuncio choc per il tramite del segretario della Fiom-Cgil Brianza, ha comunicato 340 esuberi nello stabilimento di Brugherio;
   il piano di ristrutturazione della Candy Hoover Group – che prevede gli esuberi nello stabilimento di Brugherio – è stato annunciato dalla direzione aziendale nell'incontro tenutosi il 23 giugno scorso in Confindustria Monza e Brianza;
   i lavoratori interessati sono scesi in sciopero non condividendo la scelta di procedere ad una così drastica riduzione della forza lavoro e temendo che tale scelta celi l'intenzione del Gruppo di mettere in atto un concreto disimpegno rispetto al sito produttivo di Brugherio;
   si concretizza, infatti, con tale operazione il timore che la Direzione voglia procedere con la chiusura dell'ultimo stabilimento italiano del Gruppo, dove attualmente lavorano 500 operai, peraltro con contratto di solidarietà da un paio d'anni (nel 2013, infatti, al fine di scongiurare 120 licenziamenti, sindacati e azienda avevano siglato un'intesa che prevedeva, appunto, la solidarietà per due anni) ed altri 400 fra impiegati, ingegneri e tecnici;
   la Candy, si ricorda, proprio nel 2015 ha celebrato il 70o anno dalla fondazione e proprio quest'anno è scomparso il presidente onorario Fumagalli, creatore nel primo dopoguerra della prima lavatrice italiana;
   oggi la Candy è una multinazionale che controlla anche i marchi Hoover, Iberna, Jinling (Cina), Rosières, Susler (Turchia), Vyatka (Russia), Zerowatt, Baumatic, con 5.300 addetti nel mondo e 8 centri produttivi in Europa –:
   se e quali provvedimenti di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare per salvaguardare i livelli occupazionali nello stabilimento di Brugherio e al contempo scongiurare la chiusura dell'oramai unico stabilimento italiano del gruppo Candy;
   se non ritenga opportuno istituire quanto prima un tavolo istituzionale con tutte le parti coinvolte perché siano chiariti gli intendimenti della proprietà sul futuro dello stabilimento;
   se ed in che termini il Governo intenda tutelare la produzione di prodotti made in Italy sul territorio nazionale e scoraggiare la chiusura degli stabilimenti nostrani per l'eccessivo costo del lavoro. (4-09741)


   COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, DE LORENZIS, CARINELLI e SPESSOTTO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in data 24 giugno 2015, sul sito dell'Inps.it, i pensionati e i lavoratori con reddito imponibile inferiore a 10 mila euro avranno la possibilità di visitare Expo Milano 2015, gratuitamente, grazie ad una iniziativa dell'Inps. Potranno accedere a tale iniziativa i pensionati che nel 2014 hanno percepito una pensione lorda inferiore a 10 mila euro e i lavoratori iscritti alle gestioni Inps che nel 2014 hanno avuto un imponibile previdenziale inferiore a 10 mila euro;
   sempre secondo il sito dell'ente previdenziale, la platea dei possibili destinatari sembra essere stimata in 2.200.000 persone su tutto il territorio nazionale. Inoltre, coloro che vorranno raggiungere il capoluogo lombardo in treno, potranno avere uno sconto del 50 per cento, sulle normali tariffe;
   a giudizio degli interroganti, è opportuno comprendere quali siano gli effettivi costi sostenuti dalla collettività e dall'Inps per la promozione dell'iniziativa citata, vista anche la platea dei possibili destinatari, e quali siano i contenuti delle eventuali convenzioni e accordi stipulati dai soggetti interessati e quindi dall'Inps, Expo 2015 S.p.a. e Trenitalia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano i costi sostenuti dalla collettività e dall'Inps per la realizzazione di tale iniziativa e se tali costi abbiano un impatto sul sistema previdenziale italiano;
   quali siano i contenuti e i limiti degli eventuali accordi o convenzioni stipulate dall'Inps, Expo 2015 e Trenitalia in merito all'iniziativa sopra citata. (4-09745)


   PALMIZIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano: «Il Corriere della sera», il 1o settembre 2014, la cooperativa sociale di Padova: la Codess, avrebbe richiesto la cifra di 4 mila euro, per ogni assunto per il quale è prevista una retribuzione mensile di 600 euro;
   tale decisione, riporta il medesimo quotidiano, intende finalizzare automaticamente ogni singola assunzione con la qualifica di socio della stessa cooperativa, attraverso il pagamento della suindicata cifra anche in forma rateale, da detrarre in busta paga;
   le modalità con le quali si diventa soci, risultano tuttavia essere particolarmente articolate e onerose, in quanto a prescindere dall'ammontare dello stipendio, che mediamente si aggira tra i 600 e i 1.200 euro al mese, ogni socio lavoratore deve elargire 3 mila euro per acquistare la propria quota sociale (che appare molto gravosa rispetto a quanto chiedono le altre cooperative), che viene restituita solo nel caso in cui il contratto di lavoro venga rescisso e il socio chieda la restituzione della propria quota, mentre per la parte restante, (ovvero gli altri 1.000 euro), il sistema prevede il versamento alla stessa Codess a fondo perduto (quindi senza possibilità di restituzione), a titolo di tassa di ammissione soci;
   l'articolo del Corriere della sera prosegue, evidenziando inoltre, come il volume complessivo delle cifre richieste ai lavoratori per diventare soci, sia tutt'altro che irrilevante, considerando che la Codess ha infatti circa 3 mila dipendenti di cui oltre l'80 per cento è anche socio e che in questi anni la cooperativa si è sviluppata molto, diventando una tra le più grandi realtà nel settore sociale, in grado di aggiudicarsi appalti pubblici in tutta l'Italia centro settentrionale, dal Veneto al Piemonte, fino all'Emilia Romagna e la Toscana;
   lo scorso anno la Codess è riuscita a raggiungere un fatturato che supera gli 85 milioni di euro con un utile di 250 mila euro, sebbene rilevano i vertici della cooperativa, (che in passato hanno fatto parte del direttivo regionale di Legacoop in Veneto), le amministrazioni locali pagano con molto ritardo e per questo la società è «costretta» a chiedere denari ai propri dipendenti, attraverso le modalità in precedenza richiamate;
   ai soci lavoratori di Modena la decisione di divenire automaticamente soci della suesposta cooperativa, (attraverso il «prelievo» dalla busta paga) non è stata condivisa e tramite le rappresentanze sindacali del modenese, hanno contestato i 1.000 euro richiesti come cifra di ammissione soci e, dopo una lunga trattativa, la Codess ha preferito restituire i soldi ai dipendenti, evitando un processo davanti a un giudice;
   quello emiliano, prosegue l'articolo in precedenza richiamato, risulta essere tuttavia l'unico caso di restituzione accaduta in Italia, in quanto il prelievo sulla busta paga degli altri lavoratori della Codess, attualmente continua, alimentando pareri discordanti sulle decisioni adottate dai vertici della cooperativa –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto in precedenza richiamato;
   se il Ministro interrogato, ritenga di verificare se le decisioni intraprese dalla cooperativa modenese Codess di assumere i propri lavoratori, solo a condizione che essi diventino soci e attraverso le modalità di pagamento esposte in premessa sia coerente con la normativa in essere;
   in caso contrario quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle competenze proprie, al fine di evitare il proseguimento di tali iniziative assunte dalla cooperativa, evidentemente in contrasto con le norme previste in materia. (4-09748)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, L'ABBATE e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la contraffazione nel settore agroalimentare è un fenomeno in continua espansione che danneggia tutti, produttori e consumatori; i primi sono costretti ad operare in condizioni di concorrenza sleale, i secondi effettuano i propri acquisti nella convinzione di ottenere un prodotto con determinate caratteristiche di qualità, originalità e salubrità;
   la peculiarità del fenomeno contraffattivo nel settore agroalimentare, che sottrae alla legalità decine di miliardi di euro l'anno, può riguardare una falsa indicazione dell'origine del prodotto o della materia prima utilizzata ovvero l'imitazione di prodotti italiani attraverso marchi recanti nomi italiani e slogan che evocano l'Italia, senza che alcun ingrediente utilizzato per la preparazione di quei prodotti provenga, anche in minima parte, dal nostro Paese;
   in Europa, l'imitazione dei prodotti italiani raggiunge un valore di oltre 25 miliardi di euro a fronte di esportazioni per un controvalore di 13 miliardi di euro: in pratica, per ogni prodotto originale esportato nell'Unione, ne esistono almeno due imitati in Europa;
   tra le autorità incaricate del contrasto alla contraffazione, l'Agenzia delle dogane è senza dubbio quella più direttamente impegnata nella predisposizione di soluzioni operative. Una delle azioni più innovative recentemente avviate è il progetto FALSTAFF (automated logical system against forgery and fraud) un sistema automatizzato antifrode che opera grazie ad una banca dati multimediale di prodotti autentici inserita in un sistema informativo e alimentata dagli stessi titolari del diritto che consente, tra l'altro, di confrontare le caratteristiche dei prodotti sospettati di contraffazione con le caratteristiche dei prodotti originali;
   il titolare che intenda richiedere un intervento di tutela di un proprio diritto di proprietà intellettuale, presentando apposita domanda o all'Autorità nazionale o a quella di un qualsiasi Stato membro dell'Unione europea genera, nella banca dati, una scheda in cui possono inoltre essere registrate, per ogni prodotto, le informazioni di carattere tecnico che lo caratterizzano;
   con questo progetto l'Agenzia ha dato risposta concreta ad alcune delle esigenze più pressanti nell'ambito della lotta alla contraffazione: identificare il maggior numero possibile di prodotti contraffatti, intercettare le strategie di frode e minimizzare i tempi di intervento; obiettivi, questi, raggiungibili soltanto con il ricorso a strumenti telematici;
   di recente, il sistema FALSTAFF è stato inoltre arricchito di nuove funzionalità per recepire le modifiche introdotte dal regolamento (UE) n. 608/2013 e, in particolare, per realizzare un dialogo applicativo (del tipo «system to system») con la banca dati CO.PI.S. (anti-COunterfeit and anti PIracy information System), sviluppata dalla Commissione Europea per lo scambio di dati con gli Stati membri sulle decisioni riguardanti le domande di tutela e il blocco delle merci;
   secondo alcuni recenti dati forniti dall'Agenzia delle dogane, pochissime aziende italiane hanno fatto domanda di tutela doganale nel settore agroalimentare dall'anno 2014 ad oggi nonostante i soddisfacenti risultati conseguiti dal progetto sopra citato –:
   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interrogati rispetto a quanto espresso in premessa e se non ritengano di dover intraprendere ogni utile iniziativa volta a sensibilizzare le aziende agroalimentari italiane affinché facciano domanda di intervento di tutela doganale ai sensi del regolamento (UE) n. 608/2013 e siano quindi inserite nel sistema FALSTAFF. (5-06007)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COVA e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto 12 ottobre 2012 recante «Norme di applicazione del Regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda le organizzazioni di produttori e loro associazioni, le organizzazioni interprofessionali, le relazioni contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari e i piani di regolazione dell'offerta dei formaggi a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta», al comma 2, dice che «Il contratto è stipulato prima della consegna e comprende tutti gli elementi prescritti all'articolo 185-septies, paragrafo 2, lettera c), del Regolamento»;
   l'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, al comma 2, dice che «Nelle relazioni commerciali tra operatori economici, ivi compresi i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei beni di cui al comma 1, è vietato:
    a) imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive»;
   ad oggi in diverse regioni allevatori di bovine da latte e cooperative da latte bovino non hanno sottoscritto un contratto come previsto dall'articolo 62, situazione che consente ai «primi acquirenti» di imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
   risulta che alcuni «primi acquirenti» chiedano la retroattività del contratto non ancora sottoscritto e vista l'approvazione del decreto n. 51 del 2015 fissano la durata di un anno da aprile 2015 per evitare l'indicizzazione del prezzo del latte nei prossimi mesi;
   la possibilità di acquisto di latte rigenerato da latte in polvere da parte di aziende di trasformazione italiane potrebbe alterare il mercato del prezzo del latte fresco italiano –:
   se la verifica immediata da parte della Guardia di finanza dei contratti sottoscritti dai «primi acquirenti» e allevatori tenga conto delle norme previste dall'articolo 62 per evitare che ci siano ancora contratti non sottoscritti o con accordi solo verbali;
   quali iniziative si intendano assumere nei confronti delle aziende acquirenti che non rispettano l'articolo 62;
   quanti controlli, negli anni 2013 e 2014, siano stati eseguiti su latte importato in Italia per verificare che non fosse latte rigenerato e che esito abbiano dato.
(4-09735)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nelle province di Napoli, Avellino, Caserta e Salerno, a partire dal 21 gennaio 2014 e nelle giornate successive, com’è noto, un'intensa attività alluvionale causava una serie di danneggiamenti alle strutture locali agricole e alle attività connesse alle coltivazioni e produzioni agroalimentari;
   nelle giornate dal 16 al 19 giugno 2014, i comuni della provincia di Avellino e Caserta venivano nuovamente funestati da un'eccezionale ondata di maltempo che devastava intere aree ad alta produzione agricola, le cui eccellenze alimentari hanno subito gravi danni;
   con decreto del 22 ottobre del 2014 il Ministro interrogato riconosceva il carattere di eccezionalità dei suddetti eventi atmosferici relativamente alle zone delimitate con deliberazione della giunta regionale della Campania n. 355 dell'8 agosto del 2014;
   per quanto riguarda i territori rurali di competenza della comunità montana Alento-Montestella venivano riconosciuti aiuti per i danni causati alle strutture aziendali, così come previsto dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 102 del 29 marzo del 2004;
   ricevute le istanze da parte delle aziende aventi diritto alle agevolazioni, la comunità Montana Alento-Montestella, dopo un primo esame istruttorio, con nota prot. 488 del 2 marzo 2015 comunicava alla giunta regionale della Campania l'elenco dei nominativi delle aziende danneggiate, calcolando in euro 3.000.000 il fabbisogno economico;
   nel bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'anno 2015, la lettera g) «Fondo di solidarietà nazionale-interventi indennizzatori in agricoltura» (Cap. 967-di nuova istituzione) della relativa nota preliminare dispone: «euro 12.811.908,00 per la quota di cofinanziamento del Fondo di solidarietà nazionale per gli indennizzi in agricoltura ex articolo 15, comma 3, del decreto legislativo n. 102 del 2004 come modificato dall'articolo 1, comma 84, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; lo stanziamento è interamente destinato al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali»;
   nonostante la regione Campania abbia provveduto a tutti gli adempimenti burocratici per la quantificazione dei danni da risarcire, ad oggi non sarebbe ancora in grado di liquidare le somme dovute perché il Ministero competente non avrebbe ancora trasferito le risorse necessarie;
   tale ritardo, ad avviso dell'interrogante ingiustificato, rischia di mettere definitivamente in ginocchio le aziende agricole colpite dalle calamità naturali e già duramente provate dalla persistente crisi economica che attraversa ormai da anni il nostro Paese –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga opportuno adottare per erogare immediatamente gli aiuti alle aziende danneggiate dagli eventi atmosferici del giugno 2014, così come disposto dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 102 del 29 marzo del 2004 e riconosciuto dal decreto ministeriale del 22 ottobre del 2014 (Gazzetta Ufficiale n. 254 del 31 ottobre del 2014). (4-09738)


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il batterio della cosiddetta Xylella fastidiosa è stato rilevato nella provincia di Lecce nell'ottobre del 2013 ed ha colpito gli ulivi del Salento costringendo le istituzioni locali ed il Ministero competente ad intraprendere drastiche misure di contenimento della diffusione del batterio;
   nel mese di luglio del 2014 è stata pubblicata la decisione di esecuzione 2014/497/UE della Commissione, che ha disposto lo svolgimento di ispezioni per rilevare l'organismo nocivo ed ha stabilito una serie di disposizioni e misure per quanto riguarda le zone delimitate;
   a seguire della decisione dell'Unione europea, sono state emanate numerose disposizioni destinate a contrastare, più o meno efficacemente, il diffondersi del batterio nel Salento, nel territorio della regione Puglia ed in quello nazionale;
   da ultimo, è stata pubblicata la decisione di esecuzione 2015/789 della Commissione del 18 maggio 2015 relativa alle «Misure per impedire l'introduzione nell'Unione della Xylella fastidiosa»;
   all'articolo 9 di detta decisione, la cui rubrica recita testualmente «Spostamento delle piante specificate all'interno dell'Unione», il comma 1 stabilisce che è vietato lo spostamento all'interno dell'Unione, all'interno o all'esterno delle zone delimitate, di piante specificate che sono state coltivate per almeno una parte del loro ciclo di vita in una zona delimitata stabilita ai sensi dell'articolo 4 (della stessa decisione);
   il comma successivo indica tutte le deroghe al primo comma dell'articolo 9 della decisione 789;
   quello che è accaduto nella realtà, invece, è che Paesi come la Francia hanno bloccato l'importazione di piante di ulivo salvo poi sbloccarla dopo aver ricevuto idonea documentazione da parte degli uffici regionali competenti circa la salubrità delle piante;
   accade che quasi tutti gli Stati del Nordafrica hanno imposto divieti di importazione per i vegetali sensibili al batterio della Xylella fastidiosa;
   questi divieti, al danno si è aggiunta la beffa, sono applicati a tutti gli operatori economici dell'intero territorio nazionale. I vivai siciliani, veneti, sardi o friulani non possono vendere le loro piante a causa di decisioni unilaterali da parte di Stati come la Francia, la Giordania, il Marocco, l'Algeria;
   nell'immediatezza dell'accaduto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è limitato a scrivere una nota a firma del Capo dipartimento delle politiche europee ed internazionali e dello sviluppo rurale alle istituzioni europee;
   a causa di un fenomeno circoscritto alla sola provincia di Lecce, che riguarda una specifica serie di alberi e piante e che, ancora oggi, non ha uniformità di pareri scientifici da parte del mondo accademico e della ricerca universitaria, un intero settore economico nazionale (il florovivaismo) rischia di pagare conseguenze gravissime;
   una Nazione seria avrebbe reagito conseguentemente nei riguardi di Paesi di pari civiltà scientifica e istituzionale come la Francia e nei riguardi di Paesi vicini e con i quali s'intrattengono buoni rapporti diplomatici ed economici come quelli del Mediterraneo;
   non si può consentire che gli operatori economici italiani subiscano una tale ingiustizia a tutto beneficio di altre economie che hanno minori controlli di natura fito-sanitaria;
   a giudizio dell'interrogante si sarebbe dovuto fare di più e meglio nei riguardi delle istituzioni europee e della diplomazia degli altri Paesi extra-europei piuttosto che una semplice lettera di un Capo dipartimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali –:
   a che punto sia l'attuazione delle misure richieste dall'Unione europea con la decisione 789/2015 per il contenimento e l'eradicamento di tutte le piante di ulivo infestate dal batterio della Xylella e quali iniziative abbia adottato il Ministro interrogato per sollecitare una maggiore efficacia nella lotta alla Xylella anche a livello territoriale;
   quali altre iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-09740)


   FAENZI e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dai vivaisti delle barbatelle, le misure adottate dall'Unione europea per contrastare il batterio della Xylella fastidiosa, che ormai da diversi mesi sta causando una vera e propria emergenza fitosanitaria, con l'abbattimento di coltivazioni di olivi secolari nella regione Puglia e in particolare nel Salento, non sono state da essi considerate, in quanto impugnate per via legale;
   al riguardo, gli imprenditori del settore in questione, nel tentativo di salvare il comparto oramai al collasso, a seguito della decisione di inserire la vite tra le piante soggette al batterio fitopatogeno da quarantena e per le quali è disposto il divieto di movimentazione da parte delle aziende della provincia di Lecce, denunciano il rischio della perdita per venti milioni di piante, che finirebbero al macero, determinando effetti economici devastanti per oltre cinquanta aziende locali, che generano occupazione diretta e indiretta per oltre settecento soggetti;
   il decreto firmato dal Ministro interrogato, che segue le direttive fornite dalla Commissione fitosanitaria europea, in cui sono indicati in maniera specifica gli interventi da intraprendere in merito alla distruzione delle piante ospiti del parassita, passate da un numero di 40 a 180, rappresenta, come sostenuto dallo stesso Ministro interrogato, l'unica soluzione da intraprendere;
   ciononostante le suindicate disposizioni, secondo quanto evidenziato dal presidente del distretto florovivaistico della Puglia a cui si sono affiancati giudizi unanimi e concordanti anche di altri imprenditori del settore di diverse regioni, non sono considerate idonee ed efficienti per tutelare un comparto che ha già subìto una perdita di fatturato tra il 50 e il 70 per cento;
   gli interroganti evidenziano, inoltre, ulteriori profili di criticità che riguarderebbero la mancata applicazione da parte delle autorità italiane preposte al controllo e alla vigilanza delle misure per il contenimento e l'eradicazione del batterio della Xylella fastidiosa, riscontrata dagli ispettori comunitari nella regione Puglia;
   secondo informazioni in possesso degli interroganti, nel corso di una verifica in situ effettuata la terza settimana dello scorso mese di giugno, gli stessi ispettori europei si sarebbero particolarmente preoccupati per la mancata applicazione del protocollo concordato tra i servizi, paventando il possibile blocco alle esportazioni di tutti i prodotti vivaistici italiani (vivaismo viticolo, orticolo, frutticolo, ornamentale e forestale);
   il suesposto quadro evidenzia nel complesso, una situazione tutt'altro che rassicurante, a giudizio degli interroganti, in cui il servizio fitosanitario nazionale (ove fossero confermate le criticità in precedenza riportate), in considerazione delle difficoltà esposte dalle imprese vivaistiche delle barbatelle in merito alle decisioni intraprese in ambito comunitario e della mancata vigilanza delle autorità italiane, risulta essere inefficiente nell'ambito dell'attività di coordinamento –:
   se risulti al Ministro confermato quanto in precedenza esposto, sia con riferimento alla decisione dei vivaisti delle barbatelle di impugnare per via legale le misure stabilite dall'Unione europea, per arginare la Xylella fastidiosa, sia con riguardo alla segnalazione di mancata applicazione da parte delle autorità ministeriali italiane delle direttive fornite dalla Commissione fitosanitaria europea al riguardo;
   in caso affermativo, quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di tutelare il settore vivaistico italiano, gravemente colpito dagli importanti effetti economici causati dal batterio fitopatogeno della Xylella fastidiosa che finora ha distrutto irrimediabilmente oltre 23 mila ettari di uliveti in Puglia, causando gravi ripercussioni sull'indotto anche in altre regioni italiane. (4-09749)


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato al nostro Paese una lettera di costituzione in mora – procedura di infrazione 2014/4170 (ex Caso Eu-pilot 5697/13/AGRI) – per violazione del diritto dell'Unione europea in quanto sembra che la legge n. 138 del 1974, la quale prevede il divieto di impiego di latte in polvere, concentrato e latte ricostituito nelle produzioni lattiero-casearie, rappresenti un restringimento del principio della «libera circolazione delle merci» all'interno dell'UE essendo il latte in polvere utilizzato in tutta Europa;
   il 2 luglio 2015, si sono svolti in Commissione agricoltura alla Camera dei question time indirizzati al Ministro interrogato, proprio sul tema della presunta violazione della normativa italiana al suddetto principio della libera circolazione delle merci;
   in risposta ai quesiti veniva data medesima risposta tranne che per una parte ovvero su chi ricadesse la «responsabilità», se così la vogliamo chiamare, dell'avvio della procedura di infrazione;
   si sa che i casi Eu-Pilot e poi le procedure di infrazione possono essere avviate dalla Commissione europea o d'ufficio ovvero su richiesta di qualsiasi altro Stato membro; non è escluso, tuttavia, che l'impulso possa provenire da un'interrogazione parlamentare presentata al Parlamento europeo da un deputato, ovvero da una denuncia di privati cittadini;
   in merito alla suddetta questione non è stato chiarito nelle risposte date a quale «impulso» la Commissione europea abbia dato seguito se ad un'interrogazione parlamentare oppure alle denunce di imprese italiane;
   il commissario europeo all'agricoltura e sviluppo rurale Phil Hogan, in una intervista rilasciata a il «Il sole 24 ore» – pubblicata il 3 luglio 2015 –, a seguito della sua audizione avvenuta il 30 giugno 2015, davanti alle Commissioni riunite agricoltura e politiche europee di Camera e Senato, alla domanda «Sempre in tema di latte non si può ignorare la querelle tra la Commissione e Italia sull'uso del latte in polvere per i formaggi» affermava di aver «registrato le lamentele di alcuni operatori dell'industria lattiero casearia italiana che hanno denunciato la discriminazione operata dalla legge italiana che vieta l'uso di alcuni prodotti per i formaggi. Una questione che esclude tutti i formaggi protetti, compresa la mozzarella. La Commissione vuole dunque concludere l'indagine e ha scritto il 28 maggio scorso al ministero delle politiche agricole, ma fino a ora non abbiamo ancora ricevuto una risposta»;
   nel testo della risposta al question time dell'onorevole Oliverio (5/05944) veniva dichiarato da parte del Governo che «Il caso nasce peraltro, come dichiarato dallo stesso Commissario Hogan, anche dalla segnalazione ricevuta da un produttore italiano, a testimonianza del fatto che sulla questione vi sono, sensibilità molto diverse». Mentre nella risposta al question time dell'onorevole Gallinella (5/05942) non veniva menzionato da chi provenisse la segnalazione, in quella all'onorevole Fedriga (5/05941) – cofirmata e svolta dall'interrogante – del tutto identica alla precedente, veniva polemicamente dichiarato che «Il caso fa seguito ad un'interrogazione presentata al Parlamento europeo il 17 gennaio 2013 dall'onorevole Oreste Rossi, eletto nelle liste della Lega Nord, successivamente passato in Forza Italia, con la quale si chiedeva alla Commissione europea proprio di verificare la compatibilità con... [...]» indicandolo quale unico responsabile dell'avvio del caso – si ricorda che all'epoca della presentazione dell'interrogazione il suddetto parlamentare era già fuoriuscito dal partito della Lega Nord (dicembre 2012);
   sempre nella risposta al question time dell'onorevole, Oliverio veniva dichiarato che «[....] il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Tale richiesta è stata motivata, non solo per l'esigenza su un caso così delicato di svolgere ulteriori approfondimenti, ma soprattutto in relazione all'iniziativa del gruppo del Partito Democratico di chiedere un dibattito parlamentare aperto e trasparente sulla questione attraverso la presentazione di una mozione presso questa Camera». Subordinare la risposta alla Commissione europea – con il rischio di vedersi recapitare un parere motivato per non aver risposto nei tempi – anche allo svolgimento di una mozione del Partito democratico solo per sentir confermare un principio sacrosanto quanto ovvio ovvero che è necessario difendere le eccellenze e i prodotti di qualità  italiani – come veniva ribadito anche nella risposta del Governo alla Commissione europea del 19 febbraio 2014, nell'ambito del caso Eu-pilot, dove veniva difesa la fondatezza del divieto previsto dalla legge 138 del 1974 a garanzia del prodotto italiano e a tutela dei consumatori – può sembrare illogico;
   se intenda chiarire, nelle opportune sedi europee, a chi realmente sia da ascrivere «l'impulso» che ha dato seguito al caso Eu-Pilot prima e alla procedura di infrazione poi, relativamente alla questione menzionata in premessa;
   quali siano le motivazioni per le quali a question time vertenti sullo stesso identico argomento siano state date differenti risposte in merito all'attribuzione della «responsabilità» dell'avvio del caso, individuando in una risposta l'europarlamentare quale unico responsabile, mentre nelle altre o non viene menzionato o addirittura vengono riportate le dichiarazioni del commissario europeo Hogan – riprese tra l'altro anche dall'articolo de «Il Sole 24 ore» citato in premessa – come se le risposte date dipendessero dall’«appartenenza politica» dell'interrogante;
   se la mancata risposta, ad oggi, del Governo alla Commissione europea a seguito della lettera di messa in mora – visto che è anche volontà della stessa di concludere l'indagine, come dichiarato anche dal commissario Hogan – sia da attribuire realmente all'attesa dell'avvio del dibattito parlamentare della mozione del Partito democratico, come citato nella risposta al question time dell'onorevole Oliverio. (4-09752)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2012, con delibera n. 223/12, il direttore generale dell'asl Salerno, dottor Antonio Squillante, nominava direttore amministrativo della medesima asl l'avvocato Annamaria Farano per la durata di tre anni. Tale nomina suscitava, come riportato sui media locali, polemiche in merito ai requisiti posseduti dalla stessa per ricoprire il ruolo dirigenziale previsti dal comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni soprattutto recriminate dall'Unione sindacale di base che lamentava la mancanza degli stessi requisiti e sottolineava come l'avvocato Farano, sin dalla sua collocazione nell'area dirigenziale, possedesse il profilo professionale di avvocato e quindi come fosse da sempre incardinata nei ruoli professionali dell'azienda. In data 29 novembre 2013, la corte di appello di Salerno emetteva sentenza di condanna nei confronti dell'avvocato Farano per concorso in abuso d'ufficio, comminandole una pena di quattro mesi di reclusione e dichiarandola interdetta dai pubblici uffici per cinque anni. L'orientamento n. 71 del 9 settembre 2014 dell'Autorità Nazionale Anti Corruzione stabilisce che sussiste l'inconferibilità, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 39 del 2013 di un incarico dirigenziale conferito prima del 4 maggio 2013 nel caso in cui nei confronti del destinatario di tale incarico sia stata emessa una sentenza, anche non definitiva, di condanna per uno dei reati previsti al capo I del titolo II del codice penale, anteriormente all'entrata in vigore della citata norma (4 maggio 2013). L'Orientamento n. 54 del 3 luglio 2014, inoltre, sottolinea come non rilevi ai fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione, la concessione della sospensione condizionale della pena –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta, per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali sulle vicende descritte in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo considerando quanto importanti possano essere gli incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie pubbliche per gli effetti che producono sul piano dell'efficienza e della gestione del servizio sanitario nazionale. (5-06006)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, DELL'ORCO e SIBILIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge su «Il Quotidiano del Sud» e su «La Gazzetta del Sud» del 30 giugno 2015 a una donna di 38 anni, originaria di San Vincenzo La Costa (Cosenza), è stata amputata la gamba dopo essersi recata in ospedale per una frattura del perone;
   sulla questione è intervenuta anche la magistratura nella persona del procuratore capo di Cosenza, Dario Granieri, che ha aperto un fascicolo e iscritto nel registro degli indagati tre medici dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza;
   secondo quanto racconta Giovanni Pastore su «La Gazzetta del Sud», «la storia dolorosa comincia il primo aprile e comincia da una banale caduta davanti alla scuola dell'infanzia frequentata da uno dei due figli. La 38enne aveva male alla gamba sinistra e finì in ospedale. I medici di turno le avrebbero diagnosticato la frattura del perone dimettendola in giornata e prescrivendole una terapia farmacologica in attesa della visita di controllo fissata per l'otto aprile. Sarebbero stati sette difficilissimi giorni trascorsi a casa vedendo il piede sempre più nero, forse per problemi vascolari. Al ritorno in ospedale sarebbe stata sottoposta a una Tac. Dall'accertamento sarebbero emerse due (e non solo una) fratture della gamba e una lussazione del ginocchio»;
   stando infatti al racconto rilasciato da Simona, questo il nome della donna, a «Il Quotidiano del Sud», alla seconda visita presso il nosocomio cosentino, le è stato diagnosticato tutt'altro: «Mi viene riscontrato che l'osso aveva tranciato di netto l'arteria femorale – afferma la giovane donna – che la gamba era in necrosi e che a causa della setticemia bisognava procedere all'amputazione fino al ginocchio»;
   secondo il racconto di Pastore, però, alla prima amputazione (metà aprile) ne fa seguito una seconda «per eliminare altri monconi»;
   il marito della signora, a questo punto, preoccupato per la vita della consorte, decide per il trasferimento al «Sant'Orsola» di Bologna (dove è tuttora ricoverata) e qui i medici emiliani avrebbero individuato una grave infezione al moncone della gamba in seguito alla quale le avrebbero amputato l'arto fino al ginocchio sinistro»;
   a parere dell'interrogante, stante il racconto reso dal giornale, urge fare chiarezza quanto prima sull'episodio, anche per sapere quali siano le condizioni effettive in cui si svolge l'assistenza ortopedica nella regione Calabria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riferiti;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi, si intendano assumere per assicurare i livelli essenziali di assistenza nel ramo dell'ortopedia della provincia di Cosenza e più in generale in Calabria.
(4-09747)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Taranto Isolaverde è una società per azioni costituita nel dicembre 2004, partecipata dall'amministrazione provinciale di Taranto e da Italia Lavoro;
   questa società è nata per garantire una gestione unitaria del sistema dei servizi pubblici locali con lo scopo di contemperare le esigenze sociali e ambientali di uno dei più delicati settori delle pubbliche attività, razionalizzandone le strutture operative e gli interventi ordinari e straordinari;
   sin dalla sua costituzione ha vissuto momenti di difficoltà finanziaria dovuti anche, ma non solo, alla crisi economica tuttora in atto. Già nel 2012 era stata aperta una procedura di mobilità per favorire quello che tecnicamente si chiama accompagnamento alla pensione dei dipendenti, mascherando le scarse risorse finanziarie a disposizione della provincia di Taranto;
   oggi la situazione si è aggravata: il 29 maggio 2015 è stata firmata la proroga dei contratti di solidarietà al 50 per cento, per ulteriori 6 mesi, nei confronti di 225 dipendenti, mentre per ulteriori 40 dipendenti si aprono le porte del prepensionamento. I dipendenti, nonostante questa notizia, continuano a essere in allarme, poiché restano in attesa degli emolumenti di aprile e di maggio 2015, e di un conguaglio di marzo del 30 per cento circa;
   il presidente della provincia Martino Tamburrano ha chiesto da diversi mesi la riduzione di tre milioni e mezzo di euro ai tagli per il riordino delle province previsto dalla «legge Delrio», in modo da impiegare le risorse a favore di «Isolaverde» e garantire così la prosecuzione di alcuni servizi che l'ente eroga. La provincia di Taranto è tenuta, pertanto, a «restituire» allo Stato, 14 milioni e mezzo relativi al 2015, cui si aggiungono altri 5 milioni per il 2014, pena il commissariamento dell'ente;
   l'ente detiene un'ingente somma di crediti esigibili, intorno ai 950.000 euro, che poteva essere utilizzata per pagare gli stipendi degli operai. Questa condizione mette a serio rischio l'intera circoscrizione tarantina, poiché non vengono più eseguite da diverso tempo le opere di manutenzione stradale, di prevenzione dagli incendi boschivi e di controllo e manutenzione delle caldaie sull'intero territorio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intendano mettere in campo per contrastare gli effetti negativi della «legge Delrio»;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Governo per salvaguardare i lavoratori delle aziende partecipate delle province;
   se non intendano i Ministri interrogati convocare un tavolo di lavoro con gli enti territoriali e il presidente della società in house «Taranto Isolaverde S.p.A.» per la risoluzione della vertenza. (4-09743)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, QUARANTA, MELILLA, PIRAS, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, PELLEGRINO, ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, MARCON, FRATOIANNI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati dell'indagine trimestrale «Giuria della Congiuntura», realizzata dal centro studi Unioncamere Marche presentati il 27 febbraio 2015 certificano nella regione un calo della produzione pari all'1,7 per cento; meno 1,6 per cento per gli ordinativi e meno 0,5 per cento per il fatturato. Positivi, invece i dati del fatturato estero (+1,2) e gli ordinativi dall'estero (+1,9). Risultano essere in lieve calo anche le settimane di produzione assicurata che passano da 6,1 a 5,9, mentre è aumentato l'utilizzo degli impianti rispetto al trimestre precedente: dal 75,6 all'81,4 per cento;
   dallo studio citato emerge per le Marche «un quarto trimestre 2014 ancora particolarmente pesante soprattutto per l'artigianato, che ha perso il 2,6 per cento della produzione con il fatturato in calo dell'1 per cento e gli ordinativi del 2,8 per cento. Per quanto riguarda i settori manifatturieri, solo la meccanica fa registrare una crescita di produzione (+1,4), fatturato (+1,7) e ordinativi (+1,5). Il segno meno la fa invece da padrone per tutti gli altri settori, con risultati particolarmente pesanti per la produzione del mobile (3,9) e del calzaturiero (-3,7), mentre l'abbigliamento perde il 2,8 per cento e l'alimentare l'1,8 per cento. Sul calzaturiero hanno inciso pesantemente le crisi di Ucraina e Russia, con la conseguente riduzione anche di ordinativi esteri (-3,4) e di fatturato estero (-1,9), che invece sono aumentati per gli altri settori»;
   conformemente ad un trend ormai costante, anche negli ultimi mesi del 2014 la crisi ha colpito più duramente le piccole imprese: quelle con meno di 10 addetti hanno visto la produzione e gli ordinativi calare del 3,1 per cento e il fatturato dell'1,6 per cento. Nelle imprese tra 10 e 49 addetti produzione e ordinativi hanno perso l'1,9 per cento con una contrazione del fatturato dello 0,5 per cento. Infine le aziende tra 50 e 499 addetti hanno visto il fatturato crescere dello 0,7 per cento e gli ordinativi dello 0,2 con la produzione in lieve discesa (-0,2);
   l'Ufficio studi di Confartigianato su dati della Banca d'Italia e di Artigiancassa ha rilevato che i prestiti al comparto dell'artigianato nelle Marche, nell'ultimo anno, ammontano a 2,4 miliardi di euro, segnando una diminuzione di oltre 117 milioni di euro rispetto all'anno precedente; la riduzione suddetta, pari al 4,6 per cento, è più alta della media italiana, che si attesta attorno al 4 per cento, ed in peggioramento rispetto alla precedente rilevazione (-3,6 per cento). Un calo che si registra in modo più o meno uniforme in tutte le province delle Marche: Macerata –6,1 per cento, Ascoli Piceno –5,1 per cento, Ancona –4,7 per cento e Fermo –4,3 per cento; Pesaro Urbino –3 per cento;
   il presidente di Confartigianato Imprese Marche, Salvatore Fortuna ha dichiarato agli organi di stampa, lo scorso 25 febbraio, che «la situazione creditizia delle imprese, soprattutto di quelle di piccola dimensione, rimane critica. Un credito sempre più scarso e costoso blocca le opportunità di sviluppo, scoraggia gli investimenti e rallenta i processi di innovazione tecnologica. Tutto ciò mentre le nostre aziende sono alle prese anche con i ritardi di pagamento degli enti pubblici e dei privati che le costringe a chiedere prestiti per compensare i mancati incassi dei cattivi pagatori»; tra i problemi che colpiscono maggiormente le piccole imprese vi è anche la difficoltà ad investire in innovazione. Come ha ribadito il presidente della CNA Marche Gino Sabatini, in occasione di «Marche Eccellenti», l'iniziativa della CNA che ogni anno premia le imprese eccellenti delle Marche, tenutasi a Pesaro il 20 febbraio 2015: «la realtà conferma invece un atteggiamento difensivo e quasi rinunciatario delle piccole imprese marchigiane. Quelle che hanno realizzato investimenti nel 2014, infatti, sono state meno del 10 per cento del totale tra le attività manifatturiere delle Marche e solo il 5 per cento tra le attività di servizio»;
   secondo la CNA, che ha elaborato i dati Istat, le Marche si piazzano all'ultimo posto tra tutte le regioni in Italia per numero di addetti alla ricerca negli enti pubblici. Nella regione sono 171 gli addetti degli enti pubblici dediti alla ricerca e sviluppo, pari al 3,5 per cento dei 4.850 ricercatori attivi nelle Marche, di cui 2.817 nelle imprese, 1.851 nelle università, e 10 nelle istituzioni no profit; anche per quanto riguarda le risorse destinate alla ricerca e sviluppo da parte degli enti pubblici marchigiani, i dati non sono incoraggianti: quasi 14 miliardi di euro, pari al 4,3 per cento della spesa totale di 319 milioni di euro di cui 164 investiti dalle imprese, 141 dalle università e 301 mila euro dalle istituzioni no profit;
   secondo CNA e CGIA Marche nel 2014 sono fallite 580 aziende. La maggior parte dei fallimenti ha coinvolto piccole: aziende artigiane e commerciali, con i titolari che, non potendo contare sugli ammortizzatori sociali, sono andati a ingrossare i numeri dei disoccupati, portandosi dietro i propri dipendenti. I settori maggiormente coinvolti dai fallimenti aziendali sono stati l'edilizia, il commercio, la ristorazione, l'autotrasporto, l'abbigliamento e le calzature –:
   quali soluzioni intenda adottare il Ministero per far fronte alla crisi delle piccole imprese e delle imprese artigiane nelle Marche, in riferimento alle criticità segnalate in premessa e, in particolare, quali misure intenda assumere per favorire l'internazionalizzazione delle imprese marchigiane, considerato che i pochi dati positivi dell'economia regionale provengono dal settore dell'esportazione. (5-06016)


   VALLASCAS, DA VILLA, CRIPPA, CANCELLERI, DELLA VALLE e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Gestore dei servizi energetici (GSE) è una società per azioni italiana, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 9 i diritti dell'azionista sono esercitati d'intesa tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico. Gli indirizzi strategici ed operativi del gestore sono definiti dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato;
   si apprende da fonti giornalistiche che il GSE ha proceduto ad assunzione di personale con stretti legami familiari di uomini della politica, della pubblica amministrazione e dell'industria. Infatti l'articolo di giornale segnala che nella società è stata assunta Maria Serena Cospito, figlia di Mario Cospito, consigliere diplomatico del Ministro Guidi, Maurizio Acuzio Godart, figlio di Louis Godart, consigliere del Quirinale per la conservazione del patrimonio artistico, Estella Pancaldi figlia di Zoia Veronesi, storica segreteria di Pier Luigi Bersani, Marina Conte, figlia di Agostino Conte, già vicepresidente del Comitato energia di Confindustria e Anna Giacomoni, figlia di Sestino Giacomoni, deputato di Forza Italia molto vicino all'ex premier Silvio Berlusconi;
   a quanto pare una parte del personale del GSE risulta distaccato presso il Ministero dello sviluppo economico o presso altri dipartimenti della pubblica amministrazione e sarebbe opportuno conoscere il numero esatto;
   il GSE contattato dal giornale afferma che le assunzioni in questione sono state effettuate con procedure pubbliche dal 2007 al 2013 che per motivi di privacy non sono tenuti a conoscere i rapporti di parentela del personale;
   di sicuro la società GSE sta vivendo un momento di forte fibrillazione per la nomina del nuovo amministratore delegato, sulla quale l'interrogante ha presentato l'atto ispettivo n. 3-01576 –:
   nell'ambito della propria competenza di quali elementi disponga in merito ai fatti descritti in premessa e se corrispondano al vero e quali siano stati e attualmente siano i criteri di selezione del personale GSE. (5-06017)


   ALLASIA e GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è opinione ormai diffusa che gli imprenditori cinesi lavoranti in Italia godano di un regime di tassazione agevolata che permetterebbe loro di praticare costi più bassi a danno delle imprese italiane, le quali non avendo gli strumenti per contrastare tali forme di concorrenza irregolare, rischiano di essere tagliate fuori dal mercato;
   negli anni sono nati interi quartieri con esercizi commerciali gestiti da cinesi, dove pochissimi imprenditori italiani riescono a sopravvivere pagando regolarmente le tasse e rispettando le regole della concorrenza;
   molti sostengono che questa falsa concorrenza sia stata caldeggiata proprio dal Governo italiano che, negli anni dal 2000 al 2005, con l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi, ad avviso dell'interrogante, ha di fatto reso l'Italia una piattaforma logistica dell'Asia;
   gli anni della presidenza di Prodi coincidono, ad avviso dell'interrogante, con l'ascesa commerciale cinese in Italia e in Europa, la quale ha portato ad un'invasione nei mercati di prodotti di scarsa qualità e a prezzi estremamente bassi;
   il costo pagato dalle imprese e dai cittadini italiani è invece altissimo; molti imprenditori non sono riusciti a contrastare concorrenza sleale cinese e sono falliti, mentre i cittadini quotidianamente vengono ingannati su prodotti che acquistano, di provenienza cinese, i quali spesso sono realizzati senza alcun rispetto delle leggi in materia di sicurezza, ambiente, lavoro e contrasto allo sfruttamento della manodopera minorile;
   nel settembre 2006 furono firmati accordi tra il Governo italiano e il Governo cinese riguardanti la ricerca, lo scambio di studenti universitari e ricercatori, le adozioni e il commercio; molti vedono in questi accordi l'inizio di una lenta e silenziosa invasione cinese in moltissime attività commerciali del Paese, favorita da un sistema di tassazione praticamente nullo, spesso accompagnato anche da forme di evasione –:
   se intendano far chiarezza in merito a quanto esposto in premessa e se siano a conoscenza dell'esistenza di forme di tassazione agevolata riconosciute nei confronti di imprenditori cinesi che svolgono un'attività commerciale in Italia, le quali pongono questi ultimi in una posizione di vantaggio rispetto agli imprenditori italiani, a danno dell'economia del Paese e della concorrenza. (5-06018)


   BENAMATI, BARUFFI, MARCHI, PATRIZIA MAESTRI, ROMANINI, RICHETTI, FABBRI, BERGONZI, ARLOTTI e GANDOLFI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di stampa della scorsa settimana che Ferrari spa, oltre che ad essere quotata alla borsa di Wall Street, potrebbe presto vedere trasferita la propria sede legale in Olanda, come già accaduto in precedenza per il gruppo Fiat Chrysler Automobiles;
   a darne notizia è stato il presidente della storica casa automobilistica modenese nonché amministratore delegato di FCA, Sergio Marchionne, definendo questa come una possibilità e ipotizzando per l'azienda del cavallino rampante una struttura simile a quella di FCA, ma con sede fiscale in Italia;
   tale ipotesi di trasferimento e trasformazione di Ferrari sta generando preoccupazione sia a Modena che nel Paese: se da un lato l'azienda automobilistica e il suo nome, insieme a quello del suo fondatore Enzo Ferrari, sono da sempre legati a Modena e a Maranello — dove l'azienda opera da sempre, punta di diamante di quel territorio e di quel distretto produttivo che tutti conoscono come «terra di motori» — dall'altro il cavallino rampante è riconosciuto come il marchio «più influente» e tra quelli di maggior valore al mondo;
   Ferrari è simbolo nel mondo dell'eccellenza manifatturiera e dell'ingegno italiano, della capacità di coniugare tecnica e design, creatività e innovazione, professionalità delle maestranze e competitività del territorio: un patrimonio sociale di valore inestimabile, in alcun modo scindibile dal territorio modenese e dall'immagine dell'Italia;
   in questi anni sono stati significativi gli investimenti realizzati, sia pubblici che privati, per rafforzare questo connubio azienda-territorio che è un punto di forza tanto per l'azienda quanto per Modena e il Paese: risulta quindi particolarmente grave l'idea che il marchio più importante e riconosciuto d'Italia possa unilateralmente decidere, al di fuori di ogni confronto con gli interlocutori istituzionali e sociali, nazionali e locali, di trasferire altrove la propria sede legale –:
   se il Governo sia a conoscenza di questi fatti e quali iniziative intenda assumere al fine non solo di tutelare la produzione e l'occupazione di Ferrari a Modena, ma di impedire che scelte unilaterali quali quelle annunciate possano colpire l'immagine del territorio modenese e dell'Italia, interrompendo o comunque snaturando un connubio di successo che tutto il mondo riconosce e apprezza.
(5-06019)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, dopo un confronto tra Poste italiane, organizzazioni sindacali, regione Lombardia e comuni, in merito alla riorganizzazione della presenza degli uffici postali sul territorio, si è appresa la notizia che degli undici uffici postali del mantovano, inizialmente individuati dal piano «chiusure» di Poste italiane, solo tre non subiranno il provvedimento di chiusura;
   gli otto uffici postali sottoposti alla inaccettabile ipotesi di chiusura che Poste italiane vorrebbe imporre sono localizzati a Correggio, Formigosa, Nuvolato, Tabellano, Villastrada, Castelnuovo, Cerlongo e Ospitaletto;
   si tratta di otto frazioni di altrettanti comuni mantovani abitate, in prevalenza, da persone anziane con oggettive difficoltà di spostamento in altre località;
   la sciagurata ipotesi di chiusura di questi otto uffici postali priverebbe molti cittadini di un diritto universale, fondamentale per la loro qualità della vita;
   per questi comuni sarebbe opportuna una ulteriore riflessione in quanto, analizzandoli in maniera più approfondita, si potrebbero riscontrare numerosi elementi a supporto del mantenimento in attività degli uffici per numero degli utenti e quantità del lavoro svolto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto del contratto di servizio e della funzione pubblica che Poste italiane spa svolge, per evitare la soppressione degli uffici postali negli otto comuni del mantovano citati in premessa, assicurandone il loro mantenimento nell'interesse delle comunità di riferimento. (5-06004)


   GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da febbraio 2015 Poste Italiane ha inviato a molti comuni umbri una nota relativa alla chiusura e razionalizzazione di alcuni uffici postali, questione che impatta in particolar modo con le realtà più piccolette del nostro territorio;
   dopo diversi incontri promossi anche da Anci Umbria, nel mese di aprile Poste italiane ha comunicato l'avvio di un ampio processo di dialogo con le istituzioni locali per l'analisi del dettaglio dei territori in relazione agli interventi di attuazione del piano di riorganizzazione di Poste italiane;
   tra le questioni messe in evidenza vi era la volontà di conciliare le esigenze aziendali con le istanze del territorio;
   all'inizio del corrente mese di luglio Poste italiane, a diversi piccoli comuni umbri, ha ribadito quanto aveva stabilito con la propria comunicazione iniziale di febbraio senza che la tanto decantata concertazione abbia avuto luogo –:
   se intenda verificare l'atteggiamento di Poste italiane sollecitando un confronto reale con le istituzioni locali, in particolar modo le piccole realtà che a fronte di una eccessiva razionalizzazione si vedono mettere in discussione un servizio fondamentale per la sopravvivenza stessa dei piccoli centri storici. (5-06012)


   RIBAUDO, CULOTTA e CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'amministratore delegato di Poste Italiane Caio ha presentato il nuovo piano industriale che prevede tra l'altro il reclutamento di ulteriori ottomila unità lavorative, senza tuttavia spiegare modalità, tempi e processi di reclutamento;
   l'Agcom nei giorni scorsi, ha dato il via libera a detto piano, in vista dell'ormai prossima privatizzazione di quote della società;
   Poste italiane come ogni anno sta procedendo alla selezione ed assunzione di personale a tempo determinato per far fronte alle esigenze stagionali, al fine di garantire il servizio pubblico di committenza;
   anche le società controllate dall'azienda Poste italiane continuano ad operare con le stesse modalità praticate negli anni precedenti per il reclutamento di nuovo personale, rivolgendosi ad agenzie interinali e stipulando contratti di somministrazione, eludendo secondo l'interrogante ogni forma di trasparenza nelle assunzioni e facendo lievitare i costi del 20 per cento in più;
   con un'interpellanza urgente in aula (n. 2-00656), era stato già denunciato il modus operandi adottato negli anni dalla società di Stato;
   la materia è stata oggetto di inchiesta da parte della stampa nazionale, con la campagna mediatica denominata «La Parentopoli delle Poste» (La Repubblica, il Fatto Quotidiano — a partire da settembre 2014);
   il tentativo di Caio di portare nell'azienda una ventata di rinnovamento e cambiamento volto all'efficientamento e all'ammodernamento della struttura, ha comportato la sostituzione di navigati dirigenti al vertice della società, ed è stato fortemente osteggiato da chi aveva costruito in Poste italiane un vero e proprio feudo di clientele;
   nonostante gli innegabili segni di cambiamento della nuova gestione nella società Poste, rimangono ancora, in diversi settori, incrostazioni del vecchio sistema che vogliono continuare con la passata metodologia;
   infatti anche quest'anno, da notizie apprese per vie informali, risulta che l'azienda Poste italiane e le dirette controllate, stiano procedendo alla stipula di contratti di somministrazione attraverso agenzie di lavoro interinale eludendo, nei fatti, l'avviso pubblico, lasciando nella disillusione migliaia di giovani che avevano avanzato la candidatura attraverso il portale –:
   se risulti che la società Poste italiane le società dirette controllate continuano ancora oggi a fare assunzioni attraverso agenzie interinali con contratti di somministrazioni;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di dette assunzioni, anche per l'anno 2015, e del numero dei contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati o che si intendono stipulare;
   quanti dei contratti già esistenti a tempo determinato saranno trasformati a tempo indeterminato;
   quali iniziative intende assumere alla luce della situazione relativa alle assunzioni di cui in premessa, per rendere più trasparente il sistema di reclutamento, affermando principi di legalità e pari opportunità in una società a totale capitale pubblico;
   se non si ritenga altresì opportuno procedere, per coprire le carenze di personale, attingendo dal portale web, dove migliaia di giovani hanno avanzato la propria candidatura, applicando però un metodo di selezione con criteri oggettivi e trasparenti, evitando ancora una volta la disillusione di chi si è proposto nel portale web. (5-06015)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO, SARRO e CARFAGNA. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   lo scorso 16 aprile 2015 veniva presentato il programma industriale di Whirlpool al Ministero dello sviluppo economico che prevedeva, tra l'altro, la chiusura dello stabilimento di Carinaro. Tale programma avrebbe provocato una riduzione dei livelli occupazionali sull'indotto campano di circa 2000 lavoratori;
   successivamente, dopo numerosi tavoli di trattative ed un susseguirsi di scioperi da parte di tutti i dipendenti, il gruppo statunitense di elettrodomestici Whirlpool acquisisce Indesit raggiungendo un accordo con il Ministero dello sviluppo economico;
   secondo tale accordo Whirlpool utilizzerà ammortizzatori sociali conservativi, come la cassa integrazione ed i contratti di solidarietà; provvederà alla ricollocazione ed alla riqualificazione professionale, in particolare per gli impiegati, ed aprirà percorsi di uscita incentivata volontaria o finalizzata alla pensione;
   alla luce di questo nuovo piano cambia anche il destino di Carinaro (Ce) dove verrà costituito il polo europeo di ricambi ed accessori, nel quale troveranno occupazione pare 320 persone. Il restante organico sarà trasferito fra Napoli e Varese o potrà accedere ai percorsi di uscita incentivata;
   certo questo piano «strategico» eviterà la chiusura del sito campano; Carinaro diventa il Polo Emea per accessori e ricambi per tutti i prodotti per i mercati dell'Unione europea, Africa e Medio Oriente ma su 815 persone, soltanto 320, con un turno di 6 ore continueranno a lavorare;
   non è dato sapere quanti saranno i lavoratori che accetteranno l'uscita agevolata o il trasferimento;
   è evidente che in questo modo si perderanno definitivamente professionalità che nella migliore delle ipotesi saranno deportate o peggio disperse;
   si perderanno ingegni ed esperienze industriali di tante aziende satelliti campane che saranno costrette a chiudere anche senza le misure di accompagnamento per i lavoratori in crisi;
   pare superfluo significare come un sito di stoccaggio e movimentazione merci ha un ridotto impatto occupazionale ed un bassissimo tasso di professionalizzazione al punto che sarebbe fin troppo facile qualunque delocalizzazione in ogni parte del mondo anche e soprattutto dove il costo del lavoro è significativamente più basso non necessitando di particolare know-how e qualificazione;
   da ultimo ma non meno importante è che la Indesit prima del subentro della Whirlpool, aveva sottoscritto un accordo con il Ministero dello sviluppo economico, che prevedeva il mantenimento di tutte le produzioni in ogni sito italiano, sino al 2018;
   la natura di tale accordo, nelle prime sedute, è stata ribadita a chiare lettere alla Whirlpool proprio dal Ministro interrogato e oggi non si comprende il motivo per cui il Ministro, visto il trasferimento delle produzioni entro il 2015, non ha preteso proprio il rispetto di quell'accordo che evidentemente era parte del pacchetto acquisito dal nuovo contraente Whirlpool;
   il mantenimento delle produzioni fino al 2018, come previsto, sarebbe stato di vitale importanza per tutti, in quanto avrebbe consentito una eventuale riconversione produttiva anche per tutto l'indotto –:
   quali soluzioni reali il Ministro interrogato intenda mettere in campo perché possa essere rispettato l'accordo del mantenimento delle produzioni sino al 2018;
   quali misure compensative intenda il Ministro interrogato adottare a fronte di un piano tutto sbilanciato verso il nord e che sottrae altre risorse industriali ed asset strategici al Mezzogiorno per trasferirli al nord;
   quali misure aggiuntive siano state messe in campo per sostenere l'indotto di imprese che viceversa così sarebbero cancellate nell'arco di poche settimane e quali iniziative siano state assunte a sostegno dei lavoratori di queste piccole e piccolissime aziende prive di ammortizzatori e sostegni. (4-09728)


   GIANCARLO GIORGETTI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   il piano di riorganizzazione nazionale di Poste italiane presentato lo scorso mese di febbraio prevedeva per la Lombardia la chiusura di 61 uffici postali e l'apertura a giorni alterni di altri 120 uffici, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici» perché ubicati soprattutto nelle realtà montane e svantaggiate, senza considerare che queste zone vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate;
   in seguito alle numerose proteste e grazie anche alla mozione presentata dal Gruppo della Lega Nord che ha impegnato il Governo a favorire una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte per valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata ed individuare soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, 15 dei 61 uffici lombardi, cioè 1 su 4, di cui era prevista la chiusura, rimarranno aperti e attivi;
   la scelta degli uffici da salvaguardare appare però non rispondere alle numerose problematiche presenti anche in altri comuni lombardi, come quello di Caldana (VA), in cui la maggioranza delle persone ha un'età avanzata con conseguenti problemi di mobilità e che da settembre dovrà affrontare lunghi e disagevoli spostamenti per raggiungere il più vicino ufficio postale di Orinzo-Azzio a 2 chilometri di distanza;
   gli uffici postali nelle piccole realtà rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura diventa un problema per tutta la comunità contribuendo al depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni, negando agli abitanti la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle utenze o la riscossione della pensione, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane di chiudere l'ufficio postale di Trevisago si inserisce in un contesto già critico e carente del servizio postale, con strumenti di lavoro inadeguati, organici insufficienti, sistemi informatici obsoleti, con lunghe attese degli utenti presso gli uffici;
   in merito all'interesse economico della società Poste italiane, con sentenza n. 1262 dell'11 marzo il Consiglio di Stato in relazione al progetto di razionalizzazione attivato da Poste italiane ha ribadito che: «Poste non può fare spending review sulle spalle dei piccoli centri, determinando disservizi e disagi soprattutto alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici». Per questo motivo, concludono i giudici amministrativi, «le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, e anche delle conseguenze che la presenza ha sull'utilità sociale» –:
   se non ritenga urgente farsi promotore di una momentanea sospensione del processo riorganizzativo di Poste italiane affinché possano essere rivalutate con attenzione le caratteristiche del comune di Caldana (VA), così da scongiurare la chiusura di un presidio tanto importante per la comunità come l'ufficio postale di Trevisago. (4-09733)


   GREGORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Firema è un'azienda storica del settore trasporti su ferro leader nella progettazione, costruzione, rewamping e manutenzione di materiale rotabile. Ha presidi produttivi a Spello, Tito, Caserta, Milano e Roma;
   dal 2 agosto 2010 è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria che ha visto la nomina di un commissario straordinario;
   dall'inizio dell'amministrazione straordinaria Firema ha nei fatti recuperato un sostanziale equilibrio di bilancio tornando addirittura a produrre margini di profitto in maniera del tutto stabile. Firema ha ormai superato la sua crisi finanziaria e ha non solo consolidato il suo fatturato ma, nemmeno troppo lentamente, sta incrementando il suo portafoglio ordini;
   dopo molteplici vicende fatte di bandi per la vendita che non hanno prodotto risultati concreti. L'ultimo caso è quello della Blutec, gruppo industriale proposto dal Ministero dello sviluppo economico e coinvolto anche per l'acquisizione dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese;
   il 20 giugno 2015 è scaduta l'amministrazione straordinaria e nel frattempo grazie a un ulteriore bando fatto dal commissario straordinario risultano aver manifestato interesse altri 4 gruppi industriali nazionali ed internazionali –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per un prolungamento dell'amministrazione straordinaria della Firema, garantendo la piena continuità lavorativa dei dipendenti dell'azienda, anche nell'ottica di individuare un solido acquirente, in grado di svilupparne a pieno il patrimonio produttivo e di conoscenza. (4-09751)

Apposizione di firme a mozioni e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Binetti e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Gadda, Gribaudo, Gullo, Iori, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari».

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00940, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Bergamini, Cozzolino, Rondini, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Alberti e altri n. 7-00720, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Spadoni n. 4-09619, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Sarti, Ferraresi, Dell'Orco, Paolo Bernini, Dall'Osso.

  L'interrogazione a risposta scritta Spadoni n. 4-09631, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Sarti, Ferraresi, Dell'Orco, Paolo Bernini, Dall'Osso.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Nicola Bianchi n. 4-09662 del 2 luglio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sanga e altri n. 4-09661 del 2 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06014;
   interrogazione a risposta scritta Sanga n. 4-09717 del 7 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06013.