Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 15 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge n. 833 del 1978, il nostro Paese ha istituito il Servizio sanitario nazionale. A 37 anni dalla sua istituzione il Servizio sanitario nazionale continua, nonostante tutto, a rappresentare un pilastro fondamentale del sistema di welfare;
    per poter continuare a garantire l'universalità e l'equità, la sanità pubblica ha però bisogno di un rafforzamento capace di garantire effettivamente a tutti il diritto alla salute e alle cure, l'equità di accesso ai servizi, l'universalità e il finanziamento pubblico;
    in realtà, si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre meno efficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento al Servizio sanitario nazionale e dei ticket intraprese in questi anni stanno quindi rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
    a confermare la strada intrapresa, che, di fatto, conduce a soluzioni privatistiche di uscita dalla crisi, è la ricerca Censis-Rbm Salute, presentata proprio nei giorni scorsi a Roma, dalla quale emerge come il servizio sanitario pubblico è sempre più ingolfato per le lunghe liste d'attesa e per gli italiani diventa più conveniente ricorrere alle strutture private. La scelta del privato spesso diventa un obbligo per accorciare i tempi. Così si ha un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un totale di 33 miliardi nel 2014 (+2 per cento rispetto all'anno precedente). A tanto ammonta la spesa sanitaria «out of pocket», mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro;
    il rapporto Censis, evidenzia come «pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi realistici». Oltre 9 milioni di italiani hanno effettuato visite specialistiche nell'ultimo anno nel privato a pagamento intero (2,7 milioni di questi sono persone a basso reddito);
    le risorse per i servizi e il personale del Servizio sanitario nazionale si sono ridotte e si vanno sempre più riducendo, tanto da compromettere il diritto stesso alla salute e alle cure dei cittadini;
    lo stesso Documento di economia e finanza 2015, presentato dal Governo e approvato dal Parlamento nell'aprile 2015 non prevede alcuna inversione di tendenza nella riduzione di risorse, ma anzi stima una crescita per i prossimi anni della spesa sanitaria inferiore a quella del prodotto interno lordo, con un progressivo calo dal 6,8 per cento del 2015 al 6,5 per cento dell'anno 2019, nel rapporto fra spesa sanitaria e prodotto interno lordo;
    il Documento di economia e finanza prevede un taglio di 2,352 miliardi di euro al Fondo sanitario nazionale a decorrere dal 2015, con conseguente riduzione di pari importo del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale. In realtà, il totale dei tagli è di 2,637 miliardi di euro, in quanto ai 2,352 miliardi di euro di minore stanziamento del fondo sanitario, stabilito dall'intesa Stato-regioni del 26 febbraio 2015, si sommano i 285 milioni di euro in meno per l'edilizia sanitaria, previsti anch'essi dall'intesa di febbraio 2015;
    il Governo prosegue con la politica dei tagli al Servizio sanitario nazionale, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali Paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 dollari spesi in Francia e Germania. Il servizio sanitario pubblico italiano rimane quindi tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media Ocse e della media dell'Unione europea;
    la stessa Corte dei conti, nella sua recente «Relazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2013 degli enti territoriali», ha ricordato come «Ulteriori risparmi, ottenibili da incrementi di efficienza, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l'offerta di servizi sanitari, come, ad esempio, nell'assistenza territoriale e domiciliare oppure nell'ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell'attuale assetto dei LEA, facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle Regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze»;
    in un'intervista al quotidianosanita.it dell'8 maggio 2015, il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, dichiarava, tra l'altro, che «la sanità, al di là dei risparmi di efficienza ottenibili, ha bisogno di più risorse soprattutto su tre fronti: innovazione, investimenti, ricerca e personale. (...) Implementeremo con azioni specifiche per dare finalmente fiato al personale del SSN che da anni ha il contratto e il turn over bloccati»;
    è auspicabile che il Ministro della salute Lorenzin, coerentemente con le sopraddette dichiarazioni, intervenga per superare l'insostenibilità delle restrizioni imposte al personale del Servizio sanitario nazionale in questi anni;
    i contratti per il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale sono bloccati da 6 anni, con condizioni di lavoro peggiorate e sempre più gravose e con lavoratori privati di prospettive professionali ed economiche, e tutto questo con ricadute negative sempre più evidenti, a cominciare dalla capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza;
    non c’è bisogno di attendere la sentenza della Corte costituzionale in calendario a partire dal 23 giugno 2015, chiamata a decidere sulla legittimità del blocco degli stipendi degli impiegati statali, per capire che il blocco per i dipendenti della pubblica amministrazione, protrattosi per troppi anni, sia una misura intollerabile e ingiusta, e questo forse ancora di più laddove questo blocco colpisce un settore fondamentale quale quello della sanità pubblica;
    dal 2009, con la crisi, al 2013 gli occupati nel Servizio sanitario nazionale sono diminuiti di oltre 23 mila unità. Rispetto al 2012 si è registrato un calo di oltre 3 mila unità (- 0,5 per cento);
    il blocco del turnover per il personale impedisce il ricambio generazionale, con carichi di lavoro sempre più pesanti che si ripercuotono ovviamente sull'assistenza sanitaria, e, di più, nell'attività dei pronto soccorso, per definizione più stressante e comunque attiva 24 ore su 24;
    come ricorda il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, approvato dalle Commissioni parlamentari V (Bilancio) e XII (Affari sociali) della Camera dei deputati il 4 giugno 2014, le politiche di contenimento del costo del personale dovrebbero tener conto dell'usura del personale medesimo, anche in considerazione del fatto relativo all'aumento dell'età media dei medici del Servizio sanitario nazionale. Il blocco del turnover ha fatto sì che circa un terzo del totale abbia un'età tra i 51 e i 59 anni. Da qui la propensione a supplire alla carenza di personale anche attraverso esternalizzazioni dei servizi sanitari e non sanitari e utilizzo di personale in convenzione;
    il medesimo documento conclusivo sottolinea come le «perduranti restrizioni all'ingresso di nuovi medici, potrebbe tradursi nel prossimo futuro in una riduzione dell'offerta sanitaria. In tale contesto sono state segnalate alcune criticità da parte dei giovani medici, che ritengono di trovarsi in una situazione di precarietà lavorativa e sotto tutela previdenziale, con un percorso formativo troppo lungo»;
    una delle conseguenze di politiche che continuano da anni a puntare al blocco dei contratti e del turnover è quello di dequalificare il lavoro, visto sempre più come opportunità di risparmio e non come investimento e occasione di miglioramento della qualità dei servizi socio-sanitari erogati. È evidente così il rischio di un aumento dei fenomeni diffusi di demansionamento, dove organici carenti obbligano chi lavora a dover spesso svolgere il lavoro anche degli altri, e di incremento del ricorso al precariato;
    devono essere programmate risorse aggiuntive per lo sviluppo della rete territoriale finalizzata principalmente alla prevenzione e alla deospedalizzazione e a garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale l'appropriatezza delle prestazioni. Occorre investire oggi sul personale, sull'assistenza domiciliare e territoriale, nella consapevolezza che questi ambiti possono davvero consentire nel prossimo futuro importanti risparmi al Servizio sanitario nazionale, oltre che evidenti benefici alla collettività e un ritorno occupazionale indispensabile,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a rivedere le politiche che limitano le assunzioni di personale del Servizio sanitario nazionale, anche per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, con particolare riguardo a quelle che manifestino criticità nell'erogazione delle prestazioni proprio a causa del blocco del turnover, al fine di garantire la piena erogazione dei livelli essenziali di assistenza e consentire la riorganizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario nazionale;
   ad avviare le opportune iniziative volte ad avviare un condiviso e graduale percorso di stabilizzazione del personale precario degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale;
   ad adoperarsi per una reale riqualificazione della spesa sanitaria, prevedendo che i risparmi conseguiti all'interno del Servizio sanitario nazionale siano reinvestiti all'interno del medesimo sistema sanitario, anche al fine di consentire una nuova politica occupazionale, quale premessa indispensabile per il potenziamento qualitativo e quantitativo dell'offerta sanitaria nel nostro Paese;
   ad assumere le iniziative di competenza volte a favorire una migliore mobilità regionale e interregionale, concertata con il lavoratore, del personale sanitario;
   a garantire che l'avviata razionalizzazione della rete ospedaliera sia contestualmente affiancata da un reale e convinto sviluppo dell'assistenza territoriale, affinché la riduzione/riconversione delle strutture ospedaliere avvenga in presenza di una contemporanea maggiore offerta a garanzia dei livelli di assistenza sociosanitaria distrettuale (centri aperti 24 ore su 24, assistenza domiciliare integrata, residenziale, semiresidenziale ed altro), anche a garanzia degli attuali livelli occupazionali;
   ad individuare, fin dal prossimo disegno di legge di stabilità, le risorse necessarie per consentire una ripresa dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale e alle politiche sociali, entrambi al di sotto della media dell'Unione europea e dell'Ocse.
(1-00904) «Nicchi, Airaudo, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 10 giugno 2014 è stata approvata presso la 12a Commissione parlamentare (igiene e sanità) del Senato della Repubblica la relazione congiunta del Parlamento che fornisce gli esiti dei lavori e dell'indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni competenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sull'efficienza del Servizio sanitario nazionale;
    la Commissione ha iniziato il suo percorso d'indagine nel 2013 e ha condotto numerose audizioni, nel corso delle quali sono emersi importanti profili tutti legati dal comune denominatore di cercare di trovare il bandolo di una matassa che aveva come minimi termini il servizio sanitario su base nazionale e le politiche finanziarie, evidenziando come si tratti di una coperta troppo corta che deve trovare una sua quadra;
    la premessa è la considerazione di come si sia disgregato il sistema in maniera dirompente. In Italia sono presenti ventuno sistemi sanitari diversi. Le diseguaglianze si ravvisano a partire dalla disposizione di cui all'articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 1996, che iniziò a modificare i criteri di riparto di finanziamento: regioni con lo stesso numero di abitanti avevano all'epoca un dislivello di finanziamento di 900 miliardi di vecchie lire all'anno. Poi c’è tutto il resto, ossia la modifica del Titolo V della Costituzione e le disposizioni dettate dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea;
    la legge finanziaria del 2000 ebbe inoltre l'arduo compito di eliminare il vincolo di destinazione del Fondo sanitario nazionale, che diventa bilancio autonomo delle regioni;
    per le regioni con elevati disavanzi sanitari e per evitarne sostanzialmente il default, la legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), come previsto dal Patto per la salute 2010-2012, stabilì nuove regole per i piani di rientro e per il commissariamento delle regioni. Oltre a ridurre al 5 per cento il livello di squilibrio economico (in precedenza fissato al 7 per cento), per la presentazione del piano di rientro regionale, ha infatti modificato la procedura per la predisposizione e l'approvazione del piano, nonché il procedimento di diffida della regione e della nomina di commissari ad acta;
    pertanto, come noto, accertato il deficit la regione presenta, entro il 30 giugno, il piano, di durata non superiore al triennio, elaborato con l'Agenzia italiana del farmaco e Agenas. Dopo l'approvazione regionale, la valutazione è compiuta dal tavolo tecnico di monitoraggio, a cui partecipano rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e della Conferenza Stato-regioni. Decorsi i termini previsti, il Governo valuta il piano e lo approva. In caso di valutazione negativa lo stesso Governo nomina commissario ad acta per gli adempimenti necessari;
    ciò comporta, oltre all'applicazione delle disposizioni già vigenti, l'automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie verso la regione, tra le quali la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, la decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari, e l'incremento delle aliquote. Le regioni, già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate, possono, in alternativa alla prosecuzione del piano di rientro secondo programmi operativi coerenti con gli obiettivi della gestione commissariale, presentare un nuovo piano di rientro, che determina, con la sua approvazione, la cessazione del commissariamento (articolo 2, comma 88);
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, dispose, inoltre, per le regioni sottoposte ai piani di rientro, ma non commissariate, la possibilità di proseguire, alla scadenza del 31 dicembre 2009, il piano di rientro per il triennio 2010-2012, al fine anche dell'attribuzione della quota di risorse finanziarie, già subordinata, a legislazione vigente, alla piena attuazione del piano;
    sempre il decreto-legge n. 78 del 2010 dispose, per le regioni con piani di rientro e commissario ad acta, la ricognizione definitiva dei debiti accertati, la predisposizione di un piano che definisca modalità e tempi di pagamento dei debiti medesimi, il divieto di intraprendere o proseguire, fino al 31 dicembre 2010, azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni in oggetto;
    la legge di stabilità 2011 (articolo 1, commi 50-52, della legge n. 220 del 2010) concesse, per l'esercizio 2010, che le regioni che non avevano attuato completamente il loro piano potessero provvedere al disavanzo sanitario con risorse proprie, purché le misure di copertura fossero adottate entro il 31 dicembre 2010;
    sempre la legge di stabilità del 2011 previde il divieto di intraprendere o proseguire fino al 31 dicembre 2013 (articolo 1, comma 51, così modificato, dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge n. 98 del 2011 e, successivamente, dall'articolo 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012), azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni sottoposte ai piani di rientro e commissariate alla data dell'entrata in vigore del decreto legge n. 78 del 2010. Previde inoltre, sempre dettata dalla difficoltà economica dei tempi, una deroga del 10 per cento del blocco automatico del turnover del personale sanitario dal 1o gennaio 2011;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2010, all'articolo 15, comma 20, ha da ultimo disposto per un ulteriore triennio, dal 2013 al 2015, l'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010: le regioni in piano di rientro e non commissariate proseguono i programmi previsti nel piano di rientro, a condizione che abbiano garantito l'equilibrio economico nel settore sanitario, ma non abbiano raggiunto gli obiettivi strutturali previsti. In particolare, l'equilibrio economico è garantito se la regione non raggiunge o supera il 5 per cento di squilibrio economico ovvero meno del 5 per cento, per il quale gli automatismi fiscali o altre risorse di bilancio della regione non garantiscono la copertura integrale del disavanzo medesimo, (articolo 2, commi 77 e 88, della legge n. 191/2009 – legge finanziaria per il 2010);
    la prosecuzione ed il completamento del piano di rientro sono dunque le condizioni per l'attribuzione di risorse aggiuntive e della quota premiale del finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Dal 2013, una quota premiale annua, pari allo 0,25 per cento delle risorse ordinarie previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, è assegnata alle regioni che hanno adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari (articolo 15, comma 23);
    l'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto «decreto sanità») prevede per le regioni in piano di rientro la disapplicazione del 15 per cento del blocco del turnover per il 2012;
    il decreto-legge n. 95 del 2012 (articolo 15, commi 21-25) interviene, tra l'altro, sul contenimento della spesa del personale sanitario. La disciplina modifica quanto previsto sul contenimento della spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale dall'articolo 2, commi 71, 72 e 73, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), per il triennio 2010-2012 e per gli anni 2013 e 2014;
    in particolare, viene confermato, per il 2013 e per il 2014 ed esteso al 2015, il livello di spesa stabilito per il 2004, ridotto dell'1,4 per cento, al netto dei rinnovi contrattuali successivi al 2004. Per il conseguimento del sopraddetto obiettivo le regioni adottano interventi sulla rete ospedaliera e sulla spesa per il personale (fondi di contrattazione integrativa, organizzazione delle strutture semplici e complesse, dirigenza sanitaria e personale del comparto sanitario);
    la regione è ritenuta adempiente al raggiungimento degli obiettivi previsti, a seguito dell'accertamento eseguito dal tavolo di verifica degli adempimenti (ai sensi dell'articolo 2, comma 73 della legge n. 191 del 2009). Per gli anni 2012, 2013 e 2014, la regione che non ha conseguito i risultati previsti è adempiente, ove abbia almeno assicurato l'equilibrio economico (ai sensi dell'articolo 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009);
    sempre per quanto disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012, dal 2015, la regione giudicata adempiente deve conseguire l'obiettivo finale dell'1,4 per cento. Per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari o ai programmi operativi di prosecuzione di detti piani restano comunque fermi gli specifici obiettivi ivi previsti in materia di personale;
    le misure di contenimento della spesa del personale della pubblica amministrazione (articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011) si applicano anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta);
    in tutto questo, non si può tralasciare il tema attinente la definizione dei costi standard, anche alla luce dei principi fissati dal decreto legislativo n. 68 del 2011. Il Patto per la salute 2014- 2016 ha ribadito la regola per la quale il fabbisogno sanitario standard deve essere determinato in coerenza con i livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza, assumendo come base i valori di costo rilevati nelle regioni benchmark. Ma il significato di costo standard è ancora lontano da una definizione univoca e non è del tutto adeguato intenderlo come sinonimo di «spesa pro capite standard» perché se ne perde una parte importante del potenziale di razionalizzazione del processo di allocazione delle risorse. In definitiva, i costi standard non sono la panacea e sotto certi aspetti potrebbero degenerare e costituire uno strumento per eludere la possibilità del controllo reale e di andare a incidere da subito sulla spesa sanitaria;
    è dunque ormai evidente come sia indispensabile un controllo adeguato sulla gestione delle risorse, che è la variabile su cui si può certamente essere determinanti per migliorare sia i servizi che la spesa relativa al personale;
    il sistema è infatti carente di controlli. Non avendo più la possibilità di individuare strumenti di controllo sugli atti preventivi, bisognerebbe cercare di potenziare a livello centrale il più possibile, d'intesa con le regioni, la struttura locale per poter determinare un controllo e un monitoraggio, considerando che anche le regioni hanno l'interesse al monitoraggio, e non potrebbe essere altrimenti, perché il bilancio delle regioni per l'80 per cento è spesa sanitaria;
    è infine chiaro a tutti che le regioni che sono andate in piano di rientro dalla rianimazione sono finite in terapia intensiva. Se vengono lasciate sole, non andranno a finire nei reparti, ma ritorneranno di nuovo immediatamente in rianimazione, perché è molto difficile tenere a redini l'enormità della spesa da gestire;
    l'altro aspetto sicuramente da individuare è se, in particolare nel contesto delle regioni con un piano di rientro, la spesa si sia ridotta tagliando i servizi. Anche in tal caso è necessario improntare un adeguato sistema di controlli successivi per appurare che non ci sia stata un'aggressione degli sprechi sui beni e servizi. Non si ha, ad oggi, un sistema di monitoraggio che fornisca costantemente dati aggiornati, soprattutto in tutte quelle regioni dove fino a qualche tempo addietro la situazione contabile veniva tramandata non attraverso la veridicità e la certificazione dei bilanci, ma attraverso un'imprecisa tenuta dei dati. E questo perché gli sprechi e la cattiva gestione delle pur limitate risorse stanno creando la falsa e ingiusta convinzione che si possa risparmiare tagliando anche sul piano della qualità dell'assistenza;
    ad esempio, è quanto emerge dai dati dello «Studio per l'individuazione di possibili interventi di contenimento della spesa sanitaria» elaborato dal centro studi SIC-sanità in cifre di FederFarma, dove si legge che «Le regioni volatilizzano 1,4 miliardi di euro l'anno tra sprechi e inefficienze»;
    sulla base dell'analisi di 42 indicatori di performance differenziati in 5 sottogruppi, sono stati «esplorati» i sistemi sanità di 34 Stati europei e nel ranking europeo il Sistema sanitario nazionale italiano risulta al 21esimo posto per la «qualità» e al 26esimo posto per la «prevenzione e la qualità»,

impegna il Governo:

    ad assumere ogni iniziativa di competenza, e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente, atta a porre in essere gli opportuni controlli per fornire un quadro aggiornato, riferito all'intero territorio nazionale, delle conseguenze derivanti dalle operazioni di contenimento della spesa sul piano del rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   a procedere ad un monitoraggio degli effetti degli interventi di razionalizzazione e contenimento della spesa per rimuovere tutti gli ostacoli volti ad impedire un'adeguata gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, anche mediante l'istituzione di opportuni tavoli di confronto con le categorie interessate al fine di superare, ove ce ne sia la possibilità, il blocco del turnover del personale e favorire l'adeguata allocazione delle professionalità presenti in campo medico ed infermieristico.
(1-00905) «Palese, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto dichiarato il 3 giugno 2015 dal Vice Segretario di Stato statunitense Antony Blinken, la campagna aerea avviata dalla coalizione internazionale ad agosto 2014 ha portato, nei primi 9 mesi, alla morte di circa 10.000 miliziani dell'Isis in Iraq e Siria;
    tuttavia, secondo fonti della Cia citate dalla Cnn, si stima che il «califfato» disponga oggi di un numero di combattenti compreso tra le 20.000 e le 32.000 unità;
    la stessa Cia stimava la forza dell'Isis a settembre 2014 tra 20.000 e 31.500 miliziani, dei quali circa 15.000 foreign fighters, inclusi 2.000 occidentali, dimostrando di riuscire ad ampliare esponenzialmente le proprie forze che a giugno 2014 erano stimate tra 10.000 e 15.000 uomini;
    il raffronto tra queste cifre dimostra come l'Isis sia stata in grado di reclutare un numero di miliziani superiore a quello delle perdite subite a causa degli attacchi aerei della coalizione e durante i combattimenti terrestri con le forze locali in Iraq e Siria;
    ciò evidenzia come la soluzione al fenomeno dell'estremismo jihadista non possa essere esclusivamente di tipo militare;
    appare, dunque, necessario l'avvio di un'azione di contro-propaganda volta a ridurre, nell'immediato, l'impatto dell'efficacissima campagna propagandistica condotta dai gruppi jihadisti, Isis in primis, al fine di creare consenso per la loro causa anche e soprattutto nei Paesi occidentali, incrementando così il flusso di arruolamenti volontari;
    l'azione per contrastare tale propaganda non può essere efficacemente condotta esclusivamente con la censura dei siti web estremisti, come dimostrato dal fatto che le varie iniziative poste in essere in tal senso dai diversi Paesi occidentali non hanno sortito gli effetti sperati in termini di riduzione delle adesioni ai gruppi jihadisti;
    la campagna propagandistica dei gruppi jihadisti in Occidente è rivolta soprattutto a immigrati, o figli di immigrati, di fede sunnita con permesso di soggiorno o cittadinanza dei Paesi in cui risiedono;
    il successo di questa campagna riguarda, soprattutto, i giovani marginalizzati che sentono di non avere prospettive nei Paesi occidentali in cui vivono e tendono, dunque, a seguire dinamiche di radicalizzazione in opposizione a una società che percepiscono come ostile;
    per comprendere tale fenomeno bisogna tener presente: l'apparente mancanza di contatti tra jihadisti autoctoni e affiliazioni qaediste tradizionali; l'utilizzo massiccio che gli homegrown jihadisti fanno del web, sfruttando le innumerevoli potenzialità offerte da internet in termini d'indottrinamento, addestramento, comunicazione e altro; la duplice via che i lone terrorists possono intraprendere, ovvero quella di pianificare attacchi in Italia o spostarsi all'estero per unirsi a un jihad e la presunta scarsa interazione esistente tra mancanza d'integrazione socio-economica e radicalizzazione di jihadisti autoctoni italiani;
    per quanto riguarda le due principali conseguenze che la presenza del jihadismo autoctono in Italia ha comportato, si devono tener presente le difficoltà insite nel tentativo di monitorare e contrastare soggetti, spesso cittadini italiani, non vincolati ad alcuna struttura terroristica e le conseguenze negative che un eventuale attentato, posto in essere da un musulmano cresciuto in Italia, avrebbe su dibattiti nazionali delicati, quali quelli sull'immigrazione e sull'integrazione;
    si può ritenere che i soggetti attivamente coinvolti in questa nuova scena jihadista autoctona siano una quarantina, forse una cinquantina. Allo stesso modo, si può stimare che il numero di coloro che in vario modo e con differenti livelli d'intensità simpatizzino con l'ideologia jihadista sia di qualche centinaio. Si tratta, in sostanza, di un piccolo insieme di persone dalle caratteristiche sociologiche (età, sesso, origine etnica, istruzione, condizione sociale) estremamente eterogenee, ma che condivide la fede jihadista;
    la maggior parte dei soggetti «simpatizzanti» interagisce su internet con altri dello stesso credo in Italia (poca moschea, tanto internet) e molti dei network jihadisti autoctoni osservati in Europa negli ultimi dodici anni possedevano caratteristiche simili; molti di loro dimostravano scarsi legami con le grosse moschee e non avevano, perlomeno all'inizio delle loro attività, alcuna connessione con gruppi jihadisti strutturati;
    è evidente che la nascente scena jihadista autoctona italiana abbia pochi contatti con le moschee e, osservando le attività su internet di quelli che paiono essere residenti italiani che frequentano «circoli virtuali» salafiti e che, in molti casi, adottano idee jihadiste, utilizzando un software specializzato, è stato possibile identificare centinaia di soggetti che dall'Italia regolarmente accedevano a forum, quali Shumukh, Ansar al-Mujahideen Arabic, al-Qimmah e Ansar al-Mujahideen English;
    questa scena virtuale pro-jihad italiana è molto fluida e informale e opera come molte altre comunità on line, ma la maggior parte di «cyber-guerrieri» jihadisti è esattamente come gli altri cyber-guerrieri: estremisti virtuali, le cui esternazioni non passeranno mai dalla tastiera alla strada;
    molti dei soggetti che fanno parte della comunità italiana di simpatizzanti del jihad a un certo punto ne usciranno del tutto, considerandola solo una fase della propria gioventù. Snobbati dalla ridotta e sospettosa scena jihadista tradizionale, i nuovi militanti devono ricorrere al web per trovare materiale che li guidi nel loro cammino e per interagire con altri soggetti dalle idee simili: due bisogni normali per quei soggetti che adottano qualsiasi ideologia radicale;
    capire quali fattori portino un soggetto a radicalizzarsi è stata una fonte pressoché inesauribile di dibattito nella comunità dell'antiterrorismo mondiale, nel corso degli ultimi quindici anni, ma teorizzare che l'unica causa sia la mancanza di integrazione socio-economica non porta ad una comprensione del problema. Più rilevante è l'integrazione intesa nel senso di appartenenza a una determinata società, indipendentemente dalle proprie condizioni socio-economiche, dal momento che molti musulmani europei che si radicalizzano sono soggetti confusi dalla loro identità e che rintracciano un mondo di appartenenza in un'interpretazione fondamentalista dell'islam, invece che nella loro identità di cittadini europei;
    l'Italia è un Paese favorevole all'integrazione. I recenti casi in Europa, per esempio in Svizzera, che aspirano a un giro di vite nei confronti dei fenomeni migratori, dimostrano le differenze che animano la società di tutto il continente. In molti Paesi stanno sbocciando casi d'integralismo autoctono, nati dalla paura e dall'avversione per le «diversità», che vanno interpretati come causa e, al tempo stesso, come reazione al jihadismo autoctono;
    le barriere vengono spesso alzate a cautela dei singoli mercati nazionali del lavoro. Si sta diffondendo il timore che, imboccando la strada della Gran Bretagna, della Francia e dell'Olanda, le nazioni di prossima integrazione multietnica vengano costrette prima o poi a confrontarsi con i vizi e le debolezze delle società che sono già multirazziali. Vizi e debolezze che includono anche un più o meno elevato rischio di jihadismo autoctono;
    risulta, pertanto, necessario l'avvio di un progetto di lungo periodo, a livello nazionale ed europeo, volto a favorire una maggiore comprensione della cultura occidentale da parte degli immigrati di prima, seconda e terza generazione attraverso il dialogo interculturale;
    appare, altresì, fondamentale prevenire i fenomeni di discriminazione da parte di cittadini italiani e degli altri Paesi europei a danno di immigrati e cittadini di fede musulmana derivanti da un sentimento di reazione causato dalle attività dei gruppi jihadisti e dalla loro propaganda;
    tali fenomeni di discriminazione, infatti, non farebbero altro che favorire la radicalizzazione degli immigrati, con il conseguente ampliamento del fenomeno dei foreign fighters;
    l'articolo 270-bis del codice penale copre forme di terrorismo in cui la forma associativa costituisce un elemento fondamentale. Tuttavia, come nella maggior parte dei Paesi europei, quando il legislatore italiano scrisse la norma aveva in mente una forma di terrorismo tradizionale, che implica una struttura più o meno gerarchica o, perlomeno, un'associazione di persone dotata di una certa stabilità, ma, come si è visto, le dinamiche relative al terrorismo sono cambiate notevolmente in tutta Europa negli ultimi anni e molti sistemi giuridici europei hanno fatto fatica a tenere il passo;
    un aggiornamento delle norme in materia è stato fatto dal Governo italiano, che ha approvato il decreto-legge comprendente nuove norme di modifica del codice penale, introducendo una pena da tre a sei anni di reclusione per chi va a combattere il jihad nei teatri di guerra o supporta i combattenti finanziando e facendo propaganda anche via web e prevedendo fino a 10 anni per i lone actors che si auto-addestrano all'uso delle armi;
    il jihadismo non è solo una guerra ma è materia della legislazione e delle rappresentanze religiose non solo musulmane, nonché dei soggetti responsabili dell'educazione, dell'istruzione e dell'informazione nei singoli Paesi e nelle organizzazioni governative internazionali: Onu, Nato, Unione europea sono chiamate in causa alla stregua dei Governi nazionali nel definire una politica preventiva del fenomeno e l'Italia, essendo membro e alleato dell'Occidente, è tenuta a uscire dal limbo in cui si trova attualmente,

impegna il Governo

a elaborare e attuare un piano nazionale di contro-propaganda impiegando i canali già disponibili, come la scuola e i mass media, per contrastare in tempi brevi gli effetti dell'attività propagandistica condotta dall'Isis e da altri gruppi jihadisti, a valutare l'avvio di programmi di dialogo e avvicinamento interculturale rivolti ai giovani immigrati e italiani, anche tramite specifici programmi da condurre nelle scuole e nelle università, e a valutare iniziative di facilitazione all'inserimento sociale, sfruttando anche risorse già disponibili come il sistema del servizio civile nazionale.
(1-00906) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    come evidenziato dalle conclusioni dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale promossa dalle Commissioni affari sociali e bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, la spesa per il personale del sistema sanitario ammonta a circa 36 miliardi di euro, una cifra pari a un terzo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, e dunque rappresenta uno dei principali capitoli di spesa sotto la lente d'ingrandimento per la razionalizzazione dei costi in sanità;
    secondo il rapporto della Stem, la struttura tecnica di monitoraggio sulla sanità che opera presso il dipartimento degli affari regionali della Conferenza Stato-regioni, nel triennio 2010-2012 si è registrato un calo generalizzato, anche se non omogeneo, tra le regioni, soprattutto quelle in piano di rientro, sia del costo complessivo che della dotazione organica del personale del Servizio sanitario nazionale;
    lo stesso rapporto mette in luce una marcata differenza del costo medio del personale, sia in generale sia per i singoli ruoli, tra le regioni e tra aziende sanitarie locali all'interno di una stessa regione. In alcune regioni, soprattutto in quelle in piano di rientro, è imputabile al blocco del turnover l'influenza sui costi medi elevati, gonfiati dal ricorso a prestazioni aggiuntive retribuite in base ad accordi integrativi aziendali;
    parimenti è emerso che il costo medio della dirigenza di vertice dipende esclusivamente dalle scelte politiche delle regioni e non da variabili come il reddito medio, il finanziamento pro capite o la popolazione residente;
    le politiche di contenimento del costo delle risorse umane non possono ignorare il progressivo invecchiamento e l'usura del personale medico. L'età media del personale è, infatti, cresciuta e oggi si attesta a 47,3 anni. I professionisti over 55 rappresentano il 27 per cento del personale, mentre un terzo dei medici (115 mila) ha tra i 51 e i 59 anni. Si è di fronte, dunque, a un difficile ricambio della dirigenza medica, con vere e proprie barriere all'accesso per i più giovani;
    in questo quadro va rafforzato il sostegno alla formazione dei giovani medici, intensificando e consolidando gli sforzi meritoriamente compiuti dai Ministeri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze che hanno portato a 6.000 il numero dei contratti di formazione specialistica;
    a ciò si aggiunga il delicato tema della garanzia dei contratti di formazione per i medici specializzandi nelle aree più marginali e disagiate del sistema, che diventa sempre più rilevante, in relazione alla riduzione del numero complessivo degli specialisti e al previsto picco dei pensionamenti. È il caso, ad esempio, della regione Sardegna e di tutte le altre regioni esposte al rischio della fuga dei futuri medici verso aree del Paese che offrono maggiori opportunità, con la conseguente possibilità di veder impoverire quantità e qualità del proprio personale medico;
    oltre a tale rischio di dispersione su base territoriale, incombe un'ulteriore vera e propria desertificazione legata all'ambito di azione della scuola di specializzazione, con scuole chirurgiche, come cardiochirurgia, neurochirurgia, ortopedia, ginecologia e otorinolaringoiatra, a rischio abbandono per l'elevatissima alea medico-legale connessa all'esercizio di tali attività professionali;
    il processo di aziendalizzazione in sanità è andato progressivamente in crisi, non tanto per un eccesso di privatizzazione, ma per le contraddizioni irrisolte del sistema pubblico soffocato da una enormità di norme di impronta burocratica e dalla tendenza dei decisori politici a intervenire con misure di regolazione formale non coerenti con i principi che hanno ispirato l'aziendalizzazione;
    l'articolo 22 del Patto per la salute tra Stato e regioni, siglato ormai quasi un anno fa, affronta in maniera puntuale le principali problematiche che riguardano le risorse umane del sistema sanitario nazionale,

impegna il Governo:

   a prevedere un'attenuazione dei vincoli per le assunzioni per quelle regioni che, pur avendo avviato concreti percorsi di rientro, manifestino pesanti criticità nell'erogazione delle prestazioni a causa del blocco del turnover, cosa che appare preferibile alle esternalizzazioni nelle attività sanitarie core ed evita il rischio del mancato trasferimento di know how tipico del personale in convenzione;
   a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, una maggiore autonomia delle aziende sanitarie locali, attivando nei loro confronti una virtuosa logica premiale che consenta alle aziende che si sono distinte per best practice di far valere a cascata lo stesso meccanismo nelle strutture organizzative interne, al fine di migliorare l'equilibrio tra costi e produzione e la complessiva qualità delle prestazioni erogate al paziente;
   a fornire elementi sull'attuale situazione delle dotazioni organiche del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, con specifico focus sulle dinamiche previste per il turnover della dirigenza medica di cui è imminente il picco dei pensionamenti e con speciale attenzione alle iniziative che si intendono intraprendere per garantire la disponibilità delle figure professionali meno presenti sul mercato nelle aree più marginali del Paese;
   a predisporre un programma del turnover del personale sanitario specializzato in tutte le regioni italiane, con particolare riferimento a quelle sottoposte a più stringente contingentamento delle assunzioni per effetto dei vincoli normativi ed economici dei piani di rientro, con l'obiettivo di superare la precarietà delle posizioni con contratto a tempo determinato che rendono difficoltosa la piena formazione delle nuove risorse professionali e il trasferimento e il consolidamento delle conoscenze e della competenza, indispensabili per la garanzia della miglior qualità dell'assistenza sanitaria;
   ad adottare efficaci misure in tema di formazione del personale sanitario, con particolare riferimento alle borse di studio ed ai contratti di formazione specialistica, da un lato, e alla distribuzione territoriale delle specialità mediche e chirurgiche, dall'altro, quale presupposto essenziale per il mantenimento dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   ad accelerare la piena applicazione del Patto per la salute e a presentare alle Camere in tempi rapidissimi il disegno di legge delega previsto dall'articolo 22 del Patto in cui promuovere i principi della valutazione del personale medico e della valorizzazione dell'aggiornamento e della formazione professionale continua, anche alla luce delle nuove competenze richieste dalla crescente digitalizzazione dei processi informativi-organizzativi (e-health), essenziale ai fini dell'efficientamento del sistema sanitario e dunque del mantenimento, a costi compatibili, dei livelli essenziali di assistenza.
(1-00907) «Vargiu, Monchiero, Matarrese, Capua, Antimo Cesaro, Quintarelli, Bombassei, Vezzali, Oliaro, Rabino, Sottanelli, D'Agostino, Molea, Catania, Pinna, Galgano, Librandi, Dambruoso, Mazziotti Di Celso, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il blocco delle assunzioni e di ogni altra forma di reclutamento, a fronte delle progressive uscite di personale per quiescenza, può incidere sia sull'offerta sanitaria e il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, sia sull'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio preventivati;
    l'esigenza di assicurare i livelli essenziali di assistenza induce i soggetti gestori del servizio a porre in essere talune procedure «alternative» per sopperire alla mancanza di personale dedicato (quali il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario o in regime di prestazioni aggiuntive o altre fattispecie, quali l'acquisto di prestazioni professionali da privati) che, tutte insieme, vanificano le conseguenze della misura rigorosa del blocco in termini di mancato risparmio, addirittura in taluni casi comportando maggiori costi;
    a dicembre 2014 dopo l'approvazione della legge di stabilità, con cui si chiede un sacrificio da 4 miliardi di euro alle regioni tra il 2015 e il 2018, si profila una «regressione» del fondo sanitario 2015 ai livelli 2014 o quasi. Le regioni avevano annunciato la disponibilità a rinunciare a 1,5 miliardi di euro;
    le conseguenze sul fondo sanitario sono che dai 112,4 miliardi di euro previsti per il 2015 nel Patto per la salute tra Governo e regioni, firmato solo ad agosto 2014, si scenderebbe a 111 miliardi di euro. Gli stanziamenti per il fondo sanitario possono essere oggetto di revisione, infatti, in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (articolo 30 del Patto per la salute);
    sul fronte del personale si profila la ripetizione degli stessi sacrifici ai quali medici ospedalieri e convenzionati subiscono dal 2010, con i contratti bloccati; inoltre, i sindacati hanno verificato come nelle maglie della stessa legge di stabilità vi sia una norma che mantiene fino al 2020 il blocco del turnover: la disposizione riprende quanto previsto dalla legge n. 191 del 2009 (articolo 1, comma 71), secondo cui le regioni adottano nel triennio 2010-2012, misure necessarie a garantire che le spese del personale non superino l'ammontare corrispondente del 2004 diminuito dell'1,4 per cento, inclusi i contratti a termine e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    la prima manovra finanziaria del 2011 aveva prorogato a tutto il 2015 il sacrificio che ora interesserà gli anni dal 2013 al 2020 (comma 253); si prevede, di fatto, per i prossimi 6 anni una revisione al ribasso delle consistenze di personale, dipendente a tempo indeterminato e determinato, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni;
    il tutto si traduce in blocco del turnover «eterno» che condanna quantità e qualità dei servizi sanitari ad una progressiva asfissia, una pietra tombale su ogni annuncio di staffetta generazionale;
    lo stesso Ministro della salute, dopo il drammatico caso del decesso di una neonata a Catania nel mese di febbraio 2015, dichiarava che: «Va tolto il blocco del turnover, almeno in certi casi. Io sto provando un po’ alla volta a farlo, ma il Ministero dell'economia e delle finanze ogni tanto riblocca tutto (...) Il punto è che la sanità non può essere paragonata ad altri comparti pubblici, perché ha a che fare con la salute delle persone»;
    i rapporti della Ragioneria generale dello Stato e della Corte dei conti certificano che le spese della sanità hanno avuto lievi contrazioni, ma i numeri attestano che per raggiungere tali risultati si è operato sul blocco del turnover e degli incrementi retributivi che hanno agito pesantemente sul contenimento della spesa per il personale dipendente, mentre le spese relative ai farmaci ospedalieri registrano tassi di crescita sostenuti;
    per arrivare a reperire le risorse necessarie al fine di invertire la contrazione del numero del personale ospedaliero, soprattutto nei settori più esposti, appare indifferibile l'attuazione in brevissimo tempo del principio del meccanismo dei costi standard;
    i dati presentati da tutti gli organismi interessati dimostrano come siano in difficoltà anche le regioni virtuose, i cui conti in ambito sanitario sono sempre stati in ordine, razionalizzando i costi della spesa del personale e riuscendo a garantire livelli di assistenza di assoluta eccellenza, a tal punto che il blocco del turnover comporta un inesorabile peggioramento dei livelli assistenziali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere controlli stringenti sulle assunzioni di personale per quelle regioni in cui è previsto un piano di rientro per quanto riguarda le spese sanitarie, tenuto conto che il costo del personale è la voce più rilevante nei bilanci;
   ad assumere iniziative per la rimozione del blocco del turnover per quelle regioni i cui bilanci in materia sanitaria raggiungono obiettivi di sostenibilità e di efficienza, invece di penalizzarle con costanti tagli finalizzati al ripiano dei deficit dei bilanci di regioni che per gestioni poco oculate rischiano il dissesto finanziario;
   a valutare la necessità di assumere iniziative per rafforzare l'autonomia regionale in merito alle assunzioni del personale, salvaguardando gli equilibri di bilancio ed assumendo iniziative per rivedere le norme che uniformano le sanità regionali, di fatto penalizzando le regioni virtuose.
(1-00908) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    il Governo degli Stati Uniti ha, per oltre 50 anni, applicato con rigore il blocco economico, commerciale e finanziario nei confronti di Cuba, anche dopo che il 29 ottobre 2008 è stata adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una votazione favorevole di 185 Stati e solo 3 voti contrari (Stati Uniti, Israele e Palau) una ennesima risoluzione, la 63/7, dal titolo eloquente: «Necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro Cuba», nel senso della rimozione di questo pesante embargo;
    l'embargo è sempre apparso come l'espressione più elevata di una politica crudele e inumana, priva di legittimità e tale da provocare fame, malattie e disperazione in seno alla popolazione cubana con gravi conseguenze sulle condizioni di vita nell'isola cubana; non si può sottacere che spesse volte i malati cubani non hanno potuto beneficiare di nuovi mezzi di diagnosi, tecnologie e medicine, ancorché importanti per la propria vita, perché, anche se gli stessi risultavano prodotti o disponibili in un terzo Paese, le leggi del blocco proibivano a Cuba di acquistarli qualora alcuni dei loro componenti o programmi provenissero dagli Stati Uniti;
    tuttavia, come è noto, tutto ciò non ha determinato un cambiamento decisivo delle politiche del regime cubano, né una sua vera crisi; inoltre, con il passare degli anni si è rivelata una decisione contro la quale si sono sempre più espressi tutti i sondaggi di opinione nordamericani;
    in particolare, Cuba ha saputo intercettare le aspettative di cambiamento che hanno attraversato nell'ultimo decennio tutta l'America Latina che ha cessato di essere, grazie al trattato dell'ALBA di cui anche l'isola caraibica fa parte, «il cortile di casa» degli Stati Uniti;
    peraltro, il blocco contro Cuba non è stato solo una questione bilaterale tra Cuba e gli Stati Uniti. La reiterata applicazione extraterritoriale delle leggi nordamericane e la persecuzione contro i legittimi interessi di imprese e cittadini di Paesi terzi hanno colpito notevolmente anche la sovranità di molti altri Stati;
    per anni il Governo di Cuba ha espresso la propria disponibilità alla normalizzazione dei rapporti con il Governo degli Stati Uniti cercando di coinvolgerlo in un eventuale processo di dialogo diretto a migliorare i rapporti, previa rimozione del blocco economie, commerciale e finanziario e la cancellazione di Cuba dalla lista dei Paesi terroristi;
    Ricardo Alarcon, presidente del parlamento cubano aveva anche chiesto all'allora segretario di Stato americano, Hillary Clinton, di revocare «per un anno» l'embargo commerciale, «per vedere a chi veramente giova una misura punitiva del genere, per capire se l'embargo giochi a nostro o non piuttosto a loro favore»;
    il Governo cubano non ha mai nascosto di aver cercato di avviare contatti con la diplomazia vaticana, assai attiva e ascoltata in tema di diritti umani, riconoscendo alla stessa il ruolo di interlocutore privilegiato della società civile e, infatti, come è ormai noto il dialogo tra Santa Sede e L'Avana cominciò nel 1996, protagonisti Fidel Castro e Giovanni Paolo II;
    nei mesi passati, l'attuale pontefice Francesco (con il suo «ministro degli esteri» vaticano, il cardinale Parolin) ha favorito quella convergenza ritenuta dai più impossibile tra i nemici di più di mezzo secolo, un cambiamento storico annunciato contemporaneamente il 17 dicembre 2014 dal presidente americano Barack Obama e da quello cubano Raùl Castro che nei loro due discorsi hanno comunicato che sarebbero stati avviati colloqui per la ripresa delle relazioni diplomatiche. Gli Stati Uniti riapriranno l'ambasciata all'Avana, che è chiusa dal 1961, e allenteranno alcune sanzioni imposte a Cuba e presto ciò porterà anche alla fine dell'embargo; entrambi i presidenti hanno anche pubblicamente ringraziato e riconosciuto al pontefice il ruolo di mediatore avuto in tale storica occasione;
    il 15 aprile 2015 il presidente Obama ha notificato al Congresso la propria intenzione di ritirare Cuba dalla lista degli Stati patrocinatori del terrorismo, ove vi figura dal 1982, attraverso l'invio della relazione e delle certificazioni richieste per l'avvio di tale percorso legislativo; tra l'altro, è bene ricordare che Cuba ha sempre condannato il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, nonché qualsiasi azione che miri a fornire incoraggiamento, sostegno, finanziamento e favoreggiamento di atti di natura terroristica, e non è di secondaria importanza il fatto che abbia ratificato tutte le convenzioni e i protocolli in materia di lotta al terrorismo promossi dalle Nazioni Unite;
    proprio il 29 maggio l'ordine di rimozione del Paese centroamericano dalla «lista nera» degli Usa sul terrorismo è stato firmato dal segretario di Stato americano John Kerry; tuttavia, l'esclusione definitiva da questa lista non implicherà un sollievo dal blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba poiché la maggior parte delle leggi e dei regolamenti che hanno imposto la politica di strangolamento economico sono stati emessi prima del 1982 e questo vuol dire che facevano già parte del blocco contro l'isola caraibica;
    il blocco è composto, infatti, da una complessa rete di sanzioni: la legge sul commercio con il nemico (1917), il Foreign Assistance Act (1961) e la Export Administration Act (1979), così come, in attuazione del codificato delle citate leggi, il regolamento per il controllo degli attivi cubani (1963) e il regolamento per l'amministrazione delle esportazioni (1979), emanati prima del 1982, in seguito sono state emanate altre leggi che hanno intensificato la politica di guerra economica contro Cuba: la legge Torricelli (1992), la legge Helms-Burton (1996) e la legge di riforma delle sanzioni commerciali ed espansione delle esportazioni, tutte con un marcato carattere extraterritoriale;
    tuttavia, l'uscita di Cuba dalla lista degli Stati che finanziano il terrorismo potrebbe avere, dato il suo carattere simbolico e politico, un deciso impatto positivo sulla attuale percezione di Paese a rischio da parte delle istituzioni finanziarie e alleviare, anche se in parte, il timore delle banche, in particolare straniere, a sostenere le attività dell'isola caraibica;
    tra le materie ancore controverse resta senz'altro il nodo della sovranità sulla base navale di Guantanamo «affittata» agli Usa nel 1903 in base ad un trattato che l'attuale Governo ha sempre dichiarato illegittimo. In particolare, sul campo di prigionia di Guantanamo e sul regime speciale a cui sono sottoposti i detenuti, lo stesso presidente Obama, all'atto del suo insediamento, ne aveva annunciato l'imminente chiusura che però non è mai avvenuta,

impegna il Governo

a sostenere, in ogni sede e con il coordinamento dell'Unione europea, la ricerca di nuove strade per il superamento della contrapposizione tra Usa e Cuba, in modo che sia accolta finalmente la richiesta pressante che la comunità internazionale ha espresso in seno all'Onu in tutti questi anni affinché sia decretata la fine dell'embargo, ormai anacronistico, che si è dimostrato un ostacolo ai cambiamenti che gli stessi cubani auspicano, purché non dettati da pressioni ed interferenze internazionali.
(7-00706) «Manlio Di Stefano, Grande, Scagliusi, Spadoni, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il massiccio del Matese è uno dei più importanti gruppi montuosi dell'Appennino meridionale e si estende tra il Molise e la Campania, abbracciando quattro province (Benevento, Campobasso, Caserta e Isernia);
    sotto il profilo naturalistico, il Matese è caratterizzato da una straordinaria varietà, in particolare per gli aspetti botanici e vegetazionali. Il suo valore naturalistico – ambientale, già evidenziato dagli studi e dalle ricerche di scienziati, naturalisti, geografi, geologi nel corso degli ultimi due secoli, è stato definitivamente «sancito» dall'individuazione di 4 aree della Rete Natura 2000 dell'Unione europea ai sensi delle direttive 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali. Queste aree ricoprono oltre 65.000 ettari dei circa 100.000 di estensione complessiva del massiccio. L'intera area inoltre, è stato designata quale Important Bird Areas (IBA) dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su proposta di Bird Life International;
    nel 2011, a partire dalla valutazione del Piano di azione europeo integrato e sulla spinta di quanto condiviso a livello globale durante la COP10 del 2010 della Convenzione sulla diversità biologica (Aichi Biodiversity Targets per la decade 2011-2020) l'Unione europea ha messo a punto a sua volta la Strategia europea per la biodiversità per proteggere e migliorare lo stato della biodiversità nel decennio 2011-2020 (COM(2011) 244), poi approvata con le conclusioni del Consiglio europeo (giugno e dicembre 2011) e del Parlamento UE (aprile 2012);
    l'Italia ha definito la sua Strategia nazionale per la biodiversità, nell'ambito degli impegni assunti con la ratifica della Convenzione sulla diversità biologica (CBD, Rio de Janeiro 1992), che ha come obiettivo, la conservazione della biodiversità e dei servizi eco-sistemici, come nostro capitale naturale, che devono essere conservati, valutati e, per quanto possibile, ripristinati, per il loro valore intrinseco e perché possano continuare a sostenere in modo durevole la prosperità economica e il benessere umano nonostante i profondi cambiamenti in atto a livello globale e locale;
    oltre che di notevole interesse botanico, il complesso del Matese rappresenta un'area di eccezionale valore per la conservazione della fauna nel contesto regionale e, per alcune specie, nazionale. Il complesso ospita più di 60 specie animali di interesse comunitario, incluse negli allegati 1, 2 o 4 della direttiva Habitat (79/409/CEE). Di queste quattro sono specie prioritarie, ovvero specie per le quali la Comunità europea ha una particolare responsabilità, a causa dell'importanza della loro area di distribuzione naturale;
    le vaste superfici boscate del Matese rappresentano l'ambiente d'elezione di grandi mammiferi carnivori e uccelli rapaci, che grazie alle fragili connessioni ecologiche che legano l'Appennino Centrale e quello Meridionale, costituiscono un'importante area di espansione delle popolazioni dei grandi mammiferi carnivori del vicino Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, come l'orso marsicano e il lupo appenninico;
    di grande importanza è anche la fauna ornitica ed in particolare quella dei grandi rapaci, che qui sono rappresentativi soprattutto della biodiversità regionale del versante molisano, che vede localizzare nell'area montana numerose specie tra le quali: il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno, il nibbio reale, l'aquila reale, il biancone, il gufo reale, il pellegrino e il lanario, per non parlare dell'entomofauna che solo per il versante molisano annovera la presenza di circa 300 specie. Il Matese riveste un'importante funzione ecologica in quanto corridoio migratorio per le specie di uccelli che si muovono lungo la penisola in direzione Sud-Nord o Est-Ovest, come per esempio le cicogne e gru;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare indica nel Piano nazionale per la biodiversità il Matese come area prioritaria per la conservazione della biodiversità nell'ecoregione Mediterraneo centrale;
    il Matese non è solo scrigno di biodiversità ma anche testimonianza storica risalente ad oltre tremila anni fa, quando nei primordi della civiltà italica il Matese, massiccio isolato e compatto, già aveva cominciato ad assolvere quella duplice funzione che lo caratterizza di isolamento e difesa. Già 2.700 anni fa, villaggi di pastori indoeuropei venivano edificati lungo i suoi fianchi presso Bojano, Faicchio, Cerreto, Isernia, Letino, Longano, Morcone, Piedimonte, Roccamandolfi, Sepino. Così, il massiccio rappresenta un patrimonio di storia, tradizioni e leggende, molte delle quali vivono tuttora come espressione del folklore locale, strettamente connesso alla quotidianità della vita contadina e pastorale;
    nel versante campano la tutela e la valorizzazione del Matese è garantita dalla presenza del Parco regionale del Matese; sul versante molisano, il patrimonio naturale del Matese non è tutelato da un ente parco, nonostante sia necessario, anche nella regione Molise, elevare il grado di tutela del complesso montuoso e garantire una pianificazione e una gestione sostenibile del territorio, ancora centrato sullo sviluppo industriale, energetico e manifatturiero;
    dal punto di vista ambientale, la salvaguardia dell'ecosistema del Matese, con la creazione di un parco dedicato che si estenda oltre i confini della regione Campania, oltre a garantire la tutela di un patrimonio naturalistico straordinario e la conservazione della biodiversità è uno strumento indispensabile per dare impulso allo sviluppo sostenibile e per la valorizzazione del territorio, anche attraverso la promozione di attività e iniziative in grado di creare e diffondere prassi virtuose;

impegna il Governo:

   a istituire, entro l'anno 2015, l'Ente parco nazionale del Matese, ampliando l'attuale parco regionale istituito in Campania con i territori del Matese molisano al fine di:
   a) tutelare e conservare le caratteristiche naturali, ambientali, paesaggistiche del territorio del parco, anche in funzione dell'uso sociale di tali valori;
   b) tutelare le specie della fauna e della flora presenti sul territorio;
   c) tutelare, in particolare, la risorsa idrica quale risorsa strategica, di cui le popolazioni residenti sono i custodi, e fattore indispensabile per lo sviluppo dell'intera area, anche attraverso la ricostituzione degli equilibri idrici e idrogeologici;
   d) tutelare e conservare le formazioni fisiche, geologiche e geomorfologiche o gruppi di esse che rivestono rilevante valore naturalistico e ambientale di cui è particolarmente ricco il massiccio montuoso;
   d) riqualificare e valorizzare gli ecosistemi, promuovere una corretta gestione delle risorse del territorio;
   e) promuovere e valorizzare le attività agricole, pastorali e forestali, i prodotti tipici e tradizionali;
   f) tutelare e valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale, architettonico, garantendo, in particolare, la salvaguardia e la tutela dei beni immobili presenti sul territorio;
   g) promuovere ed organizzare il territorio per la fruizione a fini didattici, culturali, scientifici e ricreativi, con riguardo anche ai portatori di handicap;
   h) migliorare le condizioni economiche e sociali delle popolazioni residenti, promuovendo la qualificazione delle condizioni di vita e di lavoro;
   i) in considerazione dell'esistenza di centri abitati all'interno delle aree protette, favorire la sperimentazione di attività economiche compatibili con l'ambiente e commisurate alle esigenze delle aree montane.
(7-00704) «Borghi, Venittelli».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 3 della Costituzione prevede che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale»;
    l'articolo 32 della Costituzione cita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
    la direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia, ha considerato che gli Stati membri adottino misure di carattere economico per quanto riguarda la commercializzazione delle specialità medicinali, al fine di controllare le spese a carico dei servizi sanitari per tali specialità medicinali. Tali misure includono controlli diretti e indiretti dei prezzi delle specialità medicinali come una conseguenza dell'inadeguatezza o dell'assenza di concorrenza nel suddetto mercato restrizioni della gamma delle specialità coperte dai regimi nazionali di assicurazione malattia;
    lo scopo principale della direttiva 89/105/CEE è la promozione della salute pubblica attraverso un'adeguata disponibilità di specialità medicinali a prezzi ragionevoli, considerando che disparità tra gli Stati membri possono ostacolare o falsare il commercio intracomunitario delle specialità medicinali e quindi pregiudicare direttamente il funzionamento del mercato comune delle specialità medicinali;
    tra gli obiettivi della direttiva 89/105/CEE vi è anche quello di ottenere una visione d'insieme delle intese nazionali in materia di prezzi, nonché di renderle note tutte le informazioni inerenti alle intese siglate dalle singole amministrazioni nazionali competenti e le cause farmaceutiche;
    l'articolo 2 (punto 1.) della suddetta direttiva prevede che «gli Stati membri assicurano che sia adottata una decisione sul prezzo che può essere imposto per la specialità medicinale in questione e che detta decisione sia comunicata al richiedente entro un termine di novanta giorni dal ricevimento di una richiesta presentata»;
    l'articolo 5 della suddetta direttiva stabilisce che se uno Stato membro adotta un sistema di controlli diretti o indiretti sui margini di utile dei responsabili dell'immissione sul mercato di specialità medicinali, esso pubblica le informazioni seguenti in una pubblicazione appropriata e le comunica alla Commissione:
     a) il metodo o i metodi usati nello Stato membro interessato per definire il margine di utile: redditività delle vendite e/o rendimento in conto capitale;
     b) la percentuale di utile al momento consentita ai responsabili dell'immissione sul mercato di specialità medicinali nello Stato membro interessato;
     c) i criteri secondo cui si calcolano le percentuali di utile per ogni singolo responsabile dell'immissione sul mercato di specialità medicinali, assieme ai criteri di base a cui i medesimi sono autorizzati a trattenere utili superiori a quelli stabiliti nello Stato membro interessato;
     d) la percentuale massima di utile che ogni responsabile dell'immissione sul mercato di specialità medicinali è autorizzato a trattenere, al di là del margine stabilito nello Stato membro interessato;
    queste informazioni sono aggiornate una volta all'anno, oppure quando si verificano cambiamenti significativi;
    dalla direttiva 89/105/CEE sono state approfondite in sede comunitaria le regole fondamentali cui assoggettare la disciplina dei prezzi dei farmaci, e si è individuato nella trasparenza il principio ispiratore a cui le autorità nazionali – ciascuna titolare esclusiva delle disponibilità finanziarie assegnate dallo Stato alla spesa farmaceutica – devono attenersi;
    l'articolo 48, comma 33, della legge n. 326 del 2003 ha stabilito che tutti i prezzi dei farmaci debbano essere contrattati tra l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e le case produttrici, secondo le modalità già indicate nella delibera CIPE n. 3 del 1o febbraio 2001. La delibera CIPE stabilisce tra gli obblighi dell'amministrazione che il farmaco dimostri una superiore efficacia rispetto a prodotti che si collocano nella medesima area terapeutica, e che l'amministrazione in fase di contrattazione del prezzo, dovrà tenere conto, sulla base dei presumibili dati di consumo, anche della spesa per l'assistenza farmaceutica riconosciuta in fase di riparto dei fondi destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
    la procedura negoziale si conclude, in caso di accordo tra l'amministrazione e l'impresa farmaceutica, con la fissazione di un prezzo sulla base dei volumi di vendita, della disponibilità del prodotto per il Servizio sanitario nazionale, degli sconti per le forniture agli ospedali e alle strutture sanitarie pubbliche, ai volumi e ai prezzi di altri medicinali della stessa impresa;
    la farmaceutica è uno dei settori economici più complessi in quanto sul mercato operano attori quali le aziende, i consumatori, i medici, e non di minore importanza nell'ambito degli acquisiti tramite appalti, il Ministero della salute, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e l'Aifa;
    secondo il rapporto nazionale sull'uso dei farmaci anno 2013 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali, la spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 26,1 miliardi di euro con una crescita del 2,3 per cento rispetto al 2012. In media per ogni cittadino la spesa per farmaci è stata di circa 436 euro;
    la spesa farmaceutica pubblica nel 2014 è stata pari a 17.090.968.471 pari al 15,6 per cento del fondo sanitario nazionale sforando il tetto complessivo (territoriale più ospedaliera) fissato al 14,85 per cento;
    negli anni scorsi numerosi inchieste giornalistiche hanno evidenziato come l'acquisto da parte del Ministero della salute di farmaci antivirali si sia rivelato un vero affare per le aziende farmaceutiche;
    in particolare, nel 2005-2006 in relazione alla pandemia di aviaria il Ministero della salute acquistò trenta milioni di dosi di Oseltamivir, ovvero il Tamiflu della Roche con una spesa, sembrerebbe, di cinquanta milioni di euro senza che questi siano stati utilizzati; tra il 2009 e il 2010 lo stesso Ministero della salute si diede l'obiettivo di vaccinare il 40 per cento della popolazione con il vaccino pandemico derivante dalla cosiddetta influenza suina così furono acquistate 24 milioni di dosi, con un contratto, sembrerebbe del valore di 184 milioni di euro, questo nonostante già a dicembre del 2009 fosse noto che si trattava certamente di una tipologia di influenza contagiosa ma meno pericolosa di una qualsiasi altra influenza;
    nell'ambito delle presunte pandemie che avrebbero dovuto colpire l'Italia l'emergenzialità dell'approccio non ha garantito una verifica severa ed effettiva dell'efficacia degli stessi e su tale versante sono state presentate in Parlamento numerose interrogazioni ed interpellanze;
    a marzo 2014 l’Antitrust ha inflitto una multa di 180 milioni di euro per due case farmaceutiche Roche-Novartis accusate di aver costituito un cartello per condizionare le vendite dei due principali farmaci anticecità. Secondo l'Autorità della concorrenza l'accordo tra i due colossi mondiali aveva l'obiettivo «di ostacolare la diffusione dell'uso di un farmaco molto economico a vantaggio di uno molto più costoso, differenziando artificiosamente i due prodotti». L’Antitrust stima che il presunto cartello abbia causato al servizio sanitario «un esborso aggiuntivo di oltre 45 milioni di euro nel 2012 con prevedibili costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l'anno». L'Aifa solo dopo la condanna dell’Antitrust ha di fatto bloccato l'impiego del farmaco Lucentis, di Novartis, che prima era utilizzato 9 volte su 10, dichiarando che il farmaco Avastin (prezzo di vendita 50 euro) «Non è pericoloso. Equivale a Lucentis (prezzo di vendita 900 euro) per sicurezza ed efficacia»;
    con l'approvazione della recente legge di stabilità, legge n. 190 del 2014, è stato istituito il Fondo per finanziare l'acquisto di farmaci innovativi con particolare riferimento a quelli per l'epatite C; il fondo è stato dotato di 1 miliardo di euro per gli anni 2015 e 2016; le risorse sono state messe a disposizione sostanzialmente delle regioni fatti salvi 100 milioni di euro a carico dell'Esecutivo. Ad oggi il fondo, per quanto a conoscenza degli interroganti, non sarebbe ancora effettivo e le regioni sono in difficoltà nell'erogazione delle prestazioni;
    a partire da dicembre del 2014 hanno ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio alcuni farmaci innovativi, tra i quali quelli per l'eradicazione dell'Epatite C, dai costi di trattamento non pubblicati quali: Sovaldi (Gilead), Olysio (Janssen), Daklinza (Bristol-Myers Squibb), Harvoni (Gilead), Viekirax-Exviera (AbbVie), Kalydeco (Vertex);
    gli accordi intrapresi tra le case produttrici e l'AIFA prevedono una clausola di riservatezza che non consente la pubblicazione degli stessi;
    la regione Toscana, con delibera di giunta n. 647 del 18 maggio del 2015 avente ad oggetto, programma per l'eradicazione del virus dell'epatite cronica «C» nella popolazione toscana, impegna 60 milioni di euro con l'intento di permettere il trattamento a 18.353 nel periodo 2015-2018;
    la società ESTAR Toscana con deliberazione n. 195 del 29 maggio 2015 ha bandito una gara per l'acquisto dei trattamenti fissando quale prezzo massimo per singolo trattamento 3.300 euro. Quest'ultima non ha visto la partecipazione di nessuna delle società farmaceutiche produttrici dei farmaci per l'eradicazione dell'Epatite C;
    il Tar del Lazio, nella sentenza n. 04538 del 2015, accogliendo il ricorso della Glaxo Smith Kline, ha di fatto «bocciato» il metodo sin qui usato dall'Aifa per il calcolo delle quote di ripiano degli sfondamenti della spesa farmaceutica ospedaliera (payback). Ciò potrebbe comportare un contraccolpo drastico sulla governance della spesa farmaceutica, soprattutto nell'immediato, in relazione sia ai ripiani già messi in atto che a quelli per l'anno corrente e per i successivi;
    quest'ultime e altre vicende hanno determinato perplessità nell'opinione pubblica sull'operato dell'Aifa, e sulla sua capacità di negoziazione e monitoraggio verso le aziende farmaceutiche. Tenuto conto dei dati relativi all'ammontare della spesa farmaceutica in Italia e della necessità di una trasparenza reale in materia contratti di specialità medicinali sia nell'ambito della normale amministrazione che nelle emergenze, è necessario procedere alla piena conoscibilità dei contenuti dei contratti di acquisto che vengono stipulati sia a livello di amministrazioni centrali che a livello locale;
    il 16 ottobre 2014 il Ministro Lorenzin ha firmato a Bruxelles l'accordo di aggiudicazione congiunta per l'acquisto di vaccini e farmaci antivirali volto a contrastare gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. L'accordo attua le previsioni dell'articolo 5 della decisione n. 1082/2013/VE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013;
    l'accordo di aggiudicazione congiunta, tuttavia, non comporta alcun obbligo per i contraenti di prender parte alle procedure di aggiudicazione avviate per acquistare la specifica contromisura medica, ma determina solo la possibilità per i sottoscrittori di acquistare i medicinali tramite l'aggiudicazione degli appalti in base alla suddetta procedura,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché l'AIFA non sigli accordi con le cause farmaceutiche inerenti alla presenza di clausole di riservatezza o qualunque altro elemento che mini la piena trasparenza dello stesso;
   ad assumere iniziative affinché vengano pubblicati tutti i dati in possesso dell'AIFA inerenti alle decisioni prese per l'autorizzazione in commercio dei farmaci da parte del Comitato prezzi e rimborsi e del Comitato tecnico scientifico dell'AIFA medesima;
   ad assumere iniziative affinché venga rispettata in tutte le sue disposizioni la Direttiva 89/105/CEE;
   ad assumere iniziative affinché l'Agenzia europea dei medicinali (EMA) pubblichi tutti i dati in suo possesso inerenti alle decisioni prese per l'approvazione dei farmaci indicando se il nuovo farmaco sia sovrapponibile o migliore, e di quanto, rispetto ad altri già presenti sul mercato;
   in riferimento all'accordo di aggiudicazione congiunta firmato a Bruxelles il 16 ottobre 2014, ad adottare iniziative per acquistare i vaccini e farmaci antivirali tramite l'aggiudicazione degli appalti in base alla procedura ivi fissata e al contempo a rendere noti sul sito del Ministero della salute le procedure e gli atti integrali di acquisto comprensivi delle prescrizioni ivi riportate.
(7-00705) «Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Mantero, Baroni, Di Vita».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, BARBANTI, ARTINI, SEGONI, RIZZETTO, PRODANI, TURCO, BALDASSARRE e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, individua, tra le finalità del capo IV-bis, lo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso la sperimentazione e diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, nonché l'acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida;
   inoltre, l'articolo 17-septies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante Misure urgenti per la crescita del Paese (Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012 – Suppl. Ordinario n. 171) evidenzia come al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica debba essere redatto un piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica che abbia ad oggetto la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica nonché interventi di recupero del patrimonio edilizio finalizzati allo sviluppo delle medesime reti;
   in particolare, l'articolo 17-octies del decreto-legge n. 83 del 2012, ai fini della promozione della ricerca tecnologica, ha attivato un'apposita linea di finanziamento, a valere sulle risorse del fondo rotativo di cui all'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, dei programmi di ricerca finalizzati:
    a) alla progettazione dei dati e dei sistemi interconnessi necessari per supportare le reti locali delle stazioni di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica collegati alle reti di distribuzione dell'energia elettrica;
    b) la pianificazione delle modifiche di progettazione necessarie per garantire un'efficace gestione e funzionamento delle reti di distribuzione dell'energia elettrica;
    c) alla valutazione delle problematiche esistenti e dei probabili sviluppi futuri relativi agli aspetti normativi e commerciali delle reti infrastrutturali;
    d) alla realizzazione di un'unità di bordo che comunica con la stazione di ricarica, volta a ricaricare la batteria automaticamente a un prezzo conveniente quando la rete di distribuzione dell'energia elettrica non è sovraccarica;
    e) allo sviluppo di soluzioni per l'integrazione e l'interoperabilità tra dati e sistemi a supporto delle stazioni di ricarica e relative unità di bordo, di cui alle lettere da a) a d), con analoghe piattaforme di informazione sulla mobilità, per la gestione del traffico in ambito urbano;
    f) alla ricerca sulle batterie ricaricabili;
   la crisi energetica ed economica, il crescente inquinamento acustico e ambientale necessitano di soluzioni perseguibili attraverso una maggiore offerta del trasporto pubblico, il maggior riciclo possibile e l'utilizzo di veicoli a basse emissioni complessive –:
   se il Governo, intenda fornire chiarimenti circa lo stato di attuazione del piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica;
   se sia stata effettivamente attivata la linea di finanziamento prevista dall'articolo 17-octies del decreto-legge n. 83 del 2012. (5-05800)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come già riportato nella interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01415 presentata dal sottoscritto, nel febbraio 2014 sono apparsi svariati articoli in cui si riportava che Antonio Ragusa, generale dell'Arma dei carabinieri in pensione, e Luigi Bisignani, noto alle cronache in qualità di «faccendiere» pregiudicato, venivano arrestati con l'accusa, il primo, di corruzione e turbativa d'asta e, il secondo, di frode fiscale;
   nella medesima interrogazione, si riportava che dal 2006 al 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha proceduto a conferire svariati appalti, anche tramite procedure apparentemente non chiare e senza l'opportuna evidenza pubblica;
   inoltre in un paio servizi televisivi de «Le Iene show», andati in onda tra marzo e aprile 2015 veniva trasmessa la testimonianza di un soggetto anonimo che descriveva in maniera puntuale e documentata sospetti episodi di corruzione all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri; veniva altresì rintracciato l'imprenditore che presumibilmente sarebbe stato al centro di questo sistema corruttivo, David Biancifiore, arrestato poche ore dopo aver rilasciato l'intervista, e anche un funzionario della Presidenza del Consiglio coinvolto nello scandalo;
   a seguito del clamore mediatico suscitato, il segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri, Paolo Aquilanti, tramite propria disposizione del 20 aprile 2015, ha disposto, «considerato che sono state diffuse, a mezzo stampa e di trasmissioni televisive, notizie circa possibili ipotesi di responsabilità a vario titolo, anche a carico di personale in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, concernenti procedure di acquisizione di beni e servizi», la creazione di «un Comitato per la ricognizione di beni e servizi stipulati o eseguiti dal 2010 al 2015, composto dal Capo del Dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali, dal Capo dell'Ufficio del bilancio e per il riscontro di regolarità amministrativo-contabile e dal Capo dell'Ufficio controllo interno, trasparenza e integrità»;
   tale Comitato, così come stabilito all'articolo 2 del citato atto, avrebbe dovuto presentare al segretario generale, entro il 30 maggio 2015, una relazione sulla ricognizione effettuata e formulare eventuali proposte –:
   se il Comitato citato in premessa si sia effettivamente costituito ed abbia portato a termine i propri compiti entro il 30 maggio 2015, fornendo anche la documentazione in merito alla relazione sulla ricognizione effettuata e alle proposte eventualmente formulate;
   se non intenda rendere noti gli atti prodotti e i risultati del lavoro svolto da parte del Comitato citato in premessa;
   quali provvedimenti ulteriori siano stati assunti al fine di prevenire ulteriori fenomeni corruttivi all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri. (4-09463)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nonostante le ripetute dichiarazioni ottimistiche del Governo circa la riforma del lavoro, la cosiddetta «volta buona» del Presidente del Consiglio Renzi all'interrogante sembra consistere in una concreta svalutazione del mercato del lavoro, operata attraverso l'abbattimento delle tutele dei lavoratori e la compressione dei salari, lasciando invariato lo scenario del mercato del lavoro italiano caratterizzato da profonda precarietà;
   emerge dai dati dell'Inps, presentati in questi giorni nel bollettino dell'Osservatorio sul precariato, che le retribuzioni mensili dei neoassunti con e senza tutele crescenti sono diminuite mediamente dello 0,3 per cento rispetto a quelle dei colleghi assunti un anno fa: i lavoratori interessati da trasformazione di un contratto a termine in uno a tempo indeterminato guadagnano il 2,9 per cento in meno;
   sempre secondo i dati dell'Inps, nei primi quattro mesi del 2015, al netto delle cessazioni, il numero dei rapporti a tempo indeterminato è di 137.471 unità; a questi vanno affiancate le trasformazioni dei contratti da tempo determinato e apprendistato in tempo indeterminato, pari a 221.251: ciò conferma che l'aumento del tempo indeterminato è trainato dalle conversioni e non da nuove assunzioni nette; la quota di trasformazioni infatti è il 62 per cento del totale tra gennaio ed aprile, mentre, se si guarda anche solo marzo e aprile, supera comunque la metà dei contratti ed è pari al 57 per cento;
   sembra che gli effetti degli sgravi del Governo stiano premiando le imprese lasciandole libere di sostituire il lavoro stabile con quello meno stabile (le tutele crescenti): proprio per i mesi in cui il contratto a tutele crescenti doveva trainare l'aumento dei rapporti di lavoro, si scopre che gli sgravi aumentano in termini percentuali rispetto ai primi due mesi del 2015; infatti, in termini assoluti, ad aprile e marzo con le tutele crescenti in vigore ed escluse le trasformazioni, il numero di contratti che hanno beneficiato degli sgravi è pari a 184.787, a fronte di 86.602 contratti netti, per cui o le imprese hanno già licenziato qualche neoassunto a tutele crescenti dopo aver richiesto gli sgravi, oppure hanno licenziato lavoratori stabili per sostituirli con nuovi lavoratori a tutele crescenti usufruendo degli sgravi;
   secondo i dati consolidati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali relativi alla durata dei contratti cessati dopo 40 giorni dalla chiusura del trimestre, non si nota alcun miglioramento qualitativo degno di nota: si registra un aumento totale di 30.967 rapporti di lavoro al netto delle cessazioni rispetto al primo trimestre del 2014, tuttavia l'incidenza del contratto a tempo indeterminato sul totale dei nuovi rapporti netti resta limitato (13 per cento): sono i contratti a tempo determinato quelli più diffusi, con un'incidenza del 79 per cento sul totale, inoltre il 45 per cento dei contratti cessati nel periodo considerato ha avuto una durata inferiore al mese e il 18 per cento addirittura era di un solo giorno lavorativo;
   a crescere veramente sembrerebbe essere il fenomeno dei «buoni lavoro» e dunque della precarietà: i lavoratori con contratto voucher sono passati da 25 mila nel 2008 a oltre un milione alla fine del 2014, il numero di buoni lavoro è aumentato dunque di 40 volte;
   altro aspetto della precarietà è il fenomeno del part-time involontario che coinvolgerebbe oltre un milione di persone in più nell'ultimo quindicennio e che costituisce un'informazione importante sulla vera composizione dell'occupazione complessiva: laddove non scattano i licenziamenti per riduzione del personale, da molto tempo si susseguono in tutti i territori del nostro paese trasformazioni dei rapporti di lavoro full-time in part-time involontari a 3, 4 o 6 ore di lavoro giornaliere;
   alle donne spetta la quota più significativa di contratti di collaborazione e parasubordinati: le 43 tipologie contrattuali avrebbero dovuto essere riformate con un decreto attuativo, ma ancora non è stato fatto nulla in proposito;
   questa realtà sembra essere in aperto contrasto con le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Renzi secondo il quale bisogna perseverare con maggiore convinzione sulle riforme anche se finora non avrebbero risolto la disoccupazione strutturale e la più che decennale stagnazione dell'industria italiana, mentre sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali;
   i dati del Ministero non forniscono alcun dettaglio sul tipo dei contratti stipulati in ciascun settore e le fasce anagrafiche interessate da ciascuna tipologia contrattuale, informazioni chiave per capire dove va il mercato del lavoro –:
   se il Governo non intenda chiarire la sua posizione circa le criticità del mondo del lavoro italiano sottolineate in premessa, e se non consideri necessario attivarsi in merito e in che modo per combattere il dilagare della precarietà lavorativa e difendere al contempo i sacrosanti diritti dei lavoratori;
   se il Governo non intenda intervenire circa quella che l'interrogante giudica incompletezza dei dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che non forniscono informazioni chiave per capire il vero andamento del mercato del lavoro come la tipologia dei contratti stipulati in ciascun settore e le fasce anagrafiche interessate da ciascuna tipologia contrattuale. (4-09465)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione triestina di Trebiciano, sul Carso, è stata in funzione tra la fine degli anni ’50 e l'inizio degli anni ’70 una discarica di rifiuti solidi urbani a cielo aperto. Dopo la sua dismissione i rifiuti sono stati coperti da uno strato di riporti provenienti da demolizioni e scavi effettuati nella città di Trieste. Tale strato è ormai eroso dagli agenti atmosferici e dalle acque di ruscellamento;
   l'ex discarica di Trebiciano per l'elevata carsificabilità dell'area e per la mancanza di impermeabilizzazione del fondo, costituisce una grave fonte di inquinamento non solo per il terreno ma anche per le acque sotterranee carsiche;
   a circa 500 metri dall'ex discarica si trova l'Abisso di Trebiciano, una delle grotte visitabili più note della zona, nelle cui profondità scorre il fiume sotterraneo Timavo che drena le acque filtrate dalla zona sovrastante ed alimenta poi le sorgenti di S. Giovanni di Duino, nei pressi del mare. Negli ultimi anni durante prolungati periodi di siccità si è reso necessario attingere le acque del fiume per fornire la provincia di Trieste;
   dal 1990, infatti, il Gruppo Grotte del Club Alpinistico Triestino (CAT) ha avviato una campagna d'informazione sulle grotte inquinate, ostruite e distrutte di cui ha regolarmente aggiornato l'elenco, inviato successivamente al Catasto competente;
   attualmente il catasto regionale delle grotte comprende circa 7500 cavità censite e rilevate, 25 delle quali assoggettate a tutela paesaggistica in virtù delle eccezionali caratteristiche di interesse geologico, preistorico e storico, ai sensi del decreto legislativo n. 490 del 1999 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali). Alcune di queste 25 cavità sono prossime alla ex discarica di Trebiciano;
   il 3 luglio del 2000, la Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in missione a Trieste per far luce sul regolare funzionamento delle discariche regionali, ha ascoltato in audizione rappresentanti delle autorità locali e delle imprese interessate nonché il prefetto, il questore, il procuratore distrettuale antimafia e i rappresentanti delle forze dell'ordine del capoluogo giuliano;
   nel corso delle audizioni, sia il prefetto che il questore hanno ridimensionato il fenomeno di infiltrazioni delinquenziali nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, mentre il procuratore distrettuale antimafia, Nicola Maria Pace, ha dichiarato che «la zona di Gorizia, così come quella di Trieste e il Carso in generale, per la loro conformazione geologica costituiscono un luogo ideale per forme di smaltimento clandestine»;
   la Commissione, ricostituita nella XIV legislatura, ha inviato nuovamente a Trieste nel novembre del 2002 una delegazione che ha ascoltato rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e delle associazioni ambientaliste; «durante le audizioni — si legge nel documento finale della Commissione — è stato osservato sia dai componenti della Commissione parlamentare, sia da associazioni ambientaliste il grave inquinamento delle cavità naturali dell'altopiano carsico della provincia di Trieste. L'assessore all'ambiente della provincia di Trieste, in merito, ha evidenziato la determinazione dell'amministrazione nell'affrontare, in modo responsabile, questa delicata emergenza ambientale, ribadendo che, effettivamente, esistono delle vere e proprie discariche nelle grotte del Carso. Negli scorsi decenni, nelle grotte carsiche, è stato scaricato di tutto, dall'olio combusto, durante il periodo del governo militare alleato, a materiale di ogni tipo, anche di natura bellica. [....] Con la Regione, l'amministrazione provinciale ha attivato le necessarie procedure amministrative per definire specifiche convenzioni, anche con associazioni di speleologi, per acquisire ulteriori elementi di valutazione sul reale stato di inquinamento che consentano gli indifferibili interventi mirati, che comunque non potranno prescindere dal diretto coinvolgimento del ministero dell'ambiente»;
   il 21 gennaio 2014 l'interrogante ha presentato una interrogazione, la n. 5-01930, in cui si evidenziava il rischio reale di inquinamento delle falde acquifere del fiume Timavo sottostante all'Abisso di Trebiciano, riportando anche il lavoro svolto dalla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti conclusosi con l'impegno dell'assessore all'ambiente della provincia di Trieste di voler affrontare tale emergenza ambientale;
   da un articolo del Piccolo del 2 febbraio 2014, di poco successivo al deposito dell'interrogazione di cui sopra, si apprendeva che l'assessore all'ambiente del comune di Trieste, Umberto Laureni, a seguito di un incontro avutosi alla presenza del personale del comune, dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, dell'Acegas e dell'Azienda Sanitaria, avesse annunciato che non fosse stata rinvenuta nessuna traccia di inquinamento nelle acque del Timavo collegabili all'ex discarica di Trebiciano e che i controlli fossero costantemente eseguiti;
   da un recentissimo articolo de Il Piccolo dell'11 giugno 2015, si apprende che in una grotta nei pressi della Caverna detta «Abisso di Trebiciano», situata proprio sopra le acque del Timavo, sia catalogata un'altra grotta nella quale il fondo è ricoperto da un lago vischioso di colore nero dovuto alla presenza di idrocarburi, da cui emergerebbero pneumatici e bidoni;
   fino a tempo fa, i camion potevano accedere all'interno della grotta e scaricare direttamente i residui oleosi; a portare nuovamente l'attenzione sul problema è stato il presidente della federazione speleologica triestina, Furio Premiani;
   inoltre, il presidente Premiani, non solo avrebbe espresso timori per le infiltrazioni delle sostanze tossiche presenti nel terreno e probabilmente anche nelle acque sottostanti, ma avrebbe anche denunciato che il comune di Trieste, pur avendo iscritti al bilancio 30 mila euro per censire altre 50 cavità e programmare ulteriori interventi di bonifica, non avrebbe mai avviato le procedure per l'utilizzo dei fondi;
   sempre dall'articolo, si apprende che l'Arpa, dapprima accusata di inerzia dall'assessore all'ambiente del comune di Trieste, abbia annunciato, nei giorni scorsi, la propria disponibilità ad effettuare in laboratorio la caratterizzazione dei campioni eventualmente prelevati nelle cavità, confermando di non essere, però, in grado, di effettuare materialmente i prelievi dei campioni di materiale inquinante e di rifiuti all'interno delle cavità, dove sarebbe possibile la presenza di esplosivi, sostanze asfissianti o tossiche –:
   se sia a conoscenza della problematica espressa in premessa e quali nuovi elementi abbia in possesso;
   se e come intenda agire di fronte ad una situazione sempre più allarmante di inquinamento di un patrimonio naturalistico importantissimo quale le grotte del Carso;
   se ritenga urgente, anche alla luce della documentazione depositata della Commissione bicamerale di inchiesta, avviare dei tavoli di lavoro per organizzare una serie di interventi mirati di salvaguardia dell'ambiente e delle falde acquifere sottostanti alle cavità e alle grotte carsiche di cui in premessa;
   se, proprio per il ruolo attribuito al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare anche dalla Commissione bicamerale, intenda farsi promotore, di concerto con la regione Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni interessati e le associazioni di speleologi, di speciali convenzioni per acquisire ulteriori elementi di valutazione sul reale stato di inquinamento delle grotte carsiche. (5-05804)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991, dando attuazione agli articoli 9 e 32 della Costituzione, si sono dettati i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la regione si istituiscono e delimitano i parchi nazionali in via definitiva. La norma sopracitata, in particolare, all'articolo 9 attribuendo all'Ente Parco personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del Parco e subordinandolo alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede quali sono gli organi necessari dello stesso: un presidente, un consiglio direttivo, una giunta esecutiva, un collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco. Lo stesso articolo 9, inoltre, prevede che il consiglio direttivo debba essere composto da «esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità». All'articolo 24, si prevede che: «in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale preveda, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione ed i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunità del parco». La regione Campania, ad esempio, con la legge regionale n. 33 del 1993, istitutiva di parchi e riserve naturali, detta i requisiti necessari per i soggetti che ambiscono a ricoprire la carica di Presidente di Parco; e, infatti, all'articolo 8 si prevede che il Presidente dell'Ente Parco: «venga nominato dalla Giunta Regionale su proposta degli Assessori alle Foreste, alla Urbanistica e all'Ecologia, sentito il parere delle Commissioni Consiliari competenti ai sensi della Legge n. 26 del 24 aprile 1980 e prescelto tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente e non ricoprano cariche elettive e/o amministrative negli Enti Locali, negli organi di gestione di Enti Regionali nonché cariche elettive regionali, parlamentari ed europee». La giunta regionale dunque deve nominare il presidente in seguito ad una selezione accurata curriculare, basata sulle reali esperienze, assicurandosi che tali soggetti siano «persone distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente». Da tali esempi, che se anche riguardano i parchi regionali sono indicativi di un criterio e un indirizzo chiaro nella valutazione dei curricula e nelle procedure di nomina, è evidente ci si assicuri la scelta al vertice degli enti di soggetti preparati e portatori di una spiccata sensibilità alle tematiche della tutela dell'ambiente e del territorio. È condizione necessaria ma non sufficiente aver condotto studi in materie ambientali o l'aver soltanto intrapreso attività genericamente connesse all'ambiente. La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha affermato che il dato rilevante è l'aver svolto un impegno di durata e rilevanza tale da assurgere ad «elevato elemento di distinzione e specifica qualificazione del soggetto interessato»; l'organo di giustizia amministrativa pone l'accento sulla concretezza e sul rilievo dell'attività svolta. Ed in tal senso anche il Consiglio di Stato ha ribadito la ratio sottolineando la differenza che passa tra attività che possono considerarsi rilevanti e foriere di impegno effettivo da quelle che, al contrario, si configurano solo apparentemente come tali (Consiglio di Stato sentenza 4468/2007);
   ne deriva che non il titolo di studio né una generica attività inerente la tutela dell'ambiente sono elementi sufficienti a consentire ad un soggetto di ricoprire il vertice dell'organizzazione ente parco. Colui che intenda accedere alla carica deve aver svolto un impegno in materia non solo concreto ma anche di qualità superiore alla media. Esemplificativo appare il precedente costituito dalla sentenza 2803/2006 del TAR Campania in cui il giudice amministrativo non ha ritenuto sufficiente considerare come elemento distintivo il solo avere ricoperto la carica di assessore comunale all'ambiente, per essere la stessa «un'esperienza professionale di politica amministrativa e non quindi indicativa di un “particolare impegno nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione del patrimonio pubblico”». L'amministrazione, dunque, nello scegliere la personalità più indicata a ricoprire il ruolo di presidente dell'ente parco deve, anche nel rispetto delle norme e di una consolidata giurisprudenza, vagliare accuratamente gli studi e le esperienze di ciascun candidato considerandone la quantità e la qualità privilegiando colui il quale si è realmente distinto per un impegno attivo nella salvaguardia e nella tutela del territorio –:
   quali iniziative di competenza intende intraprendere per verificare se eventuali procedure di nomina in atto di organi direttivi e presidenziali di Parchi Nazionali siano in linea con quanto disposto dall'articolo 9, comma 4 della legge n. 394 del 1991, ottemperando i principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti dall'articolo 97 della nostra Carta Costituzionale oltre che in linea con i consolidati orientamenti giurisprudenziali delle magistrature amministrative. (5-05805)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Campania, il monitoraggio dello scarico di acque reflue in diversi comuni tra i quali Casalbuono (Salerno), Auletta (Salerno), Teggiano (Salerno), Padula (Salerno), Sassano (Salerno) e Sala Consilina (Salerno), nel parco nazionale del Cilento, ha evidenziato la totale inadeguatezza delle infrastrutture preposte allo smaltimento degli scarichi urbani e industriali;
   molti depuratori di questo esteso territorio sono malfunzionanti ed alcuni versano in totale stato di abbandono permettendo di fatto l'inquinamento delle aree circostanti e lo scarico di fanghi e acque non trattate nel bacino idrografico del fiume Tanagro-Sele, rientrante nell'omonima area naturale protetta riconosciuta dalla regione Campania nel 1993 (http://www.italia2tv.it) –:
   se il Ministro ritenga opportuno promuovere eventuali verifiche e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare in merito. (4-09460)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'unione europea, in primis tende a marginalizzare il ruolo degli inceneritori nel processo di gestione dei rifiuti, contestando in tal senso anche la normativa italiana che riconosce anche ai termovalorizzatori gli incentivi (CIP6 e certificati verdi), riferiti alla produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   la perseveranza nelle scelte a favore dell'incenerimento dei rifiuti è data, in primo luogo, proprio dall'incentivazione tariffaria dell'energia prodotta da tale tipo di impianti prevista dalla normativa italiana, che include i termovalorizzatori tra i beneficiari di incentivi, senza alcuna distinzione tra fonti organiche e fonti non biodegradabili; l'incenerimento dei rifiuti è la pratica con minima sostenibilità nell'ambito della gerarchia europea dei rifiuti, che privilegia invece il recupero di materia;
   in contrasto con le direttive europee, l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, si dispone che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico, fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il primo impianto italiano di incenerimento, funzionale anche al recupero energetico, è l'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti di Padova-San Lazzaro, risalente agli anni ’50 e messo in funzione nel 1962, con potenzialità nominale del forno di 140 t/giorno e generazione di 1,4 MWh/giorno. L'impianto venne successivamente ampliato e modificato per adeguarlo alla normativa sopravvenuta, fino ad assumere l'attuale conformazione; con tre linee di incenerimento, una capacità nominale complessiva di 600 t/giorno di rifiuti e una produzione di energia elettrica (al netto dell'autoconsumo) superiore di 95 GWh/giorno;
   da cronaca di Stampa (Corriere di Verona 10 febbraio 2012) l'ingegnere Sergio Trapanotto, artefice della III linea dell'impianto di San Lazzaro, in occasione della visita di un gruppo di giornalisti veronesi all'inceneritore così dichiara: «mi raccomando si chiama inceneritore non termovalorizzatore, alla gente bisogna dire la verità. La verità è che l'impianto non serve a produrre energia ma a bruciare rifiuti. Ciò che ricaviamo dalla produzione di energia è marginale, non basterebbe a sostenere i costi»;
   il termovalorizzatore di via Manin, a Sesto S. Giovanni, è composto di tre linee d'incenerimento parallele, ciascuna con potenzialità pari a un terzo di quanto autorizzato, che consentono di produrre energia elettrica (che, per la parte eccedente gli autoconsumi interni, è ceduta alla rete elettrica nazionale) ed energia termica (che è utilizzata per il teleriscaldamento della città di Sesto San Giovanni). Esso, seppur di taglia piccola, ha le migliori tecnologie di settore e dal 2004 è gestito direttamente dalla società CORE, proprietaria dell'impianto. In totale, vengono trattate nell'impianto di via Manin circa. 70.000 t/anno. Complessivamente la popolazione equivalente servita dal termovalorizzatore CORE può essere stimata in circa 350.000 abitanti;
   come è noto, a partire dal 21 settembre 2010 è scaduta la convenzione CIP6/92 e, quindi, l'impianto di Sesto S.Giovanni è passato alla condizione di autoconsumo dell'energia prodotta e necessaria al suo funzionamento, cedendo la quota residua ai prezzi del mercato libero dell'energia elettrica;
   il 27 settembre 2012 al lab-meeting di Ravenna «no Ambiente», la dottoressa Anna Moretto, facente parte dell'Ente di Bacino Padova 2, durante la presentazione dell'analisi sulle tariffe degli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, mette, in risalto, nello specifico dell'impianto di incenerimento di Padova, come su una quantità di energia prodotta nell'anno 2010 pari a 15.275.616 kWh, 8.241.318 kWh sono utilizzati per autoconsumo per il funzionamento dell'impianto di incenerimento, 6.794.336 kWh sono ceduti al gestore dell'impianto di produzione CDR e compost presenti nell'impianto stesso e i rimanenti 239.962 kwh sono ceduti in rete al Gestore Rete Trasmissione Nazionale (GRTN);
   il caso degli inceneritori di Padova e di Sesto San Giovanni porta a ipotizzare come la produzione energetica da incenerimento dei rifiuti costituisca una modalità non sostenibile di gestione dei rifiuti stessi anche sul versante energetico; risulta infatti che oltre all'autoconsumo diretto, una porzione cospicua dell'energia prodotta venga spesa in impianti connessi alla selezione dei rifiuti per l'immissione nell'inceneritore stesso (CDR) e va chiarita l'eventuale incentivazione della produzione di questa quota energetica (dai dati della professoressa Moretto sembrerebbe più redditizio il consumo da parte degli impianti della filiera che la cessione in rete);
   in Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti, tramite incenerimento sono indirettamente sostenuti dagli enti governativi e territoriali sotto la forma di incentivi alla produzione di energia elettrica, da fonte rinnovabile;
   le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse: pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6); riconoscimento di «certificati verdi» che il gestore dell'impianto può rivendere (per 12 anni) –:
   se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, siano a conoscenza della situazione esposta;
   se i Ministri, per quanto di competenza, non ritengano di assumere opportune iniziative di monitoraggio e revisione della normativa in materia di erogazione degli incentivi per le energie rinnovabili, con particolare riferimento agli incentivi economici riconosciuti ai gestori degli impianti di incenerimento di rifiuti (CIP6 e «certificati verdi») per la mera cessione in rete dell'energia prodotta al GRTN, attraverso attenta valutazione della reale quantità di energia ceduta in rete, dell'energia autoconsumata o utilizzata negli impianti della stessa filiera, dell'indice di ritorno energetico (EROEI) e della valutazione economica globale dell'incenerimento dei rifiuti;
   se i Ministri, considerate le criticità su emerse, in virtù del principio di sostenibilità economica degli impianti di incenerimento, non ritengano necessario assumere opportune iniziative di verifica e comparazione economica durante il tempo in cui sono stati erogati gli incentivi per le energie rinnovabili e dopo la scadenza di tale stanziamento (CIP6 e «certificati verdi»);
   se i Ministri, per quanto di propria competenza, posta la complessità della gestione dell'intera rete d'incenerimento dei rifiuti sul territorio nazionale, a fortiori per effetto della individuazione degli stessi come infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, anche in virtù delle criticità emerse nei casi di Padova e di Sesto San Giovanni, non ritengano opportuno disporre verifiche sugli esiti delle attività di produzione energetica, atte a dimostrare la reale necessità di garantire la sicurezza nazionale attraverso la a gestione dei rifiuti finalizzata all'autosufficienza, affinché essa stessa non comporti il depauperamento delle risorse economiche e ambientali necessarie alla realizzazione della filiera virtuosa dei rifiuti. (4-09471)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PLACIDO, PIRAS, QUARANTA, KRONBICHLER, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, SCOTTO, FRATOIANNI, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia spa è un'agenzia attiva nell'assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, in particolare svolgendo attività di formazione e promozione turistica;
   è controllata al 100 per cento dall'agenzia nazionale del turismo, l'Enit, e quindi dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   con la «legge Franceschini» del luglio 2014 la società è stata messa in liquidazione e rischia il fallimento;
   con precedente atto di sindacato ispettivo (seduta 309 del mese di ottobre 2014, atto n. 4-06385), a firma dei deputati Ferrara e Ricciatti, si segnalava già la difficile situazione dell'Agenzia Promuovi Italia, chiedendo al Governo se intendesse intervenire in maniera tempestiva al fine di fare chiarezza sulla vicenda e se intendesse assumere i conseguenti provvedimenti;
   con atto sottoscritto il 30 marzo 2015 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha prorogato al 30 aprile 2015 il «termine per la conclusione dei lavori della Commissione di indagine amministrativa stabilito all'articolo 1 del decreto ministeriale 10 ottobre 2014»;
   ad oggi non sono stati ancora resi noti gli, esiti dell'indagine amministrativa suddetta;
   un recente articolo apparso l'8 giugno 2015, sulla rivista Wired.it, a firma del giornalista Arturo Di Corinto, ha segnalato le recenti evoluzioni della vicenda, aggravatesi al punto che la società è sotto sfratto dalla sede dove opera e deve risarcire «centinaia di migliaia di euro agli ex dipendenti»;
   dall'articolo citato si apprende, anche, che la società Promuovi Italia spa ha presentato domanda di concordato preventivo che, qualora venisse ammesso dal tribunale, costituirebbe un evidente e grave pregiudizio per i numerosi creditori, tra i quali i dipendenti della società stessa, i quali non verrebbero soddisfatti dei loro crediti, se non in minima parte;
   la direttiva tecnica generale DSCT 0004361 P del 16 marzo 2011, a firma dell'allora Capo del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri Caterina Cittadino, in premessa, chiarisce il «potere di indirizzo e di cosiddetto “controllo analogo” che il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo esercita su Promuovi Italia spa, società in house del Dipartimento [...]» –:
   se il Ministro sia in grado di rendere noti gli esiti dell'indagine amministrativa promossa con il decreto ministeriale 10 ottobre 2014, o comunque di fornire chiarimenti sui fatti richiamati in premessa;
   se non ritenga di dover fornire chiarimenti circa le responsabilità in ordine alla garanzia dei debiti contratti da Promuovi Italia spa, considerato il potere di cosiddetto «controllo analogo» che il dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo esercita su Promuovi Italia. (4-09472)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 331 del 1993 ha introdotto nel nostro ordinamento nuove norme in materia di IVA, al fine di adeguare la disciplina previgente a quelle indicata dalle direttive CEE in materia di armonizzazione comunitaria di IVA. Gli scambi di merci, dunque, non costituendo più esportazioni ed importazioni, sono stati classificati semplicemente quali scambi intracomunitari tra soggetti passivi appartenenti a diversi Stati membri dell'Unione europea, non imponibili nel Paese del cedente, per essere assoggettati ad IVA nel Paese di destinazione dei beni da parte del cessionario;
   l'operazione intracomunitaria ha per oggetto la cessione di beni trasportati da uno Stato membro ad un altro e deve sussistere un trasferimento fisico del bene da uno Stato membro ad un altro, poiché, in assenza di trasferimento fisico, l'operazione si considera interna, quindi imponibile ad IVA. Inoltre l'operazione intracomunitaria deve essere realizzata tra soggetti passivi IVA nei rispettivi Stati di residenza;
   questo regime, però, se associato con il meccanismo del reverse charge, ossia l'inversione contabile, soprattutto dopo l'ultima estensione operata dalla finanziaria 2015, può costituire un viatico per aggirare il pagamento dell'imposta con grave pregiudizio per le aziende italiane;
   la Federazione delle industrie per le costruzioni, la Finco, ha denunciato, infatti, come questo accada quasi regolarmente nelle forniture di prodotti da costruzione per cui, secondo procedure del tutto legali, si permette alle imprese di costruzione e ai rivenditori italiani, ma non ai privati cittadini, di acquistare prodotti dall'estero al netto dell'IVA;
   è dunque possibile, anzi ormai è un fenomeno frequente, che un'impresa di un altro Paese europeo venda prodotti da costruzione, sgravati dell'imposta, ad un'impresa italiana che a sua volta si autofattura l'IVA ed entro un mese, avvalendosi del reverse charge fra Stati, si fa annullare l'imposta;
   questo meccanismo genera sicuramente un'alterazione molto forte della concorrenza perché permette di avere un vantaggio, per le imprese che operano in questa maniera, pari fino al 23 per cento ed ha contribuito ad aumentare notevolmente il volume delle importazioni di prodotti da costruzione da Paesi comunitari, facendo diminuire, di rimando, il fatturato delle imprese italiane di questo settore;
   se è comprensibile che si provveda, in un regime di mercato comune, a favorire gli scambi intracomunitari, la ratio universale che dovrebbe guidare l'Unione europea e i singoli Stati dovrebbe però essere quella di una razionale ed efficace armonizzazione delle imposte sul valore aggiunto, che ancora oggi soffrono di significative sperequazioni fra i vari Paesi, al fine di garantire in maniera certa la libera concorrenza in condizioni di assoluta parità;
   ciò che rileva qui, in maniera particolare, è come siano delle procedure del tutto legali a permettere alle imprese di alcuni Paesi europei di acquisire un vantaggio così importante sulle aziende nazionali; vantaggio, questo, che si aggiunge alla maggiore concorrenzialità di prezzi di cui le prime possono godere, grazie alla diversa fase di sviluppo economico dei loro Paesi;
   l'Europa e i suoi membri dovrebbero invece farsi carico, nel rispetto dei principi di mercato unico in libera concorrenza, di realizzare una vera armonizzazione con lo scopo di permettere ad ogni impresa, indipendentemente dal Paese di appartenenza, di operare con le stesse possibilità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire sulla normativa vigente, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di rivedere, nel rispetto dei principi comunitari, la disciplina relativa al reverse charge nel settore edile, con lo scopo di non svantaggiare le imprese nazionali, come specificato in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga utile intentare, nell'ambito delle proprie competenze, un'opera di persuasione presso le opportune sedi europee al fine di raggiungere la piena armonizzazione dell'imposta sul valore aggiunto che, come specificato in premessa, in un mercato di vera concorrenza, dovrebbe essere stabilita in importo uguale in tutti i Paesi della zona euro. (4-09462)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'Azienda provinciale regionale n. 5 di Reggio Calabria il commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro, ingegner Massimo Scura, nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha il mandato di «conclusione della procedura di regolarizzazione delle poste debitorie» relativa agli anni 2001-2014;
   nel corso delle riunioni tra i vertici dell'azienda e la struttura commissariale sono state rappresentate dall'azienda sanitaria le difficoltà sorte nel processo di liquidazione e pagamento delle partite debitorie pregresse e, nello specifico, sono state comunicate le criticità derivanti dal rischio di pagamenti ripetuti riferiti agli stessi documenti contabili;
   sono state esposte le risultanze dell'attività di riconciliazione del debito pregresso dell'ASP di Reggio Calabria, condotta, nel corso del 2014, dall'azienda con il supporto dell'Advisor contabile della regione, individuando tutte le casistiche presenti nel partitario dell'Azienda sanitaria provinciale pari a 523 milioni di euro;
   il suddetto commissario ad acta ha affidato l'incarico di soggetto attuatore al dottor Pietro Evangelista al fine di portare a termine l'attività di riconciliazione del debito pregresso presso l'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, garantire l'allineamento del partitario fornitori e superare numerose criticità di carattere organizzativo e procedurale che hanno prodotto e producono ancora oggi, effetti diretti nella contabilizzazione, liquidazione e pagamento dei documenti passivi, nonché nella gestione contabile degli atti ingiuntivi di assegnazione;
   con legge regionale n. 9 del 2007 si è proceduto all'accorpamento in Calabria delle aziende sanitarie ex n. 9 di Locri ed ex n. 10 di Palmi con la ex n. 11 di Reggio;
   tale fusione in un primo momento ha escluso la Asl di Locri perché commissariata per infiltrazioni mafiose e, successivamente, anche la neonata Asp di Reggio è stata commissariata con Decreto del Presidente della Repubblica del 19 marzo del 2008;
   il Consiglio dei ministri ha nominato il prefetto Massimo Cetola generale di corpo d'armata dei carabinieri, commissario unico con poteri speciali dell'Azienda sanitaria provinciale reggina il quale, dopo aver lasciato l'incarico nel 2010, dichiarò che il Banco di Napoli, fino al 2008 tesoriere dell'Asp, procedeva a pignoramenti anche quando la norma impediva di intaccare le risorse destinate al pagamento degli stipendi;
   la struttura commissariale sarà impegnata nelle non semplici operazioni di ricognizione del debito di cui gli interessi della ’ndrangheta in settori redditizi dell'economia calabrese e nazionale, e la sanità – con una spesa annuale di 3.3 miliardi di euro – rappresentano una parte notevole –:
   se i Ministri interrogati intendano intervenire per prevedere un supporto per il lavoro dei Commissari all'Asp di Reggio da parte di un nucleo speciale della Guardia di Finanza predisponendo misure più efficienti dirette a fare chiarezza su quanto è accaduto in quegli anni. (4-09467)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la signora Moira Sesto nata a Lentini (SR) il 1o luglio 1976 è deceduta il 17 maggio 2006 a seguito di incidente stradale nel quale venne coinvolta l'autovettura dove la stessa era trasportata;
   in conseguenza di tale sinistro stradale si è instaurato un procedimento penale nei confronti di Alex Cordaz, nato a Vittorio Veneto (TV) il 1o gennaio 1983 – conducente dell'autovettura nella quale era trasportata la signora Moira Sesto;

   con sentenza n. 69/2010 del tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Lentini il signor Alex Cordaz è stato ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo aggravato (articolo 589 e 61 n. 3 – c.p.) e condannato alla pena di anni 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite;
   la corte di appello di Catania, 2a sezione penale, sull'appello dell'imputato, con sentenza n. 2849/D del 6 dicembre 2011, ha confermato tale condanna;
   la Corte di cassazione con sentenza n. 1761/2013 del 17 ottobre 2013 ha rigettato il ricorso proposto dall'imputato, sancendo così la definizione del giudizio e l'intangibilità del decisum;
   non è mai stato emesso l'ordine di carcerazione nei confronti di Alex Cordaz;
   con decreto del 14 gennaio 2014, infatti, la procura della Repubblica presso il tribunale di Siracusa ha sospeso l'esecuzione della pena ai sensi dell'articolo 656, comma 5 codice di procedura penale;
   con ordinanza n. 797/2014 del 2 aprile 2014 (n. 3463/2013N.SIUS), il tribunale di sorveglianza di Catania ha ordinato l'affidamento in prova al servizio sociale di Alex Cordaz con le seguenti prescrizioni: «Determina la competenza dell'Ufficio di Sorveglianza di Venezia»; Dispone che la presente ordinanza abbia efficacia immediata e che il predetto istante osservi le seguenti prescrizioni, sottoscrivendo il relativo verbale di sotto posizione:
    1. Si presenterà entro dieci giorni dalla notifica di questo provvedimento al Direttore dell'UEPE di Venezia, munito di copia della presente ordinanza e manterrà contatti, tenuto conto delle esigenza di occupazione, educativa e lavorativa, col predetto Ufficio con le modalità dallo stesso stabilite, rendendosi sempre reperibile;
    2. Fisserà la propria dimora nel comune di Cordignano, via Da Camino, n. 8, con l'obbligo di non mutarla senza previa comunicazione all'assistente sociale e autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza;
    3. Non potrà allontanarsi dal comune di Cordignano senza l'autorizzazione del Magistrato di Sorveglianza o, in caso di urgente necessità, dell'Autorità di P.S. locale;
    4. Non uscirà dalla propria abitazione prima delle ore 7.00 e dopo le ore 21.00, salvo giustificato motivo;
    5. È obbligato a svolgere e a mantenere l'attività comportandosi in modo rispondente alla vigente normativa in materia di lavoro;
    6. Svolgerà attività a favore della collettività presso la cooperativa «Insieme si può» di Treviso, all'uopo resasi disponibile;
    7. Si asterrà dall'accompagnarsi a persone pregiudicate o sospette per condotta e moralità e dal frequentare sale da gioco, spacci di bevande alcooliche e locali pubblici in genere;
    8. Porterà sempre con sé copia del provvedimento che esibirà a richiesta delle forze dell'ordine;
   Alex Cordaz è calciatore professionista e lo stesso dal 19 ottobre 2013 al 7 dicembre 2013 e successivamente dal 5 aprile 2014 al 17 maggio 2014 si trovava in Slovenia, militando nella squadra di calcio del NO Gorica e partecipando agli incontri di calcio nei quali era impegnata la suddetta formazione;
   Alex Cordaz soltanto il 27 giugno 2014 sottoscriveva, presso la sede dell'UEPE di Treviso il verbale delle prescrizioni contenute nell'ordinanza di concessione dell'affidamento in prova n. 797/2014 (3464/2013-N.SIUS) del Tribunale di Sorveglianza di Catania del 2 aprile 2014;
   il 10 luglio 2014 Alex Cordaz si trasferiva a Parma per motivi di lavoro avendo sottoscritto con la locale squadra di calcio F.C.PARMA, militante nella Serie A del campionato di calcio professionisti nell'anno 2014/2015,un contratto di lavoro fino al 30 giugno 2018;
   nel corso di tale militanza sportiva Alex Cordaz risulta avere partecipato dal 31 agosto 2014 al 18 dicembre 2014 a diversi incontri di calcio, anche in trasferta (Cesena 31 agosto 2014; Verona 21 settembre 2014; Udine 29 settembre 2014; Bergamo 19 ottobre 2014; Torino 29 ottobre 2014; Torino 9 novembre 2014: Palermo 30 novembre 2014: Napoli 18 dicembre 2014);
   nel gennaio del 2015 infine Alex Cordaz si trasferiva a Crotone avendo stipulato un contratto di variazione di tesseramento temporaneo con la società calcistica CROTONE militante nella Serie «B» con contratto in scadenza il 30 giugno 2015;
   risulterebbe che soltanto il 5 ottobre 2015 il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia ha autorizzato tale trasferimento territoriale pur mantenendo la giurisdizione sulla misura alternativa in corso;
   Alex Cordaz ha beneficiato della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio poiché tale misura è stata «...ritenuta idonea al suo recupero sociale...» – ritenuto che – «...lo stesso ha avviato una adeguata revisione critica del proprio vissuto deviante, ha risarcito i familiari della persona offesa, è positivamente orientato, lavora, guadagnandosi onestamente da vivere, ed inoltre si è reso disponibile a svolgere attività di volontariato a favore della collettività presso la cooperativa “Insieme si può di Treviso”»;
   dopo la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Catania, però, da quanto accertato Alex Cordaz ha cambiato per ben tre volte il proprio domicilio; continua a spostarsi per tutto il territorio nazionale ed all'estero, conservando una grande libertà di movimento;
   si è addirittura, trasferito da Parma a Crotone (dal 9 gennaio 2015) un mese prima che il giudice dell'esecuzione di Reggio Emilia lo autorizzasse a tale trasferimento (il giudice ha provveduto solo in data 5 febbraio 2015);
   non è dato sapere dove svolga Alex Cordaz, in atto attività di volontariato a favore della collettività, dato che, contrariamente a quanto riportato nelle prescrizioni non ha mai svolto attività di volontariato presso la cooperativa «insieme» di Treviso – condizione ritenuta necessaria dal tribunale di sorveglianza di Catania per il raggiungimento delle finalità di rieducazione e non è comprensibile allo stato chi svolga il controllo circa l'osservanza delle prescrizioni dettate dal medesimo tribunale di sorveglianza di Catania, come, eventualmente, modificate dai giudici di sorveglianza che hanno avuto l'onere del controllo;
   da quanto sopra esposto, emergerebbe che Alex Cordaz avrebbe violato le prescrizioni impartite con l'ordinanza che lo ha affidato in prova ai servizi sociali;
   i familiari della giovane vittima hanno inviato richiesta di chiarimenti al CSM, Al Ministero della giustizia, al procuratore generale presso la Corte di cassazione, al procuratore generale presso la corte di appello di Bologna, procuratore generale presso la corte di appello di Catanzaro, al giudice di sorveglianza di Reggio Emilia, non ottenendo alcuna risposta – ed hanno sporto denuncia presso i carabinieri di Catania al fine di verificare se il Cordaz si era reso responsabile della non attuazione delle prescrizioni giudiziarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se non intenda svolgere, nell'ambito delle proprie competenze, le verifiche necessarie, al fine di adottare le eventuali ulteriori iniziative di competenza. (5-05802)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcune testate di informazione locale hanno rilevato come la mensa di servizio per il personale di Polizia penitenziaria, presso la casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino (C.C.L.C), peraltro evidenziato nelle diverse sedi istituzionali, più volte, dal sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), presenta gravi carenze igienico-sanitarie;
   l'organizzazione sindacale OSAPP ha più volte segnalato al direttore della casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino, le gravi carenze igienico-sanitarie della mensa di servizio al personale di Polizia penitenziaria, che si sostanziano, a titolo esemplificativo, in: «... il personale che distribuisce frutta, posate e acqua non indosserebbe mai i guanti e pertanto toccherebbe bottiglie, cassette d'acqua ... contemporaneamente alla frutta. ... i cucchiai non sono confezionati e verrebbero forniti da quelle stesse mani (senza guanti ! ! ! ! ! ! ! !) che avrebbero prima toccato imballaggi e bottigliette ... gli addetti alla distribuzione del cibo cucinato indosserebbe i guanti durante il servizio ... i piatti pronti di affettati vari, formaggi e verdure sarebbero esposti, per tutto l'orario di apertura della mensa, senza alcuna protezione e copertura per esempio di pellicola, su tavoli e non contenuti in luogo refrigerato ... parrebbe che la commissione mensa si presenti per i controlli soprattutto verso metà della mattinata e mai durante la somministrazione dei pasti per controllare quantità, qualità, modalità di cottura e di somministrazione dei cibi — stralcio lettera OSAPP segreteria provinciale di Torino del 4 giugno 2015 —»;
   inoltre anche il vestiario e l'equipaggiamento in dotazione al personale di Polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e la Valle d'Aosta, risulta, come segnalato dal sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), carente, infatti, come segnala il sindacato in parola, il personale di polizia penitenziaria «... incontra non poca difficoltà per vestirsi e spesso ricorre a negozi di fortuna per approvvigionare capi simili all'uniforme ordinaria tanto che, a volte, si sfiora il ridicolo per l'immagine del Corpo stesso — stralcio lettera OSAPP segreteria regionale Piemonte-Valle d'Aosta del 4 giugno 2015 —»;
   a tali gravi carenze igienico-sanitarie, di mancanza delle dotazioni di vestiario, nonché di vetustà e la grave usura — stante il notevole chilometraggio — dei mezzi di servizio in dotazione al corpo di polizia penitenziaria per il trasporto dei detenuti, si aggiungono anche altre problematiche, tra cui il gravissimo stato di dissesto del manto stradale della via adiacente all'ingresso alla casa di reclusione in parola, tutte problematiche che evidentemente non consentono, al personale di polizia penitenziaria, di poter svolgere con diligenza i ruoli e i compiti a loro affidati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative, anche di natura emergenziale, intenda adottare, in particolare per garantire che vengano immediatamente ripristinate le condizioni igienico-sanitarie della mensa di servizio al personale di polizia penitenziaria della casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino, e siano restituiti il decoro e la necessaria provvista del vestiario e dell'equipaggiamento in dotazione al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e la Valle d'Aosta. (4-09464)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2014 è stato sottoscritto ad Arezzo, dagli assessori regionali alle infrastrutture e ai trasporti della regione Toscana Vincenzo Ceccarelli e della regione Umbria Silvano Rometti, l'accordo tra la Toscana e l'Umbria per la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione Medioetruria per l'alta velocità sul tracciato della direttissima Roma-Firenze;
   tale stazione, già prevista nei piani dei trasporti delle due regioni, dovrebbe servire un bacino di un milione di persone tra Umbria e Bassa Toscana, riguardante le province di Arezzo, Siena e Perugia, e dovrebbe intercettare almeno il 10-12 per cento dei circa 180 treni transitanti ogni giorno su questa tratta;
   l'intesa sottoscritta, oltre a prevedere la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione sia dal punto di vista strutturale che economico, con il calcolo dei costi e benefici, nonché con l'indicazione con precisione del punto in cui sarà realizzata qualora il progetto venisse accettato, ha stabilito il varo di uno specifico tavolo tecnico composto da rappresentanti di entrambe le regioni per effettuare i primi approfondimenti sulla questione;
   sebbene l'accordo non faccia riferimento alla possibile ubicazione della stazione, questa dovrebbe comunque essere realizzata in Valdichiana, circoscritta nel territorio tra Chiusi e Arezzo. «La nuova stazione proposta – si legge nell'accordo – dovrà essere localizzata in un punto che presenti idonee caratteristiche di accessibilità possibilmente multimodali rispetto al bacino di traffico da servire». Dovrà quindi essere un punto strategico rispetto alla rete ferroviaria ma anche in relazione a quella stradale, possibilmente correlato agli interventi di potenziamento in corso tra cui quelli legati al completamento della Due mari. «Quel che è certo – ha commentato l'assessore toscano Ceccarelli – è che di questa fermata potranno beneficiarne sia i cittadini umbri, che quelli di Arezzo e Siena, ma credo che potrà avere ripercussioni positive anche per i grossetani»;
   per l'assessore regionale ai trasporti dell'Umbria, Silvano Rometti, «il protocollo rappresenta un ulteriore passo avanti nell'attuazione delle scelte compiute con il Piano dei Trasporti e in questo quadro la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze, a servizio dell'Alto Lazio, dell'Umbria e della Bassa Toscana, costituisce una scelta strategica per la nostra regione. L'Umbria non può e non deve rimanere isolata dai collegamenti ferroviari che sono il futuro della mobilità, come più volte ribadito dalla stessa Unione europea. Da tempo c’è stato un proficuo lavoro con il Governo, con le istituzioni interessate ed incontri pubblici per rendere concreta la realizzazione della nuova stazione Medioetruria di cui ora andranno meglio definiti progettazione, modalità e costi perché possa diventare un efficace snodo strategico del sistema dei trasporti, collegato alle principali vie di comunicazione nazionali e capace di intercettare un numero congruo di treni ad alta velocità sulla direttrice Roma-Milano». «Al momento però, – ha aggiunto l'assessore – resta tutto da definire: tempi, costi, localizzazione e progettazione verranno definiti solo nei prossimi mesi. Dobbiamo pensare ad una logica di insieme che vada fuori dai confini della nostra Regione. Queste sono strutture di grande impatto non solo economico e infrastrutturale, ma anche turistico»;
   la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma dovrebbe rappresentare uno snodo strategico per le regioni Umbria e Toscana per sostenere lo sviluppo dei rispettivi territori, delle imprese e del turismo, nonché per garantire servizi più efficienti per la mobilità dei cittadini;
   l'esempio di Medioetruria vanta un precedente significativo. Da circa un anno è infatti operativo a Reggio Emilia Mediopadana, l'unico scalo viaggiatori intermedio tra le stazioni di Bologna e Milano, costato circa 70 milioni di euro, mentre il costo ipotizzabile per la fermata toscana dovrebbe essere di poco più della metà. Attualmente sia Trenitalia sia Nuovo Trasporto Viaggiatori servono la stazione Mediopadana con diversi collegamenti al giorno attraverso treni ad alta velocità. La realizzazione di Medioetruria dovrebbe svolgere la stessa funzione collocandosi come unico scalo di alta velocità intermedio tra Roma e Firenze e servendo un bacino potenziale di un milione di persone;
   secondo l'intesa raggiunta nel luglio 2014, a settembre dello scorso anno è stato conferito l'incarico per studiare la fattibilità trasportistica e commerciale di questa opera infrastrutturale, i cui risultati avrebbero dovuto essere prodotti entro gennaio 2015, ed è stato richiesto al Governo di inserirla nel XII allegato alle infrastrutture, in cui si fissano le priorità concordate tra Governo e regioni;
   nello scorso mese di dicembre si è insediato il tavolo tecnico composto da rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, delle università di Perugia, Siena e Firenze e di «Rfi», che entro qualche mese, compiute le dovute valutazioni e approfondimenti, avrebbe dovuto indicare il luogo più idoneo in Valdichiana per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma;
   compito del tavolo incaricato della fattibilità del progetto per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma è valutare se Umbria e Bassa Toscana possono legittimamente ambire ad uno scalo che potrebbe rivelarsi strategico per un territorio oggi tagliato fuori dai collegamenti veloci nord-sud e dall'evoluzione del trasporto ferroviario;
   durante la presentazione del tavolo tecnico, l'assessore alle infrastrutture e ai trasporti della regione Umbria Rometti ha spiegato che «la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze, presumibilmente sorgerà nel tratto tra Chiusi e Arezzo, sarà a servizio dell'Alto Lazio, dell'Umbria e della Bassa Toscana, in un'area importante per entrambi i territori». Le ipotesi sono essenzialmente due: la prima, preferita dalle istituzioni regionali, riguarda il tratto tra Rigutino e Arezzo, quindi molto vicino al capoluogo toscano; la seconda, invece, molto più vicino a Chiusi, come chiedono a gran voce molti sindaci delle province di Perugia e Siena;
   spetterà quindi al tavolo tecnico determinarne la collocazione ottimale sulla base di valutazioni di carattere trasportistico, di accessibilità generale ed in relazione all'attuale rete ferroviaria, stradale ed alle sue prospettive di potenziamento e sviluppo nell'ambito interessato, tra cui la E78;
   il 14 maggio 2015 a Firenze, alla presenza dei rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, si è riunito il tavolo tecnico e, per la prima volta, alla riunione hanno partecipato rappresentanti ai massimi livelli dei due gestori delle linee dell'Alta velocità: Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia, ed Emanuele De Santis e Francesco Fiore, dirigenti di Ntv, Nuovo trasporto viaggiatori;
   da un'analisi delle potenzialità del nuovo scalo, è emerso come il bacino di interesse della stazione, pari a circa due milioni e mezzo di potenziali utenti, avrebbe dimensioni analoghe a quello della stazione Mediopadana che è stata realizzata in Emilia Romagna. Ed anche per questo il progetto per la realizzazione della stazione Medioetruria, il nuovo scalo intermedio tra Firenze e Roma, incontra il pieno interesse dei due operatori dell'alta velocità, Trenitalia e Ntv. I rappresentanti di Rfi hanno sottolineato «l'interesse a tutti i progetti di sviluppo finalizzati a migliorare la qualità dei servizi ferroviari e a promuovere il riequilibrio del rapporto modale fra gomma e ferro. Per questo mettiamo a disposizione le competenze tecniche utili a sostenere la realizzazione di questo progetto»;
   a questo primo riscontro seguiranno altri approfondimenti volti a comprendere meglio non solo le dimensioni del bacino per i residenti, ma anche la sua attrattività sotto il profilo turistico. In parallelo il tavolo tecnico continuerà a lavorare sulla possibile localizzazione della stazione: l'esito conclusivo dei lavori del tavolo, infatti, consisterà nell'individuazione di alcuni siti di cui si evidenzieranno potenzialità e criticità;
   secondo quanto affermato dalla Presidente della regione umbra Catiuscia Marini nello scorso mese di dicembre, in occasione dell'insediamento del tavolo tecnico, «Il collegamento all'alta velocità ha un interesse strategico per l'Umbria, è uno snodo fondamentale per il futuro della regione, per la mobilità dei cittadini, per le imprese e per il turismo. L'alta velocità rappresenta uno strumento indispensabile per rompere l'isolamento dell'Umbria verso l'esterno e, soprattutto, verso Milano ed il nord del Paese. La realizzazione di Medioetruria consentirà di superare questo gap infrastrutturale, mettendo in condizione gli utenti di raggiungere agevolmente il capoluogo e di dirottare su questa tratta ferroviaria i turisti che, per l'85 per cento, gravitano sull'asse Perugia, Assisi, Trasimeno. Sarà di fondamentale importanza anche per la scelta delle sedi universitarie, in parte dipendenti dai servizi ferroviari offerti e dai collegamenti con altre infrastrutture, tra cui quelle aeroportuali»;
   l'accordo sul progetto dello Medioetruria ha sollevato, tuttavia, alcune voci di dissenso da parte alcune istituzioni dell'Umbria e da parte del «Comitato Ultimo treno» che, in alternativa, propone di valorizzare la linea trasversale Ancona-Perugia-Roma, con transito interno all'aeroporto di Perugia;
   le critiche riguarderebbero il fatto che la regione Toscana userebbe l'accordo con l'Umbria per rafforzare il proprio sistema ferroviario regionale a danno di quello umbro, che vedrebbe gran parte del territorio tagliato fuori dalle ricadute positive derivanti dal passaggio dei convogli dell'alta velocità;
   inoltre, la spesa dell'opera infrastrutturale pari a 30 milioni di euro è soltanto un'ipotesi e potrebbe addirittura crescere in fase di realizzazione, tutto ciò per avere una stazione dell'Alta velocità a circa 50 chilometri da Perugia che potrebbe rivelarsi un'ulteriore opere inutile ai fini dello sviluppo infrastrutturale dell'Umbria –:
   se, a fronte dei dati relativi alla MedioPadana cui si fa continuo riferimento come termine di paragone per il progetto MedioEtruria e che sono risultati di molto inferiori ai 2,5 milioni di passeggeri ipotizzati, si ritenga l'investimento sostenibile in termini di costi-benefici considerando la spesa di 30 milioni necessaria per realizzare una stazione che sposta traffico e ricadute economiche verso la Toscana a svantaggio dell'Umbria, già oggi regione molto più depressa della prima e che, dunque, rischia di essere ulteriormente penalizzata dall'opera in questione. (3-01542)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi pendolari si sono rivolti all'interrogante al fine di denunciare l'impatto nefasto sulle loro condizioni di vita causato da una recente novità introdotta da Trenitalia nelle condizioni di viaggio degli abbonati alle tratte ad Alta velocità;
   infatti, dal prossimo 1o luglio Trenitalia non consentirà più agli abbonati di viaggiare senza prenotazione sui treni ad alta velocità; diventa così obbligatoria la preventiva prenotazione del posto sul treno scelto ed ogni abbonato potrà effettuarne due al giorno, una per l'andata e una per il ritorno;
   tale nuova disposizione, che ad un primo sommario esame sembra migliorare le condizioni di viaggio degli abbonati – in quanto, secondo quanto pubblicizzato da Trenitalia, consentirà loro di viaggiare seduti gratuitamente – nasconde in realtà non poche insidie per i circa 6.000 abbonati che per motivi di lavoro sono costretti a viaggiare quotidianamente, per esempio, sulla tratta AV Salerno-Roma ovvero quella più conosciuta al deputato interrogante e da lui più frequentata;
   per capire la gravità del provvedimento di Trenitalia, è importante evidenziare che la maggior parte degli abbonati lavora in luoghi distanti da Roma Termini (non pochi sono addirittura coloro i quali debbono prendere ulteriori treni regionali), per cui arrivare in un certo orario nella capitale diventa di importanza cruciale per essere puntuali sul luogo di lavoro;
   orbene, Trenitalia con la recente disposizione ha stabilito che, per ogni corsa, metterà a disposizione degli abbonati un numero limitato di prenotazioni; ciò comporterà che, nelle ore di punta, quei pochi pendolari che avranno la fortuna di riuscire a prenotare riusciranno ad arrivare a lavoro in tempo; la restante parte (ovvero la stragrande maggioranza), pur avendo pagato l'abbonamento (che sulla tratta in questione varia da 405 e 440 euro) o arriverà tardi o rischierà di non andare a lavoro in quanto troverà la prenotazione in un orario non più confacente;
   analogo ragionamento è valido anche per il ritorno: quei pochi pendolari che avranno la fortuna di riuscire a prenotare riusciranno ad arrivare a casa in un orario ragionevole; la restante parte arriverà anche a sera inoltrata considerato che dovrà utilizzare ulteriori treni regionali;
   risulta di tutta evidenza come vi siano delle fasce orarie molto più utilizzate di altre (quelle cosiddette di punta) e altre in cui il numero dei pendolari precipita vorticosamente;
   le suddette nuove condizioni di viaggio faranno sì che a fronte di un pagamento che va dai 405 ai 440 euro mensili ai lavoratori pendolari non sarà più garantito lo spostamento;
   occorre, inoltre, considerare che si tratta di una situazione che i lavoratori pendolari dovrebbero vivere quotidianamente;
   una possibile soluzione potrebbe essere quella di ritirare l'annunciata modifica oppure di intensificare le corse dei treni nelle cosiddette ore di punta ovvero eliminare il contingente di prenotazioni sui treni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quale sia il loro orientamento in materia;
   se i Ministri interrogati non ritengano di doversi attivare, presso Trenitalia per quanto di rispettiva competenza, al fine di evitare che una disposizione concernente gli abbonati sulle tratte ad alta velocità possa aver corso ovvero per trovare una soluzione che non deteriori la qualità di vita di una categoria di persone già particolarmente vessate dalle grandi distanze che si trovano a dover coprire quotidianamente per raggiungere il proprio posto di lavoro. (4-09473)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Affile (Roma), ha nell'estate del 2012 dedicato un monumento ai caduti a Rodolfo Graziani. Il monumento, situato all'interno dell'Area Verde «Rodimonte», era stato finanziato dalla giunta Polverini con una somma di 180.000 euro;
   Rodolfo Graziani, nato a Frosinone ma cresciuto durante l'infanzia ad Affile (Roma), è stato un criminale di guerra; gerarca fascista, comandò le missioni in Libia ed Etiopia, macchiandosi di delitti efferati tramite l'utilizzo massiccio di gas, l'istituzione di campi di concentramento, il ricorso alle esecuzioni di massa;
   per tali condotte, è stato inserito nell'elenco dei criminali di guerra dalle Nazioni Unite ed è stato condannato, dai tribunali italiani, a 19 anni di carcere;
   il caso ha suscitato le proteste dei partiti, delle associazioni democratiche e combattentistiche, che hanno denunciato l'utilizzo di risorse pubbliche per commemorare criminali;
   appena eletto, il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha annunciato di aver sospeso il finanziamento di 180.000 per il monumento dedicato a Graziani, dacché vi è stata una palese violazione amministrativa rispetto agli accordi stipulati sull'utilizzo del finanziamento pubblico;
   nonostante il clamore e l'indignazione anche di testate giornalistiche internazionali, sul sito del comune di Affile, tra i personaggi illustri vi è ancora citato Rodolfo Graziani;
   in particolare, si legge nel sito «il Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, figura fra le più amate e più criticate, a torto o a ragione, fu tra i maggiori protagonisti dei burrascosi eventi che caratterizzarono quasi mezzo secolo della storia italiana inclusa fra i due conflitti mondiali; interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose, Graziani seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l'inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato che lo contraddistinsero dall'appartenere alla schiera degli ignobili o alla nutrita categoria dei tanti che perseguirono solo la logica dell'interesse personale»;
   la suddetta pubblicazione offende la memoria dei parenti delle vittime italiane e straniere del fascismo e, in particolar modo, di Rodolfo Graziani e dà discredito al nostro Paese a livello internazionale –:
   se non si intendano assumere iniziative normative al fine di vietare che nei siti internet istituzionali possa essere celebrati tra i personaggi illustri esponenti compromessi con la dittatura fascista. (3-01541)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 marzo 2015 il tribunale di Asti ha dichiarato l'incompatibilità del signor Fabrizio Brignolo da presidente della provincia di Asti, dichiarandone la decadenza dalla carica stessa, in applicazione delle incompatibilità previste all'articolo 63, comma 1, n. 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), il quale dispone che: «Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione, fatta eccezione per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell'ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 per cento e fermo restando quanto disposto dall'articolo 1, comma 718, della legge 27 dicembre 2006, n. 296»;
   precisamente, il signor Fabrizio Brignolo, attuale sindaco del comune di Asti e presidente dell'Unione delle province piemontesi, è stato eletto, nell'ultima tornata elettorale del 25 maggio 2014, presidente della provincia di Asti con il nuovo sistema elettorale entrato in vigore con la legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, e questo pur essendo membro del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di Asti spa, affidataria del servizio di tesoreria della stessa provincia di Asti. La decisione del sindaco Brignolo di non dimettersi da consigliere di amministrazione della Cassa di Risparmio di Asti e di candidarsi ugualmente alla carica di presidente della provincia di Asti, ha causato la sua scontata decadenza e un preoccupante vuoto di potere dell'ente provinciale;
   dubbi, infatti, sono emersi, in merito alla validità giuridica degli atti assunti dal decaduto presidente Brignolo e di quelli in corso di assunzione dal suo vice attualmente facente funzioni di presidente. Timori di illegittimità che hanno spinto il segretario generale della provincia di Asti, Livia Scuncio, ad inviare, subito dopo la sentenza, formale interpello al Ministero dell'interno al fine di avere chiarimenti sull'applicazione, nel caso specifico, della disciplina del TUEL e se, appunto, gli atti firmati dal presidente decaduto e dal suo vice possano comunque ritenersi validi ed efficaci a livello giuridico;
   a norma del TUEL la decadenza del presidente ipso facto comporta la decadenza dell'intero consiglio provinciale in quanto la legge n. 56 del 2014, cosiddetta Delrio, ha modificato l'assetto degli enti locali, ma non ha abrogato le norme del TUEL che sono pienamente in vigore. L'articolo 53, comma 1, del TUEL stabilisce, senza ombra di dubbio, che: «In caso di impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della provincia, la giunta decade e si procede allo scioglimento del consiglio. Il consiglio e la giunta rimangono in carica sino alla elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco o presidente della provincia. Sino alle predette elezioni, le funzioni del sindaco e del presidente della provincia sono svolte, rispettivamente, dal vicesindaco e dal vicepresidente». Pertanto in base a quanto sopradisposto la provincia di Asti non può che andare verso nuove elezioni con aggravio di costi per la collettività;
   l'attuale sindaco di Asti e presidente dell'Unione delle province piemontesi, Fabrizio Brignolo, non dimettendosi da consigliere di amministrazione della Cassa di Risparmio di Asti spa e concentrando nelle sue mani le citate cariche, a giudizio dell'interrogante ha danneggiato un intero territorio provinciale che si trova a dover fronteggiare un imbarazzante caos istituzionale che non ha precedenti nel nostro Paese. Infatti, quanto accaduto rappresenta il primo caso in Italia di applicazione della disciplina del TUEL in seguito alla sopra ricordata riforma delle province;
   non è tollerabile che per le ambizioni di una persona si getti nell'incertezza giuridica ed istituzionale un intero territorio provinciale con grave pregiudizio per le sue attività socioeconomiche già vessate da una pesante crisi economica –:
   quali chiarimenti intenda offrire il Ministro interrogato all'interpello di cui in premessa per risolvere questa controversa vicenda e quali iniziative intenda assumere per impedire in futuro, anche attraverso il rafforzamento del quadro normativo, il ripetersi di tali inaccettabili vicende che, ad avviso dell'interrogante, denotano una concezione della politica non come bene comune ma come ambizione personale. (3-01543)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 dicembre 2014 in tutta Italia si sono svolte manifestazioni per la giornata di sciopero indetto dai sindacati Cgil e Uil;
   la mattina del 12 dicembre anche a Bologna si è svolto un corteo durante il quale si è appresa la presenza della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Madia presso la Spisa (Scuola di specializzazione in studi sull'amministrazione pubblica), in via Belmeloro, che avrebbe presenziato assieme al rettore Ivano Dionigi all'inaugurazione dell'anno accademico della suddetta scuola;
   il sito che pubblicizzava l'evento lo annunciava ad ingresso libero;
   alle ore 14,40 circa, un gruppo di studenti e ricercatori universitari si dirigeva dunque verso la suddetta sede, con l'intento di entrare all'evento con l'intento di incontrare la Ministra Marianna Madia e il rettore Ivano Dionigi, e prendere la parola pubblicamente sui motivi già accennati della protesta;
   una modalità di contestazione simile era già avvenuta il precedente 14 ottobre in occasione di un incontro in Sala Borsa con il rettore Dionigi e il sindaco Merola: in quell'occasione ci fu l'esposizione di uno striscione, un volantinaggio e un intervento per spiegare pacificamente le ragioni della protesta;
   a quanto consta agli interroganti, un gruppo di quattro studentesse, entrato nella sala destinata all'incontro, veniva avvicinato dal personale dell'università; veniva loro chiesto il perché della partecipazione all'incontro. Alla risposta che intendevano assistere ad un evento pubblico con la partecipazione della Ministra, venivano fatte scortare fuori dalle forze dell'ordine in maniera brusca, adducendo che la sala fosse piena, mentre la sala risultava palesemente vuota per metà;
   nel frattempo, fuori dalla Spisa, gli studenti, che non portavano con sé oggetti atti ad offendere, si avvicinavano alla spicciolata all'ingresso convinti di poter entrare come regolarmente previsto da un incontro pubblico, ma subito venivano bloccati dalle forze dell'ordine, che non adducendo alcuna motivazione specifica, rifiutavano qualunque forma di dialogo;
   nel momento in cui le studentesse presenti all'interno dello stabile venivano fatte uscire in malo modo (nello specifico, con spinte), gli altri presenti si avvicinavano alle forze dell'ordine per tutelare le giovani e accoglierle nel gruppo;
   nei momenti successivi, le forze dell'ordine avrebbero posto in essere comportamenti aggressivi (ad alcuni manifestanti venivano ripetutamente pestati i piedi con il tallone dell'anfibio in dotazione agli agenti, ad altri venivano messe le mani in faccia e alcune ragazze denunciano addirittura delle spinte che si sono tradotte in palpeggiamenti del seno) e pronunciavano frasi provocatorie («Ma quanti anni hai ?» «Ma ce li hai diciotto anni ?» «Hai capito che te ne devi andare o no ?»), accompagnate da strattoni e spinte;
   di fronte a tali atteggiamenti, e di fronte al diniego di accedere ad un incontro dichiarato pubblico all'interno dell'università, gli studenti rifiutavano di andare via e gridavano slogan nel tentativo di far sentire la loro protesta all'interno dello stabile, vista l'impossibilità di accedervi;
   dopo alcuni minuti, dalla porta – precedentemente chiusa – posta subito dietro lo schieramento di forze dell'ordine, secondo quanto risulta agli interroganti compariva un funzionario che distribuiva manganelli agli agenti, i quali iniziavano a fare uso dello strumento per allontanare i manifestanti. È da sottolineare che gli agenti, in quel momento, non si sono posizionati, come avviene solitamente, «a testuggine», ma iniziavano a manganellare gli studenti dalle file posteriori (essendo quelle che avevano ricevuto per prime lo sfollagente), facendo dunque uso del manganello dall'alto verso il basso, rischiando di ferire seriamente alla testa i manifestanti, e, di fatto, colpendo i colleghi posti nelle file anteriori;
   i manifestanti si difendevano con le braccia dai colpi sferrati, vista anche la pericolosità della struttura dell'immobile: questi si trovavano infatti in cima a delle scale, chiusi da un muretto con ringhiera su entrambi i lati. La carica, infatti, faceva retrocedere le prime file di studenti sulle seconde, poste immediatamente a ridosso delle scale, che creavano quindi una sorta di «tappo» nel tentativo di non cadere e ferirsi in modo serio, impedendo al gruppo di defluire e mantenendolo esposto ai colpi delle forze dell'ordine;
   studenti e ricercatori restavano ancora diversi minuti nel piazzale antistante l'ingresso, per spiegare le ragioni della protesta e raccontare quanto era avvenuto. Dopo aver appreso del rinvio dell'incontro, si allontanavano da via Belmeloro;
   il 14 maggio 2015 venivano notificati 5 arresti domiciliari per il reato di resistenza a: Francesco Bedani, Ivan Bonin, Parvis Jashin Tirgan, Francesca Ioannilli, Luigi Roggero per i fatti del 12 dicembre –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e perché sia stato impedito a studenti e ricercatori dell'università l'ingresso a un evento dichiarato pubblico. (4-09470)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con un precedente atto di sindacato ispettivo, l'interrogazione a risposta scritta 4/07299, pubblicata il 16 dicembre 2014, rimasta senza risposta, si sollevava la questione dei finanziamenti per la gestione della struttura di accoglienza sita in via di Sacco e Vanzetti, in zona Prestino, a Como;
   la struttura risultava in effetti destinataria di un finanziamento pari a 2 milioni e 148 mila euro per il triennio 2014-2017 ed affidata in gestione alla cooperativa Domus Caritatis, appartenente alla rete coop dell'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Tifone;
   la cooperativa sopramenzionata risultava già in dicembre oggetto di indagini nel contesto dell'inchiesta denominata Mafia Capitale;
   i sospetti sulle attività della Domus Caritatis si sono aggravati nei mesi successivi, al punto tale da condurre recentemente all'arresto del suo Vicepresidente, Tiziano Zuccolo, attualmente ai domiciliari;
   si moltiplicano gli indizi che puntano nella direzione dell'esistenza di un sistema poco trasparente di gestione dell'emergenza migratoria;
   in una intercettazione, del resto, l'imprenditore romano Salvatore Buzzi avrebbe significativamente ammesso che «con gli immigrati si fanno più soldi che con la droga»;
   sembrerebbe, in particolare, che l'accoglienza dei migranti clandestini sia al centro di una spartizione politica «fifty-fifty», tra cooperative bianche e rosse, dei finanziamenti elargiti dallo Stato per far fronte all'esigenza di dare una sistemazione più o meno temporanea a chi arriva illegalmente sul suolo nazionale;
   in considerazione del coinvolgimento della cooperativa Domus Caritatis nell'inchiesta Mafia Capitale e dell'arresto del suo Vicepresidente, esigenze inderogabili di trasparenza e moralità imporrebbero a questo punto di revocare, o quanto meno sospendere provvisoriamente, la concessione alla Domus Caritatis della gestione della struttura di accoglienza situata in via Sacco e Vanzetti, in zona Prestino, a Como, disponendone altresì il commissariamento –:
   cosa attenda il Governo ad interrompere o sospendere provvisoriamente qualsiasi convenzione per l'accoglienza e la gestione dei migranti clandestini richiedenti asilo che veda come controparte la cooperativa Domus Caritatis, a partire da quella che concerne l'affidamento della struttura sita a Como, in via di Sacco e Vanzetti, in zona Prestino;
   quali misure il Governo intenda assumere per evitare che la gestione dell'accoglienza dei migranti clandestini divenga un'altra sacca di corruzione e malaffare. (4-09474)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO, LAURICELLA, BURTONE e IACONO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 105, è stato approvato il «Regolamento concernente le modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368»;
   durante lo svolgimento delle prove, in alcune sedi di esame, sono state riscontrate numerose irregolarità come la presenza di cellulari non ritirati prima dell'accesso in aula, ripetuti black out e molteplici mancati salvataggi dei file d'esame che hanno comportato la ripetizione della prova concorsuale;
   a tali irregolarità si è aggiunta quella, certamente più grave, per la quale il CINECA ha ammesso di aver scambiato le prove di area medica e di area dei servizi dei giorni 29-31 ottobre, ragion per cui i concorrenti sono stati selezionati su prove di concorso diverse da quelle inizialmente decise dalla Commissione;
   su tali gravissimi fatti lo stesso Ministro onorevole Stefania Giannini aveva dichiarato a diversi organi di informazione: «Ferita grave, ma ministero non ha colpe». «L'errore è del Cineca, il Consorzio interuniversitario incaricato di gestire i test, si è preso tutte le responsabilità e ha chiesto scusa a studenti e famiglie. Per minimizzare il danno faremo ripetere le prove il 7 novembre»;
   nelle stesse dichiarazioni il Ministro aveva definito «diabolica e perversa» ma «per tutto il resto la macchina organizzativa ha funzionato perfettamente, comprese le funzioni del Cineca». «Valuteremo, stante la gravità dei fatti, di interrompere ogni futuro rapporto di collaborazione con tale Consorzio»;
   il presidente del Consorzio, Emilio Ferrari, si assumeva la responsabilità di quanto accaduto, senza presentare le proprie dimissioni, tanto che lo stesso Ministro spiegava che «il direttore del Cineca non ha presentato le dimissioni e io non sono in grado di chiederle in quanto si tratta di un ente che non ha alcun genere di rapporto o di tutela con il Ministero. È una ferita molto forte per il consorzio e la questione verrà analizzata nella governance dell'organismo. Il rapporto con noi verrà invece ridiscusso» (http://www. quotidiano sanita.it);
   a distanza di poche ore, il Ministro annunciava di avere individuato la soluzione utile a salvare la prova ed evitarne la ripetizione;
   da queste dichiarazioni emerge chiaramente la distinzione delle responsabilità tra i due enti: il Ministero, parte lesa, che ha organizzato la prova di concorso ed è riuscito, con sforzi organizzativi enormi, a far andare tutto per il verso giusto ed il CINECA, cui era stato affidato il compito di predisporre materialmente i software di gestione della prova sulla base delle indicazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, responsabile di gravissima negligenza;
   su quanto accaduto, sui rapporti tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e CINECA, dopo i commenti a caldo non è seguito alcun approfondimento;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva e giurisdizionale ha accolto alcuni ricorsi (tra cui quelli sostenuti dalla CGIL funzione pubblica medici) anche riformando la diversa posizione del TAR e ammettendo in sovrannumero i giovani medici ricorrenti ritenendo il concorso viziato;
   nella sentenza del Consiglio di Stato del 26 maggio 2015 (che cita un parere della sezione consultiva dello stesso Consiglio di Stato del 30 gennaio 2015) si afferma che Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e CINECA sono la stessa cosa essendo l'uno (il CINECA) la longa manus dell'altro (il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca);
   quanto sentenziato dal Consiglio di Stato, sarebbe confermato anche dalla circostanza che, sin dal 2013 lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha chiesto alla sezione consultiva del Consiglio di Stato un parere al fine di poter utilizzare il CINECA non solo per l'università, ma anche per il sistema scolastico;
   in particolare si chiedeva se «l'Amministrazione richiedente ritiene che il CINECA, partecipato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da Università e da Enti pubblici di ricerca, sebbene svolga la propria attività di servizio eminentemente nel settore dell'istruzione superiore e della ricerca scientifica, possa essere considerato istituzionalmente titolare della capacità di operare su incarico dello stesso Ministero anche nell'interesse del settore scolastico»;
   nello stesso parere si legge che un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è presente in tutti gli organi direttivi del CINECA (il consiglio consortile, il consiglio di amministrazione, il collegio dei revisori dei conti), tanto che le deliberazioni più importanti del consiglio consortile possono essere assunte solo con il voto favorevole del rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   da quanto sopra rappresentato, inoltre, si evince chiaramente che il Ministero ha il potere di approvare eventuali modifiche allo statuto del CINECA e il diritto di veto sulle più importanti deliberazioni del consiglio consortile nonché il diritto di disporre lo scioglimento degli organi consortili per gravi inadempienze o perdite;
   in sede giurisdizionale, è stata depositata una decisione (sentenza n. 2660 del 26 maggio 2015 — Consiglio di Stato — sez. VI) con la quale si nega alle università (e non al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) la possibilità di affidare al CINECA, direttamente e senza gara, i servizi per l'uso di software e sistemi per la gestione della didattica, delle immatricolazioni o per procedure concorsuali;
   al contrario il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca secondo la sezione consultiva (parere 30 gennaio 2015), può affidare direttamente i servizi al CINECA tanto in ambito universitario quanto scolastico;
   le due sezioni, consultiva e giurisdizionale, del Consiglio di Stato, tuttavia, non convergono su un aspetto temporale determinante proprio per il concorso per l'accesso alle specializzazioni del 28-31 luglio 2015;
   secondo la sezione consultiva la direttiva n. 24/14/UE fissa dei principi immediatamente «operativi» ragion per cui il CINECA è soggetto in house del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e può ricevere l'affidamento diretto) anche se è ancora in corso il periodo di recepimento entro il quale l'Italia deve provvedere a rendere efficace tale direttiva;
   di avviso opposto è invece la sezione giurisdizionale secondo cui giacché «non si può, (...) ritenere che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria»;
   secondo la VI Sezione del Consiglio di Stato, dunque, l'attuale affidamento al CINECA, di cui al decreto ministeriale 26 maggio 2015, n. 315, potrebbe presentare profili di illegittimità nella parte in cui tale servizio è affidato direttamente al CINECA;
   quanto rappresentato nella presente interrogazione è oggetto di numerose proposte e sollecitazioni da parte del Coordinamento mondo medico uniti per la formazione –:
   quali iniziative si intendano intraprendere a seguito delle decisioni del Consiglio di Stato, considerando che le graduatorie sul concorso 2013/2014 sono ancora in fase di scorrimento e considerando anche il rapporto tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e CINECA così come ricostruito dal Consiglio di Stato;
   se, alla luce delle indicazioni del Consiglio di Stato, per quanto riguarda il prossimo bando di concorso emanato con decreto ministeriale n. 315/2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda confermare l'affidamento al CINECA, nonostante la consapevolezza di prossimi ricorsi in grado di determinare anche l'annullamento del concorso stesso.
   (4-09469)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli anni cinquanta venne messo in commercio il farmaco denominato «talidomide» usato come sedativo, anti nausea e ipnotico e consigliato soprattutto alle donne in gravidanza al fine di calmare i sintomi tipicamente legati ai primi mesi della gestazione. Quello che si osservò dopo alcuni anni dalla commercializzazione del farmaco fu che i bambini, le cui madri avevano assunto il medicinale durante la gravidanza nascevano con alcune patologie tra cui l'amelia (assenza degli arti), la focomelia (la riduzione delle ossa lunghe degli arti superiori e inferiori e quasi sempre bilateralmente), gravi danni agli organi genitali nonché gravi patologie alla colonna vertebrale;
   alla luce di tali evidenze, alla fine del 1961 venne data disposizione di ritirare il prodotto dopo che era stato diffuso in 50 Paesi e sotto quaranta nomi commerciali diversi; in Italia il ritiro avvenne solo nel settembre del 1962, ma nonostante ciò molte confezioni rimasero comunque in commercio al punto che oggi in Italia risulta problematico effettuare una valutazione attendibile del consumo del farmaco;
   si calcola che tra il 1957 e il 1962 circa 10.000 bambini siano nati con deformazioni dovute al talidomide e in Italia sono circa 400 le persone nate con le deformazioni causate da quel principio attivo;
   oggi il farmaco è ufficialmente autorizzato in quasi tutti i Paesi europei ed extra europei per trattare la lebbra, specifiche forme tumorali o altre patologie; in Italia esiste in commercio il prodotto Thalidomide Celgene indicato per il trattamento di prima linea di pazienti con mieloma multiplo non trattato di età superiore ai 65 anni o non idonei a chemioterapia a dosi elevate; esso viene talvolta utilizzato in galenica prettamente per uso veterinario;
   attualmente il regolamento di esecuzione dell'articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (decreto 2 ottobre 2009, n. 163) riconosce ai soggetti focomelici affetti da sindrome da talidomide e nati nella forbice temporale compresa tra il 1958 e il 1965 un regolare indennizzo –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per rivedere i requisiti attualmente richiesti ai fini dell'erogazione dell'indennizzo e riconsiderare i «paletti» temporali entro cui esso viene concesso estendendolo anche ai nati nel periodo successivo al 1965 e al 1966;
   se non ritenga opportuno prevedere nei loro confronti delle specifiche visite mediche effettuate da apposite commissioni mediche ospedaliere al fine di escludere in maniera incontrovertibile ed inequivocabile che esista un nesso di causalità tra le patologie sopra menzionate e l'assunzione di talidomide. (5-05803)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale del 3 maggio 2014, n. 101, è stata pubblicata la determina 14 aprile 2014 – recante criteri per l'applicazione delle disposizioni relative allo smaltimento delle scorte dei medicinali, con cui l'AIFA ha dato attuazione a quanto previsto dall'articolo 44, comma 4-quinquies, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013 nella quale si è previsto che in caso di modifiche da parte dell'Aifa riguardanti il foglietto illustrativo del farmaco (cosiddetto bugiardino), i produttori hanno tempo sei mesi per esaurire le vecchie confezioni. Trascorso tale periodo, possono essere immesse nel circuito soltanto scatole con foglietti illustrativi ed etichettature aggiornate, anche se appartenenti a lotti realizzati prima della variazione ai foglietti; la norma è entrata in vigore il 3 giugno 2014;
   la medesima determina, emanata a seguito di una serie di incontri tecnici che hanno messo attorno a un tavolo Aifa e alcune sigle della filiera, a partire da Federfarma, ha ammesso la possibilità di prevedere la stampa (oppure l'invio, previo aggiornamento tecnologico, con mezzi informatici come e-mail, bluetooth, wi-fi o app) del foglietto illustrativo;
   il principio di questa disposizione è quello di garantire al consumatore tutte le informazioni necessarie per la corretta somministrazione e conservazione; in taluni casi le variazioni hanno una grande rilevanza, in particolare per quel che riguarda le nuove informazioni sugli effetti collaterali e le posologie-limite;
   ogni anno sono migliaia le variazioni dei fogli illustrativi approvate dall'AIFA (oltre 5.000 nel solo 2013) che devono essere riportate nei nuovi lotti dei medicinali. Può trattarsi di aspetti di natura amministrativa, che non hanno alcun impatto sulla salute dei cittadini, ma anche di nuove evidenze scaturite dalla pratica clinica o da recenti studi;
   la prassi applicativa sta mostrando che raramente il farmacista stampa il nuovo foglietto illustrativo, spesso anche per un difetto di comunicazione da parte degli altri attori della filiera (grossisti, case farmaceutiche); è stato caricato sulle spalle del farmacista un compito in più che comporta un aggravio, non solo burocratico ma anche economico e di tempo, per le giuste spiegazioni da dare al paziente proprio quando si viaggia verso innovazioni che sottraggono carta, come la ricetta dematerializzata;
   occorre considerare che la mancata consegna del foglio illustrativo aggiornato comporta per il farmacista il rischio di incorrere nelle seguenti fattispecie:
    a) nel reato di cui all'articolo 443 del codice penale (commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti), che comporta una multa e la reclusione da sei mesi a tre anni;
    b) in reati connessi al danno alla salute pubblica sino al rischio di imputazione per omicidio colposo;
    c) in violazioni delle regole di deontologia e responsabilità professionale –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, se del caso anche emanando una apposita circolare in materia, nella quale si dettino regole più restrittive, nelle quali si preveda:
    a) che la banca dati farmaci, il database ufficiale dei fogli illustrativi e dei riassunti delle caratteristiche del prodotto di tutti i medicinali autorizzati in Italia, disponibile anche su dispositivi mobili, sia dotata di appositi «alert» automatici, utilizzando i dati della tracciabilità (codice AIC e codice progressivo) volti a richiamare il farmacista ed il consumatore sul cambiamento del foglio illustrativo, e di conseguenza, alla consegna delle regole d'uso aggiornate del farmaco;
    b) che l'AIFA fissi regole più restrittive, volte a stabilire, qualora il cambiamento del foglio possa avere riflessi sulla salute pubblica, obblighi e sanzioni a carico dei soggetti della filiera del farmaco, in relazione alle rispettive responsabilità, in caso di mancata consegna o aggiornamento o mantenimento del farmaco in vendita, decorso il termine consentito per l'esaurimento delle scorte; 
    c) che l'AIFA stabilisca che i prodotti non aggiornati in commercio siano considerati revocati a decorrere dalla scadenza del relativo periodo concesso per la vendita delle scorte, in qualunque punto della filiera. (4-09461)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende dell'evoluzione dell'inchiesta che coinvolge la sanità della regione Umbria e che ha portato a iscrivere nel registro degli indagati tre funzionari regionali e due farmacisti umbri;
   al centro dell'indagine il presunto traffico di farmaci stupefacenti, distribuiti dalle due farmacie (una di Gubbio e l'altra di Perugia) su larga scala, ma senza la necessaria autorizzazione da parte del Ministero della salute;
   al momento, il pubblico ministero parla di «ampie tracce di favoritismi e forzature della legge» e anche «un groviglio di relazioni equivoche in cui sono coinvolti dei pubblici funzionari» che avrebbero portato ad una maxi truffa di oltre 90 mila euro ai danni del sistema sanitario regionale;
   il coinvolgimento ulteriore della regione Umbria andrebbe ricercato, sempre secondo il pm, nella mancata emanazione di provvedimenti sanzionatori a seguito dell'accertata violazione;
   una terza farmacia, sita a Deruta e di proprietà di uno dei funzionari indagati, sarebbe poi finita nell'inchiesta per una maggiorazione del prezzo dell'ossigeno terapeutico, che, secondo l'accusa, gli avrebbe procurato un ingiusto ingente profitto –:
   se sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa e se, nel rispetto dell'autonomia regionale in materia sanitaria, non ritenga comunque opportuno adottare iniziative più stringenti circa le autorizzazioni dei medicinali venduti nelle farmacie nazionali al fine di evitare episodi di illegalità che possono in ogni caso compromettere la salute dei cittadini. (4-09466)


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il Ministero della salute ha iniziato ad affrontare con maggiore impegno la problematica della tutela degli animali e la lotta al randagismo assumendo un concreto ruolo di coordinamento e controllo;
   nonostante gli innumerevoli passi in avanti fatti, la problematica del randagismo su tutto il territorio nazionale è purtroppo ancora lontana dall'essere risolta e i reati contro gli animali, così come i canili lager, sono ancora troppo diffusi;
   particolarmente vergognosa sembrerebbe la situazione del canile di Fallo, in provincia di Chieti, e dei numerosissimi cani ricoverati nella struttura;
   secondo quanto denunciano ormai da tempo le associazioni di volontariato, circa 600 cani verrebbero lasciati morire per incuria, mancanza di cibo e cure adeguate;
   tali animali verrebbero lasciati morire in una lenta agonia e, in alcuni casi, si sbranerebbero tra loro, all'interno delle stesse celle, per sopravvivenza;
   il canile di Fallo costerebbe al comune di Vasto ben 8 mila euro al mese, ma gli animali vivono in condizioni che appaiono scandalose;
   la situazione sarebbe degenerata al punto che è stata creata una petizione on line per chiedere aiuti immediati da parte di tutti e l'applicazione di pene severissime per i colpevoli di questa tragedia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per appurare i fatti descritti anche inviando un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela della salute. (4-09468)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, BARBANTI, ARTINI, SEGONI, RIZZETTO, PRODANI, TURCO, BALDASSARRE e BECHIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia è assente una rete di distribuzione dell'idrogeno che attraversi il Paese e che renda possibile per i cittadini guidare le vetture a suddetto combustibile;
   i cittadini italiani risultano ad oggi penalizzati sia dal punto di vista delle infrastrutture che ne consentano la ricarica, sia dal punto di vista legislativo, a causa di norme inadatte;
   l'attuale normativa prevede infatti che le stazioni di rifornimento non possano erogare idrogeno a una pressione superiore a 350 bar, laddove invece i serbatoi montati sulle moderne vetture a celle a combustibile garantiscono un funzionamento in totale sicurezza a 700 bar;
   l'unica stazione di rifornimento presente in Italia si trova a Bolzano che, grazie al suo status di provincia autonoma, ha potuto costruire un impianto all'avanguardia che eroga idrogeno a 700 bar;
   l'Unione europea continua a credere e puntare sul futuro dell'idrogeno e delle celle a combustibile. Con il regolamento n. 559/2014 del Consiglio è stata infatti costituita, nel quadro di Horizon 2020, la fase due dell'Impresa Comune «celle a combustibile e idrogeno» (programma di ricerca industriale e per l'innovazione nell'ambito dell'utilizzo dell'idrogeno come vettore energetico) per il periodo fino al 31 dicembre 2024;
   la decisione sulla prosecuzione dell'azione di sostegno al programma di ricerca sull'idrogeno e le celle a combustibile ha trovato sostegno negli ottimi risultati ottenuti nella fase uno dell'Impresa Comune. Difatti questa iniziativa, oltre ad aver creato un partenariato forte e capace di attrarre finanziamenti pubblici e privati, ed oltre a favorire il coinvolgimento dell'industria (in particolare delle PMI), ha saputo dimostrare il potenziale dell'idrogeno come vettore energetico, attestando le capacità delle celle a combustibile come convertitori di energia ecocompatibili, in grado di ridurre le emissioni, aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e stimolare l'economia;
   l'Unione europea considera i prossimi anni come decisivi per il decollo delle tecnologie dell'idrogeno in Europa, ed investe nell'iniziativa Impresa Comune per il periodo 2014-2020 ben 665 milioni di euro da fondi Horizon 2020; Bruxelles prevede che nel 2030 circoleranno nel nostro continente oltre 16 milioni di vetture a idrogeno, con una graduale sostituzione, entro il 2050, di almeno il 40 per cento del petrolio utilizzato per l'autotrazione. Attualmente, il Paese che più sta investendo nelle tecnologie dell'idrogeno è la Germania, dove sono già in funzione più di trenta distributori del carburante ecologico. La prima hydrogen highway d'Europa è stata invece inaugurata nel 2009 in Norvegia: lunga 580 chilometri, congiunge Oslo a Stavenger e comprende sette stazioni –:
   quali iniziative intendano adottare per sviluppare e diffondere in Italia una rete di distribuzione di idrogeno, stante il sostegno economico della Commissione europea attraverso i fondi Horizon 2020;
   se intendano assumere iniziative direttive a modificare l'attuale normativa sull'erogazione ad idrogeno a pressione come descritto in premessa. (5-05801)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Micillo e altri n. 4-09441, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Pubblicazione di un testo riformulato e aggiunta di una firma.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Bossa n. 5-05796, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 441 del 12 giugno 2015.

   BOSSA, VALERIA VALENTE e SGAMBATO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 giugno 2015, con prot. n. AOODRCA. 5735, il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Campania, Luisa Franzese, ha emanato una circolare avente ad oggetto «Conferma e mutamento degli incarichi dirigenziali, mobilità interregionale – Area V Dirigenti scolastici» a.s. 2015/2016;
   l'emanazione di detta circolare è segno evidente del fatto che la DGR non intenda nominare i vincitori del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio, sulla base della graduatoria di merito pubblicata con decreto direttoriale del 18 dicembre 2014, prot. n. AOODRCA, 9248, del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Campania, così come emendata dal decreto direttoriale del 1o aprile 2015, prot. n. AOODRCA, 3355, del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Campania, nonostante già con comunicazione prot. n. 18345 del 26 agosto 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze avesse autorizzato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad assumere, con contratto a tempo indeterminato, n. 620 dirigenti scolastici, di cui 101 per la regione Campania, a decorrere dall'anno scolastico 2014/2015 e nonostante le sedi vacanti e disponibili ad oggi siano in numero di 221 come dall'elenco allegato alla richiamata circolare prot. n. AOODRCA. 5735;
   in detta circolare si indicano, sulla base della normativa e degli accordi contrattuali vigenti, le modalità per la conferma degli incarichi dirigenziali, si fissa la mobilità interregionale dei dirigenti scolastici e si indicano, tra le altre cose, al punto c, e poi in allegato, i dirigenti scolastici che nell'anno scolastico 2015/2016 risultano titolari in istituzioni scolastiche «sottodimensionate»;
   in questo modo vengono individuati sul territorio regionale, oltre a due dirigenti scolastici perdenti posto sulla base del dimensionamento regionale, altri dieci dirigenti scolastici perdenti posto perché titolari in istituzioni scolastiche «sottodimensionate»; tale indicazione viene fatta sulla base di criteri e parametri prettamente numerici sulla platea degli iscritti, ai sensi dell'articolo 19 del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, così come modificato dall'articolo 16 della legge n. 183 del 2011;
   la dichiarazione di sottodimensionamento, a giudizio delle interroganti, travalica la competenza del Consiglio regionale della Campania, organo deputato alla definizione del dimensionamento scolastico regionale, e condanna le scuole ad essere dirette da un reggente, una sorta di capo d'istituto «dimezzato» che deve dividersi tra più scuole;
   ad oggi, sul territorio regionale, sono poco più di duecento, come da dati desumibili dall'elenco allegato alla richiamata circolare prot. n. AOODRCA. 5735, le scuole disponibili per le operazioni di mobilità dei dirigenti scolastici e, quindi, in mancanza di altre determinazioni, un pari numero di istituzioni scolastiche è destinato a reggenza per il prossimo anno scolastico;
   questa situazione, a conti fatti, sottoporrebbe ben 400 istituzioni scolastiche, articolate su una pluralità di plessi, ad una dirigenza dimezzata con pesanti difficoltà gestionali;
   i criteri e i parametri per il dimensionamento sono, peraltro, oggetto di discussione della Conferenza Stato regioni, al fine di un superamento in favore di un meccanismo differente, meglio capace di leggere i bisogni e le specificità del territorio, permanendo comunque la vigenza anche per l'a.s. 2015/16 delle disposizioni di cui ai commi 5 e 5-bis del decreto-legge n. 98 del 2011 come modificato dalla legge n. 183 del 2011 e dell'articolo 4, comma 69, ripresa altresì dalla DGR Campania n. 6 del 9 gennaio 2015;
   l'applicazione di una scelta sul sottodimensionamento come quella contenuta nella circolare citata, con criterio strettamente ragionieristico, superato dalla norma e dal buon senso, comporta una prospettiva negativa per la scuola campana, in vista del nuovo anno scolastico che, in queste settimane, vive la sua fase di più importante programmazione;
   giova ricordare, ancora una volta, che ciò avviene a fronte della disponibilità di ben 657 vincitori del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio;
   tale situazione, nel suo complesso, rischia di gettare nel caos, ancora per un altro anno, il sistema scolastico campano –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se non ritenga di garantire, nell'ambito delle sue competenze, un intervento urgente per impedire tali determinazioni al fine di assicurare alla scuola campana condizioni più aderenti ai bisogni di efficienza e funzionalità;
   se non ritenga urgente di consentire all'ufficio scolastico regionale per la Campania di procedere con le assunzioni in servizio dei vincitori del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale del 13 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 56 del 15 luglio nella misura di tutti i posti vacanti e disponibili al giorno 1o settembre 2015, aggiornati alla richiamata prot. n. AOODRCA. 5735. (5-05796)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Boccadutri n. 4-00494 del 17 maggio 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-01541.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014 sul quotidiano Corriere della sera è apparso un articolo dal titolo «Disfida dello zucchero tra Italia e Oms Lorenzin: sbagliato dimezzarne l'uso» a firma di Margherita De Bac di cui si riportano di seguito alcuni stralci:
   «Zucchero, il nuovo tabacco»? Pare sostenerlo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Oms, che porta avanti anche attraverso una consultazione popolare su internet una battaglia contro il più dolce degli alimenti.
  La proposta è di dimezzarne il consumo dal 10 al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente. La raccomandazione non esonera le aziende, che sarebbero costrette così a commercializzare prodotti privati di una buona parte della sostanza più gradevole per il palato.
  (...) Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, impegnata a difendere il made in Italy nel semestre europeo a guida tricolore: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie. Poi però viene ammessa l'invasione di biscotti, barrette e cose simili con aspartame (un edulcorante artificiale ndr)».
  (...) «È un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell'obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore». Il ministro pensa all'educazione alimentare a scuola, alla scelta corretta dei cibi (freschi anziché confezionati), alla promozione dell'attività fisica, al sostegno della dieta mediterranea.
  (...) Per Andrea Ghiselli, membro del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) la controffensiva dell'Oms non ha senso: «La raccomandazione è di contenere il consumo di zuccheri aggiunti, inclusi miele e succhi di frutta. Esempio, se il fabbisogno giornaliero è di 2.000 calorie si dovrebbe togliere l'equivalente di 5 bustine di zucchero, 25 grammi. È una riduzione punitiva sul piano del gusto. Oltretutto non c’è alcun vantaggio per la salute» –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo anche in sede europea per difendere il made in Italy. (4-07176)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Il Ministero della salute ha esaminato con particolare attenzione quanto proposto dalle linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in merito alla riduzione degli zuccheri semplici, sottolineando, nelle sedi istituzionali, che tale riduzione dal 10 per cento al 5 per cento, rappresenta un obiettivo ambizioso, ma del cui beneficio non vi sono evidenze scientifiche. L'approccio di effettuare un'analisi della letteratura scientifica limitato solo a citazioni bibliografiche orientate a identificare responsabilità a carico di un unico nutriente, rende debole la validità del documento stesso.
  Analogamente, sono state messe in discussione le responsabilità attribuite agli zuccheri per l'insorgenza di carie dentali.
  Infatti le linee guida per una sana e corretta alimentazione, predisposte nel 2003 dall'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, suggeriscono che a determinare quest'ultima situazione, sarebbero non solo le quantità, ma anche le modalità di consumo degli zuccheri.
  Se è vero che la fermentazione degli zuccheri nel cavo orale determina l'inizio della lesione cariosa, è altrettanto vero che per il verificarsi di quest'ultimo evento è necessaria una permanenza del cibo nel cavo orale abbastanza lunga, tale da determinare l'attacco al dente.
  Pertanto, oltre che da una limitazione nel consumo di zuccheri, il rischio di carie viene ridotto da una opportuna e sollecita igiene orale, specialmente se accompagnata da adeguati apporti di fluoro e di calcio.
  Questo Ministero ha ribadito che, per il raggiungimento dell'obiettivo di una riduzione del «
sugar intake», occorre valutare e monitorare i consumi, agire attraverso l'informazione e, soprattutto, la sensibilizzazione, a partire dalle famiglie, sulla necessità di limitare il consumo di cibarie e di bevande ricche di zuccheri semplici.
  La riduzione dell’«
intake» calorico in generale, e di conseguenza, anche degli zuccheri deve essere ottenuta principalmente con attività di educazione alimentare, estesa alle varie fasce d'età della popolazione, che permetta di comprendere l'importanza di una alimentazione moderata e variata, associata a una costante attività fisica.
  Da alcuni anni il Ministero della salute ha avviato un processo finalizzato al miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti, in collaborazione con le associazioni che rappresentano i vari settori produttivi, avendo come «
target» i nutrienti più critici, tra i quali gli zuccheri.
  Assicuro che il Ministero della salute continuerà a ribadire l'importanza del concetto di «multifattorialità», evitando di denigrare un singolo nutriente che, se inserito senza abusi, in un regime nutrizionale sano, può essere assunto senza causare danni.
  Infatti, non esistono cibi buoni o cattivi, ma solo diete buone o cattive.
  La demonizzazione esasperata potrebbe essere fuorviante per il consumatore, oltre ad interferire con la tradizione alimentare del nostro Paese.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 gennaio 2015 la polizia di Catania ha arrestato un cittadino nigeriano, Yunus Mamud, domiciliato presso il CARA di Mineo perché responsabile di violenza sessuale e sequestro di persona nei confronti di una connazionale domiciliata all'interno dello stesso centro;
   tale notizia è stata riportata dai principali quotidiani locali e dai portali di informazioni online, come da articolo del 31 gennaio 2015 riportato dal portale «LiveSicilia»;
   dai rilievi della polizia scientifica presso l'alloggio dei due, è stato accertato che la stanza posta al primo piano dell'immobile, assegnata ed in uso alla vittima e all'arrestato presentava la porta d'ingresso chiusa dall'esterno con un chiavistello assicurato da un piccolo catenaccio;
   al centro CARA di Mineo si sono verificate numerose situazioni di contestazione sfociate in rivolte all'interno del centro e sono state riscontrate notevoli difficoltà nella gestione della sicurezza all'interno del centro –:
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire la sicurezza e la tutela all'interno del centro CARA di Mineo per i migranti ospitati e per garantire un corretto e sereno svolgimento delle operazioni di assistenza degli stessi. (4-07928)

  Risposta. — Come segnalato nell'interrogazione in esame, il 30 gennaio 2015 una cittadina nigeriana, ospite del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo, ha denunciato di aver subito ripetute violenze sessuali da parte di un connazionale.
  L'intervento del personale di polizia del commissariato di Caltagirone, con l'ausilio del mediatore culturale, ha immediatamente consentito di arrestare e condurre in carcere il responsabile delle violenze.
  Dopo aver ricevuto le necessarie cure, la vittima è stata accolta in una struttura protetta all'interno del centro ed è costantemente seguita dagli assistenti sociali.
  Dalle indagini è emerso che alla donna era stato assegnato un alloggio condiviso con il connazionale, in quanto quest'ultimo aveva falsamente dichiarato all'amministrazione del centro di essere suo fratello.
  Dopo essere stata minacciata di morte e violentata più volte, la vittima è riuscita a fuggire dall'abitazione, raggiungendo il locale posto di polizia per sporgere denuncia.
  Per quanto riguarda la tutela all'interno del centro, il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica è assicurato da un presidio che espleta attività di vigilanza nell'intero arco delle 24 ore, anche avvalendosi dell'ausilio di personale delle forze di polizia proveniente dai reparti di rinforzo.
  Inoltre, il personale dell'ufficio immigrazione della locale questura assicura i servizi amministrativo-burocratici e di polizia giudiziaria.
  Le situazioni di contestazione all'interno del centro sono sempre state gestite con professionalità e, recentemente, se ne registra un sensibile decremento.
  Infatti, negli ultimi sei mesi si è verificato un solo episodio di tensione – in seguito al rigetto delle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato da parte della Commissione territoriale – ma l'intervento delle forze di polizia ha tempestivamente riportato la situazione alla normalità.
  Si assicura, infine, che il Ministero dell'interno attua ogni opportuna iniziativa per garantire che le attività di accoglienza nel Cara di Mineo – così come negli altri centri governativi per l'immigrazione – si svolgano nel pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che richiedono la protezione internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recente notizia che nell'ufficio di Paolo Borsellino, dopo la sua morte, i cassetti sono stati trovati vuoti «come se qualcuno vi avesse messo mano» è un ulteriore dato che pone interrogativi sull'esistenza e l'azione di strutturali deviazioni che hanno avvelenato la nostra democrazia;
   da diverse fonti storiche e giudiziarie oggi si sa che all'interno del nostro paese – sin dagli anni Sessanta – hanno operato le cosiddette «strutture antinsorgenza», che hanno sistematicamente fatto ricorso alla violenza ed alle tecniche della «guerra psicologica», servendosi di organizzazioni eversive e mafiose per assicurare il mantenimento di un determinato assetto politico;
   l'evoluzione delle tecniche di digitalizzazione consente oggi di cogliere, disseminate negli atti di vari processi, le tracce di alcuni servitori dello Stato che in passato occultarono e manipolarono prove;
   il 24 ottobre del 1990 il Presidente del Consiglio dell'epoca, Giulio Andreotti, in una comunicazione alla Commissione parlamentare sulle stragi, ammise l'esistenza di Gladio – definendola un'associazione costituita ai soli fini di difesa dei confini orientali – e il 27 novembre 1990 ne proclamò lo scioglimento, occultando l'impiego che era stato fatto di alcune sue articolazioni a soli fini di condizionamento della politica interna dell'Italia;
   nulla venne detto, a quanto risulta, dall'allora Presidente del Consiglio sull'attività di riciclaggio di capitali mafiosi e di esportazione all'estero di capitali sottratti al fisco, che Michele Sindona sistematicamente gestiva, né del finanziamento da parte sua di attività eversive da tempo emerso nell'inchiesta giudiziaria sulla Rosa dei Venti;
   nella gestione di quegli stessi interessi, per quanto risulta all'interrogante, Licio Gelli, nulla ha mai riferito circa i finanziamenti per milioni di dollari erogati a uomini di Gladio tra luglio e settembre del 1980, annotati in alcuni appunti recentemente rintracciati tra gli atti del processo relativo al fallimento del Banco Ambrosiano; così come tentò di dissimulare i riferimenti che in essi venivano fatti alla città di Bologna, al generale Aloia (il fondatore di Gladio) a Federico Umberto D'Amato ed al senatore Mario Tedeschi (recentemente identificato come suo stretto collaboratore in un «comitato» segreto «ristrettissimo» creato nel 1965 anche dal colonnello Renzo Rocca); riferimenti il cui esatto significato è possibile cogliere solo a seguito della lettura comparata di documenti sequestrati in circostanze diverse;
   successivamente è emersa notizia di rapporti con Gladio di Vito Ciancimino, attualmente oggetto del processo palermitano sulla trattativa Stato-Mafia, così come, ai tempi del processo relativo all'omicidio del presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella; rapporti con un organismo segreto furono più volte affermati da Alberto Volo (l'autore confesso della lettera anonima che già alla fine dell'agosto 1980 indicò come coinvolto nella strage di Bologna Francesco Mangiameli, la persona di cui furono ospiti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro nei giorni appena precedenti la strage);
   nel corso del recente processo per la strage di Brescia, alcuni alti ufficiali hanno poi rivelato i rapporti tra Gladio ed Ordine Nuovo, e sono risultati confermati i rapporti di Valerio Fioravanti con gli ordinovisti veneti. E tutte le sentenze in materia di stragi pronunziate negli anni Duemila, anche quelle assolutorie, indicano, sia pur genericamente, proprio negli ordinovisti veneti i responsabili della organizzazione di tutte le stragi degli anni Settanta, con il costante coinvolgimento dei servizi segreti che ebbero la responsabilità nella gestione di quelle strutture;
   nonostante i numerosi riferimenti a Gladio emersi nel corso degli anni, nessuna informazione a suo tempo sembra essere stata data ai giudici del processo relativo alla strage di Bologna: ma anche se allora non se ne avvertì da parte dei singoli inquirenti la rilevanza, il coinvolgimento di Gladio ad avviso dell'interrogante non poteva essere ignoto a chi era preposto alla sicurezza dello Stato ed al coordinamento degli organi di investigazione;
   dalle indagini svolte dai pubblici ministeri bresciani sono stati acquisiti documenti da cui risulta che ad un settore di questa struttura, verosimilmente evolutasi nel corso del tempo nel cosiddetto «Anello», apparteneva anche Federico Umberto D'Amato che, benché allontanato nel 1974 dall'ufficio affari riservati del Ministero dell'interno, continuò a gestire ancora nel 1980 i rapporti con le cosiddette «strutture antinsorgenza»;
   dal discorso di Andreotti del 1990 in poi non risulta sia stata più pronunciata alcuna parola chiarificatrice con riferimento alla operatività di queste strutture a fini di condizionamento della politica interna e – tuttavia – nel corso di numerose inchieste giudiziarie è stato raccolto materiale contrastante con quella affermazione di Andreotti –:
   se il Governo sia in grado di fornire dati certi sull'operatività delle «strutture» citate in premessa negli Settanta, Ottanta e Novanta, sulla attualità di eventuali loro propaggini, sulla totale chiusura di qualsiasi struttura clandestina, operazione, incarico, direttiva che in qualche modo possa intendersi come continuità di applicazione delle tecniche della guerra psicologica o di altre più moderne forme che ne rappresentino l'evoluzione;
   se coloro che ne fecero parte non ricoprano attualmente alcuna funzione di pubblico rilievo e non beneficino di alcun compenso per l'opera illegalmente svolta, nonché se vi siano state eventuali conseguenze sul piano della responsabilità disciplinare, amministrativa e contabile per quanto ad essi in passato sia stato erogato o per i benefici di cui illegittimamente abbiano goduto. (4-08822)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in oggetto, concernente il coinvolgimento di strutture clandestine, segnatamente di «Gladio», nell'organizzazione in Italia delle stragi tra gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, nonché circa la richiesta di dati sulle «strutture antinsorgenza», attive negli anni settanta, ottanta e novanta, e la loro operatività e condizionamento della politica interna, si trasmette la risposta elaborata in conformità agli elementi informativi comunicati al dipartimento per i rapporti con il Parlamento dal segretariato generale-segreteria speciale principale della Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero dell'interno.
  Al riguardo si comunica che il dipartimento delle informazioni per la sicurezza, interpellate l'Agenzia informazioni sicurezza interna e l'Agenzia informazioni sicurezza esterna, ha specificato che tutti i profili riguardanti istruzione, scopi, finalità e scioglimento di «Gladio» sono noti e oggetto di specifica relazione del comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato (CO.PA:CO) – X legislatura doc. XLVIII, n. 1, in data 4 marzo 1992. Con particolare riferimento alle eventuali «propaggini» di «Gladio», nulla si rileva agli atti, atteso il suo scioglimento ufficiale in data 27 novembre 1990. Dalle ricerche condotte dall'agenzia competente nei pertinenti compendi documentati nulla è emerso circa attuali funzioni di pubblico rilievo, compensi erogati ovvero in ordine all'accertamento di responsabilità per i benefici di cui avrebbero goduto gli appartenenti all'organizzazione «Gladio».
  Si precisa, inoltre, che il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha trasmesso al dipartimento per i rapporti con il Parlamento una nota scritta nella quale si comunica che gli argomenti trattati nell'atto di sindacato ispettivo in esame sono tuttora oggetto di approfondimenti investigativi nell'ambito di varie inchieste condotte dall'autorità giudiziaria di Bologna sull'attentato alla stazione ferroviaria del 2 agosto 1980, tra cui, in particolare, il procedimento penale n. 7815/11, aperto a seguito della presentazione di un esposto da parte dell’«associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980», di cui è presidente lo stesso onorevole Bolognesi.

La Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo 20 novembre 2007 «Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del fondo unico per lo spettacolo, di cui alle legge 30 aprile 1985, n. 163», all'articolo 7 «Decadenza dal contributo» comma 2 recita: «Per i contributi al settore circense, la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali»;
   con decreto, repertorio n. 977 dell'11 luglio 2013, il direttore generale per lo spettacolo dal vivo dottore Salvatore Nastasi, ha assegnato i contributi per l'anno 2013 ex articolo 15 decreto ministeriale 20 novembre 2007 alle attività circensi per euro 3.109.356 e per attività circense all'estero e danni conseguenti ad evento fortuito relativi agli anni 2011 e 2012 per un totale di euro 333.345;
   il decreto, repertorio n. 977 dell'11 luglio 2013, firmato dal direttore generale per lo spettacolo dal vivo dottore Salvatore Nastasi, riporta tra i beneficiari alcune attività circensi di cui sono note «le condanne definitive o le violazioni di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali», come:
    a) Folloni Ronaldo, Concordia sulla Secchia (Modena), euro 8.000,00 condannato dal tribunale di Milano il 15 aprile 2002 per «detenzione in condizioni incompatibili con la sua natura di un elefante tenendolo immobilizzato sotto il tendone a una tavola di legno di metri quadri 6 circa, legandolo con due catene fissate alla tavola»;
    b) Lidia Togni, Pagani (Salerno), euro 135.000,00 condannata dal tribunale di Palermo, I sezione penale, il 27 marzo 2008 «perché deteneva animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, ed in particolare custodiva elefanti in condizioni di immobilizzazione, camelidi e zebre ricoverati in strutture ridotte e non conformi alle esigenze tipiche, in contrasto con le raccomandazioni Cites»;
    c) Franchetti Enis, Parma, euro 18.000,00 condannato dal tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, il 27 gennaio 2010 «per il reato di cui all'articolo 1 comma 1 lettera f) e comma 2 della legge 150 del 1992», detenzione di tigri senza le prescritte certificazioni Cites e confisca delle stesse;
    d) il circo Bellucci è stato sanzionato nel gennaio 2012 a Bologna per violazione alle Linee guida Cites fatte proprie dal regolamento comunale tutela animali; nel citato decreto repertorio n. 977 dell'11 luglio 2013 sono elargiti contributi a «Bellucci Emidio – Maglie (Lecce) – euro 75.000», «Bellucci Loredana – Maglie (Lecce) – euro 30.000», «Bellucci Emidio – Maglie (Lecce) – euro 55.000 per acquisto nuovi impianti», «Bellucci Loredana – Maglie (Lecce) per attività in Romania 10.000 euro». A proposito dell'esercente Emidio Bellucci una semplice ricerca su «Infoimprese» permette di verificare che tale nome è registrato non a Maglie (Lecce) ma a Portici (Napoli) «Circo Bellucci più Acquatico di Bellucci Emidio»;
    e) il circo Martini è stato sanzionato nel maggio 2013 a Pesaro per violazione delle norme di custodia degli animali esotici. Nel citato decreto repertorio n. 977 dell'11 luglio 2013 sono elargiti contributi a «Martini Aldo – Roma – euro 25.000», «Martini Daris Leone Amedeo – Salerno – euro 100.000», «Martini Romolo – Salerno – euro 45.000» –:
   per quale ragione non siano evidentemente stati svolti i controlli per rispettare l'articolo 7, comma 2 del decreto ministeriale 20 novembre 2007 citato e sulla base di quale tipo di ricerche e documentazione il Ministero abbia finora proceduto negli anni precedenti e intenda procedere nei prossimi anni;
   quali dei circhi Bellucci e Martini, colpiti da sanzioni, abbiano visto assegnarsi finanziamenti non dovuti;
   se non ritenga doveroso e urgente disporre la revoca dei finanziamenti citati e assegnati;
   se non ritenga importante assumere iniziative per assegnare questi finanziamenti, così come eventualmente altri, per la costituzione di un proprio fondo per la custodia degli animali sequestrati o confiscati ad attività circensi visto che ad oggi questo costo è per lo più gravato sulle associazioni di protezione degli animali. (4-01685)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in oggetto, con la quale l'Onorevole interrogante chiede chiarimenti in ordine all'assegnazione, per l'anno 2013, di contributi per le attività circensi svolte da soggetti, a suo dire, colpiti da condanne definitive o di cui sono note violazioni di disposizioni normative statali e comunitarie in materia di protezione degli animali, si comunica quanto segue.
  Il decreto ministeriale 20 novembre 2007, così come modificato dal decreto ministeriale 3 agosto 2010, disciplina i criteri e le modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 e sulla base della legge n. 337 del 1968.
  In particolare, l'articolo 9 («attività circense in Italia») prevede la concessione di contributi agli esercenti circensi per «attività nella quale un'impresa, sotto un tendone di cui ha la disponibilità, presenta al pubblico, in una o più piste, uno spettacolo nel quale si esibiscono clown, ginnasti, acrobati, trapezisti, prestidigitatori, animali esotici e/o domestici ammaestrati...».
  Per l'ammissione ai contributi, il decreto ministeriale 20 novembre 2007 e successive modificazioni e integrazioni prevede il rispetto di un insieme di prerequisiti e di condizioni di professionalità e di regolarità amministrativa e contributiva d'ordine soggettivo e oggettivo. In particolare, per accedere a tutte le tipologie di contributi del settore circense l'articolo 4 («presentazione della domanda»), comma 1, lettera
f) stabilisce il requisito soggettivo di «non aver riportato condanne per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, e non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali». Tale requisito è attestato tramite dichiarazione da rendere ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Infine, l'articolo 6, comma 6, del citato decreto ministeriale stabilisce che l'Amministrazione può procedere a verifiche amministrativo contabili, anche a campione, al fine di accertare la regolarità dei bilanci e degli altri atti relativi all'attività sovvenzionata, (...) e condizionando, ove opportuno, l'erogazione dell'intero contributo o di parte dello stesso, all'esito della verifica.
  L'articolo 7 del decreto ministeriale, che disciplina la decadenza dal contributo, stabilisce, poi, che «la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-
bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali».
  Ciò premesso, si precisa quanto segue:
  Periodicamente la competente direzione generale per lo spettacolo dal vivo procede a verificare, in fase istruttoria o nella fase di controllo successiva alla assegnazione, il possesso del requisito previsto dal citato articolo 4, comma 1, lettera
f), inoltrando richiesta diretta alla procura della Repubblica dei certificati del casellario giudiziale e dei certificati di carichi pendenti, presso i tribunali dei luoghi di residenza degli esercenti stessi. Oltre alle verifiche su base periodica, l'amministrazione raccoglie informazioni tramite notizie stampa e segnalazioni da parte di comuni o di associazioni animaliste, che evidenzino casi di potenziale o sospetto reato per maltrattamento di animali.
  Si sottolinea che tali attività vengono svolte ai sensi dell'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, consentendo, quindi, anche di denunciare l'impresa in caso di dichiarazione falsa.
  Alla luce dei risultati documentali acquisiti, la citata direzione generale, in caso di condanna definitiva, respinge l'istanza o ne revoca gli effetti qualora sia stata già assegnata. Si fa presente, comunque, che l'inammissibilità o la revoca è possibile solo in casi di condanna definitiva e che, invece, giudizi ancora pendenti non portano necessariamente di per sé a tali conseguenze.
  L'amministrazione è tenuta, infatti, in assenza di una sentenza definitiva, a presentare comunque la domanda alla commissione, corredandola, ovviamente, delle informazioni ottenute in merito alle procedure giurisdizionali in corso, o a sospendere, in caso di assegnazione già avvenuta, l'erogazione stessa in attesa della conclusione dell’
iter processuale, mantenendo comunque la cifra in bilancio fino a quando la sentenza non passi in giudicato.
  Negli anni passati sono state respinte diverse domande di contributo o revocate assegnazioni, in fase di controllo antecedente alle erogazioni, nei casi in cui i soggetti proponenti erano risultati condannati definitivamente per i reati sopra citati.
  D'altra parte, si precisa come alcuni soggetti, tra i quali alcuni di quelli indicati nell'interrogazione in oggetto, abbiano richiesto ed ottenuto, nel corso del tempo, sentenza di riabilitazione e quindi siano a pieno titolo legittimati a procedere a nuove istanze per l'ammissione ai contributi pubblici previsti dalla normativa vigente.
  Così chiarite le modalità generali con cui si esplica il controllo da parte dell'amministrazione, si ribadisce che tali verifiche sono disposte con continuità e che, anche al fine di rendere il flusso informativo più fluido e veloce, saranno attivati i nuovi canali di informazione telematica con accesso diretto agli uffici competenti del casellario giudiziale.
  Per quanto riguarda, invece, le assegnazioni disposte con decreto direttoriale dell'11 luglio 2013, si rimanda alla illustrazione analitica dei controlli effettuati e dei motivi per i quali, alla luce degli stessi, attualmente non ricorrono condizioni di revoca ai sensi delle vigenti disposizioni normative. Naturalmente, qualora ulteriori verifiche, disposte prima delle erogazioni, evidenziassero condizioni ostative non emerse in fase istruttoria o sospensive della erogazione stessa, l'amministrazione provvederà ad operare di conseguenza, sulla base della normativa esistente.

A) Folloni Ronaldo, Concordia sulla Secchia (Modena) condannato, secondo quanto asserito dall'interrogante, dal Tribunale di Milano il 15 aprile 2002.

  L'esercente ha presentato una domanda di contributo per attività in Italia nel 2010, che l'amministrazione ha respinto dopo aver verificato la condizione dell'esercente sotto il profilo giudiziario.
  Successivamente, le verifiche finalizzate al controllo sulla dichiarazione sostitutiva presentata da Folloni Rolando ai sensi dell'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 in merito alla domanda di contributo 2013, hanno rilevato la sola presenza di un decreto penale del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Verona del 25 settembre 2003, per un reato di cui all'articolo 727 del codice penale, dichiarato estinto dallo stesso tribunale di Verona il 18 ottobre 2011.
  Sulla base di questo atto di estinzione, sono diventate ammissibili le istanze a partire da quella data e, poiché non risultavano agli atti del casellario altre condanne, come quella citata nell'interrogazione, l'istanza di contributo per attività 2013 è stata ammessa e presentata alla commissione, acquisendone il parere favorevole all'assegnazione di euro 8.000.

B) Lidia Togni, Pagani (Salerno), condannata, secondo quanto asserito dall'interrogante, dal tribunale di Palermo il 27 marzo 2008.

  L'istanza di contributo 2013 è stata presentata da un altro soggetto rispetto a quello condannato e cioè da una impresa denominata «Lidia Togni nel mondo società cooperativa di Canestrelli Vinicio», facente capo al nome della nota artista, ma con altra e diversa identità giuridica.
  L'amministrazione aveva provveduto a richiedere in merito a detto soggetto ed al legale rappresentante, signor Canestrelli Vinicio, il certificato di carichi pendenti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno e il certificato del casellario giudiziale alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma.
  Poiché non risultavano condanne attribuibili alla responsabilità di questa nuova impresa, l'amministrazione ha provveduto, come dovuto, a presentare l'istanza alla Commissione, che ha valutato positivamente l'attività dell'istante, destinando ad esso il contributo di 135.000 euro.

C) Franchetti Enis, Parma, condannato, secondo quanto asserito dall'interrogante, dal tribunale di Monza il 27 gennaio 2010.

  Il certificato del casellario giudiziale richiesto dall'Amministrazione e pervenuto il 5 agosto 2011, quindi in data successiva alla presunta condanna citata, non registra provvedimenti afferenti al reato menzionato nell'interrogazione. Analogamente, il tribunale di Parma dichiara con comunicazione scritta, pervenuta all'amministrazione il 24 agosto 2011, che non risultano procedimenti pendenti per i quali è stata esercitata azione penale a carico del signor Franchetti Enis. Stante tali riscontri, l'amministrazione ha provveduto a sottoporre l'istanza di contributo alla commissione consultiva, con successiva assegnazione di euro 18.000 per l'esercizio 2013.

D) circo Bellucci, sanzionato, secondo quanto asserito dall'interrogante nel gennaio 2012 a Bologna per violazione alle linee guida Cites fatte proprie dal regolamento comunale tutela animali.

  In riferimento alle varie ditte di esercenti circensi che fanno capo al cognome della famiglia «Bellucci», destinatarie di contributi per l'attività 2013, si precisa che, a seguito delle verifiche a campione condotte dall'amministrazione, è emerso quanto segue:
   Bellucci Emidio: il certificato dei carichi pendenti e il certificato del casellario giudiziale della procura della Repubblica, entrambi richiesti da questa amministrazione al tribunale di Montepulciano (residenza del legale rappresentante), avevano in precedenza attestato la non sussistenza di iscrizioni suscettibili di comunicazione ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del codice di procedura penale a carico del signor Bellucci Emidio. L'Amministrazione ha così provveduto a sottoporre le istanze di contributo per attività in Italia e per acquisto attrezzature alla Commissione consultiva, con successiva assegnazione, rispettivamente, di euro 75.000 e di euro 55.000. Si precisa che il «circo Bellucci» e il «circo Bellucci più acquatico di Bellucci Emidio» sono la stessa ditta che, nell'aprile 2012, ha trasferito la propria sede legale da Maglie (Lecce) a Portici (Napoli);
   Bellucci Loredana: il certificato dei carichi pendenti e il certificato del casellario giudiziale della procura della Repubblica presso il tribunale di Lanciano pervenuti, dietro richiesta dell'amministrazione, non avevano in precedenza registrato nulla a carico del soggetto.
  L'amministrazione ha così provveduto a sottoporre le istanze di contributo per attività in Italia nel 2013 e per attività all'estero nel 2012 alla Commissione consultiva, con successiva assegnazione, rispettivamente, di euro 30.000 e di euro 10.000. In relazione alla sanzione del gennaio 2012, conseguente a violazione delle linee guida Cites, fatte proprie dal regolamento comunale, l'amministrazione provvederà a richiedere la relativa documentazione alle Amministrazioni locali e agli organi giudiziari competenti, per identificare la titolarità del soggetto e la tipologia della sanzione, per valutare la sussistenza di motivi da cui consegua, ai sensi del decreto ministeriale, la revoca del contributo assegnato.

E) circo Martini sanzionato, secondo quanto asserito dall'interrogante, a Pesaro nel maggio 2013.

  I controlli di veridicità delle dichiarazioni presentate ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, effettuati da questa amministrazione nei confronti delle varie ditte circensi della famiglia Martini, in data anteriore a quella della recente sanzione del maggio 2013, non hanno prodotto risultati ostativi alla possibilità di accedere ai contributi Fus, ai sensi del requisito di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) del decreto ministeriale 20 novembre 2007.
  In particolare, le verifiche hanno prodotto i seguenti risultati:
   Martini Aldo: sia il certificato generale che il certificato di carichi pendenti della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, hanno dato esito negativo;
   Martini Romolo: il certificato generale del casellario giudiziale di Roma attesta che non esistono provvedimenti a carico che contrastino con le dichiarazioni rilasciate dallo stesso;
   Martini Daris Leone Amedeo: il casellario giudiziale di Salerno ha attestato un provvedimento penale del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria in data 26 novembre 2003, per maltrattamento animali, a cui è seguita una ordinanza di applicazione dell'indulto del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Caltanissetta del 15 dicembre 2010 per il reato di maltrattamento animali e, successivamente, un provvedimento di estinzione adottato dal giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria dell'11 aprile 2012, poiché il soggetto stesso «non risulta aver commesso ulteriore reato della stessa indole». In fase di controllo antecedente alla erogazione, le dichiarazioni e le documentazioni presentate dai vari soggetti che fanno capo alla denominazione della famiglia circense Martini, saranno sottoposte a verifiche aggiornate, così come avviene per ogni altro soggetto beneficiario di contributi pubblici.

  Da quanto sopra esposto, si evince che il controllo attiene alla ordinaria e consueta attività istruttoria e procedurale dell'amministrazione, che lo esercita nell'ambito e nei limiti delle proprie competenze, attivando ogni canale informativo messo a disposizione dalla circolazione delle informazioni tra amministrazioni diverse quali: tribunali, casellario giudiziale camere di commercio, guardia di finanza, agenzie delle entrate, eccetera. Anche le assegnazioni menzionate nell'interrogazione si sono avvalse, nella fase istruttoria, di questo tipo di controlli e proseguiranno nella fase successiva precedente all'erogazione e di verifica dei consuntivi.
  Si precisa, inoltre, che la predetta normativa non prevede la possibilità di utilizzare somme ottenute da finanziamenti revocati per la costituzione di un fondo per la custodia degli animali sequestrati o confiscati, giacché tali risorse costituiscono economie di bilancio di cui l'amministrazione non dispone direttamente.
  Si rappresenta, infine, come questa amministrazione segua con attenzione il dibattito in corso sulla stampa dedicato alla questione dell'utilizzo di animali nelle attività circensi e la sensibilità crescente da parte dell'opinione pubblica nei confronti dei diritti degli animali. Sull'argomento sono state promosse riunioni ed incontri congiunti con l'ente nazionale circhi ed i rappresentanti delle associazioni a difesa degli animali per alimentare un sereno confronto su una questione di forte attualità.
  Al riguardo, il recente ordine del giorno n. G9.205 al disegno di legge n. 1014, approvato in Senato in sede di approvazione del decreto-legge «Valore Cultura», segna un importante tappa nel percorso di responsabilizzazione che le Istituzioni Politiche hanno voluto delineare per il settore, coniugando il riconoscimento della funzione sociale ed artistica dell'attività circense con il rispetto degli animali «impegnando il Governo a prevedere nei prossimi provvedimenti una riduzione progressiva dei contributi, a valere sul fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ad esercenti attività circense e spettacolo viaggiante con animali fino a pervenire al completo azzeramento dei contributi nell'esercizio finanziario 2018 anche per quanto riguarda le attività promozionali, educative, formative, editoriali, collegate alle attività circensi con animali, alle attività circensi con animali all'estero, all'accademia del circo e a festival circensi ».
  Tale ordine del giorno è stato affiancato dall'approvazione di un emendamento che ha introdotto, all'articolo 9, il comma 1-
bis secondo cui il decreto ministeriale di concessione dei contributi ai circhi «può destinare graduali incentivi in favore di esercenti attività circensi e spettacoli viaggianti senza animali, nonché esercenti di circo contemporaneo nell'ambito delle risorse ad essi assegnati».
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi i giornali nazionali e locali riportavano la notizia che il Ministero si appresterebbe a varare un piano di razionalizzazione delle forze di polizia in cui è prevista la soppressione di alcuni presidi territoriali e tra questi ci sarebbe la chiusura del posto Polfer di Cervignano del Friuli;
   in particolare, da quanto si è appreso dalla circolare interna del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio, il Ministero propone il taglio di un miliardo e 800 milioni di euro agli stipendi delle forze dell'ordine e la riduzione dei corsi di formazione, la chiusura di undici commissariati, la soppressione di due compartimenti e 27 presidi della stradale, la cancellazione di 73 sezioni di polizia ferroviaria. Inoltre prospetta la chiusura di ben 73 sezioni provinciali della polizia postale, deputata a fronteggiare questa nuova frontiera del crimine online in un periodo come quello odierno in cui sono in aumento i reati telematici, tra cui anche il cyber bullismo; infine, secondo quanto è dato sapere, saranno chiuse due zone di frontiera e dieci presidi minori, oltre a tutte le 50 squadre nautiche, quattro sezioni di sommozzatori, undici squadre a cavallo e perfino quattro nuclei artificieri;
   per quanto riguarda in particolare la ventilata chiusura del presidio Polfer di Cervignano del Friuli, ha suscitato grande allarme tra la cittadinanza già penalizzata dalla chiusura del commissariato di polizia e per garantire la tutela dell'ordine pubblico rimarrebbe solo una stazione dei carabinieri con pochi addetti, con una microcriminalità in costante aumento;
   la stazione ferroviaria di Cervignano del Friuli è un nodo strategico per l'intera Bassa Friulana e la regione Friuli e occupa una enorme area dove insiste l'interporto che mette in comunicazione l'Italia con Slovenia e Austria che rimarrebbe senza alcun controllo da parte delle forze dell'ordine; sarebbe invece opportuno potenziare lo stesso con la possibilità di impiego del personale Polfer anche in compiti di pattugliamento nel territorio cittadino, in coordinamento con le altre forze di polizia –:
   se non sia possibile al Ministero dell'interno, nell'ambito della razionalizzazione della spesa, effettuare tagli alternativi senza intaccare importanti presidi di sicurezza che operano per la tutela del cittadino, con conseguente stralcio della ventilata soppressione del posto Polfer di Cervignano del Friuli;
   nel caso in cui il taglio venga attuato, poiché i poliziotti non hanno raggiunto l'età pensionabile, con quali criteri e modalità gli operatori della Polfer di Cervignano del Friuli verrebbero riassorbiti e riorganizzati nell'ambito delle forze dell'ordine. (4-04080)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla soppressione del presidio di polizia ferroviaria di Cervignano del Friuli, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CAPARINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   verybello.it è secondo l'interrogante un caso di specie di tutto ciò che non si deve fare nella progettazione e realizzazione di un portale, in particolare — sotto l'aspetto giuridico — non sono presenti o rispettate: le policy della privacy, le norme sul l'accesso ai disabili, i termini di servizio;
   la policy privacy sono previste obbligatoriamente dalla normativa nazionale e comunitaria, anche in riferimento alla tracciabilità dei visitatori attraverso l'utilizzo di cookies e in relazione agli obblighi dell'informativa;
   non è stata assicurata l'ottemperanza alle norme sull'accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici» nonché alle norme del decreto del Presidente della Repubblica, 1 marzo 2005, n. 75, Regolamento di attuazione della legge 9 gennaio 2004, n. 4 per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e decreto ministeriale 8 luglio 2005, requisiti tecnici e i diversi livelli per l'accessibilità agli strumenti informatici;
   i (termini di servizio) TOS non sono presenti ancorché siano essenziali al fine di comprendere diritti e obblighi del visitatore nella consultazione del sito;
   il portale, che dovrebbe rivolgersi ad un pubblico straniero, manca di una o più lingue straniere, presenta alcuni bug, ed è scarsamente indicizzato –:
   quando, a quali importi e con quali modalità sia stato assegnato l'incarico all'agenzia di comunicazione LOLAETLABORA srl, i cui due sono soci Andrea Steinfl e Antonella Marra, che si è intestata il dominio verybello.it 24 novembre 2014;
   considerate le infinite critiche scoppiate in rete sabato mattina quali siano i motivi che hanno impedito di realizzare un immediato restyling. (4-07698)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame con la quale l'interrogante, in relazione al portale verybello.it, chiede di sapere per quali importi e con quali modalità sia stato assegnato l'incarico all'agenzia di comunicazione Lola et labora srl, «che si è intestata il dominio» e per quali motivi non sia stato immediatamente realizzato un restyling del sito.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  
Verybello è una piattaforma digitale interattiva che, attraverso un linguaggio immediato e visivo, racconta la varietà dell'offerta culturale italiana nei sei mesi dell'Expo. Già sono presenti sul sito oltre 1.300 eventi che costituiscono un vero e proprio catalogo da sfogliare per progettare un viaggio lungo tutto il paese da nord a sud, dalle grandi città ai piccoli borghi.
  Per la realizzazione delle schede relative agli oltre 1.300 eventi sono state utilizzate risorse interne al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La raccolta è avvenuta di concerto con Anci e regioni, che hanno segnalato alcuni tra gli eventi principali previsti durante il periodo di Expo. La piattaforma sarà periodicamente aggiornata: gli organizzatori degli eventi e le amministrazioni locali possono infatti segnalare nuovi appuntamenti scrivendo all'indirizzo
mail verybello@beniculturali.it. Una redazione interna al Mibact provvederà all'aggiornamento e alla promozione degli eventi sui social network.
  È in fase di definizione una collaborazione con il portale Italia.it.
  Il sito
www.verybello.it, online dal 24 gennaio 2015, è stato inizialmente presentato nella versione beta, in una versione dunque non definitiva. Dal giorno della sua presentazione sono state apportate diverse modifiche, tenendo conto anche dei tanti suggerimenti arrivati dalla rete.
  È stato avviato inoltre un dialogo con l'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) per perfezionare ulteriormente il portale, anche ai fini di una puntuale congruità con la normativa relativa all'accessibilità.
  Dal 6 febbraio 2015 il sito è
online in italiano e in inglese. Dal 2 aprile 2015 è online la nuova release del sito, che supera la versione beta.
  La società Lola et Labora è stata selezionata a seguito di una indagine di mercato tra i fornitori della pubblica amministrazione presenti sul mercato elettronico (Mepa), sebbene tale procedura non fosse necessaria visto che la somma destinata dalla Direzione generale turismo per la realizzazione della piattaforma (39 mila euro) consentiva un affidamento diretto.
  Lola et Labora si è aggiudicata il bando proponendo la realizzazione del sito per la cifra di 35 mila euro (più Iva).
  Il contratto è regolarmente pubblicato sul sito istituzionale del Ministero, nel
link amministrazione trasparente – bandi di gara e contratti – contratti – Direzione generale per le politiche del turismo.
  Relativamente ai domini
verybello.it e verybello.com, inizialmente acquistati autonomamente su Aruba dalla società Lola et Labora, si precisa che il trasferimento dei relativi «Registrante dominio», ovvero il cambio di intestatario, è stato perfezionato il 18 marzo 2015 nel rispetto delle procedure contabili della pubblica amministrazione, termine dopo il quale unico proprietario risulta il Ministero.
  I rapporti contrattuali con Lola et Labora sono limitati alla fase di realizzazione e perfezionamento del portale: non è previsto alcun coinvolgimento della società nella successiva fase di gestione.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. – per sapere – premesso che:
   anche nelle Forze armate italiane, molti militari usufruiscono dei benefici assistenziali riconosciuti dalla normativa ex lege n. 104 del 1992;
   fra questi benefici v’è anche quello del temporaneo trasferimento in un reparto prossimo alla residenza o domicilio del parente invalido;
   per gli appartenenti alle Forze armate, il beneficio del trasferimento temporaneo è, ovviamente, riconosciuto per un periodo pre-stabilito: fin quando il familiare portatore di handicap è in vita;
   nel momento in cui viene a mancare il familiare, il militare dovrà ritornare al proprio reparto di appartenenza, precedente all'ultimo impiego;
   tale principio è sicuramente giusto ed equo, ma bisogna valutare il caso del militare che assiste un familiare handicappato di giovane età e questo può comportare che il decesso possa avvenire dopo 10, 20 o addirittura 25 anni di assistenza. In tal caso, dovrà ritornare a reparto di destinazione;
   in queste condizioni, la persona che usufruisce del beneficio non riesce a programmare la propria vita, in funzione del proprio incerto futuro;
   a questa problematica che riguarda tutto il comparto difesa, sembrerebbe che nessuno si sia mai interessato;
   a giudizio dell'interrogante e senza un ulteriore e, si ritiene superfluo, intervento normativo si potrebbe introdurre una norma regolamentare di applicazione/interpretazione per cui il militare rimanga definitivamente nel reparto di «provvisoria assegnazione» dopo 5/10 anni dalla prima assegnazione attraverso una semplice richiesta al proprio comandante di reparto, il quale esprimerà parere favorevole o non, oppure in base ad una decisione dello Stato maggiore, in base al comportamento del beneficiario negli anni di permanenza al reparto;
   ciò comporterebbe, innanzitutto, un innalzamento dei risultati dei soggetti interessati, oltre che la speranza di trasferimento per i beneficiari che hanno superato detto periodo;
   sono numerosi i militari in queste condizioni e non è giusto provvedere nella forma che il Ministro interrogato riterrà più opportuna –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08241)

  Risposta. — Il Ministero della difesa tiene nella massima considerazione possibile le esigenze di tutela previste dalla legge n. 104 del 1992 e dalle altre norme di tutela sociale e di assistenza familiare.
  Da parte degli organi tecnici competenti, infatti, vengono posti in essere i movimenti e le assegnazioni di personale (anche avvalendosi dell'istituto dell'assegnazione temporanea previsto dall'articolo 42-
bis del decreto legislativo n. 151 del 2001), quando vi sia possibilità di utile impiego della forza lavorativa nella sede richiesta dagli interessati.
  Tanto premesso, si sottolinea che la disponibilità all'impiego incondizionato da parte del personale militare costituisce un principio generale ed una necessità funzionale e operativa delle Forze armate.
  Al militare destinatario del beneficio previsto dalla legge n. 104 del 1992, infatti, si applica una temporanea limitazione di detto principio generale.
  Invero, nell'ipotesi prevista dalle disposizioni normative in argomento, l'interesse pubblico ad un efficace ed efficiente impiego del personale militare viene controbilanciato, diventando
medio tempore recessivo, da altro interesse pubblico normativamente riconosciuto, concernente l'assistenza al portatore di handicap.
  Soggetto che, in definitiva, rappresenta l'unico beneficiario della norma.
  Il personale militare in servizio permanente effettivo, quindi, nel corso dell'intera carriera, è potenzialmente oggetto a numerosi trasferimenti.
  La invocata stabilizzazione di sede anche dei non più aventi diritto (perché decadute le condizioni di legge) andrebbe a favorire una individuale aspirazione di stabilità di sede che, in quanto tale, risulterebbe discriminatoria nei confronti dei restanti militari.
  Si aggiunga, quale nota di approfondimento, che la provenienza geografica della popolazione militare, concentrata spiccatamente in circostanziati poli, già rende sbilanciato il rapporto tra esigenze di impiego su tutto il territorio nazionale e le richieste personali.
  Detto rapporto risulterebbe ancor più sbilanciato ove si adottassero misure che, saturando nel tempo le posizioni organiche di determinate aree geografiche, andrebbero ad incidere, in maniera significativa, sulla possibilità di favorevole accoglimento di nuove istanze da parte di altro personale avente diritto.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le elezioni amministrative ed europee del 2014 si sono tenute il 25 maggio 2014. I ballottaggi si sono tenuti l'8 giugno. Per quanto riguarda le prime, con gli 11 comuni del Trentino-Alto Adige che hanno anticipato le elezioni al 4 maggio, sono andati al voto complessivamente 4.098 comuni, di cui 3.901 appartenenti a regioni ordinarie e 197 a regioni a statuto speciale;
   si è votato in ventinove comuni capoluogo di provincia, fra cui Bari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza che sono anche capoluogo di regione;
   secondo quanto appreso dal sito dedicato dal Ministero dell'interno, hanno votato complessivamente 28.991.258 cittadini su 50.662.460, per una percentuale del 57,22;
   quattro settimane dopo le elezioni, i nuovi deputati europei, i 73 deputati italiani arrivati a Bruxelles si preparano alla prima sessione plenaria, che si terrà dal 1° al 3 luglio a Strasburgo, mentre, relativamente alle amministrative, è in corso d'opera la formalizzazione degli incarichi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno effettuare un monitoraggio sul genere degli eletti al fine di conoscere, in un'ottica di gender mainstreaming, quante sono le donne elette nelle elezioni amministrative ed europee e sapere se sono state rispettate le disposizioni della legge n. 120 del 2011 sia nelle candidature, sia nella composizione delle giunte. (4-05314)

  Risposta. — L'onorevole ha chiesto di conoscere, con riferimento alle elezioni amministrative ed europee dello scorso anno, quante siano state le donne elette e se siano state rispettate le disposizioni della legge 12 luglio 2011, n. 120.
  In proposito, si precisa che la predetta legge disciplina la parità di accesso agli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati e, quindi, non riguarda la materia elettorale.
  In relazione, invece, alla legge n. 215 del 2012, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali, la circolare della Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno, n. 30 del 2013, ha posto in rilievo che il controllo della regolarità delle liste per le relative elezioni comunali è rimesso alla commissione elettorale circondariale.
  In ogni caso si comunica che nelle elezioni amministrative, tenutesi nei mesi di maggio e giugno dello scorso anno in 4.052 comuni, le candidate sono state 161.975 su 442.694 (tale dato non comprende il Trentino), pari al 36,59 per cento del totale.
  Il numero delle consigliere elette è risultato pari a 14.598 su 46.206 (31,59 per cento) e quello delle elette sindaco pari a 649 (16,02 per cento).
  Il numero degli assessori donna ammonta a 9.009 su 24.525 (36,73 per cento).
  Per quanto concerne, infine, le elezioni europee, la presenza femminile è pari a 29 deputate su 73.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014 e da un altro precedentemente apparso su Il Messaggero dell'Umbria rispettivamente a firma di Emiliano Liuzzi e di Italo Carmignani Fabrizi, in riferimento al Ministro Stefania Giannini per una vicenda legata all'acquisto di un edificio da parte dell'università per stranieri di Perugia di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, si apprende che: «Come quello dell'acquisto di un edificio a due milioni e mezzo di euro, che l'università di Perugia decise di prendere dalla provincia e che, ancora oggi, è un santuario nel deserto, una struttura abbandonata. Non serviva a niente allora e tantomeno serve oggi, visto che non è ben chiaro a cosa volessero destinarlo, lei e il cda che guidava, al momento dell'acquisto»;
   l'articolo fa riferimento a fatti accaduti quando l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca rivestiva l'incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia: in particolare l'università per stranieri acquistò dalla provincia di Perugia (il cui presidente era Guasticchi) una palazzina (l’ex senologia sita al parco Santa Margherita di Perugia) per oltre due milioni di euro «ma ora giace serena e inutilizzata perché le sue mura sono spesse ottanta centimetri. Quindi l'intervento per ricavarne delle aule è titanico» (così Italo Carmignani sul Messaggero dell'Umbria);
   sulla vicenda dell'acquisto della suddetta palazzina e della sua destinazione da parte dell'università per stranieri, di cui attuale Ministro era rettore, occorre che il Governo fornisca dei chiarimenti –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se non si intendano fornire i chiarimenti e le delucidazioni necessarie in merito ai fatti descritti in premessa;
   se il Ministro possa chiarire in base a quale valutazione l'università per stranieri di Perugia, di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, adottò la decisione di acquistare la suddetta palazzina;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al riguardo il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, a tutela dell'interesse pubblico. (4-08778)

  Risposta. — La questione posta dall'interrogante riguarda l'acquisto di un edificio da parte dell'università per stranieri di Perugia nell'anno 2012. L'interrogante rileva l'inopportunità dell'operazione di compravendita e chiede chiarimenti in merito, riportando notizie apparse su alcune testate giornalistiche.
  In primo luogo, occorre precisare che la vicenda trae origine dalla necessità di reperire nuovi spazi da adibire ad attività didattiche dell'ateneo, così come deliberato dal consiglio di amministrazione dell'università. Infatti, nell'adunanza del 26 luglio 2010, lo stesso Consiglio deliberava un assenso di massima in ordine all'ipotesi di acquisizione dell'edificio, già sede del «padiglione di senologia» della Asl, di proprietà della provincia di Perugia, rispondente alle nuove necessità logistiche, in considerazione sia della sua posizione, contigua al Campus Universitario, sia del suo utilizzo, già dal mese di aprile infatti, parte dello stesso risultava destinato ad uso didattico, in virtù di un precedente contratto di comodato d'uso gratuito.
  Nella stessa seduta, quindi, il consiglio di amministrazione si esprimeva, all'unanimità, a favore dell'acquisizione dell'immobile in questione, a condizione che si effettuasse «una puntuale attività di pianificazione dell'edilizia universitaria attraverso un'attenta verifica dei relativi stanziamenti di bilancio».
  Successivamente, a seguito delle opportune verifiche contabili e di bilancio, accertata la disponibilità finanziaria per la copertura sia delle spese di acquisizione che di quelle necessarie ai lavori di adeguamento dell'immobile, veniva deliberata, all'unanimità, nell'adunanza del consiglio di amministrazione dell'8 novembre 2010, l'ipotesi di accordo con la provincia per l'acquisizione immobiliare e per l'affidamento, allo stesso ente locale, delle funzioni di stazione appaltante per i lavori di ristrutturazione necessari.
  Considerato che l'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006 prevede la possibilità, per le amministrazioni aggiudicatrici, di affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, il consiglio di amministrazione riteneva un'opportunità particolarmente preziosa quella di affidare le stesse onerose funzioni alle strutture tecniche della provincia. Ciò, in quanto la stazione appaltante, in questo caso, coincideva con il precedente proprietario dell'immobile e, in quanto tale, a conoscenza delle caratteristiche dello stesso, sia perché la norma citata, prevedendo un semplice rimborso dei costi su base convenzionale, consentiva un significativo risparmio sui costi di progettazione, direzione dei lavori e affini, i quali, per la loro complessità e gravosità, non apparivano gestibili da figure professionali interne all'Amministrazione universitaria; quindi un affidamento esterno sarebbe stato ben più oneroso.
  A seguito delle trattative avviate con la provincia di Perugia, su mandato del consiglio di amministrazione, veniva predisposto uno schema di protocollo di Intesa tra le amministrazioni interessate, che veniva recepito ed approvato, all'unanimità, nell'adunanza del Consiglio di amministrazione dell'università in data 28 marzo 2011.
  Con tale protocollo di intesa si concordava sia la definizione delle procedure di compravendita immobiliare sia l'affidamento delle attività di progettazione e di direzione dei lavori di ristrutturazione a strutture tecniche interne della provincia, prevedendo la redazione, da parte dell'Ateneo, di un documento preliminare alla progettazione (DPP) per consentire agli uffici tecnici della provincia l'avvio di una quantificazione economica dei lavori. L'università avrebbe potuto così sottoporlo all'approvazione dei propri uffici consentendo lo stanziamento del fabbisogno finanziario necessario per l'avvio delle procedure di gara.
  Nello stesso consiglio veniva deliberato, quale importo massimo di acquisto dell'immobile, la somma di euro 2.800.000,00, precisando che si trattava di un edificio posto all'interno del parco Santa Margherita, ricompreso nell'ambito di un appezzamento della superficie complessiva di mq 2.500, di cui circa 1.000 adibiti a parcheggio e viabilità interna, sviluppato su due livelli ciascuno di metri quadrati 585.
  Si ribadiva che lo stesso, poi, proprio per la sua posizione adiacente alle palazzine «Prosciutti», «Lupatelli», «Valitutti», di proprietà dell'università, sarebbe stato in grado di migliorare in modo significativo la situazione degli spazi adibiti ad attività didattica, completando, altresì, il polo scolastico multidisciplinare all'interno della città di Perugia.
  Successivamente, con deliberazione del 15 novembre 2011, il consiglio
de quo deliberava, all'unanimità, l'autorizzazione all'acquisto della palazzina in questione per un importo pari a 2,5 milioni di euro, a seguito del parere di congruità, in merito alla perizia estimativa della provincia sull'immobile, rilasciato dall'agenzia del territorio, opportunamente incaricata dall'ateneo con nota del 14 luglio 2011, n. 7111.
  Più recentemente, il 30 maggio 2013, il consiglio di amministrazione dell'ateneo approvava, all'unanimità, sia la bozza di «convenzione tra università per stranieri di Perugia e provincia di Perugia» per l'affidamento alla stessa provincia delle attività tecnico-amministrative per i lavori di ristrutturazione dell'immobile, sia del sopra citato «documento preliminare di progettazione», necessario per l'avvio delle fasi progettuali di competenza della provincia, con una previsione di spesa complessiva di euro 1.613.160,00 (comprensive delle somme a disposizione dell'amministrazione quali IVA, spese tecniche e imprevisti, oneri della sicurezza).
  Alla luce di quanto si evince dalle succitate delibere del consiglio di amministrazione dell'università per stranieri di Perugia, quindi, appare evidente che la vicenda, oggetto della presente interrogazione, si sia svolta secondo i princìpi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa, nonché del buon andamento della pubblica amministrazione sotto il profilo della economicità, efficacia ed efficienza amministrativa.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia postale e delle comunicazioni nasce quale specialità della Polizia di Stato, all'avanguardia nell'azione di prevenzione e contrasto della criminalità informatica e a garanzia dei valori costituzionali della segretezza della corrispondenza e della libertà di ogni forma di comunicazione;
   fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono solo alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della polizia postale;
   da fonti sindacali si è appreso dell'esistenza presso il dipartimento della polizia di Stato di un progetto di riorganizzazione della polizia postale e delle comunicazioni, dagli effetti dirompenti, che prevede la chiusura delle sezioni non sedi di distretto di corte d'appello e il prevedibile trasferimento di personale ad uffici non ancora individuati, ma destinati verosimilmente ai servizi di ordine pubblico;
   tale notizia ha destato grande preoccupazione tra il personale interessato, sia per il ridimensionamento degli uffici e degli organici, questi ultimi già esigui, sia per la conseguente perdita di un patrimonio professionale acquisito con grandi sacrifici;
   non si comprende, nell'era della digitalizzazione ed al cospetto del continuo aumento dei reati informatici, le ragioni che hanno indotto alla soppressione di sezioni considerate indispensabili dagli uffici compartimentali per la loro attività in ambito regionale;
   con la ristrutturazione voluta dal dipartimento di polizia di Stato, inoltre, non si otterrebbe alcun risparmio né delle risorse economiche né di quelle umane, ma si vanificherebbe l'utilizzo delle risorse investite fino ad oggi per specializzare il personale delle sezioni, oltre a non risolvere la problematica della carenza di personale e perdendo un servizio fondamentale per i cittadini;
   è certo, a parere dell'interrogante, che questa riorganizzazione creerà solo disservizi ai cittadini e nessun beneficio all'amministrazione della polizia di Stato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per scongiurare il rischio di attuazione del progetto di riorganizzazione della polizia postale e delle comunicazioni, permettendo alla stessa di continuare a operare per la sicurezza e salvaguardia dello Stato e dei cittadini stessi. (4-04018)

  Risposta. — Le questioni segnalate con le interrogazioni in esame – relative al ridimensionamento della rete dei presìdi di Polizia postale sul territorio nazionale e alla chiusura di una serie di uffici di polizia nelle province di Roma, Nuoro e Cosenza – sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia non scommette sulla diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero e ne è prova evidente la proposta, avanzata dal Ministero degli affari esteri nell'ambito della «razionalizzazione» della rete consolare nel mondo, di chiudere 32 sedi all'estero tra ambasciate, consolati, sportelli consolari e istituti italiani di cultura;
   in particolare, un grave passo che il Governo sta per compiere è proprio l'annunciata chiusura di ben otto istituti italiani di cultura nel mondo: Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg;
   gli istituti italiani di cultura, un'importante vetrina dell'Italia nel mondo, promuovono la cultura italiana di cui la lingua, la ricerca scientifica e l'idea di «Made in Italy» sono parte integrante;
   secondo il Ministero degli affari esteri si tratterebbe di una riduzione obbligata, dettata dai criteri della cosiddetta spending review;
   nonostante la grande mobilitazione dei cittadini dei Paesi coinvolti e degli italiani residenti all'estero, così come delle autorità locali, di personalità della politica e della cultura, la soppressione di questi enti sta procedendo con grande rapidità e dovrebbe avvenire già questa estate;
   come si legge nella lettera aperta inviata al nuovo Presidente del Consiglio da alcuni intellettuali italiani, «in un tempo difficile come quello presente, caratterizzato da una pesante crisi, non si deve sottovalutare anche la positiva ricaduta economica che l'attività degli Istituti di cultura produce. E sufficiente pensare a quanti studenti o utenti degli Istituti prossimi a chiudere scelgono di visitare il nostro Paese, di acquistarne i prodotti, di farvi investimenti»;
   la classe politica non perde occasione per ripetere che il nostro patrimonio culturale, le nostre intelligenze e le nostre conoscenze devono costituire la base per una vera ripresa del nostro Paese e soltanto pochi giorni fa, nel suo discorso per la fiducia al Senato, lo stesso nuovo premier Matteo Renzi ha posto al centro del suo intervento la cultura, dichiarando che «la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l'anima»;
   il risparmio realizzato con la chiusura degli Istituti di cultura sarà di circa 800.000 euro annui, una cifra che, certamente, potrebbe essere tagliata su altri fronti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per la promozione e il rilancio della cultura italiana all'estero, quali provvedimenti intenda adottare per scongiurare la chiusura degli otto istituti italiani di cultura. (4-04027)

  Risposta. — La rete degli Istituti italiani di cultura è tra i maggiori punti di forza della Farnesina ed è nell'interesse comune rimodularla in un'ottica di più efficiente allocazione delle risorse e di adeguamento ai mutati scenari internazionali. In questi ultimi mesi tale rete è stata sottoposta ad un processo di ristrutturazione dettato da fattori obiettivi, quali la spending review del 2012 (decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con legge n. 135 del 2012, che impone precisi obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero), la scarsità di risorse finanziarie, la contrazione degli organici e soprattutto la necessità di aggiornare la sua distribuzione che rispecchia una visione superata, concentrata soprattutto in Europa.
  Si è trattato certamente di un'operazione difficile e non indolore, ma al contempo indispensabile per rafforzare la presenza dell'Italia in aree emergenti e di nuova priorità strategica, facendo degli Istituti di cultura uno strumento sempre più al servizio della crescita e della competitività del Paese.
  La scelta degli uffici da sopprimere è stata operata con l'obiettivo di preservare un'equilibrata distribuzione della rete, intervenendo pertanto prevalentemente in Europa (Germania, Lussemburgo, Grecia e Turchia). Le sedi che sono state interessate dalla chiusura sono infatti gli Istituti di Lussemburgo e Salonicco, nonché le sezioni di Wolfsburg e Francoforte sul Meno. Vi sono, poi, Ankara e Vancouver. In virtù di una scelta politica condivisa, e come segno di una volontà di investire nell'aspetto della promozione della nostra cultura all'estero, si è deciso di tenere aperti due Istituti di cultura tra quelli che pure erano stati inseriti nella lista delle chiusure, in particolare Stoccarda e Lione.
  L'azione intrapresa è stata affiancata, inoltre, ad iniziative volte a rendere maggiormente flessibile il sistema attuale, allo scopo di preservare comunque la presenza culturale italiana. In questo senso vanno le disposizioni introdotte con la legge n. 125 del 2013 di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013, le quali consentono a un Istituto di cultura di essere accreditato – e quindi di operare – in più Paesi, così come all'amministrazione di inviare personale dell'area della promozione culturale anche presso Ambasciate e Consolati dove non è presente un Istituto di cultura.
  Infine, sul piano operativo, parallelamente a quanto si sta facendo con riguardo alla rete diplomatico-consolare, si sta lavorando per mettere in atto strategie integrate di intervento che tengano conto delle altre presenze italiane, istituzionali e non, che operano all'estero nel settore della promozione culturale e linguistica. Si tratta di Lettorati, Dipartimenti di italianistica, scuole italiane, addetti scientifici, comitati della Dante Alighieri ed enti gestori dei corsi di lingua.
  Come si evince da quanto sinora esposto, il processo di ristrutturazione vuole e deve essere interpretato come un'opportunità per rafforzare in termini di efficienza ed incisività la rete degli Istituti italiani di cultura, a fronte di esigenze di contenimento della spesa.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CIRIELLI e LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da una circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, a firma del direttore degli affari generali della Polizia di Stato, si apprende che, vista l'attuale congiuntura economica, è allo studio «una riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine»;
   in particolare, il progetto di razionalizzazione e chiusura vede coinvolti ben 261 presidi su tutto il territorio nazionale: le previsioni di chiusura riguardano 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di pubblica sicurezza, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni/sotto sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni Sommozzatori, 50 squadre nautiche, oltre agli accorpamenti e rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito gradale, Ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   fortemente colpita da questo scellerato «progetto», se confermato, sarebbe la zona dei Castelli romani con la soppressione dei commissariati di Colleferro, Genzano di Roma e Frascati;
   si tratta di aree con un'ampia densità di popolazione e, purtroppo, con un'incidenza di criminalità anche di tipo mafiosa e camorrista molto alta;
   tali sconcertanti decisioni toccano la vita di numerosi cittadini specie in un momento in cui, proprio nei Castelli Romani, si assiste a un aumento dei furti nelle abitazioni e di rapine e, pertanto, più forte appare la necessità di un capillare controllo del territorio;
   da sempre il commissariato di polizia di Genzano di Roma è un punto di riferimento per i cittadini, presidio che quotidianamente garantisce sicurezza, tutela e presenza in un territorio che interessa, oltre il comune di Genzano di Roma, anche Nemi e Lanuvio per un bacino di oltre 40 mila abitanti;
   molteplici sono gli interventi e le indagini fondamentali che il commissariato ha portato avanti negli anni, a testimonianza dell'importanza di questo presidio e a dimostrazione del fatto che non si può e non si deve privare il territorio di una struttura così rilevante e basilare per la sicurezza dei cittadini;
   tali drastiche misure sguarnirebbero i territori di presidi importanti dello Stato e potrebbero portare a conseguenze devastanti, soprattutto in un periodo di crisi economica e sociale quale quella attuale che aumenta il tasso di criminalità aggiungendo il motivo della disperazione;
   anche in questa occasione il Governo ha dimostrato di non considerare le grandi professionalità del personale della polizia di Stato: ferma restando l'opportunità di una riorganizzazione volta ad efficientare le risorse economiche, infatti, quelle che vanno preservate sono la professionalità, le competenze e le capacità di moltissimi operatori delle forze dell'ordine che questa professionalità e queste competenze le hanno acquisite, sostenendo numerosi corsi di formazione e naturalmente in moltissimi anni di duro lavoro sul campo;
   ciò è ancora più evidente, poi, per le squadre nautiche e le sezioni di Sommozzatori, come anche per gli artificieri, che, per la loro preparazione specifica e loro competenze, risulterebbero particolarmente penalizzati e sottoutilizzati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda rivedere suddetto progetto di drastica riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini, nonché quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per scongiurare, in particolare, il rischio di soppressione del commissariato di polizia di Genzano, anche attraverso risparmi sulle sedi utilizzando, ad esempio, gli spazi pubblici spontaneamente offerti dai comuni;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno quantomeno subordinare la dismissione delle 50 squadre nautiche e delle sezioni di sommozzatori e, in generale, delle altre specialità interessate dal provvedimento, all'attivazione, previa definizione delle procedure di equiparazione delle carriere, di procedure di mobilità intercompartimentale tra la polizia di Stato e la Guardia di finanza, consentendo quindi al personale di scegliere tra il transito su altri impieghi, pur rimanendo nel Corpo della polizia di Stato, o la prosecuzione del proprio servizio attraverso, appunto, la mobilità intercompartimentale. (4-04034)

  Risposta. — Le questioni segnalate con le interrogazioni in esame – relative al ridimensionamento della rete dei presìdi di Polizia postale sul territorio nazionale e alla chiusura di una serie di uffici di polizia nelle province di Roma, Nuoro e Cosenza – sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia non scommette sulla diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero e ne è prova evidente la proposta, avanzata dal Ministero degli affari esteri nell'ambito della «razionalizzazione» della rete consolare nel mondo, di chiudere 32 sedi all'estero tra ambasciate, consolati, sportelli consolari e istituti italiani di cultura;
   in particolare, un grave passo che il nostro Governo sta per compiere è proprio l'annunciata chiusura di ben otto istituti italiani di cultura nel mondo: Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg;
   come l'interrogante ha già denunciato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-04027 del 14 marzo 2014, il risparmio realizzato con la chiusura degli Istituti di cultura sarà di circa 800.000 euro annui e tale decisione andrebbe, addirittura, a colpire proprio quelle sedi che, grazie ai corsi di lingua italiana, riescono ad autofinanziarsi in ampia misura;
   sembrerebbero, invece, non contarsi gli sprechi tollerati in questi anni e le dubbie nomine di «esperti culturali» all'interno di tali istituti;
   in particolare, destano sconcerto due articoli pubblicati su ilFattoQuotidiano.it dello scorso 24 febbraio e 17 marzo, entrambe a firma del giornalista Thomas Mackinson, intitolati «Cultura, grazie ai politici c’è chi ci mangia. E lo scandalo italiano va in tutto il mondo» e «Bruxelles, conti in rosso e insegnanti in nero. Bufera all'Istituto italiano di Cultura»;
   come appare chiaro dai titoli, il giornalista denuncia le nomine fatte dal Ministro degli affari esteri senza selezione pubblica ad amici e familiari di politici, con incarichi da 15 mila euro al mese, più della stessa dotazione assegnata agli istituti per promuovere attività culturali; e la grave scoperta, a tre mesi dal semestre italiano dell'Unione europea, che gli insegnanti di lingua hanno lavorato per anni senza un contratto, perfino dentro la Commissione europea: tutto questo mentre lo stesso Ministero degli affari esteri, noncurante dell'ondata di appelli, tenta di giustificare la chiusura degli Istituti come scelta obbligata, dettata dai soliti criteri di spending review;
   in particolare, si legge nei due articoli, il Ministero degli affari esteri «continua ad alimentare lo spreco degli incarichi d'oro assegnati senza alcuna trasparenza. E così ritroviamo in giro per il mondo direttori nominati dal potente di turno, esperti culturali che tali non sono mai stati e sedicenti “addetti scientifici” incaricati con molta fantasia curricolare e stipendi da diplomatici»;
   il riferimento è alla facoltà concessa al Ministro dalla legge n. 401 del 1990 di nominare fino a 10 figure in virtù del loro indiscusso «prestigio culturale» e dell'elevata competenza nella promozione culturale, presto diventato, però, un sistema della politica per controllare le sedi più prestigiose e strategiche, affidandone la direzione a persone di fiducia;
   secondo l'articolo 16 della citata legge n. 401 del 1990 il Ministero può dotarsi di consulenti «in possesso di specifiche qualifiche e titoli», in numero non superiore a cinque presso il Ministero e dieci per il servizio all'estero;
   si tratta, tra l'altro, di incarichi ambitissimi, non solo per questioni di prestigio, posti la qualifica e il trattamento economico dei direttori, equiparati a quelli del consigliere d'ambasciata, e la loro indennità di sede estera (Ise, esentasse per altro) superiore fino al 30 per cento rispetto a quella di qualsiasi funzionario pubblico;
   il sistema dei «chiara fama» avrebbe prodotto effetti disastrosi e imbarazzanti, posto che per queste posizioni non ci sono criteri di selezione, né pubblicità delle procedure, come i numerosi esempi riportati dal giornalista: i gravi problemi amministrativi e contabili, riscontrati dalla stessa Corte dei conti, lasciati dal professor Riccardo Viale, ultimo direttore uscente del prestigioso istituto di New York; Angela Carpifave, nominata nel 2003 a Mosca e revocata dal Ministro degli affari esteri pro tempore Fini l'anno seguente per manifesta incompatibilità ambientale; Patrizio Scimia, un tecnico dell'ENEL privo di competenze in ambito culturale, inviato a Madrid dal Sottosegretario Baccini e rimasto in carica due anni; Giorgio Ferrara, nominato nel 2003 a Parigi, che avrebbe speso soldi dell'Istituto per far costruire un teatrino in legno e cartapesta, poi rottamato, sempre a pagamento, dal successore; Carlo Pesenti, nominato a Londra nel 2008 da Frattini e fortemente criticato per il livello organizzativo e culturale della sua direzione; Pia Luisa Bianco, nominata nel 2003 a Bruxelles, che, nonostante il bilancio dissestato lasciato, al suo rientro in patria, dopo quattro anni, sarebbe stata ricompensata da Frattini con una consulenza al Ministero degli affari esteri e con la direzione di un periodico patinato, tutt'ora esistente, «Longitude»;
   ovviamente, non mancano funzionari pubblici che lo Stato forma per questi incarichi e già paga, quali direttori e addetti appartenenti all'area della promozione culturale;
   molti di questi funzionari e dirigenti hanno specializzazioni accademiche di alto livello (dottorato di ricerca, master) e hanno frequentato corsi di perfezionamento in Italia e all'estero, i loro curricula sono regolarmente pubblicati sul sito del Ministero alla voce «Trasparenza» (a differenza degli addetti scientifici e dei fantomatici esperti «culturali» articolo 16 – legge n. 401 del 1990) e per accedere a queste posizioni hanno superato concorsi pubblici estremamente selettivi;
   sarebbe proprio di pochi giorni fa la notizia, scongiurata dopo segnalazioni e insistenti richieste di chiarimenti, che dava in corso di approvazione la nomina come «esperto culturale» presso l'Istituto italiano di cultura di Los Angeles del professor Vittorio Daniore, ginecologo, urologo e medico presso gli ospedali civili di Brescia, dal 1996 al 2001 coordinatore della Commissione per la ricerca medica al Ministero degli affari esteri, poi addetto scientifico presso l'ambasciata d'Italia a Washington;
   quando le voci si sono fatte insistenti e i sindacati, increduli, hanno chiesto spiegazioni, la Farnesina ha dovuto precisare in una nota ufficiale del 21 febbraio 2014 che la proposta di nomina era stata effettivamente avanzata ma poi sospesa;
   altra categoria privilegiata sarebbe poi quella degli addetti scientifici presso gli Istituti italiani di cultura, le ambasciate e le rappresentanze permanenti e anche in questo caso non vi sarebbe alcuna trasparenza nelle procedure di selezione e di nomina, né il Ministero si sarebbe preoccupato di rendere pubbliche le motivazioni delle assegnazioni;
   sul sito del Ministero, ad esempio, sono state pubblicate le nomine per Città del Messico, Pretoria, Parigi, Tel Aviv, ma nessuna indicazione risulta in merito alle competenze per cui hanno ricevuto l'incarico;
   molti esperti scientifici sono certamente persone serie e competenti, altri sono meno luminosi e potrebbero esser facilmente scambiati per clamorosi casi di clientelismo parassitario;
   almeno tre sarebbero i casi che secondo il giornalista sollevano forti dubbi: la nomina, nel 2010, del dottor Giulio Busulini, uno dei tre addetti scientifici a Washington, marito di Federica Bindi (direttrice uscente dell'istituto di Bruxelles), laureato dal 2008 in scienze della comunicazione, nessuna docenza universitaria alle spalle, nessuna pubblicazione scientifica; il dottor Emanuele Fiore, addetto scientifico per il Canada, che può vantare la qualifica di tecnico di laboratorio di III livello presso il CNR e un expertise nel settore tecnico degli imballaggi e l'addetto scientifico presso il nostro consolato generale a Boston, l'architetto Cinzia Del Zoppo, privo di affiliazioni accademiche e pubblicazioni scientifiche a suo nome;
   polemiche, in particolare, avrebbe suscitato la direttrice dell'istituto di cultura di Bruxelles, Federiga Bindi, ricercatore a Tor Vergata, nominata per «chiara fama» da Frattini (9.600 euro di indennità mensile), il cui incarico è scaduto il 9 marzo e non è stato rinnovato anche a seguito dei risultati di un'ispezione del Ministero dell'economia e delle finanze che nel 2013 ha rilevato «gravi irregolarità contabili e amministrative» nella gestione dell'ente: acquisti senza «determinazione a contrarre» (una cucina professionale da 13 mila euro, frigo e altri materiali per 5 mila (...), irregolarità per contratti e consulenze esterne, 9 mila euro di acquisti non rendicontati effettuati con la carta di credito dell'istituto;
   la dotazione ministeriale per l'istituto è raddoppiata nel giro di un paio d'anni fino a superare i 600 mila euro per esercizio: le uscite nel 2006 ammontavano a 774 mila euro, l'anno dopo hanno superato il milione, così come i costi di catering, passati da 30 mila euro nel 2004 a 35 mila nel 2005 fino a 58 mila nel 2007;
   tutta la storia contabile degli ultimi anni sembra avere dell'incredibile: nel 2005 l'ex direttore Pia Luisa Bianco certifica un avanzo di 47.049,29 euro, ma il 5 ottobre 2007 la Bianco ha lasciato l'istituto spiegando che «a fronte della prima tranche di dotazione finanziaria incassata, pari a 240 mila euro, si sono riscontrati 483.333,05 euro di autofinanziamento pari a due volte la dotazione finanziaria»;
   due settimane dopo, la reggente pro-tempore, Donatella Cannova, ha segnalato al Ministero fatture non liquidate, non elencate nel verbale di passaggio delle consegne, per 39.790 euro, accertati poi in euro 192 mila dal neo direttore, Giuseppe Manica, che il 31 dicembre dello stesso anno ha chiesto un'integrazione straordinaria al bilancio «per far fronte a una situazione debitoria tale da non consentire di corrispondere alle richieste dei creditori, a fronte dei numerosi impegni assunti sotto la gestione dell'ex direttore, dottoressa Pia Luisa Bianco»;
   il buco più nero di questa storia è però quello degli insegnanti di lingua, che dovevano essere il fiore all'occhiello dell'istituto, e sembra, invece, lavorassero da anni senza un contratto, solo impegni a voce e mandati di pagamento, nessuna ritenuta, niente tasse, zero contributi, nonostante venissero addirittura ingaggiati per tenere corsi ai funzionari della Commissione europea;
   «A richiesta del Ministero degli affari esteri, detti insegnati non hanno nessun contratto e sono ingaggiati sulla base del titolo universitario», scriveva nel 2006 l'ex direttore Bianco;
   l'ipotesi, pertanto, se confermata, è che tale indicazione venisse impartita direttamente da Roma per evitare che i docenti potessero accampare delle pretese sull'amministrazione sulla base di un impegno scritto e che l'indicazione trovasse poi sponda a Bruxelles, dove il mancato accollo di oneri contributivi e fiscali garantiva all'istituto entrate consistenti a costi ridottissimi e ai vari direttori di ostentare «ottimi risultati di gestione»;
   il rendiconto finanziario 2007, ad esempio, riporta 339 mila euro di entrate per le iscrizioni ai corsi a pagamento a fronte di 152 mila euro di compensi al personale docente, per anni poi, sulla base di convenzioni e gare d'appalto, gli stessi docenti venivano mandati a far lezione ai funzionari della Commissione e del Parlamento Europeo, con crescente profitto: 34 mila euro nel 2002, 62 mila nel 2003, 93 mila nel 2007, 120 mila nel 2009...;
   la Farnesina non smentisce né minimizza e la direzione generale che sovrintende gli Istituti di cultura conferma anzi di aver riscontrato irregolarità almeno dal 2007;
   come spiega il Ministro plenipotenziario Giovanni Iannuzzi al fattoquotidiano.it «Dal carteggio relativo alle passate gestioni emerge un meccanismo di retribuzione di questi insegnanti che sembrava prescindere da un contratto scritto e avvenire solo attraverso la contabilizzazione delle ore del servizio prestato, in assenza anche solo di una lettera d'incarico da produrre in atti»;
   la questione sarebbe dunque all'attenzione degli organi di controllo: «Tutti i contratti stipulati dalla PA richiedono la forma scritta ad substantiam», si legge nella relazione ispettiva sull'istituto trasmessa al Ministero e alla Procura della Corte dei conti;
   lo stesso neo premier Matteo Renzi aveva posto al centro del suo intervento di insediamento la cultura, dichiarando che «la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l'anima», ma tale regola varrebbe solo per alcuni;
   se i fatti in premessa venissero confermati, si delineerebbe un modello di gestione degli Istituti di cultura all'estero basato su dubbie nomine politiche per il controllo delle sedi più prestigiose e strategiche, affidate a persone vicine a politici, con incarichi remunerati assai lautamente nel complesso superiori alla stessa dotazione assegnata agli istituti per promuovere attività culturali, con migliaia di risorse sprecate tra inaugurazioni e rinfreschi;
   di tale odiosa pratica oggi ne pagherebbero le conseguenze proprio quel personale direttivo e quei funzionari che hanno consentito agli Istituti di cultura all'estero di diventare un'importante vetrina dell'Italia nel mondo, promuovendo la cultura italiana di cui la lingua, la ricerca scientifica e l'idea di «Made in Italy» sono parte integrante –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità e veridicità degli stessi, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per verificare se sussiste una situazione di diffuso clientelismo parassitario all'interno degli Istituti di cultura al fine di porre termine a questa odiosa pratica e fare luce sulle responsabilità;
   se non ritenga opportuno porre fine a una politica di incisiva riorganizzazione della rete consolare nel mondo, preferendo piuttosto una linea di «piccoli risparmi» attraverso la soppressione di quelle sedi dove è pressoché nulla la presenza di iscritti. (4-05038)

  Risposta. — La rete all'estero è l'elemento, che maggiormente qualifica il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. In questi ultimi anni tale rete è stata sottoposta ad un processo di ristrutturazione dettato da una serie di fattori obiettivi quali la spending review (decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con legge n. 135 del 2012), la quale impone precisi obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero.
  Per quanto riguarda la rete consolare, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha individuato le sedi da includere nel piano di ristrutturazione attraverso un rigoroso procedimento istruttorio, che ha preso in considerazione vari parametri di riferimento, tra i quali non solo quello evocato dall'interrogante, ossia la consistenza delle comunità di connazionali, ma anche la loro integrazione nelle realtà locali, il volume dell'attività e degli atti consolari, la distanza tra l'ufficio in soppressione e quello che ne recepisce le competenze e la relativa facilità di collegamenti. Per favorire scelte ragionevoli ed equilibrate, la Farnesina fa dunque uso di un'ampia gamma di criteri di valutazione, che non può essere limitata al solo numero dei connazionali iscritti in anagrafe consolare.
  Al riguardo, si fa presente che la missione degli uffici consolari consiste nell'erogare servizi non solo ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri (con particolare riferimento ai visti di ingresso nel nostro territorio, la cui emissione garantisce significativi ritorni economici per il Paese, sia attraverso le relative percezioni consolari, sia favorendo relazioni di natura lavorativa, commerciale o culturale), nonché nell'assicurare la promozione e la tutela degli interessi nazionali nella circoscrizione di competenza, assecondando le esigenze di proiezione del sistema Paese in ogni utile settore. Valutata solo dal punto di vista del numero dei connazionali residenti, sfuggirebbe del tutto, ad esempio, l'importanza strategica che notoriamente connota alcuni nostri uffici consolari nel mondo, come quelli a Shanghai, Hong Kong, Canton, Dubai o Mumbai.
  Analogamente si è proceduto per gli Istituti italiani di cultura nella consapevolezza che, nel rimodulare in parte la loro presenza, va tenuto conto delle altre presenze italiane (istituzionali e non) che all'estero operano a vario titolo nel settore della promozione culturale. In tale contesto si inserisce la rafforzata interazione con gli altri attori della promozione culturale e linguistica all'estero, come lettorati, dipartimenti di italianistica, scuole italiane, addetti scientifici, comitati della Dante Alighieri ed enti gestori dei corsi di lingua, anche al fine di attenuare (in termini di organizzazione di eventi e corsi di lingua), gli effetti delle chiusure.
  Per quanto riguarda i direttori di chiara fama, la legge n. 401 del 1990 prevede che possano affiancarsi fino a 10 figure esterne all'amministrazione con il ruolo di direttore e la cui scelta compete al Ministro. Al momento sono solo 7 gli Iic diretti dai chiara fama: si tratta degli Iic di Berlino, Londra, Mosca, New York, Parigi, Pechino e Tokyo. Nel procedere alla loro nomina, il Ministro degli esteri opera una scelta seguendo linee guida che nel tempo si sono affinate, con l'obiettivo di consolidare la raccolta delle manifestazioni di interesse, aggiornare i meccanismi di selezione e rendere più attuali i requisiti per gli aspiranti all'incarico di direttore. Questi includono: l'elevato prestigio culturale, desumibile dalla produzione scientifica e dalle iniziative realizzate nel corso dell'attività professionale nonché dalla notorietà acquisita negli ambienti culturali; comprovate competenze in ordine alla programmazione culturale anche in
partnership con imprese in grado di assicurare sostegno alle iniziative; consolidate capacità di gestione di risorse umane e finanziarie, comprese le capacità di raccolta fondi; conoscenza del Paese di destinazione; conoscenza della lingua necessaria per operare nella sede di destinazione.
  La procedura di selezione degli aspiranti prende avvio con la pubblicazione sul sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dell'avviso di conferimento d'incarico per la posizione di direttore di istituto
ex lege n. 401 del 1990, al fine di raccogliere le manifestazioni di interesse da parte degli interessati, e si conclude con il conferimento dell'incarico.
  Con riferimento, in particolare, all'istituto di cultura di Bruxelles, si segnala che è in corso un'attività di controllo da parte dell'ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale d'intesa con i servizi ispettivi del Ministero dell'economia e delle finanze. L'ispezione svolta a maggio 2013 ha fatto rilevare carenze relative alle procedure di affidamento di consulenze e al ricorso a personale aggiuntivo impiegato a tempo determinato. La documentazione prodotta dal direttore
pro tempore dell'Iic di Bruxelles in riscontro ai rilievi mossi in sede ispettiva è stata sottoposta al vaglio dei competenti servizi del Ministero dell'economia e della finanze con l'obiettivo di circoscrivere ed individuare con chiarezza gli ambiti di responsabilità. Si tratta di un'azione complessa, svolta con doveroso rigore al fine di una approfondita verifica di tutti gli aspetti sollevati. Nel contempo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in raccordo con l'ambasciata a Bruxelles, sta svolgendo un'azione di monitoraggio dell'Iic per regolarizzare la situazione amministrativo-contabile nel suo complesso e ha raccomandato la cessazione di ogni rapporto contrattuale irregolare. Per il personale docente, per esempio, si è raccomandato il ricorso a società di lavoro interinale.
  Si osserva che dal momento della cessazione del mandato del direttore dell'Iic avvenuta il 9 marzo 2014, l'ambasciata ha assunto la gestione interinale fino alla nomina del nuovo direttore, appartenente al ruolo dei dirigenti dell'area della promozione culturale (APC) del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, avvenuta il successivo 7 luglio 2014.
  Per quanto riguarda infine la selezione degli esperti designati secondo le procedure stabilite dall'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 con funzioni di addetto scientifico presso le sedi diplomatiche o gli uffici consolari, essa è effettuata dalla Direzione generale per la promozione del sistema Paese del Maeci in stretto coordinamento con i competenti Uffici del Miur.
  In particolare, l'attuale
iter di selezione degli addetti scientifici segue le procedure indicate in specifiche linee guida, adottate ad integrazione del succitato decreto del Presidente della Repubblica. Esse prevedono che possano essere selezionati per l'incarico in questione soltanto i candidati che dimostrino di possedere prestigio scientifico risultante dalle ricerche e dalle pubblicazioni, notorietà scientifica, competenze nella promozione della scienza e della tecnologia acquisite in attività presso soggetti pubblici o privati di almeno 5 anni, conoscenza del mondo scientifico del Paese di accreditamento e perfetta conoscenza della lingua veicolare – inglese o francese – e locale, quando specificamente richiesto, oltre ad altre peculiari caratteristiche che possono essere eventualmente indicate dalla sede di destinazione.
  Una volta raccolte le candidature tramite avviso di incarico pubblicato sul sito Maeci e diramato a tutte le amministrazioni e agli enti interessati, sempre in stretto coordinamento con il Miur vengono valutati i
curricula vitae dei candidati sulla base di specifici criteri che, per alcune voci, fanno riferimento anche a parametri di standard internazionale. Dalla lista dei candidati eleggibili, viene successivamente redatta una «short list» di quelli il cui profilo professionale appare comparativamente più rispondente agli specifici requisiti richiesti dall'avviso di incarico. Vengono quindi convocati i candidati risultati più idonei, nel numero pari al 10-15 per cento delle candidature ricevute, per un colloquio individuale effettuato da un «gruppo informale» presieduto dal direttore generale o da un suo delegato e da un rappresentante del Miur volto anche ad appurare l'effettiva attitudine del candidato a ricoprire l'incarico. Si giunge così ad una ristretta rosa di nominativi (solitamente tra 3 e 5) che vengono sottoposti alla valutazione del Ministro degli esteri per la decisione finale. Una volta nominato il candidato prescelto, si procede ai necessari adempimenti di carattere amministrativo che, una volta terminati, consentono la sua assunzione nella sede di servizio e la contemporanea pubblicazione del relativo curriculum vitae sul sito del Maeci.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il litorale della provincia di Caserta, compreso nei territori comunali di Mondragone e Castel Volturno, fino al confine con il comune di Pozzuoli e la provincia di Napoli, ormai da decenni, è soggetto a flussi migratori di varie etnie e natura, quasi sempre incontrollati e irregolari;
   il fragile equilibrio tra italiani e immigrati in questo territorio, un tempo luogo di villeggiatura, si sta spezzando, diventando una pericolosa bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro;
   come nel settembre 2008, quando il clan dei Casalesi guidato da Giuseppe Setola fece strage di sei immigrati per il controllo dello spaccio di droga, infatti, una nuova preoccupante rivolta ha inondato le strade di Castel Volturno;
   in particolare, il 14 luglio a Pescopagano, territorio di Mondragone a confine con il comune di Castel Volturno, zona dove convivono non senza difficoltà la comunità italiana e una folta comunità africana, decine di immigrati sono scesi in strada dopo il ferimento a colpi d'arma da fuoco di due ragazzi della Costa d'Avorio, scatenando una vera e propria azione di guerriglia urbana, con auto date alle fiamme e un appartamento incendiato;
   gli episodi di violenza e razzismo contro gli italiani, posti in atto dai residenti stranieri, hanno visto contrapporsi la reazione della popolazione locale e della cittadinanza la quale ha risposto con prevedibili atti di insofferenza e manifestazioni per chiedere la fine di questa ingombrante presenza abusiva;
   i cittadini italiani chiedono sicurezza per le loro famiglie e per il territorio;
   la dinamica dei fatti è stata ricostruita, ma si è trattato solo di una scintilla in un contesto sociale e criminale che a Castel Volturno è, a dir poco, esplosivo: tale inaudito episodio di violenza è, infatti, solo l'ultima goccia della lunga serie di conflitti, aggressioni, come la protesta attuale dimostra, ma anche furti e sistematiche opere di saccheggio avvenute ai danni della comunità dei residenti italiani, ma a volte anche di stranieri regolari;
   sul territorio ci sono 25 mila cittadini censiti e 15 mila neri, la maggior parte irregolari: il problema non è soltanto la proporzione numerica quanto la mancanza di lavoro per tutti, il degrado sociale, lo spaccio di droga, la prostituzione;
   come riportato dai maggiori quotidiani nazionali, lo storico clan dei Casalesi, che ha sempre controllato il territorio usando gli stranieri come manovalanza, ora, decimato da arresti e sequestri, sarebbe stato soppiantato nei traffici e nel controllo del territorio dalla mafia africana;
   in tutto questo, il grande assente è lo Stato che ha consentito che il territorio di Castel Volturno divenisse vittima di sciacallaggio sociale senza intervenire a porre un freno all'immigrazione selvaggia e illegale, fino a mettere gli uni contro gli altri gli abitanti di Castel Volturno e Mondragone;
   negli anni passati si è già assistito a episodi di intolleranza cruda e crudele fra diverse etnie presenti sul territorio e fra immigrati e popolazione residente;
   al di là dei fatti noti alla collettività nazionale perché veicolati dai media, come ad esempio la citata «strage di San Gennaro», con la morte dei sei extracomunitari trucidati dalla delinquenza locale per regolamento dei conti, tanti e diversi episodi, non conosciuti ai più, si sono ripetuti negli anni;
   è noto alla popolazione lo scontro fra immigrati di diverse etnie e iraniani del 2009, che provocò la distruzione di esercizi commerciali lungo la domitiana o la marcia dei cittadini di Castel Volturno che manifestarono nel 2010 il proprio disagio sociale verso una situazione di illegalità diffusa e di insicurezza sociale che minacciava il loro comune;
   il fenomeno dell'immigrazione clandestina, dunque, è una piaga ormai endemica per questo territorio che va ad alimentare quel cancro sociale che, insieme alla delinquenza, al malaffare, all'assenza di trasparenza nell'amministrazione pubblica, contribuisce a esasperare lo stato e la sicurezza sociale;
   come se ciò non bastasse, la presenza a Castel Volturno di una forte realtà assistenziale, il Centro Fernandez, centro di prima accoglienza, ha generato forme di aggregazione non controllate o controllabili fino a provocare un flusso di immigrazione «spontanea» in aggiunta a quello veicolato sul territorio dall'attività assistenziale della Caritas e del Ministero dell'interno;
   dal 30 giugno 2014, poi, Castel Volturno è stata individuata quale base di trasferimento di un significativo gruppo di stranieri, di diverse e sconosciute etnie, che sono stati inoculati sul territorio comunale senza alcun preavviso e senza alcuna programmazione apparente;
   le unità sono state allocate presso alcune residenze site in località Ischitella, del comune di Castel Volturno, in un complesso immobiliare definita «La Quiete», complesso nella disponibilità di tale Associazione «Un'ala di Riserva», con sede legale nella diversa provincia di Napoli, in Pozzuoli;
   il flusso di immigrati è aumentato esponenzialmente a totale insaputa del comune di Castel Volturno;
   sarebbero, tra l'altro, emerse notizie circa le non perfette condizioni igienico-sanitarie di alcuni alloggi;
   in un territorio così vasto come Castel Volturno le forze dell'ordine non hanno alcun potere di controllo, perché sono in numero troppo esiguo rispetto alle istanze di sicurezza e «normalità» disattese da decenni;
   anche il neosindaco di Castel Volturno, Russo, ha spiegato ai cronisti che governa senza mezzi (zero vigili urbani, zero servizi sociali) una comunità di 25 mila cittadini censiti e di 15 mila neri quasi tutti irregolari, ammettendo «Siamo tutti perdenti. Le forze dell'ordine sono pochissime sul territorio e assorbite o da Castel Volturno o da Mondragone e in questa striscia non ci vengono mai. Qui non c’è alcuna percezione dello Stato semplicemente perché lo Stato non c’è»;
   una spirale del degrado che ha una sola origine: l'abbandono del controllo del territorio, e la più totale mancanza di azioni che lo tutelino come un pezzo di Stato italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per arginare la forte illegalità oggi in essere sul territorio di Castel Volturno e Mondragone anche impiegando un commissario straordinario coadiuvato dai mezzi e dalle forze dell'ordine; se non ritenga opportuno attuare un censimento della popolazione straniera presente, compresa quella gestita dalle organizzazioni territoriali di assistenza;
   se e quali responsabilità ci siano nell'immissione di popolazione straniera presso la località Ischitella di Castel Volturno, Residence la Quiete nei giorni dal 30 giugno a tutt'oggi;
   se siano stati accertati i requisiti di rispondenza alle norme igienico sanitarie per tutti gli immobili destinati all'accoglienza degli immigrati e per l'uso cui sono stati destinati. (4-05651)

  Risposta. — La situazione di degrado e di conflittualità sociale che caratterizza il territorio compreso tra i comuni di Mondragone e Castel Volturno è da tempo alla massima attenzione di questa Amministrazione, ben prima degli episodi di violenza verificatisi il 13 e 14 luglio 2014 a Pescopagano dopo il ferimento di due cittadini ivoriani.
  Nei giorni immediatamente successivi a quei fatti, il Ministro dell'interno ha presieduto una riunione con i vertici nazionali delle Forze di polizia e con i sindaci di Castel Volturno e Mondragone, nel corso della quale è stato disposto l'invio
in loco di adeguati rinforzi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, tratti dai rispettivi reparti mobili.
  Ulteriori misure sono state disposte in occasione della riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduta sempre dal Ministro dell'interno il 1o agosto 2014 a Caserta. Nell'occasione, oltre a prorogare la missione del contingente aggiuntivo delle forze di polizia nella zona, è stato dato avvio al «Nuovo Modello Caserta», non più basato soltanto sullo svolgimento di attività di diretto contrasto alla criminalità organizzata, ma rivolto a promuovere una più ampia accezione di legalità a supporto dello sviluppo economico e civile del territorio, instaurando a tal fine una stretta sinergia con tutti i livelli di governo interessati e valorizzando la collaborazione e la responsabilità delle parti sociali.
  L'area casertana richiede una vera e propria rigenerazione territoriale, da conseguire approntando specifici interventi di sostegno alle collettività locali, perciò la risposta dello Stato non può limitarsi esclusivamente al piano della sicurezza, ma deve essere indirizzata anche alla promozione dello sviluppo sociale e al sostegno degli enti locali.
  È stato quindi disposto nel casertano il finanziamento di un blocco di progetti per l'infanzia, per un totale di oltre 4 milioni di euro: l'investimento si tradurrà in 642 posti per asili nido o servizi integrativi come spazi-bimbo o ludoteche. Inoltre, un'apposita
task force guidata dal prefetto di Caserta ha il compito di redigere i progetti dei comuni della provincia per l'accesso ai fondi europei della programmazione 2014-2020. Tra gli obiettivi individuati c’è quello di portare fino a 30 milioni l'impegno dei fondi per il Programma operativo nazionale legalità e di realizzare, per lo sviluppo del litorale domizio, opere pubbliche come il porto turistico di Castel Volturno e il recupero della sua pineta comunale.
  Tali iniziative sono attualmente in via di attuazione, in collaborazione con i sindaci dei comuni interessati, con le Autorità di gestione del programma operativo nazionale sicurezza, con la regione Campania e con i Ministeri competenti per i singoli interventi. A ciò va aggiunta la promozione di ulteriori progetti relativi ai programmi per il periodo 2014-2020 del nuovo Fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif), nonché l'intesa avviata con le procure di Santa Maria Capua Vetere e Napoli nord per l'adozione di misure tese a rafforzare la prevenzione e il contrasto del lavoro nero, dell'immigrazione irregolare, della violenza di genere e contro i minori, e a potenziare la sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Per quanto riguarda invece i timori espressi dall'interrogante circa future, consistenti immissioni di immigrati nel territorio di Castel Volturno si precisa che, all'indomani dei fatti del 13 luglio 2014, è stata sospesa – d'intesa con il Ministero dell'interno – qualsiasi ulteriore assegnazione a Castel Volturno e a Mondragone.
  Questi comuni, come molti altri nel nostro Paese, erano stati interessati all'accoglienza degli immigrati nell'ambito delle attività rientranti nell'operazione
Mare nostrum. Si ricorda, al riguardo, che sul territorio di Castel Volturno sono presenti 2 centri di accoglienza, La Quiete (gestito dalla cooperativa «Un'ala di Riserva», che in quel periodo contava 65 presenze) e Fernandez (gestito dalla cooperativa «Città Irene», che dal 9 luglio del 2014 non ha più ospiti), mentre su quello di Mondragone si trova la struttura Laila (con 22 presenze). Attualmente, il centro La Quiete alloggia 61 migranti, mentre quello di Mondragone ne ospita 18. I relativi contratti, non rinnovabili, sono in atto prorogati fino al 30 aprile 2015.
  In seguito, la decisione di sospendere le assegnazioni di cittadini extracomunitari richiedenti asilo è stata di volta in volta rinnovata dal Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, che ha sempre espresso l'avviso di escludere dalle procedure di accoglienza i comuni di Castel Volturno e Mondragone poiché già sottoposti a un'abnorme presenza di cittadini extracomunitari. Sempre per tale motivo, sono stati esclusi anche dalle procedure di gara di accoglienza e la stessa linea di condotta è stata seguita nel bando diramato per il rinnovo dei contratti in essere e per la gestione dei flussi di migranti per l'anno 2015.
  Detti flussi continuano quindi a interessare la provincia di Caserta, così come tutto il territorio nazionale, ma con caratteristiche del tutto peculiari, sulla base di riparti effettuati dal Ministero dell'interno su base regionale, e successivamente provinciale, nel rispetto di criteri di uniformità e salvaguardando le specifiche criticità dei comuni di Castel Volturno e di Mondragone.
  Si assicura, infine, che le Forze dell'ordine continueranno a presidiare i territori in questione attraverso un'intensa attività di prevenzione e mirate strategie di intervento. Le criticità di quei luoghi e la situazione della sicurezza pubblica sono costantemente all'esame delle varie riunioni tecniche che si tengono presso la questura di Caserta, nel corso delle quali, per arginare i fenomeni di criminalità, a partire dal mese di febbraio del corrente anno, sono stati predisposti ulteriori mirati servizi di prevenzione e repressione dei reati. È stato inoltre varato un programma di controlli straordinari che ha comportato, tra l'altro, una verifica capillare anche delle attività ricettive. Il piano, realizzato congiuntamente all'Arma dei carabinieri, ha incontrato il crescente favore dei cittadini e delle istituzioni locali, che ne hanno pubblicamente dato atto apprezzandone l'efficacia.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si sta rivelando una triste certezza la notizia, riportata dai maggiori quotidiani locali, secondo cui sarebbe prossima la chiusura del distaccamento di polizia stradale di Orosei;
   quella che in un primo momento era sembrata un'eventualità, che comprendeva la chiusura dei distaccamenti di polizia stradale di Fonni, Ottana e Siniscola, in un secondo momento ha visto la sostituzione del distaccamento di Siniscola (nonostante quest'ultimo conti la presenza di diversi presidi di polizia tra cui il commissariato, la compagnia carabinieri e la guardia di finanza), con quello di Orosei;
   la previsione, da parte del Governo, di cancellare la polizia stradale di Orosei ha scatenato la dura presa di posizione dei sindaci riuniti nell'Unione della Valle del Cedrino e di Dorgali, che ne giudicano incomprensibili i motivi, sottolineando inoltre gli effetti che questo provvedimento comporterebbe sulla sicurezza in un territorio vasto e a forte vocazione turistica;
   in particolare, la preoccupazione nasce dal fatto che la valle del Cedrina, costituita da cinque comuni con una popolazione di oltre 13.000 abitanti più Dorgali-Cala Gonone con oltre 8.500 abitanti e che nel periodo estivo vede più che quadruplicate le presenze sul proprio territorio, verrebbe completamente privata di un presidio fondamentale per la sicurezza, non solo stradale;
   se confermata, infatti, tale decisione avrà gravi ripercussioni sull'intero territorio che, già teatro di gravissimi fatti di sangue che hanno fortemente condizionato il tessuto sociale con il coinvolgimento di persone e famiglie di quasi tutti i comuni del territorio, rimarrebbe completamente scoperto dal punto di vista della sicurezza;
   i comuni interessati, e specialmente quello di Orosei, peraltro, sono interessati dalla presenza massiccia di extracomunitari, oltre che da cittadini dell'est europeo, con i problemi che tali fenomeni di integrazione e di ricerca di lavoro possono creare, se non opportunamente monitorati e guidati;
   si tratta, inoltre, di una zona a fortissimo rischio idrogeologico che nel recente passato ha assistito a fenomeni di allagamenti anche all'interno degli abitati e dove la presenza delle forze dell'ordine, che nello specifico comprendono anche e soprattutto il distretto della Polstrada di stanza a Orosei, è stata di sostegno alle popolazioni colpite e di presidio alle zone a rischio;
   come denunciano gli amministratori del comune di Dorgali e della frazione di Gonone, l'unico distretto che pattuglia la zona è quello degli agenti di Orosei;
   lo stesso primo cittadino di Onifai, presidente della locale unione dei comuni, ha poi denunciato come «la scelta non ha tenuto conto del fatto che in data 1° marzo 2001 la Prefettura di Nuoro ha formalmente richiesto al comune di Orosei la consegna dello stabile da adibire a nuova caserma della Polizia Stradale realizzato con mutui della CC.DD.PP. che devono ancora essere estinti. La chiusura comporterà per il Comune un aggravio di spesa in quanto dovrà farsi carico delle rate del mutuo ancora in essere e le difficoltà rappresentate dalla riconversione per altri usi in quanto la struttura è stata adeguata per le esigenze di una caserma che ha comportato scelte strutturali difficilmente modificabili se non con investimenti consistenti.»;
   in nome della spending review, sembrerebbe concretizzarsi un altro grave «scippo», per i servizi relativi alla sicurezza e alla giustizia nel territorio sardo, attraverso la mortificazione delle risorse esistenti e il depauperamento di eccellenze riconosciute in ambito nazionale, come la sezione della Polstrada, che hanno fatto della vicinanza e del supporto ai cittadini un'autentica ragion d'essere –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per disporre l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione del presidio di polizia stradale ad Orosei, ritenuto da tutti di vitale importanza per il territorio, o, comunque, per favorire una diversa soluzione che veda comunque garantita una forte presenza delle forze dell'ordine nella zona. (4-07039)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si sta rivelando una triste certezza la notizia, riportata dai maggiori quotidiani locali, secondo, cui a Cosenza (CS) saranno soppresse alcune sezioni altamente specializzate della polizia, quella delle telecomunicazioni e la sezione di polizia postale, vittime della politica dei risparmi messa in atto dal Governo;
   la notizia rientrerebbe tra i provvedimenti già approvati dal Ministero dell'interno, che avrebbe provveduto a comunicare la decisione alle rappresentanze sindacali;
   se confermata, tale decisione comporterebbe una grave perdita per il territorio del capoluogo, nel quale gli uffici di polizia postale e ferroviaria hanno offerto anche negli ultimi anni un notevole apporto e contributo alla strategia di contrasto alla criminalità;
   numerosi e importanti sono, infatti, le truffe on-line scoperte dagli agenti della polizia postale, ma tutto ciò evidentemente non è stato ritenuto sufficiente per giustificare la presenza del presidio cosentino;
   del pari, la polizia ferroviaria rappresenta l'unico presidio di polizia che garantisce la presenza dello Stato nella periferia della città di Cosenza, capoluogo di provincia con ben 70.000 abitanti e confinante con il comune di Rende, sede dell'università, nonché l'unica garanzia di sicurezza all'interno della struttura ferroviaria più grande dell'intera regione;
   la stazione di Cosenza e tutta l'area interessata da questo inaccettabile taglio rischierebbero di diventare un ricettacolo di nomadi e vagabondi, atteso che nei pressi della stessa è collocato un campo che ospita numerosi cittadini di etnia romena che, come si evince dalle cronache locali, hanno creato spesso problemi di ordine pubblico;
   in nome della spending review, sembrerebbe concretizzarsi un altro grave «scippo» per i servizi relativi alla sicurezza e alla giustizia nel territorio cosentino, attraverso la mortificazione delle risorse esistenti e il depauperamento di eccellenze riconosciute in ambito nazionale come la sezione della polizia postale e della Polfer, che hanno fatto della vicinanza e del supporto ai cittadini un'autentica ragion d'essere –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per disporre l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione di tale fondamentale presidio di legalità nel comune di Cosenza. (4-07040)

  Risposta. — Le questioni segnalate con le interrogazioni in esame – relative al ridimensionamento della rete dei presìdi di Polizia postale sul territorio nazionale e alla chiusura di una serie di uffici di polizia nelle province di Roma, Nuoro e Cosenza – sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa pare che il 26 febbraio 83 tifosi della Roma in trasferta a Rotterdam per seguire l'incontro di Europa League tra la propria squadra e il Feyenoord siano stati ufficialmente «fermati» per una «misura cautelativa» e non avendo compiuto nessun gesto che confermasse la necessità del fermo;
   sono stati prelevati alle 11 della mattina direttamente allo sbarco dell'aereo charter che li aveva portati ad Amsterdam Schipoe tradotti su un autobus e portati in aperta campagna dove sono stati schedati, perquisiti e fotografati due volte: una in primo piano e l'altra con il documento d'identità in mano;
   a questi tifosi è stato dunque impedito di raggiungere la fan zone come tutti gli altri nonostante avessero acquistato un regolare pacchetto riservato al tifo organizzato e non si fossero resi responsabili di gesti violenti;
   se tale notizia fosse confermata si tratterebbe di un caso di gravità inaudita e rappresenterebbe un secondo oltraggio per Roma e per gli italiani dopo i fatti avvenuti in Piazza di Spagna, con il grave danneggiamento della «Barcaccia» avvenuto una settimana prima ad opera dei tifosi del Feyenoord –:
   se non ritenga opportuno verificare se le notizie giunte dall'Olanda siano vere e nel caso fossero confermate quali iniziative urgenti intenda adottare a tutela dei cittadini italiani fermati senza alcuna giustificazione. (4-08181)

  Risposta. — Due giorni prima dell'incontro di calcio tra le squadre del Feyenoord e della Roma, disputato giovedì 26 febbraio scorso a Rotterdam, il dipartimento della pubblica sicurezza ha diramato un comunicato stampa con il quale sono state fornite ai tifosi romanisti, in procinto di recarsi in trasferta, informazioni utili circa i mezzi di trasporto da poter utilizzare per il viaggio di andata e di rientro, l'indicazione del punto di raccordo («Fan Zone») dei medesimi, le prescrizioni sull'uso di sostanze alcoliche da osservare in ottemperanza alla normativa olandese e, infine, l'invito ad attenersi scrupolosamente alle disposizioni della polizia olandese.
  È stato, altresì, reso noto che sarebbero stati presenti in loco cinque esperti della questura di Roma per attività di assistenza e controllo della tifoseria capitolina, il cui intervento, se necessario, poteva essere richiesto per il tramite della polizia di Rotterdam. Inoltre, è stato fornito il numero di telefono fisso del Centro nazionale di informazione sulle manifestazioni sportive (C.N.I.M.S.), da contattare in caso di necessità.
  La maggiore parte dei tifosi romanisti è giunta ad Amsterdam il giorno precedente l'incontro di calcio, per poi dirigersi verso Rotterdam a bordo di un treno appositamente predisposto o di mezzi a noleggio. In tale città le autorità olandesi hanno predisposto una
Fan Zone nell'area del Porto Vecchio, dove è stato possibile consumare alcolici. In questo contesto hanno operato pattuglie miste di polizia (olandese ed italiana), che hanno individuato e tenuto sotto controllo le comitive potenzialmente pericolose. Tali misure hanno fatto sì che la notte precedente l'incontro sia trascorsa senza alcuna criticità.
  Invece, il gruppo di circa 400
supporter considerati «a rischio» ha raggiunto l'Olanda con un volo charter il giorno stesso della gara. Ottantatré di essi (tra i quali alcuni esponenti dei sodalizi di estrema destra), all'atto dell'arrivo, sono stati controllati con cura dalla polizia olandese, che ha proceduto alla loro Identificazione ed al controllo dei bagagli. Nell'occasione, sono stati rinvenuti guanti da pugilato rinforzati con metallo e tubi di plastica.
  Pertanto, tutti i componenti del gruppo stati sottoposti a più accurati controlli e sono stati identificati presso la stazione di polizia di Rotterdam, adiacente all'impianto sportivo. Nell'occasione nessuna persona è stata denunciata e, subito dopo, il gruppo è stato accompagnato allo stadio.
  Nel corso del pomeriggio del 26 febbraio, 18 persone (6 cittadini italiani e 12 olandesi) sono state fermate per rissa e trattenute per 6 ore, come previsto dalla normativa olandese.
  La presenza dei cinque esperti della questura di Roma ha costituito un innegabile valore aggiunto nel controllo della tifoseria romanista. Grazie a questo rapporto diretto, è stato possibile interloquire in ogni momento e in maniera efficace con la polizia del paese ospitante, soprattutto per distinguere la tifoseria comune da quella più accesa e pericolosa, monitorando anche qualche episodio più delicato.
  In relazione ad alcune voci critiche che hanno stigmatizzato possibili eccessi da parte della polizia olandese nei riguardi di un gruppo di tifosi romanisti, è stato sensibilizzato il Ministero degli affari esteri perché venisse chiarito ogni aspetto riguardante il trattamento a cui sono stati sottoposti i nostri connazionali.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COLONNESE, TOFALO, PETRAROLI, SIBILIA e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa giunge notizia circa la futura chiusura del presidio a cavallo della polizia di Stato sita nel Parco e nel Real Bosco di Capodimonte, a seguito del progetto di rimodulazione dei 974 presidi della polizia di Stato;
   rispetto ad altri comandi di polizia interessati dalla spending review, il mantenimento della squadra in questione comporterebbe oneri proporzionalmente inferiori rispetto ad altri presidi, in quanto occupante una struttura demaniale, l'antico Palazzo della nobile famiglia napoletana Acquaviva di Carmignano, conosciuto oggi come «Fabbricato Scuderie», oltre a garantire il mantenimento e l'utilizzo funzionale del predetto immobile;
   il complesso che racchiude Parco e Real Bosco di Capodimonte ha un'affluenza annua di 1.300.000 utenti fra turisti stranieri e visitatori, e al suo interno si trova il Museo di Capodimonte, una delle più prestigiose pinacoteche visitata da turisti di tutto il mondo;
   è giunta voce agli interroganti che i residenti del posto hanno avviato una raccolta firma per scongiurarne la chiusura. Gli abitanti di Capodimonte affermano che la presenza storica della squadra a cavallo contribuisce a rendere il sito più sicuro, poiché, per le peculiari proprietà morfologiche e la vastità del territorio boscoso, solo tali particolari forze di polizia risulterebbero idonee a garantire una efficiente sorveglianza nel suddetto contesto ambientalistico. Gli interroganti ne deducono l'importanza fondamentale che rappresenterebbe perciò il lavoro di prevenzione e repressione svolto della polizia a cavallo;
   in seguito a finanziamenti comunitari e per iniziativa del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, è in fase di realizzazione un progetto che comporterà il riuso degli edifici storici con un'offerta di servizi pubblici che incrementerà ancora di più l'affluenza del pubblico all'interno del sito, con corrispondente necessità di garantire maggiore prevenzione e tutela dell'ordine pubblico;
   l'attività della squadra a cavallo, come testimoniato da plurimi interventi consultabili negli stessi archivi di polizia, assolve in maniera soddisfacente l'esigenza primaria della salvaguardia della pubblica sicurezza del sito, con ampio consenso, come accennato, del contesto residenziale, e la sua chiusura esporrebbe il sito al proliferare di fenomeni di microcriminalità e degrado sociale, già tristemente noti nei periodi precedenti alla costituzione di detto presidio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere la decisione di eliminare il presidio a cavallo della polizia di Stato sita nel Parco e nel Real Bosco di Capodimonte, scelta che mina la sicurezza sociale della zona e dell'intero complesso dichiarato il 13 ottobre 1965, ai sensi della legge 1089 del 1939, «sito di particolare interesse culturale»;
   se, alla luce di quanto in premessa, non ritenga più opportuno garantire una maggiore sicurezza del Real Bosco di Capodimonte, quale polo di interesse stoico, ambientale e culturale, confinante con zone ad alto indice di criminalità, per prevenire e contrastare eventi delittuosi che ne possano pregiudicare l'importanza e la fruibilità da parte della cittadinanza in vista dei futuri eventi culturali, valutando di non rinunciare alle risorse già operanti sul territorio e con consolidata esperienza nel contesto specifico, ma, al contrario, ottimizzandone ed eventualmente implementandone l'operatività, al fine di garantire, nel suddetto sito, una maggiore presenza di agenti della squadra a cavallo della polizia di Stato. (4-07488)

  Risposta. — La questione segnalata dalla S.V., relativa alla chiusura della squadra di Polizia a cavallo di Napoli, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazioni, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario, tra i quali – come detto – le squadre a cavallo.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COZZOLINO, DADONE e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta ufficiale serie generale, numero 296, del 18 dicembre 2013 è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'interno del 21 ottobre 2013, che istituisce il Gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco, denominato gruppo sportivo vigili del fuoco fiamme rosse;
   nei riferimenti normativi e regolamentari citati in premessa del decreto ministeriale 21 ottobre 2013 non si rinviene alcuna disposizione legislativa che dia mandato di procedere tramite decreto ministeriale di natura non regolamentare alla costituzione di un gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco;
   nel panorama agonistico nazionale sono già numerosi i gruppi sportivi dei corpi del comparto sicurezza civile e di corpi militari, quali le Fiamme Gialle, fiamme oro, il corpo sportivo dell'arma carabinieri, il corpo sportivo dell'esercito, il corpo sportivo della guardia forestale. Gruppi sportivi di consolidata tradizione agonistica e che nel corso degli anni hanno ottenuto importanti successi in campo internazionale e nazionale in molte discipline sportive;
   il decreto ministeriale 21 ottobre 2013, in premessa dichiara la necessità di istituire un Corpo nazionale sportivo dei vigili del fuoco, al fine di promuovere e svolgere l'attività sportiva di alto livello agonistico da parte dei vigili del fuoco, obiettivo, questo, che si presenta molto arduo da raggiungere a fronte della presenza di numerosi corpi sportivi di ben più consolidata tradizione e del quale, ad avviso degli interroganti, si fatica a ravvisare l'effettiva necessità della sua istituzione;
   l'articolo 7 del decreto ministeriale stabilisce che le spese connesse alla istituzione ed al funzionamento del Gruppo sportivo vigili del fuoco Fiamme Rosse sono a carico degli ordinari stanziamenti di bilancio del Programma «Prevenzione dal rischio e soccorso pubblico» nell'ambito della Missione «Soccorso civile» dello stato di previsione del Ministero dell'interno, integrati dalle riassegnazioni delle somme versate in entrata a tal fine dal CONI, ma non procede ad alcuna quantificazione previsionale del costo di funzionamento del Gruppo sportivo nazionale;
   ad avviso degli interroganti aggiungere una voce di spesa, senza peraltro quantificarla, quale quella del funzionamento del Gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco, a valere su un programma fondamentale quale quello di «Prevenzione dal rischio e soccorso pubblico» costituisce una scelta non opportuna e non condivisibile perché rischia di distrarre risorse dall'attività principale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in particolare a fronte delle carenze di risorse materiali e strumentali sovente lamentate dalle organizzazioni sindacali della categoria –:
   sulla base di quale disposizione normativa il Ministro dell'interno sia stato autorizzato a costituire il Gruppo sportivo nazionale vigili del fuoco tramite un decreto ministeriale neppure da sottoporre al parere delle competenti commissioni parlamentari;
   quali siano i costi di funzionamento previsti per il gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco e se siano stati previsti dei limiti massimi di spesa;
   se non ritenga il Ministro di individuare un apposito fondo per la copertura dei costi di funzionamento del Gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco. (4-03095)

  Risposta. — In merito alla richiesta di istituire un apposito fondo per la copertura dei costi di funzionamento del Gruppo sportivo nazionale dei vigili del fuoco, si precisa quanto segue.
  Il decreto del Ministro dell'interno del 21 ottobre 2013, con il quale viene istituito il Gruppo sportivo «Fiamme Rosse», trova il proprio fondamento normativo nell'articolo 38, comma 1, lettera
a) del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2012, n. 64 (Regolamento di servizio dei Corpo nazionale dei vigili del fuoco).
  Inoltre, il decreto legislativo n. 217 del 2005, all'articolo 145, stabilisce le modalità e i requisiti per l'assunzione del personale da destinare in qualità di atleta ai gruppi sportivi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Il personale con qualifica di atleta, in particolare, dovrà essere, alla stessa stregua degli atleti dei gruppi sportivi degli altri Corpi dello Stato e delle Forze armate, tesserato per un unico gruppo sportivo nazionale (le Fiamme rosse, per l'appunto), poiché esso va a rappresentare l'intero Corpo nazionale e non già un singolo Comando provinciale dei vigili del fuoco.
  L'istituzione delle Fiamme rosse pone i vigili del fuoco in condizioni analoghe agli altri Corpi dello Stato e delle Forze armate che, da tempo, hanno affidato anche all'attività sportiva il compito di promuovere la propria immagine nella società e di dare un sostegno agli sportivi di alto livello, soprattutto nelle discipline in cui il professionismo non ha ancora raggiunto livelli adeguati.
  In questo modo, gli atleti dei gruppi sportivi provinciali e delle Scuole centrali antincendi (S.c.a.), che, in futuro, saliranno alla ribalta nazionale ed internazionale, potranno essere assunti – previo concorso – nelle Fiamme rosse, anziché essere reclutati dagli altri gruppi sportivi militari come già è avvenuto in passato.
  Riguardo le spese per il funzionamento delle Fiamme rosse, esse dovranno trovare copertura, oltre che sull'ordinario capitolo di bilancio, anche dalla riassegnazione di contributi provenienti dal CONI e dalle Federazioni sportive nazionali.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CURRÒ e CATALANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2015 sulla testata giornalistica «la Gazzetta del Sud» è stato pubblicato un articolo – a firma redazione Milazzo – che paventa il trasferimento dei reparti ospedalieri di pneumologia e di medicina generale dall'ospedale di Milazzo a quello di Barcellona Pozzo di Gotto;
   l'Associazione italiana medici per l'ambiente, il 19 gennaio 2015, ha inviato alla stampa una lettera aperta dove evidenziano che il 75 per cento delle patologie e delle cause di morte dipende dal degrado ambientale e da stili di vita non corretti. Le analisi dimostrano che per ogni 120 ug/m3 di PM 2,5 si registra un incremento tra l'8 e il 14 per cento di neoplasie polmonari;
   il comprensorio di Milazzo-Valle del Mela e nello specifico il comune di Milazzo ricadono nelle aree SIN (siti di interesse nazionale) istituiti con la legge 9 dicembre 1998, n. 426, e nelle aree ad alto rischio Ambientale di cui al D.A. territorio e ambiente n. 50/Gab del 4 settembre 2002;
   la regione Siciliana l'11 marzo 2014 ha approvato con D.A. 0356/2014 il «Piano organico di interventi sanitari nelle aree a rischio ambientale in Sicilia» nel quale si dichiara: «Nell'area di Milazzo nei maschi si osserva una frequenza più elevata dell'atteso relativamente al mesotelioma pleurico o per pneumoconiosi, oltre a patologie del sistema nervoso così come, tra le donne (tumori polmonari o SNC), malattie respiratorie in particolare acute. In entrambi i sessi si registrano alcuni eccessi di ospedalizzazione per cause selezionate»;
   con deliberazione della giunta regionale del 17 dicembre 2014 n. 362 viene approvato il «Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera» con il quale vengono recepite osservazioni del Ministero della salute negli incontri del 4 settembre e 15 ottobre del 2014;
   in data 23 gennaio 2015 sul supplemento ordinario della G.U.R.S. n. 4/2015 è stato pubblicato il decreto dell'assessorato regionale della salute «Riqualificazione e Rifunzionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale della Regione Siciliana» Il predetto decreto prevede per l'azienda sanitaria provinciale (ASP) di Messina il mantenimento della UOC di pneumologia e della UOC di medicina nell'ospedale di Milazzo, in ragione anche della presenza di grandi insediamenti industriali nel medesimo territorio (pag. 18 GURS n. 4);
   nonostante quanto previsto dalla normativa, il direttore sanitario della ASP di Messina ha disposto l'inizio delle procedure di trasferimento della pneumologia dal comune di Milazzo a quello di Barcellona Pozzo di Gotto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quale iniziative intende assumere, nei limiti delle proprie competenze, al fine di verificare se il progetto della regione siciliana volto alla istituzione di Ospedali riuniti o di monoblocchi – così come definiti dal direttore dell'ASP5 di Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Lipari – sia conforme a quanto definito in sede di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   se le autorità preposte della Regione Siciliana abbiano inviato eventuali ed opportune comunicazioni al Governo riguardanti la nuova rimodulazione del Piano relativo al trasferimento delle due unità operative di cui in premessa al comune di Barcellona Pozzo di Gotto, e se i rappresentanti del Governo si siano espressi su tale intervento anche tenuto conto dell'assenza di un'unità di rianimazione presso la struttura del comune di Barcellona Pozzo di Gotto;
   quali siano le osservazioni relative al Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera, fatte dai rappresentanti del Ministero negli incontri del 4 settembre e del 15 ottobre 2014 anche con riguardo alla adeguatezza di un ospedale senza unità operativa di medicina, notoriamente vincolata all'esistenza del pronto soccorso che è inquadrato in area medica. (4-07824)

  Risposta. — In merito alla problematica legata ad un eventuale trasferimento dei reparti ospedalieri di pneumologia e di medicina generale dall'ospedale di Milazzo a quello di Barcellona Pozzo di Gotto, si rappresenta quanto segue.
  La Regione siciliana, in continuità con il Programma operativo 2010-2012, avvalendosi della facoltà prevista dall'articolo 15, comma 20, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, ha predisposto un «Programma Operativo di Consolidamento e Sviluppo 2013-2015», di cui ha inviato numerose versioni e, da ultimo, ha approvato con decreto dell'assessorato regionale n. 678/14 del 23 aprile 2014.
  All'interno del documento approvato, tra gli obiettivi individuati, si prevede di ridefinire la rete di emergenza sulla base di quanto indicato dal decreto-legge n. 95 del 2012, in coerenza con la rimodulazione della rete ospedaliera, nonché sulla base delle esigenze della popolazione siciliana e delle caratteristiche del territorio.
  Il 14 gennaio 2015 la giunta regionale siciliana, dopo aver inviato numerose versioni in bozza, ha approvato il decreto dell'Assessorato regionale n. 6 del 2015 di «Riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera-territoriale della Regione Sicilia».
  Nella proposta di riorganizzazione, la regione prevede la riconversione di 25 strutture ospedaliere in 8 ospedali di comunità, 8 ospedali di zona disagiata e 9 ospedali di zona industriale.
  Per quanto concerne la specifica situazione degli ospedali citati nell'interrogazione, si fa presente che per l'ospedale di Milazzo si rilevano, al 1o gennaio 2014, 139 posti letto, di cui 16 afferenti al reparto di pneumologia e 16 al reparto di medicina generale.
  Per l'ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto si registrano 94 posti letto, di cui 20 riconducibili al reparto di medicina generale.
  Il decreto dell'Assessorato regionale n. 6 del 2015 di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale siciliana, prevede un incremento di posti letto per l'ospedale di Milazzo, che lo porterebbero al 31 dicembre 2016 ad un numero complessivo di 160 posti letto, mentre per l'ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto è prevista una riconversione in «ospedale di comunità», con la conseguente disattivazione dei posti letto per acuti ed il mantenimento di 34 posti letto, di cui 8 in lungodegenza e 26 in riabilitazione.
  È altresì previsto, per l'ospedale di Milazzo, un incremento di 2 posti letto in pneumologia e di 4 posti letto in medicina generale.
  Il decreto dell'Assessorato regionale attualmente è sottoposto alla valutazione dei Ministeri affiancanti le regioni in piano di rientro.
  Da ultimo, si segnala che, ad oggi, non risulta alcuna ulteriore comunicazione degli organismi competenti della Regione siciliana, relativamente ai due menzionati ospedali.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   D'INCECCO e FEDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a fine febbraio 2015 un peschereccio italiano della Italfish di Martinsicuro (Teramo) è stato sequestrato in Gambia (Africa Occidentale) per una presunta violazione delle dimensioni delle maglie di una rete;
   a bordo due italiani: il capitano della nave Idra Q., Sandro De Simone, di Silvi Marina (Teramo), e il direttore di macchina, Massimo Liberati, di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno). I due sono stati arrestati dopo dieci giorni passati in stato di fermo e al termine di quella che la società armatrice Italfish definisce come «udienza sommaria»;
   il console onorario in Gambia ha incontrato i due italiani, e secondo quanto riferito alla Italfish srl e riportato dalla stampa, le condizioni igienico sanitarie del carcere sono estremamente scarse. Nelle celle sono rinchiuse anche fino a 20 persone;
   stando sempre a quanto riportato dalla stampa, i due pescatori italiani non sono in buone condizioni né fisiche né mentali, sono rinchiusi in celle sovraffollate, senza cibo, senza bagni e senza acqua. Si trovano in due bracci diversi del carcere, reclusi con veri criminali;
   i familiari, che sono molto preoccupati e stanno vivendo in un profondo stato di angoscia e sofferenza, hanno anche lanciato un appello al Presidente del Consiglio Matteo Renzi;
   la moglie di Sandro De Simone nel suo appello lanciato attraverso l'agenzia Ansa dice che «ogni giorno in più in quel carcere è un giorno di vita in meno. Mio marito rischia di morire, quel posto è come un lager: sono senza servizi igienici e senza cibo, neanche l'assassino più feroce viene trattato così»;
   anche la società armatrice è profondamente preoccupata e teme un nuovo caso «Marò»;
   in Africa sono al lavoro due rappresentanti della Italfish, uno a Dakar (Senegal) dove si trova l'ambasciata competente per territorio, e l'altro in Gambia, per ottenere il rilascio dei due italiani –:
   quali iniziative i Ministri stiamo mettendo in campo per arrivare nel più breve tempo possibile alla revoca del provvedimento di arresto e alla liberazione dei due pescatori italiani. (4-08347)

  Risposta. — Desidero innanzitutto segnalare la grande attenzione con cui sin dall'inizio la Farnesina, anche tramite l'ambasciata a Dakar e il console onorario a Banjul, ha seguito la vicenda che ha visto coinvolti il motopeschereccio IDRA-Q e i membri del suo equipaggio. La nostra azione è stata incessante (anche se in Gambia, come noto, non abbiamo un'ambasciata) e si è fortunatamente conclusa con la scarcerazione del signor Liberati (il 9 marzo) e del signor De Simone (il 17 marzo), inizialmente condannati ad un mese di reclusione e al pagamento di una multa per presunte irregolarità nelle maglie delle reti da pesca.
  Non appena informata dell'accaduto, l'ambasciata si è immediatamente attivata prendendo contatto con Federpesca, con l'armatore di stanza a Dakar e con il rappresentante di quest'ultimo a Banjul, e consigliando un legale in loco che potesse seguire la vicenda. Il 3 marzo il console onorario ha tenuto una riunione a Banjul con i rappresentanti locali dell'armatore e, insieme al legale individuato, si è deciso di contestare la sentenza di condanna chiedendone la revisione.
  Per quanto riguarda i passi diplomatici compiuti dalla nostra sede a Dakar, l'ambasciatore Luzzi ha tempestivamente inviato due lettere alla Ministra degli affari esteri del Gambia per auspicare un'equa e rapida soluzione del caso e per chiedere che il nostro console onorario potesse, nel più breve tempo possibile, visitare i connazionali presso il penitenziario. Tali richieste sono state ribadite con forza dal vice ambasciatore Fornara, che si è recato in missione a Banjul e ha incontrato la Ministra degli affari esteri del Gambia, chiedendole altresì di intercedere con il Ministro dell'interno affinché fossero garantite le migliori condizioni detentive possibili. Analogo passo è stato svolto anche presso il segretario generale del Ministero dell'interno.
  In merito alle azioni intraprese a tutela dell'incolumità dei nostri connazionali, il vice ambasciatore Fornara e il nostro console onorario, a seguito dei predetti passi hanno potuto effettuare alcune visite consolari in carcere, con lo scopo primario di accertarsi delle condizioni di detenzione e di salute dei due italiani e di fornire loro ogni utile informazione. L'ambasciatore Luzzi ha inoltre contattato le rispettive mogli per aggiornarle personalmente sulla situazione.
  Attualmente i connazionali risiedono in un albergo del Paese in attesa delle prossime scadenze processuali. A tal proposito si precisa che l'udienza prevista per il 22 aprile è stata aggiornata a data da destinarsi. La Farnesina, per il tramite dell'ambasciata a Dakar e del console onorario a Banjul, continuerà a porre in essere ogni iniziativa di assistenza nei confronti dei due italiani.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali annunciò, con carattere di priorità, lo stanziamento di 250.000,00 euro per opere provvisionali di consolidamento e di restauro architettonico della chiesa rinascimentale della Santissima Pietà e San Lazzaro nel comune di Marigliano (Napoli): edificio di notevole interesse storico, artistico, architettonico, dichiarato inagibile con ordinanza n. 139 del 19 ottobre 2000 per un aggravamento del quadro statico complessivo, determinato dai dissesti provocati dagli eventi sismici del 1980/81 e dagli eventi alluvionali e meteorologici, registrati nel 1999/2000 e successivamente nel 2004 e nel 2006;
   i fondi assegnati dovevano essere utilizzati per il consolidamento delle strutture murarie verticali e degli ipogei, la manutenzione della cupola e delle capriate lignee del tetto, nonché per il restauro dell'interno della navata, ornata con stucchi e partiti decorativi settecenteschi;
   un ulteriore contributo di 50.000,00 euro, inoltre, veniva destinato dal Ministero per la messa in sicurezza e per interventi conservativi sul patrimonio storico-artistico della chiesa, in particolare per l'arredo ligneo barocco minacciato dall'umidità e dal massiccio attacco di insetti xilofagi: interventi immediati di conservazione dovevano essere approntati per gli stalli confraternali, le porte intagliate, la cantoria dipinta, l'urna di san Liberatore e l'antica suppellettile liturgica, che rischiavano di essere perduti per sempre;
   constatata la situazione di avanzato degrado, la soprintendenza per i beni architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico di Napoli e Provincia dispose – in attesa di provvedimenti e interventi risolutivi – la realizzazione di un impianto di raccolta e canalizzazione delle acque meteoriche dalle coperture, costato 25 mila euro e rivelatosi negli anni insufficiente e inadeguato a contrastare le abbondanti infiltrazioni d'acqua nelle strutture sottostanti; disattendendo però l'attività di indirizzo dell'amministrazione centrale, la direzione per i beni culturali e paesaggistici della Campania cancellò inspiegabilmente dalla programmazione 2007 le risorse annunciate e appostate per l'intervento, già segnalato come prioritario;
   in tempi recenti, il progetto di restauro dell'edificio monumentale è addirittura scomparso dalle proposte della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e etnoantropologico di Napoli e provincia e dai piani annuali e pluriennali della direzione per i beni culturali e paesaggistici della Campania, ma anche dagli interventi straordinari finanziati con i proventi derivanti dal gioco del lotto, nonché dagli altri strumenti di programmazione relativi, ad esempio, alla valorizzazione del patrimonio culturale campano nell'ambito dei progetti comunitari 2007-2013;
   la mancata realizzazione delle previste opere di restauro ha accentuato le condizioni di degrado architettonico e di fatiscenza delle fabbriche monumentali;
   negli ultimi mesi, tra rimpalli di responsabilità, il pessimo stato di conservazione, già ampiamente noto all'amministrazione dei beni culturali attraverso ispezioni, relazioni, verbali e perizie di diversi funzionari, si è così aggravato da porre in pericolo l'esistenza stessa del bene culturale –:
   se intenda chiarire sui motivi delle disfunzioni e delle inefficienze relative al mancato recupero della chiesa rinascimentale della Santissima Pietà e San Lazzaro di Marigliano (Napoli);
   se ritenga ammissibile che un bene architettonico di valore inestimabile venga abbandonato al degrado e al disfacimento dalle stesse istituzioni statali preposte alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale;
   se intenda intervenire con urgenza ripristinando le risorse finanziarie cancellate allo scopo di salvaguardare tale importante monumento dalla distruzione a cui sembra inesorabilmente condannato. (4-01726)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, l'interrogante lamenta che la mancata realizzazione di opere di restauro della chiesa della Santissima Pietà e San Lazzaro, nel comune di Marigliano (Napoli), ha accentuato le condizioni di degrado e di fatiscenza della stessa, si comunica quanto segue.
  La competente Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia, sin dal 2010, ha promosso ed eseguito una serie di periodici controlli, riscontrando le precarie condizioni in cui versava la chiesa sopra indicata.
  Allo scopo di salvaguardare i beni mobili, di grande interesse culturale, custoditi nella Chiesa, si è provveduto al loro trasferimento nella Chiesa S. Maria delle Grazie detta Collegiata in Marigliano (Napoli), dove sono presenti un sistema d'allarme ed ambienti idonei alla loro conservazione.
  Le opere trasferite sono state tutte catalogate dalla citata Soprintendenza. Tra esse, si ricordano la scultura in legno policromo raffigurante «San Lazzaro», una scultura in cartapesta policroma raffigurante «l'Addolorata», una scultura in legno policromo raffigurante «il Cristo morto», una scultura in legno e carta pesta policroma raffigurante «S. Anna e la Vergine bambina», un dipinto ad olio su tela raffigurante «San Lazzaro», un dipinto ad olio su tela raffigurante «la Pentecoste» di A. Mozzillo, una spalliera in legno facente parte del coro ligneo.
  I restanti arredi liturgici, costituiti da quattordici candelabri piccoli e diciotto candelabri grandi in bronzo dorato, due acquasantiere in marmo e tre crocifissi in ottone dorato, sono ubicati nella Chiesa della Pietà, insieme alla teca posta sotto l'altare maggiore contenente la scultura in legno policromo raffigurante «S. Liberatore».
  La principale opera, costituita dalla pala d'altare raffigurante la «Deposizione della Croce» di Decio Tramontano del 1599, un tempo collocata sull'altare maggiore, tenuto conto delle sue precarie condizioni di conservazione, è stata posta in sicurezza, attraverso un intervento di somma urgenza realizzato nel 2011. La stessa si trova tuttora custodita nella Chiesa della Collegiata, in attesa di fondi per il suo restauro integrale.
  Successivamente all'intervento di manutenzione della copertura della Chiesa, risalente al 2006, non sono stati finanziati, per assenza di risorse sufficienti nei programmi ordinari di finanziamento di questo Ministero, ulteriori interventi.
  A seguito di un recente sopralluogo, la citata Soprintendenza ha sollecitato nuovamente il parroco, cui è affidato l'immobile, e l'Ufficio beni culturali della curia di Nola, affinché vengano intraprese urgenti iniziative volte alla salvaguardia ed alla tutela della Chiesa, sia per quanto attiene la verifica, il controllo e la manutenzione delle coperture e delle finiture interne, sia per quanto concerne la sua riapertura.
  In relazione, infine, al finanziamento di euro 250.000,00 per i lavori di restauro da realizzarsi nella chiesa, menzionato nell'interrogazione, si rappresenta che lo stesso, pur essendo stato richiesto dai competenti uffici territoriali del Mibact, non risulta mai essere stato assegnato per la carenza di risorse finanziarie da destinare a tale scopo.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI, CIPRINI, BECHIS, NESCI, DIENI e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 7 marzo 2014, il Ministero dell'interno ha bandito un concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'arruolamento di 650 allievi genti della Polizia di Stato. Secondo quanto segnalato dalla Confederazione sindacale autonoma di polizia (d'ora in poi CONSAP) alla prova preliminare del concorso (quiz composti da 80 domande inerenti diverse materie tra cui una lingua straniera a scelta tra inglese e francese), hanno partecipato circa 15.000 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni;
   a causa di un errore della società che ha preparato i test da somministrare per la prova preliminare, oltre 1.000 persone sono state chiamate per la reiterazione di tale prova preliminare, ovviamente con un dispendio di tempo – e soprattutto di soldi – causato da un errore commesso dall'amministrazione che ha organizzato il concorso, ossia il Ministero dell'interno;
   superata questa fase, sono state giudicate idonee alla prova preliminare 1.436 persone (i primi 1.200 in ordine di merito, oltre tutti i candidati idonei che hanno riportato un punteggio pari all'ultimo dei candidati compresi entro i limiti della predetta aliquota);
   gli idonei sono stati, quindi, convocati per sostenere le successive prove a completamento dell’iter concorsuale (prove di efficienza fisica, visite mediche ed esami psicoattitudinali) dal 14 luglio al 18 settembre 2014 (agosto escluso) presso il Centro polifunzionale-scuola tecnica di polizia di Spinaceto. 1160 di questi, alla fine, sono risultati idonei;
   mentre si svolgevano le prove per questo concorso da 650 allievi agenti – secondo quanto previsto dai comma 3-quater dell'articolo 3 dei decreto-legge n. 90 del 2014, nel testo convertito dalla legge n. 144 del 2014 – ben 502 idonei non vincitori della graduatoria del concorso per 964 allievi agenti della Polizia di Stato bandito nel 2013, sono state assunte in via straordinaria con scorrimento della graduatoria per essere prontamente impiegate per l'Expo 2015;
   molti ragazzi beneficiari dello scorrimento del decreto-legge n. 90 del 2014 avevano partecipato anche al successivo e sopra citato concorso in oggetto (650 agenti della Polizia di Stato), superando la prova preliminare e, collocatisi tra i primi 1436, erano stati convocati per le prove successive. Alcuni di costoro, pertanto presentatisi a Spinaceto tra il 14 luglio 2014 e il 18 settembre 2014 per il prosieguo del concorso in oggetto, hanno riottenuto la idoneità risultando così idonei ad entrambi concorsi. Questi candidati, pertanto sono stati già incorporati il 16 settembre 2014, grazie allo scorrimento, e attualmente stanno svolgendo il corso di allievo agente della Polizia presso le scuole di Brescia ed Alessandria;
   alcuni di costoro che hanno beneficiato dello scorrimento hanno liberato posti per il concorso in oggetto; si stima che delle 502 persone incorporate in via straordinaria per l'Expo 2015, circa 250 facessero parte dei 1436 idonei alla prova preliminare e convocati a Spinaceto per le restanti prove. Nello stesso decreto-legge n. 90 del 2014 è specificato che il concorso in oggetto (650 allievi agenti della Polizia di Stato) usufruirà dei residui fondi per gli anni 2014 e 2015;
   in virtù di quanto sopra esposto e secondo quante segnalato dal sindacato CONSAP, i candidati idonei di questo concorso sono rimasti circa 900 (dai 1436 che erano, decurtati i circa 250 che sono stati chiamati e circa 280 ragazzi giudicati non idonei) e, dunque, in teoria, rispetto ai 650 posti messi a concorso, resterebbero fuori solamente 250 persone, che attualmente sono idonei non vincitori;
   considerando la carenza di personale e la necessità di avere più unità possibili per fronteggiare i diversi impegni (Expo 2015, terra dei fuochi, violenza negli stadi, lotta alla criminalità e microcriminalità presente nelle città, Frontex Plus, minaccia terrorismo islamico), nonché gli altri numerosi problemi di ordine e sicurezza pubblica presenti in Italia, e considerando anche i soldi spesi dall'amministrazione per le procedure selettive riguardanti le 250 unità che resterebbero fuori, non si capisce bene per quale ragione non sia il caso di assumere anche questi candidati;
   appare ai deputati interroganti palese la necessità di incrementare l'organico della Polizia di Stato (di fatto, ad oggi, sottoorganico di circa 15.000 unità) sostanzialmente a costo zero per l'Amministrazione, che si è fatta già carico delle prove selettive. Il Ministero dell'interno, nelle ultime settimane, ha peraltro annunciato la necessità di un immediato potenziamento della sicurezza anche a fronte delle ultime minacce ricevute da parte dei terroristi islamici;
   occorre, inoltre, considerare che lo sbarramento per superare la prova preliminare è stato fissato in 9,750/10,00 (78 risposte esatte su 80 domande). Una media altissima difficilmente richiesta in occasione di altri concorsi pubblici. Tali ragazzi, pur avendo ottenuto il massimo del punteggio nella prova preliminare, purtroppo, non riusciranno ad arrivare a collocarsi tra i primi 650 posti per via di uno 0,025 di titolo, causato da un mese in meno di servizio rispetto ad un altro candidato o per un elogio non ottenuto, creando una ingiusta disparità di trattamento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso procedere con l'assunzione anche dei 250 candidati idonei, stante anche la cronica carenza d'organico da cui è affetta la polizia di Stato. (4-06316)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'onorevole chiede, unitamente ad altri deputati, che il Ministro dell'interno proceda all'assunzione di 250 candidati risultati idonei al concorso pubblico per l'arruolamento di 650 allievi agenti della Polizia di Stato, bandito nel marzo 2014. Ciò anche in considerazione della cronica carenza dell'organico della polizia di Stato.
  In proposito, si rappresenta che nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) non si rinviene il finanziamento del fondo per l'incremento del
turn-over fino alla percentuale del 70 per cento prevista dall'articolo 1, comma 91, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013).
  In relazione a ciò, dovendosi procedere nell'anno in corso all'assunzione dei vincitori del citato concorso per 650 agenti della polizia di Stato e dovendosi – contestualmente – tenere conto delle esigenze di immissione di personale in altri ruoli, nei quali la carenza sfiora il 50 per cento dell'organico, non sussiste la concreta possibilità di adottare provvedimenti di assunzione degli idonei del concorso in questione, previo scorrimento della relativa graduatoria.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la penetrazione di affiliati all'Isis, Stato islamico dell'Iraq e della Siria, in territorio italiano, sfruttando le strutture logistiche di organizzazioni criminali già presenti in loco è uno dei rischi che l'Italia è chiamata a fronteggiare per impedire l'emergere di una seria minaccia terroristica sul territorio nazionale;
   riguardo a questo è stato chiaro il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho secondo il quale, come emerge da quanto riportato dall'Agenzia Ansa in data 22 febbraio 2015, «qualora l'Isis volesse infiltrarsi sul territorio italiano, in Calabria potrebbe trovare appoggi logistici dalla ’ndrangheta in cambio di armi e droga» aggiungendo poi come questa «sia una ipotesi da percorre, su cui vale la pena lavorare e su cui tenere un'attenzione molto alta»;
   secondo Raho «è chiaro che in un territorio così capillarmente controllato dalla ’ndrangheta il terrorismo può avere un appoggio logistico, coperture in aziende agricole, in terreni di montagna o coperture attraverso documenti falsificati in cambio di armi e droga»;
   sempre secondo le dichiarazioni del procuratore, «la ’ndrangheta è un'organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’è un profitto, un interesse. D'altro canto per l'importazione delle armi con chi ha rapporti se non con determinati ambienti che sono vicini al terrorismo o che sono vicini alle guerre che si sono sviluppate negli ultimi anni in alcuni Paesi ? Quindi, comunque, le armi vengono da quei territori. Attraverso l'Isis riuscirebbe anche ad avere droga, soprattutto eroina. La ’ndrangheta è protagonista nell'importazione di cocaina dai Paesi sudamericani ed è protagonista anche per l'eroina ma non attraverso lo stesso canale ma da quelli che provengono da Turchia, Iraq, Nigeria, vari paesi che consentono queste importazioni»;
   ne emerge che combattere la ’ndrangheta diventa oggi, se possibile, ancor più urgente in quanto corrisponde a combattere anche il rischio di infiltrazioni di cellule terroristiche sul territorio italiano –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, allo stato, le autorità di pubblica sicurezza siano in possesso di elementi atti ad ipotizzare come possibili o attualmente in corso contatti tra organizzazioni terroristiche di matrice islamica e la criminalità organizzata italiana.
(4-08096)

  Risposta. — In relazione alla problematica sollevata dall'interrogante, si evidenzia che dalle risultanze investigative non sono emersi, al momento, elementi tali da confermare l'esistenza di contatti tra le organizzazioni terroristiche di matrice islamica e la criminalità organizzata italiana.
  In ogni caso, considerata l'estrema gravità della minaccia, si assicura che in futuro nessun elemento al riguardo verrà tralasciato o dato per scontato. Pertanto verrà prestata la massima attenzione a ogni segnale di pericolo, anche il più tenue, rafforzando l'azione di monitoraggio e di
intelligence investigativa.
  È in quest'ottica che può considerarsi convocato in permanenza il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, operante presso il dipartimento della pubblica sicurezza, in cui interagiscono rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi informativi.
  Il tavolo di alto coordinamento, tra i vari dossier informativi, non ha trascurato né trascurerà di esaminare accanto ai profili internazionali della minaccia, collegati alle diverse situazioni geo-politiche, i possibili addentellati interni, anche in riferimento alla criminalità autoctona.
  In chiave preventiva rimane strategica la cooperazione internazionale, giudiziaria e di polizia, che è stata potenziata con l'intensificazione degli scambi informativi e delle migliori prassi investigative.
  A tal proposito si segnala che, nell'ambito del semestre europeo di Presidenza italiana del gruppo terrorismo, è stata istituita in partenariato con Europol una rete di punti di contatto antiterrorismo tra gli Stati membri, che hanno aderito su base volontaria al fine di scambiare ogni utile informazione.
  L'impegno del Governo sul tema è testimoniato anche dal recente decreto-legge n. 7 – approvato in via definitiva dal Parlamento – con il quale sono state introdotte nuove misure che affinano gli strumenti di prevenzione, specie in riferimento all'evoluzione della minaccia terroristica.
  In particolare, l'attività investigativa sull'eventuale sussistenza di contatti tra il terrorismo di matrice islamica e la criminalità organizzata potrà essere agevolata dall'applicazione delle disposizioni del predetto provvedimento che attribuiscono al Procuratore nazionale antimafia le funzioni di coordinamento su scala nazionale proprio delle indagini relative al procedimenti penali e di prevenzione in materia di terrorismo.
  Da ultimo, si segnala che dagli elementi pervenuti dal Ministero della giustizia emerge la massima attenzione riservata dalle procure al contrasto del terrorismo internazionale. Nello specifico, la procura di Reggio Calabria ha iscritto diversi procedimenti penali per il delitto di cui all'articolo 270-
bis del codice penale, che traggono origine dai monitoraggio della rete internet e dalla presenza sul territorio di soggetti con relazioni, anche indirette, con fatti o gruppi riconducibili al terrorismo internazionale.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la bonifica e messa in sicurezza delle aree di competenza della marina militare (ex area Ip, area Gittata, zona 17 ettari) e della cava in località San Marco (Statte) è improcrastinabile, ma ancora non si è giunti ad una conclusione su come bonificare questi siti che continuano a contaminare l'acqua di falda e il Mar Piccolo a Taranto;
   l'area ex Ip è situata nel primo seno di mar Piccolo, ed è interessata da una pesante contaminazione (metalli pesanti, pcb, inquinanti inorganici) dovuta proprio alle attività passate dell'Arsenale militare, oltre all'inquinamento conseguente all'attività dell'Ilva di Taranto;
   il quotidiano on line TarantoOggi.it del 5 marzo scorso, in un articolo di Gianmario Leone, riprende in particolare la vicenda della bonifica del Mar Piccolo di Taranto nell'ambito della più vasta operazione di bonifica dell'area di Taranto, e degli altissimi danni recati dall'inquinamento all'ambiente marino del bacino e alla mitilicoltura tarantina;
   l'inquinamento prodotto dalle aree a terra in uso alla Marina continuano ad inquinare la falda (in particolar modo quella superficiale) e il mare;
   le aree a terra gestite dalla Marina Militare rappresentano, come indicato dalla «Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe», redatta dal servizio ciclo dei rifiuti e bonifica della regione Puglia nel 2011, la fonte primaria accertata di inquinamento da PCB del Mar Piccolo: sia nei terreni che nella falda superficiale;
   parliamo di un sito esteso per circa 23.000 metri quadri in cui sin dal 1890 è stata svolta attività da parte di numerose aziende di supporto alla marina militare, mediante il ricorso di sostanze altamente impattanti dal punto di vista ambientale come vernici, solventi, olio di taglio, olio idraulico ed idrocarburi;
   la caratterizzazione realizzata dai tecnici della regione, condotta tra il maggio e il luglio 2009 ha evidenziato nei terreni una contaminazione da metalli pesanti (antimonio, arsenico, mercurio, piombo, rame, selenio, vanadio e zinco), da policlorobifenili e da idrocarburi (leggeri e pesanti);
   la consegna del Progetto definitivo per la messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda era prevista per il luglio del 2012. Doveva essere un passaggio cruciale, al termine di un iter piuttosto tortuoso che aveva visto il servizio ciclo dei rifiuti e bonifica della regione formulare una serie di osservazioni e prescrizioni sul progetto presentato da Marigenimil (direzione genio militare per la marina). Nel corso della conferenza dei servizi decisoria, tenuta l'8 marzo 2012, Marigenimil aveva assicurato una programmazione finanziaria che garantiva l'avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere entro il 2012. Il 30 marzo del 2012, l'assessore regionale all'ambiente, Lorenzo Nicastro, aveva annunciato che il progetto di Marigenimil aveva ricevuto l'ok dei tecnici regionali affermando, inoltre, che l'iniziativa del genio militare avrebbe consentito di «contenere definitivamente la contaminazione accertata nella falda acquifera». Ma la data prevista per la consegna del progetto definitivo – luglio 2012 – non è mai stata rispettata;
   l'Arpa Puglia ha peraltro avviato da tempo uno studio al fine di fotografare l'attuale situazione della contaminazione e dell'inquinamento del Mar Piccolo, e individuare il livello e le caratteristiche dell'inquinamento –:
   quali siano i motivi dei forti ritardi per la messa in sicurezza dell'area ex Ip dell'Arsenale militare di Taranto e se non si ritenga di intervenire al più presto per richiamare la Marina militare alle sue responsabilità al fine di pervenire in tempi rapidi alla soluzione del problema di cui in premessa. (4-04425)

  Risposta. — La messa in sicurezza di emergenza (Mise) della cosiddetta «ex area IP», all'interno del comprensorio arsenalizio di Taranto, si articola nella realizzazione di:
   un impianto di mitigazione del flusso di falda;
   una barriera impermeabile e trattamento delle acque.

  Secondo quanto riferito dalla Marina militare, l'impianto di mitigazione del flusso di falda era pronto ad entrare in opera dall'agosto 2013 ma si è ancora in attesa dell'autorizzazione allo scarico a mare delle acque trattate da parte della provincia di Taranto.
  Il progetto definitivo (mitigazione del flusso e barriera impermeabile), completato ed ottimizzato sia in termini tecnici che economici, è stato inviato a tutti i soggetti della Conferenza di servizi il 20 novembre 2013 e nel tavolo tecnico del 9 gennaio 2014, tenutosi in regione Puglia, è stato ritenuto valido. Nel corso di tale riunione, tuttavia, la regione Puglia e l'agenzia regionale per la protezione ambientale hanno evidenziato la necessità di un'integrazione al progetto per estendere la messa in sicurezza di emergenza anche ad altra area contaminata, definita con la caratterizzazione integrativa (anche definita «MISE integrata»). Il successivo 12 marzo 2014, la Direzione del genio della Marina (Marigenimil) ha provveduto a consegnare il progetto definitivo di Mise integrato.
  Il 12 febbraio 2015 si è tenuta presso la regione Puglia, la Conferenza di servizi per verificare lo stato dell'autorizzazione allo scarico da parte della provincia di Taranto ed approvare l'analisi di rischio relativa alle aree finora caratterizzate. In ragione delle prescrizioni formulate dall'Arpa, la stessa Conferenza ha richiesto alla Marina militare di attivarsi per richiedere alla provincia di Taranto la possibilità di avviare immediatamente l'impianto di mitigazione del flusso oppure convocare un tavolo tecnico per esaminare i contenuti delle prescrizioni dell'Arpa.
  La provincia di Taranto, che non ha partecipato alla Conferenza, ha successivamente fatto pervertire alla Marigenimil una comunicazione con la quale informava che l'autorizzazione allo scarico a mare delle acque trattate dal sistema di Mise era stata rilasciata con determina dirigenziale n. 15 del 12 febbraio 2015, cioè lo stesso giorno in cui si teneva la Conferenza di servizi.
  Tale Determina, pubblicata il 18 marzo 2015 all'Albo pretorio della provincia di Taranto, è stata notificata dallo stesso ente alla Marigenimil in data 24 marzo 2015.
  L'impianto di Mise, continua, tuttavia, a non poter essere attivato in quanto la competente Marigenimil deve, in primo luogo, adempiere alle numerose prescrizioni tecniche contenute nell'autorizzazione in questione.
  Per quanto riguarda l'area denominata «zona gittata», in cui è previsto lo smaltimento fanghi di dragaggio nonché la bonifica e messa in sicurezza dell'area, non sussisterebbe, in base ad indagini effettuate, la possibilità di esposizione, anche fortuita, dei corpi recettori umani ed ambientali. In ogni caso la Direzione dell'arsenale militare (Marinarsen) di Taranto ha acquisito il documento di «Analisi dei Rischi sito specifico» anticipandolo alla Regione Puglia. In riscontro al documento trasmesso, la Regione si è espressa richiedendo l'integrazione del documento presentato, comprensivo di tutti i dati disponibili, inclusi alcuni punti di prelievo al di fuori dell'area interessata.
  In adempimento a quanto richiesto dalla Regione Puglia, Marinarsen Taranto ha disposto l'affidamento diretto a ditta privata per la realizzazione del nuovo documento integrativo. Il nuovo documento prodotto è stato inviato alla Regione Puglia e agli altri enti interessati e si rimane in attesa di ricevere dalla Regione Puglia le determinazioni discendenti.
  Con riferimento, poi, alla cava in località San Marco, classificata quale possibile fonte primaria di contaminazione per il Mar Piccolo, la stessa non è in uso alla Difesa.
  È evidente, in conclusione, che il protrarsi dei tempi per avviare l'impianto e per la stesura del progetto definitivo della messa in sicurezza di emergenza, non sono imputabili alla Forza armata, bensì riconducibili ai tempi, non sempre contraibili, necessari al rilascio di pareri e autorizzazioni da parte degli enti coinvolti, estranei all'amministrazione Difesa.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   FAENZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto esposto da alcuni consiglieri comunali di Siena, il Ministro interrogato, nell'ambito di un piano nazionale di revisione e razionalizzazione degli organici, sarebbe intenzionato alla soppressione di alcuni presidi di polizia ubicati nella medesima città, in particolare le sezioni della polizia ferroviaria e della polizia postale;
   l'ipotesi di chiusura dei distretti, è stata anche paventata dalle organizzazioni sindacali di categoria, che hanno manifestato la contrarietà della soppressione dei servizi, i cui effetti oltre a determinare il relativo trasferimento del personale, rischiano di provocare conseguenze negative sulla tutela dei cittadini e la sicurezza del territorio interessato;
   le linee guida del progetto di razionalizzazione e soppressione dei presidi senesi, rientrano all'interno di un più ampio piano di dismissione nazionale che, secondo quanto sostenuto dal vice capo vicario della polizia, nel corso di un incontro con la delegazione dell'amministrazione comunale e promosso dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, prevede la chiusura di 75 presidi della polfer e altrettanti della polizia postale, attraverso una riorganizzazione su base regionale;
   l'interrogante segnala che nonostante le rassicurazioni espresse dal sindaco di Siena, il quale ha evidenziato nel corso della medesima riunione, come nell'anno 2013, la provincia senese sia stata caratterizzata per un elevato indice di sicurezza, occorre ciononostante porre in essere ogni iniziativa, nell'eventualità fossero confermate le soppressioni dei presidi senesi suindicati, volta ad evitare tale progetto di smantellamento in chiave meramente ragionieristica, che non considera le esigenze di determinati ed importanti presidi territoriali strategici;
   la polfer che opera presso la stazione di Siena, riveste infatti un ruolo importante ed efficace, i cui molteplici compiti compreso il controllo effettuato nei treni e sulla rete dei binari, sui quali grava il rischio perdurante dei furti di rame, che di recente hanno subito un ulteriore aumento, delineano la delicata missione nello svolgimento delle competenze nell'ambito della sicurezza nelle stazioni ferroviarie e a bordo dei treni;
   la polizia ferroviaria, svolge inoltre compiti di assistenza nei riguardi dei numerosi passeggeri, che transitano quotidianamente presso la stazione senese e considerando la prossima realizzazione del terminal autobus nella medesima area circoscritta, avvalora ulteriormente la necessità a parere dell'interrogante, di preservare il servizio e la struttura operativa svolta dal medesimo reparto di pubblica sicurezza, in caso di dismissione del presidio;
   secondo quanto rilevato dalle organizzazioni sindacali, nel corso dell'incontro in precedenza riportato, è emerso fra l'altro uno scenario complessivamente insufficiente da parte dell'amministrazione del Ministero interrogato, nell'ambito del progetto di riorganizzazione degli uffici territoriali della polizia di Stato, con riferimento alle mancate garanzie nei riguardi delle tante specifiche professionalità acquisite nel corso degli anni da parte delle unità preposte alla tutela dei cittadini e alla sicurezza del territorio senese, intenzionate ad essere riallocate altrove;
   il confronto tra i soggetti interessati, si è concluso con la decisione di un incontro stabilito il prossimo 20 marzo, con il Ministro interrogato, sia per definire con maggiore chiarezza le intenzioni dell'amministrazione interessata in ordine alle soppressioni degli uffici di polizia a Siena, che nell'ambito dello sblocco delle retribuzioni e dei diritti di progressione economici sollecitati dalle organizzazioni sindacali della polizia di Stato peraltro da diversi anni;
   l'interrogante segnala come le tendenze di ridimensionare i servizi di tutela e di sicurezza nei confronti della comunità cittadina e del territorio senese, siano state già evidenziate nel corso di un precedente atto di sindacato ispettivo n. 4-01819 presentato la scorsa legislatura, all'interno del quale si segnalavano gli effetti negativi delle discutibili scelte del questore di Siena, nell'impiego della riduzione del cosiddetto poliziotto di quartiere, chiamato a sopperire le esigenze causate dalla diminuzione del personale presso i corpi di guardia;
   a giudizio dell'interrogante in considerazione di quanto esposto, appare evidente come necessitano una serie di precisazioni da parte del Ministero interrogato, finalizzate ad indicare le reali intenzioni sul piano di riorganizzazione delle forze di polizia operanti nella città di Siena ed in particolare, sul mantenimento degli uffici –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare, la soppressione degli uffici della polfer presso la stazione di Siena e della polizia postale;
   in caso affermativo, se non convenga che tale decisione possa determinare effetti negativi e penalizzanti, nell'ambito dei servizi di vigilanza e di tutela per la città di Siena, in particolare con riferimento alla complessa attività dei servizi svolti dalla polfer nella stazione ferroviaria;
   come intenda infine, riorganizzare i presidi di polizia nella città di Siena a seguito delle decisioni di revisione della spesa pubblica, sia con riferimento alla riallocazione del personale, che nell'ambito dei livelli di sicurezza per il territorio, che nel caso della riduzione degli uffici, a giudizio dell'interrogante, risulterebbero insufficienti. (4-04041)


   FAENZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di riorganizzazione del comparto sicurezza a livello nazionale, secondo quanto sostenuto dalla segreteria provinciale dell'Ugl di Grosseto, prevede la soppressione della sede della polizia postale, nella medesima città toscana, con prevedibili effetti negativi e penalizzanti nei riguardi dei servizi resi ai cittadini e la sicurezza informatica, in particolare nei confronti del contrasto al fenomeno della pedofilia e della pornografia minorile;
   la suindicata organizzazione sindacale rileva come il riordinamento dei presidi territoriali, sia solo apparentemente motivato da esigenze di revisione della spesa pubblica, celando in realtà un piano privo di un minimo di lungimiranza e di comune buon senso, finalizzato al semplice reclutamento di uomini per le esigenze numeriche delle questure per i servizi ordinari;
   l'interrogante evidenzia come il ruolo svolto dalla polizia postale sia di estrema importanza, in considerazione che si tratta di uno specifico reparto specializzato nelle attività di controllo e repressione, per tutti i reati rientranti nella complessa materia delle comunicazioni, incluse le attività illecite esercitate per mezzo di Internet;
   le attività di contrasto per una molteplicità di reati, il cui numero risulta peraltro in aumento, riguardanti hacking (intrusioni e danneggiamenti informatici), frodi con carte di credito, truffe on line, minacce o diffamazioni tramite social network, oscuramento di siti, necessitano a parere dell'interrogante, di essere sostenute e potenziate, in considerazione delle numerose iniziative che a livello nazionale e internazionale, le Istituzioni svolgono per la protezione dei bambini, dei giovani e delle donne contro ogni forma di violenza;
   l'eventuale soppressione della sezione della polizia postale di Grosseto, ove confermata, a giudizio dell'interrogante, rischia di pregiudicare, inevitabilmente i livelli di sicurezza, in considerazione che l'intera cittadinanza verrebbe a trovarsi senza un presidio fondamentale nel contrasto dei reati informatici, le cui diverse e complesse fattispecie in precedenza elencate, necessitano un'adeguata tutela giuridica e di opposizione;
   la necessità di preservare una importante funzione delle distinte aree d'intervento, svolta dal compartimento territoriale della polizia postale di Grosseto, risulta in definitiva di estrema importanza a parere dell'interrogante, in considerazione delle osservazioni in precedenza elencate –:
   se intendano confermare la soppressione del presidio della polizia postale di Grosseto, prevista all'interno del piano nazionale di riordinamento del comparto sicurezza;
   in caso affermativo, se non ritengano che tale decisione possa pregiudicare i livelli di tutela nei riguardi dei cittadini grossetani, con riferimento all'attività di contrasto ai numerosi crimini informatici in precedenza esposti;
   quali iniziative infine intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di compensare i livelli di contrasto al crimine informatico, derivanti dall'eventuale interruzione dei servizi svolti dagli operatori della polizia postale di Grosseto e come intendano riallocare il personale nel caso di soppressione del presidio cittadino interessato. (4-04105)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla chiusura del presidio di Polizia ferroviaria di Siena e dell'ufficio di Polizia postale di Grosseto, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei principali produttori di uova in Europa. In negozi e supermercati è quasi impossibile trovare uova fresche che provengano dall'estero. Eppure, secondo i dati Eurostat, ogni anno si importano oltre 50 milioni di tonnellate di uova e ovoprodotti solo dalla Polonia, quasi 20 milioni dalla Spagna, oltre 6 milioni dall'Olanda, 5,7 milioni dalla Romania, 3,7 dalla Francia, 3,2 dalla Slovacchia;
   per le uova fresche in guscio, grazie alla normativa europea sull'etichettatura, dal 2004 il timbro apposto su ogni singolo uovo indica: modalità di produzione (3 in gabbia, 2 a terra, 1 all'aperto, 0 biologiche), il paese di origine (IT per l'Italia) e persino il comune ed il codice dello stabilimento; anche sulle scatole è obbligatorio precisare a chiare lettere la modalità di allevamento;
   norme sull'etichettatura, tuttavia, non prevedono alcuna informazione sulle uova che si trovano nei prodotti: pasta all'uovo, biscotti, dolci, produzioni industriali e persino dentro tramezzini, pasta fresca e altri prodotti di bar e ristoranti che usano uova pastorizzate;
   i dati sull’import, l'assenza nei supermercati di uova a guscio provenienti dall'estero e la mancanza di disposizioni circa la provenienza delle uova negli alimenti che le contengono, portano a pensare che le uova importate siano utilizzate nella preparazione di prodotti contenenti uova;
   secondo Antonio Mengoni dell'azienda «Ovo Fresco San Martino», sono in tanti i marchi italiani che importano, perché oggi in Italia il costo delle uova arriva a 1,05 o 1,06 euro al chilo, mentre dall'estero si possono comprare con 90-95 centesimi al chilo. La pressione dei prezzi più bassi, oltre che indurre maggiore import di uova e minore competitività, può spingere i produttori a tagliare il più possibile i costi con ricadute negative sulla qualità dei prodotti o sul benessere animale, ad esempio con la tentazione di aumentare, dove possibile, la densità di animali nelle gabbie arricchite, oggi obbligatorie;
   dal 2012 ad oggi, insieme ai produttori storici come Francia, Italia, Spagna o Olanda, hanno fatto la loro ascesa sul panorama dell'Unione europea Paesi come la Polonia e la Romania, entrambi secondo i dati Assoavi tra i principali otto produttori europei. La maggiore competitività di questi Paesi è dovuta a vari fattori, tra cui il costo minore dei mangimi, essendo forti produttori di cereali, gli ingenti finanziamenti strutturali dell'Unione europea, il minor costo della manodopera e un sistema di permessi e controlli più blando;
   da settembre 2014, inoltre, una decisione comunitaria permette le importazioni nei Paesi comunitari al colosso ucraino Imperovo, un gigante da 23 milioni di galline distribuite in 19 allevamenti, senza l'obbligo di adeguarsi alla normativa sulle gabbie arricchite. Il gigante euroasiatico segue le sorti di Ovostar Union, altra azienda ucraina ammessa all’export verso l'Unione europea dal 2014. Si tratta dei primi passi di un accordo di libero scambio con il Paese ex sovietico, che entrerà a regime dal primo gennaio del 2016 –:
   se il Ministro interrogato, per quanto esposto in premessa e nell'ottica di una sempre maggiore informazione per i consumatori europei, non ritenga opportuno farsi promotore presso le competenti istituzioni europee, affinché si arricchisca l'attuale normativa sull'etichettatura inserendo l'obbligo di indicazione delle stesse informazioni previste per le uova in guscio, anche sui prodotti contenenti uova. (4-08843)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, faccio presente che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è costantemente impegnato per la tutela del prodotto italiano e per un'informazione chiara e trasparente al consumatore sull'origine delle materie prime degli alimenti. Proprio in quest'ottica, infatti, abbiamo chiamato per la prima volta i consumatori ad esprimersi su questo tema attraverso una consultazione pubblica sul sito istituzionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che ha visto la partecipazione di oltre 26 mila e cinquecento cittadini. Nove italiani su dieci ci hanno confermato che vogliono informazioni chiare e leggibili sull'origine della materia prima sulle confezioni. Forti di questi risultati, quindi, abbiamo intenzione di rilanciare ulteriormente a Bruxelles la nostra azione sul tema dell'etichetta.
  Per quanto riguarda le uova, in particolare, siamo consapevoli del ruolo di
leader che l'Italia ricopre tra i Paesi produttori, così come dell'entità degli scambi di uova destinate alla sgusciatura provenienti da altri Stati membri e da Paesi terzi. La bilancia commerciale del settore delle uova, comunque, mostra che l'Italia si colloca ad un livello di autosufficienza molto alto, pari a circa il 95 per cento, e ci aspettiamo nei prossimi mesi un rallentamento ulteriore delle importazioni, in linea con i trend di mercato del 2014, dove abbiamo registrato un calo del 20 per cento.
  Ciò posto, in linea con quanto rappresentato dagli interroganti, sottolineo che il Ministero sta esercitando in tutte le competenti sedi dell'Unione europea le opportune pressioni nei confronti della Commissione affinché questa acceleri l'attuazione del Regolamento (UE) n. 1169 del 2011, anche nei confronti dei prodotti contenenti uova, tenendo comunque conto delle peculiarità di questi prodotti industriali.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in una foto pubblicata dal settimanale «OGGI», scattata durante il ricevimento per la festa della Repubblica all'interno dell'ambasciata italiana nel Principato di Monaco il 2 giugno 2011, sono ritratti Amedeo Matacena, la moglie Chiara Rizzo, l’ex Ministro Claudio Scajola;
   Amedeo Matacena in quel momento non rivestiva alcun ruolo istituzionale da oltre 13 anni;
   per di più, lo stesso Matacena era sotto processo per concorso esterno all'associazione mafiosa ’ndrangheta, e nello specifico alla cosca Rosmini e lo stesso era già stato tratto in arresto nel corso del 2004 a seguito di indagini nel corso delle quali il suo nome era associato a quello dell'ex parlamentare Paolo Romeo, condannato in via definitiva per concorso esterno all'associazione mafiosa ’ndrangheta;
   questi fatti erano probabilmente noti già nel 2011 all'ambasciatore italiano nel Principato di Monaco, Antonio Morabito, sia per l'eco che avevano avuto sulla stampa, sia perché fatti riguardanti la sua città di origine;
   anche dopo che la sentenza di condanna per concorso esterno alla mafia riguardante Matacena era divenuta definitiva, lo stesso Morabito, sollecitato dalla moglie di Matacena, interessava altri uffici appartenenti alla struttura del Ministero degli affari esteri, affinché si attivassero su questioni riguardanti il Matacena, malgrado gli fosse ben noto che lo stesso era ormai, a tutti gli effetti, un latitante –:
   a che titolo il Matacena sia stato invitato, o comunque ammesso, a celebrare la Festa della Repubblica all'interno della ambasciata italiana del Principato di Monaco;
   se siano state aperte una o più procedure ispettive interne alla struttura ministeriale per verificare quanto successo ed il reale stato dei rapporti tra l'ambasciatore Morabito e la famiglia Matacena;
   se, nel caso quanto sopra esposto corrisponda a verità, non sia necessario provvedere con urgenza alla sostituzione dell'ambasciatore Morabito. (4-04993)

  Risposta. — Su richiesta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), l'ambasciatore presso il Principato di Monaco, Antonio Morabito ha reso dei chiarimenti per contestualizzare la presenza del signor Matacena e della sua consorte alla Festa della Repubblica celebrata a Montecarlo nel 2011.
  Egli ha fatto presente che l'ex deputato Scajola, che aveva effettuato altre visite istituzionali in quella località, anche nel 2011 vi giunse per partecipare alle celebrazioni della festa nazionale. In tale occasione, Scajola si presentò accompagnato, oltre che dalla sua scorta, anche da suoi familiari, da Matacena e dalla consorte di questi.
  Scajola e le persone al suo seguito parteciparono al ricevimento del 2 giugno insieme ad un altro migliaio di invitati, con numerosi rappresentanti delle Autorità di governo italiane e monegasche, di enti locali e regioni italiane confinanti.
  Alla luce delle spiegazioni fornite, l'amministrazione ha ritenuto che non vi siano i presupposti per l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti dell'ambasciatore Morabito.
  Egli ha cessato dal suo incarico lo scorso 1o aprile ed è rientrato a Roma. Il suo successore si insedierà non appena avrà ottenuto il gradimento da parte delle autorità monegasche.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   GREGORI, TIDEI, FERRO, MICCOLI, MARRONI, FASSINA, CARELLA, MARCO DI STEFANO e TERROSI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni si è parzialmente risolta la vicenda dei lavoratori socialmente utili del Lazio, stabilizzati con convenzione regionale da parte della precedente amministrazione Polverini;
   i lavoratori, in gran parte non pagati da mesi o pagati con anticipazione delle comunità montane e dei comuni utilizzatori degli stessi, non saranno mandati a casa. Infatti è stato sottoscritto un accordo tra Governo e regione Lazio per la riapertura del bacino e quindi entro il mese di febbraio dovrebbero ripassare a carico dell'Inps percependo l'indennità prevista;
   si tratta di una soluzione che garantisce a 900 famiglie di percepire un minimo di sostegno economico, ma non può essere certo la soluzione definitiva. Infatti i lavoratori rientrati nel bacino ritornerebbero nella situazione di uomini e donne che svolgono prestazioni per i comuni e le comunità montane senza diritto a nessun contributo previdenziale;
   sembra pertanto fondamentale che lo Stato intervenga per svuotare definitivamente il bacino e consenta una stabilizzazione definitiva di questi lavoratori che per molti anni hanno sopperito a mancanze di personale in tante amministrazioni pubbliche –:
   se i Ministri interrogati intendano intervenire, per quanto di competenza, verificando la possibilità di iniziative normative atte ad una stabilizzazione effettiva dei lavoratori di cui in premessa;
   se s'intenda altresì valutare la possibilità di convocare un tavolo di confronto con le autorità regionali e le comunità montane al fine di elaborare soluzioni condivise e congiunte a tutela dei lavoratori citati. (4-03255)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare indicata in oggetto si chiede al Ministro per gli affari regionali e le autonomie e al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione di:
   1) sapere se intendano intervenire, per quanto di competenza, con iniziative normative atte ad una stabilizzazione effettiva dei lavoratori socialmente utili del Lazio;
   2) valutare la possibilità di convocare un tavolo di confronto con le autorità regionali e le comunità montane al fine di elaborare soluzioni condivise e congiunte a tutela dei lavoratori citati.

  Al riguardo la regione Lazio, con nota protocollo GR 682116 del 9 dicembre 2014, ha rappresentato quanto segue.
  Al fine di avviare un percorso di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, riconducibili al bacino storico costituito ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2000, veniva stipulata, in data 15 luglio 2011, una convenzione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la regione Lazio. Tale convenzione prevedeva l'erogazione straordinaria di un contributo di 25 milioni di euro da parte del Ministero al fine di intraprendere interventi straordinari finalizzati alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, come previsto dalla DGR 53/2011 della regione Lazio. La stessa convenzione, nel contempo, sanciva la cessazione di ogni ulteriore finanziamento, per le medesime finalità, da parte del Ministero, considerandosi esaurita l'efficacia dell'articolo 78 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e di qualunque altra disposizione relativa ai lavoratori socialmente utili che preveda oneri a carico del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, fondo di pertinenza dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Le risorse sopra indicate, mediante la stipula di apposite convenzioni con gli enti utilizzatori, venivano ripartite a quest'ultimi al fine di agevolare i processi di stabilizzazione mediante assunzioni presso gli stessi enti.
  In sede di controllo la Corte dei conti ha riscontrato una serie di problematiche relative alle suddette convenzioni con gli enti utilizzatori, in particolare, sollevando importanti rilievi circa la legittimità delle assunzioni operate.
  Al fine di superare i rilievi mossi dalla Corte dei conti, l'amministrazione regionale ha avviato un procedimento in autotutela finalizzato a verificare la legittimità delle convenzioni stipulate con gli enti utilizzatori nonché la legittimità delle assunzioni. Tale procedimento ha portato all'adozione delle determinazioni con le quali la regione Lazio ha provveduto a convalidare parzialmente e annullare le convenzioni stipulate con gli Enti utilizzatori per la stabilizzazione dei LSU.
  All'esito di tale attività, che ha portato alla cessazione dei rapporti di lavoro illegittimamente instaurati, con DG08005 del 3 giugno 2014 e successive modificazioni, è stato approvato l'elenco dei lavoratori
ex articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013.
  Al fine di tutelare la posizione dei lavoratori socialmente utili le cui assunzioni si sono rivelate illegittime, è stata richiesta agli enti la disponibilità a riprendere in servizio come LSU i soggetti le cui stabilizzazioni non fossero andate a buon fine, ciò al fine di avere un quadro generale e immediato sulle possibili ricollocazioni dei lavoratori presso gli stessi Enti, rinviando, nel contempo, ad un apposito avviso pubblico per la rassegnazione delle eventuali unità per le quali gli Enti non avessero manifestato la disponibilità alla riammissione in servizio come LSU.
  Successivamente, è stata stipulata una convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzata a definire le modalità di finanziamento del ricostituito bacino di lavoratori socialmente utili; convenzione registrata dalla Corte dei conti in data 22 ottobre 2014. Tale convenzione prevede una compartecipazione della regione nel finanziamento degli assegni per le attività socialmente utili che saranno erogati dall'INPS con le consuete modalità.
  Per quanto concerne eventuali iniziative finalizzate allo svuotamento del ricostituito bacino di lavoratori socialmente utili si segnala che in data 31 ottobre 2014 con determinazione GI5308 è stato approvato l'avviso per la presentazione delle domande di fuoriuscita volontaria dall'elenco dei lavoratori socialmente utili
ex articolo 4, comma 8, decreto-legge n. 101 del 2013, approvato con determinazione G08005/2014 e successive modificazioni e integrazioni.
  Tale avviso prevede l'erogazione di un bonus di 35 mila euro a favore di quei lavoratori socialmente utili che decidano, volontariamente, di fuoriuscire dal bacino.
  Il dipartimento per la funzione pubblica, con nota DFP n. 0018928 del 20 marzo 2015, ha formulato, per quanto di competenza, le seguenti osservazioni.
  L'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede che «al fine di favorire l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, e di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280, le regioni predispongono un elenco regionale dei suddetti lavoratori secondo criteri che contemperano l'anzianità anagrafica, l'anzianità di servizio e i carichi familiari. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2016, gli enti territoriali che hanno vuoti in organico relativamente alle qualifiche di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni, nel rispetto del loro fabbisogno e nell'ambito dei vincoli finanziari di cui al comma 6, procedono, in deroga a quanto disposto dall'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, all'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, dei soggetti collocati nell'elenco regionale indirizzando una specifica richiesta alla regione competente».
  Come chiarito dalla circolare n. 5/2013 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, nel predetto elenco vengono inseriti sia i lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (LSU) sia i lavoratori di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280 (LPU), prescindendo dalla natura del rapporto che hanno in essere alla data del 1o settembre 2013 presso le amministrazioni pubbliche che li utilizzano. In sostanza, per tali soggetti il reclutamento speciale transitorio, nel rispetto dei presupposti di legge, è applicabile sia se sono ancora LSU o LPU, sia se, nel corso degli anni, hanno stipulato un rapporto di lavoro con l'amministrazione. Ne consegue che per tali soggetti l'anzianità richiesta per la stabilizzazione si riferisce all'utilizzo con qualunque tipologia di rapporto presso l'amministrazione pubblica.
  Al fine di favorire l'assunzione a tempo indeterminato dei predetti lavoratori le regioni predispongono, quindi, un elenco regionale secondo criteri che contemperano l'anzianità anagrafica, l'anzianità di servizio e i carichi familiari.
  Al riguardo, la citata circolare n. 5/2013 del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, ha chiarito che per coloro che sono inseriti nella lista regionale di cui all'articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013, e siano adibiti a mansioni relative a qualifiche superiori rispetto a quelle di cui all'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, si applicano le procedure di reclutamento speciale transitorio previste dall'articolo 4, comma 6, del medesimo decreto-legge n. 101 del 2013 nel rispetto dei limiti ivi previsti, compreso quello del valore massimo del 50 per cento delle risorse finanziarie utilizzabili.
  Lo spirito della norma è quello di consentire alle regioni di disciplinare l'utilizzo di tali liste per consentire la massima riduzione del bacino dei lavoratori iscritti. A tal fine la programmazione delle assunzioni può tenere conto delle facoltà assunzionali e dei posti disponibili in dotazione organica negli enti territoriali dell'ambito regionale che manifestano interesse all'assunzione a tempo indeterminato di tali lavoratori, privilegiando tale assunzione nell'ente utilizzatore e, in subordine, in caso di mancanza, in capo all'ente utilizzatore dei presupposti di legge previsti per poter procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, anche presso altri enti territoriali che abbiano le condizioni necessarie.
  Il dipartimento della funzione pubblica ha fatto altresì presente che, al fine di coordinare le disposizioni sopra richiamate con i percorsi di ricollocazione del personale degli enti di area vasta, l'articolo 1, comma 426, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) ha differito agli anni 2017 e 2018 l'arco temporale utile per l'attuazione delle previsioni di cui al citato articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013.
  Il suddetto comma 426 ha, infatti, previsto che il termine del 31 dicembre 2016, inizialmente previsto dall'articolo 4, commi 6, 8 e 9, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è prorogato al 31 dicembre 2018, con possibilità di utilizzo, nei limiti previsti dal predetto articolo 4, per gli anni 2017 e 2018, delle risorse per le assunzioni e delle graduatorie che derivano dalle procedure speciali.
  Il disegno di politica legislativa di contrasto del precariato nel lavoro pubblico non viene, quindi, interrotto ma solo posticipato, al fine di renderlo compatibile con i percorsi di ricollocazione del personale degli enti di area vasta previsti per gli anni 2015 e 2016.
  Il dipartimento della funzione pubblica ha precisato che, fino al 31 dicembre 2018, nel rispetto di quanto sopra illustrato, gli enti territoriali che procedono ad assunzioni di personale delle qualifiche di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, devono attingere all'elenco di cui al comma 8, dell'articolo 4, del menzionato decreto-legge n. 101 del 2013.
  Inoltre, sul piano normativo, il dipartimento per funzione pubblica ha segnalato che la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha previsto misure rilevanti volte al superamento del fenomeno. L'articolo 1, commi 209 e seguenti, della predetta legge detta la disciplina sotto riportata.
  «209. Al fine di razionalizzare la spesa per il finanziamento delle convenzioni con lavoratori socialmente utili e nell'ottica di un definitivo superamento delle situazioni di precarietà nell'utilizzazione di tale tipologia di lavoratori, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'interno, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa ricognizione della normativa vigente in materia, dell'entità della spesa sostenuta a livello statale e locale e dei soggetti interessati, si provvede a individuare le risorse finanziarie disponibili, nei limiti della spesa già sostenuta e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, destinate a favorire assunzioni a tempo indeterminato dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, e di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280, anche se con rapporto di lavoro a tempo determinato, ai sensi del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e in particolare dell'articolo 4, comma 8, del medesimo decreto-legge n. 101 del 2013.
  210. Dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietata la stipulazione di nuove convenzioni per l'utilizzazione di lavoratori socialmente utili di cui al comma 209, a pena di nullità delle medesime.
  211. Le risorse finanziarie, nella misura individuale massima di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, sono assegnate ai comuni, che hanno disponibilità di posti in dotazione organica relativamente alle qualifiche di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni, per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratto di lavoro a tempo parziale, dei soggetti di cui ai commi 209 e 210, anche in deroga alla vigente normativa in materia di facoltà assunzionali, ma in ogni caso nel rispetto del patto di stabilità interno e dell'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni.
  212. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sono stabilite le modalità e i criteri di assegnazione delle risorse, con priorità per i comuni che assumano nei limiti delle facoltà assunzionali stabilite dalla normativa vigente. In ogni caso i comuni sono tenuti a dimostrare attraverso idonea documentazione l'effettiva sussistenza di necessità funzionali e organizzative per le assunzioni, valutata la dimensione demografica dell'ente, l'entità del personale in servizio e la correlata spesa, nonché l'effettiva sostenibilità dell'onere a regime assicurando la graduale riduzione del personale di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, tenuto conto delle proiezioni future della spesa di personale a seguito di cessazione.»
  In conclusione, in risposta al primo quesito, il dipartimento della funzione pubblica rinvia alla normativa sopra illustrata evidenziando che sono in corso contatti con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per dare attuazione alla disciplina prevista dalla legge n. 147 del 2013.
  Riguardo alla possibilità di elaborare soluzioni condivise e congiunte con le autorità regionali e le comunità montane a tutela dei lavoratori socialmente utili, si manifesta la disponibilità a convocare, laddove necessario, apposito tavolo di confronto e comunque si assicura il massimo impegno sulla questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomieGianclaudio Bressa.


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di un organico piano di revisione approntato dal Ministero dell'interno sembrerebbero destinate a chiusura sia la sezione di Polizia ferroviaria che quella di polizia postale nella città di Siena;
   avverso le ipotesi di chiusura hanno già avuto modo di esprimersi le organizzazioni sindacali di categoria e grande allarme suscitano tali notizie anche nella cittadinanza;
   la chiusura degli uffici senesi rientrerebbe in un piano più ampio che prevede la soppressione complessiva di quasi 150 uffici della polizia postale e di quella ferroviaria, nel senso di una riorganizzazione delle relative strutture su base regionale;
   la polizia postale e delle comunicazioni costituisce un nucleo di alta specializzazione nelle indagini informatiche, di fondamentale importanza in un contesto in cui sono sempre più in crescita i reati all'interno e per mezzo della rete internet, e che, anche a scopo preventivo, ha fatto opera di informazione tra i giovanissimi con argomentate lezioni tenute anche all'interno degli istituti scolastici senesi;
   alla stessa stregua, il posto di polizia ferroviaria ha sinora assicurato alla città di Siena il controllo e la sicurezza del notevole flusso di persone a che a vario titolo (turismo, lavoro) arrivano o transitano nella città, nonché dell'area circostante alla stazione ferroviaria;
   peraltro, in base a quanto emerso dagli incontri tra i vertici della polizia e le organizzazioni sindacali, sembrerebbe che alle chiusure farà seguito la dispersione di gran parte delle professionalità acquisite per motivi di ricollocazione del personale –:
   se non ritenga di disporre una revisione del suddetto piano di chiusure, al fine di salvaguardare sia la sicurezza dei cittadini, sia le professionalità acquisite dal personale di polizia citato. (4-04162)


   LA RUSSA e CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno avrebbe avanzato un progetto di spending review che prevede gravi tagli al comparto nazionale della sicurezza, dal quale risulterebbe particolarmente penalizzata la regione Liguria;
   secondo una tabella in possesso della sezione ligure del Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia (COISP), uno dei sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale della categoria, nella provincia di Genova verrebbero soppressi i posti di polizia ferroviaria di Chiavari e di Ronco Scrivia, e la squadra nautica di Genova, e subirebbero un declassamento le sottosezioni di polizia ferroviaria di Genova Brignole e di Genova Sampierdarena;
   nella provincia di La Spezia verrebbero soppressi il posto di polizia ferroviaria di Sarzana, nonché la sezione di polizia postale, l'ufficio di frontiera marittima ed il nucleo artificieri dell'ufficio di frontiera e la squadra nautica di La Spezia città;
   nella provincia di Imperia verrebbero soppressi il distaccamento della polizia stradale di Sanremo, il posto di polizia ferroviaria Imperia Oneglia, il posto di polizia ferroviaria Sanremo, la sezione della polizia postale di Imperia e la squadra nautica della stessa località;
   nella provincia di Savona verrebbero soppressi il commissariato di polizia di Alassio e il locale distaccamento nautico, il distaccamento di polizia stradale di Finale Ligure, mentre a Savona chiuderebbero la locale sezione della polizia postale, l'ufficio di frontiera marittima, la squadra nautica e il nucleo artificieri dell'ufficio di frontiera;
   sia le graduatorie nazionali in materia di reati che gli stessi dati forniti in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2014 a Genova, attestano come lo stato della sicurezza in Liguria presenti situazioni di particolare criticità –:
   se il Governo non reputi opportuno ripensare i succitati tagli, che metterebbero ulteriormente a rischio il diritto alla sicurezza della comunità ligure, reperendo, invece, i risparmi di spesa attraverso tagli in settori meno sensibili dell'amministrazione dello Stato, al fine di fornire risposte adeguate in termini di strutture, mezzi e personale alla diffusa domanda di sicurezza che proviene dai cittadini. (4-04163)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla chiusura di alcuni presidi della Polizia di Stato in Liguria e nella città di Siena, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione del decreto-legge n. 150 del 2013 e successive modificazioni recante «Proroga di termini prevista da disposizioni di Legge», all'articolo 1, comma 4, lettera b), si dispone la possibilità per il Corpo nazionale vigili del fuoco, di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato relativamente alle cessazioni dell'anno 2012;
   in particolare, il decreto sopra citato prevede una proroga 31 dicembre 2014;
   conseguentemente, il termine per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato di cui all'articolo 1, commi 523, 527 e 643, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e all'articolo 66, comma 3 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, è prorogato al 31 dicembre 2014 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, abbia intenzione di assumere al fine di definire le tempistiche per procedere all'assunzione dei vigili del fuoco, in base alle disposizioni sopra citate, dal momento che le autorizzazioni possono essere concesse entro il 31 dicembre 2014. (4-06229)

  Risposta. — Le assunzioni di personale a tempo indeterminato nel corpo nazionale dei vigili del fuoco sono previste con le modalità indicate all'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, che prevede assunzioni in misura massima del venti per cento del turn over per il triennio 2012-2014, del cinquanta per cento nell'anno 2015 e del cento per cento a decorrere dall'anno 2016.
  La legge di stabilità 2013 ha previsto all'articolo 1, comma 91, la possibilità di assumere, in deroga alle predette percentuali di
turn over e in relazione alle disponibilità economiche destinate dal comma 90 della stessa legge di stabilità, contingenti di personale fino al 50 per cento negli anni 2013 e 2014 e fino al 70 per cento nel 2015.
  L'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 192 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015, ha prorogato dal 31 dicembre 2014 al 31 dicembre 2015 le autorizzazioni alle assunzioni per l'anno 2013, adottate ai sensi del citato articolo 1, comma 91, della legge di stabilità 2013.
  Tanto premesso, si rappresenta che, per quanto concerne le assunzioni relative all'anno 2013, da effettuarsi a copertura del turn over 2012, autorizzate con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri 23 settembre 2013, sono state assunte tutte le unità appartenenti alla qualifica di vigile del fuoco.
  In merito, invece, alle assunzioni negli altri ruoli del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è stato già bandito il concorso per 10 unità di personale nella qualifica di vice direttore del ruolo dei direttivi (
Gazzetta Ufficiale 26 agosto 2014) e verrà bandito, quanto prima, non appena esplicate tutte le relative procedure, il concorso per 10 unità nella qualifica di funzionario amministrativo-contabile vice direttore.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che il Ministero dell'interno abbia elaborato un piano per la razionalizzazione della spesa pubblica volto alla chiusura di 267 presidi di polizia su tutto il territorio nazionale;
   tale piano ha come finalità quella di ridurre le spese sostenute del dicastero e a quanto si apprende le strutture interessate sono i presidi di polizia stradale, ferroviaria, nautica e di frontiera, postale;
   nel quadro di revisione dei presidi e degli uffici della polizia sul territorio nazionale, in particolare per la Basilicata sono previste le chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto;
   i reparti suindicati sono impegnati ogni giorno a combattere la criminalità organizzata e operano il controllo del territorio in una zona di passaggio tra la Puglia e la Calabria;
   la Polfer di Metaponto dista molti chilometri dagli altri presidi ed è impegnata quotidianamente nei controlli sui treni dei passeggeri e dello snodo ferroviario. La sezione di polizia postale di Matera è specializzata nel contrasto alla lotta contro i reati informatici, ormai sempre più numerosi, i quali non hanno confini territoriali e avere solo un centro speciale nei capoluogo regionale costituirebbe un freno alle indagini a discapito della sicurezza dei cittadini –:
   quali siano i criteri con cui il Ministro starebbe procedendo all'opera di riorganizzazione dei presidi di polizia volta ad una riduzione della spesa;
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto premesso, riconsiderare l'orientamento emerso nell'ambito della stesura del piano di revisione per salvaguardare i reparti descritti in premessa della regione Basilicata. (4-03916)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante nelle due interrogazioni indicate in oggetto, relative alla chiusura di alcuni uffici della Polizia postale, ferroviaria e stradale nel territorio della regione Basilicata, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante risulta da documentazione pervenutagli che l'amministrazione comunale della, città di Lauria in provincia di Potenza non ha rispettato la norma (comma 137 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014) sulla parità di genere nella composizione della giunta comunale;
   il Sindaco giustifica il mancato rispetto, della disposizione suddetta dalla quasi contestualità dell'entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 con la nomina del nuovo Esecutivo, congiunta alla complessità del quadro politico derivante dall'allargamento della maggioranza consiliare per garantire la governabilità dell'Ente;
   la prefettura di Potenza rilevava che la scelta del sindaco nel designare i componenti della giunta, seppur discrezionale, non può prescindere dalla specifica disposizione normativa in questione anche per quegli enti che hanno adeguato lo statuto alle disposizioni di cui al comma 3, articolo 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 al fine di garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi;
   sempre la prefettura di Potenza rilevava che la giurisprudenza ha previsto delle eccezioni a tale obbligo nel caso in cui il sindaco riesca a dimostrare di non aver potuto, in concreto, individuare altre figure di genere femminile (Tar Lombardia Brescia sez: II, sent: 5 gennaio 2012 n. 1);
   quindi secondo l'ufficio Territoriale del Governo tale circostanza sembrerebbe non ricorrere nel caso del comune di Lauria; che nello statuto sono previste norme che consentono di attingere assessori di sesso femminile al di fuori della compagine elettiva –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del prefetto, sulla vicenda di cui in premessa e quali iniziative intenda adottare, al fine di assicurare una piena ed efficace applicazione della vigente normativa e di favorire il riequilibrio delle rappresentanze di genere all'interno della giunta comunale di Lauria. (4-06053)

  Risposta. — Sul tema della parità di uomini e donne nell'accesso alle giunte comunali, la normativa vigente prevede, all'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che «gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti».
  Lo stesso testo unico dispone all'articolo 46, comma 2, che il sindaco e il presidente della provincia nominino i componenti della giunta, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Si soggiunge che la legge 7 aprile 2014, n. 56 ha previsto, al comma 137 dell'articolo 1, che nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3 mila abitanti – come il comune di Lauria – nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.
  Il Ministero dell'interno, con circolare del 24 aprile 2014 ha fornito indicazioni applicative in ordine alla disposizione richiamata, sottolineando, altresì, la necessità che il sindaco, prima di nominare la giunta, in attuazione del principio di parità di genere, svolga un'attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità di persone appartenenti ad entrambi i generi. Nella circolare viene evidenziata, inoltre, l'esigenza che nell'atto di nomina della giunta, in cui risulti assente un genere, il sindaco renda adeguata motivazione circa le ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità.
  Sulla questione il Consiglio di Stato, V sezione, nella sentenza n. 3938 del 24 luglio scorso, ha chiarito che «l'interpretazione della disposizione statutaria nel senso che occorre assicurare la presenza “di norma” di entrambi i sessi, non può che essere riferita ad un tendenziale equilibrio dei generi nella composizione della Giunta, nel senso che, di norma, la presenza in giunta di uomini e donne deve essere effettivamente equilibrata. Pertanto, il sindaco deve dare conto, per motivi obiettivi, di essere stato impossibilitato a garantire l'effettiva parità dei generi ossia la presenza di un numero di donne tendenzialmente pari a quello degli uomini nella giunta, pena la violazione della citata norma statutaria, attuativa di una garanzia costituzionale, garantita anche a livello internazionale...».
  Tanto premesso e venendo ai fatti esposti nell'interrogazione a cui si risponde, effettivamente risulta che, con decreto sindacale del 14 aprile 2014, sia stata nominata la giunta del comune di Lauria, composta da 4 uomini e soltanto una donna. Pertanto, nel mese di luglio dello scorso anno (e poi anche nel mese di ottobre) la prefettura di Potenza ha provveduto a richiamare l'attenzione del sindaco sulle disposizioni relative alla rappresentanza di genere, evidenziando – sulla base delle direttive impartite con la citata circolare del Ministero dell'interno e qualora non fosse stato possibile nominare assessori di sesso femminile al di fuori del consiglio – che di tale circostanza avrebbe dovuto darsi conto, anche in sintesi, nel decreto sindacale di nomina della giunta in una composizione diversa da quella prevista dal citato articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014.
  In risposta a tale sollecitazione, il sindaco di Lauria ha tempestivamente precisato che i componenti del consiglio comunale sono tutti di sesso maschile e che, stante la possibilità statutariamente prevista di attingere assessori al di fuori del consiglio comunale, ha profuso ogni sforzo per garantire la presenza del genere femminile nella nuova giunta, formalizzata solo pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge n. 56 del 2014. Il predetto ha evidenziato, inoltre, che la complessità del quadro politico dell'ente, derivante dall'allargamento della maggioranza consiliare, e la necessità di garantire la governabilità non hanno reso possibile ottemperare alla normativa di cui si tratta nella misura percentuale prevista dalla stessa.
  Ha manifestato, altresì, l'intento di sottoporre alle forze politiche la modifica dello statuto comunale – nella parte in cui si limita a prevedere che il comune promuova la presenza di entrambi i sessi nella Giunta, senza però fissare quote minime.
  Da ultimo (marzo 2015), il sindaco ha reso noto di aver conferito alla Ia commissione consiliare apposito mandato per l'adeguamento delle norme statutarie dell'ente alle disposizioni dell'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, in modo da dare piena attuazione al principio di pari opportunità tra i generi.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante il 10 marzo 2014 ha presentato l'interrogazione n. 4-03916 relative alle chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto;
   nei giorni scorsi si è tenuto al dipartimento di pubblica sicurezza l'incontro per la chiusura già preannunciata la scorsa primavera di circa 267 uffici di polizia e le chiusure dovranno avvenire entro i primi mesi del prossimo anno;
   secondo la segnalazione delle associazioni sindacali, per quanto riguarda le specialità della polizia di Stato e le unità speciali, le novità annunciate sono negative: il tentativo di far passare la manovra per un progetto di rimodulazione finalizzato al miglioramento dei servizi non trova alcun riscontro oggettivo se non quello di segno opposto che palesa un evidente sforbiciata nello spirito della spending review;
   va segnalata la chiusura di ben 67 uffici della polizia ferroviaria (Polfer) trasformati in «punto appoggio», cioè in uffici senza organico, ai quali il personale di scorta potrà appoggiarsi durante la permanenza in stazione in attesa di riprendere il treno per la nuova scorta;
   saranno uffici completamente chiusi, dove resterà solo l'insegna polizia e la possibilità di suonare ad un citofono al quale risponderà un operatore della centrale operativa a decine chilometri di distanza;
   in particolare per la Basilicata sono previste le chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto che sono impegnati ogni giorno a combattere la criminalità organizzata e operano il controllo del territorio in una zona di passaggio tra la Puglia e la Calabria;
   la polizia ferroviaria di Metaponto dista molti chilometri dagli altri presidi ed è impegnata quotidianamente nei controlli sui treni dei passeggeri e dello snodo ferroviario –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che impone il taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato in un momento in cui in Italia andrebbe rafforzata l'attività di controllo e prevenzione per fronteggiare le emergenze e il tasso di criminalità. (4-06961)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante nelle due interrogazioni indicate in oggetto, relative alla chiusura di alcuni uffici della Polizia postale, ferroviaria e stradale nel territorio della regione Basilicata, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa della proposta di soppressione di molti posti di polizia in tutta Italia;
   alcune indiscrezioni trapelate in questi giorni, parlano della soppressione del posto di polizia ferroviaria alla stazione di Vasto-San Salvo e non si esclude nemmeno l'eliminazione della sottosezione della polizia stradale di Vasto;
   in una nota i sindacati sottolineano come con l'eliminazione della Polfer di Vasto-San Salvo non ci sarebbe più controllo in una stazione che sulla dorsale adriatica rappresenta la seconda più grande dopo quella di Pescara, in un'area territoriale di grande rischio per la sicurezza dei cittadini. I sindacati dichiarano che i tagli del Governo centrale sono discutibili, ma le «sforbiciate» lineari no;
   nell'ambito di una qualsiasi razionalizzazione della spesa pubblica non si può prescindere dalla precisa analisi del contesto territoriale e della densità dell'attività criminale al fine di evitare i deleteri tagli lineari che, in questo caso, lascerebbero il territorio con un controllo di legalità ampiamente insufficiente –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare l'operatività del posto di polizia ferroviaria Vasto-San Salvo, importante presidio di legalità e controllo per il territorio. (4-03863)


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stata decisa in tutta Italia, nell'ambito delle politiche di riduzione della spesa pubblica, la soppressione di centinaia di posti di polizia;
   tra questi sarà chiuso l'ufficio di polizia ferroviaria alla stazione di Vasto-San Salvo; il personale verrà trasferito e l'ufficio diventerà «punto di appoggio»;
   pare che non sia la sola brutta notizia. L'ufficio della polizia autostradale di Vasto sud potrebbe essere presto accorpato con la polizia stradale di Vasto con un'ulteriore penalizzazione;
   in una nota i sindacati sottolineano come nonostante l'incremento della criminalità in questa area di confine dell'Abruzzo con il Sud Italia, e la necessità di investire per prevenire ogni forma di infiltrazione della grande criminalità, il Governo e il Ministro dell'interno vanno avanti nella direzione opposta alle reali esigenze dei cittadini: Vasto sarà penalizzata con la chiusura del presidio di polizia ferroviaria, peraltro unico in tutta la provincia di Chieti;
   nell'ambito di una qualsiasi razionalizzazione della spesa pubblica non si può prescindere dalla precisa analisi del contesto territoriale e della densità dell'attività criminale al fine di evitare i deleteri tagli lineari che, in questo caso, lascerebbero il territorio con un controllo di legalità ampiamente insufficiente –:
   se non intenda intervenire con urgenza per salvaguardare l'operatività del posto di polizia ferroviaria Vasto-San Salvo, importante presidio di legalità e controllo per il territorio. (4-06807)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante nelle due interrogazioni indicate in oggetto, entrambe relative alla chiusura dell'ufficio di Polizia ferroviaria di Vasto-San Salvo in provincia di Chieti, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nel primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  Con riferimento alla Polizia postale, oggetto specifico dell'interrogazione, va sottolineato che tale specialità ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA e RICCIATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un peschereccio italiano della Italfish di Martinsicuro (Teramo) è stato sequestrato in Gambia per presunte violazioni delle normative di pesca;
   sono in stato di arresto il capitano della imbarcazione Sandro de Simone, abruzzese di Silvi (Teramo) e il capitano di macchina Massimo Liberati, marchigiano di San Benedetto del Tronto (AP);
   i due italiani sono ovviamente in grave stato di disagio con il peschereccio sequestrato nel porto di Banjiul;
   i familiari e le comunità marittime abruzzesi e marchigiane sono giustamente preoccupate e hanno chiesto un urgente intervento delle autorità italiane e della Farnesina e dell'agricoltura e pesca in particolare  –:
   quali iniziative stia assumendo per risolvere questa grave emergenza che coinvolge due nostri connazionali in quel Paese africano. (4-08254)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 2 marzo 2015 un peschereccio italiano della Italfish di Martinsicuro (Teramo) è stato sequestrato in Gambia per presunte violazioni delle normative di pesca;
   furono arrestati il capitano dell'imbarcazione Sandro De Simone, abruzzese di Silvi (Teramo) e il capitano di macchina Massimo Liberati, marchigiano di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno);
   il rilascio è stato possibile in seguito alle garanzie finanziare da parte dell'armatore in merito all'ammenda comminata dal giudice di Banjul;
   è slittata al 22 aprile prossimo l'udienza programmata per mercoledì scorso relativa al ritorno in patria del capitano Sandro De Simone. Non si conoscono le cause che hanno portato le autorità locali e la società armatrice Italfish a fissare un nuovo incontro, si spera risolutivo della vicenda, per mercoledì 22 aprile;
   ci saranno oltre tre settimane per la negoziazione fra le parti. Tuttavia, sulla vicenda vi sono dei punti poco chiari sul presunto riscatto di cui si parla da tempo. Pare che le autorità locali avrebbero paventato «garanzie immobiliari» per sbloccare la trattativa;
   secondo i familiari il comandante è stato trattato in maniera inaccettabile e incivile;
   sono sempre attivi sul posto le diplomazie, tra cui il console del Senegal (con territorialità anche in Gambia) e altri rappresentanti diplomatici africani;
   intanto, Sandro De Simone resta a disposizione delle autorità di Banjul; durante la giornata gli è concesso di stare anche sull'imbarcazione, requisita al porto della capitale del Gambia;
   i familiari e le comunità marittime abruzzesi sono giustamente preoccupate e hanno chiesto un urgente intervento delle autorità italiane e della Farnesina e del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in particolare per accelerare il ritorno in Italia del comandante –:
   quali iniziative il Governo stia assumendo per risolvere questa grave emergenza che coinvolge un nostro corregionale costretto a rimanere in Gambia. (4-08617)

  Risposta. — Desidero innanzitutto segnalare la grande attenzione con cui sin dall'inizio la Farnesina, anche tramite l'Ambasciata a Dakar e il console onorario a Banjul, ha seguito la vicenda che ha visto coinvolti il motopeschereccio IDRA-Q e i membri del suo equipaggio. La nostra azione è stata incessante (anche se in Gambia, come noto, non abbiamo un'ambasciata) e si è fortunatamente conclusa con la scarcerazione del signor Liberati (il 9 marzo) e del signor De Simone (il 17 marzo), inizialmente condannati ad un mese di reclusione e al pagamento di una multa per presunte irregolarità nelle maglie delle reti da pesca.
  Non appena informata dell'accaduto, l'ambasciata si è immediatamente attivata prendendo contatto con Federpesca, con l'armatore di stanza a Dakar e con il rappresentante di quest'ultimo a Banjul, e consigliando un legale
in loco che potesse seguire la vicenda. Il 3 marzo il console onorario ha tenuto una riunione a Banjul con i rappresentanti locali dell'armatore e, insieme al legale individuato, si è deciso di contestare la sentenza di condanna chiedendone la revisione.
  Per quanto riguarda i passi diplomatici compiuti dalla nostra sede a Dakar, l'ambasciatore Luzzi ha tempestivamente inviato due lettere alla Ministra degli affari esteri del Gambia per auspicare un'equa e rapida soluzione del caso e per chiedere che il nostro console onorario potesse, nel più breve tempo possibile, visitare i connazionali presso il penitenziario. Tali richieste sono state ribadite con forza dal vice ambasciatore Fornara, che si è recato in missione a Banjul e ha incontrato la Ministra degli affari esteri del Gambia, chiedendole altresì di intercedere con il Ministro dell'interno affinché fossero garantite le migliori condizioni detentive possibili. Analogo passo è stato svolto anche presso il Segretario Generale del Ministero dell'interno.
  In merito alle azioni intraprese a tutela dell'incolumità dei nostri connazionali, il Vice Ambasciatore Fornara e il nostro Console onorario, a seguito dei predetti passi hanno potuto effettuare alcune visite consolari in carcere, con lo scopo primario di accertarsi delle condizioni di detenzione e di salute dei due italiani e di fornire loro ogni utile informazione. L'Ambasciatore Luzzi ha inoltre contattato le rispettive mogli per aggiornarle personalmente sulla situazione.
  Attualmente i connazionali risiedono in un albergo del Paese in attesa delle prossime scadenze processuali. A tal proposito si precisa che l'udienza prevista per il 22 aprile è stata aggiornata a data da desinarsi. La Farnesina, per il tramite dell'Ambasciata a Dakar e del Console Onorario a Banjul, continuerà a porre in essere ogni iniziativa di assistenza nei confronti dei due italiani.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù, in provincia di Como, è attualmente alloggiato in una struttura privata, sita in via Bolzano, per la quale lo Stato non è più disposto a pagare il richiesto canone di locazione;
   a causa del rifiuto dello Stato di continuare a pagare la locazione dell'immobile che ospita i vigili del fuoco di Cantù, i proprietari della struttura hanno ingiunto lo sfratto, che diventerà esecutivo nel marzo del 2015;
   in assenza di alternative, il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù sarà costretto a migrare, lasciando scoperto e privo di un presidio del soccorso tecnico sorgente il secondo comune della provincia comasca;
   risulta tuttavia essere stata reperita una struttura potenzialmente idonea, nel capannone dei carristi sito in via Caduti di Nassyriah a Cantù, che sarebbe già stata ispezionata, ma che per essere utilizzata ha bisogno di importanti interventi di ristrutturazione, del valore di diverse centinaia di migliaia di euro, che hanno già scoraggiato anche la Croce Rossa, cui era stata prospettata come possibile sede;
   il comune di Cantù non ritiene possibile finanziare i lavori di ristrutturazione con i propri fondi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione generalizzata nella premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno di provvedere al finanziamento dei lavori di ristrutturazione dell'immobile di via dei Caduti di Nassyriah, onde evitare che il distaccamento dei vigili del Fuoco di Cantù sia costretto a smobilitare, privando il secondo comune della provincia comasca del locale presidio del soccorso tecnico urgente;
   se, infine, il Governo intenda o meno esplorare insieme all'Amministrazione comunale di Cantù ed il comando provinciale dei vigili del fuoco di Como eventuali ulteriori alternative, che permettano di salvaguardare il presidio canturino del soccorso tecnico urgente. (4-04741)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù, in provincia di Como, è attualmente ospitato in un immobile in affitto, al canone annuo di 38 mila euro, che risulta ormai sotto sfratto esecutivo, con perfezionamento dell'operazione di sgombero previsto per il marzo 2015;
   il predetto distaccamento assicura il primo intervento di soccorso tecnico urgente in ben 15 comuni;
   per ospitare il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù sarebbe stato individuato un immobile alternativo, costruito nel 2008 e situato in via dei Caduti di Nassiriya, che tuttavia necessiterebbe di interventi di adeguamento impiantistico-strutturale di importo non inferiore ad 1,4 milioni di euro;
   il comune di Cantù non ha replicato alla richiesta di finanziare l'oneroso intervento di ristrutturazione;
   se non si troverà una soluzione, il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù sarà costretto a chiudere –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la funzionalità del distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù dopo la scadenza di marzo 2015, specialmente nel caso in cui le autorità comunali locali si confermassero indisponibili a sostenere i costi per la ristrutturazione dell'immobile individuato come alternativa a quello dal quale il presidio canturino del soccorso tecnico urgente sarà sfrattato. (4-06996)

  Risposta. — La sede del distaccamento provinciale dei vigili del fuoco di Cantù è attualmente ubicata in un immobile di proprietà privata sito in via Bolzano, per il quale il tribunale di Como ha dichiarato la risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo e il conseguente rilascio.
  Pertanto l'Amministrazione è da tempo impegnata nella ricerca di possibili soluzioni allocative per il distaccamento.
  Allo scopo è stata svolta apposita indagine nel territorio del comune di Cantù, che, tuttavia, non ha portato a reperire un immobile demaniale idoneo ad ospitare la futura sede del distaccamento.
  L'immobile sito in via dei caduti di Nassiriya cui fa riferimento l'interrogante non è risultato appropriato a causa degli elevati costi di adeguamento che dovrebbero essere sostenuti per renderlo funzionale.
  Al momento si stanno valutando in ambito locale ulteriori opportunità che vedono costantemente impegnate la prefettura, il comando provinciale dei vigili del fuoco di Como e l'amministrazione comunale di Cantù nell'individuazione di un'area idonea, sotto il profilo logistico e finanziario, su cui poter insediare il futuro distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù.
  Nelle more, il distaccamento continua ad essere ubicato nell'immobile di via Bolzano, il cui rilascio è stato rinviato.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MURER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica, in data 3 marzo 2014, il Ministero dell'interno starebbe preparando una serie di tagli a vari presidi di polizia sul territorio nazionale;
   in particolare si andrebbe verso la chiusura di 11 commissariati territoriali; verso la soppressione di due compartimenti e di 27 presidi della polizia stradale e verso la cancellazione di 73 sezioni di polizia ferroviaria;
   andrebbero, inoltre, verso la chiusura anche due zone e 10 presidi di polizia di frontiera, con la contestuale soppressione di 50 squadre nautiche e 4 sezioni di sommozzatori, proprio in un momento in cui tanto la polizia di frontiera quanto le unità nautiche si rendono indispensabili in ragione dei forti flussi migratori, soprattutto nell'area del Mediterraneo;
   infine verrebbero chiuse ben 73 sezioni provinciali della polizia postale; quest'ultimo taglio, ancor più degli altri, non può non destare forte preoccupazione; sono, infatti, in aumento i reati telematici ed elettronici, il cosiddetto cybercrime, con tutti i suoi elementi correlati, come il bullismo on line, oltre alla piaga della pedopornografia, del traffico telematico di materiali pedofili;
   attraverso la rete, poi, si strutturano numerosi episodi di stalking che, anche on line, esercitano violenze e molestie che sono considerate tra le più insidiose;
   la legge n. 38 del 2009, nella fattispecie, ha introdotto in Italia il reato di «stalking» definendo in maniera chiara quali comportamenti persecutori siano da considerarsi reato e possano essere quindi oggetto di denuncia; la progressiva diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione ha contribuito negli ultimi anni a modificare i luoghi e le modalità attraverso le quali un persecutore riesce ad ingenerare uno stato permanente di terrore nella vittima; i social network per esempio, le caselle di posta elettronica sono i luoghi virtuali dove più spesso si cerca visibilità per danneggiare qualcuno, oppure il telefono cellulare, che è il mezzo di comunicazione attraverso il quale spesso si struttura la persecuzione;
   indebolire tali strategici presidi di polizia rappresenta, a parere dell'interrogante, un errore dal momento che, invece, per altro verso si assume la legalità, e in modo particolare la lotta alla criminalità telematica, nelle sue varie articolazioni, a partire dalla pedopornografia e dallo stalking, come priorità –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare che si abbassi la guardia nella battaglia contro il crimine, che si diffonda nel cittadino un senso di minore protezione, che si indebolisca, con questi tagli, la lotta, in particolare, ad alcuni reati come la pedopornografia e lo stalking. (4-04002)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla chiusura di una serie di uffici di polizia con particolare riferimento a quelli della polizia postale, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  In relazione alla Polizia postale, alla quale l'interrogante fa espresso riferimento nell'interrogazione, va sottolineato che tale specialità ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI e DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2014, il vice capo vicario della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, con una delegazione composta anche dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali prefetto Truzzi, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza;
   il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia;
   in particolare il piano porterebbe alla chiusura di 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 Uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   secondo quanto denunciato dai sindacati di categoria, «non si rinviene un solo criterio, una sola garanzia o anche una sola parola con riferimento alle tante specifiche professionalità acquisite nel tempo e alle migliaia di uomini e donne che dovrebbero essere ricollocati e che si celano dietro la freddezza di quei numeri»;
   tra i vari reparti interessati, quello sottoposto a maggior rischio è la polizia postale: secondo lo schema, si passerà dagli attuali 101 presidi ai 28 previsti, col taglio di ben 73 sezioni provinciali sulle attuali 80;
   operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing, stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
   il 10 giugno 2014, in occasione della relazione annuale del Garante per la privacy, il presidente dell’authority Antonello Soro ha affermato che quella della criminalità cibernetica «è un'emorragia stimata in 500 miliardi di dollari l'anno tra identità violate, segreti aziendali, portali messi fuori uso e moneta virtuale sottratta»;
   la cifra di cui parla Soro emerge anche da uno studio del Center for strategic and International Studies (Csis) secondo cui le perdite dovute al cybercrimine oscillano, più precisamente, tra i 375 e i 575 miliardi di euro annui. A riguardo l'Italia è il Paese dove i costi di recupero per un'impresa che ha subito un attacco hacker i più elevati in assoluto: nel giro di un solo anno in Italia le perdite dovute ad attacchi hacker sono state di 875 milioni di dollari, ma i costi di «pulizia» sono stati di 8 miliardi e mezzo di dollari;
   secondo quanto denunciato ancora dai sindacati, si vorrebbero far passare due concetti, completamente infondati: secondo il primo i reati di cui si occupa la polizia postale, a livello giudiziario, sono di competenza delle procure distrettuali che semplicemente delegano le sezioni del loro territorio. Questo non risulta vero, dato che i reati per i quali si delega la polizia postale non sono solo quelli di competenza delle procure distrettuali ma tutti i reati che avvengono tramite l'utilizzo di qualsiasi sistema di comunicazione moderno;
   ancora, si dice che il personale attualmente impiegato nelle sezioni da chiudere, verrà poi «assorbito» dalle questure, in nuovi uffici/sezioni, dove avrà modo di continuare a svolgere lo stesso servizio. Anche quest'assunto, però, è duramente contestato da sindacati e agenti: il personale delle sezioni, assorbito nelle questure, perderebbe la sua specializzazione e, in caso di necessità, sarebbe comunque impiegato in servizi di non competenza, cioè distolti dalla loro attività principale, cosa che significherebbe perdita di efficacia della loro attività specifica;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere dell'interrogante, il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente i diritti previsti dalla Costituzione;
   l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
   il premio Nobel per l'economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
   «il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-05147 del 20 luglio 2011 – è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè essa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
   le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
   tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
   il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo è anche la sovranità monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume La banca, la moneta e l'usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
   secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socioeconomica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
   anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
   Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento Cinque Stelle e di Sinistra, Ecologia e Libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, dovrà essere versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto qui detto sulla sovranità monetaria, sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi significato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali decisivi sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
   oltre a quanto appena opinato, a parere dell'interrogante la riassunta spending review prevista per il comparto sicurezza, che tra l'altro penalizzerebbe in profondità la Polizia postale, nuocerebbe alle figure professionali interessate e ai cittadini, non più tutelati dalla presenza capillare delle forze di polizia sul territorio –:
   se intenda riesaminare il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio», soprattutto in merito ai tagli di cui è oggetto la polizia postale, al fine di non compromettere i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia. (4-05204)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura di una serie di uffici della Polizia di Stato con particolare riferimento a quelli della polizia postale, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  In relazione alla polizia postale, alla quale l'interrogante fa espresso riferimento nell'interrogazione, va sottolineato che tale specialità ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il signor C. M. è abilitato alla «funzione di coordinamento delle professioni sanitarie della prevenzione», acquisita con un master di primo livello in management e con la laurea in «Tecniche della Prevenzione negli ambienti e nei luoghi di lavoro» presso l'Università «Magna Grecia» di Catanzaro;
   dopo un regolare concorso interno all'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, il signor C. M., risultato vincitore, transitava dalla categoria «D» a quella «DS», propria dei coordinatori tecnici;
   con decorrenza dal primo febbraio 2008, dunque, il signor C. M. passava dalla qualifica di «Tecnico della prevenzione» a quella di «Collaboratore sanitario esperto»;
   nonostante la selezione superata, gli anni di anzianità e i requisiti posseduti, il direttore dell'unità operativa igiene e salute pubblica del dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria 7 di Catanzaro, dottor G. D. V., procedeva il 16 maggio 2007 a nominare «Referente del dirigente con compiti di coordinamento» il signor G. M., in sostituzione del signor E. C., sebbene questi non disponesse dei necessari requisiti (master di primo livello in management);
   stando alla memoria difensiva depositata presso la Procura di Catanzaro dallo stesso C. M. l'11 giugno 2011, si appurava che anche il signor E. C. non disponeva dei requisiti per ricoprire tale incarico di coordinamento, tanto che «a seguito della disamina della Direzione gestione risorse economiche e finanziarie dell'Asl numero 7, la proposta (della nomina a Coordinatore di E. C., avanzata dallo stesso G. D. V., nda) veniva rigettata e si ribadiva che, a norma dei regolamenti vigenti, il Direttore del Dipartimento di Prevenzione e il Direttore dell'UOISP di Catanzaro, non avevano alcun titolo a proporre simili richieste e che gli unici organi competenti erano la Direzione unità operativa gestione risorse umane ed il Direttore Aziendale». Nonostante ciò, E. C. veniva ugualmente autorizzato a svolgere le mansioni sopradescritte;
   alle domande avanzate dal signor C. M. circa la nomina prima di E. C. e poi di G. M. nonostante l'assenza di titoli richiesti, il dottor G. D. V. non ha mai dato risposte, garantendo ai due vantaggi patrimoniali e professionali;
   a quanto sopra descritto, si aggiungono una serie di episodi di presunto mobbing di cui il signor C. M. sostiene di essere stato vittima. Su tutti si ricorda, secondo quanto raccontato ancora nella memoria difensiva, che G. D. V. per sovvertire il parere tecnico formulato da C. M. e da un suo collega circa le condizioni anti igieniche di un'abitazione accertata a seguito di un sopralluogo effettuato, disponeva un nuovo controllo che effettuava lui stesso, «ciò al fine di smontare i rilievi da noi effettuati e dimostrare che la suddetta abitazione non era nelle condizioni di antigienicità da noi attestata», tanto che, nonostante G. D. V. avesse ribaltato il parere tecnico di C. M., l'affittuario chiamò in giudizio il proprietario di quell'abitazione davanti al giudice civile del tribunale di Catanzaro per il risarcimento dei danni subiti per l'eccessiva umidità, che si concludeva in prima e seconda istanza con la condanna del proprietario al risarcimento dei danni;
   ancora, in data 2 marzo 2009 veniva disposto il trasferimento d'ufficio di C. M. da Catanzaro al distretto dell'Asl di Soverato, senza tener conto dei titoli da lui posseduti circa l'anzianità di servizio e i gravi motivi di salute, dallo stesso C. M. ampiamente documentati (invalidità civile nella misura nel 68 per cento) perché portatore di protesi bilaterale di anca);
   avverso tale trasferimento di servizio, C. M. propose reclamo ex articolo 700 del codice di procedura civile al giudice del lavoro presso il tribunale di Catanzaro che, il 15 maggio 2009, condannò l'Asp numero 7 di Catanzaro;
   in virtù di tali vicende, il signor C. M. si rivolse – soffermandosi in particolare sulla nomina del signor G. M. – direttamente al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, che sollecitò i vertici della regione Calabria e quelli dell'Asp di Catanzaro ad attuare una adeguata indagine sull'intera vicenda, per valutare e provvedere nel merito degli atti perpetrati dal dirigente G. D. V.;
   alle richieste del dipartimento, però, l'Asp di Catanzaro non ha mai risposto, tanto che il dipartimento della funzione pubblica ha inviato, in totale, otto note di richiesta (DFP 0033361 P-1.2.5.1 del 24 luglio 2009; DFP 0038895 P-1.2.5.1 del 16 settembre 2009; DFP 0050129 P-1.2.5.1 del 26 novembre 2009: DFP 0020874 P-1.2.5.1 del 30 aprile 2010; DPF 0033573 P-1.2.5.1 del 15 luglio 2010; DPF 0036839 P-4.17.1.16.2 del 14 settembre 2012; DFP 0010515 P-4.17.1.16.2 del 4 marzo 2013; DFP 0035488 P-4.17.1.16.2 del 26 luglio 2013);
   tuttavia, l'ultima nota del suddetto dipartimento risale al luglio del 2013, dopo di che non risultano, a fronte delle mancate risposte dell'Asp di Catanzaro, determinazioni del dipartimento della funzione pubblica, che iniziò a scrivere nel luglio del 2009;
   di fatto sono trascorsi quasi sei anni, senza che il predetto dipartimento abbia assunto provvedimenti di competenza nei confronti della reticente Asp di Catanzaro;
   sulla questione, peraltro, è intervenuta anche la Commissione Parlamentare d'Inchiesta del Senato sull'efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale della precedente legislatura;
   il senatore Ignazio Marino, in qualità di Presidente della Commissione, ha infatti inoltrato al dottor Gerardo Mancuso, commissario al tempo dell'ASP di Catanzaro, precise richieste in merito ai fatti denunciati, in particolare in data 15 luglio 2010, 5 febbraio 2011, 20 ottobre 2011;
   anche a tali quesiti non è mai stata data risposta;
   anche il direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, dottor Francesco Bevere, ha inviato due note di segnalazione delle vicende – denunciate da C. M. – al dottor Bruno Zito, direttore generale del Dipartimento della tutela della salute della regione Calabria, e all'allora commissario ad acta per il Piano di Rientro Giuseppe Scopelliti. Nella prima (3 dicembre 2013) si chiedeva di «fornire riscontro alla scrivente direzione»;
   alla prima richiesta ministeriale, però, non arrivava alcuna risposta, tanto che il dottor Bevere il 16 aprile c.a. inviava una seconda nota nella quale si sottolineava che «non è ancora pervenuta la valutazione richiesta», per cui «si sollecita un urgente riscontro». Che tuttavia, a quanto risulta all'interrogante, ancora non arriva;
   in questa sede preme ricordare anche che il 30 agosto 2010 il dirigente generale della regione Calabria Francesco Zoccali scriveva invano al dottor Bruno Zito chiedendo «la revoca degli atti contestati ed il rispetto delle previsioni di legge nell'emanazione dei successivi indefettibili adempimenti»;
   invano è stata anche la lettera del 24 settembre 2010 inviata dalla dottoressa Sabina Scardo, dirigente del dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie della regione Calabria, direttamente al signor C. M., nella quale si informava lo stesso che era stato «richiesto all'Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro procedere all'annullamento in autotutela [...] dei provvedimenti con i quali sono stati conferiti, in violazione di disposizioni contrattuali, incarichi di ”referente” nei rapporti tra la direzione dell'UOISP e personale tecnico» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali misure, nell'ambito delle rispettive competenze, ritengano di attivare, a riguardo e se il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione intenda chiedere conto delle mancate risposte relative alla questione segnalata in premessa e assumere ulteriori iniziative al riguardo. (4-07722)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi di competenza del Dipartimento della funzione pubblica-ispettorato per la funzione pubblica.
  Le vicende delineate nell'interrogazione sono state poste all'attenzione dell'ispettorato del Dipartimento della funzione pubblica nel giugno del 2009, con esposto con il quale l'interessato, allegando copiosa documentazione, ha denunciato un «comportamento vessatorio ed incredibilmente arbitrario perpetrato... dal Direttore dell'U.O., nei confronti di due lavoratori...», uno dei quali è l'esponente.
  Al riguardo, con intervento del 24 luglio 2009, l'ispettorato ha richiesto chiarimenti al Direttore sanitario della Azienda sanitaria provinciale-Asp di Catanzaro, relativamente ai seguenti profili:
   1) individuazione da parte del direttore dell'U.O. di un «referente» per il coordinamento, in persona priva del titolo posseduto dal segnalante, che il Ccnl definisce necessario per incarichi di coordinamento;
   2) provvedimento disciplinare avviato dallo stesso direttore dell'U.O. nei confronti anche del segnalante, per responsabilità che non sembrano ascrivibili al medesimo;
   3) decisione del Giudice del lavoro, con condanna della Asp al pagamento delle spese di lite, in merito a ordine di servizio/rotazione del personale disposto dal direttore dell'U.O., avente ad oggetto il segnalante.

  A seguito del riscontro pervenuto il 9 settembre 2009 a firma del direttore dell'U.O., il quale con motivazioni che destavano perplessità ha giustificato il proprio operato, l'ispettorato ha nuovamente interessato, sui medesimi profili, con nota del 16 settembre 2009, i Direttori generale e sanitario della medesima Asp.
  Quest'ultimo, con nota del 12 ottobre 2009, condividendo le considerazioni svolte dal direttore dell'U.O., ha evidenziato come il medesimo avesse «interpretato il proprio ruolo datoriale secondo fonte primaria e canoni codicistici di sostanziale legalità», escludendo profili vessatori e «responsabilità sussidiaria di natura contabile», pur in presenza di diverso avviso del Giudice.
  Ritenendo che le verifiche non avessero colto quanto disposto dai vigenti contratti collettivi, con nota del 26 novembre 2009, l'ispettorato ha interessato il dirigente del Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie della regione Calabria.
  Con nota del 23 giugno 2010, il Dipartimento della regione ha confermato l'operato dei dirigenti dell'Asp; pertanto l'ispettorato ha inviato gli atti alla Procura regionale della Corte dei conti e, per conoscenza, al Dirigente generale della regione.
  Nel mese di settembre 2010, il Dipartimento tutela della salute, peraltro, ritenendo che non fossero stati chiariti «i profili di irregolarità emersi con riferimento alle modalità dell'affidamento delle funzioni di coordinamento del personale dell'Uoisp», in quanto le argomentazioni svolte dalla Asp a sostegno del proprio operato «non appaiono idonee a superare le criticità emerse», ha invitato il commissario straordinario dell'azienda medesima, «alla luce di quanto rilevato dal Dipartimento della funzione pubblica», a «provvedere all'annullamento in autotutela, ..., dei provvedimenti con i quali sono stati conferiti incarichi di “referente”».
  Il commissario, con nota del 17 febbraio 2011, indirizzata al Presidente della Giunta regionale, ha confermato ancora una volta la posizione dell'Asp, nella considerazione che l'incarico assegnato costituisse una «modalità relazionale, quindi non un istituto contrattuale, non previsto dal vigente Ccnl di categoria – come sostenuto dalla funzione pubblica», non procedendo pertanto all'autoannullamento.
  Con nuovo esposto nel marzo 2012, l'interessato ha informato l'ispettorato che il pubblico ministero del Tribunale di Catanzaro aveva chiesto la condanna del direttore dell'U.O. «alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per i reati di falso e abuso d'ufficio»: pertanto, con nota del 6 luglio 2012 è stato chiesto alla Asp di Catanzaro di indicare se, sotto il profilo amministrativo, fossero stati adottati procedimenti disciplinari.
  Con successiva segnalazione, pervenuta il 6 settembre 2012, l'interessato, nel lamentare la nomina a Presidente dell'ufficio procedimenti disciplinari, in pendenza di procedimento penale, del direttore dell'U.O., nonché la mancata attivazione, da parte della Direzione generale dell'Asp, sia dell'attività di indagine interna sia dell'adozione di «legittimi e conseguenziali provvedimenti», ha ribadito di continuare ad essere discriminato anche «presso la struttura presso cui ingiustamente» era stato trasferito: il trasferimento è stato impugnato dall'interessato.
  Con nuovo intervento del 14 settembre 2012, l'ispettorato ha chiesto ulteriori chiarimenti all'Asp e al Dipartimento della salute regionale, circa la citata nomina a Presidente dell'ufficio provvedimenti disciplinari.
  Con lettera del 19 ottobre 2012, l'azienda ha comunicato che non aveva attivato, in attesa della conclusione del procedimento penale, alcuna iniziativa disciplinare nei confronti del dirigente, che con ordinanze del 2010 il Tribunale di Catanzaro aveva respinto il ricorso del segnalante sul trasferimento e che il direttore dell'U.O. aveva rinunciato all'incarico di Presidente perché già troppo impegnato.
  Con nota del 1o febbraio 2013, pervenuta all'ispettorato tramite la Presidenza della Repubblica, il segnalante, nel far presente che il Giudice del lavoro, in data 30 novembre 2012, ne avesse disposto «il reintegro ... presso l'Uoisp», ma che l'azienda non avesse ancora provveduto a dare esecuzione alla sentenza, ha stigmatizzato come la medesima fosse anche risultata soccombente in tutti i procedimenti attivati dall'esponente stesso.
  Con intervento del 4 marzo 2013, indirizzato al Dipartimento della salute e al Segretario generale e ai Revisori dei conti della regione, l'ispettorato, nel riassumere i fatti e rilevato come detto Dipartimento fosse inadempiente, ha sottolineato l'opportunità di verificare la fondatezza dei provvedimenti assunti a carico dell'esponente, ponendo ad attenzione dell'Organo di controllo l'aspetto relativo agli oneri che nei giudizi vengono addebitati all'azienda, parte soccombente.
  Il 14 giugno 2013 l'interessato, nel lamentare il perdurare della situazione discriminatoria, ha riferito di aver dimostrato «per ben tre volte presso il Tribunale del Lavoro, inaudite violazioni ed atti illegittimi» posti in essere dall'Asp, e di aver appellato alla procura di Catanzaro l'assoluzione «con formula dubitativa» del direttore dell'U.O.
  L'esponente ha chiesto anche l'accesso agli atti a cui, con nota del 26 luglio 2013, l'ispettorato ha puntualmente aderito, precisando pure di non avere poteri sanzionatori diretti, ma quelli di individuare e richiamare il responsabile amministrativo all'osservanza delle norme nei casi di irregolarità segnalate, nonché di vigilare sul corretto esercizio dei poteri disciplinari; alcun margine di intervento, invece, è consentito nel merito delle decisioni assunte in ambito giurisdizionale.
  In conclusione, non trova riscontro l'affermazione che l'Asp non ha mai risposto alle richieste del dipartimento, per quanto non abbia adottato provvedimenti conseguenziali; rispetto ai profili di possibile danno erariale, l'ispettorato ha responsabilizzato l'organo di revisione, mentre, in relazione alle pronunce giurisdizionali, come chiarito al segnalante, non vi sono possibilità di intervenire per il principio della separazione dei poteri.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dagli organi di stampa, nel progetto di rimodulazione, delle specialità e delle unità speciali della, polizia di Stato, formulato dalla direzione centrale per gli affari generali della polizia di Stato del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, sarebbe prevista la razionalizzazione degli uffici e presidi della polizia di Stato;
   la riorganizzazione della polizia ferroviaria prevederebbe, per i posti di polizia ferroviaria di Locri, Gioia Tauro, Cosenza il declassamento a semplici «punti d'appoggio ad organico zero, a disposizione del personale degli uffici limitrofi in servizio di scorta a bordo treno o ivi inviato per attività di controllo e vigilanza saltuaria dello scalo»;
   il «punto d'appoggio», come risulterebbe dal progetto di rimodulazione su citato, comporterebbe di fatto il venir meno della presenza costante degli agenti di polizia di Stato negli scali ferroviari;
   la riorganizzazione della polizia ferroviaria prevederebbe, per la sezione di polizia ferroviaria di Villa San Giovanni, il declassamento a «posto di polizia ferroviaria»;
   i tagli paventati ricadrebbero su una regione la cui densità criminale si attesta, da ultime rilevazioni, al 27 per cento;
   l'infrastruttura ferroviaria in Calabria si estende per circa 852 chilometri di linee e ben 133 stazioni;
   gli attuali presidi presenti sul territorio e le relative dotazioni organiche sarebbero insufficienti per assicurare gli standard minimi di tutela dei passeggeri –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda attivare per evitare la soppressione ed il declassamento dei posti e sezioni della polizia ferroviaria, in un'area ad alta densità criminale, in cui i presidi dello Stato andrebbero rafforzati al fine di garantire la sicurezza dei cittadini e l'affermazione della legalità. (4-07330)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla rimodulazione di alcuni presidi della Polizia di Stato con particolare riferimento a quelli della Polizia ferroviaria di Locri Gioia Tauro e Cosenza, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi ancora non definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa il com-missario del comune di Venezia sta ufficializzando ed inviando alla regione un parere negativo in merito al referendum di separazione in due comuni distinti Venezia e Mestre;
   nel parere richiesto dalla regione il commissario del comune di Venezia, sempre stando alle informazioni riportate dai giornali, motiverebbe il suo diniego alla consultazione referendaria in quanto in contraddizione con le disposizioni sancite dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni);
   l'articolo 5, comma 3, della legge regionale Veneto 25 del 1992 attribuisce al consiglio comunale solo un parere di meritevolezza, demandando alla prima commissione regionale ogni valutazione sulla legittimità dell'iter seguito. Sull'esistenza dei requisiti formali, peraltro, la prima commissione si è già espressa in senso favorevole. È evidente, inoltre, che la proposizione del comma 3 abbia come soggetto esclusivamente la competente commissione consiliare, che deve sia «acquisire il parere dei consigli comunali e provinciali», sia «svolgere ogni altro atto istruttorio, in base al quale formulare una relazione al Consiglio». In ogni caso, appare evidente che la città metropolitana non è incompatibile con l'autonomia dei due comuni;
   è la stessa Costituzione ex articolo 133, comma 2 che sancisce il diritto per le regioni, sentite le popolazioni interessate, di modificare le circoscrizioni e denominazioni dei comuni nel proprio territorio;
   è la regione, nel rispetto del principio costituzionale sancito ex articolo 133, comma 2, chiamata ad esprimersi sull'ammissibilità della richiesta avanzata dai comitati referendari;
   il commissario straordinario, nominato a seguito dello scioglimento del consiglio comunale, non essendo supportato, nelle proprie decisioni, da un mandato elettivo, ossia, non essendo stato scelto con l'espressione del voto democratico da parte dei cittadini, in particolar modo quando è chiamato ad assumere le competenze proprie dell'organo collegiale (consiglio comunale), dovrebbe, al di là di quelle che sono le sue reali competenze funzioni e facoltà, evitare di esprimere pareri non legittimati in modo chiaro e trasparente dalla normativa vigente e quindi soggetti ad una interpretazione eccessivamente discrezionale –:
   di quali elementi il Ministro disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, considerato lo stato di commissariamento del comune di Venezia, per garantire il prosieguo dell’iter democratico per la consultazione referendaria sulla separazione dei comuni di Venezia e Mestre. (4-06222)

  Risposta. — In data 25 luglio 2014, è pervenuta all'amministrazione comunale di Venezia, da parte della Prima Commissione consiliare della regione Veneto, una richiesta di parere in ordine alla proposta di legge PDL 448 di iniziativa popolare: «Suddivisione del comune di Venezia nei due comuni autonomi di Venezia e Mestre», ai sensi del comma 3 dell'articolo 5 della legge regionale 24 dicembre 1992, n. 25, recante «Norme in materia di variazioni provinciali e comunali».
  Tale disposizione prevede che, quando il progetto di legge, finalizzato a modificare la circoscrizione comunale, non è conforme al programma regionale, il provvedimento del consiglio, che delibera il referendum consultivo delle popolazioni interessate e il relativo quesito, è adottato a seguito di un preliminare giudizio di meritevolezza.
  In questo caso, «la competente commissione consiliare deve acquisire il parere dei consigli comunali e provinciali interessati e svolgere ogni altro atto istruttorio, in base al quale formulare una relazione al consiglio, affinché questo possa decidere circa l'esistenza dei requisiti formali e delle ragioni civiche e di opportunità storica, culturale, sociale, economica e di funzionalità istituzionale e di razionalizzazione dei servizi che sono a fondamento della variazione proposta, motivando specificatamente le ragioni di urgenza o di merito che giustifichino la difformità dalle indicazioni del programma».
  Ne consegue che il parere dei consigli comunali e provinciali interessati non è limitato alla meritevolezza, ma deve essere formulato in maniera tale da permettere alla competente commissione di inoltrare una relazione al Consiglio regionale, affinché questo possa decidere circa l'esistenza dei requisiti formali e delle ragioni civiche o di opportunità.
  In seguito alla richiesta del suddetto parere, il commissario straordinario del comune, nell'esercizio delle attribuzioni spettanti al consiglio comunale, ha adottato la delibera n. 83 del 13 ottobre 2014. Nella stessa si legge: «Pur sussistendo in capo al commissario straordinario la competenza ad assumere atti attinenti la gestione dell'ente, con i poteri della Giunta ed anche del consiglio, il contenuto del parere in oggetto richiede valutazioni di natura politica ed economica, di opportunità storica, culturale e sociale, e scelte di struttura democratica e di organizzazione amministrativa destinate a durare a lungo nel tempo; in quanto tali richiedono per loro natura di essere affidate ad organi politicamente responsabili nei confronti della comunità di riferimento».
  Pertanto, il commissario non ha formulato il parere «di merito» sulla divisione del comune di Venezia in due comuni autonomi, ritenendo che sull'importante questione, da cui scaturirebbero effetti duraturi, dovesse esprimersi un organo elettivo, espressione della volontà dei cittadini.
  Peraltro, lo stesso aveva già trasmesso il 2 ottobre scorso la proposta di deliberazione alle Municipalità, organismi elettivi tuttora in funzione, ai fini di acquisire il loro parere in merito. Delle sei municipalità interpellate quelle di Favaro Veneto, Marghera e Chirignago Zelarino hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’
iter volto a dividere il comune di Venezia in due comuni autonomi. Lido Pellestrina si è, invece, espressa favorevolmente; Mestre Carpenedo e Venezia Murano Burano, pur con sfumature diverse, non hanno espresso il richiesto parere, ritenendo di non aver avuto tempo sufficiente per esaminare le varie questioni poste dal quesito referendario e quindi per ponderare adeguatamente le possibili conseguenze.
  Pur ritenendo di non pronunciarsi in ordine alle ragioni di opportunità, il Commissario ha, tuttavia, formulato una considerazione sulla legittimità dell'ipotesi di variazione della circoscrizione comunale.
  Egli ha, infatti, ritenuto che il seguito del procedimento, atto a scindere il comune di Venezia in due comuni autonomi, fosse in contrasto con l'applicazione della legge n. 56 del 2014, istitutiva delle città metropolitane – tra le quali è compresa anche Venezia –, la quale prevede un'apposita procedura per l'articolazione del capoluogo in più comuni.
  Questo Ministero ha condiviso tale orientamento, confermando la necessità che l'eventuale istituzione di nuovi comuni o la modifica delle loro circoscrizioni sia collocata nel quadro normativo attualmente in vigore e ritenendo di rimettere ogni valutazione sul nuovo assetto dell'ente agli organi elettivi della città metropolitana di Venezia. Ciò alla luce del fatto che, come evidenziato anche dall'organo commissariale, tra il deposito del progetto di legge per l'istituzione dei comuni di Venezia e Mestre (marzo 2014) e la dichiarazione di ammissibilità della proposta di legge popolare, formulata dal consiglio regionale (8 luglio 2014) – è entrata in vigore la legge n. 56 del 2014, innovando in modo sostanziale l'assetto istituzionale degli enti locali italiani.
  Da ultimo si comunica che la prima commissione consiliare della regione Veneto, nella seduta dell'11 dicembre 2014, ha esaminato il progetto di legge in oggetto ed ha espresso parere favorevole a maggioranza, in ordine al giudizio di meritevolezza da assumersi ai sensi dell'articolo 5 della legge regionale 24 dicembre 1992, n. 25.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembrerebbe che il Ministero dell'interno sia intenzionato a chiudere tre centri di polizia operativi nella città di Crotone, vale a dire i locali uffici di polizia ferroviaria, della polizia postale e della squadra nautica;
   con la soppressione della polizia ferroviaria di Crotone non ci sarebbe più alcun controllo da parte delle forze dell'ordine nella stazione e nell'intero scalo ferroviario, determinando il venire meno della sicurezza dei passeggeri;
   la polizia postale e delle telecomunicazioni è l'unico ufficio di sicurezza nell'intera provincia che opera nel contrasto dei reati commessi attraverso l'utilizzo della rete informatica e telefonica, dei quali si verifica un costante ed inquietante incremento, garantendo risultati straordinari;
   lo stesso dicasi per la squadra nautica, un ufficio di importanza nevralgica per il contrasto all'immigrazione clandestina in un territorio come quello crotonese, sulle cui coste in tutti i periodi dell'anno sbarcano centinaia di extracomunitari giunti in Italia in maniera irregolare;
   Crotone rappresenta una realtà cittadina alquanto complessa e non appare opportuno privarla dei citati presidi di polizia, attivamente impegnati nel contrasto alle diverse forme di criminalità –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e, se del caso, se non ritenga di rivedere le relative decisioni sulla base di una approfondita valutazione dei singoli casi tenendo conto delle realtà ed esigenze locali, mantenendo i presidi necessari a garantire la sicurezza dei cittadini. (4-04023)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante con le interrogazioni in esame relative alla chiusura di alcuni uffici di polizia in provincia di Crotone e del Compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 ottobre 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri si è recato a Ferrara per partecipare ad un dibattito nell'ambito del Festival di Internazionale e visitare il cantiere di una scuola dell'infanzia danneggiata dal terremoto del maggio 2012;
   in occasione della visita, alcuni simpatizzanti e militanti del partito Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale hanno chiesto e ottenuto l'autorizzazione a fare un sit-in nella piazza vicina a quella nella quale si stava svolgendo il dibattito con il premier;
   lo stesso venerdì, tuttavia, i giovani che si sono recati al sit-in hanno dovuto prendere atto del fatto che le forze dell'ordine avevano riservato loro uno spazio recintato su tutti i lati da transenne di circa 16 metri quadrati, all'esterno del quel era loro proibito stare;
   a fronte di tale trattamento di un gruppo di giovani che volevano semplicemente manifestare il proprio pensiero nel rispetto delle norme di legge, e avevano perciò chiesto una regolare autorizzazione, salta agli occhi che, invece, nella stessa piazza dove si trovava il Presidente del Consiglio stazionava un nutrito gruppo di contestatori che lo hanno insultato e hanno anche lanciato delle uova marce, nonostante la presenza delle forze dell'ordine –:
   quali straordinarie esigenze di sicurezza possano essere state a fondamento della decisione di costringere addirittura all'interno di un recinto un gruppo di manifestanti che volevano soltanto esprimere liberamente e pacificamente il proprio pensiero. (4-06419)

  Risposta.Lo scorso autunno, a Ferrara si è svolta dal 3 ai 5 ottobre una manifestazione culturale denominata «Festival Internazionale a Ferrara» – organizzata dalla rivista «Internazionale», dall'Università degli studi di Ferrara e dall'osservatorio sulle crisi d'impresa. L'incontro, al quale hanno preso parte autorevoli nomi della stampa, della cultura e della scienza, ha registrato la presenza di un pubblico assai nutrito.
  Il primo giorno della manifestazione, verso le sette del pomeriggio, è intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri che, in quel contesto, ha rilasciato ad alcuni giornalisti stranieri un'intervista di circa un'ora e mezza sul tema «Visti dagli altri».
  Nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei ministri e i giornalisti stranieri intervistatori hanno preso posto sul palco, circa trenta persone, tra le duemila presenti, hanno espresso il proprio dissenso verso la politica del Governo con slogan e cartelli di protesta; contestualmente, sono state lanciate tre uova in direzione del palco.
  Il personale della questura è immediatamente intervenuto per contenere il gruppo, mentre l'autore del lancio di uova è stato fermato e deferito all'Autorità giudiziaria. L'intervista al Presidente del Consiglio dei ministri si è poi svolta regolarmente, concludendosi alle ore 19.35.
  La citata manifestazione ha avuto un forte richiamo mediatico, con notevoli ripercussioni di matrice politica che hanno dato luogo, nell'area del centro storico, a diverse iniziative di protesta, tutte segnalate con il dovuto anticipo alla Questura locale.
  In concomitanza con l'incontro che ha coinvolto il Presidente del Consiglio dei ministri, si sono tenute, tutte nell'area del centro storico, altre iniziative debitamente preavvisate alla questura. Si fa riferimento a un presidio del «coordinamento Ferrara per la Palestina» in Corso Garibaldi, un volantinaggio del Comitato «Stop OR.ME» (di protesta contro la costruzione dell'autostrada Orte-Mestre) e un sit-in sul sagrato del duomo organizzato dal movimento politico Fratelli d'Italia – nelle vicinanze della piazza Municipale, dove era atteso l'arrivo del Presidente del Consiglio dei ministri – sui temi della ricostruzione post-terremoto, dell'immigrazione e dei due Marò.
  Il sit-in di Fratelli d'Italia, secondo il preavviso dato dal coordinatore comunale del movimento, avrebbe dovuto tenersi sul sagrato del duomo cittadino a poche decine di metri dall'accesso a piazza Municipale, dove era prevista l'iniziativa con il Presidente del Consiglio dei ministri, e prevedeva l'eventuale utilizzo di un megafono, oltre a un volantinaggio e striscioni.
  Anche in considerazione dell'apertura del duomo ai fedeli per le funzioni vespertine, la questura aveva reputato opportuno spostare il luogo della protesta in piazza Cattedrale, angolo piazza Trento e Trieste. La decisione è stata presa in seguito a contatti tra personale della Polizia di Stato e gli organizzatori del presidio.
  Lo spazio destinato al presidio in questione è stato opportunamente delimitato dal comune di Ferrara, su richiesta della questura, con transenne disposte sui tre lati della piazza, sopra le quali i manifestanti, una ventina in tutto, hanno collocato i propri striscioni.
  Nell'ambito delle consuete modalità di gestione del servizio, improntate a un'opportuna flessibilità operativa, si è ritenuto opportuno non intervenire quando alcuni dimostranti – come dimostrano anche i video della polizia scientifica – si sono spostati all'esterno della zona transennata muniti di bandiere e megafono, soffermandosi nell'area immediatamente antistante.
  Peraltro, nel corso dell'iniziativa, iniziata alle 16.45 circa e terminata intorno alle ore 19.30, il funzionario di polizia responsabile del servizio di ordine pubblico è rimasto costantemente in contatto con il promotore del presidio, dal quale non ha ricevuto osservazioni, rimostranze o richieste di alcun genere. Solo verso le 18.20, uno dei partecipanti al presidio, il coordinatore regionale di Fratelli d'Italia, ha espresso al funzionario delle perplessità sulla collocazione dei manifestanti e sulle transenne.
  Questi i fatti.
  In relazione ad essi, si osserva che la delimitazione dello spazio destinato allo svolgimento del presidio del movimento Fratelli d'Italia – Alleanza Nazionale non ha avuto alcun carattere di straordinarietà, ma è avvenuta in un'ottica e con modalità da tempo largamente applicate in questa come in altre sedi, soprattutto in occasione di iniziative concomitanti e/o programmate in luoghi ravvicinati, al fine di favorire l'ordinato esercizio del presidio e il sereno stazionamento dei partecipanti, oltre che di evitare interferenze da parte di terzi estranei o forme di contenimento mediante frapposizione, con impiego a contatto, di elementi della forza pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembrerebbe che il Governo stia formalizzando il provvedimento per la soppressione del compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata;
   la soppressione del compartimento rientra nel piano di riorganizzazione dei presidi di polizia elaborato dal dipartimento della pubblica sicurezza in applicazione della spending review, e dovrebbe comportare il passaggio del territorio di competenza della polizia stradale della Basilicata nella giurisdizione del compartimento polizia stradale della Campania, con sede a Napoli;
   l'accorpamento del compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata a quello campano si configura come un grave danno nei confronti della stessa regione, spogliata di un presidio indispensabile per il controllo del territorio, per la sicurezza dei cittadini e per il contrasto alle organizzazioni criminali;
   inoltre, la recente proclamazione di Matera Capitale europea della cultura 2019, rende ancora più indispensabile il controllo della rete viaria regionale, in considerazione del previsto aumento dei flussi turistici;
   l'attuale organizzazione della polizia stradale della Basilicata non grava in alcun modo sulla spesa pubblica in quanto ubicata in edifici demaniali;
   anche i sindacati di polizia hanno espresso forti preoccupazioni per i danni all'operatività derivanti dalla soppressione di uffici che si sono spesso rivelati decisivi per garantire la sicurezza sulle strade e dei trasporti –:
   quali siano stati i criteri seguiti nella stesura del piano di riorganizzazione dei presidi di polizia, e se non ritenga opportuno riconsiderare la soppressione del compartimento di polizia stradale della Basilicata. (4-06912)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante con le interrogazioni in esame relative alla chiusura di alcuni uffici di polizia in provincia di Crotone e del Compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la geotermia è una fonte di energia a basse emissioni con importanti margini di crescita nell'ambito delle fonti rinnovabili. L'Italia è tra i Paesi più avanzati nel settore per ricerca tecnologica: innovazione in continua evoluzione per favorire lo sfruttamento delle risorse geotermiche e una maggiore tutela dell'ambiente, in particolare di suoli, delle falde acquifere e della fragilità sismotettonica delle aree interessate. Sviluppo tecnologico che oggi riguarda sempre maggiormente anche le pompe di calore geotermiche a bassa entalpia, anche grazie a piccoli impianti ad uso domestico o non strettamente industriale;
   in Italia la geotermia ha infatti una lunga storia. La nostra penisola ha un elevato gradiente geotermico che ha permesso lo sfruttamento del calore naturale terrestre in diversi luoghi del Paese. La presenza di sorgenti naturali ad acqua calda è stata ed è ancora oggi sfruttata dall'uomo in diverse province ed altre aree sono potenzialmente sfruttabili in maggior misura rispetto al loro attuale utilizzo;
   la Toscana, con l'area di Larderello (Pisa), è la regione dove è avvenuta la più antica utilizzazione al mondo dell'energia geotermica che ha sfruttato le sorgenti naturali almeno dal tempo degli Etruschi. Sempre nella medesima area è avvenuta la prima trasformazione di energia geotermica in energia elettrica, trasformazione che avviene tuttora, per quanto la sua produzione copre una frazione della richiesta energetica nazionale. L'energia geotermica, un tempo sfruttata da sorgenti naturali di acqua calda e vapore (110-150° C), i cosiddetti «lagoni», ora è sfruttata tramite il vapore captato con pozzi perforati fino alle rocce calcaree triassiche sottostanti e ignee del sottosuolo Altre aree geotermali si trovano nei Colli Euganei, in Veneto, vicino Padova, nell'area di Grado in Friuli dove sono stati perforati pozzi per riscaldamento di edifici, a Casaglia nel ferrarese dove nel sottosuolo si sviluppa un sistema di falde chiamato dorsale ferrarese, nei campi Flegrei e nell'isola d'Ischia nell'area napoletana, ad Alcamo e Sciacca nella Sicilia occidentale, nelle isole Eolie e nell'isola di Pantelleria;
   nell'ultimo quinquennio vi poi è stato grande incremento del numero di impianti geotermici a bassa entalpia, ovvero di pompe di calore geotermiche, che sfruttano lo scambio termico con il sottosuolo superficiale per mezzo di una pompa di calore. Il suolo rappresenta per la pompa di calore una «sorgente» (quando essa lavora in riscaldamento) o un «pozzo» (in modalità rinfrescamento) di calore. Rispetto all'aria atmosferica, che è la sorgente adoperata ad esempio dalle pompe di calore aerotermiche, la temperatura del suolo ad una certa profondità subisce variazioni annuali molto più contenute: a profondità di 5-10 metri la temperatura del suolo è pressoché costante tutto l'anno ed è equivalente all'incirca alla temperatura media annuale dell'aria, ovvero circa 10-16° C. Ciò significa che il suolo, rispetto all'aria, è più caldo d'inverno e più fresco d'estate, a vantaggio del rendimento della pompa di calore;
   in Europa è stata la Svezia che ha maggiormente utilizzato le pompe di calore geotermiche con 3,8 GW th installati (con l'utilizzo di 36.000 Tga di energia geotermica), seguita dall'Islanda con 1,8 GW th (24.500 TJ/a) e alla Turchia con 1,4 GW th (24.000 TJ/a). Nel 2012 è stata la Germania ad aver installato 264.800 pompe di calore geotermiche seguita dalla Svezia con 243.058 e dall'Australia con 113.633, che hanno consentito risparmi di ktpe (chilotonnellate di petrolio equivalente) pari a 442, 344 e 114 e rispettivamente. L'Italia, Paese a vocazione geotermica, ne ha installato soltanto 10.300 con un risparmio complessivo di 61 ktpe;
   l'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 stabiliva poi che: «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici, e sono individuati i casi in cui si applica la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6»;
   il suddetto provvedimento legislativo ad oggi non è stato ancora emanato e favorirebbe l'efficienza ed il risparmio energetico, oltreché lo sviluppo e il riordino normativo degli impianti geotermici a bassa entalpia, ovvero di impianti di climatizzazione degli edifici che sfruttano lo scambio termico con il sottosuolo superficiale per mezzo di una pompa di calore –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del notevole ritardo nell'emanazione del sopracitato decreto e se non intendano attivarsi quanto prima affinché la predetta disciplina venga emanata con i più alti standard tecnologici esistenti per favorire l'efficienza energetica e al tempo stesso la salvaguardia dell'ambiente.
(4-07694)

  Risposta.Al fine di realizzare gli obiettivi prefissati dal Governo in materia energetica, quali la sicurezza degli approvvigionamenti e il contenimento dei costi energetici, si è reso necessario Io sviluppo dell'utilizzo delle risorse geotermiche, in quanto risorse produttive di energia, ricavabili da riserve di calore sotterraneo, rinnovabili a pieno titolo e di cui il territorio italiano è particolarmente ricco.
  Nell'ambito del quadro normativo nazionale le risorse geotermiche sono state assimilate a risorse minerarie e quindi considerateci pubblico interesse, da esercitare in regime concessorio, in base al regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere del Regno).
  Nel 2010 è stato emanato il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 (Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell'articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009 n. 99), che rappresenta il principale riferimento della normativa attualmente in vigore in materia di risorse geotermiche, con il quale sono state, in particolare, semplificate le regole per ottenere le autorizzazioni necessarie all'attuazione di progetti di valorizzazione delle risorse geotermiche a fini energetici.
  Le recenti modifiche apportate a tale decreto con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 di attuazione della Direttiva 2009/28/CE, hanno stabilito, tra l'altro, che al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe per ciascuna centrale.
  In tal modo la fonte di energia geotermica potrà essere utilizzata maggiormente, non solo per la produzione di elettricità ma anche come fonte diretta di calore. Si prevede infatti che, con gli strumenti legislativi posti in essere, la geotermia, che attualmente rappresenta il 10 per cento dell'energia risultante da fonti rinnovabili italiane, possa raddoppiare breve tempo, consentendo di raggiungere più facilmente l'obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonti pulite.
  In merito alla specifica richiesta dell'interrogante, relativa all'adozione da parte del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, del decreto che stabilisce le prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici, ex articolo 7, comma 4 del citato decreto legislativo n. 28 del 2011, si specifica che il Ministero dello sviluppo economico ha già provveduto ad effettuare una ricognizione delle norme tecniche adottate sulla base delle best practices in materia, ed è stata predisposta la bozza del decreto in argomento che dovrà poi seguire i vari passaggi istituzionali ai fini della relativa emanazione.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   SALTAMARTINI, MOLTENI e RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri – IFO costituiscono l'ente di diritto pubblico che ha il compito di gestire due realtà di rilievo per il territorio romano e per quello nazionale: l'Istituto nazionale tumori Regina Elena e l'Istituto Dermatologico San Gallicano, riconosciuti sin dal 1939, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), e sono il primo Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di Roma;
   all'IFO fanno riferimento, in qualità di polo di eccellenza medica, oltre ai cittadini romani anche i cittadini laziali e delle regioni limitrofe;
   la regione Lazio, nell'ottica di spending review ha disposto la fusione con l'istituto Spallanzani, sancendo di fatto la definitiva eliminazione della clinica di ricerca dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena e dell'Istituto dermatologico San Gallicano;
   a tal proposito rimane forte la preoccupazione sia dei cittadini che dei medici, per la soppressione di strutture altamente competitive e necessarie ad un istituto che ambisce a rimanere un istituto nazionale tumori;
   la proposta di riorganizzazione degli istituti Regina Elena e San Gallicano rischia di screditare il carattere scientifico di eccellenza ed alta specialità dell'istituto oncologico e di quello dermatologico, soprattutto se rapportato a quanto si verifica negli altri IRCCS italiani in particolare nel settore dei tumori. Al commissario ed all'intero vertice aziendale viene mosso il rilievo di non aver per nulla compreso le esigenze degli ammalati e dei lavoratori. Risulta azzardata la decisione di azzerare la ricerca sperimentale e traslazionale;
   appare incomprensibile il progetto di accorpamento dove in gli altri IRCCS viene invece stimolata e implementata l'attività specifica di ricerca ed unicità assistenziale perché fondamentale per garantire il progresso nelle terapie e assistere al meglio il paziente nella pratica clinica;
   privo di prospettiva è l'idea di declassare l'oncoematologia che assicura assistenza e cure di qualità a molte centinaia di pazienti ogni anno affetti da linfomi, mielomi e leucemie, di depotenziare la medicina nucleare che è attualmente la prima a Roma e nel Lazio per numero e qualità delle prestazioni;
   è stata inoltre strutturalmente mortificata la psiconcologia che ha finora aiutato migliaia di pazienti a superare i gravissimi problemi familiari, sociali, relazionali e lavorativi provocati dalla grave malattia oncologica;
   il piano proposto dal commissario non tiene conto per nulla dell'incredibile evoluzione clinico-scientifica nella lotta al cancro registrati negli ultimi 15 anni e non prevede la nascita di nuove strutture, quali ad esempio quella di sviluppo dei nuovi farmaci, quella di terapie palliative, dei tumori ereditari e della riabilitazione oncologica che corrispondono a precise nuove esigenze degli ammalati e sono ormai indispensabili in ogni istituto di oncologia di eccellenza;
   la ristrutturazione proposta risulta essere poco vantaggiosa in termini di risparmio infatti vengono mantenute in essere in un ospedale con solo 280 posti letto ben 3 direzioni sanitarie e numerose strutture amministrative e di staff al vertice aziendale;
   è stato messo in evidenza che a fronte di una quasi paralisi delle attività gestionali per mancanza di assunzione di responsabilità da parte del vertice aziendale, vi sia stata anche la decisione di qualche mese fa del commissario e dei vertici dell'Istituto di aumentarsi gli stipendi, con un esborso per l'ente di oltre un milione di euro;
   il rischio è di perdere in qualità rincorrendo scelte sbagliate, come quelle di accorpamento allo Spallanzani;
   l'adeguamento dei compensi di circa il 20 per cento in un momento di grave crisi economica e di continui tagli, è stato percepito come un ulteriore, insopportabile atteggiamento di poca sensibilità –:
   se non ritenga opportuno verificare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, se il processo di riorganizzazione descritto in premessa, oltre a comportare un aumento degli oneri stipendiali in favore delle attuali dirigenze dei tre istituti, a giudizio dell'interrogante, irragionevole in quanto adottato prima del processo di ristrutturazione e non alla sua conclusione a fronte di maggiori responsabilità, non rischi di produrre anche una riduzione dei livelli essenziali di assistenza e più in generale dalla qualità dei servizi prestati dalle tre eccellenze della sanità laziale. (4-08805)

  Risposta.Con riferimento all'interrogazione in esame si fa presente, in via preliminare, che in data 25 luglio 2014 la struttura commissariale della regione Lazio ha trasmesso il Ddca 247/2014 di adozione dei Programmi operativi (Po) 2013-2015, nell'ambito dei quali è previsto l’«Accorpamento fra I.R.C.C.S. “LAZZARO SPALLANZANI” e I.R.C.C.S. IRE-ISG. Per i due Istituti viene prevista un'unica Direzione Generale, Sanitaria ed Amministrativa, mantenendo separate le Direzioni scientifiche ai fini del mantenimento della specificità degli stessi».
  In merito, i tavoli di verifica ministeriali, relativamente alla proposta di P.o. 2013-2015, nella riunione del 15 aprile 2014 si erano riservati «di esprimersi successivamente, sui provvedimenti di attuazione di quanto previsto».
  La struttura commissariale, quindi, in attuazione di quanto previsto dal P.o. 2013-2015, ha trasmesso il Dca 259 del 6 agosto 2014, relativo alle linee guida per l'adozione degli atti aziendali delle aziende sanitarie, che ha disposto, tra l'altro, la redazione di un atto aziendale unico per i succitati istituti di ricovero a carattere scientifico.
  Successivamente, invece, con il Dca 454 del 23 dicembre 2014, in merito al quale i Ministeri affiancanti nel relativo parere hanno preso atto, ha stabilito per gli stessi la redazione di due distinte proposte di piano strategico e di atto aziendale.
  Nel merito del previsto accorpamento si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo occorre tenere presente che gli istituti fisioterapici ospedalieri sono stati costituiti a seguito di accorpamento, disposto con regio decreto 4 agosto 1932, n. 1296, dell'istituto Regina Elena e dell'istituto Santa Maria e San Gallicano.
  Tali istituti si configuravano, in epoca previgente al decreto legislativo 288 del 2003, quali istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in due differenti discipline, ossia, rispettivamente, oncologia e dermatologia. Gli istituti predetti sono stati poi confermati, nella loro rispettiva (previgente) qualità di Irccs (si ribadisce, in due differenti discipline), in data successiva all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 288 del 2003 (cfr. Decreto ministero della Salute del 29 marzo 2006).
  Peraltro, alla data delle relazioni delle valutazioni in site-visits degli Irccs da parte della Commissione ricerca del Ministero della salute, propedeutica alla successiva conferma del carattere scientifico, avvenuta come detto con il richiamato decreto ministeriale del 2006, gli istituti Regina Elena e S. Gallicano, costituenti gli Ifo, già condividevano l'organo apicale, mantenendo però separate le rispettive Direzioni scientifiche.
  Il decreto legislativo 288 del 2003, dell'articolo 13, comma 1, prevede che «L'istituzione di nuovi Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico deve essere coerente e compatibile con la programmazione sanitaria della Regione interessata; essa è subordinata al riconoscimento di cui al comma 3 ed avviene con riferimento a un'unica specializzazione disciplinare coerente con gli obiettivi della programmazione scientifica nazionale di cui all'articolo 12-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni ed ai soli presidi nei quali la stessa attività è svolta. I policlinici possono essere riconosciuti con riferimento a non più di due discipline, purché tra loro complementari e integrate».
  La norma sopra trascritta non dovrebbe trovare applicazione nel caso, non specificamente disciplinato dal predetto decreto legislativo n. 288 del 2003, in cui la regione Lazio intendesse procedere ad un ulteriore accorpamento funzionale (come a suo tempo già avvenuto fra gli istituti Regina Elena e l'istituto Santa Maria e San Gallicano, per costituire gli Ifo), fra gli Ifo e lo Spallanzani, i quali, singolarmente considerati, manterrebbero, ove confermati, le loro rispettive specificità.
  Il previsto accorpamento non dovrebbe quindi comportare l'istituzione di un nuovo, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 288 del 2003, Irccs.
  In altri termini, laddove l'orazione prevista dalla amministrazione regionale non porti alla costituzione di «nuovi» Irccs, bensì alla gestione unificata delle attività dei singoli istituti, già riconosciuti tali e così riconfermati, ai sensi della normativa di settore sopra richiamata, si tratterebbe di una soluzione organizzativa non espressamente disciplinata dalla specifica vigente normativa, ma con essa non parrebbe confliggente.
  È opportuno segnalare, infatti, che l'eventuale accorpamento in via programmatica previsto dalla Regione Lazio non andrebbe ad aumentare il computo totale degli Irccs e delle specifiche discipline, riconosciuti in ambito regionale, bensì costituirebbe, anche in virtù della attuale situazione economico-finanziaria in cui i medesimi versano, un'azione di governo del sistema volta alla razionalizzazione ed al potenziamento dell'efficienza di tali strutture.
  Tale azione pare, sotto altro profilo, coerente con le persistenti e pressanti esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica, in attuazione di precisi vincoli imposti alla regione Lazio dalla disciplina speciale dettata sul rientro dai disavanzi sanitari.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SARRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel Comune di Castelvolturno (Caserta), ormai da diversi anni, trovano stabile dimora circa quindicimila immigrati clandestini, provenienti prevalentemente da Paesi africani;
   la presenza così massiccia di extracomunitari irregolari in quella realtà territoriale ha determinato fortissimi disagi alle popolazioni locali ed alle amministrazioni comunali che hanno dovuto fronteggiare, con risorse limitate e con mezzi contenuti, una così complessa situazione;
   ciononostante, i cittadini di Castelvolturno hanno costantemente mostrato un elevato spirito di accoglienza verso questi svantaggiati, favorendone l'inclusione sociale;
   di recente, tuttavia, si è determinato un clima di forte tensione tra i cittadini di Castelvolturno e le comunità di immigrati irregolari ivi insediate, dal quale sono derivati gli episodi di violenza ampiamente riportati dalle cronache di questi ultimi giorni;
   in tale contesto, gli stessi cittadini extracomunitari sono costretti a vivere in una condizione di assoluto degrado, nella quale hanno trovato facile presa pratiche illecite volte allo sfruttamento del loro lavoro;
   inoltre, la presenza di un numero così elevato di immigrati clandestini, in quanto tali impossibilitati ad accedere al mercato del lavoro regolare, ha favorito la costituzione di vere e proprie organizzazioni criminali, dedite principalmente allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di droga, in un contesto territoriale già caratterizzato, purtroppo, dalla presenza di consorterie malavitose autoctone;
   i rapporti già tesi tra comunità locale e stranieri, rischiano di aggravarsi ulteriormente per l'arrivo a Castelvolturno di un elevato numero di rifugiati politici, che vanno ad aggiungersi ai circa quindicimila immigrati irregolari già presenti in quella città –:
   quali iniziative si intendano porre in essere per garantire il ripristino di ordinarie condizioni di sicurezza nel comune di Castelvolturno, anche per impedire che in futuro abbiano a ripetersi episodi gravissimi come quelli accaduti in queste ultime ore;
   quali iniziative si intendano assumere al fine di garantire agevolazioni, anche inerenti al patto di stabilità, alle amministrazioni locali, ed in specie al comune di Castelvolturno, per sostenere l'erogazione di servizi adeguati all'effettivo bacino di utenza e per promuovere serie e durature azioni di integrazione degli immigrati regolari. (4-05569)

  Risposta.La situazione di degrado e di conflittualità sociale che caratterizza il territorio compreso tra i comuni di Mondragone e Castel Volturno è da tempo alla massima attenzione di questa amministrazione, ben prima degli episodi di violenza verificatisi il 13 e 14 luglio 2014 a Pescopagano dopo il ferimento di due cittadini ivoriani.
  Nei giorni immediatamente successivi a quel fatti, il Ministro dell'interno ha presieduto una riunione con i vertici nazionali delle Forze di polizia e con i sindaci di Castel Volturno e Mondragone, nel corso della quale è stato disposto l'invio in loco di adeguati rinforzi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, tratti dai rispettivi reparti mobili.
  Ulteriori misure sono state disposte in occasione della riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduta sempre dal Ministro dell'interno il 1o agosto 2014 a Caserta. Nell'occasione, oltre a prorogare la missione del contingente aggiuntivo delle forze di polizia nella zona, è stato dato avvio al «Nuovo Modello Caserta», non più basato soltanto sullo svolgimento di attività di diretto contrasto alla criminalità organizzata, ma rivolto a promuovere una più ampia accezione di legalità a supporto dello sviluppo economico e civile del territorio, instaurando a tal fine una stretta sinergia con tutti i livelli di governo interessati e valorizzando la collaborazione e la responsabilità delle parti sociali.
  L'area casertana richiede una vera e propria rigenerazione territoriale, da conseguire approntando specifici interventi di sostegno alle collettività locali, perciò la risposta dello Stato non può limitarsi esclusivamente al piano della sicurezza, ma deve essere indirizzata anche alla promozione dello sviluppo sociale e al sostegno degli enti locali.
  È stato quindi disposto nel casertano il finanziamento di un blocco di progetti per l'infanzia, per un totale di oltre 4 milioni di euro; l'investimento si tradurrà in 642 posti per asili nido o servizi integrativi come spazi-bimbo o ludoteche. Inoltre, un'apposita task force guidata dal prefetto di Caserta ha il compito di redigere i progetti del comuni della provincia per l'accesso ai fondi europei della programmazione 2014-2020. Tra gli obiettivi individuati c’è quello di portare fino a 30 milioni l'impegno dei fondi per il Programma operativo nazionale legalità e di realizzare, per lo sviluppo del litorale domizio, opere pubbliche come il porto turistico di Castel Volturno e il recupero della sua pineta comunale.
  Tali iniziative sono attualmente in via di attuazione, in collaborazione con i sindaci dei comuni interessati, con le Autorità di gestione del piano operativo nazionale Sicurezza, con la regione Campania e con i Ministeri competenti per i singoli interventi. A ciò va aggiunta la promozione di ulteriori progetti relativi ai programmi per il periodo 2014-2020 del nuovo Fondo asilo, migrazione e integrazione (A.M.I.F.), nonché l'intesa avviata con le procure di Santa Maria Capua Vetere e Napoli nord per l'adozione di misure tese a rafforzare la prevenzione e il contrasto del lavoro nero, dell'immigrazione irregolare, della violenza di genere e contro i minori, e a potenziare la sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Circa poi la possibilità di garantire alle amministrazioni locali (in specie al comune di Castel Volturno) agevolazioni inerenti al patto di stabilità interno per sostenere l'erogazione di servizi adeguati all'effettivo bacino di utenza e per promuovere serie e durature azioni di integrazione degli immigrati regolari, il Ministero dell'economia e delle finanze ha comunicato che – per quanto di competenza e ferme restando le opportune valutazioni politiche – tale richiesta può essere assentita purché siano rinvenute adeguate risorse finanziarie a compensazione degli effetti peggiorativi che la stessa determina sui saldi di finanza pubblica.
  Per quanto riguarda invece i timori espressi dall'interrogante circa future, consistenti immissioni di immigrati nel territorio di Castel Volturno si precisa che, all'indomani dei fatti del 13 luglio 2014, è stata sospesa – d'intesa con il Ministero dell'interno – qualsiasi ulteriore assegnazione a Castel Volturno e a Mondragone.
  Questi comuni, come molti altri nel nostro Paese, erano stati Interessati all'accoglienza degli immigrati nell'ambito delle attività rientranti nell'operazione Mare nostrum. Si ricorda, al riguardo, che sul territorio di Castel Volturno sono presenti 2 centri di accoglienza, La Quiete (gestito dalla cooperativa «Un'ala di Riserva», che in quel periodo contava 65 presenze) e Fernandez (gestito dalla cooperativa «Città Irene», che dal 9 luglio del 2014 non ha più ospiti), mentre su quello di Mondragone si trova la struttura Laila (con 22 presenze). Attualmente, il centro La Quiete alloggia 61 migranti, mentre quello di Mondragone ne ospita 18. I relativi contratti, non rinnovabili, sono in atto prorogati fino al 30 aprile 2015.
  In seguito, la decisione di sospendere le assegnazioni di cittadini extracomunitari richiedenti asilo è stata di volta in volta rinnovata dal Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, che ha sempre espresso l'avviso di escludere dalle procedure di accoglienza i comuni di Castel Volturno e Mondragone poiché già sottoposti a un'abnorme presenza di cittadini extracomunitari. Sempre per tale motivo, sono stati esclusi anche dalle procedure di gara di accoglienza e la stessa linea di condotta è stata seguita nel bando diramato per il rinnovo dei contratti in essere e per la gestione del flussi di migranti per l'anno 2015.
  Detti flussi continuano quindi a interessare la provincia di Caserta, così come tutto il territorio nazionale, ma con caratteristiche del tutto peculiari, sulla base di riparti effettuati dal Ministero dell'interno su base regionale, e successivamente provinciale, nel rispetto di criteri di uniformità e salvaguardando le specifiche criticità dei comuni di Castel Volturno e di Mondragone.
  Si assicura, infine, che le Forze dell'ordine continueranno a presidiare i territori in questione attraverso un'intensa attività di prevenzione e mirate strategie di intervento. Le criticità di quei luoghi e la situazione della sicurezza pubblica sono costantemente all'esame delle varie riunioni tecniche che si tengono presso la questura di Caserta, nel corso delle quali, per arginare i fenomeni di criminalità, a partire dal mese di febbraio del corrente anno, sono stati predisposti ulteriori mirati servizi di prevenzione e repressione dei reati. È stato inoltre varato un programma di controlli straordinari che ha comportato, tra l'altro, una verifica capillare anche delle attività ricettive. Il piano, realizzato congiuntamente all'Arma dei carabinieri, ha incontrato il crescente favore dei cittadini e delle istituzioni locali, che ne hanno pubblicamente dato atto apprezzandone l'efficacia.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il reparto a cavallo della polizia di Stato che ha sede nell'antico edificio degli Acquaviva di Carmignano situato nel bosco di Capodimonte, a Napoli, fu operativo dal 1961 fino al 1974, quando venne soppresso per motivi logistici e poi riaperto nel 1987 allo scopo di prevenire e reprimere i reati e vigilare sulle opere monumentali;
   tale reparto si è rivelato una fondamentale garanzia di sicurezza nel parco, prevenendo e contrastando negli anni numerosi reati, anche particolarmente gravi ed esecrabili;
   il binomio uomo-cavallo costituisce un perfetto strumento per le operazioni di perlustrazione di quei luoghi meno facilmente accessibili della selva in questione come i sentieri scoscesi, gli anfratti, le cupe, le grotte e tutti gli altri elementi tipici della naturale conformazione di un bosco;
   è noto quanto aree verdi di tal fatta siano appetibili ad una vasta platea di delinquenti che vede, nella vastità e nella particolare composizione della selva, il luogo ideale per attività criminose;
   finora è stata proprio la presenza del reparto a cavallo che ha evitato tale proliferare di microcriminalità;
   in conseguenza dei tagli governativi, il reparto in questione verrà chiuso e costretto a traslocare a Roma;
   i residenti della zona stanno protestando vivacemente, ed hanno anche avviato una raccolta firme per scongiurare la chiusura del nucleo stanziato presso bosco;
   non si comprende la necessità di tale decisione da parte del Governo e l'utilità che da questa scelta deriverebbe, anche considerato l'esiguo impegno economico che il mantenimento del reparto in questione comporta a confronto di somme ben più impegnative concesse a inutili istituzioni per l'atavico raggiungimento di non meglio precisati obiettivi;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, in un articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Mattino» del 19 novembre 2014 dal titolo «Napoli. Addio alla polizia a cavallo, rabbia a Capodimonte: “Sicurezza a rischio”» –:
   quali siano i motivi alla base della decisione di trasferire il reparto a cavallo della polizia di Stato stanziato presso il bosco di Capodimonte, chiudendo tale presidio;
   se non si ritenga opportuno sospendere l'operatività della scelta in questione e di rivederla alla luce dell'importanza che il reparto a cavallo della polizia di Stato ha per il mantenimento del rispetto della legalità sul territorio. (4-07128)

  Risposta.La questione segnalata dall'interrogante relativa alla chiusura della squadra di polizia a cavallo di Napoli, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza dei corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazioni, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È dei tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario, tra i quali – come detto – le squadre a cavallo.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2014 sul sito ufficiale del Teatro Stabile di Napoli – Mercadante è stato pubblicato un avviso di selezione per l'assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale nelle aree di produzione, amministrazione, comunicazione, promozione e tecnica, per un numero complessivo di 15 nuove unità;
   tali assunzioni erano finalizzate all'ottenimento dei requisiti e delle condizioni richiesti dal Ministero per poter far richiesta del riconoscimento di Teatro nazionale;
   tale obiettivo era esplicitamente esposto nel bando di selezione e nelle relazioni pubblicate sul sito ufficiale del Teatro Stabile di Napoli – Mercadante;
   gli interessati dovevano inviare la loro candidatura entro e non oltre le ore 12,00 del 27 dicembre 2014 (solo undici giorni dopo), esclusivamente per posta elettronica ad un indirizzo email indicato nell'avviso di selezione;
   sono state circa 1.400 le domande di partecipazione ai vari profili;
   la prima selezione è stata affidata alla società Adecco, che ha operato sulla base di una tecnica automatica di valutazione dei curricula per giungere ad una lista estremamente più ristretta di 75 candidati suddivisi tra i vari profili ricercati;
   i 75 candidati selezionati sono stati convocati tra il 12 e il 15 gennaio 2015 per i colloqui finali, da cui sono usciti i 15 vincitori, di fronte a una commissione esaminatrice composta da membri interni al Teatro Mercadante e componenti esterni;
   nella commissione vi era anche il direttore del Mercadante, Luca De Fusco, alla guida anche del Napoli Teatro Festival;
   vi sono numerosi profili di ambiguità e mancata trasparenza, nelle modalità in cui si è provveduto a selezionare queste 15 figure professionali;
   innanzitutto la comunicazione ai 75 facenti domanda che avrebbero dovuto sostenere il colloquio è stata fatta solo a mezzo email (non posta certificata, peraltro), col rischio concreto che qualcuno di loro potesse non venire a conoscenza dell'avvenuto passaggio della prima selezione, rischio puntualmente concretizzatasi;
   anche chi aveva inserito nella domanda recapiti telefonici, sia di telefonia fissa che di telefonia mobile, è stato contattato solo via email, senza alcuna certezza sull'avvenuta lettura dei messaggi di convocazione;
   l'elenco dei 75 è stato pubblicato sul sito ufficiale del Mercadante solo il 13 gennaio, e ciò implica il fatto che tutti i convocati per il 12 gennaio non potevano scoprire nemmeno tramite il sito l'eventuale passaggio della prima preselezione;
   coloro i quali non avevano avuto modo di conoscere la convocazione sono stati contattati telefonicamente solo dopo il termine della sessione di colloqui in cui erano stati convocati, quando quindi era divenuto ormai impossibile porre rimedio alla cosa;
   è stato presentato, a riguardo, un esposto alla procura della Repubblica di Napoli da parte di una dei 75 selezionati;
   9 dei 15 assunti a tempo indeterminato fanno capo, in qualche modo, a Campania dei Festival, la Fondazione della regione che organizza il Napoli Teatro Festival, come denunciato dagli esclusi che, stando alle notizie di stampa, stanno preparando una class action contro questi bandi;
   4 dei vincitori del concorso sono passati dal Festival, mentre altri 6 erano già impegnati al Mercadante, pur senza essere stabilizzati;
   la relazione conclusiva della commissione e la sintesi della preselezione affidata all'Adecco, visibile nella selezione «Avvisi e bandi» del sito dal 26 gennaio, non chiariscono, a giudizio dell'interrogante, tutte le incongruenze emerse;
   tali incongruenze sono state contestate inoltre anche dal sindacato dei giornalisti della Campania –:
   se non si ritenga di dover rifiutare il riconoscimento di Teatro Nazionale al Teatro Stabile di Napoli – Mercadante fino a quando non verranno chiarite le questioni sopra esposte e sanate eventuali irregolarità. (4-07906)

  Risposta.Si riscontra l'interrogazione con la quale l'interrogante chiede se il Ministro interrogato voglia assumere iniziative finalizzate a rifiutare il riconoscimento di Teatro nazionale al Teatro stabile di Napoli – Mercadante, sino a quando non saranno chiariti alcuni profili di ambiguità e mancata trasparenza delle procedure di selezione per l'assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale, per un numero complessivo di quindici unità.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  Successivamente alla presentazione dell'interrogazione, con nota del 17 gennaio 2015 il sindacato giornalisti Campania ha chiesto agli enti fondatori dell'associazione in oggetto, al Ministro e alla competente direzione generale «Spettacolo», con urgenza, chiarimenti sulle nuove assunzioni di personale presso la citata associazione, con contestuale richiesta di intervento al fine di bloccare ogni formalizzazione contrattuale.
  Al riguardo, occorre precisare che l'organismo in oggetto è un'associazione con personalità giuridica di diritto privato, anche se costituita da enti pubblici, riconosciuta fino all'anno 2014 da questo Ministero quale Teatro stabile ad iniziativa pubblica. Va quindi sottolineato che questa amministrazione non è titolare di alcun potere di vigilanza nei confronti dell'associazione in questione, come per tutti i teatri stabili, ma è titolata ad esercitare nei confronti degli organismi privati sovvenzionati solo una ordinaria attività di controllo, finalizzata alla corretta utilizzazione dei contributi pubblici.
  Nella fattispecie in esame, a seguito delle perplessità manifestate dal sindacato nella nota sopracitata, la direzione generale «Spettacolo» ha provveduto a richiedere all'associazione in parola chiarimenti in merito alla procedura selettiva per l'assunzione di personale, adottata dall'ente in prossimità dell'invio da parte della stesso della domanda di contributo per il triennio 2015-2017, ai sensi dell'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014.
  Il presidente e il direttore dell'associazione, rispondendo alla richiesta dell'amministrazione, hanno illustrato le fasi della procedura adottata ed affermato che l'intera procedura si è svolta in maniera corretta e trasparente.
  La direzione generale, «Spettacolo» ha comunque provveduto ad informare della questione la commissione consultiva per il Teatro nella riunione del 24 febbraio 2015, in cui quest'ultima ha esaminato i progetti artistici presentati dagli organismi, ai sensi dell'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Teatri nazionali), fra i quali il progetto dell'associazione Teatro stabile di Napoli. Esaminato tale progetto, la Commissione ha espresso parere favorevole all'inserimento della predetta associazione tra i Teatri Nazionali manifestando, tuttavia, preoccupazione per le vicende relative al reclutamento del personale e auspicando «la loro chiarificazione e stabilizzazione in una gestione adeguata alle nuove funzioni e ambizioni». Infine, con riferimento allo specifico quesito dell'interrogante, è opportuno precisare che, riguardo al predetto parere, l'amministrazione è sostanzialmente tenuta a conformarvisi, senza margini di valutazione discrezionale.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   SIBILIA, TOFALO, CARIELLO, MANLIO DI STEFANO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno con decreto ministeriale 24 novembre 2011 bandiva un concorso per 2.800 allievi agenti, riservato ai volontari in ferma prefissata congedati senza demerito;
   nella graduatoria approvata con decreto del Ministero dell'interno del 5 novembre 2012 risultavano 2.800 vincitori alle cui spalle figuravano e figurano ulteriori 939 idonei;
   in data 19 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale serie speciale 26 marzo 2013) il Ministero dell'interno bandiva un ulteriore concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti, senza prima aver provveduto all'utilizzo della graduatoria degli idonei del precedente concorso;
   86 dei 939 allievi agenti idonei del concorso del 2011 presentavano ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio per impugnare il bando del 2013 e il Tar adito, con sentenza n. 7482/2013, in data 23 luglio 2013, accoglieva, nei limiti dell'interesse dei soli rincorrenti, l'annullamento in parte del bando impugnato in quanto riconosceva agli idonei il diritto allo scorrimento in base alla recente sentenza dell'adunanza plenaria n. 14/2011 del Consiglio di Stato, in cui si afferma che tutte le pubbliche amministrazioni, senza distinzione di soggettività e oggettività, con graduatorie valide ed efficaci come previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, della legge n. 165 del 2001, sono soggette a scorrimento, in quanto tale principio ha una valenza di carattere generale ed è riferito indistintamente a tutte le amministrazioni pubbliche anche quelle regolate da speciali discipline di settore come la polizia di Stato;
   il Ministero dell'interno impugnava detta sentenza dinanzi al Consiglio di Stato;
   l'udienza veniva fissata il 17 ottobre 2013 e la sentenza veniva pubblicata lo scorso 14 gennaio 2014, quindi dopo 3 mesi durante i quali il Ministero dell'interno è rimasto inadempiente nei confronti degli 86 ricorrenti, in dispregio della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che all'articolo 33 stabilisce che «le sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive. Il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata». Addirittura, nelle more del giudizio, il 27 novembre 2013 il Ministero dell'interno pubblicava la graduatoria del concorso del 2013 per 964 allievi agenti;
   nel frattempo, vista la chiara inadempienza, i ricorrenti depositavano il 13 dicembre 2013 ricorso per il giudizio di ottemperanza della sentenza del Tar n. 7842/2013 chiedendo la sospensione della graduatoria pubblicata il 27 novembre 2013;
   il 14 gennaio 2014 il Consiglio di Stato emanava la sentenza n. 100/2014 che annullava la precedente n. 7842/2013 del Tar del Lazio a favore degli 86 ricorrenti;
   tuttavia, il principio dello scorrimento è sancito dal decreto cosiddetto «D'Alia» ovvero dal decreto-legge n. 101 del 2013 convertito dalla legge 125 del 2013 recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni»;
   in particolare, l'articolo 4, comma 5, si riferisce indistintamente a tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1 comma 2 regolate del decreto legislativo n. 165 del 2001 e, quindi, anche alla polizia di Stato in quanto la suddetta norma include le forze di polizia di Stato tra le categorie del «personale» qualificato «in regime di diritto pubblico»;
   con il cosiddetto decreto D'Alia l'assorbimento degli idonei nelle graduatorie vigenti è un dovere per le pubbliche amministrazioni ed è un diritto soggettivo inderogabile per gli idonei e i vincitori di concorso;
   inoltre, anche prima dell'entrata in vigore del citato decreto-legge, sussistono numerose pronunce del giudice amministrativo di primo e secondo grado che hanno correttamente applicato il principio dello scorrimento anche ai concorsi per il reclutamento del personale del comparto delle forze armate (TAR Lazio, sez. I ter, n. 836/2013; 7482/2013; TAR Lazio, sez. II ter, n. 5059/2012; sez. II, n. 1889/2013; Consiglio di Stato, IV, n. 1476/2012; n. 6560/2012);
   il 13 febbraio 2014 il Tar del Lazio, sezione I ter, con ordinanza n. 775/2014 depositata il 19 febbraio 2014, accoglieva la domanda cautelare in via incidentale, ritenendo fondato il ricorso sulla legge 125 del 2013 e sospendendo la graduatoria dei 964 allievi agenti. La stessa ordinanza riconosce l'assorbimento degli 86 ricorrenti all'interno del ruolo agenti di polizia di Stato;
   il Ministero dell'interno, con ricorso depositato il 15 aprile 2014, chiedeva l'annullamento dell'ordinanza n. 775/2014, ma il Consiglio di Stato, sezione III, il 23 maggio 2014 respingeva l'appello erariale, con ordinanza n. 2167/2014, ponendo le spese della fase cautelare a carico dello stesso Ministero ricorrente;
   nel frattempo la Presidenza del Consiglio dei ministri il 5 maggio 2014, richiamava tutte le amministrazioni pubbliche indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2011 (tra le quali rientra anche il Ministero dell'interno) a prestare esecuzione all'articolo 4, comma 5, del decreto-legge 101 del 2013 e, per l'effetto, a fornire alla PCM le graduatorie degli idonei entro il 23 maggio 2014 –:
   quali siano le motivazioni che spingono il Ministero dell'interno a non dare ancora esecuzione all'ordinanza n. 775/2014 del Tar del Lazio, depositata il 19 febbraio 2014, danneggiando così gli 86 ricorrenti idonei del concorso del 2011. (4-05373)

  Risposta.Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno per procedere all'immediata assunzione di coloro che sono risultati idonei al concorso pubblico a 964 posti di allievo agente della Polizia di Stato, con particolare riferimento agli 86 idonei che hanno impugnato il relativo bando.
  Il tema evidenziato è stato oggetto di attenta valutazione da parte dell'Amministrazione dell'Interno, a cui erano ben note le aspirazioni degli idonei.
  Prima del recente intervento del Parlamento, non era stato possibile venire incontro alle aspettative degli interessati, per i limiti posti dal codice dell'ordinamento militare. In base a tali disposizioni, infatti, i posti da mettere a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia sono determinati attraverso un meccanismo assunzionale del tutto peculiare, modellato sulle specifiche esigenze della difesa e correlato alla necessità di garantire, con cadenza periodica predeterminata, un sufficiente numero di volontari.
  Tra le altre criticità vi era quella di salvaguardare i diritti dei vincitori appartenenti alla cosiddetta seconda aliquota e in ferma quadriennale, per i quali sussisteva l'obiettivo pericolo di uno scavalcamento da parte degli idonei, con elevati rischi di contenzioso.
  Era stato anche rilevato come l'assunzione degli idonei dei concorsi già espletati avrebbe comportato l'incorporamento di personale con una maggiore anzianità anagrafica, con ulteriori ripercussioni negative sul problema dell'innalzamento dell'età media del personale delle Forze di polizia.
  In presenza di tali vincoli, si ritiene che, in sede di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014, il Parlamento, con la concorde valutazione del Governo, abbia individuato una soddisfacente soluzione al problema realizzando un equilibrato bilanciamento dei vari interessi in gioco. Intanto perché l'autorizzazione allo scorrimento delle graduatorie in favore degli idonei, ivi contenuta, riguarda i soli concorsi di accesso alle Forze di polizia indetti nel 2013 e, quindi, per quanto concerne la Polizia di Stato, esclusivamente il concorso a 964 posti, con un impatto contenuto sul sistema di reclutamento. Inoltre, il ricorso allo scorrimento trova la sua motivazione nelle maggiori esigenze connesse alla sicurezza di Expo 2015, rendendo evidente il suo carattere di misura del tutto straordinaria.
  In attuazione dei predetto decreto-legge tutti i 502 idonei del concorso a 964 posti sono stati già dichiarati vincitori con decreto del capo della Polizia del 25 agosto 2014 e, dal successivo 16 settembre, stanno frequentando il prescritto corso di formazione presso le scuole allievi agenti di Alessandria e Brescia.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.