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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 6 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    ha suscitato scandalo e preoccupazione la tristemente famosa vicenda de «il Forteto», alla quale per trent'anni il tribunale dei minori di Firenze ha affidato i bambini in difficoltà;
    il processo si è concluso con le condanne alla reclusione di Rodolfo Fiesoli a 17 anni e mezzo, Luigi Goffredi a 8 anni, Daniela Tardani a 7 anni, Francesco Bacci a 3 anni e 6 mesi, Angela Maria Bocchino a 1 anno, Mariella Consorti a 3 anni e 6 mesi, Marida Giorgi a 1 anno, Silvano Montorsi a 3 anni e 6 mesi, Stefano Pezzati a 4 anni e 6 mesi, Gianni Romoli a 3 anni, Stefano Sarti a 3 anni, Elisabetta Sassi a 3 anni, Luigi Serpi a 4 anni e 6 mesi, Francesca Tardani a 3 anni e 6 mesi, Elena Maria Tempestini a 3 anni e 6 mesi, Mauro Vannucchi a 4 anni e 6 mesi;
    dal processo è emerso il fatto che erano usuali e reiterati gli atti di violenza e di maltrattamenti ai danni dei bambini, garantiti dall'omertà e dal silenzio di chi conosceva i fatti, tra cui si segnalano particolarmente gli psichiatri e gli assistenti sociali, i quali hanno commesso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo numerosissime disattenzioni;
    appaiono particolarmente gravi, poi, l'appoggio entusiasta e i reiterati e generosi finanziamenti forniti dalle amministrazioni locali grazie ai quali la cooperativa agricola è divenuta una «potenza economica»;
    Rodolfo Fiesoli, detto «il profeta», «capo spirituale della comunità», è il principale responsabile degli abusi sessuali e maltrattamenti perpetrati nella struttura. Daniela Tardani si è invece distinta, oltre che per maltrattamenti e violenza sessuale, anche per aver assistito agli abusi compiuti dal «profeta» su un ragazzo che era stato affidato con il pretesto risultato consueto di liberarlo dalla «materialità»;
    per descrivere la gravità del fatto, si citano le parole del pubblico ministero secondo la quale: «Per alcuni decenni in Toscana si è verificato un fenomeno rispetto al quale le leggi dello Stato hanno subito una sospensione»;
    dispiace il fatto che la segnalazione fatta dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e da altri colleghi più volte al Governo in atti di sindacato ispettivo, con la proposta di commissariamento per la cooperativa agricola, sia rimasta lettera morta;
    il fenomeno disgustoso, ma «normale», verificatosi a «il Forteto», i cui contorni appaiono molto più gravi di quanto emerso dal processo grazie al quale si sono avute conferme dei dubbi e delle preoccupazioni, si inserisce nella più ampia e poco trasparente vicenda dei bambini in casa famiglia. Purtroppo, in moltissimi casi, gli affidamenti sono considerati un mero business perché hanno un giro di affari pari a un miliardo di euro all'anno: sono infatti ventimila i minori ospiti di queste strutture; occorre sperare che non vi siano troppe altre strutture ove si praticano i «trattamenti» che hanno caratterizzato il caso «il Forteto»;
    al di là dei gravissimi episodi di abusi sessuali, vi è una cinica consuetudine a trasformare il dolore dei bimbi in «affare economico»: essa è semplice e consiste nel prolungare i tempi di permanenza dei bimbi nelle strutture, facendo sì che solo un piccolo su cinque sia affidato a coppie in attesa;
    ciò spiega anche il perché migliaia di coppie restino in biblica attesa prima che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Naturalmente, ci sono anche altri fattori che incidono, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie;
    è illegale e immorale lucrare sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche, tutte situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Ci si riferisce, in particolare, ai casi più estremi che purtroppo sono diffusissimi, cioè ai ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere più tollerata perché rappresenta l'esatta negazione della funzione delle case famiglia, la rappresentazione spietata di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza, la quale dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di oasi di pace temporanea in attesa dell'affido, sia divenuta invece il suo contrario. Ci sono casi particolarmente esecrabili come «il Forteto», ma in generale lo scandalo è rappresentato dal modo con cui i minori vengono «assistiti» dalle strutture che dovrebbero garantire loro benessere. Si trovano invece prigionieri in luoghi insicuri e inefficienti. E ciò è frutto di una scelta che favorisce e consente abusi e illeciti arricchimenti da parte di chi invece dovrebbe seguire solo l'interesse dei bambini e quello generale e non il proprio;
    la carenza dei controlli sui luoghi dove i bambini vengono ospitati è poi imbarazzante oltre che in contrasto con le leggi. Eppure esistono centinaia di enti e associazioni no profit che avrebbero il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi e le condizioni nelle quali vivono; essi dovrebbero contribuire a prevenire casi quali quelli accaduti a «il Forteto». Al contrario di quanto dovrebbe essere normale, nessuno è in grado di fornire numeri esatti con il risultato che ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile;
    medesima carenza è rilevabile anche sul fronte delle verifiche perché lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese. Sarebbe utile che per ogni casa-famiglia si rendessero pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto dolente consiste nel fatto che, in assenza di informazioni, i bambini vivono in questi posti senza che nessuno si occupi realmente della loro crescita morale e materiale, con grave danno per la loro istruzione e socializzazione. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite;
    il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15 mila e i 20 mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei «flussi» è un problema legato anche alla sicurezza, come purtroppo emblematicamente dimostrato dal caso «il Forteto», «punta di diamante» per i fatti di adescamento e pedofilia che sono molto più diffusi di quanto non si immagini e non certo limitati a «il Forteto»;
    vi è poi un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe competenze divise tra vari Ministeri con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente;
    gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: esistono anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi vi sono le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati c’è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a circa 30 euro. Teoricamente più sono bassi i costi, più bambini si riesce a far confluire nella struttura attraverso l’input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale;
    altra nota dolente proviene dai tribunali, ove si accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. I magistrati non riescono a fare fronte alle pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti. La maggior parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «parcheggiati» in un «posto» senza che nessuno segua davvero i loro bisogni, le loro esigenze e la loro educazione;
    le storie che vengono a galla, a cominciare da «il Forteto», compongono un campionario pauroso. Le case-famiglia dovrebbero essere una risorsa importante per il reinserimento del minore, ma la permanenza di un bambino dovrebbe essere caratterizzata dalla massima cura e dovrebbe rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare;
    sarebbe pertanto opportuno predisporre un monitoraggio dell'intero sistema degli istituti denominati casa famiglia, al fine di prevenire abusi e reati che hanno connotato la vicenda in questione, a partire da quanto contenuto nella proposta di inchiesta parlamentare presentata il 23 gennaio del 2014 (Doc. XXII n. 20 del 23 gennaio 2014). Sarebbe inoltre opportuno predisporre le necessarie ed opportune modifiche legislative in materia al fine di razionalizzare e rendere efficaci, efficienti e maggiormente economici gli interventi a sostegno dell'infanzia, oltre che per prevenire i reati descritti in premessa, poiché le iniziative pubbliche che tali istituzioni devono perseguire devono ispirarsi al bene dei bambini, al contrario di quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, avviene nella situazione attuale nella quale potrebbero apparire come «esche» per realizzare illegali e socialmente pericolosissimi sfruttamenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo.
(1-00937) «Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    il 17 giugno 2015 il tribunale di Firenze, al termine di un processo durato venti mesi, ha emesso una sentenza di primo grado a carico di sedici persone per abusi sessuali e maltrattamenti su bambini e su adulti con disagi psichici affidati alla comunità «il Forteto»;
    il fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, è stato condannato a diciassette anni e mezzo di reclusione e il suo braccio destro e «ideologo» della comunità, Luigi Goffredi, a otto anni di carcere;
    la comunità «il Forteto», fondata a La Querce (Prato) nel 1977 con l'obiettivo di essere una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale, attualmente è attiva nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze;
    negli anni, secondo la stessa sentenza ma anche secondo quanto accertato con relazione unanime dalla commissione d'inchiesta regionale istituita sul caso, al Forteto sono avvenute atrocità di ogni genere;
    Fiesoli, oltre ad aver picchiato e costretto minori presi in affidamento a rapporti sessuali, induceva all'omosessualità, teorizzando la separazione fra uomini e donne, e, di fatto, stravolgeva i modelli familiari, allontanando i bimbi affidati in via temporanea dai genitori naturali attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello;
    una «setta» in piena regola che negli anni ha continuato ad ottenere tribunale per i minorenni l'affidamento di minori con gravi problemi, nonostante Fiesoli e il suo «ideologo» Luigi Goffredi avessero già subito una sentenza definitiva per reati simili a quelli a cui sono stati condannati recentemente;
    già nel 1985, infatti, Fiesoli era stato condannato in via definitiva a due anni di carcere per atti di libidine violenta e corruzione di minorenne e maltrattamenti, ma ciononostante il tribunale per i minorenni ha proseguito con gli affidamenti di minori alla sua comunità;
    nel 1979, proprio al rientro di Fiesoli in comunità dopo aver trascorso cinque mesi in carcere nell'ambito della prima inchiesta condotta a suo carico per abusi e maltrattamenti, il giudice Gian Paolo Meucci ha disposto l'affidamento allo stesso Fiesoli di un bambino di tre anni affetto da sindrome di down;
    la teoria della «famiglia funzionale» prevedeva l'affidamento a genitori non sposati che non fossero neanche coppie di fatto: la famiglia si costituiva appositamente e artificiosamente per accogliere i minori;
    i controlli che i servizi sociali in tutti questi anni avrebbero dovuto, in base alle disposizioni vigenti, effettuare sulla e nella comunità non sono riusciti ad impedire il perpetrarsi degli abusi;
    già dalla fine degli anni ’70 alcuni genitori, i cui figli erano affidati al Forteto, avevano avuto dei sospetti sulla gestione della comunità e sui metodi adottati, ma tutte le segnalazioni sono passate senza essere verificate;
    nel frattempo Fiesoli e Goffredi partecipano a convegni, presentazioni di libri ed eventi, portati ad esempio nelle più importanti sedi istituzionali e il comune di Vicchio aveva anche nominato Fiesoli nel consiglio di amministrazione dell'istituzione culturale «Centro documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana», incarico ricoperto fino al suo arresto nel dicembre 2011;
    nel 2000 l'Italia è stata condannata al pagamento di duecento milioni di lire dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in seguito all'accoglimento di un ricorso sull'affidamento di due fratelli al Forteto;
    nella sentenza si rilevavano proprio le gravi anomalie negli affidamenti e i mancati controlli dei servizi sociali ma anche dopo di essa gli affidamenti sono proseguiti;
    nei decenni della sua attività la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti al Forteto, elogiandone i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    Fiesoli era stato nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime, che questa volta comprendevano anche denunce per lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
    inoltre, nell'ambito del recente processo di primo grado innanzi al tribunale di Firenze, molti testimoni che erano o erano stati soci della cooperativa «il Forteto» hanno denunciato gravi anomalie nella gestione dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie e nella gestione dei casi di disoccupazione;
    invero, durante una prima verifica ministeriale svolta il 10 agosto 2013 gli ispettori Lorenzo Agostini e Fabio Fibbi avevano già sottoscritto un verbale nel quale denunciavano simili contraddizioni e irregolarità, chiedendo il commissariamento della cooperativa;
    l'attuale sindaco di Firenze e della città metropolitana Dario Nardella, in una recente intervista a Lady radio, si è espresso favorevolmente al commissariamento della comunità, dichiarando: «farò la mia parte affinché il Governo e il Ministro Poletti in particolare si possano attivare, prevedendo tutte le misure coercitive possibili, soprattutto quelle tese a non far ripetere quanto è successo. Non sono mai stato contrario ad attivare un canale con il Governo»;
    tutt'oggi al Forteto vivono molti dei condannati, il management non si è sufficientemente rinnovato e molti uomini vicini a Fiesoli hanno ancora incarichi di potere all'interno della cooperativa;
    lo stesso Fiesoli, non sussistendo più le misure cautelari, potrebbe tornare in qualsiasi momento al Forteto, continuando ad arrecare danno alla comunità e mettendo in pericolo tutti i ragazzi ad essa ancora affidati;
    gli intrecci tra la cooperativa, l'ambiente politico e i magistrati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non sono ancora stati chiariti;
    in una puntata della trasmissione televisiva Porta a porta del 2002, allestita prendendo spunto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Bruno Vespa ebbe modo di affermare che non aveva «mai subito tante pressioni per non occuparci di questa vicenda del Forteto. Pressioni quotidiane, che sono avvenute con una sistematicità che francamente ci ha sconcertati»;
    in una recente intervista il magistrato Piero Tony, presidente del tribunale per i minorenni di Firenze dal 1999 al 2006, con riferimento al caso dell'affidamento a Fiesoli del bambino down nel 1979, quando era appena uscito dal carcere, disposto dall'allora presidente del tribunale per i minorenni Giampaolo Meucci, ha affermato che «probabilmente fu possibile per l'imperare di quella cultura cattolica di sinistra, allora molto forte proprio a Firenze. Ma è anche altrettanto vero che Meucci e con lui buona parte dell'opinione pubblica non credette mai che la verità processuale uscita da quella vicenda corrispondesse alla verità reale»;
    è evidente che con riferimento al caso del Forteto ha completamente fallito la filiera dei controlli, sia quelli sulla struttura, che avrebbero dovuto essere svolti dai servizi sociali, sia quelli sugli stessi affidamenti, dei quali erano incaricati i singoli giudici tutelari;
    durante la requisitoria finale del processo appena concluso il pubblico ministero ha affermato che «per un lungo periodo al Forteto le leggi dello Stato hanno subito una sospensione per colpa di un'azione criminale»,

impegna il Governo:

   ad assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza finalizzata al commissariamento della cooperativa «il Forteto», all'interno della quale ancora risiedono molti dei soggetti condannati nel citato procedimento giudiziario;
   a promuovere un'ispezione presso la cooperativa «il Forteto» al fine di verificare eventuali irregolarità nei versamenti dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie, nella gestione dei casi di disoccupazione e quantificarne l'ammontare ed eventualmente ad assumere le conseguenti iniziative di competenza;
   ad assumere iniziative volte a salvaguardare i livelli occupazionali della cooperativa «il Forteto», realtà con quasi centocinquanta soci e un centinaio di dipendenti, che nel 2014 ha fatturato oltre diciotto milioni di euro.
(1-00938) «Rampelli, Giorgia Meloni, Totaro, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela».


   La Camera,
   premesso che:
    il protrarsi della crisi economica sta mettendo migliaia di persone in condizioni di difficoltà economica e le conseguenti inadempienze in materia di pagamenti costituiscono un fenomeno in rapida espansione, che sta causando un aumento esponenziale delle procedure di pignoramento immobiliare, anche delle prime case di abitazione;
    in moltissimi casi si tratta di cittadini e nuclei familiari che si trovano a dover fronteggiare al contempo la perdita del posto di lavoro, o magari la chiusura di una propria piccola impresa, e le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere una famiglia;
    a partire dal 2010 le procedure di espropriazione forzata sono risultate in costante aumento e nel 2014 hanno superato quota cinquemila;
    la prima casa è il principale patrimonio delle famiglie italiane, primo passo per la sicurezza e la crescita economica e sociale;
    inoltre, la prima casa di proprietà esercita anche una fondamentale funzione di garanzia, qualora il debitore volesse contrarre un prestito per onorare il proprio insoluto, e trovarsela ipotecata, pignorata o, ancora peggio, esserne espropriato, lo priva di un suo fondamentale diritto di libertà;
    appare, pertanto, evidente come, a fronte di una situazione debitoria, se da un lato è certamente giusto che siano soddisfatti i creditori, non si possa, dall'altro, prescindere dall'esigenza di tutelare alcuni beni di primaria importanza, quale la prima casa di abitazione;
    non è ammissibile che una famiglia perda la propria casa, talvolta unico bene reale acquistato con anni di sacrifici, e l'espropriazione della prima casa, oltre a costituire una lesione della sfera più intima delle persone, rappresenta anche un pericoloso fattore di instabilità sociale;
    le procedure per la vendita all'asta, inoltre, determinano una sostanziale perdita di valore del bene, che viene svenduto ad un prezzo largamente inferiore a quello di mercato, a tutto svantaggio del proprietario dello stesso, che, una volta soddisfatti i creditori, si ritrova senza nulla;
    il decreto-legge adottato nel 2013 noto come il «decreto del fare» ha disposto l'impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti contratti con la pubblica amministrazione, mentre ha previsto che per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione possa procedere all'espropriazione immobiliare a fronte di un debito complessivo superiore a centoventimila euro, elevando tale importo rispetto ai ventimila euro originariamente previsti dalla normativa in materia;
    in base alla normativa del 2013 il divieto di espropriazione dell'abitazione principale opera in presenza di quattro condizioni, vale a dire il fatto che si tratti dell'unico immobile posseduto dal debitore, che il fabbricato abbia destinazione catastale abitativa, che non sia accatastato come immobile di lusso e che il debitore abbia nell'abitazione la residenza anagrafica;
    le iniziative sin qui adottate a livello governativo per contrastare l'emergenza nel settore delle abitazioni si sono concentrate in misure spot del Governo, lontane dal rappresentare un approccio strutturale e, quindi, risolutivo alla questione;
    gli strumenti di sostegno al reddito per l'accesso alla prima casa, per sopportare gli oneri connessi al pagamento di un mutuo o di un canone di locazione anche per soggetti investiti dalla crisi sono drammaticamente sotto finanziati e spesso necessitano di una trafila burocratica eccessivamente lunga e complessa;
    con la legge di stabilità per il 2014 è stata disposta la confluenza del fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori titolari di contratti a tempo determinato nel sistema nazionale di garanzia istituito dalla medesima legge, di fatto privando i citati soggetti di uno strumento ad essi appositamente dedicato, risolutivo nell'acquisto della prima casa;
    nel sistema nazionale di garanzia il citato fondo è stato unificato al fondo di garanzia per la prima casa, ma allo stato ancora non risulta neanche essere stata effettuata la stipula di un protocollo d'intesa tra il dipartimento del tesoro e l'Associazione bancaria italiana (Abi) necessario per la sua operatività;
    sotto il versante degli affitti, il fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel 2013, prevedeva una dotazione iniziale di appena venti milioni di euro per l'anno in corso e nessuno stanziamento per gli anni a venire, e non erano chiari neanche i requisiti necessari per accedere ai suoi finanziamenti;
    il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, invece, attivo dal 1999, negli ultimi anni non riesce più ad adempiere alle sue finalità, posto che, a fronte di un costante aumento della domanda da parte dei cittadini, le somme disponibili si sono, invece, vieppiù ridotte, passando da 143 milioni di euro per l'anno 2010 a essere del tutto azzerate con la legge di stabilità per il 2012, poi riportate ad appena 30 milioni di euro per il 2015 senza alcuna previsione per il futuro;
    i programmi di edilizia residenziale pubblica, già da anni insufficienti a contrastare la penuria di abitazioni, non riescono in alcun modo a far fronte ai nuovi fabbisogni manifestati da anziani, studenti, disabili, giovani coppie, famiglie monoreddito, nuclei familiari monogenitoriali e sono oltretutto gravati dal fenomeno delle occupazioni illegali, colpevoli di diminuire ulteriormente il numero di alloggi disponibili;
    sin dal luglio del 2013 il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia ha chiesto un impegno al Governo per una più generale attenzione al sostegno delle politiche abitative;
    occorrerebbe varare un piano di edilizia residenziale pubblica, che consenta di avere un numero di alloggi proporzionato alla richiesta proveniente dalle fasce sociali tradizionalmente più deboli o che versino in una temporanea condizione di sofferenza economica, e contrastare efficacemente il fenomeno delle occupazioni abusive di tali immobili da parte di soggetti che non ne hanno titolo;
    è necessario, altresì, promuovere la conoscenza e migliorare la fruibilità di tutti gli strumenti di sostegno all'abitazione,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a ridurre il fenomeno delle espropriazioni di immobili adibiti ad abitazione principale, prevedendo l'impignorabilità totale della prima casa di abitazione, nonché delle relative pertinenze;
   ad assumere iniziative urgenti volte a sospendere le procedure espropriative relative ad immobili adibiti ad abitazione principale e a stanziare le risorse necessarie al finanziamento di tutti gli strumenti atti a sostenere i soggetti e i nuclei familiari che versino in una condizione di temporanea sofferenza finanziaria, con particolare riferimento a quelli con figli minori e con persone affette da disabilità, al fine di prevenire l'instaurazione di procedure di espropriazione immobiliare a loro carico riferite alla prima casa di abitazione.
(1-00939) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 reca norme relativamente alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 (rifusione);
    il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali in conformità al trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Ai sensi dell'articolo 36 TFUE, le pertinenti disposizioni sulla libera circolazione delle merci lasciano impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale;
    ai sensi e nei limiti dell'articolo 36 TFUE, gli Stati membri mantengono il diritto di definire il proprio patrimonio nazionale e di prendere le misure necessarie per garantirne la protezione. Tuttavia, l'Unione svolge un ruolo prezioso nell'incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di proteggere il patrimonio culturale d'importanza europea di cui fanno parte i patrimoni nazionali;
    la direttiva 93/7/CEE ha istituito un sistema che permette agli Stati membri di ottenere la restituzione nel proprio territorio dei beni culturali che sono classificati come beni del patrimonio nazionale ai sensi dell'articolo 36 TFUE, che appartengono alle categorie comuni di beni culturali di cui all'allegato di tale direttiva, che sono usciti dal loro territorio in violazione delle disposizioni nazionali o del regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio. Tale direttiva disciplinava anche i beni culturali classificati come patrimonio nazionale che fanno parte integrante delle collezioni pubbliche o degli inventari delle istituzioni ecclesiastiche, ma non rientrano in tali categorie comuni;
    la direttiva 93/7/CEE ha istituito una cooperazione amministrativa tra gli Stati membri per quanto riguarda i loro patrimoni nazionali, in stretto collegamento con la loro cooperazione con l'Interpol e altri organismi competenti nel settore delle opere d'arte rubate, prevedendo in particolare la registrazione di beni culturali perduti, rubati o usciti illecitamente e facenti parte dei loro patrimoni nazionali e delle loro collezioni pubbliche;
    la procedura prevista dalla direttiva 93/7/CEE ha costituito un primo passo verso la cooperazione tra Stati membri in questo settore nell'ambito del mercato interno, al fine di un ulteriore riconoscimento reciproco delle legislazioni nazionali in materia;
    il regolamento (CE) n. 116/2009, insieme alla direttiva 93/7/CEE, ha introdotto un sistema dell'Unione per la tutela dei beni culturali degli Stati membri;
    l'obiettivo della direttiva 93/7/CEE era di assicurare il rientro materiale dei beni culturali nello Stato membro dal cui territorio tali beni erano usciti illecitamente, a prescindere dai diritti di proprietà applicabili a tali beni. L'applicazione di tale direttiva ha, tuttavia, messo in luce i limiti del sistema destinato a ottenere la restituzione di tali beni culturali. Le relazioni sull'applicazione della direttiva ne hanno rivelato una scarsa applicazione a motivo, in particolare, della ristrettezza del suo ambito di applicazione risultante dalle condizioni stabilite nel suo allegato, dei termini brevi per l'avvio di un'azione di restituzione e dei costi legati alle azioni di restituzione;
    l'ambito di applicazione della direttiva dovrebbe estendersi a qualsiasi bene culturale classificato o definito da uno Stato membro, in applicazione della legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, come patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale ai sensi dell'articolo 36 TFUE;
    la direttiva dell'Unione europea contempla pertanto beni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico o valore scientifico, siano essi parte di collezioni pubbliche o di altro tipo oppure singoli elementi, siano essi provenienti da scavi regolari o clandestini, purché siano classificati o definiti come patrimonio nazionale. Inoltre, i beni culturali classificati o definiti come patrimonio nazionale non dovrebbero più appartenere a categorie o rispettare le soglie di antichità e/o di valore per poter essere restituiti a norma della presente direttiva;
    il rispetto della diversità dei sistemi nazionali di protezione dei patrimoni nazionali è riconosciuto dall'articolo 36 TFUE. Al fine di promuovere la fiducia reciproca, lo spirito di cooperazione e la mutua comprensione tra gli Stati membri, è opportuno determinare la portata del termine «patrimonio nazionale» nel quadro dell'articolo 36 TFUE;
    gli Stati membri dovrebbero, inoltre, facilitare la restituzione dei beni culturali nello Stato membro dal cui territorio detti beni sono usciti illecitamente a prescindere dalla data di adesione di tale Stato membro e dovrebbero garantire che la restituzione dei beni in questione non generi costi irragionevoli;
    gli Stati membri dovrebbero poter restituire beni culturali diversi da quelli classificati o definiti come patrimonio nazionale, a condizione che rispettino le disposizioni pertinenti TFUE, nonché beni culturali usciti illecitamente anteriormente al 1o gennaio 1993;
    è necessario intensificare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri per favorire un'applicazione più efficace e uniforme della direttiva. A questo fine, è opportuno imporre agli Stati di cooperare in modo efficiente tra di loro e di scambiarsi informazioni sui beni culturali usciti illecitamente attraverso l'uso del sistema di informazione del mercato interno («IMI») previsto dal regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio. Per migliorare l'attuazione della direttiva, è opportuno creare un modulo del sistema IMI specificamente concepito per i beni culturali. È altresì auspicabile che le altre autorità competenti degli Stati membri utilizzino, ove opportuno, lo stesso sistema;
    è stato ritenuto altrettanto opportuno portare il termine per esercitare l'azione di restituzione a tre anni a decorrere dalla data in cui lo Stato membro dal cui territorio il bene culturale è uscito illecitamente viene a conoscenza del luogo in cui si trova il bene culturale e dell'identità del suo possessore o detentore. L'estensione di tale termine dovrebbe facilitare la restituzione e scoraggiare l'uscita illecita di beni del patrimonio culturale. A fini di chiarezza, è opportuno precisare che il termine per esercitare l'azione comincia a decorrere dalla data in cui viene a conoscenza dei fatti l'autorità centrale dello Stato membro dal cui territorio il bene culturale è uscito illecitamente;
    nelle conclusioni sulla prevenzione e sul contrasto dei reati a danno dei beni culturali, adottate il 13 e 14 dicembre 2011, il Consiglio ha riconosciuto la necessità di adottare misure volte a rafforzare l'efficacia della prevenzione della criminalità relativa ai beni culturali e della lotta contro tale fenomeno. Ha raccomandato alla Commissione di prestare sostegno agli Stati membri per tutelare in modo efficace i beni culturali al fine di prevenirne e combatterne il traffico illecito e, ove opportuno, di promuovere misure complementari. Inoltre, il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri di prendere in considerazione la ratifica della convenzione dell'Unesco concernente le misure da adottare per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, firmata a Parigi il 17 novembre 1970, e della convenzione dell'Unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, firmata a Roma il 24 giugno 1995;
    le conseguenze dell'acquisizione di un bene culturale di provenienza illecita secondo la direttiva saranno davvero dissuasive solo se il pagamento dell'indennizzo è accompagnato dall'obbligo per il possessore del bene di dimostrare l'esercizio della diligenza richiesta;
    al fine di favorire un'interpretazione uniforme della nozione di diligenza richiesta, la direttiva si applica alla restituzione dei beni culturali classificati o definiti da uno Stato membro tra i beni del patrimonio nazionale, che sono usciti illecitamente dal territorio di tale Stato membro;
    la direttiva dispone e disciplina i seguenti significati:
     «bene culturale»: un bene che è classificato o definito da uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato membro, tra i beni del «patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale», secondo la legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, ai sensi dell'articolo 36 TFUE;
     «bene uscito illecitamente dal territorio di uno Stato membro»: un bene:
   a) uscito dal territorio di uno Stato membro in violazione delle norme di detto Stato membro sulla protezione del patrimonio nazionale oppure in violazione del regolamento (CE) n. 116/2009;
   b) non rientrato dopo la scadenza del termine fissato per una spedizione temporanea lecita o un bene che si trova in situazione di violazione di una delle altre condizioni di tale spedizione temporanea;
   c) «Stato membro richiedente»: lo Stato membro dal cui territorio è uscito illecitamente il bene culturale;
   d) «Stato membro richiesto»: lo Stato membro nel cui territorio si trova il bene culturale che è uscito illecitamente dal territorio di un altro Stato membro;
   e) «restituzione»: il rientro materiale del bene culturale nel territorio dello Stato membro richiedente;
   f) «possessore»: la persona che detiene materialmente il bene culturale per proprio conto;
   g) «detentore»: la persona che detiene materialmente il bene culturale per conto altrui;
   h) «collezioni pubbliche»: le collezioni, classificate come pubbliche conformemente alla legislazione di uno Stato membro, di proprietà di tale Stato membro, di un'autorità locale o regionale situata in tale Stato membro oppure di un ente che sia situato nel territorio di tale Stato membro, a condizione che il suddetto ente sia di proprietà di detto Stato membro o di un'autorità locale o regionale, oppure che sia finanziato in modo significativo dagli stessi;
    i beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro sono restituiti secondo la procedura e le modalità stabilite dalla direttiva;
    l'autorità centrale competente dello Stato membro richiedente informa senza indugio l'autorità centrale competente dello Stato membro richiesto in merito all'azione avviata per assicurare la restituzione del bene in questione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per la più rapida attuazione di tale direttiva, senza ulteriori indugi;
   ad assumere iniziative per l'applicazione delle norme contenute nella stessa direttiva per quanto riguarda i contenziosi, anche nelle more del recepimento della stessa direttiva;
   ad assumere iniziative per applicare i precetti di tale direttiva nel caso dei reperti di archeologia nuragica oggetto di denuncia per la vendita all'asta di Londra perseguendo la totale restituzione di tale patrimonio appartenente alla grande civiltà nuragica della Sardegna;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza nei confronti degli autori di eventuali violazioni della direttiva e a compiere un'azione urgente al fine di identificare e classificare in base alla direttiva tutti i beni sottratti al patrimonio culturale e illegittimamente detenuti e messi in vendita.
(7-00723) «Pisicchio, Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 giugno 2015 è scaduto il termine per adeguarsi al cosiddetto «cookie law», provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali che recepisce la direttiva 2009/136/CE, con l'intento di arginare la diffusione dei cosiddetti cookie di profilazione e che, seppur diretto principalmente ai grandi «big» di internet affinché fossero evitati abusi pubblicitari della privacy degli utenti della rete, ha finito con l'estendere gli obblighi di adeguamento a tutti i siti, sia a livello amatoriale che professionale, con sanzioni che superano i 100.000 euro;
   un cookie è un piccolo file di lettere e numeri che viene scaricato sui terminali utilizzati dagli utenti (personal computer, notebook, tablet pc, smartphone, e altro), quando si accede a certi siti web. I cookie consentono ad un sito web di riconoscere le preferenze espresse da un utente durante una precedente navigazione, quando torna a visitare quel sito. Un cookie di per sé non contiene né raccoglie informazioni. Tuttavia, quando viene letto da un server in relazione ad un browser di rete, può aiutare un sito web a offrire un accesso più facile, ad esempio, ricordando gli acquisti precedenti o i dettagli di un account;
   nel corso della navigazione su un sito, l'utente può ricevere sul suo terminale anche cookie che vengono inviati da siti o da web server diversi (cosiddetti «terze parti»), sui quali possono risiedere alcuni elementi (quali, ad esempio, immagini, mappe, suoni, specifici link a pagine di altri domini) presenti sul sito che lo stesso sta visitando;
   il provvedimento distingue tra i «cookies tecnici» (per i quali non è obbligatorio richiedere all'utente il preventivo consenso, mentre resta fermo l'obbligo di fornire l'informativa privacy) dai «cookies di profilazione» (che sono i più critici in termini di invasività e la cui operatività deve invece basarsi su un consenso esplicito, consapevole, informato e selettivo da parte degli utenti);
   la direttiva recepisce una normativa europea, ma la rende ancora più stringente e l'obbligo potrebbe rivelarsi controproducente, poiché basandosi sull'implementazione di un banner, rischia solo di infastidire l'utente, ovvero il soggetto da proteggere, che potrebbe finire col dare il proprio consenso senza informarsi in alcun modo, cliccando sul banner al solo fine di eliminarlo rapidamente e proseguire nella consultazione del sito senza ulteriori interruzioni;
   sembrerebbe che nel provvedimento diversa interpretabilità di alcuni passaggi stia rendendo difficile l'adeguamento e che questo corpus di obblighi complicato rischia di essere un grosso problema sulle spalle di piccole aziende, blogger e titolari di siti web amatoriali privi delle conoscenze tecniche per adeguarsi all'attuale normativa, come sostenuto anche dai promotori della petizione #Bloccailcookie secondo i quali: «Per essere in regola con la Cookie Law occorrono competenze informatiche o disponibilità economiche che non sono alla portata di tutti»;
   sembra non siano stati forniti dei fac-simile e delle linee guida precise, quindi si prospettano soluzioni spesso differenti tra loro, dovute a interpretazioni fornite da tecnici, studi legali o consulenti informatici (ICT), con il rischio concreto che nei diversi approcci all'adeguamento, possano scattare multe anche quando siano stati pagati consulenti per essere in regola;
   a causa del provvedimento «cookie law», per quanto riguarda le piccole e medie imprese, quelle attive nella pubblicità online, che rappresenta uno dei pochi settori in crescita in Italia, potrebbero avere maggiori difficoltà a svolgere il loro lavoro, oltre a dover spendere per aggiornare i propri siti web;
   per quanto riguarda i semplici blogger o titolari di siti amatoriali, come potrebbe essere anche un ragazzo con un blog con appunti scolastici, inserire un video di Youtube o il bottone «Like» di Facebook, li farebbe rientrare, secondo il Garante, nel provvedimento e, qualora si sbagliassero gli adeguamenti necessari, si potrebbe essere sanzionati con multe oltre i 100.000 euro;
   sembra che l'Unione europea stia riscrivendo la normativa sulla privacy e che essa sarà implementata il prossimo anno e pare diventerà parte del regolamento comunitario, uguale per tutti gli Stati membri; dunque, tra un anno potrebbe essere tutto da rifare, nonostante tutte le risorse economiche e di tempo impiegate per l'adeguamento alla «cookie law» –:
   se il Governo sia al corrente del problema espresso in premessa e se non abbia intenzione, per quanto di competenza, di fare chiarezza su una situazione che rischia di creare impedimento al settore dell’e-commerce che, nonostante la crisi economica in atto, è uno dei pochi settori in crescita in Italia, e possiede un grandissimo potenziale economico;
   in che modo il Governo abbia gestito l'adeguamento dei siti istituzionali di sua pertinenza e di pertinenza della pubblica amministrazione, e se non consideri possibile mettere a disposizione delle piccole e medie imprese, in difficoltà nell'ottemperare a quanto richiesto dalla direttiva di difficile comprensione e applicazione, l'esperienza maturata in tal senso, pubblicando le procedure seguite in modo da chiarire gli obblighi dovuti;
   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa, anche normativa, per contribuire a rendere più agevole e sicuro da parte dei titolari di siti, blog e affini l'adeguamento alla disciplina vigente, così evitando allarmismi e fraintendimenti;
   se non consideri necessario, assumere ogni iniziativa di competenza, per tutelare coloro che sono semplici blogger, titolari di siti amatoriali, per quanto riguarda la libera espressione e comunicazione su internet, e le piccole e medie imprese coinvolte, essendo il comparto produttivo maggiormente importante per il nostro Paese, già in grave difficoltà a causa della crisi. (4-09706)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, PLACIDO e SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 4 luglio 2015 ad Ancona, sono stati presentati i dati tecnici del monitoraggio effettuato da Legambiente lungo i 180 chilometri di costa marchigiana, nel corso della campagna Goletta Verde;
   i relatori Giorgio Zampetti (responsabile scientifico di Legambiente) e Francesca Pulcini (presidentessa di Legambiente Marche), alla presenza della responsabile servizio acque dell'Arpam Paola Tombolesi, hanno illustrato le risultanze dei prelievi e delle analisi di Goletta Verde, eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente tra il 15 e il 16 giugno scorso, dai quali sarebbe emerso che dei dodici punti monitorati nove risultano essere «fortemente inquinati»;
   nello specifico si tratta dei punti situati alla foce del fiume Tavollo a Gabicce Mare in provincia di Pesaro; alla foce del fiume Arzilla a Fano; alla foce del canale stazione Torrette di Ancona; alla foce del fiume Musone tra i comuni di Porto Recanati e Numana; alla foce del fosso Asola al confine tra comuni di Potenza Picena e Civitanova Marche; alla foce del torrente Valloscura tra i comuni di Porto San Giorgio e Fermo; alla foce del torrente Tesino a Grottammare; alla foce del torrente Albula a San Benedetto del Tronto; al canale di scolo che porta dritto alla spiaggia in zona Ponte Rosso a Senigallia; mentre risulta essere qualificato come «inquinato» il punto di prelievo sulla spiaggia nei pressi della foce del Fosso del Palo, a Porto Sant'Elpidio –:
   se il Ministro interrogato non intenda, nell'ambito delle proprie competenze in ordine alle attività di monitoraggio dello stato dell'ambiente marino, promuovere delle ispezioni del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare i livelli di inquinamento sui punti indicati in premessa;
   in caso di esito confermativo, quali misure intenda adottare, nell'ambito delle proprie funzioni, per intervenire sugli allarmanti livelli di inquinamento segnalati. (5-05984)


   DURANTI, PELLEGRINO e PIRAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Castellaneta (Taranto), con l'atto di giunta comunale n. 76 del 4 giugno 2015, ha deliberato di voler affidare per 3 anni un «Servizio di vigilanza e salvataggio per le spiagge libere comunali e servizi connessi»;
   il comune di Castellaneta risulta non aver ancora approvato il «piano comunale delle coste» (PCC) che deve essere conforme al «piano regionale delle coste» (PRC), così come previsto dalla legge regionale n. 17 del 10 aprile 2015 agli articoli 3 e 4;
   fino alla approvazione del piano comunale delle coste, nella pianificazione della concessione di servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere, bisogna attenersi a quanto previsto dal piano regionale delle coste così come previsto dall'articolo 15 della legge regionale n. 17 del 2015;
   il bando deliberato con l'atto di giunta n. 76 presenterebbe alcuni profili di dubbia regolarità: mancato chiarimento della tipologia di concessione posta in essere, in riferimento a quanto previsto dal piano regionale delle coste; mancata specifica del «capitolato d'oneri», nel quale devono essere specificate le modalità di aggiudicazione del servizio, ivi comprese restrizioni e/o agevolazioni; inesistenza di un piano comunale delle coste che definisca le percentuali di spiaggia privata e libera esistente sulla base delle precedenti concessioni, con la conseguente impossibilità di valutare il rispetto delle quote previste nella misura del 40/60 per cento di spiaggia pubblica per il servizio di spiaggia libera attrezzata (articolo 14, commi 5, 6, 7, legge regionale n. 17 del 2015); pubblicazione del bando senza il rispetto dei quindici giorni previsti dall'articolo 8, comma 4 legge regionale n. 17 del 2015; mancanza agli atti pubblici di un capitolato di appalto che determini le condizioni utili alla aggiudicazione dell'appalto;
   nel bando deliberato dalla giunta comunale di Castellaneta, al punto 4, viene previsto il livellamento dell'arenile per la posa in opera del manufatto coperto di metri quadrati 20, nonostante la costa di Castellaneta Marina sia individuata nel piano regionale delle coste con fattore di erosione medio/alta con coefficiente 50. Di conseguenza, nessuna nuova concessione può essere data o modificata previa attestazione della stabilizzazione del fattore di erosione tramite PCC;
   la marina della zona di Castellaneta (Taranto), è completamente «zona di protezione speciale» (ZPS) e «sito di importanza comunitaria» (SIC), ed in base a quanto a previsto dall'articolo 14 della legge regionale n. 17 del 2015 è espressamente vietato bandire nuove concessioni, salvo il parere favorevole della «valutazione d'impatto ambientale» (VIA) –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per tutelare le zone ZPS e SIC interessate. (5-05988)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ARTINI, BALDASSARRE e BARBANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla testata Marine Corps Time a partire dal prossimo autunno reparti del US Marine Corps saranno imbarcati a bordo di unità navali di Paesi alleati schierate nel Mediterraneo;
   l'iniziativa, denominata Allied Maritime Basing Initiative (AMBI) è stata avviata dal US Department of Defence per fronteggiare la scarsità di navi anfibie statunitensi dispiegate nel Mediterraneo, causata dall'esigenza di mantenere una maggiore presenza di questo tipo in Asia, con la conseguente rimozione dal Mediterraneo della Marine Expeditionary Unit tipicamente presente;
   secondo quanto dichiarato dal portavoce dei Marines in Europa e Africa, capitano Richard Ulsh, la prima nave europea ad essere impiegata per il preposizionamento di unità dell’US Marine Corps nell'abito dell'AMBI sarà la nave ammiraglia italiana Cavour, che ospiterà unità dei Marines e relativi mezzi, armi ed equipaggiamenti a partire dal mese di settembre 2015;
   al Cavour, seguirà a novembre la nave anfibia Ocean della Royal Navy e, in seguito, si aggiungeranno anche navi fornite da Spagna, Francia e Olanda;
   la nave Cavour ospiterà anche alcuni convertiplani e, a questo proposito, il capitano Ulsh ha affermato che sarà necessario valutare la compatibilità delle navi europee per accertarsi che siano in grado di gestire il peso e il calore generato dai convertiplani, nonché la compatibilità degli ascensori e degli hangar; pertanto, a settembre, alcuni convertiplani tipo MV-22B Osprey dell'USMC saranno impegnati nella conduzione di test a bordo della nave Cavour;
   il capitano Ulsh ha dichiarato che i test sulla nave Cavour saranno effettuati prima dello svolgimento della grande esercitazione Trident Juncture;
   Trident Juncture si terrà tra il 1o ottobre e il 6 novembre 2015 in Italia, Spagna e Portogallo e porterà alla validazione della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la nuova componente della NATO Response Force costituita principalmente quale strumento impiegabile nell'ambito dell'attuale scenario di crisi con la Russia;
   all'esercitazione Trident Juncture parteciperanno anche elementi della Special Purpose Marine Air-Ground Task Force-Crisis Response-Africa (SP-MAGTF), forza dell’US Marine Corps composta da circa 1.700 militari e attualmente basata a terra e suddivisa tra Spagna, Italia e Romania;
   secondo il Marine Corps Time, le unità imbarcate sulle navi europee saranno probabilmente appartenenti alla SP-MAGTF –:
   se trovi conferma quanto riportato riguardo al dispiegamento di unità dell’US Marine Corps a bordo della nave Cavour in un periodo in cui la stessa ammiraglia della flotta italiana sarà impegnata a guidare la missione EU NAVFOR Med e, in caso affermativo, a quale catena di comando risponderanno i militari statunitensi imbarcati sulla nave della Marina militare. (4-09701)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento del 21 giugno 2012 n. 23670 l'Autorità garante per la concorrenza ha deliberato di autorizzare l'operazione di concentrazione consistente nell'acquisizione da parte di Compagnia italiana di navigazione S.r.l. (CIN) – società costituita allo scopo di partecipare alla procedura ad evidenza pubblica per la privatizzazione di Tirrenia, il cui capitale è detenuto al 40 per cento da Moby, al 30 per cento dal 19, al 20 per cento da Gruppo Investimenti Portuali GIP spa, al 10 per cento da Shipping Investment srl – del ramo d'azienda di Tirrenia di Navigazione spa in amministrazione straordinaria preposto alla fornitura del servizio di trasporto marittimo di passeggeri e merci tra l'Italia continentale e le isole maggiori e minori, prescrivendo, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 287 del 1990, una serie di misure;
   l'operazione, infatti, come espressamente motivato nel provvedimento, avrebbe comportato importanti effetti strutturali sui mercati interessati, determinandosi, in capo all'entità post-merger quote di mercato particolarmente elevate sia nel trasporto passeggeri che nel trasporto merci;
   tra le misure prescritte vi erano, in particolare, le misure d) ed e) di seguito riportate:
    «... d) Moby e CIN, con riferimento al periodo 2012 – 2016, non devono stipulare, o devono rescindere con effetto immediato dalla data di autorizzazione della presente operazione, accordi di code-sharing e qualsiasi altra tipologia di accordo finalizzato alla commercializzazione dei titoli di viaggio che intercorra con operatori concorrenti, o con soggetti a questi riconducibili, relativamente alle rotte Civitavecchia – Olbia, Genova – Porto Torres e Genova – Olbia;
    e) Nella stagione estiva 2012, Moby e CIN, per le rotte Civitavecchia-Olbia, Genova – Porto Torres e Genova – Olbia, devono applicare livelli tariffari, al netto dei migliori prezzi risultanti dall'applicazione delle politiche promozionali di cui al punto g), tali da mantenere invariato il ricavo medio unitario realizzato da Moby nella stagione estiva 2009 sulle rotte indicate, fatto salvo un incremento diretto a neutralizzare gli effetti derivanti dalla variazione nel periodo del prezzo medio del carburante “BTZ” (inteso come prezzo Platt's) dato dalla differenza tra la media del costo del carburante del 2009 e la media rilevata nel primo trimestre del 2012»;
   compagnia Italiana di Navigazione srl, (CIN) era stata costituita allo scopo di partecipare alla procedura ad evidenza pubblica per la privatizzazione di Tirrenia. Il capitale di CIN è attualmente detenuto interamente da Onorato Partecipazioni srl;
   Tirrenia di Navigazione spa in amministrazione straordinaria è stata la società pubblica che ha svolto storicamente il servizio di trasporto marittimo di passeggeri e merci tra l'Italia continentale e le isole maggiori – Sardegna e Sicilia – assolvendo teoricamente, in base a un regime di convenzione con lo Stato italiano scarsamente definito, ad obblighi di servizio pubblico a fronte di specifici sussidi. Tirrenia era a capo dell'omonimo gruppo armatoriale, attualmente controllato dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso Fintecna – Finanziaria per i settori industriale e dei servizi spa. La società opera attualmente sulla base di una convenzione stipulata tra Tirrenia e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   Moby spa è una società controllata congiuntamente dall'armatore Vincenzo Onorato, al quale è riferibile oltre il 60 per cento del capitale sociale, e da L19 spa (di seguito L19), con il 32 per cento del capitale sociale, quest'ultima indirettamente controllata da Clessidra SGR spa 3. Moby è a capo di un gruppo attivo principalmente in Italia nel settore del trasporto marittimo di linea di passeggeri, con o senza veicoli, e di merci (cosiddette navi ro – pax). Nel 2010 il fatturato complessivo di Moby è stato pari a 263,8 milioni di euro, realizzato quasi interamente in Italia;
   Onorato Partecipazioni srl è una società di partecipazioni che controlla, tra le altre, la società di navigazione Moby. Il fatturato di OP nel 2010 è stato pari a 2,58 milioni di euro, interamente realizzato in Italia;
   Clessidra SGR spa (di seguito, Clessidra SGR), integralmente controllata dal fondo di private equity Clessidra Capital Partners II, è attiva nel settore dei servizi finanziari e, in particolare, nell'istituzione e gestione di fondi di private equity, tra i quali figura L19 spa (di seguito L19), che assumerà il controllo congiunto di CIN insieme a Moby. Il fatturato realizzato nel 2010 da Clessidra SGR e dai fondi di investimento di tipo chiuso da essa istituiti e gestiti risulta pari a circa [1-2] miliardi di euro a livello mondiale, di cui [1-2] miliardi di euro nell'Unione europea e 1.112 milioni di euro in Italia;
   nel maggio 2011 l'acquisizione di Tirrenia da parte di CIN è stata notificata per la prima volta all'Autorità. Tuttavia, a seguito del trasferimento delle partecipazioni di OP e Marinvest rispettivamente alle controllate Moby e Grandi Navi Veloci spa (GNV), l'operazione di concentrazione ha assunto dimensione comunitaria, ed è stata quindi notificata alla Commissione europea nel novembre del 2011;
   la Commissione europea ritenendo che la concentrazione proposta sollevasse «seri dubbi in ordine alla sua compatibilità con il mercato interno», ha avviato nel gennaio 2012 il procedimento ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lett. c) del Regolamento CE n. 139 del 2004. A seguito della intervenuta modifica della originaria compagine azionaria di CIN, e in particolare dell'uscita dei soci Grimaldi e Marinvest, le cui partecipazioni sono state acquisite da OP, le parti hanno comunicato nell'aprile 2012 alla Commissione europea il ritiro della notifica;
   il capitale di CIN inizialmente detenuto interamente da Onorato Partecipazioni, la quale, in base agli accordi sottoscritti dalle parti e subordinatamente al rilascio dell'autorizzazione dell'Autorità antitrust italiana, a seguito dell'operazione, ha ceduto le seguenti partecipazioni: 1) una partecipazione pari al 40 per cento a Moby; 2) una partecipazione pari al 30 per cento a L19; 3) una partecipazione pari al 20 per cento a Gruppo Investimenti Portuali GIP spa; 4) una partecipazione pari al 10 per cento a Shipping Investment srl;
   l'Autorità garante per la Concorrenza si è ripetutamente occupata dell'operazione Tirrenia – Cin, riscontrando il rischio della creazione di una posizione dominante in capo a CIN, in particolare sulle rotte ove si verifica una sovrapposizione dell'operatività di Moby e Tirrenia – ovvero sulle rotte Genova – Porto Torres, Genova – Olbia, Civitavecchia – Olbia, prevalentemente per il trasporto passeggeri, e Genova – Olbia, Civitavecchia – Olbia e Livorno – Cagliari, per il trasporto merci;
   tale posizione dominante appare evidente, da un lato, per la scarsa capacità degli operatori concorrenti attuali di esercitare un'efficace pressione competitiva, e, dall'altro, dell'esistenza di barriere alla possibilità di ingresso di altri soggetti sulle rotte interessate a causa della congestione delle banchine nei porti di partenza e destinazione, in particolare nelle stagioni e negli orari di punta;
   oggetto dell'operazione Tirrenia – Cin riguarda il trasporto marittimo di passeggeri, veicoli e merci tra l'Italia peninsulare e la Sardegna;
   nello specifico, si considerano rilevanti ai fini della valutazione dell'operazione in esame le rotte per le quali si verifica una sovrapposizione tra le attività delle Parti. Si tratta, in particolare, delle seguenti rotte dedicate prevalentemente al trasporto passeggeri, con o senza veicoli:
    Genova – Porto Torres;
    Genova – Olbia;
    Civitavecchia – Olbia;
   e di quella dedicata prevalentemente al trasporto merci;
    Livorno – Cagliari;
   nell'istruttoria avviata nel 2012 svolta dall'autorità garante per la concorrenza veniva rilevata la seguente condizione di mercato:
   «Tirrenia rappresenta l'operatore storico nel trasporto marittimo nazionale, che, come ricordato, ha adempiuto negli ultimi anni agli Obblighi di Servizio Pubblico previsti dalla convenzione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Per tale ragione, la sua presenza risulta prevalente sulle rotte tradizionali di collegamento tra la Sardegna e l'Italia peninsulare (Civitavecchia – Olbia e Genova – Porto Torres), con quote che si attestano intorno al 50 per cento, mentre Moby risulta l'operatore più importante sulla rotta Genova – Olbia. Nel 2011, il concorrente GNV era presente su tutte e tre le rotte, mentre Forship operava solo sulla rotta Civitavecchia – Golfo Aranci, e Saremar sulle due rotte tradizionali Civitavecchia – Olbia e Genova Porto Torres;
   per quanto riguarda il trasporto di merci da/per la Sardegna, come emerge dalla Tabella 3, Tirrenia risulta indiscutibilmente l'operatore dominante sulle rotte ro – pax Civitavecchia – Olbia e Genova – Porto Torres, con quote superiori a [70-80 per cento], in volume e valore; mentre Moby risulta il primo operatore sulla rotta Genova – Olbia, con quote superiori a [50-55 per cento] in volume e valore. A seguito dell'operazione l'entità post-concentrazione deterrà quote ampiamente superiori a [70-80 per cento] per il trasporto passeggeri su tutte e tre le rotte ro – pax (Civitavecchia – Olbia, Genova – Olbia e Genova – Porto Torres) e una quota del 100 per cento sulla rotta merci Livorno – Cagliari;
   sempre in riferimento alla situazione di mercato rilevata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel 2012 era emerso che i concorrenti GNV e Forship hanno deciso di non operare, già dalla stagione in corso, sulla rotta Civitavecchia – Olbia (ro – pax) sulla quale quindi erano risultati presenti unicamente, la nuova entità post-concentrazione, con CIN/Tirrenia e Moby, e la società concorrente Saremar, oggi oggetto di procedura di fallimento;
   l'operazione di privatizzazione di Tirrenia ha prodotto una gravissima alterazione della concorrenza nel cabotaggio marittimo, con la creazione di un ristrettissimo oligopolio collusivo in pregiudizio per la collettività sarda e per gli utenti in generale;
   l'operazione ha determinato importanti effetti strutturali sui mercati interessati;
   secondo quanto rilevato dall'Autorità garante risultano in capo all'entità post-merger quote di mercato particolarmente elevate: infatti, per il trasporto passeggeri, sulla rotta Civitavecchia – Olbia, è ascrivibile alle Parti, nel 2011, una quota complessiva di mercato pari a [70-80 per cento] sulla rotta Genova – Olbia, una quota pari a [70-80 per cento], sulla rotta Genova – Porto Torres, una quota pari a [70-80 per cento]; quanto al trasporto merci, sulla rotta solo merci Livorno – Cagliari la quota di mercato in valore attribuibile alle Parti era nello stesso anno del 100 per cento e sulle altre tre rotte interessate le quote erano ampiamente superiori a [70-80 per cento], con livelli in alcuni casi vicini a [90-100 per cento];
   risultava praticamente irrisoria e irrilevante la pressione concorrenziale che sarebbe potuta essere esercitata dai concorrenti;
   concorrenti che all'atto della cessione di Tirrenia a Cin detenevano sulle rotte interessate posizioni di mercato non confrontabili a quelle di CIN/Moby: nel mercato del trasporto passeggeri, in particolare, il secondo operatore, GNV, deteneva nel 2011 quote inferiori a [25-30 per cento] su tutte le rotte, mentre il terzo, Forship, che operava solo sulla rotta Civitavecchia – Olbia, e il quarto, Saremar, che operava sulla Vado Ligure – Porto Torres e sulla Civitavecchia – Olbia, non superavano nello stesso anno il [5-10 per cento] ciascuno;
   le quote in capo all'operatore post-merger risultano inoltre ancora più elevate nella stagione in corso sulla rotta Civitavecchia – Olbia a seguito dell'uscita dal mercato, a partire dal 2012, dei concorrenti GNV e Forship, che vi operavano in precedenza;
   in relazione alla stagione estiva – decorrente dal 1o giugno al 30 settembre di ogni anno – l'Autorità garante faceva rivelare che, in ragione della sospensione del regime convenzionale, nella valutazione dell'operazione devono prendersi in considerazione con maggiore attenzione gli effetti sui consumatori derivanti dalla completa autonomia commerciale esistente in capo alla nuova entità risultante dalla concentrazione;
   in relazione a modifiche statutarie intervenute in data 18 giugno 2015 e alla definizione del contratto di cessione dell'intero pacchetto azionario e/o di una parte rilevante e ampiamente maggioritario al gruppo Onorato sono profondamente modificate le condizioni iniziali relative all'impatto dell'avvenuta concentrazione rispetto al mercato sia passeggeri che merci operante nelle rotte da e per la Sardegna;
   le norme disciplinano gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni di imprese;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non rientri nell'ambito di applicazione di propria, ne informa la Commissione delle Comunità europee, cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso;
   in base alle norme vigenti sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari;
   tali intese sono vietate tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:
    a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
    b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
    c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
    d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
    e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi;
   le intese vietate, secondo le norme, sono nulle ad ogni effetto;
   la normativa vigente vieta l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato:
    a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
    b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
    c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
    d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi;
   la normativa disciplina altresì le operazioni di concentrazione che si realizzano:
    a) quando due o più imprese procedono a fusione;
    b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;
    c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune;
   la norma in materia di operazioni di concentrazione soggette a comunicazione prevede che l'Autorità valuti se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza;
   l'Autorità una volta accertata la concentrazione la vieta ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze;
   secondo il sottoscritto interrogante nei collegamenti marittimi da e per la Sardegna di sta di fatto costituendo un rilevante monopolio, senza nessuna concorrenza, che risulta di fatto gravemente condizionata sia dall'assetto attuale di Cin che da quello futuro considerato l'utilizzo di ingenti risorse pubbliche, oltre 73 milioni di euro, che di fatto alimenteranno tale monopolio a scapito di qualsiasi altra concorrenza;
   risulta ancora non riscontrabile il contenuto degli atti depositati il 22 giugno 2015 dal notaio Carlo Marchetti alla camera di commercio di Cagliari relativi ai rapporti societari tra la Cin e i suoi soci;
   si tratta da quanto si evince dalla sommaria registrazione degli atti e a quanto consta all'interrogante che sarebbero intervenute modifiche statutarie, con particolare riferimento al rapporto tra soci e le prelazioni;
   le registrazioni notarili alla camera di commercio risultano essere due: la prima il 16 giugno scorso, per modifiche statutarie e la seconda il 18 giugno con una registrazione alla camera di commercio di Cagliari;
   il gruppo Onorato avrebbe ratificato il passaggio del nuovo pacchetto azionario in seguito alla definizione di apposita intesa finanziaria con il fondo americano Och Ziff che fornirebbe le risorse necessarie tramite le quali saranno rilevate le azioni in mano al private equity Clessidra e agli azionisti di minoranza di Tirrenia, Luigi Negri e Francesco Izzo;
   l'operazione prevederebbe che il fondo americano, assistito dagli advisor di Bluebell Partners, conceda un prestito da 100 milioni di euro sufficienti ad acquisire il pieno controllo sia di Moby che della stessa Tirrenia;
   l'operazione sarebbe stata siglata anche negli aspetti finanziari: a Clessidra andranno 80 milioni di euro, agli altri soci di Tirrenia 20 milioni di euro;
   tale operazione comporta, rispetto alle stesse analisi elaborate dalla stessa Autorità garante della concorrenza una concentrazione in un unico soggetto di oltre il 90 per cento del fatturato e del mercato;
   le misure adottate dall'autorità garante per la concorrenza relative al 2012 solo parzialmente sono state messe in essere, a partire dal ridimensionamento dei costi dei biglietti che continua a generare l'effetto più evidente e grave della concentrazione e della posizione dominante che già si verificava nel precedente assetto:
   nella giornata del 7 luglio 2015, secondo quanto consta all'interrogante, sarebbe stata fissata la firma dell'atto di acquisizione dell'interno pacchetto azionario di Cin da parte del gruppo Onorato avviando, se non giuridicamente, ma certamente sul piano sostanziale una fusione societaria che tendenzialmente secondo l'interrogante aggraverà la posizione dominante e rafforzerà ulteriormente la concentrazione limitando ulteriormente la già ridotta concorrenza sul settore –:
   se non ritenga di dover intervenire immediatamente, per quanto di propria competenza, considerato il rilevante contratto di servizio pubblico di cui la Cin è beneficiaria, al fine di valutare se tale operazione non pregiudichi l'interesse pubblico e le stesse condizioni iniziali imposte dalla Commissione europea allo Stato italiano per la definizione dell'operazione di privatizzazione;
   se il Governo sia stato interpellato sulla vicenda societaria e se i dicasteri competenti abbiano in qualche modo dato un assenso, formale e/o politico/istituzionale ad un'operazione che riguarda una società la cui prerogativa principale è quella dello svolgimento di un servizio pubblico per conto dello Stato stesso;
   se non ritenga che, in considerazione delle mutate condizioni iniziali societarie, e il venir meno sostanziale del rispetto del principio della concorrenza, non si debba recedere dal contratto in base all'articolo 15 della convenzione e definire l'assegnazione del contributo attraverso procedure trasparenti di evidenza pubblica che possano garantire un abbattimento dei costi e il miglioramento del servizio. (5-05986)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015, al comma 657 dell'articolo 1, stabilisce il raddoppio, dal 4 per cento all'8 per cento, della ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dai beneficiari all'atto dell'accredito dei pagamenti relativi ai bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d'imposta;
   una tale disposizione ha duramente colpito il settore degli artigiani e delle piccole imprese di ristrutturazione poiché si configura sostanzialmente come un ennesimo prelievo a carico delle imprese edili ed impiantistiche;
   come hanno denunciato il rappresentate di categoria delle imprese edili artigiane, Claudio Dorigo, e il presidente Confartigianato di Pordenone, Silvano Pascolo: «Nella legge di stabilità spunta un altro “prelievo” a carico delle imprese edili ed impiantistiche. Si tratta del raddoppio della ritenuta fiscale sui bonifici bancari per le operazioni di ristrutturazione ed efficientamento energetico eseguiti dalle imprese, che passerebbe da 4 all'8 per cento. Significherebbe azzerare il reddito delle aziende»;
   sembrerebbe, quindi, che per compensare le agevolazioni fiscali, ritenute comunque legittime dalle associazioni di categoria, il Governo abbia cercato di ammortizzare la spesa prelevando alla fonte una quota importante di risorse, senza tenere in conto che già il prelievo al 4 per cento rappresentava una percentuale importante sui profitti di piccole imprese e professionisti;
   una piccola impresa di ristrutturazione, infatti, ha mediamente un margine di profitto del 20 per cento sull'esecuzione dei lavori: al cresciuto onere della ritenuta fiscale sui bonifici bancari, raddoppiato dal 4 all'8 per cento, si deve poi sommare il costo dell'imposta sul valore aggiunto, che per i privati ammonta al 10 per cento;
   in seguito all'entrata in vigore di questa nuova disposizione, sono quindi aumentante in maniera esponenziale le difficoltà economiche di molte piccole imprese e artigiani, già fortemente gravate dalla crisi, che, di conseguenza, saranno costretti a ridurre le spese, partendo proprio dal taglio del costo del lavoro dei dipendenti, attivando una tragica spirale di disoccupazione e retrocessione in tutto il comparto;
   alternativamente, l'unico modo per sostenere i nuovi aggravi e non tagliare i posti dei dipendenti, sarà quello di aumentare proporzionalmente i prezzi per i clienti, con considerevole pregiudizio di questi e perdita di concorrenzialità;
   l'obiettivo di questa norma non sembra quindi essere stata centrata perché non si stima che il raddoppio della ritenuta fiscale sui bonifici possa portare benefici alla lotta all'evasione fiscale, in quanto era già previsto che il contribuente potesse usufruire del bonus di ristrutturazione esclusivamente mediante pagamento con bonifico bancario, profilandosi invece come una mero ed ulteriore aumento di un onere fiscale per accrescere il gettito erariale –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga necessario intervenire, attraverso opportune iniziative normative, al fine di riportare il prelievo della ritenuta fiscale sui bonifici bancari al livello vigente prima dell'entrata in vigore della normativa in merito contenuta nella legge di stabilità 2015, al fine di evitare le complesse ed onerose conseguenze che si stanno già verificando nel comparto in oggetto, come specificato in premessa. (4-09702)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il patto di stabilità e crescita, introdotto con la legge 23 dicembre 1998, n. 448, trae origine dal processo di integrazione economica e monetaria dell'Unione europea e non riguarda soltanto gli Stati nazionali ed i loro equilibri finanziari, ma coinvolge tutto il sistema delle autonomie territoriali;
   tra i comuni italiani che hanno sforato il patto di stabilità c’è quello di Venezia; lo sforamento è avvenuto per circa 60 milioni di euro e le politiche messe in atto dagli amministratori locali, non potendo derogare alla normativa vigente in materia, alcune volte assumono caratteri paradossali. Esempio, tra gli altri, la delibera n. 200 del 26 maggio 2015, del commissario straordinario pro tempore, Vittorio Zappalorto. Grazie alla quale a partire dal 1o luglio 2015 i cittadini di Venezia, si sono visti modificare e aumentare il costo del biglietto e dell'abbonamento per i servizi di trasporto pubblico locale del bacino territoriale omogeneo veneziano;
   in questo caso, con assoluta franchezza, nelle premesse della delibera n. 200 del 2015 si afferma come «le difficoltà finanziarie del bilancio comunale non consentano attualmente di disporre delle risorse necessarie per far fronte alle conseguenze prodotte sul territorio comunale dal sistema complessivo della mobilità, sottoposto ad una crescente pressione da parte dei flussi turistici» e che pertanto viene «considerata la necessità di reperire a favore del bilancio comunale risorse aggiuntive già a decorrere dal corrente anno, attraverso l'attribuzione in via sperimentale di una quota parte degli introiti tariffari percepiti nella gestione dei suddetti servizi...»;
   in questo modo, e in maniera paradossale, l'aumento dei titoli di viaggio verrà incamerato dall'amministrazione di Venezia al fine di risanare il proprio bilancio senza che un solo euro venga destinato a migliorare la qualità del servizio pubblico locale. In tal modo si configura l'inammissibile situazione di cittadini residenti in comuni diversi e limitrofi a quello di Venezia, costretti loro malgrado a ripianare il deficit di un'amministrazione a cui non appartengono a causa di un'unilaterale decisione del comune di Venezia che ha il solo fine di procurarsi un indebito beneficio;
   il contratto di servizio per il trasporto pubblico locale, all'articolo 9, comma 3, prevede che sino alla determinazione delle tariffe da parte della giunta regionale, l'affidatario è tenuto al rispetto del sistema tariffario adottato dall'ente affidante, che potrà essere aggiornato ai sensi dell'articolo 27, comma 3 della legge regionale n. 25 del 1998, tenuto conto delle agevolazioni tariffarie di cui all'articolo 49, comma 7;
   inoltre, l'articolo 117 del T.U. n. 267 del 2000 stabilisce che le tariffe dei servizi pubblici in quanto corrispettivi dei servizi medesimi siano determinate ed adeguate annualmente dagli enti interessati, in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della connessa gestione;
   appare evidente all'interrogante che l'aumento tariffario non sia stato concordato con la giunta della regione Veneto e non risponda alle finalità del testo unico n. 267 del 2000, poiché gli introiti sono interamente finalizzati al ripiano del deficit del comune di Venezia e non al miglioramento della rete di trasporto e/o della qualità del servizio reso agli utenti;
   un provvedimento questo che incide in maniera significativa sulle tasche degli utenti dei mezzi pubblici: si tratta di un vero e proprio salasso poiché gli aumenti sono dei 20 per cento circa e riguardano sia gli abbonamenti sia la corsa semplice;
   va, se così si può dire, ancora peggio ai pendolari che dai comuni della provincia raggiungono il capoluogo, perché i nuovi rincari vanno ad aggiungersi a quelli già scattati nel mese di maggio 2015 sulle tariffe extraurbane. Ora per salire a bordo dei vaporetti o dei mezzi urbani devono pagare il doppio ogni mese, 20 euro da sommare all'altro abbonamento –:
   se il Governo non ritenga di dover porre in essere ogni iniziativa di competenza per allentare il patto di stabilità evitando nel contempo situazioni a dir poco paradossali;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ritenga di dover assumere iniziative per destinare risorse aggiuntive al trasporto pubblico locale e avviare un tavolo di confronto istituzionale sul tema, tenuto conto in particolare della situazione del comune di Venezia. (4-09704)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 2015, in attuazione delle previsioni dell'articolo 1, comma 94, della legge di stabilità 2014, ha ritrasferito all'articolazione periferica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, facente capo alla direzione generale per la motorizzazione, le competenze nonché le funzioni e gli adempimenti tecnico-formali connessi alla gestione degli albi provinciali degli autotrasportatori, precedentemente delegati alle province;
   il menzionato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 2015, oltre a dare attuazione alle previsioni di legge, ha avuto seguito nell'accordo nella conferenza unificata Stato — regioni — autonomie locali del 23 aprile 2015 che, tra le altre cose, prevedeva una fase di transizione dagli uffici delle province alle motorizzazioni della durata di sei mesi;
   contrariamente a quanto stabilito circa la necessità di garantire un periodo di sei mesi di transizione, il trasferimento è stato attivato il 4 maggio 2015, con l'improvvisa sospensione dei servizi e delle attività svolte sino ad allora dalle province e con la conseguente impreparazione delle motorizzazioni civili a garantire la continuità del servizi;
   la nuova ripartizione organizzativa e territoriale degli albi provinciali degli autotrasportatori, ha da subito messo in luce molteplici criticità derivanti dall'inadeguatezza dell'articolazione delle motorizzazioni civili a farsi carico di nuove e delicate mansioni a fronte di una già preesistente situazione di grave sottodimensionamento degli organici e delle dotazioni strumentali;
   questo stato di cose ha determinato un grave rallentamento, se non un totale blocco, delle attività connesse alla gestione degli albi provinciali degli autotrasportatori, con situazioni di particolare criticità e gravità in alcune regioni d'Italia;
   nella fattispecie, si sottolinea che le quattro motorizzazioni civili, corrispondenti ai territori delle province della Sardegna, già in difficoltà nello svolgimento degli adempimenti connessi alla previgente gestione, hanno tempi di disbrigo delle nuove pratiche, derivanti dal trasferimento di competenze, che mal si conciliano con la regolarità operativa di un'azienda di autotrasporti;
   l'inefficienza e i ritardi delle articolazioni della motorizzazione civile sarebbero determinati, non solo dalla grave carenza di organico, ma anche dalla mancanza di personale adeguatamente formato per assolvere alle nuove competenze oggetto del trasferimento;
   sembrerebbe che le motorizzazioni civili della Sardegna non siano attrezzate per assolvere ad alcuni adempimenti di primaria importanza per la sopravvivenza di un'azienda di autotrasporti;
   risulterebbe infatti che, in alcune motorizzazioni, come quella di Sassari, per prenotare la revisione annuale cui deve essere sottoposto un veicolo per l'autotrasporto, ci sarebbero liste d'attesa di un anno, mentre risulterebbe anche più critica la situazione delle altre motorizzazioni;
   questo stato di cose, oltre a determinare legittime preoccupazioni sulle condizioni di sicurezza di un veicolo non sottoposto a periodica revisione, pone in serie difficoltà gli autotrasportatori per le limitazioni cui sarebbe sottoposto il loro veicolo per effetto della ritardata revisione;
   è appena il caso di rilevare che, con la sola prenotazione, quindi in assenza di una revisione compiuta con esiti positivi, il veicolo non può circolare all'estero, ma solo nel territorio italiano, con una forte riduzione delle potenzialità operative dell'impresa di autotrasporti e con una significativa riduzione del giro d'affari;
   anche nel caso di circolazione nel territorio italiano del veicolo provvisto unicamente di prenotazione, con revisione scaduta, permangono forti perplessità sulla completa regolarità del mezzo e della prenotazione stessa quale documento sostitutivo della revisione, per quanto concerne il comportamento e le valutazioni in merito da parte delle forze di polizia, nonché per quanto concerne il comportamento e le valutazioni da parte delle compagnie di assicurazioni in caso di sinistro;
   questo stato di cose ha ripercussioni negative su un comparto come quello dell'autotrasporto per conto terzi, già sottoposto negli ultimi anni agli effetti della grave crisi recessiva che ha colpito il Paese, nonché sottoposto, per quanto riguarda gli operatori della Sardegna, alle forti limitazioni connesse allo stato di insularità della regione e alla inattuata continuità territoriale interna ed esterna –:
   quali iniziative intenda adottare per rimuovere e superare la situazione di stallo che si è creata nelle motorizzazioni civili della Sardegna per effetto del trasferimento di competenze sugli albi provinciali degli autotrasportatori, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 2015, precedentemente in capo alle province;
   se non ritenga opportuno intervenire con urgenza per rafforzare gli organici delle articolazioni periferiche della motorizzazione civile nelle province sarde per porre fine a tutte le limitazioni causate al comparto dell'autotrasporto per conto terzi dal trasferimento delle competenze sugli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province alle motorizzazioni civili;
   se non ritenga opportuno intervenire per formare il personale delle motorizzazioni civili della Sardegna al fine di svolgere le nuove mansioni derivanti dal trasferimento di competenze sugli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province alle motorizzazioni civili;
   se non ritenga opportuno, al fine di velocizzare le pratiche e dare continuità ai servizi trasferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 2015, di valutare la possibilità di consentire lo svolgimento di alcuni adempimenti, come iscrizioni, variazioni e cancellazioni, presso gli uffici delle ex province, lasciando alle motorizzazioni adempimenti di carattere più organizzativo e gestionale. (3-01594)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   circola in rete la notizia che il 18-19 luglio 2015 si tenga a Ravenna un «campo comunitario» organizzato da Forza Nuova;
   l'evento prevederebbe concerti da parte di band che si caratterizzano per testi xenofobi e violenti, quali Linea del Fronte e Legittima Offesa; conferenze dal tono omofobo, come «La dittatura del pensiero unico e dell'ideologia gender», o contrarie alle linee generali del diritto internazionale come «Donbass: trincea d'Europa»; momenti di addestramento alla violenza denominati «corso di tecniche di autodifesa»;
   Forza Nuova è un movimento politico che, oltre a richiamarsi nel linguaggio e nella simbologia al PNF, di cui la Costituzione vieta la ricostituzione in qualunque forma, è spesso assurta agli onori della cronaca per episodi violenti che hanno coinvolto sui militanti e simpatizzanti;
   sabato 18 aprile la stessa FN convocò una manifestazione in Piazza del Popolo a Ravenna, che vide la discesa in piazza spontanea di centinaia di cittadini offesi dalla presenza di neofascisti in una città medaglia d'oro della Resistenza, con momenti di tensione evidenti e un impegno di forze dell'ordine evidentemente destinabili a migliore utilizzo;
   è evidente che un rischio simile e amplificato si correrebbe nel contesto di una località di mare come Lido di Dante, dove si dovrebbe tenere il campo, in piena stagione turistica, con forte presenza di soggiornanti stranieri;
   la conformazione della località renderebbe particolarmente complicata la gestione dell'ordine pubblico, messa a rischio ogni volta che FN manifesta pubblicamente;
   sarebbe inoltre danneggiata irrimediabilmente l'immagine pubblica di un lido molto ospitale, aperto e internazionale –:
   se, a tutela delle esigenze sovra esposte, prima fra tutte il diritto dell'Italia a non vedere costantemente offesa la propria memoria antifascista, non ritenga di dover intervenire per vietare che possa tenersi la manifestazione di cui in oggetto. (4-09705)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, D'UVA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo 2010 è stato emesso il decreto del Presidente della Repubblica n. 88, denominato «Regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» con il quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ridotto l'orario delle materie dei corsi di studi delle classi seconde, terze e quarte degli istituti tecnici e professionali;
   le linee generali di riordino degli istituti di istruzione secondaria superiore hanno riguardato, tra le altre cose, la semplificazione dei piani di studio e la riduzione dell'orario settimanale delle lezioni;
   sulla base di quanto previsto dallo schema di regolamento per il riordino degli istituti tecnici, gli istituti tecnici si articolano adesso in 2 settori, a fronte dei precedenti 10, e in 11 indirizzi, a fronte dei precedenti 39, mentre il monte orario settimanale scende a 1.056 ore annuali comprensive della quota riservata alle regioni e dell'insegnamento della religione cattolica, pari a 32 ore settimanali, contro le precedenti 36 ore;
   la decurtazione voluta dalla cosiddetta riforma Gelmini ha originato, secondo le parole di Marco Paolo Nigi, segretario generale Snals-Confsal, rilasciate al Corriere della Sera il 14 maggio 2015, «una diminuzione dell'offerta formativa, un danno agli alunni e alla scuola e una serie di licenziamenti di docenti»;
   con il riordino degli istituti tecnici e professionali, si è inoltre assistito all'aumento progressivo degli esuberi riguardanti gli insegnanti delle suddette materie ad indirizzo tecnico, con la conseguente concreta perdita della possibilità di un reintegro nel sistema scolastico, andando ad infoltire la già considerevole lista dei soprannumerari;
   sulla questione della riduzione di orario complessivo, disposto dal decreto del Presidente della Repubblica numero 88 del 15 marzo 2010 e dai relativi decreti interministeriali di attuazione si è espresso in prima battuta anche il Consiglio di Stato;
   mediante la sentenza n. 4535 del 29 luglio 2011 il Consiglio di Stato ha messo in luce come sia irragionevole che la riduzione dell'orario complessivo sia stata attuata incidendo su discipline relative a classi di concorso dotate di un monte orario annuale di una certa consistenza, anziché su quelle dotate di orario annuale già molto contenuto;
   anche il Tar del Lazio, con la sentenza n. 03527/2013, passata in giudicato, ha annullato:
    a) il regolamento sugli istituti professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 87/2010 nella parte in cui, all'articolo 5, comma 1, lettera b), determina, senza indicazione dei criteri, l'orario complessivo per gli istituti professionali;
    b) il regolamento sugli istituti tecnici di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 nella parte in cui, all'articolo 5, comma 1, lettera b), determina, senza indicazione dei criteri, l'orario complessivo per gli istituti tecnici;
    c) il decreto interministeriale n. 61 del 2010 nella parte in cui, nelle premesse, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle, ha individuato le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti tecnici;
    d) il decreto interministeriale n. 62/2010 nella parte in cui, nelle premesse, all'articolo 1 ed alle allegate tabelle, ha individuato le classi di concorso destinatarie della riduzione di orario per gli istituti professionali;
    e) i decreti interministeriali nn. 95 e 96 del 2010 nelle parti in cui hanno confermato le riduzioni di orario dei due decreti interministeriali predetti;
   nella sentenza si legge, tra l'altro, che la riduzione del 20 per cento dell'orario scolastico nelle seconde e terze classi degli istituti professionali e nelle seconde, terze quarte classi degli istituti tecnici è destinata ad incidere sulle materie caratterizzanti i corsi, determinando una violazione dei livelli essenziali delle prestazioni, fissati con il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, senza che siano chiari i criteri in base ai quali tale riduzione debba essere effettuata, se non il mero dato numerico percentuale, con conseguenti gravi ricadute in termini di riduzione di organico e di continuità formativa;
   la sentenza recita inoltre che «non appare revocabile in dubbio la circostanza che i decreti impugnati, operando una riduzione dell'orario di insegnamento di talune discipline, hanno inciso sui contenuti culturali e didattici e sulla struttura degli istituti professionali e tecnici, significativamente rifluendo sulla formazione impartita ai discenti dai predetti istituti e proprio per la circostanza che le due disposizioni sopra citate appaiono sancire soltanto tagli di orario»;
   si sottolinea altresì «che le materie oggetto di riduzione sono proprio quelle caratterizzanti il corso oltre che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'italiano»;
   nonostante la sentenza n. 03527/2013 del Tar del Lazio, il Ministero non ha provveduto a rielaborare i quadri orari degli istituti tecnici e professionali, evitando di ottemperare alla sentenza, come sottolinea l'avvocato Michele Mirenghi in un'intervista video al Corriere.it del 14 maggio 2015, in cui afferma che «quanto meno dall'anno scolastico 2013-14 il Ministero avrebbe dovuto provvedere di conseguenza, dando attuazione alla sentenza»;
   a seguito di un nuovo ricorso presentato dal Sindacato autonomo dei lavoratori della Scuola (SNALS-CONFSAL), il Tar del Lazio si è espresso nuovamente con la sentenza n. 6438/2015, resa il 29 gennaio 2015 ma depositata il 5 maggio 2015, con cui impone al Ministero di viale Trastevere di rispettare quanto disposto con la sentenza passata in giudicato n. 03527/2013 attraverso il ripristino degli orari scolastici allora ridotti dal Ministro pro tempore Gelmini e stabilendo «per il caso di ulteriore inadempienza», la nomina di un commissario ad acta nella persona del prefetto di Roma, con l'obbligo di far rispettare la sentenza al Ministero inadempiente qualora lo stesso Ministero non vi dia esecuzione entro 30 giorni;
   i 30 giorni di tempo concessi al Ministero per dare attuazione alla sentenza sono scaduti il 4 giugno 2015 –:
   entro quali termini il Governo intenda ripristinare, in virtù dell'illegittimità del decreto de quo e degli altri decreti interministeriali coinvolti, come affermato dalle sentenze del Consiglio di Stato e del TAR di cui in premessa, le ore e gli organici che hanno subito la decurtazione. (5-05981)


   CIMBRO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto tecnico «Maggiolini» di Parabiago (Milano), da ormai quattro anni, è divenuto teatro di incresciosi, e francamente sconcertanti, episodi. Il professor Alfonso Cocciolo, con la correità della dirigente scolastica, Daniela Lazzati, si sarebbe reso infatti da molto tempo responsabile di una serie di gravissimi atti ai danni del personale docente e ATA della scuola: la lista è lunga, e andrebbe dall'insulto alla minaccia; dall'umiliazione, all'abuso; dall'aggressione verbale, fino a quella fisica;
   riguardo a queste ultime, in particolare, il professor Lucio Boncompagni, a seguito di una violenza subita lo scorso settembre (la diagnosi ricevuta all'ospedale cittadino parla di «trauma facciale da aggressione»), ha querelato il signor Cocciolo alla stazione dei carabinieri di Parabiago;
   su tutto ciò l'11 aprile 2015 è stato presentato un esposto al direttore generale dell'ufficio scolastico lombardo, Delia Campanelli, nel quale sono elencati e descritti nel dettaglio i casi sopra accennati; sette i firmatari, tra professori e appartenenti all'ATA. Da allora i denuncianti sarebbero stati a turno sottoposti a controlli ritorsivi, sfociati spesso in azioni disciplinari a scopo intimidatorio;
   il clima e gli eventi menzionati hanno portato molti esponenti del personale scolastico a chiedere il trasferimento in altri istituti;
   a tutto questo si aggiunge un quadro di scarsa trasparenza e confusione documentale sulle risorse del FIS, destinate ai compensi del personale della scuola: la dirigente scolastica non è solita infatti portare alla contrattazione le economie del Fondo di istituto; analoga sorte tocca ai finanziamenti previsti dalla legge 440;
   da chiarire risultano altresì alcune modalità nel conferimento delle supplenze; ciò su tre casi in particolare, per i quali i denuncianti hanno richiesto l'intervento delle autorità regionali. Lo stesso signor Cocciolo, poi, collaboratore della dirigente scolastica, è stato nominato responsabile dell'ufficio tecnico, nonostante lo stesso risulti titolare non perdente posto sulla A016, con esonero totale dall'insegnamento per gli aa. ss. 13/14 e 14/15. Il ruolo che oggi ricopre spetterebbe a un docente tecnico-pratico appartenente a una delle classi di concorso in esubero;
   da ultimo, risulterebbero recentemente installati nella scuola strumenti di controllo a distanza (telecamere) in spregio del divieto di cui all'articolo 4 dello statuto dei lavoratori, legge n. 300 del 1970 e senza alcun coinvolgimento delle rappresentanze sindacali –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro riguardo al caso esposto. (5-05982)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   esistono gravi criticità in merito al riconoscimento del trattamento di fine rapporto in favore dei lavoratori cassaintegrati dello stabilimento della Pirelli & C. (già Pirelli Cavi e Sistemi spa) Stabilimento di Siracusa;
   il 29 febbraio 1994, lo stabilimento della Pirelli cavi di Siracusa cessò l'attività lavorativa e i lavoratori furono licenziati. L'efficacia dei licenziamenti, tuttavia, rimase, sospesa in conseguenza di un accordo che prevedeva il ricorso alla cassa integrazione straordinaria. Al termine del biennio di cassa integrazione straordinaria, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali convocò le parti affermando che un prolungamento della cassa integrazione straordinaria era possibile in base al decreto-legge n. 39 del 1996 (articolo 4, comma 21) ed a un progetto di lavori socialmente utili promosso dal comune di Siracusa;
   si ipotizzavano, nell'accordo sottoscritto l'11 novembre 1996, particolari misure per la reindustrializzazione dell'area di Siracusa e la conseguente ricollocazione dei dipendenti della Pirelli in nuove iniziative industriali;
   l'azienda accolse l'invito e venne concordato che i licenziamenti sarebbero divenuti efficaci solo nel momento in cui il lavoratore avesse perso il diritto alla cassa integrazione guadagni straordinari;
   l'approvazione della legge n. 608 del 28 novembre 1996 (articolo 4, comma 21), definì – per ultima – la particolarità della condizione dei lavoratori Pirelli-Cavi, che non è quella «tipica» di mobilità collegata a lavori socialmente utili, ma si configura come una ipotesi «eccezionale» di cassa integrazione straordinaria subordinata all'impiego degli interessati in lavori socialmente utili presso il comune di Siracusa su specifico progetto redatto ed approvato dall'agenzia dell'impiego per la Sicilia, in attesa della reindustrializzazione;
   la successione dei provvedimenti normativi e ministeriali intervenuti nel tempo, la deliberata sospensione dell'efficacia dei licenziamenti, hanno provocato, per una sorta di fictio iuris, la conservazione e la sopravvivenza dei rapporti di lavoro ben oltre i licenziamenti intimati;
   ne è conseguito il riconoscimento in favore dei lavoratori interessati del diritto al trattamento di fine rapporto. Sul punto, anche gli uffici ministeriali hanno riconosciuto che vi era un provvedimento che non ammetteva dubbi sulla sua interpretazione da parte del Ministro Treu e hanno riconosciuto l'esistenza di quel diritto che comporta che venga individuato chi, pubblico o privato, sia tenuto a sopportarne l'onere;
   la specialità della norma è sottolineata nel decreto ministeriale n. 87582 del 3 febbraio 2015 con la quale concede la Cassa integrazione per l'anno 2014 ai lavoratori dell'ex stabilimento di Siracusa;
   è utile ricordare che tutti i lavoratori dei cessati stabilimenti della Pirelli di Villafranca Tirrena, Airola, Tivoli e Siracusa hanno regolarmente usufruito del pagamento da parte dell'Inps del rateo di trattamento di fine rapporto maturato nel periodo di cassa integrazione;
   il 29 dicembre 2014 la signora (posizione assicurativa Inps n. 4933009961), dipendente delle Pirelli &C. (già Pirelli Cavi e sistemi di Siracusa) ha cessato di usufruire della cassa integrazione straordinaria e la società ha regolarmente inviato alla sede Inps di Siracusa i dati relativi alle quote di TFR spettanti alla stessa lavoratrice che tale invio è avvenuto il 31 marzo 2015;
   la sede Inps di Siracusa a tutt'oggi non ha liquidato quanto spettante alla lavoratrice e da informali fonti di informazioni ha ritenuto di avanzare uno specifico quesito alla sede regionale dell'Inps di Palermo che a sua volta ha ritenuto di rivolgersi alla sede centrale a Roma;
   a causa di detta scelta i tempi dell'erogazione si sono drammaticamente allungati, procurando alla lavoratrice profondi disagi;
   la stessa in una crescente condizione di esasperazione e di disperazione ha ripetutamente dichiarato di volere assumere decisioni ed atti inconsulti e gravissimi –:
   se non si intenda intervenire per comprendere le ragioni del ritardo, il merito del quesito e di porre di conseguenza in essere tutti gli atti e le azioni positive per superare ogni dubbio ed ostacolo per la erogazione del Trattamento di fine rapporto spettante alla lavoratrice, e ad eventuali altri lavoratori nelle medesime condizioni. (5-05987)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Ericsson spa è una multinazionale con sede in Svezia ed è uno dei più grandi gruppi nel settore delle telecomunicazioni, presente in 150 Paesi. In Italia opera dal 1918 con circa 3 mila dipendenti dislocati in dieci regioni. Un colosso che ha comunque avviato, negli ultimi dieci anni, ben dodici procedure di mobilità, provocando la fuoriuscita di circa mille dipendenti. Ciò che i lavoratori sono venuti a descriverci stamane è l'ennesima apertura di una procedura di licenziamento che riguarda 166 unità, posta in essere senza una manifesta crisi: il bilancio aziendale è anzi in positivo, con produzione di utili, e il «fisiologico» taglio verrebbe motivato dalla necessità di avviare «un processo di trasformazione e di riposizionamento strategico»;
   il 26 giugno 2015, in tutte le sedi Ericsson italiane, si è scioperato, anche laddove la procedura di mobilità non ha impatti rilevanti;
   l'azienda che ad una precedente richiesta di chiarimento sulle aree di precettazione allo sciopero, fatta dalle organizzazioni sindacali territoriali, risponde solo nella serata di lunedì 8 giugno 2015;
   Ericsson continua a percorrere la strada verso i licenziamenti coatti per delocalizzare fuori dall'Italia il lavoro e, dunque, potrebbero concretamente aggiungersi altri 200 licenziamenti l'anno, fino al 2017, salvo aggravamenti derivanti da fusioni tra operatori di telefonia che potrebbero determinare in Ericsson un esubero di circa 1.000 persone;
   l'8 giugno 2015 si è tenuto lo sciopero a livello nazionale per l'intero turno di lavoro di tutto il personale di Ericsson Telecomunicazioni spa;
   i segnali che arrivano dall'azienda non lasciano al momento presagire la possibilità di aprire una discussione sul tema dei licenziamenti, come richiesto nell'incontro del 13 maggio dalle organizzazioni sindacali. Addirittura, nello stesso giorno dello sciopero, l'azienda ha, a giudizio dell'interrogante, provocatoriamente richiesto un incontro alle organizzazioni sindacali su argomenti di secondaria importanza, non per rivedere fa sua posizione sui licenziamenti, ma per parlare dell'ulteriore riduzione dei costi, di ferie e permessi, di matrici orarie e delle relazioni sindacali; al tempo stesso annuncia una chiusura collettiva dal 10 al 21 agosto 2015;
   la multinazionale svedese non è un'azienda in crisi. Eppure, sta delocalizzando in Cina, India, Romania, Bulgaria, Ungheria. In Italia, negli ultimi 10 anni, ha avviato 12 procedure di mobilità e ha già convinto a lasciare, attraverso incentivi, 1.000 persone. Lo scorso aprile c’è stata l'ennesima procedura di mobilità, per altre 200 unità. L'azienda invece di riqualificare il personale preferisce assumere neolaureati per usufruire di sgravi e flessibilità previsti dalla legge;
   i settori delle telecomunicazioni e dell’information technology sono strategici per il nostro Paese e non ci si può permettere il lusso che, in tali ambiti, si effettuino licenziamenti collettivi in assenza di palesi crisi. Ciò costituirebbe un precedente pericoloso proprio perché l'azienda ha un bilancio positivo e non dovrebbe tagliare posti di lavoro ne delocalizzare –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di verificare, nel dettaglio, la fattibilità e la concretezza dei piani industriali per scongiurarne la chiusura;
   se intendano, per quanto di competenza, verificare se risulti la disponibilità delle collettività coinvolte nell'operazione societaria, affinché non vengano compromessi ulteriormente, in un territorio già ampiamente colpito dal fenomeno di desertificazione industriale, i livelli occupazionali;
   se non ritengano, per quanto di competenza, a fronte degli intenti di delocalizzazione all'estero di parte della produzione dei diversi siti delle aziende in questione, adottare iniziative preventive atte ad assicurare un futuro lavorativo certo a tutti i dipendenti in Italia attualmente impiegati nell'azienda Ericsson;
   se non avvertano urgente la necessità di riorganizzazione del comparto produttivo da risolversi con l'apertura di un tavolo negoziale, alla presenza delle regioni interessate, in particolare con la regione Lazio, tra tutte quella su cui è più pesante la ricaduta occupazionale (103 dipendenti solo a Roma), al fine di evitare i licenziamenti per non trovarsi di fronte all'ennesimo caso di multinazionale che opera in Italia, altrove paga le tasse (in questo caso in Svezia) ed esternalizza il lavoro in altri Paesi, ad esempio in Cina. (4-09703)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, il 4 luglio 2015, al Parlamento europeo sarà presentata una richiesta di modifica del regolamento dei prodotti agricoli e alimentari per ottenere l'autorizzazione a indicare anche il territorio di provenienza (Langhe, Roero Monferrato) della nocciola del Piemonte IGP, in considerazione del fatto che tale indicazione geografica protetta risulta essere non più sufficiente stante il livello qualitativo di eccezionale peculiarità;
   nella provincia di Cuneo, in cui si concentra l'85 per cento della produzione piemontese, a cui si uniscono altre realtà territoriali della medesima regione, quali Asti, Novara e Torino, la nocciola Piemonte IGP è particolarmente apprezzata dall'industria dolciaria per i suoi parametri qualitativi quali forma sferoidale del seme, gusto ed aroma eccellenti dopo tostatura, elevata pelabilità e buona conservabilità;
   la nocciola Piemonte è universalmente conosciuta come la migliore al mondo e la richiesta di maggiore tracciabilità rappresenta un segnale di ulteriore distinzione qualitativa in favore di tale prodotto che nel quadro della corilicoltura nazionale e mondiale, occorre tutelare e valorizzare –:
   se trovi conferma quanto esposto in premessa in merito alla richiesta inoltrata in sede comunitaria, relativamente a una maggiore tracciabilità della nocciola piemontese, volta ad ottenere l'autorizzazione ad indicare anche il territorio di provenienza, al fine di migliorare ulteriormente i livelli qualitativi e di diffusione della conoscenza dei prodotti coltivati nella regione Piemonte. (4-09700)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   pochi mesi fa Ikea, azienda multinazionale attiva nella settore della grande distribuzione di arredi ed accessori per la casa low cost, ha annunciato il taglio dei contratti integrativi dei lavoratori, che dovrebbero diventare operativi dal prossimo 1o settembre (Corriere del Mezzogiorno, 29 maggio 2015; La Repubblica, 30 maggio 2015), che prevede maggiorazioni salariali per i lavoratori legate ai turni domenicali e nei giorni festivi, nonché i premi produzione. Tali integrazioni costituiscono una parte determinante degli stipendi, che si aggira attorno al 18-20 per cento;
   dopo la disdetta unilaterale di tutta la contrattazione integrativa vi era stata una immediata e ferma reazione di sindacati e lavoratori, sfociata nelle prime 8 ore di sciopero territoriale effettuate all'unisono in diverse sedi del gruppo, deliberato in data 29 maggio 2015 dai sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, al termine del coordinamento unitario tenutosi a Firenze;
   nonostante ciò, i sindacati, hanno più volte ribadito la volontà di proseguire la trattativa, considerato anche il precedente di anni di relazioni industriali «costruttive»;
   dopo la prima mobilitazione si sono svolti diversi incontri tra sindacati e azienda al fine di approfondire le reciproche posizioni, tuttavia dopo aver constatato il permanere di posizioni distanti, in data 3 luglio 2015 le organizzazioni sindacali hanno proclamato, durante un incontro tenutosi a Bologna, una giornata di sciopero nazionale per il prossimo 11 luglio;
   si tratta del primo caso di sciopero nazionale da quando il gruppo ha aperto i suoi punti vendita in Italia –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di agevolare una soluzione della vertenza che non pregiudichi le retribuzioni dei lavoratori – peraltro non alte –, considerato che i sacrifici richiesti a questi ultimi non paiono nemmeno giustificati dalla situazione economica del gruppo, che vanta utili significativi – per l'anno fiscale 2013-2014, ad esempio, Ikea ha registrato un utile netto globale di 3,3 miliardi di euro, con un aumento di fatturato del 2,8 per cento – garantiti anche dal peculiare assetto societario che comprende holding, franchising e varie fondazioni. (5-05983)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, SANNICANDRO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, FRATOIANNI, SCOTTO, QUARANTA e COSTANTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante aveva già segnalato al Ministro in indirizzo la vicenda della società JP Industries con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-05614 (interrogazione a risposta in Commissione presentata da Ricciatti Lara testo di giovedì 14 maggio 2015, seduta n. 427) dove, oltre a ricostruire i passaggi salienti della questione giudiziaria, veniva evidenziato come fosse in ogni caso necessario far proseguire l'attività lavorativa della J.P. Industries, che impiega al momento 700 lavoratori, data anche l'emergenza occupazionale che segna i territori coinvolti;
   il 24 giugno 2015 al Ministero dello sviluppo economico, in un incontro congiunto tra Ministero, sindacati ed imprenditore, i sindacati hanno rivendicato una soluzione per dare risposte concrete agli interessi del lavoro e dei territori coinvolti, sollecitando il Ministero a convocare i presidenti delle regioni Marche ed Umbria per coinvolgerli nuovamente sulla vicenda;
   la situazione di stallo determinatasi sulla vicenda JP Industries sta pregiudicando la possibilità di una piena ripresa dell'attività produttiva a causa di una continua perdita di commesse, anche da parte di committenti esteri, dovuta alla situazione di incertezza giuridica, che rende rischioso per questi ultimi l'acquisto dei prodotti;
   pregiudica, inoltre, la possibilità che l'azienda possa riprendere a pieno ritmo la propria attività, il blocco delle linee di credito da parte delle banche – conseguente al ricorso delle stesse sulla validità della vendita del complesso industriale all'imprenditore Porcarelli –, fondamentali in questa fase di start up della nuova compagine industriale;
   la continuità produttiva della JP Industries è questione industriale strategica, per le regioni Marche e Umbria;
   la chiusura dell'azienda sarebbe l'ennesimo colpo per dei territori che hanno visto erodere negli ultimi anni, in modo drammatico, un patrimonio manifatturiero costruito in anni di duro lavoro e che potrebbe ancora rappresentare una voce importante nei mercati interno ed estero –:
   al di la della vicenda giudiziaria, che seguirà il suo corso, quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità industriale della JP Industries. (5-05985)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Mongiello e altri n. 1-00925, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

  La mozione Paglia e altri n. 1-00931, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nicchi, Zaccagnini.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Zan n. 4-09565, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Naccarato, Camani.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'avvento del digitale terrestre numerosi territori periferici, tra i quali i territori di montagna, risultano avere numerosi e gravi disservizi dovuti all'assenza di segnale, con intere vallate e paesi alpini ed appenninici totalmente isolati dal punto di vista della ricezione del segnale digitale;
   tali disservizi sono stati oggetto di una specifica indagine conoscitiva realizzata da Corecom Piemonte a partire dal mese di settembre volta all'individuazione delle cosiddette «zone al buio»;
   è di queste ore un'iniziativa di protesta promossa da Uncem Piemonte e supportata da numerosi amministratori locali delle Terre Alte della regione Piemonte volta a sottolineare l'inadeguatezza del servizio su ampie porzioni di territorio piemontese e nazionale;
   nelle scorse settimane i vertici Rai hanno deciso di cancellare dal palinsesto delle trasmissioni il Tgr Montagne, nonostante un'ampia mobilitazione dei parlamentari dell'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna che ha promosso diverse interrogazioni parlamentari volte a bloccare questa incomprensibile decisione;
   questa scelta ha comportato un'ulteriore indebolimento della qualità dell'informazione e del servizio pubblico nei territori di montagna;
   le decisioni sopracitate unitamente alle mancate decisioni in merito ad interventi di ammodernamento delle infrastrutture digitali in montagna comporta un progressivo e sempre più grave aumento del «divario digitale» tra le zone periferiche del nostro Paese ed i centri urbani;
   tale aumento rappresenta un indubbio grave danno alle popolazioni abitanti i territori marginali che non si vedono riconosciuti diritti e pari opportunità di crescita e sviluppo rispetto alle aree più urbanizzate del nostro Paese –:
   se non ritengano di assumere iniziative affinché sia posto fine a questo sempre maggiore digital divide tra territori urbani e territori montani;
   se non ritengano al fine di procedere nel senso sopraindicato di promuovere una mappatura nazionale di tutte le zone che con il passaggio dal sistema analogico a quello digitale risultano essere in condizioni di forte criticità;
   se non ritengano, a fronte dei dati emersi, di promuovere un piano di ammodernamento delle infrastrutture digitali delle zone periferiche del nostro Paese affinché si possano garantire pari diritti di fruizione del servizio a tutti i territori nazionali. (4-03460)

  Risposta. — In merito alle difficoltà di ricezione dei canali Rai da parte di comunità montane situate nella regione Piemonte, nonché nelle zone periferiche del Paese si rappresenta quanto segue anche sulla base delle informazioni acquisite presso la Rai.
  L'articolo 6 del vigente contratto di servizio, relativamente agli obblighi in carico alla Rai sulla copertura delle reti, prevede:
   la realizzazione di una rete nazionale per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale anche ad articolazione regionale in modalità MFN (Multi Frequency Network) o k-SFN (Single Frequency Network) con copertura in ciascuna area tecnica al momento dello switch off non inferiore a quella precedentemente assicurata dagli impianti eserciti per la rete analogica di maggior copertura insistenti nell'area tecnica stessa (multiplex 1);
   la realizzazione di tre ulteriori reti nazionali in modalità SFN con copertura a conclusione del periodo di vigenza del Contratto di servizio non inferiore al 90 per cento della popolazione nazionale per due reti e non inferiore all'80 per cento della popolazione nazionale per una rete (multiplex 2, 3 e 4).

  Ciò premesso, la concessionaria del servizio pubblico, ha confermato di rispettare pienamente gli obblighi di copertura sopra riportati, evidenziando che un'eventuale estensione della copertura richiederebbe significativi investimenti e un arco temporale non breve.
  Per sopperire alle carenze del servizio digitale terrestre nelle zone storicamente non servite, la Rai ha, comunque, attivato la piattaforma satellitare gratuita Tivù Sat che replica sul satellite l'intera programmazione del servizio pubblico insieme ad altri canali nazionali ed esteri, garantendo così la copertura totale del territorio italiano.
  Per accedere a Tivù Sat è necessario dotarsi di parabola e decoder satellitare Tivù Sat, insieme al quale viene fornita una smart card che consente di vedere tutti i programmi senza il criptaggio tecnico usato per protezione dei diritti.
  Per quanto riguarda i disservizi segnalati in Piemonte, si fa presente che l'utilizzo di ripetitori televisivi del Mux 1 Rai, autorizzati ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 177 del 2005 agli enti locali, permettono ad un discreto numero di abitanti di usufruire della ricezione del digitale terrestre.
  Al riguardo, occorre segnalare che nella predetta regione, l'attività del competente ispettorato territoriale ha permesso, a partire dal mese di luglio 2014, un miglioramento del servizio dei trasmettitori Rai in alcune aree confinanti con la Lombardia, in quanto ha consentito di ridurre notevolmente le interferenze alla rete SFN Rai sul canale 22 UHF, generata dalla forzata coabitazione sul monte Penice degli impianti della Rai e quelli dell'emittente Telelibertà.
  La concessionaria ha, inoltre, evidenziato che, considerate le difficoltà di ricezione esistenti nelle zone che per la loro conformazione orografica sono da sempre difficilmente raggiungibili dal segnale terrestre, in aggiunta agli oltre 2000 impianti gestiti da Rai Way sono stati autonomamente realizzati e gestiti altri impianti da parte degli enti locali.
  Nella regione Val d'Aosta, in occasione dello switch off, è stato definito un accordo con Rai Way che affida a quest'ultima la gestione di tali impianti per ciò che concerne la parte radioelettrica; in Piemonte e nel Lazio sono stati individuati alcuni siti di comunità montane per i quali Rai Way ha fornito gli apparati radioelettrici in comodato gratuito, sovvenzionati con contributo statale. Altri analoghi interventi sono stati effettuati con l'intervento diretto delle regioni o di altri enti senza il coinvolgimento di Rai.
  La Rai ha altresì comunicato che nella regione Friuli Venezia Giulia è stata stipulata una convenzione tra la regione stessa e la Rai per la diffusione sulla piattaforma Tivù Sat anche del canale Rai 3 TGR Friuli Venezia Giulia, al fine di rendere disponibile su satellite agli utenti di tale regione l'intera offerta televisiva Rai comprensiva dei contenuti regionali.
  Analoghi accordi sono in corso di definizione con la regione Calabria.
  In merito alla questione «TGR Montagne», la Rai ha precisato di aver deciso, nell'ambito di un processo di ridefinizione complessiva della linea editoriale, di rivedere la mission editoriale di Rai 5 dal mese di dicembre 2013 e conseguentemente tale canale culturale è attualmente improntato sotto il profilo editoriale sulle «performing arts».
  In coerenza con la nuova linea editoriale di Rai 5, sono stati definiti alcuni interventi tra i quali rientra anche la decisione che la rubrica «TGR Montagne», trasmessa su Rai 5 fino alla fine di novembre 2013, sia sospesa dalla programmazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio postale presso il comune di Pomarico in provincia di Matera fa registrare, come denunciato dai cittadini, una serie di disservizi che rendono davvero critica la situazione;
   i cittadini lamentano interminabili code allo sportello con spazi angusti con rischi per gli utenti di sentirsi male e anche con problemi di riservatezza e privacy che inevitabilmente si vengono a determinare;
   inoltre, si registrano numerosi casi di corrispondenza recapitata in ritardo in particolare per bollette, e comunicazioni importanti che danneggiano cittadini e imprese;
   i cittadini di Pomarico stanno raccogliendo firme in calce ad una petizione finalizzata a chiedere un miglioramento del servizio postale ai responsabili aziendali;
   si ritiene necessario il potenziamento delle unità allo sportello e al recapito anche con il prolungamento dell'orario di apertura e soprattutto occorre consentire lo spostamento dell'ufficio in locali più idonei ad ospitare un servizio «pubblico» così importante per la comunità –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare affinché Poste Italiane potenzi il servizio presso la comunità di Pomarico evitando disagi all'utenza. (4-05642)

  Risposta. — In merito alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame la società Poste Italiane ha rappresentato quanto segue.
  Per quanto concerne i servizi di sportelleria, l'ufficio postale ubicato nel comune di Pomarico è dotato di tre sportelli e di una postazione ATM ed è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì con orario 8.20/13.35 ed il sabato con orario 8.20/12.35.
  L'accesso ai servizi è regolato secondo il sistema della «fila unica» e presso il suddetto ufficio sono applicati cinque operatori, quattro dei quali in modalità part-time ed uno con orario full-time, che assicurano il presidio di sportelleria in rapporto ai volumi effettivi della domanda. La società ha, altresì, fatto presente che al momento, l'analisi dei dati di traffico non evidenzia criticità operative che richiedano l'attivazione del turno pomeridiano di apertura.
  Poste italiane ha precisato, inoltre, che sono in corso di svolgimento incontri tra i rappresentanti territoriali aziendali ed il sindaco di Pomarico, finalizzati a ricercare una soluzione condivisa per l'individuazione di una nuova sede, ove posizionare l'ufficio in esame.
  Con riferimento al servizio di recapito, la società ha, infine, rappresentato che il comune di Pomarico è servito da portalettere di ruolo, dipendenti dal centro secondario di distribuzione di Ferrandina.
  Si segnala, altresì, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha comunicato di aver richiesto all'azienda chiarimenti in merito ai disservizi segnalati nel comune di Pomarico. Poste italiane, in riscontro a tale richiesta, ha assicurato che le verifiche effettuate non hanno evidenziato anomalie, non si sono registrate giacenze di corrispondenza non recapitata e la situazione del recapito risulta regolare.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CIRIELLI e RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dagli organi di stampa, dopo il deleterio piano di chiusura di ben 267 presidi della polizia di Stato, il Governo si appresterebbe a intervenire sui commissariati di Roma;
   tale operazione, lungi dal rappresentare un'operazione di «razionalizzazione», si tradurrebbe in un'ulteriore «sforbiciata» al dispositivo della sicurezza, che arriva proprio mentre la procura di Palermo lancia l'allarme su un milione di migranti in attesa di sbarcare sulle coste italiane;
   l'asimmetrica e paradossale spending review del Governo è ormai un «déjà vu» periodico e, sventato il tentativo di «disattivare» 267 commissariati in tutta la penisola, adesso si «torna all'attacco» con nuove proposte non meno devastanti per la sicurezza dei cittadini;
   in particolare, durante una riunione informale che si sarebbe svolta il 21 aprile 2015 nella questura della Capitale sarebbe stato comunicato un programma di risparmi che prevede la chiusura di ben dieci commissariati romani;
   complessivamente, nella città eterna sono attivi 39 commissariati all'interno dell'anello del raccordo e dieci al di fuori del grande raccordo anulare e, mentre alcune chiusure sarebbero state già decise, in altri casi, si prevedono accorpamenti fra i vari presidi: il commissariato di Porta Pia dovrebbe chiudere i battenti, mentre quelli di San Lorenzo e Sant'Ippolito potrebbero essere accorpati, così come i commissariati di Tor Pignattara e Porta Maggiore, quelli di Appio nuovo e San Giovanni, Villa Glori e piazza Vescovio, Monte Mario e Prati; tra Trastevere, Monteverde e San Paolo potrebbe restare aperto un solo presidio;
   lo stesso segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap), Gianni Tonelli, denuncia: «Dopo il piano per la soppressione di 267 presidi, il Governo passa al secondo step. Adesso vuole procedere con singole chiusure per far passare la cosa in sordina»;
   i commissariati sono stati trasformati in poli, ovvero strutture aperte 24 ore su 24 e, ad esempio, il presidio di Casilino Nuovo, durante le ore serali e notturne assume competenza territoriale anche sui commissariati di Romanina, Prenestino e Tuscolano che, come ricorda il segretario provinciale del Sap di Roma, Fabio Conestà, rappresentano «un contesto territoriale complesso e difficile che comprende Tor Bella Monaca, Riserva Nuova, Torre Angela, Borghesiana, Finocchio e Ponte di Nona, a fronte del quale il polo dispone solo di cento poliziotti quando ne servirebbero almeno 150»;
   una «sforbiciata» che, se confermata, andrebbe ad aggiungersi al taglio dell'organico negli uffici della Capitale, perché, secondo i sindacati di polizia, nel mirino del Governo potrebbe esserci nell'immediato futuro, così come negli ultimi anni, anche l'organico della polizia di Stato che, beffa ancora più grande, è già deficitario;
   sempre secondo i sindacati, infatti, mancano attualmente mille uomini nella Capitale e ben 18.000 in tutto il Paese e, considerando tutte le forze dell'ordine (carabinieri, penitenziaria, forestale e altri), si arriva a 42.000 in meno di quanti sarebbero necessari per fornire un servizio decente, non adeguato, alla cittadinanza;
   dal 2005, poi, sarebbero stati tagliati 23.000 ufficiali di polizia giudiziaria, suddivisi in 14.000 ispettori e 9.000 sovrintendenti, ma, come se ciò non bastasse, l'efficienza della polizia è seriamente messa in discussione anche dall'assenza di turn over: l'età media dei poliziotti è di circa 47 anni e il 60-65 per cento degli uomini supera i 50;
   nella Capitale si sta creando una situazione paradossale, per cui, a fronte delle continue richieste di tagli, il Viminale chiede alle forze dell'ordine della Capitale impegni straordinari: dei circa 3800 uomini che vigileranno sull'Expo, una parte proviene dai presidi di Roma;
   invece di colmare i buchi che si creano nella sicurezza del nostro Paese, particolarmente evidenti di fronte all'emergenza sbarchi, si pensa solo a «tagliare» e il risultato è già sotto gli occhi di tutti: oggi, ad avviso degli interroganti, non si è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio della chiusura dei commissariati di polizia e degli organici delle forze dell'ordine nella Capitale, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini. (4-09367)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante prendendo spunto da notizie riportate da organi di stampa e da segnalazioni dei sindacati della polizia di Stato, sollecita l'adozione di interventi idonei a scongiurare la chiusura o l'accorpamento di alcuni commissariati di pubblica sicurezza di Roma, che sarebbero stati discussi nel corso di una riunione informale tenutasi nei giorni scorsi presso la questura capitolina.
  Al riguardo, premetto che già da tempo sono allo studio ipotesi di fattibilità volte a rivedere la mappa dei presidi di polizia nella Capitale.
  L'esigenza cui si vuole corrispondere è quella di realizzare una dislocazione delle Forze di polizia che tenga conto delle direttrici lungo le quali la città si è sviluppata in questi ultimi anni, in modo da realizzare un'azione di controllo del territorio ancora più efficace e capillare.
  Si tratta di uno sforzo che mira a razionalizzare ed ottimizzare l'impiego delle risorse disponibili, evitando ridondanze disfunzionali.
  L'iniziativa del questore di Roma cui si fa cenno nell'interrogazione si è inserita lungo questa linea d'azione e mira ad esplorare, in maniera ancora embrionale, le soluzioni astrattamente praticabili per rimodulare la rete dei presidi di polizia sul territorio di Roma e provincia.
  Si tratta di un'attività che si muove in parallelo ad iniziative pure all'esame dei comandi provinciali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza.
  Naturalmente, trattandosi di attività di studio, non si è pervenuti ancora a mettere a punto proposte definitive da sottoporre all'attenzione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e, successivamente, al vaglio del dipartimento della pubblica sicurezza.
  Pertanto, da questo punto di vista le preoccupazioni espresse dall'interrogante appaiono quantomeno premature.
  Per quanto riguarda l'altro aspetto evidenziato nell'interrogazione, e cioè l'aggregazione temporanea a Milano di personale della questura di Roma per le esigenze di sicurezza di Expo, preciso che al momento il trasferimento ha interessato solo sei unità, di cui quattro per il periodo dal 22 maggio al 31 ottobre e due per il periodo dal 25 maggio al 31 luglio. Ad esse si aggiunge un'ulteriore unità della direzione centrale anticrimine della polizia di Stato.
  È fuori dubbio che l'esiguità del numero di operatori coinvolti non incide in alcun modo sull'efficacia e sulla funzionalità dei servizi di polizia nella città di Roma.
  Relativamente alle dotazioni organiche della polizia di Stato presso gli uffici di Roma, si rileva, effettivamente, una significativa carenza di personale dei ruoli operativi.
  Peraltro, nell'ambito della movimentazione di personale del ruolo degli agenti ed assistenti avvenuto nel mese di settembre 2014, sono state assegnate 40 unità in favore della questura di Roma.
  Si rappresenta, comunque, che tale carenza viene parzialmente compensata anche dalla presenza di 332 appartenenti ai ruoli tecnici della polizia di Stato che, addetti ai corrispondenti settori, contribuiscono, alla funzionalità degli uffici ove prestano servizio.
  Concorrono, inoltre, nell'attività di prevenzione generale del territorio comunale di Roma anche 5.440 carabinieri e 3.445 appartenenti alla Guardia di finanza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COCCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il legislatore tributario italiano, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi OCSE, ha previsto un principio in base al quale le transazioni tra soggetti residenti e non residenti appartenenti ad un medesimo gruppo societario devono avvenire alle medesime condizioni che sarebbero state applicate qualora la transazione fosse avvenuta tra parti indipendenti. Nello specifico, l'articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (cosiddetto Testo Unico delle Imposte sui Redditi — TUIR) statuisce che «I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito [...]»;
   al fine di evitare che vi siano contestazioni da parte delle amministrazioni finanziare dei singoli Stati in cui operano, i Gruppi di imprese mettono in atto una politica di prezzi di trasferimento volta garantire che — in capo a ciascuna entità coinvolta — i costi ed i ricavi e, quindi, la redditività derivante dalle transazioni infragruppo sia in linea con il valore normale. In conformità con le linee guida dell'OCSE, i gruppi di imprese, nell'ambito della propria politica dei prezzi di trasferimento, possono decidere di adeguare i prezzi di trasferimento al valore normale secondo le seguenti metodologie:
    a) attraverso l'adeguamento dei prezzi di vendita applicati dal cedente;
    b) nel caso di produttori che utilizzano la tecnologia, i disegni, i brevetti di un altro soggetto appartenente al medesimo Gruppo per i quali è previsto il pagamento di un canone per lo sfruttamento dei suddetti beni immateriali, attraverso l'adeguamento dell'ammontare delle royalties corrisposte al detentore dei beni;
   in linea generale, salvo casi particolari di esenzione previsti dall'articolo 26-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, la corresponsione delle royalties ad un soggetto non residente comporta l'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta al momento del pagamento di dette somme da parte del soggetto residente che agisce in qualità di sostituto d'imposta;
   nello specifico, ai sensi dell'articolo 25, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973, i compensi (cosiddetto royalties) per l'utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di marchi d'impresa nonché di processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, corrisposti a non residenti sono soggetti ad una ritenuta del trenta per cento a titolo d'imposta sulla parte imponibile del loro ammontare;
   tuttavia, nel caso in cui l'Italia abbia stipulato con lo Stato estero di residenza del percipiente una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, ricorrendone i presupposti, è possibile assoggettare le royalties ad una ritenuta in misura ridotta;
   la maggior parte delle convezioni stipulate dall'Italia prevedono l'applicazione di un'aliquota pari al cinque per cento. Le medesime convenzioni prevedono altresì che qualora l'ammontare delle royalties ecceda il cosiddetto valore normale, l'aliquota ridotta può essere applicata esclusivamente all'ammontare non eccedente il valore di mercato. In tal caso, la parte eccedente è imponibile secondo le regole previste dalla normativa interna e, pertanto, è assoggettata ad una ritenuta pari al trenta per cento;
   in ambito OCSE ed in ambito comunitario sono previste apposite disposizioni volte ad individuare le regole che devono essere seguite dai Gruppi di imprese per determinare la propria politica dei prezzi di trasferimento nonché per documentare le stesse in caso di verifica da parte delle amministrazioni finanziarie dei singoli Stati;
   in Italia, l'articolo 26 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto misure finalizzate all'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni emanate dall'OCSE ed a Codice di condotta Unione europea in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché ai principi di collaborazione e buona fede tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria fissati nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente;
   in particolare, l'articolo 26 introduce dopo il comma 2-bis dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, il comma 2-ter con il quale viene esclusa l'applicazione della sanzione prevista dal comma 2 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, in materia di dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette, qualora le imprese consegnino all'amministrazione finanziaria, in sede di verifica, apposita documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654);
   la predisposizione e consegna di tale documentazione all'amministrazione finanziaria consente di riscontrare la conformità dei prezzi di trasferimento applicati dall'impresa al principio del valore normale sancito dalle disposizioni tributarie. Conseguentemente, la predisposizione di tale documentazione evidenzia la volontà del contribuente di offrire la propria collaborazione al fine di consentire all'amministrazione finanziaria di determinare la loro effettiva capacità contributiva;
   pertanto, nel caso in cui la suddetta documentazione sia considerata dall'amministrazione finanziaria conforme con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate, le eventuali contestazioni in merito alle politiche di prezzi di trasferimento volte a disconoscere parte dei costi ovvero a rideterminare l'ammontare dei ricavi — per espressa previsione normativa — non comportano l'applicazione del regime sanzionatorio ai fini delle imposte dirette. In altre parole, nei casi in cui l'amministrazione finanziaria rettifichi il valore dei prezzi applicati dal cedente ovvero l'ammontare delle royalties corrisposte dall'utilizzatore dei beni immateriali, in presenza di idonea documentazione, non trovano applicazione le sanzioni in materia di imposte sui redditi;
   qualora il meccanismo di adeguamento dei prezzi di trasferimento avvenga attraverso la modifica del valore delle royalties corrisposte a soggetti non residenti, nel caso di contestazione della congruità del loro ammontare, oltre ad una rettifica dell'ammontare dei costi, si potrebbe generare una contestazione in capo all'impresa italiana che ha agito in qualità di sostituto d'imposta in relazione all'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta;
   infatti, come sopra illustrato, nel caso di applicazione della ritenuta convenzionale, l'eventuale disconoscimento di parte del valore delle royalties corrisposte al soggetto non residente, in quanto ritenuta non in linea con il valore normale, potrebbe comportare la rideterminazione dell'ammontare della ritenuta a titolo d'imposta su tali pagamenti mediante l'applicazione dell'aliquota interna (trenta per cento) in luogo di quella convenzionale (cinque per cento). In conseguenza di ciò, l'amministrazione finanziaria potrebbe irrogare al contribuente le sanzioni previste in materia di sostituto d'imposta per omesso versamento parziale della ritenuta, omessa certificazione dei redditi soggetti a ritenuta alla fonte e per infedele dichiarazione in materia di sostituti d'imposta;
   tale comportamento sarebbe giustificato dalla circostanza che la disposizione volta a disapplicare le sanzioni amministrative in caso di possesso della documentazione in materia dei prezzi di trasferimento è stata inserita all'interno dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che regolamenta esclusivamente la fattispecie dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette. Quindi, a stretto rigore, il regime disapplicativo delle sanzioni amministrative non sarebbe applicabile alle sanzioni in materia di violazioni relative agli obblighi di sostituto d'imposta ancorché conseguenti ad una rettifica relativa ai prezzi di trasferimento;
   l'applicazione delle sanzioni per le violazioni in materia di sostituto d'imposta, sebbene pienamente giustificabile se ci si limita a considerare il tenore letterale della disposizione e la collocazione dell'esimente all'interno della disposizione che regola le sanzioni per infedele dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, sarebbe contraria alla ratio dell'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha introdotto un esonero del regime sanzionatorio «A fini di adeguamento alle direttive emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria»;
   nella fattispecie in esame, infatti, il contribuente ha determinato la misura delle royalties in conformità con quanto risultante dalla documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654) e, di conseguenza, la misura delle stesse è stata determinata in conformità al valore normale così come calcolato e documentato dal contribuente. Pertanto, l'eventuale rideterminazione da parte dell'amministrazione finanziaria del valore normale delle royalties – rientrando a pieno nella disciplina dei prezzi di trasferimento – dovrebbe comportare l'applicazione dei medesimi benefici, in termini di disapplicazione delle sanzioni, non solo ai fini delle imposte sui redditi ma anche in relazione alle, sanzioni in materia di sostituto d'imposta derivanti dalla rideterminazione della misura della ritenuta;
   tale conclusione sarebbe conforme alle finalità della norma in quanto estenderebbe l'esimente delle sanzioni a tutte le fattispecie scaturenti da rettifiche dei prezzi di trasferimento che sono stati adeguatamente documentati dal contribuente in base a quanto previsto dal provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654);
   in caso contrario, infatti, si creerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti in possesso della documentazione di cui al citato Provvedimento che hanno utilizzato due criteri differenti per l'adeguamento dei prezzi di trasferimento al valore normale (adeguamento dei prezzi di vendita ovvero adeguamento dell'ammontare delle royalties corrisposte). Conseguentemente, si genererebbe una violazione del principio di buona fede tra contribuenti ed amministrazione finanziaria fissati nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente espressamente richiamato dall'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 –:
   se, in caso di contestazione da parte dell'amministrazione del valore normale delle royalties applicate nell'ambito della politica dei prezzi di trasferimento dalle imprese in possesso della documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate (prot. n. 2010/137654), l'esimente delle sanzioni amministrative sia estensibile anche alle eventuali violazioni commesse in qualità di sostituto d'imposta in conformità con le finalità dell'articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 nonché dell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che sancisce il principio di collaborazione e buona fede tra contribuenti ed amministrazione finanziaria. (4-08121)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante affronta la questione concernente la tassazione delle operazioni tra soggetti non residenti nello stesso Stato ma appartenenti al medesimo gruppo societario.
  Al riguardo, il nostro legislatore nazionale ha accolto il principio in virtù del quale le transazioni tra soggetti residenti e non residenti appartenenti ad un medesimo gruppo societario devono avvenire alle medesime condizioni che sarebbero state applicate qualora la transazione fosse avvenuta tra parti indipendenti.
  Detto principio ha trovato la sua declinazione all'articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico dell'imposta sui redditi in base al quale «I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito».
  Pertanto, come evidenziato dagli interroganti, al fine di evitare che vi siano contestazioni da parte delle amministrazioni finanziare dei singoli Stati in cui operano, i gruppi di imprese mettono in atto una politica di prezzi di trasferimento volta a garantire che – in capo a ciascuna entità coinvolta – i costi ed i ricavi e, quindi, la redditività derivante dalle transazioni infragruppo sia in linea con il valore normale.
  Ciò premesso, l'interrogante si sofferma specificamente sulla disciplina fiscale da applicare alle cosiddette royalties, ossia ai compensi per l'utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di marchi d'impresa nonché di processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, erogati tra imprese del medesimo gruppo.
  In linea generale, salvo casi particolari di esenzione previsti dall'articolo 26-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, deve rilevarsi che la corresponsione delle royalties ad un soggetto non residente comporta l'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta al momento del pagamento di dette somme da parte del soggetto residente che agisce in qualità di sostituto d'imposta.
  Ai sensi dell'articolo 25, comma 4, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, dette royalties corrisposte a non residenti sono soggette ad una ritenuta del trenta per cento a titolo d'imposta sulla parte imponibile del loro ammontare; tuttavia, nel caso in cui l'Italia abbia stipulato con lo Stato estero di residenza del percipiente una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, ricorrendone i presupposti, è possibile assoggettare le royalties ad una ritenuta in misura ridotta; la maggior parte delle convezioni stipulate dall'Italia prevedono l'applicazione di un'aliquota pari al cinque per cento.
  Le medesime convenzioni prevedono, altresì, che qualora l'ammontare delle royalties ecceda il cosiddetto valore normale, l'aliquota ridotta può essere applicata esclusivamente all'ammontare non eccedente il valore di mercato. In tal caso, la parte eccedente è imponibile secondo le regole previste dalla normativa interna e, pertanto, è assoggettata ad una ritenuta pari al trenta per cento.
  Con particolare riferimento, poi, alle specifiche modalità di determinazione dei prezzi di trasferimento e di documentazione delle stesse in caso di verifica da parte delle amministrazioni preposte nei singoli Stati, il legislatore nazionale ha introdotto con l'articolo 26 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, misure finalizzate all'adeguamento della normativa nazionale alle direttive emanate dall'OCSE ed al codice di condotta Unione europea in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché ai principi di collaborazione tra contribuenti e amministrazione finanziaria fissati nell'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
  La menzionata disposizione ha inserito il comma 2-ter che esclude l'applicazione della sanzione prevista dal comma 2, dell'articolo 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in materia di dichiarazione infedele ai fini delle imposte dirette, qualora le imprese consegnino all'amministrazione finanziaria, in sede di verifica, apposita documentazione redatta in conformità con il provvedimento 29 settembre 2010 del direttore dell'agenzia delle entrate.
  La predisposizione e consegna di tale documentazione all'amministrazione finanziaria consente di riscontrare la conformità dei prezzi di trasferimento applicati dall'impresa al principio del valore normale sancito dalle disposizioni tributarie.
  A parere dell'interrogante, per ragioni di coerenza con la ratio della norma, l'esenzione sanzionatoria dovrebbe essere estesa anche ai sostituti d'imposta italiani che abbiano consegnato la predetta documentazione ai fini del transfer pricing, in ipotesi di rettifica delle royalties corrisposte a una consociata estera che contestualmente si risolva in un aumento della ritenuta in uscita.
  L'interrogante chiede, pertanto, chiarimenti in merito alla possibilità di estendere l'esenzione dalle sanzioni amministrative prevista per violazioni relative alla dichiarazione dei redditi di cui al citato articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, anche alle violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta di cui all'articolo 2 dello stesso decreto legislativo n. 471 del 1997.
  Al riguardo, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  È opportuno rilevare che l'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997 contempla esclusivamente le violazioni connesse alla dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette, prevedendo, al comma 2, una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento in ipotesi di infedele dichiarazione.
  Il successivo comma 3-ter del medesimo articolo 1 introduce espressamente un'ipotesi di esenzione, in base alla quale non dovrà applicarsi la sanzione amministrativa di cui al secondo comma nelle ipotesi in cui la maggiore imposta derivi da una rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento tra parti correlate, purché il contribuente consegni all'amministrazione finanziaria la documentazione di cui al provvedimento del direttore dell'agenzia delle entrate.
  Tale ultima esimente non è, invece, replicata né richiamata nell'articolo 2 del medesimo decreto legislativo n. 471 del 1997, concernente le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta.
  In considerazione della mancanza di un'espressa previsione normativa, non è possibile l'applicazione, in via analogica, dell'esimente di cui al citato articolo 1, comma 2-
ter del citato decreto legislativo n. 471 del 1997, alle ipotesi di infedele dichiarazione da parte del sostituto d'imposta di cui al successivo articolo 2 del medesimo decreto legislativo.
  Nondimeno, l'eventuale estensione del beneficio ad altre fattispecie sanzionatorie, quali quelle attualmente previste per la violazione dell'articolo 25, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, potrà essere valutata in sede di attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23 (delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) che, tra l'altro, prevede all'articolo 8 «la revisione del regime della dichiarazione infedele, e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti».
Il Viceministro dell'economia e delle finanzeLuigi Casero.


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, con la delibera n. 480 del 2014, è stato modificato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale dvb-t;
   il 23 settembre 2014, il Consiglio dell'AGCOM ha approvato la delibera in oggetto che porterà alla chiusura di ben trentadue emittenti che operano sul versante adriatico per presunte interferenze nei confronti degli Stati confinanti;
   tale decisione è stata presa per evitare le sanzioni che l'Unione europea intendeva comminare al nostro Paese a causa dei presunti disturbi ai segnali televisivi dei Paesi comunitari confinanti con il nostro;
   la liberazione delle frequenze dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2014, altrimenti avverrà la disattivazione coattiva degli impianti interessati;
   in base a tale provvedimento, si impedirà l'uso di alcune frequenze già assegnate a operatori di reti locali e si arriverà alla modifica delle risorse spettrali disponibili in Italia per le reti televisive locali, con il risultato che, in alcune regioni, non si consentirà più un'adeguata copertura del territorio;
   in tal modo, ad esempio, si arriverà alla chiusura di dodici delle attuali diciotto reti digitali televisive pugliesi;
   ciò comporterà non solo una limitazione del diritto al pluralismo dell'informazione ma si ripercuoterà pesantemente nei confronti dei giornalisti, dei tecnici e di tutti i dipendenti delle emittenti televisive che si ritroveranno, nel giro di pochi mesi, senza lavoro –:
   se non si ritenga necessario, stante la gravità delle conseguenze che deriveranno dall'applicazione del provvedimento, assumere iniziative, per quanto di competenza, in sede europea per far slittare il termine del 31 dicembre previsto per la disattivazione degli impianti al fine di trovare soluzioni alternative che tengano conto, non solo delle indicazioni dell'Unione europea, ma anche delle necessità delle aziende e degli operatori del settore;
   in che modo siano state accertate, da parte degli organi nazionali competenti in materia, tali interferenze e se sia stato fatto tutto il necessario al fine di verificare la possibilità di eliminare tale problema attraverso l'utilizzo di strumentazioni tecnologiche, piuttosto che attraverso le paventate chiusure delle aziende interessate;
   come si intenda intervenire per salvaguardare, in ogni caso, il lavoro e la sopravvivenza delle emittenti televisive che svolgono un effettivo ruolo informativo e, conseguentemente, un servizio utile al territorio, tenendo conto, oltretutto, che alle emittenti che rischiano la chiusura erano stati assegnati diritti d'uso di durata ventennale. (4-06650)

  Risposta. — Il decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito dalla legge n. 9 del 2014, come modificata dall'articolo 1, comma 147 lettera a) della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità) prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni escluda dalla pianificazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre le frequenze riconosciute a livello internazionale ed utilizzate dai Paesi confinanti, pianificate ed assegnate ad operatori di rete televisivi in Italia ed oggetto di accertate situazioni interferenziali. Tale norma, di carattere emergenziale, consente in modo definitivo e in tempi ragionevolmente rapidi, di evitare il sorgere in campo europeo delle procedure di infrazione a carico dell'Italia.
  Attualmente l'Italia sulla base della pianificazione delle frequenze adottata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con le dovute precauzioni d'uso a tutela delle utilizzazioni legittimamente riconosciute ai vari Paesi dal piano di Ginevra 2006, ha assegnato ai propri operatori la quasi totalità delle frequenze disponibili. Tale circostanza è stata però motivo di accertate situazioni interferenziali verso i Paesi confinanti e conseguentemente le reazioni suscitate nei Paesi interessati hanno indotto sia l'ITU (International Telecommunication Union) sia l'Unione europea a monitorare la situazione, invitando l'Italia a risolvere il problema.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha inserito nei diritti d'uso rilasciati agli operatori di rete l'obbligo del rispetto dei vincoli di pianificazione nell'utilizzo delle suddette frequenze. Nel corso degli ultimi anni, seguiti al passaggio al digitale televisivo, in numerosi casi detti vincoli non sono stati rispettati dalle emittenti italiane, provocando l'immediata reazione dei Paesi confinanti nei confronti dello Stato italiano.
  In linea generale, devono considerarsi interferenze accertate quelle segnalate da una amministrazione estera e pervenute per le vie ufficiali al competente Ministero dello sviluppo economico, secondo le modalità stabilite dal regolamento radio dell'ITU che, come noto, riveste carattere di trattato internazionale al quale l'Italia ha aderito.
  Si assume, peraltro, che tali segnalazioni formali non siano state contestate dall'amministrazione italiana, anche a motivo della circostanza che le interferenze sono facilmente riconducibili alle utilizzazioni italiane delle medesime frequenze. Né si può sostenere che per accertare l'interferenza occorra una verifica tecnica in contraddittorio con la presenza di rappresentanti dell'amministrazione segnalante, procedura certo non prevista dal predetto regolamento radio. Il contraddittorio con gli operatori nazionali è invece previsto dalle procedure nazionali per la risoluzione delle interferenze, laddove si richiede che gli accertamenti tecnici effettuati dai competenti organi del Ministero dello sviluppo economico vengano svolti in presenza dei responsabili dell'impianto da cui si presume origini l'interferenza.
  Fino ad ora quattro Stati – Slovenia, Croazia, Malta e Francia – lamentano una situazione interferenziale continua e non più sostenibile per le emissioni provenienti dall'Italia e che determinano danni su frequenze assegnate internazionalmente agli altri Paesi. Questa situazione ha determinato la richiesta di soluzione immediata verso lo Stato italiano, chiamato altrimenti in sede comunitaria a fronteggiare procedure di infrazione, già in itinere.
  Come previsto dal decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 e successive modificazioni, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha modificato la pianificazione delle frequenze con la delibera n. 480/14/CONS che definisce le frequenze per provincia il cui utilizzo viene escluso per il rispetto di obblighi internazionali.
  La data entro la quale era inizialmente prevista la liberazione delle frequenze interferenti – il 31 dicembre 2014 – è stata posticipata al 30 aprile 2015, con la legge di stabilità proprio al fine di concedere agli operatori di settore più tempo per la loro riorganizzazione. Il Ministero dello sviluppo economico ha inoltre svolto una consultazione sui criteri e modalità di liberazione delle frequenze, al fine di rendere partecipativo l’iter e consentire per tempo l'assunzione degli adempimenti necessari da parte delle emittenti interessate alla procedura, così da ridurre i tempi della stessa.
  Al fine di consentire un ristoro economico agli operatori di rete coinvolti per gli investimenti sostenuti, è stata prevista, dalla citata normativa, l'attribuzione di misure economiche di natura compensativa a fronte del volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle suddette frequenze, secondo criteri di recente stabiliti dal decreto interministeriale Ministero dello sviluppo economico/Ministero dell'economia e delle finanze del 17 aprile 2015. L'ammontare complessivo di tali misure, inizialmente fissato a 20 milioni di euro, è stato successivamente innalzato a 51,026 milioni di euro, in base ad una previsione della già citata legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 146). Affinché, a fronte della procedura di rottamazione venga assicurata un'adeguata copertura delle diverse aree del paese e, di conseguenza, il diritto al pluralismo dell'informazione, il citato decreto-legge 145 del 2013 ha previsto, da un lato, che l'Autorità per le garanzie delle comunicazioni (AGCOM) effettui la pianificazione delle frequenze non assegnate a operatori di rete nazionali per il servizio televisivo digitale terrestre da mettere a disposizione della gestione degli operatori di rete in ambito locale, dall'altro, che tali nuove risorse vengano utilizzate per il trasporto dei migliori fornitori di contenuti in ogni regione secondo una graduatoria definita da una procedura competitiva basata sull'effettiva capacità degli editori televisivi di creare audience e sul loro impegno a concorrere all'offerta di informazione a livello locale.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   così come denunciato all'interrogante dal sindacato CONSAP, sembrerebbe che il dipartimento della pubblica sicurezza abbia speso oltre 2 milioni di euro per riqualificare, mettere a norma e sistemare le cucine del circolo ufficiali della polizia di Stato, ubicato a Roma in lungotevere Flaminio;
   sempre secondo la medesima segnalazione, sarebbero stati spesi 1.800.000 euro per la sola riqualificazione e messa a norma del Circolo, cui si devono aggiungere altri 240.000 euro circa, per la fornitura e installazione della attrezzature per la cucina del circolo stesso;
   occorre, peraltro, segnalare che tale struttura è fruibile da una minima parte dei poliziotti italiani, sebbene entrambi i finanziamenti rientrino sotto la voce fondo assistenza della polizia di Stato;
   infatti, com’è noto, al circolo è consentita ai soli funzionari della polizia di Stato e dell'amministrazione civile ed ai loro familiari. I funzionari della polizia di Stato sono circa il 4 per cento del totale dei poliziotti, ovvero circa 4.000 unità, il 25 per cento circa dei quali opera a Roma e dintorni;
   leggendo il capitolato speciale di appalto e la riqualificazione si apprende che era necessario ristrutturare la piscina per i bambini, la sala per giocare a carte, la sala biliardo, spostare la cucina e la sala da pranzo, creare una reception, un chiosco bar, risistemare le cucine e ripavimentare il tutto in marmo bianco di Carrara;
   peraltro, nonostante la cospicua somma impegnata, non tutta la palazzina è stata ristrutturata dato che dall'appalto è escluso il secondo piano in quanto riservato ad eventi del Ministero dell'interno, e la sua risistemazione sarebbe già stata affidata con altro appalto;
   si tratta indubbiamente di decisioni che non rafforzano l'immagine dell'istituzione polizia: né nei confronti dei poliziotti, né nei riguardi dell'opinione pubblica;
   tale situazione non parrebbe all'interrogante nemmeno coerente con l'esigenza di sobrietà e serietà di comportamenti che il momento storico-politico in cui il Paese si trova, fermamente richiede;
   tutto ciò avviene peraltro in una fase storica nella quale dal 2010 vi è un blocco delle retribuzioni di tutto il pubblico impiego e appare veramente intollerabile che simili cifre siano state spese per la ristrutturazione di un circolo ricreativo di cui può beneficiare circa l'un per cento dei poliziotti  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di dover intervenire con una verifica interna per capire chi abbia assunto la decisione di destinare, in un simile momento di congiuntura economica, una simile cifra per una destinazione a giudizio dell'interrogante tanto futile. (4-06870)

  Risposta. — Il circolo funzionari della polizia di Stato, sito in Roma – lungotevere Flaminio, è una istituzione fondata nel 1960, di proprietà e a gestione diretta del fondo di assistenza per il personale della polizia di Stato. Il fondo è un ente di diritto pubblico istituito con la legge n. 1279 del 1964 e riordinato con decreto del Presidente della Repubblica n. 244 del 2010, dotato di un proprio patrimonio, di autonomia finanziaria e gestionale e di un bilancio distinto e separato da quello del dipartimento della pubblica sicurezza. Le sue entrate sono rappresentate solo in minima parte da trasferimenti dello Stato.
  Le funzioni di governo del predetto fondo sono esercitate dal relativo consiglio hai amministrazione, presieduto dai Capo della polizia che si avvale, per i profili attuativi e di conduzione, di un dirigente delegato. Le risorse del fondo, mobiliari e immobiliari, sono vincolate esclusivamente al perseguimento delle finalità elencate nello statuto, tra cui è compresa «l'istituzione di sale convegno, circoli, centri di riposo e sportivi, colonie estive, stabilimenti balneari o montani, biblioteche».
  Con riguardo solo alle strutture di ricettività, il fondo gestisce, oltre al citato circolo, un centro sportivo, tre centri montani e 21 stabilimenti balneari, strutture riservate prioritariamente al personale della polizia di Stato, cui si accede previo pagamento di una quota associativa o di un contributo giornaliero, oltre alle singole tariffe per l'utilizzo degli impianti e servizi. Tali introiti vanno a costituire parte delle risorse del Fondo.
  Nell'ambito della complessiva azione gestionale volta al perseguimento delle finalità istituzionali, il consiglio di amministrazione, in sede di redazione del bilancio annuale, destina una quota delle risorse alla riqualificazione degli immobili dislocati sul territorio.
  Tale scelta mira sia a preservarne il valore (anche tenendo doverosamente conto delle necessità di continuo adeguamento, nelle strutture e negli impianti, alle prescrizioni di legge sulla sicurezza e sanità dei luoghi), sia ad incrementare l'economicità di gestione, sia ancora ad assicurare una migliore e più corretta fruizione dei beni da parte degli aventi diritto.
  Infatti, nell'ultimo quinquennio (2009-2014), proprio in considerazione della necessità di assicurare la diligente tutela del patrimonio dell'ente affidandone la gestione ad operatori economici di settore, in ossequio alle mutate previsioni normative e nell'ottica della cosiddetta «privatizzazione», sono stati diffusamente eseguiti consistenti lavori di riqualificazione, di messa a norma degli impianti ed adeguamento alle prescrizioni in materia di sicurezza, con un importante impegno finanziario, in collaborazione con i provveditorati interregionali alle opere pubbliche territorialmente competenti.
  Le risorse necessarie sono state reperite all'interno del bilancio del fondo, attingendo sia dai proventi delle attività commerciali, sia dal ricavato della dismissione di quelle proprietà le cui gestioni, per bacino di utenza e condizioni di conservazione, presentavano profili nettamente antieconomici.
  Proprio nel quadro dei citati interventi di manutenzione del patrimonio immobiliare, nel 2009, è emersa la necessità di procedere a lavori di riqualificazione del sito che ospita il circolo funzionari della polizia di Stato, mai in precedenza interessato da un intervento complessivo, ormai indefettibile sia per risolvere annosi problemi di messa in sicurezza sia a seguito dei danni provocati dalle esondazioni del Tevere. Il circolo, infatti, presentava carenze funzionali e strutturali tali da renderlo insicuro e necessitava di opere di bonifica e consolidamento strutturale, nonché di messa a norma riguardanti l'intera struttura.
  Va inoltre precisato che, sull'opportunità di investire sulla riqualificazione del circolo (che, altresì, funge da unica sede di rappresentanza del dipartimento della pubblica sicurezza) hanno influito anche valutazioni relative alle potenzialità di utilizzazione della struttura, in considerazione del fatto che la sede di Roma dispone di un ampio bacino di utenza di dipendenti della polizia di Stato, circa il 18 per cento del totale, distribuiti in maniera quasi uniforme tra i vari ruoli.
  Nella sede di Roma, sono infatti ubicati, oltre al circolo funzionari, il centro sportivo «Tor di Quinto» (figura «gemella» del circolo, di cui, però, non possono essere soci funzionari e dirigenti) e 2 grandi centri balneari sul litorale, in località Maccarese (Roma).
  Sempre in virtù di scelte gestionali, le strutture sopracitate sono state nel tempo oggetto di consistenti interventi di manutenzione straordinaria, con azione di recupero del patrimonio edilizio ed impiantistico e, nel caso dello stabilimento «Maccarese lido» di decementificazione e ricostruzione ex novo, utilizzando materiali e tecniche a basso impatto ambientale, per renderli più fruibili al personale della polizia di Stato, in attuazione della missione istituzionale dell'ente.
  Vista la complessità e la specificità delle opere da eseguire per la riqualificazione e messa in sicurezza del circolo – tali da richiedere competenza e disponibilità di risorse tecniche qualificate in materia di lavori pubblici – è stata individuata nel provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna la struttura idonea a svolgere le funzioni di stazione appaltante e quindi ad espletare, in rappresentanza dell'ente (il fondo) le attività tecnico-amministrative connesse.
  Il provveditorato, quale stazione appaltante, ha proceduto all'affidamento dei lavori, previa selezione del contraente, e alla stipula dei relativi contratti, nonché alla successiva direzione dei lavori, al monitoraggio alle lavorazioni, alla contabilizzazione e collaudo delle opere.
  A tale scopo, il fondo ha stipulato, con il predetto organo tecnico, apposita convenzione, che prevedeva anche un parziale finanziamento dell'opera da parte del provveditorato, per un importo complessivo di 1 milione 200 mila euro.
  Per quanto riguarda, in particolare, quei lavori di riqualificazione del circolo cui fa specifico riferimento l'interrogante in virtù degli impegni assunti, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche, il 1o febbraio 2012, ha pubblicato un bando di gara a procedura aperta, per le opere di riqualificazione e messa a norma del circolo funzionari della Polizia di Stato, a cui hanno partecipato oltre 400 imprese.
  Il 18 aprile 2012 vi è stata l'aggiudicazione dei lavori alla ditta romana Cantieri Costruzioni s.r.l., per l'importo di 1 milione 634 mila 226 euro.
  Nel gennaio del 2013 si è, però, resa necessaria una sospensione dei lavori dopo l'approntamento del cantiere, in quanto il provveditorato ha ritenuto opportuno effettuare un riesame globale del progetto, che presentava incongruenze rilevate da quella direzione dei lavori in corso d'opera, e redigere una variante per l'eliminazione delle criticità con l'inserimento di alcune modifiche tese ad ottimizzare le strutture. Va aggiunto altresì che, sempre in corso d'opera, i danni causati da eventi atmosferici straordinari, che in qualche occasione avevano portato all'esondazione del fiume Tevere, con il conseguente allagamento del circolo, hanno determinato la necessità di lavori supplementari e la predisposizione di apparati tecnici per prevenire o quanto meno limitare altri danni in caso di future eventuali esondazioni.
  Per quanto riguarda in particolare le cucine si precisa che, attesa l'inadeguatezza, dal punto di vista della sicurezza, delle attrezzature esistenti, è stata espletata una procedura di gara aperta in ambito UE per la fornitura delle relative attrezzature. L'offerta economica della impresa aggiudicataria è stata di 199 mila 936 euro.
  Anche nella scelta della riqualificazione delle cucine e di tutta l'area ristorazione interna ed esterna, oltre alla necessità di una messa a norma, si è tenuto conto dell'indotto economico rappresentato dagli eventi a pagamento richiesti dai soci, che il circolo frequentemente ospita e che possono costituire una discreta fonte di entrate per il fondo, oltre che, naturalmente, un servizio per i soci stessi.
  Nell'ottica poi di rendere più funzionale l'area esterna, attraverso una diversa destinazione e distribuzione degli ambienti, in modo da diversificarne l'utilizzo e agevolarne la fruibilità, rientra anche la scelta di spostare la piscina per i bambini; intervento, peraltro, contenuto nel progetto approvato da un'apposita conferenza di servizi, cui hanno partecipato tutti i numerosi enti aventi profili di competenza al riguardo. Infatti, il ricollocamento della piscina, dall'area antistante il nuovo ristorante a fianco di quella per gli adulti, non risponde solo ad intuibili logiche di sicurezza, ma anche alla necessità di riadattare l'area rendendola più funzionale alla sua utilizzabilità per eventi esterni con numerosi partecipanti, in armonia con le scelte operate in relazione all'area ristorativa.
  Per quanto riguarda, infine, i materiali utilizzati nei lavori di riqualificazione del circolo, si rappresenta che in nessun ambiente interessato dagli interventi è stato utilizzato il marmo di Carrara né altri materiali di pregio, ma solo di buona qualità, sempre e solo al fine di conservare il valore del patrimonio immobiliare dell'ente.
  In conclusione, si evidenzia che proprio la necessità di mantenere un adeguato livello di assistenza a tutto il personale della polizia di Stato, nonostante la progressiva, cospicua riduzione del finanziamento statale, è alla base di scelte gestionali che mirano, nell'ambito dell'autonomia finanziaria del fondo rispetto al dipartimento della pubblica sicurezza, a perseguire utili anche attraverso l'ottimizzazione delle attività commerciali, ancorché nell'ambito della funzione assistenziale, scelte tra le quali si colloca la riqualificazione del circolo funzionari sul lungotevere Flaminio.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (in Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216) all'articolo 14, comma 1, lettera e), prevede che per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le regioni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, istituiscono «a decorrere dal 1° gennaio 2012, un collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente» e che i componenti di tale collegio «sono scelti mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ed essere in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri individuati dalla Corte dei conti»;
   la Corte dei Conti con la deliberazione 8 febbraio 2012, n. 3, criteri per l'inserimento nell'elenco dei revisori dei conti delle regioni, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha conseguentemente stabilito al punto 4): «Ulteriore corollario di diretta derivazione dai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, attiene alla salvaguardia della funzionalità dell'organo di revisione. Invero, affinché il Collegio dei revisori dei conti possa assolvere compiutamente il ruolo di controllo che gli è proprio, occorre definire quelle “garanzie di status” indispensabili ai suoi componenti per il corretto ed efficace esercizio della funzione di revisione. A tal fine, compatibilmente con le prerogative legislative e statutarie che la Costituzione riconosce alle autonomie territoriali e nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge e dai seguenti criteri applicativi, le regioni ispireranno i principi organizzativi dei rispettivi ordinamenti ai modelli di disciplina tracciati al Titolo VII del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL) ed al Titolo III del citato decreto legislativo n. 123 del 2011»;
   tra i criteri suddetti, richiamati dalla deliberazione, e più precisamente all'articolo 236 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), si precisa, al comma 1, che «valgono per i revisori le ipotesi di incompatibilità di cui al primo comma dell'articolo 2399 del codice civile, intendendosi per amministratori i componenti dell'organo esecutivo dell'ente locale» e al comma 3 che «i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere carichi o consulenze presso l'ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso»;
   la regione Calabria ha approvato, a seguito della seduta del consiglio regionale del 9 marzo 2015, la legge regionale 13 marzo 2015, n. 10, modifiche alla legge regionale 10 gennaio 2013, n. 2 (disciplina del collegio dei revisori dei conti della giunta regionale e del consiglio regionale della Calabria);
   essa cambia le cause di esclusione e incompatibilità dei revisori dei conti, dato che introduce una novella alla precedente disciplina tale per cui risultano incompatibili con l'incarico di componenti del collegio solo gli amministratori pubblici degli enti locali della regione «aventi popolazione superiore ai 5 mila abitanti»;
   tale norma, ad avviso dell'interrogante, risulta in contrasto non solo con i già richiamati criteri fissati dalla deliberazione 8 febbraio 2012, n. 3, della Corte dei Conti, ma soprattutto con principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione e dalla dottrina;
   questo caso risulterebbe ancor più grave, secondo quanto dichiarato dalla stampa locale, come nell'articolo «Lo “strano caso” di Sebi Romeo e quella manovra per candidate a sindaco il nipote del boss» apparso sul sito strettoweb.com, in quanto approvato «ad personam» per consentire a Francesco Malara, componente del collegio dei revisori regionale, la candidatura a sindaco del comune di Santo Stefano in Aspromonte –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, relativamente alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 10. (4-09091)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la legge regionale della Calabria n. 10 del 13 marzo 2015, recante: «Modifiche alla legge regionale 10 gennaio 2013, n. 2 (Disciplina del Collegio dei revisori dei conti della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Calabria)», si rappresenta quanto segue.
  La legge n. 2 del 2013 istituisce un organismo indipendente posto a supporto delle funzioni di controllo dell'ente con il compito di raccordarsi con la sezione regionale della Corte dei conti ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
  In particolare, il collegio ha il compito di vigilare sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione, esercitando il controllo sugli atti dispositivi di spese e sui risultati di gestione e formula, su richiesta del Consiglio regionale, pareri su atti inerenti all'ordinamento contabile e finanziario del Consiglio stesso. Inoltre, il collegio è composto da tre membri, tra i quali viene eletto il Presidente, e dura in carica tre anni.
  La successiva legge regionale n. 10 del 2015 modifica l'articolo 9, comma 1, lettera b) della citata legge regionale n. 2 del 2013, sulle cause di esclusione ed incompatibilità, ed è stata sottoposta al vaglio del Governo nella riunione del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2015, il quale ha deliberato per la non impugnativa, sulla base del parere favorevole formulato dalle Amministrazioni competenti (Ministero della giustizia – ufficio legislativo; Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello Stato – IGOP e Ministero dell'interno, quest'ultimo per le vie brevi).
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 giugno 2014, il Consiglio della provincia autonoma di Bolzano ha approvato con 25 voti favorevoli e un solo astenuto il voto n. 12/14-XV riguardante la tutela dei consumatori e dei lavoratori in riferimento al Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. Nel dispositivo dell'atto politico il Consiglio della provincia autonoma di Bolzano sollecita il Parlamento, il Governo e i parlamentari europei a intervenire presso la Commissione europea affinché: 1) il Parlamento europeo sia costantemente informato dell'andamento dei negoziati tra l'UE e gli USA finalizzati alla creazione di una zona di libero scambio TTIP, e abbia libero accesso a tutti i documenti negoziali; 2) le norme in materia di lavoro e gli standard di legge per la sicurezza dei prodotti nonché per la tutela dei consumatori, della salute, dell'ambiente e della privacy vengano mantenuti ai livelli europei anche nell'eventualità che si arrivi alla firma del trattato; 3) l'ISDS (Investor-State Dispute Settlement) preveda, per quanto riguarda la tutela degli investimenti, disposizioni analoghe alla procedura d'infrazione dell'Unione europea il meccanismo di arbitrato (Investor/State Dispute Settlement) previsto dal TTIP non possa influire sulle competenze legislative del Parlamento europeo, dei parlamenti degli Stati membri o delle istituzioni parlamentari degli enti locali. Una nota conclusiva del dispositivo specifica inoltre che, se tali richieste non sono soddisfatte, il Consiglio provinciale si dichiara contrario alla stipula del previsto trattato transatlantico TTIP. Il testo del documento è stato quindi inviato in data 18 giugno 2014 al presidente della provincia per l'invio al Governo e al Presidente del Consiglio dei ministri;
   in data 14 gennaio 2015, il consiglio della provincia autonoma di Trento ha approvato con 27 voti favorevoli e 4 astensioni il voto n. 1/XV inerente il monitoraggio sull'andamento del negoziato sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) e gli indirizzi per il mantenimento di norme e di standard a livello europeo. Nel dispositivo il Consiglio provinciale sollecita il Parlamento e il Governo ad intervenire presso la Commissione europea affinché 1. il Parlamento ed il Governo italiani siano costantemente informati dell'andamento e dei contenuti del negoziato tra Unione europea e gli Stati Uniti d'America finalizzato alla creazione di una zona di libero scambio (TTIP) ed abbiano libero accesso a tutti i documenti negoziali; 2 le norme in materia di lavoro e gli standard di legge per la sicurezza dei prodotti nonché per la tutela dei consumatori della salute, dell'ambiente e della privacy vengano mantenuti a livelli europei anche nell'eventualità che si arrivi alla firma del trattato; 3 l'eventuale perfezionamento del negoziato tra Unione europea e Stati Uniti d'America finalizzato alla creazione di una zona di libero scambio (TTIP) non comporti accordi in tema di controversie tra privati e Stati tali da escludere o limitare la giurisdizione degli Stati medesimi e della Corte di Giustizia europea; 4. la definitiva eventuale approvazione del trattato sia subordinata al preventivo vaglio parere (vincolante) della Corte di Giustizia europea. Il voto è stato trasmesso al presidente della provincia autonoma Ugo Rossi in data 27 gennaio 2015 per l'invio al Parlamento e al Governo –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali siano le iniziative di competenza che il Governo italiano intenda assumere per tutelare gli standard di sicurezza sociali e regolamentari previsti dal diritto dell'Unione europea, nonché per soddisfare le richieste dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. (4-08311)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Presidente del Consiglio dei ministri è costantemente tenuto al corrente dell'evoluzione del negoziato per un Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (da ora Ttip) tra Usa ed Ue.
  In merito alle iniziative di competenza che il Governo italiano intenda assumere per tutelare gli standard di sicurezza sociali e regolamentari previsti dal diritto dell'Unione europea, va affermato che questi non sono in alcun modo messi in discussione da negoziato. Il Ttip – come indicato nel mandato negoziale conferito dal Consiglio dell'Ue alla, Commissione e reso pubblico durante il semestre di Presidenza italiana del 2014 – punta a favorire il mutuo riconoscimento di aspetti regolamentari di carattere tecnico che possano favorire un più agevole flusso degli scambi commerciali con implicazioni positive per la crescita economica e l'occupazione. Tuttavia, in nessun caso gli aspetti relativi alla sicurezza sociale, alla tutela dei lavoratori o alla tutela dell'ambiente, attualmente vigenti nell'Ue, potranno essere modificati o scalfiti in nome della liberalizzazione del commercio.
  Per quanto riguarda le richieste avanzate dai Consigli provinciali di Trento e Bolzano, si formulano le seguenti considerazioni.
  Il Parlamento ed il Governo italiano sono costantemente informati dell'andamento e dei contenuti del citato negoziato tra Unione europea e gli Stati Uniti d'America (Ttip) attraverso i tradizionali canali istituzionali d'informazione nonché attraverso periodiche riunioni informative ad hoc, svoltesi al Ministero dello sviluppo economico ed estese anche a tutti gli esponenti della società civile. L'ultimo incontro a riguardo si è svolto il 31 marzo 2015.
  Il processo di trasparenza è altresì arricchito dalla vasta mole di informazione, dai rapporti informativi sui singoli round negoziali, messi a disposizione sul web dalla DG Trade della Commissione europea, (http://ec.europa.eu/trade/policy/infocus/ttip/). L'accesso ai documenti negoziali deve essere attentamente valutato per contemperare le esigenze di trasparenza con quelle di riservatezza che caratterizzano ogni negoziato di natura commerciale.
  Il negoziato Ttip, in tema di controversie tra investitori privati e Stato, non intende puntare all'esclusione o alla limitazione della giurisdizione degli Stati medesimi e della Corte di giustizia europea. Tuttavia, nell'accordo potrà esserci un meccanismo arbitrale «Investor State Disputer Settlement» (Isds) nell'ambito del capitolo della protezione degli investimenti, in linea con quanto già esiste in tutti i trattati bilaterali sugli investimenti sottoscritti dallo Stato italiano (cosiddetti Bit) ed attualmente in vigore.
  Il meccanismo Isds nel Ttip dovrà, comunque, contemplare il diritto degli Stati di poter regolamentare in materia di pubblico interesse; il rafforzamento delle garanzie di imparzialità e di professionalità degli arbitri; una corretta disciplina tra i ricorsi davanti alle corti nazionali e quelli dinanzi agli stessi meccanismi arbitrali Isds nonché un eventuale organismo di appello per le decisioni Isds.
  Ai sensi del diritto dell'Unione europea, l'entrata in vigore di un accordo commerciale negoziato ai sensi dell'articolo 207 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea è subordinata all'approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo (in caso di eventuale competenza mista verrà anche sottoposta alle procedure di ratifica dei 28 Stati membri), quindi attraverso procedure di massima trasparenza democratica. La Corte europea può essere eventualmente adita dal Consiglio, dalla Commissione, dal Parlamento europeo o da uno Stato membro, per verificare la validità dell'accordo. Tale controllo verte sulla validità formale (rispetto della procedura di adozione) e sostanziale (rispetto della conformità dell'accordo col diritto primario europeo).
  Alla conclusione del negoziato Ttip ciascuna delle istituzioni dell'Ue ed i Governi degli Stati Membri potranno eventualmente valutare tale esigenza ove se ne dovessero ravvisare le condizioni.
Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 5 dicembre 2013, la commissione filatelica presieduta dal Viceministro dello sviluppo economico, Antonio Catricalà, si è riunita per approvare il Piano filatelico 2014. Tale Commissione doveva essere nominata e convocata molto prima ma, per le note vicende governative, ciò non è potuto accadere e per questo si è giunti ad elaborare il sopracitato «programma» solo due settimane fa. Rispetto agli anni precedenti ciò che balza subito all'occhio è la riduzione del numero dei «temi» approvati. Infatti nel passato il Poligrafico dello Stato ha sempre stampato circa una cinquantina di tipologie di valori bollati mentre per il 2014 non ne saranno stampati più di trentanove. Si sa, la crisi economica è sempre molto presente all'interno delle famiglie italiane ed in tempi di «spending review» tutti devono pagare pegno, emissioni filateliche comprese, anche se queste ultime non rappresentano un reale costo per lo Stato se si tiene conto del fatto che tutti i francobolli saranno facilmente venduti o «piazzati» a causa non solo del loro uso che se ne farà in ambito postale ma anche in quello collezionistico. Così in maniera inversamente proporzionale, rispetto agli anni passati, molti di più sono stati i proponenti esclusi. Tra di essi vi è anche il Comitato per il «Bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia» presieduto dal dottor Lorenzo Valloreja, storico e giornalista abruzzese, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «L'attuale Governo disconosce il risorgimento italiano! Al posto dei Carbonari, dei moti, della Storia, il Governo Letta preferisce la “Nutella”». Circa due anni or sono il Comitato, seguendo ha presentato presso il Ministero dello sviluppo economico una richiesta formale per l'emissione, nella primavera 2014, di un Francobollo Commemorativo che ricordasse le gesta della Prima Rivolta Carbonara d'Italia, moto che si è svolto in Abruzzo nel marzo del 1814. In tale circostanza diversi comuni del circondario di Penne (oggi provincia di Pescara, all'epoca facente parte dell'Abruzzo Ulteriore I) per quasi due mesi riuscirono ad affrancarsi dalla divinazione straniera costituendosi in una Repubblica carbonaro libera e costituzionale. Come tutte le insurrezioni preunitarie anche questa finì male e diversi patrioti pagarono con la loro vita, molti altri dovettero riparare nello Stato Pontificio per aver salva la pelle, ma questo non li esentò dall'essere carcerati da parte di Pio VII. Insomma una classica storia da irredentismo italiano. Comunque c’è anche da dire che precedentemente al 1814 ci furono già altri progetti insurrezionali, il primo nel 1811 sempre in Abruzzo ed un altro nel 1813 in Calabria, ma entrambi non furono mai messi in pratica, i carbonari in questione infatti vennero scoperti ed arrestati prima che potessero muovere un sol dito, ed ecco perché i fatti del 1814 assurgono ad una funzione primigenia, perché sono i primi a produrre dei fatti concreti. Attualmente il moto del 1814 è documentato sia attraverso materiale originale presente in alcuni Archivi di Stato, che da diverse pubblicazioni, il comitato per il «bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia» ha chiesto una integrazione accogliendo la sua richiesta di emissione di un francobollo nell'ambito del piano filatelico 2014 così come è stato fatto accogliendo ad integrazione un francobollo dedicato a papa Pio X –:
   se non intende accogliere la richiesta di un francobollo dedicato al bicentenario della prima rivolta carbonara d'Italia. (4-03248)

  Risposta. — I programmi annuali di emissione delle carte-valori postali dello Stato sono definiti in via esclusiva dal Ministero dello sviluppo economico, anche acquisito il parere della consulta per l'emissione delle carte-valori postali e la filatelia, organo tecnico-consultivo dell'amministrazione con il compito di fornire un qualificato supporto nella definizione del programma annuale delle emissioni filateliche, esprimendo il proprio parere non vincolante sulla bozza di programma annuale elaborata dagli uffici ministeriali, nonché avanzando proprie proposte.
  Il programma di emissione per l'anno 2014 è stato definito dall'amministrazione nel mese di dicembre 2013, acquisiti i pareri formulati dell'organismo tecnico-consultivo ministeriale nelle riunioni del 5 dicembre 2012 e del 5 dicembre 2013.
  Nell'ambito della discrezionalità dell'amministrazione nella scelta dei temi e dei soggetti delle nuove emissioni di carte-valori postali, si tiene conto dei criteri di massima sinteticamente riportati sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico, nonché della necessità di emettere sia francobolli celebrativi e commemorativi che francobolli afferenti alle varie serie tematiche ordinarie, nell'intento di porre in circolazione carte-valori dedicate ad una molteplicità di aspetti della storia, della cultura, delle tradizioni e dell'economia nazionale. Come per il programma del 2013, composto da 50 emissioni, anche quello per il 2014 è conforme all'orientamento degli ultimi due anni, comprendendo, allo stato attuale, 45 singole voci.
  La proposta di emissione relativa al bicentenario della rivolta carbonara di città Sant'Angelo, esaminata in occasione della riunione dell'organismo tecnico-consultivo del 5 dicembre 2013, non ha ricevuto parere favorevole e, pertanto, non si è ritenuto di inserirla nel programma per l'anno 2014.
  Ad ogni buon conto, la mancata inclusione nel programma non va interpretata come una valutazione negativa sul merito della proposta, bensì deve essere ricondotta alla necessità per l'amministrazione di predisporre un programma caratterizzato da un numero contenuto di emissioni, selezionando temi e soggetti afferenti ad una molteplicità di tematiche eterogenee, inclusa quella relativa alla celebrazione del «made in Italy» che ha visto, nel 2014, l'emissione di francobolli dedicati a produzioni di eccellenza quali il vino DOCG e la Nutella, marchio che da cinquant'anni rappresenta l'Italia nel Mondo.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud, nella sua edizione del 4 luglio 2014, ha pubblicato la situazione di difficoltà che stanno vivendo i cittadini residenti nel comune di Filadelfia (Vibo Valentia), a causa dei gravi disservizi nella consegna della corrispondenza da parte di Poste Italiane;
   questa situazione ha provocato ai cittadini danni non lievi a causa del fatto che utenze telefoniche o di erogazione luce e gas non sono state mai recapitate, consegnate o notifiche di contenziosi giudiziari mai notificati;
   gli utenti sono spesso costretti a recarsi personalmente presso l'ufficio postale per ritirare la posta, aspettando anche alcune ore prima di sapere se in giacenza ci sono bollette, raccomandate, o altro;
   oltre ai citati disservizi legati alla mancata consegna dei prodotti postali se ne aggiungono altri che rendono maggiore il disagio, soprattutto alle persone anziane o a quelle che non sono in grado di uscire di casa o che risultano costrette a raggiungere l'ufficio preposto con grave nocumento per la propria incolumità e sicurezza;
   la situazione risulta essere estremamente grave e coinvolge anche il personale preposto allo smaltimento della posta che, a causa dei notevoli problemi dovuti all'accumularsi della corrispondenza da mesi, non sembra più in grado di fronteggiare il disagio;
   le proteste dei cittadini non sono tardate ad arrivare; essi lamentano il mancato rispetto degli standard minimi che gli uffici postali devono rispettare;
   considerato il perdurare di queste gravi difficoltà, appare evidente che Poste Italiane non abbia a tutt'oggi elaborato un piano alternativo per poter affrontare la grave situazione d'emergenza;
   tale situazione, ad avviso dell'interrogante, è inadeguata per un Paese civile e lede pesantemente i diritti dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di questa situazione creatasi presso l'ufficio postale di Filadelfia e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere tale problematicità, riaffermando, in questo modo, la centralità del diritto dei cittadini di vedersi recapitare la posta in tempi certi. (4-05613)

  Risposta. — Con riferimento allo svolgimento del servizio di recapito nel comune di Filadelfia (Vibo Valentia) la società Poste italiane, da noi interpellata, ha rappresentato quanto segue.
  Nel territorio in esame il servizio di recapito è servito dall'omonimo presidio di distribuzione, composto da quattro zone di recapito, due delle quali di tipologia «rurale». I rallentamenti ai quali fa riferimento l'interrogazione in esame si sono verificati a seguito del trasferimento di uno dei portalettere, titolare di zona. Il servizio è stato comunque assicurato, senza soluzione di continuità, mediante il ricorso agli strumenti gestionali previsti dal CCNL e dagli accordi sindacali vigenti.
  L'azienda ha evidenziato, altresì, le difficoltà incontrate dagli operatori incaricati delle sostituzioni a causa della toponomastica insufficiente che non rende agevole lo svolgimento del servizio da parte dei portalettere con una minore conoscenza del territorio e delle sue peculiarità. La società ha, in ogni caso, reso noto che dal 14 luglio 2014 nella zona è stato applicato un operatore con contratto a tempo determinato.
  Si segnala, infine, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha comunicato di aver richiesto chiarimenti a Poste italiane in merito ai disservizi segnalati nel comune di Filadelfia. La società, in riscontro a tale richiesta, ha assicurato che il servizio di consegna della corrispondenza nel territorio in questione viene costantemente monitorato e, nonostante le citate difficoltà, non si registrano, al momento, particolari criticità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'eredità finanziaria del Trattato di Osimo è stimata per un importo di circa 90 milioni di dollari, al netto degli interessi maturati. Si tratta di un'eredità stabilita dall'accordo di Roma siglato nel 1983 da Italia e Jugoslava che fissava in 110 milioni di dollari la cifra originaria dovuta dall'allora Repubblica federativa a titolo di indennizzo per la cessione della zona B e di tutti i beni un tempo di proprietà degli esuli, e concedeva al Governo del maresciallo Tito sette anni di tempo per corrispondere l'intera somma;
   l'Italia stabilì che tale somma potesse essere versata in 13 rate a partire dall'anno 1990. Soltanto due delle 13 rate in questione, però, sono state effettivamente versate: una dell'importo di circa 12 milioni di dollari, l'altra di circa 11 milioni;
   lo scoppio della guerra e il dissolvimento della Jugoslavia hanno poi di fatto bloccato i pagamenti. In seguito, i Paesi nati dal dissolvimento della Repubblica federale, ossia Slovenia e Croazia, si sono autonomamente divisi il debito nei confronti dell'Italia;
   a quanto è dato sapere, il Governo italiano è finalmente intenzionato ad ottenere i 90 milioni di dollari, oltre interessi ancora da quantificare, maturati dal 1983 a oggi, da Slovenia e Croazia;
   si è così riaperto il tavolo di coordinamento tra Governo e associazioni degli esuli sui fondi per gli indennizzi previsti dall'accordo di Roma del 1983;
   dunque, si potrebbe prospettare la chiusura dei patti stabiliti con Lubiana e Zagabria sulla «eredità economica» lasciata dal Trattato di Osimo;
   tale percorso prevede ovviamente l'intesa con i rappresentanti del mondo dell'esodo, poiché le somme in questione devono finanziare interventi e progetti legati al mondo dell'esodo –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai fatti di cui in premessa;
   se e quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per ottenere le risorse pattuite;
   per quali iniziative si intendano destinare i fondi, qualora siano ottenuti, in necessario accordo con le associazioni degli esuli. (4-07956)

  Risposta. — 1. L'accordo del 1983 di esecuzione del Trattato di Osimo, non solo quantifica l'ammontare dell'indennizzo dovuto all'Italia dalla Repubblica federativa socialista di Jugoslavia in 110 milioni di dollari USA (articolo 2), ma definisce anche dettagliatamente le modalità di versamento della somma: «a partire dal 1o gennaio 1990 in 13 annualità eguali con accreditamento su un conto intestato al Ministero del tesoro presso la Banca d'Italia in Roma» (articolo 3). Come è ben noto, il versamento della somma sopra citata secondo le modalità indicate non è stato mai effettuato dall'allora Repubblica federativa socialista di Jugoslavia, a cui sono poi succedute Slovenia e Croazia.
  2. Dopo vari anni, la prima riunione del tavolo di coordinamento tra Governo e associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati si è svolta il 12 febbraio 2015, due giorni dopo la celebrazione del «Giorno del Ricordo», con l'obiettivo, condiviso con la Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, di riattivare un dialogo con il mondo degli esuli da troppo tempo ingiustamente interrotto. Il tavolo si propone infatti di esaminare compiutamente ed in modo fattivo tutte le questioni di interesse delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati che spaziano dall'attuazione dell'accordo di Roma del 1983 ad argomenti di ordine previdenziale, nell'ambito di un esercizio articolato che trova origine nell'esigenza di proseguire nel processo avviato nel 2004 con l'adozione delle legge istitutiva del «Giorno del Ricordo» che ha permesso di iniziare a far conoscere, dopo un lunghissimo periodo di occultamento della verità, la tragedia delle Foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmata.
  3. La questione del pagamento dell'indennizzo da parte di Slovenia e Croazia in base all'accordo di Roma del 1983 è stata quindi uno degli argomenti affrontati nella prima riunione del tavolo. Trattasi di una pendenza storica nei rapporti bilaterali con questi due Paesi che appare sempre più opportuno definire compiutamente alla luce della oramai comune appartenenza all'Unione europea e nell'ambito dell'eccellenza dei nostri rapporti con Lubiana e Zagabria da ultimo testimoniata dalla recente vista ufficiale del Signor Presidente della Repubblica in queste due capitali.
  4. Sul piano interno occorre elaborare, in questa prospettiva, soluzioni che consentano di destinare adeguate risorse finanziarie ad iniziative di interesse delle associazioni degli esuli fiumani, istriani e dalmati, considerando anche che la legge n. 72 del 2001 deve essere rifinanziata ogni tre anni nell'ambito della nota congiuntura economica. Attraverso quindi il dialogo con le associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, nell'ambito dell'apposito tavolo esistente alla Presidenza del Consiglio, vi è quindi l'opportunità di individuare soluzioni di alto profilo e durature nel tempo – come ad esempio il sostegno ad una apposita fondazione – che consentano di rendere giustizia al lunghissimo silenzio che vi è stato in Italia nei confronti di una delle più gravi e durature violazione dei diritti umani avvenute in Europa nel secondo dopoguerra ai danni di una minoranza autoctona.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   SARTI e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dalle recenti indagini della procura di Napoli sull'attività della cooperativa Cpl Concordia, risulta, come riportato da notizie di stampa, che quest'ultima avrebbe finanziato: il Partito Democratico e svariati soggetti politici – ciò è riscontrabile anche dall'elenco delle donazioni registrate alla Tesoreria della Camera dei deputati –, la fondazione Italiani Europei di Massimo D'Alema e la Fondazione Icsa, creata da Marco Minniti che ne è stato presidente fino al maggio 2013;
   oggi Marco Minniti è Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi, ossia ricopre la carica di Autorità delegata alla politica di informazione e sicurezza nazionale. Ne consegue che, in ragione del ruolo svolto, l'onorevole Marco Minniti esercita una funzione di indirizzo e di controllo sui servizi di informazione e sicurezza, tra cui le scelte nell’outsourcing di alcune ricerche;
   né sul sito della Fondazione Icsa né da nessuna altra parte, sono resi noti i finanziatori della fondazione, come confermato nel corso di un'intervista della trasmissione televisiva «La Gabbia» e riportata dalla testata on line de «il Fatto Quotidiano», dal direttore della Fondazione Icsa, Italo Saverio Trento. Il direttore dichiara inoltre che la mancanza di trasparenza sui nomi dei finanziatori è stata una scelta fatta all'inizio ed aggiunge che oggi, nonostante le indagini per corruzione sulla cooperativa Cpl Concordia, non sarebbero in grado di restituire i 40.000 euro da questa ricevuti;
   oltre ai finanziamenti dai privati, la Fondazione Icsa ha ricevuto risorse pubbliche dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, in particolare dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. La somma, pari a 12.500 euro, sarebbe stata versata per organizzare un Convegno svoltosi a Roma sul tema del terrorismo: «Stato Islamico e minaccia jihadista: quale risposta ?»;
   all'interno del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, l'autorità delegata è proprio lo stesso Marco Minniti, creatore ed ex presidente della Fondazione Icsa beneficiaria del finanziamento statale –:
   se il Presidente del Consiglio ritenga comunque opportuno che fondi pubblici vengano erogati a favore di una Fondazione, ente di diritto privato, che non segue il principio di trasparenza scegliendo di non rendere noti i propri finanziatori;
   se il Presidente del Consiglio ritenga comunque opportuno che lo Stato finanzi la Fondazione Icsa fondata dallo stesso Sottosegretario Minniti. (4-08942)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame concernente i finanziamenti erogati a favore della fondazione ICSA, concernente a quanto riferito dal dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), si fa presente quanto segue.
  Preliminarmente si comunica che il convegno «Stato islamico e minaccia jihadista» che si è svolto lo scorso 18 febbraio presso il centro alti studi per la difesa (CASD), organizzato dalla fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis) e dal DIS in collaborazione con Rai News, rientra nelle molteplici iniziative organizzate dalla Scuola di formazione del DIS nel quadro delle attività di diffusione della cultura della sicurezza, come esplicitamente previsto dalla legge n. 124 del 2007.
  Il convegno, peraltro ampiamente pubblicizzato, ha rappresentato un momento di significativo valore scientifico e culturale e ha aggregato un nutrito, parterre del mondo delle istituzioni (magistrati, forze di polizia, esponenti del Parlamento) oltre che di esperti del settore. ICSA ne ha seguito tutte le fasi organizzative e gestionali fino alla produzione degli atti del convegno.
  La prestazione dell'ICSA è stata retribuita secondo procedure trasparenti e ben definite dalle leggi le quali prevedono, fra l'altro, anche una verifica della congruenza della prestazione stessa.
  La scuola di formazione del DIS per lo svolgimento delle iniziative di cultura della sicurezza si avvale di numerosi interlocutori scientifici, selezionati tra gli istituti che esprimono competenza nelle diverse discipline di interesse, tra i quali anche l'ICSA, il cui profilo è peraltro perfettamente corrispondente, per la qualità del suo comitato scientifico oltre che per la sua consolidata esperienza di rapporti con diverse amministrazioni, ai requisiti del convegno.
  Nella selezione di questo tipo di partenariato la figura dell'autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, per la natura politica del suo incarico, non riveste alcun ruolo, né peraltro il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Marco Minniti, ha mai indicato l'ICSA come interlocutore al quale fare riferimento.
  Si evidenzia infine che il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Marco Minniti, ha lasciato la presidenza dell'ICSA fin dal maggio 2013 (ritirandosi anche come socio) e nulla ha a che fare con le iniziative della fondazione dopo quella data.
La Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   VALIANTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel frazione di Acquavella, comune di Casal Velino (SA) da circa due mesi è sospeso il servizio del portalettere a causa della mancata presenza al lavoro per malattia dell'incaricato a svolgere il servizio;
   non essendosi provveduto alla sua sostituzione è venuto così a mancare ai cittadini di Acquavella e a tutti quelli del territorio circostante che dipendono dall'ufficio postale un servizio di pubblica utilità che dovrebbe essere invece garantito, provocando pertanto seri disagi alla popolazione interessata;
   il territorio in questione presenta delle caratteristiche precipue, con una densità abitativa abbastanza importante e dove mancando le possibilità della rete internet per carenza delle caratteristiche della linea telefonica, il servizio del portalettere è di vitale importanza per ricevere e smaltire sia la posta ordinaria, che quella recante nelle abitazioni dei contribuenti tutti gli adempimenti nei confronti dello Stato –:
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza intenda adottare per sanare la problematica sopraesposta e ripristinare nel più breve tempo possibile l'operatività del servizio di portalettere nell'ufficio postale di Acquavella. (4-05433)

  Risposta. — In merito alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame la società Poste italiane ha rappresentato quanto segue.
  Nel territorio del comune di Casal Velino, in provincia di Salerno, il servizio di recapito è articolato in 4 zone, appartenenti al presidio decentrato di distribuzione di Ascea Marina.
  In particolare la zona in cui rientra la frazione di Acquavella è composta da 220 nuclei familiari, pari a circa 500 abitanti, ai quali si aggiungono i residenti delle contrade Carullo (95 abitanti) e Fornari (80 abitanti).
  Poste italiane, da noi interpellata, ha evidenziato che i rallentamenti ai quali si fa riferimento nell'interrogazione in esame si sono probabilmente verificati in alcuni brevi periodi, per l'esattezza dal 19 al 30 maggio e dal 17 al 30 giugno 2014, concomitanti all'assenza del portalettere titolare, durante i quali il servizio è stato svolto da operatori che, avendo una minore conoscenza del territorio e dei suoi abitanti, hanno incontrato, per le carenze che presenta la toponomastica del luogo, difficoltà oggettive nello svolgimento del servizio.
  L'azienda ha assicurato, infine, che nonostante tali difficoltà, il servizio di recapito, seppure con qualche rallentamento, è stato sempre garantito tramite il ricorso agli strumenti gestionali previsti dal CCNL e dagli accordi sindacali vigenti.
  Per completezza di informazione, Poste italiane ha reso noto che dal 5 luglio 2014 il recapito nella zona di interesse è stato affidato ad un operatore con contratto a tempo determinato.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.