Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 23 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nella vicenda riguardante le sanzioni alla Russia bisogna avere la consapevolezza che esistono delle ragioni di natura geo-politica che prevalgono su quelle di carattere economico, perché esse hanno costituito la risposta più responsabile e contenuta alle iniziative politico-militari poste in essere dal Governo russo nei confronti dell'Ucraina;
    la Russia ha palesemente violato la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Ucraina, sia attraverso l'illegittima annessione della Crimea, sia attraverso l'assistenza militare diretta e indiretta fornita nel Donbass a formazioni separatiste, in aperta violazione delle convenzioni internazionali;
    infine, si ripetono azioni di propaganda, forme di pressioni economiche e finanziarie, anche attraverso la gestione delle forniture energetiche, nonché episodi di sconfinamenti aerei e navali da parte di unità militari, che alimentano la tensione internazionale;
    per quanto riguarda la crisi ucraina, al fine di evitare la ricerca di soluzioni militari e nella prospettiva invece di una soluzione negoziata sul piano diplomatico, sono stati sottoscritti gli accordi di Minsk, che non vengono, però, sostanzialmente applicati sia per il permanere di frequenti violazioni del cessate il fuoco, sia per il mancato completamento del ritiro degli armamenti pesanti e degli scambi di prigionieri, sia per l'assenza di sviluppi rispetto all'attuazione di riforme istituzionali in Ucraina e alla tenuta di elezioni locali nel Donbass;
    la comunità internazionale ha deciso di mettere in atto meccanismi sanzionatori nei confronti della Russia, quale unico strumento di pressione volto a far recedere il Governo russo dalle interferenze e dalle violazioni del diritto internazionale;
    in questo quadro, l'Unione europea ha deciso di imporre nel luglio 2014 un pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia che colpiscono i settori della difesa, dell'energia e del sistema finanziario russo e che ovviamente anche l'Italia, in quanto membro dell'Unione europea, applica;
    l'accordo tra i Governi europei prevedeva che le misure sarebbero rimaste in vigore fino alla scadenza prevista dagli accordi di Minsk per la pace in Ucraina per la loro piena e completa attuazione (31 dicembre 2015). A tal fine l'Unione europea ha deciso di prorogare di ulteriori 6 mesi, fino al gennaio 2016, le sanzioni in scadenza;
    certamente, come evidenziato da diversi studi e analisi indipendenti, sia per l'Unione europea che per la Russia il costo delle sanzioni e dell'embargo è rilevante, con possibili effetti negativi sull'occupazione e sulla crescita;
    la Russia costituisce un soggetto di fondamentale importanza negli equilibri non solo europei ma globali;
    le relazioni tra Italia e Russia sono storicamente solide sul piano economico, con forti e strutturati scambi commerciali e collaborazioni tra i rispettivi sistemi produttivi;
    il Presidente Putin, attraverso interviste, viaggi e partecipazioni ad eventi internazionali come Expo 2015, ha più volte recentemente dichiarato la propria volontà di costituire per l'Occidente un partner affidabile;
   le sanzioni, quantunque rappresentino uno strumento straordinario e non possano considerarsi la modalità ottimale per la soluzione dei problemi, in quanto comportano sacrifici sia per le popolazioni che le subiscono, sia per i Paesi che le attuano, sono tuttavia una soluzione inevitabile e concordata a livello internazionale;
   l'efficacia delle sanzioni contro la Russia non può prescindere dal mantenimento di un accordo unanime da parte della comunità internazionale e la loro eventuale revoca unilaterale da parte del nostro Paese costituirebbe un grave e pericoloso segnale di indebolimento della posizione occidentale e di implicita legittimazione delle violazioni commesse dalla Russia in Ucraina;
   l'Italia ritiene che la via maestra deve essere quella della mediazione. L'obiettivo deve essere quello di assicurare all'Ucraina la sovranità e l'integrità territoriale con soluzioni che portino la Russia a bloccare tutte quelle azioni che hanno provocato la decisione delle sanzioni;
   è auspicabile che tutte le parti pongano fine alle violazioni degli accordi di Minsk e ne attuino integralmente i contenuti secondo le richieste della comunità internazionale e che, alla luce di questo, si possa, in tempi ragionevolmente brevi, ristabilire un clima di rapporti normale nei confronti della Russia,

impegna il Governo:

   a intensificare e rafforzare la propria azione politico-diplomatica verso la Russia, al fine di spingere il Governo russo ad attuare gli accordi di Minsk, ad esercitare la propria influenza sui separatisti e a ripristinare il pieno rispetto del diritto internazionale in Ucraina;
   nello stesso tempo ad incentivare il Governo ucraino nella realizzazione delle riforme istituzionali richieste dall'accordo di Minsk, affinché possa trovare attuazione un ordinamento che assicuri una prospettiva di decentramento e uno status speciale alle aree russofone del Donbass;
   a sostenere con grande convinzione l'azione dell'Unione europea e qualsiasi ulteriore sforzo della comunità internazionale che vada nella medesima direzione e, in questo quadro, ad aprire in sede di Unione europea un confronto su possibili misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera più colpiti dagli effetti dell'embargo russo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà che il settore agroalimentare italiano sta registrando a causa dell'embargo russo;
   a procedere in linea con le decisioni della comunità internazionale rispetto alle sanzioni contro la Russia, mantenendole in essere finché non vi sarà una diversa determinazione comunemente assunta sulla base di positivi sviluppi e di un ripristinato rispetto del diritto internazionale.
(1-00920) «Cicchitto, Amendola, Mazziotti Di Celso, Marazziti, Locatelli, Rabino, Alli, Manciulli, Causin, Benamati, Scopelliti, Nicoletti, Sammarco, Librandi».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il mercato europeo dei permessi di emissione (European Union Emissions Trading Scheme – EU-ETS) è stato creato per ridurre le emissioni europee di gas a effetto serra prevedendo un tetto massimo alle emissioni prodotte dai settori industriali più inquinanti;
    in base al funzionamento del sistema EU-ETS una certa quantità di «permessi di emissione», ciascuno corrispondente ad una tonnellata di CO2 equivalente, viene distribuita ai principali emettitori, in alcuni casi gratuitamente in altri attraverso delle aste, che possono poi scambiarli con gli altri soggetti partecipanti al mercato;
    sebbene, la quantità totale di emissioni consentite venga determinata da un'autorità esterna, per rispettare il vincolo ambientale, l'allocazione dei permessi viene invece determinata dal mercato, con una riduzione delle emissioni. Ogni impresa può scegliere se investire nella riduzione delle proprie emissioni adottando migliori tecnologie e vendendo sul mercato l'eccesso di permessi che rimane a sua disposizione, oppure comprare i permessi da altri operatori;
    in questo modo le aziende più inquinanti acquistano più permessi pagando per l'inquinamento prodotto. Si auspica così la creazione di un sistema incentivante per le imprese che scelgono di investire nella riduzione delle proprie emissioni, adottando migliori tecnologie che possono poi vendere l'eccesso di permessi che rimane a disposizione;
    nel tempo tuttavia si è creato uno squilibrio tra l'offerta e la domanda di permessi sul mercato che ha fatto scendere il prezzo del carbonio e spinto gli investitori ad evitare di investire in tecnologiche alternative e organizzative a basse emissioni di carbonio. Tale eccedenza ha portato ad un eccessivo ribasso del prezzo del carbonio che ha disincentivato gli investimenti in nuovi sistemi di produzione a basso impatto ambientale e che ha conseguentemente intaccato il ruolo dell'ETS nell'offrire una conveniente riduzione di gas serra a lungo termine;
    l'attuale eccesso di offerta di permessi sul mercato, facendo scendere il prezzo del carbonio, ha indebolito il mercato EU-ETS nella sua ragion d'essere; questo drastico ridimensionamento del prezzo del carbonio ha avuto effetti negativi anche nel nostro Paese causando il ritardo nel riconoscimento dei crediti ai cosiddetti «nuovi entranti» e riducendo i cespiti provenienti dalle aste destinabili a finalità di contrasto ai cambiamenti climatici e al giusto riconoscimento delle competenze dei componenti del comitato Ets;
    al fine di limitare l'eccesso di offerta di carbonio e per garantire la stabilità del sistema nel lungo termine la Commissione europea ha previsto l'introduzione del Market Stability Reserve (MSR), introdotta per garantire un costante aumento del prezzo del carbonio e reintrodurre così la fiducia degli investitori nel mercato delle emissioni come strumento per dare un vero segnale di prezzo che orienti le scelte sia nel breve che soprattutto nel lungo periodo;
    sono in corso in sede europea negoziazioni per arrivare ad una riforma che renda efficace il sistema di scambio di emissioni nella sua funzione di rendere onerose per le imprese le attività economiche che comportino consistenti emissioni di CO2;
    è sempre più evidente la necessità di introdurre un sistema efficace di carbon tax come sottolineato da numerose organizzazioni internazionali tra le quali la Banca mondiale; è infatti opportuno introdurre un sistema di tassazione del carbonio con regole chiare, coerenti, uniformi e stabili nel tempo per dare al sistema delle imprese il giusto incentivo per indirizzare le proprie scelte di investimento verso tecnologie e attività economiche a bassissime emissioni di carbonio,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza per sanare nel minor tempo possibile la questione dei crediti spettanti ai cosiddetti «nuovi entranti»;
   a destinare gli introiti ricavati dalle aste a finalità di contrasto ai cambiamenti climatici, fatta salva la quota di adeguata e contenuta retribuzione dei membri del comitato Ets;
   ad adoperarsi in sede europea per rafforzare le misure di riforma del sistema EU-ETS al fine di renderne efficace il funzionamento complessivo e a promuovere la definizione nelle sedi opportune di misure fiscali di tassazione del carbonio in modo da costruire un sistema di regole e disincentivi economici coerente e stabile nel tempo che consenta di rendere onerose le attività economiche che comportano consistenti emissioni di gas serra, in modo da indirizzare le scelte di investimento delle imprese verso tecnologie e attività economiche a bassissime emissioni di carbonio.
(7-00711) «Stella Bianchi».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2009/29/CE, ha modificato la direttiva 2003/87/CE «Emissions Trading» che ha istituito un sistema europeo per lo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra. La direttiva si applica a tutte le installazioni dei settori industriali a maggiori emissioni di CO2;
    il nostro Paese ha provveduto a recepire detta direttiva 2009/29/CE con il decreto legislativo n. 30 del 2013;
    l'articolo 19 del suddetto decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, prevede principalmente che: a) la messa all'asta della quantità di quote determinata con decisione della Commissione europea, è disciplinata dal regolamento sulle aste, i cui proventi sono versati al GSE in un apposito conto corrente dedicato; b) il GSE trasferisce i proventi delle aste ed i relativi interessi maturati su un apposito conto acceso presso la Tesoreria dello Stato. Detti proventi sono successivamente versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati ad appositi capitoli per spese di investimento, con vincolo di destinazione; c) alla ripartizione delle suddette risorse si provvede, con decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze da e arsi entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di effettuazione delle aste; d) il 50 per cento è suddiviso assegnato al Ministero dello sviluppo economico per il rimborso dei crediti spettanti agli operatori «nuovi entranti» degli impianti ETS, mentre l'altro 50 per cento è suddiviso per il 70 per cento a favore del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il 30 per cento a favore del Ministero dello sviluppo economico per attività finalizzate a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra, sviluppare le energie rinnovabili, rafforzare la tutela degli ecosistemi terrestri e marini ed altre attività in campo ambientale;
    al 31 dicembre 2014, sono stati trasferiti alla Tesoreria dello Stato proventi per oltre 464 milioni di euro relativi alle aste e agli interessi maturati nel corso degli anni 2012 e 2013. Riguardo ai 365 milioni di euro di ricavi delle aste relative al 2014, queste avrebbero dovuto essere trasferite dal GSE alla Tesoreria entro e non oltre il 20 maggio 2015;
    rispondendo a una interrogazione (n. 5-05661) presentata dai firmatari del presente atto di indirizzo, il 21 maggio 2015, la Sottosegretaria Silvia Velo ha dichiarato come i proventi delle aste di competenza dell'anno 2013 siano ripartiti: per 213,2 milioni di euro, al Ministero dello sviluppo economico per il rimborso dei crediti spettanti agli operatori degli impianti ETS cosiddetti «nuovi entranti»; per 149,2 milioni di euro, al Ministero dell'ambiente; per 64 milioni di euro al Ministero dello sviluppo economico. Queste due ultime voci di spesa per finalità ambientali, sono suddivise: a) fino a 20 milioni di euro per l'anno 2014 e fino a 30 milioni di euro annui per il periodo 2015/2020, per il programma «Miglioramento della prestazione energetica degli immobili della Pubblica amministrazione centrale»; b) fino a 50 milioni annui dal 2014 al 2020 per il «Fondo nazionale per l'efficienza energetica»; c) fino a 15 milioni annui dal 2014 al 2020 destinati al «Programma di promozione delle diagnosi energetiche presso le Piccole e Medie Imprese»; d) per il «Programma di informazione e formazione per promuovere e facilitare l'uso efficiente dell'energia» sono destinati fino a 1 milione annuo dal 2015 al 2017; e) fino a 0,3 milioni annui dal 2014 al 2020 per il «Programma di verifiche e controlli in relazione alla diagnosi energetica per le grandi imprese e le imprese a forte consumo di energia»; f) per il «Il Green Climate Fund» è destinata una somma pari a 50 milioni di euro nell'ambito dell'impegno preso dall'Italia; g) per il «Fondo mobilità sostenibile» sono destinati fino a 35 milioni di euro;
    rimane il fatto che è indispensabile garantire maggiormente la massima trasparenza e pubblicità circa l'effettivo utilizzo di tutte le risorse provenienti dalla messa all'asta della quote di emissione dei gas ad effetto serra;
    in ambito europeo ogni anno l'ETS movimenta almeno 90 miliardi di euro, ma già dal 2009 sono state scoperte frodi pari ad almeno cinque miliardi. Ogni «obbligazione» vale una tonnellata di emissioni equivalenti, che negli scambi è arrivata fino al valore di 15 euro, e ciascuno Stato ne dovrebbe avere in circolazione tante quante sono le tonnellate di inquinamento annuo concesse dai complessi meccanismi di Kyoto: il problema è che le istituzioni nazionali non si limitano ad assegnare in parte gratuitamente (o vendere mediante aste pubbliche) i crediti alle industrie che ne hanno necessità, ma concedono agli acquirenti di scambiarle, rivenderle e attuare una vera e propria speculazione che ha creato un mercato mondiale e una serie impressionante di frodi, truffe e metodi per aggirare la legge ed evadere le tasse. Le truffe sul mercato dei crediti sono una delle priorità di Eurojust, il centro europeo specializzato contro la criminalità organizzata, per il periodo 2014-2017;
    vale la pena segnalare che nella stessa Enciclica del Pontefice «Laudato si», resa pubblica nei giorni scorsi, al punto 171, si legge: «La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l'emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l'apparenza di un certo impegno per l'ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all'altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori»;
    a quanto suesposto, si aggiunga, per quanto riguarda il nostro Paese, quanto segnalato in un articolo pubblicato il 16 aprile 2015 su «La Stampa.it» a firma di Giulio de Gasperis, proprio riguardo alla trasparenza sull'utilizzo dei proventi delle aste per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra: «Fonti autorevoli di via Cristoforo Colombo, dietro garanzia di anonimato, raccontano che al momento il Ministero ha in cassa circa il 70 per cento dei 460 milioni della prima tranche, di cui almeno la metà sarebbero destinati alla «Direzione generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia», attualmente guidata da Francesco La Camera, che si occupa anche di progetti e convenzioni internazionali. Al Ministero dicono anche che la maggior parte di questi fondi saranno utilizzati per pagare gli stipendi ministeriali oppure quelli della Sogesid, la società in house i cui dipendenti partecipano spesso a questo genere di attività. Una realtà, quella di Sogesid, che resiste a richieste di chiusura o ridimensionamento provenienti un po’ da tutte le parti politiche (...) e solo nel 2013 ha fatturato 23 milioni di euro, di cui 13,7 provenienti proprio dal MAT, nella maggior parte dei casi per attività che istituzionalmente spetterebbero allo stesso Ministero o all'ISPRA»;
   è peraltro necessario prevedere che una quota dei suddetti proventi da destinare a finalità ambientali, vada a favore della sempre più complessa e delicata attività che viene svolta in campo ambientale dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e dalle agenzie regionali. Competenze e responsabilità ad esso assegnate nello stesso citato decreto legislativo 30 del 2013 dagli articoli 42, commi 2 e 4, e dall'articolo 28, comma 1, e per quanto disposto alla lettera a) del comma 6 del su citato articolo 19; «(...) favorire l'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici e finanziare attività di ricerca e di sviluppo e progetti dimostrativi volti all'abbattimento delle emissioni e all'adattamento ai cambiamenti climatici (...)» e al punto 4 dell'articolo 6 del medesimo decreto legislativo n. 30 del 2013 dove si individua la destinazione per le «iniziative contro i cambiamenti climatici nella Unione europea e nei Paesi terzi, e «(...) per finanziare la ricerca e lo sviluppo ai fini della mitigazione e dell'adattamento (...)», ambiti di eccellenza per ISPRA»;
   tali risorse, se assegnate, potrebbero essere una bella boccata d'ossigeno, per l'ISPRA e le agenzie regionali. Si ricorda che l'ISPRA, a fronte di sempre maggiori compiti, ha visto il suo bilancio tagliato negli ultimi anni per oltre 11 milioni di euro. Tra l'altro, l'ISPRA gestisce il registro ETS;
   peraltro, sempre in risposta alla suddetta interrogazione n. 5-05661, la sottosegretaria Silvia Velo, ha dichiarato la possibilità che il Governo possa utilizzare quota parte dei proventi delle aste (anche valutando possibili accordi e convenzioni) da destinare all'implementazione dell'attività svolta dall'ISPRA,

impegna il Governo:

   ad avviare le opportune iniziative volte a garantire la massima trasparenza e informazione riguardo alla destinazione dei proventi delle aste per lo scambio di quote di emissione di gas serra, finalizzati a interventi di carattere ambientale, anche prevedendo a tal fine di integrare annualmente il documento allegato al documento di economia e finanza predisposto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (legge 196 del 2009, articolo 10, comma 9), con una puntuale e dettagliata indicazione della destinazione e dell'utilizzo dei suddetti proventi;
   ad attivarsi in sede di Unione europea, al fine di attivare idonei ed efficaci strumenti di contrasto alle frodi e alle truffe legate al sistema ETS;
   a prevedere che una quota parte delle suddette risorse ripartite con decreto interministeriale, venga assegnata anche all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, e alle agenzie ambientali, per lo svolgimento dei costituzionali, in quanto funzionali agli obiettivi di cui al suddetto decreto legislativo n. 30 del 2013, e comunque che detta quota di risorse sia perlomeno finalizzata, attraverso opportuni accordi e convenzioni, all'implementazione dell'attività svolta dall'ISPRA, così come prospettato – e riportato in premessa – dalla stessa Sottosegretaria per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare.
(7-00712) «Zaratti, Pellegrino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, onorevole Lapo Pistelli, dal primo luglio 2015 assumerà la carica di vicepresidente senior dell'Eni con delega ai rapporti con gli azionisti e alla promozione del business internazionale;
   l'onorevole Lapo Pistelli è stato co-firmatario di due proposte di legge entrambe presentate la scorsa legislatura: la n. 2668 (Veltroni e altri), recante norme per la prevenzione delle situazioni di conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo e per l'accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; e la n. 3700 (Lenzi e altri) recante disposizioni in materia di ineleggibilità e di incompatibilità tra il mandato parlamentare, gli incarichi di governo e cariche di amministratore locale;
   la legge n. 215 del 2004 («legge Frattini»), ha introdotto l'incompatibilità, per dodici mesi, per i titolari di cariche di Governo ad assumere incarichi in enti di diritto pubblico, anche economici, nonché in società aventi fine di lucro che operino in settori connessi con la carica ricoperta;
   il parere favorevole dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) sul passaggio del deputato e viceministro Lapo Pistelli alla vicepresidenza dell'Eni appare basato sugli assunti che lo stesso non aveva poteri regolatori e amministrativi su Eni e dalle informazioni in possesso della stessa Autorità antitrust non sembra esserci evidenza di rapporti giuridici ed economici costituiti nell'ambito delle attribuzioni svolte dal richiedente con le società del gruppo Eni nel periodo in cui è stato svolto l'incarico di Governo;
   tale parere favorevole dell'Antitrust sembra essere, a parere degli interpellanti, molto equivoco e fa sorgere dubbi su un possibile conflitto di interessi. Infatti, il citato Pistelli aveva deleghe di Governo proprio sulle politiche ambientali ed energetiche, quindi su temi connessi all'attività dell'Eni –:
   se non ritenga ricorrano questioni di incompatibilità per conflitto d'interesse, al di là del parere non vincolante dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, relativamente al passaggio del Viceministro Lapo Pistelli dal Governo all'Ente nazionale idrocarburi.
(2-01015) «Del Grosso, Sibilia, Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Di Battista, Scagliusi».

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, il 21/22 giugno nella città di Yulin in Cina, 5 milioni e mezzo di abitanti, si celebra una celebre e macabra festa a base di carne di cane;
   secondo una parte minoritaria della cultura asiatica, mangiare carne di cane nel giorno del solstizio d'estate, porterebbe fortuna e salute;
   questo festival sta scatenando diverse reazioni sui social network e petizioni on line che chiedono lo stop immediato della mattanza che uccide circa 10 mila cani ogni anno, secondo le stime delle associazioni animaliste;
   in Cina il commercio della carne di cane è ancora legale ma secondo determinati canoni tra cui l'indicazione della provenienza da un allevamento certificato;
   l'anno scorso, l'agenzia di stampa statale Xinhua ha parlato di un evento «popolare locale, senza l'approvazione ufficiale»;
   come si può leggere in un articolo del quotidiano on line Giornalettismo, a causa dell'illegalità dell'evento, la macellazione dei poveri animali avviene in modo del tutto illegale. «Ora dobbiamo farlo come se fossimo dei ladri», ha raccontato il proprietario di un ristorante locale, secondo quanto riporta l’Associated Press. Le associazioni animaliste parlano di animali catturati con reti, drogati, avvelenati e poi rinchiusi in gabbie minuscole fino a che non vengono uccisi o venduti per la loro carne;
   inoltre, a causa della macellazione clandestina di animali randagi catturati con i più disparati metodi, financo i più inutilmente crudeli, la città di Yulin è una delle metropoli cinesi con la più alta concentrazione di «rabbia» tra i propri abitanti. Forse, a giudizio dell'odierno interrogante, la vendetta postuma di questi poveri esseri costretti a morire tra i più atroci tormenti;
   in uno Stato civile e degno di definirsi tale nel consesso delle altre Nazioni, un simile evento dovrebbe essere intollerabile ed abolito e combattuto con ogni mezzo lecito;
   secondo quanto sostiene Mary Peng della Clinica veterinaria internazionale di Pechino, «mangiare carne di cane è un'abitudine alimentare che si riscontra in alcune parti della Cina e in altri Paesi asiatici come il Vietnam e la Corea ma il progresso sociale farà in modo che scompaia, perché mangiare cani non si addice a una civiltà moderna»;
   questa abitudine alimentare, infatti, è già stata proibita a Taiwan, nelle Filippine, a Singapore e a Hong Kong, ma non basta e gli animali non possono certamente aspettare che cambino le abitudini alimentari di milioni di cinesi o «estremo-orientali»;
   a giudizio dell'interrogante, il Ministro interrogato ed il nostro Governo dovrebbero farsi carico di assumere le dovute e necessarie iniziative a tutti i livelli diplomatici possibili e praticabili affinché il Governo cinese adotti quei provvedimenti idonei ad interrompere questo incivile festival –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per affrontare le problematiche esposte in premessa. (4-09557)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Brescia e della sua provincia è interessato da una massiccia opera di cementificazione, al punto da trovarsi al terzo posto in Italia con 445 chilometri quadrati di suolo interessato dal fenomeno, dietro solo a Roma (570 chilometri quadrati) e Torino (540 chilometri quadrati), davanti perfino a Milano (415 chilometri quadrati);
   il fenomeno, in crescita costante a causa degli interessi delle lobby del cemento e delle costruzioni, è stato analizzato di recente dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha messo in luce la gravità della situazione, soprattutto per il Nord: se in tutta Italia la quota cementificata è del 7 per cento, in Lombardia il «picco» arriva a sfiorare il 10 per cento; con il dato di Brescia del 9,3 per cento; la Lombardia è dunque la regione italiana maggiormente colpita dal fenomeno, con quasi 2500 chilometri quadrati di «suolo consumato», davanti al Veneto (1744 chilometri quadrati) e all'Emilia Romagna (1642 chilometri quadrati);
   la cementificazione selvaggia causa numerosi problemi sul piano ambientale, dal dissesto idrogeologico alla perdita di patrimonio forestale, tanto che al momento sono circa 6 milioni gli italiani che vivono in aree soggette a pericolo di alluvioni, un rischio enfatizzato tra l'altro dall'aumento di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico;
   la cementificazione ha pesanti ripercussioni anche sui cambiamenti climatici stessi, producendo l'immissione in atmosfera di tonnellate di CO2 l'anno, aggravando il riscaldamento globale e allontanando l'Italia dagli obiettivi per la riduzione delle emissioni stabiliti dall'Unione europea per il 2020;
   il dossier sul consumo del suolo «Terra Rubata – Viaggio nell'Italia che scompare», indagine condotta su 11 regioni italiane da FAI e WWF, spiega, che negli ultimi 50 anni l'area urbana è pressoché quadruplicata, attraverso la cementificazione di una superficie grande quanto l'intero Friuli Venezia Giulia. A tutto questo si è sommato il fenomeno dell'abusivismo edilizio: dalla nascita della Repubblica ad oggi, si sono registrati 4,5 milioni di casi certificati, 75 mila l'anno e 207 al giorno e ben tre condoni (1985, 1994 e 2003) hanno sanato gli abusi al posto di una politica sulla pianificazione territoriale;
   secondo Coldiretti «L'Italia ha perso il 28 per cento delle campagne negli ultimi 25 anni per colpa della cementificazione e dell'abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato» e «la superficie agricola utilizzabile si è ridotta in Italia ad appena 12,8 milioni di ettari»; il risultato è «che più di otto comuni italiani su dieci (82 per cento) hanno parte del territorio a rischio frane e alluvioni a causa del consumo di suolo agricolo che, con la cementificazione, ha ridotto la capacità di ritenzione idrica dei terreni». Infatti, spiega Coldiretti, oggi in Italia «cinque milioni di cittadini vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 Comuni hanno parte del territorio a elevato rischio di frana o alluvione, anche per la mancanza di un'adeguata pianificazione territoriale» –:
   se il Governo sia al corrente della gravità della situazione espressa in premessa e se non consideri necessario intervenire e in che modo per porre freno a questo trend negativo e difendere l'interesse generale del Paese contro lo strapotere delle lobby del cemento e delle costruzioni, che depauperano il territorio italiano, arrecando gravi danni all'ambiente non sempre reversibili e mettendo a rischio la salute di molti italiani, con gravi ricadute anche in termini finanziari.
(4-09554)


   MANNINO, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, MICILLO, BUSTO, VIGNAROLI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 4 riporta «gli impianti di nuova realizzazione devono essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell'allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 5 riporta «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti esistenti, le autorità competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguando in tal senso le autorizzazioni integrate ambientali»;
   ai sensi dell'articolo 38, paragrafo 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE, è possibile prendere in considerazione, ai fini del calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento, le condizioni climatiche locali come, ad esempio la rigidità del clima e il bisogno di riscaldamento, nella misura in cui influenzano i quantitativi di energia che possono essere tecnicamente usati o prodotti sotto forma di energia elettrica, termica, raffreddamento o vapore;
   le misure previste all'articolo 38, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/Ce possono essere adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 39, paragrafo 2 della stessa direttiva;
   come dimostrato dallo studio di CEWEP (Confederation of european waste to energy plants) del marzo 2009, gli impianti di incenerimento situati in paesi con climi caldi presentano dei rendimenti energetici più bassi rispetto a quelli situati in aree più fredde a causa delle diverse condizioni climatiche;
   la Commissione europea ha dato incarico ad ESWET (European Suppliers of Waste to Energy Technology) di redigere un documento di proposta in merito alla necessita di adottare fattori climatici correttivi;
   nel documento «Energy recovery Efficiency Municipal Solid Waste to Energy plants in relation to local climate conditions» che ESWET ha redatto nel maggio 2012, e che è stato presentato e discusso dagli Stati membri dell'Unione europea durante la riunione del TAC del 9 luglio 2012, viene dimostrato che esistono, nei vari Paesi dell'Unione europea, notevoli differenze nel raggiungimento dei valori di efficienza energetica per gli impianti di incenerimento dovute alle condizioni climatiche che influiscono sulla produzione di energia elettrica e sulla domanda di calore;
   la Commissione (Europea nel 2013 non aveva ancora adottato misure relative al fattore di correzione climatico, determinando una disparità ed uno svantaggio per i paesi con un clima più caldo come dimostrato dai citati studi; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute ed il Ministero della sviluppo economico, ha emanato, il 7 agosto 2013, il decreto ministeriale recante «Applicazione della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche»;
   nel decreto ministeriale del 7 agosto 2013 sono stati introdotti fattori di correzione individuati e proposti nello studio di ESWET, ed in particolare l'opzione B della stesso studio, che prevede la compensazione sia per la quota di energia elettrica che per la quota di energia termica prodotte;
   la Commissione europea ha presentato alla riunione del TAC del 17 novembre 2014, un progetto di direttiva della Commissione europea relativo all'introduzione di un fattore climatico di correzione per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento dei solidi urbani (cosiddetta formula R1), di cui all'allegato II della direttiva 2008/98/CE;
   nella riunione del 17 novembre 2014, il TAC ha espresso parere positivo sui progetto di direttiva della Commissione europea approvando la proposta che prevede per il fattore climatico correttivo della formula R1 le seguenti due condizioni: 1. fattore climatico massimo pari a 1,25 per gli impianti operativi e autorizzati entro il 1o settembre 2015; 2. fattore climatico massimo pari a 1,12 per gli impianti autorizzati dopo il 31 agosto 2015 e per gli impianti di cui al punto 1 dopo il 31 dicembre 2029;
   in tale progetto di direttiva sono stati individuati fattori climatici di correzione diversi da quelli adottati dal decreto ministeriale del 7 agosto 2013 che prevede un fattore di correzione pari a 1,382;
   la Commissione europea ha aperto la procedura EU-PILOT 5714/13/ENVI in relazione al decreto ministeriale del 7 agosto 2013 «Applicazione della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche» che modifica la formula stabilita dall'Allegato II della Direttiva 2008/98/CE;
   la Commissione europea ha richiesto, quindi, a seguito del parere positivo del TAC sul progetto di direttiva della Commissione europea, di modificare prontamente il decreto ministeriale del 7 agosto 2013 –:
   se ed eventualmente quando sarà adottato un nuovo decreto ministeriale che recepisca la modifica della formula per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche così come stabilito dall'Allegato II della direttiva 2008/98/CE;
   se per gli impianti esistenti – come previsto dal comma 5 dell'articolo 35 del decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – le autorità competenti provvederanno a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1, attenendosi a quanto disposto dal decreto ministeriale del 7 agosto 2013 o a quanto stabilito dall'Allegato II della Direttiva 2008/98/CE così come modificata per il calcolo dell'efficienza energetica degli impianti di incenerimento in relazione alle condizioni climatiche.
(4-09555)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da giorni si stanno eseguendo nell'area archeologica di via Atene nel comune di Selargius lavori di sbancamento, propedeutici a rilevanti lavori edili;
   i lavori di sbancamento ed edili si stanno svolgendo con una rapidità fuori dalla norma e di fatto tesa a modificare rapidamente lo stato dei luoghi in località Putzu Bie Pauli, catastalmente individuata al F. 43, mappali 2.591, 2.537, 2.530, 40, con una superficie complessiva di 4.021 metri quadrati su suolo da molto tempo noto per la presenza di insediamenti di epoca nuragica e censito come area a rischio archeologico nel PUC come Area 43 – insediamento preistorico via Atene e soggetto ad analisi archeologica preventiva sotto la vigilanza della soprintendenza;
   la stessa soprintendenza che aveva prescritto indagini archeologiche le avrebbe avviate a carico dell'impresa esecutrice dei lavori e la sua committenza;
   tali lavori di scavo archeologico sarebbero partiti il 3 marzo 2015;
   informazioni pervenute da archeologi e tecnici partecipanti agli scavi avevano fatto emergere l'importanza scientifica e la rarità dell'insediamento scoperto, in quanto non soggetto a contaminazione di epoche successive e databile presumibilmente tra il XII e il VII millennio a.C.;
   in dispregio dei ritrovamenti e della sensibilità archeologica dell'area sarebbe stato rilasciato un nulla osta per l'esecuzione di lavori edili di rilevante consistenza proprio a contatto con i ritrovamenti stessi dividendo l'area dove sono emerse le murature e i reperti archeologici più evidenti dall'area destinata ai lavori di costruzione edile;
   appare evidente che il cantiere archeologico risulta delimitato non in funzione dei ritrovamenti ma funzionalmente ai lavori edificatori facendo venir meno la tutela e la salvaguardia, il rispetto delle distanze e la valorizzazione stessa dell'insediamento;
   attraverso i mezzi di informazione e i social network venivano divulgate immagini fotografiche e video realizzati dai cittadini preoccupati per la tutela del sito facendo emergere in tutta la sua gravità lo stato di avanzamento lavori del cantiere edile a ridosso dello scavo archeologico;
   l'esecuzione e la celerità dei lavori di scavo subito dopo le denunce pubbliche ha fatto emergere la gravità dell'evidente adiacenza con la sede di scavo archeologico in corso e ancora in fase preliminare di studio dello stesso;
   il sito, vista l'importanza dei rilievi archeologici emersi, dovrebbe essere ricompreso automaticamente, o con atto obbligato della soprintendenza, nei vincoli di tutela di beni ad alto valore identitario e culturale secondo il codice Urbani e il Piano paesaggistico regionale, articolo 47 e seguenti, che disciplinano in modo esplicito il grado di tutela e le distanze stesse dai siti archeologici identitari;
   il TITOLO II del Piano paesaggistico regionale – assetto storico culturale disciplina redatto secondo il codice Urbani infatti dispone:
  Articolo 47 – Assetto storico culturale. Generalità ed individuazione dei beni paesaggistici e dei beni identitari;
  1. L'assetto storico culturale è costituito dalle aree, dagli immobili siano essi edifici o manufatti che caratterizzano l'antropizzazione del territorio a seguito di processi storici di lunga durata;
  2. Rientrano nell'assetto territoriale storico culturale regionale le seguenti categorie di beni paesaggistici:
   a) gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;
   b) le zone di interesse archeologico tutelate ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;
   c) gli immobili e le aree tipizzati, individuati nella cartografia del P.P.R. di cui all'articolo 5 e nell'Allegato 3, sottoposti a tutela dal Piano Paesaggistico, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni e precisamente:
  1. Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico-culturale, così come elencati nel successivo articolo 48 comma 1, lettera a);
  2. Aree caratterizzate da insediamenti storici, di cui al successivo articolo 51.
  3. Rientrano nell'assetto territoriale storico culturale regionale le categorie dei beni identitari di cui all'articolo 6, comma 5, individuati nella cartografia del P.P.R. di cui all'articolo 5 e nell'Allegato 3 e precisamente:
   a) Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico-culturale, così come elencati nel comma 1, lettera b) dell'articolo 48;
   b) Reti ed elementi connettivi, di cui all'articolo 54;
   c) Aree d'insediamento produttivo di interesse storico-culturale di cui all'articolo 57;
  4. Le aree facenti parte delle categorie di beni di cui ai precedenti commi 2 e 3, caratterizzate da preesistenze di manufatti o edifici che costituiscono, nel loro insieme, testimonianza del paesaggio culturale sardo, ove non sia stato già effettuato dal P.P.R., sono perimetrate dai comuni interessati ai fini della conservazione e tutela e della migliore riconoscibilità delle specificità storiche e culturali dei beni stessi nel contesto territoriale di riferimento.
  5. La mappatura dei beni paesaggistici con valenza storico-culturale e dei beni identitari del paesaggio culturale sardo, tipizzati nel P.P.R. ed individuati nella tavola 3, è periodicamente implementata ed aggiornata attraverso il SITR.
  6. Sono fatte salve le iniziative di cui all'articolo 12, 13, 14, 15 e 16, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156, ai fini di specifica salvaguardia dei beni qualificabili come beni culturali.
  Articolo 48 – Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale. Definizione:
  1. Nella categoria delle Aree, edifici e manufatti di valenza storico culturale rientrano:
   a) i beni paesaggistici, meglio specificati nell'Allegato 3, costituiti dalle aree caratterizzate dalla presenza qualificante di:
    a.1) beni di interesse paleontologico;
    a.2) luoghi di culto dal preistorico all'alto medioevo;
    a.3) aree funerarie dal preistorico all'alto medioevo;
    a.4) insediamenti archeologici dal prenuragico all'età moderna, comprendenti sia insediamenti di tipo villaggio, sia insediamenti di tipo urbano, sia insediamenti rurali;
    a.5) architetture religiose medioevali, moderne e contemporanee;
    a.6) architetture militari storiche sino alla II guerra mondiale;
   b) i beni identitari, meglio specificati nell'Allegato 3, costituiti aree caratterizzate dalla presenza qualificante di:
    b.1) elementi individui storico-artistici dal preistorico al contemporaneo, comprendenti rappresentazioni iconiche o aniconiche di carattere religioso, politico, militare;
    b.2) archeologie industriali e aree estrattive;
    b.3) architetture e aree produttive storiche;
    b.4) architetture specialistiche civili storiche.
  Articolo 49 – Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale.
  Prescrizioni:
   1. Per la categoria di beni paesaggistici di cui all'articolo 48, comma 1, lettera a), sino all'adeguamento dei piani urbanistici comunali al P.P.R., si applicano le seguenti prescrizioni:
   a) sin all'analitica delimitazione cartografica delle aree, queste non possono essere inferiori ad una fascia di larghezza pari a metri 100 a partire dagli elementi di carattere storico-culturale più esterni dell'area medesima;
   b) nelle aree è vietata qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela;
   c) la delimitazione dell'area costituisce limite alle trasformazioni di qualunque natura, anche sugli edifici e sui manufatti, e le assoggetta all'autorizzazione paesaggistica;
   d) sui manufatti e sugli edifici esistenti all'interno dell'aree, sono ammessi, gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti i beni archeologici, nonché le trasformazioni connesse a tali attività, previa autorizzazione del competente organo del Ministero dei beni e delle attività culturali;
   e) la manutenzione ordinaria è sempre ammessa.
  2. Ove non già individuati dal P.P.R. i comuni, tramite il piano urbanistico comunale d'intesa con la Regione e con il competente organo del Ministero dei beni e delle attività culturali, provvedono alla analitica individuazione cartografica e concorrono, attraverso il S.I.T.R., alla formazione di registri dei beni paesaggistici, implementando ed aggiornando il mosaico. All'interno dell'area individuata è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi, e una fascia di tutela condizionata;
   è evidente che tali norme ad avviso dell'interrogante non solo non sono state rispettate, ma palesemente violate considerato che l'edificazione sta avvenendo a ridosso di qualche centimetro dai rilevanti ritrovamenti archeologici, si presume di natura anche prenuragica, e non già come indicato dalle norme a distanza di almeno 100 metri;
   la stessa mancata puntuale delimitazione degli stessi ritrovamenti, come prescrive la norma, vieterebbe qualsiasi tipo di intervento edificatorio;
   il sito archeologico risulterebbe gravemente compromesso dalla nuova edificazione che in modo più oculato e sensibile poteva essere ubicato in altra area e non realizzato a ridosso se non addirittura al di sopra della stessa area –:
   se non ritenga di dover intervenire con i propri poteri al fine di bloccare i lavori richiamati per garantire la salvaguardia e tutela del bene identitario archeologico rinvenuto nell'area oggetto di tali ritrovamenti;
   se non ritenga necessario disporre l'immediata verifica delle eventuali autorizzazioni che appaiono in rilevante contrasto con lo stato dei luoghi e le norme vigenti;
   se non ritenga dover accertare eventuali omissioni nell'individuazione del sito archeologico e la sua identificazione come bene identitario da sottoporre a massima tutela;
   se non ritenga di dover verificare per quanto di competenza il mancato rispetto delle norme contenute nel codice Urbani dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), della Convenzione europea del paesaggio, del Piano paesaggistico regionale in termini di salvaguardia e valorizzazione paesaggistica e del diritto della cittadinanza al rispetto e alla tutela dei propri valori storico-identitari. (5-05870)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, QUARANTA, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, PIRAS, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, KRONBICHLER, PLACIDO e FRATOIANNI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra il 21 e il 22 maggio, a Recanati (MC), una cosiddetta «bomba d'acqua» ha provocato l'apertura di una voragine di alcuni metri, in un'area della città che costeggia il colle reso immortale dalla celebre poesia di Leopardi «L'infinito»;
   l'evento atmosferico richiamato, è l'ultimo significativo di una serie di perturbazioni violente che hanno colpito le Marche negli ultimi anni, causando ingenti danni a varie infrastrutture e mettendo fortemente a rischio la tenuta idrogeologica del territorio;
   nonostante l'indiscusso valore storico, culturale e naturale, l'area, accertata come particolarmente fragile e soggetta a frane (individuata nel piano di assetto idrogeologico della regione Marche come area a rischio), non ha beneficiato di alcun intervento di prevenzione o consolidamento;
   il sindaco di Recanati Francesco Fiordomo, appellandosi alle istituzioni per un celere e definitivo intervento, ha reso nota la quantificazione delle risorse necessarie che ammontano a 4 milioni di euro per il consolidamento, più ulteriori 2 milioni per la riqualificazione del «Colle dell'infinito» (Il Corriere Adriatico, 25 maggio 2015) –:
   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati per intervenire a salvaguardia dell'area indicata in premessa, considerato il suo inestimabile valore sotto il profilo storico e culturale, riconosciuto universalmente. (4-09558)


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la soprintendenza di Stato ha posto un vincolo assoluto sulla parte del centro storico di Roma denominata «Tridente», vietando qualunque forma di occupazione di suolo pubblico e revocando le autorizzazioni già rilasciate a tali fini;
   tale determinazione danneggia gravemente decine di operatori che da decenni posizionano parte delle proprie strutture ricettive all'esterno e che ora non solo subiranno pesanti contraccolpi in termini economici ma perderanno anche una parte della loro tradizione;
   sino ad oggi la presenza di parti di suolo pubblico occupate in forza di regolare concessione non ha mai dato luogo a pregiudizio dell'interesse di tutela del patrimonio culturale, pur invocato dalla Soprintendenza nella lettera con la quale rende nota la revoca delle autorizzazioni in essere –:
   se non ritenga di avviare un percorso di revisione della determinazioni adottate al fine di trovare un diverso bilanciamento tra le esigenze di tutela del patrimonio culturale e le legittime istanze degli operatori commerciali. (4-09559)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 244 del 2012, per la revisione dello strumento militare, è mirata a raggiungere qualitativi, di operatività e proiettabilità della difesa ridimensionati in modo coerente con le risorse che attualmente risultano disponibili e quindi sostenibili sotto il profilo finanziario e nel rispetto della spending review;
   la stessa legge ha previsto il raggiungimento di tali obiettivi anche attraverso la razionalizzazione delle strutture mediante soppressioni ed accorpamenti in modo da conseguire una contrazione strutturale;
   per tale motivo, con la suddetta legge, è stato previsto nel 2016 il trasferimento del Reggimento artiglieria a Cavallo di Milano, cosiddetto «Voloire» dalla caserma Santa Barbara, P.lle Perrucchetti alla caserma Scalise di Vercelli e la bozza del decreto attuativo aggiornata al 2 luglio anticipava la data del trasferimento nel 2013. Lo Stato Maggiore dell'Esercito aveva deciso il trasferimento addirittura alle porte di Expo 2015, quando Milano avrebbe avuto più bisogno di intensificare i controlli per la sicurezza della metropoli a partire dalla fase pre-evento, in previsione dell'arrivo di un numero considerevole di visitatori;
   le Voloire sono di stanza a Milano dal 1887 e costituiscono la storia degli ultimi 128 anni della città di Milano. Il reggimento artiglieria a cavallo rappresenta per la città un elemento di eccellenza e di storia unica ed è anche «cittadino onorario» di Milano;
   la caserma Santa Barbara, costruita nel 1931 a misura delle esigenze delle Voloire è monumentale per l'elegante e sobrio disegno architettonico ed ha ampia capacità recettiva per la convivenza degli organici sia dell'artiglieria a Cavallo che del reggimento trasmissioni Spiluga proveniente dalla caserma Montello di Firenze (che sarà effettivamente chiusa con un risparmio di 650.000,00 euro). La caserma Santa Barbara consente, comodamente, l'alloggiamento dei militari, le infrastrutture di comando (uffici) e di supporto (magazzini e officine) di entrambi i reggimenti. Ma con il trasferimento delle Voloire la caserma Santa Barbara non sarà chiusa come quella di Firenze ma sarà sottoimpiegata rispetto alle sue reali potenzialità. La scelta della caserma di Vercelli è legata esclusivamente a potenziare una caserma che ad oggi non è rispondente alle esigenze dei 400 militari e delle rispettive famiglie che dovrà ospitare perché solo da qualche tempo si è parlato di un piano residenziale ad hoc per l'arrivo delle Voloire, non è noto a quale costo e a carico di chi;
   le Voloire, ad oggi, rappresentano l'ultimo reggimento operativo nell'ambito dell'operazione «strade Sicure» fin dagli inizi, nel 2008, detenendo il comando della piazza di Milano e dei siti sensibili e la caserma Santa Barbara costituisce la base dove sono di stanza tutti i militari impegnati giorno e notte nella sicurezza della città, per attività di controllo, prevenzione e repressione del crimine. Il reggimento artiglieria a cavallo oggi assicura anche il dispositivo per la costituzione della task force Expo che è impegnata per garantire il supporto all'ente Expo e la sicurezza del Sito espositivo in concorso alle forze di polizia e alla prefettura di Milano;
   il paradosso che si verificherà sarà quello di chiamare personale militare esterno che provocherà un aumento delle spese. Difatti tra indennità di trasferte, straordinari, costi per i servizi, si prevede un aumento dei costi tre volte superiore rispetto all'utilizzo di personale di casa che invece dovrà essere trasferito. La spesa aumenterebbe di oltre 3.500.000 euro all'anno, senza considerare che la presenza delle Voloire con il progetto strade sicure ha portato alla riduzione dei reati del 48 per cento solo a Milano in due anni di attività. La presenza del reggimento artiglieria a cavallo a Milano assicurerebbe il comando dell'operazione «Strade Sicure», riducendo contestualmente la problematica alloggiativa, in quanto il personale sarebbe già presente sulla piazza di Milano e non dovrebbe affluire da altre unità;
   tutto ciò, inoltre, causerà la perdita della formazione specialistica assunta e la presenza di costi aggiuntivi per la formazione per i nuovi impieghi;
   il dato da non trascurare è che nella caserma Scalise manca lo spazio per i cavalli che paradossalmente dovranno rimanere a Milano;
   le aree di addestramento saranno lontane solo 20 chilometri in più da Milano rispetto a Vercelli, per cui una manciata di chilometri non può giustificare il trasferimento di un intero reggimento da un contesto sociale che ha fatto la storia;
   c’è anche da considerare l'aspetto sociale e sportivo ricoperto dal Reggimento; difatti, i militari della Voloire sono stati i primi in Italia a sperimentare nel territorio nazionale il modello di peacekeeping, supportando l'associazione nazionale italiana riabilitazione equestre con la messa a disposizione della struttura e dei cavalli per l'ippoterapia dei soggetti diversamente abili e mentali e il campo ippico della caserma per le gare nazionali di equitazione che, in caso di trasferimento, non verrà più utilizzato. Lo spostamento del reggimento artiglieria a cavallo rappresenterebbe, per la città di Milano, una perdita significativa, in termini di immagine e di economia complessiva del territorio, nonché di rilevanza nel tessuto sociale della città: il reggimento artiglieria a cavallo, a partire dal 2008, è l'unità di supporto di fuoco della capacità nazionale di proiezione dal mare (CNPM), uno dei progetti prioritari della Difesa. Presso la caserma S. Barbara e l'Idroscalo di Milano è possibile effettuare («a costo zero») tutte le attività per l'acquisizione ed il mantenimento delle qualifiche anfibie da parte del personale destinato al bacino CNPM; cosa che a Vercelli non potrebbe avvenire in quanto non esistono le strutture idonee per poterle effettuare;
   mantenere il reggimento artiglieria a cavallo a Milano consentirebbe di preservare anche gli assetti devoluti all'impiego, in caso di pubbliche calamità, nell'ambito del territorio del comune metropolitano di Milano e delle province di Lecco, Como, Pavia e Monza/Brianza (a novembre un'unità del reggimento è intervenuta a Cremona a seguito dello straripamento del Po);
   la contraddizione sta nel non aver pensato ad un potenziamento delle infrastrutture e del Reggimento in modo da garantire l'afflusso di altri militari durante l'EXPO, tanto decantato dall'attuale Governo;
   il che sembra incongruente da un punto di vista anche della razionalizzazione delle spese, delle spese, considerato il fatto che la caserma Scalise compare nell'elenco di quelle in cui la difesa spa, ente di creazione ministeriale, ha installato pannelli fotovoltaici con un contratto di concessione d'uso a privati per 25 anni –:
   se, alla luce delle criticità e considerazioni sopra esposte, il Ministro interrogato non ritenga opportuno riconsiderare la decisione dello spostamento del reggimento artiglieria a cavallo dalla sede di Milano, dato che ancora non è diventata esecutiva; in caso contrario, quali siano le motivazioni che hanno indotto il Ministero a decidere il trasferimento di un intero reggimento da Milano, sua sede storica, a Vercelli in una caserma che a quanto consta all'interrogante non rispetta i requisiti per ospitare un reggimento a cavallo e, soprattutto, quali siano i tempi effettivi del trasferimento del reggimento. (5-05861)


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 28 aprile 2015 i paracadutisti del 183esimo e del 186esimo reggimento sono stati mobilitati in tutta fretta per raggiungere l'EXPO di Milano e per unirsi ai militari già impegnati per garantire lo svolgimento in sicurezza dell'evento;
   risulta da notizie riportate dalla stampa che sino a pochi giorni fa i paracadutisti impegnati nel servizio di sicurezza e vigilanza all'EXPO indossassero il basco amaranto e che in seguito è stato loro impartito l'ordine di indossare, invece, il jungle, come previsto per i militari degli altri corpi dell'Esercito impegnati per l'EXPO –:
   se corrisponda al vero quanto riportato e, nel caso, per quali motivi sia stato vietato ai paracadutisti della Folgore di indossare il loro caratteristico berretto, simbolo d'onore e di sacrificio. (5-05863)


   FRUSONE, RIZZO, BASILIO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo «Ristorante di lusso ? Riservato all'Arma» pubblicato a pagina 9 de «Il Fatto Quotidiano» del 18 giugno 2015 riferisce che i costi del circolo ufficiali delle Forze armate sarebbero in grande maggioranza a carico del bilancio dello Stato;
   in particolare, il quotidiano afferma che i bilanci ufficiali dello stesso, mai resi pubblici, presenterebbero un avanzo di amministrazione ma non comprenderebbero né le spese per il personale (circa 65 persone tra militari e civili) né quelle infrastrutturali che sarebbero a carico del bilancio dello Stato; tali spese ammonterebbero ad oltre 2,25 milioni di euro l'anno;
   l'articolo afferma inoltre che, nonostante l'ingentissimo esborso di denaro da parte dello Stato, i prezzi del ristorante per i soci, ufficiali in servizio e in congedo, sarebbero bassissimi con pasti completi à la carte fatti pagare tra i 13 e i 15 euro l'uno;
   presso il circolo, inoltre, presterebbe servizio, oltre ai sopraddetti dipendenti militari e civili dello Stato, anche personale a chiamata, in particolare cuochi, addetti alle cucine e camerieri; la ditta che attualmente fornisce tale personale è la Armonia Catering srl, di proprietà del fratello e della cognata del capo ufficio amministrativo dello Stato maggiore della Difesa e presso tale ditta, in qualità di responsabile amministrativo, lavorerebbe il figlio del direttore del circolo, generale di brigata Rinaldi Rinaldin –:
   se non intenda fornire ogni utile elemento sui bilanci degli ultimi esercizi del circolo ufficiali delle Forze armate d'Italia, anche fornendo la relativa documentazione, non ritenga di dover assumere iniziative per pubblicare gli stessi, per il futuro, sul sito internet del Ministero;
   se non intenda far conoscere i costi effettivi di funzionamento e gestione del circolo stesso, compresi i costi del personale dipendente dal Ministero e quelli infrastrutturali;
   se sia a conoscenza che presso il circolo stesso attualmente opera la ditta Armonia Catering di proprietà di familiari di un responsabile amministrativo dello Stato maggiore della Difesa e che la stessa impiega in posizione di vertice il figlio dell'attuale direttore del Circolo;
   se, di conseguenza, non ritenga di dove urgentemente disporre, per quanto di competenza, delle verifiche sulla regolarità formale e la correttezza sostanziale delle procedure di affidamento dell'appalto a tale azienda. (5-05871)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta da comunicazioni sindacali inviate in questi giorni ai diretti interessati, ai dirigenti ed ex incaricati di funzioni dirigenziali dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in attesa che si rendano disponibili le somme del comma 165 per la sottoscrizione dell'accordo sul saldo dell'indennità di risultato per l'anno 2013, con il cedolino dello stipendio del mese di maggio è stato corrisposto un 2o acconto a valere sul medesimo fondo, mentre su quello del mese di giugno sarà erogato il 1o acconto dell'indennità di risultato anno 2014. Tali acconti sono calcolati in misura pari al 20 per cento della retribuzione di posizione collegata alla funzione dirigenziale rivestita;
   la sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015 ha dichiarato l'incostituzionalità delle norme che hanno introdotto e reiterato nelle Agenzie fiscali, in questi ultimi anni, gli incarichi dirigenziali assegnati sine titulo, in quanto contrastanti con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, secondo cui è possibile l'accesso ai pubblici uffici soltanto mediante concorso;
   la norma impugnata consentiva invece a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari, senza aver superato un pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, con retribuzioni e premi superiori a quelli in realtà corrispondenti alla qualifica rivestita;
   gli incarichi in parola sono risultati contrari a inderogabili principi costituzionali e che la citata sentenza della Consulta ha rappresentato un chiaro monito a che questa situazione finisca;
   la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima debba essere disapplicata con effetti ex tunc, comportando la caducazione degli effetti e dei rapporti ancora in corso di svolgimento, dato che l'efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è giustificata dalla stessa eliminazione della norma, che non può più regolare alcun rapporto giuridico;
   le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sono definite come una species di ius superveniens retroattivo e annoverate tra le fonti del diritto;
   la retroattività delle sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale trova il suo naturale limite solo nella intangibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici ormai esauriti in epoca precedente alla decisione della Corte, ma si applica sicuramente ai rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento, tra cui senz'altro l'erogazione di acconti e premi relativi ad incarichi già dichiarati illegittimamente assegnati;
   come evidenziato anche dal presidente dell'Anac, con il comunicato del presidente del 14 maggio 2015, il soggetto che conferisce un incarico dirigenziale nullo risulta pienamente responsabile per il danno erariale rilevabile, anche sotto il profilo risarcitorio nei confronti dell'amministrazione, e considerato che la nullità dell'incarico comporta ovviamente l'immediata cessazione dallo stesso del soggetto nominato, determinando una condizione di rischio grave per gli atti eventualmente adottati dal medesimo soggetto nel frattempo;
   come paventato dalla citata Autorità anticorruzione, l'Agenzia delle entrate, dando incarico di dirigenti a funzionari non in possesso della qualifica relativa e senza concorso, non solo ha violato principi elementari ed inderogabili della Costituzione, ma ha in effetti anche messo a rischio la validità degli atti firmati dai dirigenti illegittimi, come confermato dalle numerose sentenze di Commissioni di merito fino ad oggi emesse, con conseguente responsabilità erariale, nella denegata ipotesi in cui tali pronunce dovessero trovare conferma in sentenze passate in giudicato, senza trascurare l'immane danno all'immagine subito;
   il pagamento di premi da dirigenti a funzionari che la Corte costituzionale ha già dichiarato non essere dirigenti e dunque non aver diritto alle maggiori retribuzioni ed indennità, in un contesto già grave di rilevanti profili di responsabilità erariale, rappresenta secondo l'interrogante:
    a) un ennesimo eccesso di potere, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con ulteriore e ancor più grave danno da responsabilità erariale;
    b) una chiara violazione e aggiramento della sentenza della Consulta, i cui effetti riguardano senza dubbio ogni corresponsione successiva alla sua entrata in vigore;
    c) un fatto ancor più grave in un contesto in cui invece la gran parte dei dipendenti della stessa Agenzia, con qualifica uguale o addirittura superiore a quella degli stessi ex incaricati, e già danneggiati negli anni dal censurato ed illegittimo sistema di selezione della classe dirigente, riceve premi di gran lunga inferiori, con dunque grave violazione degli inderogabili principi costituzionali di buona amministrazione ed uguaglianza –:
   se il Ministro in qualità di responsabile, per convenzione, del controllo delle Agenzie fiscali, compreso il rispetto delle leggi, delle sentenze della Corte Costituzionale e del buon ed imparziale andamento dell'Amministrazione, non intenda, laddove tale circostanza fosse confermata, far interrompere immediatamente tali illegittime corresponsioni e laddove già erogate effettuare le dovute segnalazioni agli organi competenti. (5-05864)


   MARCO DI MAIO, CAUSI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, CURRÒ, DE MARIA, FRAGOMELI, FREGOLENT, GINATO, GITTI, LODOLINI, MORETTO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA e ZOGGIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono considerati familiari a carico tutti i componenti del nucleo familiare che sono conviventi con il contribuente e che hanno un reddito inferiore ad euro 2.840,51;
   ogni contribuente che ha dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi;
   il limite di reddito per i familiari è di 2.840,51 euro ed è stato adeguato al costo dell'inflazione l'ultima volta nel 1996 dal Ministro Lamberto Dini;
   al 1996 ad oggi tale limite non ha subito nessuna variazione sebbene siano passati quasi 20 anni, infatti i 5.500.000 circa di lire dell'epoca sono gli attuali 2.840,51 euro;
   nel caso di una famiglia in cui il padre è deceduto e il figlio/a minorenne percepisce parte della pensione di reversibilità, che supera di pochissimo il limite dei 2.840,51 euro lordi annui, la madre (che dunque diventa il contribuente con familiare a carico) perde il diritto alla detrazione di circa 800,00 euro annuali e alle agevolazioni sulle spese mediche del figlio/a –:
   quale sarebbe il costo per l'erario qualora il predetto limite venisse elevato dagli attuali 2840,51 euro a 5.000,00 euro e se non ritenga urgente rivedere quanto prima il limite di reddito per i familiari a carico, con particolare attenzione ai nuclei monogenitoriali e alle situazioni di maggior disagio sociale. (5-05865)


   ALBERTI, PESCO, TRIPIEDI, CRIPPA, VILLAROSA, PISANO, RUOCCO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   attualmente (dal 1o ottobre 2013) le aliquote IVA sono le seguenti: 22 per cento (ordinaria), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta);
   secondo la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto e successivi atti modificativi:
    a) gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte;
    b) le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III;
    c) le aliquote ridotte sono fissate ad una percentuale della base imponibile che non può essere inferiore al 5 per cento;
   nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie L n. 316/37 del 27 novembre 2013, è stata pubblicata la decisione di esecuzione del Consiglio 2013/678/UE del 15 novembre 2013, riguardante la proroga dell'autorizzazione ad applicare una misura di deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, con contestuale innalzamento della relativa soglia a 65.000 euro;
   secondo i dati forniti dall'Italia, la misura di deroga ha solo un'incidenza trascurabile sul gettito fiscale complessivo riscosso allo stadio del consumo finale e non incide sulle risorse proprie dell'Unione provenienti dall'IVA;
   secondo il rapporto allegato al Libro verde, la complessità del sistema provoca un mancato introito da IVA, dovuto a frodi IVA, mancati pagamenti, errori ed altro, che per il 2009 può essere prudentemente stimata in misura pari al 6,9 per cento del prodotto interno lordo e al 12 per cento delle entrate IVA dell'Unione europea; ciò significa un'evasione pari a circa 118,8 miliardi di euro; secondo il rapporto, in Italia la percentuale salirebbe al 22 per cento, per un totale di circa 29 miliardi di euro di IVA evasa rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro;
   le entrate IVA in Italia rappresentano circa il 13,8 per cento delle entrate fiscali totali;
   secondo i dati del Ministero dell'economia e delle finanze nel periodo gennaio-ottobre 2014 si registra un gettito delle imposte indirette pari a 150.936 milioni di euro, con un incremento del 2,9 per cento (+4.264 milioni di euro), rispetto ai primi dieci mesi dello scorso anno;
   il gettito IVA cresce del 2,4 per cento (+1.975 milioni di euro); in particolare, continua l'andamento positivo dell'IVA sugli scambi interni del 3 per cento, (+2.200 milioni di euro), mentre resta negativa del 2 per cento la componente dell'IVA sulle importazioni da Paesi extra-Unione europea, rispetto all'analogo periodo dei 2013;
   il 12 febbraio 2014 la Camera dei deputati ha approvato diverse mozioni sulle iniziative per armonizzare il sistema europeo dell'imposta sul valore aggiunto, alla luce del Libro verde sul futuro dell'IVA adottato dalla Commissione europea, che impegnano il Governo a garantire tra l'altro che le priorità strategiche indicate nel documento, si traducano in azioni concrete; che il maggior gettito derivante dall'attività di contrasto alle frodi venga destinato alla riduzione delle aliquote IVA; che il regime di vantaggio sia esteso ai soggetti passivi il cui volume d'affari non sia elevato; che vengano predisposte misure più efficaci nel contrasto all'evasione e all'elusione fiscale; che venga previsto un aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie e una revisione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, destinando il maggior gettito derivante da queste misure alla riduzione delle aliquote IVA;
   l'articolo 81 della Costituzione prevede che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provveda ai mezzi per farvi fronte, pertanto è necessario conoscere il gettito derivante dall'aliquota IVA applicata ad ogni bene e servizio –:
   quale sia l'importo del gettito IVA derivante dalle aliquote in vigore, (22 per cento 10 per cento e 4 per cento), suddiviso per aliquota e per tipologia di bene/servizio, e se sia stata mai prodotta, anche a livello europeo, una relazione di valutazione dell'impatto delle aliquote ridotte applicate ai servizi prestati localmente, in particolare, in termini di creazione di occupazione, di crescita economica e di buon funzionamento del mercato interno. (5-05866)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 188 del 2014, e con successivo provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli n. 394 del 2015, per i prodotti da inalazione senza combustione contenenti o meno nicotina ex articolo 62-quater, comma 1-bis del decreto legislativo n. 504 del 1995 (cosiddetto sigarette elettroniche), è stata stabilita un'imposta di consumo pari a euro 0,373, più Iva, per millilitro di liquido;
   l'applicazione della suddetta imposta ha comportato un esponenziale aumento dei prezzi di vendita al pubblico delle cosiddette e-cig del 150 per cento ed al 300 per cento per quelli all'ingrosso, rispetto allo scorso anno, determinando, da un lato, una forte distorsione in termini di concorrenza per le aziende italiane, che hanno subito un drastico calo delle vendite pari al 70 per cento, con immaginabili ripercussioni anche sul piano occupazionale, e dall'altro, l'esplosione del commercio illegale e delle importazioni irregolari, anche grazie allo sviluppo di piattaforme di vendita ed approvvigionamento via web facenti capo ad aziende con sede all'estero, che commercializzano prodotti non conformi agli standard e senza applicare l'imposta stessa, e che consentono, tra l'altro, al consumatore finale di acquistare prodotti «fai da te» preparati attraverso la miscelazione di sostanze che possono mettere a serio repentaglio la sua salute;
   tale regime impositivo non è apparso equilibrato neanche alla Corte Costituzionale che, con la recente sentenza n. 83 del 2015, ha rilevato che esso attua un'indiscriminata imposizione su qualsiasi prodotto contenente «altre sostanze» diverse dalla nicotina, mettendo quindi sullo stesso piano sigarette tradizionali e sigarette elettroniche, oltre ad un'irragionevole estensione del regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio dei liquidi aromatizzati e dei dispositivi per il relativo consumo, i quali non possono essere considerati succedanei del tabacco, ed infine, che lo stesso è privo, con riferimento alle «altre sostanze», del presupposto impositivo, posto che il regime fiscale dei tabacchi è fondato sul disfavore nei confronti di tutti i prodotti nocivi per la salute;
   all'attuale depressione del mercato nazionale delle sigarette elettroniche si affianca l'evidente decremento, in termini di gettito, delle entrate per lo Stato e rispetto alle quali si prevede che quest'anno, realisticamente, non supereranno gli 11 milioni di euro a fronte di una stima di maggiori entrate pari a 150 milioni di euro; si tratterebbe di un magro risultato visto che il Governo aveva deciso di contrastare con il nuovo regime impositivo sulle cosiddette «e-cig» il crollo delle accise sul tabacco che nel solo 2013 aveva sfiorato, in termini di mancate entrate per lo Stato, il -7,6 per cento;
   secondo quanto disposto dalla Circolare R.U. 31986 pubblicata sul sito dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli il 18 marzo 2015, inerente i controlli sui liquidi da inalazione, la stessa Agenzia, ha avviato, d'intesa con la Guardia di finanza, i necessari controlli volti a monitorare la corretta circolazione dei prodotti ed il versamento dei tributi previsti dalla legge, attraverso le comunicazioni provenienti da aziende italiane ed estere, ivi comprese quelle che operano a mezzo dei canali di commercializzazione a distanza come i mass media (giornali, social network, blog e forum specializzati); allo stesso modo e per i medesimi fini, ha obbligato gli operatori del settore ad acquistare i liquidi solo presso depositi o rappresentanti fiscali autorizzati, che sono a loro volta tenuti a versare l'imposta di consumo applicabile su tali prodotti –:
   se alla luce degli effetti riconducibili all'aumento dell'imposizione fiscale su tutti i prodotti da inalazione senza combustione contenenti o meno nicotina, quest'ultimo abbia portato ad una contrazione del mercato lecito a tutto vantaggio di quello illecito, e quali ulteriori iniziative di carattere normativo, regolamentare e di controllo intenda intraprendere al fine di arginare un fenomeno che, oltre ad essere dannoso sul versante del gettito erariale, è pericoloso per la salute e lesivo della corretta attività d'impresa. (5-05867)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una grande novità ha interessato quest'anno 20 milioni di contribuenti italiani che dal 15 aprile 2015 hanno avuto a disposizione direttamente on line, sul pc di casa, il modello 730 precompilato. Si dice «precompilato» perché l'Agenzia delle entrate utilizzando le informazioni disponibili in anagrafe tributaria, ha messo a disposizione dei lavoratori dipendenti e pensionati la dichiarazione dei redditi già compilata da poter essere accettata così com’è, oppure modificata e integrata prima dell'invio;
   numerosi sono stati gli utenti ad utilizzare questa nuova procedura, risparmiando tempo e denaro, ma numerosi sono stati anche gli utenti che invece hanno preferito continuare con la vecchia procedura, quindi rivolgendosi al proprio professionista o al caf;
   le motivazioni che hanno spinto gli utenti a rivolgersi, come negli anni passati, o al professionista o al caf sono riconducibili essenzialmente a tre problematiche:
    a) chi non ha mai elaborato la propria dichiarazione dei redditi in cartaceo, difficilmente si imbarca nell'impresa di elaborarla addirittura telematicamente ritenendo tale attività laboriosa e complessa;
    b) numerosi utenti sono sprovvisti di pin, e non conoscono la procedura per ottenerlo;
    c) numerosi utenti hanno avuto il timore delle sanzioni per eventuali errori –:
   se il Ministro interrogato, tenuto conto dell'utilità per tutti gli utenti di utilizzare questa modalità, ritenga di adoperarsi al fine di incentivare i cittadini all'uso del modello precompilato effettuando già dal mese di gennaio 2016 una adeguata campagna informativa, che spieghi sia la facilità dell'elaborazione che le modalità di accesso attraverso una guida interattiva che coaudiovi l'utente nella compilazione;
   se non ritenga di incentivare i cittadini alla richiesta delle credenziali per i servizi della pubblica amministrazione permettendo di fare la richiesta anche presso sportelli degli uffici pubblici o delle poste;
  se non ritenga che si possa derogare allo spettro delle sanzioni per i primi anni di utilizzo del sistema, creando un servizio di controllo che sia veramente da ritenere «fisco amico»;
   se non ritenga auspicabile proporre un sistema analogo di dichiarazione dei redditi per quei lavoratori autonomi che aderiscono al regime dei minimi affinché questo regime possa effettivamente essere gestito dal professionista senza intermediari. (5-05862)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CURRÒ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recenti articoli di stampa hanno riportato l'attenzione dell'opinione pubblica sull'annoso problema della circolazione sulle autostrade siciliane nei mesi estivi, perché ridotte sempre più a cantieri perennemente aperti e quasi mai conclusi;
   gli ultimi avvenimenti, in particolare il crollo di un viadotto, che ha di fatto «tagliato» l'intera regione, è solo l'atto conclusivo di una rete autostradale deteriorata al punto da doversi considerare obsoleta e non più idonea a sostenere i traffici moderni;
   sulla autostrada Messina – Palermo, da oltre quarant'anni esiste il casello di Villafranca Tirrena che di fatto sovraccarica la parte iniziale della A20, già pesantemente intasata dal «restringimento» del viadotto Ritiro; al punto che il Consorzio autostrade siciliane ha chiesto ed ottenuto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la riduzione del pagamento del pedaggio autostradale nella tratta Messina centro sino al casello di Villafranca, del 50 per cento dell'ammontare dello stesso;
   detta riduzione opera solo limitatamente ai possessori di Telepass, escludendo quindi coloro che utilizzano il pagamento con carta ed in contanti e solo per le fasce orarie dalle 21,00 alle 8,00 e dalle 14,00 alle 16,00 e solamente nei mesi di luglio ed agosto;
   lo stesso CAS ha giustificato la summenzionata richiesta con la seguente motivazione: «necessità di decongestionare il più possibile la viabilità della tratta che ricade nel viadotto Ritiro distribuendo la circolazione in orari alternativi alle consuete ore di punta»;
   il Consorzio autostrade siciliane incassa, dal pagamento del pedaggio dello svincolo di Villafranca, lungo soli 11 chilometri, mediamente la somma di 2.800.000,00 euro in un anno, a fronte del pagamento del ticket di 1,20 euro pari a circa 15 centesimi per chilometro, che per tale motivo, è da considerarsi tra i più costosi pedaggi autostradali italiani;
   lo stesso Consorzio ha più volte affermato che il pagamento di detto pedaggio è vincolato e/o obbligato dalla concessione Ministeriale;
   lo svincolo autostradale non possiede le caratteristiche tecniche previste dalle leggi e dai regolamenti vigenti per essere definito tale, visto che detto era stato progettato in origine solo per i mezzi commerciali che si muovevano da e per la Pirelli di Villafranca, per evitare che utilizzassero lo svincolo di Rometta e intasassero la via Nazionale;
   a maggior dimostrazione di quanto sopra detto, lo svincolo di Villafranca permette solo l'entrata e l'uscita da e per Messina, mentre non è possibile dirigersi verso Palermo; infatti detto svincolo è costituito semplicemente da due bretelle di collegamento non essendo stato né previsto né costruito il classico svincolo cosiddetto a «tromba»;
   lo svincolo autostradale denominato Villafranca posto sulla A20 serve de facto le località di Orto Liuzzo, Rodia, Gesso, Tarantonio, San Saba, Piano Torre, Acqualadrone, Spartà e Mortelle e queste sono tutte frazioni del comune di Messina;
   i cittadini messinesi utilizzano la tratta da Sud (Tremestieri) a Nord (Ponte Gallo) per raggiungere il centro della città e che per le tratte autostradali che si sviluppano all'interno dello stesso comune, come è quella segnata in oggetto, con raccordi, bretelle e tangenziali, non è dovuto alcun pedaggio:
   dette frazioni, sono collegate tra loro e Messina centro solo tramite una strada statale con ridotte capacità di viabilità e per di più interessata a continui smottamenti e frane perché soggetta a gravi fenomeni di dissesto idrogeologico; ciò rende oltremodo difficile raggiungere il centro della città soprattutto nei mesi invernali;
   gli abitanti delle summenzionate frazioni sono costretti ad utilizzare il tratto autostradale in questione al fine di recarsi quotidianamente a Messina centro per lavoro, per motivi di studio ed anche per motivi di salute al fine di raggiungere la struttura ospedaliera più vicina –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti e delle circostanze sopra esposti e se il pagamento del pedaggio dello svincolo attualmente denominato «Villafranca» sulla A20 rispetti o meno quanto previsto dalla normativa in materia;
   se la misura di riduzione del pedaggio così come autorizzata sia idonea a garantire il perseguimento degli obiettivi di decongestionamento della tratta in questione. (5-05868)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tra il 16 e il 18 giugno 2015 tra soci della società CIN/Tirrenia sarebbero intervenute profonde modificazioni degli assetti statutari e societari;
   a quanto risulta all'interrogante tra le altre intese sottoscritte vi sarebbe la cessione dell'intero capitale azionario ad un unico socio;
   tale cessione sarebbe avvenuta per un importo prossimo ai 100 milioni di euro da versare entro il 30 settembre;
   dal notaio sarebbe stato, dunque, messa a punto quella che appare all'interrogante una situazione di sostanziale monopolio Tirrenia/Moby sui mari sardi;
   si tratterebbe di un assetto senza nessuna concorrenza, nemmeno di facciata che sui mari della Sardegna da qualche giorno avrebbe di fatto iniziato ad operare per il governo del trasporto marittimo;
   si tratta di un atto di una gravità inaudita che costituisce un vero e proprio scacco ai danni della Sardegna e dei sardi;
   un atto che appare all'interrogante in contrasto con tutte le regole sulla concorrenza, nel silenzio del Governo Renzi e della giunta, regionale Soru/Pigliaru;
   un'operazione maldestra contro la Sardegna e contro lo sviluppo economico dell'isola;
   è indispensabile che il Governo attivi tutte le possibili procedure per segnalare alle autorità competenti l'avvenuto accordo perché vengano avviate urgentemente indagini su tutto quello che sta avvenendo sul cabotaggio marittimo e la Tirrenia;
   si tratta di un accordo che va bloccato in tutti i modi;
   si configurano sempre di più a giudizio dell'interrogante gli estremi per la stessa risoluzione della convenzione essendo venuti meno in base all'articolo 15 dell'atto i presupposti dell'interesse pubblico;
   il contenuto degli atti depositati il 22 giugno dal notaio Carlo Marchetti alla camera di commercio di Cagliari, nel silenzio più assoluto, non risulta essere disponibile;
   un dato è, però, certo: riguardano la Tirrenia e i rapporti con i soci;
   si tratta di modifiche statutarie, con una parola chiave su tutte: prelazioni;
   a quanto consta all'interrogante le riunioni dal notaio, con tanto di registrazioni sarebbero almeno due, la prima il 16 giugno 2015, per modifiche statutarie e la seconda il 18 giugno con una registrazione alla camera di commercio di Cagliari contrassegnata con tre parole: 18 giugno: data ultimo protocollo;
   le registrazioni alla camera di commercio sarebbero avvenute tutte in data 22 giugno, lunedì, di prima mattina;
   tali modifiche e tali accordi avvengono nel silenzio assoluto, mentre si avvia la stagione vacanziera che rende più difficile far emergere la questione e manifestare qualsiasi tipo di reazione;
   negli ambienti ministeriali, secondo quanto appreso dall'interrogante, la notizia sarebbe data per certa: accordo siglato davanti al notaio;
   il tutto sarebbe avvenuto il 18 giugno 2015: la conferma arriverebbe direttamente dai registri della camera di commercio di Cagliari;
   il nuovo assetto sarebbe scattato subito dopo l'accordo chiuso da Onorato qualche giorno prima del 18 giugno negli Stati Uniti con il fondo americano Och Ziff che fornirebbe le risorse necessarie tramite le quali saranno rilevate le azioni in mano al private equity Clessidra e agli azionisti di minoranza di Tirrenia, Luigi Negri e Francesco Izzo;
   l'operazione del 18 giugno 2015 si è conclusa solo dopo la modifica statutaria di due giorni prima;
   l'operazione sarebbe stata siglata in ogni singolo dettaglio;
   gli americani, assistiti dagli advisor di Bluebell Partners, avrebbero, infatti, concesso un prestito da 100 milioni di euro sufficienti per far conquistare a Onorato il pieno controllo sia di Moby che della stessa Tirrenia;
   un'operazione con molte coperture considerato che, secondo l'interrogante sarebbe in contrasto con più d'uno degli accordi iniziali di cessione della Tirrenia; soprattutto in modo maldestro si finisce di fatto, ad avviso dell'interrogante per contravvenire a tutte le disposizioni comunitarie e dell'Autorità garante in materia di concorrenza;
   l'operazione è stata siglata anche negli aspetti finanziari: a Clessidra andranno 80 milioni di euro, agli altri soci di Tirrenia 20 milioni di euro;
   un consiglio di amministrazione urgente tenutosi a Napoli, nonostante la sede legale in Sardegna, nei giorni scorsi, avrebbe azzerato tutti i possibili contenziosi tra Onorato e Clessidra;
   si tratta di fatto di un'operazione consumatasi silenziosamente per la quale il Governo dovrebbe immediatamente riferire al Parlamento considerato l'onere che lo Stato sostiene con l'erogazione di 73 milioni di euro all'anno per la continuità territoriale da e per la Sardegna;
   vi sono evidenti profili di dubbia legittimità a partire dalla posizione dominante del nuovo soggetto e soprattutto dagli aspetti di compatibilità con le normative antitrust;
   è fin troppo evidente che il mercato Moby e Tirrenia costituisce di fatto ad avviso dell'interrogante una posizione di sostanziale monopolio del trasporto marittimo da e per la Sardegna;
   si tratta di una concentrazione che l'Unione europea aveva più volte segnalato e richiamato ancor prima di questa di fatto palese fusione delle due società;
   ad avviso dell'interrogante si sta tentando in tutti i modi di superare i limiti posti dall'autorità della concorrenza e del mercato;
   la sostanza dei fatti è, però, difficilmente aggirabile: un solo socio per due compagnie che detengono da sole l'85 per cento del mercato sardo del trasporto;
   quest'operazione finanziaria sulle spalle della Sardegna deve essere bloccata –:
   se, non ritenga il Governo di assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere la concorrenza sulle rotte della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se non ritenga opportuno richiedere all'autorità garante della concorrenza e del mercato di procedere ad un'indagine conoscitiva con riferimento all'esercizio dei servizi di navigazione da e per la Sardegna ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 287 del 1990;
   se non ritenga di dover valutare se sussistano i presupposti per la risoluzione della convenzione con Cin Tirrenia relativamente all'articolo 15 per esser venuto meno l'interesse pubblico alla convenzione. (5-05869)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, FIANO e COVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sicurezza del personale ferroviario e dei pendolari fruitori del servizio rappresenta un punto cruciale nel generale piano di sicurezza per una città;
   si apprende tramite mezzo stampa che giovedì 11 giugno alle ore 22 circa, a bordo di un treno Trenord nella stazione del passante ferroviario di Villapizzone (Milano), il capotreno Carlo di Napoli è stato ferocemente aggredito con un machete mentre svolgeva le sue funzioni di controllo dei biglietti ai passeggeri;
   l'aggressione, costatagli un intervento di 8 ore per salvargli il braccio, è opera di tre assalitori, Alexis Ernesto Garcia Rojas, 20 anni, Jackson Jahir Lopez Trivino, 19 anni e Jose Emilio Rosa Martinez, 19 anni, i quali sono stati identificati come membri appartenenti alla gang Mara Salvatrucha, conosciuta anche come MS 13;
   il Federal Bureau of Investigation statunitense descrive la Mara Salvatrucha come una delle gang più pericolose al mondo e per contrastarla ha costituito nel 2005 una task force dedicata;
   tale gang, già nota alle forze dell'ordine per essersi più volte resa responsabile di aggressioni, rapine e spaccio di sostanze stupefacenti, risulta essere tra le più violente, strutturate e ben organizzate gang di origine sudamericana presenti sul territorio;
   gli stessi Alexis Ernesto Garcia Rojas e Jackson Jahir Lopez Trivino erano già Stati fermati durante l'operazione delle forze dell'ordine «Marenos» dell'ottobre 2013, con l'accusa di gravi reati;
   l'efferatezza del gesto, aggravata dalla giovane età dei responsabili e dall'apparato ideologico e di affiliazione, eleva l'accaduto da fatto di cronaca a problema sociale, culturale e di sicurezza, considerando anche la recidività delle persone coinvolte che testimonia la necessità di misure più incisive di quelle ordinarie –:
   se non intenda destinare delle risorse straordinarie per rafforzare nella questura di Milano le strutture preposte alla repressione e al controllo delle bande criminali come la Mara Salvatrucha;
   quali misure intenda applicare il Governo per garantire una maggiore sicurezza nelle stazioni ferroviarie e sulle tratte dei treni più soggette a rischio criminalità, prendendo in considerazione, ad esempio, la possibilità di utilizzare, a tal fine, al termine dell'Esposizione universale, una parte delle 3500 unità delle forze dell'ordine, attualmente impegnate per garantire la sicurezza dell'esposizione universale Expo2015. (4-09553)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso che nella serata del 15 giugno 2015 si è verificata nel pieno centro di Trieste, in via del Toro, una grave rissa tra immigrati di origine balcanica che risiedono nel capoluogo giuliano; agli scontri hanno preso parte circa una trentina di persone, di origine kosovara e serba, armate di spranghe e altri oggetti atti ad offendere;
   sono all'ordine del giorno nella città di Trieste le violenze tra bande di immigrati che hanno più volte molestato anche diverse ragazze italiane; già da alcune settimane si preannunciavano scontri che sarebbero potuti sfociare, come poi è accaduto, nella rissa dello scorso 15 giugno;
   le forze dell'ordine sono state immediatamente allenate dai cittadini per sedare la rissa ma non sono intervenute perché impegnate nell'identificazione degli innumerevoli immigrati clandestini arrivati dal vicino confine sloveno;
   da tempo, infatti, le forze dell'ordine della regione Friuli Venezia Giulia sono impegnate prevalentemente in operazioni di accoglimento ed identificazione di centinaia di immigrati che arrivano sul territorio –:
   se il ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sta accadendo in Friuli Venezia Giulia e nello specifico nella città di Trieste, dove si stanno moltiplicando gli episodi di violenza in cui sono coinvolti immigrati clandestini e le forze dell'ordine non riescono, per risorse e mezzi limitati, a garantire la sicurezza dei cittadini;
   quali provvedimenti intenda assumere il Ministro interrogato al fine di ampliare l'organico delle forze dell'ordine presenti sul territorio regionale, per garantire un vero presidio operativo per i cittadini. (4-09560)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato da fonti sindacali, lo scorso 30 maggio 2015 sarebbe avvenuto un fatto piuttosto grave a Campobasso;
   nelle ore centrali della giornata, viene richiesto l'intervento di una volante poiché un uomo di colore si è gettato a terra gridando tra le auto in sosta in una zona centrale della città. Una volta sul posto, gli agenti accertano che si tratta di un cittadino di nazionalità nigeriana senza documenti con a carico alcuni precedenti di polizia, nonché un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale risalente all'aprile dell'anno scorso, mai ottemperato;
   secondo quanto previsto dalle norme, l'uomo privo di documenti d'identità viene accompagnato negli uffici di polizia per essere identificato in maniera certa e viene pertanto sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici (fotografie e impronte digitali);
   finiti i riscontri e scoperto che le generalità che aveva fornito erano vere e che pendeva su di lui un provvedimento di espulsione, lo straniero è denunciato a piede libero e invitato a recarsi spontaneamente il giorno successivo, come ormai prevede la prassi, all'ufficio stranieri per le pratiche di espulsione;
   tuttavia, ai due agenti, che hanno svolto il loro dovere, viene contestato il fatto che, per svolgere tali attività di accertamento, avessero svolto 4 ore di lavoro straordinario. Il cittadino nigeriano, infatti, era stato fermato poco dopo mezzogiorno e i controlli erano terminati alle 17, quattro ore dopo la fine del loro orario di servizio previsto per le ore 13;
   nessuno, secondo il questore di Campobasso, aveva autorizzato i due agenti a proseguire oltre il loro normale orario di servizio;
   a denunciare questa incredibile vicenda è il sindacato di polizia Consap, che in una nota evidenzia come i due poliziotti «se non si fossero comportati come hanno fatto, si sarebbero potuti rendere colpevoli di omissione di atti di ufficio»; peraltro, sempre secondo quanto segnalato dall'associazione sindacale, non è la prima volta che l'attuale questore di Campobasso si comporta in modo anomalo verso i suoi uomini, tanto è vero che l'interrogante già lo scorso 21 ottobre 2014 ha depositato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-06512 (che non ha ancora avuto risposta nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del regolamento della Camera) sull'operato del questore con la quale si chiedevano chiarimenti in merito ad alcuni suoi atteggiamenti;
   peraltro, occorre segnalare che uno dei due agenti che il questore vuole sanzionare è un pluridecorato con una medaglia d'oro al merito di servizio, rilasciatagli dal prefetto di Campobasso appena l'anno scorso, numerose lodi e attestati pubblici di benemerenza per la sua attività professionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto e se non ritenga doveroso approfondire la faccenda per chiarire i fatti e capire se vi siano stati eventuali abusi da parte del responsabile delle volanti di Campobasso o del questore nei confronti dei due poliziotti in questione. (4-09562)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 maggio 2015 le dimissioni in blocco di tredici consiglieri hanno determinato lo scioglimento del comune di Terracina, cui ha fatto seguito il commissariamento dell'ente;
   a neanche un mese di distanza analoga sorte è toccata al comune di Latina, nel quale il sindaco è stato oggetto di una mozione di sfiducia approvata con una maggioranza di venti voti;
   lo scioglimento dei due consigli comunali è avvenuto nel periodo di tempo compreso tra le due convocazioni dell'assemblea per, il rinnovo del Consiglio d'amministrazione della società «Acqualatina spa», società mista a prevalente capitale pubblico, la cui quota maggioritaria di capitale è detenuta dai trentotto comuni dell'ambito territoriale ottimale del Lazio meridionale in proporzione alla popolazione residente, e che gestisce il servizio idrico integrato del territorio;
   la prima assemblea era stata oggetto di rinvio sulla base di una richiesta presentata da alcuni partecipanti e accolta a causa del voto determinante espresso dal socio privato;
   lo scioglimento dei due comuni ha determinato l'assenza dei relativi rappresentanti durante la seconda seduta dell'assemblea, di fatto alterando il «peso» espresso dai soci della società in quella sede, posto che i comuni Latina e Terracina rappresentano il 15 per cento del capitale sociale e circa il 35 per cento dell'intero capitale pubblico della società –:

se non ritenga di assumere iniziative normative dirette a disciplinare le modalità di convocazione dei consigli di amministrazione delle società miste al fine di evitare che possano essere assunte decisioni rilevanti nelle fasi in cui i soci pubblici si trovino ad operare in mancanza di rappresentanti eletti per far sì che l'interesse pubblico sia sempre adeguatamente difeso. (4-09563)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   quasi due mesi fa i lavoratori e le lavoratrici delle terme di Stabia avevano occupato la struttura delle antiche terme;
   pochi giorni fa essi hanno consegnato nelle mani del primo cittadino le chiavi del cancello della struttura che per settimane avevano autogestito provvedendo a pulirla e a darle dignità;
   si tratta, lo si ricorda, di una struttura rimessa a nuovo ma abbandonata da tempo a sé stessa;
   ad occupare lo stabilimento erano rimasti davvero in pochi, e negli ultimi giorni erano rimaste, per la maggior parte, solo donne;
   la motivazione ufficiale è quella della riconsegna della struttura, ma da voci riportate dai giornali pare che i lavoratori abbiano deciso di lasciare perché nei giorni scorsi vi sarebbero state intimidazioni da parte di qualche personaggio a cui non era gradito quello che stava accadendo;
   il forte rischio è che dietro queste intimidazioni possa esservi la criminalità organizzata o comunque figure determinate a speculare sulla situazione;
   prima di riconsegnare le chiavi del cancello i lavoratori si sarebbero recati, secondo indiscrezioni, dai carabinieri;
   la vertenza relativa ai lavoratori delle terme di Stabia dura ormai da troppo tempo, ed è già stata oggetto di interrogazione a risposta scritta 4-08667, cui non è ancora stata data risposta;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, anche nell'articolo pubblicato il 17 giugno 2015 dal quotidiano locale Cronache Stabiesi con il titolo «Minacciati dalla camorra i termali chiudono le Terme» –:
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per verificare l'esistenza di eventuali intimidazioni nei confronti dei lavoratori termali e l'origine delle stesse;
   quali iniziative siano state prese o si intendano intraprendere per risolvere una volta per tutte la vertenza relativa alle Terme di Stabia e ai lavoratori ed alle lavoratrici delle stesse. (4-09564)


   ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Montegrotto Terme, nella persona dell'allora sindaco Massimo Bordin, ha inviato in data 7 aprile 2014 una diffida, sfociata poi in ricorso d'urgenza ex articolo 702-bis codice di procedura civile, all'associazione «Villa Draghi», ente associativo apartitico, di promozione culturale e sociale e senza scopo di lucro;
   nell'atto, si fa riferimento alle attività di promozione e valorizzazione del complesso monumentale di Villa Draghi, bene culturale di proprietà del comune di Montegrotto, intendendo di fatto circoscrivere il ruolo in cui enti e associazioni privati possono operare nell'ambito di questa attività e sostenendo l'illegittimità di alcune finalità statutarie, obiettivi di valorizzazione e promozione del bene culturale da parte dell'Associazione di cui sopra, che ha prescelto quale denominazione proprio «Villa Draghi»;
   secondo il comune, apparirebbero «inattuabili» gli obiettivi dell'associazione Villa Draghi, che verrebbe così meno al suo scopo, e la loro pubblicizzazione costituirebbe, sempre secondo l'amministrazione, «una forma di pubblicità non corretta nei confronti della cittadinanza, che sarebbe portata a ritenere che l'Associazione sia titolare di funzioni e poteri riservati, al contrario, per legge, all'Amministrazione comunale»;
   quanto affermato dal comune di Montegrotto non trova tuttavia riscontri oggettivi nella realtà: l'associazione ha sempre dichiarato esplicitamente che la proprietà del bene è del comune di Montegrotto ed essa ha svolto un'azione legittima e benemerita di divulgazione e conoscenza del bene attraverso l'organizzazione di visite guidate da esperti e docenti universitari; ha altresì elaborato con contributi qualificati delle «linee guida», anche attraverso un dialogo costruttivo con operatori del settore; peraltro, al tempo della stesura dello statuto associativo, Villa Draghi versava in uno stato di completo abbandono e l'azione dell'Associazione è stata, dall'origine a oggi, di stimolo e di indirizzo all'ente pubblico, al fine di tutelare, vigilare e denunciare eventuali pericoli di compromissioni e/o inerzie connessi alla fruibilità del bene stesso;
   appare pertanto all'interrogante privo di fondamento quanto si legge nell'atto di diffida del comune e nel successivo ricorsi d'urgenza ex articolo 702-bis codice di procedura civile, ossia che «la condotta sinora tenuta da codesta Associazione e le attività svolte sinora, nonché la stessa scelta del nome e lo stesso scopo dell'Associazione, così come delineati nello Statuto, si pongono in contrasto con le previsioni legislative dettate in materia di apporto partecipativo dei soggetti privati alla valorizzazione dei beni di proprietà pubblica»; in particolare, sempre secondo il comune di Montegrotto Terme, l'associazione Villa Draghi avrebbe «inteso in modo improprio la libertà di iniziativa privata, sotto molteplici profili: in primis prescegliendo come propria denominazione appunto il nome del bene culturale «Villa Draghi»; ciò, sempre secondo l'amministrazione comunale, «senza aver chiesto il previo consenso e/o averlo condiviso con l'Amministrazione comunale che, in quanto proprietaria del bene, è titolare anche del diritto al nome e del diritto alla sua tutela»;
   l'associazione Villa Draghi, costituita nel 2005, è stata invece debitamente e regolarmente iscritta nell'albo delle associazioni del comune di Montegrotto Terme, senza alcuna obiezione, con decorrenza 17 giugno 2006;
   non è chiaro pertanto per quali motivi, a distanza di oltre otto anni dalla corretta iscrizione nell'albo delle associazioni del comune (e dunque dalla conoscibilità dello statuto da parte dell'amministrazione) e di svolgimento di regolare attività associativa sul territorio, il Sindaco diffidi rappresentante legale e soci dall'utilizzare il nome «Villa Draghi» e il sito web www.villadraghi.com;
   l'apertura e la denominazione del sito internet, che secondo il sindaco Bordin «appare lesiva dell'interesse pubblico alla miglior valorizzazione del bene e dell'impegno profuso dalla PA» e devierebbe l'utenza verso il sito di una associazione privata, distraendola dalle pagine istituzionali di Villa Draghi, erano infatti note all'amministrazione di Montegrotto fin dal 14 marzo 2006 e mai fino al 2014 è stata sollevata nessuna osservazione. Se ne deduce che è del tutto incomprensibile oggi l'urgenza di impedire che il sito web continui a esistere;
   quanto asserito dal comune di Montegrotto relativamente agli scopi dell'associazione Villa Draghi appare all'interrogante in contrasto con l'articolo 18 della Costituzione, sulla libertà di associazione, che costituisce uno degli aspetti fondamentali del pluralismo sociale ed è, a sua volta, una specificazione di quella tutela generale, riconosciuta all'articolo 2 della Costituzione, al singolo e alle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
   il danno patrimoniale e non, vantato dall'amministrazione ai sensi dell'articolo 2043 e 2059 del codice civile, si configurerebbe nel cosiddetto «annacquamento della denominazione e dello svilimento dell'immagine del bene, sia del pregiudizio per il mancato esborso del prezzo, che comunemente è dovuto per simili campagne pubblicitarie (Cass. civ., sez. I, sent. 11 agosto 2009, n. 18218)»;
   l'associazione Villa Draghi non ha mai ricevuto, per la sua attività, alcun contributo economico, né ha mai svolto alcuna attività commerciale che avesse o meno a oggetto Villa Draghi, sfruttandone in qualsivoglia modo il nome per un ricavo economico; essa non dispone peraltro di alcun patrimonio immobiliare o finanziario;
   a maggio 2015, a seguito delle dimissioni del sindaco Bordin, già indagato per presunte concussione, corruzione e turbativa d'asta, è stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale di Montegrotto Terme e nominato commissario prefettizio il vice-prefetto dottor Aldo Luciano, che rimarrà in carica fino alle elezioni del 2016;
   il 26 giugno 2015 è fissata l'udienza di comparizione presso il tribunale di Padova –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda sopra descritta e se alla luce di quanto espresso in premessa, si intendano avviare le iniziative necessarie da parte del commissario prefettizio del comune di Montegrato Terme per la cessazione del contenzioso in essere, o comunque la sua risoluzione stragiudiziale, assicurando il normale prosieguo delle attività dell'associazione Villa Draghi e tutelando appieno il diritto di associazione ex articolo 18 della Costituzione.
(4-09565)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   COSTANTINO, SCOTTO, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e NICCHI. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 l'Italia ha aderito, attraverso il Dipartimento per le pari opportunità e l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni (Unar), al programma del Consiglio d'Europa, che adottava la strategia nazionale lgbt 2013-2015, il cui obiettivo era prevenire e contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere;
   sempre nel 2013, il Parlamento italiano è stato il quinto in Europa a ratificare – all'unanimità – la Convenzione di Istanbul, convenzione europea in cui è espressamente indicata la necessità di inserire nei percorsi scolastici di ogni ordine e grado delle forme di educazione all'affettività, ovvero uno spazio in cui è possibile far confrontare i ragazzi sulle relazioni, sulle differenze di genere, sulla risoluzione dei conflitti;
   il 4 giugno 2015, nessun delegato istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è presentato alla conferenza stampa convocata a Roma dall'Asse educazione e istruzione organizzato da Unar e Re.a.dy nell'ambito della strategia nazionale; lo si apprende da un comunicato delle associazioni lgbt Agedo, Arcigay, ArciLesbica, Associazione radicale certi diritti, Equality Italia, Famiglie arcobaleno, Gay center, Mit, che in quell'occasione confermava anche la pubblicazione on line del portale lgbt, ormai pronto, uno degli obiettivi della strategia nazionale e per cui infatti erano stati stanziati degli appositi fondi pubblici e di cui on line non si ha ancora traccia, a distanza di venti giorni;
   nei giorni precedenti alla manifestazione, svoltasi il 20 giugno 2015 a Roma, denominata «Difendiamo i nostri figli», in vari gruppi Facebook e Whatsapp di molti genitori di studenti sono comparsi dei messaggi allarmistici su fantomatici corsi di «teoria del gender», veicolati in alcuni casi addirittura da una dirigente scolastica, come per una circolare n. 289 diffusa presso l'istituto romano «Via P. A. Micheli» e su cui gli interroganti hanno già presentato un'interrogazione a risposta scritta, in cui si invitavano i genitori ad «informarsi meglio» sul sito del comitato promotore della manifestazione organizzata da gruppi cattolici;
   secondo l'Istat erano più di 3 milioni gli italiani che si dichiaravano omo o bisessuali nel 2012 e secondo una ricerca condotta dall'associazione Arcigay, con il patrocinio dell'Istituto superiore di sanità, già nel 2005, il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche con più di 40 anni ha almeno un figlio. Attualmente, nonostante non esista un registro nazionale ufficiale delle unioni civili, si calcola che i figli di coppie omosessuali siano in Italia circa 100 mila –:
   in questo clima di «caccia alle streghe», di totale confusione e di sostanziale diffamazione nei confronti di associazioni coinvolte in numerosi percorsi scolastici di successo che colmano il vuoto lasciato dai programmi ministeriali su qualsiasi aspetto dell'educazione all'affettività, come intenda il Ministro interrogato attendere agli impegni presi attraverso la strategia nazionale lgbt e attraverso la Convenzione di Istanbul nel contrasto all'omofobia, agli stereotipi e alla violenza di genere.
(3-01565)


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sabato 20 giugno 2015 ha raccolto migliaia di adesioni la manifestazione svoltasi a Roma con lo slogan «Difendiamo i nostri figli. Stop gender nelle scuole», i cui organizzatori si battono contro la diffusione della teoria del gender nelle scuole e contro il dettame della «cultura del genere» che rifiuta il concetto di fondo di uomo e donna tout court, attribuendo all'individuo la sessualità che ritiene di sentire;
   attraverso linee guida per i mass media, testi nelle scuole, iniziative di formazione per gli insegnanti degli asili e dei diversi gradi d'istruzione scolastica, persino riscritture della modulistica di istituzioni pubbliche, l'ideologia del gender, che pretende di annullare il dato della differenza sessuale per sostituirlo con un'astratta equiparazione di tutti i possibili orientamenti, sta scendendo dal piano del dibattito di idee per entrare nella vita quotidiana di cittadini e famiglie;
   sull'argomento, il 5 maggio 2015 è stata depositata presso la Presidenza della Repubblica la petizione «Per una scuola che insegna e non indottrina», promossa dal Movimento per la vita, dall'Associazione italiana genitori e da un'altra quarantina di associazioni, che in poco più di due mesi ha raccolto oltre centottantamila firme;
   stando alle affermazioni di uno dei promotori della petizione, la stessa sarebbe stata promossa «a causa della diffusa consapevolezza di una vera e propria emergenza educativa in atto, in particolare per quanto riguarda le tematiche dell'affettività e della sessualità» e sarebbe volta a contrastare l'introduzione della cosiddetta teoria del gender nelle scuole di ogni ordine e grado, fin dagli asili nido;
   sia negli sili nido sia nell'ambito di classi scolastiche, infatti, alcuni istituiti, appellandosi alla propria autonomia didattica, hanno promosso lezioni ed iniziative sulla teoria del gender –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali opportune ed urgenti iniziative intenda assumere in merito.
(3-01566)


   CAROCCI, MALPEZZI, COSCIA, GHIZZONI, ROCCHI, COCCIA, NARDUOLO, MANZI, MALISANI, ASCANI, BLAZINA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca quotidiana dei rapporti conflittuali, e finanche violenti, che spesso connotano le relazioni tra i più giovani, impongono di riconsiderare i percorsi formativi offerti dalla scuola, nell'ottica di promuovere il superamento delle discriminazioni, educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza, dando puntuale attuazione ai principi di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3, 4, 29, 37 e 51 della Costituzione;
   a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa per l'attuazione e l'implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
   in allegato alla raccomandazione CM/REC (2010)5, al punto VI-istruzione, si specifica che, tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure legislative o di altro tipo appropriate, destinate al personale insegnante e agli allievi, al fine di garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere;
   ciò comprende, in particolare, il rispetto del diritto dei bambini e dei giovani all'educazione in un ambiente scolastico sicuro, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere;
   in particolare, dovrebbero a tale scopo essere adottate misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola: esse dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive agli alunni e agli studenti su tali temi, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico, nonché fornire informazioni, protezione e sostegno necessari per consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia nel maggio 2012, ha emanato una specifica circolare rivolta a tutti gli istituti scolastici, con la quale si ricorda il ruolo della scuola nella costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le differenze e il ruolo di contrasto di ogni forma di discriminazione, compresa l'omofobia, sottolineando, in particolare, come la scuola debba cimentarsi ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno;
   tuttavia, negli ultimi mesi si registrano una serie di casi molto preoccupanti, di cui hanno dato ampiamente conto anche in questi giorni gli organi di stampa, che segnalano una pericolosa e ingiustificata inversione di tendenza rispetto a tali indicazioni –:
   quali iniziative urgenti stia adottando il Ministro interrogato per garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, in linea con la raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, promuovendo e realizzando iniziative volte a sensibilizzare gli studenti sul tema della cultura della differenza, anche al fine di prevenire nelle scuole il bullismo basato sull'omofobia. (3-01567)


   MATARRESE, MAZZIOTTI DI CELSO, MOLEA, VEZZALI e CAPUA. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    da quanto riportato dagli organi di stampa, che riportano ogni anno notizie in merito, sono ormai troppi i casi di alunni diversamente abili che frequentano le scuole italiane e che, nonostante abbiano diritto allo studio al pari degli altri, di fatto non hanno la possibilità di svolgere con regolarità e costanza le lezioni a causa della mancanza di un numero adeguato di insegnanti di sostegno;
   gli alunni diversamente abili godono del diritto allo studio innanzitutto ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione e dell'articolo 38 del dettato costituzionale, il quale precisa che «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale»;
   secondo quanto si evince dalla normativa vigente, il diritto allo studio degli alunni con disabilità si realizza attraverso l'integrazione scolastica che prevede l'obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli enti locali e il servizio sanitario nazionale;
   la legge n. 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza, e il lavoro, nell'età adulta;
   la legge 3 marzo 2009, n. 18, ha ratificato la Convenzione dell'Onu del 13 dicembre 2006 per i diritti delle persone con disabilità;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha il compito di favorire l'integrazione dell'alunno diversamente abile e di garantire il suo diritto allo studio tramite iniziative e provvedimenti di varia natura. Compito fondamentale e centrale è affidato ai docenti di sostegno. Concorrono a coadiuvare ed integrare il compito di questi ultimi iniziative di finanziamento di progetti e di attività per l'integrazione, di formazione del personale docente di sostegno e curriculare, nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliare;
   a livello territoriale altri organismi hanno il compito di proporre iniziative per realizzare e migliorare il processo di integrazione: i glip («gruppi di lavoro interistituzionali provinciali», formati da rappresentanti degli enti locali, delle aziende sanitarie locali e delle associazioni dei disabili) e i glh («gruppi di lavoro per l'integrazione degli handicappati», formati dal dirigente della scuola, dai docenti interessati, dai genitori e dal personale sanitario). Il compito del gruppo di lavoro per l'integrazione degli handicappati è particolarmente significativo, in quanto ha la finalità di mettere a punto, tra l'altro, il piano educativo individualizzato, che determina il percorso formativo dell'alunno con disabilità e garantisce un intervento adeguato allo sviluppo delle sue potenzialità;
   l'alunno con disabilità è assegnato alla classe comune in cui si realizza il processo di integrazione. Pertanto, la presa in carico e la responsabilità educativa dell'alunno con disabilità spettano a tutto il consiglio di classe, di cui fa parte il docente per le attività di sostegno. Non a caso, il decreto del Presidente della Repubblica n. 970 del 1975, con cui è stata istituita giuridicamente tale figura professionale (poi meglio caratterizzata nella legge n. 517 del 1977), lo definisce un insegnante «specialista», dunque fornito di formazione specifica, che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del piano educativo individualizzato, definisce le modalità di integrazione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente. L'insegnante per le attività di sostegno viene richiesto all'ufficio scolastico regionale dal dirigente scolastico sulla base delle iscrizioni degli alunni con disabilità; la quantificazione delle ore per ogni alunno viene individuata tenendo conto della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato, di cui alla legge n. 104 del 1992, e dei vincoli di legge vigenti;
   nonostante il quadro normativo descritto appaia decisamente puntuale e ben strutturato, è evidente che lo Stato, ancora oggi, non sia in grado di garantire il tanto ambito diritto allo studio per gli alunni diversamente abili;
   secondo quanto si evince dal documento redatto dal servizio statistico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca denominato «Focus – sedi, alunni, classi e dotazioni organiche del personale docente della scuola statale a.s. 2013/2014», gli alunni diversamente abili sono pari a 207.244 sul totale di 7.878.661;
   il rapporto tra posti di sostegno della scuola statale e alunni con disabilità è di 101.391 su 207.244 unità; questo vuol dire che ogni allievo è seguito da un insegnante di sostegno per la metà del tempo necessario al corretto svolgimento di una regolare giornata di studio;
   il rapporto annuale Istat 2014 riporta un altro dato allarmante: l'Italia risulta al settimo posto tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa in protezione sociale, destinando il 29,7 per cento del prodotto interno lordo a questo servizio contro la media europea del 29 per cento e, in particolare, il 5,9 per cento alla disabilità contro il 7,7 per cento della media europea;
   dal punto di vista architettonico e sotto il profilo dei parametri di accessibilità, le scuole italiane sono ancora ben lontane dall'essere funzionali. Secondo quanto si evince dal rapporto redatto dalla onlus «Cittadinanzattiva», che ha preso in esame un campione di 165 scuole situate in 18 regioni, pare che nelle scuole vi siano ancora molte barriere architettoniche: ci sarebbero, infatti, scalini all'ingresso (27 per cento), ascensori assenti (35 per cento) o non funzionanti (11 per cento), barriere nei laboratori (19 per cento), nelle palestre (18 per cento), nei cortili (15 per cento) e nelle aule (13 per cento). Nel 23 per cento delle scuole non esisterebbero bagni per disabili e il 15 per cento di essi presenterebbe barriere architettoniche. Il 26 per cento delle aule non avrebbe sufficiente spazio per la presenza di una carrozzina e il 44 per cento non avrebbe banchi adatti per una persona in carrozzina; nel 57 per cento dei casi non ci sarebbero attrezzature didattiche o tecnologiche per facilitare la partecipazione alle lezioni degli studenti con disabilità. Non ci sarebbero postazioni adatte ai disabili in carrozzina nel 28 per cento dei laboratori, nel 18 per cento delle biblioteche e nel 17 per cento delle mense;
   a conferma dell'impossibilità di garantire questo basilare diritto, nonostante siano previsti anche i contributi degli enti locali, si riportano di seguito alcuni casi che evidenziano la gravità della situazione;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, F.C., ragazzo autistico di 22 anni, a causa della mancanza di un numero adeguato di ore di servizio di sostegno ai ragazzi con problemi psicofisici nelle scuole pubbliche del suo comune di residenza, non è mai riuscito a svolgere le lezioni con costanza e con regolarità in 15 anni. Il padre sembrerebbe costretto a saltare le ore di lavoro per poter assistere il figlio nelle ore non garantite. Da quanto affermato dagli organi di stampa, l'ambito territoriale sociale n. 3 ausl BR/1 avrebbe assegnato il servizio di sostegno ad una società esterna, che, per questioni economiche, sembrerebbe poter assicurare solo 3 ore al giorno per ogni assistente e, in alcuni momenti, non potrebbe garantire nemmeno il rapporto 1:1 tra assistente e disabile per i bambini con patologie più gravi. Tutto ciò, secondo quanto affermato dalla stampa, sembrerebbe «illegittimo in quanto la commissione di verifica avrebbe stabilito che alcuni minori in questione sono tutti gravi e necessitano di una guida continua ed esclusiva»;
   secondo l'articolo pubblicato sul fattoquotidiano.it, «la provincia di Napoli, con una delibera datata 7 agosto, ha interrotto l'erogazione dei fondi per le attività e l'inserimento dei disabili, con il risultato che seicento studenti delle scuole superiori del napoletano» non potranno frequentare la scuola;
   secondo quanto riportato dalla stampa, a Lodi, presso il liceo linguistico Maffeo Vegio, F., 19 anni, affetto da tetraparesi spastica, malattia che non gli permette di parlare e lo costringe a muoversi sulla sedia a rotelle, avrebbe bisogno di continua assistenza per continuare a svolgere le lezioni a scuola. Pare che, a causa dei tagli lineari inflitti al servizio di sostegno da parte della provincia di Lodi, servizio fino a qualche mese fa finanziato dal comune, la famiglia non riesca più a supportare le spese e a garantire il diritto allo studio del proprio figlio. Le ore del servizio di sostegno, infatti, sarebbero state dimezzate;
   i casi citati in premessa sono solo alcuni esempi del grave e insostenibile stato in cui versa la scuola pubblica sotto il profilo della garanzia del diritto allo studio per gli alunni diversamente abili;
   il Ministro interrogato, nel corso dell'audizione in VII Commissione, nella seduta del 30 settembre 2014, presso la Camera dei deputati, si è detta preoccupata per l’«aumento seppur lieve di alunni disabili, che si concentra nelle regioni del Mezzogiorno. Quello che ho notato – ha rilevato il Ministro interrogato – è il fatto che la disabilità si concentra non solo per aree geografiche, ma anche su tipologia di alunni, soprattutto sugli stranieri. C’è il sospetto fondato che talvolta la disabilità coincida con una difficoltà di integrazione, linguistica ma non solo» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire il diritto allo studio a tutti gli alunni diversamente abili, sia dal punto di vista qualitativo, per quanto riguarda la didattica, sia dal punto di vista quantitativo, per quanto riguarda la continuità e il numero complessivo delle ore di sostegno, così come disposto dalla normativa vigente. (3-01568)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'impegno immediato del Consiglio universitario nazionale ha posto in primo piano talune delle problematiche legate alla progressiva burocratizzazione del sistema universitario, aggravata dall'ipertrofia normativa dell'ultimo decennio;
   gli atenei sono infatti alle prese non solo con i numerosi decreti applicativi della legge n. 240 del 2010, ma anche con le nuove modalità di accreditamento dei corsi di studio e dei dottorati, con la riforma del reclutamento, con la valutazione della ricerca e della didattica;
   l'attuale fase di riforma è rallentata da un coacervo normativo che vincola gli atenei alla compilazione periodica di schede, note e rapporti e il risultato è un drastico ridimensionamento dell'autonomia universitaria, resa sempre più «controllata» dai vincoli autorizzativi imposti dal Ministero;
   potrebbero essere evitate talune complicazioni burocratiche generate da regole spesso oscure, obsolete, non sempre adeguate alle specificità del settore, la cui applicazione indifferenziata al sistema universitario e della ricerca avvolge le attività dei docenti, dei ricercatori, degli studenti, del personale tecnico-amministrativo in una rete inestricabile di lacci e di vincoli che assorbono le migliori energie, distogliendole dalle attività di didattica e di ricerca;
   a tutto questo si aggiunge la congerie dei passaggi amministrativi e contabili che scandiscono l'ordinaria amministrazione e rimuovere questi ostacoli e realizzare un'effettiva semplificazione normativa e amministrativa non possono che essere l'esito di un processo condiviso ed esteso nel tempo, al quale sia garantita continuità e assicurata la capacità di agire su tutti i centri di regolazione del sistema universitario, i cui interventi si sommano gli uni agli altri, aggravando il carico burocratico;
   le farraginosità più evidenti del sistema universitario sono le complicazioni legate al controllo di legittimità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la lentezza delle procedure di acquisto di beni e servizi tramite il mercato elettronico della pubblica amministrazione e la complessità delle pratiche di rimborso delle spese per missioni del personale universitario, effettuate utilizzando i fondi dedicati alla ricerca;
   il Consiglio universitario nazionale ha segnalato, inoltre, i settori nevralgici del sistema in cui urge un intervento, quali gli ordinamenti didattici, l'accreditamento dei corsi di studio, dei dottorati di ricerca e delle strutture, la valutazione della ricerca e l'abilitazione scientifica nazionale;
   è da mettere in discussione il modello stesso di valutazione rispondente a una logica prevalentemente autorizzativa e di controllo, fondato sul rispetto di condizioni declinate in termini numerici e applicate in maniera generalizzata, la cui evidenza richiede l'adempimento, da parte di tutti gli attori coinvolti, di oneri informativi estremamente estesi e gravosi;
   l'eliminazione dei vincoli burocratici rappresenta un fattore chiave per liberare risorse indispensabili all'incentivazione della qualità e dell'efficienza del sistema universitario e della ricerca, senza aumentare la spesa pubblica;
   è necessario individuare le procedure e gli adempimenti che, per complessità, per oneri regolatori, amministrativi e informativi correlati, ostacolano il funzionamento e il potenziamento del sistema universitario e della ricerca, proponendo, al contempo, misure di semplificazione atte a liberare le risorse necessarie a un'incentivazione della qualità e dell'efficienza affidata alla valorizzazione delle attività di didattica e ricerca;
   è importante intervenire in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione, prevedendo magari l'esclusione dei contratti stipulati da università ed enti di ricerca su fondi di ricerca dalla tipologia dei contratti sottoposti a controllo preventivo e in merito all'acquisto di beni e servizi da parte delle università, oltre che riguardo al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili;
   nell'agenda politica assume un ruolo di primo piano il rafforzamento delle politiche di semplificazione e riduzione degli oneri regolatori e amministrativi, quali condizioni per la competitività e lo sviluppo del Paese, ed appare, dunque, improcrastinabile rimuovere gli ostacoli di natura normativa e amministrativa, che, a causa di una stratificazione nel tempo di norme mai riordinate né coordinate, della complessità delle procedure, della proliferazione degli oneri dovuti anche alle più recenti regolazioni, stanno ponendo il sistema universitario italiano in una posizione di forte svantaggio che ne compromette gravemente la competitività e l'attrattività internazionale –:
   se e in che modo il Governo intenda intervenire nell'ambito delle sue competenze per facilitare il processo di semplificazione nell'ambito universitario, in particolare in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione e all'acquisto di beni e servizi da parte delle università e al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili. (3-01569)


   FABRIZIO DI STEFANO e PALESE. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la normativa universitaria, al fine di garantire un efficace ed efficiente assorbimento delle variegate funzioni riconosciute in capo ai professori universitari – anche ai fini del più proficuo perseguimento degli interessi pubblici insiti nel sistema universitario – ha da sempre statuito il principio dell'incompatibilità tra status di professore e talune cariche od incarichi extra universitari;
   in tal contesto, si è inserita pienamente la legge 30 dicembre 2010, n. 240 (la cosiddetta legge Gelmini), che, al comma 9 dell'articolo 6, nel dettare i principi generali in materia ha espressamente richiamato il rigido regime delle incompatibilità e delle conseguenze ad esse connesse, sancito dagli articoli 13, 14 e 15 del precedente decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;
   in particolare, l'articolo 13 detta un'ampia, ma nel contempo precisa, formulazione in merito alla portata delle attività extra universitarie (carica, mandato, ufficio) che il professore vorrebbe ulteriormente svolgere. Prevede, inoltre, specifici casi per i quali la richiamata disposizione non solamente fa sussistere una situazione di incompatibilità, ma ne fa, altresì, derivare l'obbligo per l'ateneo di collocare d'ufficio in aspettativa il professore universitario;
   l'articolo 13, significativamente rubricato «Aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità», al numero 10 del comma 1 prescrive che «il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nei seguenti casi: nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro». Al successivo comma 3 il legislatore pone l'obbligo per il professore interessato, all'atto della sua nomina, di darne comunicazione al proprio rettore, in quanto il rettore è l'organo istituzionale che è chiamato ad adottare il provvedimento di collocamento in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio;
   alla tassatività e alla doverosità del provvedimento di collocamento in aspettativa, del resto, non si oppone la circostanza dell'assenza della corresponsione di un'indennità in favore del professore, poiché tale assenza comporta esclusivamente che gli oneri previsti dall'articolo 3, primo comma, n. 3, della legge n. 1078 del 1966 (le quote di aggiunta di famiglia) siano a carico dell'ente, istituto o società;
   il rettore dell'Università di Teramo, il professor Luciano D'Amico, il 13 agosto 2014 è stato nominato presidente della società Arpa s.p.a.;
   in base all'articolo 13, fin dall'atto della sua nomina versava e tutt'ora versa in una situazione di incompatibilità, in ordine alla quale doveva essere adottato dall'università, nei suoi confronti, quanto meno un provvedimento di collocamento d'ufficio in aspettativa. Conseguentemente, la mera autorizzazione assentita dall'ateneo al professor D'Amico non è sufficiente a sanare l'incompatibilità, anzi l'autorizzazione è contra legem. D'altro lato, il sopra esposto rigido sistema (previsto dal comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini», che richiama espressamente e, dunque, recepisce integralmente gli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382) non può essere superato dal successivo comma 10 dello stesso articolo 6 della «legge Gelmini»;
   il comma 10 prevede la possibilità per il professore di svolgere «compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati», ma nel contempo specifica testualmente che tali enti siano «senza scopo di lucro»;
   il legislatore, quindi, ha posto la specifica condizione dell'assenza di lucro. È di tutta evidenza che l’Arpa s.p.a. (Autolinee regionali pubbliche abruzzesi) non possa essere definita quale ente o società senza scopo di lucro. Correlativamente, manca il presupposto essenziale e condizionante (si ripete «senza scopo di lucro») per l'applicazione della disciplina derogatoria, sancita dal comma 10. Nella fattispecie, dunque, trova esclusiva applicazione il comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini»;
   è da sottolineare, inoltre, che anche lo statuto dell'Università degli studi di Teramo, all'articolo 58, disciplina la questione dell'incompatibilità, stabilendo che la nomina ad una carica incompatibile ai sensi della normativa vigente comporta l'obbligo di opzione per una delle cariche, entro cinque giorni dall'avvenuta nomina. Ma, ancor più, sancisce che, nell'ipotesi in cui manchi la richiesta opzione, l'interessato non possa assumere la nuova carica. Il professor D'Amico, pertanto, stante la sua incompatibilità in base al comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini» (quindi «ai sensi della normativa vigente»), avrebbe dovuto esercitare, in ossequio allo statuto del proprio ateneo, la facoltà di opzione, nel termine perentorio di cinque giorni. Ciò non è avvenuto;
   ne deriva che il professor D'Amico non avrebbe potuto assumere la carica in Arpa s.p.a. Pertanto, le conseguenze dell'assunzione di tale carica incompatibile sono più gravi, poiché rilevano sotto un ulteriore aspetto: la decadenza dalla carica da rettore;
   lo statuto dell'ateneo di Teramo (articolo 60, primo comma, lettera b), infatti, sancisce che i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione «decadono dall'incarico» nell'ambito dei suddetti organi dell'università, «se accettano di ricoprire una carica incompatibile»;
   attestato che il professor D'Amico, quale rettore, è componente di diritto sia del senato accademico sia del consiglio di amministrazione (li presiede di diritto), ai sensi dell'articolo 23, comma 1, lettera a), e dell'articolo 25, comma 1, lettera a), dello statuto, avendo egli accettato una carica incompatibile, deve ritenersi decaduto sia come componente del senato accademico che del consiglio di amministrazione. Di fatto, il professor D'Amico si trova, sotto un profilo giuridico, nelle condizioni di non poter svolgere tutte le funzioni specificatamente attribuite al rettore, così da non poter legittimamente ottemperare a tutti i doveri imposti ad un rettore, che qualificano e, nel contempo, giustificano la presenza della figura del rettore nel sistema universitario (articoli 16 e 17 dello statuto dell'Università degli studi di Teramo, nonché articolo 2 della «legge Gelmini»). Ne deriva, quale logico corollario, la decadenza da rettore del professor D'Amico;
   il professor D'Amico, assunta la carica in Arpa s.p.a., dall'agosto 2014, in totale inosservanza del vigente regime giuridico sulle incompatibilità, più volte richiamato, soggiace alla disposizione di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, integralmente recepito dal comma 9 dell'articolo 6 della legge n. 240 del 2010. In virtù di tale disposizione, il professore che abbia assunto un incarico incompatibile, come il professor D'Amico, cessa di diritto dall'ufficio di professore;
   è pur vero che lo stesso articolo 15 prevede che il professore che violi le norme sulle incompatibilità viene diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità, ma nella specie il professore che ha violato le norme coincide con il soggetto che vanta la carica da rettore e che dovrebbe agire. Invero, la coincidenza delle due posizioni imponeva ed impone al professor D'Amico un più rigoroso rispetto delle vigente normativa;
   il professor Nicola Mattoscio viene nominato in data 25 gennaio 2015 presidente della Saga, società abruzzese per la gestione dell'aeroporto d'Abruzzo;
   dalla data della sua nomina a tuttora il professor Mattoscio svolge la sua attività da docente presso l'Università «G. D'Annunzio» di Pescara, con l'incarico di presidente del corso di laurea del dipartimento di scienze filosofiche, pedagogiche ed economico-quantitative;
   per quanto esposto nel caso del professor D'Amico, si trova in uno stato di incompatibilità con quanto previsto dalla norma –:
   di quali elementi disponga sulla situazione esposta in premessa, se condivida il quadro interpretativo sopra illustrato, per quali motivi non abbia adottato ogni iniziativa di competenza per il rispetto della normativa vigente, che prevede, in caso di nomine in enti e società a partecipazione pubblica, il collocamento in aspettativa e comunque l'incompatibilità di incarichi, quali quello di rettore o di presidente di corso di laurea, attualmente ricoperti rispettivamente dai professori D'Amico e Mattoscio, e se intenda, pertanto, in futuro adottare gli opportuni provvedimenti di competenza per riportare gli atenei abruzzesi in una situazione di piena legittimità. (3-01570)


   GIGLI. Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 204 del 1998 prevede che, sulla base degli indirizzi dati dal Governo, dei piani e dei programmi di competenza delle amministrazioni dello Stato e tenendo conto delle iniziative, dei contributi e delle realtà di ricerca regionali, sia predisposto, approvato e annualmente aggiornato il programma nazionale per la ricerca, di durata triennale. Il programma nazionale per la ricerca, a norma dell'articolo 2 dello stesso decreto legislativo, deve essere approvato dal Cipe;
   l'ultimo programma nazionale per la ricerca 2011-2013 è stato approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) con deliberazione n. 2/2011 del 23 marzo 2011 ed è scaduto da quattro anni;
   nonostante vari annunci e presentazioni, da ultimo il quotidiano Il Sole 24 ore in un articolo del 4 giugno 2015 preannunciava l'imminente presentazione al Cipa del programma nazionale per la ricerca 2014-2020, a tutt'oggi non risulta formalmente approvato e non si hanno notizie sui tempi per l'esame da parte del Cipe del nuovo programma nazionale per la ricerca, la cui adozione, oltre ad essere obbligatoria per legge, è uno strumento fondamentale del Governo per indirizzare e coordinare la politica nazionale della ricerca, anche con riferimento alla dimensione europea e internazionale, facendo scelte talvolta dolorose per concentrare gli sforzi del sistema-Paese nella sfida globale;
   la mancanza di un programma ufficiale di riferimento e la circostanza che siano pubblicati e modificati in itinere documenti non definitivi e non coerenti per l'arco temporale prescritto dalla legge, mantengono un quadro di incertezza strategico e finanziario degli enti di ricerca e del sistema universitario. Nello specifico, l'articolo citato parla di 5,8 miliardi di euro entro il 2016, un impegno significativo in un periodo di crisi, e descrive un programma di sette anni quando la legge prevede un periodo di tre anni con aggiornamento annuale;
   la mancanza di un coordinamento a livello nazionale, con i ministeri che continuano ad utilizzare in maniera scoordinata le scarse risorse destinate alla missione ricerca e innovazione, si riflette sul mancato coordinamento delle politiche regionali che a questo programma dovrebbero riferirsi;
   il ritardo nell'adozione degli strumenti di programmazione si riflette, altresì, sull'allocazione delle risorse destinate al funzionamento degli enti di ricerca, tanto che non si hanno notizie sui piani annuali di attività degli enti e sulla loro approvazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che al programma nazionale dovrebbero far riferimento. Si segnala a riguardo che, a tutt'oggi, non è stato presentato il decreto per il riparto del fondo di finanziamento ordinario degli enti nazionali di ricerca per l'esercizio, oramai inoltrato, del 2015;
   dagli ultimi dati Eurostat emerge che, sebbene la spesa europea in ricerca e sviluppo sia aumentata negli ultimi dieci anni, l'Unione europea, con il 2,02 per cento rispetto al prodotto interno lordo, non raggiunge i livelli della Corea del Sud (4,04 per cento), del Giappone (3,38 per cento) e degli Stati Uniti (2,81 per cento). Quanto agli Stati membri, i Paesi del Nord Europa superano la media comunitaria in termini di investimenti: la Finlandia spende il 3,32 per cento del proprio prodotto interno lordo in ricerca, seguita da Svezia (3,21 per cento), Danimarca (3,05 per cento), Germania (2,94 per cento) e Austria (2,81 per cento), mentre dal lato opposto si collocano Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia, che spendono meno dell'1 per cento in ricerca e sviluppo. L'Italia, invece, si situa tra i due poli, con l'1,25 per cento del prodotto interno lordo nazionale investito in ricerca e sviluppo –:
   quali siano i tempi stimati dal Ministro interrogato per la definizione e la presentazione al Cipe del nuovo programma nazionale per la ricerca.
(3-01571)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il testo unico scuola (decreto legislativo n. 297 del 1994) (parte I, titolo III, al capo I dispone: trasferimento delle funzioni amministrative in materia di istruzione: indicazioni normative, Art. 78 – Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Sardegna in materia di istruzione – La regione Sardegna esercita le funzioni amministrative in materia di istruzione in applicazione dei decreti del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975 n. 480 e 19 giugno 1979 n. 348;
   l'articolo 117 della legge costituzionale marzo 2003 dispone: sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; ISTRUZIONE, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato;
   la legge n. 53 del 2003, articolo 6, comma 1, dispone: sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità ai rispettivi statuti e relative norme di attuazione, nonché alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
   l'articolo 21, comma 20, legge n. 59 del 1997 dispone: le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con propria legge la materia di cui al presente articolo nel rispetto e nei limiti dei propri statuti e delle relative norme di attuazione;
   il Titolo V legge regionale 27 del 15 ottobre 2006 articolo 23 comma 1 dispone: con riguardo ai compiti di tutela, valorizzazione, diffusione culturale e linguistica previsti dagli articoli 6 e 9 della Costituzione della Repubblica e sulla base della competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali attribuita alla regione autonoma della Sardegna dalla legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2, nelle assemblee e negli altri collegi deliberativi regionali e locali che lo contemplino nei rispettivi regolamenti e statuti, potrà essere liberamente usata, nella fase della discussione, la lingua sarda. Le relative amministrazioni garantiscono, ove venga richiesta, la traduzione di tali interventi;
   l'articolo 5, statuto regione sardegna recita: Salva la competenza prevista nei due precedenti articoli, la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie:
    a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi;
    b) lavoro; previdenza ed assistenza sociale;
    c) antichità e belle arti;
    d) nelle altre materie previste da leggi dello Stato;
   è stata ribadita dalla regione Sardegna con più atti, normativi e amministrativi, la volontà di promuovere e tutelare, anche attraverso il sostegno della sperimentazione dell'insegnamento e dell'uso nelle scuole, a partire da quelle per l'infanzia e primarie, tutte le varietà linguistiche presenti nel territorio regionale;
   le disposizioni normative reiteratamente sostenute e proposte dal Governo in materia di riforma della scuola risultano con tutta evidenza, incostituzionali, in quanto escludono dalle assunzioni a tempo indeterminato quanti siano stati inseriti nelle graduatorie di merito del concorso pubblico svoltosi a seguito del decreto direttoriale n. 82 del 2012, e prevede invece l'assunzione (oltre che dei cosiddetti vincitori dello stesso concorso), dei soli iscritti nelle definite «graduatorie ad esaurimento»;
   in tal senso si chiarisce che l'articolo 97 della Costituzione, e l'intero sistema normativo, comprese le leggi succedutesi nel tempo nel settore specifico, compreso il testo unico del 1994 sulla scuola, danno assoluta preminenza alle assunzioni di nuovo personale tramite concorso pubblico, cioè al principio, per dette finalità, del merito, rispetto ad altri indirizzi costituzionali di tutela (come il diritto al lavoro, all'assistenza pubblica, e similari);
   come è noto, secondo i principi costituzionali, è dovere del legislatore garantire la buona amministrazione, l'imparzialità dei poteri pubblici (articolo 97 Costituzione) e quindi assicurare da un lato che i pubblici ufficiali siano scelti in base alla loro competenza, al merito, per assicurare l'efficacia e la qualità della loro azione; dell'altra che sia riconosciuto «a ciascuno il suo» e quindi che chi merita, all'interno di procedimenti, i concorsi, a ciò dedicati, non sia pretermesso rispetto ad altri che reclamino analoghi diritti;
   appare fin troppo evidente che sia per quanto riguarda gli aspetti costituzionali qui richiamati, che quelli di natura strettamente statutaria della (Regione Sardegna risulterebbe inaccettabile oltre che illegittimo tentare di sottrarre alle regioni a statuto speciale e in particolar modo alla regione Sardegna il diritto riconosciuto di adottare in materia di assunzione di personale docente ed educativo in considerazione alle rispettive specifiche esigenze riferite agli organici regionali e provinciali –:
   se non intenda con somma urgenza intervenire per disporre in tutte le proposte di riforma del Governo il rispetto delle peculiarità statutarie e costituzionali delle regioni autonome della Sardegna;
   se non ritenga di dover preventivamente far rispettare le graduatorie di concorso di merito sino ad esaurimento;
   se non ritenga di dover, per le richiamate premesse costituzionali, evitare eventuali proposte normative che includessero la regione Sardegna in un processo di azzeramento delle peculiarità regionali e delle specificità territoriali;
   se non ritenga di salvaguardare le competenze professionali nell'ambito delle stesse regioni a statuto speciali al fine di valorizzare il legame sociale, cultura tra la scuola e l'entroterra scolastico, a partire dal corpo docente. (5-05873)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015, con l'entrata in vigore della nuova politica agricola comune 2014-2020, i regolamenti (UE) nn. 1306/2013 e 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio hanno modificato il quadro normativo, introducendo rilevanti novità sia sulla natura giuridica dei soggetti aventi titolo a beneficiare dei contributi che nella strutturazione dei titoli di pagamento, che è più complessa;
   il 15 giugno 2015 è scaduto il termine per la presentazione delle domande per richiedere i contributi della politica agricola comune 2015;
   la regione Lombardia a partire dal 2010 ha sempre garantito agli agricoltori l'anticipazione dei premi della politica agricola comune. Il finanziamento è stato sinora erogato nel mese di luglio 2014 e recuperato a dicembre 2014/gennaio 2015 con il pagamento degli aiuti comunitari;
   questa misura ha consentito mediamente a circa 31.000 agricoltori di disporre con 5/6 mesi di anticipo rispetto ai tempi dell'Unione europea di una parte degli aiuti spettanti;
   nel 2014 l'anticipazione ha riguardato il 70 per cento del premio (aumentato sino al 90 per cento per le aziende del mantovano colpite dal sisma);
   anche nel 2015 la giunta regionale della Lombardia, pur consapevole delle ristrettezze del bilancio falcidiato dai tagli del Governo, intendeva procedere ad anticipare i contributi della politica agricola comune agli agricoltori, ritenendo che tale misura sia di notevole sostegno e beneficio per un settore economico, quale quello dell'agroalimentare lombardo, che «vale» circa il 15/16 per cento del fatturato a livello nazionale e il 18/20 per cento dell’export dell'agroalimentare nazionale;
   come è noto, i diritti all'aiuto, in numero pari agli ettari ammissibili – come definiti dall'articolo 32, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1307/2013 – sono assegnati agli agricoltori in attività che presentano domanda di assegnazione entro i termini stabiliti;
   compete al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e ad Agea procedere a ricalcolare i nuovi titoli di pagamento da assegnare ai beneficiari in funzione delle superfici dichiarate con la domanda unica da presentare come su ricordato entro il 15 giugno 2015;
   solamente a seguito della notifica dei nuovi titoli di pagamento, così come ricalcolati, si potranno attivare le procedure necessarie per erogare l'anticipazione dei premi della politica agricola comune;
   ora, sottolineato ancora una volta lo sforzo encomiabile di regione Lombardia di volere garantire l'anticipazione della politica agricola comune ai propri agricoltori, risulta essenziale che il Ministero ed Agea provvedano al più presto all'assegnazione dei titoli di pagamento;
   a più riprese, ad esempio in occasione della presentazione di «Agricoltura 2.0», il Ministro interrogato aveva assicurato circa l'assegnazione dei titoli entro il mese di marzo 2015. Tale termine era stato poi posticipato ai mesi di aprile/maggio 2015 senza alcun esito;
   era fondamentale procedere a tale assegnazione entro il termine del 15 giugno 2015 e comunque non oltre il mese di giugno 2015, in caso contrario sarebbe tecnicamente impossibile potere procedere a liquidare l'anticipazione in tempo utile, con gravissimo danno alle aziende agricole lombarde;
   senza l'assegnazione dei titoli in tempi brevissimi, entro il mese di giugno 2015, la regione Lombardia si troverà impossibilitata ad erogare l'anticipo della politica agricola comune agli agricoltori del proprio territorio ed è alquanto sconfortante che gli agricoltori, nonostante l'impegno della regione, siano costretti a soccombere alla burocrazia e alle inefficienze del Ministero e di Agea;
   l'agricoltura e gli agricoltori hanno bisogno di certezze. Le aziende attendono i finanziamenti comunitari 2015 come una boccata di ossigeno indispensabile per la loro sopravvivenza. L'anticipo della politica agricola comune è importate per le imprese agricole che vivono una fase di difficoltà, dovendo fronteggiare, da un lato, un forte calo dei prezzi agricoli e, dall'altro, l'aumento delle imposte. Poter contare in anticipo sui fondi dell'Unione europea consente alle imprese italiane di affrontare meglio la programmazione e gli impegni, continuando a garantire l'alta qualità e la sicurezza alimentare ai consumatori italiani e internazionali –:
   quali siano le motivazioni per cui il Ministro interrogato ha disatteso l'assicurazione fatta più volte sul termine – aprile/maggio 2015 – entro il quale avrebbe provveduto all'assegnazione dei titoli di pagamento della politica agricola comune agli agricoltori, ritardo che comporterà l'impossibilità per la regione Lombardia di erogare, in tempo utile, l'anticipazione dei contributi. (3-01562)


   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un riesame svolto dall'Olaf su alcune irregolarità emerse a seguito di verifica di conformità, così come disposto dall'articolo 52 del regolamento (UE) n. 1306/2013 e dall'articolo 34 del regolamento di esecuzione (UE) n. 908/2014, sono risultate carenze nella conformità dell'organismo pagatore Agea con taluni criteri di riconoscimento relativi alla gestione dei debiti;
   dall’audit svolto emerge la mancata comunicazione alla Commissione europea, nei tempi previsti, di oltre 55.000 posizioni debitorie risultanti ad Agea che, pertanto, non hanno costituito oggetto di procedure di recupero;
   tali posizioni, pari ad un importo totale di circa 45 milioni di euro, sono state registrate per la prima volta nel registro dei debitori nell'esercizio finanziario 2013 in violazione di quanto disposto dai richiamati regolamenti;
   con comunicazione recentemente inviata al Governo italiano, la Commissione europea intende proporre una rettifica finanziaria e ne indica il livello provvisorio, che in questa fase della procedura ritiene corrispondere alle proprie risultanze, in un importo massimo pari a 388.743.938,10 euro, salvo controdeduzioni basate su calcoli alternativi da parte dell'amministrazione interessata da inviare entro i termini e le modalità stabiliti dalla normativa comunitaria;
   nel mese di maggio 2015 si è svolto un incontro bilaterale durante il quale le autorità italiane avrebbero dovuto affrontare, tra l'altro, anche le criticità relative a tale procedura che rischia di comportare una consistente decurtazione di fondi, presentando delle proprie controdeduzioni;
   nell'aprile 2014 l'autorità competente ha redatto una serie di misure correttive per Agea volte a migliorare la gestione complessiva dell'organismo pagatore e dei sistemi di sorveglianza; il piano d'azione impostato, se correttamente attuato, dispone del potenziale per affrontare determinate questioni e tuttavia, a giudizio dei revisori, le iniziative adottate al momento della missione non erano sufficienti a risolvere i problemi relativi alla gestione del registro dei debitori;
    le irregolarità più volte denunciate nella gestione dei contributi comunitari da parte di Agea, che ne espongono continuamente l'operato ad un impietoso giudizio, rendono urgente una riorganizzazione della stessa al fine di assicurare agli agricoltori e agli operatori del settore di potersi avvalere di un servizio efficiente –:
   quale sia lo stato dell'arte della procedura conciliatoria, anche a seguito della riunione di maggio 2015, e quali misure intenda adottare al fine di scongiurare il pericolo di una consistente decurtazione di contributi della politica agricola comune destinati agli agricoltori, i quali, peraltro, non sono in alcun modo responsabili delle inefficienze gestionali ed organizzative degli organismi pagatori. (3-01563)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dell'IMU agricola è stata oggetto di diversi interventi normativi nel corso del 2014 e all'inizio del 2015. Dall'originaria previsione, contenuta nell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 e dal relativo decreto applicativo (decreto ministeriale del 28 novembre 2014), emanato ad appena due settimane dalla prima scadenza di pagamento, si è passati all'adozione del decreto-legge di mera proroga della scadenza di pagamento (decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185) poi confluito nei commi 692 e successivi dell'articolo della legge di stabilità per il 2015, sino al decreto-legge n. 4 del 2015, nel quale sono stati adottati significativi miglioramenti all'originaria previsione (gli oneri per il comparto agricolo sono scesi da 350 a 259 milioni di euro), ma si sono anche gettate le basi per una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale locale sui terreni agricoli;
   nei mesi di aprile e maggio 2015 si è svolta la discussione di una serie di mozioni in materia, al fine di individuare gli impegni da affidare al Governo, per la rivisitazione della normativa; tra gli impegni approvati sono previste la soppressione dell'IMU agricola, la devoluzione dell'imposta agli enti territoriali (da introdurre facoltativamente anche con criteri premiali), la modifica dei requisiti di montanità dei territori secondo criteri che tengano conto della marginalità e della produttività delle aree, del reddito pro capite, della necessità di applicare la parità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui –:
   quali intendimenti abbia il Governo sull'applicazione dell'IMU agricola e se non ritenga opportuno accedere alle istanze del mondo agricolo e di vasta parte del Parlamento. (3-01564)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Marrelli Hospital è una clinica privata sita a Crotone che dovrebbe svolgere prevalentemente attività oncologica ed ortopedica e al cui interno è in fase di realizzazione anche un centro radiodiagnostico e radioterapico;
   il territorio di Crotone, essendo stato soggetto in passato ad episodi di inquinamento industriale ha un elevato tasso di mortalità per cancro e un elevato tasso di ricoverati per malattie oncologiche, e l'operatività della nuova struttura permetterebbe di recuperare almeno il dieci per cento di pazienti oncologici e ortopedici che oggi scelgono di andare a curarsi fuori dalla Calabria;
   a regime la struttura potrà occupare 170 collaboratori che si aggiungerebbero ai 200 collaboratori che già collaborano con il gruppo aziendale della Marrelli;
   allo stato il Marrelli Hospital è ancora in attesa di ottenere dalla Regione Calabria l'autorizzazione all'esercizio dell'attività sanitaria, e il disagio di decine di padri e madri di famiglie che contano di iniziare un percorso lavorativo con la casa di cura e di decine di malati che vedono in questa struttura una speranza per la loro malattia continua a crescere quotidianamente;
   in data 16 settembre 2013 l'amministrazione della struttura ha presentato istanza di autorizzazione sanitaria all'esercizio di prestazioni sanitarie presso il dipartimento salute della regione Calabria, che a sua volta, nel successivo mese di ottobre, ha richiesto all'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria – competente per Crotone, di attivare le procedure riguardanti la verifica sul possesso dei requisiti di legge, la cui istruttoria attualmente è in fase di completamento;
   più di un anno più tardi, la commissione valutatrice ha completato l’iter, e con verbale del 21 novembre 2014 (prot. 84118) la commissione aziendale per l'autorizzazione e l'accreditamento dell'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria ha preso atto con parere favorevole del possesso dei requisiti per l'esercizio di attività sanitarie, del quale ha preso atto, il successivo 25 novembre con atto deliberativo n. 011, anche il Direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Crotone;
   in data 3 giugno 2015 la società Marrelli Hospital ha attivato la procedura di accesso agli atti al fine conoscere maggiori dettagli sul silenzio da parte del dipartimento salute, nonostante siano stati inoltrati diversi solleciti, e ha appreso che il decreto di autorizzazione sarebbe già pronto e firmato dai tecnici del dipartimento della salute sin dal mese di novembre, e che mancherebbero solo le firme del commissario e del subcommissario per la sanità in Calabria;
   tuttavia, dall'accesso agli atti risulta che il medesimo commissario il 29 aprile 2015 avrebbe restituito ai dirigenti di settore il decreto perché lo stesso non conteneva gli estremi del provvedimento comunale di autorizzazione alla realizzazione della struttura, ex articolo 8-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   il Marrelli Hospital è in possesso dell'autorizzazione alla realizzazione rilasciata dal sindaco di Crotone, ma il commissario ed il subcommissario contestano la mancanza del nulla osta alla conformità con la programmazione regionale che a loro avviso dovrebbe essere contenuta nell'autorizzazione del sindaco;
   in seguito al rinvio degli atti da parte della gestione commissariale, il successivo 4 maggio 2015 il servizio autorizzazione e accreditamento avrebbe riproposto i decreti senza alcuna modifica, motivando tecnicamente tale scelta e ricordando che già altre procedure di autorizzazione erano state concluse senza il parere di compatibilità da parte della regione «al fine di non condizionare l'espansione del diritto privato» così come confermano decine di sentenze che di fatto allo stato interpretano la materia del rilascio dell'autorizzazione sanitaria all'esercizio;
   ad oggi non vi è stato altro riscontro da parte della struttura commissariale a tale replica dei dirigenti regionali –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito. (4-09556)


   BALDASSARRE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 27 agosto 1999, n. 332, individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 del nomenclatore tariffario e le modalità di erogazione;
   dal 1999 il testo suddetto non ha subito modifiche significative – il decreto ministeriale prevedeva un aggiornamento periodico con cadenza massima triennale – e soprattutto non ha tenuto conto del costante evolversi delle tecnologie;
   il nomenclatore suddetto prevede la concessione di un DTS (dispositivo telefonico per sordi) e di un «comunicatore simbolico», entrambi ormai obsoleti ed ormai inadeguati, considerando le tecnologie odierne che permettono altresì una «mobilità» e possibilità di comunicazione completa;
   la «Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità» (legge 3 marzo 2009, n. 18) stabilisce che: «al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l'accesso all'ambiente fisico, ai trasporti, all'informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali»;
   la XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati ha approvato nella seduta del 20 marzo 2014 una risoluzione – la n. 8-00040 – che impegna il Governo «ad adottare con urgenza, e comunque non oltre il 30 giugno 2014, il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario dei dispositivi medici, al fine di corrispondere alla legittima aspettativa dei pazienti che hanno il diritto di poter disporre di ausili e dispositivi provenienti dal più attuale stato di avanzamento del progresso tecnologico nel settore della produzione degli stessi, nonché a mettere in atto tutte le iniziative necessarie affinché l'aggiornamento sia biennale»;
   si rende pertanto necessario provvedere a integrare nel nomenclatore tutti quei dispositivi che sinora ne sono stati esclusi con grave danno economico per i cittadini ipoudenti e sordi;
   è ormai assodata la necessità di inserire nel nomenclatore tutti quegli strumenti tecnologici ormai diffusi, conosciuti e pienamente utilizzati da tutta la popolazione ipoudente e sorda, quali personal computer, tablet, smartphone e tecnologie analoghe;
   molte regioni hanno recepito recepito la suddetta necessità e urgenza ed in virtù del punto 5 dell'articolo 1 decreto ministeriale 332 del 1999 – che prevede la possibilità di richiesta e concessione di dispositivi non espressamente inclusi nel nomenclatore, ma ad essi riconducibili per omogeneità funzionale si sono attivate con provvedimenti locali al fine di aggiornare gli strumenti accessibili dall'utente, affinché siano più vicini alle esigenze dei cittadini disabili;
   appare evidente, alla luce di quanto su esposto, che l'emissione di una circolare nazionale, potrebbe aiutare a chiarire, in attesa dell'aggiornamento del nomenclatore e nel rispetto delle autonomie regionali in materia, che gli strumenti quali smartphone e tablet sono ritenuti, per la peculiarità delle loro funzioni, riconducibili agli strumenti atti ad alleviare la disabilità sensoriale dei sordi ai sensi del principio di «riconducibilità» di cui all'articolo 5 del decreto ministeriale n. 332 del 1999;
   nel resoconto stenografico dell'assemblea, seduta n. 255 di mercoledì 2 luglio 2014, il Ministro Lorenzin dichiara: «C’è l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, attesissimo da tutti gli operatori, ma anche dalle associazioni delle famiglie, dei malati, soprattutto di malattie rare, ormai da più di dieci anni, e l'aggiornamento avverrà entro il 31 dicembre 2014. La stessa cosa per quanto riguarda il regolatore del nomenclatore tariffario per le protesi audiovisive che, ricordiamolo, non era aggiornato dagli anni Novanta, questo ovviamente in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmatici della finanza pubblica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover porre in atto ogni iniziativa di competenza volta a correggere le criticità denunciate in premessa e delle quali lo stesso Ministro aveva garantito una soluzione entro il 31 dicembre 2014.
(4-09561)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da alcune fonti stampa si apprende del ricorso dei 19 dipendenti della Buonitalia spa nei confronti dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, ex ICE, contro la procedura di concorso indetta dall'Agenzia per l'assunzione del personale e a seguito della quale i suddetti dipendenti sono stati dichiarati «non ammissibili»;
   la Buonitalia spa, società interamente pubblica del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con le finalità di promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano, è stata soppressa attraverso il decreto legge 6 luglio 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, e le sue funzioni sono state attribuite all'ex ICE;
   tale decreto prevedeva inoltre l'emanazione di un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali atto a disporre il trasferimento delle risorse umane di Buonitalia spa all'Agenzia nonché di una tabella di corrispondenza per inquadrare il personale a tempo indeterminato della società in liquidazione in quello della nuova agenzia, previa procedura di verifica dell'idoneità;
   il decreto è stato emanato il 28 febbraio 2013, ma è risultato inapplicabile a causa della mancanza delle tabelle di corrispondenza;
   successivamente, la legge 27 dicembre 2013, n. 147 è intervenuta per ovviare a tale mancanza ed ha specificato che la prova di idoneità per i lavoratori a tempo indeterminato di Buonitalia dovesse essere espletata anche in deroga al fabbisogno assunzionale dell'azienda e che tali dipendenti dovessero essere inquadrati anche in sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente;
   anche un parere del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio avrebbe dato indicazioni su come procedere a tale selezione, ma l'Agenzia ha comunque avviato un concorso che l'interrogante giudica identico a quelli per l'assunzione di esterni, ed escluso gli ex 19 dipendenti di Buonaitalia;
   vincitori di numerosi ricorsi presso il Tar e presso il tribunale del lavoro di Roma, gli ex dipendenti hanno ottenuto che l'ex ICE deve riconoscere ad ogni ricorrente un'indennità pari alle mensilità lorde non percepite nel periodo di tempo compreso (circa due anni) tra il trasferimento presso l'Agenzia e la «procedura di idoneità selettiva» prevista dalla norma di inglobamento, alla quale la stessa agenzia non aveva mai dato seguito. Tale procedura è stata avviata solamente a dicembre del 2014;
   ad oggi l'Agenzia ha già risarcito circa 88.000 euro di mancati stipendi. Il valore dei nuovi pignoramenti ammonta invece a circa 500.000 euro. All'appello mancano i rimborsi per i quali alcuni degli ex dipendenti non hanno ancora avviato le procedure legali, provvedimenti che sarebbero in corso di deposito presso il tribunale del lavoro di Roma;
   è importante ricordare che la promozione all'estero dell'agroalimentare, nonché la lotta alle frodi e alle contraffazioni, con particolare riguardo al contrasto all’italian sounding, dovrebbe essere uno dei compiti primari svolti dall'Agenzia e che tale attività era già svolta dalle 19 persone che dalla fine del 2011 sono senza lavoro a causa delle evidenti inadempienze normative –:
   quali siano le ragioni per cui l'Agenzia, nonostante le chiare disposizioni normative, abbia proceduto all'espletamento di un vero e proprio concorso ad avviso degli interroganti in evidente contrasto con il trasferimento previsto e ribadito dal tribunale del lavoro di Roma e dalle indicazioni fornite dal dipartimento della funzione pubblica, che miravano a tutelare comunque la posizione lavorativa dei 19 dipendenti, prevedendone un inquadramento nella nuova Agenzia;
   come intenda al più presto far fronte a quello degli interroganti giudicano l'elusione della normativa vigente e procedere all'assunzione dei 19 ex dipendenti di Buonaitalia spa, in quanto rappresentano una risorsa professionale importante per lo svolgimento di alcune attività di competenza dell'ex ICE;
   se, l'atteggiamento dell'Agenzia stia causando gravi danni all'erario derivanti dalle cause verso l'amministrazione avviate dai 19 ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione;
   se possa fornire il citato parere del dipartimento della funzione pubblica in cui si indicano le modalità di svolgimento della procedura di verifica dell'idoneità a cui sottoporre i 19 dipendenti di Buonitalia spa;
   come sia articolata nel dettaglio l'attività dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, con particolare riferimento alla diffusione della conoscenza nel mondo del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano, per la quale l'Europa garantisce importanti risorse economiche;
   quali azioni abbia messo in campo il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali affinché la professionalità rappresentata dai lavoratori di una società che era sotto il suo diretto controllo, non venisse persa come di fatto sta accadendo. (5-05872)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Vacca e altri n. 7-00490, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zampa e altri n. 5-05813, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

  L'interrogazione a risposta orale Cancelleri e De Lorenzis n. 3-01558, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Villarosa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Rizzo n. 5-05841, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 445 del 18 giugno 2015.

   RIZZO, LOREFICE, BASILIO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, BARONI e DI VITA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza del tribunale, civile di Roma, n. 19437/10, veniva condannato il Ministero della difesa in solido con il Ministero dell'economia e delle finanze a risarcire la famiglia D'Inverno per la morte del caporal maggiore dell'Esercito in congedo A.D., a causa della sua esposizione all'uranio impoverito contenuto nei munizionamenti, durante la missione di pace in Kosovo cui ha partecipato tra il 27 novembre del 1997 e il 7 maggio del 1998; il militare è deceduto per una forma fulminante di leucemia nel 2007;
   il 20 maggio 2015, come si apprende da fonti giornalistiche, la prima pronuncia della corte d'appello di Roma, sui casi dei decessi legati all'uso dell'uranio impoverito in Kosovo ha confermato la condanna ai danni dello Stato, che dovrà risarcire euro 1.300.000 ai familiari del militare deceduto;
   la decisione della prima sezione civile della corte d'appello di Roma conferma «in termini di inequivoca certezza», «il nesso di causalità tra l'esposizione alle polveri di uranio impoverito e la patologia tumorale»;
   viene ulteriormente confermata, dalla sentenza di condanna ai danni del Ministero della difesa, la condotta dei vertici delle Forze armate per aver omesso di informare i soldati «circa lo specifico fattore di rischio connesso dall'esposizione all'uranio impoverito»;
   sono centinaia le vittime, nelle Forze armate italiane, derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito in scenari di missioni internazionali di pace; sono tutte vittime che attendono di essere risarcite, come sancito dalla corte d'appello di Roma nel caso del caporal maggiore dell'Esercito A.D. –:
   per quali ragioni il Ministero non abbia ancora ottemperato alla sentenza di condanna al pagamento delle somme stabilite dall'autorità giudiziaria;
   per quale motivo si costringono gli interessati a proporre un altro ricorso per l'ottemperanza;
   quante siano le sentenze in esecuzione che non sono ancora state eseguite dal Ministero. (5-05841)

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   mozione Librandi n. 1-00917 del 22 giugno 2015;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stato ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Mataresse n. 5-03703 del 2 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate n. 4-08797 del 15 aprile 2015;
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-09051 del 5 maggio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-09076 del 6 maggio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Guidesi n. 5-05795 del 12 giugno 2015;
   interpellanza Del Grosso n. 2-01014 del 18 giugno 2015.