Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 5 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la ramificazione della criminalità organizzata legata al settore delle società sportive calcistiche è sempre più consolidata e attiva, come dimostra il recente scandalo sul calcio-scommesse, annunciato dalla stampa il 19 maggio 2015, che ha determinato una maxi-retata con cinquanta arresti per partite truccate in serie D, Lega Pro (ex serie C) nonché in serie B;
    l'operazione condotta dalla, Procura di Catanzaro è partita da un'indagine su un noto esponente della «’ndrangheta» fino a portare alla luce un giro di affari, nazionale ed internazionale, che vede coinvolta un'organizzazione dedita al calcio-scommesse attraverso la quale venivano falsati i risultati delle partite calcistiche consentendo ai soggetti coinvolti – tra calciatori, presidenti, allenatori e scommettitori — di guadagnare milioni di euro mettendo in atto un sistema corruttivo, l'inchiesta ha condotto all'arresto di 15 calciatori, 6 presidenti di società sportive, 8 dirigenti sportivi, allenatori, direttori generali e 10 «finanziatori», tra scommettitori italiani, maltesi, del Kazakistan, della Russia, cinesi e serbi; tutti con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode calcistica e con l'aggravante di avere favorito organizzazioni mafiose;
    questo scandalo sul calcio-scommesse è l'ennesimo di una lunga serie che, nel tempo, ha tristemente caratterizzato lo scenario del mondo sportivo calcistico. È di tutta evidenza la «fragilità» di tale settore rispetto ad un efficace sistema di prevenzione dei reati, di conseguenza le mafie hanno trovato terreno fertile per poter trasformare, anche questo ambito, in una fiorente sede di affari, potendo riciclare il proprio denaro e sfruttare la notevole popolarità del settore sportivo calcistico per aumentare la forza del controllo sul territorio;
    l'interesse delle organizzazioni criminali per il sistema calcio e la diffusione degli illeciti sportivi dipendono, tra l'altro, da un regolamento poco trasparente sul sistema delle scommesse e sanzioni blande che non contrastano ed inibiscono efficacemente questi fenomeni;
    secondo un recente rapporto dell'Eurispes, le mafie producono annualmente, un fatturato in «nero» di circa 140 miliardi di euro che vale l'11 per cento del PIL attuale, cioè 1/9 del più classico indicatore economico utilizzato per valutare la ricchezza di un Paese. Tale denaro deve essere intercettato e sottratto alla criminalità italiana; ciò consentirebbe, tra l'altro, di impiegare queste risorse finanziarie per migliorare i conti dello Stato;
    la situazione si è ulteriormente aggravata con l'estensione della pratica del gioco delle scommesse al settore dilettantistico. Difatti, per le sue peculiarità il comparto non professionistico della serie «D» e di quelle minori è ancora più esposto ad essere oggetto di infiltrazioni da parte di organizzazioni di tipo criminale nella gestione del calcio-scommesse e delle partite «truccate». Ciò anche attraverso l'utilizzo dei tradizionali metodi intimidatori della criminalità organizzata, compresi sequestri di persona e pestaggi ed approfittando a fini corruttivi della «influenzabilità» di calciatori, da ingaggi instabili e considerevolmente modesti rispetto a quelli delle serie superiori;
    la presenza, ramificata e capillare, di organizzazioni mafiose nel sistema calcistico fa ritenere auspicabile imputare il reato di «associazione mafiosa» a chi, con la sua condotta, si prodiga per «dirigere» i risultati delle partite. Sono necessarie pene severe, chiare ed inoppugnabili, poiché colui che falsa il risultato delle partite deve avere la consapevolezza, chiara e netta, di essere partecipe di un reato che consente alle organizzazioni criminali di approvvigionarsi di grandi quantità di risorse finanziarie per svolgere attività illegali. Appare, dunque, auspicabile prospettare l'utilizzo dell'articolo 41-bis per chi froda e l'istituzione di una black-list per dirigenti, calciatori e addetti ai lavori che si sono resi protagonisti di attività illecite;
    quindi, si ritiene necessario adottare provvedimenti più incisivi che scoraggino coloro che sono collegati alle società sportive (dirigenti, calciatori, allenatori, e altro) a commettere gli illeciti in questione, prevedendo la radiazione di tali soggetti. Attualmente le punizioni per il reato di «frode sportiva» risultano essere blande e ciò lo dimostra il fatto che, anche in passato, professionisti o dilettanti abbiano reiterato, più volte, il reato, a fronte di una sanzione tutt'altro che severa ed efficace. Alla luce di tutto ciò, sarebbe opportuno ricordare ad atleti, tesserati e dirigenti come i principi di lealtà sportiva costituiscano il vero fulcro del calcio: chi si macchia di reati eticamente scorretti, deve avere la radiazione come unica prospettiva. La certezza, l'efficacia e la trasparenza delle sanzioni concorrerebbero a restituire la legalità all'intero sistema sportivo italiano;
    come già rilevato con interrogazione 4-03184 presentata ai Ministri dell'interno e della giustizia, che ad oggi non ha ricevuto ancora riscontro, oltre al calcio-scommesse, sono molteplici le «aree sensibili» rispetto alle quali possono configurarsi dei reati che coinvolgono le società sportive calcistiche: dalla gestione contabile e redazione del bilancio, come per la compravendita dei calciatori (si pensi alle cosiddette plusvalenze incrociate); la sponsorizzazione e la pubblicità; gli omaggi e le spese di rappresentanza come possibile strumento corruttivo; l'approvvigionamento di beni e servizi; l'assunzione del personale e il conferimento di incarichi e consulenze; i rapporti con soggetti pubblici quali pubblica amministrazione nonché rapporti con Coni, Figc;
    a riguardo, si pone una problematica di rilevante importanza rispetto alla commissione di illeciti che possono implicare le società calcistiche, che è quella relativa alla mancata adozione del modello organizzativo, ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, da parte delle società sportive militanti nella lega calcio di serie A e in quelle di categorie inferiori, inclusa la dilettantistica, quale requisito fondamentale per l'iscrizione al campionato di calcio;
    l'articolo 7 dello Statuto della Figc cita «Il Consiglio Federale emana le norme necessarie e vigila affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto» e, nel tratteggiare le caratteristiche di questi modelli, di fatto riprende i principi propri del decreto legislativo n. 231 del 2001;
    l'articolo 13 del Codice di giustizia sportiva (esimente ed attenuanti per comportamenti dei propri sostenitori) pone tra le circostanze esimenti/attenuanti, la seguente: «la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi»;
    sulla materia è intervenuta anche la guardia di finanza con la circolare n. 83607/2012 dal titolo «Attività della Guardia di finanza a tutela del mercato dei capitali», che descrive le modalità di indagine seguite per l'accertamento della responsabilità degli enti ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001 e stabilisce che non è sufficiente aver adottato il modello organizzativo poiché per evitare le negative conseguenze in termini di sanzioni pecuniarie e interdittive, la società dovrà provare l'attuazione del modello, in modo concreto ed efficace;
    è evidente, quindi, che nella commissione di reati che coinvolgono i soggetti legati alle società calcistiche, compreso il tesserato, potrebbero individuarsi delle responsabilità delle stesse società. Difatti, la mancata adozione da parte dei vertici aziendali del modello organizzativo per la prevenzione dei reati, potrebbe configurare non solo fattispecie penalmente rilevanti ma anche illeciti civili suscettibili di risarcimento danni, per omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali;
    ebbene, è urgente intervenire rispetto alla mancanza di norme chiare, stringenti e trasparenti nel sistema delle scommesse, affinché sia possibile tracciare il movimento di denaro prima e dopo la scommessa. Inoltre, si deve procedere alla modifica delle disposizioni che hanno stabilito l'estensione del gioco delle scommesse alle società sportive cosiddette «minori», quali Lega Pro e Serie D: la cassazione di queste due categorie dal sistema delle scommesse consentirebbe un controllo maggiore e più efficace sul gioco scommesse, anche perché ci si concentrerebbe su un numero limitato di società sportive;
    ed ancora, una riforma della gestione del sistema delle scommesse sugli eventi sportivi, deve prevedere una particolare attenzione al sistema «on-line», che risulta fuori controllo, e al settore sportivo calcistico che per il giro d'interessi e di flussi di denaro che lo interessano è, più di ogni altro, a rischio rispetto alla commissione di attività illecite nella gestione delle scommesse;
    inoltre, considerando la molteplicità di casi che hanno visto nella commissione di reati il coinvolgimento delle società sportive militanti nella lega calcio, attraverso dirigenti, calciatori, allenatori e altri soggetti ad esse collegate, si ritiene necessario un controllo rispetto alla concreta adozione del modello organizzativo previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2001 da parte delle società sportive,

impegna il Governo:

   ad adottare idonee iniziative normative per vietare il gioco delle scommesse al settore dilettantistico del calcio italiano, che comprende la serie «D» e quelle minori;
   ad adottare una riforma del sistema del gioco scommesse sugli eventi sportivi – con particolare attenzione al sistema «on line» e al settore sportivo calcistico – che consenta di tracciare il movimento dei flussi finanziari coinvolti;
   a porre in essere iniziative volte a contrastare la commissione di frodi da parte dei soggetti collegati alle società sportive, ferma restando l'autonomia dell'ordinamento sportivo, anche promuovendo l'istituzione di una black-list per dirigenti, calciatori e addetti ai lavori che si sono resi protagonisti di attività illecite;
   ad adottare urgenti iniziative per contrastare le infiltrazioni di organizzazioni di tipo criminale nel sistema del calcio scommesse, anche finalizzate ad intercettare e sottrarre i proventi ottenuti, in «nero» che si aggirano, secondo un rapporto Eurispes, attorno ai 140 miliardi di euro all'anno;
   ad acquisire elementi in merito all'adozione, in modo concreto ed efficace, del modello organizzativo basato sul decreto legislativo n. 231 del 2001 da parte delle società sportive militanti nella lega calcio, promuovendo anche eventuali meccanismi sostitutivi con valenza sanzionatoria.
(1-00879) «Rizzetto, Barbanti, Cristian Iannuzzi, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    l'11 maggio a Bruxelles si è tenuta la riunione dell'Eurogruppo. All'incontro si sarebbero dovuti certificare i passi in avanti per arrivare ad una intesa per lo sblocco dei 7,2 miliardi di euro di aiuti nei confronti della Grecia in cambio di riforme;
    l'Eurogruppo, in quella sede, ha rilevato che «i colloqui sono avanzati e sono divenuti più efficaci». Tuttavia ha osservato che «occorre più tempo per colmare le lacune rimanenti e raggiungere un accordo globale. L'erogazione della restante assistenza finanziaria alla Grecia potrà avere luogo solo quando tali riforme saranno state concordate e l'esame da parte del cosiddetto “Brussels Group” – tra cui Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – avrà certificato la loro attuazione»;
    il 30 giugno scadrà il vecchio programma di aiuti, già prorogato di 4 mesi, mentre a partire dal 5 giugno 2015 il Governo di Atene dovrà rimborsare 310 milioni di euro nelle casse del Fondo monetario internazionale e complessivamente entro 13 luglio dovrà rimborsarne, sempre al Fondo monetario internazionale, poco meno di due miliardi di euro, mentre tra luglio e agosto dovrà rimborsare alla Banca centrale europea circa 7 miliardi di euro per i bond in scadenza;
    oltre alla trattativa per giungere ad un accordo sulle riforme e garantire alla Grecia la liquidità necessaria sono dirimenti le questioni dell'avanzo primario, della ristrutturazione del debito e degli investimenti;
    in particolare, l'accordo sull'avanzo primario è la questione al momento più spinosa. Per i creditori internazionali il surplus deve essere assicurato e deve essere solido. Tuttavia, anche a causa della paralisi economica e politica dei mesi scorsi in Grecia, il bilancio del 2015 sarebbe in deficit. Il Governo greco propone un «surplus» per il 2015 e il 2016 molto più basso di quanto vorrebbe il Fondo monetario internazionale;
    l’«Eurogroup Working Group» starebbe quindi valutando il piano di riforme presentato da Atene per misurarne gli effetti economici immediati e nel medio periodo anche e soprattutto analizzando il surplus che ne deriverebbe;
    il Governo greco ha già avviato nei mesi scorsi una serie di riforme a partire da una seria lotta alla corruzione e alla diffusa evasione fiscale. Ha contenuto la spesa pubblica e il gettito fiscale riscosso in questi mesi supera le aspettative, arrivando a raggiungere un avanzo primario di bilancio di 2,16 miliardi di euro nel periodo gennaio-aprile 2015, molto al di sopra dello stimato deficit di 287 milioni di euro;
    nello stesso periodo la Grecia ha onorato tutti i debiti in scadenza con esclusive risorse interne di bilancio, senza alcun finanziamento esterno;
    dopo mesi di estenuanti trattative i creditori internazionali della Grecia premono per continuare a mantenere un programma di riforma con al centro misure basate sull'austerità, le stesse misure che hanno portato ad una asfissia di liquidità le casse greche e quindi alla conseguente impossibilità per le istituzioni elleniche di far fronte alle obbligazioni di debito in scadenza;
    è necessario quindi supportare il nuovo piano di riforme presentato dal Governo greco affinché si arrivi allo sblocco degli aiuti e per ridare sostenibilità al debito greco e non perseguire irrealistici avanzi primari da realizzare con un programma in continuità alle misure di austerità che hanno strozzato le casse e il popolo greco;
    le misure presentate dal Governo di Atene appaiono quindi realistiche e razionali in questa prospettiva, a partire dalla riforma dell'IVA e dell'abbassamento degli obiettivi di avanzo primario, con un sostenibile 1 per cento (in rapporto al prodotto interno lordo) da realizzare nel 2015 che sarà gradualmente portato al 3 per cento entro il 2018;
    il piano è basato su riforme economiche meno onerose che, associate ad un alleggerimento degli impegni di bilancio, puntano a rivedere le regole del mercato del lavoro e dell'energia con interventi sulle privatizzazioni, nonché misure sul debito privato;
    le questioni sociali, assenti nel memorandum sottoscritto con la «Troika», tornano ad essere centrali nella proposta di accordo che mette al centro la sostenibilità del debito e nuove proiezioni di crescita nei prossimi tre anni: ripristino del contratto collettivo di lavoro, introduzione del salario minimo, protezione dei lavoratori dai licenziamenti di massa, salvaguardia dei salari, delle pensioni, del sistema di sicurezza sociale e della sanità dai tagli e l'arresto delle privatizzazioni a valori non di mercato «a prezzi stracciati» sono solo alcune delle importanti misure;
    a tal riguardo, nel rapporto della Commissione affari economici del Parlamento europeo «Sul ruolo e le attività della Troika riguardo i Paesi dell'area euro oggetto di programma» di risanamento macroeconomico e finanziario, rapporto approvato il 13 marzo 2015 dal Parlamento europeo, si legge che: il Parlamento «denuncia la mancanza di trasparenza nei negoziati relativi al memorandum d'intesa; rileva la necessità di valutare se i documenti ufficiali sono stati chiaramente comunicati ed esaminati in tempo utile nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo e opportunamente discussi con le parti sociali. ... rivela che le raccomandazioni contenute nei memorandum d'intesa sono in contrasto con la strategia di modernizzazione equilibrata elaborata con la strategia di Lisbona e la Strategia Europa 2020, rileva altresì che gli Stati membri aderenti ai memorandum d'intesa sono stati esonerati dalle procedure di rendicontazione del semestre europeo, compresa la rendicontazione del quadro degli obiettivi di lotta alla povertà e di inclusione sociale... si rammarica che nei programmi per la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo sia stata inserita una serie di prescrizioni dettagliate relative alla riforma dei sistemi sanitari e a tagli alla spesa; deplora che i programmi non siano vincolati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o dalle disposizioni dei Trattati. ... deplora che le misure attuate abbiano fatto aumentare nel breve periodo le diseguaglianze in termine di distribuzione del reddito; prende atto che si è registrato un aumento sopra la media di tali diseguaglianze nei 4 Paesi; rileva che i tagli apportati alle protezioni e ai servizi sociali e l'aumento della disoccupazione a seguito delle misure contenute nei programmi atti a intervenire sulla situazione macroeconomica, nonché la riduzione delle retribuzioni, stanno provocando un aumento della povertà... pone l'accento sul livello inaccettabile di disoccupazione, disoccupazione di lunga durata e giovanile, in particolare nei 4 Stati membri nel quadro del programma di assistenza; sottolinea che l'elevato tasso di disoccupazione giovanile compromette le possibilità di sviluppo economico, come dimostra il flusso di giovani migranti provenienti dall'Europa meridionale e dall'Irlanda...»;
    perciò le riforme presentate dal Governo greco rappresentano un passo in avanti nella direzione dei valori europei, come stabilito anche dal rapporto citato del Parlamento europeo;
    in data 2 febbraio 2015 in un'intervista rilasciata alla CNN sulla Grecia il Presidente Obama ha dichiarato che: «... non si può continuare a spremere Paesi che sono in profonda depressione...» ed ancora «... ad un certo punto deve esserci una strategia di crescita, per permettere loro di rimborsare i debiti ed eliminare parte dei loro deficit». Pur riconoscendo il Presidente Obama che la Grecia necessita di riforme ha ulteriormente affermato che «... è molto difficile avviare questi cambiamenti, se il tenore di vita della gente è sceso del 25 per cento. Alla lunga il sistema politico, la società non possono sopportarlo...»;
    secondo recenti rilevazioni c’è stato un abbassamento addirittura del 35 per cento degli standard di vita della popolazione greca; negli ultimi 5 anni il tasso di disoccupazione è salito al 28 per cento (60 per cento per i giovani), il reddito medio è diminuito del 40 per cento, mentre secondo i dati di Eurostat, la Grecia è diventata il Paese europeo con il più alto indice di disuguaglianza sociale. Questa è la prova che il popolo greco ha sopportato un immenso sacrificio per restare nell'Eurozona ed è arrivato il momento di mettere al centro dell'agenda europea una strategia che superi il dogma delle politiche del rigore a favore del benessere delle popolazioni europee per un nuovo modello di crescita sostenibile;
    il debito pubblico totale della Grecia è di 323 miliardi di euro, di cui solo un quinto è in mano a banche e investitori privati. Il Fondo monetario internazionale ne ha una trentina di miliardi (il 10 per cento), la Bce il 6 per cento. Il grosso, il 60 per cento, è detenuto dal resto dell'Eurozona: 142 miliardi dal «Fondo salvastati» e 53 miliardi dai singoli Governi. Il «salvataggio della Grecia» da parte della troika, prima nel 2010 e poi nuovamente nel 2012 non è servito a risanare il bilancio dello Stato ma a ripagare i creditori della Grecia;
    il grosso dell'ammontare dei prestiti è stato utilizzato per ricapitalizzare le banche greche e per onorare gli impegni con i creditori dello Stato e dei privati greci, in gran parte banche tedesche e francesi, non per risanare i buchi di bilancio. Più precisamente, circa la metà del finanziamento è stato utilizzato per rimborsare i titoli in scadenza e ripagare gli interessi sul debito, mentre il 20 per cento è andato alle banche greche; il resto dei fondi ha invece riguardato le attività di ristrutturazione e di riacquisto del debito;
    in definitiva, più dell'80 per cento degli «aiuti» della troika sono andati a beneficio diretto o indiretto del settore finanziario, in particola quello tedesco che è riuscito a ridurre la propria esposizione nei confronti della Grecia dell'80 per cento nel periodo tra il 2010 e il 2012;
    mentre in Europa si aveva la percezione che gli aiuti – «realizzati con soldi dei contribuenti europei» – stessero salvando la Grecia, in realtà si stavano salvando le grandi banche del continente. Contemporaneamente il debito della Grecia esplodeva fino ad arrivare al 180 per cento in rapporto al prodotto interno lordo (nel 2010 era il 130 per cento) e gli aiuti erano la giustificazione per imporre allo Stato ellenico un brutale programma di austerità fiscale e salariale che ha bruciato un quarto del reddito nazionale e ridotto in povertà milioni di persone. Come dire: oltre al danno, la beffa;
    per queste ragioni il debito greco va ristrutturato in maniera controllata affinché ridiventi sostenibile e si possano proporre grandi investimenti pubblici, gli unici in grado di dar fiato all'economia greca e del continente tutto. La questione quindi non è economica ma politica;
    così come politica è l'osservazione in merito al meccanismo avviato dalla BCE per ridare fiato all'economia. Con riguardo al Quantitive Easing (QE), come ricordato dal premio Nobel per l'economia, Stiglitz, in un'intervista rilasciata al quotidiano Avvenire il 31 maggio 2015: «va valutato l'effetto redistributivo enorme che produce. Il QE fa scendere i tassi di interesse dei titoli pubblici, la principale fonte di guadagno per le classi medio-basse che in più subiscono gli effetti dei tagli della spesa. Così scompare l'investimento privo di rischio e la situazione favorisce chi ha già un patrimonio, che può continuare ad arricchirsi coi titoli azionari»;
    in definitiva il meccanismo del Quantitive Easing anziché dar fiato all'economia, in combinazione con le politiche di austerità potrebbe ancora di più aumentare le disuguaglianze in Europa e quindi la parte della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà;
    occorre quindi rompere la continua incertezza causata dagli irraggiungibili obiettivi di saldi di bilancio pubblico che, come nel caso greco, rafforzano il circolo vizioso di austerità e recessione e al contempo ripristinare un'agenda di crescita realistica con investimenti altrettanto realistici, certi e disponibili. Occorre altresì un'agenda di lavoro comune nell'Unione europea, e principalmente nell'Eurozona, per tassare progressivamente e molto di più i redditi più alti, le proprietà fondiarie e soprattutto le plusvalenze finanziarie, e al tempo stesso detassare il lavoro;
    un accordo con la Grecia, che spezzi il circolo vizioso di austerità e recessione, e un piano di lavoro sue queste basi potranno segnare l'inizio della fine dell'incertezza economica e politica europea che si è determinata in 7 anni di «crisi greca»;
    il 9 settembre del 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato a grandissima maggioranza (124 a favore, 41 astenuti e solo 11 contrari) una risoluzione (A/68/L.57/Rev2) che impegna la stessa Assemblea ad approvare entro la fine della 69a sessione (settembre 2015) un «quadro giuridico multilaterale» per arrivare ad un processo di ristrutturazione del debito sovrano che potrebbe essere un punto di svolta rispetto a come sono state gestite fino ad ora le crisi;
    già nel luglio del 2012, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite aveva adottato (con il voto contrario di Stati Uniti, Svizzera, Moldavia e otto Stati membri dell'Unione europea tra cui l'Italia) un importante documento su debito e diritti umani che sostiene gli «audit» e la possibilità di moratoria sul pagamento del debito qualora venissero minacciati o compromessi i diritti umani;
    il 17 marzo 2015, la presidentessa del parlamento greco, Zoé Konstantopoulou, ha annunciato la costituzione di una commissione di «audit» del debito greco. In totale, una trentina di esperti greci ed internazionali parteciperanno alla commissione e dovranno presentare un primo resoconto entro il mese di giugno. L'obiettivo è di determinare l'eventuale carattere odioso, illegale o illegittimo dei debiti pubblici contratti dal Governo greco e, qualora ciò sia certificato, cancellare la parte del debito ritenuta illegale;
    tutto ciò premesso la questione greca non riguarda solo la Grecia e il suo futuro. Non riguarda solo le questioni economiche ma della democrazia europea e dei suoi Stati membri. È quindi urgente una presa di posizione anche del Governo italiano con proposte da avanzare immediatamente, alla prossima riunione dell'Eurogruppo in programma il 18 giugno e in sede di Consiglio europeo che si terrà a Bruxelles i prossimi 25 e 26 giugno,

impegna il Governo:

   a dare più coerenza alle stesse affermazioni del Governo contrarie alle politiche dell'austerità, che minano la solidarietà, l'uguaglianza e la democrazia, valori fondanti dell'Unione europea, e che rischiano di avere anche pesanti ripercussioni sull'insieme dell'Europa;
   a impegnarsi nelle sedi istituzionali dell'Unione europea e nei consessi internazionali ad affrontare la questione del debito pubblico dei Paesi più esposti attraverso iniziative di rinegoziazione, stabilendo una diversa tempistica e una diversa rimodulazione sulla base della effettiva crescita e ripresa economica dei Paesi coinvolti e promuovendo altresì l'emissione di eurobond finalizzati alla riduzione del debito e agli investimenti pubblici e all'occupazione;
   a impegnarsi nelle sedi istituzionali dell'Unione europea a subordinare la restituzione dei prestiti internazionali della Grecia e dei Paesi più esposti al mantenimento di tutte le iniziative pubbliche volte a fronteggiare la crisi umanitaria e gli aspetti più drammatici della crisi sociale e della povertà estrema;
   ad aiutare la Grecia a sostenere le sue ragioni presso l'Eurogruppo e il Consiglio europeo;
   ad appoggiare le posizioni del Governo greco in merito all'allentamento dei rigidi parametri imposti dalle regole del fiscal compact, assumendo una posizione netta e priva di ambiguità nel voler riformare i parametri imposti dalle politiche di austerity;
   a ribadire con forza, in tutte le sedi sia europee sia esterne all'Unione, che la sovranità nazionale e il mandato democratico devono essere rispettati e a rifiutare qualsiasi opzione «tecnocratica» che «commissari» di fatto le istituzioni democratiche, estranea ai valori fondanti dell'Unione europea;
   a proporre una agenda di lavoro comune nell'Unione europea, e principalmente nell'Eurozona, per tassare progressivamente ed in maniera più incisiva i redditi più alti, le proprietà fondiarie e soprattutto le transazioni e le plusvalenze finanziarie;
   a proporre in tutti gli ambiti della governance europea, una politica di intervento e di investimenti pubblici, un piano europeo per l'occupazione, il quale stanzi adeguate risorse pubbliche nuove ed aggiuntive rispetto a quelle previste nel cosiddetto «piano Juncker», che di fatto non vi sono, al fine di creare occupazione per 10 milioni di disoccupati e/o inoccupati, di cui un milione in Italia, che rappresentano la totalità di chi ha perso il lavoro dall'inizio della crisi, definendo una politica industriale a livello europeo e adoperandosi affinché il «piano Juncker» abbia come priorità il superamento degli squilibri regionali in Europa, che sono una delle cause della attuale crisi europea;
   ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una commissione, composta da esperti indipendenti, volta a ricostruire le origini, le componenti e i detentori del credito italiano vantato verso la Grecia, vagliandone le caratteristiche e l'ammissibilità.
(1-00880) «Scotto, Fratoianni, Marcon, Palazzotto, Kronbichler, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'andamento della grande distribuzione organizzata, ovvero il sistema di grandi strutture per la vendita al dettaglio, è il riflesso degli effetti della crisi economica sul potere d'acquisto e sui consumi degli italiani. Stando agli ultimi dati Istat, infatti, le vendite delle imprese grande distribuzione organizzata sono scese dello 0,1 per cento a ottobre 2014 sul 2013 (stabili quelle non alimentari e in calo dello 0,1 per cento quelle alimentari);
   non si può però parlare di una generica crisi, visto che molte grandi aziende operanti in questo settore hanno registrato un fatturato in crescita. Ad esempio Esselunga ha registrato un +3,2 per cento sul margine operativo lordo, Conad ha ottenuto un fatturato in crescita del 4,9 per cento rispetto all'anno precedente, Crai ha registrato nel 2014 un incremento del 24 per cento del fatturato dell'intera organizzazione, il gruppo Unicomm ha realizzato ricavi per 2 miliardi di euro, MaxDì ha realizzato un utile netto di oltre 12 milioni;
   negli ultimi tempi, alcune grandi società, hanno annunciato esuberi di personale, in contrasto con le politiche espansionistiche attuate e conseguente incremento di fatturato, ma per salvare i propri conti di bilancio adottano comunque la logica di riduzione dell'organico o azioni che ricadono esclusivamente sui lavoratori e le lavoratrici;
   tra questi si segnala la catena francese di supermercati Auchan spa, una delle principali aziende attive nel settore italiano della grande distribuzione organizzata di beni alimentari e non alimentari, presente sul territorio italiano dal 1989, con una rete di vendita che è organizzata in 56 ipermercati (di cui 50 a gestione diretta, 5 in franchising ed 1 affiliato), distribuiti in 11 regioni e nei quali sono occupate oltre 11.400;
   il gruppo francese, alcuni giorni fa ha annunciato 1.426 licenziamenti, una cifra enorme, che dovrebbe essere distribuita in maniera omogenea tra Nord, Sud, Centro e Isole e non esclusivamente nel meridione, come prevedeva una nota iniziale;
   solo in Sicilia la società conta 1.137 dipendenti distribuiti in sei punti vendita, rischiano il posto 267 lavoratori tra cui: 48 sono quelli individuati su Melilli su un organico di 181, pari al 26 per cento; a Catania: Misterbianco sono 70 su 217 dipendenti, Catania S.G.La Rena sono 78 su 176 dipendenti, Porte di Catania sono 28 dipendenti su 209; Palermo: a Carini 21 dipendenti su 139 e a Palermo 22 dipendenti su 216;
   in Campania, dove si concentrano 5 ipermercati, sono previsti 320 licenziamenti tra Nola, Pompei, Giugliano, Mugnano e Napoli. Numeri a cui bisogna aggiungere i circa 80 appena attuati a Pompei e Mugnano attraverso la mobilità incentivata;
   nel Veneto sono previsti 140 esuberi tra questi, solo a Mestre 65 persone su 323 lavoratori, per la maggior parte donne, 38 lavoratori a Vicenza e 38 a Padova; a Bergamo si contano 29 esuberi, tutti concentrati nel supermercato di Via Carducci che attualmente ne occupa circa 220;
   per Brescia si parla di 52 esuberi nel punto vendita di Roncadelle dove attualmente sono occupate 297 persone e ad Ancona, Auchan licenzierà 36 lavoratori del punto vendita su 214 dipendenti;
   nel mese di marzo, la trattativa sindacale, per superare la crisi interna dell'azienda, ha subito una battuta d'arresto in seguito alle irricevibili richieste dell'azienda di procedere a deroghe rispetto al contratto nazionale in materia di demansionamento, rinuncia alla quattordicesima mensilità temporanea per i punti vendita del nord e definitiva per quelli del sud, sospensione degli scatti di anzianità e del contratto integrativo;
   tra le ragioni dei licenziamenti la società indica «pratiche di concorrenza sleale» in voga prevalentemente nel Meridione, dove nella grande distribuzione molti operatori economici non applicherebbero i contratti collettivi di categoria nazionale, oppure utilizzano i contratti part-time anche se il personale lavora full-time;
   posto in questo modo, il problema esposto da parte di Auchan, potrebbe essere facilmente risolto attraverso un controllo da parte degli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ristabilendo, in tal modo, il rispetto dei contratti per i lavoratori, un equo costo del lavoro per tutti e la concorrenza nel mercato;
   sorprende che a motivazioni seppur plausibili si possa reagire trovando come unica soluzione una risposta a scapito dei lavoratori,

impegna il Governo:

   ad attivare, con urgenza, un tavolo istituzionale con le parti interessate, al fine di porre in essere azioni necessarie a tutela dei lavoratori;
   ad adoperarsi affinché siano individuate soluzioni alternative ai licenziamenti, prevedendo un uso più ampio dei contratti di solidarietà;
   ad adottare ogni iniziativa utile al fine di verificare il pieno rispetto della contrattazione collettiva e della disciplina in materia Contrattuale nel settore della grande distribuzione commerciale;
   a porre in essere un'attenta valutazione dei processi in ordine ad un settore sempre più fondamentale e sempre meno considerato, agli impatti socio economici che un processo come quello ipotizzato da Auchan inevitabilmente creerebbe, conseguenza dell'elevato numero di lavoratori licenziati a cui va aggiunto inevitabilmente un numero di lavoratori dell'indotto altrettanto elevato.
(7-00696) «Boccuzzi, Albanella, Zappulla, Berretta, Baruffi, Casellato, Damiano, Dell'Aringa, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gnecchi, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Tinagli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la recente sentenza della Corte costituzionale ha generato numerosi commenti sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul diritto a vedersi riconosciute interamente i cosiddetti diritti acquisiti;
   i dati sulla crescita incessante della spesa pubblica è certo ed in parte dipende dall'evoluzione dei prezzi;
   l'obiettivo da raggiungere, il dato fondamentale per garantire la sostenibilità delle finanze, è rappresentato dalla crescita del Pil perché tramite la diminuzione del rapporto esistente tra esso e il deficit abbiamo una misura che possa indicarci il quantum di spesa pubblica che il paese può permettersi di finanziare tramite le imposte;
   dal «Rapporto sulla programmazione del bilancio», appena pubblicato, si deduce che dal 2007 al 2014 le voci principali dei conti delle amministrazioni pubbliche (rappresentate dalla somma dei conti consolidati di amministrazioni centrali, amministrazioni locali e enti di previdenza ovvero tutta la spesa pubblica primaria, quella al netto degli interessi sul debito) in rapporto al Pil, che la pressione tributaria è cresciuta di circa 2 punti percentuali (nel 2011), dal 28,5 al 30,5 per cento, per poi rimanere stabile, mentre i contributi sociali si sono mantenuti più o meno costanti, pari al 13 per cento del Pil, per tutto il periodo considerato;
   la pressione fiscale (data dalla somma dei tributi più contributi) ha raggiunto il 43,5 per cento del Pil nel 2011, per poi mantenersi costante facendo logicamente dedurre che il riequilibrio della finanza pubblica si è realizzato soprattutto ricorrendo ad un ulteriore aumento dell'imposizione fiscale;
   la spesa in conto capitale, quella produttiva, necessaria per investimenti che facciano crescere il PIL e il numero degli occupati si è praticamente dimezzata, passando da quasi il 5 per cento del Pil a circa il 3 per cento;
   i tagli alla spesa hanno interessato la spesa necessaria, mantenendo quella superflua, inutile e a volte persino dannosa quando è fatto notorio che alla spesa in conto capitale è legato il mantenimento e l'ammodernamento delle infrastrutture, senza le quali il Paese fatica e non riesce a tornare a crescere;
   di contro la spesa corrente, quella per i dipendenti pubblici e l'acquisto di beni e servizi, dopo una lieve crescita nel momento più duro della crisi nel 2009 (quanto il reddito reale si è ridotto di oltre 6 punti in un anno) ha ripreso un trend decrescente e nel 2014 è sul Pil di poco superiore a quanto fosse nel 2007, cioè attorno al 18 per cento;
   risultato modesto poiché il Pil reale nel frattempo si è ridotto di oltre il 9 per cento e l'inflazione è cresciuta più o meno nella stessa misura, cosicché il Pil nominale del 2014 non è molto diverso da quello del 2007;
   naturalmente il blocco degli stipendi e del turnover per l'impiego pubblico insieme alle varie misure di riduzione della spesa per gli acquisti qualche effetto l'hanno avuto, riducendo questa componente della spesa in termini reali;
   al contrario, la spesa per le prestazioni sociali in denaro è cresciuta di circa 4 punti rispetto al Pil, passando da circa il 17 a circa il 21 per cento. Dentro questa voce ci sono le pensioni, che ne costituiscono oltre l'80 per cento, e vari interventi di protezione sociale, inclusi il pagamento del Tfr, la cassa integrazione, l'indennità per malattia e infortuni, gli assegni familiari e altro ancora. In questa voce sono contabilizzati anche gli 80 euro mensili elargiti dal Governo solo ad alcuni, non certo i più bisognosi;
   se l'elargizione fosse interpretabile come riduzione di imposte (tale è la versione che con insistenza il governo fornisce ai media, a nostro avviso falsificando la realtà fattuale) invece che come maggiore spesa, si potrebbe far apparire che la pressione fiscale nel 2014 sia diminuita. Anche se in modo quasi infinitesimale poiché si tratta solo di qualche decimo di punto;
   appare naturale il fatto che il fabbisogno necessario per garantire la cassa integrazione agli imprenditori che l'hanno ottenuta con un provvedimento amministrativo e discrezionale di competenza del Governo, sia notevolmente cresciuto durante la crisi (triplicando gli importi erogati in termini nominali), visto che si tratta di una componente legata al ciclo. Se, e quando, il paese uscirà dalla recessione, la cassa integrazione o qualunque altra forma di ammortizzatore sociale la sostituirà in futuro, l'importo erogato si ridurrà automaticamente;
   forti preoccupazioni provengono invece dalla stima della spesa la quale, nonostante la cosiddetta legge Fornero e i vari provvedimenti presi durante la crisi, compreso il blocco della rivalutazione recentemente sentenziato come incostituzionale dalla Corte costituzionale, ha continuato su un trend crescente anche durante la lunga recessione;
   la voce di spesa è legata sia al naturale invecchiamento della popolazione che ai diritti acquisiti come definiti dalla legislazione e dalla giurisprudenza costituzionale, compreso adeguamento automatico all'inflazione. È di evidenza solare il fatto che se non si interviene secondo un diverso criterio, fondato su una effettiva giustizia sociale, la spesa rimarrà incomprimibile, favorendo l'iniquità intergenerazionale. L'iniquità intergenerazionale garantirebbe lo status quo, i padri e i nonni privilegiati perché hanno goduto di maggiori diritti e pagato minori contributi rispetto ai figli e nipoti, in genere lavoratori con occupazioni precarie, grazie al fatto di aver votato per i partiti che hanno approvato scientemente leggi di spesa senza preoccuparsi di reperire in modo costituzionalmente legittimo i fondi necessari a fornire i diritti stessi. Le precedenti generazioni di contribuenti, a nostro avviso, si sono prestate ad un enorme voto di scambio poiché i partiti, sia della maggioranza che dell'opposizione, in cambio di voti certi garantiti da spese fatte a vantaggio della maggioranza degli elettori, hanno reiteratamente e scientemente, ad avviso degli interpellanti, violato il quarto comma dell'originario articolo 81 della Costituzione. La pena per quell'errore politico è oggi scontata da contribuenti innocenti, cittadini che subiscono ingiustamente l'onere delle scelte esecrabili fatte in precedenza, quando per oltre un cinquantennio si è ricorso, senza soluzione di continuità, ad una dissennata politica di deficit spending, malamente spacciata come politica keynesiana. Naturalmente, attualizzando i dati e comparandoli, le nuove generazioni di contribuenti risultano estremamente svantaggiate nonostante, o a causa, delle sentenze della Corte costituzionale;
   a riprova della bontà delle affermazioni, si considerino i tassi di crescita media annui delle principali voci di spesa pubblica, sempre ripresi dal «Rapporto» dell'Ufficio di bilancio ove si evince una crescita nominale per vari periodi delle diverse componenti di spesa pubblica, fino al 2019;
   il tasso di crescita di redditi da lavoro e degli acquisti di beni e servizi si è quasi azzerato nell'ultimo quinquennio, mentre era attorno al 5 per cento annuo nel periodo 2000-2009, quello della spesa per le prestazioni sociali in denaro, pur riducendosi, è rimasto attorno al 2 per cento l'anno. Il risultato di questi andamenti differenziati dipende dal fatto che la crescita della spesa pubblica primaria è stata di poco superiore all'1 per cento l'anno nell'ultimo quinquennio, contro oltre il 4 per cento nel decennio precedente, come detto favorendo la crisi economica;
   dalle dichiarazioni del Governo sappiamo che si intende mantenere lo stesso profilo di crescita per la spesa primaria nei prossimi cinque anni. Vi è però un problema poiché le stime disponibili, anche prima dell'intervento della Consulta, prevedevano una crescita della spesa pensionistica (oltre il 30 per cento della spesa pubblica corrente) attorno al 2,7 per cento all'anno per il prossimo quinquennio. Il che significa che le altre componenti di spesa, su cui si è già intervenuti pesantemente, dovrebbero aumentare meno o ridursi proporzionalmente per mantenere il tasso di crescita previsto;
   come il Governo riuscirà a realizzare tutte le contraddittorie e confliggenti previsioni non ci è dato sapere –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere durante la sessione parlamentare di bilancio per evitare un ulteriore aggravio della pressione fiscale, allocando diversamente le risorse scarse, in modo più efficiente, economico ed efficace al fine di garantire diritti universali e impedire il mantenimento di sacche di privilegio annidiate nell'ordinamento giuridico in vigore.
(2-00998) «Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   un imprenditore edile italiano, Roberto Berardi, originario di Latina, 49enne, accusato di truffa ed appropriazione indebita, è stato condannato ad una pena di due anni e quattro mesi, da scontare nelle carceri della Guinea Equatoriale;
   la difesa del Berardi, costruttore con all'attivo la realizzazione di importanti infrastrutture in Africa, sostiene che la condanna è maturata nel contesto della risposta politico-giudiziaria ad uno scandalo finanziario che aveva coinvolto il figlio del Presidente della Guinea Equatoriale, partner d'affari del nostro sfortunato connazionale;
   il regime e le condizioni della detenzione in Guinea Equatoriale non sono assolutamente paragonabili a quelle applicate nel nostro Paese, circostanza che sta nuocendo gravemente alla salute del Berardi, dimagrito di circa 30 chilogrammi, affetto ormai da numerose patologie, ristretto in una cella di due metri per tre e spesso oggetto di umiliazioni pesanti ad opera dei suoi carcerieri, che lo avrebbero frustato innumerevoli volte;
   del caso si è interessato anche l'ex Vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, al quale il Presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo aveva assicurato nel marzo dello scorso anno tempi brevi per la liberazione;
   nel 2014, risultava in effetti già avviata, con buone prospettive di una conclusione in tempi brevi, una trattativa tra il Governo italiano e quello della Guinea Equatoriale, anche se i legali del Berardi non risultavano averne avuta notizia dalle autorità del nostro Paese;
   la liberazione del Berardi, ciò malgrado, è stata annunciata soltanto per il 19 maggio 2015, data che oltretutto è stata presto sostituita con una più lontana nel tempo, il prossimo 7 luglio;
   penderebbe per la liberazione del Berardi una richiesta risarcitoria di 1,5 milioni di dollari da parte del socio di Berardi, figlio del dittatore Obiang e che proprio la corresponsione di questa cifra sarebbe il problema –:
   che iniziative abbia messo in campo il Governo italiano per ottenere la liberazione di Roberto Berardi;
   se risponda al vero il fatto che la richiesta di una somma di 1,5 milioni di dollari sia l'ostacolo che allo stato si frappone alla concessione della libertà a Roberto Berardi;
   di quali informazioni il Governo disponga a proposito della volontà della Guinea Equatoriale di rilasciare effettivamente il Berardi. (4-09371)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA e ARLOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 della legge 21 marzo 2001, n. 93, rubricato «Disposizioni in materia di attività mineraria», prevede, al comma 2, la costituzione del parco museo minerario dello zolfo delle Marche, il quale è stato poi istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 20 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, n. 156 del 7 luglio 2005;
   il parco è stato istituito per ricordare e per onorare il lavoro dei minatori, con la precisa finalità di assicurare il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio ambientale, etno-antropologico, storico-culturale e tecnico-scientifico dei siti, dei beni e delle tradizioni legati alla storia e alla cultura mineraria;
   il provvedimento ministeriale istitutivo del parco museo stabiliva che la gestione dello stesso venisse affidata ad un Consorzio avente personalità giuridica di diritto pubblico e che fino all'insediamento degli organi del Consorzio operasse un Comitato di gestione provvisoria i componenti del quale, nel corso degli anni sono stati più volte oggetto di sostituzioni e dismissioni;
   della predisposizione dello statuto e del regolamento di amministrazione e contabilità del Consorzio veniva incaricata un'apposita  commissione composta da quindici componenti, nominata con decreto del 3 ottobre 2006 e successivamente prorogata di semestre in semestre dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Un'ultima richiesta di proroga non veniva però accolta dal Ministero portando alla decadenza della commissione, a decorrere dal 1o aprile 2009, rendendo così impossibile la formulazione dello statuto e del regolamento e bloccando di fatto l’iter costitutivo del parco;
   tale situazione di impasse è stata aggravata dall'approvazione della legge 3 agosto 2009, n. 117, che, portando al distacco dalla regione Marche dei comuni di Novafeltria, Sant'Agata Feltria e Talamello, componenti del parco museo, ed alla loro aggregazione alla regione Emilia Romagna, faceva venir meno il carattere monoregionale del parco museo modificandone sostanzialmente l'atto fondativo;
   per superare tale ultimo problema la regione Marche ha preso in considerazione varie ipotesi tra cui quella di modificare la perimetrazione del parco museo limitandola ai soli comuni marchigiani, operazione formalmente più semplice di altre ma che ne avrebbe snaturato le finalità stesse, in quanto il territorio e le comunità coinvolte presentano caratteristiche univoche di storia, tradizioni ed esperienze; un'altra ipotesi, più realistica, è quella di far ripartire il parco su base interregionale; a tal riguardo nel corso della presente legislatura è stata presentata una proposta di legge d'iniziativa parlamentare (n. 899) della quale però, ancora, non è stata avviata la discussione;
   nel frattempo il comitato di gestione provvisoria ha continuato a gestire il parco museo utilizzando le risorse statali pari a circa 1.500.000 euro per il primo triennio di attività e quelle annualmente assegnate (da ultimo, 170.000 euro nel 2014) con modalità che andrebbero verificate in termini di efficienza, efficacia ed economicità da parte del Ministero erogante;
   da recenti articoli di stampa (si veda il Resto del Carlino, cronaca di Pesaro, del 27 maggio 2015) emerge un quadro gestionale che imporrebbe un attento monitoraggio da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ragione delle funzioni di vigilanza che gravano su di esso soprattutto in un contesto di «provvisorietà» che ha assunto connotati non accettabili per il suo protrarsi;
   appare quanto mai urgente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotti tutte le misure per completare l’iter costitutivo del parco e che nelle more di soluzioni legislative necessarie a costituire l'interregionalità del parco museo delle miniere, adotti i provvedimenti necessari per garantire un costante monitoraggio e controllo della gestione del Consorzio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se intenda assumere ogni iniziativa di competenza per la nomina di un commissario che provveda entro un termine breve all'approvazione dello statuto e del regolamento e gestisca l'Ente fino alla costituzione dei nuovi organi e nelle more di una soluzione legislativa comunque necessaria per rendere il parco museo dello zolfo di natura interregionale. (5-05733)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ad oltre cinque anni dalla conclusione dell'indagine «Laguna de Cerdos», è ancora in corso il processo per inquinamento ambientale relativo al sequestro del depuratore di Bettona, in Umbria, un impianto, destinato al trattamento dei reflui suinicoli e delle acque di vegetazione di frantoi oleari da cui si estrae biogas per la produzione di energia elettrica, che secondo le accuse smaltiva i residui finali, liquidi e solidi, illecitamente ovvero spargendoli illecitamente sui terreni agricoli;
   a seguito di tre anni di indagini dei NOE sono state messe, infatti, ben 11 misure cautelari emesse a seguito di tre anni e i 18 imputati sono accusati di avere costituito un «sodalizio che operava mediante l'irregolare e non autorizzata gestione dell'impianto al fine di consentire ai consociati di disfarsi agevolmente degli enormi quantitativi di rifiuti prodotti dalle proprie aziende zootecniche lucrando sia sui notevoli risparmi derivanti dallo smaltimento illecito, anche attraverso conferimenti di terreni da parte di proprietari, ..., sia sui proventi e le utilità derivanti dalle illecite attività connesse all'esercizio dell'impianto in violazione di legge»;
   si ipotizza, per la CODEP – la cooperativa di allevatori suinicoli che gestiva l'impianto – nonché per alcuni funzionari dell'ARPA, il reato di disastro ambientale e avvelenamento delle falde acquifere, considerata l'enorme quantità di liquami sversati illegalmente: secondo i calcoli dell'accusa effettuati tenendo conto del quantitativo che veniva immesso nel depuratore e dei terreni in cui veniva fatta la fertirrigazione, a fronte di una norma che prevede attualmente una media di non più di 240 chilogrammi per ogni ettaro, si è arrivati a circa 700 chilogrammi;
   lo spandimento indiscriminato di reflui zootecnici comporta l'assorbimento di azoto nel terreno e la conseguente compromissione delle falde acquifere, determinando un pericolo concreto, oltre che per l'ambiente, anche per la salute umana;
   nel corso dei cinque anni che sono seguiti alla chiusura dell'indagine, molti dettagli sono venuti alla luce ed è emersa, in particolare, l'insostenibilità dei molti allevamenti zootecnici suinicoli che insistono sul territorio di Bettona e i cui reflui sono sempre più difficilmente smaltibili sono ben 60 le aziende coinvolte nel processo;
   dal processo sono state ritenute estranee in fase preliminare tutte le parti «istituzionali», assolvendo sindaco e giunta comunale da qualsiasi responsabilità nella complessa vicenda, nonostante, a parere dell'interrogante, resta la responsabilità politica;
   molti comitati ambientalisti, nonché la stessa Legambiente si sono costituiti parte civile nel processo, mentre il Ministero interrogato, pur avendone fatto richiesta – come si evince da alcuni articoli di stampa – non è chiaro se si sia poi effettivamente costituito;
   nonostante di certo non possa essere l'unica causa della vicenda del depuratore di Bettone, in cui evidentemente si intrecciano interessi economici, reati di abuso d'ufficio e connivenza da parte degli organi preposti al controllo; è importante sottolineare che i danni ambientali da illecito smaltimento dei reflui zootecnici sono un fenomeno sempre più rilevante per il nostro Paese tanto che da mesi si attende l'emanazione di una normativa più stringente sulla gestione dei reflui zootecnici –:
   quali siano le ragioni della mancata costituzione di parte civile da parte del Ministero interrogato a fronte di una vicenda di così rilevante portata ai danni dell'ambiente;
   se non ritenga opportuno avviare dei controlli più stringenti sulla gestione degli impianti di depurazione sul territorio italiano, a fronte dei numerosi illeciti portati alla luce in questi anni dal NOE e dalle altre forze dell'ordine, ipotizzando anche un'iniziativa normativa volta al rafforzamento, nell'ambito del controllo delle Agenzie per la protezione dell'ambiente;
   a che punto sia l'istruttoria sulla nuova iniziativa normativa relativa alla gestione dei reflui zootecnici al fine di dotare di una normativa più stringente il comparto ed evitare in questo modo il ripetersi di episodi come quello di Bettona. (5-05735)

Interrogazione a risposta scritta:


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   in località San Nicola di Celico (Cosenza) insiste una discarica di proprietà della Mi.Ga. srl che per il 48 per cento è di proprietà della Sovreco Spa, il 48 per cento di Salvaguardia ambientale e il 4 per cento di Mida Tecnologie Ambientali. Le tre società citata fanno parte del gruppo Vrenna di Crotone. Tale gruppo è stato aggetto di attenzione da parte della dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella scorsa legislatura, tanto che nella relazione conclusiva comunicata alle Presidenze il 20 maggio 2011 esiste apposito capitolo intitolato «Le infiltrazioni malavitose nel ciclo dei rifiuti nella provincia di Crotone e il ruolo del gruppo Vrenna»;
   attualmente – detta discarica – è autorizzata per contenere un volume complessivo di 290.000 metri cubi di rifiuti, con una possibile espansione sino a 500.000 metri cubi;
   l'autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di questa discarica appare, ad avviso degli interroganti, incredibile. La prima richiesta di autorizzazione risale al 1997, alla quale seguì il parere negativo rilasciato da parte della regione Calabria, supportata dal Corpo forestale dello Stato, perché l'area interessata era soggetta a vincolo idrogeologico, vi insisteva una vasta area boschiva soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, una parte dell'area era stata percorsa dal fuoco e quindi era inedificabile e il progetto, per come esposto, presentava rischi in quanto il corpo della discarica poteva divenire un vero e proprio corpo di diga per il torrente Pinto;
   a seguito della modifica del progetto, comportante una drastica riduzione dell'area interessata, la Mi.Ga. ottenne l'autorizzazione a realizzare la discarica con il parere positivo del Corpo forestale la quale notificò che tale ipotesi progettuale sarebbe stata l'unica realizzabile;
   nel 2003 la discarica della Mi.Ga., non ancora in esercizio, a seguito dell'approvazione del decreto legislativo n. 36 del 2003, risultava non conforme ai requisiti di legge che recepivano la direttiva 1999/31/CE. Nel 2008 la Mi.Ga. presenta una richiesta di autorizzazione per l'adeguamento e l'ampliamento della discarica;
   l'adeguamento era necessario per conformarsi alle prescrizioni del decreto legislativo n. 36 del 2003, anche perché l'area interessata è classificata con rischio sismico 1 e il decreto legislativo citato vieterebbe la realizzazione di discariche in dette aree;
   l'ampliamento è andato ad interessare le aree per le quali il Corpo forestale dello Stato nel 1997 aveva fornito parere negativo. Inoltre la discarica non rispettava e non rispetta ancora la distanza minima di 1000 metri prevista dai centri abitati. Infatti, come certificato dagli uffici tecnici dei rispettivi comuni, la distanza dal centro abitato di Celico è di soli 730 metri mentre da quello di Rovito è di 958 metri;
   nell'autorizzazione del 2008 tale requisito, ancora non soddisfatto, ignorato quindi non rispettato fu eluso grazie ad una sorta di escamotage: si fece riferimento alla delibera 3451 della giunta regionale Calabria dell'8 giugno 1995, ampiamente superata da norme regionali e nazionali, che permetteva la deroga nel caso in cui la discarica non fosse visibile dal centro abitato, omettendo però il fatto che per il comune di Rovito, anche facendo riferimento alle norme citate, ugualmente i requisiti previsti non erano soddisfatti;
   nella stessa autorizzazione si dichiarava una distanza dal torrente Pinto superiore a quella effettiva (295 metri invece dei 176 metri certificati dall'ufficio tecnico del comune di Rovito) e una distanza dalla ferrovia (305 metri invece dei 280 certificati dall'ufficio tecnico del comune di Celico). Entrambe le distanze sono poi risultate inferiori ai limiti previsti dalla legge. Sempre in merito alle distanze, la discarica dista soli 230 metri dalla casa rurale più vicina (come risulta dalla certificazione dell'ufficio tecnico del comune di Celico) invece dei 300 metri minimi previsti dalle norme;
   pur in assenza di requisiti fondamentali, ai quali si aggiunge la classificazione dell'area come soggetta a rischio sismico 1 e la presenza di sostanze inquinanti fuori soglia, senza che sia stato avviato alcun intervento volto a determinarne le cause, la Mi.Ga. riceve l'autorizzazione integrata ambientale dalla regione Calabria;
   questo accadeva nel 2008 mentre era in vigore il piano regionale rifiuti della regione Calabria che non prevedeva e non prevede ancora il supporto delle discariche private, come quella della Mi.Ga., fornito al sistema pubblico. Siamo in presenza quindi di un imprenditore che ha investito decine di migliaia di euro per realizzare un impianto che, secondo le norme in vigore, non potrebbe essere utilizzato ma che, così come dichiarato nella richiesta di AIA, è invece pronto a intervenire nel caso in cui fosse necessario il proprio intervento di supporto nell'eventualità, molto probabile, in cui si presentasse un'emergenza rifiuti con necessità di sversamento in discarica di tal quale, modalità che però è vietata dalla legge;
   eventualità che si è concretizzata effettivamente nei primi mesi del 2014. Ad aggravare il quadro si aggiunga il fatto che nel 2007, anno nel quale l'ordinamento giuridico di già impediva l'utilizzo dell'impianto per sversare i rifiuti prodotti nella regione Calabria, la Mi.Ga. ricevette dal patto territoriale Silano un importo pari a 1.449.023 euro provenienti da fondi pubblici. Fondi pubblici destinati quindi a un'attività che non potrebbe e dovrebbe entrare in esercizio perché contraria alle prescrizioni delle norme vigenti in materia;
   con ordinanza n. 53 del 13 maggio 2015 il presidente della giunta regionale della Calabria, Mario Oliverio, ha emesso una ulteriore ordinanza contingibile e urgente che permette lo sversamento di rifiuti non trattati ai sensi di legge e l'utilizzo delle discariche private in supporto al sistema pubblico per il trattamento dei rifiuti indifferenziati, detti tal quale;
   l'ordinanza per lo sversamento dei rifiuti non trattati, fa riferimento ad una norma prevista dall'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che permette di derogare al decreto legislativo n. 152 del 2006 per sei mesi reiterabili due sole volte;
   l'ordinanza del 13 maggio 2015 risulta essere invece la quinta deroga per complessivi 30 mesi, per essere precisi sono state emesse le seguenti ordinanze: n. 41 del 10 maggio 2013, n. 146 dell'11 novembre 2013, n. 46 dell'8 maggio 2014, n. 115 del 13 novembre 2014, n. 132/2014 del 23 dicembre 2014 e infine la n. 53 del 13 maggio 2015, tempistica prevista dalla legge che è stata ampiamente superata (max 18 mesi le ordinanze, compresa l'ultima si protraggono per 30 mesi) in violazione palese quindi alla norma sopra richiamata;
   l'ordinanza va in deroga anche al piano regionale rifiuti, prevedendo l'utilizzo delle discariche private a supporto del sistema pubblico, e soprattutto riproponendo nelle ultime due ordinanze (emesse dalla giunta Oliverio) gli stessi dubbi di legittimità sorti in occasione dell'approvazione dell'emendamento alla legge regionale n. 18 del 12 aprile 2013 contestato in più sedi dalla minoranza in seno al consiglio regionale nel 2014 ed oggi diventata maggioranza;
   poiché l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 rubricato «Ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi» recita testualmente: «1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi.
   2. Entro centoventi giorni dall'adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine e, in caso di protrazione dell'inerzia, può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini.
   3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali.
   4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini.», appare agli interroganti che i fatti narrati siano stati ottenuti in violazione delle norme stesse –:
   in base a quali norme, prassi o consuetudini il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia consentito alla giunta regionale di prorogare per ben 5 volte – arrivando come sopra detto sino a 30 mesi – la deroga al decreto legislativo n. 152 del 2006 e quali eventuali iniziative gravi ed urgenti intenda assumere per far rispettare il comma 2 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 considerato che il conclamato decorso del termine di accertata inattività necessita di promuovere e adottare tutte le decisioni necessarie per garantire la effettiva raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti, eventualmente giungendo a diffidare il presidente della giunta regionale calabrese, a causa dell'inerzia dimostrata non avendo provveduto alla soluzione dei problemi narrati in premessa, entro un congruo termine e ad adottare ove ne ricorrano i presupposti in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini. (4-09373)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI e PARENTELA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   le comunità montane, istituite con legge del 3 dicembre 1971, sono state successivamente disciplinate dal testo unico sugli enti locali, decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, che, all'articolo 27 (Natura e ruolo) riporta: «le comunità montane sono unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali»;
   le comunità montane sono enti pubblici ad appartenenza obbligatoria, costituiti con provvedimento del presidente della giunta regionale;
   la legge 31 gennaio 1994, n. 97, Nuove disposizioni per le zone montane, all'articolo 3, stabilisce che quando non diversamente specificato, le disposizioni di tale legge si applicano ai territori delle comunità montane ridelimitate ai sensi dell'articolo 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Ai fini della legge, per «comuni montani» si intendono i «comuni facenti parte di comunità montane» ovvero i «comuni interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e successive modificazioni» in mancanza della ridelimitazione;
   lo scopo delle comunità montane è la valorizzazione delle zone montane tramite il conferimento dell'esercizio di funzioni proprie nonché dell'esercizio associato di funzioni comunali, e sono costituite da un organo rappresentativo e da uno esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti;
   furono oggetto anche di un aspro dibattito pubblico riguardante i cosiddetti enti «inutili» nel contesto della revisione della spesa pubblica e dell'efficienza nella realizzazione delle funzioni conferite alle comunità, rese sempre più urgenti dalla situazione finanziaria dello Stato italiano;
   nei decenni si sono succeduti diversi tentativi governativi di soppressione, come quello attuato con la legge finanziaria 2008, poi «bocciato» dalla Corte Costituzionale, che ha affidato la competenza in materia alle regioni;
   anche le regioni che procedettero nell'abrogazione subirono numerosi ricorsi del TAR come nel caso del Piemonte da parte della comunità montana Alpi del Mare, il cui ricorso mirava ad annullare la deliberazione della giunta regionale che aboliva altre 21 comunità;
   alla luce dei fatti di cui al punto precedente, il Governo Monti ne ha proposto allora una razionalizzazione con il decreto-legge 6 luglio 2012, 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – spending review – che sancisce che le comunità montane potranno continuare a sopravvivere trasformandosi in unioni di comuni con maggiori poteri ma meno costi attesi in ragione dell'unione di più enti;
   al 2008 permangono 72 comunità montane delle 300 attive in precedenza, in gran parte concentrate in Valle d'Aosta (8), Trentino Alto Adige (23), Lombardia (23), Veneto (19), Emilia Romagna (10), Marche (9), senza considerare le comunità montane in fase «prolungata di liquidazione» che al 2014 sono 201 (i cosiddetti enti fantasma) che nonostante siano formalmente aboliti ricevono fondi pubblici per il pagamento degli stipendi del personale, ma non fondi per l'erogazione dei servizi;
   in Sicilia sono state abolite nel 1986 e le loro funzioni sono passate in capo alle province, che ora dopo la «legge Crocetta», convergeranno nei liberi consorzi di comuni, mentre in Friuli-Venezia Giulia sono state soppresse nel 2001 e reintrodotte tre anni dopo, in Sardegna sono state cancellate dalla regione il 20 marzo 2007 (salvo poi ripescarne una nel 2009), ma a distanza di sei anni il processo di liquidazione non è ancora terminato;
   visti i fatti sopra descritti le comunità montane rappresentano ancora delle realtà amministrative attuali, e la loro presenza sancisce l'esistenza di aree fortemente svantaggiate del territorio italiano nelle quali ricadono molte amministrazioni comunali;
   nel decreto-legge del 24 gennaio 2015, n. 4, recante Misure urgenti in materia di esenzione dell'IMU (sui terreni) e convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, i criteri di esenzione dal pagamento dell'imposta tengono conto della classificazione dei comuni in montani, parzialmente montani e non montani dell'ISTAT, stilata sulla base della presenza di condizioni svantaggiose dovute a diversi fattori orografici –:
   se ritengano coerente con i criteri di esenzione dal pagamento dell'IMU sui terreni agricoli, il fatto che molte amministrazioni comunali benché ricadenti nelle cosiddette comunità montane o assimilate, ovvero aree che necessitano di valorizzazione (perciò tendenzialmente svantaggiate), non vengano totalmente esentate dalla corresponsione dell'imposta;
   quali iniziative siano in atto o allo studio per colmare la grave anomalia che vede i cittadini dei comuni svantaggiati facenti parte delle comunità montani, soggetti d'imposta dell'IMU sui terreni agricoli. (5-05730)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di rimorchio nel porto di Manfredonia era stato affidato in concessione alla San Cataldo spa di Napoli, ma intorno al 2011, a causa di rilevanti perdite economiche, la stessa società aveva comunicato alla capitaneria la volontà di rinunciare alla concessione e al servizio di rimorchio nel porto di Manfredonia;
   era seguita, dopo l'attivazione di tavoli tecnici presso i Ministeri e presso la stessa capitaneria e dopo parere favorevole dell'autorità portuale, l'indizione di una procedura per l'affidamento della concessione e del servizio, tuttavia andata deserta;
   ne era derivata la decisione di imporre alle navi soggette all'obbligo del servizio di rimorchio di ricorrere ad un soggetto concessionario presso altro porto. Specificamente si trattava dell'utilizzo del rimorchiatore del porto di Barletta per quello di Manfredonia e si consentivano allontanamenti temporanei;
   questa situazione perdura nel tempo provocando disagi e ritardi ed implicando che un sito, Barletta o Manfredonia, a seconda dei casi, sia esposto ad un grave rischio in quanto scoperto per il tempo occorrente all'intervento (circa due o tre ore ad operazione commerciale) più quello occorrente alla durata del viaggio tra i due porti (circa tre ore di navigazione in condizioni favorevoli);
   il servizio di rimorchio portuale, ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 84 del 1994, è «di interesse generale» per la tutela della sicurezza portuale della navigazione e dell'approdo. Diversamente, la situazione descritta pone specifici problemi di sicurezza: si pensi all'evento del giugno 2011 in cui un canadair della protezione civile, durante un'attività di soccorso, fu costretto ad un atterraggio di emergenza cui dovettero seguire le previste procedure di soccorso in mare e messa in sicurezza rese possibili anche grazie al servizio di rimorchio;
   anche dal regolamento per il servizio di rimorchio delle navi vigente per il porto di Manfredonia emerge la funzione di tutela della sicurezza del rimorchiatore cui si impone «l'obbligo di mettersi immediatamente a disposizione della Capitaneria ogni qual volta si verifichino avverse condizioni meteo-marine, ovvero situazioni di emergenza nei porti o approdi», così richiedendo una sua necessaria pronta operatività; specificamente all'articolo 13 si prevede che, «anche se in via del tutto eccezionale e temporanea», sia possibile «l'effettuazione di singole operazioni di rimorchio nel vicino porto di Barletta, solo qualora consentito dal servizio e con il preventivo benestare della Capitaneria, sotto pena di decadenza della concessione» e in ogni caso «comunque con una assenza dal porto di Manfredonia che non superi le dodici ore»;
   il citato regolamento per il servizio di rimorchio all'articolo 10, come modificato dall'ordinanza n. 5 del 9 aprile 2013, impone altresì che il rimorchiatore debba «stazionare normalmente nel punto designato dalla capitaneria» e debba «essere pronto a muovere entro due ore dalla richiesta dell'Autorità Portuale per effettuare prestazioni di emergenza finalizzate a garantire la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita umana in mare, nonché a garantire l'ordine e la sicurezza del porto»;
   per il servizio di rimorchio sono previsti criteri e meccanismi di formazione delle tariffe stabiliti, a mente del citato articolo 14, al comma 1-bis, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla base di un'istruttoria condotta congiuntamente dal comando generale del Corpo delle capitanerie di porto e dalle rappresentanze unitarie delle autorità portuali, dei soggetti erogatori dei servizi e dell'utenza portuale. Per il porto di Manfredonia sono state previste determinate tariffe con ordinanza n. 53 del 2008, successivamente aggiornate con ordinanza n. 60 del 2010 che ne ha disposto un aumento. A ciò tuttavia si deve aggiungere il costo per il trasferimento del rimorchiatore dal porto di Barletta con un aggravio degli oneri che contribuisce al dirottamento delle navi degli utenti su altri porti;
   ne è conseguito nel frattempo un ulteriore calo del movimento portuale, anche per il problema del rimorchiatore, ed un nocumento per tutta l'economia portuale, già provata dalla crisi marittima –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa fornire chiarimenti circa l'attuale situazione inerente alla disponibilità del servizio di rimorchio nel porto di Manfredonia;
   se il Ministro interrogato sia in grado di dar conto della scelta di autorizzare i descritti allontanamenti temporanei;
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda intraprendere per risolvere la situazione di disagio e ripristinare i necessari ed adeguati livelli di sicurezza, magari all'uopo disponendo l'indizione di un tavolo tecnico con le autorità competenti;
   se il Ministro interrogato possa chiarire il regime tariffario vigente, specificamente in ordine alla previsione di oneri aggiuntivi per il trasferimento del servizio di rimorchio. (5-05729)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra le grandi arterie nazionali la Cassia, nel tratto da Roma a Viterbo, è in condizioni tali da costituire serio pericolo per la circolazione e per tutti gli utenti;
   la pavimentazione è rovinata e da anni bisognosa di intervento, quasi del tutto assente la segnaletica orizzontale anche nei segmenti ripristinati dopo le reiterate proteste dei cittadini e dei comuni interessati;
   in particolare, se le condizioni della strada da Roma a Monterosi sono pessime, il tratto da Monterosi a Viterbo sembra rimasto fermo alla seconda guerra mondiale: due corsie anguste, piene di buche, che attraversano i centri abitati anche con notevole traffico pesante, dunque con grave disagio per bambini e persone anziane;
   ai disagi causati dagli attraversamenti dei paesi e dalle condizioni della strada a danno della circolazione vanno aggiunti ulteriori rallentamenti causati dai mezzi agricoli che sono costretti ad usare la statale;
   l'attenzione che l'Anas rivolge alla gemella consolare Aurelia, rinforza la credenza popolare secondo la quale tale attenzioni sono da attribuire alle pressioni di presunti VIP che hanno residenze tra Capalbio, Ansedonia e l'Argentario –:
   se e quali interventi siano stati programmati e per quale entità per una strada nazionale di primaria importanza;
   cosa ne sia stato del piano di raddoppio della Cassia da Monterosi a Viterbo di cui si è parlato in sede politica nazionale e regionale come riportato più volte dagli organi di informazione. (4-09364)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione STCW (Standards of training, certification and watchkeeping), adottata nel 1978 in sede IMO (Organizzazione marittima internazionale), è lo strumento normativo internazionale che fissa gli standard di competenza professionale propri di ogni figura professionale marittima e ne disciplina la relativa attività di certificazione;
   una revisione generale della Convenzione, iniziata nel gennaio 2006, è culminata nella Conferenza di Manila del giugno 2010, in occasione della quale sono state apportate significative modifiche alla citata Convenzione e al relativo codice, soprattutto in materia di standard di competenza richiesti, con l'introduzione, peraltro, di nuovi requisiti per l'addestramento e la certificazione dei marittimi;
   la STCW stabilisce, infatti, i requisiti fondamentali affinché un lavoratore marittimo, attraverso corsi specifici, periodi di navigazione o attività alternative ma in linea con le proprie mansioni, sia abile ad esercitare la propria professione;
   la stessa Convenzione obbliga i Paesi firmatari ad emettere un certificato (detto IMO) che traduce la qualifica di ogni marittimo in termini internazionali, in modo che lo stesso abbia la possibilità di lavorare su navi o entità straniere;
   prima dell'entrata in vigore degli emendamenti alla Convenzione, approvati nella Conferenza di Manila ed entrati in vigore nel gennaio 2012, veniva approvato il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136, recante «Attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare»;
   suddetto decreto legislativo non risulta, pertanto, conforme alla STCW e, in sede di rinnovo del certificato IMO, l'Italia adotta la disciplina di cui allegato IV del decreto medesimo che risulta essere molto diversa da quanto stabilito dalla sez. A-I/11 della STCW come emendata;
   gli emendamenti di Manila sono oggetto di una nuova direttiva europea 2012/35/UE al cui recepimento sembra che il Ministero stia lavorando;
   a ciò si aggiunga il fatto che, sia la circolare «Titolo gente di mare» serie XIII n. 27 del 25 novembre 2013, emanata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia la circolare ministeriale n. 2696 del 19 febbraio 2014, quanto al rinnovo dei certificati adeguati, impongono ai marittimi il rinnovo entro i 3 mesi precedenti o successivi alla data di scadenza, senza che questa disciplina discenda da alcuna norma nazionale o comunitaria;
   nonostante ciò, le capitanerie di porto rigettano le richieste di rinnovo dei suddetti certificati se le domande sono effettuate dopo 3 mesi dalla data di scadenza, poiché applicano quanto previsto dal decreto legislativo n. 136 del 2011, allegato IV, articolo 2, comma 1, lettera c), ai sensi del quale «L'autorità marittima di iscrizione, che ha rilasciato il certificato adeguato, provvede al rinnovo dello stesso se il marittimo è in possesso dei requisiti di idoneità fisica, degli addestramenti specifici richiesti dalle funzioni del certificato stesso in corso di validità, e ha soddisfatto, alternativamente, uno dei seguenti requisiti: c) abbia superato, con esito favorevole, un esame sui programmi di cui al decreto dirigenziale 17 dicembre 2007 (supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale – Parte prima – n. 13 del 16 gennaio 2008), atto a dimostrare di possedere la competenza professionale necessaria per l'assolvimento delle funzioni relative al certificato posseduto»;
   a giudizio dell'interrogante, prevedere, come spesso avviene, norme più restrittive rispetto a quanto previsto in sede comunitaria e internazionale danneggia i nostri marittimi e ne limita fortemente le possibilità di occupazione;
   stando alle procedure adottate dalle capitanerie sarà impossibile rinnovare tutti i certificati dei lavoratori in scadenza per il 1° gennaio 2017: basti pensare che l’iter burocratico per il rinnovo di ogni certificato richiede circa un mese e ogni marittimo ha in media 4/5 o, in alcuni casi, fino a 7 certificati da rinnovare;
   nel giugno 2014 è stata pubblicata l'ulteriore circolare applicativa n. 8563 che dispone la frequenza obbligatoria di corsi di formazione per l'accesso alla prossima sessione invernale di esami per ottenere i titoli STCW: chi volesse accedere alla carica direttiva deve ripetere tre volte gli stessi argomenti per sostenere tre esami simili (maturità, corso formazione, esame titolo in CDP) che vertono sulle stesse materie, limitativo per la cultura e la formazione dei nostri ufficiali;
   si tratta ad avviso dell'interrogante di un vero e proprio «business dei corsi di addestramento», ovviamente a carico dei giovani ufficiali e delle loro famiglie, che devono sostenere una spesa di circa 6.000 euro per ripetere argomenti già studiati sia per la maturità che per l'accesso alla professione marittima come ufficiale;
   si consideri, poi, che i ragazzi con famiglia, per seguire queste lezioni, devono rimanere senza lavoro per sei mesi, iscrivendosi alle liste di disoccupazione con aggravio di costi per lo Stato;
   questa è solo una parte dei problemi che affliggono la categoria, tutti problemi burocratici e di mancata armonizzazione normativa del settore –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno modificare, con urgenza e con la previsione di applicazione retroattiva, le indicazioni temporali per il rinnovo del certificato IMO contenute nelle circolari, allineando la normativa nazionale a quella degli altri Paesi europei e ripristinando una situazione di parità tra i nostri lavoratori marittimi e quelli provenienti da Paesi stranieri;
   quali siano le motivazioni della discordanza tra la normativa nazionale e le circolari ministeriali;
   se non ritenga di dover accelerare il recepimento della direttiva 2012/35/UE;
   se non ritenga, altresì, opportuno modificare il decreto ministeriale del 4 dicembre 2013, n. 1365, che ha istituito dei corsi obbligatori di formazione presso istituti autorizzati con frequenza obbligatoria ed esame finale (300 ore per gli ufficiali di coperta, 570 per quelli di macchina), anche attraverso la convocazione di un tavolo di lavoro con le associazioni di settore. (4-09365)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162 ha introdotto agli articoli 6 e 12 misure di semplificazione in materia di rapporti tra i coniugi, con particolare riguardo alla separazione consensuale, alla richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e alla modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, consentendo l'accesso delle parti innanzi all'ufficiale di stato civile; 
   in base all'articolo 12 del decreto-legge n. 132 del 2014, le coppie che non abbiano figli minori, figli maggiorenni portatori di handicap grave o figli maggiorenni economicamente non autosufficienti possono presentare una richiesta congiunta al sindaco in qualità di ufficiale di stato civile, o suo delegato, del comune di residenza di uno dei coniugi, o del comune presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, con l'assistenza facoltativa di un avvocato, volta a raggiungere un accordo consensuale nelle materie dianzi indicate; 
   la procedura semplificata, in base all'articolo 6 del decreto-legge n. 132 del 2014, è prevista anche in presenza dei figli, ma con la negoziazione assistita almeno di un avvocato per parte e con l'autorizzazione dell'accordo da parte del procuratore della Repubblica competente per territorio, per la cui emanazione sono comunque previsti tempi limitati e procedure più snelle e veloci;
   le parti, all'atto della conferma dell'accordo, a distanza di non meno di 30 giorni dall'iniziale dichiarazione di volontà, devono limitarsi a presentare un documento di identità, un'autocertificazione, la sentenza di separazione in caso di divorzio e il testo del precedente accordo nel caso di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio; esse, inoltre, se non vi è ricorso facoltativo ad un avvocato, per la comparizione davanti all'ufficiale di stato civile sostengono un costo non superiore a sedici euro;
   i tempi di efficacia dell'accordo sono immediati se i coniugi modificano solo le condizioni di separazione o divorzio già stabilite, e negli altri casi decorrono dall'atto della conferma, che comunque può avvenire a distanza di non meno di trenta giorni;
   le misure di accelerazione in materia di separazione e di divorzio hanno trovato ulteriore riscontro nella più recente normativa sul cosiddetto «divorzio breve» (legge 6 maggio 2015, n. 55), che ha ridotto i tempi della richiesta di divorzio, le cui disposizioni vanno integrate con quelle che hanno previsto la possibilità di «bypassare» il procedimento di fronte al tribunale mediante la negoziazione assistita o gli accordi conclusi davanti all'ufficiale di stato civile;
   dall'applicazione di questa nuova normativa tesa ad accorciare i tempi, a semplificare le procedure e a ridurre i costi delle diverse operazioni sono esclusi, in modo incomprensibile ed inaccettabile, i cittadini italiani residenti all'estero iscritti all'AIRE, che ammontano a circa 4,5 milioni e sono in costante crescita, a meno che non decidano di recarsi presso il loro comune di riferimento in Italia, affrontando in tal caso le spese di un duplice viaggio dall'estero e di permanenza, e dovendo altresì conciliare la loro assenza con gli impegni di lavoro;
   tale esclusione è tanto più incomprensibile in quanto il console, in base alla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963, all'articolo 115, comma 1, del codice civile e al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967 n. 200, in qualità di ufficiale di stato civile svolge già molteplici funzioni in materia matrimoniale, quali la ricezione dell'atto di matrimonio del cittadino italiano celebrato dinanzi ad autorità straniera, il rilascio, in base alla Convenzione di Monaco, del certificato di capacità matrimoniale ove richiesto, l'accettazione della richiesta di pubblicazioni da parte di cittadini italiani residenti all'estero, la stessa celebrazione del matrimonio tra due cittadini italiani o tra un cittadino italiano e uno straniero;
   il Governo ha già preso atto dell'esistenza del problema relativo all'estensione della normativa di semplificazione ai cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE, accogliendo, in occasione dell'approvazione delle norme sul cosiddetto «Divorzio breve», un ordine del giorno dell'interrogante nel quale si chiedeva di individuare una soluzione in tempi rapidi, al fine di poter garantire pari trattamento ai cittadini italiani –:
   quali iniziative intendano assumere affinché la recente normativa di semplificazione in materia di separazione e divorzio sia estesa anche ai cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE, ancora una volta considerati solo formalmente «uguali» agli altri cittadini italiani, e sia loro consentito di espletare nel loro luogo di residenza e di vita gli adempimenti che la legge prevede in presenza dell'ufficiale di stato civile, che nel loro caso è il console della circoscrizione di riferimento. (5-05731)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI e RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dagli organi di stampa, dopo il deleterio piano di chiusura di ben 267 presidi della polizia di Stato, il Governo si appresterebbe a intervenire sui commissariati di Roma;
   tale operazione, lungi dal rappresentare un'operazione di «razionalizzazione», si tradurrebbe in un'ulteriore «sforbiciata» al dispositivo della sicurezza, che arriva proprio mentre la procura di Palermo lancia l'allarme su un milione di migranti in attesa di sbarcare sulle coste italiane;
   l'asimmetrica e paradossale spending review del Governo è ormai un «déjà vu» periodico e, sventato il tentativo di «disattivare» 267 commissariati in tutta la penisola, adesso si «torna all'attacco» con nuove proposte non meno devastanti per la sicurezza dei cittadini;
   in particolare, durante una riunione informale che si sarebbe svolta il 21 aprile 2015 nella questura della Capitale sarebbe stato comunicato un programma di risparmi che prevede la chiusura di ben dieci commissariati romani;
   complessivamente, nella città eterna sono attivi 39 commissariati all'interno dell'anello del raccordo e dieci al di fuori del grande raccordo anulare e, mentre alcune chiusure sarebbero state già decise, in altri casi, si prevedono accorpamenti fra i vari presidi: il commissariato di Porta Pia dovrebbe chiudere i battenti, mentre quelli di San Lorenzo e Sant'Ippolito potrebbero essere accorpati, così come i commissariati di Tor Pignattara e Porta Maggiore, quelli di Appio nuovo e San Giovanni, Villa Glori e piazza Vescovio, Monte Mario e Prati; tra Trastevere, Monteverde e San Paolo potrebbe restare aperto un solo presidio;
   lo stesso segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap), Gianni Tonelli, denuncia: «Dopo il piano per la soppressione di 267 presidi, il Governo passa al secondo step. Adesso vuole procedere con singole chiusure per far passare la cosa in sordina»;
   i commissariati sono stati trasformati in poli, ovvero strutture aperte 24 ore su 24 e, ad esempio, il presidio di Casilino Nuovo, durante le ore serali e notturne assume competenza territoriale anche sui commissariati di Romanina, Prenestino e Tuscolano che, come ricorda il segretario provinciale del Sap di Roma, Fabio Conestà, rappresentano «un contesto territoriale complesso e difficile che comprende Tor Bella Monaca, Riserva Nuova, Torre Angela, Borghesiana, Finocchio e Ponte di Nona, a fronte del quale il polo dispone solo di cento poliziotti quando ne servirebbero almeno 150»;
   una «sforbiciata» che, se confermata, andrebbe ad aggiungersi al taglio dell'organico negli uffici della Capitale, perché, secondo i sindacati di polizia, nel mirino del Governo potrebbe esserci nell'immediato futuro, così come negli ultimi anni, anche l'organico della polizia di Stato che, beffa ancora più grande, è già deficitario;
   sempre secondo i sindacati, infatti, mancano attualmente mille uomini nella Capitale e ben 18.000 in tutto il Paese e, considerando tutte le forze dell'ordine (carabinieri, penitenziaria, forestale e altri), si arriva a 42.000 in meno di quanti sarebbero necessari per fornire un servizio decente, non adeguato, alla cittadinanza;
   dal 2005, poi, sarebbero stati tagliati 23.000 ufficiali di polizia giudiziaria, suddivisi in 14.000 ispettori e 9.000 sovrintendenti, ma, come se ciò non bastasse, l'efficienza della polizia è seriamente messa in discussione anche dall'assenza di turn over: l'età media dei poliziotti è di circa 47 anni e il 60-65 per cento degli uomini supera i 50;
   nella Capitale si sta creando una situazione paradossale, per cui, a fronte delle continue richieste di tagli, il Viminale chiede alle forze dell'ordine della Capitale impegni straordinari: dei circa 3800 uomini che vigileranno sull'Expo, una parte proviene dai presidi di Roma;
   invece di colmare i buchi che si creano nella sicurezza del nostro Paese, particolarmente evidenti di fronte all'emergenza sbarchi, si pensa solo a «tagliare» e il risultato è già sotto gli occhi di tutti: oggi, ad avviso degli interroganti, non si è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per scongiurare il rischio della chiusura dei commissariati di polizia e degli organici delle forze dell'ordine nella Capitale, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini. (4-09367)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2015 è stata distrutta dalle fiamme l'auto del parroco della chiesa di Santa Lucia di Cava de’ Tirreni, don Beniamino D'Arco;
   l'incendio, che ha danneggiato anche la facciata dell'abitazione dove il parroco risiede con l'anziana madre, è scoppiato all'alba e immediata è stata la segnalazione ai vigili del fuoco della compagnia di Salerno e agli agenti della Polizia di Stato, che sono subito intervenuti sul posto;
   è mistero sull'origine dell'incendio, ma, secondo quanto riportato dalla stampa locale, ci sarebbero dei sospetti relativi alle circostanze in cui è divampato il rogo;
   la frazione di Santa Lucia, infatti, non è nuova ad episodi incendiari anche di natura dolosa e sembrerebbe che molti cittadini abbiano sottolineato un dettaglio importante: qualche personaggio del centro anziani, vicino al parroco, è candidato al consiglio comunale in appoggio ad un candidato sindaco diverso dallo schieramento di centrodestra che ha sempre ottenuto forti consensi in gran parte della frazione Luciana;
   ad avviso dell'interrogante, sono sempre più numerosi i casi di atti violenti generati da un pericoloso inasprimento del confronto politico che non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se sussistano elementi in merito alla matrice del citato incendio. (4-09368)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto evidenziato il 3 maggio 2015, da un articolo pubblicato sul sito web «La libertà.it» di Piacenza, un imprenditore di Gela, vittima insieme alla famiglia, di taglieggiamenti e ripetute intimidazioni mafiose sotto la minaccia di armi, si è trasferito a Lugagnano Val d'Arda in provincia di Piacenza, al fine di riprendere le normali condizioni di vita;
   tuttavia, lo Stato, attraverso la società di riscossione di tributi Equitalia spa, ha chiesto al medesimo imprenditore, il cui nome per motivi di sicurezza non è stato pubblicato dagli organi di stampa, il pagamento di una somma pari a 126 mila euro, pignorandogli peraltro il conto corrente bancario, a seguito di una serie di multe e sanzioni causate dall'emissione di assegni scoperti;
   il medesimo imprenditore, secondo quanto risulta dall'articolo del suddetto quotidiano telematico piacentino, ha dichiarato di essere stato costretto all'emissione di assegni privi di copertura, a causa delle pressanti minacce ricevute dalla criminalità mafiosa siciliana, ammettendo tuttavia l'errore di non aver effettuato la domanda nei tempi previsti, per accedere al Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione, che interviene entro 120 giorni dalla data della denuncia del soggetto interessato;
   a tal fine, lo stesso imprenditore rileva, inoltre, che nel momento in cui è intervenuto per chiedere l'accesso ai benefici previsti dal suindicato Fondo, l'autorità antiracket gli ha risposto negativamente in quanto, come in precedenza indicato, i termini previsti per accedere al finanziamento erano scaduti;
   le conseguenze di tale vicenda, che l'interrogante giudica per alcuni versi grottesca e paradossale, nonostante avesse determinato nel 2006 l'arresto di 88 individui, gran parte accusati di associazione di stampo mafioso, grazie alla testimonianza dello stesso imprenditore di Gela e di suo padre, evidenziano un comportamento indecoroso e bizzarro da parte dello Stato, che, a parere dell'interrogante, dovrebbe assumere un comportamento più tollerante e di maggiore tutela, per coloro che sono vittime della mafia e che rischiano, insieme ai propri familiari, addirittura la propria incolumità fisica, anche nei casi in cui vengono effettuate fuori dai tempi previsti le domande per accedere agli strumenti legislativi di tutela;
   il suindicato articolo di stampa piacentino prosegue, evidenziando, fra l'altro, come l'ex commerciante, che attualmente lavora come commesso, in un negozio della Valdarda, nonostante avesse ricevuto dai funzionari della prefettura di Piacenza e di quelli di Equitalia, una particolare assistenza al fine di risolvere la propria annosa questione, attualmente si trovi in una condizione di estremo disagio, a causa delle decisioni adottate dalla prefettura di Gela, che lo ha iscritto al ruolo di debitore presso Equitalia;
   secondo quanto riporta «La Libertà.it», la posizione debitoria dell'ex commerciante (che in precedenza gestiva alcuni supermercati di Gela) che ha causato l'emissione di assegni a vuoto si è generata a seguito di estorsioni (nel gergo siciliano: pizzo), praticate dalla criminalità mafiosa, che per diversi anni (sin da quando era in vigore la lira), ha preteso il pagamento di una percentuale degli incassi, imponendo addirittura l'assunzione di personale collegato alle famiglie malavitose locali;
   la suesposta vicenda in definitiva, a giudizio dell'interrogante, conferma anche in tale occasione una distanza molto grave tra la società civile vittima della mafia e lo Stato; lo svolgimento dei fatti in precedenza richiamati simboleggia un quadro complessivamente precario per un superamento definitivo delle criticità riguardanti gli strumenti di tutela per le vittime della mafia, che necessitano di urgenti interventi –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto in precedenza riportato, non intendano assumere iniziative per rivedere la legislazione in materia di tutela dei soggetti vittime di estorsioni mafiose, nonché di strumenti finanziari di sostegno, unitamente alle decisioni in materia di riscossione da parte dell'ente preposto Equitalia, al fine di valutare, con maggiore disponibilità e apertura, situazioni analoghe a quella suindicata;
   quali iniziative, nell'ambito delle competenze proprie, intendano assumere, al fine di evitare il ripetersi di situazioni paradossali e irragionevoli, come quella in precedenza esposta, che evidenzia un comportamento per alcuni versi vessatorio da parte dello Stato, che, attraverso la società Equitalia, interviene per la riscossione di somme di denaro nei riguardi di imprenditori vittime di reati di tipo mafioso, la cui posizione debitoria è stata determinata proprio a seguito delle minacce e delle pretese di versamenti indebiti da parte degli stessi soggetti criminali. (4-09369)


   RICCIATTI, FERRARA, SANNICANDRO, SCOTTO, FRATOIANNI, COSTANTINO, QUARANTA, PIRAS, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2015 ignoti hanno appiccato un incendio nell'ufficio del dirigente scolastico della scuola «Marchetti» di Senigallia (ANSA, 30 maggio 2015), peraltro sede elettorale nella recente tornata delle elezioni regionali;
   la sera del 29 maggio alle 23:45 era scattato l'allarme della struttura, collegato al comando dei carabinieri, che hanno prontamente chiesto il supporto di una volante del commissariato di polizia. La stampa riporta che gli agenti intervenuti, avendo notato luci accese all'interno dell'istituto, hanno a loro volta chiesto l'intervento della polizia municipale per poter accedere alla scuola ed effettuare i dovuti controlli, dato che – come detto – era sede di seggio elettorale. Tuttavia, a causa dell'impossibilità di reperire, a quell'ora, una copia delle chiavi per l'accesso, il controllo all'interno dell'edificio non è stato effettuato (Il Corriere Adriatico, 31 maggio 2015);
   l'incendio è stato segnalato la mattina successiva da una bidella della scuola, in orario di apertura;
   da quanto riportato dagli organi di informazione non vi sarebbero segni di effrazione a porte e finestre dell'istituto scolastico;
   i danni materiali alla struttura non sono stati significativi, tant’è che le operazioni di voto del giorno successivo si sono svolte con regolarità;
   da una prima ricostruzione, riportata dalla stampa, il gesto doloso parrebbe legato all'attività della preside dell'istituto, la professoressa Angelica Baione, che già in passato aveva ricevuto messaggi minatori, probabilmente riconducibili alla sua attività di dirigente scolastica –:
   se il Governo sia in grado di fornire ulteriori elementi con riferimento ai fatti descritti in premessa. (4-09370)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARUFFI, INCERTI, MAESTRI, GHIZZONI e LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società INALCA spa, appartenente al gruppo Cremonini, azienda leader in Italia e fra le prime in Europa nella macellazione e lavorazione delle carni bovine, il 27 maggio ha comunicato alle strutture, nazionali di FAI CISL, FLAI CGIL e UILA UIL l'intenzione di disdettare il contratto di appalto con il consorzio Euro 2000 e, nonostante la fissazione di un incontro con le suddette sigle sindacali fissato per il successivo 30 maggio, al fine di individuare soluzioni per la gestione di tale orientamento, ha definitivamente provveduto alla suddetta disdetta, a far data dal 1o giugno;
   al momento non sono state rese note le ragioni alla base di tale decisione che coinvolge nella sola città di Modena almeno 200 soci lavoratori del consorzio Euro 2000;
   tuttavia, a quanto riferito dalle organizzazioni sindacali, la INALCA spa, già nel pomeriggio di domenica 31 maggio, attraverso gli ex capi del consorzio Euro 2000, avrebbe organizzato le assunzioni a tempo determinato, per sei mesi, con scadenza 30 novembre 2015, dei suddetti soci lavoratori per il tramite di un'impresa interinale, la Trenkwalder SRL;
   tale passaggio, sempre a quanto riferito, sarebbe stato giustificato come un «passaggio transitorio» nella suddetta agenzia interinale, in attesa di trovare un altro soggetto imprenditoriale a cui affidare le lavorazioni sinora svolta dal consorzio Euro 2000;
   la INALCA spa, indirettamente, ha come azionista alcune istituzioni pubbliche. Infatti a novembre 2014, con un investimento di 165 milioni, «IQ Made in Italy Investment Company S.p.A» (joint venture tra il Fondo strategico italiano e Qatar investment authority) entra come azionista di INALCA spa, arrivando a detenere il 28,4 per cento di azioni;
   il rapporto fra INALCA e il consorzio Euro 2000 è nato oltre quindici anni fa, con una serie di cooperative consorziate, alcune delle quali, in questi quindici anni, hanno cambiato ragione sociale diverse volte, con rotazioni degli stessi nomi nei ruoli apicali. Per di più, INALCA e consorzio Euro 2000 sono socie di GESCAR Srl, società che intermediava gli appalti negli stabilimenti di INALCA;
   alla luce della natura dei rapporti che intercorrono tra INALCA e consorzio Euro 2000, delle modalità e dei tempi previsti per la disdetta del contratto di appalto e della riassunzione temporanea, in attesa dell'individuazione di un nuovo soggetto imprenditoriale subentrante, eventualmente avvantaggiandosi nelle future riassunzioni del nuovo quadro normativo in materia di incentivazione contributiva prevista dalla legge di stabilità e in materia di regolamentazione dei rapporti di lavoro –:
   se sia a conoscenza dei fatti sommariamente esposti in premessa;
   quali eventuali azioni intenda intraprendere per tutelare l'occupazione e i diritti dei lavoratori coinvolti;
   se non ritenga di assumere iniziative tese a prevenire, in circostanze analoghe a questa, un utilizzo improprio degli incentivi contributivi a tutto danno di lavoratori ed erario. (5-05726)


   DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da organi di stampa che, in conseguenza della decisione di Poste di non procedere al rinnovo del contratto di appalto per il servizio di recapito, ben 29 lavoratori della Transystem di Genova (società che svolge parte del servizio postale affidatole finora in subappalto) saranno senza lavoro da ottobre 2015;
   si tratta di lavoratori fra i 45 e i 55 anni, anche padri di famiglia, che in tal modo vedono concludere l'appalto e la loro occupazione, in cassa integrazione straordinaria, tuttavia, non ancora erogata dall'INPS, per cui senza reddito;
   già da ora Poste denuncia la mancanza di almeno una ventina di lavoratori su Genova per soddisfare il servizio, che rischia di subire un peggioramento;
   sempre da organi di stampa si apprende del tentativo di sottoscrivere a livello nazionale un accordo per il recupero di tale personale con contratti a tempo determinato con Poste italiane in regioni carenti di personale (ad ora sono indicate il Piemonte e la Lombardia), aggiungendo anche la Liguria come regione deficitaria di personale e quindi destinataria dei contratti a tempo determinato in modo da provvedere al riassorbimento del personale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative urgenti intendano intraprendere per affrontare la specifica situazione di emergenza occupazionale.
(5-05727)


   MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e GAGNARLI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   dall'ultimo rapporto fornito dall'ASAPS (Associazione sostenitori ed amici della Polizia Stradale) emergono dati allarmanti riguardo agli incidenti che coinvolgono mezzi agricoli;
   ancora una volta il mese di maggio 2015, con giugno, si rivela drammatico per gli incidenti nei campi con trattori agricoli o nelle strade adiacenti. Nei soli primi 15 giorni del mese l'Osservatorio il Centauro – ASAPS ha già registrato 29 episodi che hanno causato 20 morti di cui 17 fra gli stessi conducenti delle macchine agricole;
   una vera strage. Si pensi che sulla intera rete autostradale le vittime sono state 8. Come dire che nei campi a primavera si muore più che il doppio che in autostrada. Intanto nei primi quattro mesi del 2015 l'Osservatorio il Centauro – ASAPS ha registrato: 111 incidenti con trattori agricoli che hanno causato 46 vittime e 70 feriti;
   nel 2014, secondo il report dell'ASAPS, le vittime totali nei campi e sulle strade adiacenti per incidenti con trattori agricoli furono 181 (+4,6 per cento) e 257 i feriti (+4 per cento) in 390 incidenti (+4,3 per cento). Gli incidenti nei campi, nonostante i nuovi provvedimenti in materia di patenti e di sicurezza dei mezzi, ancora non danno segno di diminuzione e gli interroganti ritengono sia indispensabile una forte e mirata comunicazione dei fattori di rischio fra gli agricoltori stessi e in particolare fra quanti lavorano la terra per hobby saltuariamente;
   per gli interroganti si tratta purtroppo di conferme e non di novità, essendo il settore agricolo il più colpito di tutti gli altri rispetto ad incidenti ed infortunistiche varie e questo è confermato anche dai dati registrati dell'Osservatorio sugli infortuni nel settore agricolo e forestale dell'INAIL più volte presentati alle Commissioni parlamentari e dagli studi effettuati dallo stesso INAIL sull'argomento –:
   se il Governo sia a conoscenza di questi dati e cosa intenda fare per abbassare le statistiche che danno il settore agricolo tra i più colpiti dagli infortuni sul lavoro;
   se non si ritenga opportuno agire al più presto al fine di pianificare una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla tematica in questione attraverso l'uso dei media e se non si intenda al più presto mobilitarsi attraverso iniziative che impongano l'utilizzo di dispositivi di sicurezza, con particolar riguardo al settore agricolo;
   se, in linea con un organico processo di prevenzione nel settore agricolo, non si ritenga opportuno attivare al più presto la revisione delle macchine agricole prevista dall'articolo 111 del nuovo codice della strada emanando senza ritardi tutti i decreti necessari a stabilire gli elementi oggetto di verifica, le procedure e le prescrizioni da osservarsi per l'esecuzione degli accertamenti condotti in sede di revisione delle macchine agricole, facendo particolare attenzione alla necessità che in detta sede sia verificata la presenza dei requisiti volti a garantire la sicurezza del lavoro e della circolazione stradale. (5-05728)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta agli interroganti, un affitto su due, in Italia, non è pagato regolarmente. In media, oltre il 50 per cento dei proprietari denuncia mensilità non pagate, con punte vicine al 60 per cento a Napoli e al 45 per cento a Roma, quota che scende al 35 per cento a Milano;
   i dati sugli sfratti esecutivi nel 2013 pubblicati dal Ministero del interno rivelano che i provvedimenti di sfratto emessi sono stati 73.385, in crescita su base annua del 4,4 per cento. Tra i motivi, la morosità per l'89 per cento dei casi;
   di fronte a questo scenario, per fare fronte all'emergenza abitativa, stante la grave crisi economica del nostro Paese, il Governo ha istituito, nel mese di luglio 2014, il fondo per la morosità incolpevole;
   il Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità involontaria è stato dotato di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. L'obiettivo è quello di «garantire il rischio di morosità da parte di quei locatari, generalmente affidabili, che a causa della sfavorevole situazione economica che attraversa il Paese, si trovano momentaneamente in difficoltà». L'accesso al Fondo consente la sospensione temporanea del pagamento dei canoni di affitto;
   negli ultimi 5 anni gli sfratti sono stati 332.169, di cui 288.934 per morosità. Su 332.169 sentenze sono 145.208 gli sfratti eseguiti con intervento dell'ufficiale giudiziario, mentre le richieste di esecuzione sono state 129.577. In sostanza, più di un inquilino su dieci in affitto da privati ha subito uno sfratto per morosità;
   l'emergenza abitativa costituisce uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre le tradizionali categorie a rischio anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
   una sospensione immediata dell'esecuzione di tutti gli sfratti, compresa la morosità incolpevole e uno stanziamento straordinario per ripristinare un fondo sociale per gli affitti adeguato alle esigenze delle famiglie in difficoltà appaiono necessarie;
   senza tralasciare l'esigenza di un piano straordinario per gli alloggi popolari, utilizzando con priorità il patrimonio pubblico e le aree pubbliche;
   la crisi economica ha ulteriormente amplificato il problema: le paghe e le pensioni sono le più basse d'Europa. Ai sensi dell'articolo 25 della dichiarazione dei Diritti dell'uomo firmata anche dall'Italia nel 1948: «ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà»;
   purtroppo, sussistono ancora le condizioni che hanno indotto a concedere la proroga dell'esecuzione degli sfratti riguardanti particolari categorie sociali disagiate, concessa con l'articolo 8, comma 10-bis, del decreto, milleproroghe decreto-legge n. 192 del 2014 convertito nella legge n. 11 del 2015, il quale ha prorogato al 28 giugno del 2015 l'esecuzione degli sfratti per finita locazione di cui alla legge 8 febbraio 2007, n. 9;
   più precisamente, tale normativa ha disposto che, al fine di ridurre il disagio abitativo e di favorire il passaggio da casa a casa per le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, così detta inquilini «disagiati», in attesa della realizzazione delle misure e degli interventi previsti dal Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all'articolo 2 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti a uso abitativo è stata ulteriormente differita al 28 giugno 2015 dall'articolo 8, comma 10-bis del decreto-legge n. 192 del 2014 convertito nella legge n. 11 del 2015;
   possono richiedere questa proroga di 4 mesi i così detti inquilini «disagiati», vale a dire quei soggetti che: hanno un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro; sono o hanno nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento non possiedono altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza;
   sono inclusi anche i nuclei familiari che, ferme le condizioni precedenti, includono figli fiscalmente a carico;
   peraltro la proroga concessa fino al 28 giugno 2015 ed in prossima scadenza presenta delle evidenti criticità. In primo luogo la proroga è disposta su istanza di parte ma a discrezione del giudice che valuta caso per caso; in secondo luogo, se finora le condizioni che davano diritto alla proroga (età, reddito, handicap, malattie terminali, composizione dello stato di famiglia) potevano essere semplicemente autocertificate con dichiarazione consegnata all'ufficiale giudiziario, ora invece è necessario un ricorso al, tribunale e per farlo si devono sopportare dei costi anche superiori a 300 euro: tra iscrizione, copie, notifiche e l'onorario dell'avvocato facilmente si arriva facilmente ad un importo che rappresenta un'assurdità, visto che dovrà essere sborsato da famiglie che non guadagnano neanche mille euro al mese e che sono formate solo da anziani, malati terminali, nuclei con minori e portatori di handicap;
   la necessità di concedere un'ulteriore proroga, e a condizioni più ragionevoli di quelle predette, emerge dal fatto che i così detti inquilini «disagiati» pagano regolarmente il canone di locazione e, se non fosse loro concessa proroga, sarebbero incostituzionalmente e irragionevolmente discriminati rispetto ai conduttori morosi i quali, essi si, potrebbero beneficiarne;
   evidente che, se l'inquilino appartenente alle cosiddette categorie disagiate (ragione per cui naturalmente riscontra maggiori difficoltà nel trovarsi un'altra sistemazione abitativa) corrisponde regolarmente il canone di locazione (quindi non è moroso), egli è certamente più meritevole di tutela rispetto all'inquilino moroso ovvero che, corrisponde un canone di locazione in misura minore del dovuto e al quale si concede una proroga;
   inoltre, sempre al fine di assicurare una più efficace tutela agli inquilini «disagiati» non morosi, andrebbe negata alle società di capitali proprietarie di immobili la possibilità di richiederne il rilascio solo per perseguire un profitto o per ragioni di speculazione»;
   in merito, appare utile evidenziare che la maggior parte degli immobili per i quali scadrà prossimamente la proroga sono di proprietà di enti o di società di capitali, il cui interesse al rilascio dei medesimi in danno di inquilini appartenenti alle categorie «disagiate» non è meritevole di tutela se questi ultimi pagano regolarmente il canone di locazione e quindi non sono morosi;
   la necessità di concessione di una ulteriore proroga oltre il 28 settembre 2015 appare, infine, doverosa considerata la situazione economica stringente che si riverbera proprio sui soggetti più deboli quali disoccupati, ammalati senza reddito, famiglie numerose, diseredati senza casa, circostanze che non possono essere ignorate da uno Stato sociale che ai sensi dell'articolo 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che, ai sensi dell'articolo 3 Cost. prescrive quale compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», e che, infine, ai sensi dell'articolo 42 Cost. «... La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti...» –:
   se il Governo, intenda assumere iniziative per accordare la proroga dell'esecuzione degli sfratti oltre la data del 28 giugno 2015 (previsto, da ultimo, dall'articolo 8, comma 10-bis, del decreto milleproroghe decreto-legge n. 192 del 2014 convertito nella legge n. 11 del 2015 a beneficio delle seguenti categorie di soggetti: anziani ultrasessantacinquenni; portatori di handicap gravi o minori; malati gravi o terminali e a soggetti che non dispongono di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, a condizione che i beneficiari non siano incorsi in morosità e posseggano un reddito annuale complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
   se il Governo intenda promuovere ulteriori iniziative per far fronte all'emergenza abitativa che costituisce uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che ormai interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio. (4-09363)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPELLI e CARUSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2002 veniva inaugurata la struttura ospedaliera «Sant'Isidoro» di Giarre. Il costo dell'intero progetto si aggirava intorno agli 80 miliardi di lire, ma fin da subito la struttura non era in grado di sopperire alle esigenze del territorio;
   sulla carta la struttura prevedeva trecento posti letto, ma ne sono stati predisposti solo cento. Alcuni reparti non sono mai stati aperti perché la struttura è stata dichiarata pericolante, probabilmente a causa dell'utilizzo di cemento depotenziato;
   nel 2009, a seguito della riforma sanitaria regionale, veniva declassato a presidio territoriale di assistenza e questo comportò anche la chiusura dei reparti di chirurgia generale, ginecologia, ortopedia e pediatria;
   oggi risulta accorpato al presidio della vicina Acireale ed è stato chiuso anche il pronto soccorso, privando così la comunità di una copertura sanitaria in caso di emergenze;
   le infinite proteste da parte della comunità, le segnalazioni di mancato servizio e le richieste di spiegazioni rivolte agli istituti di competenza non hanno mai ottenuto un riscontro accettabile. Nessuno è stato in grado di spiegare perché un territorio che conta più di cento mila abitanti resti senza un servizio sanitario consono alle esigenze;
   non sono mancate purtroppo tragedie, evitabili, come quella degli inizi di maggio che ha visto la morte di una donna di 68 anni ricoverata nel reparto di geriatria (per la quale è stata aperta un'inchiesta conoscitiva della procura di Catania a seguito della denuncia fatta dai figli della donna), seguita, il 23 maggio, dalla morte di un'altra signora di Giarre di 52 anni, (colta da un malore nella propria abitazione, soccorsa dopo un'ora da un'ambulanza all'interno della quale non era presente un medico che stava operando in un paese vicino e trasportata con l'elisoccorso all'ospedale più vicino ma deceduta durante il tragitto);
   anche in questo caso la famiglia ha sporto denuncia e ora sono in corso i relativi accertamenti per individuare le responsabilità –:
   se, alla luce dei fatti descritti in premessa, non ritenga di assumere iniziative volte a valutare se i livelli essenziali di assistenza siano assicurati nel territorio di cui in premessa, anche considerato che in Sicilia ancora si è in fase di attuazione un piano di un piano di rientro dal disavanzo sanitario. (5-05734)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva comunitaria del 1982 (82/76 CEE) aveva previsto che i medici che frequentavano un corso di specializzazione avrebbero dovuto ricevere un'adeguata remunerazione;
   lo Stato italiano ha recepito, peraltro parzialmente, tale direttiva solo nel 1991, con il decreto legislativo dell'8 agosto 1991, n. 257, che ha stabilito per gli specializzandi iscritti a partire dall'anno accademico 91/92 l'importo di euro 11.103 per ogni anno di specializzazione. Nulla è stato riconosciuto in favore dei medici immatricolatisi alla specializzazione negli anni accademici che vanno dall'82/83 al 90/91;
   a cavallo degli anni Duemila due sentenze della Corte di giustizia europea hanno condannato l'Italia a risarcire i «camici bianchi» che si specializzarono in quel periodo e che, dopo un lungo iter processuale, adesso iniziano a intascare assegni che si aggirano tra i 30.000 e i 70.000 euro ciascuno;
   a Bologna sono circa 170 i medici ad aver fatto ricorso contro lo Stato (340 in tutta l'Emilia-Romagna), molti dei quali sono già stati liquidati);
   il conto per l'Italia, solo nel capoluogo emiliano, è salatissimo: quasi 7 milioni di euro di risarcimenti da versare ai medici, ma la cifra complessiva sembra destinata a crescere visto che a breve sono attese nuove sentenze. La stima complessiva dei rimborsi ammonterebbe a 4 miliardi di euro –:
   a quanto ammonti la quota complessiva di risarcimento da versare ai medici e in che modo si intenda applicare la sentenza senza generare aggravi ulteriori per i cittadini. (4-09366)


   BECHIS, ARTINI, BARBANTI, BALDASSARRE, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità i commi da 593 a 598 prevedono «Misure in materia di medicinali innovativi». La norma, introdotta nel corso dell'esame al Senato, istituisce per gli anni 2015 e 2016 un Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi, alimentato da un contributo dello Stato pari a 100 milioni di euro per l'anno 2015; una quota delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, pari a 400 milioni di euro per l'anno 2015 e 500 milioni di euro per l'anno 2016. Le somme del Fondo sono versate in favore delle regioni in proporzione alla spesa sostenuta dalle medesime per l'acquisto di medicinali innovativi. Ad integrazione del vigente meccanismo di ripiano, viene previsto che, nel caso di un fatturato derivante dalla commercializzazione di un farmaco innovativo superiore a 300 milioni di euro, la quota dello sforamento imputabile al superamento del Fondo aggiuntivo per i medicinali innovativi resta in misura pari al 20 per cento, a carico dell'azienda titolare di AIC relativa al medesimo farmaco e per il restante 80 per cento è ripartita, ai fini del ripiano, tra tutte le aziende titolari di AIC in proporzione dei loro rispettivi fatturati relativi ai medicinali non innovativi coperti da brevetto;
   in questo caso viene rilevato che le disposizioni in esame introducono una nuova finalizzazione nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla quota vincolata alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, senza incrementare le risorse ad esso destinate. Ad avviso degli interroganti appare pertanto necessario acquisire una conferma dal Governo circa la compatibilità di tale finalità aggiuntiva con l'equilibrio finanziario complessivo del servizio sanitario nazionale. In relazione alla spesa complessiva per i farmaci innovativi, quantificati dall'Aifa in 750 milioni di euro annui, ad avviso degli interroganti andrebbe chiarito se le risorse del vigente Fondo per i farmaci innovativi, unitamente a quelle del Fondo istituito dalla norma in esame destinato alla medesima finalità, siano sufficienti per far fronte alla spesa farmaceutica destinata ai farmaci in argomento;
   i fondi potrebbero essere insufficienti poiché l'Aifa ha previsto un fabbisogno di spesa pari a 750 milioni l'anno contro i 500 effettivamente stanziati;
   si segnala che l'Aifa ha previsto un meccanismo di ripiano denominato pay back. Esso è nato per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna, e dall'altro l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
   esso è stato previsto con una norma contenuta nella legge Finanziaria del 2007 e permette alle aziende farmaceutiche di chiedere all'AIFA la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento, a fronte del contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni;
   tuttavia, rimane ferma la priorità di indirizzare la prescrizione dei farmaci verso una maggiore appropriatezza ed utilizzazione per giungere ad un efficiente governo della spesa farmaceutica, la metodologia e i risultati ottenuti dal sistema del pay back evidenziano un valido meccanismo di ripiano in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa programmata –:
   se i fatti narrati corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi ed urgenti intenda assumere il ministro interrogato, al fine di dare soluzione alla problematica descritta in premessa, eventualmente recependo le soluzioni ivi prospettate e, in particolare, se intenda ricorrere al sistema di pay back al fine di colmare il divario tra risorse stanziate e risorse necessarie per l'acquisto di farmaci innovativi, in grado di salvare le vite o migliorare le condizioni di vita di numerosi pazienti bisognosi di terapie innovative disponibili sul mercato. (4-09372)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Mezzogiorno sul numero del 31 maggio 2015, in un articolo a firma della giornalista Marisa Ingrosso, è tornata ad occuparsi del caso del «deposito nazionale unico» delle scorie radioattive;
   a detta della suddetta giornalista in realtà, contrariamente a ciò che sino ad oggi hanno sempre dichiarato i vertici di Sogin, i depositi sarebbero due: un deposito «geologico» per lo stoccaggio delle sostanze ad altissima radiotossicità che sarebbe scavato a grande profondità ed un altro di superficie destinato ad ospitare materiale a bassa radiotossicità. Accanto a quest'ultimo dovrebbe essere prevista la realizzazione di un parco tecnologico;
   tali indiscrezione sarebbero contenute in un documento recuperato da La Gazzetta del Mezzogiorno sul portale radioactivewastemanagement.org, (sito ufficiale della sesta «Summer School» internazionale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale);
   si tratterebbe di un documento della Sogin che chiarirebbe nel dettaglio la strategia atomica italiana e le modalità con cui dovrebbe essere costruito e gestito il mega-cimitero per le scorie meno pericolose;
   il documento prodotto in inglese spiegherebbe che «circa 75.000 metri cubi di scorie a radioattività molto bassa e bassa saranno ospitate nel deposito nazionale». Accanto a questo sorgerebbe un «parco tecnologico dedicato ad attività di ricerca sullo smantellamento degli impianti nucleari e sulla gestione dei rifiuti radioattivi»;
   il documento chiarirebbe che «la sistemazione finale per i circa 15.000 metri cubi di scorie nucleari a radioattività intermedia ed elevata, per i 1.000 metri cubi di carburante esaurito (cioè l’«uranio impoverito»; ma anche il materiale usato per le sperimentazioni atomiche come le barre di Elk River conservate nell'Itrec, in Basilicata) e per le scorie riprocessate è una sistemazione «geologica»;
   si sottolineerebbe altresì che «In attesa che il deposito geologico sia disponibile le scorie nucleari a radioattività intermedia ed elevata saranno temporaneamente stoccate in un deposito provvisorio da realizzare nello stesso luogo del deposito nazionale» di superficie;
   questo implicherebbe che temporaneamente ci sarebbero due depositi, uno nell'altro, e successivamente ce ne sarebbero due in luoghi diversi;
   secondo l'Agenzia per l'energia nucleare dell'Ocse il deposito «geologico» sarebbe la soluzione prediletta dalla comunità scientifica internazionale giacché offrirebbe margini di garanzia elevati per lo stoccaggio dei «super-veleni»;
   questo avrebbe come conseguenza che la scelta di fare due depositi, uno nell'altro in un impianto di superficie, non sarebbe da salutare positivamente, poiché non garantirebbe il massimo degli standard di sicurezza. Tale valutazione rinverrebbe dalla circostanza che dovrebbe accogliere sostanze altamente irraggianti che hanno bisogno di circa 10.000 anni per abbassare il loro livello di radioattività;
   per l'Agenzia i siti migliori per il deposito «geologico» sarebbero: giacimenti di salgemma, argilla, granito, ignimbrite, basalto;
   per quanto concerne i veleni a bassa e media radiotossicità, il documento Sogin spiegherebbe che dovrebbe essere sorvegliato a vista per almeno trecento anni, che «barriere multiple in serie» lo dovrebbero proteggere dalle intrusioni e che sarebbe un manufatto in muratura rinforzata a contenere i «loculi» perenni in cui verranno stoccati i rifiuti compattati e inseriti in contenitori metallici zeppi di «malta cementizia d'inglobamento». Questi fusti tossici sarebbero poi stipati in celle di 3 metri per due e questi «loculi», impilati e chiusi in container blindati grandi 27 metri per 15,5. La fase di stoccaggio durerebbe 40 anni, cui seguirebbero altri 300 anni di «controllo istituzionale». Per evitare che eventuali perdite di radionuclidi passino inosservate, tutta la zona sarà monitorata;
   la Sogin ha poi reso noto che in alcuni campioni di acqua prelevati «per lo più nei piezometri a monte idrogeologico» dell'Itrec di Rotondella (Matera) «e ricadenti nell'area dell'impianto», sarebbe stato riscontrato «in alcuni punti il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per alcuni parametri chimici, non radiologici, rispetto ai valori massimi consentiti dalla normativa vigente»;
   presso detto stabilimento si starebbe effettuando attività per realizzare l'impianto di «cementazione del prodotto finito, che consentirà di solidificare i rifiuti radioattivi liquidi presenti nel sito, per il loro successivo trasferimento al deposito nazionale»;
   il superamento della soglia riguarderebbe trielina, cromo esavalente, ferro, idrocarburi totali, ma tali sostanze «non sarebbero riferibili né direttamente né indirettamente alla attività propedeutiche al decommissioning che, dall'agosto 2003, la Sogin conduce nell'impianto Itrec»;
   l'Enea sta delimitando l'area interessata e, insieme a Sogin – che ha avvertito le autorità – preparerà «il piano di caratterizzazione previsto dalla normativa» e informerà sulla situazione –:
   vista l'imminenza della scadenza annunciata per rendere pubblico l'elenco predisposto da Sogin dei territori che potrebbero essere utilizzati per detti depositi (prevista per la metà di giugno 2015 dallo stesso Ministero dello sviluppo economico e da quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), se non si ritenga di accelerare tale processo rendendo immediatamente pubblico detto elenco;
   se corrisponda al vero l'indiscrezione pubblicata da La Gazzetta del Mezzogiorno dell'ipotesi di un doppio deposito nazionale e, qualora la risposta fosse positiva, come sia stato possibile che tale informazione non sia stata oggetto di una comunicazione ufficiale ma pubblicizzata con le modalità su esposte; 
   quale sia il percorso che si intende compiere per coinvolgere le regioni potenzialmente interessate ad ospitare il/i deposito/i e quali siano le prescrizioni che si intendono osservare per assicurare la sicurezza della salute delle comunità locali interessate e quali le procedure e le forme di vigilanza del/i suddetto/i eventuale/i deposito/i, anche alla luce di quanto già occorso in queste ore nello stabilimento di Rotondella (Matera). (5-05732)


   DE LORENZIS. – Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il coke di petrolio, o più semplicemente Pet-Coke, è un residuo solido prodotto della raffinazione del petrolio. Si ottiene dal coking, un processo di raffineria dal quale, mediante piroscissione e successiva polimerizzazione, frazioni petrolifere pesanti vengono convertite in prodotti leggeri (gas e benzine), distillati medi e coke residuo. Nonostante le note proprietà inquinanti, in Italia con il decreto-legge 22 del 2002, poi convertito dalla legge n. 82 del 6 maggio 2002, il pet-coke può essere utilizzato, a determinate condizioni, come combustibile. Secondo «assocarboni.it», il pet-coke viene «destinato ad un uso energetico (come combustibile in raffineria, nella generazione elettrica, nell'industria del cemento, nell'industria del biossido di titanio, eccetera), mentre la quota restante viene utilizzata in settori non energetici (industria dell'alluminio, calcinazione, ferro e acciaio, eccetera)»;
   lo stabilimento Ilva di Taranto ha per anni utilizzato e stocccato il pet-coke almeno fino alla revisione AIA del 2012 concessa all'Ilva di Taranto in cui si legge alla prescrizione n. 21: «Il presente parere nega espressamente l'autorizzazione, da subito, sia all'utilizzo che alla detenzione di Pet-Coke e all'utilizzo a fini produttivi del catrame di cokeria»;
   la discarica Italcave spa di rifiuti speciali non pericolosi, ubicata in Taranto, contrada La Riccia-Giardinello, ha ricevuto l'AIA a smaltire un volume totale di rifiuti pari a 6.228.444 metri cubi con determina dirigenziale (D.D.) del settore ecologia della regione Puglia del 24 febbraio 2009, n. 67, aggiornata per modifica non sostanziale con la D.D. del 17 aprile 2013, n. 22, rinnovata con la D.D. n. 33 del 17 novembre 2014 e rettificata con D.D. dell'ufficio autorizzazione integrata ambientale della regione Puglia, n. 36 dell'11 dicembre 2014 con pareri favorevoli di ASL Taranto, comune di Taranto e ufficio regionale rifiuti, parere contrario del comune di Statte e mancato parere della provincia di Taranto. Questo ultimo atto ha tra l'altro dato la possibilità alla discarica Italcave:
    a) di iscrizione in sottocategoria di discarica ex articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale 27 settembre 2010 e conseguente deroga al parametro DOC (illimitato) per il primo lotto;
    b) di iscrizione in sottocategoria di discarica ex articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale 27 settembre 2010 e conseguente deroga al parametro DOC (illimitato) per il secondo lotto;
    c) di deroga fino a tre volte i limiti di accettabilità per tutti i parametri, tranne il piombo, di cui alla tab. 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010 per il primo lotto;
    d) di deroga fino a tre volte i limiti di accettabilità per tutti i parametri, tranne il piombo, di cui alla tab. 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010 per il secondo lotto;
    e) di deroga fino a tre volte i limiti di accettabilità per il parametro piombo, di cui alla tab. 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010, limitatamente al 10 per cento in peso del totale dei rifiuti in ingresso;
    f) per il solo secondo lotto, di stabilire che le deroghe sono applicabili a tutti i codici CER autorizzati con D.D. n. 67/2009 e successivi aggiornamenti;
   la succitata discarica è stata oggetto di indagini con conseguenti avvisi di garanzia a gennaio 2011 per stoccaggio di Pet-Coke con caratteristiche ritenute illecite perché aventi percentuali di zolfo e di materie volatili superiore a quanto consentito dalla legge, che lo renderebbero non più combustibile ma rifiuto pericoloso;
   il documento prot. 14117 del 14 novembre 2014 dell'autorità portuale di Taranto reso noto dalla rivista on line «Puglia Press» rivela che in forza della determinazione dirigente settore ecologia – assessorato ambiente della regione Puglia n. 554 del 15 settembre 2008 di «Autorizzazione alle emissioni in atmosfera rivenienti dall'attività di movimentazione di Pet-Coke, materiali minuti e/o pulvelorenti sul molo polisettoriale di Taranto», al medesimo molo del porto di Taranto vi sia movimentazione di Pet-Coke;
   dal documento prot. 5282 del 31 marzo 2015 dell'autorità portuale di Taranto in risposta ad una richiesta di informazioni dell'associazione Peacelink, si apprende che nel 2014 e fino al marzo del 2015, siano sbarcati al molo polisettoriale del porto di Taranto circa 373.862 tonnellate di Pet-Coke. In aggiunta a quanto sopracitato, la stessa associazione informava a mezzo sito web che a questi quantitativi di Pet-Coke giunti al porto di Taranto, si sommano 49.000 tonnellate e 15.000 tonnellate scaricate rispettivamente il 22 aprile e il 25 aprile 2015 aggiungendo che: «dai dati di navigazione di alcune delle ultime navi arrivate a Taranto cariche di Pet-Coke ci risulta che queste giungono dallo stato del Texas: dal porto di Houston e Corpus Christi» –:
   se le attività di movimentazione, scarico di pet-coke nel porto di Taranto e trasporto all'interno e all'esterno del porto, stoccaggio, detenzione ed utilizzo, rispettino la legge;
   quali siano le modalità d'utilizzo finale del pet-coke arrivato nel porto di Taranto, e quali siano gli impianti interessati in eventuali processi produttivi e se questi siano autorizzati all'uso di Pet-Coke;
   se gli impianti riceventi il Pet-Coke rispettino le normative vigenti in materia ambientale e se siano applicate tutte le precauzioni per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori;
   se le deroghe rilasciate alla discarica Italcave spa con rinnovo dell'AIA con D.D. n. 36 dell'11 dicembre 2014, siano conformi ed opportune in un'area SIN ad alto rischio di crisi ambientale come quella di Taranto. (5-05736)


   MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico sono stati convocati l'amministratore unico di Veneto Nanotech, il presidente e l'assessore al ramo della regione Veneto, le organizzazioni sindacali;
   oggetto dell'incontro la situazione finanziaria e le prospettive industriali di Veneto Nanotech la società con sede a Padova che coordina le attività del distretto hi-tech per le nanotecnologie applicate ai materiali;
   già nei mesi scorsi con un precedente atto di sindacato ispettivo l'interrogante aveva posto all'attenzione del Governo la complessa situazione in cui versa la società;
   la situazione si è ulteriormente complicata a seguito della comunicazione ai dipendenti in cui si è esplicitata la mancata ricapitalizzazione il cui termine scadeva lo scorso 31 maggio;
   il versamento da parte della regione Veneto dei 350 mila euro approvati all'unanimità dal consiglio regionale con la legge regionale n. 6 del 27 aprile 2015 non è stato effettuato;
   gli altri soci tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la camera di commercio di Venezia, Veneto Banca, Confindustria Veneto e Confartigianato Veneto non hanno versato la propria quota parte, eccezion fatta per MBN Nanomaterialia;
   non si sono concretizzate le manifestazioni di interesse che si erano registrate;
   la prima conseguenza di tale decisione è stato il mancato rinnovo di 13 contratti a termine in scadenza proprio il 31 maggio 2015;
   nel corso dell'ultimo anno si è dimezzata la forza lavoro di una società ad alta capacità di innovazione con progetti persi e ridimensionamento della competitività dello stesso distretto proprio in una fase in cui si palesano segnali di ripresa economica;
   con l'incontro in sede ministeriale innanzitutto si è reso evidente l'interesse del Governo per evitare la liquidazione di Veneto Nanotech e che vi sono circa due settimane di tempo per trovare una soluzione valida che offra una prospettiva all'attività di un segmento strategico della economia regionale e nazionale –:
   quali saranno gli ulteriori step successivi alla riunione del 3 giugno 2015 che il Governo intende promuovere, considerate le due settimane di tempo a disposizione, per giungere ad una soluzione definitiva che scongiuri il fallimento di una esperienza importante per uno dei distretti più competitivi d'Europa e di salvaguardare le prospettive industriali e conseguentemente i livelli occupazionali.
(5-05737)


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 febbraio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato la società petrolifera australiana Po Valley Operations ad ampliare il permesso di ricerca nel sottofondo marino già vigente A.R 94.PY riperimetrando di fatto a 526 chilometri quadrati la superficie precedentemente concessa (197,1 chilometri quadrati);
   tale riperimetrazione estenderebbe le attività di ricerca di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia dalla costa;
   tale sconfinamento, ad avviso dell'interrogante, andrebbe in violazione del decreto legislativo aprile 2006, n. 152, articolo 6, comma 17, che di fatto vieta le attività di ricerca, prospezione e coltivazione idrocarburi nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale;
   la riperimetrazione parrebbe violare il decreto legislativo 11 agosto 2010, n. 186, articolo 17;
   in merito, alcune associazioni ambientaliste (in particolare FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano e WWF) hanno provveduto a presentare ricorso presso il TAR del Lazio contro i Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, e delle politiche agricole alimentari e forestali, e nei confronti della società PO Valley Operations PTY LTD, Regione Emilia Romagna, comune di Ravenna e ISPRA, in merito alla concessione di un titolo per la ricerca in mare di petrolio e gas davanti alle coste della provincia di Ravenna;
   secondo le associazioni ricorrenti la situazione sopracitata svelerebbe, come le stesse dichiarano nella nota stampa pubblicata sul sito «www.legambiente.it», «[...] un'interpretazione abnorme dell'articolo 35 del decreto Sviluppo del 2012 [...]. Quella norma prevedeva una deroga al limite delle 12 miglia, e faceva salvi i procedimenti autorizzatori e concessori in corso alla data del 29 giugno 2010. Come ha già chiarito però il Consiglio di Stato, questa espressione («conseguenti e connessi») fa riferimento solo a titoli che costituiscono “attuazione” di provvedimenti già adottati, mentre «devono ritenersi esorbitanti [...] quelle iniziative che si risolvono nell'esistenza di un nuovo titolo abilitativo o, comunque, in una modifica del titolo già esistente [...]»;
   non traspare la ratio che ha portato a concepire l'ampliamento di un'area già concessa come rientrante nella fattispecie sopradescritta;
   se non si ponesse rimedio, la situazione sopracitata rischia di diventare un pericoloso precedente che, se utilizzato per ogni permesso già rilasciato, finirebbe per vanificare il divieto delle 12 miglia sopracitato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se in particolare il Ministro dello sviluppo economico non ritenga di rivedere la concessione della riperimetrazione disposta a favore della società australiana Po Valley Operations, riportando la stessa all'interno dei limiti di legge vigenti.
(5-05738)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Zampa e altri n. 7-00643, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Locatelli.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cova n. 4-08025 del 18 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Capelli n. 5-05697 del 3 giugno 2015.

ERRATA CORRIGE

  Testo riformulato della mozione Lupi n. 1-00869, già pubblicato nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 434 del 3 giugno 2015. Alla pagina 25638, prima colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantottesima, deve leggersi: «a dare piena attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201.», e non come stampato.

  Interpellanza urgente Cova e altri n. 2-00996 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 435 del 4 giugno 2015. Alla pagina 25655, seconda colonna, dalla riga sesta alla riga ottava deve leggersi: «I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:» e non come stampato.