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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 30 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», ha novellato l'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente n. 602 del 1973, disciplinando l'interruzione delle procedure esecutive sugli immobili adibiti a «prima casa», intraprese da Equitalia;
    in base alla nuova disposizione, per bloccare le esecuzioni esattoriali, gli immobili devono rappresentare gli unici di proprietà del debitore, nonché devono essere adibiti ad uso abitativo e il contribuente vi deve risiedere anagraficamente;
    a seguito di un ricorso, avverso una sentenza, del tribunale di Milano che aveva accolto l'opposizione all'esecuzione immobiliare esattoriale avanzata da un contribuente nei confronti di Equitalia spa, avverso il pignoramento dell'usufrutto vitalizio di un appartamento, già adibito a casa coniugale, la terza sezione civile della Corte di cassazione con sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, pur dichiarando inammissibile il ricorso per carenza di interesse, essendo intervenuta la richiamata norma, ha chiarito ulteriormente i confini di efficacia temporale di tale disciplina, stabilendo che la novella introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2013 in materia di espropriazione della prima casa quando a procedere sia Equitalia, risulta applicabile ad ogni procedimento di esecuzione in corso, pure se intrapreso prima dell'emanazione della novella citata;
    nella sentenza, inoltre, la Corte di cassazione ha precisato che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione»;
    la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 settembre 2014, III sezione causa C-34/13, ha stabilito, ai sensi della direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, che, qualora la banca o istituto finanziario che sia abbia fatto firmare clausole abusive, l'ipoteca è nulla ed il pignoramento (come la successiva vendita all'asta) debbano essere bloccate, facendo di fatto prevalere il diritto all'abitazione nel caso di applicazione di clausole vietate dall'Unione europea. Le clausole abusive previste dalla direttiva 93/13/CEE, sono quelle che, malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto;
    il fondo di solidarietà per i mutui prima casa istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, che consente la sospensione, fino a 18 mesi, del pagamento dell'intera rata del mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, non interviene nel caso in cui sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato e comunque prevede una serie di requisiti per il suo accesso che escluderebbe una vasta platea di interessati: la sospensione del pagamento della rata di mutuo, infatti, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi, relativi alla sola persona del mutuatario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e accaduti nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:
     a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     c) morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80 per cento;
    nonostante l'intervento delle norme e della giurisprudenza citate, cresce il numero di italiani che stanno perdendo la propria ed unica abitazione, per motivi collegati alla crisi (perdita del posto di lavoro, aumento del costo della vita ed altro);
    secondo i dati dell'Adusbef i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari nel 2014 sono stati quasi 5.500, 20 ogni giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è stata ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. In 5 anni di crisi (2008-2013), per Adusbef e Federconsumatori, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento. Se venissero sommati gli aumenti dei pignoramenti dal 2006 al 2014, l'incremento sarebbe, per le associazioni citate, pari al 161,7 per cento in nove anni, che in termini assoluti equivarrebbe alla scomparsa di una città delle dimensioni di Ancona, Bolzano o Terni,

impegna il Governo:

   al fine di sostenere i nuclei familiari in difficoltà, soprattutto quelli con figli, a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a prevedere una moratoria per i pignoramenti e l'esecuzione immobiliari relative ad abitazioni adibite a prima casa, qualora il debitore ed i componenti del suo nucleo familiare con lui residenti non siano proprietari di ulteriori unità immobiliari adibite ad abitazioni nel medesimo comune o in altri comuni entro il raggio di 150 chilometri e solo per quei pignoramenti ed esecuzioni immobiliari dovute ad accertate condizioni di insolvenza e involontarietà del debitore;
   a valutare l'opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte a consentire l'utilizzo delle risorse di cui al fondo di garanzia per i mutui per la prima casa, ex articolo 1, comma 48, lettera c), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, per remunerare, per effetto della moratoria, gli interessi dei creditori che hanno avviato le procedure di esecuzione o proceduto al pignoramento dell'immobile.
(1-00924) «Sberna, Gigli, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    per impedire le frodi nel settore caseario e del latte per il consumo umano ed al fine di non consentire che in tali prodotti vi potessero essere inseriti anche latti in polvere altrimenti destinati alla produzione per uso zootecnico ed incentivati con premi della politica agricola comune (PAC), con la legge 11 aprile 1974, n. 138 e successive modificazioni, è stato disposto che: «Art. 1. 1. È vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
     a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
     b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
     c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere;
     d) bevande ottenute con miscelazione dei prodotti di cui alle lettere a) e b) con altre sostanze, in qualsiasi proporzione;
    è altresì vietato detenere latte in polvere negli stabilimenti o depositi, e nei locali annessi o comunque intercomunicanti, nei quali si detengono o si lavorano latti destinati al consumo alimentare diretto o prodotti caseari;
    è escluso dal divieto di cui al primo comma il latte liquido ottenuto dal latte in polvere puro o miscelato con altre sostanze che abbia subito tutti i trattamenti idonei a qualificarlo del tipo “granulare e a solubilità istantanea” e che sia destinato al consumo alimentare immediato dell'utente, purché il suddetto prodotto sia distribuito tramite apparecchiature automatiche e semiautomatiche nelle quali la miscelazione del latte in polvere con le altre sostanze avvenga al momento stesso in cui l'utente si serve dell'apparecchiatura. La dose massima di bevanda fornita per ogni singola erogazione non può superare i 150 centilitri. È vietata l'installazione di distributori che forniscono bevande di cui al presente comma nei bar, ristoranti e luoghi affini; negli alberghi e nelle mense, di qualunque genere e tipo, tale divieto è limitato alle cucine ed ai locali adibiti alla distribuzione ed al consumo dei pasti»;
    stando al contenuto di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 28 giugno 2015, a pagina 27, sembrerebbe che la Commissione europea voglia iniziare una procedura di infrazione contro l'Italia accusata di avere nel proprio ordinamento la legge 11 aprile 1974, n. 138, in materia di norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana;
    secondo il citato articolo, la Commissione europea avrebbe intrapreso l’iter di messa in mora contro l'Italia perché la legge n. 138 del 1974 sarebbe limitativa della libera circolazione delle merci in quanto impedirebbe di produrre formaggi tramite l'utilizzo di latte in polvere;
    una tale asserzione della Commissione europea sarebbe talmente paradossale ed assurda che, se fosse vera, neppure meriterebbe di essere presa in considerazione e di fornirle risposte giustificative: sin dall'inizio della civiltà umana, il formaggio si realizza con solo latte intero e mai alcuno, in nessuna parte del mondo, ha messo in discussione una tale evidente, banale, ovvietà;
    ove poi anche il possibile giustificativo che la Commissione sembrerebbe richiamare per avanzare l'abrogazione della legge n. 138 del 1974, volesse essere preso in considerazione, ossia che se l'Italia intendesse proteggere il proprio patrimonio per la qualità agroalimentare e la trasparenza verso i consumatori, avrebbe la possibilità di farlo tramite l'uso delle denominazioni di origine, tale ulteriore tesi sarebbe ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto illogica e priva di coerenza. Infatti le denominazioni di origine tutelate dall'Unione europea sono volte a proteggere il nome dei luoghi che designano determinati prodotti che in essi vi nascono e vi prendono reputazione per il peculiare motivo che sono i territori di origine che li rendono irripetibili altrove. Si tratta di un concetto che specializza gli attributi dei prodotti agricoli ed alimentari e non può essere preso a motivo per attribuire al regime di tutela delle DOP e delle IGP il rango di normativa generale sulla gestione per la qualità alimentare e la tutela della salute, ciò che invece ben può perseguire, ed infatti per questo è stata approvata, la legge n. 138 del 1974;
    ad ogni modo, vale la pena far presente che in Italia, la normativa applicabile, da quasi un secolo, definisce chiaramente cosa sia il formaggio, segnatamente per impedire che a suo danno si possano compiere frodi e atti illeciti. Si fa riferimento all'articolo 32 del regio decreto legge 15 ottobre 1925, n. 2033, convertito dalla legge 18 marzo 1926, n. 562, recante «Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari»;
    tale articolo dispone che «Il nome di formaggio o cacio è destinato al prodotto che si ricava dal latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina»;
    fatto salvo il chiaro, inappuntabile ed indiscutibile quadro normativo italiano in materia di formaggi, vale la pena anche ricordare che il prestigio e la grande reputazione italiana in tema di prodotti caseari la pone al vertice del commercio internazionale e della rinomanza del pubblico che la visita, proprio perché dedica uno zelo unico ed un rigore elevatissimo nel sapere produrre una vastissima tipologia di formaggi utilizzando solo e semplicemente latte intero, caglio e sale con le particolarità e le specializzazioni che ogni territorio e tradizione locale poi gli applicano, tra cui i caratteri delle designazioni delle denominazioni di origine;
    è impensabile che l'Italia abdichi al proprio regime di protezione della qualità dei formaggi e non è ipotizzabile che, per questa fattispecie, in ragione di un quasi incredibile principio della libera circolazione delle merci, il Governo prenda pur minimamente in considerazione l'eventualità di procedere alla soppressione della legge n. 138 del 1974 o ricerchi motivi ulteriori a quelli assiomatici e basilari di rango principale che già la reggono, per doverne spiegare il perché della sua esistenza e del suo mantenimento nell'ordinamento nazionale,

impegna il Governo:

   a non intraprendere alcuna iniziativa volta a porre in discussione la legge 11 aprile 1974, n. 138;
   a sostenere tale normativa senza alcuna debolezza in ogni sede, segnatamente presso la Commissione europea;
   a far presente alla Commissione europea, ove essa abbia in animo di richiedere la soppressione della predetta legge, che la normativa italiana in materia di produzione lattiero casearia è tra le più progredite, garantiste e lungimiranti oggi esistenti, che le norme che regolano i divieti di utilizzo dei latti in polvere sono inderogabili per garantire la sicurezza sanitaria e la salute dei consumatori, e che ciò non pregiudica in alcun modo la libera circolazione delle merci, anzi ne garantisce la lealtà.
(1-00925) «Mongiello, Oliverio, Fregolent, Michele Bordo, Realacci, Prina, Romanini, Taricco, Venittelli, Amato, Capone, Carella, Cassano, Marco Di Maio, Ferranti, Folino, Cinzia Maria Fontana, Galperti, Ginefra, Grassi, Lodolini, Losacco, Malisani, Mariano, Massa, Monaco, Narduolo, Patriarca, Pelillo, Rubinato, Senaldi, Blazina, Ventricelli, Vico, Zan, Fiorio, Casellato, Tentori, Montroni, Rostellato, Antezza, Carocci, Carloni, Scuvera, Mognato, Manzi, Capozzolo, D'Incecco, Iori».


   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi economico-sociale che ha colpito così pesantemente il nostro Paese dal 2008 ha causato seri problemi ai cittadini, molti dei quali si sono trovati in condizioni di difficoltà economica;
    si tratta di persone che si trovano a dover fronteggiare la perdita del posto di lavoro, o la chiusura della loro attività economica, ed a sostenere contemporaneamente le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere la famiglia;
    la prima casa costituisce un elemento fondamentale del patrimonio delle famiglie italiane e rappresenta, al contempo, un bene necessario per le famiglie. Proprio per la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese è aumentato in modo elevato il numero dei pignoramenti che si sono registrati in Italia in questi ultimi anni;
    appare, pertanto, giusto evidenziare che lo Stato punti al soddisfacimento dei propri crediti, ma è necessario, altresì, tutelare e garantire quanti sono oppressi dalle procedure di espropriazione immobiliare, soprattutto quando riguardino la prima casa di proprietà. Non è, infatti, ammissibile che una famiglia perda la propria casa, magari il suo unico bene reale, acquistato dopo anni di sacrifici;
    l'impignorabilità della prima casa risulta, altresì, necessaria, al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa, che costituisce, tra l'altro, un elemento fondamentale di aggregazione familiare, che consente di tutelare le famiglie ed il diritto di tutti ad avere un alloggio, al fine di evitare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe;
    il decreto-legge cosiddetto «del fare» n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha previsto, all'articolo 52, che l'agente della riscossione non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate da decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente. Per gli altri beni immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro. Si prevede, inoltre, che in tal caso l'espropriazione possa essere avviata se è stata iscritta ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto;
    la Corte di cassazione, con la sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, ha contribuito ad ampliare la tutela del diritto alla prima casa, stabilendone l'impignorabilità da parte di Equitalia, con estensione della validità della disposizione contenuta nel citato decreto-legge anche per i procedimenti in corso. La Corte di cassazione ha, infatti, affermato che: «dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare e non introduce un'ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'articolo 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio»; tale norma è entrata in vigore il 22 giugno 2013;
    contrariamente alle conclusioni contenute nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze – per la quale tale norma non ha effetto retroattivo e, pertanto, tutti i pignoramenti effettuati prima del 22 giugno 2013 dovevano considerarsi validi ed efficaci – la Corte di cassazione ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti ai procedimenti di Equitalia ancora in corso. Pertanto, «in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell'avviso di vendita ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ai sensi dell'articolo 86 del decreto-legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194, supplemento ordinario del 20 agosto 2013), l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente della riscossione, se l'espropriazione ha ad oggetto l'unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale vi abbia la propria residenza anagrafica»;
    il tema del diritto all'abitazione quale diritto intangibile da tutelare è stato affrontato di recente anche dall'Unione europea. In particolare, la decisione della Corte di giustizia europea n. C-34/13 del 10 settembre 2014, in materia di pignoramento eseguito sulla prima casa se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla direttiva UE/93/2013, con la quale i giudici tornano ad affrontare il tema delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, con particolare riferimento ai contratti di credito al consumo che prevedono la costituzione, a favore della banca o finanziaria, di un diritto di garanzia sull'immobile di abitazione del cliente. La Corte di giustizia europea sottolinea che «la perdita dell'abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata». Essa «costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio» e, pertanto, «qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura»;
    occorre, pertanto, tutelare in modo certo coloro che perdono o che rischiano di perdere la propria casa con misure adeguate che permettano di risolvere questo problema che incide in modo grave sulla situazione economica delle famiglie italiane;
    andrebbe resa più rapida con ogni mezzo l'attuazione del programma di recupero degli immobili di edilizia popolare varato con il decreto-legge n. 47 del 2014 e sarebbe opportuno avviare un piano di medio termine per l'ampliamento complessivo dell'offerta di edilizia residenziale pubblica e di razionalizzazione delle gestioni, in particolare valorizzando il nesso fra politiche per la casa e tutela della famiglia come elemento imprescindibile di coesione sociale: dai giovani che desiderano sposarsi ma non possono permettersi un'abitazione agli anziani che temono di essere cacciati dalle loro case, perché non più in grado di pagare il mutuo o le tasse;
    sarebbe opportuno che le fondazioni bancarie inseriscano tra i loro obiettivi prioritari il diritto delle famiglie alla prima casa, facilitandone non solo l'accesso ma lo stesso mantenimento e che si favorisca la creazione di reti di solidarietà che permettano finanziamenti a tasso zero alle famiglie in difficoltà in una logica di auto-aiuto,

impegna il Governo:

   a sospendere gli espropri relativi alla prima casa, come previsto dalla sentenza della Corte di cassazione citata in premessa;
   ad affrontare con misure adeguate lo stato di estrema indigenza in cui versano un numero crescente di famiglie italiane per il protrarsi della crisi e per l'oggettiva difficoltà di inserimento e reinserimento nel mondo del lavoro, con riferimento alla situazione di coloro che sono destinatari di procedure di espropriazione di un immobile adibito ad abitazione principale;
   a rivedere tempi e modi con cui Equitalia rivendica i suoi diritti senza mai farsi carico dei corrispondenti doveri di rimborso e restituzione in tempi adeguati con riferimento alle problematiche esposte in premessa;
   a varare una politica di accordi con le banche – uniche beneficiarie finora degli aiuti avuti a livello europeo, mai disposte a farsi carico delle esigenze dei loro stessi clienti – per la gestione dei mutui in sofferenza, affinché, anche attraverso forme di garanzia pubblica ed accordi con soggetti privati e del terzo settore che operano nel settore della gestione dei crediti deteriorati, sia evitata la perdita della proprietà da parte di famiglie in situazione temporanea di insolvenza.
(1-00926) «Binetti, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'abitazione costituisce un bene primario che deve essere tutelato in modo adeguato e concreto. Il diritto sociale dell'abitazione deve essere garantito dallo Stato in quanto rientra tra i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione, e trova un riconoscimento espresso nell'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nell'articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali;
    la Costituzione all'articolo 47 prevede che la Repubblica debba favorire il diritto alla proprietà dell'abitazione, con misure che possano aiutare le persone più bisognose ad avere un alloggio di proprietà e, quindi, rendendo concreto questo diritto;
    la Corte costituzionale ha più volte affermato che rientra, tra i compiti della Repubblica, quello di favorire l'accesso all'abitazione ai cittadini più deboli. La difficoltà di avere una casa costituisce una delle preoccupazioni alle quali le amministrazioni pubbliche devono offrire risposte efficaci, in particolare attraverso i piani di edilizia economica e popolare;
    ai sensi del combinato disposto degli articoli 2, 3 e 32 le politiche legislative in materia abitativa sono basate sulla tutela dei diritti inviolabili della persona, tutela che è strettamente legata ai compiti che lo Stato ha nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale;
    nella Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione dell'aprile 2007 viene affermato: «L'Italia è impegnata perché tutti possano fruire di un'abitazione adeguata ai bisogni della propria famiglia e a costi ragionevoli. Chi si trovi in stato di bisogno, o sia costretto a subire costi eccessivi per la propria abitazione, può rivolgersi alle autorità pubbliche o alle associazioni sindacali per ricevere assistenza o ottenere il rispetto dei propri diritti»;
    il «caro affitti», le difficoltà di trovare sul mercato appartamenti liberi da affittare e la conseguente emergenza abitativa che sfocia nel ripetuto blocco degli sfratti hanno senz'altro origine nella scarsa disponibilità di alloggi per la locazione;
    l'emergenza abitativa costituisce nell'attuale crisi economica uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale;
    agli ormai insostenibili oneri tributari dei contribuenti, si aggiunge una difficoltà sempre maggiore di questi ultimi ad acquistare un immobile di proprietà: se la disoccupazione e le condizioni precarie dei contratti di lavoro a termine impediscono un facile accesso al mutuo bancario, il credit crunch, ma soprattutto l'aumento dei tassi di interesse dei mutui causati dalla crisi finanziaria hanno oberato e stanno oberando in modo gravoso i contribuenti;
    negli anni di crisi, le banche italiane hanno registrato un boom dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, avviati in seguito all'impossibilità di molte famiglie di pagare i mutui. Come hanno denunciato Adusbef e Federconsumatori, soltanto tra il 2008 e il 2012 i pignoramenti e le esecuzioni sono aumentati del 97,8 per cento, con un ulteriore aumento, a dicembre del 2014, che ha sfiorato l'11 per cento rispetto al 2013, come ha calcolato uno studio di Accord;
    sarebbe opportuno prevedere un meccanismo alternativo al pignoramento e all'esecuzione immobiliari in modo da evitare, per quanto più possibile, che cittadini in gravi difficoltà finanziarie non si vedano espropriare la casa di prima proprietà senza poter trovare una soluzione abitativa per sé e per la propria famiglia soltanto perché non più in grado di assolvere al pagamento delle rate del mutuo;
    l'impatto sociale che la problematica dell'emergenza abitativa assume è tale da far ipotizzare, laddove non vi sia un intervento urgente da parte dell'amministrazione comunale, possibili ripercussioni che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dei cittadini;
    negli ultimi decenni nel nostro Paese è cresciuto in maniera esponenziale il fenomeno dell'instabilità familiare. La mutata percezione dell'istituto matrimoniale e l'evoluzione dei legami familiari determinano un alto numero di separazioni e divorzi;
    se fin dai primi anni ’70 il numero di matrimoni celebrati in Italia è in costante riduzione, il fenomeno dello scioglimento del vincolo matrimoniale, per effetto di separazione o divorzio, è invece in continua crescita;
    è noto che le separazioni dei genitori provocano spesso situazioni di difficoltà e di grave disagio ai genitori separati e, di conseguenza, anche ai figli;
    tale situazione di difficoltà riguarda, in particolare, la figura paterna che, a seguito della pronuncia dell'organo giurisdizionale di assegnazione della casa familiare e dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, viene a trovarsi in una situazione di difficoltà economica che può comportare una condizione di emergenza abitativa e l'impossibilità di condurre un'esistenza dignitosa, impedendo pertanto l'esercizio del ruolo genitoriale;
    considerato, quindi, come l'emergenza abitativa e il pignoramento degli immobili sia un fenomeno che interessa in modo preponderante le famiglie in condizione di separazione, sarebbe auspicabile prevedere, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, un piano straordinario di interventi finalizzati al sostegno economico, al sostegno abitativo, a facilitare l'accesso al credito per i genitori separati in condizioni di disagio sociale, anche con misure mirate a potenziare su tutto il territorio nazionale la rete dei centri di assistenza e dei centri mediazione familiari;
    il problema dell'emergenza abitativa, inoltre, richiederebbe da parte del Governo un intervento urgente volto:
     a) a prevedere, di intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni, un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale abitativo, incentrato sull'autorecupero e sulla riconversione della destinazione d'uso degli immobili regionali e comunali in disuso (caserme, fondi demaniali della difesa, plessi scolastici, ospedali, aziende sanitarie locali, centri medici);
     b) a prevedere accordi di programma con i movimenti, le associazioni, i comitati, i cittadini organizzati per l'assegnazione di aree abbandonate della città da destinare a progetti di micro-comunità di quartiere ai fini della riqualificazione del territorio, del recupero e della rifunzionalizzazione degli edifici abbandonati e degli alloggi a scopo abitativo;
    da ultimo, le politiche messe in atto dal Governo in materia di gestione dei flussi migratori rischiano di creare un impatto sociale ingestibile, alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani, in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa, nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane. È difatti irragionevole e rischioso allestire le strutture temporanee per l'accoglienza degli immigrati nei territori dove vi sia una diffusa condizione di emergenza abitativa per i cittadini italiani,

impegna il Governo

a prevedere un tavolo di concertazione tra il Governo, le associazioni di rappresentanza dei consumatori e gli istituti di credito al fine di studiare una soluzione alternativa al pignoramento e all'esecuzione immobiliari, volta alla rinegoziazione della proprietà in modo che il mutuatario in stato di necessità che non riesca più ad assolvere al rimborso del capitale possa ottenere dall'istituto di credito di convertire la propria proprietà con un immobile di valore minore, il più vicino possibile al precedente domicilio, in relazione al quale riesca ad assolvere al pagamento del mutuo di conseguenza ridotto, lasciando alla banca la proprietà del primo immobile.
(1-00927) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La Commissione VIII,
   premesso che:
    nel dicembre del 2008 è stato approvato il pacchetto «Clima-Energia», che istituisce, attraverso sei nuovi strumenti legislativi europei, i metodi per tradurre in pratica gli obiettivi al 2020 (1o ridurre i gas ad effetto serra del 20 per cento del 30 per cento in caso di accordo internazionale, 2o ridurre i consumi energetici del 20 per cento aumentando l'efficienza energetica; 3o soddisfare il 20 per cento del fabbisogno energetico europeo con le energie rinnovabili), tra questi è stata varata la direttiva Emission Trading n. 2009/29/EC (direttiva ETS), la quale regola in forma armonizzata tra tutti gli Stati membri le emissioni nei settori energivori, che pesano per circa il 40 per cento delle emissioni europee. La direttiva prevede che, dal 1o gennaio 2005, gli impianti dell'Unione europea con elevati volumi di emissioni non possano funzionare senza un'autorizzazione ad emettere gas serra. Ogni impianto autorizzato deve monitorare annualmente le proprie emissioni e compensarle con quote di emissione europee (European Union Allowances, EUA e European Union Aviation Allowances, EUA A – equivalenti entrambi a 1 tonnellata di CO2 eq.) che possono essere comprate e vendute sul mercato. In generale, i gestori degli impianti possono scegliere tra investire per ridurre le proprie emissioni introducendo tecnologie a basso contenuto di carbonio o attraverso misure di efficienza energetica, e acquistare quote. Come criterio generale, gli Stati membri dell'Unione europea assegnano le quote agli operatori a titolo oneroso attraverso aste pubbliche europee;
    il sistema europeo di scambio di quote di emissione (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS) è il principale strumento adottato dall'Unione europea, in attuazione del protocollo di Kyoto;
    in Italia la direttiva 2009/29/CE è stata recepita dal decreto legislativo 30/2013, il cui articolo 19, prevede principalmente che la messa all'asta della quantità di quote determinata con decisione della Commissione europea, è disciplinata dal regolamento sulle aste, i cui proventi sono versati al Gestore dei servizi energetici in un apposito conto corrente dedicato e che dei proventi delle aste il 50 per cento viene assegnato al Ministero dello sviluppo economico per il rimborso dei crediti spettanti agli operatori «nuovi entranti» degli impianti ETS mentre l'altro 50 per cento è suddiviso per il 70 per cento a favore del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il 30 per cento a favore del Ministero dello sviluppo economico per attività finalizzate a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra, sviluppare le energie rinnovabili, rafforzare la tutela degli ecosistemi terrestri e marini ed altre attività in campo ambientale;
    al 31 dicembre del 2014, sono stati trasferiti alla Tesoreria dello Stato proventi per oltre 464 milioni di euro relativi alle aste e agli interessi maturati nel corso degli anni 2012 e 2013; riguardo ai 365 milioni di euro di ricavi delle aste relative al 2014, questi avrebbero dovuto essere trasferiti dal GSE alla Tesoreria entro e non oltre il 20 maggio 2015;
    l'ETS (Emission Trading System) ha dato via ad un mercato di crediti sulle emissioni di gas serra in atmosfera che possono essere scambiati e venduti paragonabile ad una «Borsa ambientale», e l'assenza di regole chiare ha dato il via a truffe miliardarie (in Europa ogni anno l'ETS movimenta almeno 90 miliardi di euro). L'Interpol ha scritto di recente che il «mercato delle emissioni è ancora immaturo se paragonato ai suoi simili in altri settori. La regolamentazione e il monitoraggio di questo mercato non sono ancora pervasive come dovrebbero e il suo potenziale di attività criminale finora è stato scarsamente approfondito. Mentre gli scambi sono regolati dall'UNFCCC (la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) e tracciati a livello internazionale, i dati dei conti di deposito di questi crediti sono ancora esposti ai furti e alle frodi tramite internet. L'assenza di un bene fisico alla base dei crediti rubati rende poi la tracciabilità della vera proprietà dei crediti più difficoltosa»;
    in Italia il GSE è parte del Comitato ETS (Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2009/29/EC e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del protocollo di Kyoto), l'organo interministeriale che assolve alla funzione di autorità nazionale competente per la gestione della direttiva ETS. Il Comitato ETS è presieduto, in alternanza, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministro dello sviluppo economico. Il registro ETS è gestito dall'ISPRA, che finora ha collaborato con le indagini gestendo situazioni complicate, ma come ente pubblico di ricerca è stato colpito negli anni da pesanti tagli finanziari, e difficilmente potrà investire, come necessario, per far fronte alle nuove sfide della criminalità finanziaria;
    da fonti stampa si apprende che la corte distrettuale de l'Aia ha sentenziato che il Governo olandese dovrà ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 25 per cento rispetto ai livelli del 1990, e questo entro il 2020. La Corte ha pubblicamente rivelato che finora lo stesso governo non ha intrapreso misure idonee a combattere l'inquinamento atmosferico. Le dichiarazioni dei magistrati non lasciano troppo spazio alle interpretazioni di parte: «Lo Stato deve fare di più per allontanare i rischi e rendere migliore l'ambiente in cui vivono i propri cittadini. Perciò non può nascondersi dietro la scusa che la soluzione al problema del clima globale non dipende solo dagli sforzi dell'Olanda»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per dedicare la totalità dei proventi delle aste a finanziare l'attuazione delle misure contenute nella strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, ivi compreso il finanziamento di attività di ricerca e sviluppo in tema di mitigazione e adattamento;
   ad assumere iniziative per escludere le fonti energetiche basate sulla combustione dalle energie rinnovabili il cui sviluppo viene finanziato con i proventi delle aste;
   a garantire la massima trasparenza e pubblicità circa l'effettivo utilizzo di tutte le risorse provenienti dalla messa all'asta della quote di emissione dei gas ad effetto serra, pubblicando regolarmente i dati circa il loro impiego sui siti istituzionali di riferimento e redigendo un report semestrale alle commissioni parlamentari competenti;
   a selezionare attraverso procedure pubbliche e trasparenti i membri idonei a rappresentare interessi diffusi all'interno del Comitato ETS;
   ad operare a livello internazionale affinché vengano stabiliti idonei criteri e regole in relazione al mercato dell'ETS al fine di contrastare concretamente le frodi e le truffe ad esso connesse, e a livello nazionale per potenziare i dispositivi di controllo per eliminare i margini di speculazione finanziaria;
   in riferimento all'esempio olandese, ad attivarsi concretamente affinché l'obbiettivo principale dell'agenda governativa italiana sia l'immediata e consistente riduzione delle emissioni clima-alteranti.
(7-00716) «Segoni, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il decreto ministeriale 24 aprile 2013, in seguito alle indicazioni del decreto-legge 158 del 2012, definisce le caratteristiche dalla attività amatoriale e ludico motoria, dell'attività non agonistica e della attività ad alto livello cardio vascolare, prevedendo per accedere a ciascuna attività una diversa certificazione medica;
    la legge n. 98 dell'agosto 2013, all'articolo 42-bis, prevede: «al fine di salvaguardare la salute dei cittadini promuovendo la pratica sportiva, per non gravare cittadini e SSN di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni, è soppresso l'obbligo di certificazione per l'attività ludico motoria e amatoriale...»;
    il decreto del Ministro della salute dell'8 agosto 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 ottobre 2014, n. 243 contiene le Linee guida in materia di certificati medici per l'attività sportiva non agonistica che prevedono per i praticanti detta attività una certificazione basata su una serie rilevante di accertamenti clinici e diagnostici, fra cui la presentazione di un elettrocardiogramma a riposo, in qualunque data effettuato;
    il succitato decreto ministeriale 24 aprile 2013, dopo averle riservate ai non tesserati alle associazioni sportive del Coni, indica come caratteristiche delle attività ludico motorie l'essere «individuale o collettiva, non occasionale, finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona, non regolamentata da organismi sportivi»;
    tali caratteristiche corrispondono ad una parte significativa, spesso maggioritaria, delle attività proposte dalle associazioni sportive dilettantistiche, dalle federazioni sportive, dagli enti di promozione, ai propri soci, a termini di statuto, di legge, di ordinamento sportivo, essendo comprese ai fini sportivi, lavoristici, fiscali, in quanto non appartenenti alle attività esplicitamente dichiarate agonistiche dalle federazioni sportive e dagli enti riconosciuti dal Coni in base al decreto ministeriale 18 febbraio 1982, fra le attività non agonistiche;
    molte associazioni e palestre non affiliate a organismi sportivi, non riuscendo dunque a cogliere la distinzione fra attività non agonistiche e ludico motorie in termini di impegno fisico del praticante, caratteristiche e tipologia dell'attività, e temendo di trovarsi in situazione irregolare, richiedono comunque una certificazione medica per attività non agonistica, la quale risulta quindi spesso essere inappropriata oltreché onerosa;
    si è creata una tendenza «difensiva» diffusa fra i medici certificatori, che moltiplica la richiesta, solo per i tesserati alle Asd, di numerosi e diversi accertamenti preventivi alla certificazione non agonistica producendo inappropriatezza e costi inutili per il cittadino e per il SSN;
    in questo senso desta molte perplessità tra gli operatori la previsione, requisito obbligatorio per la certificazione, dell'elettrocardiogramma «una volta nella vita», intervento di scarsa efficacia preventiva e di nessuna utilità, data l'assenza di programmi strutturati, supportati da rigorosi studi propedeutici e da un continuo monitoraggio dei risultati, ai fini di accertamento sanitario preventivo a livello di popolazione;
    l'obbligatorietà di una certificazione sanitaria per accedere a determinate attività è una misura impegnativa e onerosa, dissuasiva verso un comportamento, la pratica dell'attività motoria e sportiva, universalmente riconosciuto come un fenomeno di alto valore sociale e civile, oltreché fondamentale per la diffusione di sani stili di vita e per la prevenzione sanitaria e dovrebbe, pertanto, essere utilizzata in modo rigoroso e non utilizzata per surrogare, con un atto medico-legale, la necessità di una presa in carico della persona che assicuri controllo, indicazioni ed assistenza costante da parte del medico sulle ricadute sanitarie di ogni scelta relativa ai liberi comportamenti individuali degli assistiti;
    l'onerosità di tale certificazione obbligatoria discrimina le persone con un basso livello di reddito e quei soggetti, in particolare disabili e minori che avrebbero più necessità di accedere alla pratica motoria;
    la prescrizione di un gran numero di elettrocardiogrammi a riposo finalizzati al rilascio del certificato, anche se spesso diversamente motivati, provoca l'aumento delle liste d'attesa e un aggravio immotivato dei costi per il sistema sanitario nazionale;
    alcune regioni, tra cui Veneto, Toscana, l'Emilia Romagna, hanno deliberato interpretando le norme si sono attrezzate per garantire a minori e disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica e la possibilità di accedere agli esami necessari in tempi ragionevoli, comunque entro i 30 giorni;
    queste criticità sono state più volte evidenziate da medici, cittadini, associazioni sportive e da diverse regioni. Le regioni hanno chiesto di tornare sull'argomento con una nota esplicativa. Il gruppo di lavoro all'uopo costituito dal Ministero della salute ha prodotto dopo un contrastato processo una nuova nota esplicativa delle linee guida dell'agosto 2014;
    la nota esplicativa del Ministero della salute emessa in data 17 giugno 2015 ha introdotto, nell'ambito delle attività non agonistiche, tre categorie di tesserati alle Asd, demandando al Coni la definizione e si suppone l'elencazione delle attività non agonistiche regolamentate e riservando la certificazione sportiva ai tesserati praticanti le stesse, mentre ne sarebbero esentati i tesserati che «svolgono attività sportive che non comportano impegno fisico» e quelli «che non svolgono alcuna attività sportiva»;
    tale nota non chiarisce cosa si possa intendere per assenza di impegno fisico in ambito sportivo;
    tale nota non chiarisce se i tesserati partecipanti alle attività di carattere ludico motorio organizzate e promosse dalle asd di appartenenza siano considerabili come «tesserati che non svolgono alcuna attività sportiva»;
    tale nota, aldilà di una positiva volontà, rischia di rendere ancora più complicata la situazione;
    il decreto ministeriale di agosto 2014 e i successivi atti eludono il tema più volte sollevato della differenza di trattamento tra le attività organizzate da associazioni e società sportive iscritte al registro del Coni e le medesime attività proposte al di fuori dell'organizzazione sportiva, ancorché organizzate da soggetti privati for profit o associativi non sportivi per le quali non viene richiesta alcuna certificazione ai praticanti, differenziando così la tutela della salute degli sportivi in relazione all'organizzatore e non al tipo di attività,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti per:
    a) garantire l'uniformità dell'applicazione del decreto ministeriale citato in premessa su tutto il territorio nazionale, riaffermando con chiarezza la scelta del legislatore di separare la auspicabile valutazione ed il monitoraggio delle condizioni di salute di coloro che vogliano svolgere attività ludico motoria dall'inopportuna certificazione di tipo medico-legale che non deve essere assolutamente richiesta;
    b) contrastare la proliferazione di accertamenti clinici e diagnostici conseguente all'aumento delle certificazioni medico sportive inappropriate che stanno creando inefficienze nel sistema sanitario, oneri a carico dei cittadini, grave diminuzione dell'avviamento e mantenimento nella pratica sportiva e motoria soprattutto per le fasce più disagiate della popolazione;
    c) definire caratteristiche e tipologia delle attività non agonistiche, onde evitare la richiesta di certificazioni non appropriate ai praticanti attività ludico motorie che svolgono tali attività nell'ambito di associazioni e società sportive affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate, agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, e modificare la disposizione di cui al decreto ministeriale 24 aprile 2013 che, di fatto, prevede una diversa tutela sanitaria per i cittadini, che svolgono identica attività, in relazione all'appartenenza associativa e allo status dell'organizzatore;
    d) assicurare almeno per i minori, anziani e i disabili la gratuità delle prestazioni sanitarie finalizzate all'avviamento, al mantenimento ed alla sicurezza nella pratica motoria e sportiva.
(7-00717) «Lenzi, Fossati».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Gestore dei servizi energetici è una società per azioni italiana, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che eroga incentivi economici per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e svolge attività di informazione per promuovere la cultura dell'uso dell'energia compatibile e sostenibile con le esigenze dell'ambiente;
   il Gestore dei servizi energetici ricopre un ruolo centrale nell'incentivazione e nello sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia ed è la quinta azienda italiana per fatturato con circa 25 miliardi di euro;
   nella tornata di nomine pubbliche in corso si gioca una partita delicatissima anche sul Gestore dei servizi energetici la società che gestisce 10 miliardi di euro di incentivi proprio al settore delle rinnovabili. Ebbene, Nando Pasquali, di area scajoliana, è arrivato alla fine del suo mandato;
   in vista della sua sostituzione, a quanto si apprende da fonti giornalistiche, si è interessata fortemente il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con Parlamento Boschi, che su suggerimento di Andrea Mangoni avrebbe indicato come nuovo amministratore unico Francesco Sperandini, oggi capo della divisione operativa del Gestore dei servizi energetici;
   Sperandini, che insieme al direttore della gestione e del coordinamento generale del Gestore dei servizi energetici, Vinicio Vigilante, è il vero factotum del Gestore dei servizi energetici, è stato anche lui fino al 2013 un manager di Acea. Il suo nome, però, sta già creando più di qualche dissenso;
   non sembrerebbe da manuale e opportuno che il suo nome venga sponsorizzato da un manager, Mangoni, che ha interessi nel mondo delle rinnovabili, lo stesso i cui incentivi vengono gestiti dal Gestore dei servizi energetici;
   a giorni è in programma il consiglio d'amministrazione del Gestore dei servizi energetici, in cui il Governo dovrebbe indicare il suo nome –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e quali siano stati i criteri di selezione e valutazione;
   se non ritengano di dover sottoporre ad attenta valutazione le nomine degli organi direttivi del Gestore dei servizi energetici al fine di evitare palesi conflitti di interesse. (3-01576)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 giugno 2015, il dipartimento di Roma Capitale ha pubblicato un bando di gara a 5 lotti, per l'affidamento dell'appalto di global service scolastico (igiene e sorveglianza dei bambini delle scuole materne e asili nido), gestito alla attualità dalla Roma Multiservizi spa, società partecipata al 51 per cento dalla Azienda municipale ambiente di Roma;
   dal capitolato speciale della gara pubblicata, emerge al punto 3.2.2 una forte limitazione al mantenimento dei livelli occupazionali esistenti, rispetto a quanto previsto dall'articolo 4 del contratto di collettivo nazionale del lavoro di settore, dal momento che l'aggiudicatario si impegna ad assorbire il personale, subordinatamente alla compatibilità ed armonizzazione con l'organizzazione d'impresa, ovvero utilizzare prioritariamente i lavoratori in carico al fornitore uscente e quindi produrre potenzialmente un esubero di circa 2.500 lavoratori;
   tale limitazione alla clausola di salvaguardia occupazionale è in forte contrasto con quanto indicato nella delibera di indizione della procedura di gara approvata dalla giunta capitolina il 23 luglio 2014, la quale ha accolto il recesso da parte del CNS per manifesta impossibilità oggettiva ad eseguire il servizio, proprio perché non prevedeva il passaggio di tutto il personale della Roma Multiservizi;
   risulta essere ancora più grave, la distribuzione del punteggio per l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto nella pubblicazione del bando di gara il valore del prezzo passa da 30 a 40 punti rispetto alla delibera di indizione approvata dalla giunta capitolina, facendo aumentare il valore del ribasso offerto – con conseguenti riduzioni dell'orario di lavoro – e conseguentemente diminuire il valore della qualità (da 70 a 60 punti) del servizio erogato all'utenza scolastica;
   il CO.VI.S.P. – Comitato vigilanza servizi pubblici – ha presentato lo scorso 11 maggio al Tavolo interistituzionale relativo al piano di rientro per Roma Capitale, una analisi di fattibilità relativa ad una ipotesi di internalizzazione in AMA delle attività di global service scolastico o di acquisizione da parte della stessa municipalizzata dello specifico ramo d'azienda, nel rispetto dell'articolo 1 comma 611 punti C e D della legge 190 del 2014;
   tale ipotesi di internalizzazione oggetto di una petizione sottoscritta in poche ore da oltre 3.000 cittadini e presentata il 10 giugno scorso al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, onorevole Claudio De Vincenti – assicurerebbe vantaggi in termini di efficacia, efficienza ed economicità, nel senso che permetterebbe una maggiore rintracciabilità del servizio erogato all'utenza (bambini da zero a cinque anni di età), il totale mantenimento dei livelli occupazionali esistenti e non ultimo un risparmio presunto per le casse capitoline, di oltre 10 milioni di euro l'anno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti e se, non ritenga opportuno, nei limiti della propria competenza, assumere iniziative per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali;
   se la proposta fatta dal Covisp al tavolo interistituzionale relativo al piano di rientro per Roma Capitale riguardante un'ipotesi di internalizzazione in AMA delle attività di Global Service scolastico o di acquisizione da parte della stessa municipalizzata del ramo d'azienda sia stata presa in considerazione. (5-05905)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa nazionale che la prima agenzia italiana di informazione Ansa, a causa di una crisi aziendale, ha stimato 65 esuberi da gestire entro il primo luglio 2015;
   i 65 lavoratori in esubero rappresentano il 20 per cento della forza lavoro dell’Ansa. Questo sarebbe un sacrificio non indifferente per un'agenzia reduce da due stati di crisi e prepensionamenti che hanno portato alla drastica riduzione del corpo redazionale costretto a farsi carico di maggiori oneri di lavoro per poter garantire a tutti gli abbonati ed utenti lo stesso standard qualitativo in termini di informazione;
   le «soluzioni» prospettate dall'azienda per far fronte ai 65 esuberi sono il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria oppure il contratto di solidarietà. Facendo un esempio pratico: la redazione politica dell’Ansa era composta da 30 persone, negli ultimi 6-7 anni il corpo redazionale è sceso a 19, numero frutto del taglio dovuto ai prepensionamenti legati ai precedenti stati di crisi. Tenendo conto delle malattie, delle ferie, dei giorni di corta e dei permessi mediamente la redazione può contare su 12-13 persone. Nel caso del ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria o al contratto di solidarietà il numero scenderebbe a 6-7 unità e ciò comporterebbe l'impossibilità a garantire gli stessi standard informativi che l’Ansa da sempre fornisce;
   la situazione sarebbe ancora più preoccupante per le sedi locali costrette in caso di cassa integrazione guadagni straordinari o contratto di solidarietà a dover chiudere in determinati giorni non potendo così garantire la copertura mediatica ad eventi organizzati sul territorio;
   l'informazione è un presupposto per la democrazia di un Paese e in virtù di questo lo Stato garantisce contributi pubblici all'editoria per sostenerne l'azione e l’Ansa è strumento fondamentale di questo servizio –:
   se e quali iniziative siano state intraprese al fine di tutelare i lavoratori dell’Ansa e garantire il servizio che questa agenzia fornisce;
   quali interventi il Governo, intende assumere per salvaguardare libertà e completezza dell'informazione dell’Ansa;
   se il Governo sia intenzionato a convocare di nuovo le parti per trovare una soluzione di buon senso a salvaguardia del corpo redazionale. (4-09611)


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la decisione del presidente della Federazione russa Putin di prorogare di un anno l'embargo sui prodotti alimentari dell'Unione europea in risposta all'estensione delle sanzioni nei confronti della Russia, secondo quanto emerge da uno studio predisposto dalla Coldiretti, rischia di dimezzare le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani;
   il divieto di importazione dei prodotti made in Italy, iniziato il 4 agosto 2014 e che sarebbe dovuto cessare in questo periodo, riguardante la carne di manzo, la carne suina e avicola, la frutta e verdura, nonché il latte e i formaggi dei Paesi dell'Unione europea, ma anche di altri Stati quali Australia, Canada e Norvegia, a giudizio dell'interrogante, genera evidenti pericoli, per l'economia non solo del settore agricolo, ma più in generale dell'intero Paese, con inevitabili ripercussioni sui livelli produttivi e occupazionali dell'intera filiera agroalimentare;
   il danno maggiore, che rischia di permanere per diversi anni, prosegue la Coldiretti, è determinato dall'aumento nella produzione locale russa di prodotti agroalimentari che, pur non essendo tecnicamente contraffatti richiamano in qualche modo, nei colori o nei nomi, l'italianità degli ingredienti, della lavorazione o del prodotto stesso, senza però che le materie prime e la relativa lavorazione siano effettivamente italiane;
   il suddetto e subdolo fenomeno imitativo denominato italian sounding, a causa del blocco delle importazioni decise dalla Russia, ha infatti provocato un aumento in termini eccezionali all'interno del vastissimo territorio dell'ex Unione sovietica, di prodotti marchiati con il nome del titolare italiano o con altri nomi commerciali italiani ed accompagnati da immagini o slogan che rievocavano l'Italia: dai salumi ai formaggi, con la produzione casearia russa di formaggio che nei primi quattro mesi del 2015 ha registrato un sorprendente aumento del 30 per cento e riguarda anche imitazioni di mozzarella, robiola o parmesan;
   la conferma di quanto in precedenza esposto proviene dal Padiglione russo dell'Expo di Milano, in cui verso il termine del percorso, nella sala dedicata al Tatarstan, ci sono formaggi molti dei quali richiamano l'Italia ad esempio, con il marchio Prego «Italian Style» con una scritta «Original Italian Recipe» e gagliardetto tricolore e le vaschette con la scritta «Solo Formaggio» con bandierina italiana;
   ai danni dovuti al blocco di alcuni prodotti si aggiungono, inoltre, evidenzia la Coldiretti, anche quelli relativi ad altri prodotti non colpiti dall'embargo, anche fuori dal settore alimentare, prodotti che hanno risentito comunque delle tensioni politiche con un calo degli scambi commerciali; ciò accresce i sentimenti di preoccupazione e di difficoltà delle imprese agricole italiane derivanti dalle tensioni internazionali connesse alla situazione geopolitica europea;
   il suesposto scenario, a giudizio dell'interrogante, conferma come l'azione del Governo italiano, a seguito delle decisioni adottate dalla Federazione russa di vietare l'importazione di prodotti agroalimentari dell'Unione europea (settore in cui l'Italia storicamente ha il primato assoluto in termini di qualità e quantità di domanda proveniente proprio dai Paesi dell'est), continui ad essere estremamente debole e insufficiente nel porre in essere interventi in ambito europeo, anche di mediazione, al fine di rivedere in modo risolutivo i meccanismi sanzionatori messi in atto dalla comunità internazionale nei confronti della Russia;
   i rilievi critici e condivisibili evidenziati dalla Coldiretti, denotano a parere dell'interrogante, una situazione di estrema gravità per il sistema delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Russia, a seguito delle recenti decisioni adottate dal presidente Putin e per le quali necessitano urgenti iniziative volte a sostenere il comparto agroalimentare italiano, non adeguatamente tutelato e valorizzato, a giudizio dell'interrogante dal Ministro interrogato e, più in generale, dall'azione del Governo in carica –:
   quali orientamenti intendano esprimere nell'ambito delle competenze proprie, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se siano a conoscenza che, all'interno della lista dei prodotti per i quali è stato posto il divieto d'importazione da parte della Federazione russa, siano inclusi anche altri prodotti come conserve di pesce, prodotti caseari derivati da grassi vegetali, fiori e dolciumi;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di sostenere il comparto agricolo italiano, le cui esportazioni nel primo trimestre del 2015 sono state praticamente dimezzate (-51,1 per cento) e addirittura del tutto azzerate per l'ortofrutta, i formaggi, la carne e i derivati. (4-09612)


   SCOTTO, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 22 giugno scorso i vertici dell'Agenzia di stampa nazionale Ansa hanno annunciato alle rappresentanze sindacali il ricorso ai contratti di solidarietà o alla cassa integrazione guadagni straordinaria con decorrenza 1o luglio 2015;
   l'azienda ha annunciato una perdita previsionale pari a circa il 5 per cento del fatturato complessivo, e un esubero pari a 65 giornalisti, che rappresentano il 20 per cento dell'attuale forza lavoro giornalistica dell’Ansa;
   il corpo redazionale dell'Ansa è reduce da un precedente stato di crisi proclamato nel 2010 e rinnovato nel febbraio 2012 per un ulteriore anno e mezzo, che ha avuto come conseguenza una massiccia riduzione dei giornalisti sia a livello centrale, che nelle sedi regionali e negli uffici di corrispondenza dall'estero, riduzione che ha fortemente colpito le capacità dell'agenzia di stampa;
   l'ultimo ulteriore esubero annunciato porterebbe ad una ulteriore pesante riduzione, pari al 20 per cento dei giornalisti, per la prima agenzia di informazione del Paese, cardine del sistema informativo dell'Italia e garanzia di obiettività e libertà di informazione in un settore già pesantemente colpito e compromesso dalla crisi in atto;
   a giudizio degli interroganti, il nuovo pesante taglio che viene annunciato dagli azionisti dell'Ansa, rischia di mettere irrimediabilmente e definitivamente in crisi la più importante ed autorevole agenzia di stampa italiana. Il Governo e le istituzioni non possono considerarsi estranee alle sorti dell’Ansa, primaria fonte di informazione italiana;
   in altri Paesi, lo Stato partecipa direttamente alla proprietà dell'agenzia di stampa nazionale a garanzia dei livelli informativi e anche a salvaguardia dell'interesse nazionale –:
   se il Governo intenda procedere ad una urgente convocazione delle parti;
   se il Governo intenda intervenire per garantire i livelli occupazionali dei dipendenti dell’Ansa;
   se il Governo non intenda prospettare soluzioni di sistema ad una situazione che espone l’Ansa, prima agenzia giornalistica in Italia, a cui lo Stato fornisce contributi pubblici, alle decisioni dell'attuale proprietà. (4-09617)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 agosto 2014 nasceva, dopo un parto cesareo, Matteo Currò all'ospedale «Jazzolino» di Vibo Valentia da genitori calabresi, ma residenti a Cologno Monzese, (Milano), che si trovavano in Calabria per trascorrere le vacanze estive;
   secondo quanto risulta all'interrogante, appena dopo il parto, tutti i medici si congratulavano con i signori Currò per l'avvenuta nascita;
   dopo circa dieci minuti, tuttavia, gli stessi medici hanno comunicato ai genitori di Matteo il sopraggiungere, a loro detta inaspettato, di complicazioni che rendevano l'intubamento del neonato a causa di una crisi respiratoria;
   secondo quanto rappresentato dagli stessi familiari, i medici dello «Jazzolino» hanno disposto, pertanto, il trasferimento d'urgenza all'ospedale «Pugliese-Ciaccio» di Catanzaro, avendo solo quella struttura le apparecchiature adeguate per soccorrere il neonato;
   il bambino, però, è deceduto in autoambulanza lungo il tragitto di circa 70 chilometri che separa le due strutture ospedaliere;
   secondo quanto risulta dall'autorizzazione di seppellimento, firmata dall'ufficiale dello stato civile il 23 agosto 2015, Matteo Currò sarebbe morto per «emorragia subaracnoidea – arresto cardiocircolatorio»;
   sul tragico evento, tuttavia, non è mai stata fatta la dovuta chiarezza;
   nessuno dei medici presenti quella notte – dal chirurgo che aveva operato il taglio cesareo alla pediatra della struttura ospedaliera – sarebbe riuscito a spiegarsi cosa sia accaduto che ha portato alle complicanze di cui sopra;
   secondo quanto, ancora, riferito dai familiari, non è stato concesso loro di parlare con l'ostetrica presente al parto;
   i familiari hanno, allora, disposto per l'autopsia;
   a parere dell'interrogante, stante il racconto di cui sopra, la vicenda va ancora chiarita;
   non è la prima volta che un neonato muore per complicanze, durante il trasferimento in autoambulanza dallo «Jazzolino» verso l'ospedale «Pugliese-Ciaccio» di Catanzaro;
   come riassunto dall'odierna scrivente nell'interrogazione a risposta in commissione n. 5-05490 del 30 aprile 2015, una neonata di Arena (Vibo Valentia), venuta alla luce all'ospedale di Vibo Valentia con parto cesareo, è morta durante il trasferimento in autoambulanza verso l'ospedale di Catanzaro;
   secondo quanto scrive Gianluca Prestia su «Il Quotidiano del Sud» del 29 aprile 2015, l'operazione «per come riferito dal direttore sanitario dell'ospedale, Michelangelo Micheli, è perfettamente riuscita tanto che, pare, la piccola nei primi minuti non avesse accusato alcun problema. La situazione, però, è drammaticamente precipitata poco dopo quando sono sorte le prime complicazioni respiratorie che hanno indotto il personale medico ad attivarsi tempestivamente per rianimare la creatura»;
   la suddetta storia appare molto simile a quella di Matteo Currò;
   sul decesso della neonata la procura di Vibo Valentia ha aperto un'inchiesta; a parere dell'odierna scrivente urge fare chiarezza quanto prima sul suddetto episodio di Matteo Currò, stante soprattutto il fatto che sono svariati i casi di decessi di neonati o delle madri partorienti nelle strutture ospedaliere calabresi;
   nell'interrogazione n. 4-08940 presentata dall'interrogante il 24 aprile 2015, si raccontava di una donna di 37 anni (C.C. le sue iniziali), fisioterapista di Taverna che viveva a Squillace (due piccoli comuni in provincia di Catanzaro), morta domenica 19 aprile all'ospedale «Pugliese» di Catanzaro, poche ore dopo la nascita della figlia;
   a parere dell'interrogante tali vicende non possono prescindere da un'analisi della grave carenza di personale medico e sanitario che si registra pure in Calabria;
   nella fattispecie desta forte preoccupazione la situazione della terapia intensiva neonatale, critica a Cosenza, come a Catanzaro e a Reggio Calabria, per cui – secondo quanto detto all'interrogante dallo stesso personale medico durante una recente ispezione a Cosenza – andrebbero ricavati subito nuovi posti dedicati, per evitare di mandare mamme e famiglie fuori regione, il che è un rischio più che concreto;
   a riprova di quanto detto, preme sottolineare, come già fatto in precedenti interrogazioni, che il 25 febbraio 2015, sul quotidiano «La Repubblica» e come ricordato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-08250, si leggeva un intervento dei dottori Domenico Corea e Pasquale Novellino, rispettivamente direttore dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia di Lamezia Terme (Catanzaro) e direttore di patologia neonatale di Catanzaro;
   nel summenzionato intervento si legge che «in Calabria la situazione è drammatica. Per un'area (Catanzaro, Crotone e Vibo) dove avvengono circa 6.000 parti l'anno a fronte dei 12 posti letto previsti in terapia neonatale intensiva, sono attivi, dopo la soppressione di 4 posti letto a Crotone e 4 a Lamezia Terme, solo 4 posti letto a Catanzaro. E non infrequente è il caso di trasferimenti di donne gravide e neonati fuori regione (...) chiediamo un intervento rapido del ministro perché non vorremmo essere facili profeti»;
   tale carenza di personale sanitario, ovviamente, è causa di pesanti sofferenze dell'utenza –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro della salute non ritenga opportuno acquisire tutti gli elementi necessari in ordine al decesso del piccolo Matteo Currò, al fine di fare piena luce sulla vicenda. (4-09623)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, RUOCCO, D'INCÀ, DADONE, BUSINAROLO, CORDA, RIZZO, CECCONI, LOREFICE, CASO, COLONNESE, TRIPIEDI, CASTELLI, SIBILIA, NESCI, PETRAROLI, CARINELLI, GRANDE, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, DE LORENZIS, COMINARDI, D'AMBROSIO, COLLETTI, LIUZZI, VIGNAROLI, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, LUPO, SARTI, CHIMIENTI, GAGNARLI, PARENTELA, BENEDETTI e DELLA VALLE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2015 sul sito della Federazione del pubblico impiego www.dirpubblica.it esce un post dal titolo: «Lo strano caso di Miguel Martina», ove si legge «In data 15/06/2015 DIRPUBBLICA ha depositato presso il Tribunale di Civitavecchia (Roma) il ricorso per la repressione della condotta antisindacale compiuta dall'Agenzia delle Dogane, ai danni del proprio dirigente sindacale Miguel Martina, attraverso tre consecutivi addebiti disciplinari per aver, questi, partecipato ad una serie di trasmissioni televisive di LA GABBIA – LA 7 durante le quali ha criticato l'attività dell'Agenzia delle entrate attraverso una meticolosa ricostruzione dei dati sul recupero dell'evasione fiscale.

Contestualmente, è stato diffidato il dirigente della Dogana di Fiumicino (Roma 2), ove presta servizio Miguel Martina, a desistere dall'ulteriore prosecuzione dei procedimenti disciplinari avviati in pregiudizio del predetto dirigente sindacale, avvertendolo espressamente che, nell'ipotesi in cui dovesse portare ad ulteriore compimento l'azione antisindacale già intrapresa ai danni di Dirpubblica, questa si riserva sin d'ora ad agire personalmente nei suoi confronti oltre il suo Ente di appartenenza (l'Agenzia delle Dogane)»;
   allegata al post, la lettera di diffida rivolta al direttore dell'Ufficio delle dogane di Roma 2, il dottor Davide Miggiano, da parte dell'avvocato Carmine Medici, incaricato in tal senso da Dirpubblica, nella quale lo si invita a evitare il protrarsi di quella che vie ritenuta una condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 300 del 1970 (statuto dei lavoratori), essendo il dottor Martina già stato raggiunto da tre procedimenti disciplinari con medesime contestazioni, a fronte dei quali è stato opposto, sempre il 15 giugno 2015, ricorso presso la cancelleria del Tribunale di Civitavecchia;
   tra le informazioni fornite ai telespettatori dal dottor Martina in qualità di dirigente sindacale, risultano esserci i dati relativi alle commissioni tributarie provinciali (CTP) del 2013 e del 2014 (fonte lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze http://www.mef.gov.it/documenti/indexNewsDf.html), da dove risultava e risulta tuttora, che nel 2013 solo il 38,89 per cento delle sentenze in CTP su accertamenti contestati risultava favorevole all'Agenzia delle entrate, il 9,75 per cento parzialmente favorevole (sui quali il cittadino ha dimostrato che solo parte delle contestazioni erano fondate), vedendosi avversi i rimanenti; nel 2014 la percentuale delle sentenze favorevoli alle Entrate in commissioni tributarie provinciali si attestavano al 42,46 per cento mentre i giudizi intermedi all'11,28 per cento; nelle commissioni tributarie regionali (CTR) le percentuali di sentenze favorevoli sono del 42,57 per cento e quelle intermedie del 9,74 per cento: su circa 250.000 ricorrenti, più della metà hanno dovuto affrontare costi e burocrazia per vedersi riconoscere il diritto a un corretto accertamento fiscale;
   tra gli altri dati forniti sull'Agenzia delle entrate, senza alcun commento da parte del dirigente sindacale della federazione Dirpubblica, vi sono:
    la percentuale di controlli espletati nei confronti della popolazione in relazione alla capacità contributiva e al reddito dichiarato, dimostrando come nei confronti delle fasce deboli vi sia una percentuale di controlli e di prelievo superiore alle fasce più ricche, dove la percentuale di accertamenti svolti nei confronti delle categorie più deboli sono di oltre il 90 per cento del totale, mentre per i contribuenti che abbiano dichiarato un volume di affari di oltre 100 milioni di euro (banche, trust, Holding internazionali...) i controlli si riducono a poco più dell'1 per cento;
    la convenzione tra Ministro dell'economia e delle finanze e Agenzia delle entrate da cui ne consegue che i controlli siano di natura quantitativa e non qualitativa, danneggiando di fatto le fasce più deboli verso le quali è più semplice attivare gli accertamenti e contestare addebiti connaturati alla scarsa capacità di opposizione di questi ultimi;
    il sistema di incentivi per i dirigenti dell'Agenzia delle entrate che li incoraggia a realizzare obiettivi soprattutto quantitativi, e non qualitativi ed il presunto mancato raggiungimento dell'unico obiettivo che valuta la qualità del lavoro svolto, ossia quello relativo al contenzioso che, sia per il 2013 che per il 2014; tale obiettivo prevede che la percentuale di vittorie unita alla percentuale di giudizi intermedi debba essere almeno pari al 59 per cento mentre per il 2013 si attesta al 48,64 per cento presso le CTP e al 47,14 per cento alle CTR; nel 2014, dai dati ufficiali forniti dal Ministro dell'economia e delle finanze (appendici statistiche trimestrali) tali percentuali si attestano al 53,74 per cento per le CTP, e del 52,31 per cento per le CTR, ben lontani quindi dal 59 per cento richiesto: dati poi pressoché confermati anche dalla «Relazione sul monitoraggio dello Stato del contenzioso tributario e sull'attività delle commissioni tributarie» pubblicata dal Ministero dell'economia e delle finanze (http://www.finanze.it/export/download/Contenzioso 2015/Relazione monitoraggio contenzioso 2014.pdf) che attesta la percentuale finale, tra CTP e CTR, favorevole all'ufficio e giudizi intermedi, al 54,41 per cento. Agli obiettivi, come da convenzione, viene assegnato un punteggio, sulla cui base vengono determinati i cospicui premi incentivanti dovuti per il risultato ottenuto;
   dalla citata «Relazione sul monitoraggio dello Stato del contenzioso tributario e sull'attività delle commissioni tributarie» pubblicata dal Ministero dell'economia e delle finanze, si evincono una serie di dati interessanti:
    rispetto al 31 dicembre 2013, al 31 dicembre 2014 i giudici attivi nelle relative commissioni tributarie risultavano essere 3.293, ovvero 270 unità in meno rispetto al 2013 (-7,58 per cento) contro le previsioni del decreto ministeriale 11 aprile 2008 (4.668 unità previste); ciò nonostante la diminuzione dei contenziosi tributari «definiti» (conclusi) è calata solo del 1,57 per cento, lasciando comunque ancora 573.522 contenziosi aperti, con una vita media pari a 836;
    il valore medio dei ricorsi definiti nel 2014 tra CTP e CTR, sulla base del valore della controversia, risulta essere, per lo scaglione da 0 a 20.000 euro, pari a euro 3.716,04 (su 213.847 casi), per lo scaglione da 20.000 a 1 milione, pari a 119.985,21 (su 72.957 casi) e per lo scaglione oltre il milione di euro, pari a 6.622.109,25 (su 4.737 casi);
   va specificato inoltre che:
    il dirigente sindacale, dottor Miguel Martina non è dipendente dell'Agenzia delle entrate. Davide Miggiano, direttore dell'Agenzia delle dogane presso cui lavora Martina, ha quindi attivato un procedimento disciplinare per fatti riferiti ad altra amministrazione pubblica, di carattere surrogatorio, non contemplato da alcuna normativa vigente, non avendo egli mai fatto alcun riferimento alla propria Amministrazione o al proprio rapporto di servizio;
    la federazione sindacale Dirpubblica, da sempre impegnata sul fronte della legalità, è quella che ha presentato ricorso sui concorsi poi dichiarati illegittimi sia presso l'Agenzia delle entrate sia presso l'Agenzia delle dogane che poi ha determinato la sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2014 che dichiara illegittima ed incostituzionale la pratica utilizzata presso le Agenzie fiscali di conferire incarichi dirigenziali discrezionali senza alcun concorso;
    il dirigente sindacale di Dirpubblica Miguel Martina ha richiesto le tutele previste dall'articolo 54-bis del decreto legislativo 165 del 2001 per chi abbia denunciato fatti di concussione o corruzione interna in quanto sempre lui è stato estensore di denuncia presso gli organi competenti per fatti di presunta concussione interna in capo a un soggetto citato dalle cronache come attiguo indirettamente agli indagati di Roma «Mafia Capitale»;
   l'attuale ordinamento giuridico presenta diverse lacune in tema di protezione dei diritti e di tutela del cosiddetto whistleblower ossia quel cittadino che all'interno delle amministrazioni pubbliche e private, grazie ad un alto senso civico e sociale, ha il coraggio, e il merito, in presenza di situazioni di reato, di porre in essere denunce rischiando, ripercussioni lavorative;
   nello specifico l'articolo 54-bis della legge 165 del 2001, dispone che «L'adozione di misure discriminatorie è segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere» ignorando che i «provvedimenti di competenza» sono quelli per i quali lo stesso dipartimento può solo segnalare la questione nella sua relazione annuale al Parlamento e chiedere che la stessa amministrazione, di cui il dipendente lamenti una discriminazione, disponga gli accertamenti e che riferisca se essa stessa abbia adottato provvedimenti discriminatori in danno del denunciante: ciò comporta che il Dipartimento della funzione pubblica oltre a non aver alcun potere diretto sull'amministrazione autrice della discriminazione lascia lo stesso lavoratore in balia della stessa amministrazione da esso denunciata –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze sia a conoscenza di quanto esposto e se non intenda immediatamente agire presso gli uffici competenti al fine di:
    a) verificare se la condotta del direttore dell'ufficio delle dogane di Roma 2, dottor Davide Miggiano, nei confronti del dirigente sindacale di Dirpubblica Miguel Martina risulti consona a norme di legge;
    b) migliorare la qualità degli accertamenti emessi dall'Agenzia delle entrate al fine di evitare l'onere della prova a una così vasta platea di cittadini ingiustamente vessati dal fisco;
    c) verificare se i dirigenti dell'Agenzia delle entrate abbiano percepito il premio previsto per l'obiettivo prefissato al 59 per cento tra vittorie e giudizi intermedi nelle commissioni tributarie, ancorché sembri, dai dati ufficiali forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze, non abbiano raggiunto neanche lontanamente tali obiettivi;
    d) attivare un reale controllo sui dati forniti dall'Agenzia delle entrate sugli obiettivi raggiunti dai propri dirigenti, visto che lo stesso governo ha stigmatizzato le cifre fornite per fini di «marketing» da parte dell'Agenzia delle entrate siano quantomeno discutibili ed in netta contraddizione con i dati ufficiali forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    e) procedere, nel caso venisse riconosciuta la palese incongruenza dei dati forniti dall'Agenzia delle entrate da quelli pubblicati dal Ministero dell'economia e delle finanze e il legame di tali dati alla determinazione dei premi di produttività, effettuando le opportune segnalazioni ai fini dell'accertamento di eventuali responsabilità e in merito all'eventuale danno erariale qualora si trattasse di premi distribuiti senza l'avvenuto raggiungimento degli obbiettivi previsti;
   a quanto ammonti il controvalore complessivo delle controversie pendenti al 31 dicembre 2014;
   quando pensi di ottemperare alle disposizioni del decreto ministeriale 11 aprile 2008 in tema di giudici tributari, in modo da rispettare l'organico previsto e accelerare il recupero delle entrate fiscali dovute per controversie pendenti arretrate;
   quale sia il controvalore totale effettivamente sentenziato a favore della pubblica amministrazione, tra ricorsi favorevoli, giudizi intermedi, conciliazioni e condoni, definito dai 308.019 ricorsi del 2014, utilizzando gli scaglioni presenti nel documento citato del Ministero dell'economia e delle finanze (da 0 a 20 mila euro, da 20 mila euro a 1 milione, oltre 1 milione di euro e valore indeterminabile – come da esempio in tabella 11), a fronte dei 40.917.357.825 euro di valore della controversia indicati, tra CTP e CTR;
   quali siano i costi diretti e indiretti complessivi imputabili alla giustizia tributaria per l'anno 2014;
   quale sia l'ammontare delle spese di giudizio per l'anno 2014 attribuite a carico della pubblica amministrazione e in compensazione, ripartite per i citati scaglioni basati sul valore della controversia;
   se non intenda favorire un rapido iter di ogni iniziativa normative volta a tutelare in modo reale la figura del cosiddetto «whistletblower» (ovvero colui che lavorando all'interno di un'organizzazione, di un'azienda pubblica o privata si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività, decide di segnalarlo all'interno dell'azienda stessa o all'autorità giudiziaria o all'attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento), come ad esempio la proposta di legge n. 1751 presentata il 30 ottobre 2013 alla Camera andando a colpire eventuali comportamenti intimidatori da parte del datore di lavoro o altre figure apicali a volte tese solo a intimidire i lavoratori per evitare ulteriori fughe di notizie su malagestio o altro. (4-09629)


   BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   era il 17 settembre 2013 quando l'allora Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport Graziano Delrio partecipava, nel Salone d'Onore del Coni, alla presentazione dei mondiali di ciclismo che si sarebbero tenuti dal 22 al 29 settembre dello stesso anno, in Toscana. All'evento erano presenti il presidente del Coni Giovanni Malagò, il precedente sindaco di Firenze (oggi Presidente del Consiglio dei ministri) Matteo Renzi con gli altri sindaci delle quattro città toscane attraversate dai mondiali, il Presidente della Federazione ciclistica italiana, Renato Di Rocco;
   «un evento reso possibile da un grande lavoro collettivo – affermava il Ministro Delrio –, con pochi mezzi pubblici, realizzato grazie al Coni, a enti nazionali e locali, a privati, interessati a regalare all'Italia questa occasione»;
   sono passati due anni dalla fine dei mondiali di ciclismo, purtroppo però a Firenze ci sono ancora molte aziende che devono essere pagate per il lavoro compiuto in quell'evento sportivo: una stima, al ribasso, parla di almeno 1,5 milioni di euro che il Comitato organizzatore deve ancora saldare ad almeno una ventina di piccole e medie imprese;
   la manifestazione ha portato lustro e visibilità alla Toscana, ma una volta spenti i riflettori sulla kermesse iridata un aspetto è apparso subito chiaro: regione e comuni hanno celebrato il successo della manifestazione a scapito di molti imprenditori toscani, che non hanno mai incassato ciò che era loro dovuto, da un minimo di 10 mila a un massimo di svariate centinaia di migliaia di euro, e che in qualche caso rischiano tuttora di dover chiudere l'attività per le fatture inevase dagli organizzatori del mondiale;
   anche se gli enti locali da parte loro hanno dichiarato di avere regolarmente pagato ciò che avevano messo a bilancio per la manifestazione, ciò non significa che debbano «lavarsi le mani» di fronte ai mancati pagamenti dei fornitori da parte del comitato organizzatore, anche perché molti imprenditori hanno accettato di lavorare per l'evento a fronte di acconti minimi, proprio per il ruolo di «garanzia» che avevano i comuni e la regione Toscana;
   il comitato ha sottolineato che i ritardi nell'erogazione dei fondi ai creditori sono avvenuti a causa della mancanza di puntualità dei trasferimenti da parte degli enti locali e che, se questi fossero pervenuti regolarmente e tempestivamente, la situazione contabile sarebbe in perfetto equilibrio;
   giova ricordare che al comitato i comuni interessati hanno destinato 1,3 milioni di euro, mentre la regione Toscana ha contribuito con 400 mila euro dei 18,5 milioni complessivi stanziati, serviti anche per riasfaltare le strade interessate dalle gare. Quello toscano è stato uno dei mondiali più costosi della storia: oltre 40 milioni di euro, a fronte degli 11 spesi per Mendrisio 2009 e dei 10 di Copenaghen 2010;
   a due anni di distanza dal mondiale, alcune aziende hanno intrapreso azioni legali, mentre altre hanno preferito seguire canali extragiudiziali nella speranza di rientrare del credito. Sembrerebbe inoltre che alcune aziende siano invece state pagate e perciò sarebbe interessante conoscere con quale criterio siano state scelte;
   la cifra che attualmente la Federazione ciclistica sembra avere a disposizione, meno di 1,2 milioni di euro, non è sufficiente a risolvere la pesante situazione creditoria ancora pendente;
   in ogni caso sarebbe opportuno appurare effettivamente se i comuni e la regione Toscana siano ancora debitori nei confronti del Comitato organizzatore del mondiali di ciclismo 2013, evento sul quale il Governo di allora tanto aveva puntato, per dare lustro all'immagine del Paese e della Toscana in particolare, e per promuovere l'ulteriore diffusione di questo sport –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e di quali ulteriori elementi disponga al riguardo;
   se siano consapevoli della pesante ricaduta occupazionale negativa che avrebbe l'eventuale chiusura delle numerose aziende ancora creditrici, ove i diretti responsabili non decidano, senza ulteriori ritardi, di rimborsare i crediti tuttora esistenti nei confronti di numerose imprese che rischiano di chiudere le attività nel caso in cui non riescano a rientrare degli investimenti fatti in occasione dei mondiali di ciclismo svoltisi a Firenze nel 2013;
   se risulti al Governo che alcune aziende siano già state soddisfatte nei loro crediti e, in caso affermativo, se sia noto in base a quale criterio siano state individuate. (4-09630)


   SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la giunta comunale di Reggio Emilia il 17 giugno 2015 ha assegnato l'incarico di Presidente delle farmacie comunali riunite al consigliere comunale Annalisa Rabitti;
   in data 22 giugno 2015 nel comunicato stampa del comune di Reggio Emilia si afferma come «Il Consiglio comunale di Reggio Emilia ha approvato all'unanimità la surroga di Annalisa Rabitti con Giorgio Campioli, nel gruppo Pd; Annalisa Rabitti ha infatti cessato dalla carica di consigliere per dimissioni, a seguito della sua nomina a presidente dell'azienda speciale Farmacie comunali riunite (Fcr)»;
   tale nomina della consigliera ha creato scalpore in quanto risulta secondo l'interrogante illegittima ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 39 del 2013 recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, noto decreto anticorruzione conosciuto come «Legge Severino»;
   nell'articolo 7 si afferma che «coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune (...) ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (...) non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»;
   le farmacie comunali di Reggio Emilia è un ente controllato dall'amministrazione comunale e suddetta nomina crea inevitabilmente un conflitto d'interessi con il ruolo di consigliere comunale;
   tali violazioni sono soggette al controllo del funzionario anticorruzione e dell'ANAC;
   tale nomina a presidente prevede determinati poteri di gestione, controllo e rappresentanza delle FCR; si legge infatti nello statuto dell'ente che: e) Il presidente dirige i lavori del consiglio di amministrazione, fa osservare lo statuto e i regolamenti, stabilisce l'ordine e le modalità della discussione e delle votazioni; b) Il presidente esercita tutte le funzioni e i poteri che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti vigenti, e svolge funzione propulsiva della attività del Consiglio di Amministrazione, regolandone i lavori: sviluppa ogni utile iniziativa di collegamento con le amministrazioni pubbliche, con gli operatori privati, con le espressioni organizzate dell'utenza e con ogni altra organizzazione interessata al campo di attività dell'Azienda; formula proposte sulle materie poste all'ordine del giorno delle sedute del Consiglio di amministrazione e in particolare circa le proposte di modifiche da apportare allo Statuto dell'Azienda e sulle materie attinenti all'operato del direttore dell'azienda; ha la rappresentanza nei rapporti con gli Enti locali e altre autorità; assume sotto la propria responsabilità i provvedimenti di competenza propria del consiglio di amministrazione quando l'urgenza sia tale da non permettere la tempestiva convocazione del consiglio stesso e sia dovuta a cause nuove od urgenti rispetto all'ultima convocazione del consiglio di amministrazione (articolo 14 statuto);
   la legge Severino ha previsto, in attuazione di direttiva dell'ONU, l'Istituzione di una commissione nazionale anticorruzione al fine, tra gli altri, di esercitare la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni, sulla trasparenza dell'attività amministrativa alla luce delle disposizioni anticorruzione previste in detta legge –:
   se si intenda segnalare ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2013 all'autorità anticorruzione le nomine indicate in premessa;
   se intenda assumere un'iniziativa normativa, anche come suggerito dal Presidente dell'Anac Cantone, affinché la normativa in questione possa applicarsi oltre che ai politici di enti regionali, provinciali e comunali al di sopra dei 15 mila abitanti a tutti coloro che abbiano ricoperto o ricoprano ruoli nazionali quali ministri, parlamentari,  sottosegretari affinché nessun eletto possa avvantaggiarsi del proprio incarico politico per assumere ruoli amministrativi. (4-09631)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, il 28 novembre 2014 si è tenuta a Roma la Conferenza internazionale sull'immigrazione dall'Africa orientale, che ha avviato il processo di Khartoum come strategia per gestire e controllare i flussi migratori attraverso azioni di cooperazione specifiche con i Paesi di origine e transito e in linea con gli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile che comprendono l'aiuto allo sviluppo, l'assistenza tecnologica e la formazione come strumenti fondamentali per rafforzare le capacità degli stati di partenza e di transito nella lotta al traffico di esseri umani e nelle azioni di contrasto ai flussi illegali di migranti;
   la dichiarazione conclusiva della conferenza del 28 novembre indica la promozione e il rispetto dei diritti umani come una condizione trasversale e imprescindibile per la cooperazione tra gli Stati che partecipano al processo di Khartoum, tra i quali si annovera l'Eritrea;
   secondo il più recente rapporto della commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, curato dallo special rapporteur Sheila Keetharuth, che rappresenta ad oggi la più autorevole e aggiornata ricognizione sul rispetto dei diritti umani nel Paese africano, la situazione in Eritrea è definita «estremamente preoccupante» e «disperatamente desolante»;
   tale rapporto evidenzia una continua, ampia e sistematica violazione dei diritti umani fondamentali e delle libertà, comprensiva dell'uso della tortura; gravi limitazioni della libertà di espressione, di opinione, di pensiero e di culto religioso; gravi limitazioni alla libertà di movimento, inclusa la detenzione arbitraria dei soggetti sorpresi durante la fuga dal Paese, o anche solo sospettati di voler fuggire; l'uso di luoghi di detenzione in nessun modo conformi agli standard internazionali e la coscrizione forzata a tempo quasi indeterminato;
   i dati dell'UNHCR indicano che il 22 per cento di coloro che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014 per raggiungere l'Europa sono proprio cittadini eritrei fuggiti illegalmente affidandosi ai trafficanti di esseri umani, i quali sarebbero coperti se non addirittura in connivenza con le autorità militari di Asmara;
   sempre secondo l'UNHCR, nel 2014 i migranti eritrei richiedenti protezione in Europa sono stati 37 mila; un dato che registra una forte crescita rispetto al numero di richiedenti protezione nel 2013, che si era fermato a 13 mila;
   il presidente della commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sui diritti umani in Eritrea, Mike Smith, ha recentemente chiesto ai Paesi in cui giungono migranti eritrei in Europa, Nordafrica e Medio Oriente di continuare a offrire loro una protezione e di non rinviarli in patria, dove rischiano di essere puniti per aver lasciato il Paese senza autorizzazione;
   un reportage del quotidiano inglese «The Guardian» ha diffuso la notizia, rilanciata da altri mezzi di informazione italiani ed europei, che funzionari diplomatici italiani e britannici avrebbero preso contatti con il Governo eritreo per testare la disponibilità del regime a collaborare per fermare i migranti sui confini evidenziando come, qualora il Governo eritreo si rendesse disponibile a collaborare, la controparte dell'accordo sarebbe un contributo economico, ovvero un ammorbidimento delle sanzioni nei confronti del regime di Asmara –:
   se la notizia diffusa dal quotidiano The Guardian corrisponda al vero;
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare per assicurare che l'eventuale interlocuzione con il Governo eritreo volta a un più efficace contrasto del traffico di esseri umani e dei flussi illegali di migranti rappresenti anche un vincolo per un adeguamento delle politiche di Asmara al rispetto dei diritti umani e un incentivo per la transizione del Paese verso la democrazia. (5-05912)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dello sviluppo economico, all'epoca del Governo Berlusconi, stipulò un accordo con la Serbia per l'importazione di energia rinnovabile (fonte idroelettrica) da quel Paese. Secondo le informazioni risalenti al 2011 quell'energia costerebbe 155 euro/MWh, più del doppio dell'attuale prezzo di mercato. Per il progetto l'Italia sborserebbe circa 12 miliardi di euro in 15 anni;
   l'interconnessione, in gran parte sottomarina, di 415 chilometri fra le coste dell'Abruzzo e quelle del Montenegro, che con una portata di un GW in corrente continua, potrebbe spostare tra Italia e Montenegro circa 6 TWh di energia l'anno;
   la nuova linea, i cui lavori sono appena cominciati sul lato Abruzzo, costerà oltre un miliardo di euro (dai 760 milioni previsti nel 2010, gran parte dei quali verranno pagati dagli italiani con la bolletta elettrica), e dovrebbe servire a connettere ulteriormente le linee elettriche del continente, unendo i Balcani alla rete dell'Europa occidentale, e, soprattutto, a importare in Italia energia «economica e rinnovabile» proveniente dal Montenegro;
   l'idea di questa interconnessione parte dal 2005, quando venne pensata come utile a superare il grave deficit di capacità produttiva elettrica italiana, che rischiava di provocare gravi black-out al paese. Il progetto viene confermato dal Governo Prodi nel 2007 e nel 2008 viene completato lo studio di fattibilità. Ma intanto la situazione energetica italiana si capovolge: l’undercapacity, grazie alla costruzione di una valanga di centrali a gas, diventa overcapacity, e quindi, in teoria, della linea con il Montenegro si sarebbe potuto anche fare a meno;
   per «salvare» la grande opera messa in cantiere nel 2009 la ragione per cui si dovrebbe costruire la linea sotto l'Adriatico cambia: adesso importare elettricità dal Montenegro aiuterà a rispettare i vincoli europei sulle emissioni e sulle energie rinnovabili al 2020, perché, afferma il piano nazionale delle rinnovabili nel 2010, «l'Italia non potrà produrre al 2020 più del 26,8 per cento di elettricità rinnovabile sui propri consumi, e il resto lo dovrà importare». E così nel 2011 viene firmato l'accordo definitivo fra il Ministro pro tempore Paolo Romani e il suo omologo montenegrino per la realizzazione dell'opera;
   ma già allora, con la crisi che cominciava a far calare i consumi elettrici e il boom di fotovoltaico, bioenergie ed eolico, era chiaro che l'Italia non avrebbe avuto alcun bisogno di importare energia rinnovabile per rispettare il 20-20-20. E oggi se ne è ancora più consapevoli, visto che già quasi il 40 per cento della domanda elettrica italiana, è coperto da rinnovabili (dato 2014), e che il 20-20-20 si riuscirà a centrarlo. Volendo si è perfettamente in grado di andare ancora oltre con la produzione interna da solare, vento, geotermia e biomasse e non si intravede all'orizzonte nessuna miracolosa ripresa dei consumi elettrici;
   il 27 gennaio 2015, nel corso di una seduta alla commissione Attività produttiva della Camera il vice ministro dello sviluppo economico Claudio De Vincenti dichiara: «Il Governo, nonostante il cambiamento di scenario, continua a considerare valido il progetto di interconnessione e garantisce che non ci saranno ricadute sulla bolletta degli italiani, mentre ci sono senz'altro una serie di obblighi che il Governo italiano si è assunto e che andranno rispettati, ma che saranno compensati, a suo parere, dai vantaggi derivanti dall'interconnessione stessa». Successivamente, De Vincenti ha chiarito uno dei modi con cui l'investimento potrebbe fruttare: Montenegro e Serbia potrebbero anche importare elettricità dall'Italia. Un fatto altamente improbabile, visto che il kWh italiano costa fra 2 e 4 volte di più del loro;
   la AEM, società municipalizzata dell'elettricità milanese, oggi A2A, decise di espandersi all'estero. Dopo un tentativo infruttuoso di acquisire una società in Svizzera, essendo esperta di idroelettrico, ripiegò sulla Epcg, del Montenegro, acquisendone nel 2009 il 43,7 per cento per 436 milioni di euro. Ma l'affare si rivelò disastroso: il Montenegro è, con il Kosovo, uno degli Stati europei meno trasparenti, le tariffe elettriche sono decise dalla politica, buona parte della produzione elettrica va a una fabbrica di alluminio che la paga pochissimo e il non pagare le bollette è sport di massa;
    il risultato finanziario, infatti, non è stato brillante, come ammette la stessa A2A in una pagina realizzata appositamente nel suo sito nel 2012, in risposta a un'inchiesta di Report: la Epcg è costata ad A2A ingenti perdite (66 milioni di euro, solo nel 2011 a causa di «scarsa piovosità», e molti altri previsti per il 2012). E oggi l'azienda sta cercando di rinegoziare la sua presenza in Montenegro, se non chiuderla del tutto;
   al momento, il Montenegro produce solo il 60 per cento dell'elettricità che consuma. Quindi si finirà per importare energia da un Paese che non ne produce neanche abbastanza per i suoi 4,6 TWh annui di consumi. Fra i suoi vicini, la Serbia già esporta tutto il possibile in Montenegro e la Croazia è un importatore netto di elettricità: ci si chiede chi, senza nuove centrali, dovrebbe quindi fornire i 6 TWh massimi che possono passare sulla linea per l'Italia; ma non basta. L'elettricità montenegrina solo per il 60 per cento è idroelettrica, il resto deriva da una centrale a lignite. Da molti anni si annuncia l'inizio della costruzione di nuove centrali idroelettriche nel Paese, ma o per mancanza di finanziamenti, o per opposizioni ambientali, le opere sono ancora lontane dal concretizzarsi. Inoltre il 40 per cento di elettricità che il Montenegro importa viene dalla Serbia, che la produce per il 60 per cento con il carbone;
   facendo qualche semplice calcolo risulta, quindi, che al momento l'elettricità che l'Italia importerebbe dal Montenegro sarebbe al 64 per cento fornita da centrali a carbone. Visto che questa fonte fossile emette 1042 gr di CO2/kWh, oggi l'energia montenegrina sarebbe correlata a 666 gr CO2/kWh, contro i 385 gr CO2/kWh dell'attuale mix italiano –:
   se non ritengano necessario fare chiarezza:
    a) sul progetto di interconnessione Villanova (Pescara)-tivat e sulla reale utilità di un'opera così onerosa per lo Stato italiano;
    b) sulle regole per l'importazione di energia attraverso l'elettrodotto dall'estero, alla luce degli impegni europei in materia di clima e fonti rinnovabili. (4-09626)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Federalberghi ha presentato un ricorso al TAR del Lazio per richiedere la definitiva abolizione dei patti di parity rate, clausole contrattuali imposte dalle multinazionali dell'intermediazione, che non consentono all'albergo di pubblicare «in chiaro» sul proprio sito internet alcune soluzioni che sarebbero molto più vantaggiose per la clientela;
   le imprese ricettive oggi pagano ai portali di prenotazione commissioni che possono arrivare anche oltre il 30 per cento;
   quando un portale promette il miglior prezzo, in realtà sta dicendo che ha proibito all'albergo di offrire un prezzo più conveniente sul proprio sito internet;
   nel maggio 2014 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deciso di avviare un'istruttoria per verificare se le agenzie turistiche on line, Booking ed Expedia limitino, attraverso gli accordi con le strutture alberghiere, la concorrenza sul prezzo e sulle condizioni di prenotazione tra i diversi canali di vendita, ostacolando la possibilità per i consumatori di trovare sul mercato offerte più convenienti;
   sulla scorta di quanto finora sancito dall'Antitrust a partire dal 1o luglio chi viaggia per vacanza o per lavoro in Italia potrà beneficiare di una importante opportunità: in applicazione delle nuove regole gli alberghi italiani, se contattati direttamente, potranno offrire condizioni migliorative rispetto a quelle pubblicate sui grandi portali;
   in Francia sono state recentemente vietate le clausole che impongono agli hotel di non pubblicare in chiaro sui propri siti tariffe inferiori a quelle concordate con le multinazionali dell'intermediazione;
   durante i quattro mesi estivi (giugno-settembre) gli esercizi ricettivi italiani ospitano secondo i dati di Federalberghi più di cinquanta milioni di persone, per un totale di circa 250 milioni di pernottamenti, il cinquanta per cento dei quali è riferito alla clientela straniera –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, considerato che i tempi tecnici di definizione del ricorso di Federalberghi al TAR non saranno immediati, assumere iniziative normative urgenti per vietare tali clausole vessatorie, al pari di quanto è avvenuto in Francia. (5-05917)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, PETRAROLI, FICO e TOFALO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto Italiano per gli studi filosofici è stato fondato nel 1975 a Napoli da Enrico Cerulli, Elena Croce, Pietro Piovani, Giovanni Pugliese Carratelli e Gerardo Marotta, che ne è anche il presidente, intorno alla biblioteca umanistica di circa 300 mila volumi, raccolti in un trentennio di ricerche di fondi librari in tutta Europa;
   fin dalla fondazione, l'Istituto svolge attività di ricerca e formazione accanto a quella seminariale, ad essa strettamente funzionale, e sviluppa forme di connessione sempre più strette tra i programmi di indagini storico-filosofiche, archivistiche, documentarie e bibliografiche, e l'organizzazione di mostre e di convegni, tanto che l'Istituto è considerato a tutti gli effetti una scuola di alti studi post-universitari e, insieme, un centro di ricerche;
   nel rapporto Unesco 1993 è scritto: «L'Istituto organizza corsi e colloqui ovunque nell'Europa occidentale, pubblica opere in sei lingue, antiche e moderne, contribuendo a fare della sua città una vera capitale culturale»;
   l'Istituto versa purtroppo in una situazione di grave crisi a seguito dei mancati contributi da parte dello Stato dal 2009, anno in cui il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Giulio Tremonti iniziò a ridurre i fondi che Carlo Azeglio Ciampi prima come premier, poi come Presidente della Repubblica aveva stanziato, con gravi conseguenze sulle attività che, nonostante tutto proseguono, ma senza poter retribuire il personale, che consta di 15 dipendenti, e pagare i fornitori, così come riportato in un articolo pubblicato sul sito on line lettera43.it dal titolo «Napoli, il declino triste dell'Istituto di studi filosofici»;
   nel 2011 la giunta della regione Campania, guidata dall'allora presidente Stefano Caldoro, ha emanato una delibera, la n. 283, che ha impedito materialmente l'allocazione della biblioteca dell'Istituto presso la sede individuata 10 anni prima con delibera n. 6039;
   oggi molti dei 300 mila volumi raccolti, di cui molti rarissimi come la prima edizione italiana dell’Encyclopedie di Diderot e D'Alembert e gli originali di Giordano Bruno e Giambattista Vico, sono impacchettati in scatoloni custoditi in un deposito a Casoria, nella provincia nord, altri sono ospitati in locali sotterranei dell'ospedale «Bianchi» o nelle case e nelle cantine di amici e sostenitori dello stesso Marotta;
   è stata avviata una petizione in favore dell'Istituto che annovera tra i primi firmatari nomi del calibro di Aldo Masullo, Stefano Rodotà, Roberto Saviano, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky ed oltre 25 mila sottoscrizioni da parte di cittadini italiani;
   nonostante le tante promesse da parte della politica e delle istituzioni come quelle del sindaco di Napoli Luigi de Magistris, ad oggi nulla è stato fatto per salvare l'Istituto dalla definitiva chiusura –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda valutare di porre in essere per scongiurare il rischio di una cessazione definitiva delle attività di ricerca e formazione dell'Istituto Italiano per gli studi filosofici che comporterebbe un generale impoverimento del panorama culturale del nostro Paese.
(4-09610)


   COLONNESE, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2015 è avvenuta una frattura in uno dei viali interni del Real Bosco di Capodimonte che ha provocato lo smottamento di uno dei muri di contenimento del parco all'altezza del «regresso», all'incrocio tra via Capodimonte e via Miano. Il tratto interessato corrisponde ad un'area di una ventina di metri. I vigili del fuoco che sono intervenuti sul posto hanno trovato una tubazione da 200 mm dell'impianto di condizionamento del museo di Capodimonte rotta in corrispondenza delle torri di evaporazione. Proprio in quel punto in superficie si sono verificati cedimenti e aperte fenditure nei viottoli e in parte del terrapieno, mentre dalla base del muro di contenimento scendeva acqua che invadeva la sede stradale. Molti residenti hanno riferito ai vigili del fuoco che il flusso è pressoché continuo e non soltanto quando piove. Sono stati allertati tutti gli uffici comunali e gli enti preposti e la strada è restata chiusa fino al completamento della messa in sicurezza e dei rilievi tecnici;
   dopo il pericolo crollo del muro esterno del Bosco di Capodimonte sono state applicate delle strutture in cemento per sostegno. Queste strutture, chiamate «barbacani», hanno causato il malcontento dei cittadini, in quanto deturpanti l'aspetto storico/artistico del sito museale. Il provvedimento su tali modalità di contenimento è stato preso dall'ingegnere De Angelis, della ditta appaltatrice a cui la Soprintendenza ha affidato i lavori. Questi muri di sostegno, inoltre occupano notevolmente la carreggiata) costringendo il traffico veicolare ad un senso unico alternato sulla semi carreggiata di destra di via Miano, causando code di traffico e disagi enormi;
   in particolare il terrapieno imputato, ospita la centrale termica del museo;
   risulta agli interroganti in seguito a segnalazioni di cittadini, che il flusso d'acqua che fuoriesce dal muro di contenimento persiste tuttora, anche quando non piove –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa; se ci siano stati lavori di messa in sicurezza ed ancoraggio della centrale termica e quindi atti all'eliminazione del pericolo; quando intendano rimuovere detti muri di sostegno e ripristinare lo stato dei luoghi secondo il loro valore storico/culturale;
   quali siano le modalità e i criteri di scelta della ditta appaltatrice a cui la Soprintendenza ha affidato i lavori di contenimento. (4-09618)


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, COSTANTINO, QUARANTA, PIRAS, SCOTTO, FRATOIANNI, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 giugno 2015 l'agenzia di stampa Ansa ha riportato la notizia del ritrovamento di un dipinto attribuito al pittore Francisco Goya, ritrovato dai Carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Ancona nel caveau di una banca in Lussemburgo e confiscato;
   il dipinto, un olio su tela di 100 centimetri per 138, raffigurante un nobile della Corte borbonica, a quanto si apprende, sarebbe stato esportato illecitamente all'estero, e potrebbe valere, secondo le prime stime, fino a 15 milioni di euro;
   grazie alle ricerche dei Carabinieri si è riusciti a risalire al «tragitto» percorso dall'opera, sequestrata nel 1998 a Roma ad un cardinale, incaricato del restauro e dell’expertise, perché finita in una inchiesta della procura di Sciacca (Agrigento) su un omicidio in ambienti contigui alla criminalità organizzata e successivamente finita nella disponibilità di un imprenditore della provincia di Jesi (An), che, volendo verificare se l'opera fosse tra quelle «ricercate» dai Carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale, al fine di venderla, ha richiesto una verifica alla specifica Banca dati del Nucleo, permettendo ai militari dell'Arma di recuperarla;
   pur essendo stato rivendicato dalla figlia dell'ultima proprietaria, la contessa Anna Maria Beltramini di Cervia, morta nel 2008, attraverso l'avvocato Carlo Benini, il dipinto è attualmente affidato alla sovrintendenza delle Marche. Sarà il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a decidere come e dove esporlo –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire ulteriori chiarimenti sulla vicenda illustrata in premessa;
   se sia in grado di indicare luogo e modalità di esposizione dell'opera. (4-09625)


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha denunciato al comando carabinieri tutela patrimonio culturale l'asta di reperti nuragici che si terrà a Londra in data 30 giugno 2015;
   in tale occasione a Londra saranno battuti all'asta diversi reperti della grande civiltà nuragica;
   tali reperti ad avviso dell'interrogante non possono che far parte di beni archeologici sottratti indebitamente alla Sardegna e al suo patrimonio archeologico;
   tali beni risultano provenienti da collezioni private libanesi e i personaggi richiamati come già titolari della collezione risultano essere stati oggetto di indagini e di sequestri da parte della magistratura competente libanese sin dal 1999;
   a mettere in vendita un catalogo di reperti nuragici è la casa d'asta EMAX;
   si tratta di nove reperti valutati decine di migliaia di euro come base d'asta;
   si tratta di straordinari bronzetti raffiguranti personaggi della civiltà nuragica e rappresentazioni esclusive del mondo animale;
   tutti reperti con datazioni intorno a 3000 anni fa;
   si tratta di un patrimonio che secondo quanto dichiarato dalla casa d'asta proverrebbe da collezioni svariate, comprese quelle in Libano Ex Farid Ziade;
   un patrimonio messo in vendita in un'asta dal vivo che si svolgerà il 30 giugno alle 15,30, nel «Pall Mall Gallery» in 5B Pall Mall – 30 Royal Opera Arcade, Londra;
   quell'asta in base alla segnalazione al nucleo dei carabinieri doveva essere bloccata;
   secondo l'interrogante non si tratta di pezzi pregiati da vendere, ma è refurtiva rubata alla Sardegna e ai sardi;
   un Governo autorevole e serio deve intervenire con tutti i poteri a sua disposizione per bloccare questa vergognosa vendita che offende la storia della Sardegna e dei Sardi;
   si tratta di cimeli unici, testimonianze nuragiche che rappresentano una sottrazione ai danni della Sardegna e della sua storia arcaica;
   già nei mesi scorsi l'interrogante aveva denunciato la vendita di straordinari reperti archeologici di epoca nuragica tra Londra e New York;
   nonostante quella denuncia di allora, il Governo consente quella che all'interrogante appare la svendita della civiltà nuragica, senza che nessuno intervenga per contrastare questa gravissima lesione;
   tutto questo è semplicemente inaccettabile e occorre impedire quella vendita;
   l'amministrazione britannica non può consentire questo sfregio alla cultura e alla storia della Sardegna;
   i sardi si attendono una risposta urgente e risolutiva da parte del Regno Unito;
   ci sono convenzioni internazionali che vietano questo tipo di compravendite;
   non si può consentire che tombaroli e ladri per eccellenza la facciano franca;
   in sintesi sono queste le nove figure in vendita all'asta di Londra:
    1 una figura di bronzo sardo di un periodo di Nuragico offerente culto, intorno al nono al sesto secolo a. C.;
    2 una statuetta di bronzo sardo di un periodo di Nuragico culto guerriero, circa nono-sesto secolo a. C.;
    3 una figura di bronzo in Sardegna di un periodo Nuragico – offerta sacerdotessa, circa nono-sesto secolo a. C.;
    4 una figura di bronzo in Sardegna di un periodo Nuragico offerta sacerdotessa, circa nona-sesto secolo a. C.;
    5 un cavallo di periodo Nuragico di bronzo in Sardegna, circa nono-sesto secolo a. C.;
    6 uno stambecco in bronzo sardo periodo Nuragico, circa nono-sesto secolo a. C.;
    7 un bue sardo in bronzo periodo Nuragico, circa nono al sesto secolo a. C.;
    8 un muflone sardo in bronzo periodo Nuragico, intorno al nono al sesto secolo a. C.;
    9 uno stambecco in bronzo sardo periodo Nuragico, circa nono-sesto secolo a. C.;
   la vendita dei bronzetti nuragici a Londra riserva molte complicità e tanti silenzi;
   a giudizio dell'interrogante il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha delle responsabilità: un silenzio assordante di un'istituzione che sarebbe dovuta intervenire con immediatezza per bloccare quell'asta a Londra;
   si tratta di un'asta per la quale esistono tutti i presupposti per un intervento immediato del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo perché appare davvero singolare che questo patrimonio venga venduto a Londra da personaggi italiani, legati ad un ambiente particolare del Ministero e delle forze politiche;
   è tutto davvero gravissimo e qualsiasi Stato degno di questa definizione avrebbe fatto di tutto per bloccare l'operazione;
   si è dinanzi ad uno scandalo tutto italiano, contro la civiltà nuragica della Sardegna;
   ci si aspetta che le persone coinvolte siano inglesi e invece ti ritrovi con tutti personaggi italiani;
   il detentore originario di questi reperti risulta essere un uomo d'affari libanese legato ad un precedente inquietante;
   nel 1999 in Libano ci fu una retata della polizia per rintracciare centinaia di antichità mancanti. Il magistrato libanese Khaled Hammoud guidò le operazioni; dopo aver ispezionato numerose ville in Ghazir, Kesrouan, circa 300 reperti erano stati prelevati dalla casa di un uomo d'affari, Farid Ziade. I pezzi sequestrati – secondo quanto riporta il sito http://www.dailystar.com.lb – risalgono tutti al periodo romano e sono descritti nel rapporto della procura libanese come rari e costosi. La villa Ghazir fu sigillata con cera e tutti i pezzi confiscati e inviati alla Direzione Generale delle Antichità (DGA) –:
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire anche a seguito delle pubbliche denunce e alla segnalazione rivolta al comando dei carabinieri;
   se non ritenga di dover porre in essere tutte le iniziative necessarie a fermare tale asta e a recuperare il patrimonio;
   se risulti che i componenti dell'organizzazione dell'asta abbiano rapporti parentali con dirigenti statali e del Ministero;
   se non ritenga di verificare le ragioni della vendita di patrimonio archeologico italiano da parte di società formata complessivamente da soggetti italiani. (4-09633)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comma 368 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di stabilità 2015) stabilisce che il numero degli alloggi di servizio connessi all'incarico con locali di rappresentanza (ASIR) venga ridotto a 6 dagli attuali 55;
   si tratta di appartamenti di grande pregio, con superfici molto vaste che possono raggiungere anche i 500 metri quadrati e finiture di lusso;
   la norma citata non specifica tuttavia quale sarà il destino degli alloggi così recuperati, se saranno riutilizzati in altre forme o con altre modalità di concessione oppure alienati –:
   quale sia l'intendimento del Ministro in relazione al destino dei 49 alloggi di grande pregio, già ASIR, resi disponibili;
   se sia stata fatta una stima del valore degli stessi e se sia stata promossa un'indagine di mercato in vista di una loro eventuale alienazione;
   se non ritenga, in caso contrario, di dare disposizioni affinché si proceda senza indugio in tale senso, destinando il ricavato al miglioramento degli alloggi di servizio attualmente in dotazione alle Forze armate. (5-05909)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 marzo 2014, n. 23, che conferisce la «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», prevede espressamente una generale revisione delle funzioni svolte dai sostituti di imposta nell'ottica degli adempimenti;
   nonostante l'introduzione della trasmissione all'Agenzia delle entrate della certificazione unica con scadenza il 9 marzo 2015, istituita con l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in materia di «Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata», si apprende, attraverso l'audizione del 14 gennaio 2015 del direttore Rossella Orlandi, presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, che l'Agenzia delle entrate ha ritenuto opportuno non prevedere l'eliminazione della presentazione del modello 770 semplificato, sostenendo che eventuali interventi in merito avrebbero comportato il rischio di maggiori complicazioni;
   in relazione ad alcune notizie di stampa, l'Agenzia delle entrate, in data 12 febbraio 2015, precisa di aver pubblicato la versione definitiva della certificazione unica (CU) il 15 gennaio 2015, nel pieno rispetto dei tempi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998. Inoltre, nella stessa data, ha reso disponibili le specifiche tecniche per l'invio telematico dei dati, con largo anticipo rispetto al termine ultimo del 15 febbraio 2015;
   per il primo anno gli operatori potranno scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all'Inail e se inviare o meno le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti;
   sempre limitatamente al primo anno, fermo restando che tutte le certificazioni uniche che contengono dati da utilizzare per la dichiarazione precompilata devono essere inviate entro il 9 marzo 2015, quelle contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) possono essere inviate anche dopo questa data, senza applicazione di sanzioni;
   secondo l'Associazione nazionale commercialisti, l'introduzione del modello di comunicazione unica, il cui numero di dati contenuti è senza dubbio ampliato, non solo rende di fatto superfluo l'obbligo di presentazione del 770 semplificato, ma soprattutto introduce adempimenti nuovi con scadenze eccessivamente ravvicinate, generando conseguenze preoccupanti ai danni dei contribuenti e del lavoro dei professionisti;
   l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», introduce il cosiddetto split payment, meccanismo attraverso il quale la pubblica amministrazione non dovrà versare più l'iva alle imprese, le quali, invece, sono comunque tenute a pagarla ai loro fornitori e a chiedere il rimborso, penalizzando ancora una volta la fortissima riduzione della liquidità delle imprese, già fortemente provata dalla crisi, oltre a creare uno squilibrio finanziario non indifferente;
   la necessità della soppressione o dell'accorpamento degli adempimenti fiscali è da tempo denunciata da cittadini, imprese e associazioni di categoria e pertanto le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza;
   l'Associazione nazionale commercialisti ha inviato, in data 26 giugno 2015, una lettera al Ministro interrogato e al direttore dell'Agenzia delle entrate per rinnovare la richiesta di eliminare l'adempimento della presentazione del modello 770 semplificato, in quanto i dati contenuti nella dichiarazione sono già in possesso dell'amministrazione finanziaria (a seguito dell'invio delle comunicazioni uniche entro il 7 marzo 2015), e per denunciare l'inadeguatezza dell'attuale termine del 31 luglio 2015, in ragione delle oggettive difficoltà che incolpevolmente i professionisti intermediari si trovano a dover affrontare. L'Associazione nazionale commercialisti ha sollecitato un intervento urgente di modifica della data entro la quale espletare l'adempimento della presentazione del modello 770, prevedendo come soluzione un termine che, nell'ambito del calendario fiscale, non sia prima del 30 settembre 2015 –:
   quali misure il Governo ritenga opportuno realizzare affinché possa effettivamente realizzarsi l'atteso processo di semplificazione fiscale, attraverso una sostanziale unificazione degli adempimenti e dei modelli fiscali, nonché una riorganizzazione del calendario fiscale e del sistema impositivo. (3-01581)


   SCOTTO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in una recente intervista ad un quotidiano il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che «il referendum greco è un ballottaggio: euro o dracma. I greci devono dire se vogliono restare nella moneta unica o no»;
   mentre, in realtà, il Premier Tsipras ha posto ai greci la scelta se accettare o meno le ultime proposte degli organismi europei, se continuare le politiche dell'austerità pur rimanendo nell'euro;
   la posizione del Presidente del Consiglio dei ministri sembra inquadrarsi – ad avviso degli interroganti – nella campagna di pressione che il Presidente Juncker, la Cancelliera Merkel, il Presidente Hollande stanno esercitando in queste ore nei confronti del popolo greco;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha, inoltre, fatto affermazioni non esatte quando ha detto che «non è che abbiamo tolte le baby pensioni agli italiani per lasciarle ai greci». Infatti, l'età media di pensionamento per i greci è pari a 61,7 anni (quasi un anno in più rispetto alla media europea), mentre la spesa pensionistica pro capite nel 2012 era in Grecia all'incirca la metà di Paesi come l'Austria e la Francia e di un quarto sotto a quella tedesca;
   i programmi della trojka hanno determinato un crollo del prodotto interno lordo del 25 per cento, l'esplosione della disoccupazione al 27 per cento, una caduta di stipendi e pensioni oltre il 35 per cento;
   le ultime richieste dell'Unione europea implicano, in ragione di anno, una correzione di finanza pubblica di 4 punti di prodotto interno lordo. Per l'Italia ad esempio ciò vorrebbe dire circa 70 miliardi di euro di minori spese o di maggiori entrate su un arco di 12 mesi. Il tentativo di attuare il memorandum proposto determinerebbe pesantissimi effetti recessivi ed aumenterebbe ancora di più il debito pubblico in rapporto alla dimensione di un'economia reale sempre più piccola. Tra pochi mesi, la Grecia sarebbe di nuovo con l'acqua alla gola –:
   se non ritenga il Governo italiano di dover operare perché sia riaperto al più presto un tavolo di confronto con il Governo greco su nuove basi volte allo sviluppo ed alla crescita e non a quello che appare agli interroganti un cieco proseguimento delle politiche dell'austerità che stanno portando l'euro al fallimento. (3-01582)


   ROSATO, MARTELLA, GARAVINI, AMENDOLA, MARCHI, CAUSI, BERLINGHIERI, BOCCADUTRI, BONAVITACOLA, PAOLA BRAGANTINI, CAPODICASA, CENSORE, FANUCCI, GIAMPAOLO GALLI, GINATO, GIULIETTI, GUERRA, LAFORGIA, LOSACCO, MARCHETTI, MELILLI, MISIANI, PARRINI, PILOZZI, PREZIOSI, RUBINATO, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, MARCO DI STEFANO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'inattesa decisione del Governo greco di indire un referendum sul piano proposto da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale ha segnato l'interruzione del negoziato in corso dal mese di febbraio 2015, i cui contenuti finali prevedevano l'impegno della Grecia ad approvare un piano di riforme a fronte di un nuovo programma di aiuti finanziari;
   tale rottura è stata sancita nell'Eurogruppo di sabato 27 giugno 2015, che ha unanimemente respinto la richiesta greca di prorogare il programma di aiuti, in scadenza il 30 giugno 2015, almeno fino alla data del referendum, fissata per il 5 luglio 2015;
   i Ministri dell'Eurogruppo hanno ribadito che gli Stati membri intendono utilizzare tutti gli strumenti disponibili per preservare l'integrità e la stabilità dell'eurozona, ai quali vanno aggiunte le misure messe in campo dalla Banca centrale europea, che ha comunque deciso di mantenere la fornitura di liquidità di emergenza per le banche elleniche, e la volontà da parte di tutte le istituzioni europee di continuare a cercare una soluzione positiva e concordata;
   il Governo italiano ha sin qui svolto un'azione tesa a favorire un esito positivo del negoziato e scongiurare qualunque ipotesi di uscita della Grecia dall'euro, i cui effetti rischiano di essere imprevedibili –:
   quali siano le valutazioni del Ministro interrogato sugli sviluppi della crisi greca.
(3-01583)


   BRUNETTA e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti s.p.a. è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,45 per cento da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5 per cento in azioni proprie, a cui è affidato il compito di gestire una parte consistente del risparmio nazionale rappresentato da buoni fruttiferi e libretti;
   nel novembre 2008, Franco Bassanini è stato nominato presidente della Cassa depositi e prestiti e, successivamente, nel maggio 2010 Giovanni Gorno Tempini è stato nominato amministratore delegato. Entrambi sono stati riconfermati nel 2013 e, quindi, il loro mandato giunge a scadenza naturale nella primavera del 2016;
   è nota da qualche tempo la volontà del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, di procedere al rinnovo dei vertici della Cassa depositi e prestiti; come si evince da notizie di stampa, questo cambio deriverebbe dalla volontà del Governo di voler imprimere un'accelerazione ad alcuni dossier, a cominciare dal progetto per la rete superveloce, sui cui l'Esecutivo e i vertici di Cassa depositi e prestiti si sarebbero trovati su posizioni distanti anche rispetto all'ipotesi di un possibile ingresso diretto della Cassa depositi e prestiti nel capitale dell'ex monopolista Telecom;
   il 25 giugno 2015 il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti, in agenda da tempo per deliberare l'erogazione di alcuni finanziamenti, ha deciso la convocazione dell'assemblea straordinaria e ordinaria (fissate per il 10 luglio 2015, con possibilità di seconda convocazione il 14 luglio 2015) per procedere alle modifiche statutarie concordate dai soci e per l'adozione di decisioni sugli amministratori. Una formula volutamente generica dietro cui si cela il rinnovo dei vertici, il cui iter è in fase di costruzione, anche perché è la prima volta, nella storia recente della Cassa depositi e prestiti (da quando è stata trasformata in società per azioni), che va in scena un ricambio anticipato del board;
   se la strada sarà quella delle dimissioni collettive da parte dei consiglieri espressione diretta del Ministero dell'economia e delle finanze, facendo quindi decadere tutti i vertici della Cassa depositi e prestiti, ciò comporterebbe, tra l'altro, un esborso di buonuscite milionarie a carico degli italiani, considerando che si tratta di contratti rescissi anzitempo senza giusta causa, che implicherebbero, altresì, un possibile danno d'immagine per coloro che attualmente ricoprono le posizioni più alte della società in questione;
   prima dei rinnovi che saranno decisi dall'assemblea ordinaria, saranno discusse nell'assemblea straordinaria le modifiche dello statuto, che dovrebbero accogliere le richieste di maggiore garanzia avanzate dalle 64 fondazioni azioniste di minoranza, contro l'eventuale rialzo del tasso di rischio degli investimenti della Cassa depositi e prestiti, nel nuovo corso che, con tutta probabilità, sarà targato Claudio Costamagna-Fabio Gallia, ovvero la previsione di un voto a maggioranza qualificata anche per le delibere in materia di destinazione degli utili a riserva, nonché la definizione di una clausola di recesso per le fondazioni nel caso di tre anni senza dividendi;
   una terza modifica statutaria dovrebbe riguardare la cancellazione della cosiddetta clausola etica, prevista dalla «direttiva Saccomanni» del 2013 e recepita nello statuto, per consentire la nomina di Fabio Gallia, attuale amministratore delegato di Bnl-Bnp Paribas, al posto di Giovanni Gorno Tempini; sul manager pende, infatti, una citazione in giudizio della procura di Trani per il processo sui derivati, che ne rende al momento impossibile la designazione;
   ma, al di là dei nomi, il caso di una «rottamazione» del vertice di una società pubblica, per altro partecipata dalle fondazioni bancarie, suscita più di una preoccupazione, visto che sono ancora ignote le motivazioni, necessariamente «forti», che sono alla base di una simile operazione; evidentemente, il cambio di vertice presuppone una vera e propria trasformazione della natura stessa della Cassa depositi e prestiti, lungo una direttrice sconosciuta ai più;
   la preoccupazione è quella per un Governo che manca di visione e strategia, che potrebbe assumere il controllo della liquidità attualmente in possesso di Cassa depositi e prestiti, per utilizzarla in operazioni dagli esiti incerti, parte di un disegno prevalentemente politico;
   l'Eurostat, che è l'istituzione europea cui è affidata la vigilanza su alcuni mutamenti che avvengono nelle istituzioni economiche dei Paesi membri, sta seguendo con severa attenzione quanto accade e soprattutto accadrà nella nuova Cassa depositi e prestiti. Qualora assumesse il prevalente profilo di un'agenzia pubblica, l'Eurostat agirà per far rientrare la Cassa depositi e prestiti nel bilancio pubblico: i debiti della Cassa depositi e prestiti diventeranno in tal modo debito pubblico, elevandone il relativo importo. Le dimensioni minime di questo ipotetico evento sono di 100 miliardi di euro, ma possono essere anche assai maggiori. Qualora si verificasse sarebbe una vera catastrofe finanziaria con ripercussioni assai serie sull'economia italiana –:
   quali siano le ragioni alla base del prospettato cambio di vertici all'interno di Cassa depositi e prestiti, il percorso designato e le modifiche statutarie in corso di studio, nonché il piano industriale e strategico di cui si farà carico il nuovo board, e quali siano le garanzie offerte ai risparmiatori, tenendo conto del fatto che i depositanti appartengono in generale alle classi meno abbienti e più anziane, che mal sopporterebbero investimenti ad alto rischio, come, del resto, non li tollererebbe Eurostat, che potrebbe includere Cassa depositi e prestiti nel perimetro della pubblica amministrazione, con le conseguenze richiamate in premessa. (3-01584)


   TANCREDI e DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la recentissima requisitoria del procuratore generale presso la Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2014, la pressione fiscale in Italia sarà pari al 43,5 per cento del prodotto interno lordo nel 2015: un divario di 1,7 punti di prodotto interno lordo rispetto alla media dei Paesi dell'area euro. L'Italia è, invece, al primo posto nell'Unione europea a 28 per la crescita del peso delle tasse tra il 2005 e il 2015, crescita che è stata pari a +4,2 punti di prodotto interno lordo;
   numerosi convergenti studi (Confindustria, Confcommercio, Uil, Fiaip) indicano che la tassazione in generale ha raggiunto nel nostro Paese livelli insostenibili. Nel 2015 gli italiani pagheranno 29 miliardi di euro in più di tasse rispetto alla media dei cittadini dell'eurozona;
   alla crescita della pressione fiscale negli ultimi 10 anni ha contribuito l’escalation della tassazione immobiliare. Nel 2014 il prelievo di imu e tasi arriva a 24,9 miliardi di euro, con un aumento di 15,1 miliardi di euro, pari al 153,5 per cento in più, rispetto ai 9,8 miliardi di euro prelevati nel 2011 con l'ici. La pressione fiscale sugli immobili sfiora quasi i 50 miliardi di euro e l'Italia è al primo posto per la tassazione sul patrimonio immobiliare in Europa. Dal 2011 ad oggi la casa è stata tassata in forma patrimoniale, con un aumento delle imposte del 115 per cento sul fronte della tassazione locale, passando da 14,8 miliardi a 31,88 miliardi di euro;
   anche su istanza di Area popolare, il Governo ha sospeso l'applicazione del decreto sulla riforma delle rendite catastali, che avrebbe prodotto in taluni casi la quadruplicazione dell'imposizione sulla casa; il Governo, per voce del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha confermato che non solo non scatteranno le clausole di salvaguardia sull'iva nel 2016 e sulle accise nel 2018, ma che è tra i propri obiettivi programmatici la riduzione della pressione fiscale;
   i segnali positivi di ripresa che si rilevano in questi giorni non riguardano ancora i consumi interni e, in particolare, i consumi della famiglie, che sono quelle più colpite dalla crescita della tassazione immobiliare;
   in sede di revisione della spesa, per la legge di stabilità per il 2016, appare opportuno concentrarsi sia sulle tax expenditures, sia su una significativa riduzione dei costi del sistema delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni –:
   quale sarà la strategia del Governo, anche in previsione della legge di stabilità per il 2016, per perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, sulle imprese e sulle famiglie, in particolare, con riferimento a queste ultime, quali iniziative intenda intraprendere per una consistente riduzione della pressione fiscale sulla casa. (3-01585)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2015 è scaduto il termine concesso dal tribunale di Roma alla società Eur spa per il concordato in bianco, procedura avviata dalla stessa società nel mese di dicembre 2014 e che le ha consentito di congelare temporaneamente i propri debiti con creditori e banche;
   alla scadenza del termine Eur spa ha presentato in tribunale un piano per la ristrutturazione del debito sostanzialmente basato sull'incasso derivante dalla vendita all'Inail di quattro palazzi storici di proprietà della società per un importo di 297,5 milioni di euro;
   gli edifici destinati a divenire proprietà dell'Inail sono Palazzo delle scienze, l'Archivio centrale di Stato, Palazzo dell'agricoltura e delle bonifiche e Palazzo delle arti e tradizioni popolari, per una superficie lorda complessiva di circa 175 mila metri quadrati;
   complessivamente gli immobili che la società Eur spa aveva fatto stimare per un'ipotetica vendita erano una decina e tra di essi figurava anche l'albergo Lama, adiacente al nuovo centro congressi e ancora in costruzione, il cui valore era stato determinato in 50 milioni di euro e per il quale, invece, secondo quanto consta all'interrogante, la società Belmond, colosso del settore alberghiero, proprietaria di oltre sessanta hotel in tutto il mondo, aveva fatto un'offerta preliminare di 80 milioni di euro;
   in seguito alla presentazione delle offerte preliminari la società Eur spa ha richiesto la presentazione di un'offerta vincolante solamente ad Inail, ignorando completamente le altre offerte preliminari ricevute, tra le quali anche quella della Belmond per l'acquisto dell'albergo Lama, nonostante questa fosse a parere dell'interrogante alquanto vantaggiosa;
   si è ritenuto preferibile, quindi, vendere dei palazzi storici di pregio, al cui interno si trovano affreschi di valore inestimabile e che ospitano luoghi della cultura, quali musei o raccolte di altre opere d'arte o di particolare valore storico, e che oltretutto che generano un reddito annuale di 16 milioni di euro, invece di alienare una struttura alberghiera ancora in costruzione che costerà altri 30 milioni di euro per essere completata;
   facendo un rapido calcolo appare subito chiaro che la società Eur spa sta vendendo i citati edifici all'Inail in cambio di un prezzo di appena 1.700 euro al metro quadrato, di fatto svendendoli, e ha invece ritenuto di declinare la proposta della società Belmond che offriva oltre 2.000 euro al metro quadro per un edificio, peraltro, neanche terminato –:
   per quali ragioni si sia ritenuto di procedere con la vendita all'Inail, nonostante questa sia decisamente meno vantaggiosa di altre offerte preliminari pervenute. (3-01586)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni piccoli comuni lamentano il ritardo, per l'anno in corso, dei previsti trasferimenti statali verso le loro casse, trasferimenti che, negli anni precedenti, si vedevano accreditare in concomitanza del mese di febbraio –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, per garantire l'erogazione dei sopracitati trasferimenti verso i piccoli comuni fondamentali per la loro amministrazione. (5-05916)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2015 il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente-nucleo operativo ecologico di Udine, in attuazione di un provvedimento emesso dal tribunale penale di Gorizia, ha disposto il sequestro preventivo di alcune aree del cantiere Fincantieri di Monfalcone destinate alla selezione e allo stoccaggio di residui di lavorazione (scarti di lamiera, di moquette ed altri, quindi non rifiuti tossici), aree strategiche e indispensabili per il regolare svolgimento del ciclo produttivo;
   la società, che si è trovata immediatamente a sospendere le attività, ritiene, come gli interroganti, enormemente sproporzionata la misura cautelare adottata rispetto al danno causato e ai danni irreparabili che il permanere di tale situazione potrebbe provocare;
   Fincantieri rappresenta uno dei maggiori gruppi al mondo nella costruzione navale, il primo nell'area occidentale, che da oggi si trova con il suo principale sito produttivo fermo, tra i più grandi in Europa, che occupa circa 5.000 addetti;
   il volume degli acquisti effettuati annualmente da Fincantieri nell'ultimo quinquennio in Italia è pari a 1,5 miliardi di euro, presso oltre 3.000 imprese distribuite in diverse regioni del Paese. Una quota assolutamente rilevante di questo ammontare – circa il 20 per cento, pari a 300 milioni di euro all'anno – è stata assegnata proprio al Friuli Venezia Giulia;
   si tratta di un fiore all'occhiello dell'industria nazionale, una delle poche società italiane a poter vantare una leadership mondiale nel comparto in cui opera, che oggi è paralizzato –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga di adottare le opportune iniziative normative necessarie a limitare il sequestro cautelare nelle ipotesi in cui tale sequestro sia passibile di indurre il blocco della produzione di aree che impegnano un numero di lavoratori importante rispetto all'area territoriale di riferimento. (3-01577)


   PINNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il principio della rieducazione della pena ex articolo 27, terzo comma, della Costituzione prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»: quest'ultimo principio rappresenta l'unico riferimento esplicito alle funzioni della pena che si trovi nel testo costituzionale, finalizzato al progressivo reinserimento armonico della persona nella società;
   l'articolo 28 della legge n. 354 del 1975 stabilisce che vi sia una «particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e l'articolo 18 della medesima legge prevede che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica»: la valorizzazione dei rapporti familiari rientra, pertanto, fra gli elementi fondamentali del trattamento, unitamente a lavoro, istruzione, religione e attività culturali, ricreative e sportive;
   inoltre, l'articolo 42 della legge n. 354, del 1975 disciplina la materia dei trasferimenti dei detenuti, prevedendo che «i trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie». Con l'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, si specifica che «nei trasferimenti per motivi diversi da quelli di giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione». Dunque, il trasferimento costituisce un diritto del detenuto;
   come esplicitato dalle citate disposizioni, anche i motivi di studio e di lavoro rappresentano elementi essenziali del trasferimento, così come garantiti dall'articolo 42 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in combinato disposto con gli articoli 34 e 35 della Costituzione, i quali sanciscono rispettivamente che «la scuola è aperta a tutti» e che «la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»;
   le regole penitenziarie europee – adottate per la prima volta nel 1973 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, in seguito modificate nel 1987 e nel 2006, e volte a standardizzare le politiche penitenziarie degli Stati membri per dar vita a norme e prassi comuni – prevedono che «i detenuti devono essere assegnati, per quanto possibile, in istituti vicini alla propria famiglia o al loro centro di reinserimento sociale» (articolo 17.1) e «per quanto possibile, i detenuti devono essere consultati circa la loro assegnazione, iniziale nonché per ogni ulteriore trasferimento da un istituto all'altro» (articolo 17.3), «il lavoro deve essere considerato un elemento positivo del regime penitenziario» (articolo 26.1) e «ciascun istituto deve cercare di offrire ai detenuti l'accesso ai programmi d'istruzione che siano i più completi possibili e che soddisfino i bisogni individuali dei detenuti e ne prendano in considerazione le aspirazioni» (articolo 28.1);
   sulla base del riportato principio costituzionale di rieducazione della pena detentiva e a conferma di quanto esposto, l'articolo 1 della legge n. 354 del 1975 dispone che «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi»;
   in base all'allegato 1 del decreto ministeriale 7 novembre 1997, n. 488, il termine finale del procedimento di trasferimenti a domanda di detenuti è di 180 giorni; tuttavia, nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, recante «Disposizioni in materia di trasferimento dei detenuti», al punto 1.9 si precisa che «pare congruo fissare un termine di sessanta giorni entro cui fornire una risposta al detenuto, che decorreranno dall'acquisizione da parte dell'ufficio competente di tutti gli elementi necessari alla decisione». È, pertanto, necessario che questo suggerimento sia accolto e che al contempo si scelga di fornire, in caso di rigetto della richiesta, motivazioni valide e ben argomentate evitando le ricorrenti risposte generiche e standardizzate;
   la permanenza di un detenuto in una regione diversa da quella di appartenenza determina problematicità rilevanti, dal momento che il territorio non deve essere concepito unicamente dal punto di vista meramente geografico, bensì come ambiente storicizzato e caratterizzato da influssi sociali, culturali, economici ed umani;
   come denunciato da più fronti e nello specifico dalle associazioni istituite a tutela dei carcerati, la questione della territorialità della pena resta tuttora irrisolta, facendo emergere le contraddizioni di un sistema che si discosta dalla disciplina prevista e sopra citata. Molti detenuti si trovano lontano dal loro contesto di appartenenza o si vedono rifiutata la domanda di trasferimento, senza che siano addotte adeguate giustificazioni, mentre in alcuni casi il trasferimento in altro istituto penitenziario viene utilizzato come «punizione», anche se non esplicita, nonostante la limitazione della libertà non possa comportare pene aggiuntive e non stabilite dalla sentenza. Tali situazioni ed episodi determinano un peggioramento della condotta del detenuto influenzata da sentimenti di rabbia, umiliazione e frustrazione;
   in particolare, come dichiarato dall'associazione «Socialismo diritti riforme» in prima linea sul tema, sempre più spesso le strutture penitenziarie della Sardegna registrano un aumento delle presenze di detenuti italiani e/o stranieri provenienti dalle altre regioni; raramente però e dopo varie insistenze viene concesso il trasferimento nell'isola ai cittadini privati della libertà che hanno in Sardegna i propri parenti;
   ciò appare ingiustificabile, soprattutto quando a chiedere il ritorno nell'isola sono detenuti che scontano l'ergastolo e sono ristretti da oltre venti anni. Si tratta spesso di persone ormai anziane, che molto spesso non possono effettuare colloqui con i familiari per le distanze e per le condizioni economiche. Tali fatti confermano che le nuove strutture penitenziarie sorte nell'isola sono destinate a mitigare il sovraffollamento degli altri istituti italiani e non a rafforzare il reinserimento sociale dei condannati;
   l'articolo 61, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale». Tale disposizione è volta a ovviare alle problematiche che insorgono per i detenuti allontanati dal loro contesto familiare, e per gli stessi parenti, e alle criticità che ne conseguono in ordine al reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza. Dunque, occorre scongiurare che gli effetti dolorosi coinvolgano più dell'inevitabile anche altre persone, che nulla hanno fatto di penalmente rilevante;
   una soluzione interessante, specialmente nei casi in cui non sia disposto l'eventuale trasferimento del ristretto e nei casi in cui il detenuto sia straniero, è rappresentata dall'utilizzo di internet e linee voip, seguendo un protocollo di uso vigilato della rete. Tali strumenti permettono al detenuto di comunicare con i propri cari, con i figli minori e con i familiari anziani che si vedono nell'impossibilità di raggiungere le strutture carcerarie. Inoltre, l'utilizzo di tali dispositivi si rivela molto importante per il raggiungimento della finalità del reinserimento nella società: vi sono casi in cui è stato permesso al detenuto di dialogare mediante skype con gli insegnanti del figlio minorenne per avere notizie sull'andamento scolastico, rendendo il padre partecipe in prima persona;
   per quanto riguarda la citata presenza di detenuti stranieri, sul sito online del Ministero della giustizia sono periodicamente pubblicati i dati loro relativi. In Sardegna vi è stato un evidente aumento nei primi mesi del 2015: si è passati, infatti, dai 432 stranieri (23,56 per cento) – a fronte di 1.833 detenuti – del 31 gennaio ai 509 (26,10 per cento) – su un totale di 1.950 reclusi – del 31 maggio, quando peraltro gli istituti sono diminuiti da dodici a dieci a seguito della chiusura delle strutture di Iglesias e Macomer. Emblematico il caso della colonia penale di Mamone-Lodè dove si trovano 138 detenuti, di cui 109 non italiani, ovvero il 78,98 per cento;
   a tali difficoltà delle carceri sarde vanno aggiunte altre gravi problematiche, quali il sovraffollamento – a Tempio-Nunchis, a fronte di 167 posti regolamentari, i detenuti sono 198 e negli altri istituti si è al limite della capienza – e le difficoltà nello sviluppare attività lavorative all'interno delle stesse strutture. Queste ultime rappresenterebbero una reale possibilità di recupero. Tuttavia, pur avendo assunto un ruolo centrale nel percorso di reinserimento dei detenuti, il lavoro è ancora il grande assente nelle carceri sarde, si pensi ai penitenziari di Uta o Massama, dove la regola è l'inattività forzosa;
   in diverse regioni italiane, tra l'altro, non è ancora presente il Garante dei detenuti, istituito a tutela dei diritti e della dignità delle persone sottoposte a restrizioni nella libertà personale. In Sardegna la legge regionale 7 febbraio 2011, n. 7, all'articolo 10, ha istituito tale figura che, tuttavia, non è stata ad oggi nominata nonostante siano trascorsi più di quattro anni –:
   se ritenga che il principio di territorialità della pena (con particolare riferimento alla situazione della Sardegna) debba essere garantito dall'amministrazione penitenziaria, così come stabilito nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, assicurando la funzione rieducativa e risocializzante alla base del principio stesso (attraverso l'incentivazione sul territorio nazionale dell'utilizzo di internet e voip finalizzati alla comunicazione dei detenuti con i propri familiari, nonché la promozione e la valorizzazione dei progetti innovativi che contribuiscano a fornire una soluzione alla questione lavorativa in carcere) e se intenda adoperarsi affinché la nomina del Garante dei detenuti sia assicurata in tutte le regioni italiane. (3-01578)


   FAUTTILLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per tamponare la carenza di organico e per consentire a coloro che hanno perso l'occupazione un reinserimento economico e sociale nel mondo del lavoro, si sono svolti presso gli uffici giudiziari di tutta Italia dal 2010 ad oggi, attraverso la stipula di convenzioni tra le amministrazioni giudiziarie e amministrazioni locali utilizzando soprattutto il fondo sociale europeo, tirocini formativi che sono serviti molto spesso a garantire la prosecuzione delle attività giudiziarie nelle procure e nei tribunali d'Italia;
   dal 2013, proprio a seguito della loro utilità, attestata dagli uffici giudiziari di tutta Italia, questi tirocinanti sono passati direttamente alle dipendenze del Ministero della giustizia ed inseriti nel ciclo lavorativo, affiancando a tutti gli effetti il personale del Ministero della giustizia, percependo solo un rimborso spese, ma senza che la loro attività lavorativa sia stata contrattualizzata in alcuna forma;
   l'articolo 1, comma 344, della legge n. 147 del 2013 (legge stabilità 2014), ha stanziato circa 15 milioni di euro per consentire il perfezionamento del completamento del percorso formativo degli oltre 2.600 lavoratori, ma per l'anno 2015, nella legge di stabilità, non sono stati previsti ulteriori finanziamenti e solo con il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (cosiddetto milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, è stata prevista la proroga di quattro mesi di tali tirocini, finanziati attraverso l'utilizzo delle risorse del fondo unico di giustizia fino alla data del 30 aprile 2015;
   solo nella regione Lazio sono oltre 450 i lavoratori interessati, oltre la metà dei quali provenienti dai bacini delle province di Roma, Frosinone e Latina, territori, specialmente quelli delle province, in evidente e perdurante crisi occupazionale;
   si tratta di operatori che il Ministero della giustizia ha formato in vista del processo telematico e dell'informatizzazione degli uffici giudiziari e che da cinque anni contribuiscono allo smaltimento dell'arretrato, lavorando accanto ai magistrati, e che invece ora rischiano di essere lasciati nuovamente a casa dopo che sono stati spesi soldi pubblici per la loro formazione –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di dare una soluzione alla situazione descritta nella premessa per garantire certezze a questi lavoratori che rischiano di uscire nuovamente dal mercato del lavoro e per dare continuità all'attività degli uffici giudiziari, dove questi lavoratori hanno dimostrato di aver acquisito un ruolo importante se non fondamentale, a causa delle note carenze di organico. (3-01579)


   FERRARESI, SARTI, SPADONI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, BONAFEDE, BUSINAROLO, AGOSTINELLI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione Aemilia, di fine gennaio 2015, effettuata dall'Arma dei carabinieri coordinata dalle direzione distrettuale antimafia di Bologna, Catanzaro e Brescia, è la prima maxi operazione contro la ’ndrangheta in Emilia-Romagna, che ha coinvolto anche le regioni Veneto, Lombardia, Piemonte, Calabria e Sicilia. Sono stati effettuati oltre 160 arresti, ad oggi risultano indagate 224 persone;
   sotto inchiesta vi sono, inoltre, gli interessi del sodalizio mafioso nei lavori di ricostruzione dopo il terremoto con epicentro in Emilia-Romagna del maggio 2012;
   entro la fine di giugno 2015 verranno notificati gli avvisi di fine indagine, a cui faranno seguito le richieste di rinvio a giudizio; già in autunno 2015 dovrebbero iniziare le udienze preliminari ed entro il 2015 dovrebbe avere inizio anche il processo;
   il procuratore generale, Roberto Alfonso, intervenendo recentemente all'assemblea pubblica dell'Associazione nazionale magistrati dell'Emilia-Romagna, ha sottolineato come l'alto numero di persone coinvolte, 224 indagati a cui sommare i rispettivi legali, comporti la necessità di trovare un'aula bunker adeguata dove svolgervi l'udienza preliminare, con una capienza dunque di almeno 350 posti. Attualmente non è ancora stata indicata una sede adeguata per lo svolgimento del maxiprocesso. Oltre a non esserci lo spazio adeguato le direzioni distrettuali antimafia di Bologna, Brescia e Catanzaro lamentano un forte sottodimensionamento di organico, oltretutto proprio in un momento di grande impegno investigativo e processuale sul fronte dell'attività antimafia. Come evidenziato dal procuratore di Brescia Pier Luigi Maria Dell'Osso, è inoltre necessario un incremento di organico per assicurare lo svolgimento dell'attività anticorruzione anche alla stregua di Expo, le cui indagini si inseriscono in uno scenario che vede interessate centinaia di imprese aventi sede nel distretto e nella macroarea;
   per quanto riguarda l'operazione Aemilia, come riportato dalla stampa, il procuratore Roberto Alfonso e il presidente del tribunale di Bologna Francesco Scutellari, hanno indirizzato una lettera al Ministro interrogato con la richiesta di un incontro vista l'impellente preoccupazione del grave rischio in cui si incorre continuando a far passare il tempo a causa della mancanza di un'aula adeguata, ossia che decadano le misure cautelari detentive. Scutellari ha sottolineato come un epilogo simile darebbe un'immagine a dir poco negativa della giustizia italiana anche a livello internazionale;
   il presidente Scutellari ricorda, inoltre, che «il 31 agosto cesserà l'impegno da parte dei comuni per la manutenzione degli uffici giudiziari, che passa al Ministero della giustizia. A tutt'oggi non sappiamo cosa succederà il 1o di settembre», con il rischio di chiusura dei tribunali per impossibilità di operare;
   i tribunali di Modena e Reggio Emilia vivono una grave situazione di carenza di organico, situazione resa non più tollerabile visto il forte radicamento della crimi- nalità organizzata in questi territori, come sottolineato dalla relazione della direzione investigativa antimafia –:
   se il Ministro interrogato abbia già preso visione ed eventualmente risposto alla lettera di cui sopra da parte del procuratore Alfonso e del presidente del tribunale di Bologna Scutellari e ritenga opportuno intervenire, sia per sopperire alle gravi carenze di organico delle procure citate in premessa, sia affinché venga soddisfatta la necessità di avere uno spazio attrezzato ed idoneo in ragione dell'urgenza dello svolgimento del processo Aemilia. (3-01580)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, «Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore» e successive modifiche prevede che: «I praticanti procuratori, dopo un anno dalla iscrizione nel registro di cui al primo comma, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l'ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella competenza del pretore. Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti, in sede penale, essi possono essere nominati difensori d'ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero»;
   ai sensi dell'articolo 14, lettera c) del regio decreto-legge, succitato e dell'articolo, 10, comma 1, della legge 27 giugno 1988, n. 242 recante «Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale» il periodo di pratica forense è, per quanto riguarda l'esercizio del patrocinio, limitato nel tempo (un anno di iscrizione nel registro e per non più di sei anni) ed è sottoposto ad una particolare vigilanza del Consiglio dell'ordine di appartenenza;
   l'articolo 7 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 prevede che i praticanti avvocati abilitati possano esercitare il patrocinio svolgendo attività giudiziale innanzi al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica negli affari civili (cause relative a beni immobili di valore non superiore a 25.822,84 euro, cause possessorie e per denuncia di nuova opera o danno temuto e cause di locazione e comodato di immobili urbani) e negli affari penali (cause per i reati indicati dall'articolo 550 del codice di procedura penale).;
   la posizione di praticante procuratore iscritto nel registro speciale è una posizione di carattere non stabile, essendo prevista ai soli fini dello svolgimento della pratica necessaria per l'ammissione agli esami di procuratore legale. Da ciò consegue che, una volta compiuta la pratica e conseguita la relativa certificazione, viene meno il presupposto sostanziale per il mantenimento dell'iscrizione nel registro;
   la sentenza della Cassazione penale, sez. VI 9/12/2002, n. 1751, ha stabilito che il praticante avvocato possa assistere anche il minore indagato per uno dei reati indicati dall'articolo 550 del codice di procedura penale nell'udienza per convalida dell'arresto innanzi al GIP del tribunale per i minorenni e alle udienze innanzi al GIP del tribunale ordinario nei procedimenti per i reati elencati dall'articolo 550 del codice di procedura penale;
   la posizione di praticante procuratore iscritto nel registro speciale è una posizione di carattere non stabile, essendo prevista ai soli fini dello svolgimento della pratica necessaria per l'ammissione agli esami di procuratore legale. Da ciò consegue che, una volta compiuta la pratica e conseguita la relativa certificazione, viene meno il presupposto sostanziale per il mantenimento dell'iscrizione nel registro;
   il limite temporale di sei anni previsto dalla normativa sopra menzionata costituisce un freno psicologico per i praticanti avvocati abilitati al patrocinio. Coloro infatti che decidono di aprire una partita IVA ed uno studio autonomo, fin dall'inizio della propria attività lavorativa, convivono con la consapevolezza di rischiare, dopo sei anni, la cancellazione dal registro speciale dei praticanti procuratori legali, perdendo così la possibilità di continuare a patrocinare e di diventare un giorno avvocati. Essi saranno inoltre tenuti a cancellare la propria partita IVA e la posizione contributiva nella gestione separata I.N.P.S. In altre parole, allo scadere del titolo abilitativo, i patrocinatori legali vedranno concretizzarsi la prospettiva di non poter più accedere in nessun modo alla professione che hanno comunque scelto e che, di fatto, hanno iniziato ad esercitare;
   tale potenziale epilogo negativo, nel contesto della profonda crisi che affligge il mercato del lavoro, materializza una gravissima prospettiva per i giovani (e meno giovani) patrocinatori legali e assume un'ulteriore drammaticità in determinate realtà del Paese, particolarmente segnate dall'assenza di prospettive ed opportunità professionali alternative;
   tra le realtà di maggior sofferenza economica e sociale va purtroppo sicuramente annoverata la Sardegna, dove i consigli dell'ordine degli avvocati di Cagliari, Nuoro, Tempo Pausania, Lanusei, Oristano e Sassari, adeguandosi ad analoghe decisioni di altri fori, hanno deliberato di cancellare dal registro speciale i praticanti procuratori legali per intervenuta scadenza dei sei anni di abilitazione;
   stime non ufficiali attesterebbero che il numero dei patrocinatori legali a livello nazionale sia superiore ai 40000: di questi, circa 400 opererebbero in Sardegna, con la seguente distribuzione: 13 praticanti procuratori legali nel foro di Oristano su un'area territoriale di circa 3.040 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 167.971), 57 praticanti procuratori legali nel foro di Sassari (su un'area territoriale di circa 4.282 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 335.097), 8 praticanti procuratori legali nel foro di Nuoro (su un'area territoriale di circa 3.934 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 164.260) 17 praticanti procuratori legali nel foro di Tempio Pausania (su un'aria territoriale di 210,82 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 14.344), 308 praticanti procuratori legali nel foro di Cagliari (su un'area territoriale di circa 4.570 chilometri quadrati con una popolazione di circa 543.300). Non si conosce il dato relativo al foro di Lanusei;
   un patrocinatore legale guadagna mediamente dieci mila euro annui, mentre il gettito fiscale annuo riconducibile ai 40.000 patrocinatori legali italiani è stimato in circa 150/200 milioni di euro annui, tra tasse e contributi;
   abolire il suddetto e ormai anacronistico limite di sei anni, darebbe la possibilità (specie nell'attuale fase di gravissima crisi occupazionale) di creare una figura intermedia di professionista, il patrocinatore legale, e di garantire in questo modo maggiori opportunità di accesso professionale a circa 40.000 giovani laureati;
   la limitazione dei sei anni di durata del patrocinio costituisce di fatto una sostanziale restrizione all'accesso alla libera attività economica, restrizione che si pone peraltro in contrasto con i princìpi europei, costituzionali e con la legislazione nazionale volta a favorire la concorrenza e la competitività, anche attraverso il riconoscimento di una maggiore autonomia e liberalizzazione della professione forense –:
   se il Governo, nell'ambito del programma di riforme in atto, non ritenga opportuno considerare i potenziali effetti positivi di natura sociale, economica e fiscale che conseguirebbero al graduale superamento di tale limite temporale attraverso la stabilizzazione dell'albo dei patrocinatori legali (sia pure con le attuali limitazioni di abilitazione al patrocinio) ovvero, in alternativa, attraverso il rinnovo di tale limite ogni sei anni, limitatamente per coloro che dimostrino di continuare a svolgere la professione forense e di essere in regola dal punto di vista contributivo e previdenziale. (4-09622)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come da fonti stampa, si riporta come a distanza di pochi giorni si siano verificati due malfunzionamenti al passaggio a livello sito presso la frazione Alzate del comune di Momo (NO);
   in entrambi i casi si tratterebbe quindi di guasti che di fatto hanno provocato il transito di treni merci a sbarre alzate;
   come riporta l'articolo pubblicato sul sito www.lastampa.it in data 21 giugno 2015 a firma Roberto Lodigiani, durante la notte tra martedì 16 e mercoledì 17 giugno si sarebbe verificato un primo incidente;
   il già citato articolo quindi racconta di come nella notte di venerdì 19 giugno tale disguido si sarebbe ripetuto;
   la nota stampa riporta poi come «L'amministrazione comunale di Momo ha accumulato un'elevata quantità di segnalazioni di malfunzionamenti alle sbarre [...]», indice questo del fatto che non sono stati due incidenti isolati;
   cittadini allarmati dall'insorgenza di tali disguidi, oltre che dalla formazione di interminabili code di autoveicoli originate proprio presso il passaggio a livello sopracitato che di fatto taglia in due il comune di Momo, hanno provveduto alla creazione di un comitato cittadino costituito nel giugno 2014;
   sorge preoccupazione nella ripetizione di tali episodi che mettono a rischio quotidianamente la salute dei cittadini che percorrono tale tratto stradale –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopracitati;
   quale ufficio/ente sia incaricato del corretto funzionamento dei passaggi a livello e dei suoi meccanismi di sicurezza;
   quando e quali azioni abbia intrapreso RFI per intervenire tempestivamente evitando il ripetersi di tali situazioni;
   se e come intenda interloquire con RFI al fine di risolvere tale situazione. (5-05907)


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti coordina il rilevamento delle opere pubbliche incompiute in Italia. L'elenco-anagrafe è stato istituito presso il Ministero dall'articolo 44-bis del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   l'obiettivo dell'anagrafe è quello di coordinare, a livello informativo e statistico, i dati sulle incompiute al fine di attivare uno strumento conoscitivo per individuare, in modo razionale ed efficiente, le possibili soluzioni ottimali per l'utilizzo di tali opere attraverso il completamento ovvero il riutilizzo ridimensionato delle stesse, anche con diversa destinazione d'uso rispetto a quella originariamente prevista;
   di fatto, secondo quanto si evince dai dati rilevati, persistono in tutta Italia centinaia di investimenti, attivati dalle amministrazioni, in opere pubbliche che, per cause diverse, non sono mai arrivate all'ultimazione dei lavori o che addirittura si attestano allo zero per cento per quanto riguarda lo stato di avanzamento dei lavori; questo stato di fatto potrebbe determinare un elevato spreco di risorse pubbliche nonché il mancato soddisfacimento delle necessità della collettività cui sono state destinate tali opere;
   i dati, ottenuti da segnalazioni degli enti locali interessati e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per quanto riguarda i lavori di rilevanza nazionale, evidenziano 692 opere incompiute al 31 dicembre 2013 che corrispondono ad un importo al lordo degli oneri pari a circa 3,5 miliardi di euro. L'elenco delle opere comprende strade, impianti sportivi, ospedali, scuole, parcheggi, aeroporti e altre strutture pubbliche iniziate e mai ultimate;
   il 51 per cento delle opere sono incompiute a causa della mancanza di fondi; seguono le interruzioni per cause tecniche (208, pari al 31 per cento) e quindi per il fallimento dell'impresa esecutrice (188, pari al 28 per cento);
   il 55 per cento delle opere non sono fruibili dalla collettività; 224 (33 per cento) sono fruibili con uso ridimensionato e appena 77 (12 per cento), invece, sono fruibili. Quanto allo stato di avanzamento ed alla previsione di utilizzo, quasi due su tre (416, pari al 63 per cento) sono state completate per una quota inferiore ai 4/5 e non lasciano prevedere un utilizzo anche ridimensionato dell'opera; 16 risultano essere state ultimate (in attesa di collaudo) e 69 con stato d'avanzamento maggiore dei 4/5;
   in particolare, le opere incompiute rilevate in regione Puglia al 31 dicembre 2013 sono 59 e tra queste sono 6 quelle che si attestano allo zero per cento per quanto riguarda lo stato dei lavori eseguiti;
   le opere rilevate non sono fruibili dalla collettività e in base alle disposizioni del decreto ministeriale n. 42 del 2013 sono elencate e caratterizzate da uno dei seguenti stati di esecuzione: a) i lavori di realizzazione, avviati, risultano interrotti oltre il termine contrattualmente previsto per l'ultimazione; b) i lavori di realizzazione, avviati, risultano interrotti entro il termine contrattualmente previsto per l'ultimazione, non sussistendo, allo stato, le condizioni di riavvio degli stessi; c) i lavori di realizzazione, ultimati, non sono stati collaudati nel termine previsto in quanto l'opera non risulta rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, come accertato nel corso delle operazioni di collaudo;
   per quanto riguarda lo stato di avanzamento dei lavori, 20 delle opere incompiute si attestano in un range che va dallo zero per cento al 20 per cento ed in particolare sono 6 i progetti che figurano allo zero per cento –:
   se e per quali delle opere elencate nell'anagrafe relativamente alla regione Puglia, con stato di avanzamento molto basso o non ancora avviato, sussista il rischio di definanziamento e in tale eventualità se esista per la regione Puglia la possibilità di non perdere le relative risorse. (5-05908)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la direzione nazionale antimafia (DNA), nella propria relazione annuale riferita al periodo 1o luglio 2013 — 30 giugno 2014, sostiene che il dato sui sequestri di cannabis evidenzi un picco, «dimostrativo della sempre più capillare diffusione di questo stupefacente», corrispondente a «una massa circolante di cannabinoidi decisamente in aumento», stimata in «un mercato che vende, approssimativamente, fra 1,5 e 3 milioni di kg all'anno di cannabis, quantità che soddisfa una domanda di mercato di dimensioni gigantesche», che consentirebbe «a ciascun cittadino italiano (compresi vecchi e bambini) un consumo di circa 25/50 grammi pro-capite (pari a circa 100/200 dosi) all'anno»;
   alla luce di ciò, la direzione nazionale antimafia ritiene di dover, «senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia, [...] evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante e massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell'azione repressiva (rectius: degli effetti di quest'ultima sulla diffusione dello stupefacente in questione)»;
   la direzione nazionale antimafia segnala perciò, nell'ambito specifico delle cosiddette «droghe leggere», «l'affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool»;
   la direzione nazionale antimafia, evidenziando «l'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo», rivolge quindi un appello al legislatore, chiedendo ad esso di «valutare se, in un contesto di più ampio respiro [...] sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall'altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell'ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite»;
   la direzione nazionale antimafia sostiene inoltre che, nonostante gli sforzi e i risultati ottenuti nella lotta al narcotraffico, esso «non solo è ben lontano dall'avere imboccato una parabola discendente, ma appare più vivo ed aggressivo di prima, con le nefaste conseguenze che ciò determina sulla economia legale»;
   la direzione nazionale antimafia, nella già citata relazione, sostiene che «le attuali (e dispendiosissime) strategie anti-droga, anziché aggredire il cuore pulsante del descritto sistema illegale (vale a dire il suo cuore finanziario) di fatto, continuano ad essere un meccanismo di limitazione del danno in cui si ha la netta sensazione che si tagli una coda di una lucertola che si riproduce immancabilmente»;
   per quel che riguarda le dimensioni economiche del fenomeno, come sostenuto da Rossi e Caserta (Paolo Caserta, Carla Rossi, «Corruzione, competitività e mercato della droga. Un'analisi quantitativa»), la maggior parte dei proventi illegali delle organizzazioni criminali con base in Italia proviene dal mercato delle droghe illegali. Secondo stime prodotte dall'Associazione SOS impresa — citate da Rossi e Caserta — i proventi del traffico di droga in Italia «sono stimati in 60 miliardi di euro nel 2009 [3.9 per cento del PIL]. Stime più prudenti forniscono una stima globale dei proventi nel 2010 pari a circa 24 miliardi di euro [1.5 per cento del PIL]». Sempre Rossi e Caserta ritengono che il livello di corruzione sia influenzato dalle dimensioni dei proventi dell'economia illegale «che, in molti paesi, provengono principalmente dal traffico di droghe e vengono re-investiti in attività economiche legali e illegali, ma anche utilizzati per la corruzione, come [...] per il caso Italia»;
   secondo il report «Marijuana Regulation in Colorado After Six Months of Retail Sales and 18 Months of Decriminalization» prodotto dalla Drug Policy Alliance, è passato troppo poco tempo per fare qualsiasi valutazione definitiva riguardante i trend sociali successivi alla regolazione di coltivazione, produzione e vendita di cannabis e derivati nello stato del Colorado, avvenuta nel novembre 2012, ma possono essere documentati fenomeni successivi all'apertura dei primi negozi di vendita al dettaglio, nel gennaio 2014:
    in accordo con i dati prodotti dalla FBI, i crimini avvenuti nella città di Denver, rispetto al 2013, sono diminuiti del 10,1 per cento, mentre i crimini violenti sono diminuiti del 5,2 per cento;
    in accordo con il dipartimento delle entrate del Colorado, i primi quattro mesi dalla regolamentazione della vendita della cannabis e derivati hanno generato un gettito fiscale pari a 10,8 milioni di dollari (da sottolineare che il Colorado conta circa cinque milioni di abitanti);
    in accordo con il Colorado Center on Law and Policy, lo stato del Colorado può risparmiare una cifra compresa tra i 12 e i 40 milioni all'anno attraverso l'eliminazione delle pene e dei processi relativi alla cannabis. Inoltre, nell'ultima decade, in Colorado sono stati effettuati mediamente 10.000 arresti all'anno per possesso di quantitativi modici di marijuana, di proporzioni ora ritenute legali;

   un'indagine del Washington PostSince marijuana legalization, highway fatalities in Colorado are at near-historic lows», di Radley Balko, 5 agosto 2014), infine, sostiene che gli incidenti stradali mortali registrati nel 2014 in Colorado siano numericamente inferiori alla media degli incidenti stradali mortali per anno calcolata sui tredici anni precedenti al 2014;
   secondo uno studio di Scientific Report citato dal Washington PostMarijuana may be even safer than previously thought, researchers say», di Christopher Ingraham, 23 febbraio 2015) – che non nega i potenziali rischi connessi al consumo di cannabis –, la cannabis stessa è l'unica sostanza classificata come droga a determinare un basso rischio di mortalità, calcolato in base al rapporto tra dose tossica e consumo tipico dell'uomo. Il rischio di mortalità legato al consumo di alcool sarebbe — stando allo studio di Scientific Report — circa 114 volte maggiore. Mentre nel 2007 la rivista scientifica Lancet ha pubblicato i risultati di una ricerca del professor Nutt, in cui dopo aver intervistato e discusso con decine di esperti (medici psichiatri, farmacologi, epidemiologi, chimici, avvocati, forze di polizia) è stata assegnata una scala di pericolosità a 14 diverse sostanze psicotrope: la cannabis risulta essere una delle meno pericolose, sia a livello personale che sociale, molto al di sotto di alcol o tabacco –:
   se i Ministri interpellati intendano, e, nel caso, in che modo, dare seguito alle richieste e alle osservazioni avanzate dalla direzione nazionale antimafia, con particolare riferimento all'invito a valutare una depenalizzazione della materia, anche alla luce dei dati economici illustrati in premessa;
   se intendano compiere una adeguata valutazione dei dati citati in premessa relativi al Colorado, in riferimento alla riduzione dei crimini contro la proprietà, all'aumento degli introiti fiscali, alla diminuzione del carico processuale e carcerario, anche al fine di considerare la rilevanza che questi potrebbero avere a fronte della introduzione di politiche analoghe nel nostro Paese;
   se, a questi stessi fini, intendano compiere una adeguata valutazione della letteratura scientifica che dimostra la minore pericolosità della cannabis rispetto ad altre sostanze attualmente in commercio.
(2-01018) «Civati, Pastorino, Baldassarre, Bechis».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   NACCARATO, D'ARIENZO, FIANO, IORI, ALBANELLA, AMODDIO, BENI, PAOLA BOLDRINI, CAPONE, CARLONI, CARNEVALI, CARRA, FABBRI, GNECCHI, MARCHI, PATRIARCA, ROSTELLATO, SBROLLINI, SENALDI, SGAMBATO, TIDEI, VALERIA VALENTE e ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diverse indagini hanno portato alla luce la presenza della ’ndrangheta nella provincia di Verona; le indagini hanno evidenziato che numerose imprese sono di proprietà o controllate da persone con precedenti penali o con inchieste in corso per gravi reati di stampo mafioso;
   di recente la direzione distrettuale antimafia di Bologna con l'operazione «Aemilia» ha smantellato un'organizzazione mafiosa presente anche nel veronese che aveva cercato di inserirsi nella procedura fallimentare di un'importante impresa: la Rizzi costruzioni srl;
   il decreto legislativo n. 159 del 2011 attribuisce al prefetto il potere di emettere provvedimenti interdittivi per prevenire infiltrazioni criminali nelle imprese;
   la Soveco spa, società con sede a Verona, di proprietà al 50 per cento di Francesco Ultrorer e al 50 per cento di Sabina Colturato, è inserita nei raggruppamenti di imprese interessati alla realizzazione di due importanti lavori pubblici nel comune di Verona: il traforo delle Torricelle e la filotranvia; Antonio Papalia, marito di Colturato, pregiudicato per associazione per delinquere, è considerato il socio occulto della Soveco spa;
   diverse interrogazioni parlamentari hanno segnalato il rischio di infiltrazioni mafiose nella società; la Gri. Ka costruzioni srl, con sede a San Bonifacio (Verona), è presente nei lavori per la realizzazione di grandi opere pubbliche;
   Giuseppe Grisi, amministratore unico e socio di maggioranza, è stato ucciso il 19 gennaio 2011 a Crotone insieme al fratello Alfredo: i due, da tempo residenti in provincia di Verona, vennero uccisi con colpi d'arma da fuoco mentre cercavano di riscuotere un credito dal gestore di un negozio di ciclomotori. Insieme ai fratelli era presente Francesco Frontera, con diversi precedenti di polizia, considerato dalla Dia «appartenente alla cosca mafiosa di Grandi Aracri Nicolino»; Frontera è stato coinvolto in passato nell'inchiesta «scacco matto»;
   Frontera è stato arrestato nel 2015 dalla direzione investigativa antimafia di Bologna nell'ambito dell'inchiesta «Aemilia»;
   nell'ottobre 2014 la direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, nell'ambito dell'indagine denominata «Porto franco», ha disposto diverse ordinanze di custodia cautelare e misure di sequestro preventivo di beni per persone e società operanti in provincia di Verona;
   tra gli arrestati c’è Giuseppe Franco, residente a Nogarole Rocca (Verona), accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso;
   tra le società sequestrate ci sono la Tranz. Veicom. Srl, la Veronatransport srl e la Italspeedy logistic srl, con sedi amministrative a Nogarole Rocca (Verona);
   l'indagine ha portato alla luce la presenza della ’ndrangheta nel tessuto economico veronese attraverso cooperative e aziende che fatturavano prestazioni inesistenti per evadere l'iva e riciclare denaro;
   la Nico. Fer srl, società con sede legale a Verona, è al centro dell'inchiesta «Aemilia» della direzione investigativa antimafia di Bologna;
   il nome del titolare Moreno Nicolis è stato associato a quello del braccio «economico» del clan ’ndranghetista di Cutro Grande Aracri;
   nell'ordinanza dell'autorità giudiziaria è evidenziato che Nicolis ha intrattenuto rapporti con Nicolino Grande Aracri e si è interessato a coinvolgere esponenti collegati alle cosche di ’ndrangheta Grande Aracri e Facchineri nell'acquisizione dei beni del fallimento Rizzi a Verona;
   il titolare è stato sottoposto a provvedimento cautelare nel gennaio 2015 dalla direzione investigativa antimafia di Brescia per il reato di tentata estorsione –:
   se il Ministro, per quanto riguarda gli aspetti di competenza, non intenda promuovere, anche attraverso la prefettura di Verona, accertamenti per verificare il rischio di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nella Soveco spa, nella Gri.Ka costruzioni srl, nella Tranz. Veicom. srl, nella Veronatransport srl e nella Italspeedy logistic srl, nella Nico. Fer srl, verificando se sussistano i presupposti per l'emissione di provvedimenti interdittivi verso le aziende sopra citate, ai sensi degli articoli da 83 a 95 del decreto legislativo 159 del 2011. (5-05919)


   DADONE, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate del 2010 dopo due anni di indagini la direzione distrettuale antimafia di Milano ha operato una serie di arresti ai danni del clan Valle presente in Lombardia da anni nel giro dell'usura e del racket. Nel blitz condotto dalle forze dell'ordine fu coinvolto anche un assessore del comune di Pero;
   la propaggine ’ndranghetista minacciava e sottometteva numerosi imprenditori locali, con l'obiettivo principale di infiltrare i comuni del territorio lombardo e i lavori dell'Expo. In occasione della maxi operazione guidata dalla magistratura milanese furono sequestrati numerosi immobili situati presso altrettante città lombarde;
   tra gli immobili più importanti fu trovato quello della tenuta-bunker nel comune di Cisliano, nell’hinterland milanese. La masseria presente nella tenuta secondo le ricostruzioni fu teatro di pestaggi e torture da parte dei componenti del clan verso le vittime di usura insolventi;
   nell'ottobre 2014 la masseria degli orrori viene confiscata in via definitiva, da lì è iniziato il periodo di attesa dell'amministrazione comunale per ricevere la disponibilità dell'immobile a norma del decreto legislativo n. 159/2011;
   come spesso accade in queste situazioni, quando un bene immobile viene confiscato alla criminalità organizzata si tramuta in breve tempo nel bersaglio di atti vandalici da parte della cosca, del clan, della famiglia dei precedenti proprietari al fine di veicolare un messaggio intimidatorio contro le istituzioni e contro i cittadini del territorio. In tal modo la criminalità organizzata chiarisce che se non può essere suo l'immobile non deve essere di nessuno;
   è fuor di dubbio che i beni confiscati alla criminalità organizzata sono caratterizzati da una elevata carica simbolica che rappresenta nella lotta alle mafie un elemento fondamentale dal punto di vista culturale prima ancora che giuridico;
   purtroppo, a quanto si apprende dal sito del Corriere della sera in data 13 aprile 2015 nonostante il tempo trascorso dalla fine del 2014 e nonostante le ripetute richieste giunte dall'Amministrazione comunale all'Agenzia dei beni confiscati, il comune di Cisliano e le realtà associative interessate all'uso della masseria non hanno ancora visto assegnato nella propria disponibilità l'immobile in questione;
   secondo quanto riportato da Il Fatto quotidiano il 24 maggio 2015, per evitare ulteriori atti vandalici e l'impossibilità di usufruire nel futuro della masseria, un gruppo di cittadini membri della cooperativa Les della Caritas e del presidio Libera di Milano sud-ovest con il sostegno dell'amministrazione comunale, hanno cominciato a presidiare l'immobile senza alcuna copertura in termini di sicurezza da parte delle forze dell'ordine;
   il 18 febbraio 2015, in occasione del seminario «La riforma del codice antimafia: la relazione della Commissione antimafia e i progetti di legge all'esame parlamentare» promosso dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre organizzazioni criminali, anche straniere, è stato denunciato il drastico gap esistente tra il numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, che nel 2014 ammonterebbe a 12.994, e il numero di beni effettivamente riutilizzati. Nella medesima occasione il direttore dell'Anbsc – secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire in data 19 febbraio 2015 a pagina 11 – avrebbe denunciato: «dispongo di una struttura sotto dotata, composta da 80 persone, alcune con le competenze che servono, altre no. Certo, se avessi altre due sedi oltre alla cinque attuali e altri 50 lavoratori competenti, mi sentirei più tranquillo»;
   a distanza di alcuni mesi dalla denuncia del direttore dell'Agenzia quindi sembra che le condizioni per l'adeguato svolgimento dell'attività dell'Anbsc non siano migliorate come testimonierebbe la ricostruzione apparsa sul sito de Il Fatto quotidiano il 24 maggio 2015 a firma di Nando dalla Chiesa –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per mettere in sicurezza la comunità di Cisliano, impegnata nel tutelare i propri diritti, per risolvere quanto denunciato, conducendo, nel più breve tempo possibile, alla messa in disponibilità del comune dell'immobile in questione ed evitando simili situazioni future. (5-05920)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la delibera di giunta capitolina n. 220 del 23 luglio 2014 recita in premessa: «Roma Capitale ha tra i propri compiti istituzionali, quello di assicurare i servizi di supporto all'attività educativo-didattica dei nidi, delle scuole dell'infanzia comunali e dei servizi sperimentali del proprio territorio, consistenti – tra l'altro – in: pulizia ordinaria e straordinaria delle superfici interne e degli esterni non a verde dei nidi, delle scuole dell'infanzia (comprese le sezioni Ponte e Primavera) nonché dei servizi sperimentali per l'infanzia di Roma Capitale; assistenza, sorveglianza, custodia e ripristino nei nidi, nelle scuole dell'infanzia, nei servizi sperimentali per l'infanzia di Roma Capitale, ivi compresi i servizi di piccola manutenzione, facchinaggio e fornitura di materiale di facile consumo; manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree a verde delle scuole dell'infanzia, dei servizi sperimentali per l'infanzia e delle scuole d'arte e dei mestieri di Roma Capitale; assistenza al trasporto scolastico per gli alunni delle scuole dell'infanzia, della scuola primaria e secondaria di primo grado per gli alunni disabili; somministrazione dei pasti presso i nidi comunali (gestito in economia dall'Amministrazione)»;
   la medesima delibera indicava che «...per lo svolgimento di tali servizi, con determinazione dirigenziale del Dipartimento Risorse Umane n. 1953 del 26 agosto 2008, si è proceduto ad aggiudicare definitivamente la gara d'appalto ad evidenza pubblica, all'uopo bandita per il periodo 1o settembre 2008 – 31 luglio 2013, alla Società «Roma Multiservizi s.p.a.», con sede in Roma, via Tiburtina, 1072, per un importo di euro 146.474.593,87 I.V.A. esclusa, di cui euro 706.466,32 per oneri di sicurezza; ...le prestazioni aggiudicate, la cui progettazione complessiva ha trovato nello strumento del «GLOBALSERVICE» il metodo maggiormente idoneo a garantire i servizi ausiliari erogati nelle scuole dell'infanzia e nei nidi di Roma Capitale, hanno pertanto costituito oggetto dell'appalto medesimo»;
   la società Roma Multiservizi (società partecipata di Roma Capitale attraverso AMA che detiene il 51 per cento del capitale, mentre il restante 49 per cento è di MANUTENCOOP), ha, nel tempo, impiegato nei servizi del «GLOBAL SERVICE circa 3600 dipendenti;
   in data 6 marzo 2014 veniva emanato il decreto-legge n. 16, rubricato «Disposizioni Urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche» (G.U. n. 54 del 6 marzo 2014), al cui interno è previsto il «piano di riequilibrio» (articolo 16, comma 2, lettera c), «Disposizioni concernenti Roma Capitale);
   nel citato piano di riequilibrio, concordato tra la giunta di Roma Capitale ed il Governo, per quanto concerne il capitolo delle «società partecipate» e l'attuale assetto tra partecipazioni «dirette» ed indirette, recita quanto segue: «...dismissione totale, coerentemente con le modalità di legge e l'attenzione rivolta alla salvaguardia dei livelli occupazionali, della partecipazione detenuta in Roma Multiservizi (q.p. 51 per cento – attraverso AMA SPS ndr – residuo 49 per cento MANUTENCOOP SCARL) ...»;
   in data 7 febbraio 2014 la RMS ha avviato una procedura di mobilità ex articoli 4 e 24 della legge 223 del 1991 avente ad oggetto 52 dipendenti (di appalto differente dal «GLOBAL SERVICE») addetti alla manutenzione delle aree verdi degli edifici ad uso scolastico/educativo siti sul territorio di Roma Capitale, a seguito di un presunto esubero attribuito alla perdita dell'affidamento del suddetto servizio (scaduto il 30 giugno 2013, prorogato fino 28 febbraio 2014, nelle more dell'espletamento di una gara pubblica nel cui bando non è stata prevista alcuna clausola sociale, di salvaguardia);
   in data 2 settembre 2014, una mozione dell'Assemblea Capitolina votava all'unanimità l'applicazione della legge n. 147 del 2013 per tutelare i «48» licenziati, attraverso lo strumento della mobilità interaziendale;
   in data 2 settembre 2014 i lavoratori in questione hanno iniziato a ricevere le lettere di licenziamento, dopo un irrituale preavviso a mezzo sms sui propri telefoni cellulari;
   dopo le commissioni consiliari trasparenza ed ambiente di Roma Capitale che si sono tenute su questa drammatica situazione, i responsabili della RMS non hanno prodotto alcuna risposta alle sollecitazioni mosse dalle organizzazioni sindacali USI Unione sindacale italiana e USB Unione sindacale di base e dagli stessi lavoratori in merito le modalità con cui si è arrivati da 32 lavoratori (quelli previsti nel bando di gara poi perduta da RMS) agli attuali 52 licenziamenti, ridottisi poi a 48 ed in merito alle modalità di redazione della lista stessa dei licenziati, poiché alcuni di loro non sono mai stati assegnati alla commessa citata, ovvero tutti hanno lavorato sempre su tutte le commesse in essere;
   in data 23 settembre 2014 la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso il segretariato generale «dipartimento per il coordinamento amministrativo – UFFICIO PER LA CONCERTAZIONE AMMINISTRATIVA E IL MONITORAGGIO Servizio per il coordinamento delle istanze dei privati e delle formazioni sociali e per il monitoraggio sulla fattibilità delle iniziative legislative» interrogava l'ufficio di Gabinetto del Sindaco di Roma Capitale, a seguito di un'istanza promossa dal signor Augusto Fantini, uno dei 48 licenziati;
   attualmente Roma Capitale ha proceduto ad indire nuova gara d'appalto per l'assegnazione dei servizi in «GLOBALSERVICE» che intanto è stato prorogato sino a dicembre 2015;
   la suddetta gara, i cui termini per la presentazione delle ditte scadono il 27 luglio 2015, suddivide in «5 lotti» il GLOBAL SERVICE con «importo a base di gara» di euro 240.837.467,47 di cui euro 240.355.792,53 soggetti a ribasso ed euro 481.674,94 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso, al netto dell'I.V.A.;
   la durata dell'appalto, per ciascun lotto, decorre dal 1o agosto 2015 (o comunque dalla data di affidamento del servizio) e terminerà il 31 luglio 2020;
   alla sezione III, punto 3.1 si esplicita che «La prestazione del servizio per ciascun lotto non è riservata ad una particolare professione» ed al punto 3.2. si esplicita che «le persone giuridiche per ciascun lotto non devono indicare il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate della prestazione del servizio»;
   alla sezione VI si evidenzia che «il subappalto è ammesso per ciascun lotto limitatamente ai servizi di manutenzione delle aree a verde, pulizia e disinfestazione, nei confronti di soggetti in possesso delle necessarie qualificazioni ed è regolato dall'articolo 118 del decreto legislativo 163/2006 e successive modificazioni e integrazioni –:
   se e quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, a difesa dell'applicazione del dettato del piano di riequilibrio concordato tra Governo stesso e giunta di Roma Capitale in merito alla «salvaguardia dei livelli occupazionali» del personale già licenziato dalla Roma Multiservizi SPA e di quello che corre medesimo rischio qualora la «gara a cinque lotti» venisse portata a compimento;
   per quali motivi non sia stata applicata la legge n. 147 del 2013; nella parte che interessa la mobilità interaziendale nel caso dei «48» licenziati e perché non si preveda l'applicazione di tale istituto per i 3600 lavoratori, attualmente, «a rischio»;
   per quali motivi non sia stata considerata, nell'ambito del Tavolo interistituzionali relativo al piano di rientro per Roma Capitale, un'ipotesi di internalizzazione in AMA s.p.a. (Società partecipata di Roma Capitale al 100 per cento, la cui mission rispecchia le professionalità ed i servizi del GLOBAL SERVICE) ai sensi della legge n. 190 del 2014;
   se e quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati in relazione a quello che appare all'interrogante il mancato rispetto del «Piano di Riequilibrio» che ha provocato, oltre che un dramma umano per i 48 lavoratori licenziati, tra padri e madri di famiglia, anche un danno alla cittadinanza romana, considerato che gli stessi lavoratori e lavoratrici sono impegnati in servizi essenziali di manutenzione del verde pubblico.
(5-05918)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i campetti da calcio siti in via Mastellone a Barra, quartiere periferico e con molti problemi mai risolti della città di Napoli, sono stati per anni colpevolmente abbandonati al degrado ed all'abbandono;
   solo di recente sono stati restituiti ai bambini del quartiere grazie ad un progetto di «Save the Children» ed al lavoro della cooperativa sociale «Il tappeto di Iqbal»;
   il 25 giugno 2015 all'esterno di quei campetti sono comparsi inquietanti foglietti riportanti dirette ed inequivocabili minacce rivolte alla cooperativa «Il tappeto di Iqbal»;
   la cooperativa sociale in questione è un circo sociale che si occupa prevalentemente di interventi e progetti sul territorio a favore di minori, famiglie, giovani, extracomunitari e, più in generale, di tutti i soggetti a rischio di emarginazione sociale, promuovendone pari opportunità e diritti;
   «Il tappeto di Iqbal» ha ricevuto riconoscimenti internazionali e con i suoi ragazzi porta spettacoli in giro per l'Italia e l'Europa;
   non è la prima volta che la cooperativa in questione diviene oggetto di minacce da parte dai clan camorristici della zona;
   la loro sola colpa sembrerebbe l'aver provato nel quartiere a costruire dal basso, a fronte di una persistente assenza dello Stato, un orizzonte diverso per i suoi ragazzi;
   in un'area che ha un livello di dispersione scolastica tra i più alti della Campania presenze del genere permettono a tanti giovani di conoscere un'alternativa alla criminalità organizzata, principale soggetto economico attivo rimasto nel quartiere;
   «Il tappeto di Iqbal» è diventato negli anni un punto di riferimento sociale, culturale ed educativo nel quartiere in questione;
   le minacce arrivate il 25 giugno 2015 sono già state segnalate alle forze dell'ordine;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato dall'edizione locale del quotidiano La Repubblica il 27 giugno 2015 ed intitolato «Non lasciamo solo “Il tappeto di Iqbal”» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di fare chiarezza sulla matrice delle minacce di cui la cooperativa sociale «Il tappeto di Iqbal» è stata fatta oggetto;
   quali misure intenda mettere in campo al fine di garantire alla cooperativa sociale in questione ed a tutte le realtà di promozione sociale che versano nello stesso tipo di difficoltà un pieno e sicuro svolgimento delle loro attività. (4-09624)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comparto dell'alta formazione artistica e musicale (AFAM) rappresenta un fiore all'occhiello per l'Italia, un settore che dà lustro al nostro Paese, specie all'estero, in virtù della fama internazionale che accompagna la produzione artistica, musicale, drammatica e coreutica italiana;
   il settore fu interessato da una profonda ristrutturazione a seguito dell'emanazione della legge n. 508 del 1999, a cui seguirono altri provvedimenti che provarono a dare attuazione alle norme di autonomia. Ad oggi, però, si è ancora in attesa di un riordino complessivo;
   le istituzioni AFAM legalmente riconosciute in Italia sono 137, in prevalenza accademie (43) e istituti superiori di studio musicali (78 di cui 58 sono conservatori). I conservatori, in particolare, nel corso degli ultimi anni, hanno subito diversi tagli alle risorse per il funzionamento e la didattica, che hanno portato ad una situazione di estrema incertezza e precarietà;
   nel Veneto, in particolare, sono presenti sette conservatori, che ospitano 4500 studenti e in cui, ogni anno, si diplomano decine di strumentisti, cantanti e compositori. Tra questi vi è il conservatorio «Pollini» di Padova, storico istituto musicale, con una prestigiosa tradizione, che ospita, nella sede principale di via degli Eremitani, diciotto aule, gli uffici direzionali ed amministrativi, un auditorium con 500 posti, una collezione di strumenti storici, una biblioteca con 38.000 volumi (spartiti) e libri, 1120 dischi 78 giri, 1680 dischi 33 giri, 1420 tra cd, cassette e videocassette e, nella sede staccata di via Bertacchi, altre dodici aule;
   il Pollini rappresenta un'eccellenza a livello internazionale si distingue, infatti, per alcune importanti iniziative, tra cui i «Sabati del Conservatorio», giunti alla diciassettesima edizione, i concerti degli allievi e masterclass con docenti di fama internazionale, ospitando inoltre un dipartimento di musica elettronica che svolge ricerche sulla computer music, ponendosi tra i quattro centri di ricerca a livello mondiale, insieme a quelli di Svezia, USA e Germania, nonché un corso di laurea sulla musica per le disabilità;
   da molto tempo ormai, analogamente ad altre strutture del settore, il Pollini attraversa una situazione di grave difficoltà legata principalmente alla inadeguatezza delle risorse economico-finanziarie, che impedisce la realizzazione di interventi concreti per la manutenzione delle strutture. L'edificio, infatti, versa in condizioni di grave precarietà e necessita di un urgente intervento di restauro; l'inadeguatezza delle aule, una biblioteca sita al primo piano della struttura, con il pavimento a rischio crollo sotto il peso degli armadi o la mancanza di un valido sistema di insonorizzazione, costituiscono enormi limiti per la realizzazione di progetti molto importanti che non possono essere attuati per mancanza di spazi, così come risulta difficile accettare le richieste da parte di studenti stranieri che vogliono perfezionarsi in Italia;
   tale stato di cose rappresenta un serio pericolo per l'incolumità degli allievi, dei docenti e di tutto il personale che opera nell'ambito del conservatorio;
   da alcuni articoli di cronaca («Il Mattino di Padova» del 30 luglio 2011 e del 21 maggio 2014, il «Corriere del Veneto» del 12 marzo 2011) si apprende che le mura dell'edificio sarebbero di proprietà del comune, mentre la gestione e dunque la manutenzione straordinaria sarebbero di competenza della provincia –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per contribuire a risolvere la difficile situazione in cui si trova il conservatorio «Pollini» di Padova, chiarendo con esattezza le varie competenze e responsabilità relative alla gestione del conservatorio, anche al fine di garantire la sicurezza degli allievi e del personale ed il regolare svolgimento della didattica.
(5-05913)


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la maggior parte delle accademie statali di belle arti, come anche molte altre istituzioni statali dell'alta formazione artistica e musicale, hanno sede in edifici, demaniali e non, le cui spese di manutenzione e gestione sono state per decenni a carico delle amministrazioni provinciali, sulla base di un parallelismo con la situazione delle scuole medie superiori;
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508, ha istituito il sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM) attribuendo alle istituzioni AFAM personalità giuridica e autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa e finanziaria;
   a seguito della legge n. 508 del 1999 le istituzioni AFAM sono entrate definitivamente a far parte del sistema della formazione post-secondaria, adottando anche il modello dei due livelli di titolo, uno triennale e il successivo biennale, introdotto in quegli stessi anni nel sistema universitario;
   del resto l'articolo 2, comma 3, della legge n. 508 del 1999 fa espressamente riferimento alla legge 9 maggio 1989, n. 168, che è quella con cui le università avevano avuto riconosciuta l'ampia autonomia prevista dalla Costituzione, mentre gli articoli 5 e 6 estendono alle istituzioni AFAM le norme sull'edilizia e sul diritto allo studio valide per le università;
   sulla base dell'articolo 2, comma 7, della legge n. 508 del 1999 è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, recante i criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni AFAM;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, pur confermando l'autonomia amministrativa, finanziaria e contabile delle istituzioni AFAM, non entra però nel merito della questione della gestione e manutenzione delle loro sedi;
   in mancanza di altri interventi normativi si è aperto da tempo un lungo e difficile contenzioso tra alcune amministrazioni provinciali e le istituzioni AFAM del relativo territorio, le prime chiedendo di potersi spogliare dei compiti e delle spese relative alla manutenzione e gestione delle sedi delle istituzioni AFAM lasciandoli a carico delle istituzioni e dei loro bilanci, le seconde facendo rilevare che i fondi ministeriali annui di dotazione, già esigui, e le unità di personale amministrativo non sono stati mai adeguati ai nuovi compiti amministrativi e contabili eventualmente loro spettanti, come la stipula e il pagamento dei contratti delle utenze fondamentali (luce, acqua, gas, telefono), per cui risulta loro impossibile assumersi il carico della manutenzione e gestione delle sedi;
   in un caso particolare, che ha visto opposti la provincia di Sassari e il conservatorio statale di musica «Luigi Canepa» di Sassari, si è infine pronunciata la Corte di cassazione, con sentenza n. 19287 depositata il 12 settembre 2014, stabilendo che la provincia non doveva più farsi carico delle spese di funzionamento del conservatorio;
   a seguito di tale sentenza molte amministrazioni provinciali, in fase conclusiva di esistenza, hanno richiesto alle istituzioni statali AFAM del loro territorio, in estensione di giudicato, di intestarsi tutte le utenze, di assumere a proprio carico tutte le spese di manutenzione e anche di rimborsare le spese effettuate negli anni precedenti;
   a titolo di esempio, la città metropolitana di Firenze, subentrata alla provincia di Firenze, dapprima con lettera n. 25034 del 14 gennaio 2015 e successivamente con lettera n. 218163 del 24 aprile 2015, ha chiesto all'Accademia di belle arti di Firenze il rimborso di 441.771,92 euro, per le utenze di energia elettrica, acqua, gas e telefono a decorrere dal 15 novembre 2011;
   l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, interpellata dall'Accademia, ha risposto che la richiesta della Città Metropolitana di Firenze è legittima e pienamente rispettosa del dato legislativo per cui suggerisce all'Accademia di procedere senza indugi al pagamento delle somme dovute, eventualmente concordando una rateizzazione;
   nessuna risposta è invece pervenuta all'Accademia da parte del Ministero in risposta alle lettere inviate il 23 gennaio e il 16 febbraio 2015;
   la somma richiesta all'Accademia, ancorché permanga il dubbio che sia realmente dovuta soprattutto per quanto riguarda la decorrenza dal 15 novembre 2011, è totalmente al di fuori della disponibilità del bilancio dell'Accademia che riceve dal Ministero un contributo ordinario annuale di funzionamento pari a circa 105.000 euro;
   l'Accademia ha comunque provveduto a riorganizzare il suo bilancio, anche aumentando la contribuzione studentesca, in modo da poter farsi carico di tutte le spese di funzionamento a partire dal primo gennaio 2015;
   l'Accademia di belle arti di Firenze è la più antica del mondo (fu fondata da Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti) e conta circa 100 professori e 1.200 studenti, di cui oltre un quarto stranieri attratti dalla sua fama e dalla storia artistica straordinaria del nostro Paese –:
   come i Ministri interrogati intendano procedere per evitare che le istituzioni statali AFAM per le quali le province stanno procedendo al recupero delle spese sostenute per il funzionamento, alcune delle quali hanno tradizioni prestigiose e internazionalmente riconosciute, si trovino a dover improvvisamente rimborsare ad altre amministrazioni pubbliche spese pregresse di entità molto rilevante che metterebbero in estrema difficoltà i loro già problematici bilanci fino a far ipotizzare la necessità di sospendere ogni attività. (5-05914)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la lunga collaborazione ed il percorso di fattiva sinergia tra la regione autonoma della Sardegna e l'Istituto nazionale di astrofisica - INAF hanno consentito la creazione di un prestigioso e avanzato polo regionale astrofisico e tecnologico culminato, il 30 settembre 2013, con l'inaugurazione, presso il comune di San Basilio (in provincia di Cagliari) del Sardinia Radio Telescope - SRT, un radiotelescopio che, per tecnologia e dimensioni, rappresenta in tempo il terzo strumento di questo tipo installato in Italia, dopo quelli di Medicina (Bologna) e di Noto (Siracusa), ma molto più grande e moderno di questi suoi predecessori;
   il costo complessivo del radiotelescopio è stato di circa 60 milioni di euro e vi hanno contribuito il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Agenzia spaziale italiana e la Regione autonoma della Sardegna con circa 5,5 milioni di euro;
   l'SRT è gestito dall'INAF, tramite l'Istituto di radioastronomia di Bologna, l'Osservatorio astronomico di Cagliari e l'Osservatorio astrofisico di Arcetri, a Firenze;
   fin dall'inizio della sua attività, il team di ricerca del SRT è stato coinvolto nello studio di una magnetar (stella magnetica) situata nei pressi del centro della via Lattea, consentendo la misura di un segnale di grande qualità e riuscendo a conseguire un primo risultato di rilievo internazionale e a dimostrare le proprie notevoli potenzialità in ambito scientifico;
   tra i servizi di supporto necessari per l'attività del SRT realizzati dall'Osservatorio astronomico di Cagliari sono il monitoraggio delle interferenze di onde radio causate dalle trasmissioni televisive e dalla telefonia mobile, il monitoraggio delle condizioni locali dell'atmosfera (con particolare riferimento alla presenza e alla variabilità del vapore acqueo) e la progettazione e la realizzazione dei ricevitori a microonde installati sul radiotelescopi. Il Sardinia Radio Telescope è dedicato per l'80 per cento alla ricerca scientifica (studio di sistemi stellari giunti a fine vita; di oggetti dalla forte emissione radio, quali nuclei galattici attivi, radiogalassie, quasar, buchi neri; dei sistemi planetari di recente scoperta) e per il rimanente 20 per cento svolge funzioni di controllo delle missioni automatiche di esplorazione spaziale e dei satelliti artificiali in orbita intorno alla Terra;
   la proficua collaborazione tra la regione autonoma della Sardegna e l'Istituto nazionale di astrofisica ha consentito la creazione in Italia della prima maglia di una rete interferometrica di lunghissima base e ne costituisce anche l'elemento più avanzato, dal punto di vista tecnologico, della rete interferometrica europea EVN (European VLBI Network);
   nell'ambito di tale collaborazione, la regione Sardegna ha contribuito e continua a contribuire con speciali finanziamenti volti alla realizzazione di progetti paralleli e all'avvio di una serie di azioni coordinate, quali: l'insediamento di SRT e della sede cittadina dell'Osservatorio astronomico nella rete regionale di supercalcolo CyberSAR; una dozzina di percorsi di alta formazione in astrofisica e di connesse tecnologie riconducibili al programma «Master & Black»; un piano di sviluppo per un importo di 1,5 milioni di euro per apparecchiature accessorie di SRT; svariati progetti di ricerca e di sviluppo tecnologico a valere sulla legge n. 7 del 2007 per un importo totale di circa 1 milione di euro; vari progetti cluster sia di tipo «top down» che «bottom up» con risorse POR FESR 2007-2013 per un totale di 730.000 euro (oggi in fase di conclusione per la disseminazione alle imprese ed organizzazioni regionali e non); un ulteriore finanziamento, a valere sul POR Sardegna ed erogato a favore del comune di Selargius, pari a circa 10 milioni di euro per la realizzazione di ampi spazi per attività di didattica nella nuova sede cittadina dell'Osservatorio; un programma di formazione, divulgazione e attività di ricerca e sviluppo nei pressi della cittadella universitaria; un progetto per lo sviluppo delle microonde nell'ambito del protocollo di intesa con la regione Lombardia per un importo di 3 milioni di euro; la stipula di un accordo con l'INAF con il quale la regione autonoma della Sardegna concorre, nel triennio 2014-2016, con un budget di 500 mila euro per anno allo «Sviluppo scientifico, il trasferimento tecnologico, la formazione e divulgazione in astrofisica e tecnologie relative»; la fondazione del distretto aereo spaziale della Sardegna (DASS), di cui SRT rappresenta una delle eccellenze messe in campo, eccetera;
   tale positiva collaborazione tra la regione Sardegna e l'INAF si è improvvisamente interrotta a seguito della determinazione assunta dal consiglio di amministrazione dell'INAF il 18/19 febbraio 2015 che ha avviato le procedure finalizzate alla costituzione dell'ORA - Osservatorio di radio astronomia, basato sull'accorpamento dell'Istituto di radioastronomia di Bologna e dell'Osservatorio astronomico di Cagliari;
   se da un lato tale accorpamento potrebbe apparire alla stregua di un'azione virtuosa di contenimento della spesa e di razionalizzazione delle risorse, dall'altra – per il metodo unilaterale che è stato seguito e per lo strumento che è stato scelto – rischia, ad avviso dell'interrogante, di costituire una violazione dell'autonomia territoriale dell'Osservatorio di Cagliari e di arrecare un notevole pregiudizio agli interessi strategici regionali, anche sotto il profilo degli ingenti investimenti realizzati dalla regione Sardegna nel corso degli ultimi anni, come sopra specificati;
   la suddetta decisione del Consiglio di amministrazione dell'INAF, oltre a porsi in stridente contrasto con lo spirito collaborativo tra lo stesso Istituto e la regione autonoma della Sardegna, mortifica le scelte strategiche più marcatamente orientate a posizionare in Sardegna la sede del coordinamento tra le due strutture, vista anche l'importanza del polo tecnologico di Cagliari e dell'intero comparto astrofisico regionale;
   vane sono risultate le sollecitazioni delle istituzioni locali volte a ricondurre il Consiglio di amministrazione dell'INAF verso posizione di maggiore concertazione e condivisione delle scelte gestionali del polo astrofisico delle connesse tecnologie –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia operativa dell'Istituto nazionale di astrofisica INAF, intenda attivarsi affinché siano riviste le determinazioni assunte dal consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale di Astrofisica del 18/19 febbraio 2015, relativamente all'accorpamento dell'Istituto di radioastronomia di Bologna e dell'Osservatorio astronomico di Cagliari nel senso di salvaguardare maggiormente l'autonomia territoriale dell'Osservatorio di Cagliari e degli interessi strategici regionali sardi. (4-09615)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai media in questi giorni – ma è solo uno dei tanti casi – che la Digos di Agrigento ha scoperto un'insegnante «falsa invalida». Si era trasferita da Agrigento a Milano dove c'erano più posti disponibili per l'immissione in ruolo, ma dopo poco tempo dall'assunzione all'insegnante era stata riconosciuta un'invalidità, questo per poter beneficiare della legge 104 del 1992, che, tra gli altri diritti, consente di scegliere la sede di lavoro con priorità sugli altri. Ovviamente in questo caso è stata scelta Agrigento e così, nel giro di un anno, l'insegnante ha ottenuto l'immissione in ruolo e il posto di lavoro vicino casa;
   la Sicilia è la regione che negli ultimi 5 anni ha fatto registrare il maggiore incremento di invalidità personali (+ 64,43 per cento) e permessi per assistere parenti malati (+56,19 per cento). Nel comparto scuola ad Agrigento e provincia lavorano 6139 persone tra docenti e personale di segreteria. Al 30 per cento di questi è stato riconosciuto un handicap o un familiare disabile da assistere;
   già nel 2013 la procura agrigentina aveva scoperto un'organizzazione criminale per pilotare i trasferimenti degli insegnanti nelle scuole utilizzando finte patologie. Gli indagati furono medici specialisti, impiegati Inps, membri delle commissioni mediche, consulenti della procura e politici;
   a distanza di quasi due anni da quella inchiesta sembra non essere cambiato quasi nulla. Quel sistema è ancora in piedi, infatti osservando bene l'ultimo elenco disponibile dei trasferimenti nella scuola dell'infanzia, si notano tanti neo immessi in ruolo (quasi tutti nelle scuole del Nord) che poco dopo hanno ottenuto il trasferimento vicino casa, grazie alla precedenza prevista dal contratto collettivo nazionale integrativo, per il quale è sufficiente un handicap del 67 per cento, anche cumulabile con varie patologie. Il risultato è che docenti con anzianità bassissime (in un caso addirittura pari a 0), ottengono la precedenza su altri con più anni di servizio. E a restare in coda sono anche coloro che magari non hanno una difficoltà personale, ma un parente gravemente malato da assistere;
   il sistema si reggerebbe su due procacciatori di clienti – secondo quanto dichiarato dal procuratore capo di Agrigento – informati sulle situazioni familiari degli insegnanti propongono certificati di invalidità a chi ha bisogno di scalare le graduatorie. Una volta concordato il prezzo (da 300 a 500 euro) una rete di medici, funzionari, addetti ai lavori sarebbero disposti a dichiarare il falso o addirittura a manomettere gli esami clinici, pur di raggiungere la percentuale minima di invalidità indicata dalla legge;
   ad Agrigento il numero di invalidi (suddiviso tra scuole dell'infanzia, primaria, primo grado e personale non docente) è 81. A Favara, comune della provincia con appena 30 mila abitanti, 83. Nel solo istituto «Manzoni» di Raffadali ce ne sono 27 di cui 14 collaboratori scolastici. È i parziale più alto di tutto il comprensorio. E si tratta di rilevazioni successive al 2013, anno dell'indagine della procura;
   per il procuratore Di Natale: «La scuola è il caso più eclatante ma è un fenomeno estremamente diffuso, almeno in Sicilia». L'attenzione ora è su altri comparti della pubblica amministrazione dove già sono state registrate diverse incongruità. Intanto una commissione medica sta procedendo alla verifica di tutte le posizioni. Dei 15 convocati fino ad ora solo tre sono stati riconosciuti realmente invalidi. Secondo gli investigatori sarebbero circa 1500 le pratiche da revisionare prendendo in considerazione solo gli ultimi due anni. L'Ufficio scolastico regionale ha disposto l'annullamento di alcuni trasferimenti;
   in Italia le cifre di chi usufruisce della legge 104 del 1992 non sono per nulla marginali: 86.361 docenti di ruolo, su un totale di circa 640 mila, hanno ottenuto permessi e agevolazioni per assistere i portatori di handicap nel 2014. Ben un professore su sette, dunque, utilizza la legge 104, il 13,3 per cento. Per quanto riguarda il personale Ata, il censimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dice che 30 mila e 250 collaboratori scolastici ne hanno usufruito su un totale di 180 mila e 243 dipendenti complessivi, pari al 16,7 per cento –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro al fine di accertare coloro che godono illegittimamente dei permessi previsti dalla legge a favore dell'assistenza ai portatori di handicap o ai familiari malati, non avendone i requisiti richiesti;
   come si intenda intervenire contro i responsabili degli abusi, anche a livello istituzionale e amministrativo, considerato che il datore di lavoro può ben licenziare (per comportamento infedele) il dipendente che utilizzi i permessi della legge «104» per soddisfare esigenze differenti da quelle coperte dalla legge, visto che in caso di uso distorto (per fini personali) dei permessi della legge 104, il comportamento del dipendente si macchia di un disvalore sociale che può arrivare a giustificarne il licenziamento;
   in che modo si intenda arginare il deprecabile fenomeno degli insegnanti che fanno domanda di assunzione al Nord, ove esiste un numero maggiore di posti disponibili e poi, dopo aver illegittimamente ottenuto i benefici previsti dalla legge 104, chiedono e ottengono il trasferimento nei luoghi d'origine al Sud, lasciano così nell'incertezza molti alunni nelle zone del Nord del Paese, pregiudicandone e ritardandone i percorsi formativi. (4-09628)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   diverse sigle sindacali e associative del trasporto (Filt Cgil, Fit Cisl, Uil trasporti, Confartigianato trasporti e Cna Fita), insieme a numerosi organi di stampa, da tempo denunciano il fenomeno dell'aggiramento delle norme sul lavoro nel settore del trasporto su gomma, attraverso l'assunzione di camionisti, italiani o rumeni residenti ed operanti in Italia, con contratti interinali da parte di agenzie rumene;
   il fenomeno sta raggiungendo ragguardevoli livelli di allarme negli ultimi tempi, con effetti paradossali e, ad avviso dell'interrogante, illegittimi come i licenziamenti degli autotrasportatori e la loro riassunzione nello stesso posto di lavoro attraverso l'agenzia interinale, situata in un Paese comunitario dell'Est Europa (Corriere.it, 13 gennaio 2014);
   la pratica può essere riepilogata agevolmente in questa sequenza: i lavoratori – spesso anche italiani, licenziati per essere riassunti con il contratto interinale, anche se tale pratica dovrebbe essere preclusa dalle norme comunitarie – vengono assunti tramite una agenzia che si trova in Romania – non di rado gestita anche da italiani, come denunciano i sindacati – per poi essere inviati a lavorare per le aziende italiane, con dei costi più bassi;
   il risparmio per l'azienda che assume questo tipo di lavoratori interinali si è quantificabile generalmente in una forbice tra il 20 e il 40 per cento in meno rispetto ad un lavoratore assunto con un regolare contratto italiano;
   il risparmio è dato dal fatto che i contributi vengono versati in Romania su uno stipendio che si attesta attorno ai 300 euro mensili (la differenza con la retribuzione italiana viene pagata sotto forma di trasferta in Italia, esentasse, o addirittura in nero). La retribuzione netta per il singolo lavoratore è quasi equivalente a quella che riceverebbe con il contratto italiano, tuttavia con alcune vistose e penalizzanti differenze: le mensilità corrisposte con il contratto rumeno sono 11/12 invece che le 14 del contratto italiano; i contributi previdenziali vengono pagati in Romania solo su 300 euro, mentre in Italia verrebbero pagati su circa 1600 euro; non sono previsti contributi Inail e Inps e non vengono riconosciute malattie, infortuni e Tfr in quanto, per effetto del norme sul cosiddetto distacco comunitario (direttiva 96/71/CE, recepita con decreto legislativo n. 72 del 2000), ai fini della determinazione dell'imponibile previdenziale e del regime assicurativo per gli infortuni e le malattie professionali, occorre riferirsi al regime contributivo previsto dalla legislazione del Paese di origine del lavoratore;
   benché il limite di legge per le assunzioni in somministrazione, per le aziende dell'autotrasporto, sia fissato al 16 per cento del totale dei lavoratori, secondo un calcolo di Uil Trasporti su 400 mila autotrasportatori in Italia circa il 30 per cento risulterebbe sottoposto ad un contratto di somministrazione (Il Giornale.it, 6 febbraio 2015);
   fenomeno analogo a quello appena descritto, che contribuisce a «spingere fuori mercato» le imprese italiane che operano secondo le prescrizioni di legge, è quello delle imprese nate surrettiziamente dei Paesi dell'Europa dell'Est (es. Polonia, Lituania, Estonia) che operano in Italia svolgendo attività di trasporto domestico, applicando ai lavoratori – anche qui – contratti, contribuzione sociale e assicurativa dei Paesi ove hanno sede legale le aziende, consentendo, in tal modo, di abbattere significativamente le tariffe (circa il 20 per cento). Spesso tali aziende hanno sede operativa in Italia, ma mezzi e personale dei Paesi d'origine;
   questi fenomeni, oltre a creare un evidente pregiudizio per i lavoratori direttamente coinvolti, e per quelli che perdono il lavoro a causa di questa forma di «dumping», contribuiscono alla crisi dell'intero comparto del trasporto su gomma italiano, comportando costi ingenti anche per lo Stato sia sotto il profilo del maggior esborso per le misure di sostegno al reddito degli autotrasportatori che perdono il lavoro, sia per i minori ricavi sotto il profilo dei tributi, dovuti, da un lato, alla chiusura delle aziende italiane, dall'altro, al fatto che le tasse relative a questo settore finiranno nelle casse dei Paesi che assumono i lavoratori (i Paesi dell'Est nel caso illustrato), insieme all'indotto del settore autotrasporti (ad es. assicurazioni stipulate);
   tali situazioni sono state più volte segnalate, negli ultimi anni, alle procure della Repubblica e ai prefetti in varie province d'Italia dalle organizzazioni sindacali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
   se sia in grado di fornire ulteriori chiarimenti sul fenomeno riportato;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, anche in sede comunitaria, per salvaguardare lavoratori e imprese italiane o che comunque operano nel rispetto delle norme del nostro Paese. (4-09609)


   PORTA, FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dall'analisi dell'osservatorio delle pensioni Inps vigenti al 1o gennaio 2015 e liquidate nel 2014 emerge che l'Istituto previdenziale italiano ha erogato 18.044.221 pensioni e che l'importo medio mensile risulta in costante crescita, passando da 780,14 euro nel 2012 a 825,06 euro nel 2015;
   l'importo complessivo annuo risulta pari a 192,6 miliardi di euro;
   l'importo medio mensile della pensione di vecchiaia è di 1.098 euro, con un valore più elevato al nord, pari a 1.174,25 euro;
   per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli importi erogati, si osserva che il 55 per cento delle somme stanziate a inizio anno sono destinate all'Italia settentrionale, il 24,7 per cento all'Italia meridionale e isole, il 19,7 per cento all'Italia centrale e solo lo 0,6 per cento ai soggetti residenti all'estero;
   l'INPS infatti eroga all'estero poco più di 400.000 pensioni, di cui la maggioranza in convenzione internazionale e cioè tramite l'attivazione di un accordo bilaterale o multilaterale di sicurezza sociale;
   la spesa annua complessiva per le pensioni erogate all'estero è pari a 1 miliardo di euro rispetto ai 192 miliardi di euro di spesa per le pensioni erogate in Italia;
   l'importo medio delle pensioni erogate all'estero è di 215 euro al mese rispetto ai circa 800 euro di quelle erogate in Italia;
   se l'importo medio delle pensioni erogate all'estero è di 215 euro al mese, sono decine di migliaia le pensioni di importo molto più basso, spesso irrisorio;
   è di questi giorni la denuncia da parte dei connazionali pensionati residenti in Venezuela di una improvvisa riduzione della loro pensione italiana (il cosiddetto pro-rata) a causa di un meccanismo perverso: l'aumento al cambio ufficiale della moneta locale che ha azzerato le prestazioni assistenziali italiane legate al reddito – integrazione al minimo, maggiorazioni sociali ma anche assegni al nucleo familiare. In pratica l'Inps calcola l'importo del pro-rata sulla esclusiva base dei contributi accreditati in Italia che di norma sono pochi e remoti nel tempo;
   quello degli importi pensionistici italiani irrisori è un fenomeno che non è limitato al Venezuela ovviamente, ma è ancora molto diffuso nel mondo dei pensionati emigrati ed interessa soprattutto l'emigrazione italiana degli anni ’60 e ’70, composta oramai da persone ultrasettantenni;
   si tratta di importi pensionistici obiettivamente insufficienti a garantire un tasso di congrua remunerazione dei contributi versati nei casi in cui, (non sono pochi), la pensione «a calcolo» — cioè basata sui contributi effettivamente versati e non maggiorata dalla integrazione al minimo, dalle maggiorazioni sociali o dalle prestazioni familiari — sia di importo irrisorio a causa della remota collocazione nel tempo e del numero dei contributi versati in Italia e dell'inadeguatezza dell'attuale sistema di rivalutazione di tali contributi;
   il grave e diffuso problema delle pensioni irrisorie si potrebbe ovviare in parte con l'aumento dell'importo minimale mensile delle pensioni in convenzione stabilito attualmente dalla legge n. 335 del 1995;
   in base alla legge n. 335 del 1995 e con effetto dal 1o settembre 1995 fu istituito per le pensioni italiane in regime internazionale un minimale di pagamento pari a un quarantesimo del trattamento minimo per ciascun anno di contribuzione (da lavoro, figurativa e volontaria) fatto valere in Italia. Tale minimale prescinde dal reddito del pensionato e da una sua eventuale titolarità di una pensione estera, e trova applicazione quale che sia il regime di calcolo (retributivo, misto o contributivo) delle prestazioni;
   in sostanza i connazionali futuri pensionati o già titolari di pensione in convenzione bilaterale (con i Paesi extracomunitari) o multilaterale (con i Paesi comunitari) in virtù della vigente normativa hanno diritto per ogni anno di contribuzione accreditato in Italia ad un importo minimo pari a 12,56 euro (cioè a un quarantesimo di 502,38 euro che è l'importo del trattamento minimo per il 2015). Ciò significa, per esempio, che chi ha versato 5 anni di contribuzione in Italia e acquisito il diritto a un pro-rata in regime internazionale, ha diritto ad un importo minimale mensile di appena 63 euro;
   se tale minimale poteva avere un senso economico 20 anni fa (e comunque anche allora non l'aveva), oggigiorno rappresenta meno di una elemosina. Lo Stato italiano quindi deve sentirsi responsabile di aumentare e quindi di dare dignità all'importo minimale mensile delle pensioni degli emigrati che è attualmente risibile –:
   se i Ministri interrogati non ritengano giusto, opportuno e indilazionabile assumere iniziative per l'elevazione dell'importo minimale garantito alle pensioni in convenzione in modo che tale importo corrisponda più equamente allo spirito della legge che voleva introdurre una garanzia minima di salvaguardia economica per i pensionati in convenzione le cui pensioni erano (sono) solitamente di importo irrisorio anche a fronte di numerosi anni di contribuzione accreditati in Italia;
   se i Ministri, alla luce delle considerazioni suesposte, non ritengano giusto, opportuno e indilazionabile assumere iniziative per modificare la legge n. 335 del 1995 per portare l'importo minimale mensile garantito alle pensioni in convenzione da un quarantesimo ad un ventesimo del trattamento minimo per ogni anno di contribuzione versato in Italia, in modo che tale importo diventi, per l'anno in corso, pari a 25 euro al netto delle eventuali prestazioni sociali e familiari.
(4-09614)


   SPADONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 giugno 2015 sulla stampa locale di Reggio Emilia si legge la notizia della denuncia della Cgil relativa a delle aziende che, attraverso incentivi in uscita, licenziano i propri dipendenti spesso con contratto a tempo indeterminato per poi reintegrarli a tempo determinato in un'altra azienda che svolge le stesse mansioni;
   al termine dei sei mesi i lavoratori vengono riassunti con un contratto a tempo indeterminato e così facendo le aziende ottengono fino a 8 mila euro all'anno di sgravi fiscali, per un totale di tre anni, assicurati dal Governo con la legge di Stabilità 2015;
   secondo la Cgil, la società reggiana che avrebbe attuato questo meccanismo attraverso la costituzione della nuova società MMOperations srl, è la Movimoda con sede a San Polo d'Enza in provincia di Reggio nell'Emilia;
   questo meccanismo di licenziare i lavoratori per poi riassumerli e ottenere degli sgravi fiscali può essere messo in atto per effetto della legge delega di riforma del lavoro, il Jobs Act;
   il segretario provinciale Cgil, Guido Mora, denuncia come i casi sopra elencati siano sempre più diffusi «soprattutto per imprese di facchinaggio e logistica, in cui il costo del lavoro pesa su percentuali in media intorno all'80 per cento sul totale delle attività»;
   sembra che nel mondo delle imprese ci sia una preoccupante mobilitazione per capire come riuscire ad ottenere gli sgravi fiscali attraverso i suddetti comportamenti strumentali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della gravità dei fatti sopra elencati e quali iniziative intenda intraprendere per porre rimedio a tale situazione;
   se il Ministro intenda assumere iniziative volte a rivedere questa legge che ad avviso dell'interrogante non ottiene l'implementazione reale di nuovi contratti di lavoro ma pone in essere una tipologia di sostituzione dei rapporti di lavoro.
(4-09619)


   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche (Redattore Sociale, 23 giugno 2015) che ad Arezzo una guardia particolare giurata è stata licenziata al suo primo riposo dopo 14 giorni di lavoro continuativo a seguito del suo diniego di ritornare in servizio subito;
   il suo ricorso contro il licenziamento per giusta causa è stato respinto da tribunale in quanto – si legge nel testo della sentenza – la norma contrattuale «attribuisce al datore di lavoro la facoltà, nell'ambito dei propri poteri organizzativi, di chiamare in servizio il lavoratore in riposo settimanale, al quale corrisponde (...) l'obbligo del lavoratore di adempiere»;
   il lavoratore aveva giustificato il rifiuto opposto alla richiesta di lavorare invocando «la mancata rappresentazione dell'urgenza del servizio richiesto da parte datoriale», ma secondo il giudice «tale dato di fatto non era richiesto dalla previsione contrattuale, imperniata sulla diversa esigenza di non esporre i beni pubblici o privati oggetto di vigilanza a gravi rischi»;
   la dichiarazione del lavoratore inerente all'imprudenza di dover lavorare 14 giorni consecutivi per chi è impiegato nel settore della vigilanza non è stata accolta, nonostante sia palese come l'attività di vigilanza, proprio per sua natura, necessita che il lavoratore abbia un elevato livello di attenzione a garanzia di sicurezza per lui e per gli altri;
   la Uiltucs Toscana (Unione lavoratori turismo, commercio e servizi) assisterà la guardia particolare giurata nell'appello e nella ricerca della giustizia, dato che i riposi sono necessari in tutti i lavori ma sono essenziali in questo specifico dove la sicurezza è maggiormente garantita se si svolgono orari equi e se le guardi giurate non sono esposte a stress eccessivi –:
   se non ritenga di avviare una seria indagine ministeriale sulle difficili condizioni di lavoro nel settore della vigilanza posto che il caso del lavoratore aretino non è un'eccezione ma sempre più una regola nel settore della vigilanza, dove i lavoratori subiscono turni massacranti a scapito della propria salute e della sicurezza di cittadini. (4-09620)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della Sider Vasto di Punta Penna (CH) sono in agitazione presidiando l'ingresso nella fabbrica e hanno evitato che un camion potesse prelevare attrezzature e macchine dell'azienda;
   lo stabilimento di Punta Penna è stato aperto nel 1975 e produce tubi metallici. I 50 dipendenti sono tutti specializzati e il personale è altamente qualificato;
   la Sider a febbraio 2015 ha ottenuto dal tribunale di Vasto il concordato preventivo. Un passaggio importantissimo per la riconversione dello stabilimento. Il 7 aprile la crisi sembrava essere solo un brutto ricordo. Il 5 giugno sono cominciati i problemi. Lo scorso fine settimana il gruppo Rapullino ha formulato una proposta migliorativa a patto però che dalla fabbrica non escano macchinari;
   i 54 operai della Sider Vasto, a distanza di 40 giorni dalla fine della cassa integrazione guadagni straordinaria (la cassa integrazione guadagni finisce il 12 agosto) temono che il futuro dell'azienda sia a forte rischio;
   i sindacati paventano il rischio di un possibile smantellamento dell'azienda e temono che la fabbrica possa essere ceduta a pezzetti. Questo a loro avviso sarebbe il preludio del fallimento;
   per questo i sindacati e i lavoratori hanno annunciato di essere pronti a bloccare ad oltranza l'uscita dallo stabilimento per impedire che venga portato via lo slitter, il macchinario di precisione che taglia le lamiere. Lo slitter è il punto di forza della Sider, un macchinario indispensabile per l'azienda siderurgica;
   i sindacati temono che la proprietà voglia venderlo a due milioni di euro, anziché concludere la trattativa con il gruppo Rapullino, che ha presentato un progetto d'acquisto di tutta la fabbrica e la riassunzione di tutti i lavoratori –:
   se non intendano intervenire per evitare lo smembramento dell'azienda e il rischio che possa saltare la trattativa con il nuovo gruppo imprenditoriale mettendo a rischio il futuro occupazionale dei 54 operai specializzati. (4-09627)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la coltura della soia, spinta dall'andamento dei prezzi, dalle misure accoppiate e dalla componente greening previste dalla nuova politica agricola comune, PAC, sta raccogliendo il favore degli agricoltori;
   secondo la sezione colture industriali di Assosementi, l'Associazione delle aziende sementiere italiane, le superfici seminate nel 2015 starebbero andando ben oltre le già rosee previsioni diffuse dall'Istat lo scorso febbraio (+13,5 per cento sul 2014), guadagnando 80.000 ettari sui 250.000 stimati dalla stessa sezione per la scorsa campagna;
   l'uso di sementi di qualità, ufficialmente controllate e certificate, così come ha sottolineato l'associazione dei sementieri, costituisce per ogni coltura la scelta migliore per avere la garanzia di produzioni di buona qualità, con elevata resa e, quindi, redditizie oltre a consentire la tracciabilità delle materie prime fornite all'industria e lungo l'intera filiera agroalimentare;
   il seme certificato, inoltre, è sinonimo di sicurezza quanto a purezza, germinabilità e sanità. Tuttavia la stessa Assosementi denuncia che la richiesta del mercato, insieme alla volontà degli agricoltori di risparmiare sul costo del seme, hanno portato ad un forte sviluppo del commercio illegale di sementi non certificate, così come allo scambio tra gli agricoltori di granella aziendale destinata ad essere impiegata come seme. Giuseppe Carli, presidente della sezione colture industriali di Assosementi, ha sottolineato come questi comportamenti illegali, mettano a repentaglio la qualità e la sicurezza della filiera produttiva legata alla soia ed ha evidenziato come sia doveroso ed urgente che queste pratiche vengano segnalate alle autorità preposte per essere adeguatamente perseguite;
   in tema di filiere agroalimentari, mangimistica e sementi c’è da sottolineare che in sede comunitaria è in corso un ampio dibattito sul tema della procedura di autorizzazione degli organismi geneticamente modificati a seguito della proposta della Commissione europea di modificare il regime di autorizzazione attualmente in vigore in Europa, lasciando libertà di scelta agli Stati membri, oltre a quella della messa a coltura di piante OGM (direttiva 2015/412), anche in materia di importazione di organismi geneticamente modificati (in primis la mangimistica);
   rispetto a questi temi un discorso da approfondire e mettere a sistema è quello delle colture destinate alla produzione delle piante proteiche, (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), delle proteoleaginose (girasole, soia, colza) e delle foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, e altro);
   tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l'ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre, contribuiscono a favorire la rotazione con molteplici benefici ambientali: migliorano la struttura e la fertilità del terreno; riducono l'impiego di fertilizzanti di sintesi e di agrofarmaci; evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali. Tali vantaggi hanno spinto l'Unione europea a promuovere un «piano proteine vegetali» che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità. L'opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali è derivata dalla nuova politica agricola comune 2014-2020;
   gli Stati membri possono destinare una percentuale del massimale nazionale per concedere aiuti accoppiati per una larga gamma di prodotti: cereali, semi oleosi, colture proteiche, legumi da granella, lino, canapa, riso, frutta a guscio, patate da fecola, latte e prodotti lattiero-caseari, sementi, carni ovine e caprine, carni bovine, olio d'oliva, bachi da seta, foraggi essiccati, luppolo, barbabietola da zucchero, canna da zucchero e cicoria, prodotti ortofrutticoli, bosco ceduo a rotazione rapida. L'obiettivo di questa tipologia di pagamenti diretti è di concedere un sostegno accoppiato a quei settori o a quelle regioni in cui esistono determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che si trovano in difficoltà;
   le colture proteiche rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali. Il finanziamento del pagamento accoppiato deriva da una percentuale fino al 13 per cento del massimale nazionale. Inoltre, gli Stati membri hanno la possibilità di aumentare il finanziamento del pagamento accoppiato del 2 per cento, arrivando quindi fino al 15 per cento, per sostenere la produzione di colture proteiche. L'importo massimo a disposizione dell'Italia per le proteine vegetali è di 79 milioni di euro (2 per cento del massimale dei pagamenti diretti nel 2015) destinato a scendere fino a 74 milioni di euro (2 per cento del massimale dei pagamenti diretti nel 2019);
   il Ministro Maurizio Martina, nel 2014, nelle linee programmatiche del suo dicastero, illustrate alla Camera e al Senato, ha affermato l'importanza di realizzare un piano relativo alle proteine vegetali su vasta scala, al quale sarebbero associati una serie di importanti obiettivi:
    1) ridurre la dipendenza dall'estero in termini di approvvigionamento di proteine vegetali: oggi si importa il 90 per cento circa delle farine di soia e di girasole, che rappresentano la principale base proteica dell'industria mangimistica italiana;
    2) ridurre l'inquinamento da nitrati, nelle regioni del bacino idrografico del fiume Po, grazie alla reintroduzione delle rotazioni colturali tra cereali e colture «azotofissatrici»;
    3) offrire una valida alternativa produttiva da avvicendare ai cereali;
   nei nuovi Programmi di Sviluppo Rurale è prevista una misura, i pagamenti agro-climatico-ambientali, che si sposa perfettamente con i vantaggi delle colture proteiche. C’è da specificare che per quel che riguarda l'Italia e le proteine vegetali, l'eccezionale impennata dei prezzi della soia e delle farine proteiche nel 2012, ha messo in evidenza il grave rischio di una tale dipendenza dall'estero di proteine vegetali. Basti pensare all'aumento del prezzo della soia che in Italia è passata da 200 euro/ton del 2005 ai 550 euro/ton nel 2013, mentre oggi si attesta sui 470 euro/ton –:
   quali azioni intenda intraprendere per contrastare le pratiche illegali del commercio di sementi;
   se il Governo intenda attivarsi in sede europea al fine di rafforzare il sostegno riguardo alla proposta di opting-out per ogni singolo Stato comunitario e di vietare i prodotti della mangimistica composti con alimenti di origine geneticamente modificata, così come avanzato in una proposta di regolamento della Commissione europea per definire una nuova regolamentazione del settore mangimistico europeo, in modo da creare filiere e prodotti veramente «Ogmfree», in modo da contribuire, in quota parte, al contrasto dei fenomeni di deforestazione illegale e devastazione ambientale e alterazione climatica;
   a che punto sia il piano relativo alle proteine vegetali su vasta scala che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha illustrato nelle linee programmatiche del suo dicastero;
   se non si ritenga opportuno porre in essere tutti gli strumenti e le azioni che la politica agricola comune prevede all'interno sia del I che del II pilastro e, in particolar modo, il «Partenariato Europeo per l'Innovazione», PEI, per la produttività agricola e la sostenibilità che mira a unire il mondo agricolo e quello della ricerca – distretti e cluster – a livello regionale, nazionale e comunitario, anche al fine di colmare la grave dipendenza dell'Italia dalle importazioni di colture proteiche che sono geneticamente modificate come nel caso della soia che lo è al 90 per cento;
   se non ritenga opportuno creare dei cluster di ricerca e d'implementazione in progetti pilota su aree urbane e periurbane di proprietà pubblica, in collaborazione con le università e gli istituti o enti di ricerca in ambito agronomico e scientifico al fine, ad esempio, di avviare un programma nazionale di recupero delle varietà proteiche endemiche con cui contribuire, gradualmente, nella diminuzione della dipendenza dall'estero, oltre a dare all'Italia una maggiore maturità socio-produttiva in un segmento di settore da stimolare e mettere a sistema.
(5-05906)


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 giugno, 2015, l'agenzia stampa Ansa riportava la seguente notizia: «L'Italia rischia di perdere 389 milioni di aiuti comunitari per l'agricoltura»;
   la Commissione europea ha proposto una «rettifica finanziaria», ossia una perdita di risorse da compensare nel periodo di programmazione 2014-2010, il cui importo è di 388.743.938 milioni di euro a causa di 11 anni di «gravi carenze» contestate all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, Agea, la quale gestisce le risorse economiche degli aiuti comunitari della Politica Agricola Comune, PAC, che ammontano a circa 7 miliardi di euro annui;
   tutto parte grazie a un'indagine della Guardia di finanza e dell'Ufficio antifrode europeo, Olaf, sul Sistema informatico agricolo nazionale, Sian, utilizzato per gestire tutte le operazioni relative alla PAC in Italia. Gli accertamenti hanno consentito di scoprire l'esistenza di un registro parallelo, una sorta di limbo, che in Agea era conosciuto e gestito da pochi;
   la contabilità debitoria di posizioni irregolari o fraudolente legate all'uso dei fondi dell'Unione europea veniva riportata in questo registro parallelo. La pratica è andata avanti dal 1999 al 2013, fino a quando la guardia di finanza e l'Olaf hanno deciso di vederci chiaro;
   le situazioni opache, invece di essere approfondite e risolte col recupero del denaro da Agea negli anni, sono state ammucchiate in un angolo nascosto del Sian, lasciando che finissero in prescrizione. Questo significa che quando l'Italia sarà chiamata dalla Commissione europea a rispondere delle somme in sede definitiva – la cifra sarà compensata con gli aiuti previsti dalla nuova programmazione 2014-2020 –, Roma potrebbe non avere posizioni su cui rivalersi per limitare il danno economico;
   sulla vicenda vi è un'inchiesta della procura di Roma. I responsabili dell'ufficio monocratico di Agea che si sono susseguiti a partire dal 2008, Paolo Gulinelli, Alberto Migliorini e Concetta Loconte, quest'ultima tuttora in carica, rischiano il rinvio a giudizio per l'ipotesi di reato di abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. I tre indagati non avrebbero controllato l'esatta contabilizzazione dei pagamenti eseguiti e avrebbero trasmesso alla Unione europea dichiarazioni relative ai conti annuali degli organismi pagatori, omettendo di informare la Commissione del numero effettivo e della reale entità delle posizioni debitorie conseguenti alle erogazioni indebitamente erogate;
   la direttrice della direzione generale Agri, Christina Borchmann, in una lettera dello scorso aprile afferma che: «...date le preoccupazioni sollevate dall'audit, la dg Agri intende proporre una rettifica finanziaria relativa a tutti i debiti non recuperati anteriormente al 2010. L'importo massimo della correzione ammonta a 388.743.938 milioni, di cui 388.728.816 finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia, FEAGA, e 15.121 dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, FEASR...». Nella lettera si fa anche presente che per il momento non sono stati presi in considerazione anche i 152 milioni di euro delle cosiddette «banche dati non gestite», vale a dire un altro ambiente del Sian i cui conti non quadrano e le cifre iscritte, nonostante riportino la dicitura «nazionale», sono in parte comunitarie. Le prime irregolarità sono state riscontrate già nel 2009;
   l'Olaf parla di irregolarità per 17 milioni di euro già nel 2009 all'interno del cosiddetto schema «set-aside». È un regime agronomico adottato nell'ambito della PAC dal 1988 fino al 1998, il quale prevedeva la possibilità per i proprietari di terreni non coltivati di ricevere alcuni finanziamenti. In questo contesto erano state riscontrate documentazioni false e manipolazioni dell'intero sistema con pagamenti non dovuti di circa 100 mila euro a beneficiario fino al 2006;
   altro precedente rispetto all'utilizzo dei fondi PAC ha riguardato la Sicilia. Sempre grazie ad una indagine condotta dall'Olaf nei confronti dell'Italia risalente al giugno 2013 sull'utilizzo di alcuni fondi dell'Unione europea nell'isola, sono stati recuperati 28 milioni di euro e sono state indagate 47 persone;
   secondo il rapporto del 2014 dell'ufficio anti frodi Ue, l'Italia con 61 inchieste nazionali aperte è seconda in Europa per sospette frodi ai Fondi europei nel periodo di programmazione 2007-2014. In tutto sono 61 i casi cui si aggiungono sette indagini condotte direttamente dall'Olaf nel corso del 2014 e riguardanti l'utilizzo di fondi comunitari da parte delle amministrazioni nazionali o regionali italiane –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e, in caso affermativo, quali interventi urgenti si intendano adottare per scongiurare la «rettifica finanziaria» che comporterebbe per l'Italia la perdita di 388.743.938 milioni di euro nella programmazione 2014-2020;
   quali azioni si intendano adottare per impedire che la perdita di risorse, a seguito di rettifica finanziaria, vada a scapito del settore primario del sistema Paese;
   se il Governo consideri ormai non più recuperabili le somme erogate da AGEA a favore di chi ne ha beneficiato impropriamente e illecitamente;
   se alla luce di quanto descritto nel presente atto di sindacato ispettivo, non si ritenga necessario e urgente trasferire le competenze di erogazione in capo ad AGEA al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e, conseguentemente, quelle del Sistema informatico agricolo nazionale;
   se non si valuti opportuno sospendere in via cautelativa o trasferire ad altra funzione la signora Concetta Loconte, attualmente in carica e sotto inchiesta dalla Procura della Repubblica di Roma.
(5-05911)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, ALBERTI, CASO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, PESCO, TRIPIEDI, BASILIO, COMINARDI, PETRAROLI, SORIAL, TONINELLI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia Ansa di Milano del 16 giugno 2015 riporta la notizia «Truffa da 28 milioni di euro allo S. Raffaele, nove indagati»;
   la procura di Milano contesta una truffa da 28 milioni di euro su 4 mila interventi chirurgici e si appresta a chiedere il processo per 9 persone, tra amministratori, dirigenti e primari, tra cui anche Alberto Mandrillo, medico personale di Berlusconi e l'amministratore delegato del gruppo Nicola Bedin; indagata anche, per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, la Fondazione Monte Tabor, collegata al S. Raffaele;
   «stando alle conclusione delle indagini, tra il 2011 e 2013, nel corso di migliaia di interventi le équipe di medici sarebbero state solo sulla carta regolarmente costituite, in quanto chirurghi e/o anestesisti erano presenti contemporaneamente in più sale operatorie»;
   «in circa 2 mila interventi chirurgici medici specializzandi avrebbero sostituito anestesisti o chirurghi. Sui registri sarebbe stato segnalato che tutti i requisiti erano stati rispettati in odo da ottenere i rimborsi per le prestazioni erogate da parte del sistema sanitario. (...) Per le autorità giudiziarie i dirigenti del S. Raffaele, con la complicità dei primari, avrebbero truffato il sistema sanitario, violando i requisiti di accreditamento relativi al numero minimo ed alle qualifiche degli operatori chirurgici ed anestesisti che debbono essere presenti per ogni tipo di intervento»;
   «i dirigenti del S. Raffaele avrebbero fatto apparire rispettati i requisiti attraverso il “Registro Operatori”, facendo risultare delle équipe mediche regolarmente costituite nella composizione, in modo tale da percepire i rimborsi dal servizio sanitario/regionale. (...) La procura della Corte dei Conti della Lombardia ha aperto un fascicolo per presunto danno erariale»;
   il decreto legislativo 288 del 2003 «Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico», a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3- prevede:
    all'articolo 1 comma 2: «Ferme restando le funzioni di vigilanza e di controllo spettanti al Ministero della salute (...)»;
    all'articolo 15 comma 2 :«Il Ministero della salute, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza di cui all'articolo 1, comma 2; può verificare in ogni momento la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle Fondazioni IRCCS, degli Istituti non trasformati e di quelli privati. Nel caso di sopravvenuta carenza di tali condizioni, il Ministero informa la regione territorialmente competente ed assegna all'ente un termine non superiore a sei mesi entro il quale reintegrare il possesso dei prescritti requisiti (....);
    alla scadenza di tale termine, sulla base dell'esito della verifica, il Ministro della salute, d'intesa con il Presidente della regione interessata, conferma o revoca il riconoscimento»;
    all'articolo 16 comma 3: «I consigli di amministrazioni delle Fondazioni IRCCS e gli organi degli IRCC non trasformati possono essere sciolti con provvedimento del Ministro della salute, adottato d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Presidente della Regione, quando: a) risultano gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi e reiterate violazioni delle disposizioni di legge o statutarie»;
   il decreto legislativo n. 231 del 2001 (disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche..) prevede:
    al comma 1, lettera a) dell'articolo 5 «Responsabilità dell'ente»: «L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente (...)»;
    al comma 2 lettera a) dell'articolo 9, «Sanzioni amministrative»: «l'interdizione dall'esercizio dell'attività»;
    al comma 1 lettera a) dell'articolo 13 «Sanzioni interdittive»: «Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di avviare tutte le iniziative spettanti alle sue funzioni di vigilanza e di controllo, previste dal decreto legislativo n. 288 del 2003, per fare chiarezza sugli accadimenti sopra descritti;
   se voglia verificare la congruità dei requisiti prescritti per il riconoscimento della Fondazione Monte Tabor, come previsto dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 288 del 2003;
   se non ritenga di applicare al S. Raffaele quanto previsto dall'articolo 16 del decreto legislativo 288 del 2003 che prevede lo scioglimento dei consigli di amministrazione delle fondazioni IRCCS quando risultano gravi irregolarità nell'amministrazione;
   se i risultati dell'inchiesta sugli illeciti al S. Raffaele di Milano in particolare rafforzino l'azione inibitoria da parte del Ministro in considerazione dell'indagine in corso per le norme previste dal decreto legislativo n. 231 del 2001 (disciplina della responsabilità amministrativa), alla luce del coinvolgimento nelle indagini di amministratori e di persone che rivestono funzioni di rappresentanza del S. Raffaele;
   se non valuti opportuno promuovere un adeguamento normativo del decreto legislativo n. 288 del 2003 quando si rilevano non solo responsabilità individuali di amministratori sanitari ma anche delle strutture aziendali ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001. (5-05921)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presidio ospedaliero «Santa Maria degli Ungheresi», operante sin dal 1905 (con successive ristrutturazioni ed ammodernamenti, riallocazioni logistiche ed ampliamenti) nella cittadina di Polistena in provincia di Reggio Calabria è la struttura sanitaria più grande e con il maggior numero di reparti nell'area della Piana di Gioia Tauro e rappresenta un centro di riferimento per l'erogazione di servizi essenziali di assistenza sanitaria della medesima area territoriale;
   si tratta di una struttura cardine del servizio sanitario per la gestione delle emergenze-urgenze sul territorio, con un bacino di oltre 15.000 abitanti che vi fanno riferimento ed un'area territoriale che comprende oltre 20 comuni, di cui gran parte montani, tra i quali, oltre a Polistena, Cinquefrondi, Melicucco, Cittanova, San Giorgio Morgeto, Taurianova, Rosarno, Laureana  di Borrello, San Ferdinando, Maropati, Galatro, Giffone, Anoia, Feroleto, Serrata, Candidoni, San Pietro di Caridà, Rizziconi e Oppido Mamertina, oltre ad utenze dal vibonese e soprattutto della  fascia  territoriale compresa tra Gioiosa Jonica, Grotteria e Mammola, e l'area territoriale attraversata dalla strada statale di grande comunicazione Jonio-Tirreno, nota purtroppo alle cronache per essere teatro di incidenti stradali spesso mortali;
   la struttura è articolata in 14 reparti: chirurgia generale, otorinolaringoiatria, ostetricia e ginecologia, ortopedia, SAR e terapia intensiva, medicina generale, cardiologia, pediatria, radiologia, farmacia ospedaliera, gastroenterologia, servizio psichiatrico (diagnosi e cura), pronto soccorso, oltre alle seguenti strutture ed organi interni: laboratorio analisi, farmacia ospedaliera, CUP, centralino e direzione sanitaria;
   secondo quanto segnalato con forte preoccupazione da cittadini ed amministratori locali, e riportato sulle agenzie stampa dei mezzi locali di informazione, l'ospedale sarebbe oggetto di un piano di ridimensionamento connesso alle previsioni del documento di riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza-urgenza e delle reti tempo dipendenti predisposto dal Commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese (secondo i piani operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della legge 30 dicembre 2009, n. 191, nominato con deliberazione del Consiglio dei ministri in data 12 marzo 2015), e sarebbe imminente, come annunciato dalla direzione ospedaliera, lo smantellamento di alcuni reparti dell'ospedale, tra i quali: pediatria e ostetricia, per i quali a partire dal 1o luglio sarebbe previsto il blocco dei ricoveri e la chiusura del punto nascite; i reparti rianimazione ed ortopedia, per i quali a partire dalla medesima data saranno garantite solo le emergenze; il reparto psichiatria, con previsione, sempre a partire dal 1o luglio, del blocco dei ricoveri per i trattamenti sanitari obbligatori;
   il ridimensionamento troverebbe la propria giustificazione nella previsione della realizzazione della nuova struttura ospedaliera della Piana di Gioia Tauro, i cui lavori di realizzazione sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa svoltasi alcuni mesi addietro alla presenza dei referenti istituzionali regionali, con indicazione dei tempi e delle modalità di realizzazione. Secondo quanto annunciato nel corso della conferenza, i tempi necessari per il completamento dei lavori sono stimati in due anni ed otto mesi e la struttura sarebbe operativa solo a partire dal 2018. Emergerebbe dunque un lungo periodo di mancata copertura dei servizi sanitari, attualmente erogati dall'ospedale Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, che verrebbe a determinarsi se le annunciate previsioni di imminente ridimensionamento del presidio venissero a concretizzarsi;
   l'interrogante rileva come la struttura sanitaria di maggiore prossimità per gli abitanti della zona sarebbe il presidio degli ospedali riuniti «Bianchi-Melacrino», sito nella città di Reggio Calabria, di difficile raggiungibilità e significativamente distante per molti dei cittadini e delle famiglie che risiedono nei comuni che attualmente fanno riferimento all'ospedale di Polistena per le prestazioni sanitarie ed i servizi essenziali delle prestazioni e di assistenza garantite dalla strutturi;
   la notizia è stata percepita dalla popolazione, dalle famiglie e dagli amministratori locali come un fulmine a ciel sereno e ha generato grande preoccupazione per le ricadute che il concretizzarsi dei ridimensionamenti previsti nei tre reparti interessati dalle previsioni in questione andrebbero a generare sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, in specie con riferimento ai servizi di rianimazione ed assistenza pediatrica e nel comparto maternità, che si configurano quali centri di assistenza indispensabili per garantire la salvaguardia della salute dei bambini e dei nascituri nonché per la gestione delle urgenze ed emergenze nel reparto riconnesse ai protocolli di rianimazione;
   l'interrogante, nel condividere e rappresentare dinanzi al Ministro interrogato la diffusa preoccupazione dei cittadini e delle famiglie residenti nell'area territoriale che afferisce alla struttura, ritiene opportuno rimarcare come la funzionalità di tutti i reparti del polo ospedaliero non può essere oggetto di revisione o riduzione, in specie in considerazione di livelli di utenza elevati e soprattutto in ragione della situazione di sofferenza nella quale già versa la sanità regionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle iniziative avviate presso l'ospedale Santa Maria degli Ungheresi della città di Polistena, dirette al blocco dei ricoveri ed al ridimensionamento dell'erogazione delle prestazioni nei reparti di pediatria, ostetricia, rianimazione, ortopedia e psichiatria;
   entro quale termine urgente il Governo intenda assumere iniziative per quanto di competenza, al fine di promuovere una revisione del piano di riorganizzazione della rete ospedaliera predisposto dal commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi nel servizio sanitario regionale calabrese, considerata penalizzante per la garanzia della tutela della salute dei cittadini afferenti al polo ospedaliero di Polistena. (4-09616)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la SOI – Società oftalmologica italiana ha di recente condotto un'indagine conoscitiva sull'uso del farmaco Avastin e degli altri farmaci intravitreali per la cura delle maculopatie attraverso appositi questionari sottoposti a primari e direttori di cattedra universitaria di 215 unità operative di oculistica del nostro Paese;
   dai risultati di tale indagine sarebbe emerso che, negli ultimi anni e dopo le delibere di merito adottate da AIFA, si sarebbe verificato un crollo del 74 per cento dell'uso di Avastin, che sarebbe passato dal 58 per cento dell'intera spesa 2012 al 18 per cento del 2015, mentre l'uso di Lucentis avrebbe avuto, un incremento di quasi 20 punti percentuali, passando dal 38 per cento dell'intera spesa del 2012 al 55 per cento del 2015. Inoltre in seguito alle indicazioni/restrizioni poste da AIFA nel giugno 2014, soltanto 58 unità operative di oculistica, utilizzerebbero oggi Avastin, sottoponendosi a procedure assai complesse ed onerose;
   secondo i numeri forniti da IMS Health, società leader mondiale nella raccolta e nell'analisi dei dati sanitari, nel nostro Paese si sarebbe verificata una riduzione complessiva su base annua del numero delle iniezioni intravitreali eseguite, in assoluta controtendenza rispetto all'aumento generale, sempre su base annua, registrato nei Paesi dell'Unione europea con popolazione simile a quella italiana (Francia, Inghilterra e Germania). Nel 2014, a fronte di una media annuale di 650.000 trattamenti in Paesi simili al nostro (665.274 in Francia, 641.301 in Inghilterra), in Italia sarebbero stati erogati solamente 240.000 trattamenti, malgrado l'aumento esponenziale delle richieste da parte dei pazienti;
   l'indagine di SOI mette inoltre in luce la disparità di utilizzo dei due farmaci. Nell'ultimo anno (marzo 2014 – febbraio 2015) in Italia si sarebbero spesi infatti 337.000 euro per Avastin (ad uso oftalmologico), per un numero complessivo di circa 33.000 iniezioni intravitreali e 142 milioni di euro per Lucentis, pari a circa 142.000 iniezioni intravitreali. Da tale rapporto, si evince che una dose di Avastin per uso intravitreale costerebbe poco più di 10 euro, mentre una iniezione di Lucentis costerebbe circa 1000 euro. L'analisi degli elementi statistici disponibili induce poi a ritenere che il numero totale dei trattamenti nel periodo preso in esame sia stato inferiore ai 200.000;
   secondo SOI la scarsità di Lucentis dovuta agli alti costi, sommata alle crescenti difficoltà nel reperire Avastin per uso oftalmologico (e cioè adeguatamente frazionato) avrebbero comportato danni alla salute visiva di migliaia di pazienti, specie per quei cittadini che dispongono di limitate possibilità economiche per ricorrere alle cure presso strutture private;
   il 4 giugno 2015, durante l’iter dibattimentale in XII Commissione affari sociali di un'interrogazione parlamentare vertente sull'andamento delle somministrazioni e del consumi a carico del Servizio sanitario nazionale dei due farmaci, il Sottosegretario al Ministero della salute, onorevole De Filippo, ha depositato un dossier composto di due tabelle: la prima contenente una lista di 1.512 centri ospedalieri – sia pubblici che privati – autorizzati a somministrare il medicinale Avastin. La seconda contenente una serie di informazioni circa l'indicazione terapeutica autorizzata, il numero totale dei trattamenti farmacologici avviati, la cifra dei pazienti curati ed il quantitativo delle dispensazioni dei due farmaci;
   secondo quest'ultima tabella, nel periodo 2008 – 2014, i pazienti trattati con Avastin sarebbero 6.471 con un numero di dispensazioni del farmaco di 13.690 unità. Tale numero sembrerebbe davvero risibile in rapporto alle esigenze terapeutiche statisticamente attese e del tutto incongruo anche sotto il profilo della appropriatezza di cura in quanto certificherebbero come ciascuno dei 6.471 pazienti trattati abbia ricevuto una media di 2,1 iniezioni intraoculari;
   stante che il protocollo di trattamento universalmente condiviso dalla comunità scientifica internazionale prevede una loading phase di 3 iniezioni consecutive a distanza di un mese e poi la prosecuzione del trattamento in base all'andamento del quadro clinico (as needed regimen oppure treat and extend regimen) con un numero medio di somministrazioni per occhio trattato di 6/7 per anno, si desumerebbe che i 6.471 pazienti trattati con Avastin non siano stati trattati secondo appropriatezza in quanto la media delle iniezioni intraoculari per paziente (2,1) indicherebbe persino il non corretto completamento della loading phase;
   relativamente al farmaco Lucentis, tali tabelle evidenzierebbero come, nello stesso periodo di tempo, i pazienti trattati sarebbero stati 47.875 per un totale di 173.404 iniezioni: anche in questo caso, la media sarebbe di 3,6 iniezioni per paziente, ben al di sotto delle indicazioni di appropriatezza terapeutica. Se infatti, per quanto attiene ai numeri relativi al Lucentis, sarebbe possibile ipotizzare l'appropriatezza almeno nel completamento della loading phase (3 iniezioni per paziente), anche in questo caso è impossibile certificare il completamento statistico delle azioni terapeutiche previste dai protocolli standard (che richiedono mediamente 6/7 iniezioni per anno);
   sempre relativamente al periodo 2008 – 2014, la documentazione ministeriale indica anche l'andamento annuale dei consumi a carico del Servizio sanitario nazionale per il farmaco Avastin (71.401.555,71; 126.470.647,37; 126.037.320,54; 122.591.687,36; 123.152.743,26; 142.489.790,30; 172.705.954,45) e per il farmaco Lucentis (0,00; 15.847.703,12; 26.154.282,25; 40.076.102,55; 51.208.443,16; 83.957.923,68; 79.654.809,96), da cui si evince una crescita esponenziale del primo e una crescita molto più contenuta del secondo;
   tali numeri appaiono totalmente contrastanti rispetto a quelli forniti da SOI, ma anche intrinsecamente contraddittori con i dati forniti dal Ministero stesso e relativi al numero dei trattamenti erogati e ai pazienti sottoposti a cure. Limitandoci alla valutazione dei dati relativi all'annualità 2014, 172 milioni di euro di spesa per Avastin ad uso oftalmologico, al costo medio tra i 10 e i 20 euro per dose, significherebbero più di 12 milioni di trattamenti erogati. A questi si aggiungerebbero i trattamenti con Lucentis, per una spesa di 79 milioni di euro nel 2014 che, al costo unitario di circa 1000 euro per trattamento, equivarrebbe ad ulteriori 79.000 trattamenti. Sono sufficienti tali semplici valutazioni a certificare la incoerenza complessiva dei dati forniti dal Ministero, che appaiono comunque in stridente contrasto con le statistiche emerse dall'indagine conoscitiva condotta dalla SOI;
   secondo la stessa SOI, le inconciliabili divergenze tra i dati sarebbero in parte imputabili a vari fattori controversi, tra i quali:
    il possibile computo dell'uso di Avastin in campo oncologico all'interno dei dati relativi alla spesa per Avastin in campo oftalmologico. (Si fa presente che il costo di Avastin ad uso oncologico oscilla intorno ai 54.000 euro a paziente su base annua – 4.500 euro al mese – mentre il costo delle iniezioni intravitreali da effettuare ad un paziente affetto da maculopatia è intorno ai 100 euro su base annua);
    la verosimile, erronea inclusione nell'elenco dei centri ad alta specializzazione di tutte le strutture che erogano prestazioni di oculistica e non solo invece di quelle in grado di praticare una corretta e sicura terapia intravitreale. In ogni caso, nell'elenco ministeriale non sono precisate e numerate le strutture che realmente erogano il servizio ai cittadini e che mettono a disposizione dei pazienti la terapia intravitreale con Avastin;
   ancora, se non si insinuasse il ragionevole dubbio di un errore di valutazione nella raccolta dei dati ministeriali relativi all'uso oftalmologico di Avastin, sarebbe davvero difficile comprendere come, in presenza di un crollo del 74 per cento dell'uso di Avastin negli anni esaminati, suffragato anche dal numero inferiore di trattamenti avviati (6.779 contro i 51.894 di Lucentis); dal numero inferiore di pazienti trattati (6.471 contro i 47.875 di Lucentis); dal numero di dispensazioni di farmaco erogate (13.690 contro i 173.404 di Lucentis) e in presenza, altresì, di un costo ampiamente inferiore di Avastin rispetto a Lucentis (circa 14 euro a iniezione contro i 1000 euro di Lucentis), la spesa a carico del Servizio sanitario nazionale di Avastin sia invece più che doppia rispetto a quella di Lucentis (172 milioni di euro contro 79 milioni);
   nell'aprile scorso, l'OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe deciso di non includere il Lucentis nella lista dei farmaci essenziali di cui ogni Paese dovrebbe dotarsi. La Commissione, riunitasi a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2015, avrebbe esaminato la richiesta di Novartis di inserire Lucentis all'interno di detta lista, per il trattamento delle malattie neovascolari dell'occhio. In esito alla istruttoria svolta, la Commissione avrebbe ritenuto che, sulla base del materiale scientifico finora a disposizione, bevacizumab e ranibizumab mostrino simili profili di efficacia e sicurezza; per contro, sul versante dell'analisi economica, che seppur subordinata non può certo essere trascurata, Avastin sarebbe da preferirsi, in quanto Lucentis ha un costo notevolmente più alto, senza che ciò sia giustificato da benefici di carattere clinico. La Commissione avrebbe altresì espresso la propria preoccupazione circa un'eventuale inclusione del ranibizumab tra i farmaci essenziali poiché tale azione avrebbe potuto sottrarre risorse economiche ad altri, necessari interventi. Attualmente, pertanto, nella lista dei farmaci essenziali stilata dall'OMS, l'unico farmaco anti-VEGF presente è il bevacizumab, somministrato per iniezione intravitreale da 25 mg/mL –:
   se sia a conoscenza delle conclusioni dell'indagine conoscitiva sull'uso del farmaco Avastin e degli altri farmaci intravitreali per la cura delle maculopatie condotta dalla SOI e come intenda spiegarne le discrasie con i dati in proprio possesso depositati alla Camera dei deputati il 4 giugno 2015;
   se possa confermare e, nell'ipotesi affermativa, spiegare le ragioni del preoccupante gap che contraddistingue il nostro Paese relativamente al numero delle iniezioni intravitreali somministrate negli ultimi anni rispetto a quanto avviene in altri Paesi dell'Unione europea e come intenda affrontare le criticità che ne conseguono, soprattutto in relazione alla riduzione delle tutele sanitarie specifiche alle fasce socialmente ed economicamente più fragili della popolazione anziana con maculopatia;
   se valuti sufficiente la copertura assistenziale prevista dal Servizio sanitario nazionale nei confronti dei numerosi pazienti che hanno la necessità di ricorrere alla suddetta terapia;
   se per favorire l'accesso alle cure a tutti i cittadini italiani che ne hanno diritto, non ritenga utile intervenire affinché AIFA nel pieno rispetto delle esigenze di appropriatezza e sicurezza, possa rivedere e semplificare le prescrizioni restrittive sull'uso di Avastin per uso oftalmologico, introdotte a partire dall'ottobre 2012. (4-09632)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PIRAS, DURANTI, MELILLA, MARCON, SCOTTO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO, SANNICANDRO, QUARANTA, LUCIANO AGOSTINI e MARCHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2014, in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti d'America e dall'Unione europea, il Presidente della Federazione russa ha, con il decreto (ukaz) n. 560 «Sull'applicazione di singole misure economiche speciali atte a garantire la sicurezza della Federazione russa», introdotto il divieto di importare in Russia alcune categorie di alimenti per un periodo non superiore a un anno;
   tra i prodotti sottoposti a divieto di importazione (indicati del decreto attuativo del Governo della Federazione russa «Sui provvedimenti di attuazione del decreto del Presidente della Federazione russa del 6 agosto 2014 n. 560», il 7 agosto 2014), figurano determinati prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte (come attestato dal certificato di origine della merce) nei Paesi dell'Unione europea, negli Stati Uniti d'America, Canada, Australia e Norvegia;
   la Commissione europea nell'ultimo rapporto del 27 maggio 2015, ha sostenuto che le sanzioni alla Federazione russa hanno sull'economia europea un impatto «limitato e non influente su gran parte delle esportazioni», essendo limitate a una parte dell’export degli armamenti e ad una ristretta gamma di prodotti e beni di consumo. Tuttavia, le contromisure del Governo della Federazione russa sul divieto di importazione di prodotti agroalimentari hanno effetti significativi sulla economia italiana;
   il «Monitor dei distretti», pubblicazione trimestrale della banca Intesa San Paolo dedicata alle aree produttive distrettuali, ha rilevato, ad esempio, come la crisi russo-ucraina abbia influito in modo negativo sul commercio e sul volume di nuovi investimenti diretti, calcolando che «in Russia e in Ucraina l'export dei distretti industriali italiani si sia portato in territorio negativo già nel primo trimestre del 2014, per poi subire un vero e proprio crollo sul mercato ucraino tra aprile e giugno (30,1 per cento). Nel complesso del primo semestre le esportazioni distrettuali hanno subito un calo dell'8,5 per cento in Russia e del 19,3 per cento in Ucraina»;
   per quanto riguarda il comparto agroalimentare Coldiretti ha segnalato come le esportazioni in Russia sono più che dimezzate nel primo bimestre del 2015 (-53,8 per cento), dopo un calo delle spedizioni nel 2014 stimato in 100 milioni;
   secondo Coldiretti Marche, che ha elaborato i dati Istat del commercio estero, nella regione Marche il prolungamento dell'embargo al 2016 (Internazionale.it, 24 giugno 2015), annunciato dal Governo della federazione Russa, costerà all'economia regionale circa 25 milioni di euro al mese, mentre nel comparto agroalimentare della regione si registra già una contrazione del 300 per cento nel primo trimestre 2015 (Il Messaggero, 25 giugno 2015);
   una delle conseguenze più significative dell'embargo russo, per le associazioni di categoria, è il blocco dell'espansione dei prodotti sul mercato russo, negli ultimi anni in costante ascesa. Situazione che, data la grande domanda in Russia di prodotti made in Italy, sta alimentando il fenomeno dell’«italian sounding», ossia la produzione locale di prodotti spacciati per italiani –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze ed in sede comunitaria, per arrivare alla ripresa degli scambi commerciali con la Federazione Russa. (5-05910)


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 giugno 2015 presso la sede del comando provinciale di Pesaro si è svolta una cerimonia in occasione del 241o anniversario della fondazione della Guardia di finanza, dove è stato stilato un bilancio delle attività del Corpo nella provincia, da gennaio a maggio 2015;
   tra i risultati conseguiti nei diversi settori operativi si segnalano gli «interventi tesi a reprimere l'illecita penetrazione di aziende straniere nel tessuto economico fanese, urbinate e pesarese»;
   dal resoconto presentato è emerso come, nei primi 5 mesi dell'anno, sono stati conclusi controlli fiscali e verifiche nei confronti di imprenditori di etnia cinese, attivi nel settore manifatturiero dell'abbigliamento, ai quali sono state constatate diffuse violazioni di carattere fiscale e penale;
   le operazioni ispettive hanno permesso, altresì, di individuare due lavoratori «in nero» (su più di 80 lavoratori dipendenti, quasi tutti di etnia cinese, identificati in sede di accesso), di cui uno senza permesso di soggiorno (per il quale è scattato il provvedimento di espulsione), e di sequestrare un locale aziendale a Fossombrone (Pesaro - Urbino) per gravi violazione alle norme antinfortunistiche sui posti di lavoro;
   nel resoconto del comando provinciale sono riportate anche le attività in materia di «tutela dei diritti di proprietà, dei consumatori del made in Italy», che, sempre nel periodo di riferimento, ha condotto al sequestro di «circa 1.331 pezzi recanti marchi contraffatti o non conformi alle norme di sicurezza (per la maggior parte prodotti d'elettronica, capi d'abbigliamento e giocattoli) e la denuncia all'Autorità Giudiziaria di nove soggetti»;
   come ha giustamente rilevato l'estensore del resoconto «il contrasto al fenomeno della contraffazione e della vendita di prodotti insicuri è fra le priorità operative del Corpo. L’“industria del falso” è infatti strettamente connessa alle attività delle più importanti organizzazioni criminali che gestiscono le reti dell'immigrazione clandestina e dello sfruttamento del lavoro nero e irregolare, inquinando il mercato e sottraendo alla collettività importanti risorse tramite l'evasione fiscale, contributiva ed il riciclaggio di capitali illeciti»;
   le attività illegali sin qui riportate, con tutta evidenza, intrecciano, quindi, profili legati all'evasione fiscale, all'attività della criminalità organizzata, all'immigrazione clandestina, alla tutela dei lavoratori e alla concorrenza sleale;
   l'attività repressiva rendicontata nella provincia di Pesaro e Urbino, seppur valida e meritevole, appare tuttavia marginale rispetto all'ampiezza dei fenomeni descritti, se semplicemente comparati con le stime generali su evasione fiscale e contraffazione (come ad esempio il rapporto 2014 «La contraffazione: dimensione, caratteristiche ed approfondimenti», redatto da Censis e Direzione generale lotta alla contraffazione – ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello sviluppo economico) –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, non ritengano opportuno assumere iniziative per intensificare le attività di coordinamento tra le varie istituzioni impegnate nel contrasto dei fenomeni illustrati in premessa;
   in caso affermativo, quali iniziative intendano adottare a tal fine. (5-05915)


   GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   per la promozione del made in Italy agroalimentare nel mondo, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, hanno messo sul tavolo 30 milioni di euro, che saranno gestiti dall'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, ex ICE;
   una delle azioni messe in atto dall'Agenzia per la promozione del made in Italy è quello della diffusione e commercializzazione dei prodotti italiani attraverso un portale di e-commerce denominato Storytalia che servirebbe alla «promozione dei beni di consumo delle PMI nei mercati internazionali»;
   secondo quanto previsto dal Codice unico sui lavori pubblici, gli appalti che superano la soglia di 211.000 euro (soglia comunitaria) richiederebbero delle gare pubbliche, disciplinate dal codice stesso salvo casi del tutto particolari ed eccezionali ma, secondo quanto riportato da alcune fonti stampa; la realizzazione del portale di e-commerce di cui al punto precedente è stata assegnata dall'ICE, con un avviso di aggiudicazione del 24 dicembre 2014, alla holding di Confindustria, Stil Novo Management spa, il valore dell'appalto è di 286.500 euro;
   la motivazione fornita dall'Agenzia, reperibili sulla stessa fonte, per assegnare il finanziamento senza ricorrere ad una gara pubblica è di «carattere artistico», ritenendo che i lavori per la realizzazione del portale «possano essere forniti unicamente da un determinato offerente riconosciuto nella Stil Novo Management spa, anche se poi a realizzare il sito sarà Postecom spa, società facente parte del Gruppo Poste Italiane e che gestisce per conto di Stil Novo Management S.r.l. in full outsourcing i servizi di vendita on-line dei prodotti proposti;
   secondo quanto si legge ancora nell'articolo il presidente di Stil Novo Management spa è Paolo Zegna che fino a sei mesi prima sedeva nel consiglio di amministrazione dell'Agenzia e la società di Confindustria presieduta da Zegna è anche partecipata al 20 per cento da SIMEST spa di cui Riccardo Monti, presidente in carica dell'Agenzia ex ICE, è il vicepresidente;
   sempre nell'ambito della realizzazione del portale Storytalia c’è stato un altro avviso di aggiudicazione, datato sempre 24 dicembre 2014 e finalizzato «al lancio del portale Storytalia e campagna di marketing online che attraverso l'impiego di Google favorisca la visibilità del portale»: le risorse assegnate per il «lancio» del portale sono 240.000 euro;
   il beneficiario di tale commessa è ancora la Stil Novo Management spa e le motivazioni per cui l'Agenzia non ha indetto una gara – a discapito delle tante agenzie di comunicazione di piccole, medie e grandi dimensioni che affrontano sul mercato questo periodo di crisi e di contrazione degli investimenti in pubblicità – in questo caso sono «tecniche» per cui solo Stil Novo management, secondo l'Agenzia era la società in grado di realizzare una campagna di comunicazione di un portale di e-commerce;
   i risultati ottenuti dal portale Storytalia, il cui investimento sarebbe stato di 1,8 milioni di euro e per il quale si stima a fine 2015 un fatturato di 1 milione di euro, la stessa Agenzia ha dichiarato che i dati sul traffico registrerebbero dalla messa in esercizio del portale (novembre 2014) oltre 200.000 accessi e oltre 470.000 visualizzazioni di pagine;
   il 20 gennaio 2015 sul sito dell'Agenzia è comparso un nuovo avviso di aggiudicazione, il cui valore questa volta è di 500.000 euro per acquisire servizi di gestione pubblicitaria e realizzare un «progetto di comunicazione per supportare e valorizzare il made in Italy all'estero»;
   anche in questo caso non è stata effettuata alcuna gara e secondo l'Agenzia il servizio di «gestione pubblicitaria» può essere svolto unicamente da un determinato offerente: Il Sole 24 Ore spa, la società editrice di Confindustria;
   a metà maggio 2015 una nuova aggiudicazione, sempre di acquisti di servizi di campagne pubblicitarie, del valore di 735.528 euro, viene assegnata alla stessa Il Sole 24 Ore spa per la realizzazione di un «campagna pubblicitaria sui siti web delle testate Financial Times, Wall Street Journal, The Economist volta a rafforzare la percezione dell'Italia e dei suoi punti di eccellenza nei principali mercati esteri attraverso la pubblicazione del video «Italy – The Extraordinary Commonplace»»;
   la motivazione dell'Agenzia è che un solo soggetto, Il Sole 24 Ore spa, in Italia è concessionario per la pubblicità su Financial Times, Wall Street Journal e The Economist –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e come giudichi le modalità di assegnazione degli appalti da parte dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, specie in relazione all'alto valore economico di ogni appalto;
   quali siano i risultati effettivamente raggiunti dai progetti appaltati dall'Agenzia ai soggetti indicati in premessa, anche in base alla realizzazione effettiva degli obiettivi previsti dalla mission dell'ente e che dovrebbero essere raggiunti utilizzando parte dei 30 milioni di euro messi a disposizione dai due dicasteri interrogati. (5-05922)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa si apprende che la conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico per discutere in merito all'autorizzazione alla realizzazione di un impianto di rigassificazione sito nel porto di Trieste (Zaule) avanzata dalla società Gas Natural convocata per il 19 maggio 2015, è stata inizialmente posticipata all'11 giugno 2015, per poi essere nuovamente rinviata di novanta giorni;
   il comitato portuale dell'autorità di Trieste, circa la proposta avanzata dalla società spagnola, ha dichiarato che «non ritiene né utile né percorribile la rideterminazione del Piano regolatore portuale di Trieste per renderlo compatibile con l'impianto di rigassificazione proposto dalla società Gas Natural. La Commissione è del parere che, rispetto a quanto richiesto dall'articolo 2 del decreto interministeriale, non si possa provvedere alla rideterminazione delle previsioni di sviluppo espresse dal Piano regolatore del porto di Trieste senza arrecare grave nocumento allo sviluppo dei traffici e del porto medesimo. Si ritiene incompatibile ogni altra localizzazione del terminale GNL di rigassificazione all'interno dell'ambito portuale di Trieste, per gli stessi motivi e le stesse criticità già evidenziate dal caso dell'impianto localizzato a Zaule»;
   il comune di Trieste, con nota inviata al Ministero dello sviluppo economico, ha espresso parere contrario rispetto al compimento dell'opera rappresentando il potenziale rischio sismico dell'area del golfo di Trieste;
   la provincia di Trieste ha richiesto al Ministero dello sviluppo economico la sospensione del procedimento autorizzativo alla costruzione del rigassificatore per la mancata acquisizione da parte della società proponente della compatibilità ambientale sul progetto sulle opere di allaccio alla rete nazionale di metanodotti;
   la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha dichiarato la propria contrarietà all'insediamento industriale, ritenendolo un ostacolo allo sviluppo dei traffici marittimi, rispetto al modello di sviluppo elaborato dall'autorità portuale di Trieste ed ha sottolineato la priorità dei traffici marittimi rispetto alle infrastrutture energetiche –:
   quali siano le ragioni alla base del nuovo rinvio della conferenza di servizi e quale sia l'orientamento del Ministro interrogato, rispetto all'avanzamento del procedimento autorizzativo dell'opera, e alla piena contrarietà da parte dell'opinione pubblica e dell'intero sistema locale. (4-09613)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a Faenza opera dal 1944 Cisa spa, azienda leader nel settore delle serrature e tecnologie, per la sicurezza, capace di essere presente con il suo marchio in oltre 70 Paesi;
   la società fa parte dal dicembre 2013 del gruppo Allegion, corporation statunitense con fatturato superiore ai 2 miliardi di dollari, 25 marchi in portafoglio e oltre 8.500 dipendenti diretti in 130 stabilimenti;
   in precedenza il controllo della società era appartenuto ad un'altra multinazionale USA, la Ingersol Rand, di cui Allegion è una derivazione;
   il sito faentino occupa attualmente circa 530 dipendenti, impegnati nell'intero ciclo produttivo, dalla ricerca alla commercializzazione;
   un secondo sito è attivo a Monsampolo del Tronto (AP), dove sono impiegati 236 lavoratori;
   in data 23 giugno 2015 l'azienda comunica in un incontro con le organizzazioni sindacali tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico di voler procedere a dichiarare in esubero 238 addetti per il sito di Faenza: e 20 per quello di Monsampolo;
   la motivazione è la volontà di trasferire le lavorazioni meccaniche in paesi caratterizzati da minori costi di produzione, per lasciare in Italia la ricerca e i sistemi di sicurezza elettronici;
   in termini quantitativi, per Faenza significa perdere l'80 per cento della produzione;
   le organizzazioni sindacali hanno rigettato l'ipotesi della direzione aziendale, peraltro sprovvista di qualsiasi piano industriale e l'incontro è stato riaggiornato al 16 luglio;
   si ricorda che in particolare il territorio faentino è stato interessato da pesanti crisi industriali, come quelle di Omsa spa e Ceramiche Imolesi, che hanno comportato la perdita di centinaia di posti di lavoro –:
   quali iniziative intenda mettere in campo nelle settimane intercorrenti fino al 16 luglio 2015 ai fini di tutelare l'occupazione e la presenza sul territorio nazionale di una Capacità produttiva quasi secolare e capace di innovarsi continuamente, che sarebbe seriamente compromessa in caso di trasferimento di interi segmenti di attività. (4-09621)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Busin e Guidesi n. 7-00713, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fedriga, Attaguile, Allasia, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio e altri n. 4-09469, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palazzotto.

Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Locatelli n. 1-00553, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 268 del 21 luglio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Unicef nel mondo ci sono oltre 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori, precoci, forzati (Child, Early, Forced Marriage – CEFM);
    l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana sono le regioni in cui questa pratica è più largamente diffusa dove, non casualmente in coincidenza, sono presenti altri gravi fenomeni come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l'analfabetismo. Ma si registrano casi anche in Medio Oriente e Africa settentrionale così come in Europa, compresa l'Italia, per effetto dei processi migratori, anche se il fenomeno è di difficile rilevazione, in quanto spesso queste unioni non vengono registrate;
    questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per «liberarsi» delle figlie, considerate un peso, perché «poco produttive», nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali;
    al contrario, essi comportano una serie di conseguenze negative che segnano per sempre la vita delle spose bambine: quest'ultime vengono precocemente sottratte all'ambiente della famiglia e a volte della comunità di origine, sono spesso soggette a violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, vittime di abusi e sfruttamento, impedite nelle opportunità educative (solitamente il matrimonio comporta l'abbandono scolastico) e di lavoro, vivono esperienze che comportano conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale;
    al matrimonio precoce seguono quasi sempre gravidanze altrettanto precoci che provocano decine di migliaia morti, una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un'alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici;
    già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell'educazione nelle azioni di prevenzione;
    nel programma di azione della stessa Conferenza i Governi firmatari si erano impegnati a proteggere e promuovere il diritto degli/delle adolescenti a ricevere un'educazione sulla salute riproduttiva e a garantire l'accesso universale a queste informazioni;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce espressamente i/le bambini/e (ossia persone di età tra 0 e 18 anni) come titolari di diritti e l'articolo 16 della convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) menziona il diritto di essere protette da matrimoni precoci;
    molti Paesi, compresi quelli in cui questa pratica è diffusa, hanno stabilito per legge l'età minima per il matrimonio, l'istruzione obbligatoria e i reati contro i minori, ma le norme tradizionali o di ordine religioso continuano ad avere il sopravvento sulla legislazione nazionale;
    malgrado la dichiarazione, pressoché universale, di impegno a porre fine alla pratica, si calcola che matrimoni di bambine di meno di 15 anni continueranno ad essere celebrati e che in questo decennio saranno 50 milioni le bambine che potrebbero rischiare di sposarsi prima di quell'età;
    il 18 dicembre 2013 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati; questa risoluzione comprende raccomandazioni «di sostanza» sulle quali convergono gli Stati membri con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte delle Nazioni Unite e delle loro agenzie, di Stati membri, organizzazioni internazionali, espressioni della società civile ed altri rilevanti attori;
    l'azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili (MGF). Secondo i dati delle Nazioni Unite, pubblicati in occasione della scorsa giornata internazionale «tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili», il numero delle ragazze vittime di questa pratica, che mette in serio pericolo la loro vita, è diminuito e l'adozione unanime da parte dell'assemblea generale delle Nazioni Unite della risoluzione del dicembre 2012 con la quale gli Stati membri sono stati invitati a intensificare gli impegni per la completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili ha certamente contribuito al conseguimento di questo risultato;
    la questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell'azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile;
    il nostro Paese ho svolto un grande ruolo, riconosciuto a livello internazionale, nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che ha fatto acquisire all'Italia un'autorevolezza internazionale tale da consentirgli di svolgerne uno altrettanto importante nella prevenzione ed eliminazione dei CEFM;
    il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles il 4 e 5 giugno 2014, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, porre fine a tutte le forme di discriminazione e di violenza contro donne e ragazze, porre fine ai matrimoni di minori, precoci e forzati e promuovere la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alla risoluzione 69/156 «Matrimoni di minori, precoci, forzati» adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014;
   a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale la campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine con l'impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
   a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all'abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati.
(1-00553)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Zampa, Bergamini, Galgano, Spadoni, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Gadda, Gebhard, Gribaudo, Gullo, Iori, Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Massimiliano Bernini n. 1-00744, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 382 del 26 febbraio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità infantile è un problema di notevole rilevanza sociale che in Italia colpisce un bambino su quattro, ed è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo causato dall'ingestione di più calorie di quante se ne consumino;
    secondo i dati dell'Istituto superiore della sanità l'Italia detiene il triste primato europeo del numero di bambini sovrappeso o obesi e che secondo il recente rapporto dell'Osservatorio del Dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'università Milano Bicocca, un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso. In Italia la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica supera di circa 3 punti percentuali la media europea, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti;
    la definizione di sovrappeso e di obesità infantile è più complessa rispetto all'adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al BMI (Body Mass Index o Indice di massa corporea) che è uguale al peso in chilogrammi diviso l'altezza in metri elevata al quadrato (Confalone, 2002);
    pur avendo basso errore di osservazione, basso errore di misurazione, buona affidabilità e validità, il BMI non può essere una misura sensibile dell'obesità in persone molto alte e basse, ed in persone che hanno insolite composizioni di massa magra e massa grassa (Sardina, 1999);
    un comitato competente, convenuto nell’International Obesity Task Force nel 1999, ha determinato che – sebbene il BMI non fosse una misura ideale – era comunque il più valido tra tutte le formule che calcolano l'adiposità in un individuo e perciò poteva essere usato per definire il sovrappeso e l'obesità in bambini ed adolescenti (Bellizzi, 1999);
    in base a queste conclusioni, la WHO (Organizzazione mondiale della sanità), per definire sovrappeso ed obeso un bambino, utilizza i «punti» di BMI realizzati da uno studio di Cole nel 2000 e sviluppati usando diversi dati mondiali che rappresentano perciò una referenza internazionale che può essere usata per comparare le diverse popolazioni mondiali;
    il Ministero della sanità italiano definisce obeso un bambino il cui, peso supera del 20 per cento quello ideale, e in sovrappeso se lo supera del 10-20 per cento in alternativa, lo definisce tale quando il suo BMI è maggiore del previsto;
    la crescita ponderale del bambino viene calcolata facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età (Confalone, 2002) e che secondo recenti studi effettuati nel 2000 dal NCHS (Centro Nazionale di Statistiche per la Salute Statunitense), la crescita è nella norma se si pone intorno al 50o percentile, mentre coll'allontanamento dal valore medio, aumenta il rischio di obesità: tra l'85o al 95o percentile il bambino viene definito sovrappeso, mentre dal 95o percentile viene definito obeso (Kuczmarski, 2000);
    diversi ed autorevoli esponenti del mondo scientifico come il professor Franco Berrino, già direttore di dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell'Istituto nazionale dei minori di Milano e Direttore Scientifico del mensile Vita&Salute, dichiarano che «Gli alimenti ad alta densità calorica sono quelli che contengono molto grasso e zucchero. Questi alimenti, come merendine, biscotti da colazione, fiocchi di cereali zuccherati, e così anche le bevande zuccherate, fanno ingrassare e alterano il nostro ambiente endocrino facendo aumentare l'insulina. Queste alterazioni alla lunga fanno aumentare il rischio di ammalarsi di tumore e di varie altre malattie croniche che affliggono le popolazioni ricche»;
    l'obesità infantile preoccupa in quanto i bambini obesi hanno maggiori possibilità di divenire adulti obesi e di conseguenza di avere un maggior rischio di sviluppare una serie di condizioni patologiche, quali i tumori (in particolare al seno, al corpo dell'utero e al colon-retto), diverse patologie croniche come le malattie cardiovascolari (ischemie, l'ictus), l'ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, problemi muscolo-scheletrici e respiratori;
    oltre a quanto riportato nel punto precedente, i bambini obesi sperimentano peggiori condizioni di salute mentale e fisica, infatti sono comuni tra loro i problemi respiratori, l'ipertensione, la resistenza all'insulina e problemi osteo-articolari;
    l'obesità comporta elevati costi per la società: costi diretti, costituiti dalle risorse spese per la diagnosi ed il trattamento dell'obesità in se stessa e delle patologie ad esso correlate, e costi indiretti, dovuti alla perdita di produttività causata dalle maggiori assenze dal lavoro delle persone obese e dalla loro morte prematura (OMS 2000; Yach et al. 2006; Hu 2008);
    secondo le ultime stime OMS, circa il 7 per cento del budget sanitario dei paesi europei viene speso per malattie legate all'obesità (EU action plan on Childhood Obesity 2014-2020);
    fino a due o trecento anni fa lo zucchero non faceva parte dell'alimentazione abituale dell'uomo, bensì faceva parte delle preziose spezie importate dall'oriente, dove cresceva la canna da zucchero che i mercanti veneziani vendevano a caro prezzo, soprattutto per scopi medici, o appannaggio solo delle classi più abbienti;
    ci furono tentativi di coltivare la canna da zucchero anche in Europa, in particolare in Sicilia e a Madeira, ma non ebbero successo mentre la canna cresceva bene nelle terre del nuovo mondo e subito si prospettarono grandi potenzialità commerciali, a spese però delle popolazioni indigene soggiogate per lo sua coltivazione o importando schiavi dall'Africa;
    solo in epoca napoleonica, grazie alla coltivazione della barbabietola da zucchero, coltivabile alle nostre latitudini, si svilupparono gli zuccherifici in Europa, comportando la progressiva diminuzione dei prezzi dello zucchero che divenne alimento di tutti, e di tutti i giorni, ma che fu la nemesi della schiavitù nei confronti dello stesso;
    negli anni Cinquanta, grazie alle «bevande di fantasia» e agli altri beni di consumo provenienti dagli USA, lo zucchero divenne simbolo di modernità e di emancipazione conquistando l'immaginario giovanile e parte delle loro abitudini alimentari;
    le bevande zuccherate prima di allora venivano consumate saltuariamente (la gassosa che gli operai mescolavano al vino o alla birra, l'aranciata consumata solamente in occasione delle feste o delle vacanze), ma è stato dopo l'avvento della Coca-Cola e dei suoi distributori automatici che venne segnato il passaggio da un consumo eccezionale al consumo quotidiano e di massa;
    oggigiorno è acclarato come il consumo incontrollato delle «bevande di fantasia zuccherate» sia una delle cause principali dell'obesità infantile e dell'età adulta, mentre fino a pochi decenni fa il mondo scientifico ancora dibatteva per la mancanza di prove scientifiche decisive, visto che i grandi studi che indagavano sul consumo alimentare, intervistando un campione della popolazione, riscontravano generalmente che le persone sovrappeso mangiassero meno zucchero delle magre, dimentichi del fatto che questi soggetti tendano a rispondere ai questionari alimentari dichiarando quello che dovrebbero mangiare, piuttosto di quello che mangiano effettivamente;
    solo grazie ad uno studio pubblicato nel 2001 venne dimostrato che la prima causa di obesità dei bambini americani è il consumo abituale di bevande gassate e zuccherate, mentre altri studi confermarono le osservazioni anche negli adulti ed evidenziarono inoltre come causa importante di obesità è la frequentazione dei fast-food;
    l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha diffuso la raccomandazione di contenere il consumo di zucchero entro il 10 per cento delle calorie totali (circa 50 grammi di zucchero al giorno per un uomo che consumi 2.000-2.500 kcal), mentre i nuovi LARN (le raccomandazioni italiane) raccomandano di contenere il consumo di zuccheri semplici, siano essi naturalmente presenti negli alimenti, come in frutta, latte, siano essi aggiunti, nell'ambito del 15 per cento del fabbisogno, specificando però che un consumo «potenzialmente legato a eventi avversi» riguarda valori superiori al 25 per cento del fabbisogno;
    da agenzie stampa dello scorso aprile 2014, la stessa OMS, presso la conferenza ONU di Ginevra, ha rivisto al ribasso la percentuale di consumo di zucchero dal 10 per cento al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente, a seguito di una consultazione popolare promossa «in rete» e che tale raccomandazione non esonera le aziende produttrici di alimenti che sarebbero costrette così a commercializzare prodotti privati di una buona parte della sostanza gradevole per il palato;
    le raccomandazioni dell'OMS sono state fortemente osteggiate dalle grandi corporation alimentari insinuando che fossero addotte senza prove scientifiche e che lo stesso Ministro della salute italiana, Beatrice Lorenzin, nel corso della presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea recentemente trascorsa e prima della sua partecipazione alla seconda conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla FAO, dall'OMS e con la partecipazione di 190 Paesi, dichiarava: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie. Poi però viene ammessa l'invasione di biscotti, barrette e cose simili con aspartame (un edulcorante artificiale ndr)»;
    il 4 novembre 2014 presso Palazzo Chigi diversi produttori del settore alimentare hanno incontrato il premier Renzi e ed il Ministro Lorenzin durante la quale riunione si è discusso anche di zucchero ed è stato affermato che «è un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell'obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore» e tra quest'ultime l'educazione alimentare a partire dalla scuola, alla scelta corretta dei cibi (freschi anziché confezionati), alla promozione dell'attività fisica, al sostegno della dieta mediterranea;
    i limiti proposti dall'OMS corrispondono a 10-12 cucchiaini al giorno di zucchero successivamente ridotto ad un massimo di 5-6, il che comporta il superamento di tali valori anche a seguito del consumo di pochi ml di bevande di fantasia al giorno;
    il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF) dichiari che «Limitare il consumo di cibi ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate», è la prima raccomandazione alimentare a cui è giunto il comitato di esperti dopo aver esaminato tutti gli studi scientifici su dieta e cancro;
    lo zucchero è presente in molti alimenti di consumo dove normalmente il consumatore generico non penserebbe di trovarlo, ad esempio in diversi prodotti in scatola, nei sughi pronti, nella maionese, nelle fette biscottate, nel pane, nello yogurt, nei succhi di frutta, e altro e che probabilmente è utilizzato come edulcorante per camuffare il gusto di alimenti di qualità scadente che altrimenti sarebbero sgradevoli;
    è acclarato che una riduzione degli zuccheri significherebbe quindi non solo migliorare la nostra salute, ma anche contribuire indirettamente ad offrire alimenti di maggior qualità, con particolare riguardo ai più giovani verso un futuro più sano quando saranno adulti e di ridurre significativamente la spesa sanitaria legata ai fenomeni dell'obesità;
    diverse grandi aziende stanno sostituendo lo zucchero con gli edulcoranti, sostanze chimiche che possiedono un alto potere dolcificante e le molecole che li compongono non appartengono alla famiglia degli zuccheri. A causa del loro potere altamente dolcificante vengono anche designati con l'aggettivo di intensi in quanto possiedono un potere edulcorante molto più pronunciato rispetto a quello dello zucchero;
    come riportato dagli organi di stampa, in Inghilterra il Public Health England, ramo del Ministero della salute britannico, ha lanciato una nuova campagna per il cambiamento delle abitudini alimentari dei bambini in merito al consumo di zucchero, seguendo alcuni semplici consigli e coinvolgendo i genitori ad aiutare i propri figli a dimezzare l'apporto quotidiano di zuccheri semplici;
    l'iniziativa «Change4Life» a seguito di un sondaggio online condotto da Netmums, (un portale di genitori), emerge che circa la metà (il 47 per cento) delle mamme intervistate si è detta preoccupata per gli zuccheri assunti dai figli, e un numero superiore (il 67 per cento ha affermato che siano comunque troppi e che dalle risposte di quasi 700 madri di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, è risultato che i due terzi di esse non sanno quante sono le calorie medie consigliate ogni giorno e ignorano la differenza delle necessità caloriche tra maschi e femmine;
    è la mancanza della consapevolezza di cui al punto precedente che determina i valori antropometrici dei bambini che sono sotto gli occhi di tutti: secondo le ultime statistiche un bambino su cinque tra 1 e 5 anni e uno su 3 tra i 10 e gli 11 anni è in sovrappeso od obeso; inoltre, tra i 5 e i 9 anni la prima causa di visita in Pronto Soccorso è per il dolore associato a una carie; 28 per cento dei bambini di cinque anni ha una carie e, di questi, uno su quattro ne ha più di cinque;
    un report statunitense, ove l'obesità è un problema molto serio, evidenzia che le calorie assunte tramite bevande ammontano a circa il 19 per cento delle calorie totali giornaliere, vale a dire circa 400-600 kcal al giorno in una dieta rispettivamente di 2.000 e 3.000 kcal, di queste una fonte importante è rappresentata dalle bevande zuccherate di fantasia (circa 150 kcal die o più a seconda degli studi pubblicati) mentre una parte minore è rappresentato dal latte o bevande a base di latte e succhi di frutta al 100 per cento;
    secondo le raccomandazioni più diffuse, peraltro giudicate troppo permissive, i bambini dovrebbero assumere circa il 10 per cento delle calorie dagli zuccheri, ma tra i 4 e i 10 anni i piccoli britannici ricavano da dolciumi e bibite più del 50 per cento, in media così suddivise: 17 per cento, da bevande dolci, 17 per cento da dolci, biscotti, merendine e torte alla frutta, 14 per cento da caramelle, 13 per cento da succhi di frutta, 8 per cento da cereali da colazione;
    il progetto «Change4Life», volto a modificare le abitudini, è basato su semplici consigli che ogni genitore può fare propri, tra le quali: sostituire i cereali per la colazione zuccherati con quelli privi di zuccheri aggiunti, meglio se integrali; sostituire le bevande zuccherate con acqua, latte scremato bibite prive di zuccheri; sostituire le merendine industriali con torte fatte in casa, frutta, verdure crude o frutta secca; sostituire il gelato con yogurt o frutta;
    gli unici zuccheri semplici desiderabili sono quelli contenuti nella frutta o in altri prodotti naturali mentre gli zuccheri complessi o carboidrati come l'amido della pasta/riso/pane/legumi e altro, devono essere presenti in abbondanza nella dieta sino a coprire una quota del 55/75 per cento (di cui zuccheri semplici meno del 10 per cento) delle calorie giornaliere;
    la sponsorizzazione della campagna di cui al punto precedente (lanciata il 5 gennaio 2015) pone la questione che le aziende coinvolte sono le stesse che dovrebbero rinunciare a una parte del profitto in seguito al calo di vendite, tra queste: Asda, Tesco, Co-op, Aldi, Coca-Cola (Diet Coke e Coke Zero), Morrisons, mySupermarket, e Lead Association for Catering in Education (LACA);
    è opinione dei firmatari del presente atto che le campagne di promozione di una corretta alimentazione siano credibili ed efficaci solo se promosse dall'autorità sanitaria pubblica, quindi finanziata con denaro al di sopra di ogni sospetto;
    rimane comunque il concetto che l'approccio educazionale, secondo molti esperti, è fondamentale per ottenere risultati concreti e duraturi perché solo la consapevolezza può spingere i consumatori a fare scelte razionali ogni giorno respingendo l'assalto del marketing della malnutrizione;
    diversi studi e ricerche di settore hanno evidenziato come molti produttori preparino i loro alimenti/bevande al pari di veri e propri irresistibili cocktail, che ossia abbiano quel mix ideale di componenti per raggiungere il «bliss point» (il punto di massima «beatitudine» o piacere) e che vengano consumati in grande quantità in particolare dai ragazzi, visto che è dimostrato come lo zucchero sia in grado di stimolare le stesse aree del cervello che sono stimolate dalla cocaina;
    gli alimenti altamente processati dell'industria alimentare sono progettati per ingannare i meccanismi biologici che stanno alla base della nostra fame/sazietà e sono quindi parte integrante dell'ambiente «obesogeno» che ha causato l'esplosione dell'obesità nel mondo;
    molti alimenti indirizzati dal mercato alla colazione o merenda dei ragazzi sono spesso accompagnati da «regalini», «sorpresine» e più in generale da una serie di gadget che non hanno nulla a che vedere con la qualità dell'alimento ma che di fatto finiscono per condizionare molto le scelte dei ragazzi e delle famiglie, mentre non è altrettanto facile accostare la frutta ed alimenti affini a gadgetistica, sfavorendo l'alimento di qualità rispetto a quello meno indicato per una sana alimentazione,

impegna il Governo:

   a promuovere una campagna di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot sui principali organi di stampa e/o con pubblicità progresso in tv per indicare i valori di una sana alimentazione, ossia che fornisca in abbondanza tutto quello di cui abbiamo bisogno ma al contempo riduca le calorie, con minor presenza di grassi e zuccheri, con l'obiettivo di evitare che la piaga dell'obesità si estenda in modo irreversibile;
   a chiedere ai grandi produttori di alimenti per la colazione e merenda di collaborare alla significativa riduzione della quota di zucchero saccarosio contenuto negli alimenti messi in commercio, ridimensionare l'utilizzo di farine e cereali raffinati, oltre che di grassi saturi;
   ad intervenire anche assumendo iniziative a livello normativo per porre dei limiti all'utilizzo di zucchero saccarosio contenuto negli alimenti messi in commercio nel territorio italiano;
   ad assumere iniziative normative affinché nelle confezioni dei prodotti destinati ai più giovani e nelle bevande gassate zuccherate siano riportate etichette o scritte che indichino il rischio di obesità associato al consumo squilibrato dello zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) in esso contenute;
   ad assumere iniziative normative per limitare l'associazione di gadget agli alimenti per colazione e merende chiaramente riservate ai più piccoli;
   a dare piena ed esaustiva applicazione al regolamento (UE) n. 1169/2011 al fine di garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano.
(1-00744)
«Massimiliano Bernini, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Parentela, Benedetti, Mantero, Silvia Giordano, Grillo, Cariello».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Mucci n. 5-04836 del 25 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Naccarato n. 5-05465 del 28 aprile 2015;
   interrogazione a risposta scritta Dadone n. 4-09349 del 4 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Pinna n. 4-09574 del 24 giugno 2015.

ERRATA CORRIGE

  La risoluzione in Commissione Di Battista e altri n. 7-00701 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 447 del 22 giugno 2015.
  Alla pagina 26321, prima colonna, alla riga trentatreesima deve leggersi: «ad adottare ogni iniziativa necessaria a» e non come stampato.