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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 11 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    con il decreto-legge del 22 dicembre 2011 n.211 noto come «decreto svuota-carceri», successivamente convertito in legge, veniva definitivamente sancita la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) a favore di strutture più idonee denominate «residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza» (REMS);
    con successivo decreto del Ministero della salute di concerto con il Ministero della giustizia del 1o ottobre 2012, sono stati individuati i requisiti minimi per l'esercizio delle funzioni sanitarie indispensabili per il funzionamento delle nuove strutture e per il raggiungimento degli obiettivi di salute e di riabilitazione ad esse assegnate;
    con l'accordo in sede di Conferenza Unificata Stato-regioni del 26 febbraio 2015, sono state definite le linee attuative del decreto ministeriale 1o ottobre 2012 per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
    secondo quanto previsto dall'articolo 6 del citato accordo, le prefetture pertinenti per territorio e gli assessorati regionali della salute devono siglare degli accordi relativamente alle «procedure operative di Sicurezza e Vigilanza finalizzate alla gestione della REMS»;
   ogni regione italiana ha recepito tale normativa con appositi decreti assessoriali e, a regime, saranno attive 34 strutture e 795 posti letti alternativi agli ospedali psichiatrici giudiziari;
    lo scorso 10 maggio l'Azienda sanitaria provinciale di Catania ha inaugurato la REMS di Caltagirone nella frazione di Santo Pietro, antico borgo immerso in un vasto bosco di querce che costituisce una riserva naturale orientata;
    si è appreso, da articolo di giornale, che a meno di 48 ore dall'apertura della nuova struttura, in grado di ospitare 20 pazienti, si sono registrati due tentativi di evasione, mentre un altro paziente ha tentato la fuga per ben quattro volte nell'arco di tre giorni;
    grande la preoccupazione degli abitanti del borgo di Santo Pietro sia per le ripercussioni legate alla sicurezza del luogo che per le eventuali ripercussioni legate al turismo della zona; ulteriori comportamenti degli ospiti della REMS, che incidono sulla sicurezza del borgo di Santo Pietro, si sono registrati anche nei giorni successivi come appreso dalla stampa locale;
    un'indagine della magistratura, per accertare eventuali responsabilità, è già stata avviata dalla procura di Caltagirone mentre l'amministrazione comunale della città delle ceramiche ha sollecitato un incontro col prefetto di Catania per una riunione urgente con il comitato per la sicurezza «per determinare iniziative e adempimenti da assumere allo scopo di garantire in maniera adeguata la sicurezza del territorio»;
    la locale stazione dei carabinieri è stata chiusa nel 2012, ed è stata accompagnata, all'epoca dei fatti, da una protesta delle autorità locali e degli abitanti del borgo che vedevano venir meno un importante presidio di legalità in un territorio, che è stato teatro dell'arresto del noto latitante di mafia Nitto Santapaola,

impegna il Governo:

   a verificare, sul territorio nazionale, tramite le prefetture, la presenza di stazioni dei carabinieri nelle città ove insistono le nuove REMS;
   a provvedere a garantire l'apertura e il mantenimento con un adeguato numero di personale di una stazione dei carabinieri in prossimità delle sedi REMS in quei comuni dove, a seguito di idonea valutazione da parte delle prefetture, si constata l'assenza, o la carenza di un idoneo supporto di sicurezza agli abitanti locali;
    a verificare la possibilità di riaprire la stazione dei carabinieri di Santo Pietro, frazione del comune di Caltagirone.
(7-00702) «Rizzo, Frusone, Paolo Bernini, Basilio».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il contratto di agenzia è un contratto tipico, disciplinato dalla contrattazione collettiva e dal codice civile che si instaura quando «una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata» (articolo 1742 codice civile). Tale contratto — disciplinato dalla direttiva CE n. 86/653 che, nell'ambito dei suoi «considerata» evidenzia come le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all'interno dell'Unione le condizioni di concorrenza e l'esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle relazioni con le loro proponenti, nonché la sicurezza delle operazioni commerciali – deve essere provato per iscritto ma, a seguito della sentenza della Corte di giustizia del 30 aprile 1998, non costituisce più requisito per la validità del contratto l'iscrizione all'apposito ruolo presso ogni Camera di commercio;
    numerose segnalazioni giunte in Parlamento evidenziano come le aziende ricorrono sempre più spesso alla stipula di mandati di agenzia pretendendo un rapporto di monomandato che, di fatto, cela la presenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato con il quale si pregiudica inesorabilmente l'autonomia e la libertà di organizzazione del lavoro degli agenti che si vedono costretti a rispettare direttive particolarmente ferree e tali da incidere sulle reali possibilità di incrementare i relativi compensi;
    detti compensi, peraltro, in questi ultimi anni, risultano troppo spesso inferiori alle retribuzioni di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto commercio, e questo al lordo sia delle spese che devono sostenersi per la produzione del reddito e sia degli oneri assistenziali e previdenziali;
    le aziende, inoltre, nel gestire i rapporti di lavoro con i loro agenti hanno ed esercitano il potere di modificare unilateralmente la zona geografica prevista e contrattualmente assegnata, di ridurre la percentuale provvigionale prevista nel contratto, di escludere dal portafoglio assegnato alcuni clienti che solitamente corrispondono a quelli economicamente più significativi, anche acquisiti nel tempo dallo stesso agente, con conseguente danno economico e grave pregiudizio per la crescita professionale;
    la stampa nazionale ha recentemente messo in evidenza come la questione interessi direttamente circa 240.000 persone che percorrono mediamente 50.000 chilometri l'anno, concludendo operazioni di vendita per conto di aziende committenti che valgono il 60 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Eppure vi sono persone che non riescono più ad arrivare alla fine del mese, perché i costi dell'attività finiscono, di fatto, per annientare quasi tutto il loro guadagno;
    le difficoltà maggiori hanno colpito non a caso e in particolare gli agenti monomandatari, ovverosia quegli agenti legati ad aziende che impongono contratti di esclusiva. Si tratta di 90.000 persone (il 40 per cento dell'intera categoria) dei quali il 30 per cento, circa 30.000, dichiara un reddito lordo di 25.000 euro l'anno, ma ce ne sono altri 10.000 mila che non superano i 18.000 euro l'anno mila;
    prendendo come riferimento proprio questa fascia di reddito più bassa, l'Unione sindacati agenti e rappresentanti commercio italiani (Usarci), ha raccolto in un documento l'elenco dei costi fissi a carico della categoria. Vi sono innanzitutto le spese per l'auto: 3.000 euro l'anno per il carburante; 600 euro per i pedaggi autostradali; altri 3.000 euro per la quota di ammortamento della vettura; 1.500 euro in riparazioni varie e 250 euro per il cambio gomme. A questo bisogna aggiungere i costi relativi agli alberghi e ai ristoranti che gravano in media 1.000 euro l'anno mentre per il telefono ed internet possono essere normalmente spesi circa 250 euro l'anno. Infine, devono essere annoverati i costi relativi alla tassazione: 80 euro per la tassa camerale; 1.500 euro (il 7 per cento delle provvigioni) all'Enasarco (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio); 3.600 euro all'Inps e altri 750 euro al commercialista, per un totale complessivo di 15.530 euro, senza considerare bollo e assicurazione, a fronte di 18.000 euro lordi di guadagno. Si tratta dunque, stando alle stime dell'Usarci, di una situazione evidentemente insostenibile per una categoria di lavoratori molto numerosa;
    il 13 maggio 2015, in occasione dello svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Commissione X (Attività produttive) a firma dei deputati del Gruppo Parlamentare Sinistra, Ecologia Libertà Ricciatti, Scotto, Ferrara e Melilla ove si chiedeva al Governo di intervenire tempestivamente attraverso apposite iniziative normative sull'annosa situazione degli agenti di commercio, il sottosegretario allo sviluppo economico, Simona Vicari, ha preso atto della rilevanza della vicenda definendola «meritevole di approfondimento»;
    in particolare, il rappresentante del Governo ha evidenziato come sul tema vi sia «un ampio dibattito nella letteratura economica: da un lato vi è chi enfatizza la portata potenzialmente anticoncorrenziale dei mandati esclusivi, e pertanto sollecita l'introduzione di limitazioni più o meno cogenti. Dall'altro vi è invece chi sottolinea che la concorrenza si esplica anche attraverso il confronto fra diversi modelli organizzativi e commerciali. Nei fatti, quale delle tue tesi sia corretta dipende da una serie di variabili, specifiche del settore industriale e della struttura di mercato, nonché delle condizioni locali. Nel passato, l’Antitrust ha ravvisato problematicità che hanno trovato rispondenza in una serie di normative settoriali, come nel caso delle assicurazioni. Tuttavia, tale problematica è sempre emersa in relazione più alla tutela del consumatore, che alla protezione del reddito degli agenti, la quale afferisce più in generale al modello italiano di welfare state, esso stesso oggetto di numerosi interventi del Governo volti a garantire un sistema di tutele diffuse. Di conseguenza, valuto la questione posta dall'Onorevole interrogante meritevole di approfondimento, ma da svolgersi necessariamente con il contributo delle Amministrazioni primariamente competenti in materia. Questa precisazione vale anche per quanto riguarda gli eventuali controlli, relativi, in particolare, al trattamento contributivo/previdenziale di tale attività ed al rischio di un uso distorto dei mandati di agenzia, quale forma di elusione degli obblighi relativi a veri e propri rapporti di lavoro dipendente,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza tesa ad avviare entro tempi celeri un confronto con tutte le amministrazioni competenti in materia al fine di assumere iniziative normative volte a tutelare concretamente la situazione giuridica soggettiva della figura professionale dell'agente di commercio da fenomeni di vero e proprio abuso di dipendenza economica situazione rispetto alla quale ad oggi non esiste alcun tipo di tutela sul piano giuridico;
   a valutare l'opportunità di adottare apposite iniziative normative volte a prevedere che, per gli agenti monomandatari che non riescano a raggiungere un reddito minimo lordo pari a tre volte la retribuzione lorda di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto di commercio, il contratto possa essere trasformato automaticamente in plurimandato;
   a valutare l'opportunità di adottare apposite iniziative normative tese ad introdurre un divieto di modifica unilaterale del contratto di agenzia proprio alla luce delle criticità suesposte che incidono profondamente sul reddito e sulla crescita professionale degli agenti di commercio.
(7-00703) «Ricciatti, Scotto, Ferrara, Melilla, Airaudo, Placido, Fratoianni, Piras, Quaranta, Duranti, Sannicandro, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Zaratti, Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   VALLASCAS, BENEDETTI, DELLA VALLE, DE ROSA, BUSTO, DAGA e FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, diverse fonti giornalistiche avrebbero dato ampio risalto alla notizia che sarebbero in atto manovre volte a un avvicendamento anzitempo dei vertici di Cassa depositi e prestiti (CDP), società per azioni a controllo pubblico, il cui capitale sociale è suddiviso tra Ministero dell'economia e delle finanze (80,1 per cento), Fondazioni di origine bancaria (18,4 per cento) e azioni proprie (1,5 per cento);
   in particolare, secondo quanto riportato, il presidente, Franco Bassanini, e l'amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, dovrebbero essere sostituiti rispettivamente da Claudio Costamagna, ex responsabile per l'Italia di Goldman e Sachs e attualmente presidente di Salini-Impregilo, e da Fabio Gallia, amministratore delegato di Bnl — Bnp Paribas;
   il cambio al vertice di Cassa depositi e prestiti rientrerebbe in una strategia più ampia volta soprattutto a una ridefinizione della mission dell'organismo che, secondo gli intendimenti del Governo, dovrebbe assumere sempre più il ruolo di investment bank e nel soggetto finanziatore dei grandi progetti del Paese;
   il lavoro svolto sino ad oggi da Franco Bassanini e da Giovanni Gorno Tempini, secondo quanto riferito da alcuni organi di stampa, avrebbe portato a un consolidamento della Cassa depositi e prestiti, con un'attenzione particolare al bilancio dell'ente che nel 2014 è stato chiuso con un utile di 2,2 miliardi di euro, che ha portato 853 milioni di euro di dividendi nelle casse del Ministero dell'economia e delle finanze e delle fondazioni azioniste;
   il cambio al vertice, che sarebbe funzionale a un cambio di strategia aziendale, porterebbe Cassa depositi e prestiti, la cassaforte pubblica che gestisce 242 miliardi di euro di risparmi postali degli italiani, ad ampliare il perimetro delle attività con uno spostamento verso ambiti che potrebbero mettere a rischio la solidità dell'istituto;
   in particolare, a parere degli interroganti, nominare come presidente e amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, due figure che sono espressione del mondo bancario privato e della finanza, quindi maggiormente sensibili a logiche di mercato, nonché estranee alla gestione amministrativa propria di un ente pubblico, si configurerebbe come conflitto di interessi, oltre a determinare una situazione in cui l'istituto rischierebbe di subire un controllo eccessivo da parte del settore privato, con grave rischio per le risorse custodite;
   è notizia che il Presidente del Consiglio dei ministri ha disposto di congelare tutte le assemblee dei soci controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, a cominciare da Equitalia, per procedere, secondo quanto verrebbe rivelato, all'assegnazione simultanea degli incarichi, seguendo in tal senso una strategia politica, volta a trarre il maggiore vantaggio;
   sul tema delle nomine delle società partecipate l'interrogante propose e discusse in Aula la mozione n. 1-00343 nella quale si chiedeva trasparenza e coinvolgimento del Parlamento nella selezione e nomina dei dirigenti delle medesime, mozione non accolta dal Governo –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e quali siano i motivi che hanno comportato la sostituzione anticipata dei vertici di Cassa depositi e prestiti;
   se non ritenga che la nomina dei dottori Costamagna e Gallia possa porsi in conflitto con la missione di Cassa depositi e prestiti e quali siano stati i criteri per la loro selezione. (3-01537)


   SANTELLI, GREGORIO FONTANA, CALABRIA, ABRIGNANI, PALESE, GIAMMANCO, MILANATO, SANDRA SAVINO, PALMIERI, MOTTOLA, POLIDORI, CIRACÌ, PETRENGA, OCCHIUTO, LATRONICO, DISTASO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, PALMIZIO, CENTEMERO e PRESTIGIACOMO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del festival La Repubblica delle idee, nel Salone del Minor Consiglio del Palazzo Ducale, si è tenuto un dibattito cui partecipano i giornalisti Marco Preve e Carlo Bonini oltre al sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca, già PM dei processi sul G8 di Genova;
   «Le vicende di Genova – dice Zucca – devono essere studiate e ripensate oggi perché ci insegnano che quando lo Stato si sente minacciato, i nostri diritti vengono messi in discussione e i cittadini rischiano di trasformarsi in nemici. Nel dibattito parlamentare sulla legge contro la tortura non si fa riferimento, mai, a quel che accadde qui. E il sintomo d'una rimozione, come d'altronde certifica la locuzione che sentiamo usare spesso: “Fatti del G8”, quasi fossero lontani»;
   «La Diaz porta alla luce problemi endemici: allo stato attuale la polizia rifiuta di leggere sé stessa, e a questo punto è difficile non si ripetano più quegli errori. È come se le diagnosi dei medici fossero state perennemente ignorate... Attenzione poiché non si tratta d'un corpo astratto, ma con dei dirigenti: Gianni De Gennaro prima, poi Antonio Manganelli, quindi suoi successori. Sono loro che hanno, lo dico ancora, impunemente, violato il dovere di sospendere e rimuovere i funzionari condannati. Mentre hanno dimostrato che si può silurare un agente da un giorno all'altro, per una banale frase scritta su Facebook (è successo con Fabio Tortosa, che nelle scorse settimane aveva esaltato il blitz sui social network, ndr)»;
   «e rispetto agli organi di stampa, in molti hanno continuato a scrivere agiografie sui poliziotti imputati. Nei giorni precedenti la sentenza di Cassazione sui dirigenti s'invocava la ragion di Stato: quello che dovrebbe essere un cane da guardia, la stampa, si è trasformato a tratti in un cagnolino da passeggio»;
   «Noi vogliamo una polizia che fa il braccio armato del governo di turno, o che appartiene ai cittadini ? È emersa non solo la capacità di usare una forza sproporzionata, ma la falsificazione delle prove finalizzate ad arresti che si ritengono giusti e doverosi in nome d'una malsana, appunto, ragion di Stato»;
   insiste, Zucca: «L'unico modo corretto per definire quell'aggiustamento sistematico è corruzione per nobile causa, nobile nella testa di chi la commette. Ma si tratta pur sempre di corruzione, di perversione istituzionale per trarne giovamento in termini di carriera». Sul numero uno dell'anticorruzione Cantone che si era detto «indignato» all'indomani del pronunciamento europeo laddove stigmatizzava comportamenti patologici della polizia italiana, è tranchant: «Non siamo messi bene, se una figura del genere non capisce che dopo il G8 ci fu proprio una forma di corruzione»;
   l'ultimo affondo è di nuovo sul tema più attuale, la legge contro la tortura: «Durante la discussione hanno tirato in ballo Beccaria e il ’700, Abu Ghraib e i soprusi americani in Iraq, ma guai a parlare di Genova. Per com’è stata concepita, non punirebbe comportamenti come quelli della Diaz. E mi chiedo: cosa c’è dietro ?»;
   il comitato di presidenza del Csm è stato convocato per affrontare il caso che ha investito il pg di Genova Enrico Zucca e le sue dichiarazioni sui fatti del G8 per le quali il Capo della Polizia Alessandro Pansa e il Ministro dell'interno Angelino Alfano hanno chiesto al Guardasigilli Andrea Orlando di «valutare profili disciplinari»;
   e intanto, codice di disciplina in mano, il procuratore generale Vito Monelli, in relazione alle dichiarazioni fatte dal sostituto procuratore generale Enrico Zucca sui fatti della Diaz e sulle responsabilità della polizia durante l'incontro a Repubblica delle Idee, ricorda che la normativa non permette ai magistrati di esprimersi sul processo finché questo non è andato in giudicato. «In questo caso, però, il magistrato ha parlato dopo la sentenza», precisa il procuratore. E cita l'articolo 2 del decreto legislativo n. 209 del 2006. Monetti, capo ufficio di Zucca, quindi titolare di una eventuale azione disciplinare, indirettamente lo «assolve»;
   a difesa del sostituto Zucca anche l'ANM «Enrico Zucca ha svolto un ragionamento ampio e complesso nell'esercizio del diritto di manifestazione del pensiero e bisogna evitare estrapolazioni e interpretazioni di questa o quella frase. Mettiamo, quindi, da parte il tema del procedimento disciplinare». (Associazione nazionale magistrati);
   più esplicita ancora Magistratura Democratica: rilanciano in queste ore che il Capo della Polizia, d'intesa con il Ministro dell'interno, ha chiesto al Ministro della giustizia di valutare azioni disciplinari nei confronti del sostituto procuratore generale Enrico Zucca per le osservazioni svolte nell'ambito del dibattito sui fatti della Diaz tenutosi a Genova nel corso della manifestazione «Repubblica delle Idee». In discussione sarebbe la tutela dell'onorabilità della Polizia. Siamo convinti che l'onorabilità e l'alta professionalità della Polizia italiana, presidi fondamentali della vita civile e democratica di questo Paese, non siano in alcun modo messe in discussione da un confronto franco e pubblico sugli episodi di violazione dell'articolo 3 CEDU verificatesi nel nostro Paese, sulle ragioni e sulle conseguenze delle gravi violazioni dei diritti umani e sugli strumenti legislativi necessari per prevenirli. Tra i quali l'introduzione di una norma sul divieto di tortura fedele ai principi della Convenzione ONU del 1988. In democrazia occorre ragionare e capire, non rimuovere: il confronto, anche aspro, è importantissimo e fertile e non trae certo giovamento dalla richiesta di iniziative di carattere disciplinare che — a prescindere da considerazioni di merito — rappresenta, nei fatti, una chiusura di disponibilità ad un serio dibattito su temi ancora dolorosamente aperti;
   ad avviso degli interroganti come segnalato in altri atti di sindacato ispettivo presentati in precedenza, il CSM avrebbe già dovuto adottare da tempo iniziative di competenza sulla vicenda;
   sul tavolo del Comitato di presidenza, composto dal vicepresidente Giovanni Legnini, dal primo presidente e dal pg di Cassazione, Giorgio Santacroce e Pasquale Ciccolo, ci sarà non solo l'incartamento — lo stesso che è stato inviato al Ministro Orlando — fatto recapitare dal Capo della polizia ma anche la richiesta di apertura di una pratica a tutela per Zucca, avanzata dai togati di area. I consiglieri del gruppo di Area al CSM che fanno parte della prima commissione, Ercole Aprile e Antonello Ardituro, hanno infatti chiesto l'apertura di una pratica a tutela per Enrico Zucca;
   a parere degli interroganti la difesa immediata del dottor Zucca da parte tanto dell'Associazione nazionale magistrati, quanto soprattutto da parte di Magistratura democratica, appare corporativa e «politica», e in ogni caso del tutto abnorme e sproporzionata –:
   quali iniziative il Presidente del Consiglio dei ministri e, per quanto di propria competenza, il Ministro dell'interno intendano assumere al fine di tutelare l'immagine delle istituzioni, in specie della polizia di Stato e del Ministero dell'interno, anche eventualmente attraverso una richiesta di risarcimento del danno;
   se, dinanzi all'ennesimo attacco, perpetrato dal dottor Zucca nei confronti della polizia in quanto corpo dello Stato, il Ministro della giustizia non ritenga che sia finalmente il caso di promuovere iniziative di carattere disciplinare. (3-01538)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 2 giugno una fonte giornalistica online (http://www.lanotiziagiornale.it/rai-usa-e-getta-addio-americhe-la-rete-di-viale-mazzini-non-si-vede-piu-oltreoceano/) ha pubblicato con grande evidenza la notizia che dall'inizio del mese il segnale di RAI Italia (già RAI International) non è più visibile nei Paesi dell'America Latina, negli USA e in Canada, ove risiedono comunità d'origine tra le più numerose e impegnate nella conservazione e nello sviluppo dei rapporti culturali, sociali e commerciali con l'Italia;
   la ragione di questa interruzione risiederebbe nel fatto che i canali che trasmettono il segnale di RAI Italia sarebbero stati oscurati a seguito del mancato rinnovo dei contratti con le società distributrici, mettendo in discussione in questo modo la stessa convenzione della RAI con lo Stato, nella quale il servizio per l'estero è una delle condizioni per il finanziamento;
   gli interroganti hanno avuto diretta conferma dell'interruzione da parte di connazionali ed utenti, residenti ad esempio in Brasile, Venezuela, USA e Canada, giustamente allarmati e perplessi per l'improvvisa cessazione del servizio e per le incerte prospettive di ripristino;
   se l'interruzione non fosse di natura temporanea e strettamente tecnica, ci si troverebbe di fronte alla perdita di uno strumento strategico di proiezione culturale e commerciale nel mondo, proprio nel momento in cui i primi e attesi segnali di ripresa inducono a rafforzare l'impegno di internazionalizzazione del Paese e a consolidare i rapporti con le nostre comunità d'origine, che della presenza dell'Italia nel mondo sono il volano essenziale, oltre che il nucleo largamente maggioritario delle sottoscrizioni degli abbonamenti d'ascolto;
   a fronte di questa notizia, l'ufficio stampa della RAI ha recentemente comunicato che l'azienda, dopo 18 anni di contratto con la società saudita Dalla Albaraka, avrebbe deciso di «distribuire direttamente i propri canali per garantire un maggiore controllo del processo distributivo e commerciale e una migliore qualità del segnale»; l'interruzione, di conseguenza, sarebbe motivata da esigenze di aggiornamento tecnologico;
   in ogni caso, la funzione strategica dei programmi di comunicazione in queste aree e la contraddittorietà delle informazioni in merito dovrebbero indurre a dissipare al più presto i timori che si sono addensati in queste settimane e a rendere espliciti e trasparenti i programmi di breve-medio termine di realizzazione del servizio in aree di così forte interesse, quali quelle menzionate -:
   quali sia la situazione reale relativamente al controllo dei canali di distribuzione del segnale di RAI Italia nei Paesi dell'America Latina, in USA e in Canada e quali siano le strategie e i programmi di medio-lungo termine per assicurare un adeguato e moderno servizio di comunicazione a beneficio dalle comunità d'origine ivi insediate e dei numerosi italofili presenti. (4-09413)


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un affitto su due, in Italia, non è pagato regolarmente. In media, oltre il 50 per cento dei proprietari denuncia mensilità non pagate, con punte vicine al 60 per cento a Napoli e al 45 per cento a Roma, quota che scende al 35 per cento a Milano;
   i dati sugli sfratti esecutivi nel 2013 pubblicati dal Ministero dell'interno rivelano che i provvedimenti di sfratto emessi sono stati 73.385, in crescita su base annua del 4,4 per cento. Tra le cause, nell'89 per cento dei casi, vi è la morosità;
   per fare fronte all'emergenza abitativa il Governo ha varato, nel luglio 2014 il fondo per la morosità incolpevole;
   il Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità involontaria è stato dotato di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. L'obiettivo è quello di «garantire il rischio di morosità da parte di quei locatari, generalmente affidabili, che a causa della sfavorevole situazione economica che attraversa il Paese, si trovano momentaneamente in difficoltà». L'accesso al Fondo consente la sospensione temporanea del pagamento dei canoni di affitto;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'interno, sul totale dei 73.385 provvedimenti di sfratto del 2013 sono diversi i motivi per cui si giunge all'insolvenza: la morosità per l'89 per cento, la finita locazione per il 7,4 per cento e la necessità del proprietario per il 3,6 per cento;
   il 53,8 per cento degli sfratti riguardano i comuni capoluogo mentre il 46,2 per cento le province. Le richieste di esecuzione sono state 129.575 con una crescita del 2,15 per cento. L'aumento più importante, il 7,75 per cento, è rappresentato dagli sfratti eseguiti per morosità, 31.399;
   negli ultimi 5 anni gli sfratti sono stati 332.169, di cui 288.934 per morosità. Su 332.169 sentenze sono 145.208 gli sfratti eseguiti con intervento dell'ufficiale giudiziario, mentre le richieste di esecuzione sono state 129.577. In sostanza, più di un inquilino su dieci in affitto da privati ha subito uno sfratto per morosità;
   l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre le tradizionali categorie a rischio, anche fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
   purtroppo, sussistono ancora le condizioni che hanno indotto a concedere la proroga dell'esecuzione degli sfratti riguardanti particolari categorie sociali disagiate, concessa con l'articolo 8, comma 10-bis, del decreto Milleproroghe (decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015), il quale ha prorogato al 28 giugno 2015 l'esecuzione degli sfratti per finita locazione di cui alla legge 8 febbraio 2007, n. 9;
   tale normativa ha disposto che, al fine di ridurre il disagio abitativo e di favorire il passaggio da casa a casa per le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, gli inquilini «disagiati», in attesa della realizzazione delle misure e degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all'articolo 2 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo è stata ulteriormente differita al 28 giugno 2015 dall'articolo 8, comma 10-bis, del decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015;
   possono richiedere la proroga di 4 mesi i cosiddetti inquilini «disagiati», vale a dire quei soggetti che:
    a) hanno un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
    b) sono o hanno nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento;
    c) non possiedono altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. Sono inclusi anche i nuclei familiari che, ferme le condizioni precedenti, includono figli fiscalmente a carico;
   peraltro la proroga concessa fino al 28 giugno 2015 ed in prossima scadenza presenta delle evidenti criticità. In primo luogo la proroga è disposta su istanza di parte ma a discrezione del giudice che valuta caso per caso; in secondo luogo, se finora le condizioni che davano diritto alla proroga (età, reddito, handicap, malattie terminali, composizione dello stato di famiglia) potevano essere semplicemente autocertificate con dichiarazione consegnata all'ufficiale giudiziario, ora invece è necessario un ricorso al tribunale e per farlo si devono sostenere dei costi anche superiori a 300 euro: tra iscrizione, copie, notifiche e l'onorario dell'avvocato;
   la necessità di concedere un'ulteriore proroga e a condizioni più ragionevoli di quelle illustrate emerge dal fatto che gli inquilini «disagiati» pagano regolarmente il canone di locazione e, se non fosse loro concessa una proroga, sarebbero incostituzionalmente e irragionevolmente discriminati rispetto ai conduttori morosi i quali, essi si, potrebbero beneficiarne;
   la negazione di una proroga agli inquilini disagiati sarebbe secondo l'interrogante incostituzionale per disparità di trattamento e irragionevolezza se si considera che generalmente il locatore che ha stipulato un contratto ordinario a equo canone, può richiedere il rilascio dell'immobile solo se ha necessità dello stesso per sé o per la propria famiglia, anche solo al fine di farne una speculazione edilizia;
   è evidente che, se l'inquilino appartenente alle categorie disagiate (ragione per cui naturalmente riscontra maggiori difficoltà nel trovarsi un'altra sistemazione abitativa) corrisponde regolarmente il canone di locazione (quindi non è moroso), egli è certamente più meritevole di tutela rispetto all'inquilino moroso ovvero che corrisponde un canone di locazione in misura minore del dovuto e al quale si concede una proroga;
   inoltre, se il proprietario non ha necessità di abitare la casa, sarebbe ragionevole e conforme alla Costituzione far prevalere sull'interesse egoistico di quest'ultimo al rilascio dell'immobile, la funzione sociale del contratto liberamente concluso a suo tempo, contratto che almeno andrebbe rinnovato per altri sei anni, semmai lasciando al giudice la possibilità di stabilire se il proprietario abbia o meno motivi validi e meritevoli di tutela per rientrare in possesso dell'immobile medesimo;
   inoltre, sempre al fine di assicurare una più efficace tutela agli inquilini «disagiati» non morosi, andrebbe negata alle società di capitali proprietarie di immobili la possibilità di richiederne il rilascio solo per perseguire un profitto o per ragioni di speculazione;
   in merito, appare utile evidenziare che la maggior parte degli immobili per i quali scadrà prossimamente la proroga sono di proprietà di enti o di società di capitali, il cui interesse al rilascio dei medesimi in danno di inquilini appartenenti alle categorie «disagiate» non è meritevole di tutela se questi ultimi pagano regolarmente il canone di locazione e quindi non sono morosi;
   la necessità di concessione di una ulteriore proroga oltre il 28 settembre 2015 appare, infine, doverosa considerata la situazione economica stringente che si riverbera proprio sui soggetti più deboli quali disoccupati, ammalati senza reddito, famiglie numerose, diseredati e senza casa, circostanze che non possono essere ignorate da uno Stato sociale che ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione prescrive quale compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», e che, infine, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione «... La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti...» –:
   se il Governo, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, non intenda promuovere delle iniziative per far fronte alla situazione di difficoltà e di urgenza, ovvero se, stante la grave situazione di indigenza in cui versano centinaia di migliaia di famiglie italiane, intenda assumere iniziative normative per la proroga dell'esecuzione degli sfratti oltre la data del 28 giugno 2015 (previsto, da ultimo, dall'articolo 8, comma 10-bis, del decreto milleproroghe (decreto-legge n. 192 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015) a beneficio delle seguenti categorie di soggetti: anziani ultrasessantacinquenni; portatori di handicap gravi o minori; malati gravi o terminali e soggetti che non dispongono di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, a condizione che i beneficiari non siano incorsi in morosità e posseggano un reddito annuale complessivo familiare inferiore a 27.000 euro. (4-09418)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 18 dicembre 2014 la Camera ha approvato le proposte di legge, tra cui l'A.C. 109 a prima firma dell'interrogante, recanti «Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 e altre disposizioni in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forte di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco»;
   con tale iniziativa parlamentare, che già nel corso della precedente legislatura aveva ricevuto l'approvazione unanime da parte della Camera dei deputati, il requisito dell'altezza viene superato al fine di consentire che la valutazione delle performance fisiche non avvenga in base ad un criterio superficiale e privo di reale riscontro scientifico, quanto piuttosto in base a parametri che la scienza medica ritiene più affidabili, ponendo al centro della valutazione le reali capacità fisiche soggettive;
   in particolare, la proposta di legge prevede che ai fini del reclutamento nelle Forze armate occorra rientrare nei parametri fisici correlati alla composizione corporea, alla forza muscolare e alla massa metabolicamente attiva, eliminando, quindi, l'aspetto discriminatorio relativo ad un limite minimo di altezza;
   la legge, però, per poter produrre effetti concreti necessita del regolamento attuativo previsto dal comma 2, articolo 1, della legge medesima;
   tale regolamento avrebbe dovuto essere adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (6 febbraio 2015), su proposta dei Ministri della difesa, dell'interno, dell'economia e delle finanze e delle politiche agricole, alimentari e forestali e di concerto con il Ministro della salute nonché il Ministro delegato per le pari opportunità, ma ad oggi il Governo non ha provveduto;
   il termine per dare concreta attuazione alla riforma è prossimo alla scadenza e la questione coinvolge ben sei dicasteri, motivo per cui appare necessario accelerare i tempi di adozione di un regolamento, in assenza del quale la legge n. 2 del 2015 rischia di rimanere lettera morta, a discapito delle aspirazioni e delle speranze di quanti sognano una carriera nelle Forze armate;
   tanti giovani cittadini attendono che l'Italia si conformi, anche sul versante dell'accesso alle professioni nelle Forze armate e nelle Forze di polizia, agli altri Stati europei, per garantire al comparto difesa-sicurezza la dovuta professionalità, competenza e meritocrazia –:
   con quali tempistiche intenda adottare il regolamento attuativo finalizzato a stabilire parametri fisici unici ed omogenei per il reclutamento del personale nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, attraverso la tempestiva costituzione di un tavolo tecnico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
(4-09422)


   LAFORGIA, PELUFFO, GIUSEPPE GUERINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Expo 2015 è una grande occasione per Milano e per il sistema Italia e un momento di incontro prezioso con le comunità di tutto il mondo;
   l'Italia, da sempre Paese che fa del cibo una sua eccellenza, ha la possibilità, insieme alla comunità internazionale, di produrre una seria riflessione riguardo al tema scelto per l'esposizione universale: «Nutrire il pianeta. Energie per la vita», con l'obiettivo di produrre politiche internazionali condivise, in particolare per quel che riguarda il diritto ad una nutrizione adeguata per ogni individuo;
  la Carta di Milano, il documento che dovrà essere la vera eredità di Expo, promosso dalle istituzioni italiane, incentrato sul riconoscimento globale del diritto al cibo, sarà ufficialmente presentata il 28 aprile;
   il Commissario Unico Delegato del Governo per Expo Milano 2015 e Amministratore Delegato di Expo 2015 S.p.A. Giuseppe Sala, ha annunciato che sono stati già venduti più di 8 milioni di biglietti;
   secondo le stime fornite dall'ufficio studi di Confcommercio si prevedono, con riferimento ad Expo 2015, come valutazione di minima, almeno 8 milioni di arrivi dall'estero e 29 milioni di notti nelle strutture ricettive. Una maggiore presenza turistica che dovrebbe tradursi in 2,5 miliardi di euro di consumi «straordinari», che tradotti in percentuali sul Pil equivalgono ad un apporto positivo dello 0,3 per cento, equivalente al 25 per cento della crescita complessiva prevista;
   la Società Expo 2015 S.p.A., a chiarimento delle notizie apparse in questi ultimi giorni sul tema del lavoro giovanile, precisa che le assunzioni di giovani con incarichi temporanei sono: 406 apprendisti, con un'età media di 26 anni e con una retribuzione netta mensile pari a circa 1.300 euro; 247 Team Leader, con un'età media di 36 anni e con una retribuzione netta mensile di circa 1.700 euro; 82 Stagisti con un rimborso mensile, come da accordo sindacale, di 500 euro;
   il comune di Milano, oltre a produrre uno sforzo straordinario che ha riguardato le infrastrutture in città, la capacità ricettiva ed una implementazione dei servizi dedicati ai visitatori, ha ideato Expo in città, un progetto voluto fortemente in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano con il convinto sostegno di Expo Milano 2015, con l'obiettivo di dare la possibilità a tutti gli operatori interessati a organizzare eventi di essere accolti in un palinsesto prima, durante e dopo l'esposizione universale, permettendo a turisti, cittadini e city user di identificare, in maniera immediata, appuntamenti ed eventi culturali, commerciali e turistici che prenderanno vita in occasione di Expo 2015;
   i Governi Letta e Renzi hanno dimostrato nei fatti un forte sostegno, economico e politico, affinché il nostro Paese arrivasse pronto a questo fondamentale appuntamento;
   il Governo, tramite il Ministro per le politiche agricole Maurizio Martina, delegato all'Expo, ha garantito la disponibilità per ragionare insieme agli altri soggetti coinvolti per individuare un progetto riconoscibile in Europa e nel mondo riguardo il destino dei terreni in cui sorgerà Expo 2015 dopo l'Esposizione universale, richiedendo di rivedere l'attuale meccanismo di governance, con la convocazione di un tavolo al quale siederanno Regione, Comune, i rappresentanti della società Arexpo, che oltre alle due istituzioni comprende la Fondazione Fiera e il Comune di Rho, i vertici della società Expo, oltre ad invitare l'Università degli Studi e Assolombarda, che nelle scorse settimane hanno lanciato una proposta per l'uso dell'area, Cassa Depositi e Prestiti e l'Agenzia del Demanio, che, potenzialmente, potrebbero in sinergia garantire una soluzione al problema della copertura economica degli interventi;
   il 27 marzo 2014 Raffaele Cantone è stato nominato dal Governo italiano Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), potenziando l'ente già attivo dal 2013, anche a fronte delle inchieste riguardanti Expo 2015;
   nel quadro di illegalità descritto dalle numerose inchieste, in cui si delinea una pericolosa contiguità fra affaristi, settori tecnici e politici, in data 21 aprile 2015 si è svolto l'ultimo Consiglio di Amministrazione della Società Expo 2015 S.p.A. prima dell'inaugurazione del grande evento ospitato dalla città di Milano, in cui Regione Lombardia, con Decreto del Presidente, ha indicato come membro del CDA l'Avvocato Domenico Aiello, in sostituzione del Consigliere Fabio Marazzi;
   l'Avvocato del Presidente di Regione Lombardia, nel procedimento a suo carico, per presunte pressioni, con lo scopo di ottenere due contratti di collaborazione, uno con Expo e l'altro con Eupolis, a due sue ex collaboratrici, è Domenico Aiello, già avvocato della Lega Nord, che in qualità di difensore del Presidente Roberto Maroni, ha richiesto alla società Expo 2015 S.p.A. documenti utili a scagionare dalle accuse il suo cliente –:
   quale sia lo stato effettivo di avanzamento dei lavori riguardante l'intera struttura di Expo 2015;
   quale tipo di azioni mirate siano previste, durante lo svolgimento dell'Esposizione, per garantire il rispetto della legalità, relativamente ai contratti di lavoro ed alla conformità delle strutture con riferimento alla normativa vigente, e la sicurezza dei visitatori;
   quale sia l'intenzione del Governo riguardo ad un suo possibile ingresso nella società che gestisce i terreni dell'Area in cui sorgono le strutture relative ad Expo 2015;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, anche alla luce delle circostanze appena esposte, per garantire il corretto svolgimento della manifestazione Expo 2015 e la regolare funzionalità degli organi deputati alla sua gestione e controllo. (4-09442)


   LIUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 16 febbraio 2015, Il sole 24 ore ha pubblicato un articolo intitolato: «Il Governo ha 240 siti web ma uno su quattro è inattivo». Secondo i dati forniti dalla testata, i siti dormienti – 154 i domini web gov.it e 87 i portali raggiungibili dalle homepage dei siti istituzionali – fanno capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ad altri Ministeri;
   nell'articolo è riportato a titolo di esempio, l'esistenza di decine di siti web creati dai Governi per comunicare lo stato di avanzamento delle riforme, come il portale ad oggi inattivo «accessibile.gov.it» che avrebbe dovuto raccogliere le segnalazioni da parte dei cittadini;
   le iniziative dell'Esecutivo sul web sono regolamentate da norme innovative sulla comunicazione online tra Pubblica amministrazione e cittadini. La registrazione del dominio da parte del Governo, impone il rispetto delle leggi vigenti e di alcuni requisiti di qualità, oltre quelli previsti per l'accessibilità dei disabili;
   seppur le verifiche e le norme sulla trasparenza legate agli obblighi per i siti web della pubblica amministrazione vengano tendenzialmente rispettate sui portali del Governo, in base al test della Bussola della trasparenza strumento online della funzione pubblica – il sito della Farnesina ottiene un punteggio molto basso: solo 57 criteri su 72 sono rispettati (assente l'elenco degli incarichi di vertice, lo scadenzario dei nuovi obblighi, i tassi di assenza del personale e altro);
   a detta dell'interrogante, il Governo in carica, non destina risorse sufficienti per il completamento dell'Agenda digitale italiana, ancora lontanissima nei suoi obiettivi. Il DESI (Digital Economy and Society lndex) della Commissione europea 2015, classifica l'Italia al venticinquesimo posto, con carenze distribuite su tutte le aree riguardanti la digitalizzazione. Secondo il rapporto, per quanto riguarda i servizi pubblici digitali (dove l'Italia è al quindicesimo posto) i livelli di utilizzo dell’e-Government sono ancora molto bassi, «in parte perché i servizi pubblici online non sono sufficientemente sviluppati e in parte a causa delle carenze in termini di competenze digitali –:
   la legge n. 4 del 2004 attuata con l'emanazione dei requisiti tecnici di cui all'allegato A del decreto ministeriale 8 luglio 2005, modificati dal decreto ministeriale 20 marzo 2014 e della circolare n. 61 del 2013 dell'Agid (a cui spetta il controllo) ha introdotto i primi obblighi di legge legati all'accessibilità degli strumenti informatici e telematici da parte dei soggetti disabili;
   riguardo alla trasparenza sono stati inseriti degli obblighi ben precisi con il decreto legislativo n. 33 del 2013 del 2009 e la delibera n. 40 del 2015) (anac) i quali sanciscono che all'Autorità spetta irrogare le sanzioni (da 500 a 10000 euro);
   dal 2001 il nuovo codice dell'amministrazione digitale ha spinto a migliorare la fruizione dei siti internet della pubblica amministrazione e in questo senso sono state emanate le «linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni» e numerosi vademecum operativi in dettaglio;
   in materia di privacy si ricordano le delibere del Garante n. 88 del 2011 e n. 243 del 2014 –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere alla luce delle problematiche evidenziate in premessa.
(4-09444)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1992 l'Italia ha messo al bando la lavorazione, l'importazione e la commercializzazione di amianto;
   a quanto risulta dal documento del Governo indiano – Indian Minerals Yearbook 2012 (Part – III: Mineral Reviews) 51st Edition ASBESTOS (FINAL RELEASE) – l'Italia è tuttora il primo importatore di amianto dall'India, avendo continuato a comprare e vendere questo materiale fino allo scorso anno;
   durante la puntata di Report andata in onda il 7 giugno 2015, è stata trasmessa l'inchiesta giornalistica del dottor Giorgio Mottola che conferma quanto già segnalato dall'avvocato Ezio Bonanni, presidente dell'osservatorio nazionale amianto, nel corso della sua audizione alla commissione lavoro del Senato della Repubblica lo scorso 13 gennaio 2015, circa il fatto che in Italia l'importazione di amianto sia perdurata fino ai tempi più recenti, con utilizzo in forma di materia prima e quindi con maggiore esposizione per lavoratori e cittadini;
   secondo i dati dei registri dell'Agenzia delle dogane, nel solo biennio 2011-2012, l'Italia avrebbe importato dall'India 1.040 tonnellate di amianto;
   il presidente dell'Osservatorio nazionale amianto Ezio Bonanni, ha recentemente dichiarato che l'amianto si usa ancora oggi in alcuni contesti del settore militare, edile e in alcune aziende chimiche, dimostrando come, in Italia, il mercato dell'amianto sarebbe ancora particolarmente attivo, anche sul versante delle esportazioni;
   secondo il presidente dell'Osservatorio nazionale amianto, l'amianto può essere facilmente importato in Italia, anche attraverso siti internet, ed è presente anche in alcuni prodotti che provengono dai mercati asiatici;
   secondo l'inchiesta giornalistica di Report, il nostro Paese avrebbe infatti esportato questo materiale fino al 2014, nonostante il divieto, importandolo anche da Stati Uniti e Cina. Amianto che sarebbe presente anche in alcuni elicotteri in uso dalla Guardia di finanza, gli AB412, A109, NH500 prodotti dalla Augusta Westland, partecipata di Finmeccanica, che fornisce elicotteri a tutti i corpi armati dello Stato;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, intervistato dal dottor Giorgio Mottola di non essere a conoscenza di queste vicende –:
   se e quali aziende soggette a vigilanza, operanti in quali settori, risultino interessate dalla compravendita e dell'utilizzo di amianto nel periodo compreso dall'entrata in vigore del divieto di lavorazione, importazione commercializzazione fino ad oggi;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per impedire il protrarsi della prassi di lavorazione, importazione e commercializzazione di amianto. (5-05789)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426 recante «Nuovi interventi in campo ambientale» individua Brindisi come sito di interesse nazionale (SIN) per la bonifica e il decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 definisce il perimetro dello stesso sito con la possibilità di estensione dell'area da bonificare qualora, a seguito di future caratterizzazioni, le aree inquinate risultassero oltre il confine stabilito;
   con successivo accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale in Puglia, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi, si sono definiti gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Brindisi;
   l'area, oggetto di interesse, prende il nome dalla società Micorosa srl che nel 1992 l'acquista dal gruppo Montedison per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati e la produzione di calce idrata, prima della chiusura e del fallimento della società stessa. Tale area risulta un'enorme discarica di fanghi chimici che si trova tra il perimetro della fabbrica e la spiaggia delle Saline di Punta della Contessa, al confine con l'omonimo parco regionale;
   nella nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011, si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il sito in questione. Ne è seguita una controversia davanti al giudice amministrativo circa aspetti attinenti alla competenza nell'emanazione dei provvedimenti oggetto di impugnativa rispetto ai quali sussisteva la competenza del Ministero e non della provincia;
   successivamente un accordo di programma quadro per la bonifica e messa in sicurezza della zona è stato sottoscritto dai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla regione Puglia e dopo è stata stipulata una convenzione funzionale all'espletamento delle attività finalizzate a garantire il risanamento ambientale;
   è proseguito l’iter amministrativo sugli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda dell'area di Micorosa, per cui il comune di Brindisi ha avviato le procedure di affidamento dell'attività di verifica del progetto definitivo (elaborato da Sogesid Spa) e di quello esecutivo (di competenza dall'azienda che si aggiudicherà l'appalto) che riguardano tali opere;
   le opere sarebbero state finalizzate alla bonifica di un'enorme distesa di rifiuti costituiti da idrossido di calce, sode clorurate e scarti provenienti da un clorosoda, includendo una serie di misure (impermeabilizzazione superficiale dell'intero corpo rifiuti, finalizzata a impedirne la lisciviazione da parte delle acque di infiltrazione meteorica; la realizzazione di pozzi di emungimento posti a monte idraulico del diaframma con la funzione di controllo dell'altezza della falda; barriere idrauliche, realizzate mediante pozzi di emungimento in corrispondenza dei confini nord e sud/sud-ovest della proprietà Micorosa, con la finalità di controllo dell'altezza della falda; un impianto di trattamento delle acque di falda drenate dai pozzi con le relative opere di adduzione e di scarico; la piantumazione di alberi e arbusti idro-esigenti per rinaturalizzare i luoghi e tenere sotto controllo in modo naturale l'eventuale impaludamento; opere di difesa delle opere di messa in sicurezza della falda, dalle azioni erosive determinate dalle mareggiate; opere di raccolta e allontanamento delle acque meteoriche dall'impermeabilizzazione, compreso scarico a mare; un sistema di monitoraggio delle acque con la doppia funzione di verificare, da un lato, l'efficacia dell'intervento e, dall'altro, di controllare che le aree naturali e agricole limitrofe non siano raggiunte dalla contaminazione);
   allo stato, tuttavia, il riferimento è al «tombamento» dell'area interessata per cui i fanghi chimici non si muoveranno da lì con implicazioni allarmanti sotto un profilo ambientale;
   ad oggi, inoltre, la procedura è oggetto di impugnazione presso il Tar di Lecce, per illegittimità dell'affidamento, in specie, per il ribasso del 74 per cento, con la particolare contestazione della fase di verifica dell'anomalia dell'offerta e la scarsa trasparenza delle procedure di gara. Eppure si tratta di un intervento da cui dipendono la salute dei cittadini e la sicurezza dell'ambiente. Questioni per le quali non si dovrebbe andare al massimo ribasso, anche in considerazione degli ingenti stanziamenti pubblici sull'area interessata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa fornire informazioni circa la procedura amministrativa instaurata per i progetti di bonifica della discarica cosiddetta Micorosa, con peculiare riferimento alla regolarità della stessa;
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni sui contenuti progettuali e, nello specifico, se si intenda avallare la scelta del tombamento della discarica stessa;
   se il Ministro interrogato possa dar conto degli stanziamenti previsti e disposti in favore della tutela dei luoghi indicati;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per la tutela della cittadinanza locale e la prevenzione delle patologie connesse all'inquinamento e, se del caso, disporre un'indagine epidemiologica;
   se intenda provvedere alla pubblicazione di ogni documentazione relativa alla questione in discorso e in generale del SIN di Brindisi, in ottemperanza agli obblighi di legge sulla pubblicità delle informazioni ambientali. (4-09426)


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, SEGONI, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, FRUSONE e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 marzo 2013 la giunta comunale di Gallicano nel Lazio (Roma) con delibera n. 32 ha approvato il progetto preliminare per la realizzazione di un cimitero comprensoriale da 120.000 loculi, attraverso un project financing che prevede un investimento iniziale di circa 50.000.000 euro (primo stralcio) e un totale di circa 160.000.000, da realizzare nella tenuta Agro-Patrimoniale di Passerano per una superficie di 60 ettari;
   sul quotidiano on-line Il Fatto Quotidiano del 4 maggio 2013 il giornalista Luca Teolato scrive un articolo sulla vicenda della proposta di finanza di progetto per la realizzazione del cimitero a carattere comprensoriale «Papa Giovanni Paolo II» in Gallicano nel Lazio (RM) sottolineando che «... sorgerà, tra l'altro, sulla tenuta agricola di Passerano sottoposta a vincolo ambientale dalla Regione Lazio, considerata l'ultimo polmone verde alle porte di Roma Est, pezzo di rilevanza storica dell'Agro Romano...» (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   mal si comprende l'opportunità di stravolgere la naturale vocazione agricola e zootecnica di un territorio costruendo un cimitero di 120.000 loculi per un paese che conta, a mala pena, 6.000 abitanti;
   a proporre la colata di cemento che sottrarrà 63 ettari di verde ai mille della tenuta di Passerano è un'associazione temporanea d'impresa (Ati) nella quale figura anche l'AET srl di cui diviene socio di maggioranza il 19 marzo 2013 Giovanni Veroni, all'epoca presidente del consiglio comunale di Gallicano nel Lazio, che ha proposto al comune di costruire, con capitale privato, il mega cimitero in cambio di una concessione trentennale, con l'obiettivo di recuperare l'investimento attraverso i ricavi di gestione, come scritto nel bando di gara, «derivanti dalle future vendite», in sostanza la cessione dei loculi;
   l'area individuata per la realizzazione del cimitero comprensoriale, precisamente località Pian dei Quadri, sita all'interno delle tenuta agro-patrimoniale di Passerano, risulta essere sottoposta a vincoli di PTPR, ovvero:
    Tavola A – paesaggio agrario di rilevante valore;
    Tavola B – area agricola identitaria, agro tiburtino-prenestino (articolo 42 L.R. 24/98);
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative al fine di valutare che il progetto di cui in premessa non siano in contrasto con la presenza di vincoli di carattere ambientale, paesaggistico, idrogeologico e per la tutela dei beni di interesse culturale, anche alla luce dello straordinario valore del Castello di Passerano, una fortezza del XIV secolo appartenuta a famiglie patrizie romane, ma dell'area archeologica di Gabii, con il tempio di Giunone Gabina, nonché di altri ritrovamenti archeologici e studi che rendono la zona particolarmente ricca di storia;
   se sia stato acquisito nel procedimento di approvazione del progetto di project financing il parere delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini così come previsto dalla legge n. 241 del 1990. (4-09431)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LIUZZI. —Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere — premesso che:
   il comune di Venosa rappresenta dal punto di vista artistico e culturale uno dei centri più importanti della Basilicata, sia per la ricchezza di testimonianze storiche sia per la particolarità delle stesse;
   nell'ottica di una promozione del turismo e della cultura, anche alla luce di Matera 2019, dovrebbe essere interesse di tutte le istituzioni locali valorizzare il più possibile il patrimonio artistico e culturale di Venosa;
   di fatto, da anni la situazione dei monumenti di Venosa si caratterizza per una gestione inadeguata da parte di chi dovrebbe occuparsi non solo della conservazione ma anche della promozione;
   in particolare, si assistono a continui problemi per l'apertura e la fruibilità di importantissimi monumenti quali le catacombe ebraiche, il sito paleolitico di Notarchirico, completamente abbandonato e privo delle adeguate misure di sicurezza per una adeguata fruibilità, nonché il parco archeologico interdetto al pubblico nelle ore pomeridiane;
   con riferimento al parco archeologico dalla seconda metà di marzo a.c., dopo aver soppresso temporaneamente il turno notturno del personale addetto ai servizi di vigilanza presso il Museo di Venosa, è stato possibile aprire il parco anche nel pomeriggio. Dal 1o giugno 2015, però, si è ritornati allo status quo, con i turni notturni ripristinati e la chiusura del Parco archeologico durante le ore pomeridiane;
   il personale addetto ai servizi di vigilanza della sede di Venosa è composto da numero 15 unità a fronte di 5 siti da gestire in concreto (Museo; Parco archeologico; Anfiteatro romano; Catacombe ebraiche; Parco paleolitico di Notarchirico), mentre la vicina sede di Melfi dispone di n. 13 unità (addetti ai servizi di vigilanza) per un solo sito (Museo archeologico all'interno del castello federiciano);
   negli ultimi anni il personale dislocato presso la sede di Venosa ha visto una diminuzione a causa di pensionamenti e/o trasferimenti, passando dalle iniziali 22 unità alle attuali 15;
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014 attuata dall'attuale Ministro interrogato, prevede la coesistenza su uno stesso territorio di due organismi (soprintendenza archeologia e polo museale) rispetto ai quali non sono ancora state specificate le relative competenze. Ai sensi della normativa suddetta, alcuni importanti musei italiani non sono stati considerati «di rilevante interesse nazionale» e sono stati inseriti soltanto nella lista dei poli Museali, non potendo tra l'altro dotarsi dell’«autonomia speciale». Per i tanti musei minori altrettanto importanti, il pericolo è ancora più grave: isolati da quelli maggiori, potrebbero restare senza adeguate risorse finanziarie e senza progetti. La riforma non enuncia chiaramente come si intenda strutturarli, finanziarli, rilanciarli e genera una struttura – a detta dell'interrogante – eccessivamente accentrata, con ben 12 direzioni generali, con il rischio di una sovrapposizione di competenze come nella fattispecie della città di Venosa;
   tale situazione genera confusione e problemi burocratici che gli operatori del settore sono costretti a riscontrare quotidianamente e che con il passare dei mesi fanno sentire i loro effetti sulla situazione già precaria dei luoghi della cultura gestiti dal Ministero;
   allo scenario sopra descritto segue un'incertezza generalizzata che non permette la predisposizione di una seria programmazione, costringendo ad azioni non coordinate e spesso frutto dell'iniziativa privata dei Soprintendenti e dei responsabili delle sedi periferiche;
   nel caso specifico, non si comprendono le ragioni che hanno indotto la soprintendenza a ripristinare i turni notturni presso il Museo del Comune di Venosa a discapito della apertura pomeridiana del Parco archeologico, soprattutto se si considera che il Castello (all'interno del quale è ubicato il Museo) resta comunque chiuso ed interdetto alle visite durante le ore serali e quindi non vi è alcun vantaggio per il turismo cittadino;
   non si comprende quale programmazione vi sia e quale idea di promozione turistica, culturale si celi dietro tali scelte;
   le possibili soluzioni ai problemi sollevati sono molteplici e in particolare si evidenzia la possibilità di intervenire su due fronti: a) spostamento personale presso la sede di Venosa; b) adeguamento degli impianti antifurto ed antincendio del Museo con conseguente attivazione del personale interno o affidamento dei controlli a vigilanza esterna –:
   come intenda intervenire al fine di promuovere il patrimonio culturale e artistico della città di Venosa e delle città italiane che si trovano nella medesima situazione della città lucana;
   come intenda intervenire per chiarire e semplificare le procedure decisionali per una seria programmazione e coordinamento con gli enti locali coinvolti;
   quali siano le ragioni di tali scelte operate dalla sovrintendenza della città di Venosa e se intenda intervenire per richiamare i soggetti interessati, allo svolgimento dei loro doveri. (5-05781)


   PIAZZONI, MICCOLI e PILOZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 14 maggio 2015 alcuni lavoratori degli studi cinematografici di Cinecittà hanno dato luogo ad una manifestazione di protesta, arrivando ad occupare una torre all'interno degli studios, per rilanciare l'attenzione sulla loro difficile situazione lavorativa e chiedere chiarimenti sullo stato d'incertezza in cui versa il futuro dell'azienda;
   nello specifico: 38 lavoratori del settore sviluppo, afferenti a Cinecittà Digital Factory – ramo d'azienda costituito nel 2009 da Cinecittà Studios trasferendo il personale impiegato nel ramo post-produzione – hanno visto esaurirsi procedura di cassa integrazione il giorno 28 aprile e, nel mese di febbraio, era loro già stato comunicato l'avvio di procedura di licenziamento collettivo; 54 lavoratori del settore digitale e audio – trasferiti nel 2012 a seguito di affitto di ramo d'azienda alla Deluxe Italia Holding – permangono in attesa di giudizio data la messa in liquidazione volontaria della stessa società a partire dal 2014; 110 lavoratori di Cinecittà Studios permangono dal gennaio 2013 in contratto di solidarietà – cui è stata chiesta proroga di due anni nel dicembre 2014 – e per cui si profila una riorganizzazione strutturale con 50 esuberi. Nel mese di aprile è stata avviata procedura per il reintegro del Ramo Post-Produzione Audio e Video in Cinecittà Digital Factory facendo ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria;
   in merito ai 38 lavoratori afferenti al ramo d'azienda Cinecittà Digital Factory, presso la Regione Lazio, i giorni 31 marzo, 28 aprile, 12, 21 e 25 maggio 2015, è stata esaminata congiuntamente dalle parti la situazione aziendale, ai sensi degli articoli 4, commi 5 e 7 della legge n. 223 del 1991, senza tuttavia addivenire ad un accordo in merito al piano di salvaguardia occupazionale prospettato dall'azienda;
   tale piano, presentato il giorno 22 maggio 2015 dalla società Digital Factory alle organizzazioni sindacali prevede il ricorso alla cassa integrazione straordinaria a zero ore, per 24 mesi a decorrere dal giorno 8 giugno 2015. Il ricorso a tale strumento è motivato ad esigenze di riorganizzazione e rilancio del settore, per cui viene previsto un investimento quantificato attorno al milione di euro per l'ammodernamento dei macchinari e dei software e la formazione e riqualificazione professionale;
   le RSU hanno espresso totale contrarietà alla mancata prospettazione, da parte dell'azienda, di una soluzione alternativa alla procedura di licenziamento collettivo comunicata l'11 febbraio 2015 e sopra richiamata, nonché al mancato finanziamento del secondo anno di CIGS, e al depauperamento delle attività legate al CCNL del settore Cineaudiovisivo. Le stesse RSU si «sono dette disposte a valutare un progetto complessivo sull'Area Sviluppo, sinergico e non sostitutivo al core business di Cinecittà, appellandosi agli impegni assunti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la salvaguardia dei livelli occupazionali con Accordo del 4 dicembre 2012 e alla necessità – tutelare le professionalità dei lavoratori;
   dal 25 maggio sono pervenute a diversi lavoratori afferenti al ramo d'azienda Cinecittà Digital Factory comunicazioni dell'azienda di risoluzione del rapporto di lavoro a partire dal giorno successivo e collocazione in mobilità. Sempre il 25 maggio ulteriore comunicazione della società intimava ad altri lavoratori la messa in ferie, con effetto retroattivo a partire dal giorno 15 maggio, quest'ultima motivata dall'assenza di commesse;
   il giorno 27 maggio la stessa azienda comunicava alle RSU la messa in ferie o in permesso di tutto il personale, sempre motivata dall'assenza di carichi di lavoro, negando allo stesso l'accesso in azienda, eccetto quello espressamente autorizzato e manifestando la volontà di non prendere in considerazione alcuna prestazione lavorativa al di fuori di quelle esplicitamente consentite. Le stesse organizzazioni sindacali hanno denunciato l'avvenuto blocco di buste paga e stipendi;
   questa situazione è strettamente legata alle vicende che, dal 1997, hanno caratterizzato la privatizzazione degli studi cinematografici e delle attività di Cinecittà, passate in capo ad una partnership privata guidata da Luigi Abete. In particolare, a partire dal 2012, a causa dell'annuncio di ristrutturazione per stato di crisi delle aziende Cinecittà Studios e Cinecittà Digital Factory, si è aperta una lunga vertenza sindacale, che ha determinato uno sciopero continuativo di novanta giorni;
   il 4 dicembre 2012, come sopra citato, è stato firmato un Accordo tra il Ministero dei beni e delle attività culturali, rappresentanti aziendali e parti sociali per la tutela del comprensorio di Cinecittà e delle attività ivi svolte. Tale accordo non ha tuttavia prodotto l'auspicato rilancio delle produzioni, dando luogo alla situazione sopra descritta;
   la situazione degli Studios di Cinecittà è stata seguita con attenzione dal Ministro interrogato. Già a partire dal mese di dicembre 2014 si è svolto un primo incontro presso il Ministero dei i beni delle attività culturali e del turismo, allo scopo di esaminare le problematiche concernenti Cinecittà, cui ha fatto seguito apposito Atto di indirizzo emanato dallo stesso Ministero per il rilancio del comprensorio, a partire dalla nascita del Museo del Cinema;
   successivamente, il 16 febbraio 2015, presso la sede della Direzione generale per il cinema, si è tenuta una riunione tra il direttore generale per il cinema e i rappresentanti sindacali di Cinecittà Studios riguardo la situazione occupazionale. All'esito della riunione è stata evidenziata la necessità di affrontare due punti critici: il ritardo nell'attuare una partnership con la Rai per un progetto finalizzato a preservare e potenziare la valenza culturale, industriale e professionale dell'intero comprensorio di Cinecittà e l'accentuarsi della gravità della situazione occupazionale nel ramo d'azienda Laboratorio sviluppo e stampa, culminata poi nelle vicende sopra descritte;
   per far fronte alle criticità elencate il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha compiuto passi significativi, concedendo a Cinecittà Studios la possibilità di rateizzare in 8 anni il debito di 5 milioni di euro contratto con l'Istituto Luce (società ad intera partecipazione del Ministero dell'economia e delle finanze che detiene il 20 per cento di Cinecittà Studios). Il Ministero si è inoltre impegnato a investire sul sito produttivo 7 milioni di euro (prevedendo l'inserimento nel programma di 2 anni di contratti di solidarietà di 90 dipendenti per ridurre il costo del lavoro) e a ridurre sensibilmente il canone di affitto sulle strutture verso la restituzione di 4 teatri di posa;
   nonostante lo sforzo profuso dal Ministero e il ritorno negli studi cinematografici di varie produzioni nazionali e alcune produzioni internazionali — grazie all'apporto delle agevolazioni fiscali riconducibili al tax credit — l'azienda non ha dato luogo a una nuova politica occupazionale e ha continuato a depauperare il tessuto produttivo;
   risulta evidente agli occhi degli interroganti la situazione di stallo nel rilancio del settore e la diversità di vedute circa gli indirizzi di sviluppo produttivo, legati al core-business, tracciati dal Ministero e quelli perseguiti dalla società IEG (detentrice dell'80 per cento di Cinecittà Studios) che sembra più orientata alla realizzazione di un importante investimento immobiliare (già previsto dal 2010, per cui veniva annunciata la volontà di stanziare 170 milioni di euro in tre anni) che allo sviluppo delle attività di core e alla valorizzazione delle competenze professionali dei lavoratori –:
   se il Ministro non ritenga opportuno convocare al più presto un tavolo di confronto tra la società e le organizzazioni sindacali per riaprire il dialogo tra le parti e individuare le soluzioni più idonee per la tutela dei livelli occupazionali;
   se il Ministro non intenda verificare le reali intenzioni della società IEG in merito al rilancio di Cinecittà Studios nelle attività di produzione cinematografica e strettamente connesse;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di salvaguardare il patrimonio culturale, produttivo e professionale del sito, incrementando lo sviluppo delle attività del comprensorio. (5-05784)


   LUIGI GALLO, MARZANA, FRUSONE, SORIAL, COLLETTI, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, DELL'ORCO e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come già evidenziato dall'interrogante nell'atto di sindacato ispettivo n. 5/04763, «Arte lavoro e servizi — Ales S.p.A.» è una società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che realizza le attività di sua competenza attraverso questo organismo senza ricorrere al mercato per procurarsi (mediante appalti) i lavori, i servizi e le forniture ad essa necessaria;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, azionista unico di Ales spa e detentore del 100 per cento del capitale, in base all'articolo 19 dello statuto della società stessa, detta mediante il Consiglio d'amministrazione o l'amministratore unico le linee guida anche vincolanti da seguire ed effettua tre tipi di controllo: economico, amministrativo/gestionale ed ispettivo;
   sempre in base all'articolo 19 dello statuto di Ales spa, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per il tramite della direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale ed il «comitato di controllo analogo» il quale ne costituisce emanazione, esercita attività di controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi direttamente svolti, nonché in ogni caso, sui singoli contratti oggetto di affidamento da parte della Società che eccedano i 10.000 (diecimila) euro al netto di IVA, a prescindere dalla propria natura e tipologia;
   il 24 ottobre 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato si è espressa in merito alla possibilità che la società Ales spa, sulla base dell'ampiezza e della natura delle attività ricomprese nell'oggetto sociale della stessa (come descritto nell'articolo 3 dello Statuto della società), abbia una «potenziale vocazione commerciale basata sul rischio di impresa, suscettibile quindi di condizionare le scelte strategiche della società stessa, distogliendola dalla cura primaria dell'interesse pubblico di riferimento», come, peraltro, evidenziato anche dalla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nella deliberazione n. 67 dell'Adunanza del 6 luglio 2011;
   Ales spa, secondo quanto appreso dagli ultimi aggiornamenti pubblicati tutti in data 17 febbraio 2015 sulla pagina «Bandi di gara e contratti» del sito web della società stessa, ha pubblicato l'assegnazione di ben diciannove incarichi, tutti con procedure di acquisizione in economia, dalle ore 10:09 alle ore 11:21;
   in seguito ad analisi di tali assegnazioni rese pubbliche nell'intervallo di 72 minuti da parte di Ales spa, sono stati aggiudicati, nello specifico, tre incarichi mediante affidamento diretto, tutti per «servizio di somministrazione lavoro a tempo determinato» (CIG: ZF712FCE9B, Z9B12FCE52 e ZBF12FCE38) e facenti riferimento allo stesso periodo di completamento, con data di inizio 1o febbraio 2015 e data di ultimazione 30 aprile 2015, a favore di tre società: «Kelly Services», «Articolo 1» ed «Etjca Spa»;
   l'importo di ciascuna delle tre succitate aggiudicazioni, aventi tutte lo stesso oggetto e facenti riferimento allo stesso periodo di lavoro, ammonta a 39.000 euro;
   l'utilizzo dello strumento dell'acquisizione in economia mediante affidamento diretto è possibile solo in riferimento a importi inferiori alla soglia di 40.000 euro;
   le procedure di evidenza pubbliche obbligano la stazione appaltante al rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, oltreché la consultazione di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato, con la procedura di affidamento mediante cottimo fiduciario, ai sensi dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   sempre a proposito delle aggiudicazioni eseguite da Ales spa in data 17 febbraio 2015, analizzando gli affidamenti di tipo assicurativo, tutti aventi tempi di completamento pressoché simili e finalizzati a stipulare polizze per l'anno 2015, e sommando gli importi di tutti i servizi richiesti della stessa categoria (assicurativa), l'ammontare supera i 40.000 euro;
   si ricorda che il ricorso a procedure di acquisizioni in economia di lavoro, beni e servizi deve essere opportunamente motivata e che la mancata motivazione, pertanto, costituisce una ingiustificata sottrazione di questi affidamenti alle ordinarie procedure concorsuali (deliberazione Avcp n. 4/2009); il ricorso al cottimo fiduciario, inoltre, deve essere preceduto dalla determina o decreto a contrattare di cui all'articolo 11 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni;
   in base a quanto si apprende nel verbale di assemblea tenutasi il 16 aprile 2014 presso la sede della Direzione Generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, è stato riconfermato al professor Giuseppe Proietti, segretario generale in quiescenza presso lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il mandato di amministratore unico di «Arte lavoro e servizi — Ales S.p.A.» per il prossimo triennio dal direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, dott.ssa Annamaria Buzzi, sorella di Salvatore Buzzi, fondatore della celebre cooperativa «29 giugno» e arrestato lo scorso 3 dicembre nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale»;
   il ruolo di amministratore unico è stato, nell'occasione sopra descritta, assegnato al professor Giuseppe Proietti soltanto due mesi prima dell'approvazione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che, all'articolo 6, esprime il divieto di attribuire incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, estendendo quanto previsto dall'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   ai sensi di tale articolo, il succitato divieto, oltre all'ambito soggettivo, viene esteso anche all'ambito oggettivo di applicazione con la previsione secondo cui le amministrazioni non possono attribuire ai medesimi soggetti incarichi di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate o cariche in organi di governo delle amministrazioni;
   l'amministratore unico della società Ales spa, professor Giuseppe Proietti, in qualità di dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai tempi dei fatti di seguito descritti, come riportato da numerose testate giornalistiche, risulta coinvolto, insieme ad altri alti funzionari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell'indagine erariale condotta dalla Corte dei conti della Campania sulla vicenda del restauro del teatro grande e sugli altri presunti sprechi di fondi pubblici avvenuti nella gestione degli scavi di Pompei che, di recente, ha anche portato al sequestro di circa 6 milioni di euro di beni di proprietà di Marcello Fiori, ex commissario straordinario degli scavi di Pompei nel periodo 2008-2010;
   il professor Giuseppe Proietti, amministratore unico della società Ales spa, come dichiarato dallo stesso nel proprio curriculum vitae, risulta, inoltre, ad oggi essere impegnato, in qualità di responsabile, in diversi progetti internazionali in corso di esecuzione (dal 2003: responsabile degli studi per il Piano italo-cinese di restauro della Sala del Trono della Città Proibita di Pechino; dal 2004: responsabile del Progetto italo-egiziano per il nuovo allestimento del Museo Nazionale del Cairo; dal 2005: responsabile del Progetto italo-iraniano per il restauro della Fortezza di Bam, responsabile del Progetto italo-indiano per il restauro dei monumenti dipinti di Ajanta ed Ellora; dal 2007: responsabile del Progetto italo-iracheno per il recupero dei Musei di Nassirijah, Diwanijah, Najaf, responsabile del Progetto italo-israeliano per il restauro dei Rotoli del Mar Morto; dal 2009: Responsabile del Progetto italo-iraniano per il restauro del Monumento Funerario di Ciro il Grande a Pasagardae);
   a quanto sopra esposto, si aggiunge la carica politica di sindaco della città di Tivoli che il professor Giuseppe Proietti riveste dall'11 giugno del 2014;
   tali incarichi, con l'aggiunta di quello politico, pongono il dubbio di una possibile incompatibilità del professor Giuseppe Proietti con gli impegni e l'autorità che scaturiscono dall'attività di amministratore unico di Ales spa –:
   con quali modalità e in quali circostanze il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha inteso o intenda esercitare il proprio controllo economico, amministrativo/gestionale e ispettivo sulla società Ales spa, con specifico riferimento agli affidamenti diretti di cui esempi recenti risalenti al 17 febbraio 2015 sono riportati in premessa;
   se non ritenga opportuno un intervento di revisione e modifica dello statuto di Ales spa in modo da garantire l'esclusivo svolgimento di attività compatibili con la natura in house della società;
   se non ritenga inopportuni e incompatibili il ruolo politico, gli incarichi di responsabilità nonché le indagini a suo carico risalenti al periodo in cui era dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, assunti dall'amministratore unico di Ales spa professor Giuseppe Proietti, anche alla luce del divieto di attribuzione di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza di cui all'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo in merito alle vicende descritte in premessa. (5-05788)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. —Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani italiani hanno scritto nei giorni scorsi delle ultime operazioni di recupero di migranti clandestini provenienti dall'Africa;
   in particolare, il Corriere della Sera di domenica 7 giugno 2015 ha riportato le frasi dell'ammiraglio Pierpaolo Ribuffo che, a bordo della fregata «Virginio Fasan» ha «salvato» detti clandestini a poca distanza dalle coste libiche, di fronte a Tripoli. Il Ribuffo dichiara tra l'altro che «sono 3228, (..) hanno affrontato una vera via crucis, ma ora sono qui, al sicuro. La cosa più bella è il loro sorriso di gratitudine, ma mi conquista anche l'espressione felice dei nostri marinai, perché stavolta è andata bene, li portiamo a casa tutti»;
   anche il tenente di vascello Catia Pellegrino, che, come riporta il giornale, su queste vicende è addirittura autrice di un libro «la scelta di Catia», nel medesimo articolo de il Corriere di che la stessa guarda il mare che è una tavola e prevede nuove imminenti partenze dalla Libia dichiarando «ma, noi siamo qua, sempre pronti, dice orgogliosa»;
   l'immigrazione clandestina è contrastata in tutti i Paesi del mondo e dell'Europa;
   al di là del naturale sentimento di salvataggio di un uomo in mare proprio dei marinai, l'Italia sta vivendo un vera e propria emergenza provocata dall'immigrazione clandestina infatti solo una piccola percentuale è effettivamente da dichiararsi «profugo», mentre la stragrande maggioranza non fugge da teatri di guerra;
   naturalmente non è possibile accogliere tutti i milioni di africani che vogliono migrare senza controllo alcuno nel nostro Paese;
   compito precipuo dei componenti la Marina militare e quello della salvaguardia e del controllo dei confini e delle coste italiane;
   non è pensabile spingere la  flotta italiana fino a ridosso delle coste libiche, incentivando così in qualche modo le partenze dei clandestini che sanno che a poca distanza ci sono già le navi italiane che «li salveranno» –:
   se i Ministri in interrogati siano a conoscenza delle dichiarazioni rilasciate da alti ufficiali della Marina Militare;
   se sia previsto l'avvicinarsi sino a poca distanza dalle coste libiche, così da far svolgere quella che all'interrogante appare una umiliante funzione di «taxi dei mari» alle navi della Marina militare;
   se non intendano assumere iniziative verso quei militari della Marina, che si spingono a rilasciare dichiarazioni in favore degli immigrati clandestini in un momento di così grave crisi del popolo italiano ed anche in funzione del doveroso contrasto alla stessa immigrazione clandestina. (4-09432)


   RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da un articolo giornalistico pubblicato su «La Guida» di Cuneo nel novembre 2014, un artificiere in servizio presso il comando Brigata Alpina «Taurinense» – 2o Reggimento Alpini dislocato presso la caserma Vian di San Rocco Castagnaretta (Cuneo) ha denunciato la scomparsa di 13 chilogrammi di tritolo;
   il sergente Massimiliano Manca, – autore della denuncia, già artificiere di reparto impiegato in Bosnia Erzegovina, Albania, Kossovo, Iraq e Afganistan, massimo esperto di munizioni, nelle more delle sue responsabilità di «Utilizzatore della Riservetta» nonché di «gestore del Sottosistema Sige Munizioni» presso il 2o Reggimento Alpini aveva in passato segnalato diversi abusi accaduti al proprio comando e più volte presentato le criticità attraverso numerose istanze, nel rispetto della linea gerarchica al fine di sanare la situazione organizzativa-gestionale del reparto ma sembra che, il comandante di reparto colonnello Andrea Monti ometteva l'inoltro di specifiche istanze tecniche inviate dall'Artificiere Manca, al Ministero della Difesa e ad altri enti preposti;
   non avendo ricevuto nessun riscontro alle istanze con cui egli evidenziava le criticità del settore in merito egli chiedeva la revoca dall'incarico fino allora ricoperto addirittura al Ministro della difesa;
   successivamente non trovando riscontro alcuno alle proprie istanze, e riscontrando un ulteriore grave fatto, dava seguito alla segnalazione di sparizione del tritolo denunciando l'accaduto alla procura militare di Verona, che a quanto consta all'interrogante procedeva all'archiviazione della denuncia, e alla procura ordinaria presso il tribunale di Cuneo che diversamente apriva un fascicolo d'inchiesta attualmente ancora in corso;
   il sergente Manca, conseguentemente alle iniziative intraprese al fine di tutelare gli abitanti della zona limitrofe alla caserma Vian, il personale militare in servizio ed anche la sicurezza nazionale, visto che 13 chilogrammi di tritolo potrebbero essere utilizzati anche per scopi terroristici, ha ricevuto in questo periodo 5 (cinque) diversi provvedimenti disciplinari di Corpo e ben 47 quattro segnalazioni alla procura di Verona che, secondo quanto indicato nel ricorso gerarchico da egli ha presentato in data 3 dicembre 2014, sarebbero proprio stati e continuano ad essere perpetrati dal Comando del 2o Reggimento Alpini per non aver taciuto di fronte i rigetti delle istanze presentate successivamente al furto del tritolo –:
   se il Ministro sia a conoscenza del presunto furto del tritolo dalla riservetta munizioni del 2o Reggimento Alpini della Brigata Alpina «Taurinense»;
   se il Ministro intenda avviare, una volta accertato l'accaduto, un'indagine interna per individuare le responsabilità lungo la catena di comando per il grave avvenimento;
   se si intenda accertare l'operato del comando del 2o reggimento Alpini nei fatti accaduti anche alla luce delle denunce effettuate dal sergente Massimiliano Manca secondo quanto previsto dall'articolo 324, comma 7, del decreto-legge n. 66 del 2010 (codice ordinamento militare);
   se si possa rilevare una violazione di quanto raccomandato dal «manuale delle migliori prassi sulle munizioni convenzionali» dell'OSCE e di cui l'Italia ne è partecipe attivamente. (4-09438)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la regione Basilicata in data 30 giugno 2006 ha stipulato due contratti in derivati con gli istituti finanziari «Dexia Credito OP» e «UBS Investment», sulla base di un sottostante rapporto contrattuale di mutuo unico, per il valore finanziario complessivo di 281 milioni di euro aventi periodicità semestrale e scadenza al 31 dicembre 2019;
   i contratti derivati sottoscritti dalla regione Basilicata sono costati circa 32 milioni di euro fino a fine 2014, di cui 5.141.095,45 di euro nel solo 2014 e per il triennio 2015/2017 sono previste in bilancio ulteriori perdite che ammonterebbero ad altri 10 milioni di euro;
   la perdita massima possibile tra il 2015 e il 2019 se i tassi Euribor rimanessero nei pressi dello zero per tutto il periodo residuo, ammonta a circa 23 – 25 milioni di euro. Quindi per la Basilicata si continuerebbe a registrare flussi differenziali netti dalla regione verso le banche pari a 4,5 – 5 milioni per anno. Se così sarà, la perdita complessiva finale per la regione si collocherà dunque tra i 49 e i 53 milioni di euro;
   regioni, comuni e province coprono i propri debiti con 25,5 miliardi di strumenti derivati, pari al 23,8 per cento del totale, cioè quasi un quarto dello stock. Oltre la metà dei derivati è in mano alle regioni, con 14,8 miliardi di esposizione (pari al 28,1 per cento del debito totale di 52,8 miliardi, altri 8,1 miliardi sono in mano ai comuni (pari al 17,9 per cento del debito totale di 45,3 miliardi) mentre l'esposizione delle province si ferma a 2,6 miliardi (pari al 28,4 per cento del debito complessivo di 9,2 miliardi;
   nell'attività svolta dalle sezioni regionali di controllo sono state rilevate diverse violazioni, come contratti di finanza derivata caratterizzati da notevoli squilibri e aleatorietà sin dal momento della stipula, mentre altri contratti hanno prodotto flussi negativi che contribuiscono a creare una situazione di forte incertezza sulla tenuta degli equilibri di bilancio;
   le leggi finanziarie per il 2008 e il 2009 avevano diminuito drasticamente il ricorso all'utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte di regioni ed enti locali e improntato la sottoscrizione dei contratti a criteri di massima trasparenza, alla luce dei debiti accumulati dai diversi enti della pubblica amministrazione, compresa l'amministrazione sanitaria, pubblica e le aziende di trasporto, che hanno utilizzato fondi statali per acquisire strumenti derivati e simili titoli finanziari;
   il tema dei derivati è collegato a quanto avvenuto nel 2011; il downgrade anomalo del debito pubblico dell'Italia da parte delle agenzie di rating innescò la corsa al rialzo dello spread tra i rendimenti dei titoli decennali del debito pubblico italiano e i corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco;
   la Corte dei Conti è intervenuta più volte sul problema e nell'audizione a maggio presso la Commissione finanze della Camera ha ricordato di essere impegnata da anni sul fronte dei derivati utilizzati dagli enti; che hanno evidenziato profili di criticità piuttosto elevati, considerata sia l'incidenza di tali strumenti sullo stock complessivo del debito sia l'inadeguatezza degli apparati preposti alla loro gestione;
   l'effettivo rischio di future perdite per la Basilicata e le altre regioni, in virtù degli swap sottoscritti è chiaramente condizionato dall'andamento futuro dei tassi di interesse, posto che la congiuntura in atto, e le conseguenti misure straordinarie di «allentamento» monetario poste sinora in essere dalla BCE per far fronte alla grave crisi economica, rendono possibile che il livello degli stessi si mantenga basso per i prossimi mesi, ovvero, che, cionondimeno, si presentino del pari concreti i rischi di innalzamento improvviso degli stessi, per via della eventuale, mancata soluzione della crisi greca –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per valutare l'appropriatezza delle clausole contrattuali stipulate ed impedire che l'andamento favorevole dei tassi di sconto si trasformi in una penalizzazione per la finanza pubblica ed in un onere per i bilanci delle regioni e della Basilicata. (5-05779)


   PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   arriva Italia, società del gruppo Deutsche Bahn AG, è concessionaria — Partner People Mobility di Expo 2015 e in questa veste ha in gestione il servizio di parcheggi pertinenti alla manifestazione;
   i visitatori di Expo 2015 hanno a disposizione quattro parcheggi, disponibili esclusivamente su prenotazione: Merlata (adiacente all'accesso Sud Merlata), Arese (collegato con navetta gratuita con l'accesso Est Roserio), Fiera Milano (collegato con navetta gratuita con l'accesso Ovest Fiorenza), Trenno (collegato con navetta gratuita con l'accesso Est Roserio);
   agli utenti che si rivolgono al servizio informazioni di detta società per prenotare un posto nei parcheggi per mezzi quali gli autocaravan, viene sistematicamente comunicata l'impossibilità di pernottare all'interno delle aree di parcheggio adducendo motivazioni legate alla sicurezza;
   una serie costante di interpretazioni in tal senso fornite dai Ministeri competenti e, segnatamente, la nota prot. 31543/2007 del Ministero dei trasporti e nota prot. 277/2008 del Ministero dell'interno, hanno ribadito che «pare [...] alquanto inverosimile che il solo veicolo “autocaravan” possa rappresentare con la sua circolazione sul territorio una turbativa all'ordine e alla sicurezza pubblica»;
   l'associazione nazionale coordinamento camperisti in un appello reso pubblico dopo i primi giorni di apertura della manifestazione e i dinieghi ottenuti, ha invitato i propri aderenti e simpatizzanti a «non premiare Expo» con la propria presenza, e ha sottolineato inoltre la discriminazione che colpisce i visitatori disabili che dovessero giungere in autocaravan anziché in automobile o con altri mezzi di trasporto, obbligandoli di fatto a usufruire di parcheggi diversi e lontani da quelli di pertinenza della manifestazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra;
   se non ritenga di intervenire presso Expo 2015 sensibilizzandola verso un accoglimento delle istanze dei camperisti, permettendo loro di soggiornare con i loro automezzi anche la notte nei parcheggi di pertinenza della manifestazione, favorendo così un ampliamento della base di potenziali visitatori. (5-05783)


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO e COLONNESE. —Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2015 il direttore dell'Agenzia delle entrate dispone l'avvio di una selezione pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato di ottocentonovantadue unità, per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale funzionario, per attività amministrativo-tributaria;
   il bando, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 15 del 24 febbraio 2015, prevede che la procedura di selezione sia strutturata in tre fasi: a) prova oggettiva attitudinale; b) prova oggettiva tecnico-professionale; c) tirocinio teorico-pratico integrato da una prova finale orale;
   la prova oggettiva attitudinale consiste in una serie di quesiti a risposta multipla che mirano ad accertare il possesso da parte del candidato delle attitudini e delle capacità di base necessarie per acquisire e sviluppare la professionalità richiesta;
   i candidati all'atto della domanda di partecipazione, a pena di esclusione, devono indicare una sola sede tra Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto, per la quale intendono concorrere;
   il 21 aprile sul sito www.agenziaentrate.gov è stato pubblicato il diario e la sede di svolgimento della prova oggettiva attitudinale; i concorrenti sono stati ripartiti secondo due criteri: la regione indicata nella domanda di partecipazione e l'ordine alfabetico; l'amministrazione ha comunicato che la lettera estratta è stata la «g»;
   la procedura ha avuto inizio il 7 maggio 2015, con i candidati che avevano scelto di concorre per la regione Lombardia, e si è conclusa il 18 maggio con i concorrenti di suddetta regione;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 1994, n. 487, prevede che il bando di concorso deve indicare le materie oggetto delle prove scritte e orali e il contenuto di quelle pratiche, ma nel suddetto bando di selezione non sono state previamente indicate dall'Amministrazione le materie, la tipologia, il numero di domande che sarebbero state oggetto della prova, ne tantomeno il tempo a disposizione dei candidati;
   i candidati il cui cognome iniziava con le lettere dalla «g» alla «l» hanno svolto la prova il primo giorno della selezione (7 maggio), privi di qualsiasi informazione;
   l'8 maggio differenti case editrici hanno pubblicato varie simulazioni formulate appositamente per la tipologia di test somministrata, essendo tale tipologia molto differente rispetto a quella assegnata ai precedenti concorsi indetti dall'agenzia; hanno informato sui tempi e sul numero di domande contenute nella prova e il punteggio attribuito a ciascuna di esse;
   il mancato rispetto dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 1994, n. 487, sembra aver leso irrimediabilmente la parità di trattamento e opportunità fra i candidati, violando la par condicio tra concorrenti;
   il combinato disposto degli articoli 3 e 97 della Costituzione disegna un preciso obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni discriminazione e arbitrio nell'attuazione dell'interesse pubblico;
   al momento dell'identificazione ai candidati sono state consegnate la scheda delle risposte, la scheda anagrafica già compilata e la linguetta staccabile con due codici a barre da apporre uno sulla scheda anagrafica l'altro sulla scheda delle risposte. La scheda anagrafica non è stata imbustata come neanche la scheda delle risposte; entrambe le schede sono state ritirate dagli addetti alla verifica;
   tale procedura sembrerebbe aver violato il comma 2 dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 che prescrive la consegna al candidato di due buste di eguale colore: una grande munita di linguetta staccabile ed una piccola contenente un cartoncino bianco. Il candidato, dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno, mette il foglio o i fogli nella busta grande. Scrive il proprio nome e cognome, la data ed il luogo di nascita nel cartoncino e lo chiude nella busta piccola. Pone, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e consegna al presidente della commissione o del comitato di vigilanza od a chi ne fa le veci;
   la procedura di imbustamento prescritta dalla legge tende a garantire l'anonimato dell'autore del test, ed impedire che la scheda con le risposte sia alterata/scambiata in danno o vantaggio di qualcuno. In particolare, proprio sulla violazione dell'anonimato il Consiglio di Stato ha ribadito più volte che «realizza in termini pratici principi e regole di dignità costituzionale. Dal che la sua indefettibilità in concreto» (infra multis Consiglio di Stato, n. 3743/2013). Ed ancora, è stato autorevolmente confermato che l'anonimato riveste un ruolo fondamentale nelle procedure concorsuali, rappresentando «il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione» (Consiglio di Stato, Ad. Plen. nn. 26-27-28/2013);
   secondo il punto 5.3 del bando sono ammessi alla prova oggettiva tecnico-professionale i candidati che riportano il punteggio di almeno 24/30 e rientrano in graduatoria nel limite massimo di cinque volte il numero dei posti per i quali concorrono, un criterio differente da quello previsto dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 che fissa in 21/30 la soglia dell'idoneità per l'ammissione alle prove scritte;
   il 18 maggio sul sito www.agenziaentrate.gov sono stati pubblicati gli elenchi in ordine di punteggio e alfabetico dei concorrenti per la regione Lombardia della prova oggettiva attitudinale; la soglia per essere ammessi alla seconda prova è stata elevata da 24/30 a 25,10/30 in quanto il bando prevede che entrano in graduatoria nel limite massimo di cinque volte il numero dei posti per i quali concorrono;
   il Consiglio di Stato, a seguito di un ricorso proposto da un partecipante alla selezione pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato di complessive 140 unità per la terza area funzionale fascia retributiva F1 profilo professionale funzionario tecnico dell'Agenzia delle entrate svolto nel 2014, ha emesso un'ordinanza in cui è affermato «appaiono suscettibili di migliore approfondimento nella competente sede di merito dinanzi al Tar, i profili di censura sollevati dalla ricorrente, odierna appellante, relativi alla ingiustificata limitazione dell'accesso alla seconda prova esclusivamente ai primi 500 candidati che avessero riportato il punteggio di 24/30 (posto che la ricorrente è stata esclusa dalla seconda prova pur avendo conseguito il punteggio di 24,481/30)» (Consiglio di Stato, Sez. IV, 1o aprile 2015, n. 1394) –:
   se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se i Ministri interrogati intendano o meno, e con quali mezzi, verificare la correttezza procedurale della selezione pubblica in questione e, qualora si dovessero riscontrare delle anomalie in merito alla selezione e svolgimento della prova, quali misure s'intendano mettere in atto, al fine di ripristinare una corretta ed imparziale procedura;
   se i candidati che abbiano svolto la prova il 7 e 8 maggio 2015 abbiano subito un pregiudizio dall'asserito mancato rispetto dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, e se sia stato rispettato il principio di parità di trattamento e opportunità fra i candidati. (5-05794)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso il tribunale di Caltagirone ormai da innumerevoli mesi sono presenti un numero di magistrati assai inferiore a quello previsto;
   come dichiarato dall'ordine degli avvocati di Caltagirone, nel comunicato stampa del 23 maggio 2015, «Il Presidente nominato non ha ancora preso possesso dell'Ufficio, il trasferimento di tre magistrati, sui tredici in pianta organica, sta per acquistare efficacia, il magistrato distrettuale a giorni esaurirà l'incarico, il Presidente di Sezione starebbe per lasciare Caltagirone». Da qui a qualche settimana potrebbero rimanere solo cinque magistrati. Il che importa la materiale impossibilità di funzionamento dell'ufficio giudicante;
   tale carenza crea un'intollerabile serie di malfunzionamenti della «macchina giustizia» afferenti innanzitutto i tempi definizione dei procedimenti civili e penali;
   tale malfunzionamento coinvolge altresì anche la definizione delle domande di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; nonché la definizione delle domande di liquidazione dei compensi professionali relativi ai procedimenti che riguardano soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato;
   i ritardi sopra indicati limitano, di fatto, l'accesso alla giustizia ai non abbienti, in palese violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, e allo stesso tempo rischiano di ledere la dignità professionale degli avvocati del foro di Caltagirone;
   a causa delle disfunzioni e delle carenze presenti presso il Tribunale di Caltagirone, l'ordine degli avvocati di Caltagirone ha indetto, già diverse volte, l'astensione dalle udienze;
   come si apprende dal giornale «La Sicilia» del 9 giugno 2015 tale astensione è stata indetta, ultimamente, dall'8 al 13 giugno 2015 –:
   se il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa, per quanto di sua competenza, per salvaguardare il corretto funzionamento della «macchina giustizia» presso il Tribunale di Caltagirone;
   se il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per facilitare l'accesso alla giustizia da parte dei non abbienti e la tutela della dignità professionale degli avvocati del foro di Caltagirone. (4-09415)


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. 0167027-2015 del 12 maggio 2015, l'ufficio per le relazioni sindacali del Dipartimento amministrazione penitenziaria ha trasmesso, alle organizzazioni sindacali, una bozza di decreto con il quale viene istituito «l'ufficio, di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del D.N.A.»;
   le attività di tale ufficio, in verità, sono già disciplinate dalla legge 30 giugno 2009, n. 85 che prevede che le attribuzioni del responsabile del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA siano adottate con regolamento, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e il CNBBSV;
   l'articolo 18 della predetta legge, istituisce i ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria da impiegare nelle attività del laboratorio centrale di cui sopra. Il Ministro della giustizia, stando alla bozza di decreto pervenuta alle organizzazioni sindacali, intende istituire «l'ufficio», di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del DNA, affidandone la dirigenza al personale del ruolo di istituto penitenziario della carriera dirigenziale penitenziaria che però non ha alcuna competenza professionale, né tantomeno esperienza tecnico/scientifica nella tipizzazione del profilo del DNA e nella conservazione dei campioni biologici dai quali sono tipizzati i profili del DNA;
   tale specificità appartiene ai direttori tecnici del Corpo di polizia penitenziaria, come previsto dalla tab. A del decreto ministeriale 22 dicembre 2012 n. 268. Lo stesso garante per la protezione dei dati personali, nell'esprimere il 31 luglio 2014 il parere sullo schema di regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ha ribadito quali siano le funzioni del responsabile del laboratorio centrale, funzioni che coincidono con quelle della figura del direttore tecnico del corpo di polizia penitenziaria;
   le forze di polizia dovranno custodire, per la successiva consultazione e gli immediati raffronti, solo i dati relativi ai profili del DNA, mentre al Ministero della giustizia viene riservata l'estrazione del profilo del DNA, che provvederà successivamente a trasmettere per via informatica alla banca dati nazionale;
   la banca dati del DNA ed il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, sono stati istituiti al fine di rendere più agevole l'identificazione degli autori di delitti e pertanto, trattandosi di una vera e propria attività di polizia, appare illogico affidare la direzione del laboratorio ad una figura professionale come quella del Direttore penitenziario che oltre a non avere le competenze tecnico/scientifiche, non svolge neanche funzioni di polizia –:
   se il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, quale organo di garanzia, sia a conoscenza della bozza di decreto in esame e se abbia espresso un parere in merito all'istituzione dell'ufficio, di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del DNA, affidandone la responsabilità alla figura professionale del direttore penitenziario che non ha le competenze tecnico-scientifiche necessarie per legge;
   se il Ministro interrogato intenda davvero affidare la direzione del laboratorio centrale ad un dirigente penitenziario non in possesso della specifica abilitazione per l'impiego presso detto laboratorio, estromettendo da tale funzione il direttore tecnico dei ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria che, per legge, tale incarico deve svolgere, avendone i requisiti e i titoli, senza quindi la necessità di creare un nuovo «centro di potere», giustificato da uno stato di necessità ed urgenza, in contrasto con le disposizioni di legge e con l'articolo 97 della Costituzione. (4-09430)


   VACCA, BONAFEDE, FERRARESI, BUSTO, DEL GROSSO e ZOLEZZI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giornale Il Fatto Quotidiano lo scorso 13 maggio 2015 ha dedicato ampio spazio ad un'inchiesta giornalistica sulla sentenza del processo per il disastro ambientale di Bussi;
   l'articolo ha suscitato fortissime reazioni sia dell'opinione pubblica che della politica, in quanto il procedimento in questione riguarda la presunta esposizione a fattori cancerogeni di centinaia di migliaia di persone abitanti la val Pescara;
   nell'articolo si riportano varie dichiarazioni anche in merito all'operato del presidente della Corte, Camillo Romandini;
   in particolare si parla di una sentenza già decisa senza approfondire gli atti in cui uno dei giudici popolari, mantenendo l'anonimato, dichiara «Non abbiamo neppure letto gli atti, a cena ci hanno consigliato di derubricare il reato»;
   il Fatto Quotidiano è riuscito a ricostruire, parlando con i giudici popolari, quel che accadde il 19 dicembre e nei giorni precedenti. «Siamo disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici – rivelano le donne – se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità». Secondo la loro versione, innanzitutto, i giudici popolari non hanno letto un solo atto del processo. «Ci siamo rifatte alle sfide viste in udienza e alle parole sentite in aula»;
   secondo il Fatto Quotidiano il 16 dicembre, alcune delle sei giudici popolari, cenano insieme con il presidente della Corte d'Assise, Camillo Romandini, e il giudice a latere, Paolo di Geronimo, in un locale pubblico di Pescara e viene riportato quanto segue: «Durante la cena dico: per me il dolo c’è – racconta una delle giudici – e non ero l'unica». «A quella cena c'ero anche io – conferma un'altra giudice – e anche io sostenevo che, per me, il dolo c'era». «Noi la cena l'abbiamo organizzata proprio perché volevamo discutere del dolo – aggiunge l'altra – anche perché non eravamo riusciti a leggere nessun atto...». «In realtà ci era stato già spiegato che non potevamo condannare per dolo... – continua l'altra – volevamo però capire perché il dolo non c'era...». E qui arriva il punto più controverso della ricostruzione. «Il giudice Romandini ci ha spiegato che, se avessimo condannato per dolo, se poi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente, chiedendoci i danni, e avremmo rischiato di perdere tutto quello che abbiamo...»;
   se quanto riportato dalla stampa risultasse vero ci troveremo di fronte ad un fatto gravissimo;
   da una visura camerale risulterebbe che il Giudice Camillo Romandini è tuttora intestatario di una di una impresa individuale nel settore dell'agricoltura, con sede in Viale Regina Elena 88 a Pescara, Partita IVA 01768120691, che ha avviato la sua attività fin dal 3 maggio 2004;
   l'articolo 16 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 prescrive che i magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione;
   il Consiglio superiore della magistratura nella delibera del 2 maggio 2007, su specifico quesito riguardante la possibilità per un giudice di essere titolare di società uni-personale nel settore dell'agricoltura, ha chiarito in maniera inequivocabile che una tale situazione comunque rientra tra le previsioni dell'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario in cui si fa divieto per i giudici di «esercitare industrie e commerci»;
   il giudice Romandini risulta essere stato nominato Presidente della Commissione per la formazione della graduatoria delle domande di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale dell'ATER di Lanciano, per un importo annuo di euro 14.884,00;
   la nomina di Camillo Romandini a Presidente della Commissione per la formazione della graduatoria delle domande di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale dell'ATER di Lanciano è stata effettuata nel 3 marzo 2007 con Decreto del Presidente della Giunta della Regione Abruzzo in sostituzione del componente deceduto Giuseppe Romandini;
   tale consulenza è riportata tra quelle elencate dal Consiglio Superiore della magistratura tra gli incarichi extragiudiziali autorizzati sia per il periodo 2010-2013, che per il periodo 2013-2016 mentre per gli anni precedenti non viene riportata negli elenchi degli incarichi affidati a dipendenti pubblici;
   il giudice Camillo Romandini risulta anche presidente del comitato etico di cui al decreto ministeriale del 12 maggio 2006 e in attuazione del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, relativa all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico per le seguenti strutture ospedaliere e di sperimentazione pubbliche e private delle province di Chieti e Pescara;
   l'incarico a componente comitato etico da parte dell'Università degli studi «G. d'Annunzio» di Chieti – Pescara è riportata tra quelle elencate dal Consiglio superiore della magistratura tra gli incarichi extragiudiziali autorizzati;
   Camillo Romandini è presidente di sezione presso il tribunale di Chieti;
   è evidente che il giudice Romandini, anche se autorizzato, effettua diverse altre attività extragiudiziarie con enti pubblici del territorio della provincia di Chieti e che tali attività, in qualche modo, potrebbero incrociarsi con le funzioni di magistrato;
   necessita, a giudizio dell'interrogante, anche un approfondimento circa il divieto per i giudici di «esercitare industrie e commerci» –:
   se il ministero intenda attivarsi per verificare nei limiti di competenza se sussistano i presupposti per promuovere un'azione disciplinare in merito a quanto descritto in premessa;
   se intenda assumere iniziative normative per precisare i limiti relativi e possibili conflitti di interessi in relazione alle attività giudiziarie. (4-09436)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la direzione del Carcere di Uta — Cagliari si è resa ancora una volta protagonista di analogo fatto a quello già rappresentato in precedente interrogazione;
   durante la giornata del 13 maggio 2015 un dirigente sindacale della UGL si è recato presso la casa circondariale di E. Scalas Uta/Cagliari, per svolgere attività sindacale, nella saletta adibita allo svolgimento delle relazioni con gli associati;
   tale sindacalista, la dottoressa Manuela Cojana, coordinatrice regionale UGL FN/PP, con sede di servizio presso la stessa direzione, faceva ingresso in istituto intorno alle ore 10.20, per poi lasciare il complesso penitenziario alle ore 13.30 circa;
   recatasi direttamente nella saletta, intorno alle ore 11.30, nella stessa sala giungeva anche un delegato della compagine UIL, il quale, presentandosi alla dirigente UGL, faceva presente di doversi sistemare nella stanza in questione, in quanto incaricato dalla propria sigla alla ricezione della documentazione, dei propri iscritti, per la presentazione del modello 730;
   entrambi i delegati si ripartivano gli spazi e iniziavano a svolgere l'attività sindacale commissionata senza nessun problema;
   successivamente, intorno alle ore 12.30, faceva ingresso nella suddetta saletta, il comandante del reparto F.F., la quale, rivolgendosi con sprezzo alla Dirigente UGL la invitava a lasciare subito libera la stanza sindacale;
   la saletta, secondo quanto riferito, era stata autorizzata dal direttore dell'istituto, solo ai rappresentanti della sigla Uil;
   tale vicenda si consumava alla presenza non solo di alcuni associati Ugl, ma anche alla presenza degli associati Uil, restati inermi, dinnanzi ai fatti poc'anzi raccontati;
   il dirigente UGL declinava l'inappropriato invito del comandante F.F.; finché intorno alle ore 13.30, lasciava l'istituto;
   proprio in quella circostanza, secondo quanto riferisce in una nota ufficiale il segretario regionale dell'Ugl, si apprendeva, che il suddetto comandante di Reparto F.F., appena la dirigente lasciava il complesso penitenziario, ordinava ad alcuni coordinatori dei reparti presenti, di vigilare sui poliziotti in servizio, prescrivendo per gli stessi, il divieto di interagire in qualunque maniera con i rappresentanti sindacali durante l'orario di lavoro, pena l'irrogazione di rapporto disciplinare;
   il presunto ordine impartito dal Comandante F.F., e l'obsoleta condotta di forte ostilità palesata, ancora una volta esclusivamente nei confronti del quadro sindacale UGL, durante il compimento delle attività di rito pongono seri dubbi sulla correttezza di tale condotta –:
   se il divieto di interagire con i sindacalisti sia stato esteso anche agli altri delegati che, nonostante il mandato sindacale, prestano pure attività lavorativa in istituto;
   se ritenga di dover chiarire in modo univoco le modalità di svolgimento del lavoro istituzionale in considerazione della presenza della presunta prescrizione;
   se non ritenga di dover impartire disposizioni per una gestione equa degli spazi destinati all'attività sindacale;
   se esista una particolare disposizione che vieta al lavoratore in servizio, lo svolgimento dell'attività sindacale, quando la medesima non ostacola in alcun modo l'esecuzione della prestazione lavorativa;
   se non intenda intervenire per impedire ulteriori atteggiamenti che l'interrogante giudica antisindacali nei confronti della stessa Ugl. (4-09437)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO e MONCHIERO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18, comma 9, del decreto-legge 21 giugno 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha destinato 100 milioni di euro per l'anno 2014, a valere su un fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per la realizzazione del primo programma «6.000 Campanili», concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio;
   con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANCI, approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono disciplinati i criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi facenti parte del programma;
   possono accedere all'utilizzo di tali risorse i piccoli comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, le unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e i comuni risultanti da fusione tra di essi, ciascuno dei quali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   ogni comune può presentare un solo progetto, il contributo richiesto per esso non può essere inferiore a 500.000 euro e maggiore di 1.000.000 euro e il costo totale del singolo intervento può superare il contributo richiesto solo se le risorse finanziarie aggiuntive necessarie siano già immediatamente disponibili e spendibili da parte del comune proponente;
   possono accedere al finanziamento solo gli interventi muniti di tutti i pareri, le autorizzazioni permessi nulla osta previsti dal decreto legislativo n. 163 del 2006 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha destinato l'importo di 50 milioni di euro per lo stesso primo Programma «6.000 Campanili»;
   con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 27 dicembre 2013, n. 470, è stato approvato l'elenco degli interventi ammessi al finanziamento del primo programma 6.000 Campanili, nei limiti dell'importo disponibile di 100 milioni di euro, mentre con il decreto ministeriale del 13 febbraio 2014, n. 46, è stato approvato l'elenco degli interventi ammessi al primo programma 6.000 Campanili e finanziati dalla legge di stabilità 2014, nei limiti dell'importo disponibile di 50 milioni di euro;
   l'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto «Sblocca Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha rifinanziato alla lettera c), nel limite massimo di 100 milioni di euro, tra l'altro, le opere segnalate dai comuni alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2 al 15 giugno 2014 e le richieste inviate ai sensi dell'articolo 18, comma 9, del decreto-legge n. 69 del 2013, che possono essere riferite anche a «nuovi progetti di interventi» secondo le modalità indicate con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti assegnando priorità:
    a) alla qualificazione e manutenzione del territorio, mediante recupero e riqualificazione di volumetrie esistenti e di aree dismesse, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico;
    b) alla riqualificazione e all'incremento dell'efficienza energetica del patrimonio edilizio pubblico, nonché alla realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili;
    c) alla messa in sicurezza degli edifici pubblici, con particolare riferimento a quelli scolastici, alle strutture socio-assistenziali di proprietà comunale e alle strutture di maggiore fruizione pubblica;
   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, emesso di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, 28 gennaio 2015, n. 23, ha assegnato, per il finanziamento delle suddette richieste l'importo complessivo di 100 milioni di euro, ripartendolo in, misura pari al 4 per cento nell'anno 2015, al 30 per cento nell'anno 2016 ed al restante 30 per cento nell'anno 2017, ed ha stabilito che la mancata pubblicazione dei bandi di gara o della determina a contrarre alla data del 31 agosto 2015, determina per ogni singolo intervento la revoca dei finanziamento;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 gennaio 2015 è stato approvato l'elenco degli interventi finanziati nei limiti dell'importo disponibile di 100 milioni di euro, individuati tramite scorrimento della graduatoria già predisposta in attuazione del primo programma «6.000 Campanili» di cui all'articolo 18, comma 9, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 6 marzo 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2015, è stata approvata la convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – dipartimento per le infrastrutture, i servizi informativi e statistici – direzione generale edilizia statale e interventi speciali – e l'ANCI, volta a disciplinare le modalità di presentazione delle richieste ed i criteri di selezione delle, stesse per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del programma «Nuovi progetti di interventi»;
   in base a tale convenzione, sono finanziabili progetti dei comuni o associazioni di comuni sotto i 5.000 abitanti per investimenti da 100.000 a 400.000 euro, mentre nel caso di importo superiore l'ente interessato deve indicare la copertura economica a proprie spese della restante parte con risorse già disponibili e spendibili. Non possono presentare domanda di contributo finanziario i comuni che non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica ad essi attribuiti ed i comuni beneficiari del finanziamento o dei rifinanziamenti previsti a seguito delle richieste già presentate ai sensi del comma 9, dell'articolo 18, del decreto-legge n. 69 del 2013;
   l'assegnazione delle risorse statali avviene su base regionale, in relazione alle graduatorie definite in base alla consistenza dei piccoli comuni per ogni regione, previa assunzione da parte dell'ente interessato dell'impegno a procedere alla pubblicazione del bando di gara o della determina a contrarre entro il 31 agosto 2015;
   il programma «Nuovi progetti di interventi» permetterà di realizzare da un minimo di 250 a un massimo di 1.000 interventi nei piccoli comuni che si aggiungono ai 293 già finanziati (molti dei quali con cantieri già aperti) dal programma «6.000 Campanili» che in tre fasi ha erogato 250 milioni di euro;
   in base all'articolo 7 della citata convenzione Mit-ANCI tutte le richieste di finanziamento devono essere inviate dai piccoli comuni al Ministero per posta elettronica certificata, agli indirizzi indicati dalla convenzione stessa, dalle ore 9,00 del quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della convenzione sulla Gazzetta Ufficiale (ossia dalle ore 9,00 del 13 maggio) e pervenire entro e non oltre trenta giorni dalla pubblicazione della stessa. La data e l'ora di presentazione della richiesta sono quelle rilevabili dalla ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del comune che invia; la ricevuta di avvenuta consegna, rilasciata dal gestore della casella PEC del destinatario Mit rappresenta invece la certificazione di avvenuta ricezione della richiesta;
   risulta agli interroganti che siano pervenute al Ministero domande di finanziamento inoltrate dai comuni interessati prima delle ore 9,00, in contrasto con quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 7 della convenzione;
   desta perplessità l'individuazione del «secondo di tolleranza» di cui non si fa cenno nella citata convenzione Mit-ANCI –:
   se, nell'approvare la graduatoria definitiva dei nuovi progetti di interesse dei piccoli comuni, il Ministro non ritenga opportuno attenersi strettamente a quanto riportato nel comma 3 dell'articolo 7 della convenzione Mit-ANCI approvata con decreto ministeriale 6 marzo 2015, che indica l'inizio di inoltro delle richieste alle ore 9,00 del 13 maggio. (3-01535)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIMBRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Bollate (MI), l'amministrazione uscente ha promosso ad inizio aprile, in coincidenza con l'inaugurazione della vicina Esposizione universale sul sito rhodense, la creazione di una zona a traffico limitato, estesa alla gran parte del territorio comunale;
   la decisione è stata presa proprio al fine di evitare il comune potesse essere attraversato dai visitatori del sito, in cerca di strade alternative alle autostrade a pagamento e alle congestionate provinciali; oltre che per limitare il generico traffico di attraversamento in città nelle ore di punta mattutine. Traffico già appesantito di per sé, nell'ultimo anno, proprio dai ritardi delle infrastrutture cosiddette «strategiche» per l'accesso al sito espositivo;
   il progetto bollatese manifesta un'evidente unilateralità, una mancanza di coordinamento e concertazione con l'area circostante: il blocco degli accessi ai non residenti non risolve, com’è ovvio, il generale, elefantiaco problema della mobilità dell’hinterland nell'area nord occidentale milanese: semplicemente, lo scarica, aggravandolo, sui comuni limitrofi di Arese, Baranzate, Cesate, Cormano, Garbagnate, Novate milanese, Senago;
   nei mesi precedenti l'inizio della sperimentazione, le amministrazioni vicine hanno inutilmente ricercato un possibile accordo o compromesso con la giunta di Bollate, rimarcando come l'argomento fosse di interesse sovracomunale;
   a fine marzo, i comuni di Arese e Baranzate, in occasione di una riunione in prefettura, hanno chiesto formalmente al prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, di intervenire sulla questione; intervento che si è concretizzato nella successiva riunione del 26 maggio, attraverso un monito della prefettura all'amministrazione di Bollate, affinché scongiurasse l'entrata in funzione della ZTL nel periodo dell'EXPO –:
   se il Ministro possa valutare un'eventuale revoca dell'autorizzazione concessa alla ZTL bollatese, o una revisione della stessa al fine di ridurre l'estensione dell'area. (5-05785)


   DE LORENZIS. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 7 giugno 2015 si apprende che la società Immoberdan, società che detiene un suolo di 23mila metri quadrati edificabili a ridosso della stazione di Bari Sud-Est e della ex fabbrica Fibronit abbia chiesto al tribunale di Bari il sequestro conservativo di una parte dei 79 milioni che la regione deve alla società ferroviaria a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato;
   sembrerebbe che le motivazioni di tale richiesta al tribunale siano riconducibili al fatto che il deposito di carburante nella stazione di Bari abbia inquinato alcuni dei suddetti suoli e i proprietari delle aree, dopo aver completato la bonifica, chiedono di essere risarciti e la misura cautelare chiesta al giudice sia stata effettuata perché, secondo i richiedenti, le Ferrovie Sud-Est sono a rischio di fallimento;
   sempre dalla stessa fonte stampa, si apprende che il tribunale di Bari non ha concesso il sequestro, sebbene sia stato riconosciuto che FSE sia responsabile dell'inquinamento, motivando il diniego perché non vi è certezza sulla somma che la società immobiliare ha speso per la bonifica. Inoltre, sembrerebbe che lo stesso tribunale abbia sostenuto che le FSE non possano fallire nonostante un debito di oltre 350 milioni di euro in quanto, si legge, si può «escludere ragionevolmente che il governo centrale e regionale consentano che l'attuale situazione di precarietà finanziaria e patrimoniale sfoci nella decozione dell'ente e nell'annientamento dei livelli occupazionali»;
   si apprende dalla medesima fonte stampa che le FSE abbiano contenziosi aperti con quasi 500 dei 1.500 dipendenti e che questi contenziosi stiano economicamente prosciugando i conti della società di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   infine si apprende che FSE non ha ancora approvato il bilancio 2014 in quanto il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia fatto slittare l'assemblea di approvazione del bilancio perché manca la relazione dei revisori. Infine sembrerebbe che i 350 milioni di euro di debito di FSE non saranno ripianati dallo Stato –:
   se la notizia del debito di 350 milioni di FSE corrisponda al vero e in quali anni e per quali ragioni tale debito sia stato accumulato;
   quali iniziative per quanto di competenza voglia intraprendere il Ministro competente per appianare il debito di FSE ed evitare che la medesima situazione si presenti in futuro;
   per quale ragione la relazione dei revisori non sia stata redatta in tempo utile per l'assemblea di approvazione del bilancio;
   se quanto sostenuto dal tribunale di Bari in merito all'impossibilità del fallimento delle FSE corrisponda al vero;
   se sia stato accertato che l'inquinamento nelle aree in oggetto sia dovuto al deposito di FSE e quali sono le motivazioni del suddetto inquinamento e quando questo sia accaduto;
   se risulti se FSE intenda o meno risarcire le spese della società che ha operato la bonifica;
   cosa intenda fare il Ministero, per quanto di propria competenza, per evitare o risolvere in breve tempo i contenziosi «seriali» con un terzo dei dipendenti della società di sua proprietà. (5-05793)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 461 del 3 Aprile 2008 della direzione centrale patrimonio servizi generali della regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia è stato disposto il trasferimento a titolo gratuito al comune di San Vito al Tagliamento della caserma «Dall'Armi», sita nel medesimo comune, con l'impegno da parte dell'amministrazione comunale all'utilizzo del medesimo per finalità di interesse pubblico e/o sociale e alla sua valorizzazione nell'ambito di un organico e coordinato sviluppo del contesto urbano e territoriale;
   il 20 giugno 2013 il consiglio comunale di San Vito al Tagliamento ha unanimemente ha deliberato circa la realizzazione del nuovo istituto penitenziario della provincia di Pordenone nella caserma Dall'Armi, e il successivo 24 luglio ha approvato il verbale della conferenza di servizi che esprime parere favorevole al progetto preliminare del nuovo istituto penitenziario nella caserma;
   il sindaco del comune di San Vito al Tagliamento, con nota 28384 del 7 ottobre 2013, ha espresso parere favorevole, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17-ter della legge n. 26 del 2010 in ordine alla localizzazione per la realizzazione del nuovo istituto penitenziario da 300 posti detentivi nell'area dismessa della caserma «Dall'Armi», precisando che sull'area oggetto di localizzazione non sussistono vincoli o impedimenti di alcun genere posti dal Comune né di essere a conoscenza di analoghi provvedimenti posti da altre pubbliche amministrazioni specificatamente competenti;
   in data 30 ottobre 2013 è stata sottoscritta l'intesa istituzionale tra il commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie ed il presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia in ordine alla localizzazione nell'area dismessa della caserma «Dall'Armi» del nuovo istituto penitenziario da trecento posti detentivi previsto nel piano carceri con un finanziamento di 25 milioni di euro;
   il nuovo istituto penitenziario avrebbe dovuto essere ultimato entro i primi mesi del 2016 ed era destinato ad alleggerire il sovraffollamento dell'istituto penitenziario di Pordenone e tamponare l'emergenza che avvolge le case circondariali di tutta la regione Friuli Venezia Giulia, site in strutture fatiscenti, senza spazi verdi sufficienti e cronicamente sovraffollate, determinando insostenibili disagi ai detenuti e agli operatori penitenziari ed anche elevati rischi sotto il profilo della sicurezza;
   lo scorso 16 aprile alcuni quotidiani hanno riportato la notizia che il progetto per la realizzazione del carcere a San Vito al Tagliamento sarebbe stato cancellato da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   tale decisione sarebbe stata assunta nonostante l’iter per la realizzazione della struttura fosse ormai molto avanzato, tanto che erano già stati pubblicati sia la graduatoria finale delle offerte relative al bando gara sulla base dei punteggi per la parte tecnica ed economica, sia la prevista tempistica del cantiere –:
   se le notizie di cui in premessa corrispondano al vero e, se del caso, quali siano i motivi che hanno determinato la decisione di cancellare la realizzazione dell'opera, e quale sarà la nuova destinazione dei fondi già previsti in favore della stessa;
   in caso contrario, se non ritengano di confermare la priorità già accordata alla realizzazione dell'opera di cui in premessa, e quali iniziative intendano assumere al fine di garantire la rapida ultimazione di un'opera che la provincia di Pordenone attende da più di trent'anni.
(4-09416)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le gallerie della Variante 16 tra Pescara e Francavilla (Ch) denominate «San Silvestro» e «Le Piane» di 4 e 2 chilometri, sono state costruite e consegnate circa 8 anni fa dall'ANAS;
   un appalto durato decenni, una variante che ha fatto lievitare i costi a causa di numerosi «imprevisti», al cui termine dei lavori le gallerie si sono subito presentate perennemente allagate e a rischio per la circolazione degli automezzi. Gallerie pericolose che con le nuove normative oggi non sarebbe più possibile costruire;
   in questi giorni la vicenda è tornata alla ribalta per un'importante inchiesta giornalistica del Tgr Abruzzo che evidenzia come l'ANAS abbia gravissime responsabilità nella progettazione, costruzione e manutenzione dell'importante infrastruttura;
   negli anni numerosi sono stati gli incidenti stradali all'interno della gallerie, spesso purtroppo anche mortali;
   intervistato il responsabile abruzzese Anas Lelio Russo, ha dato la responsabilità dell'allagamento della galleria al «clima» che è cambiato e a piogge più abbondanti del passato non prevedibili quando le gallerie vennero costruite. «Siamo in presenza oggi di piogge rapide e violente», ha detto Russo, «mentre nel passato non era così: per questo c’è acqua nella galleria». Il vertice abruzzese dell'ANAS è stato smentito dall'ingegner Massimo Chiarelli, esperto del settore, che ha categoricamente detto che «l'acqua nelle gallerie non deve esserci mai» spiegando poi che le infiltrazioni si possono evitare solo con una buona progettazione ed esecuzione dei lavori. Anche il geologo dell'università D'Annunzio di Chieti, Francesco Brozzetti, ha spiegato come le gallerie siano state costruite in una zona morfologicamente «semplice» e «le falde acquifere al massimo servono per irrigare gli orti, piuttosto che rifornire gli acquedotti»;
   l'ex Ministro Lupi, spiegò che le piogge «hanno fatto ritenere che la funzionalità del sistema drenante, realizzato nella citata galleria, sia stata inficiata dal rilascio di silicati trasportati dalle acque di drenaggio che ostruivano i fori della condotta posta sotto l'arco rovescio. Pertanto, per una definitiva soluzione delle criticità riscontrate è stata valutata positivamente la progettazione di un intervento mirato esclusivamente al ripristino integrale dell'intero sistema drenante sottostante la pavimentazione stradale e al rifacimento totale della pavimentazione stessa, senza interventi strutturali in galleria»;
   i lavori di ripristino, per quanto riguarda la galleria «Le Piane», sono stati consegnati il 19 novembre 2013 dalla società Anas alla ditta Ricci Guido srl e sono stati ultimati il 20 febbraio 2013. L'intervento è stato finanziato, per un importo complessivo di circa 2 milioni di euro comprensivo degli oneri di investimento, con le risorse previste dal decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 e relativa legge di conversione;
   per quanto concerne, invece, la galleria «San Silvestro», interessata dalle medesime criticità, Lupi promise «analogo intervento non appena si renderanno disponibili le relative risorse finanziarie»;
   di interventi ce ne sono stati molti e nessuno risolutivo;
   se non intenda fare luce sulle responsabilità dell'ANAS nella costruzione e nella gestione delle gallerie della variante 16 tra Pescara e Francavilla (Ch) «San Silvestro» e «Le Piane» e cosa intenda fare per risolvere definitivamente il problema della sicurezza delle suddette gallerie.
(4-09425)


   DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, GRANDE, DI BATTISTA, SPADONI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, DAGA, LOMBARDI, VIGNAROLI, BARONI, FRUSONE, MASSIMILIANO BERNINI, SPESSOTTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, le dinamiche dell'incendio, che il 7 maggio 2015 ha distrutto larga parte del terminal 3 dell'aeroporto di Fiumicino, sembrerebbero denotare una gestione superficiale della manutenzione degli impianti. Se ciò fosse confermato, anche in seguito alle indagini della magistratura attualmente in corso, si potrebbe configurare un venir meno dell'affidatario (Adr) agli obblighi previsti dall'articolo 8 del regolamento Enac per l'affidamento aeroporti demaniali per l'aviazione generale (delibera del consiglio di amministrazione 52/2014 del 18 novembre 2014) con possibile decadenza dell'affidamento;
   a parere degli interroganti la gestione superficiale della manutenzione degli impianti potrebbe essere stata causa anche di una scelta non adeguata della ditta appaltatrice, a sua volta selezionata con un bando che sembrerebbe presentare delle lacune. Dai documenti di gara di Adr si evince infatti che il 22 ottobre del 2013 è stata aggiudicata all'A.t.i. Eugenio Ciotola spa e Na.Gest Global Service srl, la commessa triennale per la «conduzione e manutenzione ordinaria degli impianti termici, di condizionamento, idrico-sanitario e antincendio» dell'aeroporto di Fiumicino. L'appalto, il cui valore iniziale era stato fissato in circa 12 milioni di euro, alla fine è stato assegnato per una cifra superiore agli 8 milioni di euro;
   l'appalto, benché definito nel bando di gara di categoria «servizi», e dunque assoggettato, come tale, alla disciplina in materia di appalti di servizi (inclusa quella sulla dimostrazione della capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, di cui agli articoli 41 e 42 del codice dei contratti pubblici), a parere degli interroganti andrebbe qualificato in concreto come appalto misto. All'appaltatore è infatti richiesta una duplice professionalità, in primis per lo svolgimento dei servizi di conduzione ed ispezione degli impianti, ed in secondo luogo per l'effettuazione di veri e propri lavori di manutenzione. Secondo quanto disposto dal vigente articolo 15 del codice dei contratti pubblici, l'operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un appalto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture dedotta in contratto;
   il bando in questione non prevede esplicitamente il possesso di qualificazione Soa per la certificazione delle capacità tecniche, economiche e finanziarie delle imprese partecipanti. Tale mancanza, seppure illegittima solo nel caso di bandi comprensivi di manutenzione straordinaria (cfr. A.V.C.P., parere 28 febbraio 2008 n. 62), appare agli interroganti tuttavia anomala, considerata la delicatezza dell'appalto in questione che comprende un importo a base d'asta non soggetto a ribasso per oneri di sicurezza e considerato anche che, per la partecipazione al bando, vengono richieste invece particolari garanzie e polizze assicurative in considerazione della «peculiarità del sito aeroportuale e dei rischi ad esso connessi»;
   altro elemento che desta quantomeno perplessità è il fatto che il bando in questione fa seguito ad uno precedentemente indetto pubblicato sul supplemento alla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, 5 dicembre 2012, 2012/S 234-385519 e annullato in data 16 aprile 2013 con motivazione di un grave errore materiale commesso nella formulazione dei documenti di gara e nello specifico per prezzi gravemente sovrastimati nel corrispettivo a base d'asta per la parte riguardante i lavori di straordinaria manutenzione. Tale bando infatti prevedeva manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti. Nel nuovo bando di cui viene data comunicazione ufficiale sempre sulla Gazzetta europea del 13 aprile 2013 (2013/S 074-124181) l'importo per l'appalto di manutenzione straordinaria non viene ricalcolato ma semplicemente eliminato dal bando. Inoltre, pur avendo espletato le forme di pubblicità obbligatoria previste dal codice degli appalti, tuttavia appare strano che quest'ultimo bando a differenza del precedente non risulti pubblicato sul sito Adr benché le amministrazioni siano fortemente incoraggiate a prevedere forme di pubblicazione complementari su internet;
   passando dagli aspetti formali del bando alla scelta del contraente, desta non poche perplessità l'aggiudicazione all'A.t.i. (*) di cui fanno parte Eugenio Ciotola spa e Na.Gest Global Service srl. Alcuni anni prima, la Eugenio Ciotola spa, come capogruppo di un'altra associazione temporanea di imprese si era aggiudicata l'appalto per ristrutturare due chilometri e mezzo di gallerie sotterranee dell’«Umberto I»;
   diciotto milioni di euro per una ristrutturazione finita sotto sequestro e che, da poco, ha costretto il neo direttore del Policlinico, a spendere altri 18 milioni per adeguare le strutture, vista la pericolosità e irregolarità dei lavori effettuati dalla azienda;
   in precedenza, secondo le indagini della magistratura, l'imprenditore Eugenio Ciotola avrebbe pagato ad Angelo Balducci una tangente da quasi 300.000 euro per accedere al giro dei «Grandi Eventi» (Campionati mondiali di nuoto 2009, il G8 a La Maddalena e le Celebrazioni per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia), e nel 2013 il tribunale di Roma, ha disposto a carico dello stesso Balducci il sequestro di dodici milioni di euro per reato di associazione per delinquere e corruzione proprio in riferimento agli appalti pubblici per i cosiddetti «Grandi Eventi»;
   altro fatto importante in cui sarebbe coinvolto il Ciotola è la truffa della vendita di false certificazioni necessarie per partecipare a gare d'appalto. La Axsoa, che è un organismo di attestazione che nel 2001 ha ricevuto l'autorizzazione, da parte dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a rilasciare alle aziende certificazioni che attestino il possesso dei requisiti necessari per partecipare a gare d'appalto, aveva organizzato un sistema per cui bastava pagare, anche fino a 700 mila euro, se privi dei requisiti di legge, per ottenere una falsa attestazione che avrebbe consentito comunque la partecipazione ad appalti pubblici;
   l'operazione delle Fiamme Gialle, avrebbe accertato che la Axsoa, con intrecci societari, certificazioni false di lavori precedentemente svolti e fittizie cessioni di rami d'azienda, attestava, in capo alle imprese clienti, (tra cui le aziende di Eugenio Ciotola) il possesso di requisiti, rivelatisi poi inesistenti, essenziali per la partecipazione agli appalti, creando così una grave turbativa del mercato;
   nell'ordinanza, il giudice per le indagini preliminari D'Alessandro parla di un sistema criminoso basato su «un collaudato ed organizzato sistema, mascherato dietro l'attività di carattere pubblicistico esercitato dall'Axsoa spa, volto a vendere ai clienti della società di attestazione non già un servizio corretto ed imparziale di verifica dei requisiti e di successiva attestazione, bensì un «pacchetto completo» costituito dalla vendita dei requisiti di attestazione solo cartolare;
   i reati contestati sono associazione per delinquere, corruzione, falso in atti pubblici, riciclaggio, omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed emissione di fatture per operazioni inesistenti;
   il meccanismo scoperto dalla procura di Roma e dal nucleo speciale tutela mercati della Guardia di finanza ha sortito 18 misure, nove cautelari (sei in carcere e tre domiciliari) ed altrettante di interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività, tra cui appunto Eugenio Ciotola –:
   a chi sia stata affidata la manutenzione straordinaria degli impianti inizialmente prevista nel bando del 2012 annullato e non più ricompresa nel bando del 2013;
   se la Eugenio Ciotola spa sia in possesso di attestazione soa in corso di validità e da quale azienda sia stata emessa;
   se risulti che la Eugenio Ciotola spa abbia scontato o stia scontando un periodo di temporanea interdizione dall'esercizio dell'attività in seguito alle indagini sulle false attestazioni soa e chi eventualmente abbia svolto l'attività di manutenzione impianti presso l'aeroporto di Fiumicino in quel periodo;
   se l'eventuale interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività della Eugenio Ciotola spa possa costituire motivo di risoluzione del contratto di appalto;
   se il Ministro non ritenga che, in caso le indagini in corso della magistratura confermassero l'ipotesi di incendio colposo e dunque di una gestione superficiale della manutenzione degli impianti, si possa configurare un venir meno dell'affidatario (Adr) agli obblighi previsti dall'articolo 8 del regolamento Enac per l'affidamento aeroporti demaniali per l'aviazione generale (delibera Cda 52/2014 del 18 novembre 2014) con possibile decadenza dell'affidamento. (4-09443)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   AMODDIO, GIUSEPPE GUERINI, ALBANELLA, CHAOUKI, CAPODICASA, IORI, IACONO, FOSSATI, GADDA, SCHIRÒ e CARROZZA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere premesso che:
   nel mese di giugno del 2014 è stata effettuata una visita di monitoraggio al centro Sprar, ubicato nel territorio del comune di Melilli in contrada Spalla snc, (provincia di Siracusa) da parte della dottoressa Maria Elena Calabrese, su delega del servizio di protezione per richiedenti asilo;
   il progetto di cui è titolare il comune di Siracusa è gestito da una cooperativa denominata «Luoghi Comuni»;
   nella relazione del giugno 2014 redatta dalla dottoressa Calabrese si evidenziavano diverse criticità nella gestione della struttura che a distanza di un anno non sono state risolte;
   in particolare, si legge in quella relazione che «Il Servizio Centrale ha verificato la non congruità della struttura con le linee guida ministeriali - DM 30 luglio 2013. Al momento della missione, tenendo conto anche dell'attivazione formalmente effettiva da parte del Ministero dell'Interno dei posti aggiuntivi e sulla base di quanto riportato sopra, risulta carente delle strutture atte a garantire 150 posti (75 ordinari e 75 aggiuntivi)»;
   «il servizio di catering risulta poco vario, non include alimenti freschi e, diversamente da quanto riportato nel progetto originale, non risponde a cultura e religione dei paesi di origine e del periodo di Ramadan seguito dalla maggior parte degli ospiti attualmente presenti;
   al momento dell'ingresso nel progetto i beneficiari ricevono un kit comprendente 1 capo di intimo, 1 paio di ciabatte, telo da bagno, lenzuola, prodotti per l'igiene personale. Il vestiario, a differenza di quanto indicato nell'allegato B, viene fornito al bisogno e reperito tramite un'associazione di volontariato che fornisce capi usati;
   il progetto non è ancora in grado di elaborare ed attivare specifici percorsi individualizzati; assenti i servizi che dovrebbero essere messi a disposizione dei beneficiari in termini di:
    a) formazione, riqualificazione professionale;
    b) orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo;
   Equipe-L’équipe di progetto non corrisponde quasi del tutto ai nominativi e alle professionalità indicate, descritte e dichiarate nella domanda progettuale e, pertanto, oggetto di valutazione in fase di bando. Nessuna comunicazione di rettifica, modifica o integrazione del personale impiegato è pervenuta al Ministero dell'Interno tramite il Servizio Centrale. Non si evince una programmazione stabile degli incontri tra operatori dell’èquipe nonché delle attività progettuali. Nell'ambito dell’équipe appaiono esistere due livelli scarsamente coordinati tra di loro, quello degli operatori professionisti (assistente sociale, psicologo, operatore legale) e quello comprendente tutti gli operatori dell'accoglienza, delegati a svolgere le mansioni più quotidiane e materiali nell'ambito del progetto. Assenza di strumenti idonei di analisi, descrizione, verifica delle competenze e atti a rilevare il personale background degli ospiti accolti (progetto individualizzato dell'accoglienza, bilancio e certificazione delle competenze). Il progetto prevede la supervisione esterna dell’équipe da parte di un professionista che al momento non è attiva, benché la situazione attuale lo richiederebbe in modo urgente, sia a livello di équipe che individuale;
   l'interrogante, unitamente alla deputata regionale Marika Cirone De Marco in data 30 maggio 2105 si è recata presso la struttura al fine di verificare le attuali condizioni dei richiedenti asilo o protezione ivi ospitati;
   confrontando i rilievi espressi un anno orsono nella relazione, nonostante il centro Sprar ha ricevuto l'intero pagamento per l'anno 2014, ovvero per il primo anno del progetto, ad oggi permangono notevoli criticità che si elencano di seguito:
    1. Attualmente il centro è ancora utilizzato solo per 75 posti ordinari e contrariamente al progetto, non è in grado di assicurare l'accoglienza degli ulteriori 75 posti aggiuntivi;
    2. I miniappartamenti dove sono ospitati i richiedenti asilo ospitano tre persone per ogni appartamento, ma i locali sono molto sguarniti di arredi: esistono solo tre letti un piccolo armadio e uno scaffale rettangolare, con mensole a vista che contiene in maniera frammischiata cibo, scarpe e beni vari, non vi è una separazione effettiva tra zona notte e zona giorno;
    3. Non esiste uno spazio comune di socializzazione se non una stanza molto spoglia con una tv e una panca di legno di soli 3 posti a sedere;
    4. Anche la sala dove dovrebbero avvenire i colloqui con gli operatori è spoglia e disadorna, con le pareti sporche;
    5. I 3 pasti giornalieri vengono consumati dagli ospiti ognuno nella propria stanza ove insiste un piccolo tavolinetto di plastica con qualche sedia;
    6. La sottoscritta recatasi al centro intorno alle 12,30 ha assistito alla distribuzione dei pasti: sigillati e provenienti dal servizio catering esterno venivano serviti in una piccola stanza; ogni persona si reca in quel luogo per prendere le pietanze da trasportare poi nella propria stanza all'interno di cassette di plastica (utilizzate al mercato per vendere la frutta); gli ospiti della struttura all'interno della propria stanza poggiano le cassette con il cibo anche a terra o provvedono a riscaldarlo o arricchirlo con aromi utilizzando con un fornellino da campo, anch'esso posto a terra o sopra un piano dell'unico mobile esistente;
   è veramente incomprensibile che già un anno fa il sopralluogo faceva rilevare che tutto il centro di accoglienza non era dotato di un frigorifero in cui «poter conservare acqua, latte e alimenti freschi da consumare al di fuori dei pasti erogati dal servizio di catering» ed ancora oggi la cooperativa non ha provveduto ad installare un frigorifero;
   erano durante la visita il coordinatore del progetto signor Stivala Giuseppe e la responsabile del progetto signora Ippolito, i quali hanno dichiarato che non vi è un piano pasti settimanale concordato per iscritto con la ditta di catering ma un semplice accordo implicito di variare i pasti, pertanto non è in alcun modo possibile accertare come, quanto e con quale varietà il cibo viene fornito agli ospiti del centro;
   si ribadisce che, come risulta anche dal sopralluogo del 2014, ancora oggi «gli spazi comuni a tutti i beneficiari sono costituiti da tre sale totalmente prive di arredi; prive di qualsiasi comfort nonché di attrezzatura necessaria allo scopo (sedie, tavoli, lavagna, e altro)»;
   come suggeriva anche la relazione del giugno 2014 in merito alla struttura e come veniva «già anticipato all'Ente Locale (comune di Siracusa) e all'ente gestore durante la visita di monitoraggio» risultava «necessario dotare gli appartamenti dei beneficiari nonché gli spazi comuni del comfort necessario in termini di climatizzazione e arredi, indispensabili alla gestione della vita quotidiana e delle attività previste dal progetto (condizionatori e/o ventilatori in numero sufficiente per ogni miniappartamento, frigorifero/i, mobilio per gli spazi comuni). Si ravvisava inoltre l'urgenza di provvedere ad un servizio di trasporto adeguato al numero dei beneficiari, che ne renda autonomi gli spostamenti dalla struttura ai centri abitati più vicini (Siracusa, Melilli)» ma tutto questo non è stato ad oggi realizzato (sono presenti solo i condizionatori nei mini appartamenti);
   con riferimento ai posti aggiuntivi obbligatoriamente previsti nella presentazione della domanda di contributo a valere sul FNPSA (DM 30 luglio 2013), ad oggi non sono stati reperiti ulteriori strutture per garantire la ricettività di 75 posti aggiuntivi prevista nel progetto;
   non è stata data attenzione ad una dieta dei pasti erogati dal servizio di catering per fornire un'alimentazione più variata, contenente cibi freschi e più consona alle abitudini alimentari dei beneficiari, anche nel rispetto dell'attuale periodo di Ramadan;
   il personale deve ancora percepire il contributo mensile a datare dal mese di dicembre 2013 ad oggi;
   in merito ai servizi nella relazione si leggeva che risulta necessario implementare i servizi di formazione, riqualificazione professionale, orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo, nonché promuovere e sostenere in loco la realizzazione di attività di animazione socio culturale mediante la partecipazione attiva degli ospiti (eventi di carattere culturale, sportivo, sociale e altro), che al momento risultano assenti o allo stato di mera progettualità;
   il servizio centrale richiedeva al comune di Siracusa, titolare del progetto Sprar, di vigilare sull'effettivo ripristino, entro e non oltre 15 giorni a partire dalla data della presente comunicazione, delle condizioni abitative minime previste dal progetto come da allegati B1 e di produrre il certificato di abitabilità della struttura ad oggi attiva, così come richiesto prima e durante la visita; richiedeva contestualmente di reperire, entro e non oltre 15 giorni a partire dalla data della presente, soluzioni alloggiative atte a garantire la disponibilità dei 150 posti (75 ordinari e 75 aggiuntivi previsti dal progetto), nonché di seguire le raccomandazioni descritte relativamente all'equipe e ai servizi minimi offerti, attualmente non aderenti alle Linee guida ministeriali; il servizio centrale ricordava che la non osservanza di tale avviso può comportare, ai sensi dell'articolo 14 del decreto ministeriale 30 luglio 2013, la decurtazione del punteggio attribuito con conseguente revoca totale o parziale del contributo;
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto:
   se intenda inviare una visita di monitoraggio;
   quali altre misure intende adottare affinché l'ente gestore adempia alle prescrizioni impostegli. (3-01534)


   CRIVELLARI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Rovigo, in occasione delle elezioni comunali dello scorso 31 maggio 2015, a spoglio concluso e a materiale consegnato, la Commissione centrale per le elezioni ha tra le altre cose riscontrato che:
    a) il verbale relativo al seggio n. 37 della frazione di Concadirame, pur compilato in ogni sua parte e da considerarsi valido, riportava solo il numero dei votanti lasciando in bianco la parte relativa ai voti di lista e alle preferenze e ai candidati sindaco;
    b) il verbale relativo al seggio n. 44 della frazione di Mardimago, anch'esso compilato tale da ritenersi valido, riportava solo i voti dei singoli candidati;
   la Commissione come da norma non poteva intervenire nella verifica fattiva delle schede, dato che i verbali erano stati convalidati dai rispettivi presidenti di seggio, ma ha potuto solamente prendere atto dell'assenza di attribuzione di 978 voti;
   si ribadisce che tuttavia che diverse altre irregolarità e anomalie venivano registrate anche in altri seggi;
   varie forze politiche impegnate nelle elezioni e singoli candidati consiglieri hanno manifestato l'intenzione di presentare ricorso al Tar;
   tale situazione di incertezza e il protrarsi per giorni della mancata definizione dell'esito del voto hanno prodotto forti tensioni e notevole delusione negli elettori di Rovigo e tra gli stessi candidati;
   la città è nuovamente alla vigilia di un appuntamento elettorale quanto mai decisivo ed importante, come il turno di ballottaggio: appare dunque necessario fare chiarezza su quanto accaduto per dare o meglio ridare piena legittimità e rispetto al voto di tutti gli elettori del comune di Rovigo. Riteniamo infatti fondamentale tutelare il diritto di voto, costituzionalmente riconosciuto come principio fondativo della rappresentanza e del rapporto tra cittadino e Stato, ad ogni livello;
   il Sottosegretario Bocci ha richiesto al prefetto di Rovigo una dettagliata relazione su quanto descritto in premessa –:
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere il Governo rispetto alla situazione descritta. (3-01536)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRUSONE, D'AMBROSIO, L'ABBATE, DE LORENZIS, BRESCIA, SCAGLIUSI e CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Castellaneta (TA) ha sede il distaccamento provinciale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che ha come competenza una vastissima area in buona parte boscosa con molte criticità specialmente nel periodo estivo;
   la sede è ubicata in un immobile di proprietà del comune;
   a seguito di un'ispezione dell'interrogante tale sede, di notevole cubatura, è apparsa sprovvista al suo interno di poche risorse umane che operano in quelle zone (una squadra per turno), scarsità dovuta alla notevole carenza di organico di cui soffre ormai da troppo tempo il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
   si è riscontrata un'età media piuttosto elevata dovuta sempre al blocco del turn over che, con il tempo, oltre a creare un'endemica carenza di personale, ha portato all'innalzamento dell'età media del corpo;
   tale struttura, inoltre, manca dell'autorizzazione sismica e tale mancanza mette a repentaglio sia la vita dei lavoratori della struttura sia la possibilità per i civili, di ricevere soccorsi adeguati, in caso di evento sismico;
   c’è da aggiungere che la zona di competenza è fortemente turistica, il che fa lievitare notevolmente il numero della popolazione durante il periodo estivo, che è quello più a rischio incendi;
   nonostante le condizioni di disagio si cerca di operare al meglio con le risorse a disposizione –:
   se il Ministro sia al corrente della disorganizzazione infrastrutturale dell'immobile presso cui ha sede il distaccamento provinciale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di Castellaneta ed in particolare dello stato di disagio in cui gli operatori sono chiamati ad operare;
   quali provvedimenti urgenti di competenza il Ministro stia programmando, per risolvere il problema che coinvolge non solo il comune di Castellaneta ma tutti i comuni limitrofi. (5-05782)


   FIORIO, CENNI, CARRA, LUCIANO AGOSTINI, FERRO e MARANTELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   per agricoltura sociale si intende l'utilizzo dell'azienda agricola per il soddisfacimento di bisogni sociali, come la riabilitazione e il recupero di soggetti svantaggiati;
   tale attività sta assumendo, anche nel nostro paese, un ruolo sempre più significativo anche alla luce del valore riconosciuto della multifunzionalità dell'azienda agricola nonché della crisi e dell'evoluzione dei tradizionali sistemi di welfare;
   da una prima stima si calcola che in Italia siano oltre 750 le aziende che praticano agricoltura sociale i cui locali sono spesso ricavati da strutture confiscate alla criminalità organizzata o da edifici pubblici ristrutturati per essere destinati ad una rinnovata utilità collettiva;
   accanto alla produzione di prodotti alimentari e di servizi tradizionali, l'agricoltura sociale interviene quindi a sostegno della produzione e della promozione di «salute», di azioni di riabilitazione e di cura, di educazione, di formazione, di organizzazione di servizi utili per la vita quotidiana di specifiche tipologie di utenti, di aggregazione e di coesione sociale per i soggetti maggiormente vulnerabili nonché di creazione di opportunità occupazionali per le persone a bassa contrattualità;
   gli utenti dell'agricoltura sociale sono infatti, nella maggior parte dei casi, persone con disabilità fisiche, psichiche o mentali, giovani con difficoltà nell'apprendimento o nell'organizzare la loro rete di relazioni, soggetti con svantaggio sociale, con dipendenze da droghe, disoccupati di lungo periodo, cosiddetti «soggetti burnout» (persone colpite da un processo «stressogeno» derivato da professioni d'aiuto), malati terminali, anziani, bambini in età scolare e prescolare. L'agricoltura sociale consente di assicurare azioni di promozione di stili di vita sani ed equilibrati e, allo stesso tempo, rende disponibili servizi utili per migliorare la qualità della vita degli abitanti urbani e nelle aree rurali;
   il ruolo dell'agricoltura sociale è stata riconosciuto anche dal Parlamento: la Camera dei deputati ha infatti approvato, nel corso dell'attuale legislatura, una proposta di legge per promuoverne le attività. Tale provvedimento è attualmente all'esame del Senato;
   si stanno purtroppo registrando, negli ultimi mesi, numerosi furti e danneggiamenti contro numerose strutture ed aziende che praticano le attività di agricoltura sociale;
   in molti casi tali azioni rappresenterebbero esclusivamente, con molta probabilità, atti di vera e propria intimidazione nei confronti delle «fattorie» e quindi delle loro attività e della loro funzione sociale, dal momento che la violenza e la frequenza degli atti vandalici non potrebbe giustificare il solo obiettivo del furto o della rapina dei beni mobili –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei numerosi atti vandalici e furti ai danni delle aziende che praticano agricoltura sociale e se non ritengano opportuno, per quanto di loro competenza ed in relazione al ruolo svolto da tali strutture per la collettività come il potenziamento del welfare ed il sostegno alle persone svantaggiate, di attivare azioni mirate per contribuire ad appurare la natura e le motivazioni di tali atti per prevenirli e contrastarli con efficacia.
(5-05791)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 maggio 2015 veniva siglato un accordo tra le organizzazioni sindacali del personale della Polizia di Stato e il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, sull’«utilizzazione delle risorse previste dal fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali per l'anno 2014»;
   a distanza di pochi giorni il sindacato UGL della Polizia di Stato chiedeva chiarimenti al capo della Polizia e al citato Ministero in merito alle voci che circolavano su un possibile taglio sul fondo di produttività 2014, previsto in pagamento presumibilmente entro la fine del mese di giugno;
   si legge, infatti, nella missiva: «sembrerebbe che, diversamente da quanto dichiarato in fase di accordo, le somme relative al premio fondo produttività, saranno erogate in una prima fase solo nella misura dell'81 per cento entro il mese di giugno, ed il restante 19 per cento solo a reperimento dei fondi necessari.»;
   a conferma di tale indiscrezione, il Ministro, con nota n. 2287 del 21 maggio 2015, confermava che «non risultano ancora disponibili le risorse aggiuntive provenienti dalla legge di stabilità relativa al 2014 e dai risparmi di spesa e di gestione. Pertanto, considerati i tempi tecnici necessari [...], il Servizio Tep e Spese varie ha predisposto i files di liquidazione che prevedono il pagamento all'81 per cento dell'importo totale. Il pagamento dell'ulteriore somma da corrispondere [...] verrà effettuato non appena risulterà possibile disporre della predetta quota incrementale di risorse [...].»;
   se tale decisione fosse confermata, come sembra già, sarebbero ancora una volta penalizzati i lavoratori in divisa, e verrebbero umiliati ulteriormente le donne e gli uomini della polizia di Stato, ai quali, era stato promesso il totale pagamento del premio comprensivo delle somme derivanti dalle ulteriori risorse economiche –:
   quale sia la reale disponibilità dei fondi necessari alla liquidazione dell'ulteriore somma da corrispondere, nonché le modalità e le tempistiche di erogazione anche delle somme provenienti dallo stanziamento supplementare. (4-09420)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, PELLEGRINO e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 giugno 2015, nell'ambito delle attività di contrasto alla manodopera clandestina, i Carabinieri della Compagnia di Montegiorgio (Fermo) hanno posto sotto sequestro un laboratorio di produzione di tomaie, cinture e minuterie metalliche, a Magliano di Tenna, avendo riscontrato la violazione di norme a presidio della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro;
   il titolare del laboratorio, di nazionalità cinese, è stato denunciato, mentre tre delle sette donne identificate – sempre di nazionalità cinese – erano prive di documenti attestanti il regolare soggiorno in Italia;
   il tomaificio è risultato essere privo di qualsiasi autorizzazione ad operare (Il Resto del Carlino, 10 giugno 2015);
   il fatto riportato solleva allarmi sotto diversi profili. Oltre alla violazione di norme sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, e la presenza di lavoratori irregolari privi di permesso di soggiorno, rilevano problematiche sotto il profilo della concorrenza sleale, ai danni degli imprenditori che operano nel territorio nel pieno rispetto della legge –:
   quali misure intendano intraprendere i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, per rafforzare i presidi a tutela di salute e sicurezza dei lavoratori, della legalità nell'esercizio delle attività economiche e a tutela della concorrenza, con particolare riferimento ai distretti ad alta densità produttiva manifatturiera;
   quali iniziative anche di carattere normativo, intenda assumere il Governo per sanzionare le aziende «regolari» che si avvalgono del lavoro dei laboratori clandestini, o ne acquistano i prodotti.
(4-09423)


   SCOPELLITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la dottoressa Rosalia Staropoli, componente dell'Esecutivo nazionale del movimento giovanile antimafie Ammazzateci Tutti, legale dei poliziotti del sindacato autonomo di polizia per la provincia di Vibo Valentia, presidente dell'associazione ConDivisa — Sicurezza e Giustizia (che si propone di affiancare, supportare e tutelare gli uomini e le donne che appartengono ai Corpi di polizia e ai Corpi militari, per consentire loro di svolgere il proprio dovere in totale sicurezza, promuovendone i valori etici e sociali che caratterizzano gli operatori delle forze dell'ordine e delle Forze armate) ed autrice del libro La «Santa» Setta, Il potere della `ndrangheta sugli affiliati e il consenso sociale sul territorio, vive a Limbadi, una zona ad altissima densità mafiosa in provincia di Vibo Valentia;
   a causa della sua meritoria attività antimafia in un territorio che possiamo considerare vera roccaforte della `ndrangheta, la Staropoli è stata più volte vittima di numerosi atti intimidatori, puntualmente denunciati alle Forze dell'ordine, che hanno esposto lei e la sua famiglia a situazioni di rischio;
   nel gennaio 2013, come riportato da gran parte dei giornali locali calabresi, la Staropoli subisce gravi insulti da Ciccia Pasqualina, residente a Limbadi, con legami di parentela con le maggiori famiglie mafiose del territorio, arrestata assieme al marito per porto abusivo di armi, ricettazione e furto aggravato di energia elettrica, nel dicembre dello stesso anno;
   come attestano gli esposti e le querele che si susseguono alla procura della Repubblica di Vibo Valentia, la signora Ciccia scrive pubblicamente sul proprio profilo Facebook, riferendosi ad un articolo che parlava dell'attività della Staropoli, che non conviene parlare di (cito testualmente) «se parliamo di vera mafia, lo Stato porta la bandiera tricolore per eccellenza»;
   in un procedimento penale dinnanzi al tribunale di Trieste (N.2/13 R.G. G.U.P. — N.238/10 R.G. N.R.) Rosalia Staropoli risulta parte offesa, insieme al Presidente Barack Obama, al Ministero dell'interno e al funzionario del Virginia Tech Police Department Emily Reineke;
   nel settembre 2013 la Staropoli è vittima di un ulteriore «avvertimento», avendo rinvenuto davanti alla porta di servizio della propria abitazione un gatto morto: il mese successivo, all'interno del vialetto della stessa abitazione, l'auto che aveva acquistato cinque giorni prima viene gravemente danneggiata;
   la notte del gennaio 2014 la vicina che risiede al piano superiore della stessa abitazione, si accorge della presenza di due uomini sospetti nelle scale interne dell'abitazione;
   nonostante quanto fin qui rappresentato, Lia Staropoli continua ad offrire il proprio contributo al contrasto della criminalità organizzata e a schierarsi dalla parte della legalità e delle Forze dell'ordine –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro sia a conoscenza della questione e se siano già state intraprese iniziative da parte delle autorità di pubblica sicurezza locali al fine di garantire la sicurezza della dottoressa Rosalia Staropoli e della sua famiglia, che a giudizio dell'interrogante sono quanto mai necessari e urgenti. (4-09427)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recente diffusione della velina relativa alla movimentazione del personale appartenente al ruolo agente ed assistente di Polizia avrebbe generato in tutta Italia un forte malumore tra il personale;
   in particolare, la Consap, con nota n. 389 dello scorso 18 maggio, tra le tante carenze di chiarezza da parte del dipartimento della pubblica sicurezza, ha denunciato «il mancato rispetto dell'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982, che impone in capo all'Amministrazione della pubblica sicurezza, l'obbligo di rendere «noto semestralmente, per ogni sede, il numero delle domande presentate dal personale distinte per ruoli e qualifiche»;
   secondo il citato sindacato, infatti, la mancata comunicazione e l'assenza di criteri obiettivi rendono difficilmente comprensibili molti dei trasferimenti disposti, ma in particolare desterebbero allarme, soprattutto in considerazione della nota carenza di organico di molti uffici territoriali, quelli disinvoltamente operati tra gli altri verso la direzione centrale anticrimine (3), il servizio polizia postale (2) il servizio sovrintendenti, assistenti ed agenti (2), il servizio direttivi ed ispettori (2), l'ufficio centrale ispettivo (2), il centro polifunzionale di Spinaceto (2), il centro interregionale Veca di Ostia (2), l'ufficio 2o contenzioso e affari legali (1), il servizio polizia scientifica (2), la direzione centrale per l'immigrazione (3) e la direzione centrale per le specialità (2);
   ancora più incomprensibili, si legge nella nota, appaiono i trasferimenti «mirati» verso i commissariati di Cisterna, Capri, Ischia, Cerignola, Vittoria, Chioggia, Bitonto, anziché presso le relative questure dove vi sarebbe personale in attesa da tempo di assegnazione secondo «presunte graduatorie provinciali»;
   in assenza di criteri e regole capaci di rendere oggettivi i provvedimenti di trasferimento, le scelte operate non possono che apparire alla stragrande maggioranza dei poliziotti assolutamente arbitrarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per garantire trasparenza nei trasferimenti del personale e delle assegnazioni temporanee attraverso la introduzione di nuovi e più funzionali criteri, anche attraverso la convocazione immediata di un tavolo tecnico con i responsabili del servizio. (4-09435)


   RICCIATTI, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, COSTANTINO, PLACIDO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, SCOTTO, FRATOIANNI, NICCHI, PELLEGRINO, ZARATTI e FERRARA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 giugno 2015 diversi organi di stampa (per tutti, Il Resto del Carlino e Il Messaggero) hanno riportato la notizia di numerosi controlli effettuati dai nuclei investigativi di polizia ambientale e forestale, in tutta la regione Marche, che hanno portato alla scoperta di oltre 10 mila chili di materiale ferroso e rifiuti pericolosi;
   l'indagine si inserisce in una vasta operazione avviata dal Corpo forestale nella regione, finalizzata al contrasto delle attività criminali nella gestione dei rifiuti metallici e pericolosi;
   tra i materiali rinvenuti, cavi di rame per un valore stimato di 10.000 euro, in provincia di Pesaro e Urbino;
   gli uomini del Corpo forestale dello Stato del comando provinciale di Pesaro, congiuntamente agli agenti delle stazioni di Cartoceto, Carpegna e Piobbico hanno colto in flagranza di reato un cittadino marocchino mentre scaricava abusivamente materiale ferroso ed hanno eseguito il sequestro del furgone utilizzato, denunciando inoltre il titolare della ditta per la quale l'uomo lavorava, presso la quale sono stati rinvenuti inoltre 1.500 chili di cavi di rame, parti di motori ed elettrodomestici, acciaio e 500 chili di ottone, tutti di provenienza sconosciuta;
   l'indagine che ha portato al ritrovamento di tali materiali è stata coordinata dal procuratore della Repubblica del tribunale di Pesaro, dottore Manfredi Palumbo –:
   se il Ministro sia in grado di fornire un quadro delle attività criminali in materia di gestione illecita dei rifiuti nelle Marche;
   considerata l'alta professionalità del Corpo forestale dello Stato, dimostrata ancora una volta in questa occasione, quali iniziative intenda adottare il Ministro per preservare le professionalità maturate dal Corpo e la sua funzione strategica. (4-09439)


   MICILLO, LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, PISANO e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 31 maggio 2015 si sono svolte, in Campania, le elezioni regionali ed in molti comuni anche le elezioni amministrative;
   nella giornata elettorale ci siano stati numerosi interventi delle forze dell'ordine a seguito di altrettanti episodi segnalati che hanno riguardato irregolarità nell'espressione del voto;
   nel comune di Ercolano (Napoli), all'interno del seggio di via Cuparelle, due persone sono state identificate dalle forze dell'ordine per aver comprato il voto di due elettori per una cifra di 20 euro l'uno;
   a Sorrento (Napoli), all'interno della scuola Vittorio Veneto, un uomo di circa 80 anni è stato denunciato, a seguito della sollecitazione del presidente, per aver fotografato la scheda elettorale dopo il voto;
   a Cardito (Napoli) il presidente di un seggio è stato denunciato dalle forze dell'ordine per avere fotografato il proprio voto all'interno dell'istituto Gianni Rodari;
   a Macerata Campania (CE) un uomo di 47 anni è stato sorpreso dai carabinieri all'esterno di un seggio mentre distribuiva materiale elettorale;
   a Casavatore (Napoli) un uomo di 21 anni è stato denunciato per avere tentato di votare due volte, la seconda volta al posto di un'altra persona. Inoltre due donne di 26 e 40 anni, presidenti di seggio, avrebbero consentito il voto a due giovani, di 22 e 32 anni. Tali giovani, dopo aver votato, si accingevano a votare nuovamente con tessere elettorali di altre persone nel seggio n. 9 di via Campanariello;
   nel comune di Giugliano in Campania (Napoli) nelle immediate vicinanza del quinto circolo didattico di Giugliano in Campania, sito in via Pigna, alle ore 17,10, il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle ha pubblicamente denunciato, attraverso un video, una presunta compravendita di voti che stava avvenendo nelle immediate vicinanze della scuola;
   il video è stato immediatamente ripreso da diversi organi di informazione;
   sempre nel comune di Giugliano in Campania 29 presidenti di seggio sorteggiati hanno rinunciato ad espletare la funzione di presidente di seggio il giorno prima delle elezioni. Diverse nomine a presidente sarebbero state eseguite senza il sorteggio ed in maniera diretta dai dirigenti. Come se non bastasse le schede elettorali consegnate sarebbero insufficienti a coprire il numero degli elettori;
   ancora nel detto comune, alla data del 9 maggio 2015, il numero dei presidenti di seggio rinunciatari arriva a quasi il 50 per cento dei totali;
   nel comune di Napoli — quartiere Bagnoli — all'interno dell'istituto comprensivo di piazza Neghelli è stato denunciato un uomo per aver fotografato il voto con il telefono cellulare. Sul posto si sono recati gli agenti del commissariato San Paolo di Fuorigrotta che lo hanno identificato e denunciato. Caso simile, sempre all'interno del comune di Napoli, nel quartiere Piscinola, in un seggio elettorale posto all'interno di una scuola di via dell'Abbondanza;
   sempre nel comune di Napoli si sono registrate irregolarità nella redazione dei verbali da parte di circa 170 seggi, per un totale di circa 70.000 schede. Tanti, infatti, i verbali che sono stati rispediti indietro dal Viminale ed ora sono all'esame del Tribunale –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra descritta;
   quali misure di competenza intenda adottare per prevenire e contrastare condotte illecite ed illegittime nelle procedure di voto in occasione delle consultazioni elettorali;
   quali misure intenda attuare affinché nessuno possa fotografare il proprio voto. (4-09441)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Modena, presso il liceo linguistico Selmi, in data 27 marzo 2015, un'assemblea d'istituto, inizialmente concordata, sul tema della lotta alla discriminazione sessuale è stata rinviata due volte;
   il secondo rinvio è stato motivato con l'assenza tra gli invitati di un esponente di associazioni di opinione diversa dall'Arcigay Modena in merito alla lotta all'omofobia e alla transfobia;
   tra le motivazioni addotte risulterebbe anche la mancanza di una posizione alternativa sulla cosiddetta «ideologia di gender», teoria ritenuta sprovvista di qualunque appiglio scientifico e accademico;
   la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura l'introduzione dell'aggravante di omofobia e transfobia per i reati violenti;
   è unanimemente riconosciuto che uno dei metodi più efficaci per combattere le discriminazioni, tra cui anche quelle per orientamento sessuale e identità di genere, è la sensibilizzazione e l'istruzione all'interno delle scuole di ogni ordine e grado, così come sostenuto nelle «Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo», di recente pubblicazione a firma della stessa Ministra;
   non si tratta del primo caso di assemblea d'istituto rinviata riguardante temi sui diritti lgbt, ma sempre in un istituto superiore modenese lo scorso anno gli studenti e la cittadinanza si erano trovati di fronte a problemi molto simili, così come accaduto in altre città italiane;
   la libertà di espressione e pensiero va sempre tutelata e incoraggiata –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative il Ministro ritenga di assumere al fine di diffondere iniziative di contrasto all'omofobia e alla transfobia nelle scuole superiori italiane e segnatamente quelle promosse dagli studenti come nei casi segnalati in premessa;
   se intenda regolamentare in qualche modo l'accesso delle organizzazioni «LGBT» all'interno delle scuole pubbliche. (4-09429)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI, COMINARDI, TRIPIEDI, BONAFEDE, SARTI e AGOSTINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il socio lavoratore di cooperativa perde con la perdita della qualifica di socio anche il rapporto di lavoro in essere;
   la legge n. 30 del 2003, con l'articolo 9, di modifica del comma 2, articolo 5, della legge 3 aprile 2001, n. 142, ha stabilito che: «Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario»;
   l'articolo 2533 codice civile elenca in modo analitico le cause di esclusione del socio, richiamando i casi previsti dall'atto costitutivo e le «gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico»;
   risulta peraltro che alla delibera di esclusione del socio lavoratore non siano applicabili le garanzie formali del contraddittorio contemplate dall'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori essendo sufficiente la comunicazione per rendere edotto il socio delle ragioni della sanzione assunta, in modo tale da consentirgli di articolare le proprie difese solo attraverso l'opposizione;
   al socio lavoratore escluso, quindi di fatto licenziato, non si applicano le tutele diversamente previste per i lavoratori non soci: le regole procedurali dettate per il licenziamento disciplinare (articolo 7 dello statuto lavoratori), per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (articolo 7, legge 15 luglio 1966, n. 604) e per il licenziamento collettivo (articolo 4, comma 2 e seguenti, legge n. 223 del 1991), né gli indennizzi risarcitori;
   è prassi diffusa l'iscrizione, di fatto obbligata, al libro soci del lavoratore, per procedere alla assunzione da parte delle cooperative, che in tal modo possono eludere la normativa sul lavoro, potendo decidere in ogni momento l'esclusione da socio per procedere al licenziamento;
   si riscontrano vere e proprie forme di mobbing sul lavoro da parte delle dirigenze delle cooperative che intendono liberarsi di soci dissenzienti rispetto alle stesse, contando sulla opportunità data dalla legislazione per escludere, e quindi licenziare, tali soci; non mancano situazioni in cui si evidenzia l'opportunistica costruzione di prove per «gravi inadempienze» che giustifichino l'esclusione;
   non vale, per il socio escluso, la possibilità di ricorrere alle commissioni provinciali del lavoro per aver garantito il contraddittorio, dal momento che a prevalere (pare) sia l'esclusione da soci e, come unica possibilità, resta il ricorso in giudizio;
   il socio lavoratore, che si ritenga sottoposto all'arbitrio della cooperativa, può impugnare nel termine di 60 giorni la delibera di esclusione, la quale deve essere valida alla stregua delle regole previste dal diritto societario; qualora venga annullata, in virtù del collegamento negoziale tra contratto associativo e di lavoro, quest'ultimo tornerà a vivere ed il rapporto di lavoro sarà ricostituito ex tunc in base ai principi generali del diritto civile (cfr. Cass., 5 luglio 2011, n. 14741);
   il percorso giudiziario eventualmente avviato dal socio contrario all'esclusione, per vedersi riconoscere il diritto al reintegro, finalizzato al mantenimento del posto di lavoro, o eventualmente forme di risarcimento sotto forma di indennizzo, anche nei casi di ricorso alla camera arbitrale presso le C.C.I.A.A., come eventualmente previsto dallo statuto, ha costi anche di decine di migliaia di euro, cosa che scoraggia di fatto la parte più debole all'intrapresa del percorso;
   si evidenzia in tal modo una disparità di trattamento, di sede di ricorso al giudizio sulle parti, con conseguente disparità nella tutela tra lavoratori soci e lavoratori non soci di cooperative: i primi licenziabili con una preventiva e semplice esclusione da soci, i secondi comunque tutelati giustamente dalla legislazione sul lavoro;
   non aiuta l'aspetto dell'incertezza giurisprudenziale che peraltro, in alcuni casi, non ha escluso il ricorso alla disciplina lavoristica: sentenze di merito affermano che – anche in caso di esclusione legittima ovvero non impugnata – è comunque possibile per il giudice del lavoro procedere ad un'autonoma valutazione dei fatti che hanno portato alla risoluzione del rapporto di lavoro (Trib. Torino 30 giugno 2004), affermando la prevalenza della disciplina lavoristica su quella societaria, ritenendo sostanzialmente applicabile la disciplina del licenziamento, anche in caso di esclusione con contestuale licenziamento del socio lavoratore (Trib. Trieste 19 marzo 2011); sul punto si è pertanto di fronte ad una situazione di incertezza, alla quale si aggiungono le problematiche di diritto processuale in ordine al tribunale competente a giudicare le controversie scaturenti dai provvedimenti di esclusione/licenziamento, visto che a tutt'oggi pare non risulti ancora chiaro se dette controversie debbano essere assoggettate al rito del lavoro o a quello «ordinario» –:
   se i Ministri interrogati abbiano valutato la situazione descritta e se abbiano previsto o prodotto chiarimenti in merito all'incertezza giurisprudenziale;
   quale sia il tribunale di competenza;
   quali siano le tutele per il socio lavoratore escluso che di conseguenza perde il lavoro;
   quali provvedimenti si intendono assumere per evitare l'uso strumentale dell'iscrizione «obbligatoria» al libro soci per essere assunti come lavoratori nelle cooperative. (5-05780)


   DI SALVO e NARDI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la regione Toscana, sulla base della legge nazionale 29 luglio 1975, n. 405 (Istituzione dei Consultori Familiari), e della legge regionale 12 marzo 1977 n. 18 (Istituzione del servizio di assistenza alla famiglia, alla maternità, all'infanzia e ai giovani in età evolutiva) stata tra le prime regioni ad istituire servizi quali consultori familiari ed i servizi per la tutela della salute mentale e la disabilit, all'interno dei quali operavano molte figure professionali;

   tale personale fu reperito dai comuni e dai consorzi socio-sanitari attraverso la stipula di convenzioni e, successivamente, fu trasferito alle USL alla loro entrata in vigore. Senza tali figure professionali non sarebbe stato possibile realizzare la riforma sanitaria, essendo in vigore il blocco degli organici e delle assunzioni nel servizio pubblico;

   gli operatori: assistenti sociali, fisioterapisti, sociologi, psicologi, infermieri generici, dietisti, educatori professionali, assistenti domiciliari, biologi e altri, furono assunti con rapporto a convenzione dando inizio a un lungo periodo di precariato risolto solo nel 1985 con la legge di sanatoria n. 207 del 1985;

   con l'approvazione della legge 207 del 1985 veniva finalmente riconosciuto lo status di lavoratori dipendenti in quanto sanava le posizioni garantendo la continuità dei servizi attuati e la qualità delle prestazioni effettuate ma imponeva, con l'articolo 3, primo comma (con l'esclusione di ogni riconoscimento di anzianità) la rinuncia a qualsiasi forma di rivendicazione per il periodo di precariato;

   la stessa situazione che accadeva in Toscana ha riguardato anche le altre regioni d'Italia, ma il problema, nel corso degli anni, stato risolto in modo diverso da caso a caso. In alcune USL vi stato un immediato riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato (ancorché coperto dal contratto a convenzione), in altre tale riconoscimento stato rifiutato;

   i convenzionati toscani si sono attivati, fin dai primi anni di servizio, per sollecitare il riconoscimento del rapporto subordinato promuovendo azioni per la stabilizzazione del rapporto di lavoro attraverso il ricorso a pretori del lavoro, cause legali, disponibilità a livello locale (USL) e regionale;

   gli ex convenzionati, nel corso degli anni, non hanno mai rinunciato alla ricerca di una soluzione e con l'entrata in vigore della legge Fornero sono stati costretti a prolungare nel tempo il loro rapporto di lavoro ancora di molti anni;

   al Senato della Repubblica stato presentato un disegno di legge di modifica alla legge 207 del 1985, ma ancora non iniziato il suo iter parlamentare;

   il giorno 8 ottobre 2014 stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione Toscana n. 40 la mozione n. 909 del 24 settembre 2014 nella quale la giunta della regione Toscana si impegna ad effettuare un censimento per conoscere il numero dei lavoratori interessati e a ricercare ed attivare di concerto con il Governo, ogni azione utile a sanare una situazione di palese violazione dei principi di uguaglianza... affinché siano riconosciuti i periodi di attività lavorativa..., a farsi portavoce del problema in conferenza Stato Regioni al fine di individuare interventi volti a rimediare...;

   il 29 novembre 2014 la regione Toscana, in una assemblea con le organizzazioni sindacali e gli ex convenzionati si impegnata a farsi portavoce presso: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Economia e delle finanze e l'Inps per la costituzione di un tavolo congiunto tra Ministeri, regioni ed Inps al fine di analizzare le necessarie modifiche normative alla legge 207 del 1985 che tengano in considerazione due condizioni:

    a) il riconoscimento ai fini figurativi degli anni lavorati in convenzione la possibilit di riscatto degli anni lavorati a convenzione, ai fini contributivi, a richiesta del dipendente con possibilit di rateizzazione sostenibile dei relativi oneri calcolati sulla base delle retribuzioni dell'epoca;

    b) nei primi mesi del 2015 stata effettuata dalla regione Toscana una ricognizione degli ex convenzionati ancora in servizio che risultano essere 578;

   in questo tempo in cui il tema del lavoro precario ha così tanto rilievo forse possibile ricordare che anche nel passato molti giovani sono stati penalizzati da anni di lavoro svolto senza le dovute tutele. Paradossalmente la maggior parte di questi lavoratori erano giovani donne impegnate professionalmente nella realizzazione di servizi a favore della maternit e dell'et evolutiva a cui era preclusa la tutela della propria gravidanza (alcune hanno partorito senza soluzione di continuit dall'attivit di servizio);

   la tipologia di lavoro aveva tutte le caratteristiche del rapporto di dipendenza (come la legge di sanatoria stessa implicitamente riconosce anche per il fatto di essere stata promulgata) compresa la durata di oltre tre anni di rapporto di lavoro continuativo;

    evidente la disparità di trattamento tra cittadini ex convenzionati, alcuni dei quali si sono visti riconoscere i propri diritti previdenziali, mentre ad altri, nella medesima situazione, tali diritti non sono stati riconosciuti né dalla USL né dai magistrati a cui hanno fatto ricorso;

   al tempo era preclusa anche la possibilit di effettuare versamenti volontari perch, in assenza di un ordine professionale, non esisteva una Cassa di previdenza;

   quegli anni tornano a gravare sulle prospettive di giusta messa a riposo di chi chiede, non un privilegio, ma un atto di giustizia e un dovuto, anche se tardivo, riconoscimento di un lavoro concretamente svolto –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa, se non intenda intervenire, anche con apposite iniziative normative, al fine di prevedere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato anche per gli anni lavorati in convenzione per suddetti lavoratori, evitando in tal modo la disparità di trattamento per il riconoscimento dei propri diritti previdenziali. (5-05790)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 8 giugno 2015 si è verificato l'ennesimo incidente nello stabilimento Ilva di Taranto, un lavoratore dell'Ilva, Alessandro Morricella, è stato travolto da un getto di ghisa incandescente mentre misurava la temperatura del foro di colata dell'Altoforno 2 dello stabilimento siderurgico di Taranto riportando ustioni di terzo grado su quasi tutto il corpo;
   da fonti stampa si apprende che le condizioni del lavoratore sono disperate e che siano in corso di verifica le dinamiche dell'incidente e il rispetto delle norme di sicurezza;
   nonostante l'AIA e i suoi aggiornamenti e i sette decreti-legge che sono stati emanati negli ultimi anni, lo stabilimento siderurgico tarantino continua ad essere fonte di danni alla salute della popolazione e dei lavoratori –:
   quali siano le motivazioni dell'incidente avvenuto e a chi appartengono le responsabilità di quanto accaduto;
   se il luogo in cui è avvenuto l'incidente rispetti tutte le normative sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e quali sono i rischi per i lavoratori impiegati nel suddetto reparto;
   quali siano gli adempimenti previsti dall'AIA nel suddetto reparto e se vi siano ritardi nell'attuazione delle prescrizioni.
(4-09414)


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli incrementi di produttività, qualità e competitività del sistema produttivo italiano sono obiettivi diffusamente condivisi e più volte richiamati in sede parlamentare e dallo stesso Governo;
   il legislatore è intervenuto a sostegno di tali obiettivi con legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), introducendo, all'articolo 1, comma 67, uno sgravio contributo relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, costituita alle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali sono incerti la corresponsione o l'ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati;
   l'articolo 1, comma 68, della medesima legge n. 247 del 2007, prevede un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il quale sono stabilite le modalità di attuazione del comma 67, anche con riferimento all'individuazione dei criteri di priorità sulla base dei quali debba essere concessa, nel rigoroso rispetto dei limiti finanziari previsti, l'ammissione al beneficio contributivo, e con particolare riguardo al monitoraggio dell'attuazione, al controllo del flusso di erogazioni e al rispetto dei tetti di spesa;
   sempre il legislatore è altresì intervenuto introducendo una speciale agevolazione fiscale, consistente in un'imposta sostitutiva del 10 per cento sulle retribuzioni di produttività, da ultimo finanziata con legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — legge di stabilità 2013) per gli anni 2013, 2014 e 2015;
   le due misure sono state accolte positivamente dai lavoratori dipendenti, che hanno potuto godere di una maggiore disponibilità economica, e dalle imprese, che hanno beneficiato di una riduzione del costo del lavoro, con la sottoscrizione di numerosi accordi collettivi territoriali, aziendali ovvero di secondo livello;
   nella risposta all'interrogazione 5-05702 Busin, si specifica che lo stanziamento previsto dalla legge n. 228 del 2012 è da considerarsi dal punto di vista tecnico esclusivamente a copertura di somme soggette ad agevolazione nel 2014 con versamento delle imposte nel mese di gennaio 2015;
   a legislazione vigente, l'unica misura incentivante i premi di produttività, comunque denominati, è lo sgravio contributivo di cui alla legge n. 247 del 2007;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, dispone che a decorrere dal 2014 il citato decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 1, comma 68, della legge n. 247 del 2007, è emanato entro il mese di febbraio;
   il decreto ministeriale di disciplina dello sgravio contributivo, le cui risorse complessivamente hanno subito una decurtazione di 259 milioni, pari al 40 percento dello stanziamento originario, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale soltanto il 29 maggio mentre l'aliquota agevolata, da ultimo finanziata con la legge n. 228 del 2012, non è stata successivamente finanziata –:
   come il Governo intenda sostenere gli accordi collettivi territoriali, aziendali ovvero di secondo livello, volti a favorire gli incrementi di produttività, qualità e competitività del sistema produttivo italiano nonché a rafforzare il potere d'acquisto dei lavoratori dipendenti e a ridurre il costo del lavoro per le imprese, evidenziando come nel 2014 le risorse complessivamente disponibili sono state pari a 1.407 milioni di euro, di cui 607 milioni destinati allo sgravio contributivo e 800 milioni alla aliquota sostitutiva del 10 percento. (4-09417)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato con le regioni Marche ed Umbria l'accordo che ha previsto la proroga di due anni dell'accordo di programma di reindustrializzazione dell'area interessata dell'ex Antonio Merloni che dovrebbe consentire anche una rimodulazione di questo strumento (35 milioni di euro per il rilancio dell'intera fascia appenninica);
   tuttavia sull'accordo di programma e sull'acquisto degli stabilimenti ex Merloni da parte della JP Industries del gruppo Qs Group di Giovanni Porcarelli continua a pesare la «spada di Damocle» del contenzioso giudiziario intrapreso dalle banche creditrici che hanno impugnato l'atto di compravendita siglato tra i commissari dell'ex Merloni e la JP Industries e per il quale si dovrà pronunciare a breve la Corte di Cassazione;
   ma non solo: a ottobre prossimo cesserà la mobilità per centinaia di dipendenti e il «pezzo di Merloni che teoricamente sarebbe dovuto ripartire da subito con una nuova proprietà (l'imprenditore marchigiano Porcarelli) è in realtà ancora fermo, con i circa 700 dipendenti tra Umbria e Marche in cassa integrazione» (www.rassegna.it del 17 marzo 2015 di Fabrizio Ricci);
   come si apprende dal Corriere dell'Umbria del 6 aprile 2015 – in un articolo a firma di Eirene Mirti – «Mentre tutto continua a tacere – e potrebbe farlo per mesi – sul versante della sentenza ex Merloni, terminano anche i giorni di lavoro per i 50 o 60 operai che nelle scorse settimane erano rientrati al lavoro nella JP di Colle di Nocera Umbra. Per loro era prevista la realizzazione di 250 pezzi al giorno (quando ai tempi “d'oro” la media era di 5.500) per alcune settimane di lavoro. Settimane che sono terminate lunedì scorso. Forse per qualche giorno rientreranno in fabbrica per terminare la produzione prevista (che, secondo quanto riferito da alcuni lavoratori, sembra sia ferma per la mancanza di materiale), ma per loro e per la Jp Industries al momento non sembra essere prevista a breve nuova produzione. Intanto, sempre dalla viva voce dei lavoratori, è un dato ormai certo che alcuni di loro siano stati chiamati a lavorare per altre aziende dello stesso proprietario della Jp. Per la ex Merloni, però, la luce in fondo al tunnel ancora non c’è» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e se intenda convocare urgentemente tutte le parti coinvolte e le organizzazioni e il comitato dei lavoratori della ex Merloni interessati;
   se il Ministro conosca quali siano le reali prospettive occupazionale per i lavoratori della ex Merloni e della JP Industries e quali misure o azioni intenda intraprendere abbia intrapreso – anche in vista dell'imminente pronunciamento, della Corte di Cassazione – al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la produzione in vista della scadenza degli ammortizzatori sociali in capo ai lavoratori della ex Merloni e della JP Industries.
(4-09424)


   PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa, l'interrogante ha appreso che, il 10 giugno 2015 i lavoratori hanno occupato il terminal dell'aeroporto di Lamezia Terme (CZ) protestando contro il blocco dei pagamenti degli ammortizzatori sociali in deroga da parte del Ministero. Una situazione — spiegano — che «rischia di far esplodere una situazione di fortissima tensione sociale acuendo il dramma di migliaia di lavoratori che da mesi e mesi aspettano quanto dovuto»;
   «Dopo il pagamento della mensilità di gennaio 2014 — hanno spiegato i rappresentanti sindacali — tutto si è inspiegabilmente bloccato. Infatti, nonostante la disponibilità di ben 55 milioni, i lavoratori dovranno ancora attendere non si sa ancora per quanto tempo»;
   «La nota inviata la scorsa settimana dal Ministero del Lavoro contempla alcune restrizioni retroattive che impediranno il percepimento della mobilità in deroga a migliaia e migliaia di lavoratori». (...) «Nello stesso tempo, vengono bloccate le istanze di mobilità 2013 non decretate per ritardi non certo imputabili ai lavoratori che ne avevano diritto e che produrranno la crescita di un contenzioso già in atto e che ora esploderà con ulteriori aggravi di costi. Il Ministero nega, così, le prestazioni di sostegno 2014 a decine e decine di migliaia di lavoratori che, già privi di ogni fonte di reddito, si vedono ora esclusi da ogni forma di protezione sociale» –:
   quali iniziative intenda adottare affinché siano onorate le legittime aspettative dei suddetti lavoratori, anche considerando gli effetti, in termini economici, del ritardo nell'erogazione di quanto dovuto;
   se non ritenga opportuno attuare un sistema efficace di politiche attive finalizzate al reinserimento occupazionale, come previsto dalla proposta di legge n. 1148 presentata dal gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, per istituire il reddito di cittadinanza consentendo alla Calabria di rialzare la testa dopo tante promesse disattese del Governo, in attuazione dei principi fondamentali di cui agli articoli 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 38 della Costituzione nonché dei princìpi di cui all'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. (4-09434)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la correlazione tra inquinamento ambientale e le relative ricadute avverse sulla salute umana è scientificamente accertata;
   si deve, tuttavia, segnalare che nel nostro Paese la cultura, in particolare quella dei medici, in tema di ambiente e salute è spesso correlata più a un interesse individuale di approfondimento o alla passione civile che a uno specifico piano formativo, nonostante, già la stessa legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, contenesse tra le proprie finalità, a tutela della salute pubblica, la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale attraverso l'identificazione e la successiva eliminazione delle cause inquinanti;
   evidenze scientifiche crescenti mostrano che all'esposizione a inquinanti presenti nell'ambiente di vita si possono attribuire quote non trascurabili della morbosità e mortalità per neoplasie, malattie cardiovascolari e respiratorie;
   a questo proposito si rileva, come già evidenziato nel corso di un seminario su «Salute della donna e del concepito: la prevenzione dei rischi ambientali e occupazionali» tenutosi presso l'Istituto superiore di sanità nel 2000, che, da un punto di vista generale e con riferimento ad un esame superficiale degli indicatori sanitari, le donne sembrerebbero avvantaggiate rispetto agli uomini: soffrono meno di malattie cardiovascolari, di tumori, di incidenti e infortuni, e hanno un vantaggio di sopravvivenza media di circa otto anni;
   questi dati incoraggianti ed ottimistici non riguardano, come sottolineato dai lavori presentati nel corso del citato seminario, l'apparato riproduttivo e la salute riproduttiva della donna stessa;
   nel 1991, infatti, un gruppo di scienziati alla sessione di lavoro del Wingspread su «endocrine-disrupting chemicals (EDC)» concluse che molti composti chimici introdotti nell'ambiente dalle attività umane sono capaci di «danneggiare il sistema endocrino degli animali, inclusi i pesci, la fauna selvatica e gli uomini». L'interferenza endocrina può, dunque, causare gravi danni per il ruolo chiave che gli ormoni giocano sugli organismi animali, con particolare preoccupazione per il loro potenziale ruolo in tutta l'endocrinologia ginecologica: policistosi ovarica, aumento della pubertà femminile precoce, obesità, diabete tipo II, endometriosi, tumori della mammella e dell'endometrio;
   l'esposizione della popolazione è tipicamente dovuta alla contaminazione della catena alimentare, all'inalazione di fumi domestici e ambientali o all'esposizione professionale;
   gli EDC includono pesticidi e erbicidi, sostanze ignifughe contenute in molti tessuti come il tetrabromobisfenolo A, elasticizzanti della plastica come il bisfenolo A, o componenti della dieta come i fitoestrogeni. La diffusione di tali sostanze è angosciante se si pensa che il bisfenolo A si trova nelle plastiche policarbonate, resine epossidiche che rivestono le lattine per cibo e bevande, nell'inchiostro delle carte termiche e in altri oggetti di uso comune. Le diossine, i furani e i PCB (bifenili policlorurati) sono un gruppo di sostanze chimiche tossiche e persistenti che hanno effetti negativi sulla salute umana, provocando dermotossicità, immunotossicità, disturbi della funzionalità riproduttiva, teratogenicità, alterazioni del sistema endocrino ed effetti cancerogeni. Le diossine, in particolare, a causa della loro diffusa presenza nell'ambiente, persistenza e liposolubilità, tendono, nel tempo, ad essere immagazzinate negli organismi viventi, si accumulano cioè nei tessuti e negli organi dell'uomo e degli animali. Inoltre, salendo nella catena alimentare, la concentrazione di tali sostanze può aumentare (biomagnificazione), giungendo ad esporre a rischio maggiore il vertice di detta catena, cioè gli esseri umani;
   oltre che agire come interferenti endocrini, gli EDC hanno effetti importanti sui processi di sviluppo cerebrale, influenzando la morfologia dei circuiti differenti nei due sessi, come i centri tonici e ciclici ipotalamici, il dimorfismo sessuale comportamentale come l'attrazione sessuale, l'aggressività e le altre caratteristiche diverse fra i sessi come l'organizzazione temporo-spaziale. Infine, possono intervenire anche nelle risposte tardive agli ormoni sessuali, come si può ipotizzare accada per l'endometriosi. Naturalmente l'esposizione è più pericolosa se avviene durante i periodi critici da un punto di vista ormonale, come quello intrauterino, quando piccole quantità, inferiori a quelle massime tollerate nell'adulto, determinano grandi effetti, o quello puberale;
   ci sono zone nel nostre Paese dove la popolazione vive inalando queste sostanze in maniera continuativa per tutto il giorno e per 365 giorni all'anno;
   si tratta, ma non solo, delle aree, in attesa di bonifica, individuate con la sigla SIN (Siti d'interesse nazionale) in tutto 57 (scesi a 39 solo grazie alla loro derubricazione da nazionale a regionali) che ricoprono il 3 per cento del territorio nazionale (circa 180.000 ettari di superficie) dove la forte concentrazione di inquinanti nell'ambiente provoca evidenti ed ormai scientificamente accertati danni alla salute umana;
   lo studio Sentieri, coordinato dall'Istituto superiore di sanità e conclusosi nel 2011, ha realizzato il profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 SIN: si va dall'eccesso di tumori della pleura nei SIN con l'amianto (Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla) o dove l'amianto è uno degli inquinanti presenti (Pitelli, Massa Carrara, Priolo e Litorale Vesuviano), agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all'apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici (Gela, Porto Torres, Taranto e nel Sulcis in Sardegna). Sono stati evidenziate malformazioni congenite (Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres) e patologie del sistema urinario per l'esposizione a metalli pesanti e composti alogenati (Piombino, Massa Carrara, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis). Emergono anche gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati (Trento nord, Grado e Marano e nel basso bacino del fiume Chienti), ma anche dei linfomi non Hodgkin da contaminazione da PCB (Brescia);
   in alcuni dei SIN fra quelli sopracitati, i livelli di inquinamento ambientale hanno assunto dopo il 2011 livelli di criticità – correlati ad indici di mortalità e di morbosità allarmanti – tali da richiedere un tempestivo aggiornamento dello studio Sentieri;
   è il caso del SIN di Taranto il cui decreto di perimetrazione elenca: raffineria, impianto siderurgico, area portuale e discariche di rifiuti solidi urbani con siti abusivi di rifiuti;
   nell'ottobre 2012 l'aggiornamento dello studio Sentieri «Ambiente e salute a Taranto: studi epidemiologici e indicazioni di sanità» parte dall'assunto che «Nell'area di Taranto indagini ambientali ed epidemiologiche hanno documentato una compromissione dell'ambiente e dello stato di salute dei residenti. Sono stati osservati eccessi di mortalità, a livello comunale, per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per diverse sedi tumorali. Nella coorte dei residenti, nei quartieri più vicini alla zona industriale, anche al netto dei differenziali sociali, sono stati misurati eccessi della mortalità e delle ospedalizzazioni per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per tumori»; lo studio ha concluso che: «L'aggiornamento dei dati di mortalità del Progetto SENTIERI (2003- 2009), l'analisi dei trend temporali della mortalità (1980-2008) e l'analisi dell'incidenza oncologica hanno confermato un quadro sanitario compromesso per i residenti nel SIN di Taranto e, tra questi, in particolare per i bambini»;
   in questo quadro è ovvio come un ruolo importantissimo sia giocato dalla prevenzione, primaria e secondaria, la cui realizzazione deve necessariamente passare attraverso una puntuale analisi epidemiologica e prospettica, finalizzata alla tutela della salute e ad un più razionale impiego di risorse economico-finanziarie da parte delle istituzioni centrali e territoriali preposte;
   in questo quadro si colloca anche l'avvio – presso la Commissione permanente 12a igiene e sanità del Senato – dell'indagine conoscitiva «sugli effetti dell'inquinamento ambientale sull'incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica», autorizzata in data 10 giugno 2013 ed attualmente in corso;
   alla luce delle recenti evidenze medico-scientifiche la tutela della salute della donna e del bambino assume una rilevanza particolare, proprio in quelle zone dove il rischio ambientale ha assunto livelli drammatici;
   la regione Puglia, infatti, nell'ambito del piano straordinario salute ambiente per Taranto, allegato 1 alla deliberazione della giunta regionale n. 1980 del 12 ottobre 2012, ha previsto una specifica linea di attività dedicata alla valutazione degli eventuali effetti nella popolazione infantile all'esposizione degli inquinanti ambientali, con particolare riferimento alle malformazioni congenite in quanto quest'ultime sono state ritenute responsabili di circa il 25 per cento della nati mortalità e del 45 per cento della mortalità perinatale;
   con deliberazione della giunta regionale del 23 luglio 2013, n. 1409, sono stati disposti la costituzione e l'avvio dell'operatività del registro malformazioni congenite della regione Puglia, già previsto in verità dalla legge regionale 15 luglio 2011, n. 16;
   risulta all'interrogante – tuttavia – che il registro malformazioni congenite della regione Puglia abbia avviato la sua operatività solo dal 1o gennaio 2015;
   ad oggi nonostante il tempo trascorso, l'impegno e la liquidazione di 100 mila euro in favore dell'azienda ospedaliero-universitaria consorziale Policlinico di Bari a copertura delle spese per l'attivazione del Centro di coordinamento (hub) con sede presso l'unità operativa complessa di neonatologia e terapia intensiva neonatale, la raccolta dei dati provenienti dai centri di rilevazione (spoke), attivati presso ciascun punto nascita e ciascun centro I.G., è assolutamente parziale e – secondo il referente medico del registro – solo a fine anno sarà possibile avere un dato preliminare ma non significativo dal momento che dovrà essere confrontato con quelli che saranno raccolti negli anni successivi;
   l'operatività del registro sembra aver scontato, sempre secondo le notizie giunte agli interpellanti, alcune lentezze burocratiche che avrebbero condotto all'individuazione – tramite procedura di selezione – del soggetto addetto alla rilevazione, codifica e archiviazione dei casi solo nel corrente mese di maggio 2015;
   sembra trovarsi in un analoga situazione l'attuazione della legge regionale 8 ottobre 2014, n. 40, recante «Disposizioni per la tutela della salute della donna», la quale prevede in particolare, l'istituzione dell'Osservatorio regionale sull'endometriosi e del registro regionale dell'endometriosi;
   ad oggi nonostante siano ampiamente scaduti i termini di legge, dell'attivazione di questi due importanti strumenti per la prevenzione e la diagnosi precoce di questa patologia cronica ed invalidante che colpisce 3 milioni di donne in Italia, il 10-15 per cento delle donne in età riproduttiva, non se ne sa ancora nulla;
   solo a Taranto, secondo il dottor Emilio Stola, direttore della struttura complessa di ginecologia del S.S. Annunziata del capoluogo jonico, si riscontra una potenziale incidenza della malattia del 10 per cento: dunque, circa 15 mila donne tra i 15 e i 45 anni potrebbero verosimilmente essere affette da questa patologia, la cui incidenza sulla popolazione è – come già detto – altamente correlata all'esposizione della popolazione stessa a sostanze inquinanti;
   la citata legge regionale prevede, altresì, uno stanziamento per il 2014 di 50 mila euro finalizzato alla copertura delle spese per campagne informative e di sensibilizzazione in materia di endometriosi, mentre per l'anno in corso non risultano individuate ulteriori e specifiche risorse finanziarie;
   pur essendo l'endometriosi una malattia diffusa essa è ancora poco conosciuta: basti pensare che una prima diagnosi arriva in media 7-8 anni dopo i primi segnali;
   occorre, dunque, potenziare la ricerca su questa patologia, anche al fine di migliorare la tempestività e la qualità delle cure;
   come ribadito anche in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, il Governo reputa fondamentale la tutela della salute femminile nelle diverse fasi della vita e, dunque, anche la tutela della salute del bambino;
   nonostante i ripetuti annunci non esiste ancora in Italia un registro nazionale dell'endometriosi, mentre per quanto riguarda le malformazioni congenite esso è stato individuato nel registro nazionale delle malattie rare –:
   se e quali tempestive iniziative intenda assumere al fine di tutelare il diritto alla salute, all'assistenza e alle cure costituzionalmente garantito, con particolare riguardo alla salute della donna e del bambino, attraverso la prevenzione e la diagnosi precoce in relazione alla cura delle patologie sopra descritte promuovendo – altresì – l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi e un azione sinergica tra lo Stato e le regioni che si basi sull'effettiva attuazione dei registri regionali e il coordinamento della loro azione con quello nazionale, anche nell'ottica di un uso efficace delle risorse all'uopo stanziate.
(2-01007) «Labriola, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BAZOLI. —Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204 «Attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la diretta 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi» prevedeva, all'articolo 6, che con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'interno, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, venissero disciplinate le modalità di accertamento dei requisiti psico-fisici per l'idoneità all'acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi, nonché al rilascio del nulla osta di cui all'articolo 35, comma 7, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza prevedendo anche una specifica disciplina transitoria per coloro che alla data di entrata in vigore del decreto già detenessero armi;
   con il medesimo decreto, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, dovevano essere altresì definite le modalità dello scambio protetto dei dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell'ordine nei procedimenti finalizzati all'acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi;
   tale decreto è entrato in vigore il 1o luglio 2011 ed il termine per la prevista disciplina interministeriale scadeva il 28 dicembre 2011 senza che alcuna indicazione venisse emanata;
   il successivo decreto legislativo 29 settembre 2013, n. 121 «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, concernente l'attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi» interveniva nuovamente sull'argomento prevedendo, con l'articolo 6, che entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore: «i soggetti detentori di armi, nelle more dell'adozione del decreto del Ministro della salute di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, devono produrre il certificato medico per il rilascio del nulla osta all'acquisto di armi comuni da fuoco previsto dall'articolo 35, settimo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, salvo che non sia stato già prodotto nei sei anni antecedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Decorsi i diciotto mesi è sempre possibile la presentazione del certificato nei 30 giorni successivi al ricevimento della diffida da parte dell'ufficio di pubblica sicurezza competente;
   essendo il decreto legislativo entrato in vigore il 5 novembre 2013, i diciotto mesi sono scaduti lo scorso 4 maggio 2015 e ancora una volta nulla risulta essere stato emanato con il risultato che i cittadini si trovano a dover far fronte all'assolvimento di un obbligo senza che gli operatori del settore abbiano regole chiare e definite cui attenersi –:
   a che punto siano i lavori per l'emanazione delle regole previste da più di 4 anni in materia di tutela di sicurezza pubblica e se e quali esperti e società scientifiche siano stati interpellati.
(5-05786)


   PICCIONE, AMATO, CAPONE e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Centro nazionale di adroterapia oncologica di Pavia è nato con lo scopo di curare i tumori mediante l'impiego di protoni e di ioni carbonio, particelle appartenenti alla categoria degli adroni;
   in Italia sono circa 3 mila i pazienti con tumore che avrebbero bisogno di essere curati con l'adroterapia, particolare trattamento basato su fasci di protoni e ioni carbonio che viene utilizzato sui tipi di cancro particolarmente aggressivi, resistenti alla radioterapia e non operabili;
   il Cnao è uno dei quattro centri al mondo (l'unico in Italia) a fornire questo tipo di terapia: nel nostro Paese però, sottolinea il presidente Erminio Borloni, «è ancora difficile accedere a questo tipo di cure: al momento sono riconosciute gratuitamente all'interno del Sistema Sanitario Nazionale solo da Lombardia ed Emilia Romagna. I pazienti delle altre Regioni devono chiedere autorizzazione alle loro Asl, con lunghe attese burocratiche»;
   attualmente il Centro nazionale di adroterapia oncologica tratta casi che rientrano nei 23 protocolli clinici autorizzati dal Ministero della salute, per i tumori che colpiscono:
    a) sistema nervoso centrale (gliomi ad alto grado, gliomi a basso grado);
    b) base cranica (cordomi e condrosarcomi, meningiomi);
    c) occhio e orbita (melanoma oculare e altri tumori rari che toccano la congiuntiva, le ghiandole lacrimali o i tessuti nervosi o connettivali);
    d) testa e collo (adenocarcinomi, carcinomi adenoidei cistici, sarcomi, melanomi mucosi);
    e) tumori di origine epiteliale come i carcinomi spino-cellulari — per tumori in fase avanzata;
    f) seni paranasali e cavità nasali;
    g) ghiandole salivari;
    h) distretto addominale (fegato e pancreas per tumori in fase avanzata);
    i) distretto pelvico (prostata — per tumori ad alto rischio; retto — per le recidive);
    l) ossa e tessuti molli (sarcomi);
    m) encefalo;
   a breve saranno attivati studi clinici per il trattamento delle seguenti patologie:
    a) linfoma di Hodgkin;
    b) tumori del polmone;
    c) melanomi del retto e della vagina;
    d) tumori pediatrici;
   non è stato attivato alcun protocollo per il trattamento di lesioni metastatiche né ad oggi non sono previsti protocolli per pazienti pediatrici: in particolare nessuno dei protocolli clinici in corso prevede il trattamento di pazienti di età inferiori ai 14 anni;
   al momento sono riconosciute gratuitamente all'interno del Sistema sanitario nazionale solo da Lombardia ed Emilia Romagna. I pazienti delle altre regioni devono chiedere autorizzazione alle loro Asl, con lunghe attese burocratiche (la terapia adronica viene rimborsata dalle Asl al centro con un forfait prestabilito di 24 mila euro;
   con l'ultima legge di stabilità sono stati stanziati 30 milioni di euro in tre anni e, nei nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) sono stati inseriti anche alcuni protocolli di adroterapia;
   nell'ultima visita effettuata dal Ministro della salute Lorenzin al centro di Pavia, la stessa ha affermato: «Occorre una modifica allo statuto della fondazione Cnao per arrivare a inserire l'adroterapia oncologica nel prontuario nazionale e essere accessibile a tutti i cittadini» –:
   quanti siano i pazienti attuali e quelli in precedenza curati dal Cnao, rispetto al protocollo clinico applicato e alla regione di provenienza;
   se non ritenga opportuno attivarsi nel più breve tempo possibile, affinché effettivamente si possa arrivare ad inserire l'adroterapia oncologica nei livelli essenziali d'assistenza garantendo così cure adeguate per tutti i cittadini italiani indipendentemente dalla regione di residenza.
(5-05787)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Direttiva Comunitaria del 1982 (82/76 CEE) e la Corte di Giustizia europea (sentenze del 25 febbraio 1999 e del 03 ottobre 2000), hanno condannato l'Italia per non aver riconosciuto la giusta remunerazione ai medici che hanno iniziato a frequentare il corso di specializzazione tra gli anni 1982-1991. In Italia è stata recepita solo nel 1991, con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, che ha stabilito per gli specializzandi iscritti a partire dall'anno accademico 1991/1992 l'importo di euro 11.103 per ogni anno di specializzazione. Nulla è stato riconosciuto in favore dei medici immatricolatisi alla specializzazione negli anni accademici che vanno dal 1982/1983 al 1990/1991;
   i medici che si sono immatricolati alla specializzazione nei suddetti anni possono effettuare una causa presso il tribunale civile di Roma, per richiedere il risarcimento derivante dalla mancata attuazione delle direttive comunitarie, circa 11.000 euro per ogni anno di specializzazione più interessi e rivalutazione monetaria (quindi fino a 30.000 euro per anno);
   a dare il via a questa lunga battaglia legale è stato il mancato rispetto delle regole comunitarie nei tempi previsti. Lo Stato italiano, infatti, ha recepito la direttiva europea 87/76 CEE del 1982, che imponeva un giusto compenso per gli specializzandi, solo nove armi dopo. Il che ha determinato la mancata erogazione delle borse di studio stabilite dalla norma ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione tra il 1982 e il 1991, creando un imponente contenzioso nei vari tribunali italiani. Negli ultimi anni si è aperto anche un secondo fronte giudiziario: a chi si è iscritto tra il 1994 e il 2006 sono state erogate sì le borse di studio, ma senza il pagamento degli oneri previdenziali e della copertura assicurativa dei rischi professionali e degli infortuni;
   in totale, secondo una stima che riguarda solo gli associati Consulcesi, l'inadempienza alle normative europee rischia di comportare un esborso totale di 4 miliardi di euro per le casse dello Stato. Si calcola che soltanto in Lombardia questo diritto sia stato negato ad altri 6 mila camici bianchi –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire assumendo iniziative dirette a riconoscere il risarcimento ai medici che ne hanno diritto, senza dover ricorrere alle aule giudiziarie essendo un diritto maturato, evitando un aumento dei costi a carico della collettività sia per i medici ricorrenti sia per il Ministero che risulta essere costantemente soccombente. (4-09419)


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i blocchi chirurgici ospedalieri dell'ospedale Santissima Annunziata di Sassari sono stati chiusi per infestazione di mosche;
   la presenza di mosche e larve era stata segnalata per iscritto circa un mese fa dai primari e dai medici del reparto, ma fino a due giorni fa nessuno era intervenuto per porre rimedio alla situazione;
   all'interno dell'ospedale civile Santissima Annunziata sei delle sette sale operatorie sono state chiuse per la presenza di insetti;
   ancora una volta si sta mettendo in ginocchio la sanità pubblica a favore di quella privata;
   se si lascia la sanità in queste condizioni, è evidente che c’è una gravissima responsabilità gestionale per quello che sta accadendo nell'isola;
   la gestione sanitaria sta mettendo a dura prova la salute dei cittadini sardi;
   i chirurghi si lamentavano da più di un mese, con lettere di protesta rivolte alla direzione aziendale;
   le sale operatorie sono infestate dai moscerini e sono inutilizzabili ed è stato fatto chiudere l'intero blocco;
   i vertici dell'Asl erano perfettamente a conoscenza da settimane del problema, le larve delle mosche sono nate e cresciute all'interno degli scarichi o del sistema di aerazione da oltre un mese;
   in questo momento al Santissima Annunziata c’è un'unica sala operatoria efficiente, quella di neurochirurgia al terzo piano;
   i medici sono molto perplessi sulle condizioni igienico sanitarie basti pensare che nello stesso ambiente potrebbero essere eseguiti degli interventi al cervello e degli interventi al colon retto;
   una situazione che l'interrogante ritiene vergognosa e paradossale;
   risulta che da otto mesi non vengano svolti adeguati controlli biologici, all'interno delle sale operatorie;
   in un ambiente che dovrebbe essere totalmente asettico, il monitoraggio viene effettuato in maniera del tutto superficiale;
   il timore del personale è che anche le sanificazioni più accurate che verranno svolte in questi giorni non servano a risolvere il problema e siano solo delle soluzioni provvisorie;
   per la gestione delle emergenze sono stati allertati tutti i sistemi per trasportare pazienti in altre strutture sanitarie, in primis alle cliniche, e poi gli ospedali di Alghero, di Ozieri e altri nella Sardegna;
   il documento della Asl con il quale si chiude l'intero blocco operatorio del SS. Annunziata di Sassari è la conferma che si è operato in sale operatorie infestate di insetti cosa vietata dalla legge;
   si è, insomma, messa a rischio la vita dei pazienti con interventi chirurgici effettuati in compagnia di insetti di ogni genere;
   la direzione medica del presidio ospedaliero lo scrive in maniera esplicita nella disposizione diramata ai reparti: «a causa del persistere dell'infestazione di insetti, con la presente, si comunica l'interruzione delle attività chirurgiche in tutte le sale operatorie»;
   è evidente che tale espressione significa che l'infestazione era risaputa e che nel suo persistere conferma la più che evidente affermazione che si è operato in un ambiente a rischio per tutti i pazienti transitati nel blocco chirurgico chiuso ieri;
   è indispensabile il Ministero della salute faccia chiarezza su quanto è accaduto in quella struttura ospedaliera;
   ci sono segnalazioni reiterate di chirurghi che hanno denunciato quanto stava avvenendo ma nessuno è intervenuto;
   è semplicemente inaccettabile che le sale operatorie sia state chiuse solo dopo il «persistere» e non, invece, come sarebbe stato obbligatorio all'insorgere del primo problema;
   l'interruzione del blocco operatorio è un fatto di una gravità inaudita che lascia intendere quanto sia grave la situazione del nosocomio sassarese;
   in qualsiasi stato di diritto tutto dovrebbe far scattare indagini immediate alla ricerca dei responsabili che hanno agito con tanta negligenza –:
   se ritenga di dover urgentemente inviare il comando dei carabinieri per la tutela della salute presso l'ospedale SS. Annunziata di Sassari per verificare la situazione acquisendo elementi in merito al fatto se in questi mesi si sia operato in ambienti infestati di larve e mosche;
   se risulta vero che un paziente che doveva essere operato al cuore da un momento all'altro è stato rispedito in corsia di tutta fretta a causa mosche in sala operatoria. (4-09440)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato il decreto che sospendeva per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA) rilasciata il 17 luglio 2009 sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione di metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste; il provvedimento ha accolto il parere contrario della commissione Via del dicastero che ha recepito i pareri negativi del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, prendendo atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regolatore portuale;
   successivamente alla scadenza della sospensione di sei mesi della valutazione di impianto ambientale per Zaule senza che si sia verificata nessuna delle due condizioni indicate dal decreto per un esito positivo della valutazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l'iter di revoca, come confermato dalla risposta ad un'interrogazione del primo firmatario del presente atto, pubblicata martedì 3 giugno 2014 nell'allegato B della seduta n. 238 dell'Assemblea della Camera secondo la quale «il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica;
   dalla risposta del Sottosegretario per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, all'interrogazione n. 5-03600 presentata dal primo firmatario del presente atto, risulta che il 6 febbraio 2015 la commissione VIA/VAS dello stesso dicastero abbia concluso il supplemento istruttorio in materia, affermando, con proprio parere n. 1706, che non vi siano aspetti di incompatibilità ambientali tra le previsioni del nuovo piano regolatore portuale di Trieste ed il progetto del rigassificatore Gnl di Zaule, ribaltando completamente la precedente posizione; sempre nella risposta si legge che «la finale autorizzazione all'insediamento viene poi rilasciata dal Ministero dello Sviluppo Economico;
   in più occasioni molte associazioni del territorio, gli enti locali, l'autorità portuale di Trieste e la regione Friuli Venezia Giulia hanno manifestato la propria opposizione al progetto relativo alla costruzione del rigassificatore;
   secondo articoli di stampa locale la conferenza di servizi in merito al procedimento di autorizzazione alla costruzione del terminale di rigassificazione di GNL di Zaule, convocata per il 19 maggio 2015, sarebbe stata rinviata all'11 giugno; data l'importanza della conferenza di servizi quale momento importantissimo per il percorso decisionale in merito alla realizzazione del progetto, gli enti territoriali interessati si sono mobilitati confermando la propria contrarietà all'insediamento industriale, ritenendolo un ostacolo allo sviluppo dei traffici marittimi del golfo;
   in particolare, la presidente della provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat, come si apprende dal sito web della provincia, ha inviato una lettera al Ministero dello sviluppo economico per chiedere la sospensione della conferenza dei servizi convocata per l'11 giugno 2015 in quanto mancherebbe il decreto relativo alla dichiarazione di compatibilità ambientale sulle opere di allaccio del rigassificatore alla rete, atto indispensabile ai sensi del decreto interministeriale n. 808 del 17 luglio 2009;
   sempre dal sito sopra citato si apprende che anche in una recente riunione della Commissione VIA nazionale si siano espresse rilevanti perplessità in ordine agli impatti relativo al progetto di allaccio (SNAM) così come proposto ed acquisito;
   nella risposta del Sottosegretario allo sviluppo economico, Simona Vicari, ad un'altra interrogazione del primo firmatario del presente atto, la n. 5-04934, in Commissione X Attività produttive della Camera dei deputati in cui si chiedeva la posizione del Governo in merito all'impianto GNL di Zaule, viene affermato «..che il Ministero dello Sviluppo Economico non potrà, comunque, rilasciare alcuna autorizzazione dell'infrastruttura senza un'intesa con la Regione Friuli Venezia Giulia –:
   se intendano precisare i motivi per cui la conferenza di servizi sia stata convocata anche in assenza del decreto relativo alla compatibilità ambientale del progetto, indispensabile per l’iter decisionale in merito alla costruzione dell'impianto di Zaule;
   se non intendano negare l'autorizzazione alla costruzione del rigassificatore tenendo conto della risposta fornita all'interrogazione n. 5-04934 e delle dichiarazioni di contrarietà espresse in più occasioni dalla regione Friuli Venezia Giulia. (5-05792)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Cipe ha messo a disposizione circa 200 milioni di euro per le infrastrutture turistiche nelle regioni del sud destinandone una parte – nell'ambito del «Riparto risorse aree depresse per il triennio 2001/2003» – per la realizzazione di un resort turistico con quasi 300 stanze ed annesso campo da golf a 18 buche su 83 ettari affacciati sul mare nell'area a forte vocazione turistica di Simeri Crichi (Catanzaro). Si tratta di un investimento di 35,571 milioni di euro, a fronte del quale sono state concesse agevolazioni per 18,158 milioni dei quali 10,330 versati dallo Stato (attraverso il Cipe) e 7,828 milioni dalla regione Calabria;
   i lavori per la costruzione della struttura sono stati affidati ad Italia Turismo, società immobiliare a capitale interamente pubblico controllata dal gruppo Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa) entrambe legate al Ministero dello sviluppo economico. Italia Turismo, a sua volta, ha affidato i lavori alla Proger la quale ha subappaltato ad un'azienda locale;
   la struttura, dall'assegnazione dei finanziamenti alla regione Calabria datata 21 dicembre 2000, doveva essere consegnata dopo 10 anni ma, dopo una sospensione nel periodo aprile 2010 settembre 2011, i lavori sono stati nuovamente interrotti a causa della rescissione del contratto tra la sopracitata Proger e l'impresa locale;
   nell'ottobre 2013, il sindaco di Simeri Crichi e l'assessore al turismo indirizzarono un appello al Ministero dello sviluppo economico, ai vertici di Italia Turismo e all'allora presidente della regione, Giuseppe Scopelliti, nel quale lamentavano il blocco dei lavori e richiedevano «l'intervento delle autorità nazionali e regionali per far ripartire il progetto di sviluppo dell'ampio comprensorio turistico»;
   nell'aprile 2014, il Ministero dello sviluppo economico comunicò che era stato registrato un avanzamento effettivo dei lavori di circa 15 milioni di euro a fronte della spesa prevista di 35,571 milioni e che «Italia Turismo, che non ha presentato alcuna richiesta di erogazione dei contributi, ha motivato la mancata ripresa dei lavori con la temporanea insufficienza della liquidità finanziaria a disposizione della società [...]». Il Ministero aveva fissato anche una nuova scadenza per l'ultimazione dei lavori al 31 marzo 2015, nella speranza che, nel frattempo venissero reperiti i fondi necessari;
   ad oggi, il «Golf Resort» di Simeri Crichi è un ecomostro la cui struttura – priva di tamponature e con i solai a vista – con il protrarsi di tale stato, rischia di ammalorarsi irrimediabilmente;
   il Golf Resort potrebbe rappresentare un asset strategico utile a garantire una positiva ricaduta occupazionale e quindi maggiore benessere ai cittadini di Simeri Crichi;
   l'interrogante ha appreso da notizie a mezzo stampa che sono in arrivo 30 milioni di euro di investimenti per tre nuovi alberghi in Calabria e Basilicata. I progetti sono frutto del contratto di sviluppo firmato da Invitalia, agenzia pubblica del Ministero dell'economia e delle finanze, che mette 18 milioni tra contributi in conto impianti e finanziamenti agevolati, e tre società che hanno come capofila la lucana Ro.Ma. immobiliare (famiglia Rotondaro) –:
   quali azioni concrete abbia finora intrapreso per stimolare una effettiva ripresa dei lavori della struttura turistica finanziata con fondi pubblici e se, vista l'attuale difficoltà di Italia Turismo a reperire i fondi necessari per ultimare l'opera in argomento, non ritenga opportuno assumere iniziative per individuare tra le aziende del settore turistico quella che, per rispondenza del profilo e soprattutto per capacità finanziaria, sia disponibile ed in grado di anticipare le somme necessarie ad ultimare l'investimento relativo al Simeri Golf Resort in cambio dell'uso della menzionata struttura ricettiva (circa 250 stanze) per tutti gli anni necessari a compensare quanto corrisposto in via anticipata;
   se non ritenga opportuno, qualora non si dovessero trovare finanziatori per completare il progetto, assumere iniziative perché si proceda con la demolizione della struttura e la creazione di progetti condivisi pubblico/privato tesi alla riqualificazione e al recupero della zona favorendo quelli maggiormente volti ad un turismo sostenibile e creando, al contempo, nuove opportunità di lavoro soprattutto per gli imprenditori e cittadini del posto;
   per quali ragioni Invitalia riesca a trovare le risorse per finanziare tre nuovi alberghi in Calabria e Basilicata ma non riesca a completare – per difficoltà della società controllata a capitale interamente pubblico a reperire fondi – vecchi progetti come il golf resort a Simeri Crichi che versa in uno stato di totale abbandono. (4-09421)


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Sisal spa, che opera in Italia con regime concessorio da parte dei Monopoli di Stato sui giochi, ha preannunciato una forte delocalizzazione all'estero, con contestuale necessità di licenziamenti collettivi;
   i licenziamenti collettivi riguarderebbero 97 persone;
   parrebbe essere inoltre necessaria una cessione di ramo d'azienda che coinvolgerebbe 14 realtà, di cui 4 a Napoli;
   in quest'ulteriore processo verrebbero coinvolte altre 180 persone, fatto gravissimo per un territorio già profondamente martoriato dalla crisi e da un processo di desertificazione industriale che ha ormai messo in ginocchio centinaia di migliaia di famiglie campane;
   alla base di queste scelte della Sisal vi sarebbe l'imposta aggiuntiva di 48 milioni di euro sulle slot prevista dalla legge di stabilità del 2015;
   la Sisal, quindi, vorrebbe scaricare l'intero aggravio fiscale sui suoi dipendenti;
   sarebbe anche prevista la disdetta dell'integrativo aziendale, frutto di una contrattazione ventennale, per abbassare il costo del personale (incidente per il 10 per cento dei costi totali), come già preannunciato dall'amministratore delegato dell'azienda;
   le lavoratrici ed i lavoratori stanno vivendo un forte disagio per l'incertezza del loro futuro lavorativo –:
   quali iniziative intendano mettere in campo, per quanto di competenza, per trovare soluzioni condivisibili che garantiscano la continuità lavorativa per i dipendenti e le dipendenti della Sisal ed il livello occupazionale. (4-09428)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la trasmissione giornalistica d'inchiesta Report, nella puntata di domenica 7 giugno 2015, tra le altre cose, ha trasmesso un servizio relativo alla presunta violazione della legge 27 marzo 1992, n. 257, sulle «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
   in particolare, anche attraverso le dichiarazioni di alcuni testimoni, è stato riferito che, non solo l'Italia importerebbe ed esporterebbe amianto, in violazione a quando disposto dalla richiamata legge 257/92 ma che in alcuni modelli di elicottero prodotti da Agusta Weastland, del gruppo Finmeccanica, in dotazione alle forze armate e alle forze di polizia, sarebbero presenti diverse componenti che conterrebbero fibre di amianto;
   a sostegno dell'ipotesi giornalistica è stata ricostruita la circostanza che avrebbe determinato la scoperta;
   sembrerebbe, infatti, che, a seguito della rilevazione della presenza di amianto nell'aria nel sito della sezione aerea di Pratica di Mare, la Guardia di finanza, così come riferito nel corso del servizio dal tenente colonnello capo ufficio aereo della guardia di finanza, Christian Tettamanti, avrebbe formalmente chiesto ad AgustaWestland se nei velivoli in dotazione alla guardia di finanza fossero presenti componenti in amianto;
   a seguito della risposta dell'azienda su una possibile presenza di fibre di amianto, la guardia di finanza avrebbe condotto una campagna di campionamento che avrebbe, secondo quanto riferito dalla guardia di finanza, confermato le ipotesi iniziali;
   la circostanza sarebbe stata ulteriormente specificata da un testimone con il volto travisato che avrebbe affermato che all'interno dei velivoli sarebbero presenti almeno duecento componenti d'amianto, guarnizioni che sarebbero sottoposte a frequenti attività di manutenzione che comporterebbero il rilascio nell'ambiente di polvere e fibre d'amianto;
   AgustaWestland è un'azienda interamente partecipata da Finmeccanica, gruppo il cui azionariato è composto per il 49,8 per cento da investitori istituzionali, per il 30,2 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 20 per cento da investitori privati;
   AgustaWestland fornisce velivoli alle forze armate e alle forze di polizia italiane, pertanto la circostanza rivelata dal servizio della trasmissione giornalistica Report delineerebbe una situazione di grave rischio per l'ambiente e le persone, esponendo in primo luogo equipaggi e meccanici addetti alla manutenzione;
   se le rivelazioni giornalistiche dovessero risultare vere, lo Stato italiano si troverebbe ad essere proprietario di un'azienda che viola una legge dello Stato volta a salvaguardia della salute dei cittadini e dell'ambiente e per contrastare l'insorgere di gravi patologie come l'asbestosi o di forme tumorali direttamente riconducibili alla presenza di amianto nell'ambiente;
   nel corso della trasmissione, sarebbe emerso, in base ad alcuni documenti presentati da Ezio Bonanni dell'Osservatorio nazionale sull'amianto, che l'Italia importerebbe ed esporterebbe amianto nonostante i divieti ferrei della legge 257 del 1992;
   intervistato al termine del servizio, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gianluca Galletti, alla domanda se fosse a conoscenza delle circostanze illustrate dal servizio, si è mostrato sorpreso e incredulo;
   nella recente audizione informale in commissione attività produttive, del 4 febbraio 2015, nell'illustrare le linee strategiche del piano industriale di Finmeccanica, l'amministratore delegato Mauro Moretti, avrebbe indicato tra gli asset strategici di sviluppo aziendale il settore bellico, tra cui la produzione di velivoli;
   le notizie di stampa, sulla presenza di amianto nei velivoli prodotti dalla AgustaWestland, controllata da Finmeccanica, potrebbero incrinare le prospettive di sviluppo, così come sono state delineate dall'amministratore delegato, nonché potrebbe ingenerare legittime azioni risarcitorie da parte di amministrazioni straniere che hanno acquistato velivoli AgustaWestland, con un conseguente danno economico e di immagine per l'industria italiana –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non ritenga opportuno, considerati i rischi per la salute e per l'ambiente, e considerate le istituzioni coinvolte nonché il numero delle persone (direttamente interessate, avviare un'indagine approfondita, con un censimento degli apparecchi interessati, sulla presenza di componenti di amianto nei velivoli prodotti da AgustaWestland in dotazione alle Forze armate e alla Forza di polizia;
   se non ritenga opportuno verificare i rischi per la salute e le eventuali ripercussioni che ha comportato l'esposizione alle fibre di amianto del personale di equipaggio, nonché dei manutentori, dei velivoli prodotti da AgustaWestland;
   se non ritenga opportuno verificare eventuali responsabilità in relazione alla mancata efficacia dei controlli in fase di progettazione e realizzazione 75 dei velivoli nonché in fase di commercializzazione e acquisto dei velivoli;
   se non ritenga opportuno verificare se in relazione a quanto illustrato in premessa vi siano state violazioni alla legge 257 del 1992 soprattutto per quanto concerne i divieti di produzione, commercializzazione, esportazione e importazione dell'amianto nel nostro paese;
   quali iniziative intenda adottare per garantire il rispetto di quanto stabilito dalla legge 257 del 1992 a salvaguardia della salute dei cittadini e dell'incolumità dell'ambiente;
   quali iniziative abbia adottato o intenda adottare per prevenire l'insorgenza di gravi patologie come l'asbestosi o forme tumorali direttamente collegate all'esposizione alle fibre d'amianto. (4-09433)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Dambruoso e Mazziotti Di Celso n. 1-00771, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cicchitto e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle forme deve intendersi così modificato: «Dambruoso, Cicchitto e Mazziotti Di Celso».

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Quartapelle Procopio e altri 2-01005, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tacconi, Locatelli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Nicchi n. 4-09379, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 437 dell'8 giugno 2015.

   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa da aprile a settembre centinaia di grossi pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell'uva da tavola. Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare. «E per questo che nessuno li ferma», dice Teresa, nome di fantasia dell'inchiesta giornalistica;
   il potere del caporale si misura dal numero di pullman che possiede, perché questo è indice anche della quantità di lavoratori che riesce a controllare. Si va dalle cinquanta alle oltre 200 persone. Il caporale prende dall'azienda circa 10 euro a donna e sui grandi numeri guadagna migliaia di euro a giornata. «Nel magazzino per il confezionamento dell'uva da tavola dove lavoro ci sono mille operaie italiane, portate lì da più di dieci caporali diversi», racconta Antonio, bracciante della provincia di Taranto. In questi giorni i pullman percorrono quasi cento chilometri, dalla Puglia fino alle aziende agricole che producono fragole nel Metapontino, tra Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, in provincia di Matera;
   questi proprietari conferiscono il prodotto a dei consorzi di commercianti con sede nel nord Italia che hanno magazzini in loco. L'intermediario prende una percentuale variabile, almeno del 2 percento, poi si aggiungono i costi delle cassette e la tariffa del 12 per cento pagata al «posteggiante», il personaggio che la espone in vendita ai mercati generali. Alla fine si arriva a un prezzo al consumatore anche di 7 euro al chilo nei supermercati di Milano;
   gli orari di lavoro e la paga variano a seconda del tipo di raccolta. Ma la regola sono impieghi massacranti e sottosalario. Alle fragole si lavora per sette ore, ma se sono mature e vanno raccolte subito si arriva anche a 10 ore. Nei magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore. Ogni donna deve raccogliere una pedana di uva pari a 8 quintali. Se ci mette più tempo la paga resta uguale, per cui alla fine il salario reale è meno di 4 euro l'ora. «C’è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia – invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità di mansioni con gli uomini, c’è un'ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all'uomo ne danno in realtà 35, la donna non va oltre 27 euro»;
   il salario ufficiale è di 50-60 euro. Ma vengono segnate la metà delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. Le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perché le aziende hanno bisogno di dimostrare che sono in regola per poter accedere ai finanziamenti pubblici. Di fatto continuano a pagare un terzo o al massimo la metà del salario dovuto, richiedendo indietro i soldi conteggiati in busta paga;
   «In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ufficiale di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata – racconta Antonietta – L'azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L'autista del pullman risulta essere un dipendente dell'agenzia di viaggio». I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull'assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero;
   nei campi italiani succede di tutto, approfittando della disperazione e della crisi economica. C’è chi aspira a diventare una «fissa» della squadra del caporale come se fosse una specie di nota di merito in graduatoria. Chi subisce molestie sessuali o la richiesta di prostituirsi per poter lavorare. Ci sono donne caporali che sono anche proprietarie di pullman. Ma la figura più ambigua è quella che tutti chiamano «la fattora», una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. «Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti», spiega Deleonardis. «Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione – dice Teresa –. Anche se ti lamenti perché non vuoi viaggiare nel cofano del pulmino»;
   il fenomeno del caporalato in Italia è una piaga sempre più profonda. E la novità è che negli ultimi due anni c’è stato un aumento costante della manodopera femminile: donne ghettizzate, violentate e sfruttate che vanno lentamente a sostituire i braccianti di sesso maschile: oggi – dicono i dati che sta raccogliendo la Flai Cgil e che si pubblicano in anteprima – le straniere schiavizzate in agricoltura sono 15 mila (contro i 5 mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere. Un dato impressionante, che si somma ad un altro elemento preoccupante: il numero sempre crescente delle lavoratrici italiane, che, se non schiavizzate, sono comunque gravemente sfruttate; sempre secondo le stime del sindacato, in Campania, Puglia e Sicilia, le tre regioni a maggiore vocazione agricola, sono almeno 60 mila, in proporzione crescente rispetto alle straniere. Vengono pagate 3-4 euro l'ora, ma anche meno in alcuni territori, e costrette a turni massacranti;
   i caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania, nelle campagne intorno a Timisoara o a Iasi, zona al confine con la Moldavia. Le imbarcano su pullman da 50 posti. Il viaggio dura un giorno e una notte. «Organizzano viaggi verso il sud Italia – racconta Concetta Notarangelo, coordinatrice del progetto Caritas in Puglia – ma sappiamo per certo che arrivano anche in Emilia Romagna. Ma nessuno ha il coraggio di denunciare. Qui non si tratta di caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori escono addirittura su un giornale romeno. Non è solo un passaparola. E le donne hanno paura. Ma senza denunce nessuno viene punito. In tre anni che seguo il progetto Caritas abbiamo raccolto in tutto 15 denunce. E poi è comunque difficile provare il reato, ci sono alcuni processi in corso, ma per ora nessuna condanna»;
   in Campania ad essere schiavizzate sono le donne africane. «Se non accettano di avere rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr) non vengono pagate – spiega Cinzia Massa, responsabile immigrazione Flai Campania –. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo clandestine sono le più ricattabili»;
   secondo i dati della Flai Cgil solo in Puglia sono tra le 30 e le 40 mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. A volte partono alle tre di notte e tornano a casa di pomeriggio. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno «procurato». Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. «Mentre lavorano – denuncia ancora il sindacato – le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene «punita»: per qualche giorno non la fanno lavorare». E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in camion telonati. Per questo «trasporto bestiame» ogni lavoratrice paga fino a 7 euro a viaggio;
   gli addetti all'agricoltura in Italia sono un milione e 200 mila. Nel 43 per cento dei casi – è il dato dell'Istat – si tratta di lavoro sommerso. E il giro d'affari legato al business delle agromafie, secondo le stime della direzione nazionale antimafia, è di 12,5 miliardi di euro all'anno. «Il caporalato – spiega Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil nazionale – è stato riconosciuto come reato penale solo nell'agosto 2011, ed è punibile con l'arresto da 5 a 8 anni. Prima era prevista solo una sanzione pecuniaria. Ma non sempre si riesce a provarlo, anche a causa delle difficoltà che incontrano le vittime nel denunciare. Serve un percorso di protezione –:
   se non ritengano di assumere un'iniziativa normativa al fine di prevedere che si completi e rafforzi l'articolo 12 del decreto legislativo n. 138 del 2011 che ha modificato il 603-bis del codice penale che individua il caporalato come reato penale, introducendo esplicitamente che tali reati sono applicabili alle aziende utilizzatrici della manodopera, oggetto di intermediazione illecita di manodopera, prevedendo altresì forme di sostegno e protezione a quanti denunciano i casi di violazione;
   se non ritengano di recepire le proposte delle organizzazioni sindacali nazionali in materia di rete di qualità come già parzialmente previsto con le misure di (Campo libero) decreto legislativo n. 91 del 2014, articolo 6, e sollecitate recentemente anche dalle organizzazioni di rappresentanza sociale europea, circa l'introduzione e previsione di strumenti trasparenti pubblici d'incontro tra la domanda e offerte di lavoro (come le liste di prenotazioni), all'interno della rete di qualità, l'istituzione degli indici di congruità quale strumento di controllo e contrasto al lavoro nero e la certificazione etica d'impresa quale elemento premiale per l'accesso alla fiscalizzazione degli oneri sociali e altre agevolazioni;
   se non ritengano di prevedere maggiori interventi ispettivi sia in campo che nei magazzini ortofrutticoli atteso che gli interventi ispettivi in Puglia, pari a 1818, di poco superiori agli interventi 2013, hanno accertato oltre l'80 per cento di violazione e inadempienze a vario titolo da parte delle aziende di cui oltre il 50 per cento solo per lavoro nero, con provvedimenti di revoca delle fiscalizzazioni degli oneri sociali e finanziamenti pubblici per le aziende inadempienti e se le aziende interessate dalle ispezioni e infrazioni siano state oggetto di tali misure di revoca. (4-09379)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Laforgia n. 2-00949 del 28 aprile 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-04909 del 4 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09444;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-08761 del 13 aprile 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05788.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ABRIGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Valerio Fabio Alberti, commissario straordinario di tre istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, (IRCCS), Istituto Regina Elena, San Gallicano e Lazzaro Spallanzani di Roma ha predisposto il Regolamento di organizzazione e funzionamento (ROF) che, secondo gli indirizzi della regione, dovrà portare alla fusione gestionale, amministrativa e sanitaria dei tre storici IRCCS pubblici romani. Le direzioni scientifiche resteranno tre, per garantire, in linea puramente teorica, il mantenimento delle diverse mission specialistiche. L'eventuale approvazione del regolamento, a parere dell'interrogante, snaturerebbe in modo irreversibile tre grandi realtà ospedaliere e di ricerca per la città di Roma;
   il Piano elaborato dal commissario straordinario Alberti ha suscitato molte polemiche, tanto che i medici degli istituti coinvolti hanno proclamato lo stato di agitazione. I medici e la dirigenza sanitaria degli istituti interessati hanno espresso un giudizio estremamente critico, dichiarando quanto segue: «La proposta di riorganizzazione degli Istituti Regina Elena e San Gallicano rischia di screditare il carattere scientifico di eccellenza ed alta specialità dell'istituto oncologico e di quello dermatologico, soprattutto se rapportato a quanto si verifica negli altri IRCCS italiani in particolare nel settore dei tumori». Al commissario e all'intero vertice aziendale viene mosso il rilievo di non aver per nulla compreso le esigenze degli ammalati e dei lavoratori e di trascurare anche la gestione ordinaria per carenza di assunzione di responsabilità sulle azioni correnti;
   in prospettiva il piano di riorganizzazione potrebbe causare la progressiva riduzione della ricerca sperimentale e traslazionale, sempre accuratamente valorizzata e implementata negli altri IRCCS perché ritenuta fondamentale per il progresso nelle terapie e per garantire adeguata assistenza ai pazienti nella pratica clinica. L'approvazione del Piano avrebbe come conseguenza anche il declassamento dell'oncoematologia, che assicura ogni anno assistenza e cure di qualità a molte centinaia di pazienti affetti da linfomi, mielomi e leucemie; il piano di riorganizzazione comporterebbe anche il depotenziamento della medicina nucleare che, negli istituti coinvolti è riconosciuta, a livello scientifico, come la migliore a Roma e nel Lazio, per numero e qualità delle prestazioni erogate. Viene inoltre strutturalmente ridimensionata la psiconcologia, che ha finora aiutato migliaia di pazienti ad affrontare e superare i gravissimi problemi familiari, sociali, relazionali e lavorativi legati alla grave patologia oncologica. Il piano interverrebbe anche nell'ambito della chirurgia addominale, con la riduzione di risorse e strutture dedicate;
   inoltre il Piano prevede, presso l'Istituto nazionale tumori di Roma, l'eliminazione del dipartimento di oncologia medica che è elemento costitutivo di tutti gli altri 11 IRCCS oncologici. I medici lamentano che il piano proposto dal commissario non tiene conto per nulla dell'incredibile evoluzione clinico-scientifica, nella lotta al cancro, registrata negli ultimi 15 anni, non prevedendo la nascita di nuove strutture, ad esempio dedicate allo sviluppo di nuovi farmaci, di terapie palliative, di cure simultanee, di tumori ereditari e della riabilitazione oncologica che corrispondono a precise nuove esigenze dei pazienti e sono ormai indispensabili in ogni istituto di oncologia di eccellenza; Tutto ciò viene stabilito con un Piano che vede il parere contrario all'unanimità dei comitati tecnico-scientifici dei due istituti;
   l'istituto dermatologico San Gallicano, storico ed unico IRCCS pubblico e riferimento clinico e culturale per la cura delle patologie dermatologiche, nel piano proposto risulta fortemente ridotto con due sole strutture complesse superstiti;
   lo stato di agitazione dichiarato dai sanitari del Regina Elena e del San Gallicano, oltre che per i problemi interni ai due istituti è dovuto anche alla paventata ipotesi di una fusione con l'istituto per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani; questa fusione, sostenuta in un'ottica di risparmi, porta all'accorpamento di personale, sia nei laboratori che nelle corsie e negli ambulatori, anche se gli istituti ospitano pazienti con patologie, nella stragrande maggioranza dei casi, diverse tra loro;
   l'interrogante considera indispensabile promuovere un confronto tra la regione Lazio e i medici dirigenti sanitari degli istituti coinvolti, che porti ad una soluzione che tenga conto dei rilievi documentati avanzati dal personale medico, al fine di modificare il piano di riorganizzazione proposto, verificando e tenendo conto, al contempo, della riorganizzazione in atto negli altri 11 IRCCS oncologici italiani;
   il 9 ottobre 2014, è stata approvata la delibera n. 174 interna agli istituti San Gallicano e Regina Elena, con la quale si è disposto l'adeguamento, cioè l'aumento del 20 per cento per i compensi del commissario straordinario e dei vertici dei due istituti con un esborso per l'ente di oltre un milione di euro, che, ancor più in contesto di perdurante crisi economica e di continui tagli, risulta totalmente ingiustificabile –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, circa il processo di riorganizzazione descritto in premessa anche al fine di valutare se vi siano rischi per la qualità della ricerca scientifica;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, e anche per il tramite del commissario ad acta, intenda assumere iniziative per evitare che possibili errori di valutazione sulla gestione di processi di riorganizzazione quale quello descritto in premessa possano comportare rilevanti effetti sull'equilibrio della spesa sanitaria. (4-08595)

  Risposta. — Con riferimento alla tematica in esame si fa presente, in via preliminare, che in data 25 luglio 2014 la struttura commissariale della regione Lazio ha trasmesso il decreto del commissario ad acta n. 247 del 2014 di adozione dei programmi operativi (PO) 2013-2015 nell'ambito dei quali è previsto l’«Accorpamento fra I.R.C.C.S. “LAZZARO SPALLANZANI” e I.R.C.C.S. IRE-ISG. Per i due Istituti viene prevista un'unica Direzione Generale, Sanitaria ed Amministrativa, mantenendo separate le Direzioni scientifiche ai fini del mantenimento della specificità degli stessi.»
  In merito, i tavoli di verifica ministeriali, relativamente alla proposta di programmi operativi 2013-2015, nella riunione del 15 aprile 2014 si erano riservati «di esprimersi successivamente, sui provvedimenti di attuazione di quanto previsto».
  La struttura commissariale, quindi, in attuazione di quanto previsto dal programma operativo 2013-2015, ha trasmesso il decreto del commissario
ad acta n. 259 del 6 agosto 2014, relativo alle linee guida per l'adozione degli atti aziendali delle aziende sanitarie, che ha disposto, tra l'altro, la redazione di un atto aziendale unico per i succitati Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
  Successivamente, invece, con il decreto del commissario
ad acta n. 454 del 23 dicembre 2014, in merito al quale i ministeri affiancanti nel relativo parere hanno preso atto, ha stabilito per gli stessi la redazione di due distinte proposte di piano strategico e di atto aziendale.
  Nel merito del previsto accorpamento si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo occorre tenere presente che gli Istituti fisioterapici ospitalieri sono stati costituiti a seguito di accorpamento, disposto con regio decreto 4 agosto 1932, n. 1296, dell'istituto Regina Elena e dell'istituto Santa Maria e San Gallicano.
  Tali istituti si configuravano, in epoca previgente al decreto legislativo n. 288 del 2003, quali istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in due differenti discipline, ossia, rispettivamente, oncologia e dermatologia. Gli Istituti predetti sono stati poi confermati, nella loro rispettiva (previgente) qualità di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (si ribadisce, in due differenti discipline), in data successiva all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 288 del 2003 (confronta Decreto Ministero della Salute del 29 marzo 2006).
  Peraltro, alla data delle relazioni delle valutazioni in
site-visits degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico da parte della commissione ricerca del ministero della Salute, propedeutica alla successiva conferma del carattere scientifico, avvenuta come detto con il richiamato decreto ministeriale del 2006, gli istituti Regina Elena e S. Gallicano, costituenti gli Istituti fisioterapici ospitalieri, già condividevano l'organo apicale, mantenendo però separate le rispettive direzioni scientifiche.
  Il decreto legislativo n. 288 del 2003, all'articolo 13, comma 1, prevede che «l'istituzione di nuovi Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico deve essere coerente e compatibile con la programmazione sanitaria della Regione interessata; essa è subordinata al riconoscimento di cui al comma 3 ed avviene con riferimento a un'unica specializzazione disciplinare coerente con gli obiettivi della programmazione scientifica nazionale di cui all'articolo 12-
bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni ed ai soli presidi nei quali la stessa attività è svolta. I policlinici possono essere riconosciuti con riferimento a non più di due discipline, purché tra loro complementari e integrate».
  La norma sopra trascritta non dovrebbe trovare applicazione nel caso, non specificamente disciplinato dal predetto decreto legislativo n. 288, in cui la regione Lazio intendesse procedere ad un ulteriore accorpamento funzionale (come a suo tempo già avvenuto fra gli istituti Regina Elena e l'istituto Santa Maria e San Gallicano, per costituire gli Istituti fisioterapici ospitalieri), fra gli Istituti fisioterapici ospitalieri e lo Spallanzani, i quali, singolarmente considerati, manterrebbero, ove confermati, le loro rispettive specificità.
  Il previsto accorpamento non dovrebbe quindi comportare l'istituzione di un nuovo, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 288 del 2003, IRCCS.
  In altri termini, laddove l'operazione prevista dalla amministrazione regionale non porti alla costituzione di «nuovi» Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, bensì alla gestione unificata delle attività dei singoli istituti, già riconosciuti tali e così riconfermati, ai sensi della normativa di settore sopra richiamata, si tratterebbe di una soluzione organizzativa non espressamente disciplinata dalla specifica vigente normativa, ma con essa non parrebbe confliggente.
  È opportuno segnalare, infatti, che l'eventuale accorpamento in via programmatica previsto dalla regione Lazio non andrebbe ad aumentare il computo totale degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e delle specifiche discipline, riconosciuti in ambito regionale, bensì costituirebbe, anche in virtù della attuale situazione economico-finanziaria in cui i medesimi versano, un'azione di governo del sistema volta alla razionalizzazione ed al potenziamento dell'efficienza di tali strutture.
  Tale azione pare, sotto altro profilo, coerente con le persistenti e pressanti esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica, in attuazione di precisi vincoli imposti alla regione Lazio dalla disciplina speciale dettata sul rientro dai disavanzi sanitari.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BARONI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che in data 13 gennaio 2015 sono state arrestate su ordine della procura della Repubblica di Taranto sette persone fra Taranto, Napoli e Roma accusati del reato di concorso in concussione;
   già nel marzo del 2014 era stato arrestato il direttore del V reparto navale di Chiapparo, a Taranto, un capitano di fregata nella cui abitazione sono stati trovati ben 44.000 euro in contanti, oltre ad una pen-drive in cui era contenuta una lista di imprenditori «taglieggiati» da quella che in seguito si è rivelata una vera e propria banda;
   il gruppo di soggetti, tutti ufficiali e sottufficiali della Marina militare, tranne uno, riscuotevano una tangente totale del 10 per cento sugli appalti di cui si occupavano in nome e per conto del commissariato militare marittimo di Taranto solo ed esclusivamente per corrispondere in tempi congrui i pagamenti dovuti;
   le confessioni del primo arrestato, che ha decrittato per gli inquirenti il contenuto della pen-drive, hanno portato alla conoscenza degli inquirenti della divisione, per così dire, «gerarchica» delle tangenti con la percentuale che variava a seconda del grado ricoperto;
   le forze dell'ordine hanno inoltre scoperto che questa «abitudine» andava avanti da anni e che veniva tramandata da un comandante ad un altro in una cornice ambientale di corruttela che poco dovrebbe addirsi ad ufficiali che hanno fatto un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;
   il gip di Taranto dottor Pompeo Carriere, in conferenza stampa ha, fra l'altro, dichiarato che questi personaggi «hanno causato, nel complesso, danni notevoli sia alle singole imprese che all'intera economia locale, sostanzialmente alla stregua dell'agire della malavita organizzata» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se il Ministro intenda intraprendere, per quanto di competenza, tutte le necessarie iniziative, anche in merito alla eventuale rotazione degli incarichi apicali del commissariato militare marittimo di Taranto, al fine, in particolar modo, di rendere i controlli amministrativi sulle attività ivi poste in essere, più efficaci che in passato. (4-07572)

  Risposta. — In merito a quanto richiesto con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si comunica che tutto il personale destinato presso le direzioni di commissariato della Difesa, è soggetto, ora come in passato, ad una rotazione periodica.
  Con specifico riferimento alla direzione di commissariato di Taranto, considerata la valenza amministrativa dell'ufficio, la turnazione risponde a criteri ancora più stringenti. Infatti, secondo le consuete dinamiche di rotazione del personale negli incarichi sensibili, nel corso del 2013 si era già dato corso all'avvicendamento di 7 ufficiali e di 52 sottufficiali. Nel 2014, a seguito dell'avvio della citata inchiesta da parte dell'autorità giudiziaria, si è proceduto ad incrementare tale misura, indipendentemente dalla specifica area funzionale di assegnazione del personale, dando corso all'avvicendamento di 15 ufficiali e di 59 sottufficiali.
  Inoltre, quale ulteriore rafforzamento delle misure di prevenzione, in aggiunta a quanto già posto in essere, è stato disposto l'ulteriore avvicendamento dei livelli dirigenziali più direttamente interessati ai procedimenti di tipo amministrativo per un totale di 6 ufficiali e di 31 sottufficiali.
  Su un piano più generale, si rappresenta che il Dicastero, già dal 2014, si è dotato di un piano triennale di prevenzione della corruzione e che sta procedendo con il progressivo ampliamento dell'analisi del rischio ai fini dell'applicazione di una corretta politica di prevenzione della corruzione stessa.
  Il piano prevede, quale misura obbligatoria, che il personale militare (dirigente e non) e quello civile non dirigente dell'amministrazione difesa permanga in incarichi caratterizzati da rischio di corruzione per un periodo massimo non superiore a cinque anni, salvo casi particolari valutati dagli organi di impiego preposti.
  Ciò a testimonianza della particolare sensibilità che il Dicastero pone nella prevenzione della corruzione.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del comparto difesa-sicurezza, la tutela dei delegati è intimamente connessa all'interesse primario della compagine militare ed investe direttamente la responsabilità dei quadri presso ciascun livello rappresentativo;
   la vigente normativa di riferimento in tema di «Esercizio della rappresentanza militare» stabilisce che i membri dei consigli della rappresentanza devono essere messi in condizione di espletare le funzioni per le quali sono stati eletti ed avere a disposizione il tempo che si renda necessario;
   la medesima normativa vieta, inoltre, gli atti diretti a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza e, nelle procedure in vigore nell'ambito della difesa, con riferimento alle attività da svolgersi in forma collegiale, pone a capo del comandante affiancato la verifica della regolarità formale dei procedimenti deliberativi;
   a quanto consta all'interrogante a causa di presunte irregolarità nei predetti procedimenti deliberativi, talune indiscrezioni riferiscono della condizione di cinque delegati CoBaR Carabinieri Lombardia, a cui verrebbe impedito da oltre un anno di svolgere compiutamente il proprio mandato elettorale, a discapito dei tanti carabinieri elettori in Lombardia;
   i riscontri relativi ai comportamenti finalizzati ad impedire il regolare esercizio del mandato elettorale, sarebbero stati valutati dal CoCeR carabinieri ed anche da altri COIR e CoBaR che si sarebbero occupati della materia, deliberando di interessare i comandanti affiancati, con particolare riferimento a quanto accade in Lombardia;
   risulta all'interrogante che l'ordinamento militare vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa delle convinzioni personali ed, al contempo, non consente che si possa impedire ai delegati di svolgere il proprio mandato elettorale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   se non ritenga opportuno intervenire al fine di ristabilire la trasparenza, la parità di trattamento ed il pieno diritto di elettorato passivo tra i delegati della rappresentanza militare in Lombardia.
(4-06368)

  Risposta. — Negli ultimi tempi, all'interno del Consiglio di base di rappresentanza (Cobar) Lombardia, si sono svolti serrati dibattiti, riconducibili alle normali discussioni assembleari e al fisiologico confronto dialettico che contraddistingue tali ambiti.
  Tale situazione di aperto confronto è stata, in qualche caso, oggetto di delibere da parte di altri organismi di rappresentanza, come il Consiglio intermedio di rappresentanza (Coir) Pastrengo e il Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer) i quali hanno posto l'attenzione sullo svolgimento del mandato dei delegati del Cobar Lombardia.
  Le decisioni assunte dal citato organismo di base, peraltro, sono state deliberate a maggioranza dell'assemblea legittimamente costituita.
  Come riferito dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, dagli atti della rappresentanza militare non sembrano emergere i segnalati profili di condizionamento e di limitazione nei confronti dei delegati degli organismi di rappresentanza.
  Si osserva, al riguardo, che le norme sulla rappresentanza militare prevedono un'autonomia deliberativa in capo all'assemblea e il comandante al quale l'organismo è affiancato non esercita nei confronti di questa i poteri propri della gerarchia, non potendo in alcun modo inserirsi nel processo decisionale.
  Tuttavia, nell'ottica di una più ampia condivisione delle scelte della rappresentanza militare, il comandante della legione carabinieri Lombardia, pur senza interferire sulle deliberazioni del Cobar, ha più volte svolto opera di persuasione rimarcando, sia nel corso delle assemblee sia in occasione dei contatti con i singoli delegati, la necessità di operare affinché tutti svolgano il mandato loro affidato con equilibrio e spirito costruttivo.
  Tutto ciò, in piena coerenza con le disposizioni normative in materia, nel rispetto delle prerogative della rappresentanza militare e del diritto dei delegati ad esercitare pienamente il mandato loro conferito.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO, TOFALO, TURCO, RIZZO, ARTINI, CORDA e FRUSONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 5 del 7 febbraio 2014, depositata il 18 febbraio 2014, il tribunale militare di Roma ha dichiarato l'assoluzione della dottoressa Barbara Balanzoni, tenente medico dell'Esercito in riserva selezionata, dal contestato reato di «disobbedienza aggravata continua»;
   il predetto provvedimento, intervenuto all'esito di un procedimento penale intrapreso con decreto di rinvio a giudizio del 13 dicembre 2013, si è concluso con la piena assoluzione dell'imputata perché, come si può leggere nel testo della sentenza, «appare insussistente, ictu oculi, il contestato reato di disobbedienza continuata pluriaggravata»;
   in particolare, la fattispecie avrebbe difettato di un requisito essenziale per la configurazione del reato de quo, stante l'insussistenza di alcun «ordine» giuridicamente vincolante e suscettibile di disobbedienza, ma la presenza di mere norme di servizio impartite in via generale ed astratta dal comandante della base a tutti i militari del contingente, ivi compresa la dottoressa Balanzoni;
   all'ufficiale era stato, infatti, conferito formalmente dai superiori l'incarico di provvedere al benessere di tutti gli animali, sicché nel caso concreto il doveroso adempimento dell'incarico attribuitole consentiva, o addirittura imponeva, alla dottoressa Balanzoni di dare assistenza ad animali sofferenti;
   la sentenza in parola definisce, quindi, «palesemente illogico» qualificare come disobbedienza una condotta esecutiva di una specifica delega di una autorità militare superiore;
   a seguito di tale vicenda processuale, pochi mesi dopo, con sentenza n. 23 del 6 giugno 2014, depositata il 6 luglio 2014, il tribunale militare di Roma ha disposto una ulteriore assoluzione della dottoressa Balanzoni dai reati di «diffamazione continuata aggravata» ed «ingiuria ad inferiore aggravata»;
   anche il predetto provvedimento giudiziario si è concluso con la piena assoluzione dell'imputata perché «i fatti non sussistono» ed ha accertato la totale infondatezza dei capi d'accusa addebitati dalla procura militare di Roma;
   dall'istruttoria dibattimentale è emerso, infatti, che la dottoressa Balanzoni, durante la sua permanenza in servizio presso il «Multinational Battle Group» in Kosovo, non avrebbe mai pronunciato frase o espressioni ingiuriose o diffamatorie, circostanza in parte negata dagli stessi soggetti potenziali persone offese;
   dalle argomentazioni motivazionali della sentenza si legge che: «...la Balanzoni già da qualche mese precedente al giugno 2012 viveva all'interno del Reparto una situazione di forte tensione per continue incomprensioni con il Cap. Lettieri e, a marzo 2012, aveva anche dovuto subire la diffusione all'interno del Reparto, ad opera di anonimo, di un volantino contenente una foto che la ritraeva assopita all'interno di un veicolo militare, sovrastata dalla scritta «Pronto Soccorso medico sempre in allerta» e che, inoltre, ...può cogliersi l'evidenza di una ingiustizia che, ancora nei giorni successivi a tale evento, continuava a permanere inalterata»;
   le predette motivazioni hanno indotto il giudice militare a ritenere che eventuali espressioni diffamatorie fossero state pronunciate in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso, in quanto tale non punibile per applicazione dell'esimente di cui all'articolo 599, comma 2, codice penale;
   il rinvio a giudizio dell'imputata sarebbe, quindi, avvenuto senza alcun fondamento probatorio ma sulla base di mere circostanze indiziarie, sorte presumibilmente a seguito di un ripetuto atteggiamento ostile e vessatorio posto in essere, nei mesi antecedenti al processo, da alcuni militari del reparto di servizio dell'imputata ai danni della stessa e documentato da note disciplinari redatte a distanza di poche settimane l'una dall'altra;
   dalle risultanze processuali sembrerebbe, quindi emergere un duplice profilo di responsabilità in ordine all'intera vicenda, ascrivibile sia ai militari preposti al comando del reparto di assegnazione della dottoressa Balanzoni durante la missione in Kosovo, sia a quelle che gli interroganti giudicano marginali e superficiali attività inquirenti condotte dalla Procura militare di Roma;
   risulta all'interrogante quantomeno anomala la circostanza che la medesima procura militare, a distanza di pochi mesi, abbia indagato nei riguardi del medesimo ufficiale in ordine a tre diverse fattispecie di reato, formulando capi di imputazione poi rivelatisi tutti palesemente insussistenti all'esito dei relativi procedimenti giudiziari;
   oltre alla descritta vicenda che ha coinvolto la dottoressa Balanzoni, sono sempre più numerosi i casi di vessazioni ed atteggiamenti ingiusti e provocatori ai danni di militari, soprattutto di sesso femminile, perpetrati all'interno dei reparti delle Forze armate durante le missioni internazionali;
   al contempo, la diretta gestione delle procure militari e dei tribunali militari da parte del Ministero della difesa non consente a tali organi di vantare, nell'ordinamento, una posizione di autonomia ed indipendenza analoga a quella di tutti gli altri organi giurisdizionali, con inevitabili ricadute sulla corretta amministrazione della giustizia militare –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga in merito;
   quali provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di garantire maggiore trasparenza e meritocrazia nella selezione del personale preposto al comando dei reparti militari, con particolare riferimento ai reparti impegnati in missioni internazionali;
   se non ritenga auspicabile, anche in ragione dei principi costituzionali di libertà, autonomia ed indipendenza della magistratura complessivamente intesa, assumere iniziative per riorganizzare sotto il profilo delle competenze, degli organici e della gestione amministrativa, il funzionamento dei Tribunali e delle Procure militari. (4-07430)

  Risposta. — Intendo preliminarmente ricordare che sulla richiamata vicenda della dottoressa Barbara Balanzoni il Governo ha già avuto modo di riferire in riscontro agli atti di sindacato ispettivo n. 4-03173, della medesima interrogante, n. 4-03124 dell'Onorevole Vezzali e n. 3-00610 della Senatrice Amati, quest'ultimo svolto in 4a Commissione difesa del Senato il 5 febbraio 2014.
  Mi limito pertanto a confermare, nella circostanza, quanto già argomentato nelle menzionate risposte.
  Tanto premesso, per quanto riguarda il quesito relativo a «quali provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di garantire maggiore trasparenza e meritocrazia nella selezione del personale preposto al comando dei reparti militari, con particolari riferimento ai reparti impegnati in missioni internazionali», mi preme sottolineare la circostanza che i contingenti militari che vengono selezionati per svolgere attività operative all'estero vengono sottoposti, prima della partenza, ad una intensa attività addestrativa che coinvolge tutto il personale, compresi gli ufficiali. I comandanti di reparto o di settore di tali contingenti hanno qualità professionali e caratteriali che, unitamente all'esperienza spesso acquisita nel corso di precedenti missioni, li rende idonei ad affrontare le significative responsabilità connesse alla particolarità dell'incarico.
  In merito, invece, alle «iniziative da assumere per riorganizzare sotto il profilo delle competenze, degli organici e della gestione amministrativa il funzionamento dei Tribunali e delle Procure militari», ricordo che nel disegno di legge di Stabilità 2015 era stata inserita apposita previsione normativa volta ad una razionalizzazione in senso riduttivo (ulteriore a quella già realizzata con la legge 24 dicembre 2007, n. 244) degli uffici giudiziari militari. Detto intervento, stralciato dalla legge di stabilità nel corso dei lavori parlamentari in ragione della sua natura ordinamentale, è confluito, col medesimo testo, in un autonomo disegno di legge Atto Camera 2679-
undecies) assegnato in sede referente alla IV Commissione difesa della Camera, che non ne ha ancora avviato l'esame.
  Invero, in materia di riforma della giustizia militare, è stato presentato nell'ottobre 2014 un disegno di legge costituzionale (ad iniziativa dell'onorevole Dambruoso ed altri), finalizzato alla modifica degli articoli 102 e 103 della Carta, funzionale alla definitiva soppressione dei tribunali militari e alla contestuale istituzione di sezioni specializzate per i reati militari presso i tribunali ordinari. L'iniziativa in parola, assegnata all'esame della I Commissione affari costituzionali della Camera, coltiva la prospettiva di affrontare in maniera risolutiva la questione della giustizia militare, attraverso la definitiva soppressione dei relativi organi giurisdizionali e la rimessione delle rispettive competenze alla magistratura ordinaria, secondo lo schema, già noto all'ordinamento, delle sezioni specializzate per materia, a similitudine di quanto già fatto proprio dagli ordinamenti di diversi Paesi europei, quali Francia, Portogallo, Olanda e Ungheria.
  Sulla scorta di tali valutazioni, è intendimento del dicastero seguire con ogni attenzione il dibattito parlamentare che verrà avviato sull'illustrato progetto di riforma costituzionale, al fine di apportare ogni contributo per introdurre i necessari temperamenti volti a tutelare comunque la specificità della condizione militare.
  Sullo specifico argomento evidenzio, infine, che la traslazione al Ministero della difesa, ferme le competenze del Consiglio della magistratura militare, delle medesime attribuzioni riconosciute al Ministero della giustizia rispetto alla magistratura ordinaria, non si risolve in un
vulnus dell'indipendenza e dell'autonomia della funzione giustiziale penale militare, ineludibilmente garantita, al pari di quella ordinaria, dalla esclusiva soggezione alla legge dei magistrati militari.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, TERZONI, LUPO, BENEDETTI, PARENTELA e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Polizia ferroviaria è lo specifico reparto della Polizia di Stato, con un organico di oltre 5.000 unità, incaricato di operare nelle stazioni ferroviarie e a bordo dei treni al fine di garantire la sicurezza dei viaggiatori;
   con nota del Ministero degli interni n. 559/A/1/131.4.1/270, si comunica ai questori il «progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio»;
   la «soppressione di 73 fra sottosezioni e Posti Polfer, l'elevazione di 13 presidi, il declassamento di altri 20 ed una diversa articolazione dei compartimenti» sono alcuni dei vari interventi presenti nella nota;
   all'interno della stazione ferroviaria del comune di Viterbo è presente un presidio Polfer che rientra nel piano di soppressione, del progetto di razionalizzazione di cui alla nota n. 559/A/1/131.4.1/2701 del Ministero dell'interno;
   il presidio Polfer della stazione ferroviaria di Viterbo, oltre ad esercitare con la sola presenza un'azione di prevenzione apprezzata dai pendolari che giornalmente viaggiano lungo i 110 chilometri di competenza del presidio (dal comune di Attigliano alla stazione di Roma/San Pietro), ha all'attivo una lunga storia di interventi di grande rilevanza; solo negli ultimi mesi, a testimoniare l'importanza della presenza, gli agenti del presidio Polfer della stazione ferroviaria di Viterbo, sono stati protagonisti dell'arresto di un uomo per pedofilia, del fermo di un trafficante di droga arrestato in possesso di oltre tre etti di cocaina, dell'intervento di soccorso effettuato in occasione del deragliamento di un treno che percorreva la tratta Viterbo-Roma, nonché di un'operazione che ha portato all'arresto di una banda specializzata nel furto di rame lungo la ferrovia e nel recupero di un'importante quantità di refurtiva;
   secondo la testimonianza del rappresentante del Sindacato autonomo di polizia (SAP) «La chiusura del presidio non porterebbe nessun risparmio, in quanto tutte le strutture e le utenze sono a carico delle Ferrovie dello Stato»; il rappresentante SAP sottolinea come «La spesa che è dovuta unicamente agli stipendi, tale rimarrà in quanto il personale sarà dislocato altrove e gli stipendi andranno pagati comunque»;
   a parere sia degli agenti interessati che degli interroganti, l'assenza del presidio Polfer e dell'effetto inibitorio che esercita sulla criminalità con la sola presenza, porterebbe inevitabilmente ad un aumento di attività da parte di questa, comportando quindi un prevedibile aumento degli interventi che coinvolgerebbero uomini e mezzi di stanza in altri reparti, con un dispendio di forze e risorse superiori, oltre a far drasticamente diminuire la sicurezza dei pendolari che giornalmente utilizzano la tratta –:
   se sia a conoscenza della particolare situazione riguardo la mancanza di onere economico da parte del Ministero dell'interno, per il mantenimento del presidio Polfer della stazione ferroviaria di Viterbo;
   se in base alle informazioni in premessa, non intenda rivedere le disposizioni di chiusura del reparto Polfer della stazione ferroviaria di Viterbo che, di fatto, priverebbe la comunità di un servizio essenziale, senza determinare alcun tipo di risparmio per il Ministero. (4-05120)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante relativa all'eventuale chiusura del presidio della polizia ferroviaria di Viterbo, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi ancora non definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi dì comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BRUNO BOSSIO, STUMPO, BRUNO, CENSORE, D'ATTORRE e BRAY. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico di Capo Colonna a Crotone è riconosciuto come bene di inestimabile valore storico e culturale;
   in particolare, il sito richiama la vicenda storica, risalente al VII secolo a.C., del santuario di Hera Lacinia e la partenza di Annibale che, da quel luogo, nel III secolo a.c., in ritirata, fece ritorno a Cartagine;
   i preziosi resti archeologici oggi appaiono delimitati da una cinta muraria risalente alla prima età augustea;
   al fine di valorizzare il sito si è reso necessario un piano di recupero e di protezione che, in sede di Accordo di programma quadro tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la regione Calabria, ha previsto il finanziamento di uno specifico progetto denominato «Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica di Capo Colonna e messa in sicurezza delle strutture archeologiche portate in luce»;
   il soggetto attuatore del progetto risulta essere la soprintendenza archeologica della Calabria;
   il progetto prevede i lavori per la «ristrutturazione del sagrato della chiesa: pavimentazione dell'area antistante in cotto riquadrato di lastre di materiale lapideo, previa indagine archeologica dell'area»;
   altresì, è prevista la realizzazione «di opere di fruibilità e copertura a protezione dei mosaici rinvenuti nell'area dell'intervento»;
   l'appalto dei lavori è stato aggiudicato con un ribasso del 30,21 per cento sull'elenco prezzi posto a base di gara;
   numerose associazioni culturali ed ambientaliste, esponenti istituzionali, forze intellettuali sono impegnate in una vigorosa protesta che denuncia il deturpamento di una delle aree più suggestive e storicamente significative del Paese dal momento che, pare, si sarebbe fatto ricorso a colate di cemento e posizionamento di reti elettrosaldate a danno dei numerosi e preziosi reperti presenti nel sito;
   pare, inoltre, che lo scempio di quei luoghi sarebbe riconducibile anche alla costruzione di un megavillaggio turistico che, in località Scifo, si estende su un'area di 74 mila metri quadri proprio a ridosso del parco archeologico, in piena area marina protetta. È notorio che sulla circostanza la procura della Repubblica presso il tribunale di Crotone ha aperto un fascicolo di indagine –:
   se la realizzazione dell'intervento previsto nell'accordo di programma quadro stia avvenendo senza arrecare danno ai reperti archeologici;
   quali efficaci e tempestive iniziative, il Ministro intenda assumere affinché l'intera area di interesse del sito archeologico sia tutelata, protetta ed effettivamente valorizzata e non sottoposta ad interventi che ne compromettano il valore storico, architettonico e culturale. (4-07604)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame l'interrogante chiede di conoscere se l'intervento denominato «Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica di Capo Colonna e messa in sicurezza delle strutture archeologiche portate in luce» proceda, senza arrecare danni ai reperti archeologici; chiede inoltre quali iniziative si intenda assumere per tutelare, proteggere e valorizzare il sito archeologico.
  I lavori in corso presso il sito di Capo Colonna costituiscono la realizzazione del progetto: Capo Colonna — Progetto SPA 2.4. «Ampliamento della realtà archeologica di Capo Colonna e messa in sicurezza delle strutture portate in luce», Risorse Fas, Finanziamento di euro 2.500.000,00.
  Gli obiettivi previsti dall'intervento e i suoi dati essenziali sono i seguenti: la regimentazione delle acque meteoriche nell'area prospiciente il museo; la sistemazione dei percorsi di accesso al museo; la pavimentazione dell'area prospiciente la Torre Nao e la chiesa della Beata Vergine di Capocolonna, che insiste all'interno dell'area archeologica; la realizzazione di una copertura di protezione dei mosaici delle terme, così da renderli fruibili; il completamento dell'acquisizione dell'edificio denominato casa Morace - De Bartolo e il recupero funzionale dello stesso; il monitoraggio del tratto di costa delimitante il parco.

  La progettazione è stata effettuata congiuntamente da tecnici della soprintendenza archeologia della Calabria e del comune di Crotone, incaricati dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria.
  Il responsabile del procedimento è il soprintendente archeologo per la Calabria, mentre il direttore dei lavori è un architetto, funzionario della soprintendenza.
  Sono state già espletate le procedure di legge per l'affidamento e i lavori sono attualmente in corso.
  I punti problematici, richiamati anche nell'interrogazione, riguardano, in primo luogo, la sistemazione del piazzale prospiciente la Torre Nao e la chiesa della Beata Vergine di Capo Colonna e, per secondo, la realizzazione di una copertura a protezione della pavimentazione a mosaico nell'area delle terme di epoca romana.
  Riguardo al primo aspetto, l'area (di circa 1.160 metri quadrati) da sempre è stata problematica, in quanto presenta irregolarità dovute, nella maggior parte, agli affioramenti del banco roccioso. Vista la grande venerazione cui è soggetta la chiesa e l'afflusso di turisti che, soprattutto tra aprile e ottobre, visitano le aree archeologiche circostanti, negli anni sono state adottate soluzioni provvisorie con ghiaione steso a livellare la superficie, che le piogge e il passaggio delle auto regolarmente disperdevano. Tali soluzioni hanno però sollevato lamentele continue da parte di molti frequentatori dell'area, che avevano portato la precedente amministrazione comunale ad avviare le procedure per una risistemazione totale dell'area, mai portata a termine, per carenza di copertura economica. Pertanto, tenendo conto di tutto ciò, in ottemperanza di quanto sancito negli accordi tra il nostro Ministero e la Conferenza episcopale italiana, a proposito delle misure da adottare in caso di lavori da realizzare in contiguità con luoghi di culto, ma anche per adeguare questa porzione del parco archeologico alle normative sull'accesso dei portatori di handicap, nel progetto è stata prevista una pavimentazione che ponesse fine a questo stato di fatto, realizzata con mattoni e basoli, o comunque materiali che richiamino quelli usati nei resti archeologici che la circondano, riferibili alla colonia marittima. Preliminarmente a tali lavorazioni, come da progetto, è stato eseguito lo scavo archeologico di tutta l'area interessata dai lavori, teso alla ricerca e all'indagine di possibili testimonianze antiche. Le ricerche, effettuate tra settembre e dicembre 2014, hanno messo in evidenza la presenza, sul lato settentrionale e, parzialmente, su quello occidentale del sagrato, dei resti di un porticato, costruito, presumibilmente, in età augustea, che definiva architettonicamente lo spazio pubblico che, dall'epoca della fondazione della colonia romana, era probabilmente destinato alla piazza del Foro. Il porticato ad elle, in asse con i ruderi delle domus già note, nella porzione settentrionale, in parte, continua al di là della recinzione dell'area delle domus e, dal momento che questa zona risulta meno disturbata da interventi moderni, ci si augura che future indagini possano restituire maggiori dati. Si suppone anche che tracce di altre strutture pertinenti all'area forense siano presenti sotto quelle del piccolo complesso carcerario di età moderna, individuato alle spalle di Torre Nao, per cui anche in quest'area si auspicano approfondimenti, in un prossimo futuro. Si tratta sicuramente di una importante scoperta che sembra confermare le ipotesi più volte formulate, sin dal 2004 prima da Fausto Zevi, poi da Alfredo Ruga, sulla collocazione del Foro della colonia.
  Lo stato di grave precarietà in cui si trovano le strutture scavate, il fatto che esse poggino o direttamente sulla roccia o su di uno strato di argilla rossiccia, con problemi di ristagno d'acqua ad ogni pioggia, la considerazione sia dell'estrema aggressività del microclima del promontorio Lacinio che della continua ed intensa frequentazione del piazzale per scopi devozionali (imponente la folla del tradizionale pellegrinaggio del mese di maggio), sono tutte ragioni non favorevoli ad una conservazione all'aperto dell'area scoperta. Pertanto, dopo aver preso in esame le diverse metodologie atte a proteggere i resti, si è confermata l'ipotesi progettuale (a suo tempo approvata nelle sedi istituzionali) che prevede, ultimati gli scavi ed eseguita la documentazione grafica e fotografica, comprensiva, anche, di immagini dall'alto realizzate tramite drone telecomandato, di coprire l'intera superficie del piazzale con tessuto-non tessuto, su cui è steso inerte per uno spessore oscillante tra i 20 e i 50 centimetri, per uniformare i piani e creare le giuste pendenze. Al di sopra è, poi, posta rete elettrosaldata, coperta con uno strato di magrone di 10 centimetri. Su questa preparazione è prevista la messa in opera di un pavimento su cui, in perfetta corrispondenza con quanto presente al di sotto, verrà disegnato in negativo, in materiale diverso, la planimetria delle strutture romane. A ciò si aggiungerà un pannello didattico che mostrerà foto d'insieme dell'area, prima della ricopertura. Si tratta di una soluzione sempre reversibile, rispondente a prassi consolidate, adottata per la conservazione di strutture fragili e precarie, che non sopportano sollecitazioni erosive continue quali quelle derivanti dal mantenimento a vista. La presenza di tessuto-non tessuto ed inerte infatti garantisce, anche, la protezione dalle lavorazioni che si stanno realizzando, oltre ad attutire e distribuire il peso, di uomini e mezzi, durante il periodo dei lavori e pure successivamente nell'utilizzo a regime.
  Il nuovo piazzale pavimentato ha lo scopo di fornire un duraturo e agevole accesso pedonale alla chiesa e agli scavi. Per il parcheggio dei mezzi già tempo fa sono state realizzate piazzole di sosta a monte del parco archeologico; inoltre sono stati posti cartelli che vietano l'accesso ai mezzi dei non residenti. Tale divieto è sempre stato disatteso da cittadini e turisti, ma con il nuovo assetto del sagrato l'area sarà interdetta alle auto private con elementi stabili non rimovibili.
  Non possono, quindi, sfuggire le ragioni pratiche e funzionali che hanno spinto i tecnici all'elaborazione del progetto in corso di realizzazione, che concilia la conservazione delle strutture scoperte con la frequentazione dell'area da parte dei fedeli.
  La seconda questione riguarda la tettoia che coprirà il balneum.
  Il balneum (impianto termale di m. 18 per 22) è il primo edificio pubblico romano indagato a Capo Colonna, inizialmente ai tempi di Paolo Orsi (1910) e definitivamente nel 2003, con conseguente intervento di restauro di intonaci, creste murarie e soprattutto del famosissimo emblema a mosaico con iscrizione dedicatoria dei duoviri quinquennales Lucilius Macer e Annaeus Trhaso, cui si deve la costruzione dell'edificio.
  Lo stato di conservazione generale delle strutture, anche a seguito dei primi interventi conservativi del 2003, è buono, necessitando ovviamente di ordinari lavori di manutenzione e ripresa dei restauri (come quelli eseguiti nel 2014 nella domus e sulle mura romane), in considerazione del clima particolare della zona (escursioni termiche, aerosol marino con umidità ricca di salsedine e aggressività della stessa con fenomeni di solubilizzazione e cristallizzazione che generano, insieme alla variazione di temperature, microlesioni e danni poco percepibili). Più precario appare lo stato di conservazione degli intonaci e dei loro pigmenti, per i motivi specificati prima e per i quali, previa ripresa degli interventi conservativi, la creazione della copertura porterà particolare giovamento per l'attenuazione delle cause del degrado naturale che, comunque, come ben sanno gli operatori del settore, non potranno essere eliminate definitivamente, dovendo invece prevedersi manutenzioni periodiche, anche con adeguati trattamenti biocidi, secondo le normative vigenti in materia sia ambientale sia di restauro.
  Quanto ai pavimenti, ed in particolare l'emblema a mosaico, si precisa che essi, fin dalla riscoperta, sono stati oggetto di accurati restauri ed immediatamente protetti e ricoperti con sabbia, in attesa che la realizzazione di una copertura stabile ne garantisse la fruizione nel contesto originario, evitando strappi e musealizzazione decontestualizzata. Va da sé che solo al momento della ultimazione della copertura e dopo la rimozione degli inerti di protezione si potrà fare una valutazione sullo stato di salute dei pavimenti (posti comunque a debita distanza dai settori interessati alle trivellazioni per i pali, preventivamente indagati stratigraficamente), sui quali una restauratrice, già incaricata dall'impresa e a spese del progetto, interverrà a fini conservativi e per la valorizzazione del bene stesso.

  La realizzazione della tettoia di copertura, sui due vani mosaicati del complesso termale di Capo Colonna, ha obbligato alla preventiva realizzazione di tre piccoli saggi di scavo atti ad indagare l'area, così da definire meglio i punti esatti in cui posizionare i plinti sul lato orientale delle terme.
  La realizzazione della tettoia, che proteggerà parte delle terme dagli agenti atmosferici e permetterà ai visitatori di ammirarle dopo tanto tempo, prevede la messa in opera di plinti di appoggio rettangolari.
  L'ispezione, prontamente disposta dal Segretario generale del Ministero, ha accertato quanto contenuto nel progetto esecutivo circa la riduzione del previsto diametro dei pali di fondazione della tettoia, da 60 a 20 cm, e la situazione stratigrafica derivata dalle indagini archeologiche preventive realizzate nei punti in cui detti pali sono stati realizzati, tale da escludere ogni interferenza con livelli di interesse archeologico. Nessun danno è stato rilevato alle strutture murarie conseguente alle attività di trivellazione, eseguite per la messa in opera dei pali stessi.
  L'indagine ispettiva ha confermato, inoltre, come l'intervento della soprintendenza sia fondato su ragioni pratiche e funzionali tali da garantire la compatibilità tra le diverse esigenze di assicurare la conservazione delle preesistenze archeologiche e di consentire la pubblica fruizione, pur se in astratto sarebbero ipotizzabili soluzioni tecniche alternative, come la predisposizione di un percorso su passerelle o un sistema di copertura con pedane mobili.
  Soluzioni alternative sono certamente possibili nella direzione di soddisfare anche i diversi profili dell'interesse pubblico alla fruizione dell'area archeologica e della chiesa che, tra l'altro, è a sua volta un bene culturale ecclesiastico.
  In questo senso, il Ministero, una volta ricostituiti gli organi a seguito della recentissima riforma, è pienamente disponibile al confronto con le realtà associative e del territorio, alla ricerca delle soluzioni migliori che comunque consentano la conclusione dell'intervento, per non pregiudicare la sua corretta rendicontazione alla regione Calabria e all'Unione europea.
  Per quanto attiene al costruendo megavillaggio turistico in località Punta Scifo, si deve premettere che il progetto di iniziativa privata («per un campeggio in località Alfiere»), assolutamente indipendente dai progetti che interessano il sito archeologico di Capo Colonna, ottenne il nulla osta della soprintendenza archeologica (nota prot. 7448 del 24 aprile 2009), tuttavia gravato da prescrizioni obbligatorie. In base a tale nota, infatti, ogni operazione che comportasse scavi di qualsiasi natura doveva essere seguita in cantiere da personale tecnico-scientifico (collaboratore archeologo e tecnico rilevatore), a carico della committenza e sotto la direzione scientifica della soprintendenza, con il compito di intervenire ed interrompere i lavori, se necessario, qualora si riscontrassero resti archeologici, da indagare poi secondo metodi scientifici. Dette prescrizioni tenevano in considerazione i dati preliminari pubblicati dal professor J. C. Carter in vari articoli scientifici, tra il 1983 e il 2008. Il professor Carter ed i suoi collaboratori e allievi, per conto dell'Università del Texas, a più riprese, tra gli anni Ottanta del secolo scorso e gli inizi di questo secolo, avevano esaminato a tappeto l'area compresa tra i comuni di Isola Capo Rizzuto e Crotone – Capo Colonna, dove sono state individuate innumerevoli tracce del suo utilizzo a scopi agricoli e pastorali dalla fine del VI secolo a.C. al periodo ellenistico e poi in epoca romana. Essendo, peraltro, tracce labili, ciò non ha permesso di imporre un vincolo archeologico ad un'area così vasta. È stata però inviata ad entrambi i comuni una nota conoscitiva sui possibili rischi archeologici dell'area, tanto che il comune di Crotone l'ha recepita nel suo piano regolatore.
  A seguito di denuncia ed interessamento del Nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio culturale di Cosenza, nel mese di dicembre del 2013, è stato fatto un sopralluogo congiunto nel cantiere in oggetto, per verificare eventuali danni al patrimonio archeologico arrecati nel corso della realizzazione dei manufatti di progetto, che all'epoca consistevano nelle piattaforme su cui sarebbero stati edificati i prefabbricati. Dalle verifiche in cantiere si è potuto appurare che, oltre ai lavori di posa della massicciata, nessuna opera di sbancamento era stata messa in atto. Sono state verificate tutte le platee di calcestruzzo per i bungalow, costruite nei mesi precedenti, appurando che nella maggior parte dei casi sono appoggiate su un sedime di ciottolame di fiume riportato per colmare dislivelli del terreno, ad eccezione di pochissimi casi in cui le platee sono poggiate direttamente sul piano di campagna appena livellato. Nei settori interessati dalle platee e nelle zone limitrofe, non sono state riscontrate in superficie presenze di materiali archeologici e manufatti antropici di età antica (da rapportare alla occupazione della chora sud di Kroton o all'agro coloniale romano di Croto), medievale o post medievale (in relazione alla presenza dell'impianto, difensivo costiero – di cui è valida testimonianza la vicina torre vincolata di Scifo – o dello sfruttamento latifondistico di XVII-XIX secolo, rappresentato dalla masseria Caracciolo oggi Zurlo, anch'essa vincolata e adiacente al nuovo complesso turistico). Ugualmente non sono state riscontrate presenze archeologiche nei campi arati limitrofi al cantiere, almeno in una fascia larga circa 15 m. Pertanto la soprintendenza, per quanto di competenza, ha ritenuto di poter dichiarare all'attualità l'assenza di danni al patrimonio archeologico. Si specifica, inoltre, che, in linea d'aria, il sito dista dall'area archeologica di Capo Colonna km. 1,90, mentre via terra km. 2,50.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Crema ha ricoperto, con incarico temporaneo di collaboratore sanitario, infermiere, categoria D dal 1° aprile 2014 al 30 settembre 2014 numerosi posti vuoti in organico;
   allo scadere del termine pare non sia stato rinnovato il contratto solo per una collaboratrice sanitaria, infermiera, categoria D, giovane madre, nonostante la positiva valutazione da parte dei responsabili del reparto presso i quali ha prestato servizio;
   successivamente l'azienda ospedaliera ad ottobre 2014 ha previsto assunzioni a contratto determinato per una serie di posti da infermiera, categoria D, compreso quello che era stato coperto dalla giovane madre sopraindicata –:
   se i Ministri intendano verificare tale situazione e appurare che non vi siano stati elementi di discriminazione per l'origine territoriale dell'interessata o per la condizione di giovane madre con compiti di allattamento. (4-06758)

  Risposta. —   Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri sulla base dei dati acquisiti dalla prefettura – uffici territoriale del Governo di Cremona.
  L'Azienda ospedaliera di Crema, interpellata dalla prefettura, ha riferito di aver pienamente ottemperato al contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto con la dipendente; la valutazione finale tuttavia non è risultata positiva, a causa delle carenze evidenziate nel corso del servizio prestato.
  Il direttore generale dell'ospedale di Crema ha precisato che più del settanta per cento del personale sanitario è costituito da donne, e nelle ultime procedure concorsuali la percentuale di candidati assunti provenienti da regioni del centro-sud ha oscillato tra il 40 e il 50 per cento.
  L'Azienda ha in essere 198 contratti di lavoro a tempo parziale, tutti a favore di dipendenti donne, in buona parte giovani madri: la presenza di figli minori nel nucleo familiare costituisce, infatti, uno dei criteri preferenziali previsti nel regolamento aziendale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CANCELLERI e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   della nuova programmazione 2014-2020 relativa alla politica di coesione europea, la regione siciliana gestirà direttamente cinque miliardi e 300 milioni di euro contro gli otto e mezzo del 2007-2013 e la dotazione potrebbe ancora diminuire se non si riusciranno a spendere i soldi della tranche precedente;
   questo deficit strategico potrebbe ripetersi puntualmente anche sui nuovi, e più modesti, fondi da spendere da qui al 2023;
   come dichiarato dal leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante: «Finora la spesa europea è stata legata a una politica clientelare, per accontentare questo o quel campanile. Mentre gli altri Paesi hanno costruito aeroporti e steso binari dell'alta velocità, dotato città e campagne di reti internet a banda larga e raddoppiato le corsie autostradali, rendendo attrattivo il territorio per investitori esteri, noi abbiamo ridotto in coriandoli i finanziamenti. Già da tempo le imprese hanno chiesto al governo regionale di iniziare un percorso condiviso in vista della nuova programmazione 2014-2020, ma al momento tutto è fermo»;
   c’è il rischio che anche questa nuova tornata di finanziamenti si trasformi in una occasione sprecata e non riesca a permettere alla Sicilia quelle trasformazioni strutturali a cui fondi europei sarebbero destinati;
   nella programmazione 2007-2013 non c'e’ più tempo per istruire nuove gare ma, da bando, ci sono 6 mesi di tempo per «ripescare» soggetti ammessi al finanziamento ma non finanziati per esiguità delle risorse –:
   se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire un maggiore e più proficuo utilizzo dei fondi europei relativi alla politica di coesione;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per dare maggiore informazione in merito all'utilizzo dei fondi europei per il rilancio dei settori in difficoltà.
(4-04800)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione a risposta scritta in esame, con la quale si chiede, in particolare, di conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire un migliore e più proficuo impiego dei fondi europei relativi alla politica di coesione e per assicurare una maggiore informazione in merito al loro utilizzo, si rappresenta quanto segue.
  L'Accordo di partenariato 2014-2020, approvato dalla Commissione europea il 29 ottobre 2014, recepisce importanti innovazioni di metodo finalizzate a rendere la nuova programmazione dei fondi dell'Unione europea più concreta e più efficace rispetto al recente passato, assoggettandola a tempi certi e maggiormente verificabili nell'attuazione.
  Il forte orientamento ai risultati, che ha, infatti, caratterizzato la definizione dell'accordo di partenariato, si è tradotto, tra l'altro, anche nella predisposizione dello schema «Risultati attesi—Azioni» che identifica, per ciascun campo di intervento individuato dai regolamenti comunitari (Obiettivo tematico), gli specifici risultati verso cui gli interventi programmati devono tendere, corredati dai relativi indicatori, nonché dalle singole azioni da finanziare per il loro conseguimento. Le innovazioni di metodo introdotte hanno consentito di orientare in maniera più stringente la stesura dei programmi operativi, attualmente in fase di negoziato con la Commissione europea, che saranno quindi più trasparenti, verificabili e più controllabili nei tempi di realizzazione.
  Sempre nell'intento di migliorare l'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, con il sistema delle cosiddette «Condizionalità ex-ante» nell'accordo di partenariato 2014-2020 e, caso per caso, nei singoli programmi operativi è stata verificata la sussistenza di una serie di pre-condizioni previste dal regolamento comunitario n. 1303 del 2013 (articolo 19) a garanzia proprio dell'efficacia degli investimenti da finanziare. Si tratta di pre-requisiti puntualmente definiti negli stessi regolamenti per ciascun obiettivo tematico, che condizionano l'accesso ai fondi dell'Unione europea e che sono riconducibili alle seguenti tipologie: necessità di inquadrare l'azione dei fondi strutturali in modo coerente con le strategie/pianificazioni nazionali di settore rilevanti e quindi esigenza di disporre di tali strategie/piani laddove mancanti (ad esempio, strategia nazionale per la ricerca e l'innovazione, strategia per la crescita digitale, piani nazionali dei trasporti); pieno recepimento delle direttive comunitarie più rilevanti per la politica di coesione (ad esempio, in materia di ambiente o energia); adeguamento delle procedure e della normativa rispetto a standard di livello europeo (ad esempio, in materia di appalti o di aiuti di Stato).
  In aggiunta a quanto evidenziato, nell'azione del Governo resta assolutamente prioritario il tema del miglioramento della capacità delle amministrazioni di attuare le politiche di investimento pubblico. All'interno della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali una quota rilevante delle risorse è destinata ad interventi di rafforzamento delle autorità di gestione dei programmi co-finanziati nonché ad azioni più ampie di modernizzazione della pubblica amministrazione negli ambiti di intervento rilevanti per la politica di coesione, quali ad esempio regolamentazione delle attività d'impresa, trasparenza ed open government, giustizia civile e prevenzione e lotta alla corruzione.
  Accanto agli interventi previsti dall'accordo di partenariato, l'Italia ha promosso – assieme alla Commissione europea — un'azione particolarmente incisiva, richiedendo a ciascuna amministrazione titolare di programma operativo di assumere impegni precisi, al più alto livello politico (Ministro per le amministrazioni centrali e Presidente per le amministrazioni regionali) in termini di adeguamento delle strutture e di revisioni delle procedure d'attuazione attraverso i programmi di rafforzamento amministrativo (Pra), da adottare nell'ambito del negoziato con la Commissione europea per l'approvazione dei predetti programmi operativi. Le misure di riorganizzazione, potenziamento ed efficientamento previste all'interno dei Pra saranno, inoltre, supportate da cronoprogrammi puntuali sottoposti a periodico monitoraggio, con il fine di assicurare all'intera filiera di attuazione dei programmi operativi (autorità di gestione, organismi intermedi e beneficiari) un'adeguata condizione organizzativo-professionale per l'esercizio delle diverse responsabilità attribuite.
  Per ciò che concerne la maggiore informazione in ordine all'utilizzo dei fondi europei per il rilancio di settori in difficoltà, si evidenzia, in generale, che il tema della trasparenza costituisce una delle scelte strategiche di base dell'attività del Governo. Il potenziamento di strumenti attualmente esistenti, ma finora non pienamente sfruttati, come ad esempio il portale «Open Coesione» (progetto di diffusione e riutilizzo di dati ed informazioni sugli interventi di politica di coesione realizzati in Italia) al cui interno sono presenti tutti i dati relativi all'avanzamento dei singoli progetti finanziati dalle politiche di coesione, può assicurare, grazie alla maggiore informatizzazione, una migliore informazione sull'impiego delle risorse stanziate, contribuendo, nel contempo, ad avere monitoraggi sulla spesa e sull'attuazione degli interventi più efficaci ed efficienti.
  Sempre con riferimento al portale «Open Coesione» si segnala che l'accordo di partenariato ne ha stabilito il ruolo di portale unico nazionale per la programmazione 2014- 2020, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 115 del regolamento dell'Unione europea 1303 del 2013. Il menzionato portale assolverà quindi l'obbligo, per la passata programmazione in capo alle autorità di gestione dei singoli programmi, di pubblicazione delle informazioni sugli interventi finanziati e sui beneficiari con dettagli su risorse, avanzamento finanziario, luoghi interessati, ambiti tematici, soggetti coinvolti, tempi di realizzazione ed output, il tutto ad ulteriore garanzia di un più proficuo utilizzo dei fondi dell'Unione europea.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali, nella serata di lunedì 13 maggio 2013 sarebbe stato sventato un furto dai carabinieri della tendenza locale di Scafati;
   i tre malviventi, a bordo di un'auto Renault Megane, risultata poi rubata pochi giorni prima a Boscoreale, stavano imboccando via Dante Alighieri diretti verso il centro cittadino, ma il loro fare sospetto ha allarmato i militari che proprio in quel momento erano impegnati in un servizio di pattugliamento nella zona;
   in particolare, all'intimazione dei carabinieri di fermarsi per un controllo, i tre a bordo della Renault avrebbero accelerato, dando il via a un rocambolesco inseguimento per via Dante Alighieri fino a quando la vettura dei malviventi, con una brusca manovra, ha violentemente speronato l'auto dei militari, scaraventandola fuori strada;
   i tre malviventi, quasi sicuramente provenienti dai paesi vesuviani, come riportano le cronache, sono riusciti a scappare, mentre i militari feriti hanno riportato contusioni ed escoriazioni in varie parti del corpo con prognosi dai dieci ai quindici giorni;
   l'intensificarsi di questi fenomeni genera sicurezza e allarme tra i cittadini soprattutto in una zona come quella di Scafati più volte balzata agli onori della cronaca per furti, rapine e sparatorie, tanto da avere indotto il tenente dei carabinieri a predisporre un più capillare piano di sicurezza, in periferia e nel centro cittadino;
   ogni giorno le cronache regalano episodi di inaudita gravità ai danni dei cittadini, sintomatici di una escalation di violenza e di criminalità che deve essere prontamente affrontata e arginata con fermezza e determinazione;
   a parere dell'interrogante, centrale nella lotta alla criminalità è il ruolo delle amministrazioni locali, quali garanti dello sviluppo di politiche di sicurezza integrate, che comprendano soprattutto interventi di natura preventiva, l'educazione alla convivenza civile e al principio di legalità, nonché la qualificazione delle funzioni della polizia locale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno, considerando il costante incremento della criminalità locale, adottare tempestivi provvedimenti atti a promuovere misure ordinarie e straordinarie per garantire la sicurezza dei cittadini, anche a supporto dei militari impegnati nei servizi di pattugliamento serale. (4-00567)

  Risposta. —   L'episodio riferito nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto si è verificato a Scafati la notte del 14 maggio 2013. Durante un'attività di controllo del territorio, una pattuglia automontata della tenenza dei carabinieri ha notato un'auto con tre passeggeri a bordo che, alla vista dei militari, si è data alla fuga. Il repentino inseguimento per le vie cittadine si è concluso con la collisione dei due automezzi. L'autovettura di servizio è rimasta danneggiata e i militari leggermente feriti. L'auto in fuga è riuscita a far perdere le tracce.
  Le indagini, condotte da personale dell'arma dei carabinieri, non hanno consentito, a tutt'oggi, di identificare i responsabili.
  Nel comune di Scafati sono attualmente presenti una tenenza e una compagnia dell'arma dei carabinieri che, secondo dati aggiornati al mese di novembre 2014, non comprensivi delle forze impiegate in servizi tecnico-logistici, amministrativi e addestrativi, presentano una dotazione organica complessivamente di 29 e 65 unità rispetto a una previsione rispettivamente di 28 e 67.
  Al riguardo, si rappresenta che la vigente normativa sulla riduzione della spesa pubblica applicata alle forze di polizia consente di assumere personale limitatamente al cinquanta per cento dei pensionamenti per l'anno 2015 e, soltanto a decorrere dal 2016, le assunzioni potranno risultare pari al cento per cento dei pensionamenti.
  Più in generale, per quanto concerne la provincia salernitana si assicura che la situazione dell'ordine pubblico è costantemente monitorata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ed è oggetto di puntuali analisi nel corso delle frequenti riunioni tecniche di coordinamento interforze che si svolgono presso la prefettura di Salerno.
  Anche al fine di incrementare nei cittadini la percezione della sicurezza, è stata disposta l'intensificazione dei servizi di prevenzione e controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine che, specie nelle ore notturne, effettuano servizi di pattugliamento del territorio, oltre che numerosi posti di controllo in prossimità di punti ritenuti nevralgici.
  Si segnala, inoltre, l'attività di intelligence messa in atto dalle forze dell'ordine che lavorano in maniera sinergica, oltre che sulla repressione dei reati, anche sulla prevenzione, proprio al fine di garantire adeguati standard di sicurezza e vivibilità, nella piena consapevolezza che determinate aree geografiche della provincia salernitana sono particolarmente permeabili a fenomeni di microcriminalità importati da zone limitrofe.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, nella notte tra il 18 e 19 maggio scorso alcuni giovani avrebbero aperto il fuoco all'esterno del noto locale di Salerno «Dolcevita», seminando il panico tra centinaia di coetanei;
   secondo le prime ricostruzioni, a scatenare la violenza di tre giovani sarebbe stato il reiterato rifiuto dei buttafuori di far accedere il gruppetto, in evidente stato di ebbrezza, all'interno della sala da ballo;
   sarebbe bastato questo a far scatenare la folle reazione dei tre balordi, che hanno aperto il fuoco contro i buttafuori, sparando cinque colpi di pistola a poca distanza dalla folla;
   sull'increscioso episodio indagano i carabinieri del Ros di Salerno, con i colleghi della compagnia di Battipaglia e della locale stazione, che sono riusciti a fermare due dei tre aggressori, un 22enne originario di Salerno con piccoli precedenti e un 26enne indagato per la rissa scatenatasi dopo la sparatoria;
   attualmente è al vaglio degli inquirenti la posizione del terzo autore della folle sparatoria, un minorenne che si è costituito spontaneamente in caserma;
   i buttafuori feriti e un malcapitato cliente sono stati trasportati all'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, dove dovranno essere sottoposti a piccoli interventi per la rimozione dei proiettili;
   sempre più spesso le cronache riportano episodi di violenza e criminalità compiuti da giovanissimi, anche minorenni, all'interno e all'esterno dei locali da ballo del capoluogo di provincia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, una volta verificata la veridicità degli stessi, se non ritenga opportuno incrementare i controlli delle forze dell'ordine, anche nelle ore notturne, nelle aree maggiormente frequentate dai giovani della città di Salerno. (4-00626)

  Risposta. —   L'episodio al quale si fa riferimento nell'interrogazione indicata in oggetto si è verificato all'alba del 19 maggio 2013, nella discoteca «Dolce Vita» sul litorale di Pontecagnano Fatano, in provincia di Salerno. Due ragazzi di 22 e 17 anni, entrambi pregiudicati, in seguito a un diverbio con due buttafuori del locale, hanno sparato alcuni colpi di arma da fuoco ferendo lievemente i due addetti alla sicurezza e un cliente della discoteca.
  L'immediato intervento di una pattuglia dei carabinieri ha permesso – anche grazie alle numerose testimonianze raccolte e alle immagini acquisite dal sistema di sorveglianza del locale – l'identificazione l'arresto dei responsabili.
  Per i fatti in questione, dinanzi al tribunale dei minorenni di Salerno, il 22 maggio dello scorso anno si è svolta l'udienza, con rito abbreviato, a carico di uno dei predetti ragazzi, accusato di tentato omicidio plurimo e condannato ad una pena di cinque anni e sei mesi di reclusione.
  Per quanto riguarda, più in generale, la situazione dell'ordine pubblico di Salerno e della sua provincia, si rappresenta che la necessità di ampliare la percezione di sicurezza nei cittadini – lanciando un messaggio inequivocabile di presenza concreta dello stato sul territorio – ha determinato una rimodulazione dei servizi attraverso un capillare pattugliamento dei luoghi e dei locali di ritrovo dei giovani.
  Attualmente prestano servizio sul territorio 867 unità della polizia di Stato, 1602 militari dell'arma dei carabinieri e 795 militari della guardia di finanza, per un totale di 3264 unità effettive (a fronte di una forza organica di 3440 unità).
  Per quanto concerne invece l'andamento della delittuosità, si informa che il totale generale dei delitti al 31 agosto 2014, rispetto allo stesso periodo del precedente anno, è diminuito dell'8,1 per cento nella provincia e dell'11,6 per cento nel comune di Salerno.
  Si assicura, infine, che lo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica della città di Salerno e della sua provincia viene costantemente monitorato in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nel corso di approfondite riunioni che si svolgono periodicamente presso la locale prefettura al fine di contrastare e prevenire gli episodi di criminalità grazie ad una presenza sempre più capillare delle forze dell'ordine sul territorio. In tale ambito, è dedicata la dovuta attenzione anche agli ambienti appartenenti al circuito della movida del sabato sera, per garantire un buon livello di sicurezza ai numerosi giovani frequentatori dei locali notturni.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COMINARDI, TRIPIEDI, ALBERTI, BASILIO, TURCO, SORIAL, BONAFEDE, SARTI, CHIMIENTI, BALDASSARRE e BECHIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottica di razionalizzare risorse e presidi della polizia di Stato sul territorio italiano, il vice capo vicario della polizia Marangoni, nell'incontro del 4 marzo 2014, ha esposto le linee guida del progetto che il Ministero dell'interno intende perseguire in attuazione del piano nazionale per la spending review previsto dal commissario Carlo Cottarelli;
   sulla base delle notizie acquisite dal comunicato rilasciato dallo stesso Marangoni, il progetto prevede la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia di cui 11 commissariati distaccati, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni-sotto sezioni polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche, oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   secondo un articolo del quotidiano il Tempo, del 26 marzo 2014, il risparmio sulla spesa derivante dai tagli annunciati può essere così quantificato: 600 milioni di euro per l'anno 2014, 800 milioni di euro per l'anno 2015 e 1.700 milioni di euro per l'anno 2016;
   per la provincia di Brescia, che detiene il più alto tasso di incidentalità in Italia, sono a rischio chiusura il presidio della polizia stradale di Iseo (istituita nel dicembre 1960), il presidio della polizia stradale di Salò (istituita nel gennaio 1961) ed è a rischio declassamento anche il settore di polizia di frontiera presso Montechiari;
   si apprende da un articolo comparso sul quotidiano Corriere della Sera, dell'8 maggio 2014, che la polizia di Brescia e della provincia sarebbe ad un passo dal collasso, essendo funzionanti solamente 6 auto su 48;
   il piano di razionalizzazione dei presidi territoriali di polizia annunciato avrebbe evidenti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini, tenuto conto che già in questo momento i presidi citati sono carenti di mezzi e strumenti per poter assicurare un controllo ed una difesa dei cittadini su tutto il territorio bresciano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle circostanze citate in premessa e se sia stato valutato l'impatto di tale processo di riorganizzazione in termini di sicurezza sociale e vite umane;
   se sia prevista, e per quando, la chiusura dei presidi della polizia stradale di Iseo e di Salò nonché il declassamento del settore di polizia di frontiera di Montichiari e quali siano i risparmi di spesa derivanti da tali operazioni;
   se il Ministro intenda precisare con quali forze e strumenti verrà garantito il controllo del territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi;
   se il Ministro intenda accogliere le richieste di aiuto per mantenere e rifornire i presidi della provincia di Brescia di veicoli e di risorse finalizzate alla maggiore sicurezza dei cittadini. (4-04831)

  Risposta. — Le questioni segnalate nella interrogazione in oggetto, relative alla soppressione di alcuni uffici della polizia di Stato in provincia di Brescia, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione — che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COZZOLINO, RIZZO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 giugno 2004 il giovane carabiniere Sergio Ragno, in servizio presso la Caserma dei Carabinieri di Borgognissanti in Firenze, perdeva la vita in seguito ad un tragico incidente stradale occorsogli alle ore 17,30 circa nei pressi della località «Le Cascine» sita in Firenze in via degli Olmi;
   il carabiniere Ragno, che la notte prima aveva svolto il turno di notte, si era recato in borghese e con la propria motocicletta in detta località, unitamente ad altri colleghi in borghese per l'espletamento di una missione che avrebbe dovuto portare all'arresto di uno o più soggetti coinvolti nello spaccio di sostanze stupefacenti, operazione predisposta sulla base delle informazioni ricevute da una persona tossicodipendente fermata la notte prima, fermo al quale aveva partecipato lo stesso carabiniere Ragno;
   detta operazione non si svolse perché i soggetti indicati dall'informatore non si presentarono all'ora indicata, conseguentemente i militari presenti sul posto decisero di prendere un caffè in un bar nelle vicinanze e di tornare, ognuno con i propri mezzi, alle loro abitazioni;
   proprio nell'allontanarsi da quel luogo si verificò l'incidente mortale con un'altra autovettura in cui il carabiniere Ragno perse la vita;
   in data 8 luglio 2014 i familiari del carabiniere Ragno hanno presentato un esposto alla, Procura militare di Roma chiedendo che vengano riaperte le indagini sul caso per accertare tutte le eventuali responsabilità in ordine alla morte del loro congiunto e per accertare se al carabiniere Ragno fosse stato ordinato di partecipare ad un'operazione in borghese nonostante avesse terminato il suo turno di servizio alle ore 7,00 della stessa giornata;
   in allegato all'esposto depositato sono state riportate trascrizioni di conversazioni telefoniche contenenti affermazioni che potrebbero essere in contrasto con alcuni punti della versione ufficiale fornita all'epoca dei fatti che portarono ad un'archiviazione da parte del tribunale di Firenze di un primo esposto presentato dalla famiglia Ragno –:
   se il Ministro della difesa, per quanto di competenza, non intenda avviare un'inchiesta interna alla luce del nuovo esposto depositato e se non vi siano gli estremi per il riconoscimento di pensione privilegiata al carabiniere Ragno, ovvero ai suoi familiari;
   non intenda assumere le iniziative di competenza per la concessione della speciale elargizione legata alle vittime del dovere. (4-06562)

  Risposta. — Il carabiniere scelto S. R., effettivo al nucleo radiomobile di Firenze, è deceduto a seguito di un incidente stradale, avvenuto il 17 giugno 2004, mentre percorreva, libero dal servizio e in abiti civili, una via del capoluogo toscano a bordo del proprio motociclo.
  A seguito della richiesta avanzata dai genitori del militare, il tragico evento è stato riconosciuto, nel 2005, dipendente da causa di servizio dal competente «Comitato di verifica per le cause di servizio», in quanto il decesso è stato «conseguente ad infortunio avvenuto, durante il percorso normale compreso tra l'abitazione del militare ed il luogo di lavoro in orario compatibile con quello di servizio e con il nesso di causalità non interrotto da dolo o colpa grave del medesimo».
  In merito, invece, al riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata indiretta; l'Amministrazione ha respinto, nel 2007, la relativa domanda presentata dal padre del giovane, non sussistendo i requisiti soggettivi richiesti dalla legge (articolo 83 del d.P.R. n. 1092/73), in particolare, l'inabilità permanente «a proficuo lavoro» e le condizioni economiche disagiate.
  Il richiedente, infatti, risulta provvisto di un reddito di importo superiore ai limiti fissati dalla legge.
  Avverso tale decreto, l'interessato ha proposto ricorso alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia che, con sentenza n. 8/2013 del 5 novembre 2012, ha respinto il gravame accogliendo le motivazioni dell'Amministrazione.
  Per quanto concerne, poi, la speciale elargizione a favore dei superstiti del personale deceduto a causa di servizio, prevista dall'articolo 6 della legge n. 308 del 1981, confluito nell'articolo 1896 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, l'Amministrazione ha respinto nel 2006 l'istanza presentata dai familiari del militare, poiché il decesso, sebbene sia avvenuto per causa violenta, non si è verificato nell'espletamento di un'attività connessa ai precipui compiti istituzionali, bensì a seguito di incidente stradale.
  Per quanto riguarda, inoltre, la «concessione della speciale elargizione legata alle vittime del dovere», il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri ha comunicato che il competente Ministero dell'interno ha respinto l'istanza avanzata dai familiari del carabiniere per il riconoscimento della qualifica di «vittima del dovere», in quanto il decesso non è avvenuto per effetto di azioni terroristiche o criminose.
  Avverso tali provvedimenti di diniego, i genitori del militare hanno proposto due ricorsi al Tar Puglia, sezione di Lecce, nei confronti di:
   Ministero della difesa, per l'annullamento del decreto negativo della speciale elargizione in qualità di vittima del servizio;
   Ministero dell'interno, per l'annullamento del decreto negativo della speciale elargizione in qualità di vittima del dovere, ovvero del terrorismo e della criminalità organizzata.

  Il Tar Puglia, sezione di Lecce, con sentenza n. 3643/07 emessa in data 11 ottobre 2007, ha respinto entrambi i ricorsi riuniti «per connessione soggettiva».
  Con riferimento al ricorso d'interesse della Difesa, il citato Tar, nell'accogliere le argomentazioni addotte dall'Amministrazione a sostegno del proprio operato, ha evidenziato che «La giurisprudenza amministrativa consolidata ha precisato che il beneficio economico di cui trattasi è finalizzato a coprire un'area di rischio specifico cui è esposto il militare nello svolgimento dell'effettiva e peculiare attività di servizio e che in detta attività non può farsi rientrare ricomprendersi l'infortunio “in itinere”, che è frutto dell'elaborazione giurisprudenziale ad altri effetti e per altri benefici economici (equo indennizzo e trattamento privilegiato di reversibilità) erogabili anche quando l'evento lesivo si sia verificato appunto in itinere, essendosi ritenuto sufficiente il nesso causale tra il decesso e il servizio prestato»
  La sentenza del Tar Puglia è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato che, nel 2009, ha rigettato il ricorso proposto dai ricorrenti.
  Per completezza d'informazione, si fa presente, altresì, che nel 2006 è stato conferito ai familiari del militare, nella loro qualità di eredi, l'equo indennizzo di prima categoria, per un importo totale di euro 18.135,90.
  In relazione, infine, all'esposto presentato alla Procura militare di Roma dai genitori del Carabiniere, si precisa che sono in corso le indagini da parte dell'Ufficio di coordinamento della polizia giudiziaria militare.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del comune di Porto Tolle (Rovigo) risulta essere il terzo in Veneto per superficie, dopo quelli di Venezia e di Cortina d'Ampezzo (Belluno);
   lo stesso sarebbe interessato da un drastico ridimensionamento delle forze di polizia, deciso a livello centrale, che si tradurrebbe nella chiusura contemporanea del commissariato e della squadra nautica;
   il 10 marzo 2014 è scaduto il termine per recepire da parte della questura e della prefettura di Rovigo le indicazioni e le osservazioni da inviarsi al Ministero dell'interno;
   in caso di chiusura l'intera gestione della sicurezza e dell'ordine pubblico sul territorio in questione ricadrebbe interamente sulle spalle degli operatori in forza alla sola stazione dei carabinieri;
   a fronte di questo rischio non è mai stato comunicato né ipotizzato finora alcun rafforzamento degli effettivi dell'Arma sul campo, a compensare l'eventuale perdita della polizia;
   il territorio in questione è caratterizzato da una serie di peculiarità, come ad esempio la presenza della centrale Enel di Polesine Camerini e, poco al largo del litorale, un altro obiettivo potenzialmente «sensibile» come il terminal gasifero di Porto Levante;
   oltre a ciò, vanno, considerate le problematiche mai veramente risolte che riguardano la pesca e la vocazione turistica che il territorio ha assunto negli ultimi anni, al punto da far registrare nel periodo estivo un significativo aumento della popolazione;
   a seguito della decisione di sopprimere il commissariato è partita localmente una raccolta firme, che ha toccato quota 2.000 adesioni in pochissimi giorni, a conferma di quanto la questione sia particolarmente sentita dalla comunità;
   l'amministrazione comunale ha dato la propria disponibilità in modo pubblico ad individuare altri immobili idonei ad ospitare il commissariato, contribuendo ad abbattere la spesa rappresentata dall'affitto degli attuali locali –:
   come e se il Governo, alla luce delle specificità e peculiarità di cui sopra, intenda farsi parte attiva per garantire la continuità del commissariato. (4-04084)

  Risposta. — La questione segnalata nella interrogazione in oggetto, relativa alla soppressione del commissariato di pubblica sicurezza di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  In particolare l'intervento sulla rete dei presidi delle quattro specialità è motivato dal fatto che il relativo schema organizzativo risale ai decreti ministeriali del 1989 e appare legato – come detto – a una realtà superata.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa (Il Fatto Quotidiano del 19 luglio u.s.) si apprende che la sovraintendente al Polo museale fiorentino, la dottoressa Cristina Acidini Luchinat, avrebbe convocato una riunione per il prossimo 23 luglio, con all'ordine del giorno il tariffario per la concessione in uso dei beni culturali per eventi;
   il tariffario in questione elenca diverse opzioni che vanno dal cocktail nella grotta del Buontalenti a 5.000 euro ad una cena agli Uffizi per 10.000 euro –:
   se la notizia pubblicata corrisponda al vero e se, in caso affermativo, la decisione di dare in affitto, con apposito listino prezzi, spazi pubblici appartenenti al patrimonio storico-artistico della Nazione sia conforme all'articolo 9 della Costituzione e al Codice dei beni culturali (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). (4-01357)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, indicato in oggetto, con il quale l'onorevole interrogante, muovendo da notizie di stampa relative alla predisposizione, da parte della soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino, di un tariffario per la concessione di beni culturali, chiede se dare in affitto spazi pubblici appartenenti al patrimonio storico-artistico della Nazione, con apposito listino prezzi, sia conforme all'articolo 9 della costituzione e al codice dei beni culturali e del paesaggio.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  La legge 4 del 14 gennaio 1993 (legge Ronchey) all'articolo 4, comma 5, prevedeva che «il Ministero per i beni culturali e ambientali può concedere l'uso dei beni dello Stato che abbia in consegna senza alcun'altra autorizzazione. I competenti organi del Ministero per i beni culturali e ambientali determinano il canone dovuto per l'uso dei suddetti beni che il concessionario deve versare prima dell'inizio dell'uso. Il soprintendente competente provvede al rilascio delle relative concessioni» .
  Successivamente l'articolo 106 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) ha previsto che «Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Per i beni in consegna al Ministero il soprintendente determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento».
  Durante gli eventi per i quali viene concesso in uso il bene culturale richiesto, le sedi museali sono vigilate dal personale della competente soprintendenza e presidiate da funzionari responsabili che garantiscono l'attività di tutela che l'amministrazione deve necessariamente espletare in occasione di manifestazioni culturali o di altri eventi autorizzati nei siti culturali. Si precisa che questi eventi non provocano mai la chiusura di spazi museali, in quanto vengono sempre effettuati a museo chiuso e non durante l'orario di apertura. Essi, dunque, non sottraggono niente al pubblico, mentre offrono opportunità di visita in orari alternativi e con modalità che, complessivamente, valorizzano e diffondono la conoscenza e l'apprezzamento dei musei anche fra un pubblico meno interessato.
  Quanto, poi, alla dimensione finanziaria, si rileva che gli eventi in questione non solo contribuiscono all'economia della città e del territorio, ma assicurano alle soprintendenze entrate provenienti dai canoni di concessione integrative delle risorse a loro disposizione utilizzabili per le loro finalità istituzionali.
  All'interno del quadro sopra delineato, si può, quindi, affermare che le iniziative in questione non si pongono in contrasto con l'articolo 9 della Costituzione ma, al contrario, nel suo completo rispetto, poiché da un lato ampliano le occasioni di fruizione del patrimonio ad ulteriori fasce di utenti e dall'altro acquisiscono all'amministrazione risorse finanziarie aggiuntive, da destinare alla tutela del patrimonio stesso. Non è forse superfluo ribadire, onde dissipare ogni possibile equivoco, che il fine della tutela, anche a fronte del quadro normativo sopra ricordato, di apertura a forme aggiuntive di fruizione del patrimonio, rimane assolutamente fondamentale che, rispetto ad esso, non sono consentite compromissioni.
  Per quanto riguarda, in particolare, la soprintendenza speciale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Firenze, oggetto dell'interrogazione in questione, si comunica che la stessa, secondo un condivisibile criterio di buona amministrazione, si è attivata per elaborare un pubblico tariffario il più possibile completo ed equo che, entro i termini prescritti dalla normativa, tenesse conto delle varie tipologie e delle loro molteplici combinazioni. Il lavoro di raccolta e di elaborazione dei dati messi a disposizione da una nutrita casistica aveva raggiunto, a fine giugno 2013 (epoca cui si fa riferimento nell'interrogazione) una fase intermedia, sufficientemente avanzata da permettere un confronto con i funzionari direttori e vice direttori di musei e luoghi monumentali, così da acquisire loro valutazioni e proposte. Da esse si è successivamente proceduto ad una fase ulteriore di preparazione di un lavoro complesso e meritevole di approfondite valutazioni. Il documento all'epoca reso noto al giornale Il fatto quotidiano, con l'indicazione delle tariffe citate nell'atto parlamentare in questione, era un documento istruttorio non ancora definitivo e le cifre in esso contenute non erano, dunque, definitive.
  Il tariffario (ed il relativo regolamento) per le concessioni in uso di spazi della soprintendenza è stato successivamente sottoposto all'approvazione del consiglio di amministrazione del Polo museale della città di Firenze; è entrato in vigore il 1o ottobre 2014, ed è stato pubblicato sul sito ufficiale
www.polomuseale.firenze.it/musei/concessioni.php, anche alla luce della normativa sulla trasparenza, di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalle confederazioni sindacali dei lavoratori della polizia di Stato e da diverse associazioni impegnate contro la lotta alla criminalità, che si sta attuando un piano di riordino delle sedi di polizia, che si muove sulla scia della spending review e che prevede la soppressione di 267 sedi di polizia in tutto il territorio nazionale, così ripartite: 74 presidi di polizia ferroviaria, 73 presidi di polizia postale, 55 presidi di squadre nautiche e nuclei sommozzatori, 27 presidi di polizia stradale, 15 presidi di polizia di frontiera, 12 presidi di reparti a cavallo e 11 presidi di pubblica sicurezza. Gli obbiettivi che si vogliono raggiungere sono la riduzione del personale da 107 mila a 92 mila con un risparmio stimato, tagliando anche le sedi, quantificato in circa 600 milioni di euro;
   interessata dei tagli è anche la regione Abruzzo che vedrebbe la chiusura: della polizia ferroviaria di Sulmona, ubicata in stabile di proprietà delle Ferrovie dello Stato e che quindi non comporta nessun costo; del distaccamento di polizia strada di Sulmona, ubicato all'interno di uno stabile che ospita il commissariato e di proprietà del demanio e che quindi non comporta nessun costo; del distaccamento polizia stradale di Castel di Sangro, per il quale il sindaco di quel centro si è offerto di concedere uno stabile in comodato gratuito; della polizia di frontiera presso l'aeroporto d'Abruzzo, ubicato dentro l'aeroporto senza costi per il dipartimento; della squadra nautica di Pescara, i cui uffici sono ubicati all'interno della questura; del distaccamento di polizia stradale di Penne, ubicato in uno stabile per il quale si paga la locazione, ma per il quale il sindaco ha già dato disponibilità di altro stabile in comodato d'uso gratuito; della polizia ferroviaria di Vasto, ubicato in stabile delle ferrovie e senza nessun costo; della polizia postale di Chieti, ubicata in stabile di proprietà delle Poste e quindi senza costi a carico dello Stato; del distaccamento della polizia stradale di Ortona, ubicato in uno stabile per il quale si paga l'affitto ma per il quale anche in questo caso il sindaco ha già dato la disponibilità di altro stabile in comodato d'uso gratuito; della polizia ferroviaria di Giulianova, ubicata in uno stabile di proprietà delle Ferrovie quindi privo di costi e della polizia postale di Teramo, ubicata in stabile di proprietà delle Poste;
   nella maggior parte dei casi si tagliano servizi indispensabili alla sicurezza del cittadino; in casi specifici come quelli della polizia postale si assiste ad un aumento esponenziale dei reati che tali presidi combattono come la pedofilia, lo stalking e le truffe informatiche;
   la diminuzione dei servizi comporterebbe una minor sicurezza per il cittadino e non sono da sottovalutare le entrate economiche la lotta alla criminalità produce ogni anno, che in questo caso diminuirebbero;
   la riforma dilapida una serie di professionalità, soprattutto in quella postale, che sono invidiate in tutta l'Europa;
   la chiusura della polizia di frontiera presso l'aeroporto di Pescara potrebbe essere il preludio all'azzeramento dei voli internazionali;
   il personale dei distaccamenti di Sulmona e Ortona andrebbe ad incrementare le sottosezioni autostradali di Pratola Peligna e di Vasto, rendendo il servizio unicamente alle società private che gestiscono le autostrade, e sopprimerebbe di fatto la vigilanza nella viabilità ordinaria che dalle ultime statistiche è quella più interessata da sinistri di rilevante gravità;
   è necessario segnalare che probabilmente le spese aumenteranno visto che al personale che si dovrà spostare dovrà essere corrisposta l'indennità di trasferimento, in tendenza opposta a quanto si prefigge la stessa spending review –:
   se quanto indicato in premessa trovi conferma e se intenda intervenire per modificare il disegno di riordino dei presidi di polizia sul territorio abruzzese e salvaguardare gli uffici di polizia di Stato, importanti presidi di legalità e controllo del territorio, pur tenendo conto delle esigenze di economicità e razionalizzazione. (4-03992)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in oggetto relative alla chiusura di alcuni uffici di polizia in varie zone del territorio abruzzese, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAAO-ASSOMED ha denunciato lo stato di grande sofferenza strutturale e organizzativa in cui versano gran parte dei pronto soccorso in tutta Italia;
   notizie recenti e numerose testimonianze fotografiche apparse sul web evidenziano situazioni di sovraffollamento e di carenze che sono fonti di disagio per chi si reca nei pronto soccorso –:
   quali iniziative di competenza, in collaborazione con le regioni, intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-07530)

  Risposta. — Il problema del sovraffollamento dei servizi di pronto soccorso è da attribuire a diverse cause, tra le quali si evidenzia soprattutto la mancata individuazione e definizione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA), la carenza di posti letto in strutture intermedie territoriali o a bassa intensità assistenziale, verso cui indirizzare i pazienti dopo l'accesso, nonché l'assenza di coordinamento tra ospedale e servizi territoriali.
  Il Ministero della salute ha posto sempre attenzione su tali tematiche, pertanto, è intervenuto emanando provvedimenti di programmazione, documenti recanti linee di indirizzo, nonché con altre iniziative, come l'istituzione di appositi gruppi di lavoro a supporto delle attività regionali.
  Con specifico riguardo alla tematica in esame, allo stato attuale sono in fase di valutazione le proposte di linee guida elaborate dal Tavolo di lavoro per la funzione di triage e di osservazione breve intensiva, che ha visto il coinvolgimento sia delle regioni che delle società scientifiche di settore, oltre che di questo Ministero.
  Inoltre, al fine di rendere la rete ospedaliera in grado di rispondere in maniera adeguata ai nuovi bisogni prevedendo in particolare una maggiore flessibilità organizzativa nella gestione dei posti letto, è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il «Regolamento sulla definizione di standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera», in attuazione dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
  Tale Regolamento è stato firmato dal Ministro della salute e dal Ministro dell'economia e delle finanze ed è attualmente al controllo della Corte dei conti.
  Con il Patto della salute per il 2014-2016, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 10 luglio 2014, nell'ambito del riordino delle cure primarie, sono state rese obbligatorie le forme aggregative mono-professionale e multi-professionale (aggregazioni funzionali territoriali – AFT e le unità complesse di cure primarie – UCCP), che permetteranno l'integrazione ed il coordinamento operativo tra i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali, assicurando in tal modo un'adeguata offerta sanitaria sul territorio che potrà ridurre la deospedalizzazione ma anche evitare il ricorso ai servizi di emergenza.
  Resta, comunque, sempre all'attenzione del Ministero della salute la ricerca di ulteriori soluzioni per contenere il fenomeno del sovraffollamento dei Pronto soccorso, da intraprendere anche in accordo con le regioni.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GAGNARLI, BALDASSARRE e ARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi organi di stampa si apprende l'intenzione del dipartimento per la pubblica sicurezza di riprendere in mano il progetto di razionalizzazione delle risorse già preannunciato qualche anno fa;
   in particolare, si parlerebbe della chiusura di una dozzina di commissariati, della cancellazione delle squadre nautiche (circa 500 unità di personale), di una ventina di presidi della stradale e di una trentina di quelli della Polfer, della soppressione della maggior parte delle sezioni della polizia postale, per lasciare aperte solo quelle dove sono presenti le corti d'appello;
   tale progetto di razionalizzazione risulta già essere sul tavolo di questori e prefetti competenti che dovranno valutarne la compatibilità ed esprimere un parere entro la prima metà di marzo 2014;
   tra le province che subiranno tagli pesanti c’è quella di Arezzo; una provincia da sempre unanimemente indicata quale esempio tipico di vivibilità anche grazie al lavoro sinergico tra amministrazioni locali, istituzioni centrali e organi di sicurezza efficacemente distribuiti sul territorio;
   in particolare, il nuovo progetto del dipartimento di pubblica sicurezza potrebbe portare alla chiusura della sezione polizia postale di Arezzo e dei Posti Polfer di Terontola e San Giovanni Valdarno, tre presidi strategici, soprattutto per la specificità del servizio offerto ai cittadini;
   la polizia postale negli ultimi anni è divenuta un settore sempre più impegnato a causa del diffondersi epidemico delle nuove tecnologie informatiche che hanno permesso una sin troppo facile diffusione di reati «da web»: frodi online, clonazione di carte di credito, furto d'identità con conseguente pericolo di diffamazione (anche grazie alla diffusione massiccia dei social network). Non è possibile dimenticare, inoltre, che la polizia postale riveste un ruolo fondamentale e di primo piano nel contrasto ai fenomeni della prostituzione online e della pedopornografia;
   appare, quindi, una contraddizione agli interroganti andare ad operare un taglio lineare in una sezione, quella di Arezzo, che è tutt'altro che in declino ma che è anzi diventato un vero e proprio punto di riferimento nella zona;
   un discorso simile potrebbe essere fatto per la stazione della polizia ferroviaria di Terontola che rappresenta un punto di riferimento per le attività di controllo per la sicurezza in quanto si trova in un'area particolare (tra Perugia e Cortona) che conta circa 500 mila turisti ogni anno, senza contare l'importanza che questo centro ha rivestito in passato: dal posto Polfer di Terontola è partita una delle più importanti battaglie contro le Brigate Rosse italiane e ancora oggi è punto di riferimento contro la lotta al crimine in Italia;
   andare ad incidere in maniera così profonda in un'area che proprio grazie ad una efficace sinergia garantisce la sicurezza e la vivibilità dei cittadini senza valutare attentamente le ricadute che tagli così drastici potrebbero portare sul territorio, e senza prevedere alcuna soluzione alternativa volta al mantenimento degli attuali standard di sicurezza per la collettività, appare, quindi, agli occhi degli interroganti, irrazionale a fronte della presunta ottimizzazione delle risorse che si vorrebbe operare;
   è bene ricordare, infine, che tale progetto andrebbe ad incidere in maniera significativa sulle professionalità e le legittime esigenze e aspettative del personale coinvolto, che sarebbe costretto ad essere assegnato ad altri uffici della provincia se non in altre regioni –:
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, non intenda rivedere il piano di razionalizzazione delle risorse della polizia, con particolare riferimento ai presidi di Arezzo, Terontola e San Giovanni Valdarno, al fine di continuare a mantenere gli standard attuali di sicurezza per la collettività e non penalizzare il benessere e la vivibilità di un'area del nostro Paese al solo fine del risparmio economico per lo Stato;
   se, considerata la proliferazione dei reati «da web» degli ultimi anni, non intenda ripensare il drastico taglio agli uffici di polizia postale che rappresentano oggi un punto di riferimento fondamentale per i cittadini frodati attraverso la rete, ma soprattutto per l'intero settore della prostituzione in rete e dei traffici di pedopornografia. (4-03703)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in oggetto, relative alla chiusura di alcuni presidi della polizia postale e ferroviaria in provincia di Arezzo, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GALATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 marzo 2014 la direzione centrale degli affari generali della polizia di Stato del dipartimento della pubblica sicurezza trasmette alle sedi delle questure la nota n. 599/A/1/131.4.1/2701 avente ad oggetto un progetto di «razionalizzazione delle risorse e dei presidi della Polizia di Stato sul territorio»;
   con la nota è evidenziata l'esigenza di una condivisa razionalizzazione e dislocazione dei presidi di polizia sul territorio, che tenga in debito conto la conclamata carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine, e l'attuale congiuntura economica;
   fa presente che, inoltre, è allo studio una riduzione degli organici di ruolo, oltre che operativi e tecnici nell'ambito di una ipotesi progettuale che si struttura attraverso due direttrici, delle quali una sarebbe orientata e finalizzata a una rivisitazione della dislocazione dei commissariati di P.S., delle compagnie dei carabinieri e di quelle forze speciali a carattere sussidiario concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite sul territorio; l'altra, a carattere interno alla polizia dello Stato, diretta ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità di base (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) – che, come si legge nella stessa nota, sono considerate «legate ad una realtà ormai superata alla luce delle nuove esigenze, conseguenti alla rete stradale e ferroviaria rinnovata ed al nuovo sistema postale e delle frontiere»;
   in considerazione di tali valutazioni, la nota illustra gli interventi di razionalizzazione identificati al fine di porre in essere tale orientamento, consistenti nella previsione di consistenti tagli, soppressioni ed accorpamenti per le sedi operative delle questure (n. 11 commissariati), della polizia stradale (n. 2 compartimenti e 27 presidi), della polizia ferroviaria (con la soppressione di n. 73 sottosezioni e posti Polfer), della polizia postale (soppressione di n. 73 sezioni provinciali), della polizia delle frontiere (soppressione di 2 zone franche e 10 presidi minori). Ulteriori tagli sono previsti per le squadre nautiche, squadre sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri;
   nell'ambito di questo quadro di revisione della spesa, l'interrogante segnala diversi elementi di preoccupazione e perplessità, riscontrati, diffusi e percepiti come elementi di turbamento nella società civile e tra gli amministratori degli enti territoriali, con particolare riferimento a quei territori nei quali quello della sicurezza è un problema di primaria importanza ed assume sovente i tratti dell'emergenza;
   tra questi territori, ad esempio, si segnala la previsione di soppressione di alcuni presidi di polizia (ferroviaria e postale) collocati nell'area provinciale calabrese di Cosenza; secondo quanto comunicato all'interrogante dai referenti istituzionali della provincia di Cosenza, infatti, rientrerebbero nel piano di tagli e soppressioni sia la Polfer che la sezione di polizia postale di tale provincia, che rappresentano indispensabili diramazioni statali di garanzia per la sicurezza dei cittadini, come dimostrano peraltro i dati sui volumi dei procedimenti amministrativi avviati e conclusi nell'area di riferimento nell'ambito delle attività di prevenzione e del perseguimento delle infrazioni, oltre che di controllo sulla sicurezza del territorio. Con riferimento alla sezione polizia postale di Cosenza, l'interrogante ritiene opportuno segnalare che tale ufficio rappresenta l'unico punto di riferimento per il contrasto dei reati, cui la stessa unità operativa fa fronte attraverso l'utilizzo della rete informatica e telefonica;
   appaiono infine condivisibili le preoccupazioni sollevate da chi vede nella soppressione di questo servizio una circostanza idonea a riversarsi negativamente sul settore turistico – fonte essenziale di sviluppo economico per un'area notoriamente interessata da forti criticità – essendo suscettibile di configurarsi quale elemento di depauperamento dei livelli di attrattività del territorio per i visitatori e viaggiatori, i quali ricercano in prima istanza la tranquillità e la sicurezza dei luoghi di destinazione, sicurezza e tranquillità che questo territorio avrebbe serie difficoltà a garantire –:
   quali interventi il Ministro ritenga di poter sollecitare, nell'ambito dei propri poteri di impulso ed indirizzo delle attività gestionali che fanno capo al dicastero, per pervenire a una revisione nel piano di tagli, soppressioni ed accorpamenti organici tra strutture amministrative preposte alla sicurezza e al controllo del territorio e ritenute indispensabili per una convivenza civica e serena dei cittadini ivi residenti. (4-04174)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in oggetto, relative alla chiusura di una serie di presidi della polizia di Stato con particolare riferimento a quelli della polizia postale e ferroviaria ubicati nella provincia di Cosenza, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi ancora non definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene, disfunzione del sistema uditivo che porta alla percezione di un suono in assenza di una stimolazione sonora, è una patologia devastante ad impatto molto negativo sulla qualità della vita e colpisce entrambi i sessi senza distinzione di età;
   questa patologia è una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia circa il 8-10 per cento della popolazione, secondo i dati forniti dall'A.I.T. onlus;
   gli effetti sono negativi sulla capacità di concentrazione e attenzione, ma anche nella vita di relazione con cambio di condotte e stili di vita, in quanto vuol dire vivere per mesi, o decenni sentendo nelle orecchie o nella testa rumori fastidiosi;
   l'acufene provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del ritmo sonno-veglia, e del livello di attenzione e concentrazione;
   l'incidenza del sintomo dell'acufene è piuttosto rilevante (10-14 per cento della popolazione mondiale), mentre in Italia tale patologia affligge circa il 10 per cento;
   al momento la ricerca scientifica risulta molto limitata sul versante dell'approfondimento diagnostico-terapeutico di questo disturbo –:
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere al fine di dare la giusta attenzione sanitaria e socio assistenziale ai soggetti affetti da tale patologia, anche favorendo e sollecitando le istituzioni scientifiche per ulteriori approfondimenti diagnostico-terapeutici;
   quali iniziative si intendano intraprendere ovvero siano già avviate per stimolare e sostenere la ricerca e gli studi sull'acufene, sia al fine di incrementare e potenziare le strutture atte ad aiutare le persone colpite da tale patologia, sia per avviare una campagna di conoscenza e sensibilizzazione su questo tema. (4-02181)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico assai frequente. Studi condotti negli ultimi due lustri in paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l'Italia, a seguito di una serie di studi risulterebbe che nel nostro paese vi sia una prevalenza di tale problema otologico pari a circa il 15 per cento.
  L'acufene consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o in entrambe le orecchie o nella testa. Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.
  Purtroppo, la causa dell'acufene non è chiara nella maggioranza dei casi.
  Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione dell'eziologia della patologia in questione.
  Al fine di valutare quali iniziative adottare per gestire i problemi sanitari legati all'acufene e considerata la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, occorre effettuare un attento studio dello stato dell'arte delle conoscenze di base e cliniche, ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l'esame delle scoperte scientifiche più recenti. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, per promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Tali iniziative sono necessarie ai fini della valutazione dell'eventuale inserimento dell'acufene nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi del decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, come malattia cronica invalidante. Occorre infatti sviluppare una serie di approfondimenti, legati, ad esempio, all'accertamento del quadro nosologico non unicamente basato sull'autovalutazione da parte del paziente stesso.
  Attualmente, non è possibile prevedere l'inserimento dell'acufene tra le malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, poiché esso non costituisce una vera e propria malattia, ma è un sintomo con diversi livelli di gravità, determinato da patologie vascolari (fistole del collo, tumori carotidei, aneurismi intracranici o meningei, patologie dei grossi vasi del collo) o, più frequentemente, associato a patologie audiologiche, vestibolari, neurologiche, autoimmuni, cerebrovascolari, dismetaboliche ed ematologiche.
  Inoltre, la condizione in questione non sembra rispondere ai criteri di inclusione previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità, invalidità ed onerosità del relativo trattamento) e sarebbe difficoltosa l'individuazione delle prestazioni erogabili in esenzione (appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di aggravamenti e complicanze).
  Peraltro, si rammenta che i pazienti affetti da acufene sono tutelati dal Servizio sanitario nazionale attraverso i livelli essenziali di assistenza e che gran parte delle condizioni che determinano l'acufene sono già comprese tra le malattie previste dal decreto ministeriale n. 329 del 1999, per le quali sussiste l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Da ultimo, si precisa che una campagna di conoscenza e sensibilizzazione concernente l'acufene, al momento non è ricompresa tra quelle in cui il Ministero della salute è impegnato.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, DE LORENZIS, SCAGLIUSI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la prima censura ai claim delle campagne pubblicitarie delle acque minerali della società «Co.ge.di International» («Rocchetta» e «Uliveto») giunge nel 2004 dal giurì dell'istituto di autodisciplina pubblicitaria (Pronuncia n. 211/04 del 1° dicembre 2004), perché la dicitura «le acque della salute» attribuiva alle minerali requisiti di superiorità inesistenti;
   nel maggio 2013, dopo una segnalazione del sito di informazione Il Fatto Alimentare, il giurì si pronuncia nuovamente censurando il messaggio ma, in data 7 ottobre 2013, compaiono sul quotidiano «La Repubblica» messaggi in cui si ribadisce che il brand «Rocchetta» «depura, stimola la diuresi e contrasta la ritenzione idrica». Anche il brand «Uliveto», un mese dopo, propone slogan censurati in una campagna apparsa sui quotidiani italiani;
   il 9 dicembre 2013, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) emette una sentenza di condanna per «Co.ge.di» e per FIMMG (Federazione italiana medici di medicina generale), che vengono obbligati a pagare rispettivamente una multa di 100.000 euro e 30.000 euro perché dalla pubblicità delle acque si intendeva che i medici della FIMMG consigliassero quelle determinate marche perché «migliori» di altre. In realtà così non era: si trattava, bensì, di un accordo di natura puramente commerciale (sulla base dell'accordo firmato il 20 agosto 2012) e le acque vantavano proprietà salutistiche non veritiere;
   la suddetta sentenza censura alcuni degli slogan abbinati alla bottiglia del brand «Uliveto» descritta come un'acqua che «aiuta la digestione grazie ai suoi preziosi minerali», «aiuta a combattere la stipsi», «aiuta a combattere l'osteoporosi», «ristabilisce l'equilibrio idrico minerale alterato dopo l'attività fisica» e ancora «per la salute digestiva e la reidratazione», «digerisci meglio e vivi in forma», «aiuta a prevenire la calcolosi urinaria», «aiuta a mantenere i reni puliti»;
   la suddetta sentenza, inoltre, censura alcuni degli slogan abbinati alla bottiglia del brand «Rocchetta» descritta come un'acqua che «aiuta la diuresi perché mantiene puliti i reni e potenzia la loro azione di filtro», «amica della depurazione perché contrasta l'accumulo di scorie e tossine dovuti a stili di vita scorretti», «previene la ritenzione idrica perché bere almeno un litro e mezzo al giorno di acqua aiuta a eliminare i liquidi in eccesso», «effettua un vero lavaggio interno perché libera l'organismo dalle impurità e migliora l'elasticità e la luminosità della cute», «previene la calcolosi urinaria perché la sua leggerezza (basso residuo fisso, basso contenuto di sodio, leggermente alcalina) aiuta a contrastare la formazione di calcoli»;
   alla luce dell'accordo commerciale citato in precedenza, il 7-8 giugno 2012, a Gualdo Tadino, all'interno degli stabilimenti «Rocchetta», si è tenuto il congresso FIMMG/Acque della salute che prevedeva la partecipazione, oltre che del Presidente della Regione Toscana, Rossi, del Ministro della salute Lorenzin (poi sostituita da un suo delegato), così come accaduto nell'analogo congresso dell'anno precedente, con riferimento al suo predecessore (in quest'ultima occasione probabilmente era stato stilato l'accordo Co.ge.di/FIMMG);
   il 24 dicembre 2013 ed il 29 dicembre 2013, sulle pagine de Il Corriere della Sera è apparsa la pubblicità dei brand delle acque minerali «Uliveto» e «Rocchetta», marchi della società «Co.ge.di International», con alcuni slogan salutistici giudicati ingannevoli come «digerisci meglio e vivi in forma» o «acque della salute» –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda e se non intenda, per quanto di competenza adottare iniziative per evitare impropri accostamenti tra attività istituzionali a tutela della salute ed attività dai risvolti commerciali. (4-03313)

  Risposta. — L'articolo 19 del decreto legislativo 8 ottobre 2011, n. 176, recante «Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali» prevede che «Nella pubblicità, sotto qualsiasi forma, delle acque minerali naturali, è vietato fare riferimento a caratteristiche o proprietà che l'acqua minerale non possegga. La pubblicità delle acque minerali naturali è sottoposta alla preventiva approvazione del Ministero della salute limitatamente alle menzioni relative alle proprietà favorevoli alla salute, alle indicazioni ed alle eventuali controindicazioni» .
  Permane, comunque, il divieto per indicazioni che attribuiscano ad un'acqua minerale naturale proprietà per la prevenzione, la cura o la guarigione di una malattia umana.
  Inoltre, le acque minerali naturali poste in vendita con una designazione commerciale diversa dal nome della sorgente o del suo luogo di utilizzazione non possono, in alcun modo, essere pubblicizzate attraverso espressioni o segni che possano indurre in errore il consumatore sul nome della sorgente o sul luogo della sua utilizzazione.
  In base a quanto disposto da tale norma, ogni messaggio pubblicitario reclamizzante proprietà favorevoli alla salute delle acque minerali è di regola sottoposto, dall'azienda fabbricante o responsabile dell'immissione in commercio, all'attenzione della commissione consultiva per il rilascio dell'autorizzazione ad effettuare una pubblicità sanitaria.
  La ditta richiedente fa domanda in tal senso alla commissione, fornendo una relazione completa di tutte le informazioni concernenti la ditta stessa, il prodotto pubblicizzato, il tipo di pubblicità e il relativo mezzo di diffusione.
  La commissione citata, prevista già dall'articolo 201 del Testo unico delle leggi sanitarie (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265) è un organo consultivo del Ministero della salute competente in materia di pubblicità sanitaria concernente medicinali, presidi medico-chirurgici, dispositivi medici (compresi diagnostici in vitro), acque minerali, farmaci veterinari e qualunque mezzo di prevenzione e cura che sia pubblicizzato come tale.
  Essa è presieduta dal Ministro della salute, che può delegare tale incombenza al direttore generale competente, ed è composta da esperti designati dal Ministero della salute, dal dicastero dello sviluppo economico, dall'Agenzia italiana del farmaco, dall'Istituto superiore di sanità, dalla conferenza Stato-Regioni e Province Autonome e dalla Federazione degli ordini dei farmacisti italiani.
  Ai fini dell'esame delle domande di autorizzazione alla pubblicità, la commissione si riunisce in una composizione ristretta, formata dai membri appartenenti al Ministero della salute, all'Agenzia italiana del farmaco, al Ministero dello sviluppo economico, all'Istituto superiore di sanità o dai loro sostituti.
  Ne consegue che nessun messaggio pubblicitario contenente qualità salutistiche di un'acqua minerale può essere divulgato senza l'autorizzazione del Ministero della salute.
  L'esistenza di tali qualità deve essere specificata nel decreto di riconoscimento dell'acqua minerale emanato da questo Ministero.
  Per quanto concerne le particolari questioni sollevate nell'interrogazione parlamentare in esame, si fa presente che gli avvisi pubblicitari attribuiti alle acque minerali «Uliveto» e «Rocchetta», che risultano autorizzate dalla Commissione di esperti per il rilascio delle autorizzazioni di pubblicità sanitaria, sono stati i seguenti:
   1) Acqua «Uliveto»: «ti aiuta a digerire meglio»; «mi aiuta a digerire e vivo in forma»; «ti aiuta a digerire»; «aiuta a digerire»; «aiuta a digerire meglio»;
   2) Acqua oligominerale «Rocchetta»: «ti fa essere pulita dentro e bella fuori»; «mi fa fare tanta plin plin»; «depurati anche l'anima»; «aiuta a eliminare scorie e liquidi in eccesso»; «pulite dentro e belle fuori»; «ci aiuta a eliminare le scorie».

   I messaggi sono stati approvati in quanto riferiti ad acque minerali nel cui decreto di riconoscimento è scritto che le stesse possono avere effetti diuretici.
  Per quanto riguarda l'avviso «Acque della salute», riportato anche in alcuni messaggi autorizzati, in sé e per sé non si ritiene che possa configurarsi come pubblicità sanitaria, e non necessita, in quanto tale, della relativa autorizzazione della Commissione per il rilascio delle autorizzazioni di pubblicità sanitaria.
  Per i messaggi privi di riferimento a proprietà favorevoli alla salute, invece, resta ferma la possibilità di un controllo, non di competenza del Ministero della salute, della «non ingannevolezza» del messaggio, ai sensi del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, recante «Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole».
  Infatti, l'articolo 8 del decreto legislativo n. 145 del 2007 ha attribuito all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il compito di contrastare e reprimere la pubblicità ingannevole e comparativa illecita.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LAVAGNO e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la riserva naturale regionale della Vauda è situata nel basso Canavese a circa 15 chilometri da Torino. Tale area è caratterizzata da un'ampia zona pianeggiante punteggiata di stagni e laghetti, con numerose bassure e ristagni di drenaggio, che ricordano nell'insieme la baraggia vercellese;
   in una zona compresa tra comuni di San Francesco al Campo (Torino), San Carlo Canavese (Torino) e Lombardore (Torino) si è predisposto un progetto per la creazione di una centrale costituita da pannelli fotovoltaici a terra per la produzione di energia elettrica pari a 44.820 Kwp, che dovrebbe coprire una superficie di 72 ettari, oltre alla costruzione di una linea che porti l'energia fino alla centrale di Leinì (Torino);
   vincitrice della gara d'appalto per la realizzazione del progetto è l'azienda tedesca Beelectric;
   la zona interessata da tale progetto insiste in parte nell'area della riserva naturale della Vauda, e in parte su terreni del demanio militare, che da armi vengono affidati agli agricoltori della zona, che fino ad ora li hanno curati e resi produttivi;
   i comuni interessati hanno una forte vocazione agricola, con numerose aziende presenti, di cui alcune con terreni solo nella zona oggetto del futuro impianto, quindi tale opera avrebbe non solo risvolti negativi per l'ambiente, ma anche per l'economia agricola della zona;
   è opportuno altresì ricordare come la riserva naturale oggetto della presente interrogazione sia riconosciuta anche come SIC (sito di interesse comunitario) dall'Unione europea, visto che al suo interno vivono moltissime specie animali, altrove non presenti o molto rare;
   bisogna rilevare che l'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 dispone che l'ubicazione degli impianti di produzione di energia elettrica deve tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno al settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione e alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001 n. 57, articoli 7 e 8, nonché di cui al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14;
   la valutazione degli impatti di intervento sulle componenti ambientali e le loro interferenze consentono di verificare che l'intervento produrrà principalmente effetti negativi per:
    la realizzazione di nuove strade e l'ampliamento di quelle esistenti se non in funzione di attività connesse all'esercizio di attività agricole, forestali e pastorali o previste dai piani d'area, naturalistici di gestione e di assestamento forestale;
    il danneggiamento o l'alterazione degli ecosistemi naturali esistenti;
    la cattura, uccisione, danneggiamento e disturbo delle specie animali;
    la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali;
   il Ministero della difesa, con un'ordinanza del 24 aprile 2013 (numero protocollo 004371/2013), nell'ex poligono di tiro Esperienze per l'Armamento di Ciriè, segnala il superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) di cobalto cromo, selenio, stagno, sostenendo così la bonifica bellica del terreno di demanio militare, e ordina un rigido controllo dell'area e il divieto di accesso alle persone non autorizzate;
   l'introduzione di tale divieto di accesso, da più parti, viene denunciato essere strumento per allontanare abituali frequentatori e fruitori dell'area piuttosto che rappresentare reale strumento di tutela della salute;
   le centrali fotovoltaiche a terra comportano un consumo di suolo, non così semplicemente restituibile alla natura o all'agricoltura e consumo di spazio e in definitiva presentano una contraddizione di fondo: quella di ricorrere ad una fonte energetica rinnovabile consumando però un'altra risorsa non riproducibile, il suolo;
   la provincia di Torino ha espresso, in sede di conferenza di servizi, ai rappresentanti del Ministero della difesa tutte le propria contrarietà al progetto relativamente all'impatto ambientale evidenziando l'incompatibilità del progetto con il proprio documento di piano territoriale –:
   se il signor Ministro non intenda rivedere una decisione di così alto impatto ambientale e soprattutto se, verificato l'inquinamento evidenziato nell'ordinanza del 24 aprile 2013, non intenda provvedere alla totale bonifica dei siti interessati dalle attività militari prima di intraprendere ogni altra azione che renderebbe di fatto impossibile ogni attività di bonifica.
(4-00477)

  Risposta. — In data 7 luglio 2011 il Ministero della difesa ha stipulato una convenzione con la società Difesa Servizi S.p.A. per la realizzazione di impianti fotovoltaici, ivi compreso quello all'interno del Poligono esperienze per l'Armamento (Pea), in località Ciriè/San Carlo Canavese (Torino).
  A seguito di tale convenzione, Difesa Servizi, esperita regolare procedura concorsuale, ha sottoscritto con la società «Ciriè Centrale S.a.s.» della «Belectric Italia S.r.l.» un contratto per la cessione in uso esclusivo di terreni ubicati in detta località per la realizzazione e gestione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentata da fonte rinnovabile.
  Il 20 settembre 2012, Difesa Servizi ha convocato la prevista «conferenza dei servizi» con le amministrazioni locali competenti, al fine di ottenere le previste autorizzazioni per la realizzazione degli impianti fotovoltaici all'interno del sito militare. In tale sede, a seguito di una lunga ed articolata attività istruttoria, nel corso della quale la provincia di Torino aveva ottenuto dalla società «Ciriè Centrale» una serie di adeguamenti progettuali, la giunta provinciale di Torino ha espresso un parere negativo di compatibilità ambientale (delibera della giunta, verbale n. 28, adunanza del 30 luglio 2013), impedendo, di fatto, la realizzazione del progetto.
  La società «Ciriè Centrale», quindi, ha impugnato presso il Tar Piemonte tale delibera, ai fini dell'annullamento per illegittimità. Con sentenza n. 01197/2014, deliberata in data 26 giugno 2014, il Tar Piemonte ha respinto il ricorso presentato dalla società. Non risulta che tale sentenza sia stata impugnata dalla società soccombente entro i termini previsti per legge.
  Tanto premesso, si osserva più in generale che, nell'ambito dello sforzo sinergico che la Difesa sta perseguendo per il «... miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell'energia, della sicurezza e dell'affidabilità del sistema» (articolo 355, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010) con il ricorso all'utilizzo di energie da fonti rinnovabili, lo sfruttamento di alcune superfici a terra di poligoni, limitatamente alla piena disponibilità delle aree prive di eventuali vincoli paesaggistici e ambientali, con piena applicazione delle leggi e dei regolamenti vigenti, consente di disporre di superfici estese e non frammentate che possono essere dedicate a più convenienti iniziative, senza inficiare le attività operative dei reparti.
  Si precisa, inoltre, che la convenzione con Difesa Servizi spa conferisce assoluta priorità all'utilizzo di tetti, caserme, capannoni, aree a piazzale già cementificato, ma anche ad altre situazioni, come quella appunto dei terreni risultando, pertanto, in linea con quanto prospettato e suggerito nell'atto di sindacato ispettivo in esame.
  Con riferimento, infine, alla bonifica dei siti interessati, si evidenzia che la Difesa ha convocato su tale aspetto un'apposita conferenza dei servizi, cui hanno partecipato rappresentanti della prefettura di Torino, della provincia di Torino e di tutti i comuni interessati, che ha espresso, in data 19 giugno 2013, un giudizio di «non pericolosità per la salute degli operatori impegnati nelle attività rapportabili all'uso militare dell'area», non ravvisando i presupposti per la prosecuzione del processo relativo alle «procedure per la bonifica di siti contaminati».
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la gammopatia monoclonale è una patologia assimilata alle affezioni tumorali, che va tenuta costantemente sotto sorveglianza, perché suscettibile di evolvere in mieloma multiplo o plasmocitoma, in una altissima percentuale di casi nel giro di 10-20 anni;
   che tale affezione sia inquadrabile tra le malattie tumorali è dimostrato anche dal fatto che essa è ricompresa nel registro dei tumori;
   come è noto le patologie tumorali danno ai soggetti che ne soffrono il diritto all'esenzione dai ticket sanitari con il codice 048 (per cui l'esenzione è limitata solo alle prestazioni relative al controllo della malattia);
   i pazienti affetti da gammopatia monoclonale sono generalmente seguiti o presso i reparti di ematologia o presso quelli di oncologia, che richiedono periodicamente l'esecuzione di batterie di esami particolarmente onerosi per i pazienti;
   in generale molti specialisti dei suddetti centri non hanno indicazioni chiare in modo da poter rilasciare agli assistiti il certificato attestante la patologia ed il relativo diritto all'esenzione con codice «048»;
   la mancanza o il ritardo nell'esecuzione dei controlli dovuti può comportare per i Pazienti una diagnosi tardiva che potrebbe pregiudicare le possibilità di cura e di sopravvivenza degli stessi e per il servizio sanitario nazionale e l'I.N.P.S. un aggravio di spese per la cura e l'assistenza ai suddetti pazienti, mentre l'individuazione precoce dell'evoluzione negativa della patologia può consentire la cura e la guarigione (senza esiti invalidanti) della malattia –:
   se la patologia citata in premessa risulti essere presente all'interno del testo del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai nuovi livelli essenziali di assistenza ovvero quali interventi siano previsti a favore di chi è affetto da questa patologia; (4-08099)

  Risposta. — Le «gammopatie monoclonali» sono un gruppo di malattie caratterizzate da una eccessiva produzione di immunoglobuline da parte delle plasmacellule del midollo emopoietico.
  Tali immunoglobuline sono evidenziate per la maggior parte nella regione gamma dell'elettroforesi proteica, da cui il termine «gammopatia».
  La maggior parte delle gammopatie sono legate a neoplasie ematologiche ben caratterizzate dal punto di vista istologico (mieloma multiplo e sue varianti, plasmocitoma, leucemia plasmacellulare) e, come tali, sono inserite nell'elenco delle malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche.
  Non sono necessarie ulteriori indicazioni per i medici specialisti dei reparti di ematologia o oncologia, per certificare la presenza di una malattia neoplastica che consenta il rilascio dell'esenzione con codice 048. Tale inserimento già consente, infatti, ai pazienti affetti di usufruire in esenzione di tutte le prestazioni sanitarie appropriate per il monitoraggio della patologia e delle complicanze, per la riabilitazione e la prevenzione degli ulteriori aggravamenti.
  Per quanto attiene, alla «gammopatia monoclonale di incerto significato» (MGUS – monoclonal gammopathy of undetermined significance), una condizione riscontrata prevalentemente in età avanzata (5 per cento delle persone sopra a 70 anni), essa determina esigenze assistenziali assai modeste; anche il «follow up», necessario per il rischio, sia pur basso (1 per cento), di evoluzione in mieloma multiplo, si limita ad esami ematochimici e delle urine.
  In questi casi, non essendo soddisfatto il criterio della onerosità delle prestazioni necessarie alla cura e al monitoraggio della patologia, previsto dal decreto legislativo n. 124 del 1998, non si ritiene proponibile l'inserimento di tale forma clinica tra le patologie soggette a tutela.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MAZZOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza. Ai tagli già operati in precedenza si andrà ad aggiungere la rimozione delle sezioni ritenute non-strategiche;
   il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia e la rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   la polizia postale è quella sottoposta a maggior rischio in quanto il dipartimento vorrebbe mantenere gli uffici di specialità soltanto nei capoluoghi di regione, sedi delle corti d'appello;
   entro l'estate, 101 province su 110 conteranno un presidio di sicurezza in meno;
   con il suddetto schema di ottimizzazione dei costi verranno colpite anche la polizia ferroviaria e quella postale di Viterbo;
   operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing, stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
   nella provincia di Viterbo si raccolgono circa 1.200 denunce l'anno e nei primi due mesi del 2014 sono state già denunciate oltre venti persone;
   non meno dannosa sarebbe l'abolizione della polizia ferroviaria che ha fino ad ora soddisfatto ogni esigenza di verifica e controllo nell'area circostante 12 stazioni ferroviarie e all'interno dei treni in transito nelle tratte Viterbo-Roma e Viterbo-Orte;
   il personale altamente qualificato garantisce tranquillità ai numerosi pendolari effettuando assidui interventi e pattugliamenti;
   tra Viterbo, Orte, Monterosi, Civita Castellana e Tarquinia circa 50 agenti rischiano il trasferimento nelle città considerate «di emergenza» per il basso numero di agenti per numero di abitanti, come Roma, Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Milano;
   lo smantellamento dei due presidi non garantirebbe alcun risparmio all'amministrazione in quanto le strutture e i mezzi utilizzati sono a carico di Ferrovie dello Stato e di Poste italiane;
   questa operazione ad avviso dell'interrogante non è solo inutile ai fini di una revisione economica ma nociva sia per le figure professionali interessate che per la popolazione viterbese, non più tutelata dalla presenza capillare delle forze di polizia sul territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda riesaminare il piano di razionalizzazione per proteggere il servizio efficiente e competente offerto dalla polizia postale e ferroviaria la cui eliminazione comprometterebbe i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia. (4-03970)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in esame relative alla chiusura dei presidi di polizia postale e ferroviaria di Viterbo, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.

  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli acufeni sono una condizione invalidante. Corrispondono a confusioni sgradevoli, percepiti nell'orecchio e nella testa, e questo in assenza di stimoli acustici e uditi solamente dalla persona che ne soffre;
   l'acufene (tinnitus in lingua latina ed inglese), è una affezione uditiva che consiste nella percezione di rumori continui, a volte multipli (come fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni eccetera) che durano anni e che l'orecchio avverte come estremamente fastidiosi al punto da influire sulla qualità della vita del soggetto che ne è affetto;
   patologia che, nonostante la sua particolarità e nonostante ne sia affetto circa il 10 per cento della popolazione (che è pari a circa 5 milioni di persone in Italia), è del tutto, o quasi, ignorata dai media e poco se ne parla, mentre la corretta informazione sarebbe essenziale per la tempestività dell'intervento;
   detta disfunzione non è stata classificata, ad oggi, come una malattia vera e propria, ma è piuttosto ritenuta una condizione che può derivare da più cause. Tra di esse si possono includere: danni neurologici (ad esempio dovuti a sclerosi multipla), infezioni dell'orecchio, stress ossidativo, stress emotivo, presenza di corpi estranei nell'orecchio, allergie nasali che impediscono (o inducono) il drenaggio dei fluidi, accumulo di cerume e l'esposizione a suoni di elevato volume. Può anche essere l'accompagnamento della perdita dell'udito neurosensoriale o una conseguenza della perdita dell'udito congenita, oppure può essere anche un effetto collaterale di alcuni farmaci (acufene ototossico). Occorre, innanzitutto, riuscire a riconoscere le cause, essendo principalmente un fenomeno soggettivo;
   la condizione individuale è in genere valutata clinicamente basandosi su una semplice scala che evidenzia il danno da «lieve» a «catastrofico» in base agli effetti che esso comporta, sia dal punto di vista psicologico che fisico, valutando l'interferenza che ha con il sonno e sulle normali attività quotidiane. Se viene individuata una causa di fondo, il suo trattamento può portare a miglioramenti, in caso contrario si ricorre, di solito, alla psicoterapia;
   ad oggi, non vi sono farmaci efficaci, sebbene sia una condizione di frequente incidenza sulla popolazione;
   è difficile districarsi tra le terapie proposte per la cura, poiché numerosi lavori scientifici confermano l'efficacia di terapie diverse, nonostante sia impossibile che alcune di esse sortiscano realmente l'effetto desiderato, mancando ogni presupposto basato su anatomia e fisiologia per giustificare il loro funzionamento o la causa sottostante che avrebbe dato origine al problema;
   ci sono diverse cure, sia esclusivamente farmacologiche che coadiuvandosi dell'uso della laserterapia, pubblicizzate come efficaci ma che spesso non sono di alcuna utilità. Quando i sintomi non regrediscono entro i primi mesi dalla loro insorgenza, vi è la possibilità che divengano cronici a tutti gli effetti e al momento paiono non esserci soluzioni definitive –:
   se non si ritenga essenziale riconoscere questa patologia come malattia vera e propria avente connotati fortemente invalidanti (a volte si è arrivati a fenomeni di grande depressione sfociata in suicidio), evitando di liquidarla semplicemente come «disturbo fastidioso»;
   se non si ritenga altresì importante inserire detta patologia nei LEA (livelli essenziali di assistenza);
   come intenda adoperarsi affinché si dia al più presto avvio a studi e ricerche su detta patologia, aiutando e ampliando il numero degli organi sanitari e di quelle associazioni che già, in maniera del tutto autonoma, si stanno adoperando in questo senso, come l'Università di Pavia e come Mario Negri di Milano ed altre, avvalendosi anche dell'ausilio di associazioni attive nel settore, come l'AIT Onlus, che in Italia conta già 2000 aderenti. (4-08389)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico assai frequente. Studi condotti negli ultimi due lustri in paesi europei, quali la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato come, mediamente, circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente abbia sofferto di acufene almeno una volta nella vita. Per quanto riguarda l'Italia, a seguito di una serie di studi risulterebbe che nel nostro paese vi sia una prevalenza di tale problema otologico pari a circa il 15 per cento.
  L'acufene consiste in sensazioni acustiche endogene, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altro, percepiti in una o in entrambe le orecchie o nella testa. Tale disturbo può incidere sulla qualità della vita di chi ne soffre soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente. La ricerca clinica ha chiaramente dimostrato come, in una alta percentuale dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia sia parte integrante.
  Purtroppo, la causa dell'acufene non è chiara nella maggioranza dei casi.
  Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione dell'eziologia della patologia in questione.
  Al fine di valutare quali iniziative adottare per gestire i problemi sanitari legati all'acufene e considerata la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo, occorre effettuare un attento studio dello stato dell'arte delle conoscenze di base e cliniche, ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura disponibile e l'esame delle scoperte scientifiche più recenti. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, per promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Tali iniziative sono necessarie ai fini della valutazione dell'eventuale inserimento dell'acufene nei livelli essenziali di assistenza, ai sensi del decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modifiche, come malattia cronica invalidante. Occorre infatti sviluppare una serie di approfondimenti, legati, ad esempio, all'accertamento del quadro nosologico non unicamente basato sull'autovalutazione da parte del paziente stesso.
  Attualmente, non è possibile prevedere l'inserimento dell'acufene tra le malattie croniche ed invalidanti di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, poiché esso non costituisce una vera e propria malattia, ma è un sintomo con diversi livelli di gravità, determinato da patologie vascolari (fistole del collo, tumori carotidei, aneurismi intracranici o meningei, patologie dei grossi vasi del collo) o, più frequentemente, associato a patologie audiologiche, vestibolari, neurologiche, autoimmuni, cerebrovascolari, dismetaboliche ed ematologiche.
  Inoltre, la condizione in questione non sembra rispondere ai criteri di inclusione previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità, invalidità ed onerosità del relativo trattamento) e sarebbe difficoltosa l'individuazione delle prestazioni erogabili in esenzione (appropriate per il monitoraggio della patologia e la prevenzione di aggravamenti e complicanze).
  Peraltro, si rammenta che i pazienti affetti da acufene sono tutelati dal Servizio sanitario razionale attraverso i livelli essenziali di assistenza e che gran parte delle condizioni che determinano l'acufene sono già comprese tra le malattie previste dal decreto ministeriale n. 329 del 1999, per le quali sussiste l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Da ultimo, si precisa che una campagna di conoscenza e sensibilizzazione concernente l'acufene, al momento non è ricompresa tra quelle in cui il Ministero della salute è impegnato.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MISIANI, SANGA, CARNEVALI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione, il dipartimento della pubblica sicurezza prevederebbe, nel quadro della revisione dei presidi e degli uffici della Polizia sul territorio nazionale, la chiusura del commissariato di Treviglio (Bergamo);
   il commissariato trevigliese è stato aperto nel 1994. Attualmente vi lavorano 38 persone. Nell'organico sono presenti, oltre al dirigente e 5 ispettori e sostituti commissari, 5 sovrintendenti, 22 agenti, 1 operatore tecnico, 4 impiegati civili;
   Treviglio, con quasi trentamila abitanti, è la seconda città della provincia di Bergamo, punto di riferimento di un territorio – la bassa bergamasca – che il 1° luglio vedrà l'apertura della nuova autostrada Bre.be.mi. e, in futuro, della linea ferroviaria ad alta velocità (TAV). Il territorio trevigliese diventerà così, nel giro di pochi anni, un importante crocevia di persone e merci sull'asse Milano-Brescia;
   la provincia di Bergamo è da sempre agli ultimi posti tra le province italiane per la presenza di forze di Polizia in rapporto alla popolazione;
   il territorio bergamasco è stato oggetto, negli ultimi mesi, di una recrudescenza di atti di criminalità che stanno suscitando crescente allarme e preoccupazione nelle comunità locali;
   la scelta di chiudere il Commissariato priverebbe la provincia di Bergamo di un fondamentale presidio a tutela della sicurezza pubblica –:
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto premesso, riconsiderare l'orientamento emerso nell'ambito della stesura del piano di revisione dei presidi di pubblica sicurezza e salvaguardare il commissariato di Treviglio. (4-03755)

  Risposta. — La questione segnalata nella interrogazione in esame, relativa alla chiusura del commissariato di Treviglio in provincia di Bergamo, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  In particolare l'intervento sulla rete dei presidi delle quattro specialità è motivato dal fatto che il relativo schema organizzativo risale ai decreti ministeriali del 1989 e appare legato – come detto – a una realtà superata.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che è stato formulato un piano di spending review per il comparto sicurezza con cui il Ministro dell'interno ha previsto la chiusura di 267 presidi di polizia in tutta Italia;
   dalla metà di febbraio questori e prefetti hanno ricevuto in visione il suddetto piano ed entro metà marzo dovranno formulare il loro parere, comunque non vincolante, come sembra dispongano le circolari a firma del Ministro dell'interno e del capo dipartimento di pubblica sicurezza;
   la regione Liguria, più di altre, sarà colpita duramente dai tagli paventati in detto piano, addirittura con la soppressione di 20 uffici territoriali e l'ulteriore declassamento di altri presidi;
   in particolare, risulterebbero a rischio di chiusura: nella provincia di Genova tre uffici (i Posti di polizia ferroviaria di Chiavari e Ronco Scrivia e la squadra nautica di Genova) e declassate le due sottosezioni di polizia ferroviaria di Genova Brignole e Genova Sampierdarena, nella provincia di La Spezia cinque uffici (il posto polizia ferroviaria Sarzana, la sezione polizia postale La Spezia, l'ufficio frontiera marittima La Spezia, la Squadra Nautica La Spezia e il nucleo artificieri ufficio frontiera La Spezia), nella provincia di Imperia cinque uffici (il distaccamento polizia stradale Sanremo, il posto polizia ferroviaria Imperia Oneglia, il posto polizia ferroviaria Sanremo, la sezione polizia postale Imperia e la squadra nautica Imperia), mentre nella provincia di Savona ben sette uffici (il commissariato di pubblica sicurezza Alassio, il distaccamento polizia stradale finale Ligure, la sezione polizia postale Savona, l'ufficio frontiera marittima Savona, la squadra nautica Savona, il distaccamento nautico Alassio e il nucleo artificieri ufficio frontiera Savona);
   nel 2012 la Liguria era una delle regioni meno sicure, con tre province su quattro tra le prime posizioni nella classifica stilata dal Sole 24 ore sulla base dei dati del Ministero dell'interno (Genova in sesta posizione, Imperia in decima e Savona in dodicesima) con un numero maggiore di reati rispetto ad altre città come, ad esempio, Napoli (in trentesima posizione) o Palermo (in trentatreesima posizione);
   i dati forniti dal presidente della corte d'appello di Genova, Mario Torti, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario a gennaio 2014, hanno confermato anche per l'anno 2013 questo trend negativo e, in generale, un incremento «particolarmente notevole e preoccupante» dei crimini, soprattutto per alcuni tipi di reati (ad esempio furti in appartamento, passati nell'ultimo anno da 2.750 a 3.254, rapine e omicidi);
   in questo particolare momento di difficoltà, in cui crisi e immigrazione clandestina contribuiscono ad aumentare il numero dei reati e delle situazioni a rischio e come confermano i dati ufficiali anche sopra indicati, le forze dell'ordine e i loro presidi, già ridotti ai minimi termini a causa dei continui tagli al comparto sicurezza, andrebbero invece sostenuti e potenziati, non indeboliti o soppressi;
   privare il territorio di importanti presidi che garantiscono la tutela della sicurezza e il contrasto alla criminalità di fatto andrà a penalizzare ulteriormente i cittadini –:
   se il Governo ritenga compatibile con il degrado della sicurezza e dell'ordine pubblico in atto nella regione Liguria il piano di soppressione e declassamento dei presidi indicati in premessa, che ridurrebbe sensibilmente le capacità delle forze dell'ordine nel campo della prevenzione e del contrasto alla criminalità, se non si ritenga invece più opportuno rinunciarvi ed altresì potenziare il comparto sicurezza in Liguria, in termini di nuove risorse sia strumentali che di personale, mediante l'utilizzo delle disponibilità del Fondo unico di giustizia, creato dal Ministro dell'interno e dove sono giacenti le somme sequestrate e confiscate ai mafiosi.
(4-03870)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa pare che entro la prossima estate verranno soppressi circa 267 presidi di polizia in tutta Italia, secondo il piano di spending review per il comparto sicurezza formulato dal Ministro dell'interno;
   tra i probabili presidi di polizia colpiti dai drastici tagli disposti da suddetto piano, sembra che nella città di Siena sia prevista la chiusura di ben due uffici: la sezione di polizia postale e delle comunicazioni e la sezione di polizia ferroviaria;
   la polizia postale e delle comunicazioni è un ufficio di alta specializzazione nelle indagini informatiche, di fondamentale importanza in un contesto in cui sono sempre più in crescita i reati all'interno e per mezzo della rete internet, e, anche a scopo preventivo, ha fatto opera di informazione tra i giovanissimi con argomentate lezioni tenute anche all'interno degli istituti scolastici senesi;
   il posto di polizia ferroviaria sinora ha assicurato alla città di Siena il controllo del notevole flusso di persone che a vario titolo (turismo, lavoro) arrivano o transitano nella città, nonché dell'area circostante alla stazione ferroviaria;
   in questo particolare momento di difficoltà, in cui crisi e immigrazione clandestina contribuiscono ad aumentare il numero dei reati e delle situazioni a rischio, le forze dell'ordine e i loro presidi, già ridotti ai minimi termini a causa dei continui tagli al comparto sicurezza, andrebbero invece sostenuti e potenziati, non indeboliti o soppressi;
   non è chiaro quale sia il risparmio in termini economici che tale piano vuole conseguire, ma privare il territorio di importanti presidi che garantiscono la tutela della sicurezza e il contrasto alla criminalità di fatto andrà sicuramente a penalizzare ulteriormente i cittadini;
   c’è stata l'unanime condanna da parte delle organizzazioni sindacali, sia nel metodo che nel merito, delle «ipotesi di chiusura selvaggia dei presidi con il relativo trasferimento» del personale –:
   se il Ministro ritenga compatibile con i problemi di ordine pubblico a Siena il piano di soppressione dei presidi indicati in premessa, che ridurrebbe sensibilmente le capacità delle forze dell'ordine nel campo della prevenzione e del contrasto alla criminalità; se non si ritenga più opportuno rinunciarvi e potenziare il comparto sicurezza a Siena, in termini di nuove risorse sia strumentali che di personale, mediante l'utilizzo delle disponibilità del fondo unico di giustizia, promosso dal Ministro pro tempore Maroni e dove sono giacenti le somme sequestrate e confiscate ai mafiosi; quale sia l'ipotetico risparmio che si intende conseguire con tale piano e se tale ipotetico risparmio non sia comunque irrisorio o inutile se raffrontato alla drammatica situazione che si prospetta per i cittadini senesi in termini di sicurezza. (4-04152)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato intrapreso un complesso processo di ridimensionamento e ristrutturazione dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, che sta implicando la chiusura di oltre duecento tra stazioni e distaccamenti di varia consistenza proprio mentre aumentano le minacce alla sicurezza ed all'ordine pubblico nel Paese;
   tra i siti colpiti dai provvedimenti di chiusura adottati dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno vi è il posto di polizia ferroviaria di San Benedetto Val di Sambro, località interessata dagli attentati condotti contro il treno Italicus ed il Rapido 904;
   la polizia ferroviaria svolge un ruolo decisivo nel contrasto al terrorismo, al quale ha pagato nel corso degli anni un pesante tributo di sangue, e ricade sotto la sua responsabilità anche la protezione del traffico ferroviario sulle linee ad alta velocità, bersaglio potenziale di eclatanti azioni eversive;
   il perfezionamento del provvedimento di chiusura priverebbe di sorveglianza l'intera tratta Firenze-Bologna –:
   se il Governo non intenda rivedere il disegno di ristrutturazione concernente la presenza territoriale delle forze dell'ordine elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, cancellando i provvedimenti di chiusura a carico della polizia ferroviaria, in particolare quello concernente il suo presidio a San Benedetto Val di Sambro, e salvaguardando il mantenimento di tutti gli altri presidi di sicurezza fondamentali per garantire l'ordine pubblico sul territorio. (4-06929)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato intrapreso un complesso processo di ridimensionamento e ristrutturazione dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, che sta implicando la chiusura di 267 tra stazioni e distaccamenti di varia consistenza proprio mentre aumentano le minacce alla sicurezza ed all'ordine pubblico nel Paese;
   tra i siti colpiti dai provvedimenti di chiusura adottati dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno vi sono i presidi viterbesi della polizia postale e quello della polizia ferroviaria alla stazione di Porta Fiorentina;
   l'importanza della polizia postale è in crescita costante insieme al fenomeno dei reati informatici, della criminalità cibernetica e dei delitti posti in essere tramite adescamento sul web o perpetrati con forme informatiche di bullismo;
   la polizia ferroviaria svolge invece un ruolo decisivo nella lotta al degrado che spesso s'impadronisce delle stazioni nonché nel contrasto al terrorismo, al quale ha pagato nel corso degli anni un pesante tributo di sangue;
   sotto quest'ultimo profilo, è da sottolineare il carattere strategico del presidio viterbese della polizia ferroviaria ai fini della sicurezza della tratta Orte-Roma –:
   se il Governo non ritenga opportuno riconsiderare il piano di soppressione dei presidi delle forze dell'ordine ed in particolare sottoporre a revisione gli aspetti che concernono quelli viterbesi della polizia postale e della polizia ferroviaria. (4-07125)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni indicate in oggetto, concernenti l'eventuale chiusura di alcuni uffici di polizia in varie zone del territorio nazionale (Liguria, province di Bologna, Siena, Viterbo).
  Le questioni segnalate nelle interrogazioni in esame sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forze di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia. 
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della pubblica sicurezza sta ultimando uno studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato su tutto il territorio nazionale resa necessaria dalla diminuzione di personale, sceso dai 103 mila del 2003 ai circa 94 mila del 2013;
   secondo le prime anticipazioni dello studio citato, la polizia di Stato andrebbe incontro ad una razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e frontiera;
   tra queste, la polizia postale appare come la specialità maggiormente a rischio in quanto il dipartimento avrebbe comunicato di voler mantenere gli uffici che se ne occupano solamente nelle città sedi di corti d'appello;
   per quanto riguarda il Veneto, il distretto della corte di appello di Venezia comprende il territorio dei circondari dei tribunali Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza;
   ne consegue che solamente a Venezia rimarrebbe attiva una sede del compartimento della polizia postale a cui sarebbe necessario affidare il controllo di tutto il Veneto;
   le sei sezioni situate nei capoluoghi delle altre province venete, quindi, verrebbero soppresse, in completa controtendenza con l'aumento dei reati di natura informatica e una crescente domanda di informazione qualificata e affidabile che solo soggetti istituzionali possono offrire;
   in queste sei sezioni uffici prestano servizio 64 agenti: 11 a Belluno, 13 a Padova, 5 a Rovigo, 11 a Treviso, 15 a Verona e 9 a Vicenza;
   nel solo 2013 le sei sezioni provinciali della polizia postale hanno ricevuto poco più di circa 3.100 denunce da parte di cittadini, trattato poco meno di 6.000 fascicoli e deferito all'autorità giudiziaria circa 360 persone, hanno portato le proprie competenze tecnologiche e investigative in circa 250 incontri nelle scuole a cui hanno partecipato mediamente un centinaio di studenti per ciascun incontro;
   quest'ultima attività, peraltro ampiamente pubblicizzata dal Ministero dell'interno tramite i mass-media e i social network, è stata molto apprezzata dai soggetti che ne hanno usufruito, al punto tale che si è registrato un aumento notevole delle richieste di intervento nelle scuole per il corrente anno scolastico, tanto che il personale vi prende parte anche attraverso modalità di impiego in straordinario programmato su progetti predisposti dal compartimento di Venezia;
   nello stesso anno si calcolano circa 26.000 chiamate telefoniche agli uffici della polizia postale e delle comunicazioni che si ritiene di dover dismettere, di cui circa il 30 per cento provenienti dalle questure e da queste girate alla specialità per offrire una risposta qualificata, il 20 per cento provenienti dal 112 dei Carabinieri, mentre il rimanente 50 per cento provenienti dai cittadini;
   questi numeri evidenziano l'importanza della presenza delle sedi della specialità postale come punto di riferimento per il cittadino che utilizza la rete internet, gli apparati telefonici e radioelettrici;
   desta una concreta preoccupazione l'intenzione di indirizzare tutte le richieste di informazione e di intervento ad una sola sede, confinando al solo ufficio di Venezia una intera specialità, come quella postale, che conosce un inarrestabile aumento di richieste, competenze e necessità di specializzazione;
   esiste infatti il rischio di depotenziare il lavoro sviluppato sull'intero territorio veneto dalle diverse sedi provinciali al punto mettere in discussione la reale operatività della polizia postale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali azioni il Ministro, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per tutelare l'attività della polizia postale nel territorio del Veneto. (4-04098)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in esame, relative alla chiusura di una serie di presidi della polizia postale nel territorio della regione Veneto, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  Con riferimento alla polizia postale, oggetto specifico dell'interrogazione in esame, va sottolineato che tale specialità ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici. 
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine. 
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Federico Annibale – giovane cittadino italiano e studente per il master in development Studies presso la prestigiosa School of Oriental and African Studies (SOAS) dell'Università di Londra – è detenuto a Francoforte dalle ore 10 di mercoledì 18 marzo 2015, in attesa di processo senza che siano stati formulati capi d'imputazione a suo carico;
   Federico Annibale è stato arrestato mentre partecipava pacificamente alla mobilitazione internazionale di Blockupy per contestare la cerimonia di apertura della nuova sede della Banca centrale europea e chiedere il superamento delle politiche di austerity. I suoi rappresentanti legali non hanno ancora ricevuto prove che motivino la sua detenzione. Dovrebbe essere già stato rilasciato su cauzione, come è successo con tutti gli altri cittadini tedeschi arrestati nella stessa occasione. Ma nel suo caso la giustizia tedesca si è comportata diversamente;
   «A Francoforte – come denunciato da numero associazioni a tutela dei diritti e, nel corso di un dibattito parlamentare al Bundestag, dai deputati di Die Linke – questa settimana si è assistito alla sospensione delle libertà civili, con la detenzione usata come misura preventiva e punitiva»;
   Federico Annibale è stato arrestato nel pieno centro della città (la strada commerciale Zeil) lontano dai luoghi dove si sono verificati gli incidenti, mentre mangiava un panino seduto insieme ad amici. La polizia ha usato forza eccessiva durante l'arresto, nonostante lui non avesse opposto alcuna resistenza;
   secondo le associazioni tedesche che si occupano della tutela dei diritti civili appare inoltre evidente, anche dalla campagna stampa condotta da alcuni media tedeschi e dalla stessa Polizia del Land Assia, il tentativo di attribuire a «manifestanti stranieri» e italiani in particolare, contro ogni evidenza, la responsabilità degli incidenti che si sono verificati –:
   se il Governo intenda intervenire presso le autorità della Repubblica federale di Germania affinché Federico Annibale sia immediatamente scarcerato, possa lasciare liberamente il territorio tedesco per fare ritorno ai suoi studi e ai suoi affetti e gli sia assicurato un giusto processo, nel quadro di tutte le garanzie costituzionali previste dalla Grundgesetz;
   se il Governo intenda attivare, in ogni caso, ogni possibile strumento diplomatico per garantire a Federico il pieno sostegno legale. (4-08609)

  Risposta. — Sin da quando ne ha avuto notizia, la Farnesina, anche tramite il Consolato generale d'Italia a Francoforte, ha seguito con la massima attenzione la vicenda dell'arresto del giovane connazionale Federico Annibale.
  Questi è stato fermato il 18 marzo 2015 a Francoforte durante una manifestazione di protesta di fronte alla Banca Centrale Europea per turbativa dell'ordine pubblico e lesioni contro pubblico ufficiale. Lo stato di fermo del connazionale è stato tramutato in arresto lo scorso 9 aprile, poiché il ragazzo è domiciliato a Londra – dove sta studiando – e pertanto le Autorità giudiziarie ritengono che sussista la possibilità che egli si sottragga alla giustizia tedesca.
  Il Console generale a Francoforte, Cottafavi, segue personalmente la vicenda. È in contatto con la famiglia di Federico, ha incontrato più volte i suoi genitori e ha favorito i contatti con un noto avvocato penalista tedesco italofono, al quale il giovane connazionale ha dato successivamente mandato formale a difenderlo. La nostra sede consolare si è inoltre spesa per garantire al connazionale ogni possibile assistenza in carcere, negli ovvi limiti concessi dalla normativa locale. Grazie anche a questi sforzi, lo scorso 27 marzo i genitori hanno potuto avere con Federico un lungo colloquio in carcere. A detta loro, il figlio è apparso in buone condizioni fisiche e sollevato per essere stato trasferito in un settore dell'istituto penitenziario dove sono reclusi altri connazionali. Il 13 aprile i familiari hanno nuovamente visitato il ragazzo in carcere con l'assistenza di funzionari consolari. La famiglia ha espresso al Consolato generale la propria riconoscenza per tutta l'assistenza ricevuta.
  Si assicura che, in vista delle prossime scadenze processuali e nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, il Consolato generale a Francoforte continuerà a seguire il caso con il massimo impegno in stretto contatto con il legale, prestando ogni possibile assistenza a Federico Annibale ed alla sua famiglia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   PARISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle misure di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, il Ministro interrogato ha disposto dall'inizio dell'anno, una razionalizzazione della dislocazione dei presidi di polizia sul territorio nazionale, motivata dalla carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine, oltre che dall'attuale congiuntura economica negativa in corso da anni;
   nel quadro decisorio generale, rientra anche la soppressione di 11 squadre a cavallo, tra le quali sembra essere ricompresa anche quella di Firenze, che rappresenta una parte integrante del tessuto sociale fiorentino e svolge un importante presidio sul territorio; senza tale presidio, le aree attualmente pattugliate, saranno con ogni probabilità, facile oggetto di degrado e di abbandono urbano;
   l'interrogante evidenzia come le radici storiche della squadra a cavallo di Firenze risalgono al 2000; dal successivo anno è entrata nel progetto nazionale parchi sicuri, che ha messo in correlazione il Ministero dell'interno con le amministrazioni comunali, al fine di rilanciare i parchi cittadini;
   a tal fine, la medesima squadra fiorentina ha favorito il continuo processo di riqualificazione dell'arco e la realizzazione del progetto «Cascine 2020», con un controllo visibile e particolarmente attento delle forze dell'ordine e soprattutto della polizia a cavallo;
   negli ultimi anni il parco ha accresciuto i livelli d'interesse e di partecipazione e, a tal fine, è aumentato il numero dei visitatori che hanno scoperto le potenzialità delle Cascine, anche se, sempre negli ultimi anni, i posti di polizia che hanno avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione di questa nuova vitalità, sono stati lentamente soppressi, come ad esempio nel, 2010 la polizia forestale a cavallo e nel 2012 la caserma dei carabinieri a cavallo;
   l'interrogante evidenzia, altresì, che la funzione di presidio del personale di pubblica sicurezza a cavallo che opera e garantisce la sicurezza non solo nel parco delle cascine, sia di particolare rilevanza, in quanto tale funzione di tutela e salvaguardia, si estende anche in altre zone della città ad alta densità turistica del capoluogo regionale e in quelle aree della periferia in cui si verificano fenomeni di degrado legati all'abusivismo commerciale, all'accattonaggio e alla microcriminalità, soprattutto nella zona di Monte Morello;
   il mantenimento della squadra a cavallo della polizia di Stato a Firenze costituisce pertanto, a parere dell'interrogante, un'esigenza prioritaria da salvaguardare, al fine di garantire alla intera comunità fiorentina un presidio operativo fondamentale per assicurare i necessari livelli di sicurezza non soltanto per il parco delle Cascine –:
   se trovino conferma le notizie riportate in premessa, secondo le quali nell'ambito delle iniziative del Governo sul versante della spesa pubblica attraverso misure di razionalizzazione e di risanamento della finanza pubblica, sia prevista la soppressione della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze;
   in caso affermativo, se non ritenga opportuno riconsiderare tale decisione, in considerazione del fatto che l'eventuale chiusura di un presidio di sicurezza così importante e necessario per la città di Firenze può determinare, oltre ad un cospicuo spreco di risorse già investite per l'alta specializzazione di tali operatori della sicurezza, anche una situazione di particolare gravità nelle attività di controllo e vigilanza sul territorio, con conseguenze negative sulla sicurezza dei cittadini e sull'intero tessuto sociale, economico e produttivo di Firenze. (4-07305)

  Risposta. — La questione segnalata nell'interrogazione in esame, relativa alla chiusura della squadra di Polizia a cavallo di Firenze, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario, tra i quali – come detto – le squadre a cavallo.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibili recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano locale la Prealpina, nell'articolo del 20 febbraio 2015 intitolato «L'Isolino Vergogna», si parla dell'Isolino Virginia situato nel territorio di Biandronno ma di proprietà del comune di Varese, l'Isolino copre un'area di 9200 metri quadrati sul lago di Varese, ormai famoso per il suo storico livello di degrado dovuto ai processi di eutrofizzazione delle acque a seguito di elevate concentrazioni di fosforo;
   Pisolino Virginia è un sito dichiarato nel 2011 patrimonio dell'Umanità dall'Unesco ed è anche un parco archeologico con la presenza di un'importante area palafitticola con un museo civico preistorico e dal 1863 è uno dei siti più famosi della preistoria europea;
   attualmente non vi è alcun collegamento funzionale con l'isolotto. I cittadini che volessero approdare sull'isolotto si ritroverebbero in un'area abbandonata dove plastica, bottiglie di birra, rifiuti usciti dai cestini, tronchi e parti di alberi abbandonati in una delle ultime pulizie condotte dopo nel 2013 rovinano la bellezza del luogo e poi ancora degrado tutt'intorno;
   l'unico ristorante presente sull'Isolino Virginia è stato chiuso dopo una lunga battaglia legale, da quel momento le chiavi della struttura sono nelle mani del comune. Vicino al molo due imbarcazioni abbandonate che stentano a galleggiare, anche il molo necessita di urgenti riparazioni;
   la parte archeologica, i cui lavori di scavo sono iniziati nel 2013, è in uno stato di abbandono, delimitata e protetta per evitare di accedere;
   l'isolino Virginia potrebbe essere una meta ambita per molti turisti italiani e stranieri ma occorrono urgenti interventi e ricordare che è anche un patrimonio per le generazioni future che, visto il degrado di oggi, non potranno goderne domani –:
   quali siano i tempi di ultimazione dei lavori dell'area archeologica presente sull'Isolino e se e quali fondi statali siano stati stanziati per eseguirne i lavori di scavo. (4-08397)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, indicato in oggetto, con il quale l'interrogante, illustrato lo stato di degrado in cui versa l'area denominata «Isolino Virginia», situata sul lago di Varese, determinato dai processi di eutrofizzazione delle acque e dei rifiuti ivi abbandonati, chiede quali siano i tempi di ultimazione dei lavori relativi all'area archeologica presente sull'Isolino, e se e quali fondi statali siano stati stanziati per eseguire i lavori di scavo.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  L'Isolino Virginia, sito in comune di Biandronno (Varese), costituisce uno dei 19 abitati palafitticoli italiani del sito UNESCO («Siti palafitticoli preistorici dell'arco alpino»), iscritto nella Lista del Patrimonio mondiale nell'anno 2011. L’iter di candidatura per la parte italiana è stato coordinato e diretto dalla soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia, individuato come soggetto di riferimento del sito UNESCO per la parte italiana e sede della segreteria tecnico-scientifica. Il sito dell'Isolino, scoperto nel 1863, rappresenta uno dei capisaldi della preistoria europea, avendo restituito testimonianze archeologiche dal neolitico all'età del bronzo finale. L'area presenta interesse per diversi profili vincolistici, ma quello prevalente risulta senza dubbio l'interesse archeologico in quanto tutta l'isola è un'area archeologica, in cui la vegetazione si è sovrapposta alla palafitta: da qui la complessità dei problemi connessi alla vulnerabilità del sito.
  Quanto alle problematiche relative all'eutrofizzazione delle acque, evidenziato nell'atto di sindacato che si riscontra, si riferisce che il fenomeno è ben noto e che, nel 2009, è stato tentato da parte della provincia di Varese, con la collaborazione dell'Osservatorio del lago di Varese (ente composto dalla provincia e da tutti i comuni rivieraschi), un progetto sperimentale di risanamento mediante phoslock, posizionato su due aree campione di modesta entità, che avrebbe dovuto bloccare la proliferazione del fosforo. Tuttavia sugli esiti di tale sperimentazione gli studiosi non sono concordi e, al momento, si stanno studiando altre soluzioni.
  Per quanto riguarda il collegamento all'isola e pulizia dell'area, si riferisce che l'Isolino, di proprietà del comune di Varese, è un'isola artificiale dovuta all'antropizzazione dell'area a partire dalla preistoria. Per tutelare il sito, la citata soprintendenza, in accordo con la consorella per beni architettonici e paesaggistici (ora soprintendenza belle arti e paesaggio), ha espresso in passato parere negativo alla realizzazione di ponti pedonali di collegamento con la terraferma per vari motivi, tra i quali la volontà di preservare l'isola, vista la sua peculiare fragilità, sia dal punto di vista archeologico sia paesaggistico e per non togliere il fascino di un approdo via acqua. Non vanno, inoltre, sottovalutati i problemi di guardiania e di tutela che avrebbe comportato un afflusso non controllato di turisti tramite un passaggio aperto.
  In merito al servizio di traghettamento, fino a quando è stata in vigore la convenzione con il custode/gestore del ristorante incaricato dal comune di Varese, l'attività è stata condotta dalla famiglia ivi residente, in possesso delle necessarie qualifiche per il trasporto di persone. Il servizio dal 2012 è stato incrementato, nei mesi estivi, grazie a un traghetto pubblico gestito dalla provincia di Varese, con varie fermate lungo il lago.
  La pulizia del sito è in capo al comune di Varese, proprietario dell'area.
  Per quanto concerne la ristorazione, si precisa che dalla cessazione della convenzione nel 2011 con il custode/gestore del ristorante è stata avviata una lunga azione legale da parte del comune di Varese per riottenere la disponibilità dei locali di alloggio e del ristorante-bar. La morte del concessionario, nel maggio 2014, e le sopraggiunte difficoltà dovute alla complessa successione ereditaria, hanno dilazionato di vari mesi la ripresa del possesso del sito da parte del comune di Varese, avvenuta il 13 gennaio 2015.
  Di recente il comune di Varese ha pubblicato un avviso, riservato a scuole di tipo alberghiero e a cooperative sociali (in considerazione della manifesta non rilevanza imprenditoriale della concessione) per la gestione del compendio, comprendente anche il ristorante-bar, la custodia dell'Isolino e la manutenzione ordinaria dello stesso. Con tale avviso è stato individuato come affidatario del progetto il Centro Gulliver, società cooperativa sociale a r.l. ONLUS, con sede in Varese ed è in corso la predisposizione del contratto. Il comune, inoltre, installerà telecamere per la sicurezza del sito che verrà dotato di impianto wi-fi.
  Per l'aspetto relativo alla manutenzione del sito, si evidenzia che sull'area insistono imponenti alberi secolari, di diverse essenze pregiate, alcuni dei quali sono caduti in varie occasioni a causa del grave maltempo. Il sito è stato ripulito tra il marzo e l'aprile 2014 grazie a un complesso intervento, concordato con tutti gli enti competenti, che ha reso necessario l'impiego di un elicottero per la rimozione di gran parte dei tronchi al fine di evitare il danneggiamento delle strutture archeologiche. Solo alcuni sono stati lasciati sul posto per alimentare il riscaldamento della casa del custode. Relativamente alla sostituzione del molo di attracco attualmente ammalorato, il comune di Varese ha predisposto un progetto che prevede la sostituzione della struttura esistente con un pontile galleggiante. La pratica è stata esaminata e autorizzata dalla competente soprintendenza con la prescrizione di eseguire controlli archeologici subacquei preliminari. Per gli aspetti di competenza paesaggistica la pratica è stata esaminata dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio.
  In riferimento, infine, allo scavo archeologico, si rende noto che esso si è svolto tra il 2006 e il 2012 in regime di concessione ministeriale (ex articoli 88 e 89 del decreto legislativo 42 del 2004) da parte del comune di Varese e sotto la direzione del conservatore del museo archeologico di Villa Mirabello di Varese e del museo preistorico e parco archeologico dell'Isolino Virginia-Biandronno. La ristretta area oggetto dell'intervento di scavo è recintata e non è visitabile dal pubblico in quanto la natura del sito, soggetto ad allagamenti naturali e molto delicato per la presenza di fragili strutture in legno imbibito, non è compatibile con il passaggio di visitatori per i quali non è, inoltre, possibile garantire in alcun modo adeguati standards di sicurezza. Si precisa che gli scavi archeologici effettuati dal 2006 al 2012 sono stati finanziati con fondi del comune e della regione Lombardia.
  I risultati preliminari delle indagini archeologiche sono in parte illustrati su pannelli didattici collocati sul sito, nel museo preistorico presente sull'isola e anche nel museo archeologico di Villa Mirabello nel centro di Varese.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PETRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota 599/A/1/131.4.1/2701, il 3 marzo 2014 il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha pubblicato il progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio nazionale, da sottoporre al vaglio delle questure e delle prefetture;
   stando a quanto riportato dalla suddetta nota, la proposta di razionalizzare la dislocazione dei presidi di polizia nel nostro Paese deriva dalla carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine e dall'attuale congiuntura economica che impone ingenti tagli al settore pubblico;
   in particolare, il progetto del Viminale, elaborato di concerto con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, prevede da un lato, una rivisitazione della dislocazione dei commissariati di polizia, delle compagnie dei carabinieri e di quelle forze speciali a carattere sussidiario, concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite e dall'altro, una ottimizzazione dei presidi della polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera;
   tale razionalizzazione, giustificata con l'emergere di nuove esigenze, derivanti dalla rinnovata rete stradale e ferroviaria e dal nuovo sistema postale e delle frontiere, interessa quasi tutte le province italiane, 101 su 110, e saranno 267 i presidi di polizia che verranno chiusi per un risparmio stimato di 600 milioni di euro;
   in particolare, nella regione Marche, è prevista la chiusura di dieci uffici di polizia, fra cui il distaccamento della polizia stradale di Amandola, considerata un autentico avamposto che fa parte oramai della storia della città, la quale si vedrebbe così privata del diritto di usufruire di un servizio indispensabile per un ordinato svolgimento della vita cittadina;
   il distaccamento della stradale ha da sempre rappresentato un saldo punto di riferimento per la sicurezza dell'area interna e montana, soprattutto per la vicinanza di Amandola ad alcune località sciistiche e al parco nazionale dei Monti Sibillini, che ogni anno attirano migliaia di turisti, sia nel periodo invernale che in quello estivo;
   poiché l'ordine pubblico in questa porzione dell'entroterra marchigiano è garantito dai carabinieri delle caserme di Amandola, Comunanza e Montemonaco, il venir meno del presidio di polizia di Amandola provocherebbe seri problemi in merito al mantenimento degli attuali standard d'intervento per la sicurezza dei cittadini nelle località interessate;
   il taglio dei presidi di polizia nell'area montana della regione Marche è visto con forte preoccupazione anche dalla Cgil e dal sindacato autonomo di polizia (SAP) che, durante l'8° congresso provinciale, ha denunciato come le logiche della «spending review» siano prevalse anche sul settore della sicurezza, considerato come un costo, anziché un investimento, al pari della scuola e della sanità;
   il progetto inoltre, così come formulato dal Viminale, non coinvolge le realtà locali, non propone un assetto alternativo per assicurare la protezione dei cittadini, né tiene conto delle aspettative e delle esigenze del personale, che verrà accorpato in altre sedi, con conseguenti trasferimenti obbligatori dell'organico;
   sebbene i sindacati e le principali istituzioni fermane non siano contrari a prescindere a una riorganizzazione del settore, perché coscienti dell'esigenza di eliminare gli sprechi pubblici, chiedono d'altro canto che vengano garantiti i livelli di sicurezza sul territorio e salvaguardate le condizioni del personale, auspicando una maggiore chiarezza e un'operazione di trasparenza e confronto che coinvolga le istituzioni locali e i rappresentanti dei lavoratori –:
   quali misure urgenti il Ministro intenda adottare al fine di evitare la soppressione del distaccamento della polizia stradale di Amandola e se non ritenga opportuno modificare il progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi di polizia sul territorio nazionale affinché l'obiettivo ultimo rimanga quello di garantire, e non ridurre, la sicurezza dei cittadini. (4-04097)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in esame, relative alla chiusura di alcuni presidi della polizia di Stato nel territorio della regione Marche, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia. 
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terra conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i rappresentanti del gruppo di Gruppo consiliare del comune di Bonorva – «Bonorva autonomia e progresso e unidos Bonorva» nelle persone di Antonio Zanza, Angelo Solinas, Mariano Sanna, Gian Pietro Marras hanno segnalato il gravissimo deterioramento e colpevole stato di abbandono delle Domus de Janas de Sa Pala Larga (Una sepoltura della cultura di Ozieri anteriore 3000 a.c.) nel comune di Bonorva, una delle necropoli più importanti dell'isola;
   nel sito archeologico di primaria importanza è ampiamente documentato il patrimonio artistico-culturale di cui le popolazioni preistoriche disponevano;
   all'interno della grotta, destinata a ospitare i defunti, sono stati, infatti, individuati motivi del Neolitico come la protome taurina, le spirali, il motivo della scacchiera e l'uso della pittura (di color rosso e ocra) per coprire le pareti (cit. Aristanis Bike);
   la tomba con tutto il suo materiale e le sue incisioni si stanno irrimediabilmente deteriorando senza che nessuno faccia nulla;
   tutto questo patrimonio oltre al suo colpevole deterioramento risulta non essere fruibile al pubblico;
   George Nash, archeologo del dipartimento di archeologia e antropologia dell'università di Bristol ed esperto mondiale di arte preistorica, scrisse sul Quotidiano di storia e archeologia il 15 agosto 2012: Lo straordinario stato di conservazione di questo esempio di arte preistorica è paragonabile per importanza alle immagini dipinte all'interno della camera dell'oracolo dell'ipogeo di Hal-Saflieni a Malta;
   la considerazione finale dell'illustre scienziato archeologo è la seguente: questa scoperta è di importanza internazionale e dovrebbe essere condivisa tra i ricercatori di arte preistorica;
   l'aver sigillato il monumento rappresenta un crimine contro la comprensione delle vere origini del neolitico dell'Europa meridionale;
   la soprintendenza in totale contraddizione tra le affermazioni e le azioni sostiene l'eccezionalità della tomba, dovuta soprattutto alle bellissime pitture interne ma a sua volta l'ha «sigillata» con grandi blocchi di pietra ricoprendo in seguito il tutto con una colata di cemento;
   oggi in molte parti la tomba risulta crollata e sommersa dall'acqua, aggravandone così lo stato di conservazione;
   la stessa soprintendenza con un'azione secondo l'interrogante inaudita ha precluso il sito sia alle persone che vogliono visitarlo che ai ricercatori rilevando che la necropoli si trova in un luogo isolato e difficilmente accessibile violando come si legge nella Convenzione europea De La Valletta gli articoli 7-8-9 per la salvaguardia del patrimonio archeologico e la condivisione delle scoperte con la comunità scientifica visto che del sito si è venuto a conoscenza solo grazie ad appassionati archeologi locali;
   a proposito della convenzione de La Valletta, la soprintendenza continua secondo l'interrogante ad ignorarla ed applicare propri orientamenti che appaiono all'interrogante in contrasto con buon senso e senso di responsabilità;
   la stessa soprintendenza per quanto riguarda la tutela e valorizzazione del sito di Sa Pala Larga sostiene che ci saranno sempre problemi di valorizzazione per la posizione isolata del sito;
   afferma che mancano i fondi;
   ora il sito non solo non è più sigillato ma è in pericolo di ulteriori crolli e non sono serviti e non servono le reiterate segnalazioni che da qualche tempo si susseguono, anche fotografiche, fatte da appassionati, archeologi, e cittadini sui portali internet e sul social network Facebook;
   le Domus de Janas de Sa Pala Larga versano in condizioni pietose senza che nessuno delle autorità competenti faccia qualcosa;
   il territorio continua ancora inesorabilmente ad essere privato di un bene che può produrre ricchezza e toglie al comune di Bonorva e alla Sardegna un'attrazione che serve e può servire per quel rilancio che tutti vogliamo per la nostra terra;
   risulta indispensabile un intervento urgente di consolidamento, restauro e di vigilanza per preservare il predetto bene identitario consentendo la sua completa valorizzazione;
   il sito monumentale di Sant'Andria Apriu, a poche centinaia di metri da Sa Pala Larga è altresì escluso da opere di restauro da tanto tempo e che lo stesso rappresenta una unicità nel bacino del mediterraneo, riportando il percorso storico e pittorico che cronologicamente sono inquadrabili nel neo-eneolitico, fra IV e III millennio a.c., ma le prime fasi di utilizzo sono da ricondurre alla Cultura di Ozieri (neolitico finale: 3200-2800 a.C.) –:
   se il Ministro competente non intenda intervenire con somma urgenza sul sito considerata la gravità della situazione denunciata;
   se non intenda promuovere un incontro tra le istituzioni nazionali e regionali e l'amministrazione comunale di Bonorva al fine di valutare gli interventi sia di restauro che di ripristino dell'intero sito archeologico;
   se non ritenga disporre un piano adeguato e urgente teso alla salvaguardia e valorizzazione del bene archeologico provvedendo allo stanziamento di apposite risorse finanziarie nell'ambito dei programmi di spesa del Ministero;
   se non ritenga necessario individuare e segnalare i responsabili dell'incuria e dell'abbandono del sito agli organi preposti perché possano perseguire eventuali responsabilità. (4-04180)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo, in esame, con il quale si chiede se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere interventi di restauro e messa in sicurezza delle Domus de Janas de Sa Pala Larga, site nel comune di Bornova (Sassari), anche attraverso incontri ed intese con l'amministrazione comunale, si comunica quanto segue.
  La necropoli a Domus de Janas di Sa Pala Larga è situata all'interno della cosiddetta tenuta Mariani (circa 700 ettari), di proprietà del comune di Bonorva, ma della quale lo stesso comune non riesce ancora ad avere la piena proprietà, a causa di contenziosi con alcuni allevatori che pascolano nell'area.
  La necropoli di Sa Pala Larga o di Mariani, come viene anche impropriamente definita, è stata segnalata alla soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro nel 1996, da un privato cittadino di Bonorva.
  Negli anni successivi sono stati effettuate delle indagini che hanno evidenziato cinque tombe, due delle quali particolarmente ricche di decorazioni – a basso rilievo, incise e dipinte – di chiaro valore simbolico e rituale. I danneggiamenti subiti in precedenza dalle tombe, per il passaggio di mezzi pesanti e per la particolare struttura della roccia nella quale sono state ricavate che tende a fessurarsi verticalmente, hanno suggerito di ricoprire le tombe per evitare ulteriori danneggiamenti e pericoli anche per l'incolumità delle persone.
  Ciò è stato fatto puntellando con strutture lignee le tombe, ricoprendo l'area con tessuto-non tessuto, stendendo una rete metallica e ricoprendo il tutto con un sottile strato di cemento. Lo scavo delle tombe e la loro copertura è stata fatta con fondi ministeriali.
  Nel 2005 sono iniziate ulteriori indagini nel territorio di Bonorva, nell'ambito di un ampio progetto di valorizzazione con finanziamenti regionali. Tra le indagini in progetto erano previsti, tra l'altro, il censimento di tutti i monumenti archeologici compresi nella tenuta Mariani e la verifica dell'estensione della necropoli di Sa Pala Larga. Tale verifica ha portato alla scoperta, in un'area prossima ma non contermine a quella delle tombe 1-5 di cui sopra, di una tomba incompleta (la n. 6) e della tomba n. 7 con motivi decorativi in prevalenza dipinti ma anche scolpiti a bassorilievo.
  Vista l'estrema fragilità anche della tomba 7, è stata inserita nel progetto una consulenza specialistica di un restauratore per verificare le azioni da intraprendere a fine scavo e, in prospettiva, quelle necessarie per la futura eventuale fruizione della tomba. Da questa relazione è emersa la necessità di chiudere ermeticamente la tomba per salvaguardare le pitture e l'impossibilità, anche in futuro, di consentire un accesso incontrollato.
  Negli anni successivi, la citata soprintendenza ha richiesto finanziamenti per il restauro della Tomba 7 e per la verifica delle condizioni delle altre tombe, sia nella programmazione ordinaria, che in quella straordinaria (progetti Arcus). Tali richieste non sono state accolte per i numerosi tagli che si sono registrati negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda gli interventi sui beni immobili di interesse archeologico.
  Quando è stato eseguito lo scavo della tomba 7, le tombe 1-5 erano ancora sigillate nel modo su detto e quindi totalmente in sicurezza.
  In questi ultimi anni non è pervenuta alla competente soprintendenza nessuna segnalazione di danneggiamenti nella necropoli. L'unica segnalazione scritta è stata inviata, via mail, al dottor Marco Minoja, all'epoca soprintendente ad interim della soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano, che ha provveduto a trasmetterla alla competente soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro. La segnalazione è stata inviata anche al sindaco di Bonorva, che ha immediatamente contattato la soprintendenza per un sopralluogo congiunto per verificare lo stato della necropoli.
  Sabato 20 marzo 2014, è stato effettuato un sopralluogo con mezzi messi a disposizione dal comune di Bonorva (il sito non è raggiungibile se non con fuoristrada viste le condizioni delle strade interne alla tenuta Mariani), al quale ha partecipato anche lo scrivente sottosegretario di Stato Francesca Barracciu.
  Dal sopralluogo effettuato è emerso che:
   la copertura messa in opera nel 2002 per salvaguardare le tombe 1-5 è stata manomessa intenzionalmente in più punti. Ciò ha aperto alcuni varchi che hanno portato all'allagamento di una cella di una domus. Inoltre, è rimasto allo scoperto il particolare decorativo di una delle tombe;
   non è possibile attualmente entrare nelle tombe senza grave pericolo per l'incolumità personale, in quanto buona parte del puntellamento ha ceduto;
   non è possibile verificare eventuali danneggiamenti all'interno delle tombe senza la preventiva messa in sicurezza delle stesse;
   l'unica possibilità di salvaguardare le tombe da eventuali danneggiamenti è proteggerle nuovamente con una copertura facilmente rimovibile, come quella messa in opera a suo tempo;
   l'apertura per la fruizione può essere prevista solo se si dispone di un notevole finanziamento e di un piano di gestione dell'area a lungo termine.

  In data 7 aprile 2014, è stato effettuato un ulteriore sopralluogo a cura della citata soprintendenza. In questa occasione è stato possibile fare anche alcune foto dell'interno del sito. Anche dal secondo sopralluogo è emersa la necessità di provvedere quanto prima alla stesura di una relazione, che può valere quale progetto preliminare per la tutela delle tombe 1-5. Inoltre, è stato verificato che, con riferimento alla tomba n. 7, la copertura messa in opera per la sua salvaguardia si mantiene in buone condizioni.
  Venendo più in dettaglio ai diversi punti della interrogazione, si evidenzia quanto segue.
  Le tombe sono state scavate e il deposito archeologico, ove presente, recuperato con scavo stratigrafico e adeguatamente conservato.
  Se è vero che la necropoli ha un notevole interesse scientifico, non è vero che il mondo degli studiosi è stato privato della sua conoscenza, in quanto esistono diverse pubblicazioni e la tomba n. 7 (a cui dovrebbe riferirsi George Nash), in particolare, è stata pubblicata in dettaglio.
  L'ipogeismo funerario ha dato luogo in Sardegna ad un fenomeno di ampia diffusione, con l'escavazione di centinaia di Domus de Janas. Certamente, in questo panorama, la necropoli di Sa Pala Larga riveste un ruolo importante, ma non si può affermare che l'aver sigillato il monumento rappresenta un crimine contro la comprensione delle vere origini del neolitico dell'Europa meridionale.
  La tomba n.7 (che, si precisa ancora una volta, non è tra quelle attualmente esposte ad eventuali atti di vandalismo) non è stata coperta con cemento, ma è stata chiusa in maniera adeguata secondo le indicazioni fornite da un restauratore senza danneggiare in alcun modo le parti residue.
  Corrisponde al vero l'affermazione che le tombe 1-5 necessitano di interventi urgenti, ma solo in una di esse ci sono infiltrazioni d'acqua dovute all'apertura della copertura.
  Non si sono riscontrati crolli all'interno delle tombe anche perché prima della loro chiusura queste erano state puntellate.
  Come sopra detto, tutte le tombe sono state ricoperte proprio per salvaguardarle e il mondo scientifico ha avuto modo di conoscerle nelle pubblicazioni edite in diverse soluzioni. Tra l'altro, alcune notizie sulle prime tombe scoperte sono state inserite nel Museo civico di Bonorva, consentendo la conoscenza anche ad un pubblico di non specialisti.
  Si ribadisce, comunque, che a seguito dei sopralluoghi effettuati, considerate le condizioni del sito, questo Ministero ha tenuto fede, e in tempi brevi, all'impegno assunto con l'amministrazione comunale, tant’è che, in data 12 novembre 2014, il dirigente del servizio II della competente direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale ha autorizzato la spesa di euro 150.000,00, per il corrente anno finanziario, «per far fronte alla copertura finanziaria per lavori urgenti e indispensabili per la salvaguardia e la fruizione della necropoli Sa Pala Larga». Con il citato finanziamento, anche in accordo con il comune di Bornova, dovrà essere rimodulato il progetto preliminare già redatto, per valutare quali voci privilegiare nel progetto esecutivo. Il comune di Bornova dovrà verificare la disponibilità di eventuali risorse aggiuntive e, soprattutto, garantire la sorveglianza dell'area durante i lavori ed al termine degli stessi. Sarà indispensabile, inoltre, ripristinare la strada d'accesso.
  Per quanto riguarda, infine, la necropoli di Sant'Andrea Priu, menzionata nell'interrogazione, si precisa quanto segue.
  La necropoli è ben distante da quella di Sa Pala Larga: si tratta di diversi chilometri (almeno quattro) e per di più su strada sterrata, attualmente percorribile solo su fuoristrada.
  La necropoli ed in particolare le pitture della cosiddetta «Tomba del Capo» sono state restaurate anni fa e recuperate pienamente alla fruizione pubblica, atteso che il sito è visitabile con l'accompagnamento del personale di una cooperativa.
  In ogni caso, si rappresenta che stanno per iniziare lavori per una migliore fruizione della necropoli con finanziamenti gestiti dal comune. Al riguardo, la competente soprintendenza ha comunicato che l'amministrazione comunale ha già avviato le procedure per l'appalto dei lavori di «Valorizzazione e riqualificazione dell'area storica archeologica fonte Su Lumarzu, necropoli di Sant'Andrea Priu, Prigioni Romane». Al riguardo, sul sito internet del comune di Bonorva è tuttora pubblicato un avviso pubblico di manifestazione di interesse per l'espletamento di procedura negoziata, ai sensi dell'articolo 57, comma 6 e dell'articolo 122, comma 7, del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, relativa all'affidamento dei suddetti lavori.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   PILOZZI e PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, a quanto risulta allo scrivente, il Dipartimento centrale di pubblica sicurezza ha presentato un progetto di razionalizzazione dei presidi territoriali degli Uffici della polizia di Stato, che consiste nella chiusura di sedi di commissariati di pubblica sicurezza, di posti di Polizia ferroviaria, di sezioni di polizia postale, delle squadre nautiche e di squadre a cavallo, per un totale di 261 uffici di polizia su tutto il territorio nazionale;
   tale progetto sarebbe già al vaglio di questori e prefetti competenti che dovranno valutarne la compatibilità ed esprimere un parere entro la prima metà di marzo 2014;
   l'iniziativa, sarebbe dettata esclusivamente da esigenze di bilancio, con l'obiettivo di risparmiare risorse da destinare ad attività allo stato ignote. Questo ulteriore taglio, ma sarebbe più giusto definirlo smantellamento, del sistema sicurezza nazionale, segue i recenti tagli lineari alle risorse economiche che dovrebbero assicurare piena funzionalità alla polizia di Stato;
   il taglio interesserà tutto il territorio nazionale, compresi i commissariati della provincia di Frosinone, destinati a subire una sorte che, a giudizio del sottoscritto, appare come un gravissimo errore in quanto riduce drasticamente i presidi di controllo su un territorio fortemente a rischio non solo per la criminalità comune – molto forte in questi ultimi mesi – ma anche per la massiccia presenza della criminalità organizzata;
   le conseguenze nefaste sulla qualità e l'efficienza del controllo di pubblica sicurezza da parte del progetto, è stata denunciata anche dal Coisp, il sindacato della polizia, che ha evidenziato i danni derivanti dalla possibile chiusura delle sezioni di polizia postale e dall'accorpamento di varie sezioni di polizia stradale;
   il Corpo di polizia è quello che, negli ultimi anni, è stato tra i più colpiti dai tagli alla spesa pubblica, con conseguenze oramai al limite della sopportabilità: mancanza di personale, taglio delle pattuglie su strada, difficoltà nell'approvvigionamento carburante e, ora, addirittura la chiusura delle sedi e l'accorpamento dei reparti;
   i commissariati di polizia sparsi sul territorio nazionale svolgono una fondamentale opera di prevenzione repressione dei reati –:
   se il Ministro si appresti effettivamente a varare un piano di razionalizzazione della spesa pubblica caratterizzato dalla chiusura di numerose sedi di commissariati di pubblica sicurezza, di posti di polizia ferroviaria, di sezioni di polizia postale, delle squadre nautiche e di squadre a cavallo;
   se non ritenga opportuno, al contrario, potenziare e dotare di maggiori risorse gli organi della polizia di Stato, impegnati nelle attività di prevenzione e repressione dei reati su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento a quei territori, quale la provincia di Frosinone, in cui la presenza della criminalità organizzata è un fenomeno oramai accertato giudizialmente. (4-04136)

  Risposta. — La questione segnalata nell'interrogazione in esame, relativa alla chiusura di una serie di uffici di polizia sul territorio nazionale, è legata ad un piano di razionalizzazione sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza. 
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.

  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2010 il Ministero della salute ha emanato le «Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica»;
   la necessità di tale provvedimento si basa sull'esigenza di «facilitare, sin dall'infanzia, l'adozione di abitudini alimentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cronico-degenerative (diabete, malattie cardiovascolari, obesità, osteoporosi, ecc.) di cui l'alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio», e sul fatto che «l'obiettivo di favorire nella popolazione corretti stili di vita è prioritario a livello internazionale»;
   l'accesso e la pratica di una sana e corretta alimentazione è uno dei diritti fondamentali per il raggiungimento del migliore stato di salute ottenibile, in particolare nei primi anni di vita;
   nella «Convenzione dei diritti dell'infanzia», adottata dall'ONU nel 1989, è sancito il diritto dei bambini ad avere un'alimentazione sana ed adeguata al raggiungimento del massimo della salute ottenibile, e nella revisione della «European Social Charter» del 1996 si afferma che «ogni individuo ha il diritto di beneficiare di qualunque misura che possa renderlo in grado di raggiungere il miglior livello di salute ottenibile»;
   le indicazioni contenute nel citato documento erano state anticipate dall'assessorato alla scuola di Roma Capitale con la scelta effettuata già nel 2009 della dieta mediterranea e con l'introduzione, una volta al mese, dei menu regionali che andavano a sostituire i menu etnici proposti dalla precedente amministrazione. I menu regionali, i prodotti tipici locali italiani, venivano raccomandati dalle stesse linee guida per favorire l'integrazione dei bambini stranieri, attraverso una più approfondita conoscenza e condivisione anche del cibo, quello della dieta mediterranea, frutto di contaminazioni culturali e gastronomiche tra i paesi affacciati sul Mediterraneo;
   nel novembre 2010 la dieta mediterranea è stata riconosciuta dall'UNESCO quale patrimonio immateriale dell'umanità;
   attualmente nelle mense delle scuole della Capitale, con grande disappunto di molti genitori vengono proposti «15 menu ispirati ad altrettanti paesi europei», molti dei quali sono ben lontani dal rispetto degli standard di quella che viene considerata un'alimentazione sana e appropriata per soggetti in età evolutiva;
   lo scontento manifestato da molte famiglie davanti a piatti quali il «fish and chips» o i würstel con patate, è stato sin qui incredibilmente affrontato dall'assessore competente comunicando alle famiglie di aver trovato soluzione con l'aggiunta di un ulteriore piatto italiano che va indubbiamente a sbilanciare la tabella dell'apporto calorico dei piatti proposti ai bambini;
   tale atto segue l'eliminazione totale dei cibi biologici precedentemente presenti nelle mense romane;
   un'alimentazione sana e varia è essenziale nel contrasto dell'obesità, uno dei grandi problemi della popolazione scolastica, particolarmente importante per la popolazione infantile immigrata che rappresenta un gruppo particolarmente a rischio di eccedenza ponderale –:
   se siano informati dei fatti di cui in premessa e, per quanto di competenza, quali iniziative intendano assumere al fine di garantire il rispetto da parte di tutti gli istituti scolastici delle linee di indirizzo di cui in premessa e di tutelare la salute dei bambini. (4-07732)

  Risposta. — Le «Linee di indirizzo nazionale sulla ristorazione scolastica», approvate nella Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 134 dell'11 giugno 2010, delineano modalità di risposta a diversi temi: ristorazione come sistema gestionale, ruolo e responsabilità delle varie istituzioni coinvolte, criteri per la definizione del capitolato, aspetti nutrizionali, caratteristiche dei «menu» e valutazione della qualità nutrizionale.
  Sono previsti «menu» elaborati secondo i principi di una alimentazione equilibrata e corretta, differenti per le diverse fasce di età, in linea con quanto indicato nelle «Linee guida per una sana alimentazione».
  Il «menu» deve rispondere alle caratteristiche di varietà, stagionalità e qualità nutrizionale, tenendo conto delle vari esigenze di metabolismo e di crescita degli studenti.
  Deve essere articolato su 4-5 settimane e deve presentare differenze per i periodi autunno-inverno e primavera-estate. Le variazioni, oltre ad assicurare l'assunzione di tutti i nutrienti, favoriscono l'arricchimento del modello alimentare dei bambini, permettendo di assaggiare nuovi gusti e sapori.
  Nei cinque pasti della settimana i primi piatti possono essere costituiti da cereali (pasta, riso, orzo, ecc.), i secondi piatti da carni bianche e rosse, pesce, salumi, uova e formaggi. Accompagnati da un contorno di verdure od ortaggi. Ciascun pasto deve prevedere, inoltre, frutta di stagione, pane e acqua.
  Il Ministero della salute, con le linee di indirizzo, ha inteso fornire indicazioni generali relative al servizio di ristorazione scolastica che è, comunque, gestito a livello territoriale. Gli aspetti di igiene, sicurezza alimentare e nutrizionale sono indicati all'interno del piano di autocontrollo aziendale.
  È demandata al Servizio igiene alimenti e nutrizioni (SIAN) delle diverse aziende sanitarie locali la sorveglianza sulle caratteristiche igienico-nutrizionali dei pasti e l'attività di vigilanza e controllo in relazione alle normative vigenti.
  In vista della necessità di verificare il riscontro e l'efficacia delle citate linee di indirizzo, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero della salute ha realizzato un'indagine conoscitiva, che ha permesso una visione panoramica della situazione relativa alla ristorazione scolastica in Italia.
  I dati più significativi dell'indagine hanno messo in luce che, accanto alla conoscenza (73 per cento) delle linee di indirizzo nazionali per la ristorazione scolastica, è emersa una minima percentuale (2,39 per cento) di scuole che, pur conoscendole, non le applica.
  È quindi auspicabile che si attivi un meccanismo di sensibilizzazione che consenta di ottenere un maggiore controllo a livello periferico, ai fini di identificare i punti critici su cui è opportuno intervenire.
  Risulta, infine, opportuno intensificare le iniziative di formazione del personale scolastico e quelle di comunicazione rivolte ai bambini, con l'obiettivo di rendere la ristorazione scolastica un vero e proprio momento di educazione alimentare.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RAMPI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nelle farmacie italiane sono reperibili le seguenti varietà di cannabis terapeutica: Bedrocan, Bediol, Sativex; i galenici bedrocan e bediol vengono importati dall'Olanda;
   il ricorso al Sativex è fortemente limitato dal costo ed eterogeneità legislativa regionale;
   il ricorso al Sativex non è percorribile per alcune categorie di pazienti;
   sulla base di segnalazioni di numerosi operatori:
    le esportazioni di Bediol sono state sono state sospese da e per alcuni mesi;
    alla data di presentazione di questo atto di sindacato ispettivo il Bediol non è reperibile sul mercato italiano;
    i quantitativi previsti in arrivo di circa 60 grammi sono ritenuti insufficienti per l'accessibilità e la prescrivibilità in nuovi casi;
   il persistere dell'assenza di Bediol comporta il concreto rischio di dover interrompere i trattamenti per i pazienti attualmente in terapia –:
   quali siano le motivazioni o le problematiche che hanno bloccato le importazioni dall'Olanda del Bediol;
   quali misure il Ministero della salute intenda adottare affinché sia garantita la continuità terapeutica per i pazienti attualmente in trattamento con detta medicina;
   quali misure il Governo intenda adottare affinché venga garantita con continuità la accessibilità da parte dei pazienti del Bediol, o ad analoghi prodotti, per le nuove terapie, in considerazione del fatto che per alcune patologie o pazienti, quali quelli pediatrici, esso rappresenta l'unico tipo di cannabinoide prescrivibile.
(4-07179)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti presso l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA).
  L'AIFA dispone di un sistema di gestione delle carenze in relazione ai solo farmaci in possesso di un'Autorizzazione all'immissione in Commercio (AIC) registrata in Italia, che ha lo scopo di raccogliere le segnalazioni relative alle stesse, valutarne la criticità e cercare le soluzioni più opportune per assicurare ai pazienti la continuità delle terapie, con particolare riguardo alle specialità medicinali che sono assolutamente indispensabili per la cura e il mantenimento della terapia di determinate patologie.
  In proposito, ricordo che è stato firmato l'accordo di collaborazione tra il Ministro della salute e il Ministro della difesa – in data 18 settembre 2014 – finalizzato all'avvio del Progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis, da svolgere presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, secondo le modalità di cui ad un protocollo operativo da definire da parte di apposito gruppo di lavoro.
  Tale gruppo tecnico, costituito da rappresentanti dei ministeri coinvolti, delle regioni e dell'Istituto Superiore di Sanità, ha elaborato il protocollo operativo per la realizzazione del Progetto pilota.
  Il protocollo operativo è stato sottoposto al Consiglio superiore di sanità, che ha formulato una serie di valutazioni migliorative.
  All'esito della procedura articolata sarà possibile che lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze effettui le operazioni di coltivazione e fabbricazione della sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis, nonché quelle di allestimento della stessa in confezioni da distribuire, su richiesta delle regioni e delle province autonome, alle farmacie territoriali e ospedaliere.
  È anche previsto che queste ultime allestiscano direttamente le preparazioni magistrali, che potranno poi essere dispensate dietro presentazione di apposita ricetta medica.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ROCCELLA, SANDRA SAVINO, CALABRÒ, MINARDO, SCOPELLITI, TANCREDI, SAMMARCO, BUTTIGLIONE, BINETTI, PISO, VIGNALI, DE MITA, SALTAMARTINI, TOTARO, NASTRI, MAIETTA, GIGLI, VALENTINI, VELLA, PAGANO, CHIARELLI, MAROTTA, BIANCONI, FITZGERALD NISSOLI, ELVIRA SAVINO, CASTIELLO, LAFFRANCO, GIAMMANCO, BIANCOFIORE, ABRIGNANI, POLIDORI, SISTO, CARFAGNA, GELMINI, CALABRIA, MOTTOLA, LAINATI, PARISI, DISTASO, ALBERTO GIORGETTI, LATRONICO, PRESTIGIACOMO, ALTIERI, PALMIERI, SQUERI, SBERNA, CERA, FAUTTILLI, FUCCI, ALLI e PICCONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 30 della Costituzione italiana sancisce il dovere e il diritto dei genitori a «mantenere, istruire ed educare i figli»;
   la Convenzione dei diritti del bambino, all'articolo 14, afferma «il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione», e ribadisce «il diritto e il dovere dei genitori di guidare il fanciullo nell'esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità»;
   la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (STE n. 9), ricorda come «lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche», e raccomanda «di procedere rapidamente all'analisi richiesta per identificare le riforme necessarie a garantire in maniera effettiva il diritto alla libertà di scelta educativa»;
   la normativa nazionale, con la legge n. 53 del 2003, all'articolo 1, comma 1, dichiara che la scuola persegue il fine di «favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori»;
   contrariamente a quanto fin qui citato, sono mesi che nelle scuole italiane, di ogni ordine e grado, vengono attivate iniziative extracurriculari che si occupano di tematiche eticamente sensibili, di temi che affrontano problematiche di carattere antropologico, e in generale di argomenti che entrano nella sfera dell'intimità personale, senza alcun coinvolgimento delle famiglie, e quindi senza l'autorizzazione dei genitori, violando, di fatto, il diritto alla libertà di scelte educativa dei genitori, nell'ambito di una alleanza fra la scuola e la famiglia;
   queste iniziative attivate dalle scuole coinvolgono studenti di ogni ordine e grado, anche piccolissimi, e si basano sulla diffusione di materiale di propaganda gay e gender;
   il 10 marzo 2015 qualificate fonti di stampa denunciavano l'ennesimo episodio di propaganda gender a Trieste;
   a finire nell'occhio del ciclone, questa volta, è stato il «Gioco del rispetto – Pari e dispari»: un progetto al quale ha aderito il comune di Trieste, proposto ai bambini di 45 scuole dell'infanzia di Trieste e che mira, come si legge sull'opuscolo informativo, «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
   il progetto in questione non era stato inserito nel pof, il piano di offerta formativa, e quindi non era stato prospettato alle famiglie, proprio per questo motivo, un genitore, accortosi per caso del progetto e contrariato dall'iniziativa non precedentemente discussa e quindi non autorizzata, ha inviato una diffida alla dirigente scolastica;
   solo dopo alcuni giorni dalla diffida, la scuola ha deciso di affiggere in bacheca avvisi generici per i genitori circa l'implementazione del gioco. Avvisi che presentavano il progetto per la «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne», cosa che non corrisponde al reale contenuto dell'iniziativa;
   sempre solo alcuni giorni dopo la diffida, la dirigente ha fatto esporre un cartello con scritto: «Kit» e una freccia che indica una scatola su un tavolino. Questa doveva essere, probabilmente, la sua attività di informazione alle famiglie circa la valenza educativa del «Gioco» in questione;
   il progetto è stato dunque presentato a giudizio degli interroganti con finta trasparenza e in modo molto generico ai genitori e solo dopo che era già entrato nella scuola, senza l'autorizzazione delle famiglie;
   il progetto in questione ha immediatamente suscitato lo sconcerto dei genitori dei bambini;
   in particolare, ciò che ha allarmato le famiglie sono i giochi proposti nel progetto e alcune frasi riportate nelle schede di gioco contenute nel kit distribuito negli istituti che hanno aderito all'iniziativa e che forniscono alle insegnanti indicazioni su come svolgere i giochi stessi;
   uno di questi giochi prevede che: «... L'insegnante a questo punto fa notare che le sensazioni e le percezioni che (n.d.a.: i bambini) hanno provato sono uguali per i corpi dei maschi e per i corpi delle femmine. I corpi funzionano nello stesso modo. Per rinforzare questa percezione i bambini/e possono esplorare i corpi dei loro compagni/e (utilizzare uno stetoscopio, se si riesce a reperirlo), ascoltare il battito del cuore a vicenda, respirare per riempire i polmoni e poi svuotarli facendo porre la mano sul torace, eccetera Ovviamente i bambini/e possono riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale. È importante confermare loro che maschi e femmine sono effettivamente diversi in questo aspetto, e nominare senza timore i genitali maschili e femminili ma che tali differenze non condizionano il loro modo di sentire, provare emozioni, comportarsi con gli altri/e»;
   tra i giochi proposti c’è pure quello del «Se fossi» durante il quale i bambini utilizzando dei costumi si travestono. «I bambini e le bambine – scrivono le schede informative – potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati»;
   è evidente a giudizio degli interroganti, in questo caso come in altri, che non si cerca tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma di introdurre l’«ideologia del gender» fra i minori e di instillare nei giovani alunni l'idea che non esistono maschio e femmina, madre e padre;
   per le norme nazionali e internazionali lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere all'educazione dei figli nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per garantire il diritto alla libertà di educazione della famiglia e la scelta educativa dei genitori, e quali misure intenda promuovere per arginare quello che agli interpellanti appare un fenomeno ormai incontrollato di propaganda gay e gender nelle scuole italiane. (4-08770)

  Risposta. — In relazione a quanto prospettato con l'interrogazione in esame, va chiarito anzitutto che il «Gioco del rispetto – Pari e dispari» è un progetto dal comune di Trieste e della regione Friuli Venezia Giulia, proposto a 18 scuole paritarie comunali dell'infanzia che, nella loro autonomia, stanno valutando, sentite le famiglie e i rispettivi Consigli scolastici, l'eventuale adesione.
  Nel novembre 2014, infatti, la Giunta comunale ha approvato questa iniziativa, presentata da un'associazione del territorio e proposta, già dal 2013, da un team di lavoro multidisciplinare che vede la partecipazione anche dell'università degli Studi di Trieste. Il progetto ha ottenuto il contributo della Regione nel 2013 quale miglior progetto della sua categoria per la realizzazione delle pari opportunità tra donna e uomo ed è stato già positivamente sperimentato nell'anno scolastico 2013/2014 in 4 scuole dell'infanzia statali.
  Le preoccupazioni manifestate dall'onorevole interrogante, quali il mancato coinvolgimento dei genitori, le non sufficienti garanzie offerte da chi interagisce in questo progetto, se pur condivisibili, non appaiono riguardare la sfera di competenza «procedurale» del progetto che, invece, testimonia un coinvolgimento delle istituzioni a più livelli, comunale e regionale, e delle scuole paritarie che, autonomamente e collegialmente, sentite le famiglie, sentito il consiglio della scuola, ne decidono la partecipazione.
  Sulla base delle informazioni assunte dall'Ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia, l'iniziativa rientra, infatti, nell'autonoma determinazione di ciascuna scuola paritaria comunale.
  Il progetto si propone di fornire agli insegnanti della scuola dell'infanzia elementi teorici e strumenti pratici per lavorare con i bambini sui temi della parità e del contrasto alle discriminazioni.
  Alla luce degli elementi acquisiti risulta che il progetto prevede che, dopo la fase di formazione degli insegnanti, l'iniziativa sia presentata dagli stessi docenti ai rispettivi collegi, cui è demandata la decisione di proseguire nel percorso educativo intrapreso. Là dove si decida di dare esecuzione, è prevista la convocazione di una riunione con tutti i genitori, che potranno scegliere se aderire o meno. Ai bambini che non parteciperanno al progetto la scuola offrirà attività alternative.
  Il progetto viene inoltre sottoposto al consiglio della scuola. Solo alla fine di questo «iter» l'iniziativa potrà prendere avvio.
  Inoltre, per quanto concerne il materiale didattico predisposto, secondo gli elementi informativi acquisiti, si precisa che il kit è composto di un fascicoletto di linee guida, di un secondo fascicoletto di schede di gioco e, soprattutto, di 11 tavole in cartone raffiguranti persone e animali con brevi storie, più 24 tessere di cartone raffiguranti ciascuna una persona di sesso maschile o una persona di sesso femminile, nei rispettivi abbigliamenti professionali o sportivi o della vita familiare.
  Alla luce delle informazioni di cui si dispone, il progetto apparrebbe, quindi, coerente con le Indicazioni nazionali emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, considerato che alla scuola viene riconosciuto il compito di promuovere la piena formazione della personalità degli alunni e di valorizzarne l'identità personale nell'ambito del processo educativo, così da evitare ogni forma di discriminazione.
  Più in generale, si evidenzia come, secondo le «Indicazioni per il Curricolo» emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la scuola deve «...perseguire costantemente l'obiettivo di costruire un'alleanza educativa con i genitori, relazioni costanti che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative».
  Per quanto concerne «il diritto alla libertà di educazione della famiglia e la scelta educativa dei genitori» si precisa che, attraverso l'emanazione delle Linee di indirizzo recanti «Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa» diramate il 22 novembre 2012, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inteso sottolineare l'importanza della partecipazione dei genitori nella vita scolastica, sia negli istituti statali che paritari di ogni ordine e grado, trasformandola da mera presenza negli organi collegiali ad autentica cooperazione alla progettualità e ai processi formativi.
  Ne consegue il compito per tutte le istituzioni scolastiche di dare piena attuazione agli indirizzi succitati introducendo modalità organizzative che favoriscono un maggiore coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica, investendoli della corresponsabilità educativa.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Dipartimento di pubblica sicurezza ha diramato una comunicazione alle questure, del 3 marzo 2014, in cui prospetta una razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio nazionale, tenendo conto della «conclamata carenza di organico in cui versano le Forze dell'Ordine e l'attuale congiuntura economica»;
   il piano prevede una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità di base (stradale, ferroviaria postale e di frontiera) e più precisamente: a) la soppressione di 11 Commissariati distaccati di pubblica sicurezza: b) la soppressione di 2 compartimenti e di 27 presidi minori, e l'accorpamento di 6 presidi con uffici attigui di Polizia Stradale; c) la soppressione di 73 fra sottosezioni e posti Polfer di polizia ferroviaria, l'elevazione di 13 presidi e il declassamento di altri 20; d) la soppressione di 2 Zone di frontiera e di 10 presidi minori e l'accorpamento di 2 uffici di polizia di frontiera; e) la soppressione di tutte le 50 squadre nautiche, di 4 squadre sommozzatori, di 11 squadre a cavallo e di 4 nuclei artificieri; f) della scuola per i servizi di polizia a cavallo; g) la rimodulazione degli Istituti di istruzione della Polizia di Stato, con l'intento di ridurli e di concentrarli in 3 o 4 sedi;
   nel Friuli Venezia Giulia, secondo queste indicazioni, verrebbero abolite le squadre nautiche esistenti; sarebbero soppressi i presidi di polizia postale dei capoluoghi di provincia, fatta eccezione per il capoluogo regionale; sarebbero eliminati i presidi di polizia ferroviaria di Cervignano del Friuli, Tarvisio, Casarsa e la sottosezione di Villa Opicina; sarebbe soppresso il presidio della Polstrada di Pontebba; verrebbero chiusi i Commissariati di P.S. di Sistiana e Tolmezzo; la funzione di controllo delle frontiere sarebbe trasferita dalla polizia di frontiera alla questura (Trieste e Tarvisio); mentre rimane incerta la sopravvivenza della Scuola allievi della Polizia di Stato di Trieste;
   pur condividendo lo spirito di riorganizzazione e ottimizzazione delle risorse del dipartimento di pubblica sicurezza, preme all'interrogante segnalare alcune necessità territoriali che sarebbero, ad avviso anche delle istituzioni locali, disattese ove il piano di riorganizzazione venisse attuato come da intendimenti emersi dalla nota di cui sopra, o se venisse attuato senza la predisposizione di un piano che garantisca gli attuali livelli di sicurezza garantiti con i presidi oggi esistenti;
   il posto di polizia ferroviaria di Cervignano del Friuli è un presidio importante nell'ambito della rete di trasporti su rotaia nella regione, in quanto ha competenza sul territorio del basso Friuli e su entrambe le direttrici Trieste-Venezia e Udine-Cervignano, servendo un'area che raggiunge le località di Portogruaro, Latisana, Lumignacco e il ponte di ferro sul fiume Isonzo;
   sulle linee ferroviarie che insistono sul territorio, la presenza della polizia ferroviaria è ad oggi quotidiana per attività di monitoraggio e pattugliamento diurno e notturno: le stazioni ferroviarie sono considerate a rischio di atti vandalici oltre che di furti di rame che sono sempre più frequenti;
   l'interrogante sottolinea come, peraltro, nella zona sopra circoscritta è compreso anche lo scalo intermodale che rappresenta lo snodo del futuro trasporto commerciale e la linea sulla quale dovrebbe svilupparsi il Corridoio 5;
   al pari, preoccupa anche il disimpegno operato a Tarvisio dove vengono soppressi contestualmente sia la sezione di polizia ferroviaria che il presidio di polizia di frontiera, nonostante essa sia la prima stazione ferroviaria in ingresso nel territorio nazionale per i convogli internazionali, e nonostante la località si collochi tra due importati valichi di confine con l'Austria e la Slovenia protagonisti, anche recentemente, di operazioni delle forze dell'ordine che hanno fermato presunte attività illecite;
   i commissariati di Tolmezzo e Duino Aurisina sono gli unici presidi di Pubblica sicurezza nelle rispettive aree, e servono un bacino ben più ampio del solo comune in cui sono insediati. La soppressione di queste due sedi arrecherebbe molteplici disagi ai cittadini che si vedrebbero costretti a rinunciare all'espletamento delle attività amministrative in sede, ma dovrebbero recarsi presso la sede della questura non sempre facilmente raggiungibile;
   nel caso di Duino Aurisina, all'interrogante preme far presente che nel territorio si è in presenza dell'imminente sviluppo di un importante porto turistico e di fenomeni criminali quali il furto di e a bordo di natanti ormeggiati nei porticcioli del comune marittimo e di periodiche recrudescenze dei furti in villa, situazioni rispetto alle quali l'attività di prevenzione svolta dai servizi originati dal commissariato e il concorso alle necessarie attività repressive hanno costituito argine irrinunciabile –:
   quali siano le linee guida che hanno condotto il Ministero ad individuare – nel dettaglio – le sedi oggetto di accorpamento o soppressione;
   se il Ministro confermi il piano esposto in premessa e quali iniziative abbia ipotizzato o intenda adottare affinché dall'attuazione del programma di riordino non giunga alcun pregiudizio per i livelli di sicurezza assicurati ai cittadini;
   come il piano di riorganizzazione dell'arma dei carabinieri nella regione Friuli Venezia Giulia interagisca con il programma predisposto dal dipartimento di pubblica sicurezza;
   quali siano gli intendimenti del Ministro sulla scuola allievi di polizia di Stato di Trieste e sul suo futuro, posto che ad oggi risulta essere uno dei principali poli italiani di addestramento e formazione. (4-04237)

  Risposta. — Le questioni segnalate nell'interrogazione in esame, relative alla soppressione di alcuni presidi della polizia di Stato nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale denotato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibili recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SAMMARCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il commissario unico dei tre IRCCS di Roma dottor Alberti ha predisposto il ROF (Regolamento di organizzazione e funzionamento), documento propedeutico alla «fusione» gestionale, amministrativa e sanitaria degli ospedali San Gallicano, Regina Elena e Spallanzani, operanti nel territorio del comune di Roma;
   detto piano rischierà di screditare il carattere scientifico di eccellenza e alta specializzazione dell'istituto oncologico e di quello dermatologico;
   tale rischio risulta evidenziato dai medici operanti negli istituti che, nel corso di una assemblea generale del personale, nel proclamare lo stato di agitazione, hanno mosso ai vertici aziendali il rilievo di non aver affatto compreso le esigenze di pazienti ed operatori;
   il piano di riorganizzazione porterebbe ad un depotenziamento della ricerca sperimentale e al declassamento della «oncoematologia», al depotenziamento della «medicina nucleare», di fatto azzerando la «psiconcologia», che ha finora consentito di assistere i malati oncologici nei gravissimi problemi relazionali e sociali derivanti dalla grave affezione subìta;
   il personale medico interessato lamenta che il nuovo Regolamento di organizzazione e funzionamento non tiene in alcun conto la recente evoluzione clinico-scientifica della lotta ai fenomeni tumorali, per nulla considerando lo sviluppo dei nuovi farmaci, le terapie palliative e le riabilitazioni oncologiche, tutti elementi indispensabili in istituti oncologici di eccellenza;
   anche l'Istituto dermatologico San Gallicano, nella riorganizzazione proposta dal commissario vede ridotta la sua struttura amministrativa a sole due strutture complesse;
   il nuovo Regolamento di organizzazione e funzionamento introdotto dal commissario Alberti lascia intravedere anche la fusione con l'Istituto malattie infettive Spallanzani, con conseguente accorpamento di personale, laboratori, corsie e ambulatori, senza tener alcun conto delle diversissime patologie dei pazienti in cura;
   nella totale assenza di confronto con il personale medico e paramedico, nel contempo, il commissario Alberti ha ritenuto, con delibera n. 174 del 9 ottobre 2014, procedere ad un aumento degli emolumenti del commissario stesso, dei direttori scientifici, dei direttori amministrativi e sanitari, oltre che del collegio sindacale e dell'OIV;
   l'accorpamento, a giudizio dell'interrogante del tutto discrezionale, di tre eccellenze di natura così diversa e la drastica e incongruente riduzione strutturale potrebbero comportare una forte diminuzione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con conseguente limitazione dei posti letto e inevitabile allungamento delle liste di attesa –:
   se non ritenga opportuno verificare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, se il processo di riorganizzazione descritto in premessa, oltre a comportare un aumento degli oneri stipendiali in favore della attuali dirigenze dei tre istituti, a giudizio dell'interrogante, irragionevole in quanto adottato prima del processo di ristrutturazione e non alla sua conclusione a fronte di maggiori responsabilità, non rischi di produrre anche una riduzione dei livelli essenziali di assistenza e più in generale dalla qualità dei servizi prestati dalle tre eccellenze della sanità laziale. (4-08623)

  Risposta. — Con riferimento alla tematica in esame si fa presente, in via preliminare, che in data 25 luglio 2014 la struttura commissariale della regione Lazio ha trasmesso il decreto del Commissario ad-acta 247/2014 di adozione dei Programmi operativi (PO) 2013-2015, nell'ambito dei quali è previsto l’«Accorpamento fra I.R.C.C.S. “LAZZARO SPALLANZANI” e I.R.C.C.S. IRE-ISG. Per i due Istituti viene prevista un'unica Direzione Generale, Sanitaria ed Amministrativa, mantenendo separate le Direzioni scientifiche ai fini del mantenimento della specificità degli stessi.».
  In merito, i tavoli di verifica ministeriali, relativamente alla proposta di Programmi operativi 2013-2015, nella riunione del 15 aprile 2014 si erano riservati «di esprimersi successivamente, sui provvedimenti di attuazione di quanto previsto».
  La struttura commissariale, quindi, in attuazione di quanto previsto dal Programma operativo 2013-2015, ha trasmesso il decreto del Commissario ad-acta 259 del 6 agosto 2014, relativo alle linee guida per l'adozione degli atti aziendali delle aziende sanitarie, che ha disposto, tra l'altro, la redazione di un atto aziendale unico per i succitati Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico.
  Successivamente, invece, con il decreto del Commissario ad-acta 454 del 23 dicembre 2014, in merito al quale i Ministeri affiancanti nel relativo parere hanno preso atto, ha stabilito per gli stessi la redazione di due distinte proposte di piano strategico e di atto aziendale.
  Nel merito del previsto accorpamento si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo occorre tenere presente che gli Istituto fisioterapico ospedaliero sono stati costituiti a seguito di accorpamento, disposto con regio decreto 4 agosto 1932, n. 1296, dell'Istituto Regina Elena e dell'Istituto Santa Maria e San Gallicano.
  Tali istituti si configuravano, in epoca previgente al decreto legislativo n. 288/03, quali istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in due differenti discipline, ossia, rispettivamente, oncologia e dermatologia. Gli istituti predetti sono stati poi confermati, nella loro rispettiva (previgente) qualità di Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico (si ribadisce, in due differenti discipline), in data successiva all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 288/03 (cfr. Decreto Ministero della Salute del 29 marzo 2006).
  Peraltro, alla data delle relazioni delle valutazioni in site-visits degli Istituti di ricovero e cura di carattere scientifico da parte della Commissione Ricerca del Ministero della Salute, propedeutica alla successiva conferma del carattere scientifico, avvenuta come detto con il richiamato decreto ministeriale del 2006, gli istituti Regina Elena e S. Gallicano, costituenti gli Istituti fisioterapico ospedaliero, già condividevano l'organo apicale, mantenendo però separate le rispettive direzioni scientifiche.
  Il decreto legislativo n. 288/03, all'articolo 13, comma 1, prevede che «L'istituzione di nuovi Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico deve essere coerente e compatibile con la programmazione sanitaria della Regione interessata; essa è subordinata al riconoscimento di cui al comma 3 ed avviene con riferimento a un'unica specializzazione disciplinare coerente con gli obiettivi della programmazione scientifica nazionale di cui all'articolo 12-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni ed ai soli presidi nei quali la stessa attività è svolta. I policlinici possono essere riconosciuti con riferimento a non più di due discipline, purché tra loro complementari e integrate».
  La norma sopra trascritta non dovrebbe trovare applicazione nel caso, non specificamente disciplinato dal predetto decreto legislativo n. 288, in cui la regione Lazio intendesse procedere ad un ulteriore accorpamento funzionale (come a suo tempo già avvenuto fra gli istituti Regina Elena e l'istituto Santa Maria e San Gallicano, per costituire gli Istituti fisioterapico ospedaliero), fra gli Istituti fisioterapico ospedaliero e lo Spallanzani, i quali, singolarmente considerati, manterrebbero, ove confermati, le loro rispettive specificità.
  Il previsto accorpamento non dovrebbe quindi comportare l'istituzione di un nuovo, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 288/03, Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico.
  In altri termini, laddove l'operazione prevista dalla amministrazione regionale non porti alla costituzione di «nuovi» Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico, bensì alla gestione unificata delle attività dei singoli istituti, già riconosciuti tali e così riconfermati, ai sensi della normativa di settore sopra richiamata, si tratterebbe di una soluzione organizzativa non espressamente disciplinata dalla specifica vigente normativa, ma con essa non parrebbe confliggente.
  È opportuno segnalare, infatti, che l'eventuale accorpamento in via programmatica previsto dalla regione Lazio non andrebbe ad aumentare il computo totale degli Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico e delle specifiche discipline, riconosciuti in ambito regionale, bensì costituirebbe, anche in virtù della attuale situazione economico-finanziaria in cui i medesimi versano, un'azione di Governo del sistema volta alla razionalizzazione ed al potenziamento dell'efficienza di tali strutture.
  Tale azione pare, sotto altro profilo, coerente con le persistenti e pressanti esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica, in attuazione di precisi vincoli imposti alla regione Lazio dalla disciplina speciale dettata sul rientro dai disavanzi sanitari.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GIOVANNA SANNA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sono state fatte diverse segnalazioni sulle gravi condizioni in cui versa la Domus de Janas Sa Pala Larga nel comune di Bonorva, in provincia di Sassari, per il rischio di una irreversibile compromissione del monumento, dei suoi graffiti e bassorilievi;
   il monumento, una sepoltura risalente al 3000 a.C., appartenente alla cosiddetta cultura di Ozieri, è una delle necropoli più importanti della Sardegna, situata a breve distanza dall'importante sito monumentale di Sant'Andrea Prius, che rappresenta una unicità nel bacino del Mediterraneo;
   considerata la sua importanza storica e culturale, questo sito ha sempre raccolto l'interesse non solo degli addetti ai lavori ma anche di un grande numero di visitatori e turisti;
   l'amministrazione comunale di Bonorva, in stretta collaborazione con la sovrintendenza archeologica di Sassari, ha fatto quanto possibile per la tutela e valorizzazione di questo complesso archeologico, attivando interventi di messa in sicurezza contro il rischio di crolli, per evitare infiltrazioni di acqua e il ripetersi di atti vandalici da parte dei tombaroli;
   in tanti anni il comune e la sovrintendenza hanno cercato di reperire i fondi necessari per il completamento della messa insicurezza e della tutela della necropoli, finalizzata anche alla piena apertura e fruizione a fini culturali e turistici;
   visti i continui e pesanti tagli degli ultimi anni che hanno riguardato il settore dei beni culturali, ad oggi tali risorse sono venute meno con il conseguente avanzamento del deterioramento del monumento –:
   quali iniziative intenda porre in essere per evitare il degrado e l'aggravarsi delle condizioni di pericolosità in cui versa questo importante bene culturale;
   se non ritenga necessario e opportuno promuovere un incontro operativo urgente tra le istituzioni nazionali, regionali e locali al fine di predisporre un piano di salvaguardia e di valorizzazione del sito archeologico Sa Pala Larga di Bonorva, individuando uno stanziamento apposito nell'ambito dei programmi di spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della regione Sardegna. (4-04222)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo, in esame, con il quale si chiede se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere un incontro operativo tra le istituzioni nazionali e locali allo scopo di predisporre un piano di salvaguardia e valorizzazione del sito archeologico Sa Pala Larga, sito nel comune di Bonorva (SS), si comunica quanto segue.
  La necropoli a domus de janas di Sa Pala Larga è situata all'interno della cosiddetta tenuta Mariani (circa 700 ettari) di proprietà del Comune di Bonorva, ma della quale lo stesso comune non riesce ancora ad avere la piena proprietà a causa di contenziosi con alcuni allevatori che pascolano nell'area.
  La necropoli di Sa Pala Larga o di Mariani, come viene anche impropriamente definita, è stata segnalata alla Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro nel 1996, da un privato cittadino di Bonorva.
  Negli anni successivi sono stati effettuate delle indagini che hanno evidenziato cinque tombe, due delle quali particolarmente ricche di decorazioni – a basso rilievo, incise e dipinte – di chiaro valore simbolico e rituale. I danneggiamenti subìti in precedenza dalle tombe, per il passaggio di mezzi pesanti e per la particolare struttura della roccia nella quale sono state ricavate che tende a fessurarsi verticalmente, hanno suggerito di ricoprire le tombe per evitare ulteriori danneggiamenti e pericoli anche per l'incolumità delle persone.
  Ciò è stato fatto puntellando con strutture lignee le tombe, ricoprendo l'area con tessuto-non tessuto, stendendo una rete metallica e ricoprendo il tutto con un sottile strato di cemento. Lo scavo delle tombe e la loro copertura è stata fatta con fondi ministeriali.
  Nel 2005 sono iniziate ulteriori indagini nel territorio di Bonorva, nell'ambito di un ampio progetto di valorizzazione con finanziamenti regionali. Tra le indagini in progetto erano previsti, tra l'altro, il censimento di tutti i monumenti archeologici compresi nella tenuta Mariani e la verifica dell'estensione della necropoli di Sa Pala Larga. Tale verifica ha portato alla scoperta, in un'area prossima, ma non contermine a quella delle tombe 1-5 di cui sopra, di una tomba incompleta (la n. 6) e della tomba n. 7 con motivi decorativi in prevalenza dipinti ma anche scolpiti a bassorilievo.
  Vista l'estrema fragilità anche della tomba 7, è stata inserita nel progetto una consulenza specialistica di un restauratore per verificare le azioni da intraprendere a fine scavo e, in prospettiva, quelle necessarie per la futura eventuale fruizione della tomba. Da questa relazione è emersa la necessità di chiudere ermeticamente la tomba per salvaguardare le pitture e l'impossibilità anche in futuro di consentire un accesso incontrollato.
  Negli anni successivi, la citata soprintendenza ha richiesto finanziamenti per il restauro della Tomba 7 e per la verifica delle condizioni delle altre tombe, sia nella programmazione ordinaria, che in quella straordinaria (progetti Arcus). Tali richieste non sono state accolte per le note diminuzioni di finanziamenti a favore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo registratesi negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda gli interventi sui beni immobili di interesse archeologico.
  Appare utile precisare che quando è stato eseguito lo scavo della tomba 7, le tombe 1-5 erano ancora sigillate nel modo sopra descritto e, quindi, totalmente in sicurezza.
  In questi ultimi anni non è pervenuta alla competente soprintendenza nessuna segnalazione di danneggiamenti nella necropoli. L'unica segnalazione scritta è stata inviata, via mail al dottor Marco Minoja, all'epoca soprintendente ad interim per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano che ha provveduto a trasmetterla alla competente soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro, sempre via mail, in data 25 marzo 2014. La segnalazione è stata inviata anche al sindaco di Bonorva che ha immediatamente contattato lo scrivente sottosegretario Francesca Barracciu concordando un sopralluogo per verificare lo stato della necropoli.
  In data 20 marzo 2014, è stato effettuato un sopralluogo con mezzi messi a disposizione dal comune di Bonorva (il sito non è raggiungibile se non con fuoristrada viste le condizioni delle strade interne alla tenuta Mariani) al quale hanno partecipato anche la sottoscritta e interrogante.
  Dal sopralluogo effettuato è emerso che:
   la copertura messa in opera nel 2002 per salvaguardare le tombe 1-5 è stata manomessa intenzionalmente in più punti. Ciò ha aperto più varchi che hanno portato all'allagamento di una cella di una domus;
   non è possibile, attualmente, entrare nelle tombe senza grave pericolo per l'incolumità personale, in quanto buona parte del puntellamento ha ceduto;
   non è possibile verificare eventuali danneggiamenti all'interno delle tombe senza la preventiva messa in sicurezza delle stesse;
   l'unica possibilità di salvaguardare le tombe da eventuali danneggiamenti è proteggerle nuovamente con una copertura facilmente rimovibile come quella messa in opera a suo tempo;
   l'apertura per la fruizione può essere prevista solo se si dispone di un notevole finanziamento e di un piano di gestione dell'area a lungo termine.

  In data 7 aprile 2014, è stato effettuato un ulteriore sopralluogo a cura della citata soprintendenza. In questa occasione è stato possibile fare anche alcune foto dell'interno del sito. Anche dal secondo sopralluogo è emersa la necessità di provvedere quanto prima alla stesura di una relazione, che può valere quale progetto preliminare, per la tutela delle tombe 1-5. Inoltre, è stato verificato che nella tomba n. 7 la copertura messa in opera per la sua salvaguardia si mantiene in buone condizioni.
  Dai sopralluoghi effettuati emerge la necessità per la Soprintendenza di rinvenire fondi straordinari per consentire i seguenti interventi nelle tombe 1-5:
   rimozione dell'attuale copertura;
   verifica dei puntelli ed eventuale sostituzione degli stessi per la messa in sicurezza delle volte;
   valutazione dei danni subiti dalle pitture per le infiltrazioni d'acqua;
   interventi di restauro sulle pareti, in particolare su quelle che conservano decorazioni;
   realizzazione di una nuova copertura di protezione.

  Oltre a questi interventi, sarebbe opportuno inserire la ripresa in 3o che consentirebbe una divulgazione molto ampia dei dati, anche nell'esposizione museale del comune di Bonorva.
  Per la tomba 7, oltre alla possibilità di prevedere le suddette riprese 3D per una migliore conoscenza e valorizzazione del sito, è emersa la necessità dei seguenti interventi:
   rimuovere temporaneamente la copertura;
   verificare le condizioni delle pitture;
   procedere al restauro degli elementi decorativi, come da progetto preliminare già in possesso della soprintendenza e del comune;
   ricoprire la tomba, in attesa di un ampio progetto di valorizzazione di tutta la necropoli e dell'area della tenuta Mariani.

  Si ribadisce, comunque, che a seguito dei sopralluoghi effettuati, considerate le condizioni del sito, questo Ministero ha tenuto fede, e in tempi brevi, all'impegno assunto con l'amministrazione comunale tant’è che, in data 12 novembre 2014, il dirigente del servizio della competente direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale ha autorizzato la spesa di euro 150.000,00, per il corrente anno finanziario, «per far fronte alla copertura finanziaria per lavori urgenti e indispensabili per la salvaguardia e la fruizione della necropoli Sa Pala Larga». Con il citato finanziamento, anche in accordo con il comune di Bornova, dovrà essere rimodulato il progetto preliminare già redatto, per valutare quali voci privilegiare nel progetto esecutivo. Il comune di Bornova dovrà verificare la disponibilità di eventuali risorse aggiuntive e, soprattutto, garantire la sorveglianza dell'area durante i lavori ed al termine degli stessi. Sarà indispensabile, inoltre, ripristinare la strada d'accesso.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   SIBILIA, RIZZO, COLONNESE, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione del giornale «Il Mattino» del 9 gennaio 2015, dorso Avellino, veniva pubblicato un articolo dal titolo «La moglie di Rauseo: Mafia Capitale c'entra con a sua morte» in cui si racconta la vicenda di Aurelio Rauseo, il maresciallo in servizio al centro operativo della Marina militare di Roma suicidatosi il 17 giugno 2013 a Montefredane (Avellino);
   nello stesso articolo si legge: «È convinzione di Patrizia Battista, moglie di Aurelio, che quell'anomalo suicidio è da collegare allo scandalo che ha coinvolto alcuni alti ufficiali della Marina Militare. (...) Lo scandalo a cui si fa riferimento è quello che il 15 dicembre del 2014 ha portato all'arresto di sei persone, tra cui tre alti ufficiali della Marina Militare accusati di aver rifornito con 11 milioni di litri di gasolio la nave “Victory 1”, che però era affondata da anni»; ancora, nello stesso articolo la moglie di Rauseo dichiara: «Aurelio aveva delle mansioni delicate nell'ambito del proprio lavoro. Era addetto al centro operativo della Marina Militare, dove passano molte informazioni riservate. Non credendo nell'ipotesi del suicidio, posso ritenere che mio marito sia venuto a conoscenza di qualche notizia che aveva a che fare con lo scandalo che solo oggi è uscito fuori nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale»;
   in un altro articolo pubblicato nell'edizione del giornale «Il Quotidiano del Sud» del 9 gennaio 2015, intitolato «Giallo Rauseo, c’è Mafia Capitale ?» c’è il seguente passaggio che, a parere degli interroganti, andrebbe chiarito: «Quella frase sibillina pronunciata da Aurelio al suocero il giorno prima di togliersi la vita: ho litigato con un mio superiore, ma sistemeremo tutto»; per fare piena luce sulla vicenda la famiglia Rauseo ha chiesto alla procura di Roma l'acquisizione di tutti gli atti di indagine relativi allo specifico stralcio dell'inchiesta Mafia Capitale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto drammatico esposto in premessa e se ritenga opportuno, per quanto di competenza e nel rispetto del lavoro della magistratura, acquisire elementi utili ad escludere qualsiasi coinvolgimento della Marina militare nella vicenda del maresciallo Rauseo. (4-07749)

  Risposta. — Secondo quanto reso noto dalla Marina militare, il maresciallo menzionato nell'atto di sindacato ispettivo ha espletato l'incarico di turnista presso la centrale operativa di sorveglianza marittima del Comando in capo della squadra navale dal luglio 2011, con grande impegno, discrezione e riservatezza. I suoi compiti erano relativi alla gestione e diffusione di dati operativi di natura quasi esclusivamente «non classificata».
  Sul suicidio del maresciallo la competente autorità giudiziaria, a seguito della segnalazione da parte dei Carabinieri di Avellino avvenuta nell'immediatezza del fatto (giugno 2013), ha aperto un fascicolo d'ufficio.
  In merito ad un asserito possibile collegamento tra la morte del maresciallo e l'inchiesta denominata «Mafia Capitale» non si hanno elementi di valutazione e si rimanda agli esiti delle indagini della magistratura.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   SPESSOTTO, TOFALO e DE LORENZIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'allarmante notizia diffusa l'11 agosto 2014 dall'agenzia di stampa internazionale Bloomberg News e ripresa in questi giorni dai principali quotidiani nazionali e internazionali, il dentifricio Colgate Total, uno dei più venduti al mondo, conterrebbe una sostanza altamente cancerogena per l'uomo;
   alcuni studi scientifici hanno infatti evidenziato la presenza nel dentifricio Colgate Total del triclosan, una sostanza utilizzata per ridurre la contaminazione batterica, nota per la sua tossicità e per la sua struttura chimica simile a quella della diossina;
   in ragione della sua sospetta tossicità per l'uomo, l'utilizzo del triclosan, in materiali che vengono a contatto con gli alimenti, è stata vietata dall'Unione europea a partire dal marzo del 2010, con la decisione 2010/169/UE;
   la Food and Drug Administration (FDA) americana, ha reso pubblica, solo quest'anno, dopo una querela ricevuta nel 2013 in risposta ad un'istanza di accesso formale ai documenti in questione, la documentazione tossicologica contenuta in un dossier di 35 pagine e utilizzata dalla stessa FDA per l'approvazione del dentifricio Colgate;
   tale rapporto, che a seguito dell'inchiesta redatta dall'agenzia Bloomberg è ora consultabile anche on line sul sito della FDA, rivelerebbe come il triclosan sia effettivamente un componente chimico cancerogeno e che, già al momento della messa in commercio del Colgate Total, la FDA aveva espresso preoccupazioni per il fatto che tale sostanza potesse aumentare il rischio dell'insorgere dei tumori;
   con tale dossier, la FDA ha reso noti i risultati di studi che evidenziano i preoccupanti effetti sulla salute legati alla esposizione al triclosan; in particolare, da questo studio emergerebbe come questa sostanza abbia la capacità di influenzare la funzione muscolare e cardiaca e di alterare gli ormoni della riproduzione e dello sviluppo;
   in un altro studio pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives, gli scienziati della University of California, hanno inoltre osservato l'effetto del triclosan sul cervello, facendo registrare un preoccupante aumento dei livelli di calcio nei neuroni, un effetto che ostacola il normale sviluppo mentale;
   infine, il triclosan non sarebbe pericoloso soltanto per l'uomo, ma anche per l'ambiente: l'Università del Minnesota ha di recente pubblicato una ricerca in cui si evidenzia una crescita dei livelli di questa sostanza come sedimento in laghi e corsi d'acqua, motivo per cui lo Stato del Minnesota ha escluso, per legge, la possibilità di utilizzare tale sostanza per la realizzazione di prodotti di igiene per la casa;
   alle accuse mosse dalla Bloomberg, l'azienda che produce il Colgate Total, la Colgate-Palmolive Co. risponde sostenendo che non ci sarebbero rischi per la salute dei consumatori, in quanto la messa in vendita del suddetto dentifricio è stata approvata dalla Food and Drug Administration nel 1997 e che la sostanza sarebbe pericolosa solo se assunta in grosse quantità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali ulteriori informazioni possa fornire agli interroganti e all'opinione pubblica in merito ai presunti effetti cancerogeni per l'uomo del triclosan;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare affinché si giunga ad una puntuale verifica della sospetta tossicità per l'uomo del triclosan e dei prodotti attualmente in commercio che contengono tale sostanza, in particolare il dentifricio Colgate Total, al fine di scongiurare qualsiasi rischio per la salute umana legato all'utilizzo dei prodotti contenenti tale sostanza. (4-05991)

  Risposta. — Il vigente regolamento comunitario n. 1223 del 2009, recante norme sulla commercializzazione dei prodotti cosmetici, stabilisce che i prodotti cosmetici immessi nel mercato devono essere sicuri per la salute umana, se utilizzati in condizioni d'uso normali o ragionevolmente prevedibili.
  Con riferimento alle sostanze impiegate nei prodotti cosmetici, l'articolo 14 del regolamento n. 1223 del 2009 prevede che i cosmetici non possono contenere sostanze vietate ai sensi dell'allegato II, o sostanze soggette a restrizione non impiegate conformemente alle restrizioni indicate nell'allegato III del medesimo regolamento, e che coloranti, conservanti e filtri UV devono essere impiegati conformemente agli allegati IV, V e VI del regolamento.
  La sostanza triclosan attualmente è inserita al numero d'ordine 25 dell'allegato V («Elenco dei conservanti ammessi nei prodotti cosmetici»), e il suo utilizzo è ammesso per tutti i prodotti cosmetici, alla concentrazione non superiore allo 0,3 per cento.
  Tale sostanza è usata con funzione conservante e deodorante.
  Gli organismi tecnico-scientifici operanti presso la Commissione europea si sono espressi in più occasioni in merito all'impiego del triclosan in ambito cosmetico con le opinioni del 17 settembre 2002, del 10 ottobre 2006 e del 21 gennaio 2009 (http://c.europa.eu/health/scientific_committees/consumer_safety/index_en.htm).
  Da ultimo, lo Scientific Committee for Consumer Safety – SCCS, ha pubblicato, nel marzo 2011, una opinione «in addendum» al precedente parere sulla sicurezza del triclosan reso con l'opinione del gennaio 2009.
  Sulla base di questo nuovo parere, la Commissione europea ha proposto una modifica della regolamentazione del triclosan, che introduce restrizioni aggiuntive all'uso di tale sostanza nei prodotti cosmetici, e che è stata votata dal Comitato permanente dei prodotti cosmetici presso la Commissione europea in data 10 ottobre 2013.
  Tale modifica è stata recepita con il regolamento (UE) n. 358 del 2014 del 9 aprile 2014, che ha modificato l'allegato V e permette l'uso del triclosan solo in dentifrici, saponi per le mani e saponi per il corpo/gel doccia, deodoranti (non spray), ciprie e correttori e prodotti per la pulizia delle unghie, prima dell'applicazione di unghie artificiali, a una concentrazione massima dello 0,3 per cento, e in colluttori a una concentrazione massima dello 0.2 per cento.
  Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal 30 ottobre 2014 per l'immissione nel mercato, e a decorrere dal 30 luglio 2015 per la messa a disposizione nel mercato dei prodotti cosmetici nel territorio UE.
  I prodotti cosmetici attualmente in commercio sono oggetto di attività di vigilanza e controllo da parte delle Autorità competenti, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento 1223 del 2009.
  Con riferimento allo specifico prodotto cosmetico «Colgate Total», la concentrazione della sostanza triclosan risulta conforme alle disposizioni normative attualmente in vigore.
  La valutazione del rischio effettuata dall'istituto superiore di sanità non ha evidenziato particolari rischi di effetti a lungo termine associati all'uso di dentifrici da parte di consumatori adulti ai limiti di concentrazione previsti. Tuttavia, non è possibile escludere potenziali rischi legati a contributi all'esposizione derivanti dal contemporaneo consumo di altri prodotti destinati all'igiene personale (esempio lozioni per il corpo), in accordo con quanto riportato nell'integrazione del 2011 al parere Scientific Committeé Consumer Products del 2009.
  Per quanto concerne lo scenario di esposizione relativo ai bambini, è stato utilizzato il modello CONSEXPO realizzato dall'olandese National institute for public health and environment, e comunemente utilizzato a livello europeo per le attività di valutazione del rischio.
  Sulla base dello scenario considerato, che prevede l'utilizzo di dentifrici contenenti triclosan alla concentrazione di 0.3 per cento le stime effettuate con assunzioni estremamente cautelative, non consentono di escludere un rischio per la salute dei bambini associato all'esposizione a lungo termine. È importante sottolineare, comunque, che tale scenario è altamente improbabile e va oltre un ragionevole «worst case». Infatti, difficilmente i bambini di 2/5 anni si lavano i denti tutti i giorni due volte al giorno ingerendo la quasi totalità del dentifricio utilizzato; è improbabile che consumino lo stesso prodotto per tutta la vita; nell'arco della vita, il loro peso e il loro comportamento nei confronti dell'igiene orale va incontro a cambiamenti che comportano una notevole diminuzione dell'esposizione.
  In merito alla problematica in esame, l'Istituto superiore di sanità ha inteso precisare che il triclosan è un antimicrobico, utilizzato come conservante nei cosmetici in concentrazione fino a 0,3 per cento.
  La tossicità del triclosan (2,4,4’-tricloro-2’-idrossidifenil etere), è stata valutata dal Comitato scientifico dell'alimentazione siriana nel 2000 e dal Panel di esperti su additivi alimentari, aromatizzanti e sostanze a contatto con gli alimenti (Aids and Food contact Material Panel) dell'Autorità europea di sicurezza alimentare (EFSA).
  Sulla base degli studi tossicologici esaminati, che non hanno fornito alcuna indicazione di potenziale genotossico o cancerogeno, il triclosan è stato autorizzato come agente antimicrobico nei materiali e articoli a contatto con gli alimenti, con un livello massimo consentito di migrazione negli alimenti pari a 5 mg/kg alimento.
  Il triclosan, inoltre, non è classificato come sostanza cancerogena secondo il regolamento europeo CLP (Reg. (CE) n. 1272 del 2008).
  La sicurezza dell'impiego del triclosan nei prodotti cosmetici, fino ad un limite massimo dello 0,3 per cento è stata valutata dallo Scientific Committee on Consumer Products (SCCP) nel 2008. Negli studi esaminati dal Comitato, il triclosan non ha mostrato potenziale genotossicità in vivo, ed è risultato scarsamente tossico e non cancerogeno in studi su ratti. Tossicità e tumori epatici sono stati osservati in studi sul topo, in cui il triclosan è risultato essere un induttore della proliferazione dei perossisomi epatici, un fenomeno implicato nella cancerogenesi epatica nel topo, per il quale è ben nota la non rilevanza per l'uomo. Su tale base, il Comitato ha concluso, si ribadisce, che l'uso del triclosan fino ad un livello massimo dello 0.3 per cento in prodotti quali dentifrici, saponi per igiene personale, shampoo e stick deodoranti, non presenta problemi di sicurezza per i consumatori. Ha invece espresso riserve su altri usi, quali lozioni per il corpo e colluttori per l'igiene orale, che potrebbero comportare una più alta esposizione.
  In relazione al divieto di impiego nei materiali a contatto con gli alimenti, l'istituto rammenta che il triclosan è stato inserito nella lista positiva provvisoria emanata dalla Commissione dell'Unione europea per gli additivi consentiti per la produzione di materiali e oggetti di plastica destinati al contatto con alimenti nel 2008. La richiesta era stata avanzata originariamente dalla Ditta CIBA nel 1998, che ha ritirato tale richiesta di inserimento nel 2009. A seguito di ciò la commissione ha emanato la Decisione 2010/169/EU, con la quale ha stabilito che, dopo un periodo di transizione, a partire dal 1o novembre 2011 non dovevano essere più presenti nel mercato materiali e oggetti di plastica per contatto con gli alimenti contenenti triclosan. I produttori di additivi contenenti triclosan per plastiche a contatto con alimenti non avevano, quindi, più la base legale per commercializzare il prodotto nell'Unione europea. A seguito del ricorso da parte dei produttori di tali additivi, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha annullato la Decisione 2010/169/EU, non riscontrandone fondamento giuridico valido e, pertanto, attualmente il triclosan è di nuovo ammesso nella lista positiva provvisoria.
  In merito ai recenti studi effettuati sugli effetti del triclosan sulla funzionalità muscolare, i risultati, sebbene degni di nota, si riferiscono a condizioni (somministrazione intraperitoneale a dosi uguali o superiori a 12,5 mg/kg equivalenti a circa 0,9 grammi per un adulto), che hanno limitata rilevanza per scenari di esposizione umana associabili all'uso del triclosan nei materiali e articoli a contatto con gli alimenti e nei cosmetici. Per quanto riguarda lo specifico impiego citato nell'interrogazione, si fa presente che la dose minima efficace di triclosan in detto studio equivale a circa 300 grammi di dentifricio con il tenore massimo di triclosan dello 0,3 per cento.
  Il triclosan è una sostanza attiva in corso di valutazione anche nell'ambito del regolamento UE n. 528/2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all'uso di biocidi, come disinfettante e come preservante.
  Per tale attività, sono state acquisite dall'Istituto informazioni preliminari sulla valutazione della sostanza da parte della Danimarca (stato membro valutatore della sostanza), che propone valori tossicologici di riferimento meno conservativi, i quali, qualora adottati a livello europeo, consentirebbero di escludere un rischio anche per i bambini esposti.
  Tuttavia essa è inserita nella lista delle sostanze attive biocide come sostanza candidata alla sostituzione secondo quanto previsto dal citato regolamento sui biocidi, perché rispetta i criteri per essere considerata Bioaccumulabile (B) e tossica (T) .
  Per quanto concerne gli aspetti ambientali, la sostanza è stabile all'idrolisi, non è volatile, è intrinsecamente biodegradabile, anche se non degrada in condizioni anaerobiche e risulta inoltre bioaccumulabile. Il triclosan, usato nella pasta dentifricia, potrebbe contaminare indirettamente le acque superficiali, i sedimenti ed il suolo, rispettivamente attraverso le acque reflue provenienti dai sistemi di trattamento e l'uso dei fanghi attivi da sistemi di trattamento. Dati di monitoraggio dimostrano che il triclosan si ritrova nelle acque.
  Tuttavia, le informazioni preliminari disponibili nell'ambito delle attività di valutazione del rischio previste dal regolamento biocidi, non indicano particolari rischi per i diversi comparti ambientali in associazione all'utilizzo della sostanza come prodotto per l'igiene umana.
  Inoltre, la stima dell'esposizione ambientale derivante dai biocidi, pur riferendosi a prodotti diversi dai dentifrici, può essere considerata rappresentativa degli stessi, permettendo di escludere preliminarmente un rischio per l'ambiente.
  Concludo, rassicurando gli onorevoli interroganti che la questione sarà seguita con la dovuta attenzione dall'istituto superiore di sanità in ambito europeo.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel cuore della città di Firenze, si estende il Parco delle Cascine, un'area di circa 500 ettari adibito a parco urbano e metropolitano, luogo per eventi sportivi cittadini, ritrovo di eventi cittadini e principale luogo a livello metropolitano della riappropriazione tra comunità locale e fiume in ottica eco-ambientale, in cui, inoltre, si svolge una funzione di mobilità dell'intera area cittadina (tramvia);
   già nel 2001 vi fu la volontà del comune di Firenze e del Ministero dell'interno, di sostenere il progetto «Parchi Sicuri», programma di valore e interesse a carattere nazionale, e in questi giorni l'attuale vice sindaco ha rimarcato l'impegno dell'amministrazione locale per più risorse e sicurezza in una progettualità di maggiore sviluppo del parco delle Cascine;
   contestualmente si apprende da testare giornalistiche e dalle note N. 559/A/1/131.4.1/02550 del 17 febbraio 2014 e N. 559/A/1/131.4.1/2701 del 3 marzo 2014, del dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale degli affari generali della polizia di Stato, la notizia di un «Progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della Polizia di Stato sul territorio» che comporterebbe il taglio di 267 posti di polizia;
   nel parco delle Cascine i tagli alla sicurezza hanno già determinato la chiusura della polizia a cavallo della Forestale con specifiche di polizia ambientale, seguita dalla soppressione della caserma dei carabinieri a cavallo; oggi sembrerebbe che il Ministero dell'interno abbia intenzione di chiudere anche la squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze, ultimo baluardo della sicurezza all'interno del parco con specifiche di polizia di prevenzione e repressione, di prossimità, e di ordine e sicurezza pubblica;
   in sostanza, la polizia di Stato a cavallo è l'unica forza di polizia rimasta all'interno dell'unico e vero cuore del comune di Firenze e nei suoi giardini più importanti (Giardino di Boboli, Villa Vogel, Parco San Donato e Parco dell'Anconella), e nessun mezzo può garantire la stessa tempestività nelle funzioni di controllo da un'area ad un'altra;
   sembrerebbe tuttavia che esista un accordo tra il comune di Firenze ed il demanio (di cui alla nota prot. N. 16133 del 25 febbraio 2014 della prefettura di Firenze) che prevede la sostituzione dello stabile che ospita la sede della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze (Palazzina Grilli), con altro immobile demaniale, permettendo così il mantenimento di tale ufficio abbattendone i costi;
   il lavoro svolto dalla squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze è enorme; essa ha la più alta media a carattere nazionale fra tutte le squadre a cavallo, posto che all'interno del Parco delle Cascine opera una media di 40/50 pattuglie mensili con funzione di prevenzione e repressione, contrasto alla microcriminalità, antiabusivismo nel centro cittadino, antincendio boschivo, senza dimenticare i numerosi servizi di ordine e sicurezza pubblica svolti a carattere locale, regionale e nazionale;
   la ipotizzata chiusura della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze, oltre ad un cospicuo spreco di risorse già investite per l'alta specializzazione di tali operatori della sicurezza, rischia di determinare una situazione di gravissima criticità nelle attività di controllo e vigilanza sul territorio, con conseguenze negative sulla sicurezza dei cittadini e sull'intero tessuto sociale, economico e produttivo di Firenze –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e, se del caso, se non ritenga opportuno valutare una eventuale razionalizzazione delle squadre a cavallo della polizia di Stato incidendo laddove ve ne sia un numero maggiore, e preservando, invece, l'ufficio della polizia di Stato a cavallo nella città di Firenze, capoluogo di regione, città patrimonio dell'umanità (UNESCO), seppur procedendo all'abbattimento dei costi previsto dal citato accordo tra comune e demanio. (4-03982)

  Risposta. — La questione segnalata nell'interrogazione in esame, relativa alla chiusura di polizia a cavallo di Firenze, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del corpo forestale dello stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il comando generale dell'arma dei carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni paesi d'oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario, tra i quali – come detto – le squadre a cavallo.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legislativo 24 aprile 2006, n. 219 «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», all'articolo 1, comma 1, lettera s) prevede per i grossisti di farmaci l'obbligo di servizio pubblico volto a: «(...) garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione»;
   l'articolo 105, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater del suddetto decreto legislativo, come modificato dal decreto legislativo 19 febbraio 2014, 17 stabilisce uno specifico procedimento finalizzato a monitorare i casi di distorsione distributiva e prevede la possibilità di irrogare sanzioni amministrative nei confronti dei distributori inadempienti. Tale norma affida un ruolo rilevante ai farmacisti, i quali devono procedere, direttamente o attraverso le associazioni rappresentative della categoria, ad effettuare un'apposita segnalazione all'autorità territorialmente competente (regioni, province autonome, o altre autorità individuate dalla normativa territoriale) in relazione alla irreperibilità di un farmaco nella rete distributiva territoriale, nonché all'indicazione del distributore all'ingrosso che non ha provveduto alla fornitura. Sulla base di tale segnalazione, l'autorità territorialmente competente deve accertare l'eventuale violazione «dell'obbligo di servizio pubblico» come sopra ricordato e la conseguente irrogazione di sanzioni di diversa entità fino a giungere, in caso di reiterazione della violazione, alla revoca dell'autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso dei medicinali;
   il citato decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 17 «Attuazione della direttiva 2011/ 62 /UE che modifica la direttiva 2001/ 83/ CE» introduce regole ancora più stringenti relativamente ai cosiddetti farmaci essenziali e rafforza l'obbligo di servizio pubblico per i grossisti, così come disposto dall'articolo 1, comma 1, lettera s): «L'obbligo per i grossisti di garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato, nei limiti di cui i predetti medicinali siano forniti dai titolari di AIC, e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione; a tal fine, non possono essere sottratti, alla distribuzione e alla vendita per il territorio nazionale, i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti al fine di prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità, anche temporanee, sul mercato o in assenza di valide alternative terapeutiche»;
   con propria circolare del 18 giugno 2014, il Ministero della salute invitava tutti gli operatori della filiera del farmaco e le autorità territoriali alla puntuale e corretta osservanza di quanto disposto dal decreto legislativo 17 del 2014 al fine di contrastare il fenomeno dell'indisponibilità territoriale di determinati medicinali presso le farmacie;
   tale circolare, pur riconoscendo che «l'esportazione parallela costituisce una regolare forma di mercato in linea con il quadro normativo vigente», ribadisce tuttavia che tutti i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti per prevenire ovvero limitare stati di carenza o indisponibilità anche temporanea sul mercato non possono essere sottratti alla distribuzione e alla vendita destinata al territorio nazionale attraverso la pratica della «esportazione parallela»;
   nonostante la normativa sopra richiamata, le associazioni rappresentative della categoria dei distributori farmaceutici e la federazione nazionale dei titolari di farmacia segnalano frequenti distorsioni distributive ed indicano come concausa della conseguente indisponibilità territoriale di determinati medicinali proprio il fenomeno della «esportazione parallela», ovvero il fatto che sarebbero le stesse industrie farmaceutiche ad aver maggiore interesse a immettere taluni medicinali sul mercato estero piuttosto che su quello domestico;
   risulterebbe inoltre che l’export parallelo stia assumendo un assetto sempre più «puntiforme» e che ciò sia dovuto principalmente al fatto che si siano aggiunti alla figura del tradizionale distributore – grossista oltre mille farmacisti – su diciottomila titolari di farmacia presenti nel nostro Paese – concessionari dell'autorizzazione al commercio all'ingrosso, ma con il fine esclusivo dell'esportazione – sia pure di micro quantità di medicinali – e la totale esclusione della mission del distributore-grossista full-line;
   tale fenomeno, qualora effettivamente accertato nelle dimensioni ipotizzate, configurerebbe una vera e propria distorsione del mercato e delle funzioni del farmacista che, invece di collaborare alla piena disponibilità territoriale dei prodotti farmaceutici necessari alla propria comunità locale, attraverso la pratica distorta delle attività di esportazione parallela, paradossalmente concorrerebbe alla irreperibilità di quei farmaci che hanno una facile e remunerativa collocabilità sul mercato, al di fuori del territorio nazionale;
   in altri Paesi dell'Unione europea ed in particolare nel Regno Unito, tale fenomeno è stato affrontato attraverso l'introduzione della clausola denominata sunset clause (clausola del tramonto) in funzione della quale l'autorizzazione viene revocata se, dopo un'ispezione obbligatoria (che in Italia, sarebbe di competenza regionale) e trascorsi uno o due anni dalla concessione dell'autorizzazione, non risulti che il grossista abbia iniziato l'attività di distribuzione vera e propria ovvero non abbia soddisfatto i requisiti richiesti (per esempio, non detenga il 90 per cento dei farmaci) –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e come intenda efficacemente prevenire stati di carenza o indisponibilità, anche temporanea, di taluni medicinali sul territorio nazionale imputabili direttamente o indirettamente alla pratica della «esportazione parallela», attraverso la rigorosa applicazione della misura della revoca dell'autorizzazione alla distribuzione – all'ingrosso dei medicinali – come previsto dall'articolo 105, comma 3-quater, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 – ovvero attraverso l'introduzione di prassi già invalse da tempo in alcuni Paesi dell'Unione europea come la cosiddetta «sunset clause». (4-07358)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), ha osservato quanto segue.
  In via preliminare, va sottolineato come l'esportazione parallela, indicata dall'interrogante come causa della lamentata carenza di farmaci, rappresenti una pratica commerciale lecita, adottata di fatto quando il mercato estero offre condizioni di vendita sensibilmente più remunerative di quelle presenti sul mercato interno. Si tratta di un fenomeno di cui si registra una sensibile crescita negli ultimi anni non solo a livello nazionale, ma anche in ambito europeo. Tale attività, che si conforma ai principi comunitari di libera circolazione delle merci, sta tuttavia determinando delle distorsioni nel mercato, rispetto alle quali solo di recente si è iniziato ad approntare adeguati strumenti giuridici e tecnici di intervento.
  Peraltro, sulla piena legittimità delle pratiche di importazione ed esportazione parallela si è pronunciata anche la Commissione europea con la comunicazione n. 839 del 30/12/2003.
  Ciò premesso, deve osservarsi che l'attuale limitata disponibilità di taluni medicinali in determinate parti del territorio nazionale non può essere definita tecnicamente come carenza in quanto, dai dati in possesso di AIFA, non risulta alcuna interruzione della loro fornitura da parte dei rispettivi titolari Autorizzazione di immissione in commercio che, dietro specifica richiesta, ne confermano la disponibilità. Di conseguenza, tali farmaci, solo temporaneamente e localmente irreperibili, non sono inseriti nell'apposito elenco dei medicinali carenti tenuto dall'AIFA e consultabile sul sito istituzionale (www.agenziafarmaco.gov.it), in apposita sezione dedicata.
  È tuttavia evidente come anche semplici indisponibilità temporanee locali di farmaci sul mercato nazionale possano causare un'interruzione di trattamenti terapeutici tale da determinare disagi anche gravi a danno di alcune categorie di pazienti, ledendo il loro diritto costituzionale alla tutela della salute e violando altresì il diritto alla parità di trattamento. 
  Il fenomeno dell'aumento delle esportazioni parallele verso paesi europei è oggetto di stretta osservazione da parte dell'Agenzia del farmaco, in quanto ad essa compete la gestione delle carenze dei farmaci propriamente dette.
  In virtù del proprio ruolo di autorità regolatoria del settore farmaceutico, AIFA ha in passato già fatto ricorso agli strumenti previsti dalla normativa vigente, diffidando i titolari Autorizzazione di immissione in commercio, in situazioni di particolare criticità sanitaria, al rispetto degli obblighi di fornitura su di essi gravanti ai sensi dell'articolo 105, commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 219 del 2006 – disposizione di diretta emanazione comunitaria – che stabiliscono, rispettivamente:
   «2. Il titolare di un'AIC di un medicinale e i distributori di tale medicinale immesso effettivamente sul mercato assicurano, nei limiti delle loro responsabilità, forniture appropriate e continue di tale medicinale alle farmacie e alle persone autorizzate a consegnare medicinali in modo da soddisfare le esigenze dei pazienti.
   4. Il titolare dell'AIC è obbligato a fornire entro le quarantotto ore, su richiesta delle farmacie, anche ospedaliere, un medicinale che non è reperibile nella rete di distribuzione regionale».

   Tuttavia, nel caso di specie, tali disposizioni risultano di scarsa efficacia poiché, in genere, le attività di esportazione avvengono a totale insaputa dei titolari AIC, i quali dichiarano di immettere regolarmente in commercio i farmaci sulla base dei dati di vendita degli anni precedenti (a volte anche incrementandone, in via cautelare, il quantitativo).
  Si rappresenta, peraltro, che il guadagno derivante dall'esportazione parallela sembra essere appannaggio esclusivo degli esportatori, senza alcun vantaggio economico né per il produttore né per il paziente, né per lo stesso titolare AIC.
  Per quanto riguarda, le attività che AIFA pone in essere, nello svolgimento del proprio compito istituzionale di gestione degli stati di carenza di medicinali e di contrasto dei relativi effetti, al fine di scongiurare i rischi di interruzione della continuità terapeutica, l'Agenzia raccoglie e verifica tutte le segnalazioni, adottando, ove possibile, interventi di volta in volta mirati.
  Per quanto riguarda le carenze in senso tecnico, ai sensi dell'articolo 34, comma 6, del decreto legislativo n. 219 del 2006, il titolare AIC è infatti obbligato a comunicare all'agenzia la cessazione temporanea o definitiva della commercializzazione almeno due mesi prima, mentre ai sensi del decreto ministeriale 11 maggio 2001 vi è l'obbligo di comunicare preventivamente anche le eventuali carenze. AIFA riceve, inoltre, da tutte le parti interessate (operatori sanitari, assessorati alla sanità, pazienti/cittadini e loro associazioni, altre autorità e altri uffici AIFA), raccogliendole, le segnalazioni relative alle carenze dei medicinali, ne accerta l'effettività e l'entità della carenza, valutando le specifiche criticità sulla base dei seguenti elementi:
   tipologia della carenza (periodica, ricorrente, cronica o di nuova segnalazione);
   disponibilità di prodotti analoghi sul mercato italiano o estero ovvero se si tratta di farmaci «unici»;

  e, se del caso, prende i necessari contatti con le aziende titolari di AIC del medicinale carente, degli analoghi e con gli altri interlocutori coinvolti (produttori, intermediari, distributori, importatori, strutture ed Autorità sanitarie, ecc.), adottando i provvedimenti opportuni per i casi di specie:
   autorizzazione all'importazione concessa all'azienda titolare dell'AIC del farmaco carente;
   autorizzazione (nulla osta) all'importazione per singola struttura sanitaria che ne faccia richiesta;
   altri provvedimenti specifici (es. determinazioni, razionalizzazione d'uso per determinate categorie di pazienti, ecc.).

   Tutte le informazioni necessarie vengono pubblicate nell'elenco dei medicinali attualmente carenti, aggiornato settimanalmente sul sito istituzionale dell'agenzia nell'apposita sezione dedicata alle carenze dei farmaci.
  Con particolare riguardo alle attuali irreperibilità di medicinali antitumorali – fenomeno che interessa non solo il territorio nazionale, ma anche alcuni paesi comunitari e mercati internazionali, come segnalato anche dalla FDA – sin dal settembre 2011, AIFA ha avviato un'attività di monitoraggio dei trend di effettiva disponibilità di tali farmaci, richiedendo ad ogni azienda farmaceutica titolare di AIC di medicinali oncologici, aggiornamenti trimestrali sullo stato delle proprie disponibilità.
  La raccolta e l'elaborazione di tali informazioni ha consentito di limitare in modo considerevole l'impatto delle indisponibilità di farmaci antitumorali sui pazienti italiani, rispetto a quanto accade nei paesi esteri, sensibilizzando gli stessi produttori ad una più attenta pianificazione delle scorte e consentendo ad AIFA di adottare interventi cautelari in via preventiva. Da ultimo, considerando, le notizie divulgate dagli organi di informazione circa l'asserita irreperibilità sul mercato di alcuni farmaci, l'agenzia non può che ribadire il proprio impegno a garantire l'accesso alle cure per tutti i pazienti, rimandando a quanto dalla stessa divulgato nel comunicato pubblicato sul proprio portale istituzionale in data 17 gennaio 2014:
   «....L'Agenzia è impegnata quotidianamente, assieme al Ministero della salute, a garantire che i farmaci siano disponibili sul mercato e che i cittadini possano accedervi regolarmente.

  In particolare, il ministero ha già intrapreso delle iniziative, in sede di recepimento della direttiva 2011/62/UE che modifica la direttiva 2001/83/CE (codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano), che permetteranno all'AIFA, una volta concluso l’iter legislativo, di redigere specifici elenchi di farmaci dei quali limitare l'esportazione.
   È doveroso ricordare che l'esportazione parallela è una pratica commerciale legittima, prevista dalla normativa europea, che viene attuata quando il mercato estero offre condizioni di vendita sensibilmente più vantaggiose di quelle presenti sul mercato interno.
   L'AIFA, già da tempo consapevole di questa problematica, lo scorso giugno si è confrontata con tutti i soggetti che fanno parte della filiera, per cercare di trovare una soluzione condivisa, al fine di identificare e correggere le distorsioni che portano all'irreperibilità dei medicinali sul territorio italiano e individuare gli strumenti più efficaci per governare il fenomeno.
   Tra le iniziative specifiche adottate dall'AIFA rientrano i controlli effettuati presso le Aziende produttrici e i titolari di AIC, che hanno dichiarato di immettere regolarmente in commercio i propri medicinali, aumentandone le quantità fornite rispetto alle vendite degli anni precedenti e che l'irreperibilità dei medicinali sul territorio nazionale non è addebitabile a una contrazione della produzione».
  Nella materia in questione, sono di recente intervenuti alcuni significativi interventi normativi che stanno producendo e produrranno effetti significativi nella risoluzione delle problematiche qui trattate.
  Il decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 17, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2014, entrato in vigore il giorno successivo e recante «Attuazione della Direttiva 2011/62/UE, che modifica la direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, al fine di impedire l'ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale», ha introdotto, all'articolo 1, comma 1, numero 1), lett. c), un'importante modifica al testo dell'articolo 1, comma 1, lettera s) del decreto legislativo 24 aprile 2006 numero 219, che nell'attuale formulazione recita: «s) obbligo di servizio pubblico: l'obbligo per i grossisti di garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato, nei limiti di cui i predetti medicinali siano forniti dai titolari di AIC, e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione; a tal fine, non possono essere sottratti, alla distribuzione e alla vendita per il territorio nazionale, i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti al fine di prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità, anche temporanee, sul mercato o in assenza di valide alternative terapeutiche».
  Tale disposizione rimodula ed integra la nozione comunitaria di obbligo di servizio pubblico, al fine di evitare o limitare situazioni contingenti di carenza o indisponibilità sul mercato interno di medicinali cosiddetti «critici», per i quali non esistano valide alternative terapeutiche e siano stati già adottati specifici provvedimenti finalizzati a garantire la continuità delle forniture e, conseguentemente quella delle cure. La nuova disposizione va letta congiuntamente ai commi 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'articolo 105 dello stesso decreto legislativo n. 219 del 2006, inseriti dall'articolo 1 comma 1, numero 20 del decreto legislativo 19 febbraio 2014 numero 17, che espressamente dispongono:
  «3-bis. Qualora la fornitura di cui al comma 3 non venga effettuata entro i termini ivi previsti, il farmacista, anche tramite le associazioni di categoria, deve segnalare alla regione o alla provincia autonoma ovvero alle altre autorità competenti individuate dalla legislazione della regione o della provincia autonoma, il farmaco non reperibile nella rete di distribuzione regionale nonché il grossista a cui ha avanzato la richiesta.
  3-ter. La regione, o la provincia autonoma ovvero le altre autorità competenti individuate dalla legislazione della regione o della provincia autonoma, individuano sulla base della segnalazione di cui al comma 3-bis l'autorità che ha concesso l'autorizzazione di cui al comma 1 dell'articolo 100, e trasmettono a quest'ultima la segnalazione medesima affinché effettui le verifiche opportune ad accertare che non sia stato violato l'obbligo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera s) da parte del grossista.
  3-quater. L'autorità che effettua le verifiche di cui al comma 3-ter, applica al grossista che viola l'obbligo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera s), la sanzione di cui all'articolo 148, comma 13, nonché la sospensione, non inferiore a 30 giorni dell'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 100, comma 1; nell'ipotesi di reiterazione della violazione, l'autorizzazione può essere revocata».

   Dal combinato disposto delle disposizioni qui sopra riportate emerge un quadro normativo innovativo dell'obbligo di servizio pubblico che dovrebbe dunque consentire, una volta a regime, di ovviare a tutte le criticità che sono oggetto dell'atto parlamentare in oggetto.
  Va peraltro ricordato che, la concreta attuazione della nuova normativa prevede l'attivazione di apposite procedure da parte delle Regioni e delle Province Autonome, cui spetta dunque il compito di predisporre i necessari strumenti operativi per assicurare l'attuazione della nuova normativa.
  In ogni caso, si segnala che l'AIFA, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza e controllo sulla filiera, ha attivato il comando dei carabinieri-NAS ad effettuare ispezioni sul territorio presso distributori e grossisti, al fine di verificare la conformità delle attività da questi svolte, avendo fondate ragioni di ritenere che taluni soggetti non operino correttamente. Dai primi riscontri, attualmente sub judice, sono emerse gravi irregolarità da parte di alcuni esercenti che hanno comportato la chiusura delle rispettive attività.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.