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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 4 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione» ha previsto specifiche limitazioni all'uso dei contanti, accompagnate da una serie di sanzioni destinate a colpire i soggetti che le avessero violate o tentato di aggirarle. Ciò allo scopo di contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro costituente il frutto o il provento di reati e il perpetrarsi dell'evasione fiscale;
    nello specifico, l'articolo 49 del sopra citato decreto legislativo, successivamente più volte modificato, da ultimo con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, vieta il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro, in luogo dei 2.500 euro previsti in precedenza;
    inoltre dal 30 giugno 2014 vige l'obbligo per ogni artigiano e libero professionista di munirsi di POS (point of sale) e farsi carico di tutti i costi di mantenimento visto che per prestazioni o prodotti del valore superiore a 30 euro, al cliente dovrà essere consentito l'uso del POS per usare il bancomat o la carta di credito e i costi aggiuntivi del servizio, in ogni transazione, sono a carico dell'esercente;
    la limitazione dell'uso del contante ha causato rilevanti conseguenze nella quotidianità delle operazioni fra privati e una forte penalizzazione della dinamica produttiva delle imprese, determinando effetti distorsivi del mercato e della concorrenza soprattutto nel confronto con le legislazioni dei Paesi confinanti se si pensa che a distanza di soli 10 chilometri dal confine italiano è possibile avere una libertà di spesa maggiore, anche solo per la spesa di carburante;
    le statistiche recenti riportano un bilancio negativo della spesa interna, il che significa che gli italiani spendono di più all'estero di quanto non facciano in Italia e la conferma arriva anche dai dati relativi alla presenza di turisti dall'altra parte del Brennero, in forte crescita (Tirolo + 4 per cento), mentre si registra un forte calo in Alto Adige/Südtirol, in Trentino e in altre località o regioni di confine, con le dovute conseguenze anche sul commercio e sulla prestazione di servizi, settori strettamente collegati al turismo;
    in ambito europeo gli unici Paesi, oltre all'Italia, che prevedono un limite all'uso del contante sono la Spagna (2.500 euro), la Francia (3.000 euro), il Belgio (15.000 euro), la Danimarca (13.400 euro), Grecia (1.500 euro), la Slovenia (15.000 euro), quasi tutti però per soglie di molto superiori a quella italiana di soli 1000 di euro, mentre Germania, Austria e Olanda non prevedono limiti più stringenti (valgono quindi i 15.000 euro previsti dalla normativa comunitaria);
    è allo studio dell'Unione europea una proposta di modifica della direttiva relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 2002/65/CE, 2013/36/UE e 2009/110/CE e che abroga la direttiva 2007/64/CE;
    il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, così detto competitività, conteneva disposizioni che ampliavano l'uso del denaro contante in Italia per i cittadini appartenenti all'Unione europea e allo Spazio economico europeo, derogando alla disciplina del limite all'uso del contante per importi superiori a 1000 euro, prevedendo la possibilità per i cittadini comunitari e per i residenti nello Spazio economico europeo di utilizzare il limite per il trasferimento di denaro contante vigente nel Paese di residenza dell'acquirente, e andava a inserirsi in un quadro normativo che già prevede una deroga a 15.000 euro per i cittadini extracomunitari;
    la materia del limite all'uso del contante in Italia viene trattata sempre in abbinamento alla normativa anti riciclaggio, mentre nel settore turistico il limite all'uso del contante si sta rivelando fortemente pregiudizievole, soprattutto nelle regioni di confine, che non possono competere con una normativa più favorevole appena pochi chilometri oltre il confine,

impegna il Governo:

   a considerare la materia del limite all'uso del contante in chiave di competitività dell'Italia, almeno con riferimento al settore turistico, assumendo iniziative per prevedere specifiche deroghe al limite all'uso del contante per i cittadini comunitari che acquistano in Italia beni e prestazioni di servizi legate al turismo, nonché un innalzamento della soglia del contante in linea con gli importi vigenti nei Paesi europei, almeno nelle regioni di confine;
   ad assumere iniziative per ripristinare una soglia più elevata per l'acquisto di beni e di prestazioni, quantomeno in linea con la media degli altri Stati europei, che si attesta intorno ai 2.500 euro, ponendo così fine al deflusso verso l'estero, con conseguente perdita di valore aggiunto in quelli che sono i principali settori dell'economia nazionale.
(1-00877) «Alfreider, Borghese, Matteo Bragantini, Caon, Gebhard, Marguerettaz, Merlo, Ottobre, Plangger, Prataviera, Schullian».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale interessato sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze la possibilità di prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    ed infatti con decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 2013 n. 122 il Governo ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle seguenti misure previste dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) blocchi riguardanti i meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e in regime di diritto pubblico;
    infine per effetto della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014, commi 254-256) è stato prorogato ulteriormente per tutto il 2015 il blocco economico della contrattazione nazionale e del contratto collettivo nazionale nel pubblico impiego – ormai operante dal 2010 – con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; è stata estesa fino al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale, da attribuirsi all'atto del rinnovo contrattuale, rimane quella in godimento al 31 dicembre 2013 e viene prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali ma relativo al solo personale non contrattualizzato (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari, nonché il personale della Banca d'Italia, della Consob e della Autorità garante della concorrenza e del mercato), ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
    eppure per le misure adottate con il decreto-legge n. 78 del 2010 e successivi provvedimenti, si tratta invece di ben cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    secondo l'Istat la riduzione delle retribuzioni pro capite in termini reali è stimata nell'ordine di oltre il 10 per cento dal 2010 al 2014; i dati pubblicati dall'Istat circa l'andamento economico del settore statale evidenziano – secondo quanto emerge dalle tabelle 12 e 13 rispettivamente: Unità di lavoro delle amministrazioni pubbliche per sottosettore 1995/2014 e Analisi dei redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche per sottosettore 1995/2014 – la cristallizzazione delle retribuzioni lorde pro capite medie ammontanti, per il 2014, a euro 34.286 con un decremento di circa 10 euro rispetto al dato 2013 (da: «il quotidiano della PA», articolo di Stefano Olivieri Pennesi del 20 maggio 2015);
    dall'altra parte, il rapporto annuale Istat del 2015, pur rilevando che nel 2013 e 2014 è rimasto invariato il carico fiscale corrente e in conto capitale delle famiglie (al 15,7 per cento del reddito lordo disponibile delle famiglie), evidenzia l'aumento di tre decimi di punto del carico fiscale complessivo (che include anche le imposte sull'abitazione), salendo al 16,3 per cento, a causa dell'introduzione del tributo per i servizi indivisibili (Tasi), compensando quasi interamente il calo di quattro decimi del 2013, determinato dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa;
    è evidente che il combinato disposto tra il perdurante blocco economico della contrattazione da una parte (di dubbia legittimità costituzionale) e un livello pressoché stabile ovvero in aumento della pressione tributaria sulle famiglie dall'altra, hanno comportato l'attuale depressione economica e la caduta del potere di acquisto degli stessi stipendi;
    le misure adottate finora con il decreto-legge n. 78 del 2010 e le successive proroghe di fatto hanno paralizzato anche l'applicazione degli istituti contrattuali retributivi legati al merito previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta «riforma Brunetta») che prevede numerosi strumenti (anche economici) per premiare il merito e la professionalità del dipendente pubblico (articoli 20 e seguenti decreto legislativo n. 150 del 2009);
    tali misure economiche di carattere restrittivo si ripercuotono non soltanto: 1) sulle motivazioni dei dipendenti pubblici sempre più «stanchi», perché penalizzati da uno scarso turn over (ora indebolito ancor di più dall'arrivo dei dipendenti provenienti dalle Province) e da un progressivo allungamento dell'età per accedere alla pensione, ma altresì: 2) sulla efficienza e funzionalità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni;
    il tribunale di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 1 e 17, del decreto-legge n. 78 del 2010 nonché dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per contrasto con gli articoli 2, 3, 35, 36, 39 e 53 della Costituzione e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale rilevando come «la sospensione della possibilità di negoziare anche solo in ordine ad incrementi retributivi, viene a determinare, indirettamente, un'anomala interruzione dell'efficacia delle disposizioni vigenti in materia (...) e, quindi, del valore dell'autonomia negoziale riservata alle parti nell'ambito della contrattazione collettiva, interruzione determinata a causa della esclusiva e affatto peculiare posizione dello Stato-datore di lavoro. (...); conseguentemente, l'inibizione prolungata della contrattazione in ordine all'adeguamento dei trattamenti retributivi può sollevare il legittimo dubbio di una conseguente violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione»;
    la questione verrà discussa dai giudici della Corte costituzionale il prossimo 23 giugno 2015 e, in caso di accoglimento, il recupero del pregresso blocco del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici potrebbe «costare» dai 14 ai 16 miliardi di euro, pari quasi all'ammontare di una legge di stabilità aprendo una «voragine» nei conti dello Stato;
    sono tre milioni e mezzo i pubblici dipendenti che aspettano il rinnovo dei contratti dal 2010 e potenzialmente interessati dalla decisione della Consulta;
    gli interventi così operati ingiustificatamente aumentano gli squilibri, trascurano del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di cittadini (di solito i pensionati e i lavoratori dipendenti), colpevoli unicamente di appartenere ad una categoria e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili»;
    già in altre occasioni la Corte è intervenuta affermando l'esistenza di diritti di rilevanza costituzionale non comprimibili dalle cosiddette «emergenze finanziarie», dal mercato e da pseudo riforme economiche dettate dalla mera esigenza di far quadrare i conti;
    è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle suddette misure di contenimento della spesa pubblica e di austerity e dalle conseguenti proroghe susseguitesi oltre ogni tempo ragionevole (di dubbia legittimità costituzionale per i motivi esposti) non solo sull'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione e sul rendimento e le perfomance dei pubblici dipendenti, ma anche sul sistema economico del Paese;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sospendere e/o revocare, a partire dal secondo semestre 2015, il blocco economico della contrattazione nazionale e delle tornate contrattuali del contratto collettivo nazionale dei pubblici dipendenti interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010 e successive proroghe;
   ad assumere iniziative per assicurare, a far data dal 1o gennaio 2016, per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010, procedure per il progressivo riallineamento e adeguamento degli stipendi agli standard costituzionali;
   ad assumere urgenti iniziative volte a permettere fin dal 2015 la ripresa della concertazione e della contrattazione del contratto del pubblico impiego interessato dal blocco della contrattazione per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010 e successive proroghe al fine di predispone – anche di concerto con le organizzazioni di rappresentanza del settore pubblico – idonee misure volte al recupero pieno della perdita del potere di acquisto degli stipendi dei pubblici dipendenti dovuto al blocco contrattuale ovvero reperire idonee risorse volte all'effettivo recupero dei trattamenti economici e degli aumenti retributivi dovuti per le tornate contrattuali e non goduti per effetto del blocco.
(1-00878) «Ciprini, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Gallinella, Dadone, Cozzolino, Cancelleri, Lorefice».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e VII,
   premesso che:
    nel mese di maggio 2015 la campagna militare dell'ISIS si è estesa alla zona della Siria dove ha sede la città romana di Palmira;
    si tratta di un sito storico-archeologico di inestimabile valore, risalente al I secolo d.C., già dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO;
    le notizie di stampa del mese di maggio 2015 riportano che le armate dell'ISIS sono entrate nella città siriana di Palmira e hanno iniziato la distruzione del sito archeologico;
    tale operazione rientra in una precisa strategia dell'ISIS che è stata autorevolmente definita pulizia culturale, la politica cioè di eliminare le testimonianze visibili di culture ritenute ostili e nemiche a quella islamica coltivata dall'ISIS. Tale strategia è stata anche definita efficacemente terrorismo culturale, per sottolineare l'aggressione indiscriminata e portata con strumenti pericolosi per l'incolumità pubblica a monumenti, siti archeologici e religiosi e vari reperti artistici, tanto più che spesso in queste operazioni perdono la vita custodi, prestatori di lavoro, agenti di polizia e fianco visitatori occasionali;
    si tratta evidentemente del dispiegarsi di una visione violenta e oscurantista del mondo, che prelude ad una guerra di civiltà che presuppone non solo il confronto militare ma anche l'eliminazione dell'identità culturale e storica dei nemici;
    in realtà, questi atti, purtroppo da diversi anni ripetutisi in diverse parti dell'Asia da parte di fanatici islamici, non fanno altro che impoverire l'umanità intera di retaggi e testimonianze artistiche e archeologiche di valore immenso sia per la precisa datazione di civiltà e assetti sociali del passato, sia per le tecniche artistiche, architettoniche e decorative, senza contare la perdita economica dei luoghi che si vedono privati di una fondamentale attrattiva turistica;
    il Parlamento europeo alla fine del mese di aprile 2015 ha approvato una risoluzione volta, tra l'altro, ad impegnare la Commissione dell'Unione europea ed in particolare l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione ad agire a livello politico, diplomatico e anche militare per dare attuazione alla risoluzione n. 2199 del Consiglio di sicurezza dell'ONU sul contrasto del traffico illecito di beni culturali e per sollecitare operazioni degli Scudi blu a tutela dei beni culturali in Siria ed in Iraq,

impegnano il Governo:

   a promuovere una efficace attuazione del protocollo addizionale della convenzione dell'AIA sulla tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato anche mediante l'interposizione delle truppe, cosiddetto Scudo blu;
   a verificare con rigore l'attuazione dei protocolli internazionali e della normativa vigente in materia di traffico illecito transnazionale di beni culturali;
   ad attuare ed intensificare l'utilizzo di sistemi satellitari civili per il monitoraggio e l'analisi dello stato dei siti di interesse archeologico-artistico nelle aree di conflitto armato;
   a farsi promotore dell'inserimento tra le competenze della Corte penale internazionale dell'AIA del reato di distruzione e danneggiamento su larga scala del patrimonio culturale dell'umanità.
(7-00694) «Amendola, Piccoli Nardelli, Schirò, Villecco Calipari».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    in attuazione dell'articolo 188 del codice dello strada, l'articolo 381, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992 n. 495, Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, dispone che: «Per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione impedita, o sensibilmente ridotta, il comune rilascia apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario. L'autorizzazione è resa nota mediante l'apposito contrassegno invalidi denominato: “contrassegno di parcheggio per disabili” conforme al modello previsto dalla raccomandazione n. 98/376/CE del Consiglio dell'Unione europea del 4 giugno 1998 di cui alla figura V.4. Il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo ed ha valore su tutto il territorio nazionale. In caso di utilizzazione, lo stesso deve essere esposto, in originale, nella parte anteriore del veicolo, in modo che sia chiaramente visibile per i controlli (...)»;
    contrariamente a quanto sopradisposto le persone invalide si vedono quotidianamente costrette a rinunciare al proprio diritto alla mobilità, per non incorrere in sanzioni amministrative, ogniqualvolta transitano in zone a traffico limitato (ZTL) e o in zone di rilevanza urbanistica (ZRU) ormai diffusi in ogni comune per ridurre la cogestione del traffico e aumentare le entrate amministrative con gli accessi a pagamento;
    queste zone a traffico «de-limitato» sono controllati da sofisticati sistemi digitali di videosorveglianza dei varchi, che rilevano il numero di targa dei veicoli in transito e, pertanto, se questo non è inserito nel database degli autorizzati all'accesso automaticamente viene avviata la procedura per l'irrogazione della sanzione amministrativa e questo anche qualora risulti legittimamente esposto il sopracitato contrassegno;
    i disabili per non incorrere nel rischio di essere sanzionati iscrivono il numero di targa del loro veicolo nel sistema informatico del comune in cui risiedono o dove accedono con più regolarità. Spesso però succede che per varie ed impreviste ragioni sono costretti a transitare in ZTL e o ZRU comuni non preventivamente informati, poiché non vi si prevedeva il transito, oppure, pur informati, accedono con veicoli non propri, poiché accompagnati da altri conducenti. In questi casi il guidatore disabile o suo accompagnatore si vedono recapitare una o più sanzioni pur avendo il pieno diritto di accedere in quanto «il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo ed ha valore su tutto il territorio nazionale»;
    la giurisprudenza del nostro Paese ha in più occasioni ribadito con assoluta chiarezza il diritto del disabile al libero accesso in ZTL. Giova ricordare la sentenza della Corte di Cassazione n. 719/2008 per il quale la persona invalida «può servirsi del contrassegno per circolare con qualsiasi veicolo in zone a traffico limitato, con il solo onere di esporre il contrassegno, che denota la destinazione attuale dello stesso al suo servizio, senza necessità che il contrassegno contenga un qualche riferimento alla targa del veicolo sulla quale in concreto si trova a viaggiare e nessuna deroga alla previsione normativa risulta stabilita relativamente alle zone dei centri abitati nelle quali, ai sensi dell'articolo 7, 1o comma, lettera b), [decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 Nuovo codice della strada] il comune abbia limitato la circolazione di tutte od alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinanti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale»;
    le multe comminate vengono annullate dal prefetto oppure dal giudice di pace quando è dimostrato l'utilizzo del proprio autoveicolo oppure quando è effettivamente dimostrata la presenza del disabile nel veicolo dell'accompagnatore sanzionato. Prova che spesso non è facile produrre e i cui oneri ricadono esclusivamente sui soggetti sanzionati. Sono numerosi, infatti, i casi di ricorsi non accolti dal prefetto o dal giudice di pace con enorme aggravio di spese per i disabili interessati;
    occorre precisare che il contrassegno rilasciato, in osservanza alla legge 5 febbraio 1992 n. 104 «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», è titolo sufficiente per accedere alle ZTL e non la targa dell'automobile. Pertanto il disabile può attraversare la ZTL con più veicoli (quello che guida, a bordo di un veicolo condotto da un familiare, da un amico ecc.) purché abbia con sé, ed esposto sul mezzo, il contrassegno che rappresenta il documento autorizzativo che i dispositivi ai varchi di accesso devono poter rilevare;
    il problema della mancata dotazione ai varchi di idonei ed uniformi strumenti di rilevazione dei contrassegni, rilasciati ai disabili è già stati sollevata nella scorsa legislatura con l'interrogazione n. 5-00371. Il Sottosegretario di Stato alle infrastrutture e ai trasporti dell'ex Governo Berlusconi, Bartolomeo Giachino, in data 29 novembre 2008 rispondeva in merito sostenendo la non risolvibilità tecnica del problema in quanto: «In assenza di uno standard unico per i protocolli di comunicazione a corto raggio terra-veicoli, allo stato attuale non è possibile adottare uno strumento semplice di controllo telematico valido per il territorio nazionale. L'omologazione delle apparecchiature di controllo dei varchi, infatti, viene effettuata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su istanza del produttore che è tenuto a rispettare le norme indicate dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 250/1999. Attualmente, sono ammesse tutte le tecnologie disponibili e non può essere privilegiata, per ovvi motivi legati all'assicurazione della concorrenza, una specifica modalità di comunicazione a corto raggio terra veicolo. L'adozione di uno standard unico di comunicazione, ancorché auspicabile, non può tuttavia essere imposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti essendo ricompresa nella competenza degli enti internazionali di unificazione». In sintesi:
     a) non esiste uno standard nazionale unico di comunicazione degli strumenti elettronici di rilevazione e che tutto sommato è bene che sia così in ossequio al principio della concorrenza del libero mercato;
     b) il Ministero non può fare niente perché le norme di omologazione delle apparecchiature sono di competenza internazionale e la gestione dei sistemi è degli enti locali;
    al fine di eliminare per quanto possibile i disagi, per una piena mobilità dei veicoli adibiti al trasporto di persone disabili, nella suddetta risposta il Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti si assunse l'impegno di realizzare «un sito contenente i recapiti telefonici dei comuni che adottano il sistema automatico di controllo degli accessi, ai quali gli interessati potranno rivolgersi per ottenere tutte le informazioni utili in ordine alla comunicazione degli estremi identificativi dei veicoli al loro servizio»;
    è da stigmatizzare la decisione dell'allora Governo Berlusconi di anteporre l'esigenza di garantire la libera concorrenza dei costruttori dei dispositivi elettronici ad un assunto costituzionalmente sancito quale la libera circolazione delle persone (articolo 16 Cost.). Inoltre è stato immediatamente confutato in merito all'assenza «di uno standard unico per i protocolli di comunicazione a corto raggio terra-veicoli» in quanto l'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 250 del 1991 Regolamento recante norme per l'autorizzazione alla installazione e all'esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, a norma dell'articolo 7, comma 133-bis, della legge 15 maggio 1997, n. 127, dallo stesso esponente del Governo citato nella sua risposta, prevede l'adozione di uno standard di rilevazione e di comunicazione omogenei e in conformità ai sistemi UNI 10772 e UNI 10607. L'unificazione di uno standard unico nel settore dell'elettronica di impianti che utilizzano immagini digitalizzate e di rilevazione dei dati utili per la comunicazione a corto raggio terra veicoli non impedisce di certo la presenza sul mercato di decine di marchi in concorrenza;
    il problema non può essere risolto semplicemente informando il disabile su dove e come segnalare al comune con ZTL la targa del suo autoveicolo ovvero quella del suo accompagnatore. Non è possibile pretendere che un disabile, che ha già molti impedimenti nella vita, si sobbarchi anche dell'incombenza di inoltrare ad ogni ufficio competente di ogni singolo comune le pratiche autorizzative per accedere nelle ZTL ogni qual volta ne necessita, anche perché spesso può non sapere con largo anticipo quali percorsi stradali dovrà effettuare;
    appare altrettanto riprovevole costringere una persona disabile a sostenere spese e disagi per farsi togliere una sanzione che non era elevabile se le autorità pubbliche, a tutti i livelli, si fossero prodigate a prevenire tali ostacoli al diritto costituzionale alla mobilità con rilevatori del traffico idonei a leggere i contrassegni oppure con specifici card/telepass;
    occorre adottare ogni iniziativa, eventualmente anche integrando le attuali disposizioni del codice della strada, affinché le caratteristiche del contrassegno, rilasciato ai sensi della surricordata legge n. 104 del 1992, consentano la piena mobilità della persona disabile all'interno delle ZTL istituite sull'intero territorio nazionale e che, di conseguenza, siano adeguati e uniformati i dispositivi digitali di controllo posti ai varchi di accesso in modo da poter leggere tali contrassegni ovvero card/telepass specificatamente assegnati,

impegna il Governo

ad istituire un tavolo tecnico con le Regioni e gli Enti Locali, aperta alla partecipazione volontaria delle Associazioni degli Utenti Disabili più rappresentative a livello nazionale, per elaborare una proposta risolutiva della problematica in premessa attraverso l'individuazione di soluzioni tecniche che assegnino al disabile un dispositivo elettronico personale, tipo card/telepass, rilevabile in tutti i varchi digitali del Paese ovvero il rilascio del contrassegno di cui alla legge n. 104 del 1992 con numerazione nazionale, da apporre in modo visibile sulla vettura e leggibile dai sistemi di rilevazione di videosorveglianza dei varchi d'accesso alle zone a traffico limitato.
(7-00695) «Paolo Nicolò Romano, Micillo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   le Forze armate sono dotate dei seguenti gruppi sportivi: Centro sportivo olimpico dell'Esercito italiano, Centri sportivi agonistici della marina militare, Centro sportivo dell'aeronautica militare, Centro sportivo carabinieri. La Polizia di Stato ha il Gruppo sportivo Fiamme Oro, la guardia di finanza ha il Gruppo sportivo Fiamme Gialle. Il Corpo forestale ha il Gruppo sportivo forestale. Il Corpo polizia penitenziaria ha il Gruppo sportivo Fiamme Azzurre. Il Corpo dei vigili del fuoco ha il Gruppo sportivo fiamme rosse;
   i suddetti gruppi sportivi rappresentano l'eccellenza dello sport italiano e anche la nostra nazione nel mondo;
   da notizie apparse sulla stampa si apprende che nei 18 mesi che precedettero l'Olimpiade di Londra 38 atleti della FIDAL – che avevano l'obbligo di segnalare la propria reperibilità per i controlli antidoping a sorpresa – avevano ripetutamente disatteso a questo obbligo impedendo in questo modo la possibilità di essere sottoposti a controlli out of competition;
   l'intero sistema antidoping ha la sua punta di forza nei controlli a sorpresa effettuati sugli atleti ma, per effettuare questo genere di controlli, c’è la necessità da parte degli atleti di segnalare la reperibilità giorno per giorno. Una mancata segnalazione (prevista trimestralmente dalla WADA) comporta che tali controlli non si possano effettuare. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal codice mondiale della Wada. È un punto tassativo;
   la mancata segnalazione della propria reperibilità non indica che gli atleti si siano sottoposti a doping;
   l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, ha evidenziato che l'Agenzia CONI-NADO, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni delle reperibilità da parte degli atleti, non si sia mai attivata per la contestazione delle infrazioni e per la prevista squalifica compiendo una grave violazione dei codice WADA soprattutto sul fronte delle «mancate reperibilità». Finora è emerso il caso dei 38 atleti della FIDAL ma gli inquirenti di Bolzano hanno informato che in molte altre Federazioni sportive la situazione è identica. Recentemente la procura antidoping del CONI ha convocato 65 atleti della sola FIDAL in merito a tale mancanze;
   la Commissione controlli antidoping del CONI, per un elevato numero di atleti di diversi sport, non avrebbe potuto effettuare esami antidoping a sorpresa perché non era a conoscenza dei loro luoghi di reperibilità;
   i gruppi sportivi che fanno riferimento alle forze armate o ai corpi di polizia sono composti da diversi atleti di interesse olimpico e internazionale;
   il fenomeno del doping e l'uso di sostanze dopanti è spesso legato anche a fenomeni controllati dalla malavita o da attività illecita –:
   se i comandanti dei gruppi sportivi indicati in premessa fossero a conoscenza che atleti di tutte le discipline sportive appartenenti al proprio gruppo sportivo non avevano provveduto a inviare il modulo della propria reperibilità come previsto dal codice antidoping del WADA e quale sistema di controllo interno abbiano messo in atto in questi anni per prevenire il mancato invio della reperibilità e del possibile uso di sostanze dopanti da parte dei propri atleti;
   se i comandanti dei gruppi sportivi, dopo le notizie delle agenzie di stampa sugli interventi fatti dalla procura di Bolzano a settembre 2014, si siano attivati per verificare che i propri atleti non fossero nella condizione di aver disatteso a questo obbligo di inviare la reperibilità anche perché ci si riferisce a fatti avvenuti da gennaio 2011 e fino a giugno 2012, e quali provvedimenti abbiano messo in atto nei confronti degli atleti che avessero eventualmente disatteso a questo obbligo;
   se gli atleti appartenenti ai gruppi citati in premessa, che risultano convocati per chiarimenti dalla procura antidoping, abbiano concordato una linea difensiva comune nei confronti della procura antidoping assumendo un unico studio legale a difesa e se tale percorso sia stato condiviso e concordato dai comandanti e responsabili dei gruppi sportivi citati in premessa.
(2-00996) «Cova, Scanu, Prina, Coccia, Carra, Taricco, Terrosi, Zanin, D'Ottavio, Preziosi, Malpezzi, Casati, Albini, Argentin, Rostellato, Rossi, Senaldi, Arlotti, Patriarca, Richetti, Manzi, Fossati, Cominelli, Crivellari, Crimì, Dallai, Cassano, Casellato, Castricone, Venittelli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa giunge notizia circa l'ipotesi che responsabili e collaboratori della Caritas di Teggiano Policastro, in provincia di Salerno, abbiano realizzato dei guadagni illeciti sugli aiuti ai migranti, in particolare, sembra che diversi ticket money per gli immigrati, ciascuno del valore di 2,50 euro al giorno, siano stati spesi in schede telefoniche;
   la procura di Napoli ha aperto un'inchiesta che ha portato all'arresto del presidente dell'Associazione «Un'ala di riserva», Alfonso De Martino, accusato di frode per un milione di euro, la sua compagna, Rosa Carnevale, titolare della rivendita di schede telefoniche presso cui venivano spesi i ticket money, e il sacerdote don Vincenzo Federico, accusati di peculato. Indagati anche alcuni responsabili e collaboratori di tre onlus legate al centro Caritas di Teggiano e due funzionari regionali –:
   se non ritengano doveroso verificare, per quanto di competenza, la veridicità delle informazioni riportate dagli organi di stampa;
   se non intendano fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente rispetto alla magistratura, sulla gestione sospetta dei rimborsi destinati dal Governo agli immigrati;
   quali iniziative intendano intraprendere immediatamente al fine di monitorare tale gestione ed evitare il mercato illegale dei rimborsi destinati agli immigrati. (4-09352)


   RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   quest'anno, nella ricorrenza del Giorno del ricordo, sono apparsi articoli di stampa oltraggiosi nei confronti delle vittime delle foibe, nei quali si è arrivati a definire detta ricorrenza un «medaglificio fascista», mettendo in dubbio la correttezza del riconoscimento della medaglia ai superstiti per determinati soggetti e attaccando direttamente, con tanto di pubblicazione di nomi e cognomi, i membri della Commissione che assegna le medesime medaglie;
   la ricorrenza del Giorno del ricordo è stata istituita proprio al fine di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, nonché dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra», per approfondire tale memoria e renderla condivisa;
   in tale contesto appare particolarmente grave che ci siano ancora delle voci che invece di puntare ad una ricostruzione storica unitaria e condivisa tentano di screditare la ricorrenza del Giorno del ricordo e la concessione delle medaglie ai superstiti, offendendo la memoria delle stesse vittime –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di conservare, rinnovare e diffondere la conoscenza e la memoria di quella tragica pagina della storia nazionale, anche attraverso il sostegno alle attività di studio condotte dagli istituti di cui alla legge n. 92 del 2004. (4-09353)


   LA RUSSA, GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'esposizione della bandiera nazionale, in determinate ricorrenze, non è una facoltà, ma un obbligo da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici, come stabilito dalle vigenti normative ovvero dalla legge 5 febbraio 1998, n. 22, che reca le disposizioni generali sull'uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea, e del decreto del Presidente della Repubblica n. 121 del 2000 che disciplina l'uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell'Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici;
   l'articolo 2, comma 1, della legge n. 22 del 1998 indica gli uffici e le sedi pubbliche dove esporre all'esterno la bandiera nazionale ovvero gli organi costituzionali e di rilievo costituzionale, i Ministeri, i consigli regionali, provinciali e comunali, gli uffici giudiziari, le scuole e le università statali;
   il titolo I dello Statuto di autonomia della regione «Trentino-Alto Adige» e delle province di Trento e Bolzano, al capo 1 (disposizioni generali) stabilisce che «Il Trentino-Alto Adige, comprendente il territorio delle Province di Trento e di Bolzano, è costituito in Regione autonoma, fornita di personalità giuridica, entro l'unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione e secondo il presente Statuto»;
   con nota del 13 maggio 2015 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha disposto l'esposizione sugli edifici pubblici delle bandiere italiana ed europea per domenica 24 maggio 2015, in occasione del centesimo anniversario dell'entrata dell'Italia in quella guerra che avrebbe condotto, dopo la sconfitta degli Imperi centrali, tra cui il Regno Austro-ungarico, al completamento dell'Unità italiana;
   tale disposizione ha valore sull'intero territorio dello Stato italiano;
   come preannunciato dal presidente della provincia Kompatscher, in occasione dell'anniversario dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra il giorno 24 maggio la provincia autonoma di Bolzano non ha esposto la bandiera nazionale sui pennoni collocati all'esterno dei palazzi provinciali;
   tale mancata esposizione rappresenta una grave mancanza di rispetto nei confronti di tutti quegli Italiani che si sacrificarono nelle trincee della Grande Guerra per l'unità e la libertà della nostra nazione;
   i sindaci di Bolzano e Laives hanno annunciato che tricolore esposto sui palazzi comunali in occasione del turno elettorale in corso alla data del 24 maggio sarebbero stati collocati a mezz'asta in difformità delle disposizioni della Presidenza del Consiglio dei ministri –:

come il Governo si sia attivato a fronte delle dichiarazioni e dei comportamenti descritti in premessa, per assicurare il rispetto delle disposizioni impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana. (4-09356)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la comunità di nascita e di origine italiana in Ontario, in occasione del censimento del 2006 è stata ufficialmente stimata intorno alle 900.000 unità equivalente al 60 per cento dell'intera comunità italiana in Canada e ad oltre il 7 per cento della popolazione locale, ma realisticamente ha dimensioni anche più ampie rispetto a quelle indicate dai dati evidenziati dalle autorità canadesi;
   i livelli di integrazione raggiunti dalla comunità di origine italiana dell'Ontario sono significativamente elevati sia per le dinamiche di sviluppo che l'area ha conosciuto nel contesto canadese e nordamericano che per l'ascesa sociale realizzata da molti emigrati italiani nel campo imprenditoriale, professionale, della comunicazione, dell'insegnamento e della ricerca;
   nel campo culturale, la comunità italiana, giovandosi anche delle particolari normative sul multiculturalismo e del clima di apertura e di confronto da esse favoriti, ha mantenuto tratti identitari definiti, che le hanno consentito di partecipare in modo attivo all'evoluzione del Paese, facendo anche da ponte tra le culture locali più radicate, quella di origine anglosassone e quella francese;
   nello specifico settore della promozione della lingua e della cultura italiana, in Ontario si è avuta una delle esperienze più solide ed espansive conosciute al mondo, soprattutto per merito della quarantennale opera di un'organizzazione di servizio sociale e senza scopo di lucro, il Centro Scuola, che è riuscito ad estendere e sostenere la rete di formazione linguistica e culturale nel sistema scolastico locale, consentendo a diverse generazioni di apprendere e conservare la lingua delle origini;
   pur in quadro di tale respiro, il Toronto Catholic District Scool Board, che gestisce in una quarantina di scuole dell’Ontario l'International Language Program, nello scorso mese di aprile ha deciso di ridurre i fondi destinati all'insegnamento delle lingue straniere di 900.000 dollari canadesi e di tagliare 22 posti in organico, nell'ambito di un piano di rientro da una più ampia esposizione finanziaria dell'ente;
   tale decisione non solo ridimensiona in modo sensibile l'insegnamento curricolare delle lingue straniere per circa 4.000 utenti, tra i quali vi è un numero consistente di italiani, ma, come ipotizza signor Alberto Di Giovanni, storico fondatore del Centro Scuola e animatore della promozione della lingua e della cultura italiane in Ontario, potrebbe essere prologo di uno spostamento nel pomeriggio e al sabato delle attività corsuali e, di conseguenza, della progressiva estinzione del programma;
   il console di Toronto, in un'intervista rilasciata al Corriere Canadese, il maggiore giornale in lingua italiana dell'Ontario, ha fatto appello alla comunità italiana, sottolineando la necessità di unire le forze rispetto al concreto rischio di regressione dell'insegnamento dell'italiano e l'opportunità di rispondere concretamente alla situazione che si è venuta a determinare concorrendo anche ad una raccolta di fondi da destinare al sostegno dei corsi;
   una situazione non meno critica per la pratica linguistica dell'italiano in Ontario si è determinata anche a seguito della decisione della (società di comunicazione Rogers di procedere ad una radicale restrizione dei programmi «etnici» trasmessi da OMNI nelle lingue originarie della maggiori comunità immigrate, tra le quali quella italiana;
   Rogers, nel 1986, all'atto dell'acquisto a prezzi di svendita della stazione CFMT-DT (OMNI), s'impegnò di fronte alla CRTC autorità canadese che concede le licenze nel settore radiotelevisivo, a trasmettere il 60 per cento dei programmi etnici con 50 per cento in terze lingue e, per quanto riguarda la stessa stazione CF-MT-DT, il 75 per cento di ore in programmi etnici;
   in vista della scadenza della licenza al 31 agosto 2015, la Rogers ha fatto anticipatamente richiesta di rinnovo, manifestando tuttavia l'intenzione di eliminare minimo l'80 per cento dei programmi etnici e di ridurre il numero dei gruppi etnici da 20 a 10 ed i programmi canadesi dal 60 per cento al 40 per cento;
   pur trattandosi di autonome scelte aziendali che hanno come unico punto di riferimento le autorità canadesi preposte alla regolazione delle attività di comunicazione, è evidente il danno che si determinerebbe sul piano informativo e della conservazione dei rispettivi profili identitari, nel quadro di un costante confronto interculturale, per le comunità immigrate e, in particolare, per quella italiana, che è una delle più consistenti ed attive –:
   quali iniziative di dialogo con le autorità scolastiche canadesi intenda assumere affinché sia loro adeguatamente rappresentata la preoccupazione di una forte limitazione dell’Internazional Language Program e quali iniziative, dirette e di promozione presso la comunità italiana, intenda adottare per fare in modo che risorse straordinarie siano destinate al mantenimento, dei livelli di insegnamento dell'italiano già acquisiti nelle rete delle scuole locali;
   quali contatti pensi di realizzare, attraverso le rappresentanze diplomatiche italiane, con le autorità canadesi preposte alla regolazione del sistema radiotelevisivo affinché, pur nel pieno rispetto della loro intangibile autonomia e delle loro prerogative, sia resa manifesta la preoccupazione di una restrizione e di una progressiva scomparsa dei programmi in italiano destinati ai componenti della nostra comunità d'origine, che sono allo stesso tempo cittadini e contribuenti canadesi.
(4-09345)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, ZOLEZZI, VIGNAROLI, DE ROSA, BUSTO, TERZONI, PARENTELA e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'elemento chimico conosciuto con il nome di «mercurio» e con simbolo Hg, è un metallo pesante fortemente tossico; la sua introduzione nell'organismo può avvenire sia per ingestione, sia per inalazione di vapori che per semplice contatto;
   sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATMM) è possibile leggere che «La salute umana è messa particolarmente in pericolo dal metil-mercurio, un composto del mercurio presente negli organismi viventi, in particolare nei pesci che occupano i gradini più alti nella catena alimentare (come tonni, pesci spada eccetera) dove si verifica il fenomeno del bio-accumulo. Anche l'amalgama dentale a base di mercurio costituisce un elemento di preoccupazione per la salute umana e per l'ambiente»;
   nel 1956, nella baia di Minamata, cittadina di pescatori nella prefettura di Kumamoto, un continuo sversamento di acque reflue contaminate da metilmercurio, da parte dell'industria chimica «Chisso Corporation», causò una concentrazione di questo metallo su vari organismi tra i quali anche quei pesci che erano alla base della catena alimentare degli abitanti della baita. L'assunzione di mercurio, avvenuta tramite l'ingerimento di pesci contaminati, causò migliaia di casi di avvelenamenti e decessi tra i cittadini di Minamata tanto da far classificare i danni neurologici che li colpirono, come «sindrome di Minamata»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare assieme al CNR – Istituto sull'inquinamento atmosferico, hanno presentato il Centro nazionale di riferimento sul mercurio che si candida a divenire il centro di riferimento scientifico per il monitoraggio delle emissioni della nuova convenzione di Minamata (così definita in omaggio agli abitanti della città giapponese rimasti vittime negli anni ’50, a causa del consumo di pesce contaminato, degli effetti dell'inquinamento da mercurio) che ha tra i vari obiettivi, quello di «proteggere la salute umana e l'ambiente dagli effetti negativi delle emissioni e dei rilasci antropogenici di mercurio e di composti contenenti mercurio»;
   tra le varie cause di inquinamento da mercurio, è possibile leggere sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che le «attività che si caratterizzano per un alto tasso di inquinamento da mercurio rientrano la combustione di carbone fossile, alcuni processi industriali che fanno uso di mercurio e di suoi composti (industria chimica, cementifici, raffinazione del petrolio), l'attività estrattiva nelle miniere di mercurio (oggi messa al bando nell'Unione Europea, ma ancora in atto in altre aree del pianeta) e quella legata all'attività estrattiva artigianale su piccola scala nelle miniere d'oro»;
   nel 2010 Greenpeace ha commissionato all'università degli studi di Siena una ricerca per effettuare rilevazioni circa la contaminazione da metalli pesanti, nell'area cosiddetta del «santuario dei cetacei», area che si estende in un tratto di mare di superficie di quasi 90.000 chilometri quadrati, compresa in quella porzione del mar Ligure e dell'alto Tirreno tra Liguria, Toscana e Costa Azzurra;
   l'università degli studi di Siena, ha utilizzato esemplari di sogliole comuni (Solea vulgaris), scelti perché «ottimi bioindicatori conducendo una vita stanziale a contatto con i sedimenti», per effettuare le rilevazioni circa la presenza di metalli pesanti;
   lo studio ha denotato come nell'area di Civitavecchia «il valore medio di mercurio (2,71 μg/g p.f.) è 4 volte superiore al limite di legge (pari a 0,50 μg/g p.f.), mentre la concentrazione massima riscontrata in uno dei sei campioni testati a Civitavecchia addirittura è di 10 volte il tenore massimo consentito per legge (5,0236 μg/g p.f.)»;
   nel 2008 a Civitavecchia è stata approvata la riconversione a carbone della centrale elettrica ENEL di Torrevaldaliga Nord, con V. I. A. 680 del 4 novembre 2003, a pagina 18 della quale si può leggere che «relativamente al mercurio [...] si esprime perplessità riguardo al che le emissioni di tali inquinante possano essere effettivamente contenute nel valore dichiarato di μ0.g/Nm3.»;
   all'interno della V. I. A. 680 del 4 novembre 2003, si legge che: «Relativamente alla concentrazioni in atmosfera del mercurio, si ritiene inoltre che le misure di questo inquinante debbano essere effettuate considerando la frazione presente allo stato di vapore»;
   il giudizio positivo della V. I. A. 680 del 4 novembre 2003, vincola ENEL Produzione spa all'osservanza di varie prescrizioni e campagne di monitoraggio, nonché alla pubblicazione annuale di un report contenente i dati delle misurazioni per le quali si raccomanda: «particolare attenzione dovrà essere posta nella misurazione di quei composti che possono essere presenti sia in associazione al particolato che allo stato di vapore»;
   all'interno del portale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è possibile visualizzare solo parte delle documentazioni tecnico-amministrative che riguarda il progetto «Centrale Termoelettrica da 2640 MW di Torrevaldaliga Nord nel Comune di Civitavecchia (RM)» e riferito alla V. I. A. 680 del 4 novembre 2003; in particolare risultano assenti le voci «Osservatorio ambientale» e «verifica di ottemperanza» del 4 luglio 2011, nonostante lo stato di entrambe le voci risulti concluso;
   all'interno delle verifiche di ottemperanza consultabili, con riferimento sul portale alle date 30 marzo 2012 e 15 novembre 2012 e protocollate in data 18 luglio 2013 e 24 luglio 2013, non risulta possibile consultare alcun tipo di dato se non il recepimento, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei pareri della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale-VIA VAS (CTVIA) –:
   se intenda fornire agli interroganti e pubblicare sul portale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le misure al camino relative al mercurio (Hg), effettuate dall'anno d'avvio ad oggi nella centrale ENEL di Civitavecchia «Torrevaldaliga Nord (TVN)», considerando la frazione presente allo stato vapore, condizione vincolante premessa nel documento V. I. A. 680 del 4 novembre 2003. (5-05706)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi una vasta area della zona protetta della Laguna del Mort di Eraclea è stata divorata dalle fiamme devastando un'area molto bella del paesaggio tra il mare e la laguna;
   ad aggravare la situazione oltre alle fiamme vi sarebbe stata, in base a quanto riportato dagli organi di informazione, una complicazione di natura burocratica;
   per spegnere l'incendio, che era indomabile via terra, vi era bisogno di un elicottero e, a quanto consta all'interrogante, pur essendovi un mezzo del Corpo dei vigili del fuoco pronto essendo un'area protetta, la competenza era del Corpo forestale dello stato;
   questa complicazione ha fatto sì che l'elicottero partisse da Belluno con una perdita di tempo che ha consentito alle fiamme di divorare altri ettari suscitando la protesta dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda verificare le ragioni di tale disservizio e conseguentemente intervenire al fine di evitare il ripetersi di simili episodi assicurando la massima protezione per le aree protette. (5-05707)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, attribuisce allo Stato la competenza alla determinazione dei requisiti e delle capacità tecniche e finanziarie per l'esercizio delle attività di gestione dei rifiuti;
   l'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, prevede che:
    «La garanzia per la gestione successiva alla chiusura della discarica assicura che le procedure di cui all'articolo 13 siano eseguite ed è commisurata al costo complessivo della gestione post-operativa. In caso di autorizzazione, della discarica per lotti la garanzia per la post-chiusura può essere prestata per lotti»;
    il comma 3 del medesimo articolo dispone che «Fermo restando che le garanzie di cui ai commi 1 e 2, nel loro complesso, devono essere trattenute per tutto il tempo necessario alle operazioni di gestione operativa e di gestione successiva alla chiusura della discarica e salvo che l'autorità competente non preveda un termine maggiore qualora ritenga che sussistano rischi per l'ambiente;
    a) la garanzia di cui al comma 1 è trattenuta per almeno due anni dalla data della comunicazione di cui all'articolo 12, comma 3;
    b) la garanzia di cui al comma 2 è trattenuta per almeno trenta anni dalla data della comunicazione di cui all'articolo 12, comma 3»;
   ai sensi del comma 4, le garanzie di cui sopra sono costituite ai sensi dell'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348, e devono essere prestate in misura tale da garantire la realizzazione degli obiettivi indicati nei citati commi;
   è sempre maggiore la difficoltà che le imprese riscontrano sul mercato per reperire polizze fidejussorie necessarie al rilascio delle autorizzazioni in particolare per la durata temporale (30 anni) richiesta per la questione «post modem» delle discariche, obbligo previsto, dall'articolo 14 del decreto legislativo 36 del 2004;
   con circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prot. n. 19931/TRI del 18 luglio 2014 recante «Disposizioni temporanee per la determinazione dell'importo e delle modalità di prestazione delle garanzie finanziarie dovute dai titolari di autorizzazione alla gestione dei rifiuti» è stato disposto che «sino alla pubblicazione del decreto ministeriale al fine di non determinare lacune nell'ordinamento giuridico, le singole amministrazioni titolari di procedimenti di autorizzazione, caso per caso e nell'ambito dei singoli procedimenti, potranno determinare in via sussidiaria gli importi delle garanzie finanziarie da richiedere o da mantenere tenendo anche conto delle vigente discipline regionali. Tali garanzie dovranno successivamente essere adeguate alla disciplina nazionale, in caso di modifiche, e in ogni caso al decreto ministeriale di cui all'articolo 195, comma 2, lett. g) e comma 4 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152»;
   l'assenza di un uniforme indirizzo da parte dello Stato che lascia ampia autonomia alle regioni e province determina disparità di trattamento di situazioni uguali ed una conseguente distorsione delle dinamiche di mercato per i differenti importi e costi delle garanzie prestate dai vari operatori;
   con sentenza del 26 marzo 2014, n. 67 la Corte Costituzionale nel dichiarare l'illegittimità dell'articolo 22, comma 2, della legge regione Puglia n. 39 del 2006 al punto 4.2. del dispositivo ha evidenziato che «Questa Corte non può esimersi dall'affermare l'opportunità che lo Stato provveda sollecitamente a definire i criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie dovute dai gestori degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, secondo il disposto del più volte richiamato articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo n. 152 del 2006»;
   appare improcrastinabile pertanto l'adozione del decreto previsto dall'articolo 195 del T.U.A. sia per l'uniforme determinazione delle garanzie finanziarie in tutto il territorio nazionale per evitare distorsioni del mercato a causa dei differenti oneri richiesti alle imprese sia per definire le modalità con le quali devono essere prestate le garanzie stesse, soprattutto per le discariche per le quali esse vanno prestate per ben trent'anni –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare il decreto previsto dall'articolo 195, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e se, intenda comunque emanare linee guida in merito alla prestazione delle garanzie finanziarie per la gestione trentennale successiva alla chiusura delle discariche.
(5-05724)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati acquisiti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e trasmessi alla Commissione europea (in adempimento degli obblighi derivanti dall'attuazione della Direttiva 86/278/CEE), la situazione nazionale relativa allo spandimento dei fanghi di depurazione in agricoltura vede alcune regioni, come la Lombardia, il Veneto e la Toscana ai primi posti come produzione di fanghi;
   secondo la DGR del 29 luglio 2009 n. 8/9953, dai dati in possesso dell'Osservatorio regionale rifiuti emerge che la maggior parte dei fanghi attualmente prodotti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane è destinato al recupero in agricoltura;
   tuttavia, alcune regioni utilizzano in agricoltura anche fanghi provenienti da altre regioni; come per il caso della Lombardia, ove oltre il 50 per cento dei fanghi ritirati da impianti autorizzati al trattamento conto terzi finalizzato al riutilizzo in agricoltura proviene da altre regioni italiane e tale quantità è prevalentemente costituita da fanghi provenienti dal trattamento di acque reflue;
   in particolare la provincia di Pavia recupera in agricoltura la maggior parte dei fanghi di depurazione (quasi 70.000 tSS nel 2008) con una superficie disponibile utilizzata per lo spandimento di fanghi di depurazione pari a più del 60 per cento della superficie utilizzata in tutta la regione, con un contributo dei rifiuti extraprovinciali pari al 91 per cento circa;
   per quanto riguarda i quantitativi massimi utilizzabili in agricoltura, il decreto legislativo n. 99 del 1992 stabilisce che i fanghi possono essere applicati su e/o nei terreni in dosi non superiori a 15 t/Ha di sostanza secca nel triennio, purché i suoli presentino le seguenti caratteristiche:
    capacità di scambio cationico (c.s.c.) superiore a 15 meq/100 gr;
    pH compreso tra 6,0 e 7,5;
   in caso di utilizzazione di fanghi su terreni il cui pH sia inferiore a 6 e la cui c.s.c. sia inferiore a 15, per tenere conto dell'aumentata mobilità dei metalli pesanti e del loro maggiore assorbimento da parte delle colture sono diminuiti i quantitativi di fango utilizzato del 50 per cento. Nel caso in cui il pH del terreno sia superiore a 7,5 si possono aumentare i quantitativi di fango utilizzato del 50 per cento;
   i fanghi provenienti dall'industria agroalimentare possono essere impiegati in quantità massima fino a tre volte le quantità indicate nella norma. In tal caso, i limiti di metalli pesanti non possono superare valori pari ad un quinto di quelli di cui all'allegato 1B;
   nonostante il considerevole contributo della regione Lombardia ed in particolare della provincia di Pavia allo smaltimento di rifiuti da fanghi di depurazione, si ha notizia dai media che è stata presentata una richiesta da parte della ditta Ecotrass srl per la realizzazione, in territorio della provincia di Pavia, nel comune di Mortara, di un ulteriore impianto per il trattamento dei fanghi, ove potranno essere realizzate 60 mila tonnellate annue di fanghi per l'agricoltura;
   date le dimensioni dell'impianto, sussiste il rischio di creare il presupposto per una proliferazione di impianti di piccola taglia che renderebbero difficilmente controllabile la situazione, vanificando qualsiasi sforzo di pianificazione in termini di sviluppo urbano e, soprattutto, in termini di impatto sulla salute e sull'ambiente circostante –:
   se il Ministro intenda adottare tutte le idonee iniziative di competenza in materia, incaricando l'ISPRA di effettuare uno studio sulla distribuzione degli impianti per il trattamento dei fanghi sul territorio nazionale e sul controllo analitico dei terreni su cui sono stati sparsi i fanghi, per addivenire al censimento degli impianti esistenti e controllare la sostenibilità ambientale per la localizzazione di nuovi impianti, anche pervenendo ad una moratoria per l'insediamento di ulteriori impianti in territori, come quello della provincia di Pavia, che già concorrono con un notevole contributo al trattamento e smaltimento dei fanghi di depurazione provenienti dalle acque reflue del territorio nazionale. (4-09348)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 53 dell'8 maggio 2003 impone una quota minima del 30 per cento per l'utilizzo di prodotti ottenuti da materiali riciclati da applicare nella realizzazione di beni e manufatti destinati ad opere pubbliche;
   la circolare ministeriale n. 205 del 15 luglio 2005 chiarisce le disposizioni del decreto, fornendo le definizioni e le caratteristiche tecniche minime dei materiali riciclati che dovranno essere utilizzati nella realizzazione di opere edili e stradali;
   l'articolo 183, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce il «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi»;
   lo stesso articolo al comma 1, lettera qq) definisce «sottoprodotto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all'articolo 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'articolo 184-bis, comma 2»;
   l'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 stabilisce che «È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto, b) è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi, c) la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale, d) l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana;
   in generale gli interventi pubblici destinati alla manutenzione o al rifacimento di strade esistenti sono orientati alla ricostituzione degli strati superficiali del pacchetto stradale, il tappetino di usura e lo strato di collegamento: i due layer stradali vengono rimossi da una fresa meccanica che, con l'ausilio di un tamburo rotante con asperità in acciaio, demolisce e frantuma la pavimentazione e materiali di scarto che provengono da questa operazione (fresato d'asfalto) non sono considerati rifiuti, così come definiti dal codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006), ma sottoprodotti, materiali per i quali non sussiste l'obbligo del disfacimento in quanto riutilizzabili per processi industriali successivi;
   l'Italia detiene un primato negativo quanto a riciclo del fresato d'asfalto utilizzato nelle pavimentazioni stradali, collocandosi al terz'ultimo posto in Europa con una media di recupero pari al 20 per cento, seguita solo Repubblica Ceca e Turchia, dal momento che la normativa vigente classifica il fresato d'asfalto come rifiuto non riciclabile, con gravi costi economici e paesaggistici per il nostro Paese;
   alla luce dei requisiti di carattere generale indicati dalla normativa di settore, il fresato d'asfalto in linea di massima, non deve essere condotto e conferito in discarica come rifiuto speciale e la legislazione italiana, in linea con altre normative estere, con sentenza n. 4151 del Consiglio di Stato del 2013, eleva il fresato di asfalto a materiale riutilizzabile se vengono soddisfatte specifiche condizioni, rappresentate essenzialmente dal fatto che il nuovo utilizzo del fresato in questione deve essere integrale, avvenire nel corso di un processo di produzione o di utilizzazione senza alcun trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
   con la sentenza n. 4978/2014 la IV Sezione del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi della problematica costituita dalla natura del fresato d'asfalto, se vada qualificato come rifiuto, secondo la classificazione di cui al decreto ministeriale 5/2/1998 e l'inserimento nel codice europeo dei rifiuti, oppure debba essere considerato un sottoprodotto, propendendo per la seconda ipotesi;
   la natura del fresato d'asfalto quale rifiuto sottoprodotto rappresenta ancor oggi una questione interpretativa irrisolta, sulla quale l'Autorità giudiziaria ordinaria e i giudici amministrativi esprimono conclusioni non convergenti –:
   se non ritenga opportuno confermare che il fresato d'asfalto originato nella fase lavorativa di «scarifica del manto stradale usurato/ammalorato», che è parte integrante del processo di produzione del manto stradale nuovo in sostituzione del preesistente, soddisfa alla condizione di cui alla lettera a) dell'articolo 184-bis, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   se non ritenga altrettanto opportuno confermare che, qualora il fresato d'asfalto risulti in grado di soddisfare anche tutte le altre ulteriori condizioni di cui alle lettere b), c), d) del medesimo articolo 184-bis, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, lo stesso fresato d'asfalto è allora un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a). (4-09350)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 maggio 2004 nel corso di un'azione di protezione della base italiana Libeccio in Afghanistan, perse la vita il primo caporalmaggiore del Reggimento Lagunari Matteo Vanzan, a soli 23 anni nell'ambito della missione Antica Babilonia;
   la famiglia del caporalmaggiore Matteo Vanzan ha dovuto intentare una causa legale allo Stato italiano per il riconoscimento del trattamento pensionistico agli stessi familiari;
   la stessa famiglia, per potere legittimare la richiesta di pensione, ha dovuto dimostrare che il caporalmaggiore Matteo Vanzan si trovava il 17 maggio 2003 in servizio permanente effettivo;
   la morte del caporalmaggiore Matteo Vanzan è stata considerata come decesso in seguito ad atto terroristico, giacché la missione Antica Babilonia era classificata come missione di pace;
   lo Stato italiano ha riconosciuto infine solo nel marzo 2015, dopo 11 anni alla famiglia del caporalmaggiore Matteo Vanzan un assegno di pensione pari a 2056,00 euro lordi all'anno, corrispondenti a 150,00 euro netti al mese;
   il caporalmaggiore Matteo Vanzan è morto difendendo le strutture e il personale dello Stato italiano in territorio straniero, durante una missione di supporto e assistenza alle popolazioni dell'Afghanistan, e pertanto ha testimoniato fino al personale sacrificio della propria esistenza i principi cui è informata la nostra Costituzione e l'azione delle nostre Forze armate;
   il riconoscimento tardivo e del tutto inadeguato del trattamento di pensione viene a configurarsi come ingiusto nei confronti della memoria del Caporalmaggiore Matteo Vanzan e iniquo nei confronti della sua famiglia –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se sia volontà del Governo impegnare gli enti competenti al riesame dell'istanza di pensione, per garantire alla famiglia del Caporalmaggiore Matteo Vanzan un trattamento decoroso e giusto. (5-05721)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE e MARCOLIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto nel Paese un'emergenza nel campo della sicurezza, alla quale concorrono molteplici fattori, dall'acuirsi della crisi economica alla crescita esponenziale dei migranti clandestini stazionanti sul territorio nazionale;
   l'incremento della microcriminalità, specialmente quella attiva nel campo dei reati al patrimonio, solleva il problema del più efficace controllo del territorio;
   alle prese con il malcontento della cittadinanza, che chiede maggiore sicurezza, molte amministrazioni comunali reclamano il rafforzamento dei presidi delle forze di polizia nei rispettivi territori, scontrandosi tuttavia con rilevanti carenze d'organico;
   alla sola Arma dei carabinieri mancherebbero ben 18mila effettivi in rapporto alla pianta organica prevista;
   alla base delle difficoltà c’è il pluriennale blocco parziale del turn over nel comparto sicurezza, al quale tuttavia nell'anno in corso sono state previste alcune eccezioni, anche per meglio proteggere l'Expo 2015 in corso a Milano;
   nell'ambito di queste eccezioni, si è previsto di ricorrere anche agli idonei non vincitori dei concorsi pregressi per l'accesso all'Arma dei carabinieri, in modo tale da ammortizzare gli oneri connessi alla formazione delle nuove reclute;
   esisterebbe, tuttavia, anche un'altra riserva di capacità teoricamente disponibile, quella rappresentata dagli ex carabinieri ausiliari di leva, che hanno prestato il proprio servizio militare prima che subentrasse la sospensione della coscrizione in tempo di pace;
   un'aliquota di questo personale avrebbe ancora un'età utile nella prospettiva della riammissione in servizio –:
   quali ragioni impediscano al Governo di considerare l'inclusione, a determinate condizioni, di parte degli ex carabinieri ausiliari di leva, in particolare di quelli più recentemente cessati dal servizio, nel bacino delle persone cui attingere per la copertura anche parziale del turn over nel comparto sicurezza, insieme agli idonei non vincitori dei concorsi. (4-09347)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, Up di Napoli-territorio ha sede in via de Gasperi 16, in uno stabile costruito ad hoc dallo stato ed inaugurato nel 1967;
   a seguito della iniziativa del tutto non condivisibile del ministro pro tempore Tremonti, nei primi anni del 2000 venne venduto e riaffittato dall'allora Agenzia del Territorio;
   nel 2011, l'Agenzia disdice il contratto di affitto per il 31 giugno 2015 e con la proprietà vengono fissate una serie di penalità in caso di violazioni contrattuali;
   il giorno 14 maggio 2015, pochi giorni fa, il direttore regionale (alla presenza di ex dirigenti incaricati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale) convoca le organizzazioni sindacali e rappresentanze sindacali unitarie per informarle che, a causa della scadenza imminente del contratto di affitto, si deve provvedere al trasferimento dell'Up di Napoli-territorio in altra sede, indicando altresì, come sede di trasferimento, una struttura di un noto costruttore napoletano al Vomero. Nella struttura del Vomero, quartiere decentrato di Napoli, sono presenti già alcuni lavoratori dell'Agenzia delle entrate come ufficio territoriale (40 lavoratori);
   nel mese di marzo 2015, solo dopo pressanti richieste del sindacato, è stata chiusa la seconda sede di una direzionale regionale-territorio aggiunta al centro direzionale che, tra affitto, pulizia e servizi generali, è costata un milione di euro in più rispetto alla normale chiusura che avrebbe dovuto avvenire subito dopo la soppressione dell'Agenzia del territorio nel 2012;
   una ulteriore sede, dell'Up Napoli Territorio – adibita ad archivio, affittata sempre da privati, si trova nel quartiere San Giovanni in via Barbato ed attualmente è aperta anche a lavorazioni d'ufficio nonostante la struttura sia, a quanto consta agli interpellanti, un capannone adibito a deposito –:
   come mai una sede decentrata come quella del Vomero, quartiere per altro già in serie difficoltà a livello di trasporti pubblici e accessibilità al traffico veicolare, possa essere designata quale struttura per espletare servizi ai cittadini che provengono da 92 comuni della provincia di Napoli;
   come sia possibile che una sede (Vomero) che, in caso di trasferimento potrebbe contenere anche il personale dell'Up territorio (180 persone), sia stata affittata per un esiguo (40) numero di dipendenti;
   quali iniziative abbia assunto l'amministrazione per la ricerca di un immobile per l'UP di Napoli-territorio e, in particolare, se siano state bandite procedure ad evidenza pubblica e quale esito abbiano avuto;
   come mai dal 2011, al maggio 2015, non solo non si è mai provveduto a trovare una soluzione economicamente favorevole come quella di accorpare tutto il personale presso la sede storica di via Diaz (come previsto nel piano dell'Agenzia dell'entrate), tra l'altro anch'essa venduta e riaffittata, ma si convocano i rappresentanti dei lavoratori a 40 giorni del trasferimento per chiedere una improbabile condivisione delle scelte;
   come mai che lo spostamento al Vomero non sia stata ancora informata la municipalità;
   se trovi conferma che alcuni ex-dirigenti dell'Up di Napoli di nomina illegittima secondo la sentenza n. 37 del 2015 della Consulta continuino ad occupare gli stessi uffici dirigenziali che occupavano da dirigenti;
   se non sia il caso di «accendere un riflettore» sui fatti sopra descritti, con particolare riguardo al rispetto da parte dei vertici dell'Agenzia delle entrate dei principi del diritto e delle leggi dello Stato nella gestione complessiva dell'amministrazione fiscale, a partire dalla questione delle deleghe ai dirigenti che, in più casi, risulterebbero – a quanto consta agli interpellanti – gli stessi soggetti la cui nomina è stata ritenuta illegittima da parte della Corte costituzionale, soggetti che per essere delegati dovrebbero comunque possedere i requisiti previsti dalla normativa vigente;
   se non ritenga di effettuare anche a livello nazionale un controllo della gestione degli immobili e della legalità all'interno delle agenzie fiscali, già riportato in un'altra interrogazione n. 4-04640 a prima firma Villarosa, relativo all'agenzia delle entrate nel comune di Barcellona Pozzo di Gotto che occupa da più di 13 anni un edificio non dotato di agibilità e senza regolare contratto d'affitto;
   cosa intenda fare per garantire adeguata sicurezza lavorativa ai lavoratori che regolarmente denunciano tali scelte antieconomiche.
(2-00997) «Pesco, Cancelleri, Alberti, Pisano, Villarosa, Micillo, Tofalo, L'Abbate, Da Villa, Crippa, Colletti, Frusone, Rizzo, Basilio, Fraccaro, Fico, Nuti, Dadone, Toninelli, Nesci, Petraroli, Battelli, Agostinelli, Sarti, Zolezzi, Busto, Spessotto, Colonnese, Spadoni, Ciprini, Mantero, Fantinati, Della Valle, Nicola Bianchi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2012 sono stati consegnati i lavori di adeguamento della strada statale 32 («Ticinese») alle imprese esecutrici ATI LAURO SPA e DE GIULIANI SRL;
   tali lavori interessano il tratto dal chilometro 23,300 al chilometro 31,000;
   in particolare, i sopracitati lavori interesserebbero la sistemazione stradale del IIo lotto e cioè dei tratto tra il chilometro 23+300(comune di Pombia) e il chilometro 31+000 (comune di Borgoticino);
   dalla sezione dedicata da ANAS S.P.A. all'opera sul proprio sito si viene a conoscenza di come l'importo totale attualmente previsto per l'esecuzione dei lavori ammonti a 31.557.131,60 euro;
   ad oggi, l'avanzamento dei lavori corrisponderebbe al 44,52 per cento del totale;
   nella sezione prevista all'indicazione della data di ultimazione dell'opera si può al momento leggere come «Il termine dei lavori è in corso di ridefinizione»;
   tali lavori provocano ormai da diverso tempo continui disagi agli abitanti dei comuni limitrofi, ma anche ai passeggeri diretti ai terminal di Malpensa, oltre ai parecchi pendolari che ogni giorno percorrono a scopo lavorativo tale tratta;
   tali disagi possono essere identificati in lunghe code automobilistiche causate da sensi alternati di marcia che si aggiungono a carreggiate di dimensioni estremamente ridotte con dislivelli della banchina molto rilevanti e cedimenti dell'asfalto che mettono a rischio ciclisti, motociclisti e automobilisti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione;
   se possano indicare la data di previsione di fine lavori e ogni altro utile elemento sulla tempistica anche fornendo copia del cronoprogramma dell'opera depositato alla consegna dei lavori e di quello ad oggi vigente. (5-05720)


   CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2013 sono partiti i lavori sulla strada statale 33 per il prolungamento dell'imbocco sud della galleria di «Paglino» al chilometro 142+800;
   come infatti si può leggere dal comunicato di ANAS s.p.a. pubblicato sul quotidiano Il Corriere della Sera in data 13 giugno 2013, i lavori sopracitati sono stati affidati tramite gara d'appalto all'impresa GFA s.r.l. con sede in Battipaglia (SA);
   tale impresa avrebbe risultato avere vinto la gara sopracitata con un'offerta al ribasso del 24,531 per cento i lavori in oggetto sarebbero dovuti terminare entro il mese di novembre 2014;
   su richiesta di GFA s.r.l. pervenuta ad ANAS s.p.a. in data 30 settembre 2013, il termine dei lavori risultava essere stato prorogato all'11 febbraio 2015;
   ad ottobre 2014, come si poteva leggere nella sezione dell'opera presente sul sito di ANAS s.p.a., i lavori risultavano essere fermi al 16,66 per cento della loro totalità;
   ad oggi parrebbe che la sezione sopracitata non sia presente e consultabile nonostante l'opera sia ben lontana dalla sua conclusione;
   l'importo totale stanziato per l'opera risulta ammontare a 1.414.185,75 euro;
   da visura camerale (fonte CERVED) si può notare come GFA s.r.l. risultasse, al 31 dicembre 2013 avere un capitale sociale di soli 20.000 euro, un patrimonio netto di 69.000 euro e 4 addetti totali;
   secondo l'articolo 89, comma 1, lettera l) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per idoneità tecnico professionale si intende «possesso di capacità organizzative, nonché disponibilità di forza lavoro, di macchine e di attrezzature, in riferimento ai lavori da realizzare»;
   all'interno dell'Allegato XVII al decreto legislativo n. 81 del 2008 è specificato come le imprese vincitrici di gare d'appalto, al fine di poter verificare la loro idoneità tecnico professionale, debbano trasmettere i nominativi dei soggetti della propria impresa, con le specifiche mansioni;
   suscita quantomeno perplessità la scelta di affidare i lavori di prolungamento e adeguamento di un'importate asse viario di raccordo tra Italia e Svizzera quale quello in oggetto, oltre alla concessione dell'idoneità tecnico professionale, ad una società con capitale sociale e organico così esigui;
   in data 21 maggio 2015 Anas ha comunicato di aver proceduto alla risoluzione contrattuale nei confronti dell'impresa GFA s.r.l.;
   secondo Anas, il provvedimento si sarebbe reso necessario in quanto i gravi inadempimenti contrattuali dell'impresa GFA s.r.l., che è stata anche più volte diffidata dall'Anas, sono stati tali da comportare un notevole ritardo nell'esecuzione delle opere;
   la testata online altaossolanews.it il 21 maggio 2015 aggiunge che Anas inoltre avrebbe contestato all'impresa la mancata gestione del traffico sulla viabilità provvisoria istituita per poter procedere con i lavori di prolungamento dell'imbocco Sud della galleria di Paglino, creando numerosi disagi all'utenza;
   all'interno dell'articolo sopracitato si fa presente inoltre come Anas sottolinei che sarebbero state avviate le procedure per l'affidamento al secondo classificato della graduatoria della gara d'appalto relativa ai lavori in questione, il quale avrebbe accettato di eseguire i restanti lavori alle medesime condizioni già proposte dal precedente aggiudicatario in sede di offerta;
   infine Anas garantirebbe la consegna dei lavori entro la metà del mese di settembre 2015 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione;
   quali provvedimenti ANAS abbia preso o intenda prendere al fine di adottare tutti gli strumenti necessari atti a rivalersi su GFA s.r.l. per gli estremi ritardi causati da quest'ultima;
   quali siano stati i criteri seguiti da ANAS s.p.a. secondo cui GFA s.r.l. sarebbe risultata idonea dal punto di vista tecnico professionale, viste le esigue risorse dichiarate dalla stessa impresa;
   chi sia l'impresa subentrata a GFA s.r.l. per il completamento dell'opera, considerando che tale informazione non risulta al momento reperibile né nei comunicati ANAS, né sul sito dell'ente;
   per quale motivo siano necessari ben quattro mesi da oggi al fine di consegnare i lavori da parte di ANAS all'impresa subentrante e quali elementi possano rendere sulle tempistiche, anche fornendo copia del cronoprogramma dell'opera, dati i nuovi sviluppi di cui in premessa.
(5-05722)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TONINELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 30 aprile 2015 i Ministri interrogati risultano essere stati resi edotti della gravissima situazione del tribunale di Lodi sotto il profilo della sicurezza, dal competente procuratore della Repubblica;
   il dottor Vincenzo Russo, infatti, ha indirizzato in quella data una lettera circostanziata ai Ministri della giustizia e dell'interno, alla procura generale di Milano, al questore di Lodi e ai comandi provinciali di carabinieri, guardia di finanza e forestale, nonché al sindaco di Lodi. Nella lettera il procuratore lamentava l'insoddisfacente situazione del sistema di sicurezza del tribunale e aggiungeva in particolare che da alcune settimane non funzionava la chiusura magnetica della porta che dal garage dà accesso agli uffici;
   quasi un mese dopo, il 26 maggio 2015, una donna di 38 anni è riuscita ad entrare all'interno del palazzo di Giustizia di Lodi avendo superato i controlli e le misure di sicurezza con un coltello dotato di una lama di 32 centimetri nascosto nella sua borsa, per poi tentare di aggredire un magistrato, probabilmente con intenti omicidi;
   a seguito di tale gravissimo episodio è emerso che ciò è stato possibile a causa di un grave problema di sicurezza all'interno del tribunale, e in particolare per via del fatto che il metal detector necessario a individuare le armi ed impedirne l'ingresso all'interno del personale era fuori uso da sei mesi (come riportato dal quotidiano Il Cittadino di Lodi del 27 maggio 2015). È quindi evidente che nei mesi in cui lo strumento di rilevamento era essenziale per la sicurezza, chiunque avrebbe potuto entrare all'interno del tribunale portando con sé delle armi di qualsiasi tipo. Infatti, lo stesso prefetto Antonio Corona e il presidente del tribunale Ambrogio Ceron hanno verificato che il metal detector in questione non dava alcun segnale di allarme neppure dopo il passaggio della pistola semiautomatica di una guardia giurata del tribunale;
   è così emerso che questa intollerabile carenza nel sistema di sicurezza del tribunale lodigiano sarebbe conseguenza di una indisponibilità finanziaria in capo all'ente preposto alla manutenzione ovvero il comune, causata dalla morosità del Ministero della giustizia nei confronti dell'ente locale in relazione a queste spese. Più specificamente, il comune non riceverebbe dal Ministero il canone d'affitto dell'immobile ma solo un parziale rimborso delle spese di funzionamento: secondo i calcoli il debito del Ministero ammonterebbe a 6.402.020,19 euro;
   dal 1997 a fronte di 14,1 milioni di euro di rimborsi richiesti fino al 2014 ne sarebbero stati riconosciuti a titolo provvisorio o definitivo 12,6 milioni di euro;
   alla luce dei tragici avvenimenti del 9 aprile al palazzo di giustizia di Milano, ovvero all'omicidio del giudice Ferdinando Ciampi, dell'avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, e di Giorgio Erba ci si chiede come sia possibile che vi sia un palazzo di giustizia sprovvisto di strumenti essenziali e minimi per la prevenzione di pericoli mortali per chi vi opera svolgendo la delicatissima funzione di amministrazione della giustizia;
   con la legge di stabilità 2015, in cui è stato stabilito che da settembre i comuni verranno sgravati da queste spese, poste in capo ad essi dalla precedente legge del 1941, e tali spese saranno poste direttamente a carico del Ministero della giustizia. Si evidenzia che, come sopra riportato, l'attribuzione al Ministero della giustizia delle spese di gestione dei tribunali di per sé non sembra essere in alcun modo risolutiva, dato che la gravissima situazione del tribunale lodigiano è stata causata proprio dalla mancata erogazione al comune di Lodi dei rimborsi dovuti in base alle stesse spese, per cui il Ministero è già ad oggi di fatto responsabile della mancata erogazione che hanno determinato la questione oggetto della presente interrogazione –:
   se alla luce dei fatti il Ministero della giustizia abbia avviato un'indagine approfondita sullo stato della sicurezza all'interno di tutti i tribunali italiani;
   quanti e quali siano i tribunali italiani nei quali siano stati rilevati problemi analoghi, attraverso la sollecitazione alla loro soluzione da parte dei comuni o di altre istituzioni e enti competenti al Ministero della giustizia;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per intervenire sul problema della sicurezza nei tribunali italiani. (5-05725)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2015 l'autostrada A4 è stata completamente bloccata a causa di un tamponamento tra due tir nel tratto compreso tra Portogruaro e San Stino di Livenza, cosa che ha determinato una coda di quasi 60 chilometri con rallentamenti fino alla barriera di Trieste Lisert;
   uno dei due tir era una autocisterna carica di acqua ossigenata il che ha sicuramente complicato le cose per liberare la carreggiata;
   purtroppo, non è la prima volta che si verificano incidenti di tale rilevanza nel tratto autostradale in questione con gravi conseguenze per il traffico –:
   se, anche alla luce di questo nuovo incidente, il Governo non intenda intervenire per aumentare gli standard di sicurezza della infrastruttura puntando, per quanto riguarda il trasporto merci, sulla ferrovia ed un migliore sistema di intermodalità, decongestionando quello che risulta essere uno dei tratti autostradali più trafficati d'Europa. (5-05708)


   BATTAGLIA e MAGORNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 marzo 2015 si è verificato il crollo del viadotto «Italia» della autostrada Salerno-Reggio Calabria che ha causato, altresì, il decesso di un giovane operaio;
   sono notevoli le ricadute negative per l'economia della regione Calabria dovute all'interruzione del tragitto autostradale;
   i sindaci del comprensorio stanno organizzando una mobilitazione per denunciare la grave situazione;
   nei giorni scorsi la procura della Repubblica competente ha autorizzato la rimozione delle macerie che inizierà non prima del 27 maggio ed avrà la durata presunta di 20 giorni;
   parrebbe che, allo stato, non sia stato depositato da parte dell'ANAS nessun progetto relativo ai lavori di rinforzo del pilone del viadotto;
   c’è il serio rischio, come si apprende da notizie di stampa che il tratto dell'A3 tra Laino Borgo e Mormanno non ritorni percorribile prima dell'estate causando, quindi, l'isolamento della Calabria –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto e se intenda attivarsi presso l'ANAS affinché sia depositato il progetto e possano iniziare i lavori di consolidamento del viadotto «Italia».
(5-05710)


   GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni ADR ha annunciato «turni di lavoro ridotti del 50 per cento e mascherine obbligatorie per il personale aeroportuale del Terminal 3 dello scalo aeroportuale di Fiumicino»;
   tali prescrizioni sarebbero state impartite in relazione alle prescrizioni impartite dalle autorità sanitarie, nel tenere conto del proseguimento delle rilevazioni sulla qualità dell'aria da parte dell'Istituto superiore di sanità per ulteriore precauzione e in via cautelativa;
   nel documento, diffuso dai sindacati, ADR precisa che la prestazione massima dei lavoratori nel terminal 3 «non potrà superare le 4 ore. Al termine di tale parziale attività i dipendenti potranno completare il loro turno di lavoro presso aree aeroportuali diverse dal terminal 3»;
   sarà inoltre «rafforzata l'attività di sorveglianza sanitaria rendendo continui e sistematici i sopralluoghi dei medici competenti nelle aree verdi e gialle del terminal 3»;
   per quanto riguarda i passeggeri nel medesimo documento si sostiene che «per ridurre i tempi d'attraversamento e sosta dei passeggeri nel terminal 3 è richiesto l'incremento del numero dei banchi check-in e l'apertura anticipata di almeno un'ora rispetto agli attuali tempi, nonché l'incremento del personale di riferimento del terminal 3. Tali azioni saranno poste in essere da ADR in coordinamento con gli handlers/vettori per consentire di velocizzare il trasferimento dei passeggeri dal terminal 3 alle aree d'imbarco B, C, H e G. I passeggeri saranno informati del più rapido percorso attraverso personale dedicato, monitor e annunci»;
   nel documento si dice ancora che con maggiore frequenza si volgeranno «le attività di bonifica e ricambio continuo dei filtri dell'aria del terminal 3, a garanzia della salubrità dell'area»;
   nella giornata di ieri 3 giugno, nell'aula consiliare del comune di Fiumicino, si è svolta una commissione congiunta ambiente e servizi sociali e sanitari con all'ordine del giorno la verifica dei livelli di inquinamento relativo all'incendio del Terminal 3 presso l'aeroporto Leonardo Da Vinci;
   alla seduta, hanno partecipato, oltre ai membri delle due commissioni presiedute dai presidenti Massimiliano Chiodi e Angelo Petrillo, il sindaco di Fiumicino Esterino Montino, l'assessore all'Ambiente Roberto Cini, l'assessore ai Servizi sociali e sanitari Paolo Calicchio, la biologa comunale Daniela Pascucci, e i rappresentanti di Asl Rm D e Arpa Lazio;
   da quanto si apprende da agenzia giornalistica il sindaco Montino avrebbe dichiarato: «non abbasseremo la guardia, continueremo a fare la nostra parte nel seguire gli sviluppi della vicenda e gli aspetti legati al rischio salute. Soprattutto continuerò a rendere pubblici, sul sito del comune, tutte le relazioni sui dati di rilevamento in corso nel Terminal che mi verranno fornite dalle autorità sanitarie pubbliche»;
   il Commissario dell'Istituto superiore di sanità avrebbe confermato che proseguirà l'attività di rilevamento ma che solo dopo il 15 giugno si potrà avere una completezza e certezza sui dati definitivi;
   in tale sede è emersa la volontà congiunta dell'amministrazione e della Asl Rm D di creare una task force che abbia come obiettivo unico quello di un attento monitoraggio sull'impatto non solo acustico ma anche ambientale dello scalo aeroportuale sul territorio di Fiumicino;
   sempre nell'incontro a Fiumicino il presidente Petrillo avrebbe affermato «rimaniamo tuttavia dubbiosi su quanto avvenuto in aeroporto, in particolare sulla tempistica e sul fatto che i lavoratori siano stati operativi sul posto per venti giorni senza precauzioni. Ci domandiamo anche se la riduzione delle ore di lavoro siano sufficienti a garantire la salute dei lavoratori o se piuttosto sia necessaria una bonifica dell'area e solo dopo il rientro dei dipendenti nel Terminal colpito dall'incendio»;
   in tale incontro è stata sottolineata l'assenza di ADR, interlocutore principale da cui si dovrebbero avere spiegazioni, soprattutto riguardo agli effetti provocati dall'incendio: in primo luogo quelli legati al danno ambientale e di salute, in particolare dei lavoratori; in secondo luogo sulla gestione dei protocolli di sicurezza, che sulla base dei fatti sembrano essere risultati assenti –:
   quali iniziative abbia inteso e intenda assumere, di concerto con il Ministero della salute, delle amministrazioni locali e di ADR, per assicurare al personale impiegato nello scalo romano e ai passeggeri in transito la massima trasparenza nella comunicazioni dei dati della qualità dell'aria, delle caratteristiche delle polveri presenti, dei tempi e delle modalità dell'eventuale bonifica e la prevenzione di ogni rischio per la salute. (5-05716)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 15 maggio 2015, intorno alle 13:30, è entrato in avaria il centro di controllo radar Enav di Roma Ciampino causando rallentamenti, ritardi e deviazioni del traffico aereo. In particolare si sono registrati ritardi per i voli Alitalia diretti a Milano Linate, Cagliari, Catania e Palermo e per i voli Scandinavian Airlines (Sas) diretti a Stoccolma e Easy Jet per Vienna e Lione. Oltre agli aeroporti di Roma l'avaria ha creato disagi anche negli scali del centro sud e nei collegamenti con la Sardegna;
   i vertici di Enav, con un comunicato stampa, hanno spiegato le ragioni del blackout sostenendo che si è trattato di un rallentamento della ricezione dei segnali emessi dai radar disposti sul territorio, con la conseguenza di una temporanea assenza dei dati radar sugli schermi. Immediatamente è stato attivato il sistema radar secondario che ha comportato il necessario ridimensionamento del flusso di traffico gestibile, diradando così i tempi di decollo e imponendo l'atterraggio di alcuni aerei in altri scali. Secondo i vertici Enav il tutto si è comunque risolto nell'arco di un'ora;
   non è la prima volta che si riscontrano problemi tecnici ai sistemi operativi di Enav in quanto un analogo grave incidente si è verificato l'8 dicembre 2014 al sistema radar dell'aeroporto di Milano Linate che è andato in avaria causando anche in questo caso numerosi disagi con oltre 300 ritardi e 40 cancellazioni di voli. Come il deputato interrogante ha evidenziato nel corso della discussione, il 25 febbraio 2015, della sua interrogazione sui rischi per la sicurezza dovuti al mancato funzionamento del sistema radar nell'aeroporto di Milano Linate (n. 5-04258) è ormai appurato che tali guasti non rappresentano casi episodici ed eccezionali, tali da non destare alcun allarme, ma eventi che si verificano con una preoccupante regolarità al punto che diventa sempre più evidente la necessità di istituire una commissione di inchiesta indipendente, sull'omologo modello inglese, che indaghi sulla qualità della nostra flight safety e questo ancora di più oggi considerando che il nostro provider nazionale è oggetto di una discutibile privatizzazione;
   i disagi causati dall'avaria del sistema radar del centro di controllo radar Enav di Roma Ciampino sommati a quelli generati dall'incendio del terminal 3 dell'Aeroporto di Fiumicino (6 maggio 2015) e dal crollo dell'ingresso 6 del terminal 1 di Milano Malpensa (15 maggio 2015), in seguito ad un nubifragio, evidenziano la presenza di molteplici criticità nel nostro sistema aeroportuale (scadenti ed onerosi servizi offerti agli utenti – scarsa prevenzione delle cause di incidentalità) che non rappresentano certo un bel biglietto da visita per il nostro Paese con l’Expo di Milano in corso e il Giubileo dell'Anno Santo della Misericordia alle porte. Gli aeroporti di Roma Fiumicino e Ciampino e Milano Malpensa e Linate rappresentano i principali hub internazionali e nazionali del nostro Paese, non a caso inseriti tra gli aeroporti strategici e di interesse nazionale nel Piano nazionale sviluppo aeroportuale in via di definitiva approvazione. Pertanto questi incidenti, verificatesi nei più importanti aeroporti del nostro Paese, denotano un grave deficit di governance su cui occorre intervenire in primis approvando il sopracitato Piano nazionale sviluppo aeroportuale, dall'intero comparto atteso da anni;
   in merito ai disagi di questi giorni, le associazioni dei consumatori hanno da subito avviato iniziative per chiedere l'indennizzo di tutti i viaggiatori danneggiati, in quanto il diritto al rimborso del prezzo pieno del biglietto è riconosciuto e tutelato dalla normativa europea. In particolare il regolamento 261/04/CE, regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91 disciplina il diritto alla compensazione pecuniaria (articolo 7), al rimborso o al riavviamento (articolo 8) e all'assistenza (articolo 9) di tutti i viaggiatori interessati dai disservizi del sistema aeroportuale. Le associazioni hanno inoltre comunicato la loro intenzione di approfondire le modalità più opportune per interessare gli Enti coinvolti nel controllo e nella gestione della sicurezza negli aeroporti, affinché adottino tutte le misure necessarie per scongiurare, in futuro, la possibilità che eventi del genere tornino a verificarsi;
   Enav spa è una società all'avanguardia nel mondo della sicurezza del trasporto aereo e tali intoppi ai suoi sistemi operativi non sono frutto di inadeguatezza infrastrutturale ma delle difficoltà che la società sta attraversando in seguito alla sua costretta privatizzazione, all'indebitamento forzoso e alla sua attuale gestione provvisoria. Le responsabilità del Governo in carica sono evidenti nel rinviare continuamente la nomina dell'amministratore delegato, nel ridurre il bilancio dell'ente di 180 milioni di euro, costringendo l'azienda a ripianare l'ammanco indebitandosi su mercati finanziari, e nel processo in corso di svendita ai privati. Quest'azione a giudizio degli interroganti irresponsabile del Governo sta producendo incertezza e mancanza di controllo di un'azienda che svolge un essenziale e strategico servizio di interesse generale con il rischio di compromettere i suoi livelli di performance –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno favorire elementi in merito alle reali ragioni di questa ennesima avaria che ha coinvolto il centro di controllo radar Enav di Roma Ciampino, il più grande d'Europa, noto in tutto il mondo per la dotazione dei più avanzati livelli tecnologici;
   se non ritenga urgente avviare con gli enti preposti alla certificazione e al controllo del sistema aeroportuale, quali l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) e l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), una commissione di inchiesta indipendente volta ad indagare se Enav spa sia nella condizione di garantire la massima sicurezza dei voli e se, quindi, la sua infrastruttura tecnologica e le procedure adottate rispecchino gli standard tecnologici e le migliori pratiche internazionali;
   se si ravvisino responsabilità dell'attuale management nelle continue avarie del sistema operativo radar e se non ritenga opportuno intraprendere ulteriori iniziative per migliorare la performance aziendale e ridurre future interruzioni del servizio anche prevedendo, attraverso gli appositi contratti di programma e di servizio, azioni risarcitorie nei confronti degli utenti nel caso di accertate responsabilità di Enav spa. (5-05718)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione della rete ferroviaria nazionale presenta significative differenze tra le diverse macro-ripartizioni del Paese (Mezzogiorno, Centro, Nord ovest, Nord est). Il Mezzogiorno ha la maggiore estensione di ferrovie con 5730 chilometri ma risulta penalizzato da una rete complessivamente meno moderna ed efficiente (possiede, infatti, il maggior numero di chilometri a «binario singolo» e conta il 41 per cento di rete non elettrificata);
   in Sicilia, in particolare, si registra una grave mancanza di offerta di servizi veloci regionali di collegamento tra i vari capoluoghi – su una rete ferroviaria di 1378 chilometri, infatti, soltanto 178 chilometri sono a doppio binario e ben 1200 chilometri a binario semplice (per ciò che concerne l'alimentazione, la Sicilia può contare su 800 chilometri di linee elettrificate – di cui 178 chilometri a doppio binario e 622 chilometri a binario semplice – ed addirittura 578 chilometri di linee non elettrificate);
   le reti di trasporto ferroviario appaiono, in generale, inadeguate e non sembrano essere in grado di soddisfare le aspettative in termini di infrastrutture rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea determinando una scarsa propensione all'utilizzo del mezzo ferroviario, soprattutto nel campo del trasporto merci che viene considerato – dagli operatori del settore logistico internazionale – deficitario sia per dotazione infrastrutturale sia per offerta di servizi in termini di tempi e costi;
   la gestione ed il mantenimento dell'infrastruttura statale sono stati affidati, sulla base di una concessione della durata di 60 anni – in scadenza nel 2060 – a Rete ferroviaria italiana (RFI) spa la quale, dal luglio 2001, ha assunto compiti di gestione e manutenzione della rete, progettazione, costruzione e messa in esercizio di nuovi impianti, gestione dei sistemi di sicurezza e regolazione ferroviaria, definizione dell'orario della rete, prestazione dei servizi di manovra dei convogli nelle stazioni ferroviarie;
   il contratto di programma RFI 2012-2016 parte investimenti – sottoscritto l'8 agosto 2014 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e Rete ferroviaria italia (RFI) spa – delinea un orientamento di medio periodo caratterizzato principalmente dal mantenimento e dal miglioramento dei livelli di sicurezza previsti dagli obblighi e dalle prescrizioni normative, dallo sviluppo prestazionale dei corridoi merci e dalla velocizzazione degli assi passeggeri;
   il valore delle opere in corso del nuovo contratto di programma 2012-2016 – sommando i nuovi stanziamenti agli stanziamenti oggetto del precedente contratto 2007-2011 – si attesta a circa 98.736 milioni di euro (compresi progetti ultimati) rispetto ai 93.944 milioni di euro (compresi progetti ultimati) dell'aggiornamento 2010/2011 del contratto di programma 2007-2011;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI provvederanno all'aggiornamento del contratto per tenere conto delle risorse stanziate dalla legge n. 164 del 2014 cosiddetto sblocca Italia (864 milioni di euro) e dalla legge di stabilità 2015 (12,3 miliardi di euro, peraltro comprensivi di 4,2 miliardi di euro per la manutenzione straordinaria che non è oggetto del contratto parte investimenti);
   in data 25 febbraio 2013, a causa di continui smottamenti sui binari, viene chiusa la tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, Via Milo; nel 2003 erano stati stanziati 300 milioni di euro per l'ammodernamento e la velocizzazione della ferrovia Palermo-Trapani e, a distanza di dodici anni circa, tale opera viene inserita nel decreto-legge «Sblocca Italia» per un importo di 491 milioni di euro e risorse finanziare pari a 2 milioni soltanto;
   la chiusura di questa arteria ferroviaria ed il suo mancato ripristino stanno creando un grave danno alla mobilità dell'utenza pendolare che si trova costretta a raggiungere Trapani in bus sostitutivo dalla diramazione di Alcamo o via Castelvetrano allungando la percorrenza di circa 70 chilometri/treno e di oltre 35 minuti –:
   quali misure – di concerto con RFI e con la regione siciliana – intenda adottare per evitare il progressivo smantellamento e la definitiva chiusura della tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, Via Milo e quali interventi ritenga siano necessari per assicurare il ripristino della funzionalità, il potenziamento e la messa in sicurezza della tratta sopra citata;
   in che tempi ed attraverso l'utilizzo di quali risorse economiche intenda realizzare le suddette opere di ripristino.
(4-09346)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo periodo nel territorio del comune di Ferrandina si sono registrati una serie di furti nelle abitazioni e nelle campagne;
   addirittura in alcuni casi i ladri si sono introdotti nelle abitazioni di notte in presenza dei proprietari;
   è evidente che si è ingenerato un clima di preoccupazione nella comunità e la richiesta di una maggiore sicurezza;
   in considerazione della rilevanza del centro abitato trattandosi di uno dei centri più importanti della provincia di Matera sarebbe importante che verificare la possibilità di poter accedere ai programmi per la sicurezza finanziati con Fondi dell'Unione europea;
   al contempo occorrerebbe anche potenziare gli organici della stazione dei carabinieri nonché del commissariato di polizia competente territorialmente, quello di Pisticci, al fine di poter disporre di un maggior numero di uomini e mezzi per il controllo del territorio nonché per l'attività investigativa –:
   in considerazione di quanto espresso in premessa se e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di potenziare gli organici delle forze dell'ordine nonché di verificare la possibilità per il comune di Ferrandina di accedere ai fondi comunitari per rafforzare anche con dispositivi di videosorveglianza la sicurezza del proprio territorio, dei cittadini e del tessuto economico. (3-01521)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8-bis del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica» ha previsto, al comma 1, che «Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto, per finalità di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi, possono accedere ai dati e alle informazioni del Centro elaborazione dati di cui al primo comma dell'articolo 9 della legge 1o aprile 1981, n. 121, in deroga a quanto previsto dallo stesso articolo, limitatamente a quelli correlati alle funzioni attribuite agli stessi ufficiali e agenti di polizia giudiziaria;
   i successivi commi hanno poi stabilito che: «2. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono individuati i dati e le informazioni di cui al comma 1 e sono stabilite le modalità per effettuare i collegamenti per il relativo accesso» e che «3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono apportate le occorrenti modificazioni al regolamento, previsto dall'articolo 11, primo comma, della legge 1o aprile 1981, n. 121, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378»;
   la legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 25 luglio 2008, n. 173;
   l'obiettivo evidente della disposizione è quello di agevolare il controllo delle frontiere marittime e il contrasto dell'immigrazione clandestina via mare, nonché della illecita movimentazione di merci e di quella transfrontaliera di rifiuti;
   nonostante siano decorsi quasi sette anni dalla pubblicazione della legge, il Ministero dell'interno non ha ancora ottemperato a quanto previsto;
   i porti italiani sono l'infrastruttura attraverso la quale vengono sovente esportati illecitamente rifiuti e la mancanza di accesso al sistema SISTRI da parte delle capitanerie di porto e dell'Agenzia delle dogane non agevola l'efficacia dei controlli e la repressione del crimine –:
   se e in quali tempi il Ministro dell'interno intenda adottare il decreto di cui all'articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008 ed adeguare il regolamento di cui al comma 3 del medesimo articolo e se il Governo ritenga opportuno consentire l'accesso sia al personale delle capitanerie sia a quello dell'Agenzia delle dogane al sistema informativo del SISTRI o al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti che dovrebbe sostituirlo. (5-05713)


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa Enac, comune di Venezia e Save, società di gestione dell'aeroporto di Venezia hanno firmato un protocollo d'intesa sul terminal di Tessera;
   suddetta intesa sancisce, si legge testualmente: «una concorde definizione dell'area del Terminal di Tessera, una delle zone strategiche, già al centro di contenziosi e procede dal comune interesse per una condivisa e coordinata pianificazione delle aree del Terminal contigue all'infrastruttura aeroportuale, attraverso una collaborazione che coniuga la tutela del territorio e degli interessi socio-economici della comunità locale, espressi dagli atti di pianificazione urbanistica del Comune, con lo sviluppo delle infrastrutture, secondo criteri di sostenibilità ambientale»;
   la società Save si impegnerà ad acquisire le aree del terminal di Tessera, affidate ad un curatore dopo il fallimento della società Aeroterminal, non appena conclusa l'approvazione del masterplan aeroportuale, già approvato in linea tecnica da Enac, e ora sottoposto ad una procedura di valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sospesa per i chiarimenti sollecitati dalla Regione Veneto;
   il comune di Venezia aveva adottato nel marzo 2013 un piano particolareggiato che aveva sostituito il vecchio piano impugnato da Save al centro di un lungo e complesso contenzioso;
   con il protocollo siglato si legge che: «il Comune di Venezia si impegna a non dare corso all'approvazione del Piano particolareggiato, riconoscendone il superamento in quanto la destinazione d'uso delle aree del Terminal di Tessera risulta ora coerente con gli indirizzi di pianificazione territoriale»;
   è evidente che una decisione di tale portata adottata da un commissario, a pochi giorni dal voto per il rinnovo del consiglio comunale della città capoluogo per di più su questioni urbanistiche di una rilevanza strategica per il futuro della città si presta a molti dubbi, soprattutto in riferimento alla cessione di aree alla società Save –:
   in considerazione di quanto riportato in premessa, se e quali iniziative il Governo intenda adottare per verificare se la firma a tale protocollo, per la rilevanza strategica sul futuro urbanistico della città, rientrasse nelle competenze del commissario, e se non ritenga, altresì, opportuna e imprescindibile, comunque, una valutazione più attenta al merito sul futuro dell'aeroporto e delle sue aree, partendo, dall'ultimo piano particolareggiato approvato dal consiglio comunale della città. (5-05714)


   PRINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da oltre trent'anni la componente volontaria del Corpo nazionale dei vigili del fuoco fornisce 365 giorni all'anno soccorso tecnico urgente a milioni di cittadini italiani grazie ai 300 distaccamenti con più di 4.000 vigili volontari in servizio e presenti su tutto il territorio nazionale;
   il numero di Vigili del Fuoco volontari presenti in Italia, secondo statistiche UE del 2008, è nettamente inferiore a quella di altri paesi. In Germania, ad esempio, su un totale di 1.082.858 vigili del fuoco 1.055.255 sono volontari, mentre in Italia quest'ultimi sono 4.000 su un totale di 39.652, da questi numeri si evince come nella nostra penisola questo tipo di servizio sia ancora poco incentivato;
   molti dei componenti il corpo volontario dei vigili del fuoco hanno avanzato alcune proposte tra le quali quella di rinunciare all'emolumento previsto per l'uscita per chiamata dalla centrale a fronte di una regolare copertura previdenziale e assicurativa in caso di infortuni e sulla vita;
   è giusto ricordare come l'associazione nazionale dei vigili del fuoco volontari si adoperi ormai da anni sui territori per la raccolta di fondi destinati all'acquisto di mezzi o strumenti da donare alle sedi o ai distaccamenti che ne hanno bisogno, segno di una forte propensione e motivazione che li spinge a svolgere un compito nobile e rischioso;
   con lettera del 19 aprile 2015, inviata al Governo, ad un gruppo di deputati e senatori, al presidente nazionale di A.N.C.I. e a varie rappresentanze istituzionali, l'associazione nazionale dei vigili del fuoco ha espresso il proprio malcontento per il mancato invito all'incontro che si è tenuto mercoledì 22 aprile tra Governo e organizzazioni sindacali del corpo nazionale dei vigili del fuoco dove si è trattato sulla bozza di modifiche al decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 che regolamenta il corpo volontario dei vigili del fuoco –:
   se il Governo intenda mantenere i contenuti presenti nel programma «soccorso Italia in venti minuti» e invitare l'associazione nazionale dei vigili del fuoco volontari ad esprimere le proprie proposte di modifica alla bozza di regolamento del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 (già avanzate al Ministero) analogamente con quanto fatto con le organizzazioni sindacali del corpo nazionale dei vigili del fuoco il 22 aprile 2015. (5-05719)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   continuano con rilevante e preoccupante frequenza i furti nelle campagne della Puglia;
   pochi giorni fa è stato il comprensorio del Brindisino a subire l'ennesima razzia;
   Restinco e Tuturano sono state le aree prese di mira nell'ultimo week end e addirittura nella campagne di Tuturano sono state portate via ben 1.500 piante di vite in una sola notte;
   da tempo si registrano questi furti ai danni di masserie e campagne;
   la dimensione della ruralità pugliese, l'assenza di sistemi di videosorveglianza, una viabilità complessa in grado di agevolare le fughe sono tutti elementi che favoriscono il moltiplicarsi di questi episodi;
   è del tutto evidente che è indispensabile dare una risposta al territorio con una maggiore tutela anche delle aree rurali al fine di contrastare simili fenomeni –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, convocando un apposito comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica di tutte le province della Puglia, al fine di contrastare il fenomeno di cui in premessa, a partire da un incremento dell'attività investigativa nonché per individuare forme di sostegno, anche sotto forma di sgravi fiscali, per l'incremento di sistemi di videosorveglianza e di sicurezza delle aree rurali. (4-09343)


   NESCI e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
    il 24 aprile 2015, come si legge sulla testata La Riviera on line in una breve del giorno seguente, «è stato perpetrato un nuovo atto intimidatorio nei confronti della famiglia Larosa di Mammola che, dopo l'incendio del portone di casa, hanno visto bruciare anche l'oreficeria di via Dante e una autovettura di loro proprietà»;
   nella stessa notizia si riporta che «massima preoccupazione in merito ha espresso il sindaco Antonio Longo»;
   sulla testata Il Corriere della Locride si legge di una successiva richiesta del sindaco di Mammola (RC) al prefetto di Reggio Calabria, per un incontro «al fine di studiare una strategia istituzionale che possa porre fine a tali atti di gravi intimidazioni ai danni di tranquilli e operosi cittadini che reclamano sicurezza e agibilità imprenditoriale»;
   il 27 gennaio 2015, infatti, la stessa famiglia è stata destinataria di un primo gravissimo atto intimidatorio, con l'incendio del portone di casa e, sembrerebbe, finanche con l'esplosione di colpi d'arma da fuoco contro alcune finestre dell'abitazione;
   la signora Daniela Larosa, imprenditrice appartenente alla stessa famiglia, ha nella zona una comprovata attività pubblicistica e d'impegno sociale, espressioni di una storia di attivismo democratico che potrebbe aver disturbato delle consorterie criminali;
   agli interroganti appare necessaria la tutela della predetta imprenditrice e dei suoi familiari, anche come segnale evidente della presenza dello Stato, che deve vigilare su chi, come la signora Larosa, promuove la cultura della legalità e dell'emancipazione della Calabria dalla morsa dell'antistato –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   di quali elementi, all'occorrenza, disponga in merito alla vicenda riassunta;
   quali iniziative di sua competenza intenda assumere per garantire la sicurezza e l'incolumità della signora Daniela Larosa e della sua famiglia. (4-09344)


   DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate del 2010 dopo due anni di indagini la direzione distrettuale antimafia di Milano ha operato una serie di arresti ai danni del clan Valle presente in Lombardia da anni nel giro dell'usura e del racket. Nel blitz condotto dalle forze dell'ordine fu coinvolto anche un assessore del comune di Pero;
   la propaggine ’ndranghetista minacciava e sottometteva numerosi imprenditori locali, con l'obiettivo principale di infiltrare i comuni del territorio lombardo e i lavori dell'Expo. In occasione della maxi operazione guidata dalla magistratura milanese furono sequestrati numerosi immobili situati presso altrettante città lombarde;
   tra gli immobili più importanti fu trovato quello della tenuta-buncker nel comune di Cisliano, nell’hinterland milanese. La masseria presente nella tenuta secondo le ricostruzioni fu teatro di pestaggi e torture da parte dei componenti del clan verso le vittime di usura insolventi;
   nell'ottobre 2014 la masseria degli orrori viene confiscata in via definitiva, da lì è iniziato il periodo di attesa dell'am- ministrazione comunale per ricevere la disponibilità dell'immobile a norma del decreto legislativo n.159 del 2011);
   come spesso accade in queste situazioni, quando un bene immobile viene confiscato alla criminalità organizzata si tramuta in breve tempo nel bersaglio di atti vandalici da parte della cosca, del clan, della famiglia dei precedenti proprietari al fine di veicolare un messaggio intimidatorio contro le istituzioni e contro i cittadini del territorio. In tal modo la criminalità organizzata chiarisce che se non può essere suo l'immobile non deve essere di nessuno;
   è fuor di dubbio che i beni confiscati alla criminalità organizzata sono caratterizzati da una elevata carica simbolica che rappresenta nella lotta alle mafie un elemento fondamentale dal punto di vista culturale prima ancora che giuridico;
   purtroppo, a quanto si apprende dal sito del Corriere della Sera in data 13 aprile 2015 nonostante il tempo trascorso dalla fine del 2014 e nonostante le ripetute richieste giunte dall'Amministrazione comunale all'Agenzia dei beni confiscati, il comune di Cisliano e le realtà associative interessate all'uso della masseria non hanno ancora visto assegnato nella propria disponibilità l'immobile in oggetto;
   secondo quanto riportato da Il Fatto quotidiano il 24 maggio 2015, per evitare ulteriori atti vandalici e l'impossibilità di poter usufruire nel futuro della masseria, un gruppo di cittadini membri della cooperativa Ies della Caritas e del presidio Libera di Milano sudovest con il sostegno dell'amministrazione comunale, hanno cominciato a presidiare l'immobile senza alcuna copertura in termini di sicurezza da parte delle forze dell'ordine;
   il 18 febbraio 2015, in occasione del seminario «La riforma del codice antimafia: la relazione della Commissione antimafia e i progetti di legge all'esame parlamentare» promosso dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre organizzazioni criminali, anche straniere, è stato denunciato il drastico gap esistente tra il numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, che nel 2014 ammonterebbe a 12.994, e il numero di beni effettivamente riutilizzati. Nella medesima occasione il Direttore dell'Anbsc — secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire in data 19 febbraio 2015 a pagina 11 — avrebbe denunciato: «dispongo di una struttura sotto dotata, composta da 80 persone, alcune con le competenze che servono, altre no. Certo, se avessi altre due sedi oltre alla cinque attuali e altri 50 lavoratori competenti, mi sentirei più tranquillo»;
   a distanza di alcuni mesi dalla denuncia del direttore dell'Agenzia quindi sembra che le condizioni per l'adeguato svolgimento dell'attività dell'Anbsc non siano migliorate come testimonierebbe la ricostruzione apparsa sul sito de Il Fatto quotidiano il 24 maggio scorso a firma di Nando dalla Chiesa –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto illustrato, se e quali iniziative intenda assumere per mettere in sicurezza la comunità di Cisliano impegnata nel tutelare i propri diritti;
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per evitare simili situazioni future e per risolvere quanto denunciato conducendo nel più breve tempo possibile alla messa in disponibilità del comune dell'immobile in oggetto.
(4-09349)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un gruppo di 24 migranti clandestini ha illegalmente occupato la dimora dell'Opera Don Guanella situata in via Trento e Trieste nel comune di Sormano, che già li ospitava;
   all'origine della singolare protesta vi sarebbe stata la promessa, loro fatta e non ancora mantenuta al momento dell'occupazione, di destinarli ad alcuni appartamenti privati nell'area di Cantù;
   in seguito all'inusuale dimostrazione, il 26 maggio 2015 primo nucleo di otto sedicenti profughi è stato trasferito a Cucciago, dove verranno alloggiati in alcuni appartamenti privati affittati da una locale cooperativa sociale, denominata I Girasoli;
   contattato dalla stampa locale, che desiderava avere delucidazioni sull'accordo che ha portato gli otto profughi a Cucciago, su come funzioni il locale sistema di accoglienza e su quanto costerà il mantenimento dei presunti rifugiati, il personale della cooperativa sociale I Girasoli ha rifiutato di fornire informazioni, assumendo un contegno con il cronista incaricato delle interviste che è stato ritenuto offensivo dall'interessato;
   a Cucciago è ancora viva la memoria di un precedente risalente al 2011, quando vennero ospitati nel Comune due migranti, che fuggirono non appena divenne chiara la loro condizione di clandestini privi dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere l'asilo politico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei termini degli accordi in base ai quali la cooperativa sociale denominata I Girasoli abbia ottenuto in gestione otto aspiranti rifugiati, per ospitarli in alcuni appartamenti privati a Cucciago;
   se il Governo possieda elementi che consentano di ritenere la cooperativa sociale I Girasoli affidabile. (4-09351)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da anni è presente nel comune di Rozzano, nell’hinterland milanese, un centro culturale islamico, Associazione casa della cultura islamica sito in via Aspromonte 62;
   da tempo i residenti hanno sollevato alle autorità cittadine e di polizia i disagi che si verificano in merito alla viabilità nelle giornate di venerdì;
   a parte la questione dei disagi occorrerebbe chiarire se come accaduto per altri sedicenti centri culturali islamici, la struttura sia sede di un vero e proprio centro di culto;
   appare importante rilevare come si stia assistendo al proliferare di situazioni simili in diversi comuni del sud Milano: Melegnano dove è attiva la sede dell'associazione Al Baraka e San Giuliano Milanese dove è presente la sede dell'associazione Sabil; infatti entrambe a quanto consta all'interrogante, sono di fatto luoghi di culto;
   tali situazioni, stante la congiuntura internazionale e la crescente minaccia del terrorismo di matrice islamica, non possono essere sottovalutate, in particolare, alla luce dell'esito di diverse inchieste che hanno evidenziato il transito di personaggi legati al radicalismo, dediti spesso ad un'attività di reclutamento e proselitismo –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle situazioni di cui in premessa, di quali elementi disponga circa l'attività dell'associazione culturale islamica sopra citata e se essa sia oggetto di monitoraggio da parte del Ministero dell'interno in relazione ai profili di ordine pubblico e di sicurezza della cittadinanza. (4-09357)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un gruppo di 24 migranti clandestini ha illegalmente occupato la dimora dell'opera Don Guanella situata in via Trento e Trieste nel comune di Sormano, che già li ospitava;
   dei 24 stranieri assistiti nella struttura dell'opera Don Guanella solo 9 risultano avere diritto all'asilo politico;
   nella struttura dell'opera Don Guanella, i 24 migranti sono stati finora assistiti da una cooperativa, che ha loro fornito anche dei pasti etnici, ed hanno usufruito di numerosi benefici;
   all'origine della singolare protesta vi sarebbe la promessa, loro fatta e non ancora mantenuta, al momento dell'occupazione, di destinarli ad alcuni appartamenti privati nell'area di Cantù;
   in seguito all'inusuale dimostrazione, il 26 maggio scorso un primo nucleo di otto profughi è stato trasferito a Cucciago, dove sono stati alloggiati in alcuni appartamenti privati affittati da una locale cooperativa;
   in questo modo, si è data soddisfazione ad un gruppo di migranti in larga parte da considerarsi clandestini a tutti gli effetti, il cui comportamento appare all'interrogante censurabile sotto ogni punto di vista, avendo inscenato una protesta che mal ripaga l'accoglienza e l'assistenza che è stata disposta in loro favore;
   cedendo alle loro richieste, inoltre, è stato stabilito un precedente pericoloso, perché d'ora in avanti tutti i migranti insoddisfatti della loro sistemazione potranno procedere ad occupazioni per pretendere il trasferimento ad appartamenti privati;
   a fronte di quello che l'interrogante ritiene un abuso, le autorità locali hanno chiesto comprensione, la stessa comprensione che viene negata ai cittadini ed agli imprenditori in difficoltà –:
   quali siano i motivi della condotta del Governo che, ad avviso dell'interrogante, ha sostanzialmente permesso il degenerare della protesta inscenata a Sormano da 24 migranti fra i quali soltanto nove possono per ora considerarsi veramente dei rifugiati e poi provveduto a soddisfarne le richieste, invece di intervenire immediatamente per far cessare le condotte poste in essere anche disponendo l'espulsione dal territorio nazionale ove ricorressero i presupposti dei responsabili. (4-09359)


   RONDINI e GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la carta d'identità è un documento di riconoscimento personale che può essere richiesto da ogni cittadino straniero, il quale compiuti i 15 anni sia in possesso di regolare permesso di soggiorno e residenza anagrafica nel territorio Italiano;
   la carta d'identità, nel caso di stranieri ed apolidi legalmente soggiornanti nel nostro Paese, ha la stessa durata del permesso di soggiorno e non può essere utilizzata per l'espatrio avendo validità solo sul territorio italiano;
   è da tener presente, inoltre, che i dati in essa contenuti hanno lo stesso valore dei certificati corrispondenti e nel caso in cui le amministrazioni prevedano l'esibizione del documento non possono pretendere certificati attestanti stati e fatti già contenuti nel documento;
   ai fini del rilascio della carta d'identità è necessario rivolgersi presso l'ufficio anagrafe del comune o della circoscrizione in cui si risiede presentando: tre fotografie formato tessera frontali, uguali e recenti;
   un valido documento di riconoscimento nel caso di cittadini dell'Unione europea;
   il passaporto in corso di validità ed il permesso di soggiorno nell'ipotesi di cittadini extracomunitari;
   da cronache di stampa si apprende che alla fine del mese di maggio 2015 il sindaco del comune di San Zenone al Lambro abbia rilasciato un documento di identità ad un immigrato collocato in una struttura alberghiera del territorio;
   le motivazioni che hanno portato al rilascio appaiono assolutamente prive di fondamento e non tengono in nessuna considerazione il quadro normativo vigente –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda reperire informazioni dal prefetto di Milano cui era stato sottoposto in un primo momento il caso, al fine di sapere se il sindaco abbia agito di sua sponte o se sia stato autorizzato. (4-09361)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NARDUOLO, RAMPI, ROCCHI, MANZI, CAROCCI e NACCARATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 58 del 7 aprile 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 87 del 5 giugno 2014, recante «Misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico», prescriveva che entro il 31 dicembre 2014 dovesse essere bandita la prima tornata del corso-concorso nazionale per il reclutamento dei dirigenti scolastici, come disciplinato dal decreto-legge n. 104 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 108 del 2013;
   con il decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015, è stato prorogato il termine per l'emanazione del bando al 31 marzo 2015;
   secondo quanto comunicato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alle organizzazioni sindacali nel corso dell'incontro del 29 dicembre 2014, il corso-concorso richiede 16 mesi di tempo, dei quali 12 per la fase «concorsuale» e sei per la fase «corsuale»;
   alla data attuale i posti di dirigente scolastico vacanti sono oltre 1200, e diventeranno circa 2000 nel prossimo anno scolastico 2015-2016, a causa dei nuovi pensionamenti già acquisiti a sistema, pari a circa il 20 per cento dei dirigenti delle istituzioni scolastiche;
   in assenza di concorso è prevedibile che nell'anno scolastico 2016-2017 i posti vacanti di dirigente possano aumentare in modo consistente fino a raggiungere il 25-30 per cento delle istituzioni scolastiche;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva più volte dichiarato che il concorso avrebbe dovuto consentire ai vincitori di assumere servizio al 1o settembre 2016;
   lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente il regolamento per il bando del corso-concorso che dovrà essere emanato dalla SNA risulta essere stato inviato al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero della pubblica amministrazione e dovrà essere successivamente sottoposto al parere del Consiglio di Stato;
   gli istituti scolastici privi di dirigente devono essere affidati «in reggenza» a dirigenti di altro istituto ed evidentemente ciò non consente una direzione efficiente;
   l'assenza di un dirigente di ruolo pregiudica in modo grave la possibilità di conseguire gli obiettivi di qualità, di efficienza, di valorizzazione dell'autonomia;
   il ritardo che si è determinato pregiudica in modo grave la possibilità che il corso-concorso si possa concludere in tempi utili per l'inizio dell'anno scolastico 2016-2017;
   stante quanto previsto dal decreto-legge n. 104 del 2013, già molti docenti hanno avviato la preparazione al concorso e la mancata pubblicazione del bando entro le date previste (prima 31 dicembre 2014, poi 31 marzo 2015) produce inevitabilmente l'effetto di far venir meno la credibilità dell'amministrazione –:
   quali siano le intenzioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in ordine all'emanazione del bando per il corso-concorso dei dirigenti scolastici e quale sia lo stato attuale dell’iter previsto dalla norma. (5-05717)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   da diverse settimane e da ultimo in occasione del Festival dell'economia che si è svolto a Trento il presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha annunciato entro giugno una proposta «chiavi in mano» al governo per tutelare coloro che si trovano in una fascia di età compresa tra i 55 e i 65 anni che perso il lavoro non hanno ancora maturato il diritto per l'accesso alla pensione;
   sempre secondo il presidente dell'Inps «bisogna garantire protezione sociale da 55 anni in su, ovvero quando il lavoro lo ritrova solo uno su dieci»;
   è evidente che in un contesto sociale duramente provato dalla crisi e con il problema degli esodati ancora da risolvere tale proposta suscita un notevole interesse;
   fino ad ora il ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga ha consentito di tamponare situazioni sociali molto delicate;
   il superamento di questo regime con l'emanazione del decreto interministeriale 83473 del primo agosto 2014 che ha diviso la platea della mobilità in deroga l'ultimo stadio prima dei baratro per molti lavoratori tra chi ne ha beneficiato per più di tre anni consecutivi e chi meno di tre anni ha posto un problema prioritario che è quello appunto di tutelare chi si trova prossimo al raggiungimento dei requisiti previdenziali ma non avendo lavoro e non avendo possibilità di trovarlo rischia di trovarsi in una terra di nessuno;
   molte regioni stanno introducendo forme di tutela parziali che non garantiscono uniformità di trattamento tra lavoratori nelle stesse condizioni;
   dal 1o gennaio 2017 sarà definitivo il superamento del sistema degli ammortizzatori in deroga;
   poiché siamo agli inizi di giugno e si è parlato del fatto che tale proposta di tutela possa concretizzarsi entro questo stesso mese –:
   se davvero tale proposta risulti essere di interesse del Governo e in quali termini e in quali tempi sarà possibile declinare una effettiva tutela dei lavoratori ultracinquantacinquenni al fine di farli uscire dal terribile limbo sociale nel quale si trovano e consentirgli la possibilità di accedere a forme di protezione sociale in attesa del raggiungimento dei requisiti previdenziali.
(2-00995) «Burtone, Albanella, Cardinale, Moscatt, Galperti, Schirò, Amato, Anzaldi, Boccadutri, Minardo, Garofani, Lodolini, Ferrari, Villecco Calipari, Moretto, Grassi, Vico, Marazziti, Piepoli, Ginefra, Magorno, Ferro, Boccuzzi, Battaglia, Stella Bianchi, Piccione, Berretta, Capone, Mariano, Donati, Chaouki, Lauricella».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   esistono numerosi casi in cui le Commissioni istituite presso la direzione territoriale del lavoro hanno accolto le istanze di lavoratori che si trovano nelle «condizioni di cui alla lettera d) dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 147 del 2014;
   l'INPS, a cui sono state inviate le pratiche per verifica dei requisiti di propria competenza, hanno appellato il diritto dei richiedenti alla pensione di vecchiaia con salvaguardia legge n. 147 del 2014 con decorrenza finestra 1o aprile 2015, cosiddetta VI salvaguardia;
   a tutt'oggi i richiedenti non stanno ancora godendo del trattamento di quiescenza, a quanto ne consta, per una mancata conclusione dei procedimenti amministrativi;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze non hanno ancora adottato il decreto interministeriale per il trasferimento delle necessarie risorse, nonostante esse siano disponibili, poiché l'Istituto nazionale di previdenza sociale non ha provveduto a comunicare ai Ministeri competenti la rendicontazione dei contingenti non solo relativi alla 6a salvaguardia ma addirittura anche a quelle precedenti;
   è circostanza nota che i contingenti siano esauriti;
   pertanto, allo stato, non è ravvisabile alcuna valida ragione perché i procedimenti de quo non siano già stati conclusi;
   l'immotivato ritardo nella conclusione del procedimento può configurare una responsabilità risarcitoria da ritardo in capo agli enti pubblici interessati, atteso che, a seguito dell'articolo 2-bis della legge n. 241 del 1990, il fatto che l'amministrazione non adempia al dovere di concludere il procedimento entro un termine di 30 giorni (e, comunque, non superiore a 180 giorni) è «idoneo ad integrare oltre la responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in relazione al pagamento delle spese del ... giudizio, la responsabilità penale per il reato di cui all'articolo 328 del codice penale» (ex multis, Cassazione penale 2 aprile 2009 Sent. n. 14466); inoltre «quanto meno a partire dall'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009 n. 69, soccorre la eventuale responsabilità risarcitoria per il danno da ritardo in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, per la quale vi è giurisdizione del G.A.» (TAR Puglia, Bari, II, n. 02100/2009);
   qualora il procedimento non si concluda in tempi strettissimi molti richiedenti si troverebbero costretti a rientrare al lavoro, abbandonando il disabile che assistono e privandolo così dell'indispensabile assistenza; in altri casi che riguardano personale docente, i richiedenti si troverebbero a dover protrarre l'attività lavorativa di un altro anno scolastico;
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nel corso dell'audizione in Commissione lavoro il 3 giugno 2015 ha espresso la disponibilità ad attivare i cosiddetti «vasi comunicanti» (procedura che dovrebbe interessare in particolare i lavoratori che hanno fruito della legge n. 104 del 1992 il cui plafond loro riservato nella «VI Salvaguardia» si è esaurito prematuramente) –:
   se il Ministro interpellato intenda intervenire presso l'INPS affinché i procedimenti in corso siano conclusi in tempi rapidi al fine di dare il dovuto riconoscimento di legge a chi assiste familiari disabili anche al fine di evitare costosi contenziosi con grave danno per la finanza pubblica ed entro quando intende comunque attivare i cosiddetti «vasi comunicanti».
(2-00994) «Carrescia».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CASELLATO, MAESTRI, GNECCHI, BOCCUZZI, INCERTI, GRIBAUDO, GIACOBBE, BARUFFI, ALBANELLA, ZAPPULLA e GIORGIO PICCOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo studio Golgota, partendo dall'analisi degli accertamenti sanitari per l'inabilità al lavoro, effettuati dal Collegio Medico della ASL Città di Milano nel periodo 1/92 — 12/03 per un totale di 3.447 casi clinici, ha operato un confronto tra quattro macro categorie professionali di dipendenti dell'amministrazione pubblica (insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori). I risultati mostrano che la categoria degli insegnanti – in controtendenza con gli stereotipi diffusi nell'opinione pubblica – è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori manuali. Lo studio evidenzia inoltre come gli insegnanti presentino il rischio di sviluppare una neoplasia, superiore di 1,5-2 volte rispetto ad operatori manuali ed impiegati;
   la professione di insegnante sembra pertanto influire sulla prevalenza di patologie psichiatriche indipendentemente dal livello scolastico al quale si esercita. Infine, la domanda d'inabilità, presentata per motivazioni psichiatriche ha portato al riconoscimento di inidoneità all'insegnamento nell'80,7 per cento dei casi (53,1 per cento permanentemente e 27,6 per cento temporaneamente) mentre il 9,9 per cento degli insegnanti è stato riconosciuto assolutamente e permanentemente inabile a qualsiasi proficuo lavoro;
   dal 2003 ad oggi, il sistema scolastico è stato oggetto di variegate riforme, è cambiata molto la composizione delle classi, specialmente nei livelli inferiori, sia in termini per numero di bambini per classe che l'aumento costante di bambini provenienti da Paesi extraeuropei;
   non sempre, anche quando previsto, è garantita la figura dell'insegnante di sostegno e ciò ha reso ancora più faticoso e stressante il lavoro quotidiano dell'insegnante;
   la categoria degli insegnanti, non rientra nella casistica di lavoro usurante e pertanto non può fruire di requisiti più favorevoli per l'accesso al pensionamento e con l'introduzione dell'adeguamento periodico dei requisiti anagrafici e contributivi rispetto all'aspettativa di vita, un insegnante rischia di dover lavorare fino ad un'età di 67 anni e oltre;
   in sede di Commissione Lavoro, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04388, che chiedeva un'applicazione differenziata dell'aspettativa di vita rispetto alle tipologie di mansioni svolte durante la vita lavorativa, il Ministro interrogato ha fatto presente che l'INPS ha dichiarato fin d'ora la disponibilità ad effettuare un approfondimento finalizzato a valutare la possibilità di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, rispetto alla problematica segnalata, di promuovere le necessarie azioni affinché l'INPS proceda ai conseguenti approfondimenti che consentano di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita, in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa. (5-05711)


   MAESTRI, GNECCHI, BOCCUZZI, CASELLATO, INCERTI, GRIBAUDO, GIACOBBE, BARUFFI, ALBANELLA, ZAPPULLA e GIORGIO PICCOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la mansione di addetto all'assistenza di base del settore anziani e disabili (OSS, ADB, ASA, OTA, ecc...) è parte integrante del sistema di welfare pubblico in quanto il lavoro quotidiano degli operatori rende possibile il sostegno ai cittadini e alle famiglie colpite da inabilità al fine di consentire loro un livello di vita dignitoso;
   i dati empirici e le valutazioni del rischio professionale per questo tipo di attività evidenziano notevoli criticità per la salute degli operatori dovute alla necessità di assistere e sostenere persone che non sono più in grado di compiere in modo autonomo i gesti che compongono la quotidianità individuale. Questo a fronte di un aggravio delle condizioni degli assistiti che richiedono quindi maggiori cure assistenziali e un maggior impegno, anche e soprattutto fisico, degli addetti all'assistenza;
   la professione ha, negli ultimi anni, anche a causa del perdurare della crisi economica ed occupazionale generale, mutato profondamente la propria natura. Se infatti, in precedenza, coloro che la svolgevano lo facevano per brevi periodi di tempo, oggi, in virtù dei percorsi formativi professionalizzanti sostenuti da molti operatori negli ultimi anni ma anche della carenza di prospettive lavorative alternative, gli operatori addetti all'assistenza svolgono questa attività, in prospettiva, per tutta la durata della propria vita lavorativa e quindi fino al raggiungimento dell'età pensionabile;
   il prolungamento della permanenza nel settore sta acuendo i problemi connessi alla professione e all'insorgere di malattie professionali anche invalidanti e tali da rendere i soggetti inidonei o parzialmente inidonei allo svolgimento di alcune attività fondamentali creando evidenti difficoltà organizzative nella conduzione dei servizi ed aggravando i compiti svolti dai colleghi nei quali determinate patologie, specificatamente dell'apparato muscolo-scheletrico in particolare nelle donne, non sono ancora insorte;
   la qualità delle prestazioni di welfare universale, con l'aumento delle prospettive di vita professionale degli operatori, sono destinate a ridursi in parallelo all'aumentarsi dell'incidenza di patologie connesse all'attività di assistenza;
   l'attività di assistenza di base del settore anziani e disabili ha quindi tutte le caratteristiche per essere qualificata come «usurante» soprattutto se svolta per un numero significativo di anni (almeno dieci) tale da giustificare un intervento specifico del legislatore al fine di prevedere requisiti ridotti per l'età e anni di contribuzione per l'accesso alla pensione;
   in sede di Commissione Lavoro, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04388, che chiedeva un'applicazione differenziata dell'aspettativa di vita rispetto alle tipologie di mansioni svolte durante la vita lavorativa, il Ministro interrogato ha fatto presente che l'INPS ha dichiarato fin d'ora la disponibilità ad effettuare un approfondimento finalizzato a valutare la possibilità di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, rispetto alla problematica segnalata di promuovere le necessarie azioni affinché l'INPS proceda ai conseguenti approfondimenti che consentano di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita, in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa. (5-05712)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, PESCO, CARINELLI, MANLIO DI STEFANO e CASO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata da diverse testate giornalistiche e siti internet, che le agenzie, organizzazioni e aziende operanti nel sito Expo 2015, hanno l'obbligo di chiedere per l'iscrizione dei propri collaboratori, dati anagrafici, documenti d'identità, foto, ruolo e titolo, ma non il casellario giudiziario. Tali accrediti vengono vagliati dalla questura di Milano che, a propria discrezione, accetta o meno il nominativo senza fornire spiegazioni e senza nessuna trasparenza in merito;
   decine di segnalazioni sono arrivate all'associazione delle agenzie interinali, Assolavoro, ai sindacati e alla società Expo 2015, riportanti il rifiuto di assunzione di lavoratori da parte della questura. Fra i casi di rifiuto vi sarebbero casi in cui il giudice avrebbe previsto la non menzione nel casellario con la conseguenza che la questura avrebbe utilizzato dati in proprio possesso per negare l'accredito;
   altri motivi discriminatori segnalati sono indicati sul sito «milanotoday.it», in data 26 maggio 2015, e sul sito «precaria.org», in data 22 maggio 2015, dove veniva indicato che diversi dinieghi all'assunzione presso le aziende di Expo 2015, venivano applicati sistematicamente a tutti coloro i quali fossero riconosciuti come frequentatori di centri sociali;
   secondo quanto riportato in data 15 maggio 2015, sul quotidiano online «repubblica.it», la questura di Milano, a propria discrezione, comunica la non idoneità dei soggetti da lei indicati alla società Expo 2015, che materialmente nega l'accredito. Un funzionario della questura ha assicurato che «non viene tenuto conto di rilievi lontani nel tempo e di piccola gravità, né di questioni politiche»;
   se le vicende sopra riportate corrispondessero al vero, si determinerebbe una violazione dell'articolo 8 della legge n. 300 del 1970, che vieterebbe alla questura, ai fini dell'assunzione da parte del datore di lavoro, di effettuare indagini per suo conto, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore;
   secondo alcune indiscrezioni riportate in diverse interviste a diversi diretti interessati nella vicenda sopracitata all'emittente radiofonica «Radio Popolare», a concordare con la questura il diniego all'assunzione dei lavoratori indicati, vi sarebbe anche la società Expo 2015. Se così fosse si paleserebbe la violazione, anche da parte dell'azienda stessa, del già citato articolo 8 e dell'articolo 15, punto b), secondo capoverso, della legge n. 300 del 1970, riguardante il licenziamento per atti discriminatori;
   a giudizio degli interroganti, ciò che realmente merita di essere discriminato è questa sorta di licenziamento preventivo attuato dalla questura e, come parrebbe, anche dalla società Expo 2015 che, come sancito dalle leggi appena citate, è da considerarsi illegale. Ciò rappresenterebbe un fatto di gravità inaccettabile perché commesso dalla questura che ha il dovere di far rispettare la legge ma non di violarla, e di mantenere sì la sicurezza ma non di calpestare il principio di non discriminazione previsto dallo statuto dei lavoratori;
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e quali azioni il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di non far ripetere le azioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori, assicurando la libertà costituzionale degli stessi e ristabilendo il pieno rispetto delle leggi. (5-05715)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono 160 i dipendenti della Cir di Tocco da Casauria (Pescara) che escono da un anno di cassa integrazione e si avviano a concludere il ciclo di due anni, prima di andare in mobilità, a meno che non ci siano nuovi programmi di ripresa della produzione;
   i sindacati sottolineano come l'accordo stipulato lo scorso anno con la precedente amministrazione Cir, contemplava la cassa integrazione guadagni straordinaria fino a luglio 2015. Ma la normativa prevede che qualora ci fossero variazioni nella proprietà aziendale, si può ottenere il prolungamento di altri sei mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria. E questo è avvenuto in Cir con la cessione di un ramo d'azienda al gruppo metalmeccanico polacco Wielton che ha acquistato il 30 per cento della fabbrica toccolana che si occupa del montaggio e assemblaggio dei pezzi che vengono fabbricati in Polonia e trasportati a Tocco da Casauria da dove escono i semirimorchi come prodotto italiano;
   ci sono dunque tutte le premesse almeno per il prolungamento della cassa integrazione guadagni straordinaria fino al 31 gennaio 2016;
   purtroppo però la società toccolana in accordo preventivo è controllata dal commissario nominato dal presidente del tribunale di Verona (sede legale di Cir) Roberto Maria Rubini che sinora non ha ancora fatta richiesta all'Inps;
   per i lavoratori dell'ex Cir e prima ancora Merker sarebbe una boccata di ossigeno anche in previsione di programmi produttivi di rilancio di questa importante azienda della Val Pescara –:
   se non intendano sviluppare un'iniziativa per verificare le condizioni di un rilancio produttivo di questa azienda e per la concessione ai lavoratori di altri sei mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria. (4-09341)


   DADONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Rotoalba srl è lo storico stabilimento grafico del cuneese presso cui stampava la edizioni San Paolo fondata nel lontano 1927 da Don Alberione. L'azienda ha cambiato proprietà nel corso dei decenni passando dai fondatori della Pia Società San Paolo al gruppo tedesco Bagel fino ad arrivare nel 2012 nel Gruppo Veneziani Editore (GVE). Tra i prodotti di largo consumo e più noti quelli delle edizioni paoline e il settimanale Famiglia Cristiana;
   il gruppo Veneziani Editore detiene un portafoglio di 17 periodici familiari di grande tiratura e successo (da Vero e le sue declinazioni a Stop, Rakam, Top e Vera) e dal 2012 è attivo anche sul digitale con la televisione Vero Tv (canale 55). Il suo presidente e amministratore delegato fino al 23 maggio scorso è stato il patron Guido Veneziani dimessosi, secondo le ricostruzioni giornalistiche, a seguito della indagine per la bancarotta dello stabilimento Rotoalba;
   a partire dal 2011 il management di Rotoalba, che conta circa 140 lavoratori, avviò una serie di azioni per affrontare il calo delle commesse attraverso la riduzione del personale fino a giungere nel dicembre 2012 alla cassa integrazione straordinaria per due anni, fino alla metà del 2014, e una serie di prepensionamenti;
   nel corso del 2013 però il GVE acquisisce altre due aziende del settore: la Grafiche Mazzucchelli di Seriate (BG) e la Enerprint di Moncalieri (TO), accedendo così a due eccellenze dello stampaggio italiano;
   nel novembre 2014 appena ripresa l'attività dopo la cassa integrazione decisa nel 2012, la Rotoalba ferma la produzione per una giornata intera, come riportato da La Stampa di Cuneo, a causa del distacco di energia elettrica da parte di Enel. Il fornitore di energia elettrica giunse a tale decisione a seguito di un prolungato periodo di insolvenza da parte di Rotoalba. Medesimo incidente avverrà nuovamente a maggio 2015 e nel febbraio del 2015 presso lo stabilimento di Nieppe nei pressi di Lille in Francia, anch'esso di proprietà di Veneziani, acquisito in fase di fallimento;
   qualche giorno dopo il primo distacco di energia elettrica del novembre 2014 la dirigenza Rotoalba chiede la procedura di concordato preventivo fortemente richiesto dalle rappresentanze sindacali al fine di tutelare i diritti dei lavoratori e di evitare la liquidazione dell'azienda;
   nel corso della primavera 2015 i 133 lavoratori hanno dovuto peraltro scoprire che da 30 mesi i contributi che credevano di versare nel fondo pensionistico Byblos non venivano affatto versati dall'azienda. A ciò si aggiunge l'irregolarità nel pagamento degli stipendi tra la fine del 2014 e i primi di marzo 2015 e da quel mese in poi la mancanza di retribuzione;
   la condizione di forte disagio ha condotto nel mese di aprile 2015 i lavoratori allo sciopero e a presidiare i cancelli dell'azienda. Nel corso delle varie discussioni in merito alla crisi di Rotoalba esponenti della Editoriale San Paolo avrebbero accusato Veneziani di aver imposto l'azienda alla obsolescenza senza alcuna innovazione tecnologica né investimenti in tal senso;
   nel frattempo giungendo l'informazione della indagine in corso a carico di Veneziani, sul quale secondo i media penderebbe una accusa per evasione fiscale di 800 mila euro, il consiglio di amministrazione cambia voto con le dimissioni del patron di GVE. Nelle settimane precedenti la sentenza di fallimento emessa dal tribunale di Asti lo scorso 27 maggio, sembrerebbe sia giunta da parte di Vittorio Farina, imprenditore del settore nonché patron del Gruppo Lite, una offerta per rilevare l'azienda concordando con i Paolini un prezzo ridotto per la stampa dei loro prodotti –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto illustrato, se e quali iniziative intendano assumere per tutelare i diritti dei lavoratori della Rotoalba e di quelli delle altre aziende del Gruppo Veneziani Editore che a breve potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni, attendendo per svariati mesi la retribuzione privati dei propri contributi a fini pensionistici. (4-09354)


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo Stabilimento Cnh di Jesi è un punto di eccellenza nella produzione di trattori. Da 40 anni lo stabilimento di Jesi vanta le maggiori professionalità rispetto dell'intero gruppo Cnh;
   i lavoratori dello stabilimento di Jesi da mesi sono in cassa integrazione, nel mese di aprile hanno lavorato solo 12 giorni con una perdita in busta paga che si aggira attorno alle 300 euro. In pochi anni la fabbrica è passata da una forza lavoro che superava le 1.100 persone nel 2008, alle 890 presenti oggi; e negli stessi anni la produzione si è praticamente dimezzata scendendo da 33.000 trattori ai 17.000 che usciranno dalle linee quest'anno. In pratica il 2015 segnerà la produzione più bassa degli ultimi vent'anni –:
   quali iniziative intenda adottare per salvaguardare l'occupazione di tutti i dipendenti, le prospettive industriali dello stabilimento di Jesi e se sia noto che tipo di investimento Fiat effettuerà sui trattori che vengono prodotti da quarant'anni a Jesi. (4-09358)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la funzione istituzionale dell'attività di garanzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tendente a favorire la conoscenza delle norme di settore, al fine di facilitarne l'applicazione della normativa, viene spesso interpretata nelle province, diversamente, a seconda del territorio e del momento;
   tali difficoltà interpretative sono foriere di tensioni e potrebbe creare disservizi e tensioni con gli utenti del Centro per l'impiego;
   l'articolo 8, del decreto legislativo n. 297 del 2002 mantiene esplicitamente in vigore l'articolo 16, della legge n. 56 del 1987, ove si configura uno speciale regime giuridico riguardo l'assunzione presso le pubbliche amministrazioni di personale da adibire a «qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità». La vigenza di tale particolare modalità di reclutamento del personale presso gli enti pubblici, accanto alle «procedure selettive», è confermata dall'articolo 35, del decreto legislativo n. 165 del 2001; per le assunzioni a tempo indeterminato, prima di ricorrere all'avviamento a selezione ai sensi dell'articolo 16, legge n. 56 del 1987, la pubblica amministrazione esperisce gli adempimenti previsti dagli articoli 34 e 34-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, verificando la presenza di eventuale personale collocato in disponibilità ai sensi dell'articolo 33 del medesimo decreto ed in possesso della stessa qualifica professionale;
   le province e le altre pubbliche amministrazioni, pertanto, si raccordano con il servizio politiche attive del lavoro delle regioni per una verifica relativa alla presenza di personale eventualmente collocato in disponibilità;
   le richieste di personale presso gli enti pubblici presentate dal centro per l'impiego di Perugia evidenzierebbero requisiti superiori alla scuola dell'obbligo laddove la normativa nazionale a cui fa riferimento l'articolo 16 della legge n. 56 del 1987 prevede che: «Le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici a carattere nazionale e quelli che svolgono attività in una o più regioni, le province, i comuni e le unità sanitarie locali effettuano le assunzioni dei lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità che abbiano la professionalità eventualmente richiesta e i requisiti previsti per l'accesso al pubblico impiego»;
   oltre all’«assolvimento dell'obbligo scolastico» e ai «requisiti previsti per l'accesso al pubblico impiego», il candidato da avviare a selezione deve altresì essere in possesso della «professionalità eventualmente richiesta» da parte dell'ente pubblico che provvederà all'assunzione;
   è il caso di sottolineare che la «professionalità eventualmente richiesta» non è tanto da riferirsi a specifici «titoli professionali», quanto alla «professionalità» che il candidato dovrà in concreto dimostrare di possedere nel corso della prova selettiva a cui lo sottoporrà la Commissione nominata dall'ente pubblico per la eventuale assunzione;
   in pratica, tale «professionalità» non dovrà essere certificata con appositi «titoli» da presentarsi al centro per l'impiego competente prima dell'avviamento a selezione dei candidati, ma dovrà esser oggetto di una verifica successiva da parte dell'amministrazione che ha richiesto l'assunzione;
   solo in casi del tutto sporadici sono richiesti specifici «titoli professionali» strettamente inerenti a certe qualifiche (particolarmente significativa sul punto risulta l'espressione contenuta nell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, laddove parla di «eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità»): è il caso, per esempio, del profilo professionale dell’«autista», al quale si richiede – ovviamente – il possesso della «patente di guida»;
   anche la giurisprudenza in materia ha affermato che «Nel caso di assunzioni, presso le amministrazioni, di lavoratori da inquadrare nei livelli retributivi-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, si deve ritenere che ai fini dell'applicabilità dell'articolo 16, legge n. 56 del 1987, sia irrilevante la circostanza che, oltre al titolo della scuola dell'obbligo, l'amministrazione richieda altri requisiti professionali, essendo il primo, l'unico titolo richiesto dalla norma, mentre i secondi integrano solo un parametro della selezione» (Consiglio di Stato – Sez. V, Sent. n. 3849 del 06-07-2007);
   da un articolo apparso sul quotidiano Corriere dell'Umbria del 4 settembre 2014 a firma di Alessandra Borghi, si apprende infatti che: «Altri dati: tra gli avviamenti, il 40 per cento degli interessati ha un diploma di scuola superiore, il 21 per cento una laurea, per il resto titoli di studio di livello più basso. Il 77 per cento degli avviamenti è a favore di italiani.» ed inoltre: «Il quadro complessivo resta dunque ricco di ombre. Il comprensibile sottofondo di tensioni si intravede anche dietro scelte come quella di un presidio di polizia fisso al Centro dell'impiego di Perugia operante da pochi giorni»;
   risulta che l'accesso agli atti avanzato da diversi utenti al centro per l'impiego della provincia di Perugia è stato spesso motivo di conflitto e di tensione con gli utenti stessi –:
   quali criteri interpretativi siano stati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sull'applicazione dell'articolo 16 della legge n. 56 del 1987 e dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 297 del 2002 al fine di garantire un esercizio omogeneo e trasparente delle funzioni in tutto il territorio nazionale. (4-09360)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera dal 1963 Inalca spa, azienda leader nella trasformazione di carni bovine e fra i primi operatori europei;
   il fatturato della società supera gli 1,2 miliardi di euro, realizzato per il 40 per cento con l'estero, con 1.800 dipendenti sul piano nazionale, di cui 800 diretti;
   la società fino al 2014 risultava controllata al 100 per cento da Cremonini spa, colosso della ristorazione, per poi vedere l'ingresso nel capitale con il 28,4 per cento di IQ made in Italy, joint venture fra Fondo strategico italiano e Qatar Investment Authority, tramite investimento di 165 milioni di euro;
   il Fondo strategico italiano è una società di investimento di capitale di rischio con circa euro 4,4 miliardi di capitale, il cui azionista strategico è la Cassa depositi e prestiti che detiene l'80 per cento della società. La Banca d'Italia detiene il restante 20 per cento;
   oggi la società vede quindi una partecipazione indiretta importante di Casse depositi e prestiti, ovvero di un attore di matrice sostanzialmente pubblica;
   da 15 anni una parte significativa dei lavoratori impegnati negli stabilimenti Inalca spa, pari a circa 950, erano dipendenti di cooperative tutte consorziate nel Consorzio Euro 2000;
   va sottolineato che lo stesso Consorzio Euro 2000 era socio di Inalca spa in Gescar Srl, società che intermediava gli appalti negli stabilimenti della stessa Inalca, e che le stesse cooperative aderenti hanno cambiato numerose volte nome negli anni, con una rotazione interna degli stessi soggetti nei ruoli di amministrazione;
   le stesse cooperative, peraltro, non risultano aver mai coinvolto  alcun modo, nei primi 11 anni di attività, i soci lavoratori nell'attività sociale della cooperativa, come ad esempio la votazione di un bilancio o l'elezione del consiglio di amministrazione, aprendo seri dubbi anche sulla loro stessa natura;
   questa situazione ha portato a numerose segnalazioni da parte delle organizzazioni sindacali alle autorità competenti, per violazione del divieto di appalto di parti del processo produttivo previsto dal CCNL degli alimentaristi;
   il 27 maggio 2015 Inalca spa comunica alle organizzazioni sindacali l'intenzione di rompere il contratto d'appalto con Consorzio Euro 2000, senza fornire motivazioni, dando seguito alla disdetta formale il 31 maggio;
   contestualmente ai 950 lavoratori dipendenti di Euro 2000 e operanti in Inalca spa è offerta l'assunzione semestrale tramite l'agenzia interinale Trenkwalder srl, che potrebbe preludere al passaggio ad una nuova società, probabilmente attraverso altri appalti, quindi facendo assumerne nuovamente tutti i lavoratori nella nuova impresa subentrante;
   tale successione lascia pensare che uno degli obiettivi dell'azienda potrebbe essere la riassunzione di lavoratori precedentemente inquadrati a tempo indeterminato con il nuovo contratto a tutele crescenti, e conseguente decontribuzione garantita per il biennio 2016-2017, al costo annuo per lo Stato di circa euro 7 milioni;
   si deve osservare che si parla di un'azienda in crescita, che ha recentemente annunciato di voler allargare al ramo dell'allevamento le proprie attività, con una significativa partecipazione indiretta dello Stato, che non andrebbe in alcun modo ad incrementare o consolidare i livelli occupazionali con questa operazione, ma solo a ridurre i diritti dei lavoratori a spese delle casse pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, anche a tutela degli equilibri di bilancio dello Stato, per chiarire che in casi come questo non sia in alcun modo possibile fruire degli sgravi previsti dalla legge di stabilità 2015;
   se, contemporaneamente, non intendano attivarsi, anche tramite la presenza indiretta nell'azionariato di CDP, per favorire una stabilizzazione immediata dei lavoratori tramite assunzione diretta in Inalca spa, stante la continuità della necessità occupazionale della società;
   se non si ritenga che investimenti del livello di quello citato da parte di fondi come il Fondo strategico italiano dovrebbero essere vincolati allo scrupoloso rispetto dei CCNL e soprattutto alla definizione di piani industriali che prevedano maggiore e buona occupazione. (4-09362)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'anomala ondata di maltempo che ha colpito negli ultimi giorni la Puglia con violente raffiche di vento, nubifragi e grandinate ha particolarmente interessato la provincia di Bari;
   purtroppo si registrano significativi danni per quanto concerne i raccolti di ciliegie;
   particolarmente colpite le qualità di Bigarreaux, Georgia e Ferrovia;
   lungo l'asse viario Turi-Sammichele una violenta grandinata ha creato una spessa coltre di ghiaccio sul terreno;
   il comprensorio è uno tra i più noti per la qualità nell'ambito della produzione delle ciliegie di tutto il Paese;
   le organizzazioni di categoria hanno lanciato un allarme circa le conseguenze che questa ondata di maltempo avrà per tutto il settore e hanno evidenziato come anche altre colture, a partire da fragole e albicocche, hanno subito significative ripercussioni negative –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda intervenire per accertarsi di quanto accaduto e attivare un tavolo di confronto in sede ministeriale per tutelare uno dei settori, quello della ciliegia, di maggiore qualità della Puglia. (5-05709)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli anoressizzanti sono una categoria di sostanze amfetamino-simili impiegate per contenere ovvero estinguere, lo stimolo della fame. Il loro uso (legale ed illegale) applicato per contrastare il sovrappeso/obesità, è stato spesso oggetto di dibattiti scientifici, oltreché di attenzione di salute pubblica, legislativa e giudiziaria;
   l'attività anoressizzante simpaticomimetica è tipica delle amfetamine e in genere delle fenetilammine. Per similitudine strutturale o di effetti, appartengono a questa categoria tutte le amfetamine, la fendimetrazina, il dietilpropione, il mazindolo, la fentermina, la fenilpropanolamina o norefedrina, la pseudoefedrina, la norpseudoefedrina, l'amfepramone, il bupropione, la fenfluramina, la dexfenfluramina ed una numerosa serie di nuove sostanze psicoattive catalogate sotto il gruppo delle fenetilammine;
   alcune di queste ultime sono illegali (amfetamine, metamfetamina, fenfluramina, dexfenfluramina) ed il loro acquisto avviene generalmente sul web. Altre sostanze (fendimetrazina, dietilpropione, mazindolo, amfepramone e fentermina), pur essendo state revocate le specialità medicinali per motivi attinenti il rischio di impiego, continuavano ad essere impiegate illegalmente in preparazioni magistrali nella terapia dell'obesità;
   un numero limitato di studi in doppio cieco con placebo avrebbero determinato che, almeno per un breve periodo di tempo, gli anoressizzanti amfetaminico-simili possono ridurre il peso corporeo in modo molto limitato. A dosi più elevate sarebbe possibile aumentare la perdita di peso, ma con significativi effetti collaterali. Tuttavia, dopo poche settimane di trattamento si svilupperebbe tolleranza e dipendenza;
   la fenilrpopanolamina/norefedrina e la psuedoefredina sono sostanze anoressizzanti inserite nell'allegato 1, categoria 1 del decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990 come «precursori di droghe»;
   sino all'emanazione del decreto ministeriale 20 maggio 2015, la feniltpropanolamina o norefedrina veniva prescritta dai medici su ricetta semplice come preparazione galenica magistrale per la cura del sovrappeso/obesità, pur essendo da tempo subordinata a severi divieti di impiego, vista la dimostrata «pericolosità per la salute pubblica»;
   la fenilpropanolamina o norefedrina un tempo era presente in diverse specialità farmaceutiche da banco indicate come sintomatici per via sistemica nel raffreddore e nelle affezioni del tratto respiratorio. Queste preparazioni farmaceutiche sono state tutte revocate e immediatamente ritirate dal commercio;
   attualmente, per la cura del «sovrappeso/obesità», i medici continuerebbero a prescrivere e i farmacisti a preparare e dispensare preparazioni galeniche magistrali contenenti le seguenti sostanze: pseudoefedrina, TRIAC (o acido Triiodotiroacetico), fluoxetina e bupropione;
   tra le più pericolose ci sono:
    a) la pseudoefedrina che esercita a livello del sistema nervoso centrale un potente effetto stimolante e trova impiego anch'essa come decongestionante nasale e come ingrediente illegale nelle preparazioni magistrali per la cura dell'obesità, oltreché come precursore nella fabbricazione delle sostanze anfetaminiche;
    b) il Triac o acido triiodotiroacetico che è un metabolita della triiodotironina e viene somministrato per sopprimere la secrezione ipotalamica del TSH (ormone della stimolazione tiroidea). Il Triac è venduto negli USA, soprattutto via internet, come integratore per le cure dimagranti. In Italia, non esiste un medicinale a base di TRIAC, mentre lo è nella specialità medicinale TEATROIS, farmaco autorizzato solo in Francia ed utilizzato esclusivamente per le patologie della tiroide, il cui quantitativo di principio attivo giornaliero è estremamente esiguo, tale da spiegarne la sua pericolosità;
   l'uso di queste sostanze, da sole o in associazione ad altri principi attivi, risulterebbe fortemente controindicato a quei pazienti affetti da disturbi cardiocircolatori (ipertensione arteriosa) e tiroidei in quanto alla fisiologica perdita di peso spesso si associano manifestazioni progressive non sottovalutabili quali: irritabilità, euforia, confusione, insonnia, tremori, depressione, psicosi, ipertensione arteriosa, palpitazioni, tachicardia, aritmie e, non di rado, intossicazioni acute con esito, a volte, fatale;
   la regolamentazione della prescrizione e somministrazione dei farmaci anoressizzanti è stata oggetto delle seguente normativa:
    decreto Ministero della sanità del 26 maggio 1987, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 131 dell'8 luglio 1987;
    decreto Ministero della sanità del 13 aprile 1993, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 1993;
    decreto Ministero della sanità del 18 settembre 1997, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 22 settembre 1997;
    legge 8 aprile 1998 n. 94 conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, recante disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria (Legge Di Bella);
    decreto Ministero della sanità del 30 ottobre 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 1o dicembre 1998;
    pareri espressi dalla CPMP – Committee for proprietary medicinal products, oggi Committee for medicinal products for human use, organo dell'EMA, European medicines agency, il 31 agosto 1999 e della sottocommissione di farmacovigilanza, riunitasi il 15 novembre 1999;
    legge 14 dicembre 2000, n. 376;
    decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309 e s.m.i.;
    decreto Ministero della sanità del 24 gennaio 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 2 del 1o febbraio 2000;
    Ministero della salute. Disposizione della dip. delle innovazione – dir. Gen. dei farmaci e dei dispositivi medici — uff. centrale stupefacenti del 13 febbraio 2006 n. DGFDM/VII/I.6.b.h/5910. Regolamenti (CE) n. 273/2004; n. 111/2005; n. 1277/2004;
    decreto legislativo del 24 aprile 2006 n. 219, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.142 del 21 giugno 2006 — supplemento ordinario n. 153;
    Agenzia italiana del farmaco – B.i.f. XIII n. 13 del 2006 (pagina 106);
    decreto Ministero della salute del 2 agosto 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 4 agosto 2011;
    decreto Ministero della salute del 20 maggio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2015;
   un'importante (sebbene ancora parziale iniziativa) è stata l'approvazione del decreto ministeriale 20 maggio 2015 che fa divieto ai medici di prescrivere preparazioni magistrali contenenti il principio attivo della fenilpropanolamina/norefedrina e ai farmacisti di eseguire preparazioni magistrali contenenti il predetto principio attivo;
   dal 2009 ad oggi, si sono registrati sette casi di decessi riconducibili all'impiego di sostanze anoressizzanti e lo scorso 15 aprile si è verificato un caso con effetti irreversibili (ictus con paralisi degli arti inferiori);
   la procura della Repubblica di Roma ha aperto due inchieste per lesioni colpose e omicidio colposo per stabilire la legalità del commercio della fenilpropanolamina e accertare eventuali omissioni ministeriali;
   gli organi di informazione televisiva e della carta stampata hanno dedicato nel corso degli anni una crescente attenzione verso questi casi di decesso o gravissima infermità dedicato nel corso degli anni una crescente attenzione verso questi casi di decesso o gravissima infermità –:
   se dopo il decreto ministeriale dello scorso 20 maggio, intenda adottare altri provvedimenti per impedire che in futuro continuino ad essere prescritti la pseudoefedrina, il Triac e tutte le altre fenetilammine prescritte e preparate per curare l'obesità;
   se sia a conoscenza della circostanza che la pseudoefedrina abbia sostituito di fatto la fendimetrazina e che, al pari di quest'ultima, qualora somministrata su pazienti che presentano patologie cardiovascolari, possa provocare danni irreversibili e, in alcuni casi, il decesso;
   se intenda avviare in tempi brevi degli accertamenti finalizzati a quantificare gli stock giacenti nelle farmacie delle suddette sostanze e le unità acquistate e vendute durante il 2014 e l'anno in corso;
   se intenda eliminare il principio attivo della fenilpropanolamina/norefedrina e pseudoefedrine dal capitolo dei precursori ed inserirle, assieme al TRIAC, nella prima tabella delle sostanze stupefacenti e psicotrope ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990;
   se intenda avviare in tempi brevi degli accertamenti finalizzati a verificare se le modalità di fabbricazione, commercio e dispensazione rispettino le norme stabilite dal regolamento (CE) n. 273/2004 dell'11 febbraio 2004 e dal decreto legislativo n. 50 del 24 marzo 2011;
   se intenda emanare in tempi brevi delle linee guida, ovvero dei protocolli terapeutici per la cura farmacologica del sovrappeso/obesità, ai quali sia i medici che i farmacisti debbono attenersi.
(4-09342)


   SCOTTO e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella riunione del 27 febbraio 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha deliberato che i gruppi Roche e Novartis hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza, contraria al diritto Antitrust comunitario, nel mercato dei farmaci per la cura di gravi patologie vascolari della vista, sanzionando i due gruppi con oltre 180 milioni di euro (ora in attesa della sentenza sul ricorso al Consiglio di Stato);
   tra le malattie interessate dall'istruttoria spicca la degenerazione maculare senile, prima causa di cecità nei paesi industrializzati e di cui solo in Italia sono a rischio un milione di persone. Secondo l’Antitrust l'intesa ha avuto quale possibile conseguenza, tra l'altro, una maggior difficoltà nelle possibilità di cura per molti pazienti e un aumento della spesa a carico del Servizio, sanitario nazionale stimata in 45 milioni di euro nel solo 2012, con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l'anno;
   dalla documentazione era emerso che le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le filiali italiane, hanno concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis (due farmaci «gemelli» ma molto diversi nel prezzo), presentando il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari;
   Avastin, prodotto registrato per la cura del cancro, da diversi anni è stato utilizzato in tutto il mondo anche per la cura di patologie vascolari oculari molto diffuse; Lucentis è un farmaco basato su una molecola in tutto simile a quella di Avastin ma è stato appositamente registrato (da Genentech negli USA e da Novartis nel resto del mondo) per le patologie della vista fino a quel momento curate con Avastin. La differenza di costo per iniezione è significativa: Avastin ha un costo pari al massimo a 81 euro, mentre il costo di Lucentis risulta attualmente pari a circa 900 euro (in precedenza, peraltro, il costo superava i 1.700 euro);
   a fronte del rischio che le applicazioni oftalmiche di Avastin, vendute a un prezzo molto pieno alto, ostacolassero lo sviluppo commerciale del ben più caro Lucentis, Roche e Novartis hanno posto in essere una complessa strategia collusiva, volta a ingenerare tra i medici curanti e più in generale il pubblico timori sulla sicurezza del primo;
   nonostante la condanna dell'Antitrust, l'Aifa non solo non ha abbassato il prezzo del farmaco, ma non ha chiesto alle strutture di utilizzare il prodotto più economico. L'Agenzia per il farmaco infatti – come riporta un articolo Corriere della Sera Salute.it del 31 maggio 2015 – suggerisce un provvedimento che consente a Novartis e Roche si rifarsi dei 180 milioni di euro: «il provvedimento proibisce alle strutture private di usare il farmaco economico. Novartis ringrazia, perché le cliniche convenzionate che prima utilizzavano Avastin sono costrette da un giorno all'altro a usare il farmaco che... costa un occhio. Avrebbe avuto un senso se il provvedimento dell'Aifa avesse obbligato le strutture pubbliche a utilizzare solo il farmaco economico, ma non è così. A gennaio di quest'anno interviene ancora l’Antitrust estendendo alle case di cura convenzionate (non agli ambulatori privati) la possibilità di usare il farmaco economico. È opzionale, per tutti (colpevoli anche le regioni che trovano più semplice l'uso del prodotto già in fiale 40 volte più costoso)»;
   il Ministro avrebbe dovuto scrivere una norma o chiedere all'Aifa un regolamento che obbligasse all'uso del farmaco economico;
   come riportato dall'ANSA del 28 maggio 2015 a ormai un anno di distanza dal caso Avastin-Lucentis solo in pochi ospedali italiani si utilizza l'Avastin per la cura della degenerazione maculare. La denuncia è della società oftalmologica italiana (Soi), che ha presentato un nuovo esposto presso la procura di Roma;
   Matteo Piovella, presidente della società oftalmologica italiana (Soi), ha ricordato come «dopo che Antitrust, il TAR del Lazio è la stessa Corte Europea, hanno con le loro sentenze e pronunce sancito la necessità di diffondere l'utilizzo di Avastin, le riforme messe «in campo da AIFA e dal Ministero della salute hanno determinato il risultato opposto a quello richiesto e sperato»;
   il suddetto articolo del Corriere-Salute, ricorda peraltro il fatto che Napoleone Ferrara, ricercatore nominato dal Ministro Lorenzin per il nuovo Consiglio superiore di sanità, è lo scopritore dell'Avastin e del Lucentis. Ora va ricordato che il precedente Consiglio aveva stabilito che tra i due farmaci non vi fossero differenze dal punto di vista dell'efficacia e della sicurezza. Ma il Consiglio è stato totalmente rinnovato, e, come visto, ora fa parte Ferrara, chiamato come consigliere dal Ministro, e che fino a due anni fa lavorava per la Genentech, controllata da Roche, che ha registrato il costoso farmaco Lucentis –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non si intenda intervenire quanto prima al fine di imporre l'utilizzo del farmaco Avastin rispetto al Lucentis, in quanto dimostrato altrettanto efficace e sicuro ma ben più economico, pena un evidente danno erariale che rischia di reiterarsi nel tempo. (4-09355)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   dall'analisi dei dati grezzi rilevabili dal rapporto sulla produzione elettrica di aprile elaborato da Terna nei primi giorni di maggio 2015 si conferma per i primi mesi del 2015, una forte riduzione della generazione di elettricità da idroelettrico;
   nei mesi di gennaio e febbraio 2015 la riduzione si è attestata attorno al 25 per cento della produzione degli stessi mesi del 2014, nella misura costante di 1.000 Gwh al mese; a marzo la diminuzione è di 1.300 Gwh, cioè –29,3 per cento rispetto a marzo 2014; ad aprile addirittura –31,2 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, con una minore produzione 1.758 Gwh (pagina 5 del rapporto di ciascun mese); il raffronto dei primi quattro mesi dei due anni (pagina 6 del rapporto di aprile) riferisce di una riduzione pari a 27,6 per cento (e una minore produzione di 5.005 Gwh);
   come nei mesi precedenti, i dati derivanti dagli invasi e dalla producibilità idroelettrica (pagine 22 e 24 del rapporto di Aprile) rispetto agli stessi mesi del 2014 segnalano grande abbondanza di acqua nelle dighe e di conseguenza di una grande potenzialità produttiva inutilizzata;
   nei primi 4 mesi del 2015 abbiamo importato 18.524 Gwh contro 16.706 dello stesso periodo dello scorso anno. Si tratta di un +10,9 per cento, che non è poco ove si consideri la contemporanea stabilità dei consumi elettrici. L’import ha dunque coperto il 18,12 per cento della richiesta contro il 16,34 per cento dello stesso periodo dello scorso anno (pagina 6 del rapporto di aprile). Questo significa, per differenza, che i 1.818 Gwh importati in più sono serviti parzialmente a coprire un buco nella richiesta non più soddisfatta dall'idroelettrico, equivalente al 1,7 per cento del fabbisogno nazionale;
   nel question-time al Senato del 7 maggio 2015, è stato osservato al Ministro interrogato che «la capacità di produzione dell'idroelettrico è rimasta ferma agli anni Sessanta (circa 50 terawattora l'anno)..., ma continua ad essere la fonte rinnovabile principale nel nostro Paese, dato che ancora nel 2013 ha prodotto il 47 per cento dell'intera produzione da fonti rinnovabili. Il Comitato nazionale italiano per le grandi dighe ha stimato che la metà degli invasi è interrata, con una riduzione della capacità media d'invaso di circa il 47 per cento...»;
   quanto sopra autorevolmente affermato vuol dire che, liberando gli invasi con la semplice manutenzione, si consentirebbe di migliorare la capacità di produzione di quegli impianti in misura tale da assicurare, senza eccessivi costi o oneri in bolletta, il raggiungimento della eventuale ulteriore quota di produzione elettrica da rinnovabile che l'Unione europea ci potrebbe chiedere per il 2030;
   il 22 aprile il presidente dell'Autorità per l'energia, Guido Bottoni, nel corso della sua audizione in Commissione industria del Senato, ha affermato che «in conseguenza delle rilevante crescita della componente A3 relativa alla copertura degli incentivi alle fonti rinnovabili ed assimilate, il complessivo fabbisogno degli oneri generali di sistema nel 2015 (i servizi di rete a carico di imprese e famiglie) raggiunge i 15 miliardi di euro, raddoppiando il fabbisogno dell'anno 2011;
   nel ricordare come siano stati già raggiunti (e largamente superati), con anni di anticipo e a caro prezzo, tutti gli obiettivi per le rinnovabili al 2020, desta preoccupazione uno studio di Asso-Rinnovabili (citato in Quotidiano Energia del 12 marzo 2015, pagina 10), nel quale, dopo aver affermato che le fonti non programmabili (eolico e fotovoltaico), hanno contribuito a relegate «impianti nuovi ed efficienti a funzioni di soccorso» a danno degli investimenti che vi erano stati fatti, si prospetta per il futuro la necessità di «... dedicate tutto l'idroelettrico a funzioni di regolazione (sic!)...», cioè a sostegno alla non programmabilità di eolico e fotovoltaico –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato su quanto esposto in premessa e se non ritenga che la principale e la più affidabile tra le fonti rinnovabili stia rischiando di essere marginalizzata, in forza delle attuali condizioni del mercato elettrico e degli interessi che in esso si muovono, col risultato di anteporre gli obiettivi di taluni operatori economici a quelli del Paese;
   come il Governo intenda rilanciare il settore dell'idroelettrico, tenuto conto delle sue elevata possibilità di crescita produttiva, senza maggiori oneri sulle bollette elettriche delle famiglie e delle imprese, e degli impatti favorevoli sulla «bolletta energetica» a carico del nostro Paese.
(2-00993) «Bernardo».

Interrogazione a risposta orale:


   BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   molti cittadini romani hanno ricevuto le bollette di Acea Energia, la società del Gruppo Acea che si occupa della vendita di energia elettrica, gas e servizi, per pagare sostanziosi conguagli che, in molti casi, così come riportato anche da alcuni organi di informazione, sono stati il frutto di anni di addebiti dovuti a conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, ad errori di valutazione, più in generale, a fatturazioni incongrue certamente non imputabili agli utenti;
   molti consumatori, non avendo strumenti idonei per difendersi e far valere i propri diritti o, più semplicemente, per non entrare nel complesso ed oneroso meccanismo per l'accertamento della verità per via amministrativa o giudiziaria, rischiano di trovarsi di fatto costretti a pagare cifre importanti di alcune migliaia di euro, per evitare il distacco dell'energia elettrica;
   queste bollette sono il prodotto di un malfunzionamento del sistema che si riversa spesso sui consumatori incolpevoli e sono anche un costo aggiuntivo difficile da sopportare per tanti cittadini già duramente colpiti dalla crisi economica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fenomeno segnalato in premessa e, in caso affermativo, se abbia contezza della portata economica e della platea interessata da tale fenomeno, e quali iniziative, anche normative, intenda adottare per tutelare il diritto dei cittadini consumatori a non essere vessati in modo improprio da un soggetto sostanzialmente pubblico che opera in regime di effettivo monopolio, visto che non sembra essere credibile o corretto che un soggetto distributore possa reclamare un conguaglio a distanza di anni, senza di fatto permettere al consumatore di avere strumenti idonei ed efficaci per poter sostenere un contraddittorio. (3-01520)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Ikea è una azienda multinazionale svedese con sede legale a Leida, nei Paesi Bassi, specializzata nella vendita di mobili, complementi di arredo e oggettistica per la casa, con 315 punti vendita in 27 paesi, la gran parte dei quali situati in Europa;
   l'azienda è presente anche in Italia con 21 punti vendita, che impiegano oltre 6500 dipendenti, con ricavi che per l'anno fiscale 2013-14 ammontano a 1,554 miliardi di euro (+1,8 per cento) con una quota di mercato salita al 9,4 per cento rispetto all'8,9 per cento dell'anno precedente (La Repubblica, economia e finanza, 8 ottobre 2014);
   Ikea ha annunciato tagli alla contrattazione integrativa, che dovrebbero diventare operativi dal prossimo 1o settembre, per far fronte al disavanzo accumulato negli ultimi tre anni (Corriere del Mezzogiorno, 29 maggio 2015; La Repubblica, 30 maggio 2015). La contrattazione integrativa, risalente al 2011, prevede maggiorazioni salariali per i lavoratori legate ai turni domenicali e nei giorni festivi, nonché i premi produzioni. Tali integrazioni costituiscono una parte determinante degli stipendi, che se decurtate potrebbero subire tagli del 18-20 per cento;
   in data 29 maggio 2015, i sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, al termine del coordinamento unitario tenutosi a Firenze, hanno proclamato lo stato di agitazione ed uno sciopero di 16 ore;
   si tratta del primo sciopero dopo anni di relazioni sindacali definite «costruttive» sia dall'azienda che dalle rappresentanze dei lavoratori;
   pur in presenza di una congiuntura sfavorevole, i conti del gruppo Ikea non paiono particolarmente penalizzati, dato che per l'anno fiscale 2013-2014 ha registrato un utile netto globale di 3,3 miliardi di euro, con un aumento di fatturato cresciuto del 2,8 per cento, pari a 29,29 miliardi di euro (La Repubblica, economia e finanza, 28 gennaio 2015);
   negli ultimi mesi l'interrogante ha segnalato ai Ministri interrogati, analoghe iniziative dei gruppi Fincantieri e Auchan, tese a cancellare o a rivedere in peius gli accordi contrattuali con i lavoratori, scaricando su questi presunti effetti negativi della congiuntura economica. Vicende che segnalano l'affermarsi di un nuovo ed allarmante modello di relazioni sindacali, per imprese multinazionali che operano in Italia, che punta ad imporre con iniziative unilaterali una riduzione delle retribuzioni –:
   se i Ministri interrogati dispongono di elementi relativamente alla vicenda segnalata in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intendano assumere in relazione al rischio di una compressione generalizzata delle retribuzioni. (5-05723)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Matarrese e altri n. 1-00800, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Galgano e Mazziotti Di Celso n. 2-00984, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Matarrese.

Apposizioni di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Guidesi n. 5-05464, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco e Cancelleri n. 5-05703, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alberti, Villarosa.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il  seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini e altri n. 4-04265 del 1o aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05706.