Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 22 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 6 agosto 2014 il Presidente della Federazione russa ha, con il decreto (ukaz) n. 560 «Sull'applicazione di singole misure economiche speciali atte a garantire la sicurezza della Federazione Russa», introdotto il divieto di importare in Russia alcune categorie di alimenti per un periodo non superiore a un anno, demandando al Governo di determinare in tempi brevi gli elenchi dei Paesi stranieri esportatori soggetti a tale divieto e dei prodotti inclusi nel campo di applicazione dell'atto;
    il giorno seguente, 7 agosto 2014, il Governo della Federazione russa ha emanato il decreto attuativo «Sui provvedimenti di attuazione del Decreto del Presidente della Federazione Russa del 6 agosto 2014 n. 560», con il quale è stata formalizzata l'introduzione del divieto di importare nella Federazione Russa, per un anno, determinati prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali figurano carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte (come attestato dal certificato di origine della merce) negli Stati Uniti d'America, nei Paesi dell'Unione Europa, in Canada, Australia e Norvegia. Sono esclusi dal campo di applicazione delle misure in questione alcolici, bevande, pasta e prodotti da forno, prodotti per l'infanzia e merci acquistate all'estero per consumo privato;
    qualche giorno dopo il decreto governativo 11 agosto 2014, n. 791, «Sull'imposizione del divieto di introdurre prodotti dell'industria leggera di produzione straniera da parte di soggetti pubblici per l'effettuazione di acquisti volti alla soddisfazione di necessità federali», ha proibito esclusivamente agli enti pubblici russi, a partire dal primo settembre 2014, di acquistare prodotti tessili, abbigliamento, calzature, valigie e pelli prodotti fuori dall'unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan;
    misure sono state adottate in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti d'America e dall'Unione Europea;
    in particolare, le sanzioni economiche che l'Unione europea ha introdotto dal 31 luglio del 2014 nei confronti della Federazione russa colpiscono l'esportazione di tecnologia upstream, e in particolare quella dei prodotti elencati dal regolamento (UE) n. 833/2014 (come integrato dal comunicato ufficiale del Ministero dello sviluppo economico dell'8 agosto 2014);
    conformemente all'articolo 3.1 del regolamento (UE) n. 833/2014, chi intende esportare in Russia le merci elencate dall'Allegato II al regolamento stesso deve necessariamente munirsi di apposita autorizzazione rilasciata dai competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico;
    ai sensi dell'articolo 3.5 del regolamento (UE) n. 833/2014 vige invece un divieto totale di vendere, fornire, trasferire ed esportare a end-user russi attrezzature destinate ad attività esplorative/estrattive in depositi di scisto bituminoso (cosiddetto shale oil), ovvero da svolgersi in acque profonde o artiche. Inoltre, a seguito dell'inasprimento della disciplina del regolamento (UE) n. 833/2014, attuato con il successivo regolamento (UE) n. 960/2014 del 12 settembre 2014, un'analoga previsione opera con riguardo ai prodotti con doppia destinazione d'uso destinati a nove imprese russe del settore tecnologico e militare indicate nell'aggiunto Allegato IV del regolamento (UE) n. 833/2014 (a prescindere dalle modalità dell'utilizzo finale di detti prodotti);
    le sanzioni europee nei confronti della Russia colpiscono anche il settore militare (divieto di esportare equipaggiamento militare a end-user russi) e quello finanziario (divieto di acquistare titoli obbligazionari con scadenza maggiore di 30 giorni emessi da alcune tra le maggiori banche e imprese russe), nonché una serie di persone fisiche e giuridiche elencate nella versione consolidata del regolamento (UE) n. 269/2014;
    il 17 giugno del 2015, gli ambasciatori permanenti degli Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia. Ad ogni modo la decisione finale spetta al Consiglio dei Ministri degli esteri in programma per il 22 giugno 2015;
    come contromisure europee all'embargo all'import di alcune categorie di prodotti agro-alimentari posto in essere dalla Federazione russa, la Commissione europea ha ufficialmente approvato, il 18 agosto del 2014, con procedura d'urgenza, due regolamenti finalizzati all'erogazione di fondi a supporto dei produttori europei colpiti dalle conseguenze del divieto;
    si tratta, in particolare, del regolamento (UE) n. 932/2014 relativo a specifiche voci doganali del settore ortofrutticolo che prevede, sinteticamente, lo stanziamento di 125 milioni di euro con misure che vanno dal ritiro dal mercato per la distribuzione gratuita al risarcimento per la mancata o anticipata raccolta, e del regolamento (UE) n. 950/2014 relativo a specifiche voci doganali di formaggi che prevede, in sintesi, aiuti per l'ammasso privato di formaggio fino ad un quantitativo complessivo pari a 155.000 tonnellate;
    se, come sostiene la Commissione europea nell'ultimo rapporto del 27 maggio 2015, le sanzioni alla Federazione russa avrebbero sull'economia europea un impatto «limitato e non influente su gran parte delle esportazioni», essendo limitate a una parte dell’export degli armamenti e ad una ristretta gamma di prodotti e beni di consumo, le misure attuate dal Governo di Mosca sul divieto di importazione di prodotti agroalimentari da Usa, Unione europea, Canada, Norvegia e Austria hanno effetti molto più vasti delle contromisure previste dall'Unione europea;
    uno studio recente condotto in esclusiva per il Lena (Leading European Newspaper Alliance) dal Wifo (Istituto austriaco per la ricerca economica) ha rivelato che sarebbero a rischio in tutta Europa due milioni di posti di lavoro e circa 100 miliardi di euro in valore aggiunto nell’export di beni e servizi per gli effetti delle sanzioni e controsanzioni;
    la ricerca del Wifo prende in considerazioni gli effetti del «peggiore degli scenari», ossia se la situazione non dovesse mutare radicalmente e, quindi, non fosssero tolte le sanzioni. Nel caso contrario, soltanto un fattore potrebbe attutire l'impatto: l'aumento delle esportazioni verso altri Paesi. Un'ipotesi molto difficile da realizzarsi, anche alla luce del perdurare della crisi globale nonostante le rosee previsioni della Commissione europea che cita un incremento dell’export agricolo verso altri Paesi, deducendone un outlook addirittura positivo, con un calo del prodotto interno lordo europeo, nel 2015, limitato allo 0,25 per cento;
    in Italia, secondo le stime del Wifo, si rischia la perdita nel breve periodo (cioè il primo trimestre del 2015) di 80 mila posti di lavoro e quattro miliardi e 140 milioni di euro in valore aggiunto creato dall’export, mentre nel lungo periodo il calo di occupazione sarà di 215 mila posti di lavoro e quello del valore aggiunto della produzione di 11 miliardi e 815 milioni di euro, ossia una riduzione della produttività pari allo 0,9 per cento;
    secondo la Coldiretti le esportazioni di prodotti agroalimentari in Russia sono più che dimezzate (-53,8 per cento) nel primo bimestre del 2015, dopo che nel 2014 aveva già comportato un calo delle spedizioni di circa 100 milioni di euro;
    in particolare, sempre secondo la Coldiretti, negli ultimi cinque mesi del 2014 si è verificata una perdita in valore nelle esportazioni in Russia di 24,4 milioni di euro per la frutta fresca, di 19,1 milioni di euro per prodotti lattiero-caseari ed i formaggi, di 17,1 milioni di euro per carne ed ai suoi derivati, mentre per il 2015 si potrebbero far perdere al settore agroalimentare italiano tra i 160 e 200 milioni di euro di esportazioni;
    una recente analisi dell'Aice (Associazione italiana commercio estero) aderente a Confcommercio e un'indagine di Federazione moda Italia hanno stimato che nei primi 3 mesi del 2015 gli acquisti russi in Italia sono calati di oltre il 50 per cento, evidenziando le perdite anche sul fronte dei consumi nel nostro Paese da parte dei turisti provenienti da quelle aree;
    altri dati pubblicati in questi mesi evidenziano perdite nei più svariati settori e rilevano le conseguenze pesanti che vanno a ripercuotersi sui cittadini, di entrambe le parti;
    le sanzioni alla Federazione russa, infatti, hanno comportato una perdita netta stimabile in 40 miliardi di dollari a cui vanno aggiunti 100 miliardi derivanti dal repentino ribasso del prezzo del petrolio. I cittadini russi sono quelli che pagano il conto più salato: la svalutazione del rublo ha dimezzato il valore dei risparmi, lo Stato è stato costretto ad aumentare i prezzi di farmaci e dell'assistenza sanitaria, il prezzo dei prodotti agricoli e caseari è raddoppiato negli ultime sei mesi, con un notevole abbassamento degli standard di qualità prima garantiti dalle importazioni;
    un fallimento invece sembrano essere le sanzioni ai singoli cittadini di Russia, Ucraina e Crimea ritenuti responsabili della crisi. Addirittura Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria e Lituania non hanno provveduto ad alcuna confisca. In Germania sono stati congelati solo 124.346 euro, soltanto 120 mila euro a Cipro, sede di società e di depositi degli oligarchi russi. In controtendenza l'Italia, che con le confische al miliardario Arkady Rotenberg ha congelato un patrimonio pari a 30 milioni di euro;
    appare sempre più evidente che la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni imposte dall'Unione europea, che fanno pagare ai popoli dei suoi Stati membri un prezzo elevato, sono state una scelta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo avventata e frettolosa, troppo subordinata alle scelte dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America, ma anche alla propensione della Germania ad espandersi verso i mercati dell'Est;
    relativamente all'Ucraina, tutte le iniziative dell'Unione europea sono state caratterizzate dalla scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la sua centralità economica ed il suo ruolo strategico, principalmente a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio;
    più che puntare all'obiettivo di includere l'Ucraina progressivamente nel mercato europeo e quindi nell'Unione europea, si dovrebbe lavorare per un'ipotesi similare al «modello finlandese» di integrazione europea che ha rappresentato un modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla Nato e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
    in tutto questo continuano gli scontri nell'est del Paese e la sensazione che il conflitto possa precipitare da un giorno all'altro aumenta con il passare del tempo. Entrambi gli schieramenti denunciano la controparte di preparare offensive e nel frattempo continua la corsa agli armamenti e il dispiegamento di dispositivi militari di ogni tipo pronti ad entrare in gioco,

impegna il Governo:

   a promuovere un'iniziativa in sede europea affinché si alleggeriscano significativamente le sanzioni dell'Unione europea alla Federazione russa;
   ad attivarsi prontamente in sede europea al fine di garantire maggiori risorse per compensare il danno prodotto dalle restrizioni alle importazioni applicate dalla Federazione russa alle imprese, ai produttori e ai cittadini dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per evitare ogni altra precipitazione bellica della crisi ucraina, promuovendo in sede di Unione europea una soluzione diplomatica che coinvolga tutte le parti in conflitto e contribuisca a consolidare l'accordo di Minsk del 12 febbraio 2015;
   a promuovere in sede di Consiglio europeo iniziative per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della Nato alla crisi ucraina, impedendo qualsiasi ipotesi di riarmo occidentale dell'Ucraina;
   a invitare il Consiglio europeo a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, esortando ad un ruolo maggiore l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea affinché si garantisca l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile, ma che promuova anche la neutralità dell'Ucraina sul «modello finlandese».
(1-00914) «Ricciatti, Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Kronbichler, Duranti, Piras, Ferrara».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito più ampio dell'inchiesta nota come «mafia capitale», Giuseppe Castiglione, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, iscritto al partito del Nuovo Centrodestra, risulta indagato per turbativa d'asta, con riguardo agli appalti per centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania);
    l'indagine a carico dell'onorevole Castiglione porta a cinque il numero di Sottosegretari del Governo raggiunti da avviso di garanzia;
    già nel 1999 Giuseppe Castiglione era stato arrestato nell'inchiesta sulle tangenti per la costruzione del nuovo Ospedale Garibaldi di Catania, con le accuse di turbativa d'asta e concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado a dieci mesi per tentata turbativa d'asta, è stato poi assolto;
    dal 2008 Giuseppe Castiglione, in quanto presidente della provincia di Catania, è «soggetto attuatore» del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Da quella posizione deriva l'iscrizione, in questi giorni, nel registro degli indagati;
    l'inchiesta su «mafia capitale» sta portando in evidenza un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
    nel frattempo, secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero ormai tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
    è conseguentemente doveroso che la gestione delle operazioni relative agli sbarchi e alla presenza di migranti nel Paese avvenga nel segno dell'assoluta e rigorosa trasparenza, con correttezza ed assoluta integrità morale e politica;
    attesa la grande rilevanza assunta dal fenomeno migratorio verso le coste del nostro Paese, in grande aumento d'intensità dal 2014, i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono opportuno che il Sottosegretario di Stato Castiglione sia sollevato dalle responsabilità di Governo, anche allo scopo di dissipare la sussistenza di eventuali conflitti d'interesse ed illeciti nella gestione dell'afflusso dei migranti richiedenti asilo, ancor prima che le fattispecie contestate nei suoi confronti dall'inchiesta generalizzata in premessa trovino definizione per via giudiziaria,

impegna il Governo

ad invitare l'onorevole Giuseppe Castiglione a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali.
(1-00915) «Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le sanzioni imposte dall'Unione Europea alla Russia non favoriscono le relazioni diplomatiche rivolte alla soluzione della crisi ucraina, danneggiano le economie dei Paesi coinvolti e le aspettative dei cittadini Italiani, comunitari e russi, e contribuiscono ad inasprire la grande crisi economica che sta alimentando le tensioni internazionali e l'odio tra i popoli;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è necessario scongiurare il rischio che il conflitto si allarghi, assistendo ad una escalation militare in Europa orientale, recuperando e rinnovando la volontà di dialogo tra Russia e Ucraina già manifestata con i cosiddetti accordi di Minsk;
    appare fondamentale garantire l'integrità territoriale dell'Ucraina, naturalmente con il coinvolgimento della Federazione russa nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi;
    si ricorda che la crisi attuale discende direttamente dalla cosiddetta dissoluzione dell'Urss, una delle due superpotenze che avevano retto le sorti dell'ordine globale dal secondo dopoguerra, avvenuta in modo rapido e inaspettato;
    essa implose dall'interno e la sua disgregazione sconvolse e ridisegnò il quadro geopolitico mondiale; tale fase non è ancora terminata;
    dalla dissoluzione dell'Urss nacquero Stati indipendenti che si ricordano: Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan e, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico, la Federazione russa;
    la transizione post-sovietica è stata segnata da episodi di conflitto alla periferia: la secessione de facto della Transnistria dalla Moldavia, la guerra fra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno Karabakh, il conflitto fra Kirghizistan e Uzbekistan nella valle di Fergana, le guerre civili in Georgia e Tagikistan;
    in Transnistria si scatenò il conflitto che insanguinò la regione nel 1992, durante il quale vennero registrate violazioni dei diritti umani e delle leggi di guerra. Il pericolo di nuovi eventi bellici nella regione appare elevatissimo;
    la «guerra dei cinque giorni» tra Georgia e Russia, dal 7 al 12 agosto 2008, fu causata dal contenzioso per il controllo della regione separatista dell'Ossezia del Sud. Dopo aver riconosciuto ufficialmente la Repubblica di Ossezia, la Russia siglò un accordo per il pattugliamento congiunto della frontiera osseto-georgiana e per la concessione di una base militare, opponendosi, al contempo, a partire dal 1o gennaio 2009, al rinnovo della missione di monitoraggio dell'Osce, attiva nella regione sin dal 1992. La regione è ancora oggi potenzialmente a rischio di nuovi episodi di guerra;
    la successiva annessione russa – non riconosciuta – della Crimea ha richiamato l'attenzione su alcune delle nazioni maggiormente in pericolo: particolarmente delicate appaiono le situazioni in Transnistria e in Georgia, aree di fatto indipendenti;
    nella notte tra il 1o e il 2 marzo del 2014, l'esercito della Transnistria è stato messo in stato di massima allerta, come descritto sulle pagine del New Eastern Europe;
    la diplomazia europea appare essere concorde con l'ipotesi prospettata, ovvero la necessità di rafforzare le relazioni tra gli attori coinvolti a tutti i livelli e al superamento dei conflitti regionali, anche nell'interesse dell'Unione europea stessa;
    si noti poi che, recentemente, anche il dibattito politico statunitense è stato caratterizzato da un'approfondita analisi dello scenario geopolitico in questione, al termine della quale si è manifestata l'espressione di forti preoccupazioni rispetto all'attuale strategia incentrata sulle sole sanzioni, pensiero che si può sintetizzare con le parole di Henry Kissinger, già Segretario di Stato con Nixon, collaboratore di vari Presidenti statunitensi, da Kennedy a Reagan: «i Paesi occidentali devono riconoscere che la Russia è importante per la pace nel mondo, che abbiamo bisogno del suo contributo per affrontare questioni gravi come le crisi regionali, il terrorismo islamico, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il clima, la sicurezza alimentare. A sua volta la Russia deve riconoscere il senso di limitazione che l'approccio europeo nella politica internazionale comporta»;
    dal punto di vista storico, diplomatico ed economico l'interesse nazionale dei cittadini italiani ed europei non può prescindere dalla prosecuzione del dialogo diplomatico, a tutti i livelli, con la Federazione russa nell'ambito di un rapporto concertato in sede di Unione europea,

impegna il Governo

a farsi promotore, a partire dall'ambito dell'Unione europea, agendo di concerto con l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, di un'azione politica volta alla ricerca di una soluzione politico-diplomatica da darsi alla crisi ucraina, e a promuovere, in sede di Unione europea, le iniziative ritenute più opportune ed efficaci, finalizzate alla rapida revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Russia, oltreché a tenere presente la necessità di scongiurare ulteriori tensioni politico-militari disinnescando così preventivamente dinamiche simili a quelle verificatesi in Ucraina.
(1-00916) «Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    a seguito dello scoppio e dell'aggravarsi della crisi politico-militare tra la Russia e l'Ucraina, nel 2014 l'Unione europea, gli Stati Uniti, il Canada, la Norvegia e altri Paesi hanno comminato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa per violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani;
    in risposta alle suddette sanzioni, ad agosto 2014 il Governo russo ha disposto un embargo annuale su numerose tipologie di prodotti agroalimentari provenienti dai Paesi di cui sopra;
    a settembre 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha dunque varato nuove sanzioni indirizzate al settore energetico (sospendendole temporaneamente per verificare il progressivo rispetto degli accordi di Minsk), cui il Presidente russo Medvedev ha risposto ipotizzando la chiusura dello spazio aereo nazionale ai voli europei e statunitensi;
    come evidenziato da diversi studi e analisi indipendenti, sia per l'Unione europea che per la Russia il costo delle sanzioni e dell'embargo ammonta a centinaia di miliardi di euro, con effetti negativi sull'occupazione e sulle prospettive di stabilità e crescita;
    il sistema economico europeo rischia per effetto diretto e indiretto delle sanzioni un calo dell'occupazione di poco meno di un milione di unità nel breve termine e di oltre due milioni nel lungo termine; la ripartizione dei costi tra Paesi membri dell'Unione europea colpisce particolarmente le economie più orientate alle esportazioni, come la Germania e l'Italia; il nostro Paese, da sempre uno dei maggiori punti di riferimento per i consumatori di prodotti agroalimentari russi, appare particolarmente colpito dall'embargo;
    in termini relativi, la Russia sta pagando il prezzo maggiore delle misure restrittive reciprocamente adottate con l'Unione europea: gli istituti di credito russi hanno perso la possibilità di ottenere prestiti dalle banche occidentali; il blocco delle tecnologie per le trivellazioni sta limitando la capacità estrattiva dell'industria energetica, in una fase già resa complicata per il calo del prezzo del petrolio; la svalutazione del rublo ha ridotto pesantemente il peso dei risparmi e lo Stato ha dovuto incrementare i prezzi dei farmaci e dell'assistenza sanitaria; l'industria agroalimentare russa non è in grado di sostituire le importazioni dall'Europa occidentale, con il risultato di un aumento significativo dei prezzi al consumo negli ultimi sei mesi;
    a detta di molti osservatori, il regime sanzionatorio e le sue imponenti conseguenze sull'economia russa hanno evidenziato l'importanza per Mosca di un rapporto pacifico e costruttivo con l'Europa occidentale,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi con sempre maggiore incisività, nell'ambito dell'Unione europea e nei rapporti bilaterali con la Federazione russa, affinché si possa giungere ad una soluzione politica che preveda anzitutto il pieno rispetto degli accordi di Minsk, in particolare la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Ucraina e la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, anche sperimentando forme avanzate di autonomia politico-amministrativa regionale;
   a proseguire, unitamente ai partner europei e internazionali, nel dialogo con il Governo di Mosca per un percorso – condizionato al pieno rispetto degli accordi di Minsk – che consenta di arrivare al superamento del regime sanzionatorio e dell'embargo commerciale, nel mutuo interesse dei lavoratori, delle imprese e dei consumatori dell'Unione europea e della Federazione russa;
   ad aprire, in sede di Unione europea, un confronto su possibili misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera più colpiti dagli effetti dell'embargo russo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà che il settore agroalimentare italiano sta sperimentando a causa dell'embargo russo.
(1-00917) «Librandi, Mazziotti Di Celso, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di maggio 2015 la cosiddetta ISIS ha conquistato l'area ove sorgeva la città romana di Palmira, in Siria, uno dei più importanti centri culturali del mondo antico, incrocio di diverse civiltà ove si fusero l'arte greco-romana con le tradizioni locali e le influenze persiane;
    si tratta di un sito storico-archeologico di inestimabile valore, risalente al I secolo d.C., già dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO;
    la stampa internazionale ha dato notizia dell'avvio di distruzioni del sito ad opera dell'ISIS e l'ONG «Osservatorio siriano dei diritti umani» da ultimo ha segnalato l'inizio del minamento del sito;
    tale operazione rientra in una precisa strategia dell'ISIS che è stata autorevolmente definita dal direttore generale dell'UNESCO Irina Bokova di «pulizia culturale». Con tale locuzione l'UNESCO designa una consapevole strategia volta a distruggere la diversità culturale attraverso la persecuzione di persone identificate sulla base della loro origine culturale, etnica o religiosa, unitamente ad attacchi intenzionali ai loro luoghi di culto, di memoria storica e di apprendimento;
    la strategia oggi in atto in Iraq e Siria trova riscontro negli attacchi al patrimonio culturale, sia nelle sue espressioni fisiche, quali opere d'arte e monumenti, sia nelle sue manifestazioni immateriali, come le consuetudini, le tradizioni e i riti;
    alcuni atti di distruzione del patrimonio culturale sono stati considerati «crimini contro l'umanità» come nella sentenza del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, Kordić & Čerkez del 2001; in particolare, quando tali atti sono diretti a membri di un gruppo etnico o religioso e possono essere equiparati al crimine di persecuzione come enunciato nell'articolo 7, paragrafo 1, lettera h), dello statuto della Corte penale internazionale;
    lo stesso statuto di Roma del 1998 contempla tra i crimini di guerra la «distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente» e il «dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, a ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari». A tal proposito, il procuratore della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha dichiarato che «la distruzione dei luoghi religiosi è un crimine di guerra» e la vice presidente della Commissione dell'Unione europea/Alto Rappresentante, Federica Mogherini, ha dichiarato che le azioni dell'ISIS «equivalgono a crimini di guerra come stabilito dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale»;
    tali atti di distruzione di siti e di beni culturali non sono né nuovi né confinati all'Iraq e alla Siria; secondo l'UNESCO, «il patrimonio culturale costituisce un elemento importante dell'identità culturale delle comunità, dei gruppi e degli individui, nonché della coesione sociale, cosicché la sua distruzione intenzionale può avere conseguenze negative per la dignità umana e i diritti umani»; come affermato anche dall'UNESCO nella Dichiarazione del 2003 sulla distruzione intenzionale del patrimonio culturale, i saccheggi e il contrabbando di siti e oggetti culturali e religiosi ad opera dell'ISIS in Iraq e in Siria o di Al Nusra in Siria e Libano, sono utilizzati anche per contribuire a finanziare le attività terroristiche, con la conseguenza che beni artistici e culturali sono trasformati in «armi da guerra»;
    la conquista e il saccheggio di siti quali Aleppo, il Krak dei Cavalieri e Palmira in Siria, tutti siti UNESCO patrimonio dell'umanità, Ninive, Nimrud, Hatra, Mosul, Samarra e Tikrit in Iraq, sono funzionali al finanziamento del Califfato. L'ONU e l'UNESCO pongono il ricavato dal traffico illecito di beni culturali tra le principali fonti di finanziamento, per valori complessivi che la stampa internazionale colloca intorno ai 45 milioni di euro l'anno;
    il 2 giugno 2015 il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, onorevole Paolo Gentiloni, ha incontrato a Parigi il direttore generale dell'UNESCO, Irina Bokova, e nel corso dell'incontro sono state analizzate le iniziative italiane in ambito UNESCO tese a rafforzare le misure a tutela del patrimonio culturale nelle aree di crisi, «con particolare attenzione alla possibile istituzione di ”zone culturali protette” e sulla creazione di una task force specializzata sul modello dei cosiddetti ”caschi blu” (Cultural Heritage Helmets), facendo così seguito a quanto prospettato dal Ministro Dario Franceschini alla luce dei primi attacchi contro il patrimonio culturale in Medio Oriente;
    vanno rafforzati il coordinamento e la collaborazione tra i soggetti preposti alla lotta al commercio illecito di opere culturali, e, nello stesso tempo, il quadro giuridico italiano ed europeo, così come le Convenzioni dell'Aia del 1954 e UNIDROIT del 1995 sanciscono. In tale quadro si colloca la rete informale EU CULTNET i cui obiettivi consistono nel migliorare l'informazione e la prevenzione nel commercio di beni culturali;
    il 28 marzo 2015, la succitata direttore generale dell'UNESCO ha avviato la campagna Unite4Heritage tesa a mobilitare il sostegno internazionale nella protezione dei patrimoni culturali materiali e immateriali attraverso i social network;
    l'eliminazione delle testimonianze fisiche delle culture ritenute estranee a quella islamica coltivata dall'ISIS è stata anche definita efficacemente «terrorismo culturale», a sottolineare la stretta connessione esistente fra le azioni terroristiche perpetrate contro le popolazioni civili e le violenze miranti a distruggerne l'identità culturale e storica;
    la cosiddetta Mezzaluna Fertile e più in generale tutto il Medio Oriente sono la culla della civilizzazione, ove sono nati la scrittura, la forma urbana e gli ordinamenti statali e legislativi. La perdita della memoria di tale passato rischia di compromettere la stessa identità del mondo contemporaneo. Vi è pertanto una comune responsabilità, insieme ai popoli dell'area, per difendere tale memoria, contro quanti negano il valore universale della cultura e delle sue testimonianze artistiche, religiose e archeologiche;
    tenuto conto che la Convenzione dell'AIA del 1954 prevede, da un lato, una protezione generale che si esplica in obblighi di protezione attiva (per lo stato nel cui territorio i beni culturali si trovano) e passiva (per tutti gli altri stati) consistenti esclusivamente in comportamenti volti a non danneggiare un bene culturale; e dall'altro lato, una protezione speciale, rivolta verso un elenco predeterminato di beni o ai rifugi appositamente destinati ad accogliere beni culturali durante un conflitto, applicabile anche nel caso di conflitto non internazionale. Tale elenco è inserito nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale, unici beni dotati appunto del segno distintivo dello Scudo Blu (ad esempio, la Città del Vaticano). Per questa ultima categoria di beni vige un divieto di compiere qualsiasi atto volto a danneggiarli. Poiché il principale limite di tale regime consiste nella assenza di un organo permanente preposto alla sua applicazione, la già citata Conferenza generale dell'UNESCO del 2003 ha adottato una dichiarazione che invita ad attuare una tutela universale dei beni culturali al di fuori di uno strumento convenzionale in quanto interesse della comunità internazionale;
    l'insigne archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, ha scritto: «Se le istituzioni culturali e singoli volontari [...] tentano disperatamente di arginare questa depravata follia attraverso verifiche di notizie e interventi limitati sul commercio illecito di antichità, per lo più in connessione con l'UNESCO, i governi delle maggiori potenze, politiche ed economiche, d'Europa, d'Asia e d'America, non sembrano in alcun modo intenzionati a fronteggiare questa ignobile dissipazione di un grande patrimonio culturale dell'umanità. Insensibili a proteggere uno straordinario patrimonio del passato, evidentemente sono altrettanto insensibili al giudizio di dura condanna che il futuro riserverà loro per avere assistito impotenti e inattivi a un massacro che priverà le prossime generazioni di un'eredità di inestimabile valore e che spezza, senza possibilità di recupero, quella catena tra umanità, cultura e natura che non può essere impunemente violata nel XXI secolo»;
    l'Italia ha sempre manifestato una forte sensibilità verso la conservazione e la valorizzazione dei siti archeologici, come testimoniato – nel caso particolare dell'Iraq – dalla presenza di enti ed operatori italiani (quale, ad esempio, il prestigioso Istituto superiore per la conservazione ed il restauro) che lavorano nel museo di Baghdad, a stretto contatto con il personale locale e dall'attività di formazione che l'Arma dei carabinieri ha svolto dal 2003 a beneficio del personale di polizia iracheno ad Amman, nell'ambito del programma dell'Unesco finalizzato al traffico internazionale di opere d'arte e beni archeologici. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha recentemente avviato, nell'ambito di un progetto finanziato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la creazione di un data base sul patrimonio a rischio, incluso quello delle aree occupate dall'Isis, al fine di raccogliere le informazioni sui danni ed i furti subiti a seguito dei recenti eventi bellici ed episodi di terrorismo;
    nel succitato incontro del 2 giugno a Parigi, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha già confermato il forte impegno del Governo italiano per individuare nuovi e più efficaci meccanismi di tutela dei siti culturali minacciati da situazioni di crisi o conflitto anche attraverso una maggiore considerazione della dimensione culturale sia nel corso delle operazioni di mantenimento della pace sia nelle fasi di ricostruzione post bellica. In tale contesto, ha suggerito la possibilità di favorire interventi laddove le condizioni di sicurezza rendano possibile un'azione sul terreno, al fine di prevenire eventuali attacchi diretti al patrimonio culturale di specifiche aree. Ha anche ricordato la copresidenza italiana del Counter-ISIL Finance Group (CIFG), segnalando la necessità di rafforzare lo scambio di informazioni con Unesco e le altre Agenzie delle Nazioni Unite soprattutto per garantire l'effettività dell'azione di contrasto al traffico illecito che, come ribadito dalla già citata risoluzione 2199 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, rappresenta un'importante fonte di finanziamento per i gruppi più radicali;
   a tal riguardo, la Camera dei deputati ha approvato l'ordine del giorno 9/02893- AR/002, a prima firma Rampi sui cosiddetti «Caschi Blu», la Commissione istruzione del Senato ha approvato la risoluzione doc. XXIV n. 49 e il Parlamento europeo alla fine del mese di aprile 2015 ha approvato la risoluzione 2649 proposta dalla Presidente della Commissione cultura Silvia Costa, volta, tra l'altro, a impegnare la Commissione dell'Unione europea e in particolare l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea ad agire a livello politico, diplomatico e anche militare per dare attuazione alla risoluzione n. 2199 del Consiglio di sicurezza dell'ONU,

impegna il Governo:

   a promuovere una efficace attuazione della convenzione dell'Aia del 1954 e dei due protocolli addizionali sulla tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato sostenendo l'azione nei competenti fori multilaterali per la possibile istituzione di «zone culturali protette», in modo da individuare nuovi e più efficaci meccanismi di tutela dei siti culturali minacciati da situazioni di crisi o conflitto anche attraverso una più forte considerazione della dimensione culturale sia nel corso delle operazioni di mantenimento della pace sia nelle fasi di ricostruzione post bellica;
    a farsi promotore del rafforzamento delle competenze della Corte penale internazionale de l'AIA, prevedendo esplicitamente tra i crimini di guerra il reato di distruzione e danneggiamento su larga scala del patrimonio culturale dell'umanità;
   a usare tutti gli strumenti diplomatici e culturali per cercare la conciliazione tra gruppi etnici e religiosi;
   a promuovere, in conformità con il paragrafo 17 della risoluzione 2199 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 12 febbraio 2015, la lotta al commercio illecito di beni culturali, con riferimento specifico agli oggetti del patrimonio culturale trafugati illegalmente dall'Iraq dal 6 agosto 1990 e dalla Siria dal 15 marzo 2011;
   a definire un approccio coordinato per contrastare il commercio illegale, in collaborazione con i responsabili a livello nazionale in seno ai servizi investigativi e in stretta collaborazione con l'UNESCO e altre organizzazioni internazionali, come il Consiglio internazionale dei musei (ICOM), il Comitato internazionale dello scudo blu internazionale (ICBS), Europol, Interpol, l'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato (UNIDROIT), l'Organizzazione mondiale delle dogane (OMD), il Consiglio internazionale per i monumenti e i siti (ICOMOS) e l'Istituto internazionale per la conservazione e il restauro dei beni culturali (ICCROM);
   a promuovere il coinvolgimento del centro satellitare dell'Unione europea, che sostiene il processo decisionale dell'Unione nel contesto della politica estera e di sicurezza comune, fornendo materiale ottenuto dall'analisi di immagini satellitari, ai fini del monitoraggio e della catalogazione dei siti archeologici e culturali in Siria e in Iraq e del sostegno alle attività degli archeologi siriani, onde evitare ulteriori saccheggi e risparmiare la vita dei civili;
   ad assumere iniziative per porre in essere un sistema rapido e sicuro per lo scambio di informazioni e la condivisione di prassi eccellenti tra gli Stati membri al fine di contrastare efficacemente il commercio illecito di beni culturali trafugati illegalmente dall'Iraq e dalla Siria, nonché ad adoperarsi affinché gli altri Stati membri si avvalgano degli strumenti internazionali di lotta al traffico illecito di beni culturali a disposizione di ufficiali di polizia e di dogana, come ad esempio l'apposita banca dati «I-24/7» di Interpol sulle opere d'arte rubate e il dispositivo di comunicazione nell'ambito del programma ARCHEO dell'Organizzazione mondiale delle dogane (OMD);
   a sostenere la messa a punto di programmi europei di formazione per giudici, ufficiali di polizia e di dogana, pubbliche amministrazioni e operatori del mercato in senso lato, onde permettere ai soggetti impegnati nella lotta al commercio illecito di beni culturali di acquisire e migliorare le loro competenze, nonché a sostenere iniziative quali il corso di e-learning per i professionisti dei beni culturali siriani, promosso da ICOMOS;
   ad avvalersi del comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, per perseguire la compravendita di antichità e reperti fuoriusciti dai Paesi in conflitto, recuperando e aggiornando alcuni progetti già sperimentati, come il B.R.I.L.A. (Bureau for investigating and recovering Iraqi looted antiquities), sviluppato nel periodo 2000-2003, al fine di individuare i possibili reperti trafugati ed inserirli in un database fruibile dai reparti dei diversi Stati che si occupano del recupero di antichità, nonché per la formazione del personale locale dei Paesi che possiedono beni culturali a rischio;
   ad avvalersi delle eccellenze italiane, riconosciute internazionalmente, in materia di conservazione e restauro (segnatamente l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro-ISCR, l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario-ICRCPAL, l'Opificio delle pietre dure-OPD) e in materia di sistemi informatici per la catalogazione del patrimonio (l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione-ICCD) per la formazione dei quadri dirigenti e degli operatori nei Paesi il cui patrimonio culturale è a rischio di distruzione o dispersione;
   a valutare, compatibilmente con i vincoli di carattere finanziario, la costituzione di un apposito fondo di bilancio dedicato alla tutela del patrimonio culturale, artistico e archeologico in pericolo a causa di conflitti, calamità e disastri.
(1-00918) «Schirò, Piccoli Nardelli, Amendola, Villecco Calipari, Quartapelle Procopio, Pes, Malisani, Manzi, Rampi, Fedi, Ghizzoni, Narduolo, Porta, Tacconi, Carocci, Sgambato, D'Ottavio, Malpezzi, Gitti, Blazina».


   La Camera,
   premesso che:
    dalla negoziazione dell'accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea sono derivati, nell'ordine:
     a) il rovesciamento di un Presidente democraticamente eletto, Viktor Yanuchovich, tramite rivolgimenti di piazza sulla cui origine e direzione non è ancora stata fatta chiarezza;
     b) l'instaurazione di un nuovo Governo a Kiev, dominato da forze nazionaliste determinate, da un lato, a condurre il Paese verso l'integrazione nell'Alleanza atlantica e nell'Europa comunitaria e, dall'altro, a cancellare ogni forma di autonomia per le zone dello Stato abitate maggioritariamente o comunque significativamente da popolazione russofona;
     c) l'esercizio dell'autodeterminazione da parte della Repubblica autonoma di Crimea e la sua conseguente accessione alla Federazione russa;
     d) lo scoppio di un conflitto nel Donbass, che oppone le milizie locali, assistite dalla Russia, alle forze regolari ucraine, ancora in corso;
    a spingere nella direzione del regime change in Ucraina sono stati, soprattutto, i Paesi europei promotori del cosiddetto partenariato orientale (nel frattempo divenuto un esercizio dell'Unione europea), ovvero Polonia, Svezia e Repubbliche baltiche, alle cui posizioni si è associata da ultimo sorprendentemente anche la Repubblica federale tedesca, che molti ritenevano, invece, avrebbe bloccato in extremis l'offerta a Kiev dell'accordo di associazione all'Unione europea che ha scatenato la crisi tuttora in corso;
    hanno tuttavia dato un significativo contributo ai rivolgimenti verificatisi in Ucraina anche gli Stati Uniti, che traggono un importante beneficio strategico dall'indebolimento dei legami tra Unione europea e Russia, visti da molti influenti analisti americani come una concreta minaccia al mantenimento della loro supremazia planetaria e comunque un ostacolo al progresso del progetto di Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, o Ttip;
    l'attuale amministrazione americana ha confermato, in occasione del più recente vertice del G7, il proprio orientamento a mantenere costante la pressione sulla Russia, invitando i Paesi occidentali alleati a confermare le sanzioni;
    in Russia, lungi dall'essere visto come l'esito di uno spontaneo processo democratico interno, quanto è accaduto in Ucraina è stato considerato il risultato pianificato di un attacco promosso dall'esterno per colpire gli interessi economici e di sicurezza della Federazione, una vera e propria anticipazione del probabile tentativo successivo di destabilizzarne l'attuale leadership, di cui pure gli Stati Uniti cercano l'attiva collaborazione su altri scacchieri, come quello iraniano;
    niente di concreto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stato fatto per modificare questa percezione russa;
    la Federazione russa ha, quindi, risposto sostenendo l'esercizio di autodeterminazione che ha condotto alla secessione della Crimea dall'Ucraina ed alla sua successiva accessione alla Russia;
    volontari russi sono altresì affluiti nel Donbass, dove è nel frattempo scoppiata una rivolta contro il nuovo Governo costituitosi a Kiev, malgrado Mosca non avesse appoggiato il tentativo locale di promuovere dei referendum di autodeterminazione sul modello di quello svoltosi in Crimea;
    l'ingresso della Crimea nella Federazione russa e la partecipazione di forze russe più o meno volontarie ai combattimenti nel Donbass sono state, quindi, all'origine di una crisi di più grandi proporzioni nelle relazioni tra la Federazione russa, l'Unione europea e gli Stati Uniti, tuttora perdurante, malgrado gli sforzi per ricomporla fatti da alcuni settori della comunità internazionale;
    nel contesto di tale crisi, Unione europea e Stati Uniti, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno adottato misure di segnalazione reciproca di intensità crescente, sia sul versante militare che su quello commerciale;
    sul piano militare, a richiesta di un certo numero di Paesi dell'Est europeo, l'Alleanza atlantica ha intensificato le esercitazioni a ridosso delle proprie frontiere orientali, coinvolgendo in almeno un caso anche forze abilitate all'impiego di armi nucleari, mentre la Federazione russa ha moltiplicato i pattugliamenti aerei nei cieli confinanti con diversi Paesi aderenti alla Nato, dando luogo anche ad intercettazioni operate dai caccia alleati;
    è ormai apertamente ventilato il preposizionamento di aliquote americane di mezzi corazzati nell'Europa dell'Est, circostanza che ha già indotto i russi ad annunciare lo schieramento ai propri confini occidentali di una quarantina di nuovi missili a lunga gittata con capacità nucleare;
    è, quindi, concreto il rischio di una ripresa della corsa agli armamenti in Europa;
    sul piano commerciale, Stati Uniti ed Unione europea, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno imposto regimi sanzionatori di intensità crescente nel tempo. Ne è derivata una vera e propria guerra economica che la Federazione russa sta affrontando riorientando i propri flussi di scambio a tutto vantaggio della Cina, che, in conseguenza di quanto accaduto, sta adesso ricevendo anche tecnologie militari russe di punta, finora mai cedute all'estero da Mosca;
    le contromisure attivate dal Governo di Mosca a seguito delle sanzioni nei confronti della Federazione russa decretate dall'Unione europea, alle quali il nostro Paese ha aderito esponendosi così a delle rappresaglie commerciali, hanno comportato il divieto di ingresso in Russia di una folta lista di prodotti italiani ed europei;
    in particolare, il 6 agosto 2014 la Russia ha disposto l'embargo di un anno, applicabile a partire dal giorno successivo, su una lista di cinque categorie di beni alimentari – in particolare ortofrutticoli freschi, carni fresche e lavorate, latte, formaggio e derivati, alimentari diversi, pesci e crostacei – provenienti da Unione europea, Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. La lista originaria è stata successivamente rivista per escludere prodotti di nicchia oppure necessari per la salute umana, come i prodotti lattiero-caseari privi di lattosio;
    lo «stop2» all'importazione di prodotti italiani deliberato dal Governo di Mosca è stato un duro colpo per il made in Italy e l'equilibrio della bilancia commerciale italiana;
    nel 2013, in effetti, l'Italia era il secondo esportatore europeo verso la Russia, con 10,8 miliardi di euro di fatturato, alle spalle della Germania; nel 2014, il nostro Paese ha visto diminuire la propria quota di export verso la Russia di 1,25 miliardi di euro (-11,6 per cento), con una stima di ulteriori 3 miliardi di euro perduti nel 2015;
    ai danni diretti, per il settore del made in Italy, derivanti dall'embargo, vanno poi aggiunti quelli «indiretti», che potrebbero dispiegare effetti più gravi e protratti nel tempo. Si rischia in effetti una vera e propria rottura definitiva dei rapporti commerciali con la Russia, dal momento che i prodotti italiani sotto embargo potrebbero essere sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi;
    paradossalmente, le aziende americane – cioè appartenenti alla nazione alla guida del fronte pro-sanzioni – hanno invece aumentato le proprie esportazioni verso la Russia del 23 per cento nell'ultimo anno;
    sono così le aziende europee, ed in particolare quelle italiane, ad essere le più penalizzate da questa situazione, circostanza che forse spiega l'inflessibilità dimostrata dal Presidente statunitense Barack Obama nell'esigere la continuazione dell'applicazione delle sanzioni alla Russia in occasione del recente vertice del G7, tenutosi alla vigilia della visita del Presidente russo Vladimir Putin all'Expo 2015 di Milano e della successiva riunione in cui il Coreper dell'Unione europea avrebbe riesaminato il dossier delle sanzioni;
    anche a causa delle pressioni esercitate dal Presidente Obama al G7, il nostro Paese non è riuscito ad ottenere l'ammorbidimento del regime sanzionatorio applicato all'interscambio con la Russia in occasione dei lavori preparatori in vista del Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015. È stata, invece, decisa la proroga fino al gennaio 2016 delle sanzioni in vigore, circostanza che lascia presagire un ulteriore deterioramento della situazione;
    stando alle risultanze di un'inchiesta condotta dal Lena (Leading European newspaper alliance), in assenza di novità, per effetto della crisi politica apertasi con la Russia, l'Europa potrebbe subire nel lungo termine una perdita di 2 milioni di posti di lavoro e una diminuzione di 100 miliardi di euro in valore aggiunto di beni e servizi destinati all’export. In questo contesto, per il nostro Paese la stima è di quasi 12 miliardi di euro, con 215 mila posti di lavoro potenzialmente compromessi;
    l'eventuale destabilizzazione economico-politica della Russia per effetto delle sanzioni, cui ampi settori del sistema politico statunitense sembrano tuttora mirare, rappresenta, inoltre, un rischio ulteriore non trascurabile, potendo gettare nel caos quello che fino a poco tempo fa era ritenuto per l'Italia un promettente mercato,

impegna il Governo:

   a mettere in atto un'incisiva attività diplomatica mirante a trovare strumenti alternativi alle sanzioni per superare gli attuali embarghi, che, se protratti ulteriormente, rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali delle imprese del nostro Paese;
   a sfruttare la prima occasione utile per ridiscutere la questione delle sanzioni nell'ambito del Coreper, dopo la fine della presidenza semestrale di turno dell'Unione europea esercitata dalla Lettonia, Paese che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo vanta un record di relazioni bilaterali con la Russia assai problematico e discrimina tuttora la propria minoranza russofona interna, in larga parte rimasta in condizioni di apolidia e, quindi, priva dei diritti politici fondamentali;
   a porre in sede europea ed atlantica, nonché in sede bilaterale con gli Stati Uniti, il problema politico dell'effettiva desiderabilità di una crisi economico-politica di maggiori proporzioni in Russia, posto che i suoi eventuali effetti sarebbero avvertiti principalmente in Europa e dal nostro Paese in particolare;
   in questo contesto, a negare la partecipazione di truppe o asset nazionali alle esercitazioni che l'Alleanza atlantica promuoverà nei prossimi mesi a ridosso delle frontiere della Federazione russa, motivando la decisione con la necessità concorrente di potenziare le difese nazionali nel Mediterraneo, dove cresce la minaccia portata dal sedicente Stato islamico;
   a valutare, se il blocco delle esportazioni dovesse continuare malgrado ogni sforzo teso ad allentarlo, l'adozione di misure di sostegno e compensazione per le imprese maggiormente colpite del nostro Paese.
(1-00919) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto annuale per il 2014 pubblicato dalla Banca d'Italia, sull'economia della regione siciliana, ribadisce un quadro generale estremamente preoccupante e negativo per il tessuto socioeconomico isolano, le cui prospettive a medio e lungo termine, non evidenziano a giudizio dell'interrogante, iniziative concrete volte ad invertire l'elevato grado di instabilità e complessità che persiste nella regione interessata;
   il documento economico rileva infatti, come nel suindicato anno sia proseguito l'arretramento dell'attività economica in Sicilia, sebbene con qualche segnale di attenuazione della crisi, in particolare con riferimento al settore dell'industria, in cui si sono ulteriormente ridotti gli investimenti, con la diminuzione delle esportazioni, anche al netto delle produzioni petrolifere;
   il livello di attività delle costruzioni, prosegue il rapporto, è ulteriormente calato e l'importo complessivo dei bandi di gara per le opere pubbliche è diminuito, dopo la crescita dell'anno precedente, mentre invece nell'ambito del mercato immobiliare dopo otto anni consecutivi di calo, il settore è tornato ad aumentare, seppure debolmente, con il numero di compravendite, soprattutto nei comuni capoluogo;
   nel settore dei servizi, il commercio ha continuato a risentire della debolezza dei consumi delle famiglie, a differenza dei flussi turistici, che invece hanno mostrato una crescita decisa, rafforzata dalla dinamica positiva dei turisti stranieri che dopo quattro anni è tornata ad aumentare;
   il mercato del lavoro, rileva ancora il rapporto della Banca d'Italia, indica che il numero di occupati è ulteriormente diminuito, ma con un'intensità molto più contenuta rispetto al 2013, ed il calo ha interessato soprattutto l'agricoltura e le costruzioni e si è concentrato nella componente del lavoro dipendente e al riguardo, il documento evidenzia come il tasso di disoccupazione sia ulteriormente cresciuto, risultando ancora una volta tra i più elevati tra le regioni italiane;
   negli anni interessati dalla crisi economica i redditi familiari in Sicilia sono diminuiti più che nella media del Mezzogiorno e del Paese e la riduzione è stata di maggiore entità tra le famiglie con redditi più bassi, con un peggioramento dei principali indici di povertà e dell'indicatore di disuguaglianza nella distribuzione del reddito;
   le conseguenze di tale scenario hanno inoltre accentuato, rispetto agli anni precedenti la crisi, i flussi migratori verso le regioni del Centro Nord e l'estero tra i siciliani più istruiti e quelli della classe di età 25-34 anni;
   la riduzione dei prestiti all'economia, nonostante le condizioni di offerta del credito abbiano manifestato segnali di distensione, sotto l'impulso della politica monetaria espansiva della BCE, unitamente alla domanda di credito da parte delle imprese, che registra ancora un basso livello di attività e una scarsa propensione a investire, rimanendo pertanto debole, accrescono inoltre le difficoltà economiche complessive, rallentandone la ripresa;
   il rapporto evidenzia infine, l'aumento della rischiosità dei prestiti alle imprese, nonché il flusso delle nuove sofferenze in rapporto ai prestiti che ha raggiunto il valore più elevato dall'inizio della crisi, soprattutto per effetto del peggioramento della qualità del credito nel settore delle costruzioni e nei servizi;
   il suesposto scenario economico, a giudizio dell'interrogante, conferma come in precedenza indicato, un quadro sconfortante che non indica misure concrete in prospettiva, da porre in essere tali da favorire la Sicilia, ed in grado di invertire un trend negativo che persiste nella regione isolana da troppi anni;
   l'evidente assenza di politiche economiche e sociali, da parte del Governo in carica, sin dall'inizio del suo insediamento, in favore del Mezzogiorno ed in particolare della Sicilia, a parere dell'interrogante, ribadiscono l'urgenza e la necessità di prevedere rapide iniziative volte ad interrompere un processo di dismissione da parte dell'esecutivo, determinato dalla scarsa attenzione nei riguardi delle regioni meridionali, come confermano gli indicatori economici, e sociali contenuti nel rapporto annuale della Banca d'Italia, sull'economia della Sicilia –:
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se in considerazione degli elevati livelli di criticità economici e sociali, non intendano urgente e necessario introdurre rapide iniziative, attraverso misure compensative o di agevolazione fiscale, volte a risollevare la complessiva situazione economica della Sicilia, che versa come ribadisce anche quest'anno la Banca centrale nazionale, in condizioni di estrema debolezza, nonostante i timidi segnali di ripresa provenienti soltanto dal settore turistico;
   se a tal fine, non ritengano opportuno prevedere infine, l'istituzione di un tavolo specifico tra la regione Sicilia, le principali associazioni industriali e imprenditoriali locali e le categorie sindacali, al fine di pervenire a rapide soluzioni condivise volte all'introduzione di misure economiche di carattere emergenziale, in favore della ripresa e dell'occupazione nella medesima regione. (4-09544)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge sui giornali calabresi, nei giorni scorsi si sarebbe verificato un nuovo presunto caso di malasanità nella regione;
   un uomo i 61 anni, Giuseppe Delfino, è deceduto – secondo quanto riportato in un esposto degli avvocati Aurelio Chizzoniti e Francesco La Salvia – mercoledì 3 giugno 2015, al «Sant'Anna Hospital» di Catanzaro;
   nel suddetto atto vengono ricostruite le ultime ore di vita del signor Delfino a cui, il 27 maggio scorso, dopo essere stato sottoposto a esame coronografico al «Sant'Anna Hospital» di Catanzaro, è stato consigliato un intervento urgente a causa di un'occlusione circolatoria. L'operazione è avvenuta due giorni dopo. «Il decorso operatorio – è scritto nell'esposto – era scandito dall'assoluta normalità dei valori di riferimento, al punto che il paziente, collocato in terapia intensiva, riusciva addirittura ad alimentarsi»;
   secondo quanto si legge sul portale della testata «Il Corriere della Calabria», «domenica scorsa, però, la moglie di Delfino nota un «mostruoso» gonfiore lungo tutto il corpo del marito. Il medico, subito contattato, dice che la situazione è sotto controllo. Ma la notte successiva qualcosa va male: i familiari vengono a sapere dalla clinica che il paziente deve essere sottoposto al più presto a un nuovo intervento, «sulla cui ratio venivano fornite notizie vaghe e ambigue». Dopo l'operazione, Delfino «in buona sostanza era mantenuto in vita meccanicamente»;
   a parere dell'interrogante, sono legittimi i pesanti dubbi espressi dai familiari della vittima (e che hanno portato gli stessi a presentare l'esposto succitato) circa l'operato dei medici della clinica Sant'Anna, anche per quanto verificatosi nelle ore successive al decesso;
   secondo quanto denunciato nell'esposto, infatti, l'avvocato Chizzoniti ha chiesto copia della cartella clinica, ma il medico «insisteva furbescamente perché il paziente, oramai in procinto di essere sottratto al meccanismo cuore-polmone, quindi praticamente deceduto, venisse sottoposto a esame autoptico presso la stessa clinica Sant'Anna, che però “concedeva” ai familiari la possibilità di farsi assistere da un medico di fiducia»;
   secondo quanto si legge su «Il Quotidiano del Sud» del 4 giugno 2015, a tale summenzionata «controfferta» della clinica, «la famiglia non ci sta e formalizza il diniego direttamente alla direzione amministrativa, che viene contestualmente informata dell'orientamento della famiglia di denunciare i fatti alla Procura di Catanzaro chiedendo altresì il sequestro della cartella clinica e l'autopsia sul cadavere del congiunto»;
   stando a quanto risulta all'interrogante, nonostante la volontà dei familiari di far eseguire l'autopsia ad un consulente tecnico di parte esterno all'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro (richiesta presentata formalmente alla Procura), la clinica si sarebbe opposta, informando i familiari «che sarebbe stata comunque effettuata l'autopsia, indipendentemente dalle azioni dei familiari del deceduto, mascherandola come urgenti accertamenti medico-legali». Da qui la richiesta del legale al procuratore di un «urgentissimo sequestro probatorio della cartella clinica afferente l'attività sanitaria espletata», «disponendo altresì l'esame autoptico sulla salma al fine di accertare le reali cause del decesso»;
   a parere dell'interrogante la strenua opposizione della clinica Sant'Anna alle richieste — legittime e lecite — dei familiari della vittima, non troverebbero apparenti e validi motivi;
   urge, anche in virtù di quanto accaduto nelle ore successive al decesso (pur rimanendo all'autorità giudiziaria il potere e dovere di disporre le perizie del caso) fare chiarezza sui trattamenti sanitari ricevuti dal paziente, poi deceduto;
   per quanto precisato, allora, appare fondamentale verificare che vi sia stato un rispetto delle procedure mediche previste, nel caso di specie, in relazione ai problemi di salute del paziente in argomento –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di acquisire elementi in merito alla vicenda descritta in premessa. (4-09548)


   LOMBARDI, BARONI, RUOCCO, FERRARESI, SARTI e D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento alle indagini su «Mafia Capitale», risulta che Massimo Carminati e i suoi complici nel 2012, dopo essersi aggiudicati una commessa per gestire la raccolta differenziata – secondo quanto si legge in una informativa del Ros dei carabinieri – avrebbero tentato di aggiudicarsi un maxi appalto dell'Ama per controllare il trasferimento dell'immondizia che dal porti di Civitavecchia doveva finire oltrefrontiera;
   dal rapporto dei Ros e da innumerevoli notizie di stampa (ad esempio Il Tempo, il Messaggero) risulta che nel dicembre di due anni fa, quando la municipalizzata AMA emetteva un bando per l'appalto relativo al trasporto della spazzatura dai centri di raccolta di Roma fino al porto di Civitavecchia, per poi stiparla su imbarcazioni dirette all'estero, il succitato Carminati e tale Buzzi, definito il ras delle cooperative con entrature in tutti i partiti, abbiano sfruttato tutte le conoscenze e gli appoggi in Campidoglio per tenere sotto controllo la gara;
   le intercettazioni raccontano il tentativo del presunto «cupolone» di Buzzi e Carminati di entrare anche nel business della raccolta dei rifiuti. Il Buzzi, parlando al telefono con Quintilio Napoleoni, direttore tecnico del Consorzio raccolta differenziata Roma, spiega chiaramente che non intende farsi carico dell'intero servizio, ma vuole solo «la parte relativa da prendere la monnezza da dove bisogna prenderla e portarla sulle navi». Ossia curare il trasporto dai depositi dei rifiuti al porto di Civitavecchia, dove la «monnezza capitale» si sarebbe poi imbarcata;
   infatti, il 12 dicembre 2012, intercettato, Buzzi al telefono con Quintilio Napoleoni, chiede la segnalazione di «qualche operatore interessato a partecipare alla «gara dell'Ama per il trasporto all'estero». Buzzi dice di «aver già creato un'associazione temporanea d'imprese con degli spagnoli che hanno le navi... mi serve qualcuno sui trasporti... prendere la monnezza da dove sta e portarla sulle navi»;
   per partecipare «in quota» al servizio, Buzzi spiega a Napoleoni di avere già un partner: «Io già sarei in Ati» con degli spagnoli che hanno navi e cazzi vari, a me servirebbe qualcuno sui trasporti... gomma»;
   risulta dall'intercettazione che Quintilio Napoleoni abbia dispensato consigli e abbia fatto il nome di un imprenditore di Bolzano che lavora anche in Germania: «Ho un amico carissimo specializzato in trasporti internazionali... Mi ha già detto: «So di questa cosa di Ama e sto all'erta perché mi interessa molto»... Bisogna capire se vuole correre da solo oppure no». Sempre Napoleoni, poi, promette di mettere una buona parola per Buzzi: «Gli dico: “Guarda che su Roma devi averci qualcuno che ti porta avanti la causa... ti ci metto in contatto”».
   in effetti tra le ditte invitate da Ama a presentare un'offerta, a dicembre 2012, ce n'era anche una spagnola, che però almeno al primo bando, quello a inviti, non rispose all'appello;
   Linda Sandulli è il presidente della sezione prima-ter del Tar del Lazio chiamata a giudicare sulla regolarità di tali appalti. È entrata nella magistratura amministrativa il 5 dicembre 1985. Tre anni dopo il marito, Salvatore Napoleoni, viene nominato amministratore unico della Proeti srl, società costituita nell'ottobre del 1981 e attiva nella manutenzione, ristrutturazione e restaurazione edile. Salvatore Napoleoni ricopre ancora oggi tale incarico, al quale si aggiunge quello di direttore e responsabile tecnico. Detiene inoltre la quota di maggioranza della Proeti: 46,67 per cento, al quale si aggiunge un 33,33 per cento intestato proprio alla moglie, il giudice Linda Sandulli. La società ha accumulato un debito di 48.600 euro verso gli istituti previdenziali e di 138 mila verso l'Erario. Fattura ogni anno 488.000 euro, di cui 239 mila (ossia il 50 per cento del totale), grazie ai lavori affidati dalla prefettura di Roma. Dati che emergono dai bilanci e dalle visure camerali;
   un esempio per tutti è quello relativo al Centro di accoglienza per rifugiati di Castelnuovo di Porto. A gennaio 2012 la Proeti srl dei coniugi Napoleoni-Sandulli si aggiudica, con procedura negoziata, un appalto per la manutenzione straordinaria degli alloggi all'interno del Cara per un importo complessivo di 239.456 euro. Nel corso dello stesso anno, la sezione prima ter del Tar Lazio è chiamata a pronunciarsi per più di una volta sull'appalto relativo alla gestione del centro. Il 6 ottobre 2011 il raggruppamento di imprese capeggiato da Gepsa spa (società francese che rientra nel gruppo Gdf Suez) vince la gara. La seconda classificata, la cooperativa Domus Caritatis, fa ricorso al Tar e il collegio presieduto da Linda Sandulli rigetta l'opposizione. Il 14 dicembre 2012 il Consiglio di Stato annulla l'aggiudicazione in favore dai francesi di Gepsa e condanna il Ministero dell'interno a risarcire il danno a Domus Caritatis per 16.235 euro al mese, circa 200 mila euro annui. A febbraio 2013 la prefettura è costretta a indire una nuova gara a procedura ristretta, invitando tutti gli operatori che avevano partecipato alla precedente, ad eccezione di Gepsa, che fa ricorso al Tar. La sezione prima-ter dà ragione alla società francese, a cui resta ancora oggi la gestione del centro per rifugiati;
   in nessuno di questi procedimenti il giudice Sandulli si è astenuta. È vero che la società di famiglia, la Proeti srl, non ha interesse nelle cause, e quindi non rientra nei casi previsti dall'articolo 51 del codice di procedura civile sull'obbligo di astensione del giudice. Ma è pur vero che sembrano sussistere ragioni di opportunità e convenienza, trattandosi dello stesso appaltatore, la prefettura, e della stessa struttura oggetto dell'appalto, il Cara di Castelnuovo di Porto;
   pertanto il Presidente del TAR del Lazio Linda Sandulli: «detiene insieme al marito l'80 delle quote sociali di una ditta edile che prende appalti dalla Prefettura di Roma e contemporaneamente presiede proprio la sezione del Tribunale amministrativo regionale chiamata a giudicare sulla regolarità di tali appalti»;
   per quanto riferisce il quotidiano Il Tempo, della citata ditta Proeti srl il marito del giudice Sandulli è amministratore delegato, direttore e responsabile tecnico nonché socio di maggioranza;
   risulta pertanto secondo gli interroganti evidente il conflitto d'interessi del giudice Sandulli, nella doppia funzione di controllore e controllato e a giudizio degli interroganti, le circostanze e le condotte riportate dalla stampa appaiono, ove rispondenti, al vero particolarmente allarmanti perché evocano una pericolosa commistione di ruoli e fanno paventare il rischio dell'alterazione della necessaria terzietà ed indipendenza del giudice –:
   se ci sia e di quale grado sia il rapporto di parentela fra il sopra citato Quintilio Napoleoni direttore tecnico del Consorzio raccolta differenziata Roma e i coniugi Salvatore Napoleoni amministratore unico direttore e responsabile tecnico della Proeti srl, e Linda Sandulli, Presidente della sezione prima-ter del Tar del Lazio;
   se il Governo alla luce dell'alta sorveglianza esercitata sulla magistratura amministrativa, intenda approfondire, per gli aspetti di propria competenza, anche con doverosi riscontri ed ispezioni, quanto riferito dalla stampa in ordine alla proprietà della Proeti srl, alle attività e ai rapporti in essere della detta società con la prefettura di Roma in relazione all'attività della sezione del Tar del Lazio presieduta da giudice Sandulli adottando, ove del caso, le iniziative di competenza. (4-09552)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011, l'ambasciata dell'India è stata condannata in via definitiva, in sede di giudizio civile, a risarcire, con la somma di duecentomila euro, un ex dipendente italiano che per anni ha svolto le mansioni di autista dell'ambasciatore indiano in Italia;
   l'ambasciata indiana si è sempre rifiutata di eseguire la sentenza, negando il risarcimento all'ex dipendente, che, licenziato dopo anni di servizio, si è visto riconoscere la mancata corresponsione, da parte dell'amministrazione dell'ambasciata, della tredicesima e di alcune differenze retributive mai percepite; l'ex dipendente, di fronte all'assoluta inerzia dell'autorità indiana, si è tutelato nelle sedi opportune, presentando diverse istanze di pignoramento;
   davanti al giudice dell'esecuzione di Roma, nel corso dell'udienza per il deposito del terzo atto di pignoramento da parte dei legali dell'ex autista, è stata presentata una memoria ad adiuvandum, da parte dell'Avvocatura generale dello Stato, per conto del Ministero degli affari esteri; nel documento si sottolinea la «necessità assoluta» di garantire l'immunità dei fondi dell'ambasciata indiana, «in quanto consentire al giudice territoriale di distinguere i fondi destinati ad attività istituzionali, da quelli relativi ad attività commerciali, significa consentirgli un'indebita ingerenza negli affari interni dello Stato estero»;
   da fonti di stampa si apprende che, interpellati sulla vicenda, i legali dell'ex dipendente dell'ambasciata, hanno dichiarato che: «È curioso che l'Avvocatura generale dello Stato nella sua memoria parli genericamente di immunità di uno Stato estero senza spiegare la differenza tra immunità assoluta e relativa. L'impignorabilità dei beni, anche quando si parla di rappresentanze diplomatiche, va dimostrata caso per caso e l'onere della prova – al contrario di quanto sostiene la nostra stessa avvocatura – per legge non spetta a noi ma all'India», quale debitore esecutato;
   l'interrogante ritiene che la posizione di difesa assunta dal Ministero degli affari esteri nei confronti dell'ambasciata indiana sia totalmente incomprensibile e ingiustificata, ancor più alla luce di una sentenza esecutiva dal 2011 che stabilisce in maniera inequivocabile l'obbligo di risarcimento da parte dell'autorità indiana nei confronti dell'ex dipendente;
   con un comportamento secondo l'interrogante, grottesco il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in totale contrasto con il dispositivo di una sentenza esecutiva dal 2011, si pone a difesa dell'autorità indiana, che da tre anni trattiene in India due fucilieri della marina italiana, in spregio alle norme del diritto internazionale;
   nella memoria depositata presso il tribunale di Roma, l'Avvocatura dello Stato auspica un «componimento bonario della controversia» che sarebbe immediato con il semplice rispetto della sentenza che stabilisce e quantifica in modo esatto il risarcimento per l'ex dipendente dell'ambasciata –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente chiarire quali criteri sono alla base della posizione assunta nella vicenda richiamata in premessa, rispetto alla quale deve essere data tempestiva attuazione alla sentenza esecutiva ormai da quattro anni che ha condannato l'ambasciata dell'India in Italia al risarcimento in favore dell'ex dipendente, posto che appare grave e assai poco dignitoso il comportamento con cui lo Stato italiano da una parte subisce il gravissimo comportamento delle autorità indiane nei confronti dei nostri Marò, e dall'altro si, schiera, secondo l'interrogante supinamente, a fianco di questo stesso Paese opponendosi all'esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale italiano. (3-01561)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   PIRAS, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diversi, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti e gli elementi di combustibile esauriti;
   le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), nelle attività di medicina nucleare e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   la normativa vigente, il decreto-legge del 15 febbraio 2010, n. 31, prevede la predisposizione di una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e di un progetto preliminare relativi alla localizzazione di un deposito nazionale delle scorie nucleari, da parte della Sogin spa (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi), da approvare solo successivamente alle necessarie valutazioni dell'Ispra e all'organizzazione di un seminario nazionale a cui partecipino regioni, province e comuni, sul cui territorio ricadono le aree interessate dalla suddetta proposta di Carta nazionale, nonché l'UPI, l'ANCI, le associazioni degli industriali delle province interessate, le associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul territorio, le università e gli enti di ricerca presenti nei territori interessati, ex articolo 27, comma 4, del suddetto decreto legislativo;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove collocare rifiuti radioattivi, condurrà alla sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la pubblicazione della Carta e quella contestuale del progetto preliminare, spiega la Sogin, «apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un Seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati»;
   l'articolo 27, comma 3, del succitato decreto-legge, prevedeva la pubblicazione tempestiva sul sito internet della Sogin spa della proposta di Carta nazionale e del progetto preliminare;
   tale tempistica, tuttavia, è stata dilatata attraverso il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 45, che ha disposto la trasmissione all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) della proposta di Carta nazionale da parte della Sogin;
   l'Ispra doveva, entro 60 giorni, validarne e verificarne i dati, inviando una relazione ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, i quali, a loro volta, dovevano comunicare, ai sensi del novello comma 1-bis dell'articolo 27, il proprio nulla osta alla Sogin ai fini della pubblicazione della proposta di Carta nazionale entro 30 giorni, dopo il recepimento degli eventuali rilievi ministeriali contenuti nel nulla osta;
   il 2 gennaio 2015 la Sogin ha consegnato ad Ispra la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale;
   il percorso istituzionale previsto, teoricamente di 90 giorni, avrebbe dovuto condurre alla pubblicazione della proposta di carta nazionale all'inizio del mese di aprile 2015, ma la possibilità dettata da una normativa non chiarissima circa i tempi necessari al recepimento dei rilievi ministeriali ha condotto a un dilatarsi ulteriore dei tempi;
   il comma 4 dell'articolo 27, decreto-legge n. 31 del 2010 prevedeva l'organizzazione del suddetto seminario nazionale entro 60 giorni dalla pubblicazione della proposta di carta; tuttavia il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, ha prorogato da 60 a 120 giorni tali tempistica attraverso il comma 4-bis dell'articolo 9;
   il 16 giugno l'ISPRA ha comunicato di aver ricevuto dalla Sogin l'aggiornamento della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del deposito nazionale e della relativa documentazione;
   attualmente, a quanto risulta dal portale web di ISPRA, il suddetto istituto ha in corso le conseguenti attività di verifica, che prevede di completare, con la trasmissione ai Ministeri dell'aggiornamento della proposta di carta e della propria relazione — entro la prima decade del prossimo mese di luglio, affinché i Ministeri stessi possano procedere a rilasciare alla Sogin il nulla osta alla pubblicazione della carta;
   i tempi per la pubblicazione della carta continuano, dunque, ad essere procrastinati, dilatando l'avvio del seminario nazionale e, dunque, dell'informazione e della partecipazione degli enti territoriali e locali e dei cittadini;
   l'accesso all'informazione e la partecipazione sono due elementi centrali dei processi decisionali in materia ambientale, come riconosciuto nella convenzione di Aarhus sul diritto di accesso alle informazioni, la partecipazione ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale del 1998, ratificata in Italia con la legge n. 108 del 16 marzo 2001, e dal diritto comunitario attraverso le direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE;
   il 20 febbraio 2015 è stato accolto in Aula dal Governo l'ordine del giorno 9/02803-A/149 presentato dal primo firmatario del presente atto, in cui si impegnava il Governo medesimo al rispetto della tempistica prevista dalla normativa vigente in modo tale da non dilatare ulteriormente l'avvio della fase di consultazione pubblica;
   tale ordine del giorno aveva ricevuto inizialmente il parere contrario del Governo, poiché appariva «ultroneo», pleonastico;
   la proposta di Carta è invece, ancora, inspiegabilmente secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale –:
   quale sia la reale tempistica prevista e se non ritenga necessaria l'immediata pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e del progetto preliminare relativi alla localizzazione del deposito nazionale delle scorie nucleari, in modo da consentire a cittadini ed enti territoriali e locali di essere messi a conoscenza su quali siano i siti individuati potenzialmente idonei ad ospitare tale deposito, un diritto riconosciuto a livello nazionale, europeo e internazionale.
(3-01559)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, MARZANA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, al fine di sostenere la tutela del settore dei beni culturali, istituisce, per l'anno 2014, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo un fondo straordinario con stanziamento pari a 1 milione di euro, denominato «Fondo mille giovani per la cultura», destinato alla promozione di tirocini formativi e di orientamento nei settori delle attività e dei servizi per la cultura rivolti a giovani fino a ventinove anni di età;
   così come disposto dal decreto ministeriale 9 luglio 2014, al fine di promuovere attività formativa di alto livello nel settore dei beni e delle attività culturali, il legislatore ha inteso impiegare le prime risorse del Fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, per tirocini formativi e di orientamento destinati a 150 giovani particolarmente qualificati, e denominati «150 giovani per la cultura»;
   al fine di attrarre i giovani più capaci e meritevoli il decreto ministeriale 9 luglio 2014 ha disposto una indennità per la partecipazione al programma di tirocini formativi e di orientamento all'importo delle borse di dottorato nelle università italiane pari a 1.000 euro di compenso lordo, comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa;
   a norma dell'articolo 1, comma 1, il decreto ministeriale 9 luglio 2014, disciplina criteri e modalità per l'accesso al fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
   il comma seguente, del citato articolo, dispone, invece, la promozione di tirocini formativi e di orientamento per 150 giovani, fino a ventinove anni di età, da utilizzare per la realizzazione di progetti specifici, finalizzati a sostenere attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale;
   tali tirocini sono attivati presso «la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia e l'Unità “Grande Pompei” (50 giovani) e la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta», presso «la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Abruzzo e la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna» e, infine, presso «l'Archivio centrale dello Stato, le soprintendenze archivistiche e gli archivi di Stato presenti sul territorio nazionale, nonché presso le Biblioteche Nazionali di Roma e di Firenze»;
   tali disposizioni ministeriali sono state assunte anche in relazione a quanto disposto dall'articolo 1 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, il quale ha introdotto strumenti utili ad accelerare «la realizzazione del grande progetto Pompei e per la rigenerazione urbana, la riqualificazione ambientale e la valorizzazione delle aree interessate dall'itinerario turistico-culturale dell'area, nonché per la valorizzazione di Pompei, della Reggia di Caserta, del Polo Museale di Napoli e per la promozione del percorso turistico-culturale delle residenze borboniche»;
   a dimostrazione dell'elevato livello di preparazione dei giovani concorrenti al bando per l'attivazione dei tirocini formativi, si è previsto, quale criterio essenziale per l'accesso alle selezioni, il possesso di diploma di laurea specialistica o magistrale, ottenuto con votazione di almeno 105/110 in una delle discipline richieste dal decreto;
   così come rilevato, a norma dell'articolo 7 del decreto ministeriale 9 luglio 2014, ai tirocinanti è corrisposta, per la partecipazione al tirocinio, della durata di 6 mesi, una indennità mensile di importo pari a 1.000 euro lordi, comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa;
   così come disposto dalla circolare ministeriale n. 27, del 28 gennaio 2015, dal 9 febbraio 2015 indirizzata a tutti i partecipanti dei bandi della procedura denominata «150 giovani per la cultura», i candidati vincitori hanno iniziato, presso le rispettive sedi di svolgimento, la propria attività di tirocinio;
   a due mesi dall'attivazione di tali tirocini, tuttavia, a seguito delle numerose segnalazioni pervenute, risulta la mancata erogazione dei compensi spettanti ad alcuni dei candidati vincitori, nonostante questi abbiano già iniziato il proprio percorso formativo, con particolare riferimento ai tirocinanti assegnati presso le strutture della Reggia di Caserta;
   l'importanza di tale progetto, anche in relazione alle emergenze che hanno portato, a norma dell'articolo 1 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, all'attivazione di urgenti strumenti per la riqualificazione delle aree citate, nonché per la presenza di giovani tirocinanti dalla comprovata preparazione in materia di beni culturali, che possono dare il necessario impulso affinché tali strumenti si rivelino efficaci, impone una corretta verifica circa l'effettiva erogazione delle somme previste dal decreto ministeriale –:
   se sia a conoscenza dell'effettivo trasferimento agli enti di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 9 luglio 2014, e assegnatari dei tirocini, delle somme necessarie all'erogazione dei compensi spettanti ai soggetti vincitori del bando denominato «150 giovani per la cultura», ed operanti presso la Reggia di Caserta, così come disposto dall'articolo 7 dello stesso decreto;
   se, in caso di effettivo trasferimento delle somme all'ente assegnatario, intenda adoperarsi con ogni iniziativa di competenza affinché si provveda celermente ad effettuare il trasferimento di tali somme in favore dei tirocinanti, agevolando, così, il pagamento dei relativi compensi. (5-05859)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2015, nel corso del consiglio comunale di Misterbianco in provincia di Catania, il sindaco Nino Di Guardo ha rilasciato delle dichiarazioni, a giudizio dell'interrogante, vergognose ed inaccettabili;
   numerose testate giornalistiche locali e nazionali hanno riportato la notizia, oltre che l'audio della registrazione della seduta del consiglio comunale di Misterbianco;
   l'occasione per queste dichiarazioni è stata la discussione su temi legati al bilancio del comune di Misterbianco e la replica del sindaco Di Guardo al consigliere d'opposizione oltre che maresciallo dell'Arma dei carabinieri Marcello Russo;
   l'audio dell'intervento del sindaco Di Guardo non lascia spazio ad ulteriori e diverse interpretazioni rispetto a quella dell'interrogante;
   il sindaco di Misterbianco ad avviso dell'interrogante ha fatto esternazioni quantomeno denigratorie delle forze armate;
   come riporta il sito ufficiale dell'Arma dei carabinieri, «l'esigenza di tutelare il prestigio dell'Esercito è stata sempre avvertita dalle competenti autorità dello Stato e le norme impartite in merito all'Arma dei Carabinieri risalgono ad epoca lontana;
   in ogni caso, a giudizio dell'interrogante, vi sono aspetti di opportunità politica, di senso civico e di semplice buona educazione che un qualunque sindaco dovrebbe avere nei riguardi di qualunque cittadino, a prescindere dal ruolo che rivesta nella comunità locale;
   a parere dell'interrogante, il sindaco del comune di Misterbianco ha mancato di riguardo nei confronti del consigliere d'opposizione, del maresciallo dei carabinieri e dell'Arma dei carabinieri. Non si può tollerare oltre che il sindaco in questione possa ricoprire tale carica, dopo quelli che l'interrogante giudica reiterati e sfrontati insulti alle forze dell'ordine, in spregio a qualunque senso delle istituzioni che dovrebbe rappresentare e tutelare –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati a tutela dell'immagine e del prestigio dell'Arma dei Carabinieri e, più in generale, delle forze dell'ordine ad avviso dell'interrogante lese dalle dichiarazioni del sindaco di Misterbianco. (4-09543)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, BARBANTI, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione dei contratti integrativi dell'Agenzia delle entrate e del territorio sottoscritti rispettivamente nel 2006 e nel 2007 ha determinato un'evidente disparità di trattamento tra i lavoratori dell'Agenzia delle entrate e del territorio, soprattutto per quanto riguarda gli articoli 17 e 18 che in entrambi i contratti disciplinano l'attribuzione e la retribuzione delle indennità degli incarichi organizzativi e professionali;
   a riguardo, infatti, mentre l'Agenzia delle entrate ha tempestivamente dato seguito a quanto stabilito con i suddetti articoli, l'Agenzia del territorio non è stata altrettanto sollecita;
   nel 2011 quando anche l'Agenzia del territorio si apprestava a concretizzare gli accordi del CCNI, in particolare per quanto attiene alla figura di capo reparto (articolo 17), è intervenuto il provvedimento di fusione tra le due Agenzie da parte del Governo di Mario Monti, che non ha consentito poi l'effettiva applicazione delle disposizioni in questione;
   pertanto, mentre i dipendenti delle entrate percepiscono da anni (almeno dal 2009) la retribuzione legata agli incarichi organizzativi e professionali, lo stesso non accade per i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio. Tale situazione è ancora più paradossale poiché, a seguito della fusione, e quindi con la creazione di un'unica Agenzia si è venuta a creare una sostanziale disparità di trattamento tra i lavoratori della stessa: per quelli delle entrate il CCNI è pienamente operante (tanto che vengono continuamente banditi interpelli per ricoprire le posizioni che si sono rese vacanti), mentre per quelli dell'ex territorio, il CCNI continua a non avere la legittima applicazione posto che il loro contratto specifico non è più esistente, né viene applicato quello dei dipendenti delle entrate;
   è di tutta evidenza che in questa situazione i lavoratori dell'ex territorio hanno subito e stanno subendo un danno economico rilevante, anche per decine di migliaia di euro, determinando un'ingiustizia che è ancor più ingiustificabile dopo la fusione tra le due Agenzie;
   si rende quindi necessaria l'adozione di urgenti provvedimenti per riparare alla grave disparità di trattamento economico dei lavoratori in questione, anche per evitare i ricorsi giudiziari che gli stessi potrebbero proporre per far valere i loro diritti e, dunque, per ottenere il rimborso delle somme illegittimamente non percepite;
   si ritiene, inoltre, che il protrarsi di questa assurda vicenda, palesatasi soprattutto a seguito della fusione delle Agenzie, sia diretta responsabilità del Ministro dell'economia e delle finanze che dovrebbe svolgere il suo ruolo di alta vigilanza come previsto per legge (decreto legislativo n. 300 del 1999) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali urgenti provvedimenti intenda adottare il Ministro affinché sia eliminata l'attuale disparità di trattamento economico tra i dipendenti della medesima Agenzia fiscale, attraverso la legittima applicazione del CCNI, in particolare, per quanto riguarda l'attribuzione e la retribuzione delle indennità degli incarichi organizzativi e professionali. (5-05860)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i «precari della giustizia» sono quei tirocinanti cassa integrati, in mobilità, disoccupati ed inoccupati, che da maggio 2010 svolgono tirocini formativi negli uffici giudiziari;
   il loro percorso inizia con la stipula di convenzioni, finanziate con fondi sociali europei, tra le amministrazioni giudiziarie e gli enti locali finalizzata da un lato a tamponare la gravissima carenza di organico e garantire la prosecuzione delle attività giudiziarie e dall'altro a dar vita ad una serie di politiche attive del lavoro per promuovere l'occupazione, l'inserimento ed il reinserimento lavorativo;
   il primo progetto pilota, risalente a maggio 2010, è a firma dell'allora presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti e dell'allora presidente del tribunale civile e penale di Roma Paolo De Fiore;
   nei mesi successivi, il progetto — di evidente successo visti gli importanti risultati conseguiti — viene replicato in tutta Italia e prosegue nel 2011 sempre col medesimo ente utilizzatore (Ministero della giustizia), mentre l'ente erogatore in alcuni casi subisce un cambio: per esempio, nel Lazio le province vengono sostituite dall'ente regione;
   i presidenti delle corti di appello, i procuratori, i presidenti dei tribunali e, su tutti, il presidente della Suprema Corte di cassazione ed il procuratore generale iniziano a mettere per iscritto i loro attestati di stima ed a richiedere continuità al Ministero, viste le competenze acquisite dai tirocinanti nei 24 mesi di formazione e vista la situazione sempre più critica degli uffici giudiziari;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, nel 2012 si apre una nuova stagione in cui il Ministero prende coscienza del bacino di lavoratori formati e capaci di dare il giusto supporto al personale di ruolo schiacciato da eccessivi carichi di lavoro;
   con apposito emendamento, viene inserito nella legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013), il comma 25 dell'articolo 1, con il quale si prevede un finanziamento di 7,5 milioni di euro per una platea di poco più di 3000 lavoratori, per proseguire la formazione, cosiddetto tirocinio di completamento, direttamente alle dipendenze del Ministero della giustizia, con pagamento delle indennità in maniera diretta dalle corti d'appello e con relativa certificazione CUD: per la prima volta ente erogatore ed ente utilizzatore sono lo stesso soggetto;
   nella legge di stabilità per il 2014 (la n. 147 del 2013) il comma 344 dell'articolo 1 prevede uno stanziamento di 15 milioni di euro da vita al cosiddetto «tirocinio di perfezionamento»;
   di tale somma 8,5 milioni vengono utilizzati in due tranches nel 2014, altri 5 milioni (secondo quanto previsto dal decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative convertito, con modificazioni, con la legge 27 febbraio 2015, n. 11) vengono utilizzati nel 2015 fino al 30 aprile. 1,5 milioni, invece, non vengono, di fatto, utilizzati;
   per l'anno 2015, nella legge di stabilità non sono state inserite previsioni normative inerenti i lavoratori in questione, nonostante sia previsto l'utilizzo dei tirocinanti all'interno dell'ufficio per il processo ai sensi dell'articolo 50, comma 1-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con la legge n. 114 del 2012;
   pertanto, a partire dal 1o maggio 2015 non solo 2.650 lavoratori subiranno l'ennesima espulsione dal mondo del lavoro e non potranno, di fatto, spendere il bagaglio formativo acquisito trattandosi di competenze e conoscenze specifiche ed altamente settoriali. Inoltre, gli uffici giudiziari non potranno più contare sul supporto di chi, formato, completato e perfezionato, ha, affiancato a tutti gli effetti il personale interno. Pertanto, si realizzerà, di nuovo, l'incubo dello sperpero di risorse pubbliche, dal momento che sono stati utilizzati fondi europei prima e fondi del bilancio dello Stato poi, per insegnare a 2.650 lavoratori un lavoro che non svolgeranno mai;
   alla luce di tutto quanto esposto, al deputato interrogante è stata prospettata la sussistenza degli elementi necessari per ragionare, seriamente, su un percorso che porti ad una contrattualizzazione di tutti i 2.650 lavoratori nel rispetto delle norme del pubblico impiego attraverso procedure selettive;
   peraltro, le «esigenze temporanee ed eccezionali» indicate nell'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, così come modificato dall'articolo 49 della legge n. 133 del 2008, che consentono alle amministrazioni pubbliche di avvalersi di forme contrattuali flessibili, sono facilmente riconducibili, oltre che alla mancanza di personale, attestata intorno alle 10.000 unità, anche alla riforma della giustizia in attuazione e, nello specifico, allo smaltimento dell'arretrato civile, al processo civile telematico ed all'istituzione dell'ufficio per il processo;
   secondo quanto prospettato al deputato interrogante una possibile soluzione potrebbe essere la predisposizione di bandi contenenti una procedura selettiva. In questi termini si permetterebbe una giusta collocazione del rapporto di lavoro nel rispetto delle norme di legge e attraverso un procedimento selettivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover percorrere la via prospettata in premessa al fine di risolvere la situazione di queste migliaia di lavoratori precari di cui l'amministrazione della giustizia necessita. (4-09549)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le multe con Autovelox e tutor sono, ora, tutte illegittime. Ciò è stato affermato, poche ore fa, dalla Corte costituzionale la quale, con una sentenza che stravolge i precedenti delle aule dei giudici di pace italiani e della stessa Corte di Cassazione, ha dichiarato incostituzionale il codice della strada nella parte in cui non prevede l'obbligo di sottoporre a verifiche periodiche e a taratura i sistemi di controllo elettronico della velocità dei veicoli;
   ciò significa che tutti gli apparecchi non «revisionati» periodicamente dalle autorità di polizia non potranno elevare più multe. Naturalmente, ciò non farà piacere agli amministratori municipali poiché le casse dei comuni, a causa della riduzione dei trasferimenti centrali e non volendo aumentare l'imposizione loro attribuita dall'ordinamento, hanno fatto conto proprio dai proventi dalle multe comminate grazie ai velox e sui tutor per potersi finanziare;
   si specifica che, sino ad oggi, la Corte di Cassazione ha sempre rigettato i ricorsi degli automobilisti fondati sulla eccezione della mancata taratura dell’autovelox, dando ragione alle amministrazioni locali. Ciò è avvenuto perché non esiste alcuna norma, nel nostro ordinamento, che prevede l'obbligo di taratura e di controllo periodico degli autovelox;
   l'intervento odierno della Corte Costituzionale è volto a colmare questa lacuna: la Corte, in particolare, è dovuta intervenire con una sentenza cosiddetta creativa, ossia che non fa altro che far «nascere» una nuova norma (prima, appunto, inesistente). E infatti, la Consulta scrive che è incostituzionale il codice della strada, «nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura»;
   così disponendo, ad avviso degli interroganti, la Corte Costituzionale ha esplicitamente indicato ciò che, da oggi, bisognerà fare. Conseguentemente, impegna le forze dell'ordine a sottoporre a verifiche e taratura gli autovelox e tutor;
   il motivo della sentenza è tecnico e semplice da spiegare qualsiasi strumento di misura, specie se di tipo elettronico, è soggetto a variazione delle sue caratteristiche, dei valori misurati dovuti ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici. La stessa usura potrebbe far sì che le multe più «vecchie» siano errate rispetto a quelle più «recenti»;
   la Corte Costituzione ritiene quindi che gli autovelox, i tutor e apparecchiature similari utilizzate per i medesimi fini, non siano sempre affidabili e misurino con certezza quanto posto a fondamento della sanzione amministrativa; pertanto la polizia dovrà sempre verificare che essi siano sempre in buon stato di funzionamento;
   la sentenza del giudice delle leggi produrrà degli effetti sui ricorsi al giudice di pace perché in seguito una sentenza che potrebbe mettere uno «stop» alle multe, almeno finché le amministrazioni non adegueranno le proprie procedure interne ai nuovi obblighi;
   per quanto riguarda l'incidenza che, presumibilmente, la sentenza della Corte costituzionale, avrà sulle aule dei tribunali, dovrebbe essere notevole. Infatti, le sentenze della Corte Costituzionale hanno efficacia immediata dal giorno della loro stessa pubblicazione. Quindi la sentenza odierna della Consulta è già produttiva di effetti nell'ordinamento giuridico;
   ad avviso degli interroganti le cause in corso e quelle che verranno avviate nei prossimi giorni dovranno tenere conto del nuovo cambiamento di interpretazione e, se le deduzioni qui fatte non verranno ritenute errate, l'ordine giudiziario dovrebbe accogliere i ricorsi degli automobilisti che abbiano sollevato l'eccezione di difetto di taratura;
   sempre a  prudente avviso degli interroganti, l'informazione sulla taratura del rilevatore di velocità è in possesso solo dell'organo di polizia che ha proceduto al controllo, il destinatario della multa potrà richiedere, in via preventiva, tale informazione direttamente all'autorità, avendo tuttavia cura di muoversi con celerità, al fine di non far scadere i termini di proposizione dei ricorsi (30 giorni di fronte al giudice di pace, 60 nel caso di ricorso al prefetto, a partire dalla data di notificazione o contestazione del verbale) che, anche in caso di richiesta di delucidazioni, non subiscono interruzioni o sospensioni di alcun tipo;
   insomma, al fine di evitare un ricorso giudiziario inutile, occorre in ogni caso preventivamente verificare se l'apparecchio utilizzato sia stato sottoposto a verifica. A volte ciò è riportato nel verbale. Altre volte è necessario chiedere al corpo di polizia l'esibizione del documento. Alcuni richiedono di esibirlo direttamente al giudice di pace, perché presentano subito ricorso e non di rado questa strategia premia perché le amministrazioni non sono in grado di portare il certificato in udienza;
   per chi ha già pagato la multa o ha appena perso un ricorso al giudice di pace, la sentenza di ieri della Corte costituzionale non cambia nulla, e non permette di sperare in rimborsi anche in caso di multe prodotte da autovelox non verificati periodicamente. Il pagamento, infatti, chiude definitivamente la partita e la sentenza ha effetto esclusivamente sui rapporti giuridici aperti al momento della sua pubblicazione;
   ad avviso degli interroganti, in seguito alla sentenza odierna della Consulta, tutti gli autovelox, i tutor e gli altri apparecchi di controllo elettronico delle violazioni del codice della strada devono essere soggetti a una verifica periodica perché il loro malfunzionamento può pregiudicare «la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale». Fino a oggi il Codice della strada non prevede quest'obbligo (così ha sempre precisato la Cassazione), e la prassi ha introdotto le verifiche periodiche solo per gli autovelox «automatici», senza la pattuglia –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assume al fine di uniformare l'applicazione del diritto in tutto il Paese, sulla base della sentenza del giudice delle leggi che ha il potere di riempiere i casi di voto normativo come quello in esame, dettando essa stessa la prescrizione alla quale informarsi per evitare il ripetersi di comportamenti oggettivamente vessatori messi in atto da appartenenti all'amministrazione pubblica in senso ampio, pur senza alcuna volontà soggettiva di vessare i cittadini, al fine di dare certezza agli stessi, evitando di appesantire ulteriormente e inutilmente i tempi di lavoro notoriamente eccessivi dell'amministrazione giudiziaria e garantire al cittadino il fatto che le norme giuridiche, in uno stato di diritto, siano rispettate da chiunque. (4-09546)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la formazione di un medico specialista impegna oggi non meno di 10 anni e in alcuni casi possono essere necessari anche 12 anni, come accade con alcune scuole di specializzazione particolarmente lunghe, come sono molte di quelle dell'area chirurgica. Servono sei anni per laurearsi e poi una media di 5 anni per socializzarsi, sempre che si acceda alla scuola di specializzazione subito dopo aver conseguito il titolo accademico di dottore in medicina e chirurgia;
   la Federazione degli Ordini denuncia da tempo il rischio di un vero e proprio spopolamento medico, data l'alta età media della categoria. Tra 10 anni, nel 2024, ossia nel tempo che trascorre tra l'attuale 2014 e la conclusione dell'iter di studi e di specializzazione di quanti si sono matricolati proprio questo anno, si rischia di avere 34 mila chirurghi in meno, pediatri e specialisti ambulatoriali ridotti di un terzo. E molto probabilmente tra i 2 e i 3 milioni di italiani corrono il rischio di rimanere senza medico di famiglia. A questi dati va aggiunta anche la crisi economica che bloccando il turn over di professionisti qualificati non consente assunzioni a tipo indeterminato. Nel 2010 il numero di chirurghi generali assunti a tempo indeterminato ha coperto il 10 per cento del fabbisogno e quello di chirurghi specialistici il 20 per cento. Nell'area delle «medicine», inoltre, tra il 2005 e il 2012 c’è stata un'analoga riduzione del 7 per cento assunzioni a tempo indeterminato;
   il problema più rilevante resta quello dei giovani laureati che non hanno accesso né alle scuole di specializzazione né alle scuole di medicina generale per mancata disponibilità di borse di studio, o meglio di veri e propri contratti di formazione, per cui cresce l'elenco di medici «generici» che non diventeranno mai né medici di famiglia né specialisti per carenza di posti nelle rispettive scuole. Un numero rilevante di giovani professionisti per i quali lo spazio di un inserimento professionale qualificato si assottiglia sempre di più;
   già la forbice di questo anno è particolarmente significativa: gli studenti iscritti in base a graduatoria nazionale sono 10.000, le borse di studio disponibili per i loro colleghi neo laureati, iscritti sei anni prima, la metà. Risultano solo 5000 contratti di formazione e per di più ottenuti con lunghe ed estenuanti trattative con il Ministero dell'economia e delle finanze Ai 10.000 studenti previsti vanno inoltre aggiunti tutti coloro che avendo fatto ricorso al TAR hanno o ottenuto risposta positiva per reali o presunte irregolarità al momento dello svolgimento degli esami. Finora si tratta almeno di 3000 ricorrenti, ma non è affatto detto che ci si fermi a questi numeri;
   quando si parla di formazione della futura classe medica il problema non è solo il numero, ma anche la qualità specifica, le competenze che hanno acquisito i neo-specialisti, il loro livello di autonomia e il giusto equilibrio tra le diverse specializzazioni, includendo anche la formazione di medicina generale, per garantire sicurezza al paziente e solidità al servizio sanitario nazionale. Evidentemente va rifatta una seria programmazione da parte del Ministero della salute e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo aver sentito la Conferenza Stato-regioni e la Fnomceo. Una programmazione che deve avere una proiezione almeno decennale, dal momento che dieci sono gli anni necessari a formare un medico specialista o un medico di medicina generale –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto a tale situazione e alle proiezioni citate avendo come parametro di riferimento il numero di studenti realmente immatricolati nell'anno accademico 2014-2015 (programmati più ricorrenti al TAR) e le loro concrete opportunità di formazione specialistica, misurate in contratti di formazione. (3-01560)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi nei gruppi Facebook e whatsapp di molti genitori di studenti sono comparsi dei messaggi allarmistici su fantomatici corsi di «teoria del gender»;
   si tratta di messaggi propagandistici per la manifestazione del 20 giugno «Difendiamo i nostri figli», con informazioni errate che stanno creando confusione e preoccupazione sulla possibilità, qualora entrasse in vigore la riforma della scuola, di attivazione dei corsi di educazione alla parità di genere;
   in queste ore alcune di queste informazioni errate sono state veicolare attraverso una circolare anche da un dirigente scolastico, con tanto di invito ad approfondire la questione sul sito del comitato promotore della manifestazione organizzata da gruppi cattolici per lo scorso sabato, in piazza San Giovanni a Roma;
   nel 2013, il Parlamento italiano è stato il quinto in Europa a ratificare – all'unanimità – la Convenzione di Istanbul, Convenzione europea in cui è espressamente indicata la necessità di inserire nei percorsi scolastici di ogni ordine e grado delle forme di educazione all'affettività, ovvero uno spazio in cui è possibile far confrontare i ragazzi sulle relazioni, sulle differenze di genere, sulla risoluzione dei conflitti. Argomenti centrali nella formazione degli studenti, utili come strumento di prevenzione della creazione di stereotipi che conducono a fenomeni di violenza, bullismo e omofobia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa circolare e, ritenendo l'interrogante molto grave utilizzare una circolare, che è un documento scolastico ufficiale, per diffondere notizie che appaiono infondate e fare quella che l'interrogante giudica sostanziale propaganda al sito di una manifestazione, come si intenda affrontare ed eventualmente sanzionare questo tipo di comportamenti che sono secondo l'interrogante palesemente in contrasto con il concetto alla base della laicità della scuola pubblica. (4-09545)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge numero 99 del 9 agosto 2013 ha previsto un incentivo, in via sperimentale, per i datori di lavoro che assumono in forma stabile (con contratto a tempo determinato) giovani tra i 18 e i 29 anni di età che rientrino in una delle seguenti condizioni:
    a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
    b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale;
    c) vivano soli o con una o più persone a carico;
   le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto e devono essere effettuate entro il 30 giugno 2015;
   è da sottolineare come sia indispensabile rivedere questa norma che agevola notevolmente gli imprenditori sperimentandola ad esempio per altri due anni rivedendo i criteri per l'assunzione;
    in particolare, l'interrogante propone di innalzare l'età del soggetto assunto fino al compimento del 35esimo anno di età e nel caso, il soggetto abbia uno o più figli a carico, di elevare l'età del soggetto assunto al di sopra dei 35 anni di età;
   in un contesto economico e sociale del nostro Paese piuttosto sfavorevole vista la grave crisi che lo attraversa ormai da molti anni, sembra fondamentale attuare quanto detto nel punto precedente della premessa per tutelare quei lavoratori che hanno più di trent'anni o con più figli a carico;
   è necessario rivedere altresì il criterio agli aventi diritto estendendolo anche ai disoccupati e ai disoccupati diplomati;
   ciò anche in considerazione del fatto che oggi si entra nel mondo del lavoro sempre più tardi e molte persone perdono il loro impiego proprio in relazione, come già detto, alla grave crisi economico-sociale che sta attraversando il nostro Paese –:
   se non sia necessario assumere iniziative per riproporre, sempre in via sperimentale, tale misura;
   se non sia opportuno assumere iniziative per estenderla anche a coloro che abbiano più di 29 anni di età fino ad un massimo di 35 anni e proporre tale misura anche per coloro che abbiano figli a carico e che abbiano un'età superiore a 35 anni di età;
   se non sia opportuno assumere iniziative per estendere le misure richiamate in premessa anche a tutti i disoccupati ed ai disoccupati diplomati. (4-09550)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come riporta un articolo de «L'Informatore agrario» dei giorni scorsi, si è corso il rischio di perdere un pezzo importante degli aiuti previsti dalla politica agricola comune;
   a causa dei ritardi nell'emanazione delle circolari attuative da parte di Agea coordinamento e del mancato esercizio del potere di indirizzo da parte del Ministro interrogato, i Centri di assistenza agricola e gli organismi pagatori regionali si sono trovati ad operare in mancanza di un quadro normativo definito e, quindi, nell'impossibilità di presentare le domande;
   le circolari attuative avrebbero dovuto essere emanate entro il 15 maggio ma, semplicemente osservando le date con cui Agea Coordinamento ha reso disponibili le regole per applicare la politica agricola comune, si comprende l'affanno con cui l'Italia ha affrontato le scadenze fissate dall'Unione europea;
   vi sono state varie circolari, il 12 e 14 maggio, poi due circolari del 3 giugno e l'ultima del 9 giugno, solamente 6 giorni prima del termine ultimo;
   la circolare del 9 giugno, definita da molti «salva Pac», ha consentito di presentare domande «semplificate», vale a dire con le sole informazioni necessarie ai sensi della normativa comunitaria e da controllare in un secondo momento, successivo al 15 giugno ed entro il 10 luglio;
   nonostante tutto, alcuni organismi pagatori regionali sono riusciti ad inserire tutte le domande Pac della loro regione;
   rimangono le problematiche per le domande di quelle regioni i cui organismi pagatori non sono riusciti ad inserire le domande se non con il metodo «semplificato» ai sensi della circolare del 9 giugno;
   le domande inserite ai sensi della circolare suddetta, a giudizio dell'Informatore agrario, sono centinaia di migliaia e metteranno a dura prova l'efficienza dei Caa e del sistema informatico Sian;
   in 25 giorni solamente si dovranno rivedere centinaia di migliaia di fascicoli e, ad oggi, non è ancora chiaro quali elementi della domanda si possono modificare senza incorrere nella decurtazione del premio prevista dai regolamenti comunitari;
   la materia, ad onor del vero, sconta le inefficienze del passato e l'inadeguatezza del meccanismo della Conferenza Stato-regioni non più adatto alla velocità ed all'efficacia con cui oggi è necessario prendere decisioni;
   le problematiche appena descritte erano e sono ben note al Ministro interrogato grazie ai molti articoli della rivista l'Informatore agrario ed alle numerose lettere ufficiali che gli organismi pagatori regionali ed il coordinatore degli assessori all'agricoltura delle regioni italiane da mesi scrivevano ad Agea ed al Ministro;
   il rischio che le decurtazioni dei premi a causa di questi tardi e dell'errata od omessa indicazione dei dati nelle domande trasmesse dai Centri di assistenza agricola si possano protrarre per ognuno dei 7 pagamenti annuali, è reale –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per evitare che accada quanto descritto in premessa. (4-09547)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella seconda metà degli anni novanta il caporalmaggiore Luca Sepe era stato destinato in missione nel Kossovo, ove aveva svolto intese attività operative che con tutta probabilità dovrebbero averlo esposto al contatto con l'uranio impoverito;
   una volta terminata la missione e rientrato in Italia nel 2011 il caporalmaggiore Luca Sepe contrasse il linfoma di Hodgkin, patologia che lo costrinse ad un terribile calvario, conducendolo, nel luglio 2004, alla morte nel reparto di rianimazione dell'ospedale Cardarelli di Napoli;
   peraltro, è proprio il caso di dire che il destino si sia accanito contro questo giovane, dal momento che nell'ambito della lunga serie di ricoveri e cure cui fu costretto per la patologia oncologica contrasse il virus dell'epatite C con tutta probabilità a causa di una trasfusione di sangue cui fu sottoposto presso l'AORN dell'ospedale Cardarelli di Napoli, così come successivamente accertato con sentenza del Tribunale di Napoli;
   nel 2006 i genitori del caporalmaggiore Luca Sepe, signori Antonio e Rosaria Martorelli, e il fratello superstite Alessandro hanno adito il tribunale di Napoli chiedendo la condanna dell'AORN Cardarelli o il Ministero della salute al risarcimento dei danni, sia in proprio che jure hereditatis, subiti a causa del contagio al virus dell'epatite C causato a Luca Sepe, in seguito alle suddette trasfusioni di sangue cui fu sottoposto durante il ricovero ospedaliero per aver contratto in missione militare nella ex Jugoslavia il morbo di Hodgkin in conseguenza all'esposizione all'uranio impoverito contenuto nelle munizioni;
   la causa, dopo una lunga istruttoria, è stata decisa dal tribunale di Napoli con la sentenza n. 7929/2014 con cui il Ministero della salute è stato condannato a pagare agli istanti la somma di euro 64.831,20 oltre interessi e spese legali, essendo stato accertato che il contagio del virus da epatite C sia da ricollegarsi alle trasfusioni ematiche;
   ad oggi dopo aver notificato il titolo esecutivo ed il precetto per complessivi euro 86.000,00 ed aver proceduto ad un primo pignoramento presso la Banca d'Italia rimasto infruttuoso a causa della mancanza di fondi da destinare alla soddisfazione di tale credito, è stato notificato un secondo atto di pignoramento che ha portato ad un accantonamento di soli euro 8.000,00 quali fondi a disposizione del Ministero da poter destinare al pagamento di tale debito;
   il pignoramento è stato iscritto a ruolo del tribunale di Napoli ma ad oggi non è stato neanche ancora assegnato il giudice e fissata l'udienza di assegnazione delle somme –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa e se non ritenga di dover procedere quanto prima alla liquidazione delle somme che la magistratura ha disposto debbano essere corrisposte alla famiglia del caporalmaggiore Luca Sepe. (4-09551)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Pes n. 4-09539, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zampa.

  L'interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-09542, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Attaguile n. 1-00915, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 447 del 22 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito più ampio dell'inchiesta nota come «mafia capitale», Giuseppe Castiglione, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, iscritto al partito del Nuovo Centrodestra, risulta indagato per turbativa d'asta, con riguardo agli appalti per centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania);
    l'indagine a carico dell'onorevole Castiglione porta a cinque il numero di Sottosegretari del Governo raggiunti da avviso di garanzia;
    già nel 1999 Giuseppe Castiglione era stato arrestato nell'inchiesta sulle tangenti per la costruzione del nuovo Ospedale Garibaldi di Catania, con le accuse di turbativa d'asta e concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado a dieci mesi per tentata turbativa d'asta, è stato poi assolto;
    dal 2008 Giuseppe Castiglione, in quanto presidente della provincia di Catania, è «soggetto attuatore» del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Da quella posizione deriva l'iscrizione, in questi giorni, nel registro degli indagati;
    l'inchiesta su «mafia capitale» sta portando in evidenza un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
    il gruppo Lega Nord e Autonomie per primo ha sollevato la questione della dubbia gestione dell'appalto del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, nonché delle figure coinvolte nell'inchiesta di «mafia capitale», con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07194 del 5 dicembre 2014, alla quale il Governo non ha ancora dato alcuna risposta; al riguardo i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono quanto mai opportuno che siano adottate le iniziative necessarie a procedere alla revoca del relativo appalto;
    nel frattempo, secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero ormai tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
    è conseguentemente doveroso che la gestione delle operazioni relative agli sbarchi e alla presenza di migranti nel Paese avvenga nel segno dell'assoluta e rigorosa trasparenza, con correttezza ed assoluta integrità morale e politica;
    attesa la grande rilevanza assunta dal fenomeno migratorio verso le coste del nostro Paese, in grande aumento d'intensità dal 2014, i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono opportuno che il Sottosegretario di Stato Castiglione sia sollevato dalle responsabilità di Governo, anche allo scopo di dissipare la sussistenza di eventuali conflitti d'interesse ed illeciti nella gestione dell'afflusso dei migranti richiedenti asilo, ancor prima che le fattispecie contestate nei suoi confronti dall'inchiesta generalizzata in premessa trovino definizione per via giudiziaria,

impegna il Governo

ad invitare l'onorevole Giuseppe Castiglione a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali.
(1-00915)
(Nuova formulazione) «Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Di Battista n. 7-00701, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 439 del 10 giugno 2015.

   La Commissione III e IV,
   premesso che:
    sul territorio italiano insistono almeno 50 installazioni militari americane (come può evincersi dal «Base Structure Report – Fiscal Year 2014 Baseline – A Summary of the Real Property Inventory» del Dipartimento della Difesa degli Stati) delle quali si possono considerare delle basi vere e proprie solo 7 e cioè Aviano, Ghedi, Vicenza, Livorno, Gaeta, Napoli e Sigonella;
    è opinione dominante, della dottrina internazionalistica, quella secondo la quale il fondamento giuridico delle basi USA in Italia derivi dalla conclusione di accordi bilaterali in ambito NATO, e pertanto dovrebbero servire al perseguimento degli scopi del Trattato dell'Atlantico del Nord;
    è possibile distinguere tra strutture militari della NATO e strutture USA: nel primo caso è necessario un accordo con lo Stato membro ospitante, nel secondo caso si procede comunque ad accordi bilaterali Italia-USA che sono stati ricondotti sotto la lettera dell'articolo 3 del Trattato Nato («Allo scopo di conseguire con maggiore efficacia gli obiettivi del presente Trattato, le parti, agendo individualmente e congiuntamente, in modo continuo ed effettivo, mediante lo sviluppo delle loro risorse e prestandosi reciproca assistenza, manterranno e accresceranno la loro capacità individuale e collettiva di resistere ad un attacco armato.»);
    un autorevole esperto di diritto internazionale, Natalino Ronzitti, ha comunque evidenziato le difficoltà nel distinguere tra basi NATO e basi in uso agli Stati Uniti, sia perché nelle prime possono esistere aree riservate esclusivamente agli USA, sia perché gli accordi istitutivi delle altre installazioni americane in Italia sono coperti da segreto; per quest'ultime, infatti, è stata spesso utilizzata la procedura semplificata con la quale, come è noto, l'accordo entra immediatamente in vigore senza il successivo passaggio in Parlamento per l'autorizzazione alla ratifica del Presidente della Repubblica (articoli 80 e 87 Cost.), come invece avviene per gli accordi cosiddetti a forma solenne (per i quali si rende necessaria un apposita legge di ratifica);
    al pari di questi ultimi, anche gli accordi internazionali in forma semplificata – almeno a partire dal 1984 – devono però essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale;
    difatti, l'articolo 1 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 (Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana) prevede che si inseriscono e si pubblicano nel testo integrale: gli accordi ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni internazionali, ivi compresi quelli in forma semplificata;
    risulta, tuttavia, che la predetta disposizione legislativa sia stata regolarmente disattesa;
    ad esempio il contenuto dell'Accordo bilaterale sulle infrastrutture (BIA) – anche noto come «Accordo ombrello» – stipulato in forma semplificata tra Italia e USA in data 20.10.1954, non è mai stato reso pubblico;
    alcuni accordi bilaterali, proprio come il citato BIA, hanno una elevata classifica di segretezza e non possono essere declassificati unilateralmente;
    in sede parlamentare, difatti, stando a quanto riportato dai Ministri della difesa intervenuti in materia, gli accordi bilaterali con i quali installazioni militari italiane sono state messe a disposizione di forze alleate «hanno classifica di segretezza a livello di segreto», che entrambi i contraenti hanno l'obbligo di rispettare. Non è quindi possibile una loro divulgazione senza il preventivo consenso degli organi di sicurezza competenti delle due parti;
    secondo l'orientamento della maggioritaria dottrina (Ronzitti, Mortati, Cassese, Barbera, Barile) i Trattati segreti sarebbero illegittimi;
    si tratta di tesi che poggiano sulla ricostruzione dei principi costituzionali in materia e su quelli dei rapporti tra organi costituzionali (in particolare tra Governo, Presidenza della Repubblica e Parlamento): se è vero che, da un lato, tra i valori garantiti dalla Carta Costituzionale sono da ricomprendere anche la difesa e la sicurezza, dall'altro lato, questi stessi valori, non potranno mai portare al totale annullamento del principio democratico del controllo parlamentare sulla politica estera del governo;
    in ogni caso il numero delle 50 basi, delle altre installazioni presenti sul territorio italiano e del personale militare e civile USA in Italia è altissimo; secondo quanto riportato dal sito Defense Manpower Data Center, alla data del 31 luglio 2013, si trovavano in Italia 11.963 militari statunitensi e 5.631 civili;
    la Francia, a partire dal 1966 è fuoriuscita dalla struttura militare integrata, ponendo fine a tutti gli accordi conclusi con gli USA;
    va considerato, infine, che le basi e le installazioni hanno, per l'Italia, costi sia diretti che indiretti;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle con l'interrogazione a risposta in commissione 5-01979, a prima firma Paolo Bernini, ha chiesto al Ministro della difesa quali fossero i costi diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato, ma nella risposta fornita dal Sottosegretario di Stato alla Difesa non si fa menzione alcuna dei costi che l'Italia sarebbe costretta a sopportare in forza degli accordi bilaterali istitutivi di basi o installazioni militari USA;
    viceversa, da un documento del Dipartimento della difesa USA denominato Allied Contributions to the Common Defense, anche se un po’, datato (2002), emerge come il contributo italiano agli USA, per il mantenimento delle basi sul territorio italiano, ammonterebbe a 366,6 milioni di dollari, importo equivalente al 41 per cento del costo sostenuto dagli Stati Uniti per le basi stesse (contributo ben più alto rispetto al 33 per cento sostenuto dalla Germania ed al 27 per cento a carico del Governo inglese);
    la NATO, a partire dal cosiddetto Documento di Washington del 1999, ha mutato e ampliato i propri scopi, con possibile rischio di incompatibilità con l'articolo 11 Cost.;
    il predetto Documento del 99 – approvato al vertice di Washington del 23-25 aprile 1999 – e il successivo documento approvato dal vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza tenutosi a Lisbona il 19 e il 20 novembre 2010, hanno ampliato i poteri e gli scopi della Nato introducendo la possibilità di effettuare missioni cosiddette, operazioni «non-Articolo 5» che vanno, dunque, oltre quelle di legittima difesa collettiva a favore di uno stato membro;
    ciò comporta una proiezione delle azioni NATO verso aree e territori di Paesi terzi rispetto all'Alleanza Atlantica (come è successo, ad esempio, in Kossovo, in Afghanistan e in Libia) con la conseguenza che le basi militari in Italia potrebbero essere utilizzate per scopi non soltanto difensivi con possibili violazioni dell'articolo 11 Cost.;
    va considerato, inoltre, che in Italia sembra che siano custodite tra le 70 e le 90 armi nucleari anche se un dato ufficiale non è mai stato fornito; gli ordigni nucleari fanno parte del deterrente nucleare Usa e dell'Alleanza atlantica, e come riportato da più fonti sarebbero site nelle basi di Aviano e Ghedi Torre;
    in riscontro all'interrogazione a risposta scritta 4-01188, a prima firma della deputata Basilio, il Ministro della difesa pro-tempore Mauro evidenziava che con riferimento alla questione della presenza di armi nucleari in Europa, si fa rilevare che l'Alleanza, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare e sulla natura del proprio dispositivo in Europa, non può agire, tuttavia, a discapito della sicurezza di questo dispositivo e della riservatezza che è indispensabile avere in relazione ai siti, la loro dislocazione, i quantitativi e la tipologia di armamento in essi contenuti. Una riservatezza che non può essere violata unilateralmente da un singolo paese dell'Alleanza, perché la deterrenza nucleare è un bene ed un onere collettivo che lega collegialmente tutti i paesi alleati. La tipologia e la qualità delle informazioni rilasciabili sugli armamenti nucleari è quindi una decisione politica collettiva ed unanime degli alleati, cui nessun Paese può sottrarsi, pena la violazione del patto di alleanza liberamente sottoscritto e del vincolo di riservatezza che da esso ne discende;
    a tal riguardo – a prescindere dai possibili profili di incompatibilità dell'esistenza di armi atomiche in Italia con il TNP (Trattato di non-proliferazione nucleare) – si ritiene che le armi nucleari presenti sul territorio italiano possano rappresentare un pericolo per la salute dei cittadini che vivono nei pressi di una base con armamenti nucleari al suo interno e che, pertanto, i cittadini italiani abbiano il diritto di sapere dove si trovino, in che quantità siano presenti in Italia e con che modalità siano custodite;
    già in data 15 maggio 2012, con la mozione n. 1-00971 a prima firma dell'onorevole Federica Mogherini, attuale Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il Parlamento ha impegnato il Governo a sostenere l'adozione di misure di trasparenza da parte dell'Alleanza Atlantica in materia di arsenali nucleari e l'ulteriore riduzione del numero di armi nucleari tattiche presenti sul territorio europeo,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziativa necessaria a impedire l'installazione di nuove basi militari NATO e USA in Italia; a rendere di pubblico dominio il numero e l'ubicazione di tutte le installazioni e basi militari NATO e USA in Italia;
   a rendere di pubblico dominio tutti i costi diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato in relazione a ogni singola base e installazione sul territorio italiano;
   a pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi della legge 839 del 1984, tutti gli accordi bilaterali conclusi a far data dell'entrata in vigore della legge stessa e, comunque, a rendere di pubblico dominio il contenuto di tutti gli accordi bilaterali Italia-USA relativi alle basi e alle installazioni che si trovano sul territorio italiano;
   conseguentemente, ad attivarsi, nei confronti del Governo USA, al fine di ottenere il consenso alla declassificazione di tutti gli accordi bilaterali concernenti basi e/o installazioni militari in Italia;
   ad attivarsi in ogni sede competente, in primo luogo in ambito NATO, al fine di eliminare la segretezza sulle informazioni relative alle armi nucleari situate in Italia e, conseguentemente, a fornire il loro numero ufficiale e la loro ubicazione nonché a indicare i costi a carico dell'Italia per la detenzione dell'arsenale.
(7-00701)
«Di Battista, Frusone, Sibilia, Rizzo, Spadoni, Corda, Scagliusi, Manlio Di Stefano, Tofalo, Grande, Paolo Bernini, Del Grosso, Basilio».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Costantino n. 4-09406, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 439 del 10 giugno 2015.

   COSTANTINO, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, PIRAS e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istat erano più di 3 milioni gli italiani che si dichiaravano omo o bisessuali nel 2012, e secondo una ricerca condotta dall'associazione Arcigay con il patrocinio dell'Istituto superiore di sanità, già nel 2005, il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche con più di 40 anni ha almeno un figlio. Attualmente, nonostante non esista un registro nazionale ufficiale delle unioni civili si calcola che i figli di coppie omosessuali siano in Italia circa 100 mila;
   nel 2013 l'Italia ha aderito, attraverso il dipartimento per le pari opportunità e l'ufficio nazionale antidiscriminazioni (UNAR) al Programma del Consiglio d'Europa, che adottava la strategia nazionale LGBT 2013-2015, il cui obiettivo era prevenire e contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, e attuare e implementare la Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, per la cui attuazione l'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le associazioni LGBT e le parti sociali ha elaborato una strategia nazionale con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   per la sezione «Educazione e Istruzione», la strategia nazionale aveva individuato specifici obiettivi tra cui:
    a) ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT;
    b) prevenire e contrastare il fenomeno dell'intolleranza e della violenza legate all'orientamento sessuale o all'identità di genere;
    c) garantire un ambiente scolastico sicuro e friendly, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere;
    d) conoscere le dimensioni e le ricadute del bullismo nelle scuole, a livello nazionale e territoriale, con particolare riferimento al carattere omofobico e transfobico, mediante una rilevazione e raccolta sistematica dei dati;
    e) favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni;
    f) contrastare e prevenire l'isolamento, il disagio sociale, l'insuccesso e la dispersione scolastica dei giovani LGBT;
    g) contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all'orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali;
   la riforma della cosiddetta «Buona Scuola», che sarebbe servita per formalizzare un impegno concreto nell'ambito dell'istruzione pubblica da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, affrontando le numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare che colmavano un vuoto programmatico che ormai riguarda praticamente solo l'Italia nel panorama europeo, è stata un'occasione mancata per raggiungere e perseguire gli obiettivi della «Strategia nazionale»;
   a questo si aggiunga che, come segnala l'avvocato Marco Barone in un articolo apparso il 5 giugno sul portale orizzonte scuola.it, il 4 giugno 2015, nessun delegato istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è presentato al workshop convocato a Roma dell'Asse Educazione e Istruzione organizzato da UNAR e RE.A.DY nell'ambito della strategia nazionale;
   lo si apprende da un comunicato delle associazioni Igbt Agedo, Arcigay, ArciLesbica, Associazione Radicale Certi Diritti, Equality Italia, Famiglie Arcobaleno, Gay center, Mit che denunciano testualmente: «convocate a Roma per un workshop: il Miur da forfait e viene data notizia della rottamazione delle azioni di contrasto al bullismo omofobico previste nell'Asse Educazione e Istruzione della Strategia Unar [...] purtroppo l'incontro, che aveva un carattere conclusivo e di valutazione delle azioni svolte, è stato totalmente negativo. Prima di tutto molto grave è stata l'assenza del MIUR, che in collaborazione con UNAR e READY avrebbe dovuto attuare le misure previste dall'Asse Educazione e Istruzione: nessun interlocutore istituzionale a cui chieder conto di quanto fatto e di quello che si sarebbe potuto fare in futuro. Delle 17 misure previste dall'Asse Educazione e Istruzione in sostanza è stata attuata concretamente e parzialmente una sola (il corso di formazione per le figure apicali tenutosi il 26 e 27 novembre 2014, dove tra 41 partecipanti vi era un solo direttore di un Ufficio Scolastico Regionale), tutto il resto è rimasto sulla carta», comunicato visibile anche sulla pagina nazionale dell'associazione Arcigay;
   nessun comunicato stampa sull'accaduto è reperibile sul sito nazionale del Miur;
   in occasione della stessa conferenza stampa sopra citata, l'Unar ha anticipato l'uscita on line del «portale lgbt», uno degli obiettivi della strategia nazionale e per il quale infatti erano stati stanziati degli appositi fondi pubblici;
   a distanza di più di 15 giorni il portale non risulta essere ancora attivo on line e, alla richiesta di aggiornamenti posta dalla giornalista Chiara Lalli all'Unar (http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/06/17/lgbt-discriminazione-omofobia), la risposta è stata «per alcuni dettagli tecnici ancora non si sa quando sarà messo on line il portale si è in attesa di specifiche autorizzazioni speriamo al più presto» –:
   se il Ministro interrogato abbia abbandonato la strategia nazionale che contrasta le discriminazioni su orientamento sessuale ed identità di genere; se e come intenda dimostrare di voler proseguire e garantire, a livello legislativo specialmente, l'avanzamento dell'Italia su questi temi senza attendere ulteriori condanne dell'Unione europea, nonché attenersi agli impegni presi con le centinaia di organizzazioni che attendono l'attuazione della Strategia nazionale;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri, in quanto titolare della competenza in materia di pari opportunità, sia al corrente dei fatti sopra esposti e come intenda garantire la pubblicazione on line del portale lgbt attraverso le autorizzazioni a cui l'Unar fa riferimento, tenendo fede agli impegni presi attraverso la strategia nazionale. (4-09406)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Lorefice n. 4-09502, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 444 del 17 giugno 2015.

   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, DI VITA e BARONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è in corso un'inchiesta, disposta dal procuratore di Ragusa e affidata alla polizia provinciale di Ragusa, per far luce sul funzionamento dell'impianto di depurazione di contrada Fiumara a Modica, in provincia di Ragusa, a seguito di denunce sul presunto sversamento di liquami non trattati nelle campagne circostanti, densamente urbanizzate, e nel torrente che da Modica sfoci in mare in territorio di Scicli;
   secondo le denunce e la documentazione fotografica diffusa a mezzo stampa da oltre 4 mesi il depuratore opera al limite della propria capacità e non riesce a depurare tutta l'acqua fognaria in arrivo, riversando quindi le eccedenze sul torrente Fiumara. I liquami pare vengano immessi nell'ambiente passando solo per una griglia di trattenimento, utile ad imbrigliare soltanto i corpi e gli oggetti più grossolani;
   tale circostanza, confermata dallo stesso sindaco di Modica in sede di consiglio comunale, si aggrava ulteriormente stando alle notizie secondo cui le acque non depurate sversate sul torrente vengono trattate con sostanze presumibilmente a base di cloro, con possibili ulteriori danni per l'ambiente;
   il problema potrebbe essere risolto dall'amministrazione comunale valutando la conversione di due vasche a 300 metri dal depuratore, originariamente destinate alla raccolta delle acque depurate;
   recentemente, secondo diverse testimonianze, compresa la denuncia di un Consigliere Comunale, pare che il depuratore sia del tutto intasato, che funzioni solo in parte, rispetto al recente passato in cui invece riusciva a depurare parte del flusso in arrivo;
   sono stati stanziati in passato circa un milione e mezzo di euro per l'ammodernamento del depuratore in questione –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda promuovere, per quanto di competenza, un processo di riammodernamento dei depuratori siti nelle varie aree geografiche italiane ed in particolare siciliane, considerato che molti depuratori, tra quelli che non rientrano nelle procedure di infrazione dell'Unione europea, presentano le stesse condizioni di quello modicano;
   se non intenda assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi da destinare all'ammodernamento dei depuratori desueti. (4-09502)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-03879 del 28 ottobre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01560.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 150 del 2013 ha previsto all'articolo 1, comma 4, lettera b), la proroga sino al 31 dicembre 2014 del termine di utilizzo di un fondo relativo all'assunzione del personale operativo permanente per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tale fondo, istituito nel 2012, ma mai utilizzato, rimarrà conseguentemente nelle disponibilità del Ministero dell'interno solo fino al 31 dicembre 2014, data decorsa la quale, in caso di mancato utilizzo, le risorse stanziate torneranno al Ministero dell'economia e delle finanze;
   con le risorse allocate presso il fondo si potrebbero assumere circa 490 vigili del fuoco permanenti, ad un costo medio di 35 mila euro, che andrebbero ad aggiungersi ai 200 reclutabili in base alle vigenti disposizioni in materia di turn over;
   sembrerebbe, tuttavia intenzione del Governo lasciar decorrere il termine del 31 dicembre 2014, allo scopo di trasferire al Ministero dell'economia e delle finanze e quindi ad altri capitoli di spesa le risorse attualmente allocate al fondo per l'assunzione del personale operativo permanente dei vigili del fuoco –:
   se il Governo intenda utilizzare o meno le risorse del fondo di cui all'articolo 1, comma 4, lettera b), del decreto-legge n. 150 del 2013 per procedere a nuove assunzioni di vigili permanenti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco prima del termine decorso il quale le risorse attribuite a tale fondo siano trasferite al Ministero dell'economia e delle finanze in vista di altri utilizzi. (4-06339)

  Risposta. — La disposizione a cui fa riferimento l'interrogante (articolo 1, comma 4, lettera b, del decreto-legge n. 150 del 2013) stabilisce la semplice proroga, alla data del 31 dicembre 2014, del termine per procedere alle assunzioni da turn over autorizzate, ma non ancora perfezionate, nelle precedenti annualità, consentendo in tal modo alle pubbliche amministrazioni di concludere le previste procedure.
  Dall'applicazione della predetta norma, pertanto, non scaturisce alcun risparmio strutturale di spesa che possa consentire l'assunzione di ulteriori unità di personale di vigili del fuoco, in aggiunta a quelle già autorizzate.
  La facoltà di assumere personale da
turn over non dà luogo all'istituzione di un fondo ad hoc per le assunzioni, ma comporta la previsione, nei bilanci delle singole amministrazioni interessate, delle risorse necessarie alla retribuzione del personale assunto nel corso dell'anno.
  Si rappresenta, comunque, che questa amministrazione ha già provveduto all'assunzione del personale a tempo indeterminato a copertura del così detto «
turn over» relativo agli anni 2009, 2010 e 2011, così come previsto dai rispettivi decreti di autorizzazione.
  Per quanto concerne le assunzioni relative all'anno 2013, da effettuarsi a copertura del «
turn over» 2012, autorizzate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2013, si fa presente che rimangono ancora da assumere 10 unità di personale con la qualifica di vice direttore e 10 unità con la qualifica di funzionario amministrativo-contabile vice direttore a conclusione delle relative procedure concorsuali, precisando che, ad oggi, risulta avviata la procedura concorsuale relativa ai vice direttori.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CARFAGNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, la regione Campania ha ottenuto un progressivo rientro dal deficit sanitario, azzerato totalmente nel 2013, grazie ad un'attenta gestione della spesa anche negli altri settori, pressoché dimezzata, e ha mantenuto ferma la sola aliquota Irpef dello 0,50 per cento, senza avvalersi della possibilità di incrementarla per compensare i tagli dei trasferimenti statali. Invero, l'oculata gestione delle spese regionali avrebbe permesso di eliminare, nonostante i consistenti tagli dei trasferimenti statali, anche tale addizionale se il suo gettito non fosse necessario al bilancio regionale per il pagamento delle rate della cartolarizzazione e del prestito ministeriale per i debiti sanitari cumulatisi fino al 2007 e per il pagamento dei debiti anteriori al 2010 nel settore dei trasporti, dalla precedente gestione della giunta «Bassolino»;
   con il decreto del Commissario ad acta n. 49 del 27 settembre 2010, pubblicato sul Burc n. 65 del 28 settembre 2010, in esecuzione di quanto stabilito dal punto c) della delibera del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2010, si è provveduto alla riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale. In particolare con tale atto di programmazione regionale è stata disposta la riconversione del presidio ospedaliero di Agropoli in struttura territoriale polifunzionale;
   con successivo decreto commissariale n. 73 del 24 ottobre 2011 nell'approvare la pianificazione attuativa dell'ASL di Salerno, la regione Campania ha modificato la programmazione di cui al citato decreto commissariale 49/2010 di riorganizzazione della rete ospedaliera Campana, limitatamente alla destinazione del presidio ospedaliero di Agropoli. Infatti, con il predetto decreto n. 73/2011 si stabili che l'ospedale di Agropoli avrebbe dovuto confluire, al pari dei presidi di Oliveto Citra, Roccadaspide, Eboli e Battipaglia, nell'ospedale unico della Valle del Sele modificando, in tal modo, la precedente destinazione della struttura sanitaria di Agropoli;
   invero, l'ospedale civile di Agropoli ha iniziato la propria attività nell'anno 2004. È, pertanto, una struttura ospedaliera di nuova realizzazione in possesso dei requisiti minimi generali e specifici per l'esercizio delle attività sanitarie e ha rappresentato, per l'ambito territoriale di competenza, un riferimento assistenziale per una popolazione complessiva di circa 80 mila abitanti distribuiti su un bacino territoriale comprendente 19 comuni. In tale ambito ha rappresentato l'unico presidio ospedaliero in grado di garantire prestazioni in emergenza-urgenza lungo una fascia costiera di circa 150 chilometri;
   in tale ambito territoriale rientrano l'area archeologica di Paestum e numerosi alberghi e strutture ricettive, pertanto, nel periodo estivo la popolazione di riferimento, incrementa notevolmente sino a registrare punte di 250.000 residenti;
   con la disattivazione del presidio ospedaliero di Agropoli deputato al trattamento, per il tramite del pronto soccorso, delle situazioni cliniche in emergenza-urgenza, si sono dilatati i tempi di percorrenza intercorrenti dai comuni ricompresi nel citato ambito territoriale di riferimento agli altri ospedali dotati di pronto soccorso. Tali tempi, che caratterizzano il cosiddetto disagio territoriale, mettono fortemente a rischio la sopravvivenza in casi di gravi ed importanti patologie acute (infarto, ictus cerebrali, incidenti), in cui vi è necessità, sempre per il tramite di attività erogate presso un pronto soccorso ospedaliero, di mettere in sicurezza e stabilizzare il paziente prima del trasferimento in centro Hub di riferimento. Ad oggi il presidio ospedaliero è stato trasformato in PSAUT, ossia «Presidio sanitario assistenza e urgenza territoriale». Si tratta di una struttura che può curare solo patologie non gravi e dunque assolutamente insufficiente per le esigenze del territorio;
   attualmente si rileva da un canto che non vi è alcun documento programmatico regionale relativo alla realizzazione nuovo ospedale del Sele, dall'altro si evidenzia che il nuovo regolamento recante la «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera», approvato in data 5 agosto 2014 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, stabilisce che la funzione di pronto soccorso è prevista per un bacino di utenza compreso tra 80.000 e 150.000 abitanti; inoltre esso prevede la possibilità di mantenere in attività ospedali di piccoli dimensioni, con la funzione di pronto soccorso, in zone disagiate;
   da recenti notizie di stampa, ed in particolare da un articolo de Il Mattino del 3 gennaio 2015 pare inoltre che anche il presidio ospedaliero della Costa d'Amalfi sia a rischio chiusura. A tal proposito, è stata diramata una nota dai sindaci della Costa di Amalfi, che a seguire si riporta per stralci: «non è dato sapere su quali basi o circostanze essa venga formulata la notizia di stampa. Allo stato, l'Atto Aziendale della AOU Ruggi D'Aragona è sottoposto alla valutazione dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari presieduta dal dottor Zuccatelli, al termine di una complessa istruttoria che ha visto impegnati il presidente Caldoro, i sub commissari per la sanità, l'Arsan capeggiata da Angelo Montemarano e il dottor Ferdinando Romano al vertice del Dipartimento Regionale per la Sanità. La Costiera Amalfitana è un attrattore d'eccellenza per tutta la Regione Campania ed un volano per l'economia di tutto il sud Italia: sminuirne le potenzialità è un attacco al lavoro, al reddito, alla vita delle persone che ci abitano. Qui è in ballo non soltanto il diritto costituzionale alla tutela della salute, ma anche quella risorsa economica legata al turismo che potrebbe essere di gran lunga la nostra principale ricchezza. Privare questo territorio di un efficiente presidio ospedaliero equivale a spogliare i cittadini della loro sicurezza e contemporaneamente tagliare le gambe all'economia: le amministrazioni locali, la cittadinanza, le organizzazioni produttive e sindacali, il mondo della cultura e dell'impegno sociale si opporranno con ogni mezzo ad un attacco che nessun calcolo ragionieristico può giustificare, e contro il quale la Conferenza dei Sindaci è pronta ad iniziative anche eclatanti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione espressa in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto per favorire il mantenimento dei presidi ospedalieri in aree logisticamente strategiche per la popolazione, come quelle di cui in premessa, salvaguardando così non solo i livelli essenziali di assistenza ma anche località economicamente strategiche per il sud Italia, sia dal punto di vista culturale che turistico. (4-07478)

  Risposta. — In merito al mantenimento dei presidi ospedalieri ubicati in aree della provincia salernitana particolarmente disagiate sotto il profilo logistico, al fine di salvaguardare l'osservanza dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini residenti, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Salerno ha comunicato quanto segue.
  La regione Campania, con il decreto commissariale n. 49 del 27 settembre 2010, nell'ambito del piano di rientro dal «deficit» sanitario, ha ridisegnato l'assetto della rete ospedaliera territoriale, utilizzando una metodologia di analisi delle prestazioni erogate in regime di ricovero, ridefinendo il fabbisogno di prestazioni ospedaliere appropriate e, quindi, l'indice programmatico di posti letto per 1.000 abitanti, sulla base del quale procedere al riassetto della rete, attraverso una complessiva riorganizzazione di tutti i presidi e le aziende ospedaliere del territorio.
  Per ciascuna delle strutture di ricovero pubbliche sono stati definiti, per singola disciplina, i posti letto, distinti in posti letto ordinari e a ciclo diurno; sono stati inoltre individuati i presidi ospedalieri destinati alla dismissione, stante la loro non rispondenza ai principi e ai criteri fissati dal citato provvedimento, tra cui, principalmente, l'inadeguatezza della soglia minima di operatività delle strutture pubbliche, definita pari a 100 posti letto per le strutture per acuti e pari a 80 posti letto per le strutture di riabilitazione e lungodegenza (criterio della «congruità dimensionale»), necessaria per garantire qualità e sicurezza.
  Nell'ambito di tale atto di programmazione regionale, in considerazione dei criteri espressi, è stata disposta anche la riconversione, tra gli altri, dei presidi ospedalieri di Agropoli e Castiglione di Ravello: il primo riconvertito in centro ambulatoriale ad indirizzo oncologico ed in struttura residenziale per cure palliative (
hospice), ed il secondo riconvertito in struttura polifunzionale per la salute (SPS) con disattivazione delle funzioni di ricovero.
  Il successivo decreto commissariale n. 73 del 24 ottobre 2011, in accoglimento della proposta programmatica della a.s.l. di Salerno relativa al solo presidio ospedaliero di Agropoli, a parziale rettifica del precedente decreto, ha disposto la confluenza di tale presidio nell'istituendo ospedale unico della Valle del Sele, insieme a quella già prevista per i presidi di Oliveto Citra, Roccadaspide, Eboli e Battipaglia, ed ha precisato che la struttura sanitaria di Agropoli è destinata all'erogazione di prestazioni esclusivamente in regime ambulatoriale (
day service).
  Nel ribadire la necessità di dismissione e riconversione delle strutture ospedaliere di piccole dimensioni o con ridotta attività, la regione Campania, con il decreto commissariale n. 82 del 2013, ha fornito precisi indirizzi in merito al piano di riequilibrio ospedale – territorio, invitando l'azienda sanitaria locale di Salerno a riprogrammare l'organizzazione degli ospedali di Oliveto Citra, Roccadaspide, Eboli e Battipaglia, in attesa della realizzazione dell'ospedale della Valle del Sele, non considerato tra gli obiettivi prioritari, per il quale si prevedono tempi lunghi di attuazione (non meno di cinque anni di lavoro).
  Nel decreto n. 82 del 2013 non si fa riferimento all'ospedale di Agropoli, che rimane dunque dimensionato per quanto riguarda il personale medico e gli operatori di comparto.
  La riconversione del presidio ospedaliero in presidio sanitario di assistenza e urgenza territoriale (PSAUT), con il supporto di autoambulanza di tipo A con rianimatore a bordo e di autoambulanza medicalizzata di tipo B, ha tenuto conto, secondo quanto riferito dal direttore generale dell'a.s.l. di Salerno, delle necessità assistenziali che si riscontrano nel territorio e, ad oggi, non ha mostrato particolari criticità.
  Presso il PSAUT di Agropoli è garantito il trattamento delle patologie semplici, mentre per le patologie complesse si fa riferimento al presidio ospedaliero di Vallo della Lucania, inquadrato come DEA di III livello.
  Per quanto riguarda la situazione relativa al presidio ospedaliero di Castiglione di Ravello, ubicato in un'area considerata geograficamente disagiata, con zone collinari e montane collegate da un asse stradale difficile e tortuoso e caratterizzate da un alto rischio idrogeologico, a causa dei frequenti fenomeni di smottamenti e frane che investono periodicamente quel territorio, con conseguente chiusura di fondamentali tratti viari, questo presidio rappresenta l'unica struttura di riferimento per i tanti cittadini residenti nei comuni della costiera amalfitana e per i numerosi turisti, non solo nel periodo estivo.
  Con il citato decreto commissariale n. 49 del 2010, sono state disattivate le funzioni di ricovero presso tale presidio, ed il plesso è stato riconvertito in una struttura polifunzionale per la salute (SPS): una struttura nella quale vengono offerti, tra l'altro, servizi e prestazioni finalizzati a garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociosanitaria con l'allocazione di ambulatori di prime cure per piccole urgenze ed interventi che non necessitano di ricovero in ospedale, nonché le attività di PSAUT (emergenza territoriale – 118).
  Successivamente, con decreto n. 17 del 16 marzo 2011, il presidente della Giunta regionale, ha decretato l'annessione, a partire dal 1o aprile 2011, del presidio di Castiglione di Ravello all'azienda ospedaliera «Ruggi D'Aragona» di Salerno, confermando altresì la disattivazione di tutte le funzioni di ricovero, con la conseguente soppressione dei posti letto e la riconversione di struttura polifunzionale per la salute (SPS), dotata di un pronto soccorso con attività di emergenza sulle 24 ore.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che l'ufficio di pubblica sicurezza di Luino, avente la duplice valenza di polizia di frontiera e di commissariato di pubblica sicurezza abbia un organico attestato ad almeno 69 unità;
   risulta che incombano su detto ufficio numerose incombenze, tra le quali la vigilanza di retrovalico di 12 valichi di frontiera fra Svizzera e Italia, il controllo di un territorio molto vasto, con relative azioni di pronto intervento e di soccorso pubblico, settimanali accompagnamenti di extracomunitari sia all'interno del paese che all'estero, aggregazioni presso altri uffici di polizia di frontiera, in particolare presso aeroporti dislocati in tutto il territorio nazionale, e attività di polizia amministrativa-sociale e dell'immigrazione;
   risulta, infine, all'interrogante che l'ufficio di pubblica sicurezza in questione sarà privato, in settembre, di 7 unità di personale che, aggiunti a due prossimi pensionamenti, determineranno una riduzione del personale sotto le 60 unità;
   il sindaco di Luino, con lettera del 31 luglio 2014, inviata al Ministro, all'interrogante e ad altri onorevoli colleghi e senatori, ha denunciato le possibili ricadute, in termini di pubblica sicurezza, di quanto esposto in premessa –:
   di quali informazioni sia a conoscenza il Governo;
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di garantire un elevato livello di pubblica sicurezza nel territorio di Luino e presso i corrispondenti valichi di frontiera;
   se il Governo abbia valutato, in particolare, la possibilità di rimpiazzare i sette operatori trasferiti attingendo ai quasi 1.400 neo-agenti che in settembre dovrebbero completare il corso di formazione. (4-05917)

  Risposta. — Il settore polizia di frontiera di Luino svolge – come stabilito dal decreto ministeriale 16 marzo 1989 e successive modificazioni e integrazioni – le specifiche attività di polizia di frontiera, con attribuzioni anche di commissariato di pubblica sicurezza.
  In particolare, esso svolge in modo dedicato le attività di vigilanza «cosiddette di retrovalico», partecipa all'integrazione di specifici servizi di frontiera e sicurezza presso altri uffici della medesima specialità, svolge attività procedimentali delegate dal Questore di Varese in tema di immigrazione e polizia amministrativa, assolve al servizio di ricezione delle denunce, corrisponde ad ogni delega della competente autorità giudiziaria.
  Inoltre, l'ufficio collabora alla prevenzione generale sul territorio nei limiti della propria «missione istituzionale» e ai servizi di ordine e sicurezza compatibilmente con le risorse disponibili.
  Attualmente l'ufficio presenta una forza effettiva di 63 unità rispetto ad una previsione organica di 70.
  L'asserita contrazione organica recentemente registrata (che peraltro ha interessato tutti i settori di frontiera terrestre) è connessa a scelte dipartimentali dettate dalla necessità di salvaguardare gli organici degli uffici di frontiera presso gli scali aerei della zona (Malpensa, Linate, Orio al Serio) interessati da importanti implementazioni di traffico connesso agli eventi 2014/2015 (semestre di Presidenza italiana in ambito U.E. – Expo 2015).
  Si assicura comunque che il segnalato decremento di personale non condiziona in modo significativo l'attività del presidio di specialità in questione, la cui attività di vigilanza nei pressi dei valichi viene ricalibrata di volta in volta in funzione delle necessità emergenti.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 ottobre 2014 la CISL-SPL di Catania ha diramato un comunicato denunciante che «la recrudescenza degli atti criminosi nei confronti degli Uffici Postali da tempo ha raggiunto livelli inquietanti e gli assalti da parte di soggetti malavitosi ai danni dei dipendenti, sono ormai all'ordine del giorno ed assumono contorni sempre più cruenti e di estrema pericolosità»;
   si denuncia altresì, un'asserita «inerzia aziendale rispetto al crescente fenomeno»; il sindacato ha evidenziato che «per gli UP che fanno capo alla Filiale di Catania 1 risulta discontinua la vigilanza armata presso: Catania Succ.2, Catania Succ.22, Catania Succ.27, Catania Succ.14, Catania Succ.16, Gravina Succ.2, Lineri, SPAV di Tremestieri Etneo» e che si tratterebbe «di obiettivi particolarmente presi di mira dalla criminalità e dove l'azienda, secondo logiche evidentemente riconducibili al risparmio di spesa, obbliga il personale a convivere con il pericolo incombente» è stata annunciata la formale apertura di un conflitto del lavoro, costituendo il comunicato attivazione delle procedure di raffreddamento e conciliazione di cui alla legge n. 83 del 2000 –:
   di quali informazioni disponga il Governo;
   in particolare, se il Ministro disponga di dati relativi agli atti criminosi, con particolare attenzione alle rapine, commessi o tentati nei confronti degli uffici postali della Sicilia, per l'anno in corso e per i precedenti, al fine di rilevare l'evoluzione del relativo trend;
   se il Ministro disponga dei medesimi dati relativamente al territorio delle altre regioni, così da poter valutare il fenomeno anche su base comparativa;
   qualora i dati rivelassero un aumento del fenomeno criminoso nell'ambito territoriale considerato, o comunque una più marcata intensità rispetto a quello di altri territori, quali iniziative ritenga il Ministro di porre in essere per un rafforzamento dei presidi di vigilanza armata, al fine di mitigare il relativo rischio criminale.
(4-06529)

  Risposta. — Da una attenta valutazione dei dati elaborati dalla direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza, si deduce che il fenomeno criminoso delle rapine in danno degli uffici postali nella provincia di Catania, nel corso del 2014 è diminuito, con 12 rapine in luogo delle 41 consumate nell'anno precedente.
  La riduzione del fenomeno è stato il frutto anche di una positiva interlocuzione tra la questura e l'azienda Poste italiane.
  In particolare, la questura ha intensificato la vigilanza dinamica alle sedi postali, incrementando sia l'attività di prevenzione che quella di repressione, con un aumento medio del 20 per cento degli arresti e delle denunce in stato di libertà, grazie anche alla tempestiva segnalazione delle situazioni di sospetto da parte dei responsabili di filiale.
  Dal canto suo, l'azienda Poste italiane ha provveduto a potenziare la vigilanza mediante guardie particolari giurate nelle succursali più a rischio e nei periodi di maggiore esposizione ad eventi delittuosi, quali i mesi di novembre e dicembre.
  Estendendo la disamina a tutto il territorio regionale, si rileva come il fenomeno in questione abbia conosciuto nel territorio siciliano un'effettiva impennata negli anni 2012 e 2013, per poi rientrare all'interno di parametri meno allarmanti nel corso dell'anno successivo.
  In proposito, si segnala che nel 2014 le Forze di polizia hanno effettuato servizi di controllo del territorio più capillari, che hanno posto gli uffici postali tra gli obiettivi a cui rivolgere la massima attenzione.
  Le attività preventive su tale fronte sono state supportate dai reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato che, dal 1o gennaio 2014 al 25 febbraio 2015, hanno assicurato un rinforzo per 293 giorni attraverso l'invio di complessivi 1.481 equipaggi, per un totale di 4.443 unità, pari a una media di circa 5 equipaggi giornalieri.
  L'attività svolta in aggiunta ai servizi ordinariamente prestati dalle Forze territoriali ha consentito di controllare 10.927 persone, eseguire 17 arresti d'iniziativa e 59 in esecuzione, eseguire 1.460 controlli agli arresti domiciliari, 54 perquisizioni domiciliari e 163 personali, controllare 5.085 veicoli, sequestrare 366 autovetture e 302 motoveicoli, controllare 185 esercizi pubblici e denunciare all'autorità giudiziaria 162 persone, oltre ai numerosi altri adempimenti istituzionali.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nonostante ci sia ancora molta strada da fare per migliorare il sistema sanitario nel suo complesso, è ben noto come la regione Campania, guidata dal 2010 da Stefano Caldoro, possa vantare un risultato straordinario, essendo passata da un disavanzo sanitario che nel 2009 ammontava a 773 milioni a un avanzo di gestione di 6 milioni nel 2013;
   la regione Campania, pertanto, con un anno di anticipo, ha raggiunto il pareggio di bilancio nella sanità, registrando un incremento del 10 per cento anche per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza e di organizzazione;
   nonostante tutti gli sforzi e i risultati raggiunti, la regione resta commissariata e il perdurare del blocco del turn over, che ha già determinato la chiusura dell'ospedale di Agropoli, trasformato in PSAUT (presidio sanitario assistenza e urgenza territoriale), ossia struttura di primo intervento, rischia di portare alla chiusura di altre strutture della provincia di Salerno;
   è di pochi mesi fa la notizia, riportata dai maggiori quotidiani della Campania, Il Mattino e il Corriere del Mezzogiorno, della soppressione o possibile tale anche dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, confermando quanto disposto dal decreto del commissario ad acta n. 49 del 27 settembre 2010 in materia di riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale;
   secondo le ultime dichiarazioni del responsabile della sanità per la Conferenza dei sindaci della Costa d'Amalfi, nonché sindaco di Minori, Andrea Reale: «L'atto dell'Azienda ospedaliera universitaria Ruggi D'Aragona, di cui fa parte l'ospedale costiero è attualmente al vaglio dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari presieduta da Giuseppe Zuccatelli. E vi è arrivato al termine di una complessa istruttoria che ha visto impegnati il governatore Stefano Caldoro, i sub commissari per la sanità, l'Arsan capeggiata da Angelo Montemarano e Ferdinando Romano, direttore del Dipartimento regionale per la sanità»;
   tale ospedale è già stato oggetto di specifici provvedimenti fra cui quello del 2011, che ha permesso l'aggregazione del presidio all'azienda ospedaliera universitaria e poi, recentemente, l'accordo regionale per il riconoscimento di stato giuridico di ospedale con la qualifica di pronto soccorso e presa in carico dei pazienti, con la relativa autonomia gestionale al pari dei plessi aggregati al Ruggi;
   sempre secondo Il Mattino, però, tali tentativi, si sarebbero rivelati inutili e l'ospedale perderà la dotazione di 10 posti letto, nonostante, tra l'altro, in più occasioni il direttore generale dell'A.O.U. Vincenzo Viggiani avesse ribadito la speciale rilevanza del plesso in un territorio di primario rilievo internazionale, nonché l'impegno a stabilizzarne l'assetto a garanzia della continuità e della qualità delle prestazioni erogate;
   tale proposta stride violentemente anche con le rassicurazioni formulate in precedenza sulla permanenza di tutti i servizi erogati sino ad oggi, ma soprattutto con le legittime aspettative di decine di migliaia di cittadini e di visitatori, oltre che con la qualità complessiva di un'offerta turistica che vede così fortemente compromesse le proprie potenzialità;
   a parere dell'interrogante, un territorio dalla mobilità estremamente difficile come la costiera amalfitana non può sottostare agli ordinari canoni di valutazione in ordine alle possibilità di tempestivo intervento sulle emergenze sanitarie;
   tale scelta, se confermata, sarebbe l'ennesima incomprensibile ed immotivata ferita inferta alla sicurezza ed al benessere dei cittadini della costiera, in una zona in cui il flusso di persone, soprattutto nel periodo estivo, diventa incalcolabile e dove la mobilità difficile richiederebbe tutti i servizi di urgenza utili alla stabilizzazione del paziente;
   la previsione della soppressione dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, frutto delle scelte adottate a livello nazionale, non solo non tiene conto delle specifiche caratteristiche del territorio, ma contravviene anche alla elementare regola di buon senso secondo cui i servizi, soprattutto quelli essenziali, come l'assistenza sanitaria, vanno assicurati là dove ce n’è più bisogno;
   l'unico modo per ridare fiducia e certezza ai diritti dei cittadini dei territori interessati dal processo di riorganizzazione dei presidi ospedalieri è quella di consentire la modifica del decreto n. 49 del 2010, recuperando una condizione di equità e di giustizia che tenga conto delle diversità dei territori di riferimento, come del resto hanno fatto – con esiti positivi – i territori di S. Angelo dei Lombardi, di Torre del Greco e da alcuni giorni quello di Casoria –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per garantire il mantenimento dei presidi ospedalieri in aree logisticamente strategiche per la popolazione, come nel caso dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, attualmente al vaglio dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, salvaguardando così non solo i livelli essenziali di assistenza ma anche località economica ente strategiche per il sud Italia, sia dal punto di vista culturale che turistico. (4-08702)

  Risposta. — In merito alle iniziative tendenti a garantire il mantenimento di presidi ospedalieri ubicati in aree della provincia salernitana particolarmente disagiate sotto il profilo logistico, e riguardo all'ospedale di Castiglione di Ravello in costiera amalfitana, la prefettura-ufficio territoriale del Governo di Salerno ha segnalato quanto segue.
  In considerazione dei lunghi tempi di percorrenza necessari a raggiungere altri plessi ospedalieri viciniori, la presenza di un efficiente servizio di immediato intervento in un territorio notoriamente caratterizzato da una mobilità estremamente difficoltosa, è da sempre un'esigenza fortemente avvertita dalla popolazione e dagli stessi amministratori locali, anche con manifestazioni di protesta volte a richiamare l'attenzione sui risvolti negativi, non solo per la salute pubblica, ma per la stessa economia dell'intero sistema produttivo del territorio.
  La regione Campania, con il decreto commissariale n. 49 del 27 settembre 2010, nell'ambito del piano di rientro dal
deficit sanitario, ha ridisegnato l'assetto della rete ospedaliera territoriale, utilizzando una metodologia di analisi delle prestazioni erogate in regime di ricovero, ridefinendo il fabbisogno di prestazioni ospedaliere appropriate e, quindi, l'indice programmatico di posti letto per 1.000 abitanti, sulla base del quale procedere al riassetto della rete regionale attraverso una complessiva riorganizzazione di tutti i presidi e le aziende ospedaliere del territorio.
  Per ciascuna delle strutture di ricovero pubbliche sono stati definiti, per singola disciplina, i posti letto, distinti in posti letto ordinari e a ciclo diurno; sono stati individuati i presidi ospedalieri destinati alla dismissione stante la loro non rispondenza ai principi e ai criteri fissati dal citato provvedimento n. 49 del 2010, tra cui, principalmente, l'inadeguatezza della soglia minima di operatività delle strutture pubbliche, definita pari a 100 posti letto per le strutture per acuti e pari a 80 posti letto per le strutture di riabilitazione e lungodegenza (criterio della «congruità dimensionale»), necessaria per garantire qualità e sicurezza.
  Nell'ambito di tale atto di programmazione regionale, in considerazione dei criteri espressi, è stata disposta anche la riorganizzazione, tra gli altri, del presidio ospedaliero di Castiglione di Ravello, riconvertito in struttura polifunzionale per la salute (SPS) con disattivazione delle funzioni di ricovero: una struttura nella quale vengono offerti servizi finalizzati a garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, con l'allocazione di ambulatori di prime cure per piccole urgenze ed interventi che non necessitano di ricovero in ospedale, nonché attività di presidio sanitario di assistenza e urgenza territoriale – PSAUT (emergenza territoriale – 118).
  Con il decreto n. 17 del 16 marzo 2011, il presidente della Giunta regionale ha decretato l'annessione, a partire dal 1o aprile 2011, del presidio di Castiglione di Ravello all'azienda ospedaliera «Ruggi D'Aragona» di Salerno, confermando la disattivazione di tutte le funzioni di ricovero con la conseguente soppressione dei posti letto e la riconversione in struttura polifunzionale per la salute.
  Attualmente, per effetto del decreto n. 7 del 16 gennaio 2013 del commissario
ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario, insieme ai presidi ospedalieri «A. Fucito» di Mercato San Severino, «Giovanni da Procida» di Salerno, «Santa Maria dell'Olmo» di Cava de’ Tirreni, il Presidio di Castiglione di Ravello è parte integrante dell'azienda ospedaliera universitaria «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona – Scuola Medica Salernitana».
  Con nota del 29 aprile 2015, il direttore medico del presidio ha formulato una dettagliata descrizione dell'attuale assetto organizzativo ed operativo del presidio ospedaliero «Costa d'Amalfi», basato sulla presenza di un punto di primo soccorso h. 24 dotato di personale di emergenza sia medica che chirurgica, con il supporto continuativo dei servizi di radiologia, di cardiologia e di anestesia.
  Più in particolare:
   nel plesso è attivo un laboratorio di analisi, con prestazioni sia di pronto soccorso sia di ordinaria utenza territoriale;
   il servizio di radiologia è dotato di TAC, rx, ecografo ed ortopantomografo, per le necessità del pronto soccorso e per l'utenza territoriale tramite impegnativa;
   la cardiologia e l'anestesiologia sono attive 24 ore su 24 per l'assistenza in emergenza dei codici rossi, e per l'accompagnamento in ambulanza dei pazienti «critici» per il ricovero presso i presidi ospedalieri di Salerno e/o di Cava de’ Tirreni;
   il personale infermieristico è presente in numero confacente ai livelli assistenziali;
   la struttura è dotata di due ambulanze, una di tipo A ed una di tipo B, per il trasferimento dei pazienti che necessitano di ricovero;
   il presidio non è dotato di posti letto da adibire alla diagnosi e cura;
   dal mese di maggio 2015 è previsto il ripristino delle attività ambulatoriali di chirurgia, per due giorni a settimana, con prestazioni erogate dagli stessi chirurghi in servizio presso il pronto soccorso.

  Da ultimo, la prefettura ha segnalato che, al fine di migliorare le attività di emergenza nel territorio in questione, la direzione medica del presidio «Costa d'Amalfi» ha chiesto l'istituzione di un tavolo tecnico congiunto con la ASL Salerno, per riorganizzare il servizio offerto.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LUIGI DI MAIO e RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato di polizia Consap denuncia un fatto surreale accaduto l'8 novembre 2014 presso l'aeroporto di Comiso (Ragusa);
   intorno alle ore 4 dell'8 novembre sono partiti da Agrigento tre pullman alla volta dell'aeroporto di Comiso con a bordo circa 180 migranti provenienti prevalentemente da paesi dell'Africa centrale (Ghana, Burkina Faso, Nigeria e Gambia);
   giunti a Comiso attorno alle 9 di mattina, sarebbero dovuti partire alla volta di Bologna con un aereo della compagnia Niki Fly. Ma deve essersi verificato qualche disguido, dal momento che il comandante dell'aereo — dopo avere preso visione dei certificati medici che accompagnavano i migranti e necessari per essere certi che tra questi non vi fosse nessuno con malattie infettive — ha deciso di vietare il loro accesso all'aereo;
   non è chiaro per quale ragione, infatti, le certificazioni rilasciate dall'ASP di Agrigento e dal CPA di Pozzallo (Ragusa) sono state ritenute non idonee. L'aereo austriaco sarebbe quindi ripartito vuoto da Comiso;
   una giornalista della testata on line linksicilia.it avrebbe chiesto spiegazioni all'ufficio stampa della compagnia, il quale si sarebbe limitato a specificare che il diniego sarebbe stato dovuto a «ragioni operative» rifiutandosi di fornire ulteriori spiegazioni;
   non è chiaro nemmeno se il volo in questione sia stato comunque pagato;
   dopo diverse ore di estenuante attesa, alle 20,30 è stato possibile organizzare un altro volo, di un'altra compagnia che ha permesso a migranti e poliziotti di potere raggiungere finalmente Bologna, verso le 22 della stessa sera;
   anche secondo quanto testimoniato dai vertici nazionali del Consap, l'approssimazione con cui viene gestito tutto il sistema dell'accoglienza e degli accompagnamenti in Italia è ormai divenuta assolutamente inaccettabile: l'inimmaginabile ed improponibile situazione che vede, da anni, i reparti mobili della polizia di Stato sostituire troppo spesso lo Stato nelle sue carenze organizzative nella ricezione di immigrati provenienti dai più disparati angoli dell'Africa ha fatto sì che il personale si ritrovi esposto pericolosamente a situazioni paradossali quali quella di Comiso;
   in particolare, in questo caso, i poliziotti sono stati impegnati in un turno continuativo di 20 ore, in condizioni di stress psicofisico notevole, anche perché con il trascorrere delle ore la tensione tra i migranti — stanchi di attendere, nonché fisiologicamente affamati ed assetati — è cominciata a salire;
   peraltro, stante la imprevedibilità di quanto accaduto, non era stata previsto alcun servizio di accoglienza a Comiso e sono stati i poliziotti presenti a provvedere a dissetare i migranti dopo ore di attesa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto che appare all'interrogante molto grave;
   quali siano i provvedimenti allo studio per migliorare la sicurezza delle procedure di accoglienza, con particolare riguardo agli aspetti sanitari, ed evitare che vicende come quella descritta in premessa possano verificarsi nuovamente;
   quale sia il costo dei trasferimenti aerei dei migranti dai centri di accoglienza siciliani al resto d'Italia;
   se, nel caso di specie, il volo partito vuoto sia stato comunque pagato.
(4-06805)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante fa riferimento alle operazioni di trasferimento aereo di 186 migranti che sarebbero dovute avvenire l'8 novembre 2014, dal comune di Comiso a Bologna.
  Detto trasferimento doveva essere effettuato per il tramite di un vettore della compagnia di navigazione aerea Niki (Air B Group).
  Al momento dell'imbarco, il comandante dell'aeromobile si è rifiutato di effettuare il trasporto dei migranti, di prevalente nazionalità centroafricana e mediorientale, sostenendo che i certificati medici – peraltro emessi secondo una prassi collaudata e attestanti l'assenza di patologie contagiose – non fossero idonei a consentire il trasferimento aereo, secondo le regole dettate dalla propria compagnia.
  Considerata l'impossibilità di risolvere immediatamente l'inattesa situazione, il volo è stato annullato, senza alcun onere per l'amministrazione.
  La sera stessa è stato organizzato un altro volo e sono stati trasferiti 168 dei 186 migranti, i rimanenti 18 sono rientrati nella struttura di accoglienza. Il costo del volo è stato di 58 mila euro.
  A proposito dei fatti accaduti occorre precisare che i certificati medici relativi ai migranti erano perfettamente validi dal punto di vista della profilassi sanitaria. Certificati identici vengono regolarmente accettati da tutte le compagnie aeree.
  Presumibilmente il diniego opposto dal comandante di effettuare il volo è dipeso da una mancanza di preventiva informazione da parte del
broker circa la nazionalità dei migranti da trasferire. Lo stesso comandante, infatti, ha sottolineato che, secondo una prassi contrattualistica seguita dalla propria compagnia aerea, se avesse potuto disporre tempestivamente di tali informazioni, si sarebbe rifiutato fin dall'inizio di effettuare il volo.
  Inoltre, sia al personale di polizia operante che a tutti i cittadini stranieri presenti, è stato fornito puntualmente il pasto.
  Il personale di polizia impiegato è stato regolarmente avvicendato, tranne due operatori che hanno fatto esplicita richiesta di proseguire il servizio.
  Peraltro, la questura di Agrigento ha rappresentato di aver esperito numerosi accompagnamenti presso aeroporti siciliani con modalità analoghe a quelle attuate nel caso in esame, senza che si verificassero simili inconvenienti.
  Per quanto riguarda, più in generale, le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori, si assicura che vengono effettuati tutti i tradizionali presidi di
screening sanitario sui migranti, sia a terra subito dopo gli sbarchi, sia prima del loro smistamento presso i vari centri governativi.
  A tale proposito, il Ministero della salute ha emanato apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, sulla gestione delle misure di prevenzione per la tubercolosi e sul rischio biologico da virus ebola.
  Tale dicastero ha poi fornito precise indicazioni agli uffici di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo, nonché agli assessorati regionali alla sanità, che intervengono nelle fasi successive di permanenza degli stessi naufraghi nel territorio nazionale, per l'applicazione delle misure previste dal regolamento sanitario internazionale del 2005 e delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Le procedure di controllo sanitario effettuate sui migranti prevedono che questi siano sottoposti a visita medica già prima dello sbarco, da parte dei medici della Marina militare e del Ministero della salute, onde mettere in atto prioritariamente tutte le misure di profilassi che si richiedono in caso di malattia infettiva e contagiosa, prime tra tutte l'isolamento.
  Per garantire un tempestivo ed efficace intervento, in partenariato con la fondazione corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta – CISOM, sono stati realizzati i progetti «SAR Operations I, II e III» (attivi dal 1o dicembre 2013 al 30 giugno 2015), co-finanziati e approvati dalla Commissione europea.
  I progetti prevedono la presenza di personale medico e paramedico di CISOM a bordo delle imbarcazioni della Guardia costiera e della Guardia di finanza, in modo da garantire tempestivamente gli interventi in favore dei migranti secondo modalità operative concordate tra la Direzione nazionale del CISOM e i reparti operazioni dei rispettivi corpi.
  Inoltre, a tutela della salute e della sicurezza a bordo, è previsto che siano adottate anche misure di ordine collettivo e, pertanto, indirizzate non solo al personale militare, quali la disinfezione delle aree di accoglienza e la gestione delle misure di isolamento.
  Peraltro, il 21 novembre 2014 è stato stipulato un protocollo d'intesa tra i Ministri dell'interno, della salute e della difesa, che prevede il rafforzamento delle misure e degli interventi di tutela della salute, anche contro il rischio di importazione di malattie infettive e diffusive, attraverso accertamenti sanitari da svolgere direttamente sulle unità navali e nei luoghi di sbarco o in prossimità degli stessi.
  Gli ulteriori approfondimenti diagnostici sui migranti, possibili durante la permanenza nei centri, consentono poi di identificare i casi eventualmente sfuggiti al primo filtro sanitario.
  In caso di documentato contatto con malati in fase contagiosa, le autorità sanitarie preposte provvedono a segnalare tempestivamente il caso a tutti i soggetti interessati (soccorritori volontari, personale militare e delle forze di polizia, delle ASL, della Croce Rossa, dei centri di accoglienza) al fine di consentire l'adozione di una specifica profilassi post-esposizione.
  Si informa, inoltre, che l'11 marzo scorso il Ministero dell'interno ha sottoscritto un accordo di collaborazione con l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (INMP), con il quale è stato disciplinato lo svolgimento di prestazioni sanitarie specialistiche nel Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa, ad integrazione di quelle già fornite dall'ente gestore sulla base del capitolato.
  In particolare il sostegno sanitario integrativo fornito dall'INMP prevede la messa a disposizione di due medici specialistici, uno psicologo clinico, un antropologo e un mediatore transculturale esperto in ambito sanitario, che forniranno la propria collaborazione all'ente gestore, d'intesa con le locali strutture sanitarie.
  Inoltre, il 13 aprile 2015 è stato sottoscritto un protocollo di collaborazione tra il Ministero dell'interno e l'organizzazione Medici senza Frontiere – centro operazionale Bruxelles – missione Italia, avente ad oggetto un servizio di primo soccorso psicologico per i sopravvissuti ai naufragi nei principali porti di sbarco in Sicilia e, in caso di necessità, nei porti di Lampedusa, della Calabria e Puglia dal 13 maggio al 31 dicembre 2015.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2015 la seconda sezione del tribunale di Brescia ha condannato — nel processo relativo all'allevamento di cani beagle destinati alla sperimentazione scientifica «Green Hill» di Montichiari (Brescia), chiuso nel 2012 — fra gli altri, Renzo Graziosi alla pena di un anno e sei mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati di maltrattamento e uccisione di animali (articoli 544-bis e 544-ter del Codice penale) nonché la pena accessoria della sospensione dall'attività di allevamento per anni due;
   secondo l'accusa sarebbero stati 6.023 i cani beagle morti all'interno di Green Hill dal 2008 al 2012;
   l'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221 sulla disciplina dell'esercizio delle Professioni sanitarie, prevede che per «i sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale (...) il procedimento disciplinare è promosso d'ufficio o su richiesta del Ministero della Salute» che ha sostituito in questa funzione la figura del Prefetto precedentemente citata dalla norma, vista la legge 13 marzo 1958 n. 296;
   Renzo Graziosi è un medico veterinario iscritto all'ordine provinciale dei Medici Veterinari della provincia di Pescara dal 15 aprile 2005 –:
   se non intenda, a decoro e tutela della professione Medico Veterinaria, promuovere l'avvio del procedimento disciplinare al Consiglio dell'Ordine provinciale di Pescara, così come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica succitato.
(4-07942)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, si segnala che il competente consiglio direttivo dell'ordine dei medici veterinari della provincia di Pescara, nella seduta del 13 febbraio 2015, alla luce del dispositivo di sentenza trasmesso dal procuratore della Repubblica di Brescia in data 26 gennaio 2015, con il quale il tribunale di Brescia ha condannato per i delitti di cui agli articoli 544-bis e 544-ter del codice penale il dottor Renzo Graziosi, iscritto all'albo professionale, al n. 199, dal 15 aprile 2005, ha deliberato l'apertura di un procedimento disciplinare a carico del proprio iscritto, contestando gli addebiti di uccisione e maltrattamento di animali.
  Peraltro, nella seduta del 20 marzo 2015, il consiglio direttivo dell'ordine provinciale ha deliberato di sospendere il giudizio di tale procedimento disciplinare, in attesa della conclusione dell’
iter penale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LOCATELLI, DI LELLO, DI GIOIA, FAVA e PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2014, con sentenza n. 162 della Corte costituzionale, è stato cancellato il divieto di applicazione di tecniche eterologhe con donazione di gameti di cui all'articolo 4 comma 3 della legge n. 40 del 2004;
   la legge n. 40 del 2004 all'articolo 11, prevede l'istituzione presso l'Istituto superiore di sanità, con decreto della Ministra della salute, del registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime (comma 1). L'iscrizione al registro delle strutture che erogano tecniche di procreazione medicalmente assistita è obbligatoria (comma 2). L'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, raccoglie e diffonde le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti (comma 3). L'Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguardanti la procreazione medicalmente assistita (comma 4). Le strutture di procreazione medicalmente assistita di cui all'articolo 11 sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all'Istituto superiore di sanità i dati necessari per le finalità indicate dall'articolo 15 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti (comma 5);
   il summenzionato registro è stato istituito con decreto ministeriale 7 ottobre 2005, recante «Istituzione presso l'Istituto Superiore di Sanità – Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) – del registro nazionale delle strutture che applicano le tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime»;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), all'articolo 1, comma 298, prevede testualmente: «Al fine di garantire, in relazione alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la tracciabilità del percorso delle cellule riproduttive dal donatore al nato e viceversa, nonché il conteggio dei nati generati dalle cellule riproduttive di un medesimo donatore, è istituito, presso l'Istituto superiore di sanità, Centro nazionale trapianti e nell'ambito del Sistema Informativo Trapianti (SIT) di cui alla legge 10 aprile 1999, n. 91, il Registro nazionale dei donatori di cellule riproduttive a scopi di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ove sono registrati tutti i soggetti ammessi alla donazione, mediante l'attribuzione ad ogni donatore di un codice. A tal fine, le strutture sanitarie autorizzate al prelievo e al trattamento delle cellule riproduttive comunicano al Registro i dati anagrafici dei donatori, con modalità informatiche specificamente predefinite, idonee ad assicurare l'anonimato dei donatori medesimi. Fino alla completa operatività del Registro, i predetti dati sono comunicati al Centro nazionale trapianti in modalità cartacea, salvaguardando comunque l'anonimato dei donatori. Agli oneri derivanti dal presente comma, quantificati in euro 700.810 per l'anno 2015 e in euro 150.060 a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2004, n. 138»;
   il decreto legislativo del 6 novembre 2007, n. 191:
    a) all'articolo 2 prevede l'ambito di applicazione dello stesso, chiarendo che alle cellule riproduttive e alle staminali embrionali si applicano le disposizioni vigenti in materia e che le disposizioni del decreto si applicano solo per la conservazione, escludendo dalla competenza gli organi e le parti di organi, qualora la loro funzione sia quella di essere utilizzate per lo stesso scopo dell'organo intero nel corpo umano;
    b) all'articolo 8, «Tracciabilità», prevede che i dati dei donatori siano conservati presso gli istituti dei tessuti per circa 30 anni e che sia assegnato un codice unico a ciascuna donazione e a ciascuno dei prodotti da essa derivati, prevedendo la tracciabilità da donatore a ricevente e viceversa;
    c) agli articoli 10 e 11 sono individuati per competenza i registri e i soggetti che sono tenuti a presentare relazioni e ricevere le comunicazioni degli eventi avversi Centro nazionale trapianti (CNT), Centro nazionale sangue (CNS), e Istituto superiore sanità nello specifico registro nazionale PMA per competenza (ISS);
   alla luce di tutto ciò risultano confermate le competenze esclusive del Registro nazionale sulla procreazione medicalmente assistita previste dalla legge n. 40, mentre al Centro nazionale trapianti sono attribuite competenze congiunte per la tracciabilità in termini di codice identificativo;
   il decreto 10 ottobre 2012 recante «Modalità per l'esportazione o l'importazione di tessuti, cellule e cellule riproduttive umani destinati ad applicazioni sull'uomo» chiarisce le modalità a cui le strutture sanitarie, autorizzate in virtù della legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007, possono importare o esportare tali cellule;
   la sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014 al punto 11.1 specifica che: «È, inoltre, parimenti chiaro che l'articolo 7 della legge n. 40 del 2004, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate dal Ministro della salute, «contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», avendo ad oggetto le direttive che devono essere emanate per l'esecuzione della disciplina e concernendo le tecniche di procreazione medicalmente assistita, di cui quella di tipo eterologo costituisce una categoria, è, all'evidenza, riferibile anche a questa, come lo sono altresì gli articoli 10 ed 11, in tema di individuazione delle strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi interventi». I giudici della Corte Costituzionale pertanto chiariscono che le tecniche eterologhe sono una parte delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e che le autorizzazioni ai centri di procreazione medicalmente assistita previste dalla legge n. 40 sono inclusive di tutte le tecniche, pertanto non vi è vuoto normativo;
   il documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome 14/109/CR02/C7SAN, il cui valore è solo di indirizzo e ha valore non di legge ma di atto normativo regionale se trasformato in delibera regionale, afferma, a conferma delle norme già citate, che la normativa europea identifica i centri di procreazione medicalmente assistita come istituti dei tessuti e non individua ulteriori requisiti per i centri che pratichino procreazione medicalmente assistita eterologa rispetto ai requisiti necessari alla pratica omologa, perciò solo i centri di procreazione medicalmente assistita, conformi alle normative regionali in materia di autorizzazione/accreditamento, risultano parimenti idonei ad effettuare procedure di procreazione medicalmente assistita anche eterologa, compresa la fase di selezione dei donatori/donatrici, il recupero e la crioconservazione dei gameti. I trattamenti clinici di fecondazione eterologa ed i corrispondenti risultati dovranno essere comunicati annualmente in forma aggregata (in attesa di appositi approfondimenti da parte del Garante della privacy) al registro nazionale PMA, analogamente a quanto obbligatorio per i trattamenti omologhi –:
   per quale motivo, anziché istituire il registro nazionale dei donatori di gameti presso il Registro nazionale PMA presso l'Istituto superiore di sanità, che ha competenza esclusiva in virtù della legge n. 40 del 2004, tale registro sia stato istituito presso il Centro nazionale trapianti, in contrasto con quanto stabilito dalla legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007;
   perché siano stati destinati al Centro nazionale trapianti per tale registro euro 700.810 per l'anno 2015 ed euro 150.060 a decorrere dall'anno 2016, quando già il registro PMA, in virtù della legge n. 40 del 2004, raccoglie dati sulla procreazione medicalmente assistita e avrebbe potuto raccogliere tali informazioni senza aggiunta di ulteriori spese;
   mentre in tutta Europa, e in Italia in virtù della legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007, è previsto che i dati per le donazioni omologhe o eterologhe siano conservati presso le strutture di procreazione medicalmente assistita per circa 30 anni e che per garantire la tracciabilità siano comunicati solo i codici identificativi nelle forme previste al Centro nazionale trapianti presso l'ISS, perché il Centro nazionale trapianti abbia invece inviato richiesta ai centri di procreazione medicalmente assistita in cui si chiedono, via fax, nome, cognome e codice fiscale dei donatori di gameti, in contrasto con la disciplina della privacy e con quanto disposto dalle norme vigenti, compresa quella che lo istituisce (190 del 2014), in cui più volte viene fatto richiamo al mantenimento e alla salvaguardia dell'anonimato del donatore;
   in assenza totale di normativa che preveda una diversa modalità di documentazione per i dati da fecondazione eterologa rispetto alla omologa, in contrapposizione con l'indicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 162 che prevede l'invio dei dati al registro nazionale PMA, per quali ragioni il Centro nazionale trapianti abbia inviato richiesta ai centri di procreazione medicalmente assistita in cui, via fax, si chiedono informazioni sui nati da fecondazione eterologa, quali la circonferenza del cranio, non previste da nessuna normativa in vigore;
   quali iniziative intenda assumere per evitare che, a danno dello Stato, siano destinate somme per un registro che di fatto può essere già operativo presso l'Istituto superiore di sanità registro PMA;
   quali iniziative intenda assumere per evitare attività non conformi alle regole sulla privacy dei donatori e delle donatrici e delle coppie che accedono alla PMA eterologa (eggsharing, sperm sharing) e dei nati da fecondazione eterologa, fatto che a giudizio degli interroganti si è determinato con le richieste del Centro nazionale trapianti a tutti i centri italiani di procreazione medicalmente assistita. (4-09195)

  Risposta. — In via preliminare, si osserva che le competenze del centro nazionale trapianti e le finalità del registro procreazione medicalmente assistita presso l'Istituto superiore di sanità, sono diverse, ma comunque da considerarsi complementari e pertinenti per il settore delle cellule riproduttive, così come da tempo stabilito dalle norme vigenti (decreto legislativo n. 191 del 2007, decreto legislativo n. 16 del 2010 così come modificato dal decreto legislativo n. 85 del 2012, legge n. 40 del 2004).
  Il quadro normativo sopra indicato, stabilisce competenze ben distinte, l'una di tipo epidemiologico e statistico, consistente nella raccolta dei dati di attività, dati clinici dei centri e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita nell'elaborazione di informazioni, suggerimenti e proposte delle Società Scientifiche e degli utenti in merito alla procreazione medicalmente assistita) (articolo 11 legge 40 – registro ISS); l'altra consistente nel supporto alle regioni e al Ministero per l'attuazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 191 del 2007 e al decreto legislativo n. 16 del 2010 relativamente a qualità, sicurezza e tracciabilità delle cellule riproduttive e dei tessuti.
  Nel merito della questione posta, al registro nazionale PMA di cui alla legge n. 40 del 2004 non è attribuita alcuna competenza riguardo le norme di qualità e sicurezza per donazione, approvvigionamento, controllo, lavorazione, conservazione, stoccaggio e distribuzione di tessuti e cellule umani (decreto legislativo n. 191 del 2007), né sulle prescrizioni tecniche per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani, né, ancora, per le prescrizioni in tema di rintracciabilità, notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e di prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani (decreto legislativo n. 16 del 2010, e successive modificazioni del decreto legislativo n. 85 del 2012). La normativa citata si applica a tutte le cellule e tessuti di origine umana, comprese le cellule riproduttive, e individua il Ministero della salute e le regioni e le province autonome quali autorità competenti per l'attuazione dei requisiti dei decreti citati. Il Ministero e le regioni si avvalgono del CNT per la parte concernente tessuti e cellule di origine umana in generale e quindi anche delle cellule riproduttive. In particolare, la normativa citata è finalizzata a garantire la tracciabilità donatore ricevente, per ogni tipo di cellula e tessuto, al fine di garantire i pazienti, in particolare in caso di eventi o reazioni avverse gravi.
  È, altresì, chiaro che la normativa vigente, nel momento in cui istituisce un sistema di individuazione dei donatori, che assegna un codice unico a ciascuna donazione e «a ciascuno dei prodotti da essa derivati» e che «a ciascun materiale donato è attribuito un codice d'identificazione unico europeo», stabilisce che detta codifica non può che essere gestita a livello centrale nazionale, altrimenti non se ne potrebbe garantire l'univocità.
  A questo proposito va ricordato che il CNT gestisce da anni il SIT, il sistema informativo per garantire la tracciabilità e la trasparenza dei processi di donazione, prelievo e trapianto di organi e tessuti, istituito nell'ambito del sistema informativo sanitario con la legge 1o aprile 1999, n. 91.
  Il SIT, nel rispetto del decreto legislativo n. 196 del 2006, raccoglie i dati di tutte le donazioni di organi e tessuti, delle dichiarazioni di volontà da parte dei cittadini a donare gli organi, dei trapianti eseguiti e dei successivi
follow-up clinici, raccoglie i dati dei pazienti iscritti in lista di attesa per trapianto di organo consentendo un monitoraggio a livello nazionale, assegna un codice unico della donazione di organi e tessuti che viene utilizzato sul territorio nazionale per garantire la tracciabilità dell'intero processo.
  Quanto al secondo quesito, si osserva quanto segue.
  Il registro PMA, avente finalità epidemiologiche legate all'accesso alle tecniche di pma, ha il compito di raccogliere ed elaborare i dati di attività dei cicli di pma e quindi di gestire informazioni relative ai pazienti che accedono alle tecniche.
  Orbene, nel rispetto delle disposizioni vigenti, l'ISS, e quindi il registro ivi istituito, non può assolvere a funzioni riconducibili ai donatori alla qualità e sicurezza delle cellule clonate.
  Dette funzioni possono, invece, essere assolte ai sensi dei citati decreti legislativi n. 191 del 2007 e n. 16 del 2010, del CNT.
  Si osserva, inoltre, che il sistema del registro PMA presso l'ISS, non potendo tracciare i cicli singoli né registrare i dati dei singoli pazienti, non è stato costruito con sistemi di sicurezza che permettono la gestione dei dati personali e sensibili e, peraltro, non è all'interno del SIT. Pertanto la scelta di implementare il registro unico nazionale per i donatori di gameti ai fini di fecondazione eterologa all'interno del SIT ha il vantaggio di riutilizzare tutta l'infrastruttura tecnica di un sistema informativo con altissimi livelli di sicurezza sia in termini di accesso al sistema (utilizzo di
smart card, firma elettronica e certificati digitali), sia in termini di storage dei dati (cifratura del database, separazione logica delle tabelle) sia in termini di sicurezza dei dati registrati (backup, disaster-recovery), necessari per il trattamento di dati così altamente sensibili.
  Da ultimo, ma non in ordine di importanza, l'istituzione del registro all'interno dell'ISS ha anche l'indubbio vantaggio di una sensibile riduzioni dei costi rispetto allo sviluppo, partendo da una fase iniziale, di un nuovo sistema informativo con gli stessi necessari requisiti di sicurezza.
  Quanto ai costi, il registro opera avvalendosi di un'infrastruttura tecnologica già esistente, utilizzando funzioni già disponibili, e ciò comporta notevoli risparmi rispetto al costo che se fosse stato realizzato altrove.
  Tali risparmi sono quantificati in euro 116.087 per lo sviluppo del «software», in quanto si riutilizzano, come detto, funzioni già presenti nel SIT, in euro 1.361.276,00 per la realizzazione dell'infrastruttura tecnologica atteso che, come rappresentato, si utilizzerà quella già disponibile del SIT, nonché in euro 214.415,00, per i costi di gestione annuali in considerazione delle economie di scala. Pertanto, con l'integrazione del sistema informativo PMA all'interno del SIT è possibile conseguire un risparmio complessivo, in termini di infrastruttura, di sviluppo del ’software’ informatico e di costi di gestione, pari a euro 1.691.778, per il primo anno, e a euro 214.415,00 per gli anni successivi.
  In ordine al terzo quesito, si osserva che l'Italia è l'unico paese al mondo in cui, fino alla sentenza n. 162 del 2014, era consentito eseguire la fecondazione omologa e non quella eterologa. Negli altri paesi era la legge nazionale a regolare l'applicazione dell'eterologa, compreso il conteggio dei nati, e il recepimento delle normative europee è stato effettuato in coerenza con le leggi nazionali. Come è noto, la legge 40 era stata pensata per vietare la fecondazione eterologa, tanto che la parola «donazione» non compare mai, ed è quindi impossibile regolare tale fecondazione mediante una norma finalizzata al suo divieto. Tale circostanza ha determinato che il venir meno del divieto di fecondazione eterologa ha comportato un vuoto normativo riguardo alla tracciabilità, nel senso che quando è intervenuta la sentenza n. 162 della Corte costituzionale, l'ordinamento vigente consentiva esclusivamente il percorso donatore-ricevente, che però nel caso della PMA è riconducibile al percorso donatore dei gameti-madre, lasciando fuori il nato. Ecco perché è stata necessaria una disposizione
ad hoc che consentisse la tracciabilità esplicita donatore-nati e viceversa, per ovvi motivi di sicurezza sanitaria. È stato, inoltre, ritenuto necessario istituire una struttura centrale di raccolta dei codici identificativi dei donatori, per evitare che centri diversi utilizzassero lo stesso donatore, sia per quanto riguarda le donazioni effettuate in Italia che per le importazioni di gameti dall'estero.
  Inoltre, nel rispetto della legge che istituisce il registro, quindi, è necessario che, nell'attesa della sua messa a regime, la legge istitutiva prevede che, nella fase iniziale della sua attuazione temporanea, in formato cartaceo, si ottengano comunque gli identificativi anagrafici di ciascun donatore, per poter attribuire un codice unico nazionale a ciascun donatore e a ciascuna sua donazione e quindi assicurarne la tracciabilità del percorso.
  Questo, come sopra riportato, per ottemperare alle prescrizioni previste anche dai decreti legislativi n. 191 del 2007 e n. 16 del 2010. Le modalità di trasmissione dei dati sono le seguenti (doppio foglio), come risulta dalla recente comunicazione del CNT alle regioni.
  Per quanto concerne il quarto quesito, si osserva quanto segue.
  La richiesta di dati alle regioni e ai centri non riguarda la relazione al Parlamento, finalità propria del Registro PMA, ma la tracciabilità donatore-nato prevista dalla legge istitutiva il registro donatori, di competenza del CNT. I dati della circonferenza cranica citata (che comunque è una delle voci richieste nella scheda CEDAP riguardante il nato, nella sezione C2 schema esemplificativo di base della scheda) sono stati richiesti solo in una prima comunicazione provvisoria alle Regioni e attualmente non fanno parte della raccolta dati prevista. I dati proposti nelle schede cartacee fanno riferimento alla scheda CEDAP di dimissione ospedaliera alla nascita, nell'ottica di semplificare la comunicazione del dato.
  Da ultimo, si forniscono le seguenti rassicurazioni.
  L'attuale modalità di trasmissione dati, in via provvisoria perché cartacea, è pienamente rispettosa della
privacy di tutti i soggetti coinvolti, dal momento che separa l'invio delle informazioni anagrafiche del soggetto (senza alcuna correlazione con la donazione) da quelle biologiche della donazione dei gameti, prevedendo un invio fisicamente separato a due indirizzi mail/fax diversi. Se anche ci fosse un accesso esterno ai dati trasmessi, non ci sarebbe in alcuna delle due parti nessuna informazione che consenta di apprendere che ci si riferisce a un donatore e a una donazione, né, viceversa, dall'altra parte sarebbe possibile capire chi ha eseguito la donazione.
  Colgo l'occasione per comunicare che sull'iniziativa in parola è stato coinvolto, per competenza, anche il Garante per la protezione dei dati personali.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, CECCONI, DI VITA, DALL'OSSO e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro della salute, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   troppo frequentemente vengono approvati leggi e decreti-legge poi dichiarati incostituzionali. In materia sanitaria esemplare è il decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, i cui articoli 17, commi 1, lettera d) e 6, sono stati impugnati davanti la Corte Costituzionale dalla regione Veneto e dalla regione autonoma del Friuli Venezia-Giulia;
   la Corte Costituzionale con la sentenza n. 187 del 2012 dichiarava nel dispositivo l'illegittimità costituzionale dell'articolo 17 sopra citato, nella parte in cui prevede che le misure di compartecipazione siano introdotte «con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400, su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
   anche l'articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, norma che negava la rivalutazione dell'indennità integrativa speciale degli indennizzi corrisposti ex lege n. 210 del 1992 agli emodanneggiati, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2011;
   la decisione della Corte è stata successivamente ripresa dalla stessa Corte, europea dei diritti dell'uomo che, con sentenza del 3 settembre 2013, divenuta definita il 3 dicembre 2013 non avendo lo Stato italiano proposto impugnazione nei confronti della stessa, ha statuito la rivalutazione integrale dell'indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e ha condannato l'Italia per aver leso i princìpi della preminenza del diritto nonché il diritto ad un processo equo, e per aver creato disparità di trattamento tra danneggiati da sangue infetto e danneggiati da talidomide;
   in questo specifico caso le norme incostituzionali hanno generato anche conseguenze sul piano triennale economico del Ministero della salute;
   in un'ottica di analisi economica del diritto, ossia di valutazione delle norme mediante l'uso di strumenti economici, sia con finalità normative con la conseguente elaborazione di soluzioni giuridiche migliori, sia con finalità predittive, cioè di previsione economica delle regole giuridiche, le leggi incostituzionali hanno un forte impatto economico sulla collettività nascente dalla distorta formazione della legge stessa –:
   quanto abbiano influito sul capitolo economico finanziario e di spesa del Ministero della salute le norme dichiarate incostituzionali e quanto lo Stato avrebbe risparmiato se si fosse posta in essere una normazione conforme ai dettami e ai princìpi costituzionali. (4-06559)

  Risposta. — In tema di rivalutazione della componente dell'indennizzo denominata indennità integrativa speciale, a seguito della sentenza n. 293 del 2011 della Corte costituzionale – che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nella parte in cui prevedeva che «il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso di inflazione» – il Ministero della salute ha provveduto all'adeguamento mensile dell'indennizzo vitalizio dei soggetti beneficiari della legge n. 210 del 1992 di competenza statale, a decorrere dal 1o gennaio 2012.
  Sempre con riferimento ai danneggiati di competenza statale, al fine di provvedere al pagamento degli arretrati maturati a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale, è stato predisposto un apposito progetto interdipartimentale. Si è pertanto provveduto al pagamento degli arretrati maturati a titolo di rivalutazione a circa 9.000 danneggiati di competenza statale, nei limiti della prescrizione decennale.
  Nelle more dell'avvio del progetto, in tema di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale è intervenuta la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 settembre 2013. Dal dispositivo di tale sentenza si evince che i destinatari della stessa sono tutti i beneficiari della legge 25 febbraio 1992, n. 210, anche nel caso che non abbiano instaurato alcun giudizio.
  Conseguentemente a tale pronuncia, restano da corrispondere gli arretrati della rivalutazione per le pratiche di competenza delle regioni, dal momento che tutte le iniziative prese dal Ministero della salute hanno avuto riguardo esclusivamente alle posizioni di competenza statale.
  Ad oggi resta al Ministero la sola competenza per le pratiche di indennizzo della regione Sicilia e per tutti i ruoli di indennizzo aperti prima del passaggio di competenze di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2000, che ha trasferito alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2001, le funzioni e le risorse in materia di indennizzo. Allo stato attuale le regioni, ad eccezione della Calabria, hanno provveduto ad adeguare l'indennizzo, nella quasi totalità dal 1o gennaio 2012.
  La conferenza delle regioni ha illustrato due ordini di problemi:
   1) l'azzeramento, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 14, comma 2, della legge n. 122 del 2010 (decreto-legge n. 78/2010) a decorrere dall'anno 2012, delle risorse a regime per l'esercizio delle funzioni in materia di salute umana;
   2) la necessità di ricevere risorse relative all'applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 7 novembre 2011.

  In tema di risorse finanziarie, la legge n. 190 del 2014, articolo 186, comma 1, ha previsto che agli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi erogati dalle regioni ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2000, a decorrere dal 1o gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014, e degli oneri derivanti dal pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale fino al 31 dicembre 2011, si provvede mediante l'attribuzione alle Regioni di un contributo (ripartito tra le regioni e le province autonome interessate), mediante un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, da adottare, sentita la conferenza Stato-regioni, in proporzione al fabbisogno derivante dal numero degli indennizzi corrisposti dalle regioni, come comunicati dalla conferenza delle regioni entro il 31 gennaio 2015, previo riscontro del Ministero della salute.
  Con tale norma si è provveduto a coprire gli oneri sostenuti dalle regioni per il periodo 1o gennaio 2012-31 dicembre 2014, e a mettere a disposizione delle stesse i finanziamenti necessari a garantire il pagamento degli arretrati per la rivalutazione dell'indennità integrativa speciale.
  La conferenza Stato-regioni, nella seduta del 7 maggio 2015, ha dato parere favorevole sullo schema del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero della salute che, in attuazione della previsione di cui al comma 1, dell'articolo 186, della legge n. 190 del 2014, ripartisce il contributo tra le Regioni interessate in percentuale al numero di indennizzati delle medesime.
  Detto contributo sarà ripartito in proporzione al fabbisogno relativo alle sue due componenti.
  Per raggiungere l'obiettivo di garantire l'esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 settembre 2013, sarà precisato nel decreto interministeriale che le regioni utilizzeranno annualmente il contributo, prioritariamente, almeno per una quota non inferiore al 50 per cento, per il pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LUPO, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, PARENTELA, SCAGLIUSI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mattino del 19 maggio 2012 fuori dal comprensorio scolastico Falcone-Morvillo, a Brindisi, a seguito di un attentato dinamitardo perse la vita Melissa Bassi, e altre 9 persone, tra studenti e passanti, restarono ferite;
   il 16 settembre 2013 la corte di assise di Brindisi, ha condannato all'ergastolo Giovanni Vantaggiato, con la seguente motivazione: «Si deve concludere che Vantaggiato a differenza di quanto dichiarato avesse intenzione di proseguire la strategia criminale di tipo terroristico iniziando con l'attentato alla scuola Falcone-Morvillo collocando altri ordigni esplosivi micidiali al fine di colpire una o più vittime indeterminate scelte a caso in maniera indiscriminata e non prevedibile, con l'obiettivo altrettanto evidente di creare allarme nella gente destabilizzando i pubblici poteri»;
   la corte di assise di Brindisi oltre alla pena dell'ergastolo in comminato con 18 mesi di isolamento diurno per Giovanni Vantaggiato, ha stabilito un risarcimento danni di 400 mila euro ciascuno per i genitori di Melissa, di 200 mila euro ciascuno per le cinque ragazze ferite in modo più grave, 200 mila euro per la regione Puglia e 100 mila per una sesta ragazza ferita;
   il 6 agosto 2012 il quotidiano, «Il Sole 24 Ore», rendeva pubblica la notizia: «I segni permanenti che alcune ragazze della scuola Morvillo hanno subito per le ustioni riportate nell'attentato sono considerati dalla compagnia assicurativa dell'istituto soltanto ripercussioni di tipo estetico e quindi non risarcibili»;
   il 29 marzo 2014 il giornalista Franco Bechis riporta, on-line, la notizia che Vantaggiato possiede un ingente patrimonio con il quale potrebbe risarcire, almeno dal punto di vista materiale, le vittime dell'attentato, in un articolo del «La Gazzetta del Mezzogiorno» datato 30 marzo 2014 vengono esplicitate le proprietà di Vantaggiato tra cui yacht, immobili, 400 mila euro in titoli azionari e conti correnti;
   all'interno della stesso servizio si rende noto, come dichiarato dall'avvocato Resta, avvocato difensore di due delle vittime colpite il 19 maggio 2012, che il risarcimento danni se pur disposto dalla corte di assise di Brindisi non può essere riscosso;
   i beni di Vantaggiato, dopo il sequestro preventivo, sono stati confiscati dallo Stato, una parte dal Ministero dell'interno, che ha fatto scattare i provvedimenti previsti dalla legge sul terrorismo, la restante parte da Equitalia dopo un'accertata evasione fiscale;
   in alcun caso, a parere degli interroganti, la normativa in materia di pignoramento per evasione fiscale dovrebbe anteporsi al diritto di risarcimento delle vittime di attentati di stampo mafioso o terroristico –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga doveroso, qualora non esista nell'assetto normativo di settore una possibilità di «deroga», apportare le dovute modifiche alla normativa vigente in materia di pignoramento fiscale, affinché a fronte di attentati, siano essi di stampo mafioso o terroristico, risulti sempre subordinato il diritto del pignoramento da parte del Fisco rispetto al risarcimento delle vittime. (4-04835)

  Risposta. — La mattina del 19 maggio 2012, a Brindisi, una violenta esplosione ha investito alcuni studenti che si trovavano nei pressi del cancello d'ingresso del plesso scolastico «Morvillo-Falcone», causando la morte di Melissa Bassi e il ferimento di altri nove ragazzi.
  Le indagini – condotte congiuntamente dal servizio centrale operativo e dalle squadre mobili di Brindisi, Bari e Lecce, oltre che dai R.O.S. dei Carabinieri di Roma e Lecce e dal comando provinciale Carabinieri di Brindisi – si sono concluse il successivo 6 giugno con l'arresto di Giovanni Vantaggiato, un imprenditore del posto.
  Il 18 giugno dell'anno seguente l'uomo è stato condannato dalla corte di assise del tribunale di Brindisi alla pena dell'ergastolo, con l'aggravante delle finalità terroristiche. Il 23 giugno del 2014, infine, la corte d'assise d'appello di Lecce ha confermato in secondo grado la pena.
  In conseguenza della condanna, è intervenuta, quale pena accessoria, la confisca dei beni di proprietà di Vantaggiato, per la cui vendita è stato nominato come curatore un commercialista con studio a Lecce.
  I giudici hanno inoltre riconosciuto il risarcimento alle parti civili, tra le quali rientrano, oltre alle vittime dell'attentato, il Ministero dell'istruzione, la scuola «Morvillo-Falcone», la regione Puglia, la provincia e il comune di Brindisi.
  È pendente anche una procedura di riscossione coattiva di Equitalia, che al momento non risulta in fase di esecuzione.
  A tal proposito, l'interrogante chiede di apportare modifiche alla normativa vigente affinché il diritto al pignoramento dei beni da parte del fisco non sia mai anteposto al risarcimento dei danni delle vittime di attentati di stampo mafioso o terroristico.
  In merito, il Ministero dell'economia e delle finanze ha fatto presente che attualmente, nell'ordinamento tributario, sono previsti diversi mezzi di tutela cautelare a garanzia del credito fiscale. In particolare, ai sensi dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, «per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo, (...); il concessionario può altresì promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore».
  Peraltro, il medesimo articolo 49 dispone, al secondo comma, che «Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili». Con riferimento all'espropriazione forzata, la stessa si articola in tre momenti, ossia il pignoramento tramite ingiunzione di astenersi dalla disposizione del bene, la vendita del bene all'asta e la riscossione del ricavato.
  Quanto alle azioni cautelari che può esperire l'agente della riscossione, quest'ultimo è legittimato a disporre il fermo amministrativo o a iscrivere ipoteca sugli immobili (articoli 86 e 77 del citato, decreto del Presidente della Repubblica) qualora – decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento o, di regola, novanta giorni dalla notifica dell'accertamento «esecutivo» – il contribuente o il coobbligato non abbiano provveduto al versamento delle somme.
  Inoltre, al sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 472 del 1997, l'ente creditore può chiedere al giudice tributario l'iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e degli obbligati in solido o l'autorizzazione a procedere a sequestro conservativo dei loro beni, ivi compresa l'azienda. L'istanza cautelare può essere presentata solo qualora siano stati emanati determinati atti impositivi a carico del contribuente e sussistano le cosiddette «esigenze cautelari»
(fumus boni iuris e periculum in mora). A differenza delle misure che può adottare l'agente della riscossione successivamente alla notifica della cartella (fermo e ipoteca), le misure di cui all'articolo 22 del decreto legislativo n. 472 del 1997 devono essere autorizzate dalla commissione tributaria e possono essere chieste solo dall'ente impositore.
  In merito a ciò, lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha osservato che gli atti di esecuzione disposti dall'agente della riscossione si fondano su presupposti (accertata evasione fiscale) e finalità (tutela del credito erariale) del tutto diversi da quelli che fanno scattare i provvedimenti previsti dalla legge sul terrorismo. Il «pignoramento fiscale», in particolare, rappresenta una fase necessaria dell'ordinaria attività di riscossione del credito erariale che – demandata all'agente della riscossione e basata sulla disciplina generale del codice di procedura civile per il rinvio operato dall'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 – discende dall'inadempimento dell'obbligazione tributaria, prescindendo dalla commissione del reato in esame.
  Nondimeno, il patrimonio del reo rappresenta, al contempo, sia l'oggetto diretto delle misure patrimoniali previste dalla legge sul terrorismo, sia il mezzo di tutela della garanzia del credito erariale per illeciti fiscali dallo stesso commessi.
  Ciò premesso, per quanto attiene al quesito posto con l'interrogazione, nel ribadire che nel caso in esame non risultano avviate procedure cautelari/esecutive da parte degli agenti della riscossione, si rappresenta che il Governo valuterà doverosamente, alla luce dei vari interessi coinvolti, eventuali proposte parlamentari volte a modificare l'assetto normativo di settore nel senso auspicato dagli interroganti.
  Per quanto riguarda specificamente questa Amministrazione, si evidenzia che essa ha titolo a concedere – per il tramite del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione – i benefici previsti dalla legge n. 302 del 1990 a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità di tipo mafioso, mentre non ha competenze in merito al risarcimento disposto nella sentenza richiamata.
  In proposito, si informa che l'ufficio incaricato ha già provveduto ad emettere in favore dei genitori di Melissa Bassi tutti i benefici previsti dalla normativa a favore delle vittime del terrorismo (speciale elargizione di cui alla legge n. 206 del 2004 e assegni vitalizi). In favore delle altre vittime, sono stati emessi i decreti di liquidazione della provvisionale del 90 per cento della predetta speciale elargizione ed è in corso la corresponsione del saldo.
  Infine, per le vittime alle quali la commissione medica militare abbia riconosciuto una invalidità pari o superiore al 25 per cento si stanno predisponendo anche i decreti di concessione degli assegni vitalizi spettanti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, in data 11 febbraio 2014, circa 200 migranti avrebbero occupato, senza alcuna autorizzazione da parte degli organi competenti, il complesso architettonico dell'ex convento di Santa Chiara sito a Bari nel cui interrato è ubicato parte dell'archivio di Stato;
   gli organi di stampa riportano immagini dell'archivio di Stato manomesso dagli occupanti con documenti danneggiati o distrutti ed indicano che gran parte degli stessi occupanti sono rifugiati politici;
   l'edificio fa parte di un complesso di edifici in corso di ristrutturazione i cui lavori sono oggetto di co-finanziamento europeo;
   in particolare, nell'anno 2012, a seguito del decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono stati resi disponibili i fondi relativi al programma operativo interregionale (POIn) «Attrattori culturali, naturali e turismo». Per effetto di tale decreto, il progetto di ristrutturazione e valorizzazione culturale del complesso dell'ex convento di Santa Chiara potrà usufruire di 8 milioni di euro di finanziamento;
   i lavori di restauro sono stati aggiudicati in data 13 marzo 2014 ed il termine contrattuale di ultimazione è fissato al 30 giugno 2015;
   secondo quanto indicato dagli organi di stampa, l'occupazione della struttura ad opera dei migranti non solo ha determinato intollerabili situazioni di illegalità, di mancanza di requisiti minimi di sicurezza e di igiene, ma pone in serio rischio il finanziamento europeo stanziato per la sua ristrutturazione a causa dell'impossibilità di ultimare i lavori in tempo utile alla data del 30 giugno 2015;
   sotto il profilo della sicurezza si evidenzia che gli immigrati vivono in una struttura pubblica pericolante, che non ha alcun requisito di abitabilità. In particolare, occupano di fatto aree di cantiere nelle quali per legge è consentita la presenza solo agli addetti ai lavori;
   sotto il profilo delle condizioni di igiene e di vivibilità, l'edificio non garantisce requisiti minimi adeguati, poiché è completamente privo di luce, di acqua, di servizi igienici e di riscaldamento;
   la sospensione illegittima dei lavori nell'edificio causata dalla avvenuta occupazione potrebbe determinare l'impossibilità di rispettare il termine contrattuale prefissato di ultimazione e quindi il prolungamento del contratto di appalto, con relativi maggiori oneri per la pubblica amministrazione committente ed il concreto rischio di dover sopperire alle risorse comunitarie non utilizzabili attingendo a fondi statali che penalizzerebbero ulteriormente le finanze dello Stato;
   secondo quanto riferito dal responsabile unico del procedimento per il «progetto di restauro di Santa Chiara e la musealizzazione del castello normanno svevo», la mancata consegna dei lavori di ristrutturazione della struttura attualmente occupata illegittimamente potrebbe esporre la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia ad una eventuale richiesta fondata di risarcimento danni da parte dell'impresa aggiudicataria dell'appalto per prolungamento del tempo contrattuale;
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, sembrerebbe che sia la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, sia il soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia avrebbero denunciato, più volte, l'insostenibile situazione alla prefettura, alla procura della Repubblica, al comune di Bari e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a seguito della predetta denuncia, la procura ha disposto una ispezione ad opera dei NAS che hanno preso atto della situazione, ipotizzato il reato di occupazione abusiva e verificato le precarie condizioni igienico sanitarie in cui versano i migranti;
   è attualmente all'esame del consiglio comunale di Bari un ordine del giorno che impegna il sindaco a porre in essere ogni opportuna iniziativa affinché, in coordinamento con le autorità di pubblica sicurezza, l'occupazione dell'edificio possa immediatamente cessare –:
   se non intendano assumere iniziative urgenti finalizzate a sgomberare il complesso architettonico dell'ex convento di Santa Chiara affinché si possa consentire la prosecuzione dei lavori di ristrutturazione dell'edificio occupato dagli immigrati e la relativa consegna dei lavori alla data del 30 giugno 2015 al fine di non perdere il co-finanziamento POIN indicato in premessa;
   se non intendano ricollocare i 200 migranti distribuendoli, secondo disponibilità in strutture idonee ed adeguate a garantire, in ogni caso, il rispetto dei diritti umani fondamentali, nonché i requisiti minimi di igiene e sicurezza per gli stessi;
   se non intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative per individuare i responsabili della situazione di illegalità venutasi a determinare. (4-05969)

  Risposta. — Il complesso architettonico dell'ex convento di Santa Chiara, a Bari – appartenente al patrimonio immobiliare del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – ospita nei sotterranei parte dell'archivio di Stato e rientra in un programma di lavori di ristrutturazione e valorizzazione culturale finanziati, in parte, con fondi comunitari.
  Come riferito nell'interrogazione, l'edificio è stato occupato l'11 febbraio 2014, con il sostegno di alcuni attivisti della sinistra antagonista, da un gruppo di circa sessanta cittadini stranieri. Questi ultimi erano inizialmente ospitati presso il locale centro di accoglienza per richiedenti asilo ma, in seguito alla regolarizzazione della loro posizione giuridica in Italia, sono rimasti privi di un luogo presso cui dimorare.
  Nell'immediatezza dell'occupazione, la locale questura ha inoltrato comunicazione di notizia di reato alla procura della Repubblica di Bari, segnalando anche i militanti antagonisti in quanto responsabili della violazione degli articoli 633 e 639
bis del codice penale (invasione di terreni o edifici).
  Successivamente, nell'ambito del procedimento penale instaurato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Bari, la locale Digos è stata delegata a effettuare verifiche sul luogo occupato e i Nas dei carabinieri a controllare le condizioni igienico-sanitarie della struttura.
  Il personale della Digos ha rilevato che all'interno dell'ex convento soggiornavano circa 150/200 persone, tutti cittadini extracomunitari, a eccezione di un nucleo familiare composto da due coniugi di nazionalità italiana.
  La quasi totalità degli stranieri è in possesso di un titolo di soggiorno valido, rilasciato ai cittadini libici e nordafricani in genere per motivi umanitari, mentre ai somali e agli eritrei in quanto richiedenti asilo politico.
  Gli occupanti, pur non avendo procurato danni rilevanti alla struttura, hanno realizzato alcuni divisori con tavole di legno per delimitare gli spazi interni, al fine di garantirsi la
privacy.
  Al termine dell'attività espletata, i Nas hanno riferito di aver rilevato «carenze igienico sanitarie dovute alla mancanza di acqua ed energia elettrica nonché effettivo pericolo per gli occupanti trattandosi di una struttura cantierizzata con lavori edili in corso».
  La vicenda è stata seguita con attenzione anche dalla locale prefettura e dall'assessorato alle politiche di accoglienza del comune di Bari, nel tentativo di individuare una struttura idonea in cui trasferire gli occupanti.
  In particolare, il sindaco di Bari aveva proposto inizialmente di utilizzare alcune caserme cittadine dismesse, ma la situazione si è rivelata impraticabile a causa della molteplicità di interventi necessari per rendere abitabile il complesso militare individuato, che presenta strutture in amianto, infiltrazioni gravi, reti fognarie non a norma e compromissioni statiche.
  Successivamente, nella giornata del 13 novembre 2014, si è proceduto al trasferimento degli immigrati che da otto mesi occupavano l'ex convento di Santa Chiara, a causa di un rogo che l'aveva reso completamente inagibile, restituendo al contempo la struttura alla disponibilità della soprintendenza, per la prosecuzione dei lavori di restauro a suo tempo intrapresi.
  I circa duecento cittadini stranieri, in possesso di regolare permesso di soggiorno, in quanto rifugiati, sono stati temporaneamente trasferiti in una tendopoli, allestita all'interno di un capannone abbandonato, ubicato sul lungomare De Tullio a Bari. Circa una trentina di migranti richiedenti asilo sono stati invece accolti nel locale cara e alcune famiglie sono state accolte nelle strutture comunali.
  L'ex convento, completamente sgomberato, è stato restituito al Ministero per i beni culturali, per il suo recupero integrale ai fini di attività culturali pubbliche e uffici della soprintendenza BAP.
  Il trasferimento dei migranti si è svolto senza tensioni e in un clima di generale collaborazione, grazie alla forte sinergia tra le istituzioni coinvolte. All'operazione hanno contribuito anche gli stessi migranti, che avevano concordato con l'amministrazione comunale e con le forze di polizia l'organizzazione degli spazi nelle tende.
  La tendopoli nella quale sono stati temporaneamente accolti è costituita da 19 tende, tutte fornite di riscaldamento e luce elettrica, e di 12 bagni in
containers. Le tende sono state allestite all'interno di un capannone abbandonato che è stato ripulito e adeguatamente risistemato.
  La soluzione adottata tempestivamente dall'amministrazione comunale appare tuttavia temporanea. Infatti, in seguito a ulteriori verifiche, sulla scorta delle intese tra la prefettura e l'assessorato, è stata individuata un'area comunale da adibire temporaneamente a centro servizi per l'assistenza e l'ospitalità di circa duecento stranieri, da alloggiare all'interno di moduli prefabbricati e idoneamente attrezzati.
  L'area individuata, già completamente urbanizzata, è ubicata in via di Maratona, in una zona urbana non densamente abitata, nei pressi dello stadio della Vittoria, attualmente utilizzato saltuariamente per manifestazioni culturali.
  Il progetto esecutivo è definibile come un intervento di «seconda accoglienza», in quanto rivolto a cittadini stranieri che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale e intendono integrarsi in un territorio nel quale, di fatto, risiedono da molto tempo, sebbene siano tuttora privi di lavoro e idonea soluzione alloggiativa.
  Il Ministero dell'interno, interessato al riguardo, ha comunicato la disponibilità all'attivazione del progetto presentato dall'amministrazione comunale. Questa soluzione consentirà infatti di fornire un'accoglienza dignitosa ai profughi che avevano occupato l'ex convento, offrendo loro anche la possibilità di gestire in autonomia gli spazi abitativi, per il tempo necessario al proprio inserimento sociale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Valle Peligna e l'Alto Sangro in provincia dell'Aquila sono interessati da varie proposte di soppressione di posti di polizia stradale con la scomparsa della sede di Castel di Sangro e l'accorpamento di Sulmona con Pratola Peligna, con una grave penalizzazione della vigilanza stradale in una area di attraversamento molto importante tra il versante adriatico e tirrenico e in particolare tra l'Abruzzo, il Molise e la Campania, nell'Appennino abruzzese in zone turistiche e naturalistiche molto frequentate come il bacino sciistico di Roccaraso, il Parco nazionale della Majella, il Parco nazionale d'Abruzzo Molise e Lazio;
   a rischio è anche il posto di polizia Polfer di Sulmona;
   nell'ambito di una qualsiasi razionalizzazione della spesa pubblica non si può prescindere dalla precisa analisi del contesto territoriale e della densità dell'attività criminale al fine di evitare i deleteri tagli lineari che, in questo caso, lascerebbero il territorio interessato con un controllo di legalità ampiamente insufficiente –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare i suddetti posti di polizia importanti per assicurare il controllo del territorio. (4-04078)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla chiusura di alcuni distaccamenti di polizia stradale nella regione Abruzzo, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate sulla Gazzetta del Sud dello scorso 15 giugno 2014, si rende noto che a Tiriolo, in provincia di Catanzaro, nel mezzo di un paradiso naturale, dovrebbe sorgere un altro parco eolico, che se confermato, rappresenterebbe un fatto gravissimo che andrebbe a danneggiare lo straordinario patrimonio paesaggistico e archeologico locale;
   Tiriolo è un centro della Sila piccola, situato a nord dell'istmo di Catanzaro, sopra un poggio che segna il displuvio tra la valle del fiume Amato sul versante tirrenico e quella del fiume Corace sul versante ionico. Da Tiriolo è possibile vedere i due mari che bagnano quella parte della Calabria, Jonio e Tirreno; le principali fonti di ricchezza sono costituite dall'agricoltura e dal turismo, settori entrambi strategici per l'economia del territorio;
   se così fosse si verrebbero a ripercuotere gravissime conseguenze anzitutto sull'aspetto generale del territorio, distruggendone il valore paesaggistico e panoramico dell'area interessata dalla realizzazione del parco eolico, facendone decadere le vocazioni turistiche e compromettendo irrimediabilmente l'integrità territoriale per imprese agricole, turistiche agrituristiche;
   queste notizie stanno generando forte preoccupazione non solo tra i cittadini ma anche, sempre stando alle notizie stampa locali, ad alcune importanti associazioni, tra le quali l'Associazione culturale «Teura», che, vedendo fortemente messa a rischio la natura paesaggistica del luogo, ha inviato delle richieste di chiarimenti alle istituzioni preposte;
   l'opposizione alla diffusione selvaggia, dell'eolico in Calabria non deve intendersi come indifferenza nei confronti delle energie rinnovabili, ma deve essere vista come una attenzione all'ambiente attraverso la diffusione equilibrata di altre forme di energie in direzione di uno sviluppo sostenibile che rappresenta, ormai, per una larghissima parte di cittadini una scelta irrinunciabile;
   peraltro l'area è sottoposta a un vincolo archeologico –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per preservare i beni archeologici dell'area. (4-05262)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali iniziative si intendano assumere per preservare i beni archeologici dell'area interessata da un progetto di parco eolico nel comune di Tiriolo (Catanzaro), si rappresenta quanto segue.
  In seguito alla trasmissione del «Progetto di costruzione ed esercizio dell'impianto eolico denominato Trazzani» nel comune di Tiriolo (Catanzaro) da parte della Trazzani Energy s.r.l., la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria ha emesso parere favorevole con prescrizioni alla realizzazione dell'opera di progetto (nota n. 9046 del 3 maggio 2007).
  In ottemperanza a quanto prescritto, nel corso del mese di settembre 2008, la Trazzani Energy ha dato incarico ad un professionista archeologo di eseguire indagini preventive nell'area di progetto del parco eolico. Lo studio storico archeologico e le ricognizioni effettuate nell'area hanno evidenziato presenza di materiale archeologicamente diagnostico in superficie nelle località Acqua dei Faiani, Pena e Carcara, relativamente alle piazzole delle torri n. 1, 2, 7, 11.
  Con nota n. 16382 del 2 ottobre 2009 la soprintendenza per i beni Archeologici della Calabria ha prescritto indagini integrative (saggi) a verifica delle evidenze accertate nel corso delle ricognizioni preliminari effettuate nel 2008. Tali indagini, tuttavia, sono state di molto rinviate in seguito alla decisione, da parte della Trazzani Energy, di ridurre il numero degli aerogeneratori, da n. 11 unità a n. 5 unità, con conseguente differente dislocazione delle piazzole rispetto all'ubicazione originariamente prevista.
  Nel corso del mese di ottobre del 2010, la Trazzani Energy ha dato incarico ad un professionista archeologo per procedere con le ricognizioni delle nuove aree e con le prospezioni geofisiche di tipo archeologico su quelle risultate positive nelle attività di ricerca in superficie.
  A causa di avversità meteorologiche le indagini sono state eseguite tra il 4 febbraio e il 21 marzo del 2011, riscontrando presenza di materiale archeologico di superficie nell'area della piazzola per la torre n. 1. Sono risultate, invece, sterili le aree pertinenti alle piazzole delle torri n. 2, 3, 5 e 4; all'esterno di quest'ultima sono segnalati resti di argilla concotta, da attribuirsi ad una probabile attività di lavorazione ceramica, forse da collocarsi nei pressi e non meglio identificata.
  Con nota n. 7784 del 27 maggio 2011, la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria ha emesso prescrizioni per la realizzazione di indagini integrative (saggi) a verifica e approfondimento delle evidenze accertate nel corso delle indagini di superficie, estendendole a tutte le torri previste dal progetto, dunque, anche alle aree risultati sterili nella prima fase di ricerca in superficie.
  Ai contatti intercorsi tra la committente Trazzani Energy e la soprintendenza archeologica della Calabria hanno fatto seguito nuove comunicazioni della soprintendenza (nota n. 18180 del 20 dicembre 2011), con le quali venivano richieste e specificate verifiche archeologiche puntuali (saggi manuali e trincee) sia nelle aree dove erano state riscontrate anomalie compatibili con evidenze di tipo archeologico, sia nelle aree prive di anomalie, ma interessate comunque dalla realizzazione delle torri n. 3 e n. 4 del futuro parco eolico. Tra il 12 e il 30 marzo 2012 sono state avviate le indagini archeologiche con saggi stratigrafici all'interno dell'area del parco eolico come richiesto dalla soprintendenza.
  I risultati delle attività hanno evidenziato la presenza di una fornace, parzialmente messa in luce e di incerta datazione, nell'area destinata ad ospitare la piazzola della torre n. 1. Sterili, d'altro canto, sono risultate le aree destinate alle piazzole per le torri n. 3, 4, 5 e 2; all'esterno di quest'ultima, sono stati individuati strati con materiale archeologico riferibile ad orizzonte protostorico, ma considerati in giacitura secondaria, senza dunque poter definire con esattezza il deposito primario di cui essi hanno fatto parte e da cui probabilmente sono fluitati.
  Con nota n. 7862 del 7 maggio 2014, la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria ha prescritto scavi di approfondimento nell'area della piazzola della torre n. 1, per un'indagine esaustiva della fornace, parzialmente individuata nella ricerca precedente e per poter valutare la possibilità reale di realizzare tale torre.
  In relazione all'area esterna alla piazzola della torre n. 2, laddove nella fase precedente si è individuata la presenza di materiale ascrivibile ad età protostorica, in giacitura secondaria, si è autorizzata la realizzazione della piazzola stessa, usando la massima attenzione durante l'esecuzione del movimento terra; per le torri n. 3, 4 e 5 che sono risultate sterili, si è espresso parere favorevole definitivo per la realizzazione di quanto previsto dal progetto, con l'avvertenza che tutti i movimenti terra dovevano essere seguiti da archeologi di provata esperienza.
  Infine, con nota n. 1590 del 5 febbraio 2015, la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria ha ribadito alla Trazzani Energy s.r.l., incaricata dell'esecuzione dei lavori del parco eolico in oggetto, la necessità di ottemperare a quanto già prescritto con la citata nota 7862, a seguito di quanto evidenziato nell'area della torre 1 dalle indagini archeologiche pregresse. Inoltre, l'Ufficio ha provveduto a chiedere indagini di tipo stratigrafico nel settore meridionale del pianoro, interessato dal passaggio del cavidotto, come da tavole progettuali trasmesse, essendo state riscontrate, in seguito a sopralluogo del funzionario responsabile di zona, tracce di evidenze strutturali antiche, al momento non indagate e per le quali si ritiene necessario un approfondimento delle indagini, per una migliore comprensione delle stesse, al fine di valutare la realizzazione del cavidotto come da progetto o, se è necessario, prevedere una variante del tracciato. Dette indagini potranno fornire, inoltre, ulteriori elementi di valutazione anche ai fini di un eventuale vincolo delle aree interessate dal contesti archeologici.
  A tale proposito, la soprintendenza per i beni archeologici della Calabria precisa che, contrariamente a quanto affermato dall'interrogante, l'area non è sottoposta a vincolo archeologico, non essendo finora state avviate indagini di altro tipo all'interno dell'area e dunque non disponendo di elementi concreti che possano giustificare un siffatto provvedimento in questa direzione.
  Tuttavia, in virtù di passate segnalazioni e dei risultati che lo scavo della trincea Snam ha prodotto nel corso del 2010, nonché alla luce di quanto dedotto in seguito alle indagini preliminari alla realizzazione del parco eolico, la soprintendenza ha fatto proposta di apposizione del vincolo ex articolo 142, comma 1, lettera
m), del decreto legislativo n. 42 del 2004, nell'ambito della pianificazione congiunta con la regione Calabria per la formazione del QTRP.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dagli organi di stampa emergerebbe da un dossier del Ministero dell'interno, segretato e non reso pubblico, una serie di illeciti e irregolarità in merito alla gestione complessiva delle persone extracomunitarie richiedenti asilo politico;
   la testata giornalistica Repubblica che ha reso noto quanto scritto nel dossier riservato ha ammesso di essere riuscita a venire a conoscenza della suddetta documentazione senza specificare in che modo e con quali mezzi e se per ottenere il documento si siano avvalsi della collaborazione del personale interno al Ministero;
   nell'inchiesta condotta da Repubblica si legge: «migliaia di persone costrette a vivere anche per due anni dentro un Centro di accoglienza – il tempo effettivo per l'esame della richiesta d'asilo contro i 35 giorni previsti dalla legge – senza poter avere neanche una bacinella e il sapone per fare il bucato. Perché il capitolato d'appalto del ministero prevede una serie di servizi come la lavanderia e la barbieria, che spesso sono disattesi dagli enti gestori. Profughi segregati a chilometri di distanza dalle città, senza mezzi di trasporto, e dunque costretti a fare anche cinque chilometri a piedi su strade pericolose per raggiungere il primo centro abitato. Giovani rifugiati che alla fine del lungo periodo passato nei Cara, ne escono senza possibilità di inclusione sociale perché non hanno neanche imparato l'italiano. I corsi di lingua, quando ci sono, sono scarsi o mal strutturati»;
   l'inchiesta giornalistica denuncia il grande business che si cela dietro le organizzazioni e le cooperative che gestiscono per conto dello Stato, aggiudicandosi appalti pubblici, l'accoglienza delle persone immigrate richiedenti asilo politico;
   sotto il profilo della gestione, merita attenzione quanto è scritto sul centro di accoglienza di Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, vicino a Crotone, e a quanto rilevato dagli operatori del progetto Praesidium presenti all'interno del Cara lo scorso settembre circa «l'erogazione del pocket money (il pocket money è la quota di due euro e cinquanta centesimi che spetta al migrante sull'importo giornaliero pagato per ogni ospite dallo Stato ai gestori dei centri). Il migrante, da quanto emerge dalla lettura dell'articolo pubblicato sulla Repubblica, non ha la possibilità di acquistare nessun altro bene né gli viene fornita una chiavetta elettronica o una carta moneta per poter spendere l'importo rimanente. Da settembre 2011 a maggio 2013, gli ospiti riferiscono che il buono economico non è stato erogato»;
   nel caso di Isola Capo Rizzuto, la cifra complessiva erogata è pari a circa 21 euro, con i quali devono essere garantiti tutti i servizi. Il centro ha una capienza ufficiale di 729 posti, ma come gli altri Cara è solitamente sovraffollato. Al momento del monitoraggio, erano presenti 1497 persone, oltre il doppio dei posti disponibili. Facendo un calcolo approssimativo di 2,50 euro per una media di 1500 persone, si arriva alla somma di 3.750 euro al giorno che moltiplicato per 21 mesi, cioè 630 giorni, fa oltre due milioni di euro. Anche con un numero di ospiti pari alla capienza, si raggiunge una cifra a sei zeri che, dall'inchiesta condotta da Repubblica che riporta i dati del documento del Ministero dell'interno, sembra non sia stata erogata ai suoi legittimi destinatari, cioè i richiedenti asilo ospitati nel Cara calabrese;
   il centro è gestito da dieci anni dalla confraternita della Misericordia fondata dal parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio e da Leonardo Sacco, attuale vicepresidente delle Misericordie d'Italia. L'ultima gara d'appalto triennale vinta dalle Misericordie (nel 2012 contratto valido fino al 2015) è stata di 28.021.050 euro, iva esclusa;
   il rapporto, pubblicato, evidenzia problemi nella gestione del pocket money anche nel Cara di Restinco, a Brindisi, gestito dal consorzio Connecting People di Castelvetrano. I vertici del Consorzio sono stati coinvolti in un'inchiesta della magistratura su fatture gonfiate in un altro Cara, quello di Gradisca d'Isonzo. Sono tredici i rinviati a giudizio dal tribunale di Gorizia, di cui 11 del consorzio trapanese, fra cui Giuseppe Scozzari, ex presidente del consiglio di amministrazione, per associazione per delinquere, truffa e frode in pubbliche forniture, e due funzionari della prefettura tra cui un vice prefetto, per falso in atti pubblici. Il consorzio si è difeso affermando che esiste una relazione della prefettura di Gorizia che attesta la correttezza delle fatturazioni. L'inizio del processo è previsto per giugno 2014;
   a Restinco, rileva il dossier, reso noto dall'inchiesta giornalistica, «l'ammontare giornaliero di 2,50 euro del pocket money può essere speso dagli ospiti nell'acquisto di beni presenti al corner shop o nell'acquisto di bibite/snack/bevande calde nei distributori automatici presenti nel centro. Gli ospiti non possono accumulare l'importo giornaliero del pocket money e devono consumarlo nel giro di due giorni, pena la cancellazione dell'importo residuo non speso». Non è specificato però che fine fanno le somme cancellate. Nel Cara brindisino: «Non sono presenti mediatori che coprano tutte le lingue parlate dagli ospiti. L'ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa. L'ambulatorio medico del centro presenta gravi condizioni di precarietà igienica»;
   infine, emerge sempre dall'articolo inchiesta, pubblicato da Repubblica che stando alla documentazione del Ministero dell'interno a Bari, in un centro che ospita 1400 richiedenti/asilo, pari al doppio della capienza, gestito dalla cooperativa Auxilium «è stata riscontrata la presenza di scarafaggi in tutti i moduli visitati» e anche qui «l'ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa ad eccezione di partite di calcio. L'attesa per l'inserimento dei migranti nei corsi è molto lunga e la durata degli stessi è scarsa»;
   se da un lato appare fuorviante soltanto ipotizzare che l'aumento esponenziale del flusso migratorio verso il nostro Paese sia in qualche modo legato anche all'enorme giro d'affari che in questa inchiesta giornalistica viene tracciato con chiarezza e dovizia di particolari, dall'altro lato la palese mancanza di controlli da parte dello Stato nei confronti degli enti gestori delle procedure di accoglienza è ingiustificabile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se risponda al vero che le informazioni pubblicate dalla Repubblica erano contenute in un dossier segretato del Ministero dell'interno, per quali ragioni il dossier non sia mai stato reso pubblico, se non ritenga opportuno avviare una verifica per far luce sulle modalità che hanno permesso alla testata giornalistica di impossessarsi dei dati; se, considerata la facilità con la quale la testata giornalistica è entrata in possesso della suddetta documentazione, non ravvisi una fragilità nei sistemi di protezione dei documenti sensibili;
   qualora le notizie pubblicate dalla testata giornalista la Repubblica dovessero essere considerate attendibili, quali iniziative il Ministro abbia avviato o intenda avviare per contrastare gli illeciti e le irregolarità denunciate. (4-04919)

  Risposta. — L'inchiesta giornalistica citata nell'interrogazione si basava su un rapporto, elaborato dalle organizzazioni aderenti al progetto Praesidium VIII, che sintetizzava gli esiti dei ciclo di sopralluoghi effettuati nei corso del 2013 presso i centri governativi per immigrati, dalle apposite commissioni di monitoraggio istituite su iniziativa del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dei Ministero dell'Interno.
  Nel caso delle criticità rilevate presso i centri di Brindisi, Bari e Crotone, i prefetti responsabili hanno richiamato gli enti gestori all'osservanza degli obblighi contrattuali, affinché provvedessero sollecitamente a risolvere i disservizi elencati nei verbali delle commissioni.
  In particolare, nel caso del cara di Isola di Capo Rizzuto, a Crotone, è stata Irrogata una sanzione nei confronti del gestore per violazioni contrattuali e sono state adottate specifiche Iniziative operative per razionalizzare la gestione dei centro e per migliorare le modalità di erogazione agli ospiti di beni e servizi di assistenza.
  Per il cara di Bari, invece, è stata verificata la puntuale erogazione del servizio di pulizia e sono state attuate numerose iniziative finalizzate alla futura integrazione socio-lavorativa dei richiedenti asilo: corso di italiano, corsi di musica e ballo, incontri sulla salute sessuale e riproduttiva per le donne, laboratori sartoriali, corsi di informatica di base.
  Nel caso del cara di Brindisi, le irregolarità riscontrate riguardavano la precedente gestione, cessata dal 31 agosto 2013. In ogni caso, la prefettura ha anche evidenziato che, in occasione del secondo ciclo di sopralluoghi, condotti nel periodo settembre-dicembre 2013, la commissione di monitoraggio ha potuto constatare il superamento delle criticità riscontrate nel primo turno di visite: sono state, infatti, eliminate le carenze rilevate nell'ambulatorio medico, ridistribuiti gli spazi sono secondo i requisiti previsti dalla normativa vigente, assicurati gli standard di sicurezza e pulizia, rispettate le previsioni contrattuali relative allo svolgimento delle attività ludico-ricreative e dei servizi di mediazione linguistica.
  Si assicura comunque che il Ministero dell'interno svolge una costante attività di impulso e supporto nei confronti delle prefetture, proprio al fine di garantire che le procedure per l'affidamento della gestione dei centri si svolgano nel rispetto della normativa vigente e che la qualità dei servizi erogati dai gestori sia adeguata agli standard previsti dal capitolato d'appalto.
  In numerose occasioni e, da ultimo, con la circolare dell'11 settembre 2014, i prefetti sono stati sensibilizzati ad attuare tutte le iniziative utili al superamento delle criticità che ancora persistono, anche ricorrendo, ove ritenuto opportuno, agli strumenti sanzionatori previsti dai contratti nei confronti dei gestori.
  Per quanto riguarda l'erogazione del
pocket money agli ospiti dei centri governativi e delle strutture temporanee, con circolare del 25 agosto 2014, è stato chiesto a tutti i prefetti di comunicare le modalità adottate presso le strutture di rispettiva competenza territoriale per la distribuzione del buono economico, nonché di esercitare un'attenta vigilanza sulla sua regolare corresponsione da parte dell'ente gestore.
  Inoltre, è stata nominata un'apposita commissione allo scopo di verificare la complessiva gestione del centro di Crotone, con particolare riferimento agli standard di accoglienza. Sulla base degli esiti della visita ispettiva effettuata da tale commissione il 22 e 23 maggio dello scorso anno, è stato chiesto al prefetto di Crotone di attuare misure volte a migliorare la gestione, con particolare riferimento, oltre all'erogazione del
pocket money di 5 euro ogni due giorni, al sistema di rilevazione delle presenze e alla gestione del sistema informatico, alle informazioni fornite agli ospiti e allo svolgimento di attività ricreative.
  Al fine di verificare le irregolarità nell'erogazione del predetto buono economico, sono stati disposti capillari controlli sulle schede personali degli ospiti, dai quali sono emerse incongruenze pari a circa 9 mila euro, già recuperati dalla Prefettura nelle forme previste dalla convenzione.
  Successivamente, il prefetto di Crotone ha impartito ulteriori direttive all'ente gestore; affinché sia garantita la regolare distribuzione del
pocket money; l'ospite sia informato sulle possibili modalità di utilizzo del buono, anche per eventuali acquisti di beni disponibili fuori dal centro; sia assicurata la tracciabilità di tutte le erogazioni tramite registrazione sulla scheda personale informatizzata (badge). Per l'erogazione delle sigarette, ai soli adulti, dovrà essere acquisito il preventivo consenso dell'ospite e nel pocket money destinato ai minorenni non dovrà essere compreso il pacchetto di sigarette. Inoltre, l'ente gestore dovrà trasmettere bimestralmente alla prefettura l'elenco del creditori, con l'indicazione della somma eventualmente non corrisposta, ed emettere una nota di credito per l'Importo complessivo non fruito dagli ospiti.
  Infine, le condizioni di sovraffollamento rilevate In alcune delle citate strutture erano connesse al prolungamento del tempi di permanenza dei richiedenti asilo nei cara, dovuto all'esponenziale incremento delle istanze di protezione internazionale presentate e al conseguente aumento del carico di lavoro delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Proprio per accelerare l'iter delle istanze di asilo, nello scorso mese di novembre – in base al decreto-legge n. 119 del 2014, convertito nella legge n. 146 del 2014 – è stato adottato il decreto ministeriale che dispone il raddoppio sia delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40 e rideterminandone gli ambiti della competenza territoriale. Contestualmente, sono state previste forme di semplificazione del procedimento di esame delle domande.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2014, proveniente dalla Sicilia, è giunto all'aeroporto di Marco Polo di Venezia un gruppo di 100 migranti irregolari africani, in massima parte eritrei;
   di questi 100 migranti, 20 sono stati immediatamente avviati verso Pesaro;
   i rimanenti 80, invece, dovevano essere trasferiti a Jesolo, per essere ospitati in una struttura di accoglienza gestita dalla croce rossa italiana in via Levantina;
   il personale della croce rossa italiana ha tuttavia obiettato di aver soltanto 60 posti disponibili, ingaggiando un braccio di ferro con la prefettura di Venezia che si è protratto per ore, durante le quali si sono registrati anche dei momenti di tensione;
   alla fine, è stato deciso di distribuire gli 80 migranti su varie località venete: Chioggia, Padova, Treviso, Verona e Vicenza –:
   in che modo il Governo intenda ovviare all'evidente sovraccarico delle strutture preposte all'accoglienza dell'eccezionale numero di migranti irregolari e richiedenti asilo che stanno raggiungendo il nostro Paese anche per effetto della missione Mare Nostrum ed in che modo si conti di garantire che la dispersione dei clandestini in varie località non ne faciliti l'eventuale fuga. (4-05677)

  Risposta. — I migranti cui si fa riferimento nell'interrogazione hanno trovato ospitalità presso idonee strutture temporanee del Veneto, attivate dai prefetti della regione d'intesa con il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, al fine di fronteggiare il notevole afflusso di cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale, nelle more dell'attivazione dei nuovi posti del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).
  Recentemente, la capienza dello Sprar è stata più volte ampliata: i posti attualmente attivati sono 20.752 su tutto il territorio nazionale, di cui 849 destinati proprio ai minori stranieri non accompagnati; Ulteriori 1.000 posti per questi ultimi saranno disponibili a breve, in virtù di un bando di gara già registrato dalla Corte dei conti e in via di indizione.
  Al fine di attenuare l'impatto dei fenomeno migratorio sul sistema di accoglienza, si è ritenuto di agire, oltre che sul versante dello Sprar, potenziandone – come visto – la ricettività, anche su quello dell'accelerazione dell'iter delle Istanze di protezione internazionale.
  Nello scorso mese di novembre – in base al decreto-legge n. 119 del 2014, convertito nella legge n. 146 del 2014 – è stato adottato il decreto ministeriale che dispone il raddoppio sia delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40 e rideterminandone gli ambiti della competenza territoriale. In tale ambito, sono state Istituite anche la commissione territoriale di Verona, competente a conoscere le domande presentate nel Trentino-Alto Adige e nelle province di Verona, Vicenza, Treviso e Belluno, e la sezione di Padova, con competenza per le province di Padova, Venezia e Rovigo. La commissione di Gorizia, pertanto, rimane competente per le sole domande presentate in Friuli-Venezia Giulia.
  Contestualmente, sono state previste forme di semplificazione del procedimento di esame delle domande. Prima erano le commissioni nella loro collegialità a svolgere il colloquio con i richiedenti asilo. Ora è previsto che l'adempimento sia espletato di norma alla presenza di uno solo dei componenti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tutti i medicinali omeopatici in commercio in Italia godono delle disposizioni transitorie previste dall'articolo 20 del decreto legislativo, n. 219 del 2006. Sono i medicinali omeopatici già in commercio in Italia alla data del 6 giugno 1995 per i quali il responsabile dell'immissione in commercio ha documentato tale presenza al Ministero della salute entro i limiti previsti della norma (decreto legislativo n. 185 del 1995 e successive modificazioni);
   nessuno dei medicinali omeopatici in commercio ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 2006 è in possesso di un numero AIC rilasciato successivamente alla valutazione del dossier tecnico da parte dell'Aifa. Tutti i medicinali omeopatici in commercio godono di un'autorizzazione open legis, come è noto la legge n. 17 del 2007 ha prorogato il termine delle disposizioni transitorie al 31 dicembre 2015. Dopo il 31 dicembre 2015 solo i medicinali omeopatici in possesso di un numero AIC e di un formale provvedimento autorizzativo potranno continuare ad essere commercializzati sul territorio italiano. Le disposizioni transitorie previste dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 2006 come modificato dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito dalla legge n. 189 del 2012 prevedono che tali prodotti sono soggetti alla procedura semplificata di registrazione prevista dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 219 del 2006 anche quando in possesso di tutti i requisiti previsti dall'articolo 16 tutti i medicinali in commercio devono seguire l’iter registrativo fornendo la documentazione necessaria a dimostrare la qualità e la sicurezza del farmaco omeopatico. La procedura di rinnovo prevede che i dossier dei medicinali dovranno essere presentati entro 6 mesi dalla data di scadenza dell'autorizzazione, 25.000 dossier che le aziende dovranno presentare entro il 30 giugno 2015;
   in data 7 ottobre, sul sito del «Ilsole24ore» sezione Sanità, si paventa: «Cure omeopatiche a rischio, se non si interverrà riducendo la nuova tassa per la registrazione dei farmaci “naturali«”; per ottenere l'autorizzazione per l'immissione in commercio (AIE) di prodotti omeopatici, la normativa prevista dal decreto Balduzzi richiede a produttori e importatori, il pagamento di una somma che, secondo stime delle associazioni, sarebbe di circa 20.000 euro a farmaco a fronte dei 31 euro precedenti, con un rincaro di circa 700 volte. «Le imprese parlano di una tassa spropositata rispetto alla realtà economica del settore che dimezzerà il fatturato e metterà a rischio oltre a migliaia di posti di lavoro, anche la produzione di alcuni farmaci meno utilizzati, quelli per i quali gli oneri di autorizzazione alla commercializzazione saranno maggiori dei guadagni derivanti dalle vendite. La risposta delle aziende è stata un ricorso al Tar mentre il comitato “Difendiamo l'Omeopatia” ha avviato una raccolta firme per chiedere di cambiare le norme attualmente in vigore, riducendo costi e procedure burocratiche. La registrazione secondo i nuovi canoni Ue andrà completata entro fine 2015 ma, a mettere ancor più in agitazione il settore, la decisione dell'Agenzia del farmaco (Aifa) di richiedere l'invio delle schede relative a ciascun prodotto, entro il mese di ottobre 2013»;
   le associazioni di categoria dichiarano l'AIC, l'Autorizzazione all'immissione in commercio, costerà 3.062,40 euro a farmaco fino a 10 diluizioni. Le associazioni di categoria hanno denunciato come le tariffe di registrazione dei prodotti omeopatici hanno avuto, di punto in bianco, un aumento di 700 volte rispetto alle tariffe precedenti. Qualcosa senza precedenti. «L'AIFA ci impone burocrazia e costi tali che ci costringeranno a chiudere bottega dopo trent'anni di attività sempre in crescita (più 12 per cento nel 2013)» denuncia Alessandro Pizzoccaro patron della Guna, un colosso italiano, che in piena crisi fattura 160 milioni l'anno e dà lavoro a 1.200 addetti. «Oggi la super tassa del governo rischia di distruggere tutto». Anche, Silvia Barbieri, della ditta Iride 2000, non lascia spazio a molti dubbi: «Il costo altissimo richiesto dal Ministero per la registrazione ed i tempi tecnici per la presentazione dei documenti, impossibili da rispettare, faranno sì che molti omeopatici non potranno essere registrati e quindi non saranno più reperibili in Italia, mentre lo saranno negli altri paesi della comunità europea. Le aziende italiane si vedranno ridurre notevolmente il fatturato a favore di società oltre confine, saranno costrette a ridimensionare il numero dei loro dipendenti, tutto l'indotto perderà lavoro e personale (grossisti, informatori scientifici, ecc.) con gravissimi danni per le aziende, i medici omeopati ed i pazienti. Sottolineo infine che nella maggior parte dei paesi della Comunità europea, il costo delle visite del medico omeopata e/o dell'Heilpraktiker (naturopata) e il costo dei medicinali omeopatici prescritti, così come dei prodotti erboristici, sono a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre in Italia sono a carico del paziente». La scadenza data in precedenza per la presentazione dei documenti per la registrazione dei farmaci era il 31 dicembre 2015. Invece il 10 settembre 2013 l'AIFA ha convocato le aziende che producono e distribuiscono omeopatici a Roma annunciando che, visto l'elevato numero di domande di registrazione da valutare (25.000), ha previsto due fasi per la consegna dei documenti. La prima fase da ottobre 2013 a luglio 2014, la seconda da settembre 2014 a giugno 2015. Nonostante questo, il 17 settembre di quest'anno le aziende hanno ricevuto il calendario di presentazione dei documenti. Questa manovra fa comprendere appieno la volontà di eliminare l'omeopatia e distruggere le aziende. Infatti, moltissime aziende dovrebbero presentare la documentazione ad esempio per 20/30 omeopatici a partire dal 30 ottobre 2013 e questo è praticamente impossibile: non ci sono i tempi tecnici per compilare i moltissimi documenti richiesti per ogni diluizione;
   il Comitato Difendiamo l'Omeopatia sta raccogliendo migliaia di firme con una petizione che chiede di cambiare immediatamente le norme vigenti. – «Se non cambiano le regole, se non blocchiamo tale vergognoso attacco, molti medicinali omeopatici non saranno più in vendita in Italia, e quindi sarà tolto ai cittadini il diritto, la libertà di cura, un principio sacrosanto, sancito dalla nostra Costituzione. Si può anche non essere favorevoli all'omeopatia in quanto tale, ma è un dovere morale di tutti difendere il diritto delle persone di potersi curarsi come meglio credono. Il diritto di una persona di usare prodotti fitoterapici e omeopatici. La libertà di scelta terapeutica è un diritto inviolabile e fondamentale in una società che si autodefinisce democratica e libera» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intenda intraprendere affinché il comparto della medicina omeopatica non venga svantaggiato dalle nuove disposizioni normative;
   se non reputi di farsi da intermediario affinché l'Agenzia italiana del farmaco favorisca l'effettiva registrazione semplificata dei medicinali omeopatici attualmente presenti sul mercato, tutelando in tal modo un settore che registra una continua crescita offrendo anche opportunità lavorative;
   se non reputi di fare proprie le istanze delle associazioni di categoria che denunciano l'imposizione di regole inadeguate e costi spropositati che limiterebbero ed escluderebbero moltissimi farmaci, impedendo ai cittadini la libera scelta terapeutica sancita dall'articolo 32 della costituzione italiana, che prevede sia la tutela dello Stato sia il diritto alla salute del cittadino sia il diritto della libertà di terapeutica;
   se abbia previsto provvedimenti in merito alla materia esposta e se e come intenda eventualmente intervenire.
(4-02827)

  Risposta. — In ordine ai vari aspetti delineati nell'interrogazione in esame, l'agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha inteso precisare quanto segue.
  L'AIFA ha intrapreso una serie di iniziative rivolte a favorire una procedura di registrazione estremamente semplificata dei medicinali omeopatici in commercio.
  Tale procedura appare di gran lunga agevolata rispetto al rilascio di una prima autorizzazione, con un differimento dei termini per la presentazione della documentazione necessaria a garantire la qualità e la sicurezza del prodotto omeopatico, in quanto i dossier dei medicinali possono essere presentati fino a sei mesi dalla data di scadenza dell'autorizzazione.
  In considerazione dell'elevato numero di tali prodotti in commercio (circa 25.000 secondo la banca dati AIFA
«Front-end check point Medicinali omeopatici – Ricognizione 2012»), al fine di garantire la reperibilità di tutti i prodotti a medici e pazienti anche dopo il termine del 31 dicembre 2015, l'agenzia ha pianificato la presentazione dei dossier registrativi da parte dei titolari dei prodotti omeopatici, prevedendo due distinte fasi (ottobre 2013/giugno 2014 e settembre 2014/giugno 2015).
  È stato predisposto un calendario
ad hoc, a favore di ciascun titolare di medicinali omeopatici, e, allo scopo di agevolare e velocizzare l'iter procedurale, l'AIFA ha specificato nel dettaglio la documentazione da presentare con il «dossier» registrativo, ha indicato i modelli da utilizzare, disponibili sul portale dell'AIFA, ha illustrato le linee guida e la documentazione di riferimento e ha chiarito gli ulteriori aspetti relativi all'etichettatura e al foglio illustrativo.
  Inoltre, sono stati indicati i siti web utili dai quali reperire le ulteriori linee guida specifiche di ausilio alla predisposizione dei dossier.
  Il Ministero della salute e l'agenzia Italiana del farmaco stanno collaborando da tempo al fine di agevolare la registrazione dei medicinali omeopatici, già in commercio alla data del 6 giugno 1995, a tutela del preminente interesse alla salute pubblica e a salvaguardia delle attività di settore, nel pieno rispetto della normativa vigente.
  In aggiunta a quanto già previsto dalla Direttiva 2001/83/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario riguardante i medicinali per uso umano e dall'articolo 20 della relativa normativa attuativa (decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219), in materia di semplificazione della procedura di registrazione degli omeopatici, ulteriori facilitazioni ed agevolazioni sono state introdotte con l'articolo 13 della legge 8 novembre 2012 n. 189, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.
  Con tale disposizione normativa è stata, infatti, prevista la possibilità di presentare un'autocertificazione, in alternativa alla presentazione del dossier di registrazione relativo ai dati pre-clinici e di sicurezza del medicinale.
  Da ultimo, in ordine all'articolo 1, comma 590, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), secondo cui entro il 31 marzo 2015, l'AIFA era tenuta ad individuare la documentazione per il rinnovo dell'autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali omeopatici secondo modalità semplificate, si precisa che l'agenzia ha definito la documentazione necessaria con determinazione n. 365 del 31 marzo 2015.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.