Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 3 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ottobre del 2013 è stata riscontrata per la prima volta nel nostro Paese, e precisamente nella provincia di Lecce, in Puglia, la presenza di un batterio denominato Xylella fastidiosa su piante di olivo;
    la Xylella fastidiosa è un batterio inserito nell'allegato I della direttiva del Consiglio 2000/29/CE e fa parte della lista degli organismi nocivi predisposta dall'Unione europea. Oggi sono ufficialmente riconosciute quattro sub-specie di Xylella fastidiosa in grado di attaccare un numero elevato di specie vegetali, tra cui colture da frutto, essenze forestali e specie spontanee;
    il batterio è stato trasmesso dalla «cicala sputacchina», che è un insetto ad apparato pungente-succhiatore che, una volta assorbita la linfa dalle piante, la trasporta su altri fusti e li contagia;
    la Xylella fastidiosa viene ritenuta dagli scienziati tra i più pericolosi patogeni vegetali per la sua aggressività, per l'ampia gamma di ospiti vegetali in grado di infettare, ma soprattutto per le difficoltà che si ravvisano nel prevenire le infezioni e nel curare le piante malate;
    al fine di individuare le zone interessate da tale batterio, è stato avviato dalla regione Puglia un monitoraggio dell'intero territorio regionale, con particolare riguardo alla provincia di Lecce;
    la presenza di tale batterio sul territorio pugliese rappresenta, indubbiamente, un gravissimo rischio per le coltivazioni dell'olivo, del mandorlo, del ciliegio e del pesco; ma questa problematica costituisce un grande danno anche per i valori ambientali e paesaggistici così importanti per tutto il territorio. Tale fenomeno incide poi in termini estremamente negativi sulla coltivazione dell'olivo, che rappresenta uno dei settori trainanti dell'economia della regione Puglia, contribuendo nel 2013 all'11,6 per cento del valore complessivo della produzione agricola della stessa regione e al 30 per cento del valore della produzione olivicola italiana;
   la patologia del batterio non consente l'attivazione di azioni di controllo o l'utilizzo di sostanze chimiche in grado di debellare la malattia. Pertanto, l'unica azione valida per evitare l'ulteriore diffusione del batterio è l'abbattimento delle piante infette;
    la Francia ha adottato misure (considerate in linea con la legislazione dell'Unione europea) contro la diffusione della Xylella fastidiosa che prevedono il blocco delle importazioni delle piante dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio. Il Ministro dell'agricoltura francese ha vietato l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese e di quelle contaminate dal batterio e ha inibito gli scambi intra-europei con la Puglia, con il conseguente rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino. Di fatto, la maggior parte dei contratti già in corso sono stati sospesi e le vendite si sono quasi azzerate;
    tale situazione ha creato gravi problemi all'economia pugliese, perché, oltre alla perdita delle piante ed al mancato ricavo per l'assenza di vendite, va considerato il danno che viene perpetrato nei confronti dell'indotto, specie per quanto riguarda il settore vivaistico;
    occorre risolvere urgentemente la grave crisi economica che ha colpito gli agricoltori ed i vivaisti pugliesi a seguito dell'abbattimento delle piante di olivo e della sospensiva dell'annullamento dei contratti e delle forniture;
    è necessario, pertanto, assumere iniziative di carattere fiscale, come lasospensione del pagamento dell'IMU agricola, per i coltivatori che sono colpiti dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa al fine di indennizzare gli stessi dai danni subiti;
    risulta anche indispensabile adottare misure dirette alla prevenzione della diffusione del batterio della Xylella fastidiosa per contrastarne la trasmissione ed operare per il suo controllo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di adottare iniziative volte a sospendere l'IMU agricola per i coltivatori colpiti dalla diffusione della Xylella fastidiosa per indennizzare le imprese del comparto agricolo;
   a predisporre sistemi di controllo e di prevenzione che possano contrastare con efficacia la diffusione di infezioni nel corso di importazioni di vegetali provenienti da altre zone del mondo;
   ad adottare ogni iniziativa presso l'Unione europea diretta a valutare la possibilità di sospendere il pur legittimo decreto del Ministro francese;
   ad adottare iniziative che consentano, per quanto di competenza (nell'ambito del programma di sviluppo rurale Puglia 2014-2020, ancora in corso di istruttoria presso l'Unione europea), di finanziare le attività di prevenzione e di ripristino del potenziale produttivo che si è ridotto proprio a causa del batterio per tutti gli agricoltori colpiti dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa;
   ad adoperarsi a livello europeo per individuare le risorse necessarie per finanziare la ricerca e l'innovazione al fine di affrontare e superare l'emergenza connessa alla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa.
(1-00871) «Pizzolante, Cera, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ottobre 2013 nel Salento è scoppiato il caso della malattia degli ulivi evidenziatasi, soprattutto, con bruscatura delle foglie, imbrunimenti dei rami e del fusto e disseccamenti più o meno estesi della chioma. Un fenomeno noto come complesso del disseccamento rapido dell'olivo (CoDiRO), che è andato espandendosi a macchia di leopardo in tutta la provincia di Lecce per poi manifestarsi anche in quella di Brindisi, nella zona di Oria;
    si tratta di una malattia della piante a cui risulta fortemente associata la presenza di un patogeno: il batterio Xylella fastidiosa, contro cui l'Unione europea ha appena adottato misure di contenimento, riconoscendo la zona di Lecce come zona di insediamento del microrganismo;
    il batterio è denominato in tal modo in quanto esso colonizza lo xilema delle piante – si sa con certezza che, oltre agli ulivi – sono suscettibili dell'infezione anche mandorli, ciliegi, mirto e acacia, solo per citarne alcune – che è l'insieme dei vasi adibiti al trasporto di acqua e soluti dalle radici alle foglie e ne provoca il progressivo restringimento, li ottura, dando origine a un danno sostanzialmente meccanico della pianta per intasamento, che ne causa il disseccamento parziale o totale, anche se i ricercatori ancora non sanno quanto tempo intercorre tra l'infezione della pianta e la comparsa del fenomeno;
    il danno, a livello produttivo, è sulla quantità di olio che la pianta potrebbe far produrre, fin quando rimane vitale, ma non sulla sua qualità;
    in Puglia, nelle province di Lecce, di Brindisi e di Taranto, la presenza del batterio ha causato la distruzione di intere coltivazioni in una zona in cui la tradizione olivicola rappresenta un fondamentale valore; in tale regione gli ulivi sono circa 60 milioni; essi, oltre ad essere un'importante risorsa economica, sono un elemento fondamentale della storia, della cultura e del paesaggio pugliese;
    l'Italia ha sempre avuto una posizione di rilievo nel mercato internazionale dell'olio di oliva per le caratteristiche qualitative del prodotto e per l'importanza quantitativa delle produzioni, ma l'attuale olivicoltura mondiale, che arriva ad una produzione di circa 3.000.000 di tonnellate l'anno, essendo ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive e competitive, con produzioni di qualità crescente, è oramai in grado di mettere in discussione il primato italiano e di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità nazionali;
    l'Italia, purtroppo, con le sue produzioni decrescenti non è più in grado di imporsi sul mercato internazionale: nel 2013/2014 la produzione italiana, secondo alcune stime, rappresenta solo il 13 per cento della produzione mondiale; quale ulteriore causa di decremento del comparto caratterizzato da una produzione olearia fortemente sottodimensionata rispetto al fabbisogno nazionale e per l’export contribuisce oggi anche la diffusione della Xylella fastidiosa;
    per concorrere al contrasto della diffusione della malattia, la Commissione europea ha adottato, il 23 luglio 2014, una prima decisione di esecuzione 2014/497/UE per fronteggiare l'emergenza prevedendo maggiori restrizioni alle importazioni da Paesi extraeuropei in cui è nota la presenza del batterio;
    a seguito di tale decisione con il decreto ministeriale del 12 settembre 2014 è stato istituito un comitato tecnico-scientifico con il compito di approfondire gli aspetti connessi alla gestione dell'emergenza fitosanitaria causata dalla Xylella, mentre con la deliberazione della giunta della regione Puglia n. 2023 del 29 ottobre 2013 sono state adottate le prime misure di emergenza per la prevenzione e l'eradicazione del batterio da quarantena Xylella fastidiosa nella provincia di Lecce;
    nella seduta dell'8 ottobre 2014, la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato, tra le altre, la risoluzione n. 7-00461 (Mongiello ed altri) che ha impegnato il Governo ad attuare una serie di misure, tra le quali: la nomina di un commissario ad acta per seguire e coordinare la gestione dell'emergenza e realizzare un programma nazionale specifico di interventi immediati; ad evitare l'eradicazione di intere aree rafforzando i servizi fitosanitari, le misure di controllo e di monitoraggio sull'importazione di materiali vegetali; a finanziare un piano di ricerca a vasto raggio in grado di indagare il fenomeno e di offrire risposte ecologiche alla grave emergenza; ad attivare risorse specifiche per fare fronte alle necessità degli agricoltori che devono ricostituire i propri oliveti;
    il Consiglio dei ministri, nella riunione del 10 febbraio 2015, con delibera n. 112, ha dichiarato lo stato di emergenza correlato alla diffusione nel territorio pugliese del batterio e, con ordinanza n. 225 dell'11 febbraio 2015 del capo dipartimento della protezione civile è stato nominato il comandante regionale del Corpo forestale dello Stato per la Puglia, quale commissario delegato a fronteggiare l'emergenza della Xylella fastidiosa;
    il 19 marzo 2015 il dipartimento della protezione civile ha adottato il piano degli interventi per la lotta al batterio, per l'attuazione del quale sono stati stanziati 13,6 milioni di euro, che si basa su diverse misure volte ad impedire la diffusione del batterio e monitorare le aree indenni circostanti;
    il 7 maggio 2015, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto il ricorso presentato da alcuni vivaisti salentini, sospendendo l'operatività del piano per l'emergenza Xylella e fissando al 16 dicembre 2015 la trattazione del ricorso nel merito motivando la decisione, con l'adozione da parte dell'Unione europea, il 28 aprile 2015, di un «nuovo testo di decisione di esecuzione sulla medesima questione», che nei fatti supera il piano del commissario;
    in effetti, il 28 aprile 2015, il comitato permanente fitosanitario della Commissione europea ha approvato una nuova decisione di attuazione sulle misure contro il contagio del batterio Xylella fastidiosa negli uliveti del Salento, che dovrà essere formalmente adottata dalla Commissione europea prima dell'entrata in vigore;
    la novità più importante delle misure di contenimento dell'Europa è la presa d'atto della ineradicabilità del patogeno dalla zona di insediamento, la provincia di Lecce, e che ormai non ha senso eradicare il patogeno ma contenerlo. Fuori della provincia di Lecce l'Unione europea tiene fermo il principio dell'eradicazione delle piante malate (cui fanno riscontro le proteste degli agricoltori pugliesi): di quelle «infestate e di tutte le piante ospiti nel raggio di 100 metri, indipendentemente dal loro stato di salute»;
    per la zona di insediamento, invece, continua la Commissione europea: «le misure prevedono inoltre la possibilità per l'Italia di applicare misure di contenimento in tutta la provincia di Lecce, in cui l'eradicazione non è più possibile. In tal caso resta l'obbligo di eliminare sistematicamente tutte le piante infette e di testare tutte le piante circostanti (entro 100 metri) in una zona di 20 chilometri contigua alle province di Brindisi e Taranto». Il previsto abbattimento anche delle piante al confine della fascia di Lecce è una misura di contenimento per prevenire l'ulteriore contagio, ma non l'unica; nella zona di contenimento vanno comunque applicate misure (pratiche agricole, applicazione di insetticidi ed altro) per ridurre il «serbatoio d'infezione», ovvero per controllare il vettore della Xylella, la cicalina «sputacchina»; sul piano locale c’è tuttavia una forte opposizione ai piani di irrorazione su larga scala di insetticidi chimici;
    un'altra delle misure fortemente impattanti presa dall'Europa è il blocco del movimento delle specie vegetali suscettibili di essere infettate da Xylella; di fatto l'Europa, oltre ad applicare severe restrizioni alle importazioni di piante da Paesi terzi, restringe anche il movimento di piante provenienti dalle zone infette: un duro colpo per i vivai che operano nelle zone, che si aggiunge a quello degli agricoltori interessati dall'emergenza;
    la misura che sembra ricalcare in parte la decisione già presa dalla Francia agli inizi di aprile 2015, con il boicottaggio dei prodotti pugliesi, appare in alcuni casi immotivata; infatti, l'Europa ha bloccato il movimento di piante estendendo l'elenco di quelle a rischio anche a casi per i quali si sa che le specie non sono suscettibili al ceppo del batterio, come la vite. Appare, quindi, necessario aumentare le evidenze scientifiche circa la non suscettibilità di alcune specie incluse nell'elenco, al fine di evitare di intraprendere misure eccessivamente restrittive; in particolare, l'embargo su piantine e «barbatelle» della vite provenienti dal Salento è particolarmente pesante per il nostro Paese, in quanto di fatto favorisce i concorrenti francesi in questo mercato;
    nello specifico della situazione salentina, e più in generale italiana, è necessario mettere in campo un piano d'azione che indichi in dettaglio le attività da adottare per la prevenzione e la profilassi e sia in grado di limitare la diffusione del patogeno con un programma di controlli severi sul materiale di propagazione, controlli fitosanitari delle piante infette e conseguenti pratiche di «pulizia» e di verifica di una buona condizione di nutrizione e di equilibrio vegetativo delle piante stesse;
    al fine di garantire il ristoro dei danni subiti dagli agricoltori e dai vivaisti colpiti dall'infestazione del batterio e dalle misure restrittive già adottate, il Governo ha avviato negoziati con l'Unione europea per l'attivazione degli strumenti finanziari per la lotta fitosanitaria al batterio Xylella, ma anche per richiedere un intervento di solidarietà europeo adeguato all'eccezionalità della crisi di mercato indotta sugli olivicoltori e sulle aziende vivaistiche;
    il 20 maggio 2015, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione in sede plenaria (P8–TA-PROV(2015)0209) che, nell'evidenziare la lentezza con la quale l'Unione europea si è mossa per evitare l'ingresso di fitopatie provenienti da Paesi terzi, ha chiesto specifiche misure ed azioni più rigorose in materia di contrasto alla diffusione della Xylella e di sostegno per i soggetti danneggiati, in materia di autorizzazione delle sole importazioni provenienti da siti di produzione indenni da organismi nocivi e per la revisione del sistema ufficiale di controlli fitosanitari dell'Unione europea;
    l'Italia deve operare per salvare gli ulivi sani: infatti, ogni abbattimento causa danni economici e ambientali inaccettabili e spazza via in un sol colpo centinaia di anni di storia delle aree del Salento;
    per salvaguardare gli ulivi millenari del Salento, è necessario che il Governo intensifichi le azioni di sostegno alle aziende olivicole coinvolte nell'attacco della Xylella fastidiosa e per la lotta alla diffusione del batterio, soprattutto per quel che riguarda la ricerca e lo studio del patogeno e la sperimentazione nell'ambito dell'applicazione delle buone pratiche agricole,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione agli impegni assunti con la risoluzione n. 7-00461 approvata dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati nella seduta dell'8 ottobre 2014 ed in tale ambito:
    a) ad adottare iniziative volte a reperire le necessarie risorse aggiuntive rispetto a quelle fino ad oggi già stanziate per fornire risarcimenti e sostegni agli agricoltori e ai soggetti dell'indotto colpiti dalla Xylella fastidiosa ed a fare in modo che le risorse utilizzate dagli enti locali per fronteggiare l'emergenza siano escluse dal patto di stabilità interno, segnatamente in relazione alle risorse da erogare per l'attuazione delle misure compensative del fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, e successive modificazioni;
    b) a rafforzare e intensificare una vasta azione di ricerca e sperimentazione per chiarire i meccanismi alla base del fenomeno del disseccamento rapido dell'ulivo e per studiare l'agente patogeno Xylella fastidiosa per tutelare la produzione olivicola anche attraverso il rafforzamento delle buone pratiche agricole;
    c) ad adottare iniziative volte a prevedere l'esenzione dall'imposta municipale unica (IMU) per le imprese agricole e per i terreni danneggiati dal batterio della Xylella fastidiosa;
    d) ad attivare una campagna informativa riguardo alla qualità e alla sicurezza alimentare dell'olio extravergine proveniente dalle aree colpite dal batterio della Xylella fastidiosa;
    e) ad incrementare le misure di controllo delle importazioni di materiale vegetale da Paesi terzi, anche per altri tipi di malattie, sia in ambito nazionale e sia, soprattutto, in ambito comunitario;
   ad intraprendere le necessarie iniziative in sede europea, in particolare verso la Commissione europea ed in sede di Consiglio europeo:
    a) per rendere esecutive le misure compensatorie per gli agricoltori le cui produzioni sono state danneggiate dalla Xylella fastidiosa come indicato dalla risoluzione del Parlamento europeo n. P8–TA-PROV(2015)0209;
    b) per rimuovere i vincoli alle esportazioni delle produzioni vivaistiche ed agroalimentari della Puglia, con particolare riferimento alla rimozione della decisione di divieto all'importazione dei vegetali pugliesi decisa dal Governo francese e alla rimozione della decisione algerina relativamente al blocco dell'acquisto di barbatelle provenienti dai vivai idruntini;
    c) per modificare le indicazioni radicali circa la rimozione e distruzione nella fascia di sicurezza degli ulivi, indipendentemente dallo stato di salute e anche su quelli evidentemente non toccati dal batterio e – laddove ci siano accertati focolai di Xylella – di tutte le piante ospiti nel raggio di 100 metri, indipendentemente dal loro stato di salute;
   a provvedere affinché, nell'ambito delle funzioni assegnate al dipartimento della protezione civile per la lotta alla Xylella, sia adottato un nuovo piano di interventi per la lotta al batterio più coerente con le misure assunte in sede europea e con i risultati delle ricerche e degli approfondimenti tecnici degli enti di ricerca e degli organismi operanti nel campo agronomico e fitosanitario.
(1-00872) «Mongiello, Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Rostellato, Capone, Grassi, Mariano, Pelillo, Massa, Ventricelli, Losacco, Michele Bordo, Cassano, Di Gioia».


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di ottobre 2013 in Salento sono stati rinvenuti i primi focolai dell'infezione da Xylella fastidiosa che ha colpito piante di ulivo, anche monumentali, ed altre specie coltivate, ornamentali e spontanee, inizialmente nella provincia di Lecce, determinando un grave rischio di pandemia fitosanitaria;
    il batterio di Xylella fastidiosa è inserito nella lista A1 stilata dalla European and Mediterranean plant protection Organization quale organismo nocivo da quarantena per l'Unione europea ai sensi della direttiva 2000/29 del Consiglio dell'8 maggio 2000, ed è potenzialmente pericoloso per molte altre piante, come la vite e gli agrumi, importanti per l'agricoltura nazionale e per quella comunitaria;
    nelle indagini che la procura della Repubblica di Lecce sta conducendo, per accertare eventuali responsabilità sull'arrivo del batterio nel territorio salentino, una delle ipotesi ne contempla la provenienza dal Costa Rica dove è presente lo stesso ceppo;
    in seguito al ritrovamento del batterio la regione Puglia ha dato avvio ad un'intensa attività di monitoraggio dell'intero territorio regionale, con il coinvolgimento di istituzioni scientifiche nazionali ed internazionali;
    nell'estate del 2014 l'estensione delle infezioni sul territorio leccese è stata tale da pregiudicare la sopravvivenza di numerose specie vegetali produttive, con ingenti effetti anche di carattere economico e un significativo impatto sul mercato occupazionale;
    l'Italia è il secondo produttore mondiale di olio e il 30 per cento della produzione olearia italiana proviene dalla regione Puglia, nella quale vi sono più di 370.000 ettari coltivati;
    nel mese di luglio 2014, a seguito di una recrudescenza della diffusione del batterio nella provincia di Lecce, si è reso necessario un adeguamento delle strategie d'intervento nella gestione dell'emergenza fitosanitaria e a tal fine è stato istituito uno specifico comitato tecnico-scientifico composto dai rappresentanti delle principali istituzioni scientifiche nazionali ed internazionali, per supportare il comitato fitosanitario nazionale;
    il piano d'intervento elaborato dal comitato ha previsto azioni specifiche per la provincia di Lecce, tra le quali la creazione di una «zona cuscinetto» e di un ulteriore «cordone fitosanitario» tra la costa ionica e quella adriatica, con la funzione di area di sicurezza ove attuare azioni più incisive di lotta al batterio e ai suoi vettori, a tutela delle restanti aree indenni del territorio regionale e nazionale;
    detti interventi sono stati anche inclusi nel decreto ministeriale 26 settembre 2014, recante «Misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di Xylella fastidiosa (Well e Raju) nel territorio della Repubblica italiana»;
    la situazione di criticità dovuta alla diffusione del batterio ha coinvolto sia aree pubbliche che private, compromettendo non solo le attività produttive agricole ma anche quelle vivaistiche e quelle legate al turismo e arrecando un grave pregiudizio al territorio ed al patrimonio paesaggistico, tradizionalmente legati alla presenza degli ulivi monumentali;
    con la delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione Puglia ed è stato nominato un apposito commissario delegato;
    lo stato di emergenza è previsto per una durata di centottanta giorni, alla scadenza dei quali, nella prima metà del mese di agosto 2015, la regione Puglia dovrà provvedere alla gestione dell'emergenza in via ordinaria;
    nella sua audizione innanzi alla Commissione agricoltura della Camera dei deputati il 18 marzo 2015, il commissario straordinario per l'emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa ha affermato che «la malattia sta proseguendo rapidamente tant’è che, su 97 comuni che costituiscono la provincia di Lecce, ben 45 risultano con il territorio infetto (...) nelle ultime settimane abbiamo avuto dai laboratori del Cnr di Bari la segnalazione di nuovi focolai» e ha ribadito che «la situazione, complessa e di grandi dimensioni, è diventata estremamente allarmante per cui bisogna intervenire urgentemente avviando le iniziative di contrasto con estrema velocità»;
    il 3 aprile 2015 il Ministro dell'agricoltura francese ha firmato un decreto che prevede il divieto di importare in Francia «vegetali sensibili al batterio Xylella fastidiosa e provenienti dalle aree colpite» che è stato giudicato in linea con la legislazione dell'Unione europea da un esponente della Commissione europea;
    il divieto riguarda «gli scambi intra-europei con la regione Puglia e le importazioni provenienti dalle aree infettate in Paesi terzi»;
    il 28 aprile 2015 gli esperti degli Stati membri dell'Unione europea riuniti nel Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (Paff) hanno approvato le misure rafforzate proposte dalla Commissione europea per prevenire l'ulteriore introduzione e la diffusione all'interno dell'Unione europea della Xylella fastidiosa, che fanno seguito alle prime misure di emergenza adottate nel febbraio 2014 e ulteriormente specificate nel luglio 2014;
    le nuove misure dell'Unione europea impongono agli Stati membri di notificare la comparsa di nuovi focolai, di effettuare indagini ufficiali e di delimitare immediatamente le zone infestate, all'interno delle quali dovranno essere applicate misure di eradicazione rigorose che comprendono la rimozione e la distruzione delle piante infestate e di tutte le piante ospiti nel raggio di cento metri, indipendentemente dal loro stato di salute;
    le misure prevedono, inoltre, la possibilità per l'Italia di applicare misure di contenimento in tutta la provincia di Lecce, in cui l'eradicazione non è più possibile;
    l'osservatorio fitosanitario regionale ha calcolato che, con l'applicazione di tali misure, per ogni ulivo malato se ne abbatteranno trecento sani, secolari compresi, provocando, di fatto, più danni di quelli che sta già procurando la malattia;
    inoltre, le misure imposte dall'Unione europea minano alle fondamenta uno dei settori finora più floridi del Salento, quello vivaistico, posto che si prevede il blocco totale alla commercializzazione di molte specie e nessuna deroga per le viti, sebbene il ceppo di Xylella fastidiosa riscontrato in Puglia, come è stato dimostrato scientificamente, non sia in grado di attaccarle;
    il 7 maggio 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha emesso due ordinanze con cui ha accolto le richieste di sospensiva avanzate da 26 aziende biologiche e 26 vivaisti del leccese contro le misure di contenimento del batterio;
    la motivazione alla base dei due provvedimenti è da ricercarsi in un «imminente mutamento delle disposizioni di riferimento» che imporrebbero la rimodulazione degli atti impugnati, posto che «in data 28 aprile 2015 la Commissione europea ha adottato un nuovo testo di decisione di esecuzione sulla medesima questione, che si avvia a completare nei prescritti tempi il proprio iter interno ai fini della formale adozione e a sostituire la decisione 2014/497/CE, rispetto alla quale prevede misure differenti sia sul punto degli accertamenti tecnici da compiersi sia in ordine alle misure da adottare»;
    la mancanza di terapie efficaci per curare l'infezione e l'ampia gamma di specie vegetali sensibili rendono la Xylella fastidiosa una grave emergenza per il territorio nazionale,

impegna il Governo:

   a porre in essere tempestivamente tutte le iniziative di carattere straordinario ed urgente necessarie per arrestare la diffusione del predetto batterio sul territorio nazionale;
   ad intraprendere tutte le iniziative necessarie per la salvaguardia della produzione agricola pugliese, con particolare riferimento al settore dell'olivicoltura;
   ad attivarsi in ambito europeo affinché nella revisione delle misure adottate dal Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi sia introdotto il criterio della salvaguardia delle piante sane e, più in generale, che le misure adottate siano contemperate alle esigenze del settore agricolo pugliese;
   a sostenere la ricerca scientifica volta a combattere il batterio, a contrastarne la diffusione e ad elaborare misure di profilassi;
   a predisporre un'attività di ricognizione dei danni subiti dalle attività economiche e produttive per effetto della diffusione del patogeno nel territorio della regione Puglia;
   ad adottare le determinazioni necessarie a sospendere almeno temporaneamente le importazioni dai Paesi extracomunitari dai quali proviene la malattia.
(1-00873) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ottobre del 2013 nell'area del gallipolino viene annunciato il ritrovamento del patogeno da quarantena della Xylella fastidiosa su piante di olivo e su altre specie coltivate, ornamentali e spontanee e si registra una notevole criticità per la gestione di questa emergenza fitosanitaria unica per la sua specificità; la Xylella, come identificato dal Cnr-Istituto per la protezione sostenibile delle piante di Bari, è un batterio da quarantena inserito nella lista A1 dell’Eppo (European and Mediterranean plant protection Organization) che ha determinato l'avvio di un'intensa attività tecnico-amministrativa da parte della regione Puglia;
    la Xylella batterio gram-negativo presenta 4 varianti molecolari e quella che ha attaccato gli olivi salentini, è la Xylella fastidiosa pauca, originaria del Sud America; il batterio non ha infettato solo gli olivi salentini: nuovi casi sono stati registrati in Iran e sono giunte segnalazioni di possibili nuovi focolai, non ancora confermati, dal Kosovo e dalla Turchia;
    il batterio della Xylella fastidiosa, tuttavia, era già stato incluso nella lista degli organismi nocivi denunciabili dagli Stati membri dell'Unione europea nella direttiva 2000/29/CE del Consiglio dell'8 maggio 2000, «concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità», modificata dalla 2002/89/CE al fine di migliorarla e per meglio definirne e modalità di applicazione;
    dubbi sono emersi nella gestione di tale emergenza fitosanitaria, per cui molte misure indicate per l'eradicazione e il contenimento delle infezioni non trovavano ancora un riscontro scientifico tale da giustificare la stessa applicazione: è emersa la convinzione che la Xylella fastidiosa non poteva più essere eradicata e, quindi, andavano adottate misure diverse da quelle programmate inizialmente;
    una nuova strategia è stata adottata in data 29 aprile 2015 dal Consiglio dei ministri, che ha approvato la deroga al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, per l'attivazione del fondo di solidarietà nazionale, per la prima volta su un'emergenza fitosanitaria, per andare incontro alle necessità economiche degli agricoltori e dei vivaisti danneggiati dalla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa, prevedendo un plafond di 11 milioni di euro iniziali per interventi compensativi;
    l'introduzione e la diffusione di organismi nocivi ai vegetali quali funghi, batteri, virus e insetti tra le colture alimentari è una grave minaccia che può avere profonde ripercussioni economiche, sociali e ambientali. Gli organismi nocivi alle piante sono spesso introdotti in aree mai colpite prima mediante l'importazione di vegetali;
    l'allarme ha generato la convinzione di un potenziale sradicamento di circa 35 mila olivi, ma forse la cifra è destinata a crescere, il che significherebbe condannare definitivamente il Salento, dove si trovano anche alberi con oltre cinquecento anni di vita;
    secondo quanto indicato dall'Unione europea, vi è, inoltre, il fondato rischio che vengano espiantate anche le viti che si trovano in un raggio di 100 metri dagli ulivi infetti, aggiungendo un ulteriore danno incalcolabile all'economia pugliese;
    in Europa le misure di protezione contro l'introduzione di nuovi organismi nocivi ai vegetali si basano sui controlli di legge effettuati sulla circolazione dei vegetali e dei prodotti vegetali. La valutazione della probabilità che organismi nocivi ai vegetali vengano introdotti e poi diffusi in una zona e la valutazione delle potenziali conseguenze contribuiscono a informare il processo decisionale sulle misure di difesa fitosanitaria;
    l'attuazione di queste misure è stata affidata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ad un commissario ad hoc, il quale avrebbe poi confezionato uno specifico piano di attuazione, ma l'esecuzione di tale piano è stata bloccata dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale ne ha sospeso in via cautelare l'efficacia;
    bisognerebbe adottare ogni utile iniziativa al fine di elaborare, di concerto con la regione Puglia e nel rispetto della normativa europea vigente, un nuovo piano operativo per l'eradicazione della fitopatia Xylella fastidiosa, il quale sacrifichi il meno possibile gli esemplari colpiti e le stesse capacità produttive degli oliveti interessati e, al tempo stesso, contenga in modo efficace il diffondersi del suddetto batterio;
    tuttavia, in natura esistono 1.500 varietà di olivo, 500 delle quali in Italia; in Puglia ci sono soltanto poche varietà, che portano la regione a vantare orgoglio e qualità della produzione d'olio; la coltivazione prevalente di tale coltura comporta rischi paragonabili a quelli derivanti dall'avere una monocoltura;
    il 21 maggio 2015 sono entrate in vigore a tutti gli effetti, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, le nuove misure anti-Xylella che avevano ricevuto il via libera dal Comitato permanente per le piante gli animali, gli alimenti e i mangimi il 28 aprile 2015 e che prevedono una fascia di 20 chilometri nella parte nord di Lecce con requisiti di più stretta sorveglianza e l'eradicazione delle piante malate obbligatoria con test sulle piante ospiti nel raggio di 100 metri, un'ulteriore fascia di «zona franca» o buffer zone di 10 chilometri (a nord fuori dalla provincia di Lecce) con requisiti di stretta sorveglianza e poi una fascia ulteriore di 30 chilometri ancora a nord sotto osservazione;
    l'obbligo di eradicare piante nel raggio di 100 metri in presenza di una pianta malata vale solo per nuovi focolai che fossero rilevati fuori dalla provincia di Lecce e sono state poi previste severe restrizioni sulla movimentazione delle piante, vite inclusa, dalle aree infette;
    la decisione europea è senza dubbio equilibrata, come ha sottolineato il portavoce del Commissario dell'Unione europea alla salute Vytenis Andriukaitis, e tiene in considerazione le esigenze degli agricoltori, oltre che del valore del patrimonio naturale e storico rappresentato dagli ulivi pugliesi, permettendo di contrastare l'epidemia, penalizzando il meno possibile il territorio;
    il Parlamento europeo chiede, inoltre, «più attenzione alla ricerca», con maggiori fondi per scoprire come contrastare la Xylella fastidiosa e la fornitura di aiuti agli agricoltori, che sopportano notevoli costi aggiunti senza alcuna colpa;
    sulla battaglia per il contenimento, l'ex presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo ha ritenuto «molto dure le decisioni sugli abbattimenti prese dal Consiglio Ue, ma che tuttavia vanno applicate seriamente dando la “possibilità” in zone in cui bisogna convivere, come nella provincia di Lecce, di contenere l'espansione del vettore con le buone pratiche agricole, non con la chimica»;
    l’Efsa (European food safety Authority) ha rilasciato più di un breve parere nel quale spiega che, per quanto i test di patogenicità su Xylella richiedano ancora dei tempi tecnici, il batterio è stato trovato anche su giovani piante di ulivo senza funghi e su un'altra decina di specie e che è estremamente probabile, dato il suo genotipo, che si tratti di un elemento prima non presente sul territorio e che, dunque, al di là del suo ruolo nella sindrome da disseccamento, comunque tutt'altro che da escludere, la priorità è impedire che il batterio da quarantena si diffonda nel resto d'Europa;
    visto il focolaio infettivo in atto, la Commissione europea ha chiesto all’Efsa di fornire consulenza scientifica urgente, specificare l'elenco delle specie vegetali note che possono fungere da ospite, individuare le varie modalità con cui le specie vegetali infette e gli insetti vettori possono entrare nell'Unione europea e individuare nonché valutare le possibili misure di profilassi;
    gli esperti di salute delle piante dell’Efsa hanno concluso che la Xylella fastidiosa nell'Unione europea ha una vasta gamma di piante ospiti note, molte delle quali coltivate per la produzione agricola, ma anche specie selvatiche autoctone comuni in Europa. Vi è, inoltre, un gran numero di specie che potrebbero venire infettate dal batterio, ma che non vi sono mai state esposte, il che rende difficile stabilire quale sarà il suo impatto probabile su di esse. È importante sottolineare come le «sputacchine» e cicaline che si nutrono di linfa grezza presenti nell'Unione europea, potenziali portatrici della malattia, possono avere abitudini e modelli alimentari diversi;
    poiché l'unico mezzo naturale di diffusione della Xylella fastidiosa sono le «sputacchine» e cicaline che si nutrono di linfa grezza, che in genere possono volare per brevi distanze fino a 100 metri, il modo più efficace di diffusione a lunga distanza di Xylella fastidiosa è la movimentazione delle piante infette per la messa a dimora, per non parlare del trasporto degli insetti eventualmente portatori del batterio nella movimentazione commerciale dei vegetali che desta notevole preoccupazione;
    la principale fonte di introduzione nell'Unione europea di Xylella fastidiosa è, dunque, il commercio e subito dopo la movimentazione di vegetali destinati alla messa a dimora. Sono state, inoltre, valutate altre potenziali fonti di infezione, tra cui frutta, legno, fiori recisi, semi e piante ornamentali, ritenute però trascurabili o poco efficaci come possibili vie di introduzione del batterio;
    è evidente che il settore agricolo italiano sta vivendo una situazione di disagio economico causato dalla crisi in atto che nel corso del 2015 è peggiorata a causa di ulteriori aggravi di ordine fiscale, pari nel complesso ad oltre 760 milioni di euro. La parte più cospicua di essi è imputabile all'imposta municipale propria (IMU) sui terreni agricoli, che ha garantito un gettito pari a circa 350 milioni di euro, mentre l'IMU/TASI sui fabbricati rurali ha garantito un gettito pari a circa 150 milioni di euro;
    attualmente in Italia il settore agricolo, rilevante sotto molteplici aspetti, produce con i suoi due milioni di imprese il 9 per cento del prodotto interno lordo italiano, che aumenta sino al 14 per cento, considerando anche l'indotto, dando lavoro a 3,2 milioni di lavoratori nella filiera;
    il contributo fornito dal settore agricolo all'erario è valutato in più di 25 miliardi di euro, ma molte aziende agricole vivono una situazione insostenibile fatta di ricavi che non coprono più l'insieme dei costi produttivi e degli oneri tributari, cui devono far fronte poiché la redditività degli imprese agricole è ferma ai livelli del 2005;
    nonostante la devastazione provocata dalla Xylella fastidiosa, non è prevista l'esenzione dall'IMU agricola neanche per quei terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività aziendale, che si sono visti compromettere seriamente la redditività dell'attività di impresa, per cui risulta onerosa la corresponsione dell'imposta,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative per garantire un incremento delle misure per il co-finanziamento delle attività di contenimento, prevenzione e ripristino, che non siano totalmente a carico dei privati;
   ad assumere iniziative per esentare dall'IMU agricola i territori in cui la diffusione della Xylella e le misure contenitive abbiano determinato una significativa riduzione della produzione;
   ad assumere iniziative per prevedere, anche attivandosi in sede europea, appositi indennizzi per i produttori per i quali la diffusione della Xylella e le misure contenitive abbiano determinato una significativa riduzione della produzione, agendo, in particolare, per i produttori a certificazione biologica che non possano più fregiarsi di tale marchio a seguito dell'applicazione dei protocolli sanitari;
   ad assumere iniziative per disporre, per i produttori danneggiati, la sospensione per un periodo congruo del pagamento di tributi, mutui e prestiti, prevedendo allo scadere del periodo di sospensione un piano di rientro rateizzato e prevedendo, altresì, lo stanziamento di un fondo di compensazione, finanziato e garantito dalla Cassa depositi e prestiti, per evitare che la previsione si traduca in un gravame per i creditori e per le finanze pubbliche;
   ad assumere iniziative per garantire anche agevolazioni per la realizzazione, negli oliveti a rischio di diffusione della Xylella, di fasce di contenimento non ampie più di qualche centinaio di metri, in cui gli olivi vengano affiancati ad altre colture alimentari di qualità, nell'ottica di diminuire i tratti quasi monocolturali dell'agricoltura pugliese e sviluppare, al contempo, un tessuto produttivo ed un ecosistema meno fragile ai cambiamenti climatici in atto e all'aggressione da parte di parassiti e malattie;
   a valutare l'opportunità e la fattibilità di permettere la coltivazione di altre varietà naturali di olivo nelle zone già colpite dalla Xylella, nell'ambito di progetti di ricerca adeguatamente finanziati, per individuarne specie più resistenti ed anche a parziale indennizzo per i proprietari dei terreni;
   a favorire la prosecuzione e l'intensificazione delle attività di ricerca sulla gamma dei possibili organismi ospiti, sull'epidemiologia e sul controllo della Xylella in Puglia, come raccomandato dall’Efsa;
   a coordinare e supportare le attività di ricerca non solo per individuare un'efficace cura per la Xylella, ma anche per il suo contenimento, per la prevenzione del contagio, per il monitoraggio delle condizioni di salute delle piante e per la diagnosi precoce, anche mediante l'impiego di dati telerilevati, in particolare favorendo la ricerca in campo biomedico, agrario e dei cambiamenti climatici;
   ad assumere iniziative per subordinare i trattamenti con prodotti chimici a pratiche di coltivazione biologica, avendo in ogni caso cura di procedere con applicazioni puntuali, evitando aspersioni generalizzate su grandi aree e vietando espressamente l'irrorazione tramite velivoli;
   a favorire l'esercizio di un monitoraggio più accurato sul commercio delle piante destinate alla messa a dimora e sulla presenza di insetti infetti contenuti nelle spedizioni di vegetali, introducendo sistemi di controllo e di prevenzione delle importazioni di vegetali provenienti da altre zone del mondo;
   ad avviare le necessarie iniziative politico-istituzionali con la Commissione europea al fine di predisporre un tavolo tecnico con cui avviare una profonda revisione della direttiva 2000/29/CE, rivelatasi inadeguata nel sistema dei controlli dei flussi commerciali all'ingresso dell'Unione europea.
(1-00874) «Segoni, Baldassarre, Artini, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è il secondo produttore in Europa e nel mondo di olio di oliva con una produzione nazionale media per il 2013 di oltre 464 mila tonnellate, due terzi dei quali extravergine e con ben 41 denominazioni dop un'igp riconosciute dall'Unione europea. Per quanto attiene le zone altimetriche, l'olivo è diffuso per il 2 per cento in montagna, il 53 per cento in collina e per il 44 per cento in pianura. La coltivazione dell'olivo in Italia è molto diffusa nelle regioni del Centro e del Sud mentre al Nord è concentrata particolarmente in alcune zone a microclima più temperato, come per esempio la Liguria, le zone attorno al Lago di Garda e la Toscana;
    il nostro Paese può contare su un patrimonio di circa 250 milioni di piante su 1,1 milioni di ettari di terreno con un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro ed un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative. Le esportazioni italiane di olio di oliva nel 2013 sono state pari a oltre 1,2 miliardi di euro con gli Usa che rappresentano il principale mercato extracomunitario;
    la campagna olearia 2014/2015 si è caratterizzata da un crollo dei raccolti che, anche a causa del maltempo e delle varie fitopatie, ha fatto registrare una diminuzione della produzione a 302 mila tonnellate, circa il 35 per cento in meno a livello nazionale rispetto al 2013, con un impatto inevitabile sui prezzi. Le diminuzioni maggiori si sono registrate al centro-nord, con cali del raccolto tra il 35 e il 50 per cento. Il 2014 ha registrato la peggior campagna di raccolta delle olive a memoria d'uomo. Con il crollo dei raccolti nazionali una delle maggiori conseguenze sarà l'aumento delle importazioni, con il rischio di portare in tavola prodotti spacciati per made in Italy e di essere invasi dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza;
    la Xylella fastidiosa è un batterio gram-negativo strettamente xilematico, caratterizzato da un'elevata variabilità genetica e fenotipica. Per i gravi danni economici che può causare è classificata come organismo nocivo da quarantena dalla direttiva 2000/29/CE;
    il batterio è riconosciuto oggi tra gli agenti causali del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (Codiro) che sta causando ingenti danni agli oliveti secolari in Puglia. La trasmissione da una pianta all'altra avviene ad opera di un insetto vettore, il Philaenus spumarius (meglio noto come sputacchina), dotato di apparato boccale pungente-succhiante. All'interno della pianta le colonie di Xylella fastidiosa ostruiscono il flusso dei vasi linfatici bloccando la nutrizione delle specie colpite;
    nelle piante infette la presenza del batterio provoca generalmente rapidi disseccamenti del lembo fogliare (bruscature) distribuiti inizialmente a «macchia di leopardo» ma che si estendono poi rapidamente su tutta la chioma, inoltre si osserva un ridotto accrescimento dei rami, dei germogli e imbrunimenti interni del legno;
    la Xylella fastidiosa, oltre all'olivo, può infettare numerose altre piante (circa 300 specie) di interesse agricolo tra cui la vite, gli agrumi, il mandorlo, il pesco, il ciliegio, forestali (acero), ornamentali (oleandro) e alcune piante spontanee che possono fungere da serbatoio nell'ambiente e fonte di inoculo del batterio;
    dalle indagini eseguite l'origine della malattia è attribuibile a piante ornamentali giunte infette in Italia dal Sud America. Le prime avvisaglie della presenza del batterio risalgono al 2013 e considerata l'elevata pericolosità dello stesso, purtroppo, non si può affermare che ci sia stata da parte delle autorità competenti la dovuta tempestività attivando immediatamente le misure fitosanitarie necessarie. Di fatto questa lentezza iniziale ha favorito il diffondersi della malattia che sta compromettendo gran parte delle superfici olivicole della provincia di Lecce;
    al momento l'unico rimedio conosciuto per la lotta alla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa è quello del taglio radicale del tronco e l'estirpazione della pianta;
    il nostro Paese ha ricevuto negli ultimi anni numerosi audit da parte del Food and Veterinary Office (FVO) dell'Unione europea che hanno sempre evidenziato la scarsa applicazione di misure di eradicazione/contenimento del batterio. Inoltre il Food and Veterinary Office ha sottolineato come il Servizio fitosanitario centrale non abbia attivato tempestivamente i controlli sulle attività svolte dalla regione Puglia;
    in Puglia le analisi effettuate a campione per stabilire la presenza del batterio sono state affidate al laboratorio dello Iam (Istituto agronomico mediterraneo) di Valenzano (Bari), il quale, godendo del diritto di extraterritorialità, non è tenuto a presentare i dati ufficiali e a pubblicarli su riviste scientifiche accreditate, così come non è tenuto a fornirli alla procura di Lecce che li ha richiesti e che non è autorizzata a disporre il sequestro della documentazione;
    nell'ottobre del 2013 l'Italia ha informato gli Stati membri e la Commissione europea della presenza di questo batterio e, poiché la presenza della Xylella fastidiosa non si era ancora mai manifestata in Europa, l'Unione europea ha provveduto ad emanare successive misure di emergenza per ridurre i rischi di diffusione della malattia imponendo misure straordinarie e drastiche. Infatti, inizialmente, sono state emanate due decisioni comunitarie, la n. 2014/87/UE del 13 febbraio 2014 e la n. 2014/497/UE del 23 luglio 2014, un decreto ministeriale n. 2777 del 26 settembre 2014 e vari atti regionali con i quali sono state disposte misure urgenti da attuare. La decisione di esecuzione n. 2014/497/UE, relativa alle misure per impedire l'introduzione e la diffusione nell'Unione europea della Xylella fastidiosa, prevede che gli Stati membri debbano definire zone delimitate e adottare le misure necessarie. Tali zone delimitate dovrebbero essere costituite da una zona infetta e una zona cuscinetto. Le specifiche misure volte all'eradicazione del batterio dovrebbero essere la rimozione e distruzione in loco delle piante contagiate, di parti di piante o di legname contagiato, il trattamento fitosanitario specifico delle piante, e il divieto, altresì, di piantagione di piante specificate e piante appartenenti allo stesso genere delle piante contagiate in siti che non siano a prova di vettore;
    l'ultima decisione di esecuzione è del 18 maggio 2015, la n. 2015/789, in fase di recepimento in Italia, che ha introdotto severe restrizioni all'importazione di piante ospiti di Xylella fastidiosa dal Costa Rica e dall'Honduras. La decisione ha considerato compromesso il territorio della provincia di Lecce per il quale non è più tecnicamente possibile eliminare la malattia. Sono state inoltre inserite più di 100 piante ospiti che dovranno essere oggetto di monitoraggio nel territorio comunitario. Prevede, inoltre, di stabilire una zona di sorveglianza con un raggio di almeno 30 chilometri, adiacente alla zona delimitata che copre la zona infetta della provincia di Lecce in cui le ispezioni si basano su una griglia suddivisa in quadrati di 100 metri per 100 metri. È stabilita, infine, una zona di sorveglianza con un raggio di almeno 30 chilometri, adiacente alla provincia di Lecce;
    il Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2015 ha dichiarato lo stato di emergenza correlato alla diffusione nel territorio pugliese del batterio. È questo il primo caso in cui la Protezione civile è stata incaricata di gestire un'emergenza fitosanitaria. Infatti, è stato nominato in qualità di commissario delegato per fronteggiare l'emergenza della Xylella fastidiosa il comandante regionale del Corpo forestale dello Stato per la Puglia, Giuseppe Silletti, con il compito di predisporre una ricognizione dei danni causati alle attività economiche e produttive;
    il 19 marzo 2015 il sopradetto commissario ha adottato un piano degli interventi per la lotta al batterio modificando la demarcazione della zona di intervento e definendo gli interventi da attuare e la tempistica. Il piano prevede principalmente l'estirpazione delle piante infette, distruzione delle specie ospiti all'interno dei vivai, trattamento fitosanitario per il controllo dei vettori adulti in oliveti e frutteti, controllo dei vettori situati sulle erbe infestanti spontanee;
    questa vicenda sta piegando l'agricoltura salentina, già duramente vessata dalla crisi dei mercati e dai provvedimenti del Governo – come l'introduzione dell'Imu sui terreni agricoli e la riduzione delle forniture di carburante agricolo;
    in data 27 marzo 2015, il Tar di Lecce ha accolto il ricorso cautelare contro l'eradicazione degli ulivi colpiti dalla Xylella fastidiosa, depositato dai legali dei proprietari delle piante contagiate, e ha quindi sospeso le procedure di abbattimento;
    il 7 maggio 2015 il Tar del Lazio ha accolto in via cautelare il ricorso presentato da alcuni vivaisti salentini, sospendendo l'operatività del piano Silletti per l'emergenza Xylella fastidiosa fissando al 16 dicembre 2015 la trattazione del ricorso nel merito. Il ricorso è stato accolto in considerazione del fatto che l'Unione europea ha adottato un nuovo testo di decisione di esecuzione sulla questione che in un certo senso supera il piano del commissario Silletti;
    il giudice monocratico del Consiglio di Stato, nei giorni scorsi, ha respinto la richiesta presentata dal commissario Silletti contro l'ordinanza del Tar del Lazio con la quale erano state sospese alcune delle misure previste dal suo piano tra cui le eradicazioni delle piante malate ed in particolare i trattamenti insetticidi. Il giudice monocratico ha infatti dichiarato che la sospensiva avrebbe determinato «(...) l'attuazione del programma di abbattimento degli ulivi malati o sospettati di esserlo, con effetti irreversibili che si determinerebbero ancora prima della definizione in sede collegiale della fase cautelare del giudizio.». Uno stop che potrebbe portare il commissario Silletti a rivedere il suo piano rendendolo più rispondente a novità, istanze e legittime problematiche del tessuto produttivo e dell'ambiente;
    la situazione appare estremamente allarmante in quanto l'area interessata dalla malattia è in costante espansione e la mancata applicazione di misure fitosanitarie quali l'abbattimento delle piante infette e la lotta in ogni areale dell'insetto vettore fanno ipotizzare un peggioramento della situazione già oggi drammatica;
    il Ministro francese dell'agricoltura Stéphane Le Foll ha firmato un decreto – considerato in linea con la legislazione europea – in vigore dal 4 aprile 2015, che prevede il blocco delle importazioni da Paesi terzi e vieta le importazioni dei vegetali a rischio Xylella fastidiosa dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio, per una lista di 102 tipi di piante vive, con la conseguenza che la maggior parte dei contratti già in corso sono stati sospesi e le vendite si sono quasi azzerate;
    il blocco totale della vendita e dell'esportazione di tutte le specie arboree attaccabili da Xylella fastidiosa ha costretto alla chiusura gran parte dei vivai salentini, con una perdita occupazionale di mille unità nella sola zona di Otranto, a causa dell'embargo per le barbatelle della vite, che risultano invece essere immuni al batterio. Non sarà più possibile impiantare in provincia di Lecce ulivi, viti, mandorli, aranci e piante ornamentali quali oleandri e querce;
    il recente caso di Xylella fastidiosa scoperto in Francia, su una pianta di caffè proveniente dall'America centrale attraverso l'Olanda, conferma che l'embargo unilaterale imposto all'Italia su 102 varietà vegetali non serve per fermare la malattia, in quanto il vero problema è il controllo sanitario delle specie provenienti soprattutto dai Paesi extraeuropei;
    le aziende hanno bisogno di finanziamenti per provvedere alle buone pratiche agricole, potare e disinfettare gli ulivi con prodotti naturali e non tossici (solfato di rame e calce diluiti in soluzione liquida). Buone pratiche colturali adeguate, interventi periodici, tesi all'arieggiamento delle piante e miglioramento dello stato vegetativo, possono ridurre in maniera imponente tali vettori, senza alcun impatto ambientale;
    è necessario garantire il sostegno, con risorse adeguate, alla ricerca scientifica, alla sperimentazione in campo e alla condivisione dei dati con i Paesi comunitari del bacino mediterraneo, per salvare un bene pubblico che tutto il mondo invidia all'Italia;
    il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recente «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali» prevede, all'articolo 5 (accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole che hanno subito danni a causa di eventi alluvionali e di infezioni di organismi nocivi vegetali) interventi compensativi di sostegno in favore delle imprese agricole che hanno subito danni a causa di infezioni di organismi nocivi ai vegetali nel corso degli anni 2014 e 2015, nonché l'integrazione della dotazione finanziaria di 1 milione di euro per l'anno 2015 e di 10 milioni di euro per l'anno 2016. Ma ad oggi il danno provocato dal batterio ammonta a circa 200 milioni di euro, un valore riduttivo che tiene conto solo del valore della pianta e non considera quello del territorio;
    nella regione Lombardia negli scorsi mesi gli addetti del servizio fitosanitario, su segnalazione dei colleghi olandesi, ha svolto accertamenti anche su spedizioni di piante di caffè provenienti dal Sud America e considerate a rischio. In alcuni casi le indagini analitiche svolte dal laboratorio fitopatologico del servizio fitosanitario hanno evidenziato la presenza del batterio. Tutti i lotti di appartenenza delle piante infette sono stati distrutti. In questo caso non si segnala nessun tipo di allarme in quanto nel periodo in cui sono state intercettate le piante infette nel nostro ambiente non era presente il vettore. Sono, inoltre, state fatte verifiche presso i vivaisti lombardi per scongiurare la movimentazione di olivi provenienti dalle aree in cui è presente la Xylella fastidiosa e anche in questo caso non sono state rinvenute irregolarità. Ad oggi, considerati i controlli eseguiti, è possibile dichiarare il territorio della Lombardia libero da Xylella fastidiosa e a tal proposito si sta valutando la possibilità, nel rispetto degli standard fitosanitari internazionali, di dichiarare il territorio lombardo «pest free» per il batterio;
    anche in Liguria nei giorni scorsi è scattato l'allarme, anche questo rientrato, per una sospetta pianta infetta da Xylella fastidiosa trovata in un vivaio. Questo a dimostrazione del fatto che la situazione di emergenza in cui ci si trova è dovuta anche alla mancanza di controlli efficaci alle frontiere dell'Unione europea sulle piante provenienti da Paesi extraeuropei che possono ospitare il batterio;
    oggi è stato colpito il Salento, domani potrebbe essere colpita qualunque altra regione. Il batterio, infatti, potrebbe diffondersi anche in altre zone del Paese, producendo ulteriori danni all'olivicoltura nazionale sia dal punto di vista economico che ambientale e peggiorare una situazione già critica a causa delle produzioni in costante calo, correndo il rischio di cancellare l'olivicoltura, la sua economia e tutto l'indotto collegato al settore, riducendo in povertà l'intero comparto. Solo con misure idonee si può salvaguardare una coltura di pregio e di qualità,

impegna il Governo:

   a prevedere ulteriori misure volte a prevenire il rischio che il batterio si diffonda anche in altre regioni, andando a colpire le coltivazioni di ulivo, qualora il sistema di controllo del materiale vivaistico prodotto nella provincia di Lecce, soggetto a fortissime restrizioni, si rivelasse insufficiente;
   a prevenire il rischio potenziale che il batterio, mutando il ceppo, possa andare a colpire le coltivazioni di vite;
   a prevedere, nelle opportune sedi, possibili riduzioni degli sbocchi commerciali sia intracomunitari – anche se la decisione adottata il 18 maggio 2015 dovrebbe scongiurare tale pericolo – sia extracomunitari riguardanti le piante ospiti di Xylella fastidiosa (più di 100) che potrebbe danneggiare anche il vivaismo delle altre regioni come la Lombardia, Liguria e Toscana;
   ad intervenire affinché i fondi comunitari per provvedere all'eradicazione delle piante e ai trattamenti chimici vengano utilizzati soprattutto per indennizzare il comparto agricolo danneggiato;
   ad attivarsi nelle opportune sedi europee, al fine di predisporre efficaci misure di rafforzamento dei controlli sanitari in ingresso alle frontiere dell'Unione europea e prevedere misure di embargo nei confronti delle aree da cui proviene il batterio, come ad esempio il Centro America, nonché un doveroso periodo di quarantena delle piante provenienti dai Paesi extraeuropei al fine di bloccare il commercio di materiale vegetale infetto;
   a prevedere, tramite opportuna iniziativa normativa volta a modificare la legge n. 34 del 2015, l'esenzione totale dall'Imu sui terreni agricoli per quelle aziende che hanno subito o subiranno danni alle proprie colture a causa del batterio Xylella fastidiosa o da altre fitopatie epidemiche;
   a prevedere iniziative volte ad escludere dal patto di stabilità interno le somme impegnate dagli enti locali per l'attuazione di piani di intervento per fronteggiare sia l'emergenza Xylella fastidiosa che anche altri tipi di emergenze fitosanitarie;
   ad incentivare l'attività di ricerca per individuare misure atte a prevenire e curare le specie affette dal batterio Xylella fastidiosa, oltre ad altri patogeni che potrebbero mettere a rischio anche altre colture nel nostro Paese al fine di salvaguardare le specialità ed eccellenze italiane;
   a mettere a disposizione del settore olivicolo maggiori risorse per il rilancio dell'olivicoltura scindendo però l'argomento del piano olivicolo nazionale dall'emergenza Xylella fastidiosa.
(1-00875) «Fedriga, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza della navigazione e della prevenzione dell'inquinamento marino causato dalle navi, Organizzazione marittima internazionale (IMO) nel 2008 ha adottato una risoluzione di modifica dell'allegato VI del protocollo del 1997 che modifica la convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi del 1973 (convenzione MARPOL) che contiene una regolamentazione per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico causato dalle navi. Il succitato allegato riveduto della convenzione MARPOL è entrato in vigore il 1o luglio 2010;
    l'allegato VI riveduto della convenzione MARPOL introduce, tra l'altro, limiti al contenuto di zolfo più severi per il combustibile per uso marittimo nelle zone di controllo delle emissioni di zolfo (security emission controlled areas – SECA), pari all'1,00 per cento dal 1o luglio 2010 e allo 0,10 per cento dal 1o gennaio 2015), nonché nelle aree marittime al di fuori delle SECA pari allo 3,50 per cento dal 1o gennaio 2012 e, in linea di principio, allo 0,50 per cento dal 1o gennaio 2020;
    con l'adozione dell'allegato VI alla convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi, l'Unione europea ha emanato la direttiva 2005/33/CE, che ha modificato quanto stabilito dalla direttiva 1999/32/CE del Consiglio del 26 aprile 1999, in relazione al tenore di zolfo contenuto nei combustibili per uso marittimo. La direttiva 2005/33/CE è stata recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 205 del 2007;
    la raccomandazione della Commissione europea n. 2006/339/CE dell'8 maggio 2006 finalizzata a promuovere l'utilizzo di elettricità erogata da reti elettriche terrestri per le navi ormeggiate nei porti comunitari formula una serie di raccomandazioni agli Stati membri dell'Unione, riguardanti: a) la possibilità di installare sistemi di erogazione dell'elettricità dalle reti terrestri per le navi ormeggiate nei porti, in particolare in quelli in cui vengono superati i valori limite per la qualità dell'aria oppure nei casi in cui siano stati manifestati timori da parte del pubblico riguardo ad elevati livelli di inquinamento acustico, in particolare negli ormeggi situati nelle vicinanze di zone residenziali; b) l'opportunità di valutare l'offerta di incentivi economici agli operatori affinché utilizzino l'elettricità erogata da terra per le navi, sfruttando le opportunità introdotte dalla legislazione comunitaria; c) la promozione di azioni di sensibilizzazione delle autorità locali competenti delle zone portuali, delle autorità marittime, delle autorità portuali, delle società di classificazione e delle associazioni industriali in merito all'erogazione di elettricità dalle reti terrestri;
    la direttiva 2012/33 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 che modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 112 del 16 luglio 2014, sulla base della delega contenuta nella legge 6 agosto 2013, n. 96 (legge di delegazione europea 2013) precisa che l'inquinamento atmosferico provocato dalle navi all'ormeggio rappresenta uno dei maggiori problemi di molte città portuali relativamente ai loro sforzi per rispettare i valori limite dell'Unione sulla qualità dell'aria e ritiene opportuno che gli Stati membri sostengano l'utilizzo di un sistema elettrico lungo la costa, poiché attualmente l'alimentazione elettrica delle navi è di solito assicurata da motori ausiliari;
    la suddetta direttiva modificando la direttiva 32 del 1999, già precedentemente modificata dalla direttiva 2005/33/CE, in materia di livelli massimi di zolfo dei combustibili per uso marittimo utilizzati dalle navi all'ormeggio nei porti dell'Unione stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per garantire che le navi all'ormeggio nei porti dell'Unione non utilizzino combustibili per uso marittimo con tenore di zolfo superiore allo 0,10 per cento in massa, accordando all'equipaggio tempo sufficiente per completare le necessarie operazioni per il cambio del combustibile il più presto possibile dopo l'arrivo all'ormeggio e il più tardi possibile prima della partenza. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a formulare le debite prescrizioni affinché siano iscritti nei giornali di bordo i tempi delle operazioni di cambio del combustibile;
    al tenore di zolfo, indicato nella misura dello 0,10 per cento in massa, è possibile derogare, ammettendosi la deroga per le navi all'ormeggio nei porti con i motori spenti e collegate ad un sistema elettrico lungo la costa, oltre che per quelle navi che restano ormeggiate per meno di due ore;
    l'elettrificazione delle banchine portuali rappresenta una significativa soluzione alternativa alla riduzione delle emissioni inquinanti, specie di diossido di zolfo considerato una delle principali sostanze chimiche responsabili della formazione delle piogge acide e dell'inquinamento atmosferico da polveri sottili, rappresentando, queste ultime, il principale fattore di rischio, delle malattie cardiovascolari e respiratorie. A livello europeo, secondo quanto si apprende dal rapporto Mal'Aria 2015 di Legambiente, nel 2010 il settore navale ha contribuito all'emissione in atmosfera di 2,3 milioni di tonnellate di ossido di Zolfo (SO2) e 3,3 milioni di tonnellate di ossido di azoto (NOx) e 250 mila tonnellate di particolato (PM10), numeri che, secondo uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), si traducono in 50 mila decessi annui e in 58 miliardi di euro di costi sanitari, che vanno ad incidere principalmente nelle aree costiere e portuali, dove le navi transitano ed ormeggiano;
    allo stato attuale in molte realtà è stata adottata la tecnologia dell'elettrificazione delle banchine portuali al fine di abbattere le emissioni inquinanti e climalteranti, con risultati positivi in termini riduzione dell'inquinamento, dei costi del carburante e di immagine, costituendo un fattore di stimolo per le autorità portuali e le compagnie impegnate in sforzi sempre maggiori in tale direzione. Città come Los Angeles, Seattle, Vancouver, Göteborg, Lubecca e moltissime altre rappresentano straordinari esempi di come l'utilizzo di tale tecnologia contribuisca in modo notevole alla riduzione delle emissioni inquinanti e quindi alla tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini;
    in Italia ci sono state concrete manifestazioni di interesse verso questa tecnologia. Molte regioni hanno sottoscritto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare degli accordi di programma finalizzati alla realizzazione di interventi di elettrificazione delle banchine portuali. Ciò è avvenuto tra la regione Toscana e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativamente al porto di Livorno, così come tra la regione Liguria e il Ministero, relativamente al porto di Genova. Molte altre regioni e città portuali hanno inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare informazioni su progetti per l'elettrificazione delle banchine e l'efficientamento energetico;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dispone di un apposito fondo previsto dall'articolo 1 del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16, «Interventi urgenti per la tutela dell'ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica», convertito dalla legge 22 aprile 2005, n. 58, modificato dall'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, utilizzato per il finanziamento dei citati interventi nelle regioni Liguria e Toscana e che potrebbe essere utilizzato per l'esecuzione di ulteriori interventi in materia, che nel corso degli anni è stato progressivamente svuotato e da oramai 3 anni non dispone di alcuna risorsa;
    la politica ambientale dell'Unione europea, definita nei programmi di azione in materia ambientale e in particolare nel settimo programma di azione per l'ambiente «Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta», adottato con decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, e in coerenza con gli obiettivi definiti nella strategia Europa 2020, ha tra i suoi obiettivi l'attuazione di interventi finalizzati al contrasto delle minacce alla salute e al benessere dei cittadini europei, come l'inquinamento dell'acqua e dell'aria, i livelli eccessivi di rumore e le sostanze chimiche tossiche, oltre che interventi volti a trasformare l'Unione europea in un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'impiego delle risorse;
    conformemente all'articolo 193 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) le direttive in materia ambientale non impediscono agli Stati membri di mantenere o introdurre, in sede di recepimento, norme più rigide di quelle dell'Unione europea per una protezione dell'ambiente e della salute ancora maggiore. Invero, il Governo, accogliendo la condizione prevista nel parere espresso dalla VIII Commissione ambiente della Camera in sede di esame parlamentare dello schema di decreto legislativo, ha previsto limiti più stringenti sia sotto il profilo temporale che sotto il profilo del tenore di zolfo dei combustibili marittimi usati in determinate aree. La direttiva 2012/33 prevede un limite generale al tenore di zolfo contenuto nei combustibili marittimi usati nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione ecologica. Tale limite fissato nella misura del 3,50 per cento si riduce a partire dal 1o gennaio 2020 allo 0,50 per cento. La norma di recepimento di tale direttiva ha invece previsto che per i mari Adriatico e Ionio si applica il limite dello 0,10 per cento al tenore di zolfo a partire dal 2018, mentre invece per gli altri mari pur confermando il limite temporale al 2020 si prevede una riduzione del tenore di zolfo allo 0,10 per cento, a condizione che gli Stati membri dell'Unione europea, prospicienti le stesse zone di mare abbiano previsto l'applicazione di tenori di zolfo uguali o inferiori,

impegna il Governo:

   al fine di ridurre le emissioni atmosferiche delle navi ormeggiate attraverso l'erogazione di elettricità da terra, e di valorizzare la produzione di energia da fonti rinnovabili, ad adottare un piano nazionale di elettrificazione delle banchine portuali destinate al traffico commerciale e di passeggeri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzato alla realizzazione di interventi di elettrificazione delle banchine portuali;
   a promuovere la stipulazione di appositi accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le autorità portuali e le regioni per la realizzazione degli interventi contenuti nel piano nazionale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per provvedere al progressivo ripristino delle risorse del fondo previsto dall'articolo 1 del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16 «Interventi urgenti per la tutela dell'ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica» convertito dalla legge 22 aprile 2005, n. 58, modificato dall'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
   a valutare l'opportunità di utilizzare per il finanziamento degli interventi di elettrificazione delle banchine portuali le risorse del fondo di sviluppo e coesione per il ciclo di programmazione 2014-2020;
   a promuovere in sede europea forme di collaborazione in seno all'Organizzazione marittima internazionale (IMO), al fine di incoraggiare la formulazione di norme internazionali armonizzate volte a favorire tali interventi.
(1-00876) «Tidei, Amato, Basso, Bergonzi, Bonaccorsi, Brandolin, Capone, Carella, Carrescia, D'Attorre, D'Incecco, Epifani, Ferro, Galperti, Iori, Meta, Mura, Piazzoni, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Vico, Zan, Zoggia».

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il 12 febbraio 2015 una neonata è morta all'ospedale di Ragusa, nel reparto di rianimazione pediatrica, dopo essere stata trasferita d'urgenza in ambulanza da una clinica privata di Catania;
    la bimba, che aveva avuto gravi crisi respiratorie dopo la nascita, era stata trasferita perché nel capoluogo etneo non c'erano posti disponibili, ma è morta prima del ricovero;
    sull'episodio la procura di Ragusa ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità mediche e sulla disponibilità di strutture cliniche non adeguate a Catania o nelle province più vicine. Indaga la polizia di Stato;
    secondo una prima ricostruzione della vicenda, la neonata sarebbe entrata in crisi respiratoria dopo il parto, avvenuto regolarmente in una clinica privata di Catania. Nella sala erano presenti, tra gli altri, il ginecologo di fiducia della donna, un anestesista, un rianimatore e un neonatologo;
    i medici si sono accorti subito della gravità del quadro clinico della piccola e hanno contattato le unità di trattamento intensivo neonatale (Utin) di Catania per trasferire d'urgenza la piccola paziente. Ma erano tutte senza disponibilità di posti. È stato così contattato il 118 che ha cercato e trovato una Utin disponibile nell'ospedale «Paternò-Arezzo» di Ragusa;
    la clinica ha quindi provveduto, con un'ambulanza privata, al trasporto della neonata a Ragusa, con al seguito i medici specialisti della struttura privata. Dopo Vizzini, e in territorio della provincia di Ragusa, prima dell'alba, la piccola paziente ha avuto una violenta crisi. I medici a bordo dell'ambulanza hanno tentato di rianimarla, ma la neonata è morta;
    i sentimenti di lutto e di dolore si accompagnano anche a una riflessione su quanto la triste vicenda ha fatto emergere in merito a problematiche della rete nazionale dei punti nascita che nel recente passato sono stati analizzati sia dal Governo che dal Parlamento;
   il riferimento va da un lato al «piano punti nascita» (linee d'azione approvate dalla Conferenza Stato-regioni-province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010) formulato dal Ministero della salute allora retto dal Ministro Fazio, dall'altro alla relazione conclusiva dell'indagine sui punti nascita varata nel 2012 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario e sui disavanzi sanitari regionali (istituita dalla Camera nella XVI legislatura);
    quei due documenti disegnavano un quadro della rete dei punti nascita con problemi e necessità di intervento che – come drammaticamente confermato da quanto accaduto in Sicilia con una neonata che non ha trovato posto in strutture adeguate sul piano sia dei posti letto che delle strutture necessarie a garantire l'intervento d'urgenza – è necessario affrontare;
    in sostanza sia il Ministero della salute che la Camera (che nel suo complesso, con il voto unanime dell'Assemblea del 22 febbraio 2012, approvò la relazione della Commissione d'inchiesta) convennero su alcuni punti ben precisi. In particolare:
     a) la necessità di affrontare il tema della frammentazione sul territorio dovuta alla presenza di punti nascita con un numero di parti annui inferiori agli standard internazionali (fissati in una forbice tra 800 e 1.000), sotto i quali le statistiche affermano in modo inequivocabile che non vi sono le necessarie condizioni di sicurezza per le partorienti e per i nascituri e mancano, a fronte di un numero di parti a volte di massimo 5-6 al mese, dotazioni tecnologiche in grado di fronteggiare le emergenze;
     b) l'avvio di un piano di chiusure ed accorpamenti in strutture di eccellenza con tecnologie, livelli di formazione del personale e capacità gestionali in grado di servire H24 i territori di riferimento, in primo luogo grazie alla presenza ovunque di sale operatorie e reparti di rianimazione altrimenti oggi assenti nelle strutture più marginali;
    azioni di riforma e modernizzazione di questo tipo rischiano di scontrarsi con contestazioni e proteste, a volte avallate dagli amministratori locali per motivi politico-elettorali, di chi non vuole vedersi privare di strutture mediche di prossimità. Ma se queste strutture, per quanto vicine, non sono in grado di garantire standard qualitativi e di sicurezza al passo con le esigenze di salute, allora bisogna avere il coraggio di accettare cambiamenti;
    il 22 febbraio 2012 la Camera ha approvato all'unanimità la risoluzione in Assemblea n. 6-00104 che impegnava il Governo in particolare:
     all'attivazione, nell'ambito delle linee d'azione approvate dalla Conferenza Stato-regioni-province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010, di un'organica azione di monitoraggio periodico sui punti nascita, con particolare riferimento all'accorpamento di quelli con un numero di parti insufficiente a garantire un adeguato auto-addestramento degli operatori, nonché con riferimento al numero e all'appropriatezza dei parti cesarei e all'applicazione delle relative linee guida; alla presenza della guardia medica ostetrica e ginecologica e di pediatri neonatologi 24 ore su 24 in tutti i punti nascita;
     alla diffusione del Servizio di trasporto d'emergenza neonatale (STEN);
     a promuovere, di concerto con le regioni e le province autonome, misure o azioni volte a garantire a tutte le donne uguali opportunità nell'accesso a servizi completi di salute riproduttiva, così come ad incrementare la loro consapevolezza sui loro diritti e sui servizi disponibili;
     a promuovere la classificazione del rischio al momento del ricovero a cui devono seguire specifici «percorsi assistenziali» differenziati per la corretta valutazione del rischio della donna in occasione del primo parto, che rappresenta la base per una valida impostazione di un piano di assistenza appropriato e per la precoce individuazione delle potenziali complicanze,
    rispondendo a interrogazioni a risposta immediata sulla vicenda avvenuta in Sicilia, il Ministro Lorenzin ha affermato anche: «Ad oggi, si tendono ancora a mantenere anche dei punti nascita al di sotto dei 500 parti l'anno che per noi sono inaccettabili (...) in Sicilia e sono inaccettabili in ogni punto del territorio nazionale, perché sotto i 500 parti l'anno un punto nascita è pericoloso, per la madre e per il bambino. Questa deve essere una cosa chiara a tutti»,

impegna il Governo

ad elaborare ed attuare, tenendo conto del contenuto delle linee d'azione approvate dalla Conferenza Stato-regioni-province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010 e della risoluzione approvata dalla Camera il 22 febbraio 2012, azioni in grado di portare a compimento il processo di rivisitazione, razionalizzazione e ammodernamento della rete dei punti nascita, così da garantire un contesto di assoluta sicurezza per le partorienti, per i nascituri e per lo stesso personale medico e sanitario che vi opera.
(7-00693) «Fucci, Amato, Burtone, Ciracì».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per la coesione territoriale fu istituita dall'articolo 10 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, con l'obiettivo di dotare l'amministrazione pubblica di un «organo d'indirizzo e di presidio dell'attuazione della programmazione dei fondi strutturali»;
   infatti, attraverso l'utilizzo di risorse aggiuntive nazionali e comunitarie, l'Agenzia provvederebbe a sostenere, promuovere e accompagnare, secondo criteri di efficacia ed efficienza, programmi e progetti per lo sviluppo e la coesione economica nonché a rafforzare l'azione di programmazione e sorveglianza di queste politiche;
   l'intento era quello di evitare il rischio della dispersione di risorse stanziate attraverso i fondi europei. Tuttavia, dopo tre anni, una legge nel 2013 e diversi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri nel 2014 per lo statuto e per la nomina del direttore generale, l'Agenzia per la coesione territoriale non è ancora nel pieno delle sue funzioni;
   devono ancora insediarsi il comitato direttivo (i cui rappresentanti sono stati nominati dalle regioni a fine marzo 2015) e il collegio dei revisori, i cui atti costitutivi sono alla registrazione della Corte dei conti. Solo quando questi ultimi passaggi saranno portati a termine, potrà essere adottato anche il regolamento organizzativo che darà all'Agenzia il via libera definitivo per essere finalmente operativa;
   l'Agenzia dovrebbe rendere più efficiente l'uso di più di 40 miliardi di euro di risorse europee entro il 2020, a cui se ne accompagnano almeno altri 20-25 di cofinanziamento nazionale;
   è un'emergenza, da più parti avvertita, la necessità di un utilizzo mirato dei fondi europei da parte delle regioni e dei Ministeri. In questa direzione, il documento di economia e finanza per il 2015, ha evidenziato che, perché le riforme strutturali possano svilupparsi appieno, è necessario che nei prossimi anni la ripresa economica non venga ostacolata da misure restrittive o comportamenti che vanifichino gli sforzi compiuti, proprio perché le condizioni finanziarie e creditizie a livello internazionale disegnano una finestra favorevole, ma limitata;
   occorre, dunque, spendere prima e meglio le risorse a disposizione. Nello specifico, svolgono un ruolo decisivo le risorse per la politica di coesione. Infatti, nonostante le significative riduzioni del fondo sviluppo e coesione e del cofinanziamento dei fondi strutturali, e gli utilizzi impropri (soprattutto del Fsc), tali risorse (nazionali e comunitarie) costituiscono nel complesso metà della spesa in conto capitale del Sud e poco meno di un quarto di quella di tutto il Paese;
   la programmazione dei fondi europei, non risulta ad oggi ancora definita, infatti, la maggior parte dei programmi operativi Fesr 2014-2020 (tra cui quelli delle regioni meridionali e programmi nazionali essenziali come quelli per trasporti, ricerca e competitività) deve essere ancora approvata, ad un anno dall'avvio ufficiale del nuovo ciclo di programmazione. Così come manca di definizione la programmazione del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, che la legge di stabilità del 23 dicembre 2014 ha previsto di utilizzare per piani strategici ancora non conosciuti;
   per quanto concerne la qualità dei progetti e la certezza dei tempi, l'Agenzia per la coesione, pur con l'accelerazione della spesa dei fondi europei nel 2014, sta ancora a fatica completando la sua entrata a regime;
   esiste il gravissimo rischio che i 12 miliardi di euro, messi a disposizione dall'Unione europea, e non ancora utilizzati, vadano perduti, se non saranno spesi entro la fine del 2015. Si tratta di risorse che giacciono inutilizzate e che confermano la cronica incapacità italiana di presentare progetti d'investimento credibili, fatti secondo le regole, e di cofinanziarli con risorse nazionali. Prime responsabili di questo stato di cose sono le regioni, in particolare quelle meridionali. Il risultato è che il 66 per cento del totale delle risorse è rimasto congelato anziché aiutare la crescita economica asfittica del Paese e la creazione di posti di lavoro –:
   quali iniziative intendano adottare, per garantire il tempestivo utilizzo dei fondi strutturali del periodo di programmazione in corso, con particolare riferimento ai programmi regionali a più elevato rischio di definanziamento e per assicurare l'adeguato funzionamento dell'Agenzia per la coesione territoriale e quali urgenti misure ritengano opportuno mettere in atto, nei modi e nei tempi previsti, per impedire che vadano perduti i fondi in giacenza e messi a disposizione dall'Unione europea.
(2-00984) «Galgano, Mazziotti Di Celso».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico per sapere – premesso che:
   la Smith international Italia spa è una società controllata interamente dal gruppo Smith International Inc., con sede a Houston – Texas (USA), che a sua volta è controllata interamente dal gruppo Schlumberger e che ha 2 sedi in Italia, a Saline di Volterra (Pisa) e a Scurelle Valsugana (Trento). Nel primo si producono scalpelli per la perforazione del suolo utilizzati nella ricerca di gas naturale, ricerche geotermiche e idrocarburi;
   il processo produttivo dello stabilimento di Volterra è caratterizzato da lavorazioni meccaniche per asportazione di truciolo, operazioni di saldatura MIG, TIG, ossiacetilenica e brasatura, attività di trattamento termico e operazioni manuali accessorie;
   l'azienda applica nei confronti dei dipendenti dello stabilimento di Volterra il contratto lavoro dell'industria metalmeccanica e della installazione di impianti e sono proprio questi dipendenti quelli che fino a una decina di anni fa insegnavano ai texani come si costruiscono le punte per estrarre il petrolio e che quando, nel 2010, trentatré minatori cileni furono inghiottiti a 700 metri di profondità, costruirono una super punta che venne inviata dall'altra parte del mondo; oggi che i minatori cileni hanno ritrovato la luce, ironia della sorte, è proprio il lavoro che rischia di scomparire a Saline;
   in questa frazione operaia fiorita lungo una lingua d'asfalto che si arrampica sulla nobile Volterra si respira angoscia dal momento che in Alta Val di Cecina vivono circa 20.000 persone, di cui 200 sono impiegate direttamente in Smith, e sono in pericolo non soltanto i posti in azienda ma anche tutto l'indotto;
   è stato deciso dai vertici del gruppo di consolidare la produzione all'interno di un unico stabilimento produttivo sito negli USA e di cessare la produzione in Italia e la scelta di sacrificare un'azienda europea a favore del mantenimento della produzione in USA sembrerebbe dettata principalmente da fattori logistici, in quanto USA e Canada rappresenterebbero il 50 per cento del mercato mondiale degli scalpelli;
   non è da sottovalutare che si tratta dell'unica azienda in Europa in grado di produrre questo tipo di prodotto con standard di eccellenza tecnica riconosciuti a livello internazionale grazie ad una manodopera altamente specializzata e che il numero del personale in esubero è di 193 unità e corrisponde alla totalità dell'organico dello stabilimento delle Saline di Volterra, il quale ha una professionalità non fungibile con le altre unità aziendali, stante la specificità delle produzioni e del processo per realizzarle, oltre che la notevole distanza territoriale con le altre unità produttive che rimarranno attive all'estero (USA);
   inizialmente la decisione dei vertici del gruppo era quella di procedere alla chiusura dello stabilimento di Saline di Volterra e Giuseppe Muzzi, amministratore delegato della Smith International di Saline di Volterra, ha giustificato l'apertura della procedura di mobilità per tutti i 193 dipendenti dello stabilimento meccanico toscano, affermando che la debolezza dell'industria della perforazione ha causato il declino della domanda dei prodotti della Smith provocando per la società la riorganizzazione delle risorse e la riduzione dell'eccesso di capacità produttiva;
   le consultazioni che si stanno svolgendo con le rappresentanze sindacali comporteranno, a detta degli stessi sindacati, un impatto devastante «in una zona già a bassissima densità occupazionale», e che si vorrebbe contrastare con l'apertura di un tavolo istituzionale con gli enti locali e la regione Toscana che, ad oggi, è stato sempre rinviato a causa di impegni all'estero dello stesso amministratore delegato della Smith;
   si deve inoltre ricordare l'accordo d'intesa tra Smith International e regione Toscana, sottoscritto a Firenze nel 2013 in cui l'azienda si impegnava a perseguire obiettivi di consolidamento e sviluppo, a qualificare il proprio personale, e a sviluppare nuovi prodotti avanzati diventando un centro di eccellenza per la ricerca e lo sviluppo di prodotti per l'estrazione multidirezionale, che oggi rischia di chiudere;
   se tale accordo fosse stato davvero utile, oggi non ci troverebbe di fronte ad un'azienda che sta per essere smantellata e non sono da dimenticare i Quaderni territoriali 2010-2014 della giunta regionale della Toscana in cui si evince che fu approvato, nell'ottobre 2013, uno schema di protocollo d'intesa per lo sviluppo e il consolidamento della presenza della Smith International Italia spa in Toscana; la Smith Bits, attraverso la controllante Smith International, fa parte dal 2010 del gruppo Schlumberger LTDO, leader internazionale nella fornitura di servizi per il settore oil & gas, con forti investimenti in attività di ricerca ingegneristica e sviluppo di soluzioni tecnologiche, ed è presente in Toscana con una sede legale ed operativa, nel comune di Volterra, dove realizza prodotti avanzati per l'industria estrattiva (petrolio, gas, vapore, acqua e minerali);
   se si dovesse procedere alla chiusura della Smith di Saline di Volterra le conseguenze verrebbero amplificate da quelli che agli interpellanti appaiono le omissioni della regione Toscana che non ha favorito lo sviluppo del territorio ma al contrario ha trascurato concrete iniziative di sviluppo del territorio medesimo che, se portate a termine, avrebbero permesso un riassorbimento rapido di suddetti lavoratori;
   l'imminente chiusura della Smith di Saline di Volterra non riguarda solo aspetti occupazionali locali, ma evidenzia la necessità a livello nazionale di un intervento forte, volto a difendere la produzione e l'occupazione delle aziende italiane dalle politiche spesso predatorie di gruppi stranieri;
   il 30 aprile 2015 circa 2.000 persone hanno manifestato in corteo per dire «no» alla chiusura della Smith International di Saline di Volterra. Sono intervenuti i sindaci della zona, mentre i commercianti di Volterra e Pomarance hanno abbassato 15 minuti le saracinesche. In testa al corteo c'erano gli operai, ma anche tanti cittadini che hanno solidarizzato con i lavoratori;
   dopo la manifestazione, il 1o maggio sono stati organizzati ulteriori presidi e manifestazioni volti a sensibilizzare l'opinione pubblica al caso della Smith International di Saline di Volterra. Il 5 maggio 2015 i lavoratori sono stati di nuovo in sciopero e a Pisa le rappresentanze sindacali unitarie e i sindacati hanno incontrato i vertici aziendali presso l'Unione degli industriali, con una dovizia di esposizione che ha spiazzato gli stessi vertici;
   il presidente della regione Toscana ha ottenuto l'apertura di un tavolo nazionale per affrontare la crisi dell'azienda di Saline di Volterra dandone l'annuncio in occasione dell'apertura ufficiale, al secondo piano del Palazzo dei priori, di un ufficio della presidenza della regione con il compito di seguire direttamente sul posto la vertenza Smith;
   il tavolo nazionale convocato per il 19 maggio 2015, ma poi rinviato, dovrebbe permettere alla regione di ribadire che, per l'importanza strategica dell'azienda e per il numero di dipendenti occupati, è inaccettabile ogni ipotesi di chiusura e dovrebbe essere finalizzato a ottenere il ritiro delle procedure di mobilità; qualora poi la proprietà insista per fa dismissione, l'intenzione è quella di chiedere tempo per verificare la possibilità di trovare acquirenti interessati a rilevare la struttura e ad investire anche in altre produzioni. I tempi devono andare ben oltre i 75 giorni previsti dalle procedure di mobilità;
   tuttavia, nei giorni scorsi in Confindustria si è svolto all'Unione Industriali di Pisa il secondo incontro, in sede sindacale, della difficile vertenza della Smith durante il quale l'azienda, avendo conferito mandato al direttore dell'Unione Industriale pisana, ha comunicato alle rappresentanze sindacali unitarie ed alle organizzazioni sindacali confederali e di categoria la propria volontà e disponibilità a riconsiderare quanto precedentemente affermato nell'incontro del 5 maggio 2015 circa la preannunciata chiusura del sito produttivo di Saline. In particolare, l'Azienda si è impegnata a presentare entro la metà di giugno un piano industriale finalizzato alla continuità dell'attività produttiva nel sito di Saline nonché all'attivazione dei necessari ammortizzatori sociali di sostegno al suddetto piano industriale;
   si teme tuttavia che in tale piano industriale ci sia un pesante ridimensionamento aziendale a svantaggio dei lavoratori;
   il sindaco di Volterra ha giudicato l'apertura dell'ufficio della presidenza della regione come un segnale di un'attenzione non formale verso questo territorio e si è detto fiducioso circa il suo mantenimento finché la questione della Smith non avrà trovato una soluzione positiva –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimete con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto riportato, non intendano chiarire quali iniziative sono contenute nel nuovo piano industriale diretto a salvare un'azienda di strategica importanza economica per l'Alta Val di Cecina come la Smith International di Saline di Volterra, garantendo tuttavia, ai lavoratori coinvolti, la possibilità di conservare un'esistenza dignitosa mantenendo il proprio posto di lavoro.
(2-00990) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Pisicchio».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in Puglia come in altre regioni italiane il 31 maggio si voterà per l'elezione dei presidente della regione e dei consiglieri regionali;
   in data 17 aprile 2015 il deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe D'Ambrosio ha presentato un esposto presso le autorità competenti per denunciare, allegando relativa documentazione, una conversazione avvenuta su una chat di Facebook nella quale si faceva riferimento ad una possibile offerta di soldi in cambio di voti, a margine di una richiesta di rappresentare nei seggi una lista collegata al candidato del centrosinistra alla presidenza della regione Puglia, Michele Emiliano;
   in data 20 maggio 2015 l'emittente Telenorba ha trasmesso un servizio nel quale denunciava la presenza di «comitati elettorali» nei quali è possibile essere reclutati come rappresentanti di lista ma viene imposta la condizione di portare dei voti di preferenza dietro compenso economico. Secondo il servizio giornalistico tali cifre si aggirerebbero tra i 30 e i 50 euro corrisposti in base ai voti conquistati dal candidato e certificati sui tabulati elettorali. Si apprende da fonti stampa che tale servizio sarebbe stato girato nel comitato elettorale di Anita Maurodinoia, candidata nella lista del Partito Democratico a sostegno del candidato presidente Michele Emiliano;
   in data 22 maggio 2015 il giornale Il Fatto Quotidiano pubblicava un articolo dal titolo «30 euro per controllare il voto così paga il candidato di Emiliano» denunciando un altro possibile caso di corruzione elettorale ad opera di Gianni Filomeno candidato nella lista «La Puglia con Emiliano» sempre a sostegno del candidato presidente Michele Emiliano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti e se, alla luce degli stessi, non ritenga necessario rafforzare i controlli di polizia per prevenire e dissuadere condotte come quella descritta;
   se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa.
(2-00985) «Brescia, D'Ambrosio, De Lorenzis, Cariello».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, MANTERO e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno in Italia muoiono circa 60.000 persone a seguito di un arresto cardiaco. La letteratura scientifica internazionale ha ampiamente dimostrato che un intervento tempestivo di primo soccorso contribuisce a salvare molte vite;
   con decreto ministeriale 24 aprile 2013 il Ministro della salute di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport ha previsto garanzie sanitarie al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale;
   il decreto, emanato in attuazione dell'articolo 7 comma 11 del decreto-legge 13 settembre 2012, n.158, ha lo scopo di prevedere delle garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché dettando linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte delle società sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita;
   i defibrillatori semiautomatici esterni attualmente disponibili sul mercato permettono a personale non sanitario specificamente addestrato di effettuare con sicurezza le procedure di defibrillazione, esonerandolo dal compito della diagnosi che viene effettuata dall'apparecchiatura stessa;
   l'articolo 5 del citato decreto ministeriale stabilisce che le società sportive dilettantistiche si dotano di defibrillatori semiautomatici nel rispetto delle modalità indicate dalle linee guida riportate nell'allegato E, e stabilisce altresì che l'onere della dotazione del defibrillatore e della sua manutenzione è a carico della società sportiva;
   in ogni impianto sportivo deve essere disponibile, accessibile e funzionante almeno un defibrillatore semiautomatico esterno con il relativo personale addestrato all'utilizzo;
   le linee guida pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 2013 hanno definito i tempi massimi per le società sportive di adeguarsi, e precisamente per quelle professionistiche ottobre 2013 e per quelle dilettantistiche ottobre 2015;
   la regione Lazio, con la finalità di concorrere alla promozione della sicurezza nello sport, ha emanato nel 2012, l'avviso pubblico in attuazione dell'articolo 7 della legge regionale n. 11 del 6 aprile 2009 riguardante «Interventi per la promozione, il sostegno e la diffusione della sicurezza nello sport»;
   tale avviso intende sostenere quelle tipologie di azioni che, con costi e tempi ridotti, siano in grado di migliorare taluni aspetti della sicurezza negli impianti sportivi e ha l'obiettivo di supportare, in particolare, gli interventi per il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti sportivi di piccole e medie dimensioni e delle zone di attività sportiva, attraverso l'acquisto di attrezzature sportive di base e di defibrillatori, nonché di interventi di messa a norma;
   le spese ammesse a contributo sono quelle necessarie per l'acquisto di attrezzature di base, di materiali, per le progettazioni, il piano di sicurezza, il rilascio da parte del Coni del parere di conformità alla normativa vigente, ma anche le spese per l'acquisto di un defibrillatore e quelle per la formazione del personale preposto al suo utilizzo –:
   se il Governo stia vigilando sull'applicazione della normativa in merito;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per la concessione di contributi agli impianti sportivi, in special modo a quelli dilettantistici che non godono di enormi risorse economiche, per l'acquisto, la manutenzione di defibrillatori e per la formazione del personale, sull'esempio della regione Lazio;
   come intendano intervenire per favorire l'installazione e la manutenzione dei defibrillatori e la formazione del personale, considerate le scarse risorse economiche delle associazioni dilettantistiche, evitando il rischio di un mancato adeguamento alla normativa da parte delle medesime associazioni sportive a causa dell'eccessiva onerosità dell'obbligo imposto dalla legge. (5-05678)

Interrogazione a risposta scritta:


   BURTONE, CARUSO, AMATO, IACONO, CAPONE, CHAOUKI, BOSSA, COVELLO, VERINI, RIBAUDO, PIERDOMENICO MARTINO, CULOTTA, CAPOZZOLO, ALBANELLA, MARCO MELONI, OLIVERIO, GAROFANI, PICCIONE, LOSACCO, AIELLO, ANTEZZA, LAURICELLA, BONAVITACOLA, GIANNI FARINA, MAGORNO, ANZALDI, BONOMO, FAMIGLIETTI, CAPODICASA, CANI, MARROCU e CASSANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso mese di dicembre il Ministro per la coesione territoriale, Carlo Trigilia, ha presentato in Consiglio dei Ministri l'informativa «Interventi urgenti a sostegno della crescita» che prevedeva misure di accelerazione dell'utilizzo delle risorse della politica di coesione;
   l'operazione vedrebbe un impegno pari a 6,2 miliardi di euro, provenienti per 2,2 miliardi dalla riprogrammazione del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC); per 1,8 miliardi da quella del Piano d'Azione Coesione e per 2,2 miliardi dai Programmi dei Fondi Strutturali 2007-2013;
   di questi 6,2 miliardi, 1,2 sono stati già stanziati attraverso il varo della legge di stabilità a sostegno del Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese;
   l'obiettivo del Governo è certamente quello in questa determinata fase storica di non perdere nemmeno un euro per il rilancio e il sostegno dell'occupazione e di riavviare politiche attive di crescita dell'economia;
   purtroppo il Mezzogiorno fa registrare dati allarmanti come certificano tutti gli istituti competente, dall'Istat alla Svimez senza trascurare la relazione di Bankitalia;
   le risorse riprogrammate si baserebbero su quattro misure principali: a) misure a sostegno delle imprese: 2,2 miliardi che verranno utilizzati per rifinanziare il Fondo Centrale di Garanzia (1,2 miliardi) e per la creazione di nuova imprenditorialità giovanile nel settore della produzione di beni e nella fornitura di servizi (1 miliardo); b) misure per il sostegno all'occupazione: sono previsti 700 milioni che serviranno per la decontribuzione a sostegno dell'occupazione giovanile, femminile e dei lavoratori più anziani; c) verrà sperimentata una misura per il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in deroga, compresi i lavoratori socialmente utili (Lsu), nonché per il contrasto alla povertà: 300 milioni di euro saranno destinati alle famiglie in grave stato di povertà – il cui numero è fortemente aumentato negli ultimi anni, specie nel Mezzogiorno – attraverso il rafforzamento dello Strumento per l'inclusione Attiva (SIA), che prevede forme di sostegno del reddito e politiche attive volte a favorire l'inserimento scolastico dei minori e l'inserimento lavorativo degli adulti; d) misure a sostegno delle economie locali. Sono previsti 3 miliardi di euro che andranno a finanziare diversi obiettivi: interventi cantierabili e realizzabili in tempi brevi nei comuni sotto i 5mila abitanti (Programma «6.000 campanili»); interventi di riqualificazione urbana (Piano nazionale per le città); interventi per la valorizzazione di beni storici, culturali e ambientali al fine di promuovere l'attrattività turistica, anche in vista dell'Expo 2015; interventi per la riqualificazione, messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli edifici scolastici;
   tutti e quattro questi filoni di intervento necessitano di essere operativi al più presto soprattutto per dare ossigeno al Mezzogiorno;
   le emergenze sono legate essenzialmente alla necessità di evitare l'acuirsi delle tensioni sociali soprattutto in riferimento alla progressiva trasformazione degli ammortizzatori sociali ed è per questo che vanno rese operative le linee guida per individuare i soggetti responsabili per il contrasto alle forme di povertà e per le politiche attive per il reinserimento lavorativo di soggetti fruitori di ammortizzatori in deroga;
   anche per quanto riguarda le politiche di contrasto del disagio sociale sarebbe opportuno individuare le aree per la sperimentazione dello strumento di inclusione attiva onde evitare gli errori del passato consumati in occasione della sperimentazione del reddito minimo di inserimento;
   così come i disastri ambientali di questi giorni legati alle calamità atmosferiche che hanno colpito prevalentemente il sud e quella che nell'antichità era la Magna Grecia con le aree archeologiche siciliane calabresi e lucane colpite duramente dalla furia delle acque dimostrano la necessità di intervenire con la massima urgenza per la messa in sicurezza e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale monumentale che darebbe possibilità di sbocchi occupazionali;
   questo andrebbe collegato ad un progetto più vasto che dovrebbe interessare la manutenzione idraulica del territorio di quello che Giustino Fortunato definiva «sfasciume pendulo»;
   in considerazione di quanto esposto diventa quindi indispensabile che il Governo si rapporti con il Parlamento per suggerimenti e miglioramenti delle giuste e importanti intuizioni del Governo –:
   quali siano nel dettaglio gli intendimenti del Governo per ciascuna delle quattro linee di intervento annunciate a fine dicembre e se esista già una road map regione per regione degli interventi che si vogliono di conseguenza realizzare sapendo che esistono numerose emergenze che riguardano le politiche di sostegno al reinserimento occupazionale dei lavoratori attualmente in mobilità in deroga e le politiche di contrasto della povertà.
(4-09322)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MALISANI e RAMPI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   c’è molto di raccapricciante e sconvolgente nella carneficina di uomini, libri e monumenti che la barbarie fondamentalista dell'ISIS ha compiuto e sta compiendo in molti luoghi del Medio oriente, dove la storia degli uomini ha saputo nei secoli costruire luoghi e idee da tutelare affinché continuino a parlare di ciò che è stato e che è bene ricordare e tramandare;
   ci si trova di fronte a un'opera di demolizione culturale con un accanimento folle contro l'identità storica irachena, sedimentata tra opere d'arte, architetture e siti archeologici. Assistiamo alla tragica devastazione di antiche tombe, chiese, moschee, santuari riconducibili all'Islam, ma anche all'Ebraismo e al Cristianesimo come la Chiesa Verde Tikrit, il monumento cristiano tra i più antichi del Medio Oriente;
   i jihadisti che controllano Mosul, nel nord dell'Iraq, hanno distrutto la moschea intitolata al profeta Giona, considerata uno dei più importanti monumenti storici e religiosi della città e luogo di pellegrinaggio di cristiani e musulmani, sia sunniti sia sciiti;
   l'attacco a Nimrud è stato definito «crimine di guerra» dalla Direttrice generale dell'UNESCO, Irina Bokova, che ha fatto appello a tutti i responsabili politici e religiosi della regione per reagire ai gravi attacchi commessi dall'Isis contro il Patrimonio culturale mondiale;
   lo spregio verso la vita umana e lo scempio delle statue antiche compiuto dall'ISIS rappresentano una ferita alla storia dell'umanità intera;
   in fase di approvazione del decreto-legge sulle «misure urgenti per il contrasto del terrorismo nonché sulla proroga delle missioni internazionali» – è stato accolto un ordine del giorno a difesa del patrimonio storico e artistico dell'umanità – sistematicamente distrutto o depredato da parte dell'ISIS – che ha impegnato il Governo a proseguire sulla strada intrapresa, affidando al personale dell'Arma dei carabinieri la responsabilità nei teatri operativi in attività di tutela del patrimonio artistico e culturale, nonché nel contrasto del traffico di opere d'arte finalizzato al finanziamento delle azioni di matrice terroristica internazionale;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha fatto propria l'idea di mettere in campo una forza, sotto la guida delle Nazioni Unite, in grado di intervenire a difesa delle antichità e dei beni patrimonio dell'umanità. La direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, e il Ministro della cultura tedesco, Monika Grütters, hanno espresso il proprio sostegno alla proposta di Franceschini;
   in questi giorni l'allarme dato dell'Unesco per la città di Palmira – testimonianza unica dell'architettura imperiale d'Oriente – si è rivelato purtroppo fondato: la città è caduta in mano all'ISIS e si sa già che «ci sono state delle distruzioni», ha dichiarato la direttrice generale dell'Unesco Irina Bokova –:
   come i Ministri interrogati intendano procedere al fine di costituire le condizioni per tutelare il grande patrimonio culturale presente in oriente, anche attraverso l'utilizzo dei cosiddetti caschi blu della cultura. (5-05679)


   TACCONI, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è registrato un massiccio flusso di emigrazione che fa ricordare quello del secondo dopoguerra. L'attuale congiuntura economica fa prevedere che il fenomeno, lungi dall'arrestarsi, tenderà a intensificarsi con un numero di persone, specialmente giovani, che saranno spinte a lasciare, il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca;
   secondo il Rapporto italiani nel mondo della fondazione Migrantes l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) del Ministero dell'interno al 1o gennaio 2013 registrava un aumento in valore assoluto di 131.170 iscrizioni rispetto al primo gennaio 2012, mentre si contano oltre 141.000 iscrizioni nel corso del 2013;
   sebbene si tratti di dati che non danno piena contezza dell'entità del fenomeno migratorio, sia perché comprendono le iscrizioni per nascita o per matrimonio, sia, soprattutto, perché non tutti i migranti si iscrivono all'AIRE, essi danno comunque un'idea dell'ampiezza e della drammaticità del fenomeno;
   l'edizione del 25 maggio 2015 del tabloid inglese The Telegraph riporta i dati diffusi dall'Ufficio per l'immigrazione britannico secondo il quale nel corso del 2014 e i primi mesi del 2015 sarebbero state oltre 641.000 le persone che si sono recate oltre Manica per cercare fortuna, molte provenienti dai Paesi europei, di cui ben 16.000 dall'Italia, che si piazza all'ottavo posto in questa speciale classifica per Paese di provenienza;
   per la sola Gran Bretagna gli stessi dati ISTAT riportano una differenza, al netto delle cancellazioni, di 13.922 nuove iscrizioni AIRE al 1o gennaio 2014 rispetto al 1o gennaio 2013;
   nell'ambito delle varie fasi di spending review abbiamo assistito negli ultimi anni a un progressivo assottigliamento delle risorse destinate ai connazionali all'estero, in particolare agli interventi per la lingua e la cultura italiane, all'assistenza, all'informazione e alla formazione;
   le recenti soppressioni di alcuni uffici consolari (quali ad esempio — per rimanere in Gran Bretagna — il vice consolato di Bedford chiuso il 30 giugno 2008 o lo sportello consolare di Manchester, chiuso il 31 luglio 2014), contrariamente a quanto dispone la vigente normativa, hanno privato di ogni servizio vasti bacini di utenza, senza peraltro che le soppressioni in parola abbiano inciso significativamente sull'obiettivo primario di revisione e contenimento della spesa;
   l'Ambasciata e il Consolato d'Italia a Londra, con l'istituzione di uno sportello opportunamente chiamato «Primo Approdo», hanno messo in cantiere lodevoli iniziative, soprattutto informative, per dare risposte concrete alle esigenze dei nostri giovani migranti, per aiutarli a orientarsi nel nuovo Paese e a districarsi tra le mille difficoltà che, inevitabilmente, la nuova realtà pone alla vita giornaliera;
   sono state sperimentate, non sempre con successo, presenze settimanali di personale delle «sedi riceventi» per il disbrigo di pratiche per le quali è prevista la presenza degli utenti — quali la rilevazione delle impronte digitali, l'acquisizione della firma digitale per il rilascio del passaporto, la consegna delle carte di identità, gli atti notarili, e altro — o istituiti uffici consolari onorari, come a Bedford, Cardiff, Birmingham e Liverpool nell'ottobre del 2014 e Manchester nel corrente mese di maggio;
   ritenuto tuttavia che l'intensificarsi dei suaccennati flussi migratori impone una più capillare presenza sul territorio e una maggiore vicinanza delle istituzioni alle nostre collettività con l'offerta di servizi consolari accessibili a tutti, anche nelle zone più periferiche rispetto alla cintura londinese (come Manchester, Leeds, Liverpool, e altri) che maggiormente attraggono persone in cerca di lavoro o per motivi di studio –:
   quali siano le difficoltà finora riscontrate e cosa intenda fare il Governo per potenziare l'istituto della presenza consolare e le funzioni degli uffici consolari onorari, come da più parti ripetutamente richiesto, soprattutto in quei Paesi e in quelle città — non solo del Regno Unito — dove maggiore è la consistenza delle nostre collettività e dei nuovi flussi migratori per corrispondere con efficacia ai diritti e ai bisogni dei nostri connazionali. (5-05682)

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, AMENDOLA, TIDEI e SCUVERA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo il diritto internazionale umanitario consuetudinario e come prescritto dall'articolo 79 del primo protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, i giornalisti civili impegnati nei conflitti armati devono essere rispettati e protetti da ogni forma di attacco intenzionale e devono godere dello stesso livello di protezione che è concesso ai civili, fintantoché non prendano parte diretta alle ostilità;
   la possibilità di fornire una informazione oggettiva e veritiera, anche in aree di crisi e durante un conflitto armato, è un diritto che ogni democrazia deve garantire;
   secondo Reporters without Borders, nel solo 2014, 69 giornalisti sono morti per garantire il diritto all'informazione nelle zone di conflitto;
   tra questi, il 24 maggio 2014, il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e il giornalista russo Andrei Mironov hanno perso la vita sotto i colpi di un mortaio in un villaggio vicino a Sloviansk, nell'Ucraina dell'Est, dove erano in corso combattimenti tra i miliziani filorussi e i soldati governativi;
   come riconoscimento per essersi distinti nel campo dei diritti umani e della libertà d'espressione, è stato assegnato a Mosca il prestigioso premio Anna Politkovskaja ad Andrei Mironov e ad Andrea Rocchelli, primo straniero ad averlo ricevuto;
   la versione fornita dal Governo ucraino attribuisce la responsabilità delle uccisioni alla fazione filorussa ma il giornalista francese William Roguelon, che al momento dell'attacco viaggiava nella stessa macchina con Rocchelli e Mironov, ipotizza che a sparare fosse stata la fazione filogovernativa; anche Igor Strelkov, leader della milizia popolare di Sloviansk intervistato dalla Komsomolskaya Pravda, afferma: «Rocchelli e Mironov erano andati a fare un reportage al confine della città, in territorio neutro, nel villaggio di Andreevka. Dato che ora lì i militari ucraini sparano a tutto ciò che si muove, i reporter sono stati notati e colpiti dal fuoco dell'artiglieria»;
   a un anno di distanza, nonostante l'impegno e le sollecitazioni della Farnesina per un accertamento rigoroso e l'apertura di un fascicolo per omicidio da parte della procura della Repubblica di Pavia, la famiglia di Rocchelli attende ancora dalle autorità ucraine delle risposte esaustive su chi abbia ucciso Andrea –:
   se il Governo sia a conoscenza di aggiornamenti sulla dinamica e sulle responsabilità del duplice omicidio;
   quali ulteriori iniziative intenda avviare il Governo per rafforzare l'interlocuzione con le autorità ucraine perché si giunga quanto prima ad un chiarimento circa le dinamiche dell'assassinio e l'individuazione dei responsabili, esortando l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché i Governi degli altri Stati membri a fare altrettanto. (4-09336)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CURRÒ, DALLAI, BRATTI, GADDA, BRAGA, MARIANI, SEGONI, TINO IANNUZZI e COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), con il Progetto CARG (CARtografia Geologica), che prevede la realizzazione di una banca dati per una corretta pianificazione e gestione del territorio e per la prevenzione, la riduzione e la mitigazione del rischio idrogeologico, avviato nel 1988, ha previsto la realizzazione di 652 fogli geologici e geotematici alla scala 1:50000 per la copertura dell'intero territorio nazionale;
   nel 2011 è stata pubblicata la carta geologica di Augusta (SR) foglio 641 facente parte di tale progetto CARG gestito dall'ISPRA. In tale carta geologica, al foglio 641 non è stata riportata la faglia tettonica denominata «River Marcellino Graben», tuttavia presente nella sezione geologica annessa alla carta geologica stessa. Tale faglia, omessa verosimilmente per un mero errore di stampa, è conosciuta dai geologi locali anche come «faglia di Costa Mendola», poiché prende il nome della contrada in cui risulta localizzata;
   la versione definitiva del 2011, in particolare, riporta la faglia nelle rappresentazioni grafiche a corredo della carta stessa: nello schema idrogeologico, nel profilo e nello schema tettonico, con le seguenti peculiarità: nello schema tettonico manca il tratto centrale della faglia; nel profilo la faglia risulta coperta da termini argillosi che sono invece assenti nell'area di Costa Mendola. Infine questa risulta ben rappresentata nello schema idrogeologico;
   lo stesso ISPRA ha inserito la faglia di costa Mendola nell'elenco nazionale del progetto ITHACA – Catalogo delle faglie capaci;
   le carte geologiche redatte da vari enti, università e istituti di ricerca riportano la faglia di Costa Mendola nei propri lavori e pubblicazioni. In particolare:
    Carta geologica del settore orientale ibleo in scala 1:50000 redatta dall'Università di Catania, Istituto di Scienze della terra;
    Carta della vulnerabilità delle falde idriche settore nord orientale ibleo a scala 1:50000 redatta dall'Università di Catania, Istituto di scienze della terra e dal consiglio nazionale delle ricerche gruppo nazionale per la difesa delle catastrofi idrogeologiche;
    Carta «Structural Model of Italy» redatta dal CNR nell'ambito del progetto finalizzato Geodinamica;
    carta geologica scala 1:10000 allegato 2.1 «, PRG ASI Siracusa»;
   nonché:
    Carbone S., Grasso M. & Lentini F. (1982c). Considerazioni sull'evoluzione geodinamica della Sicilia sud-orientale dal Cretaceo al Quaternario. Mem. Soc. Geol. lt, 24, 367-386, 9 ff.
    Carbone S. (1985). I depositi pleistocenici del settore nord-orientale ibleo tra Agnone e Melilli (Sicilia SE): relazione tra facies e lineamenti strutturali. Boll. Soc. Geol. It., 104: 405-420;
    Strutture recenti e attive lungo il bordo dell'avampaese in Sicilia sud-orientale e distribuzione del campo di stress attuale. M. Grasso Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Catania;
    Active: fault kinematics and crustalstressesalong the lonianmargin of southeastern Sicily. J Adam, C.-D. Reuther, M. Grasso, L. Torelli. Received 19 February 1999; accepted for publication 27 May 2000;
    Kinematics and dynamics of the Late Quaternaryrift-flankdeformation in the Hyblean Plateau (SE Sicily). S. Catalano, G. Romagnoli, G. Tortorici. Dipartimento di Scienze Geologiche, Università di Catania. Tectonophysics 486 (2010) 1-14;
    Università degli studi di Catania, Dipartimento di Scienze Geologiche, Dottorato di ricerca in: Evoluzione Geologica di oro geni di tipo Mediterraneo XXIII ciclo, Marco Firetto Carlino, Evoluzione tardo-pleistocenica ed olocenica dell'offshore di Augusta (SR) tramite interpretazione di dati geofisici (Swath Bathymetry, Side Scan Sonar, Sub-bottom Chirp) e analisi di pozzi nei settori emersi. Dicembre 2010;
   una faglia rappresenta una zona di debolezza della crosta terrestre, e la costruzione di edifici o strutture al di sopra di essa può comportare, in particolare in caso di eventi sismici, il loro danneggiamento e un rischio concreto di incolumità per le persone;
   le attuali normative tecniche, antisismiche e ambientali, nonché in materia di sicurezza, pongono vincoli alle aree caratterizzate da presenza di faglie;
   la presenza di strutture tettoniche (come riportato da documenti ufficiali utili alle amministrazioni dello Stato per la elaborazione di valutazioni di impatto ambientale e per gli esiti autorizzatori di concessioni e permessi) in un'area ad alto rischio sismico come quella che interessa la città di Augusta, costituisce elemento di preoccupazione per l'intera comunità scientifica e civile del comprensorio;
   a tale preoccupazione concorre la circostanza per cui al di sotto delle argille, nelle aree interessate dai Graben è presente una falda profonda dalla quale attingono centinaia di pozzi idrici che alimentano la zona industriale, le attività agricole e i pozzi idropotabili del comune di Augusta. A tale riguardo si fa presente che la faglia di Costa Mendola, parte del sistema strutturale del Graben Augusta-Melilli, risulta a diretto contatto con la falda idrica sottostante;
   il PRG dell'ASI di Siracusa destina l'area di contrada Costa Mendola al «trattamento rifiuti» ed è in corso l’iter autorizzativo per la realizzazione su tale area di una piattaforma per il trattamento dei rifiuti pericolosi da parte di Oikothen spa;
   nel 2009 l'università di Catania, dipartimento di scienze geologiche ha stipulato una convenzione con la società Oikothen, relativamente a studi specialistici da effettuare nell'area della futura piattaforma, finalizzata alla produzione di una relazione geologica col titolo «Piattaforma polifunzionale integrata per rifiuti pericolosi e non nel comune di Augusta» presentata il 20 aprile 2009 a cui è seguita, nell'ottobre 2009, una integrazione alla relazione geologica precedente con il titolo «Commento tecnico alla nota geologica contenuta nel parere reso dalla provincia regionale di Siracusa e alla relazione geologica del PRG ASI del 1992»;
   il medesimo dipartimento ha assunto in quello stesso periodo la direzione dei rilevamenti in relativi alla carta geologica dell'ISPRA foglio 641 Augusta (periodo che va dal 2006 al 2011), nonché i compiti di rilevazione geologica dell'area di interesse, come si evince dalla stessa carta pubblicata dall'ISPRA nel 2011;
   Il genio civile con provvedimento del 19 gennaio 2010 ha dato parere antisismico negativo;
   la Oikothen spa ha impugnato detto provvedimento avanti al TAR Lazio;
   Il TAR Lazio, nel marzo del 2011, ha dato ragione alla Oikothen spa sia perché aveva ottenuto la «autorizzazione unica» in data 15 maggio 2006; sia perché nella relazione geologica generale la faglia di Costa Mendola si qualifica come «paleofalesia». In particolare, nella sezione della Nuova Carta geologica nazionale riguardante il comune di Augusta, il sito in cui è localizzata la piattaforma polifunzionale è rappresentato come privo di qualsiasi faglia;
   la decisione del Tar Lazio si fonda sulla circostanza che l'ISPRA nella sua carta geologica non aveva riportato la faglia di Costa Mendola;
   il Foglio 641 di Augusta, nello stato di avanzamento dei fogli CARG, risultava in allestimento per la stampa a giugno 2011, quindi non ancora pubblicato (documento ufficiale dell'ISPRA: «Uomini e ragioni: i 150 anni della geologia unitaria» ISPRA atti 2011, vedi pagina 1711 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere per garantire la tutela del territorio e della sicurezza da rischio sismico ed idrogeologico nel comprensorio di Augusta, con particolare riguardo alla contrada di Costa Mendola. (5-05677)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la raccomandazione del Consiglio europeo COM (2015) 262 final del 13 maggio 2015, sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia, al punto 15 afferma che «rimangono lettera morta la revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente. L'Italia ha istituito un comitato per la fiscalità ambientale. Questi diversi aspetti sono contemplati dalla legge delega di riforma fiscale, la cui attuazione è stata tuttavia rimandata per l'assenza di decreti legislativi attuativi»;
   il riferimento è alla legge 11 marzo 2014, n. 23, entrata in vigore il 26 marzo 2014, «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», che all'articolo 1 stabilisce che «Il Governo è delegato ad adottare, entro quindici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale»;
   in particolare, l'articolo 15 della stessa legge prevede, attraverso decreti attuativi, l'introduzione di nuove forme di fiscalità volte a «orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull'energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo, in conformità con i princìpi che verranno adottati con l'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2003/96/CE di cui alla comunicazione COM (2011) 169 della Commissione»;
   in base a tale revisione, l'aliquota minima della tassazione energetica avrebbe dovuto essere scissa in due componenti, una basata sulle emissioni di CO2 e l'altra sul contenuto energetico, che, insieme, avrebbero determinato l'imposta totale da applicare al prodotto;
   le entrate derivanti dall'introduzione della carbon tax sono auspicabili e necessarie, perché destinate, principalmente, a ridurre la tassazione sui redditi, soprattutto sul lavoro, e agli investimenti in tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione dei sussidi alle fonti di energia rinnovabile. In questo senso, si otterrebbe da una parte la riduzione di emissioni inquinanti e dall'altra, una più equa distribuzione del carico fiscale, al fine di favorire uno sviluppo sostenibile;
   sempre nell'articolo 15 della suddetta legge viene stabilito che «la decorrenza degli effetti delle disposizioni contenute nei decreti legislativi adottati in attuazione del presente articolo è coordinata con la data di recepimento della disciplina armonizzata stabilita dalla citata proposta di direttiva negli Stati membri dell'Unione europea», che però è stata ritirata a dicembre;
   nonostante ciò, a livello europeo viene confermato il programma di lavoro 2015 con nuove azioni volte a realizzare una unione europea dell'energia, destinata, tra le altre cose, a decarbonizzare il mix energetico e promuovere la ricerca e innovazione nel settore energetico. Al 2014, il 94 per cento dei trasporti dell'Unione europea dipende ancora da prodotti petroliferi;
   la direttiva 2009/28/CE, che stabilisce un quadro comune per la promozione dell'energia da fonti rinnovabili e degli obiettivi nazionali vincolanti, per garantire che al 2020 almeno il 20 per cento del consumo di energia finale provenga da fonti rinnovabili, ha fissato al 17 per cento l'obiettivo dell'Italia di consumo finale lordo. Nel 2012, la percentuale complessiva di energia rinnovabile italiana è stata del 13,5 per cento rispetto al consumo finale;
   uno studio pubblicato dalla Commissione europea il 3 marzo 2014 dimostra come l'adozione di misure fiscali più ecologiche contribuiscano alla crescita economica e alla difesa dell'ambiente. Basandosi sui dati di 12 Paesi membri, viene dimostrato come lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro alle fonti di inquinamento atmosferico e idrico, porterebbe a entrate, nelle tesorerie nazionali, pari a 35 miliardi di euro nel 2016 e a 101 miliardi di euro nel 2025, con cifre molto più alte se venissero adottate misure per abolire le sovvenzioni dannose per l'ambiente;
   le raccomandazioni OCSE 2013, rivolte all'Italia, hanno messo in luce la centralità di una riforma della fiscalità ambientale rivolta alle imposte sull'energia e all'uso delle risorse ambientali indirizzate a una crescita verde;
   secondo Legambiente – nello studio Ambiente Italia 2013 – le tasse ambientali nel 2011 sono state pari a 43,9 miliardi di euro, ripartite tra il 75 per cento di tasse energetiche, il 23,5 per cento di tasse automobilistiche e il restante in tributi di discarica e altre imposte. Oggi queste tasse sono diminuite significativamente rispetto al 2000 – nel 2001 erano il 3 per cento del prodotto interno lordo e il 10,5 del totale delle entrate –. Inoltre, rispetto agli altri Paesi europei, tra il 1995 e il 2010, l'Italia ha avuto la maggiore contrazione dell'incidenza delle tasse ambientali sul prodotto interno lordo;
   il dossier Legambiente 2014 «Stop sussidi alle fonti fossili» ha stimato che l'Italia investe ancora 17,5 miliardi di euro nelle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti, esenzioni dall'accisa e finanziamenti, nonostante la loro combustione sia la principale causa dei cambiamenti climatici;
   in Italia, il settore della produzione elettrica rappresenta una delle principali fonti di emissioni di gas serra. Nel 2012 le emissioni di anidride carbonica per la produzione elettrica sono state pari al 90,9 per cento delle emissioni da industrie energetiche e al 25 per cento delle emissioni nazionali. Nonostante i numeri ancora alti, dal 1990 c'e stata una costante riduzione dovuta alla variazione del mix combustibile, con prevalenza di gas naturale, all'utilizzo di impianti di combustione a maggiore efficienza dal 2001 e all'utilizzo di fonti rinnovabili;
   nel settore dei trasporti – escludendo quello dei voli internazionali –, dal 1990 al 2004, si registra un costante aumento del consumo di combustibili (+25,7 per cento rispetto al 1990), seguito da oscillazioni intorno a un valore medio fino al 2007 (+24,8 per cento rispetto al 1990). Solo dopo si osserva una contrazione dei carburanti classici – come benzina e diesel –, dovuta alla crisi economica, che porta il consumo di combustibili nel 2012 a una crescita del 7,1 per cento rispetto al 1990. Nel 2012 la quota di carburanti a minor impatto (gas naturale, GPL, biodiesel), rispetto al totale dei carburanti, rappresenta il 10,8 per cento con un incremento rispetto al 1990;
   a giudizio degli interroganti è stato un errore basare la delega al Governo per l'introduzione di nuove forme di fiscalità ambientale di cui all'articolo 15 della legge n. 23 del 2014 su princìpi non sufficientemente prescrittivi e puntuali, bensì su quelli che sarebbero stati adottati a seguito dell'eventuale approvazione della modifica della direttiva 2003/96/CE, senza tenere conto di eventuali modifiche o come è avvenuto, del possibile ritiro della proposta –:
   se sia in atto la stesura dei decreti legislativi previsti dall'articolo 15 della legge n. 23 del 2014 e a quali criteri facciano riferimento, visto il ritiro della proposta di direttiva 2003/96/CE di cui all'atto COM (2011)169 della Commissione. (5-05684)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la valutazione d'impatto ambientale (VIA) è una procedura tecnico-amministrativa di verifica della compatibilità ambientale di un progetto, che si estrinseca sia a livello nazionale sia a quello regionale, finalizzata all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o azione, potrebbe avere sull'ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali di un territorio e delle attività antropiche in esso presenti;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, successivamente integrato e modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 1999 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° settembre 2000, viene emanato l'atto di indirizzo e coordinamento che fissa condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di VIA da parte delle regioni e delle province autonome che devono provvedere a disciplinare i contenuti e le procedure di VIA ovvero ad armonizzare le proprie disposizioni vigenti con quelle ivi contenute;
   nel disciplinare i contenuti e la procedure di valutazione d'impatto ambientale le regioni e le province autonome assicurano che siano individuati sia l'autorità competente in materia di valutazione di impatto ambientale sia l'organo tecnico competente allo svolgimento dell'istruttoria, e provvedono ad informare, ogni dodici mesi, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati ed i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso;
   in particolare, per quanto riguarda la regione Veneto, è la giunta regionale l'organo deputato a stabilire, con proprio provvedimento, le indennità e i rimborsi spettanti ai componenti esperti di cui alla lettera e) del comma 1, dell'articolo 5 della legge regionale Veneto n. 10 del 1999, nonché agli esperti esterni con competenze specifiche, le modalità per l'espletamento degli incarichi, la revoca e la decadenza degli stessi;
   la normativa attuale non prevede dunque alcuna forma di selezione pubblica dei componenti della commissione, la cui nomina spetta esclusivamente al diretto controllo politico della giunta regionale, anche, in ipotesi, prescindendo dalla valutazione di una specifica preparazione conferente e pertinente rispetto alle necessità che tale incarico comporta;
   si rilevano inoltre, ad avviso dell'interrogante, alcune gravi anomalie che interessano la composizione della commissione VIA regionale rispetto a quanto previsto dal citato decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 e dalla direttiva 2014/52/UE, la quale, nel modificare la direttiva 2011/92/UE, richiede espressamente che «gli Stati membri provvedono affinché l'autorità o le autorità competenti assolvano ai compiti derivanti dalla presente direttiva in modo obiettivo e non si ritrovino in una situazione che dia origine a un conflitto di interessi»;
   già nell'agosto del 2013 la questione inerente la sussistenze di una situazione di conflitto di interesse tra i componenti della Commissione Via regionale del Veneto era stata sollevata da Legambiente Veneto che, assieme a un dossier sul tema, aveva presentato anche un esposto per danno erariale alla Corte dei conti nei confronti della regione Veneto per la commissione della suddetta commissione regionale e il ricorso sistematico a membri esterni;
   in particolare, nel citato dossier, venivano segnalate alcune anomalie riscontrate nella composizione della suddetta Commissione Via regionale, partendo dalla sua presidenza, che ha al vertice un segretario regionale competente in materia di infrastrutture e mobilità, anziché in materia ambientale. La medesima incongruenza veniva poi evidenziata anche per i nove tecnici della commissione che, in base alla norma regionale, dovrebbero garantire un'adeguata interdisciplinarietà di competenze, ma che sono costretti ad avvalersi di altri sette tecnici esterni, per mancanza delle necessarie conoscenze specialistiche, con un aumento annuo dei costi stimato in 155 mila euro;
   possibili conflitti d'interesse venivano inoltre segnalati per alcuni commissari che agiscono negli stessi settori e ambiti di cui sono, di volta in volta, chiamati a giudicare, minando la terzietà del loro ruolo e assumendo di fatto, il ruolo di controllori e di controllati allo stesso tempo –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche sul piano normativo, al fine di assicurare l'assenza conflitti di interesse per i titolari delle cariche appartenenti alle commissioni di valutazione di impatto ambientale, anche alla luce di quanto esposto in premessa con riferimento alla composizione della commissione VIA della regione Veneto, nonché un congruo rapporto di proporzione fra i diversi tipi di competenze ed esperienze dei componenti scelti atti a garantire le singole professionalità, attraverso parametri di designazione afferenti direttamente alle attività istituzionalmente demandate alle commissioni.
(4-09319)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10 recante norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani — istituito presso il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare – attribuisce al comitato per lo sviluppo del verde pubblico, tra gli altri, il compito di predisporre e trasmettere alle Camere, entro il 30 maggio di ogni anno, una relazione contenente «i risultati del monitoraggio e la prospettazione degli interventi necessari a garantire la piena attuazione della normativa di settore»;
   l'articolo 4 della medesima legge 10 del 2013 prevede che il comitato per lo sviluppo del verde pubblico presenti, in allegato alla relazione richiamata nel punto precedente, un rapporto annuale sull'applicazione nei comuni italiani delle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, relative agli strumenti urbanistici generali e attuativi, e in particolare ai nuovi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate e alle revisioni degli strumenti urbanistici;
   in base allo stesso articolo 4 comma 2, è, altresì, previsto che «I comuni che risultino inadempienti rispetto alle norme al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, in particolare, sulle quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali e produttivi, approvano le necessarie varianti urbanistiche per il verde e i servizi entro il 31 dicembre di ogni anno»;
   la relazione annuale 2013 predisposta presentata alle Camere dal comitato per il verde pubblico il 30 maggio 2014 non conteneva, in allegato, il previsto rapporto annuale sull'applicazione del decreto ministeriale 1444 del 1968 –:
   se e in che modo – in vista della imminente trasmissione alle Camere della relazione annuale 2014 – il comitato per lo sviluppo del verde pubblico abbia acquisito, dai comuni, le informazioni necessarie ai fini della predisposizione del rapporto annuale sull'applicazione del decreto ministeriale 1444 del 1968;
   se e che tipo di informazioni siano state acquisite dai comuni, in particolare da quello di Roma, nei quali i vincoli preordinati all'acquisizione delle aree destinate alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi dagli strumenti urbanistici generali vigenti siano decaduti, e dunque le aree in questione non possono essere acquisite e funzionalizzate a beneficio delle comunità locali, se non attraverso appositi provvedimenti volti alla reiterazione dei medesimi vincoli e alla corresponsione ai proprietari delle aree in questione di un'apposita indennità, ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 327 del 2001;
   se e che tipo di informazioni siano state acquisite dai comuni, in particolare da quello di Roma, nei quali una parte delle aree destinate alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi dagli strumenti urbanistici generali vigenti sono oggetto di concessioni demaniali aventi finalità turistico-ricreative e dunque – pur rientrando nel computo delle cosiddette aree a «standard» – non possono essere utilizzate per assicurare agli abitanti le dotazioni per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444;
   se e in che modo intenda vigilare sul rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 comma 2 della legge 10 del 2013, e in particolare sul fatto che i comuni inadempienti alle norme di cui al decreto ministeriale 1444 del 1968 – tra i quali vanno annoverati anche quelli che non ottemperano all'obbligo di ripianificare le aree con destinazione pubblica dopo il decorso del termine quinquennale di efficacia dei vincoli preordinati all'espropriazione – approvino le necessarie varianti urbanistiche. (4-09320)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la cava d'Ispica è una vallata fluviale che si estende per 13 chilometri sull'altopiano ibleo, tra le città di Modica e Ispica. La vallata custodisce necropoli preistoriche, catacombe cristiane, oratori rupestri, eremi monastici e nuclei abitativi di tipologia varia;
   intorno all'area si trovano siti archeologici d'importanza mondiale, come la Tomba del re a finti pilastri o la Grotta dei santi;
   è stato documentato dalla stampa come questo spettacolo della natura sia stato trasformato in una grande discarica. Il versante nord della Cava, in contrada Baravitalla, oggetto di opere infrastrutturali negli anni novanta per oltre mezzo miliardo delle vecchie lire, è invasa oggi da grandi quantità di rifiuti anche pericolosi, come eternit e carcasse di animali, alcune delle quali in stato di putrefazione, con tutti i rischi e i pericoli per la salute dell'uomo;
   un grave pericolo per l'incolumità degli abitanti della zona, ma anche per tutti i cittadini che accedono all'area, è rappresentato dal ponte crollato di Baravitalla, facilmente accessibile a chiunque con il rischio di caduta nella scarpata sottostante a causa dell'assenza di segnaletiche o di transenne volte a segnalare il pericolo e ad ostruire il passaggio verso la voragine –:
   se il Ministro interrogato non intenda richiedere una verifica dello stato dei luoghi al Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-09323)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dispone che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   l'istituto dell'autocontrollo suscita alcune perplessità in quanto lo stesso gestore ha il compito di controllare lo stato di emissione degli inquinanti;
   ad esempio nel caso di specie, risulta da articoli stampa, tra cui la «Gazzetta di Reggio» del 17 febbraio 2015, che «Iren Rinnovabili, proseguendo nella sua strategia di sviluppo nei settori “green”, ha acquisito una partecipazione di maggioranza in Studio Alfa srl, società con sede a Reggio Emilia che opera dal 1980 nel settore dei servizi ambientali ed energetici, settori nei quali ha consolidato negli anni la propria leadership»;
   IREN Ambiente spa è impegnata nelle attività di trattamento e smaltimento dei rifiuti, di generazione di energia elettrica e calore e di produzione di biogas, attraverso i propri impianti, quale il Termovalorizzatore IREN di Parma;
   attraverso impegno specifico la predetta Società «Studio Alfa» è chiamata a verificare il corretto funzionamento e la taratura degli strumenti di monitoraggio su incarico di IREN;
   da quanto riportato nel verbale dell'ARPA di Reggio Emilia del 23 marzo 2015, riguardante l'ispezione alla ditta IREN Ambiente spa — PAIP si specificava che «al momento del sopralluogo erano in corso le attività di verifica secondo la norma UNI EN 14181:2005 [...] Nello specifico la ditta incaricata dell'effettuazione, Studio Alfa Srl, stava procedendo al controllo della portata dell'emissione E25». Su tale attività di autocontrollo delle emissioni, svolta da IREN attraverso la società partecipata «Studio Alfa», lascia perplessi che l'ARPA non abbia espresso alcuna osservazione –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare interrogato sia a conoscenza della situazione esposta;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di propria competenza, posta la complessità della gestione dell'intera rete di incenerimento dei rifiuti sul territorio nazionale, a fortiori per effetto della individuazione degli stessi come infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, anche in virtù delle criticità emerse nel caso di Parma, non ritenga di assumere opportune iniziative normative, affinché le verifiche sugli esiti delle attività di autocontrollo, di cui agli articoli 29-ter comma 1, lettera h), e 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006, siano effettuate con metodi e parametri uniformi su tutto il territorio nazionale e che contestualmente le verifiche su di esse, poste in essere dagli organi di controllo, risultino effettive, efficaci e frequenti, e siano ad essi assicurate adeguate risorse per le ispezioni straordinarie di cui all'articolo 29-decies, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   se ritenga di assumere iniziative per riservare alla rete nazionale degli impianti, di cui all'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, a cui seguirà a breve la specifica individuazione degli impianti che ne faranno parte, una normativa specifica sull'attività di controllo e autocontrollo delle emissioni che garantisca elevati ed adeguati standard di tutela ambientale e sanitaria. (4-09325)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della difesa Roberta Pinotti è in carica dal febbraio del 2014;
   negli scorsi mesi la questione degli F35 e dell'aumento delle spese militari è stata al centro del dibattito politico e dell'attenzione dell'opinione pubblica;
   in questi mesi sono state avviate campagne ed iniziative pubbliche per la riduzione o la cancellazione del programma di acquisizione degli F35;
   i promotori di queste campagne (ed in particolare la campagna Taglia le ali alle armi e la Rete Disarmo) hanno chiesto ripetutamente, a partire da una lettera indirizzata sia al Presidente del Consiglio Renzi che al Ministro della difesa Pinotti il 19 marzo 2014, pubblicamente e per via formale un incontro, richiesta cui a quanto risulta all'interrogante, non hanno mai avuto risposta positiva;
   il Ministro della difesa ha un passato di attivista pacifista nei movimenti per il disarmo e per questi motivi dovrebbe avere sensibilità e attenzione alle sollecitazioni che vengono dai cittadini organizzati in questi movimenti;
   in passato altri Ministri della difesa (come il generale Corcione o l'onorevole Arturo Parisi) hanno mostrato sensibilità al confronto e disponibilità al dialogo e hanno sempre incontrato i rappresentanti delle organizzazioni pacifiste –:
   quali siamo i motivi per la mancata risposta positiva alla richiesta delle organizzazioni pacifiste;
   se la Ministra della difesa intenda incontrare i rappresentanti delle suddette organizzazioni in tempi ravvicinati;
   se non ritenga di avviare un tavolo di confronto permanente con i rappresentanti delle organizzazioni pacifiste e per il disarmo. (4-09333)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la scarsa trasparenza sui titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano è un tema che, soprattutto nell'ultimo periodo, è stato più volte portato all'attenzione del Governo e del Ministro interrogato, al fine di ottenere risposte necessarie e soddisfacenti ad una questione così importante quale quella del debito pubblico italiano;
   i molteplici atti di sindacato ispettivo formulati nel corso del tempo, tesi ad ottenere i dati reali del fenomeno, non hanno destato alcun interesse nei riguardi dell'attuale compagine governativa e tanto più del Ministro proponente in materia; né tantomeno hanno avuto effetto le recenti richieste di accesso agli atti formulate dai parlamentari;
   paradossalmente, più si tenta di acquisire informazioni sui titoli derivati e meno ragguagli si riescono ad ottenere: all'ultima richiesta presentata dal sottoscritto, nell'interrogazione a risposta immediata in Assemblea svoltasi il 1o aprile 2015, in merito alla necessità di rendere pubblici in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dallo Stato italiano, il Ministro dell'economia e delle finanze, ha fornito una risposta totalmente insoddisfacente, e, trascorsi quasi due mesi dalla richiesta di accesso agli atti formulata dal sottoscritto e dai parlamentari di Forza Italia della Commissione Bilancio, il Ministero non ha ancora fornito alcuna risposta ufficiale;
   il Ministro Padoan, nel dibattito in Aula del 1o aprile 2015 è semplicemente limitato ad affermare che «con la documentazione pubblicata sul sito Internet del Ministero, compresa la tabella che aggrega i contratti esistenti, e gli interventi della dottoressa Cannata nell'audizione presso la Commissione finanze della Camera si è fornito un quadro esaustivo del portafoglio derivati in essere». Il Ministro ha poi proseguito affermando che «il livello di dettaglio richiesto appare non accoglibile, in quanto la divulgazione di tali contratti avrebbe riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati, poiché determinerebbe uno svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi delle controparti e di altri emittenti sovrani che fanno uso di questi strumenti.»;
   l'affermazione per cui le informazioni sui titoli derivati sarebbero sotto secretazione poiché comporterebbero, se conosciute, uno svantaggio competitivo per il nostro Paese, sembra essere una semplice opinione del Ministro interpellato, considerato che non vi è nessuna norma a tutela di quanto affermato e che, al contrario, si tratta di contratti che lo Stato italiano contrae con istituzioni bancarie e che, dunque, non possono creare nocumento all'interesse del Paese;
   il Ministro interrogato, nel suo intervento, ha inoltre richiamato l'intervento della dottoressa Cannata, direttore generale del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, offerto nell'indagine conoscitiva in Commissione finanze della Camera dei deputati, sugli strumenti finanziari derivati, che non ha affatto contribuito a fare chiarezza sulla questione in esame poiché non sono state fornite tutte le informazioni riguardanti i contenuti dei contratti derivati dello Stato italiano ancora in essere, né tanto meno quelle relative alle controparti, agli importi e ai dati in merito ai tempi e alle clausole degli stessi;
   è stata, inoltre, predisposta un'ulteriore interpellanza urgente, con circa trenta domande su questioni puntuali in merito all'utilizzo dei titoli derivati, a cui il Vice Ministro Luigi Casero, chiamato a rispondere in rappresentanza del Ministro dell'economia e delle finanze, non è stato in grado di offrire risposte precise;
   a seguito di un'analoga richiesta di accesso agli atti inviata dai deputati delle Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati del MoVimento 5 stelle, la dottoressa Cannata, con provvedimento del 25 febbraio 2015, ha negato l'accesso alla documentazione relativa ai contratti aventi ad oggetto derivati stipulati dallo Stato italiano;
   nel diniego di accesso non sono state indicate le disposizioni, di legge ritenute ostative all'accesso ai documenti richiesti, ma il Ministero dell'economia e delle finanze ha semplicemente obiettato che, ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013, «non appare sussistere in capo al Ministero obbligo di ostensione dei documenti richiesti», sicché il provvedimento di diniego ad avviso dell'interrogante risulta assolutamente illegittimo in quanto carente di motivazione;
   è dunque evidente che è stato formulato un diniego di accesso esclusivamente su una volontà personale, e forse anche politica, considerato che non sussiste alcuna normativa che precluda l'accesso agli atti, ma, al contrario possono soltanto rinvenirsi delle disposizioni positive che sanciscono il relativo obbligo;
   ne consegue che alla luce della normativa citata, il Ministro interrogato è obbligato a pubblicare i contratti dei derivati, nonché a renderli conoscibili a chiunque eserciti il diritto all'accesso agli atti, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013;
   va inoltre rilevato che i richiedenti all'accesso agli atti sono deputati assegnati alla commissione parlamentare di bilancio e finanza pubblica, sicché tale richiesta non deve intendersi come finalizzata ad un «controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione» e, come tale, vietato dall'articolo 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990;
   a tal proposito la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che «l'esercizio del diritto di accesso non è consentito per finalità di mero controllo della legalità dell'azione amministrativa, ma la sua istanza dev'essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all'istante da uno specifico nesso» (ex multis Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2015, n. 166); è pertanto innegabile la presenza di un tale tipo di interesse in capo ai richiedenti, deputati della Repubblica, e, quindi, la piena legittimità della richiesta –:
   in quali tempi il Ministero dell'economia e delle finanze intenda pubblicare in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dallo Stato italiano, in attuazione del principio di total disclosure su cui deve poggiare l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2009, e, conseguentemente aggiornare le informazioni già fornite dalla dottoressa Cannata e quanto presente nei siti istituzionali, e, in ogni caso, quando intenda convalidare l'accesso alla documentazione relativa ai contratti derivati, così come da richiesta formale trasmessa dai deputati del gruppo Forza Italia il 27 marzo 2015, nel rispetto della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
(2-00988) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAUSI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GINATO, GITTI, LODOLINI, MORETTO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA e ZOGGIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la difficile e prolungata crisi economica e finanziaria internazionale ha moltiplicato le richieste di una più stringente regolazione dei mercati finanziari: in questo contesto si assiste alla ripresa d'interesse nei riguardi di ipotesi di tassazione sull'attività delle banche, penalizzazione di paradisi fiscali che rifiutino di cooperare con le autorità finanziarie nazionali e internazionali, ritorno a una rigida separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento;
   il Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009 ha promosso presso il Fondo monetario internazionale il prelievo sulle operazioni finanziarie a livello mondiale, volto a ridurre la dimensione speculativa della crisi finanziaria;
   a seguito dell'impossibilità, accertata nel 2012 dal Consiglio dell'Unione europea e dal Consiglio europeo, di raggiungere un accordo unanime in tempi ragionevoli sulla proposta di direttiva mirante ad introdurre la tassa in oggetto in tutti i Paesi dell'Unione, l'Italia ha aderito, insieme ad altri 10 Paesi membri dell'Unione europea, al progetto di cooperazione rafforzata, autorizzata dal Consiglio economia e finanza dell'Unione europea il 22 gennaio 2012, per l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie, cosiddetta Tobin tax;
   l'articolo 1, commi da 491 a 500, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e successive modificazioni, ha istituito e disciplinato la tassa sulle transazioni finanziarie – FTT, che si applica, a decorrere dal 1o marzo 2013, ai trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi emessi da società, quotate su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, aventi capitalizzazione media non inferiore a 500 milioni di euro, nonché, con decorrenza 1o settembre 2013, alle operazioni su strumenti finanziari derivati e alle operazioni cosiddette ad «alta frequenza»;
   in occasione della riunione Ecofin del 6 maggio 2014 diversi Paesi europei hanno affermato la volontà di dare vita a un regime armonizzato di tassazione delle transazioni finanziarie, per la successiva implementazione a partire dal 1o gennaio 2016; gli Stati cooperanti hanno, inoltre, stabilito di voler implementare in maniera progressiva la tassa in questione, allo scopo di valutarne in itinere gli impatti economici, concentrandosi in una prima fase sulla tassazione delle azioni e di alcuni strumenti derivati;
   in occasione della riunione Ecofin del 12 maggio 2015 si è riunito il cosiddetto G11, l'insieme dei Paesi dell'Eurozona che lavorano al progetto di FTT, e al termine di questa riunione il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan ha dichiarato: «se continuiamo con questa velocità penso che sia possibile avere un accordo entro l'anno» «c’è forte convergenza e si lavora per trovare le opzioni possibili sono stati fatti importanti progressi»;
   secondo le anticipazioni della stampa, i criteri principali di attuazione della tassa resterebbero due: l'emissione e la residenza; l'idea sarebbe di applicare il regime di imposizione fiscale nello Stato membro in cui risiede l'ente finanziario coinvolto nella transazione, mentre le istituzioni finanziarie situate al di fuori dei Paesi che partecipano al regime fiscale sarebbero obbligate a pagare la tassa se hanno scambiato titoli emessi all'interno dell'Ue; per ora sarebbe previsto un prelievo dello 0,1 per cento sulle azioni (resterebbero esclusi i titoli di Stato), e dello 0,01 per cento sui derivati, ma «si ragiona sull'estensione della base imponibile e si cerca di definire con chiarezza i derivati tassabili», secondo le dichiarazioni del Ministro Padoan;
   dato il carattere innovativo della proposta, che darebbe vita al primo esempio di cooperazione rafforzata in ambito fiscale, alcuni Paesi non cooperanti, tra cui il Regno Unito, avversano l'introduzione di una tassa che recherebbe danno al mercato unico;
   i rischi di delocalizzazione connessi alla limitata estensione geografica della cosiddetta area FTT, formata solo dagli undici Paesi cooperanti, rischia di vanificare gli effetti che il Consiglio dell'Unione europea e il Consiglio europeo avevano auspicato a seguito dell'introduzione di una tassa uniformemente applicata su tutto il territorio dell'Unione europea;
   per valutare l'entità effettiva di questi rischi paventati, potrebbe essere utile disporre di elementi di valutazione della FTT italiana, in particolare per ciò che riguarda lo spostamento delle piattaforme di intermediazione al di fuori del Paese e la conseguente perdita di base imponibile e di gettito rispetto a quanto inizialmente previsto –:
   ai fini della valutazione, prevista a livello comunitario, circa gli impatti economici della tassa sulle transazioni finanziarie – FTT, quale sia stato il gettito effettivo prodotto fino ad oggi dall'introduzione, nel 2013, della citata tassazione, attribuibile ai trasferimenti di proprietà di azioni, alle operazioni su strumenti finanziari derivati e alle operazioni cosiddette ad «alta frequenza», quali siano le differenze rispetto al gettito atteso e quali siano gli sviluppi del negoziato europeo volto a ridefinire il quadro normativo per l'introduzione della cosiddetta Tobin Tax europea. (5-05700)


   BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 10 dell'articolo 7 della legge n. 158 del 2012 recita: «L'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all'esito dei controlli di cui al comma 9, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo, ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali. Presso l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell'osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso spese»;
   il decreto sopra citato non è ancora stato emanato;
   in presenza di tale vuoto normativo in alcune città sono stati adottati regolamenti di polizia urbana con i quali si è stabilita una pianificazione, nonostante sulla materia non siano le autorità municipali competenti ad emanare la normativa di riferimento;
   alla luce di tale vuoto normativo, il Tar dell'Emilia Romagna, in seguito all'emanazione di un regolamento di polizia urbana della città di Bologna, ha dichiarato l'atto illegittimo «in quanto la norma di fatto prescrive nuovi limiti distanziometrici tra i locali in questione e i così detti luoghi “sensibili”, la cui introduzione nell'ordinamento (o modificazione) compete esclusivamente al legislatore nazionale, secondo quanto prescrive il decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012» ricordando inoltre, nella stessa sentenza, un precedente giudizio sempre del T.A.R. Emilia Romagna sez. II, 20 ottobre 2014 n. 976 in base alla quale il giudice amministrativo aveva già sostenuto che «la pianificazione delle sale da gioco e la riallocazione di quelle prossime a siti sensibili appartiene all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli, come chiaramente indicato nel comma n. 10 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012»;
   tale attribuzione esclusiva trova conferma anche nella legge regionale n. 5 del 2013, all'articolo 6 la quale al comma II prevede che i comuni possono dettare previsioni urbanistiche sulle sale da gioco solo nel rispetto delle pianificazioni di cui al suddetto comma 10 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012 –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per quanto di competenza, a partire dall'emanazione concertata del citato decreto interministeriale, anche al fine di dare valenza effettiva al principio dello Stato costituzionale di diritto, garantire la certezza dello stesso, evitare giudicati differenti da parte dei giudici amministrativi ulteriormente aditi per risolvere questioni analoghe a quelle in esame, evitare di appesantire ulteriormente i tempi biblici che affliggono i nostri tribunali e ridurre le spese superflue allocandole diversamente per ottimizzare il servizio giustizia. (5-05701)


   BUSIN, FEDRIGA, SIMONETTI e CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nonostante la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 481 e 482, della legge n. 228 del 2012), abbia stanziato anche per l'anno 2015 la somma di 200 milioni di euro in materia di imposta sostitutiva al 10 per cento per le retribuzioni di produttività, ad oggi il Governo non ha emesso alcun provvedimento sulla detassazione dei premi di produttività;
   la citata legge di stabilità, infatti, aveva stanziato le risorse per il triennio 2013-2015, demandando ad un successivo decreto attuativo i criteri di applicazione (per il 2013 e 2014 si vedano i decreti del Presidente della Repubblica del 22 gennaio 2013 e del 19 febbraio 2014);
   la detassazione del salario di produttività – si ricorda – è stata introdotta nel 2008 in via sperimentale allo scopo di incentivare la contrattazione di secondo livello, quella aziendale e territoriale, resa poi strutturale dalla legge n. 92 del 2012;
   lo sgravio contributivo e fiscale che opera sui premi di risultato e su tutte le erogazioni stabilite dalla contrattazione di prossimità è, dunque, linfa vitale per le aziende, che godono di uno sconto contributivo, e per i lavoratori, che beneficiano di un maggior netto in busta paga;
   il mancato decreto attuativo comporta, per i lavoratori più meritevoli, l'ennesima stangata, giacché corrono il rischio di subire sui premi una tassazione del 38 per cento invece del 10 per cento in barba ai tanti proclami del Governo Renzi su meritocrazia e sostegno alle imprese;
   è inaccettabile, peraltro, a parere degli interroganti la risposta fornita dal sottosegretario Casero ad un atto di sindacato ispettivo lo scorso 12 marzo al Senato, dichiarando che «la misura non è a regime» – e dunque ignorando la volontà del legislatore di stabilizzare l'incentivo con la succitata legge n. 92 del 2012 – e che «l'eventuale proroga o stabilizzazione dell'agevolazione fiscale, da conseguire mediante la necessaria emanazione di una norma primaria, dovrebbe tener conto dei connessi effetti sui saldi di finanza pubblica, a fronte dei quali occorrerebbe reperire idonea copertura», giacché – come sopra richiamato – la legge di stabilità per il 2013 aveva stanziato 200 milioni per l'anno in corso a tale fine –:
   se il Governo non ritenga di emanare con urgenza il decreto attuativo per la detassazione dei premi di produttività 2015 e, in caso contrario, quali siano i motivi della sua mancata attuazione e che fine abbiano fatto le somme già stanziate per il 2015 in favore della detassazione del salario di produttività. (5-05702)


   PESCO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 388 del 2000, le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, ovvero tutte quelle persone fisiche che iniziavano una nuova attività imprenditoriale o di lavoro autonomo, come ad esempio una startup, godevano, rispettando specifiche condizioni fiscali, di un particolare regime agevolato (cd. forfettino) che prevedeva:
    un'aliquota sostitutiva del 10 per cento in sostituzione dell'IRPEF e delle addizionali regionali e comunale;
    l'abbattimento della base imponibile di 1/3 per i primi 3 anni di attività;
    altre agevolazioni fiscali, come la consulenza gratuita di un commercialista e un credito d'imposta a fronte dell'acquisto di beni strumentali;
    la legge di stabilità 2015 ha previsto, nei commi specificamente dedicati al nuovo regime forfettario per le partite IVA, l'abrogazione del regime agevolato di cui al detto articolo 13 e, in base al comma 817, che «I soggetti che nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalgono del regime fiscale agevolato di cui all'articolo 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, o del regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, possono applicare, laddove in possesso dei requisiti previsti dalla legge, il regime di cui al comma 65 del presente articolo per i soli periodi d'imposta che residuano al completamento del triennio agevolato»; quindi, solo chi ha optato per il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali prima del 31 dicembre 2014 continuerà a godere dell'abbattimento della base imponibile di 1/3 per i periodi di imposta rimanenti, fino alla conclusione del triennio di agevolazione;
   il decreto legge mille proroghe (decreto-legge n. 192 del 2014) ha formalmente prorogato per l'anno 2015 il regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e per i lavoratori in mobilità (di cui all'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011 e all'articolo 1, commi 96-115 della legge n. 244 del 2007), nulla ha previsto invece per il regime di cui all'articolo 13 della legge n. 388 del 2000, che resta pertanto abrogato dalla legge di stabilità, continuando ad applicarsi per i soli periodi d'imposta che residuano al completamento del triennio agevolato;
   in pratica, chi esce dal regime di cui all'articolo 13 della legge n. 388 del 2000 passerà direttamente nel nuovo regime forfettario previsto dalla legge di stabilità 2015 che, come noto, prevede condizioni molto meno favorevoli sul piano fiscale rispetto al precedente regime: Inoltre, per i contribuenti che continueranno ad applicare il regime di cui al detto articolo 13 fino al completamento del triennio, non sembra sia ammessa la possibilità di passare al regime dei minimi di cui all'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011 (pure avendone i requisiti) –:
   se sia ammesso il passaggio dal regime di cui all'articolo 13 della legge n. 388 del 2000 al regime dei minimi con applicazione dell'imposta sostitutiva del 5 per cento (per i contribuenti che ancora non hanno concluso il triennio di cui al detto articolo 13) e come giustifica la scelta di non estendere la proroga di cui al decreto-legge n. 192 del 2014 anche al regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 13 della legge n. 388 del 2000, in attesa della revisione del regime forfettario introdotto nella legge di stabilità 2015. (5-05703)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, come modificato dal comma 2 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 35 del 2013, prevede la possibilità di operare compensazioni orizzontali tra crediti di imposta e contributi per un importo massimo di 700.000 euro per ciascun anno solare;
   sulla base di una lettura coordinata e sistematica della normativa vigente, a tale importo non concorre il credito disposto con ordinanza n. 3281 del 18 aprile 2003 del residente del Consiglio dei ministri, in relazione agli eventi meteorologici verificatisi in Abruzzo nei giorni 23, 24 e 25 gennaio 2003;
   viceversa, l'Agenzia delle entrate assume che il limite posto dal citato articolo 34 comprenda ogni forma di agevolazione, incluse quindi le agevolazioni connesse ad eventi imprevedibili e di particolare gravosità come quelli alluvionali;
   peraltro, alla irregolare applicazione dell'istituto della compensazione, da taluni uffici dell'Agenzia delle entrate si ritiene debbano conseguire anche le sanzioni previste dall'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione ai ritardati o omessi versamenti diretti;
   in realtà la irregolare applicazione dell'istituto della compensazione dei crediti non risulta sanzionato da alcuna norma, e tantomeno dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, il quale peraltro, ponendosi come norma sanzionatoria, non appare suscettibile di applicazioni analogiche in malam partem;
   nondimeno, alcuni ritengono di poter equiparare il superamento del limite massimo dei crediti compensabili con l'omesso versamento;
   una siffatta impostazione è oggettivamente fonte di gravi incertezze interpretative –:
   quale sia l'interpretazione della norma contenuta nell'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 e, in particolare, se essa debba considerarsi applicabile anche alle fattispecie di irregolare compensazione orizzontale. (5-05704)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 186 del 2014 si è inteso disciplinare un procedimento di collaborazione volontaria tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria (cosiddetto voluntary disclosure) attivabile su spontanea iniziativa del contribuente stesso, al fine di indurlo a rimpatriare, con relativo adempimento tributario spontaneo, le sue disponibilità finanziarie e patrimoniali detenute all'estero, beneficiando, allo stesso tempo sotto il profilo sanzionatorio, di effetti premiali amministrativi e penali; la stessa legge prevede inoltre che si può accedere al procedimento di collaborazione volontaria anche con riferimento a violazioni riguardanti i redditi prodotti in Italia;
   la normativa, all'articolo 1 della suddetta legge n. 186 del 2014, stabilisce che sono sanabili le violazioni commesse fino al 30 settembre 2014, dietro inoltro di apposita istanza, che non può essere proposta più di una volta, all'Agenzia delle entrate, da presentarsi non oltre il 30 settembre 2015; a tal fine, i periodi d'imposta oggetto di adesione alla procedura devono necessariamente essere tutti quelli per i quali non sono scaduti i termini per l'attività accertativa del fisco, e per i quali il contribuente è tenuto ad indicare ogni singolo investimento, sia finanziario che patrimoniale, costituito e/o detenuto in Paesi esteri, direttamente o indirettamente;
   secondo il dato riportato nello scorso mese di aprile dal quotidiano il Sole 24 Ore, sarebbero non più di mille le istanze presentate all'Agenzia delle entrate per aderire alla procedura; si tratterebbe, pertanto, del decollo difficile di un'operazione dalla quale il Governo contava, secondo stime ufficiose, di ricavare un «tesoretto» pari ad almeno 5 miliardi di euro dalle 50-70 mila domande attese entro il 30 settembre 2015, data, peraltro in cui la regolarizzazione spontanea dovrebbe lasciare il passo ai nuovi accordi di trasparenza siglati con Svizzera, Liechtenstein e Principato di Monaco, alcuni dei quali prevedono lo scambio automatico di informazioni a partire dal 2018 –:
   quale risulti ad oggi l'andamento delle richieste di adesione alla procedura di cui in premessa, con particolare riferimento al numero delle istanze, agli importi coinvolti ed al relativo anno fiscale, e se il Governo abbia effettuato una stima più puntuale del gettito atteso. (5-05705)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile del 2013 l'ISIS «G. Filangieri» di Frattamaggiore, in provincia di Napoli, ha chiesto ed ottenuto di accedere al finanziamento del 5 per mille;
   l'Agenzia delle entrate ha inserito prima nell'elenco provvisorio e poi in quello definitivo degli enti di volontariato per l'anno 2013 l'ISIS «G. Filangieri», attribuendogli finanche un numero di codice fiscale;
   l'istituto in questione ha quindi provveduto ad informare dell'avvenuta iscrizione i genitori degli alunni al fine di consentire, nell'ambito del pagamento delle imposte, l'eventuale destinazione del 5 per mille al «G. Filangieri»;
   nel settembre del 2014, tuttavia, l'Agenzia dell'entrate ha comunicato al dirigente scolastico dell'istituto l'esclusione della scuola dall'elenco dei soggetti destinatari del beneficio del 5 per mille per mancanza d'iscrizione dell'ente nell'anagrafe delle onlus;
   l'ISIS «G. Filangieri» ha prodotto proprie controdeduzioni sottolineando come a beneficiare del 5 per mille siano stati ammessi enti di ricerca scientifica, enti di ricerca sanitaria e addirittura comuni, quindi soggetti pubblici della stessa tipologia dell'ISIS «G. Filangieri»;
   non si comprende, dunque, perché siano stati esclusi dal beneficio del 5 per mille gli istituti di istruzione statale mentre al contrario siano stati ammessi gli istituti d'istruzione con personalità giuridica di diritto privato;
   dall'elenco definitivo si evince addirittura che numerose scuole gestite da enti ecclesiastici o privati siano stati ammessi al beneficio del 5 per mille –:
   se non ritengano doveroso ed urgente mettere in campo, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile a garantire che possano essere ammessi al beneficio del 5 per mille anche gli istituti di istruzione statale del tipo dell'ISIS «G. Filangieri»;
   se non ritengano di dover rivedere la pratica relativa all'ISIS «G. Filangieri». (4-09314)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   FERRARI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 159 del 2011 lo Stato ha messo a punto uno strumento legislativo per il migliore e più penetrante contrasto del fenomeno mafioso;
   nell'ambito della legislazione contro la mafia di cui al citato decreto legislativo il sequestro dei beni delle organizzazioni mafiose riveste una essenziale importanza perché colpisce il patrimonio accumulato illecitamente dalle organizzazioni criminali ed al tempo stesso consente l'utilizzo dei beni e dei proventi da parte dello Stato alimentando il Fondo unico giustizia che costituisce parte delle risorse messe a disposizione della giustizia nel Paese;
   compito dell'amministratore giudiziario, come è noto, è quello di custodire, conservare ed amministrare i beni, anche al fine di incrementarne la redditività;
   quasi la metà dei beni confiscati alla mafia sono gestiti nel distretto di Palermo ed all'interno di esso gli incarichi di amministratore giudiziario sembrano essere concentrati in un numero esiguo di professionisti;
   in data 14 maggio 2015 nel corso della trasmissione televisiva le Iene andata in onda su Italia uno è stato intervistato l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara che, nell'interesse dello Stato, è l'amministratore giudiziario di aziende e beni che vengono confiscati alla mafia;
   dalle visure effettuate dai giornalisti della trasmissione citata risulterebbe che l'avvocato Seminara alla data odierna sia amministratore giudiziario di quasi ottanta aziende;
   sembra inoltre che, oltre ai beni gestiti quale amministratore giudiziario, gestisca delle aziende alberghiere nonostante tra i beni confiscati e gestiti nella sua veste pubblica figurino diverse aziende alberghiere in una situazione, quindi, di potenziale conflitto di interessi se tale situazione fosse realmente accertata;
   anche per quanto riguarda i compensi per l'attività prestata sembra che l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara riceva dallo Stato ingenti somme nell'ordine di diversi milioni di euro;
   a questo si aggiunga che, secondo il giornalista, l'avvocato collaborerebbe in azienda con il marito della Presidente del tribunale misure di prevenzione di Palermo, che è la persona deputata all'assegnazione degli incarichi di amministrazione giudiziaria;
   ad avviso dell'interrogante tutti gli incarichi per la massima trasparenza e verificabilità devono essere pubblici e consultabili online da parte dei cittadini, con l'espressa indicazione dei compensi percepiti dai singoli professionisti;
   la concentrazione degli incarichi, oltre a costituire una evidente criticità in presenza di un tessuto sociale fortemente corroso da fenomeno della corruzione, non consente neppure di liberare risorse verso giovani professionisti che potrebbero bene operare in questi delicati incarichi –:
   di quali elementi disponga in merito ai fatti descritti in premessa;
   quali iniziative normative intenda assumere per evitare la concentrazione degli incarichi di amministrazione giudiziaria in capo a pochi professionisti;
   se non sia il caso, nell'ambito della più generale revisione del codice antimafia, di assumere iniziative per predisporre un diverso iter per il procedimento di nomina degli amministratori giudiziari.
(3-01519)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è una Autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità ai sensi della legge n. 481 del 1995 ed è stata istituita con la legge n. 249 del 31 luglio 1997, n. 249;
   per l'espletamento delle funzioni attribuitele l'Autorità può avvalersi di 25 unità di personale provenienti da altre amministrazioni in posizione di comando o distacco o fuori ruolo;
   il comma 66 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2012 (cosiddetta legge anticorruzione) prevede che: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico...»;
   il successivo comma 68 prevede inoltre che «... i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi...»;
   l'avvocato Francesco Sclafani, appartenente ai ruoli dell'Avvocatura dello Stato, nel mese di febbraio 2013 aveva già accumulato nel corso della sua carriera 7 anni e 8 mesi di servizio in posizione di fuori ruolo dalla propria Amministrazione e che pertanto, sulla base della predetta normativa, un eventuale ulteriore incarico fuori ruolo a lui attribuito non avrebbe potuto avere durata superiore a 2 anni e 4 mesi;
   in data 27 marzo 2013, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, l'AGCOM adottava la delibera 257/13/CONS con la quale attribuiva l'incarico di segretario generale dell'Autorità all'avvocato Francesco Sclafani per una durata di 5 anni, rinnovabile, previo collocamento del medesimo in posizione di fuori ruolo da parte dell'Avvocatura dello Stato;
   in data 24 aprile veniva concessa dall'Avvocatura dello Stato il predetto fuori ruolo. L'avvocato Francesco Sclafani si insediava presso l'AGCOM in qualità di segretario generale a decorrere dal successivo 2 maggio 2013 per una durata di 5 anni, ad avviso dell'interrogante in contrasto con quanto disposto dal comma 68 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2013;
   il comma 72 della medesimo articolo della legge n. 190 del 2012 ha previsto una deroga al termine massimo complessivo di 10 anni per consentire la conclusione degli incarichi già attribuiti «alla data di entrata in vigore della presente legge» disponendo la conferma «della posizione di fuori ruolo sino al termine dell'incarico, della legislatura, della consiliatura o del mandato relativo all'ente o soggetto presso cui è svolto l'incarico»;
   una eventuale interpretazione delle predette disposizioni che consentisse di superare il termine massimo di 10 anni anche per gli incarichi attribuiti successivamente all'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, a giudizio dell'interrogante oltre ad essere palesemente in contrasto con il dato letterale della norma, ne consentirebbe il completo aggiramento stravolgendo l'intento del legislatore in materia di anticorruzione;
   la situazione di dubbia legittimità oggetto della presente interrogazione è diretta conseguenza della concessione all'avvocato Francesco Sclafani da parte dell'Avvocatura dello Stato del periodo di servizio in fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico di segretario generale presso l'AGCOM piuttosto che disporre il suo rientro nei ruoli al superamento dei 10 anni complessivi;
   la gravità della situazione descritta necessita un rapidissimo chiarimento della vicenda anche al fine di consentire all'AGCOM di poter avviare tempestivamente tutte le necessarie procedure per l'individuazione di un nuovo soggetto cui attribuire l'incarico di segretario generale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per garantire il rispetto del comma 68 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2012 in primo luogo da parte dell'Avvocatura dello Stato. (4-09321)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'affidamento condiviso regola l'affidamento dei figli e quindi l'esercizio della potestà genitoriale in caso di cessazione di convivenza dei genitori in modo che ciascun genitore sia responsabile in toto quando i figli sono con lui;
   al contrario dell'affidamento congiunto, che richiede completa cooperazione tra i genitori, l'affidamento condiviso in caso di conflitto suddivide in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi e tutelando, altresì, la relazione genitoriale con i figli;
   la legge n. 54 del 2006, sulla carta, ha costituito un cambiamento molto rilevante in quanto stabilisce dopo la separazione il «principio di bigenitorialità» inteso come diritto del minore a continuare ad essere accudito da entrambi i genitori, ed ha superato la precedente disciplina che prescriveva l'affidamento esclusivo ad uno dei due genitori dei figli con un residuale diritto di visita per l'altro;
   la legge n. 54 del 2006 prevede come regola di partenza per tutte le separazioni l'affidamento dei figli ad entrambi i genitori, ma attualmente non è applicata da tutti i tribunali o non è applicata correttamente finendo nel replicare il sistema precedentemente vigente. Infatti, le norme in materia di affido condiviso non prevedono la prassi della collocazione del figlio presso uno dei due genitori come dimora prevalente, metodologia invece utilizzata da molti tribunali Italiani, che quindi mancano di rispettare anche il primo comma dell'articolo 155 del codice civile che recita «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi ed i conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»; 
   in Italia ci sono 100.000 padri che non riescono a vedere i propri figli con continuità a causa di sentenze che, a giudizio dell'interrogante, mancano di applicare la legge che regola l'affido condiviso;
   in questo contesto si inserisce la vicenda del signor Giuseppe D'Alconzo che nel gennaio del 2007 ha subito una sottrazione internazionale dei suoi figli minori Giulia Isabella e Daniel Arthur ad opera della madre che li ha trasferiti negli Stati Uniti;
   il signor D'Alconzo ha immediatamente presentato domanda per il rientro dei minori in Italia secondo le disposizioni della convenzione dell'Aja ratificata da ambedue le nazioni (Italia-USA);
   il 7 maggio del 2007 il giudice Sheldon, del tribunale di Phoenix, Arizona, dopo un processo durato un mese e tre giorni, ha disposto il rientro dei minori in Italia;
   il 21 aprile del 2010 la corte d'appello di Roma (ricorso alla disposizione del tribunale dei minorenni di Roma) ha stabilito l'affidamento dei figli minori presso i servizi sociali di Monterosi (Viterbo) – dove all'epoca erano residenti – e il collocamento dei bambini presso la madre, che pure aveva eseguito la sottrazione internazionale, e regolava le visite al padre che li poteva vedere per circa 12/14 giorni al mese come prescritto dalla legge 54 del 2006;
   il 7 marzo del 2011 la madre, ha improvvisamente prelevato i minori (all'epoca rispettivamente di 8 e 6 anni) e denunciato il padre di abuso sessuale sul piccolo Daniel;
   il 19 aprile 2011 il tribunale dei minori ha sospeso la potestà genitoriale ad ambedue i genitori, ma incredibilmente i bambini sono stati collocati, ancora una volta, presso la madre;
   il 2 gennaio 2013 il signor D'Alconzo ha presentato presso la Corte europea dei diritti umani un ricorso contro la Repubblica italiana secondo gli articoli 6,8,14 della «Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali» (ratificata a Roma il 4 novembre del 1950). Il dottor Roberto Ianniello, giudice del tribunale dei minorenni di Roma, nel suo decreto del 12 dicembre 2012: «I minori sono sottoposti a forti pressioni dove la loro volontà è fortemente coartata sotto un profilo psicologico e dove sarà difficile realizzare incontri con la figura paterna»;
   dal gennaio 2013 fino al giugno 2014 il signor D'Alconzo ha potuto incontrare i propri figli per circa 50 ore in ambiente neutro;
   il 5 maggio 2014 il tribunale della Repubblica di Viterbo ha assolto con la più ampia formula «perché il fatto non sussiste» il signor D'Alconzo, da quell'accusa (violenza sessuale) mossa dalla madre;
   il 19 giugno 2014 il tribunale dei minorenni di Roma ha ripristinato gli incontri liberi dei minori con il padre;
   il 14 ottobre 2014 il decreto del tribunale dei minorenni è stato annullato dalla corte d'appello di Roma, su istanza della madre, e sono stati interrotti con effetto immediato gli incontri liberi;
   l'interruzione degli incontri è stata confermata malgrado l'opposizione del signor D'Alconzo e il parere espressamente contrario dei servizi sociali;
   i minori sono stati quindi sottoposti ad un nuovo trauma per l'abbandono del padre che dal 10 ottobre 2014 non li ha potuti più incontrare;
   in tutti i percorsi psicologici effettuati, il signor D'Alconzo è sempre risultato un padre adeguato. Al contrario, la madre, autrice nel 2007 di una sottrazione internazionale e condannata per tale reato in primo grado dal tribunale della procura di Viterbo il 23 gennaio 2014, autrice di appropriazione indebita e condannata per tale reato in primo grado dallo stesso tribunale il 23 gennaio 2014, (condannata in primo grado dallo stesso tribunale per il mancato rispetto dell'ordinanza della corte d'appello di Roma sul diritto di visita dei bambini), che ha sottratto i bambini una seconda volta nel marzo 2011 usando contro il padre la falsa accusa di abuso sessuale, che li ha manipolati e alienati, vede accolte le sue richieste dalla corte d'appello che incredibilmente scrive che non si ravvisano da parte sua «comportamenti pregiudizievoli»;
   secondo studi scientifici, i minori che vivono presso solo un genitore sono particolarmente esposti a danni per la salute non solo psichica, essendo comprovato che la monogenitorialità e la carenza di cure possono portare a danni bioumorali, ormonali e persino cromosomici –:
   di quali dati disponga in merito all'applicazione della legge n. 54 del 2006 che dispone l'affido condiviso tra genitori separati ovvero circa il rispetto delle tempistiche previste dalla comunità scientifica, dalla Corte europea e dall'ONU, in cui non meno del 33 per cento del tempo (fino al 50 per cento) deve essere trascorso dal minore presso ognuno dei genitori separati;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda porre in essere per garantire la salute ed un futuro adeguato dei figli oggetto di situazioni come quella di cui in premessa;
   se ci siano le condizioni per avviare iniziative ispettive presso la corte d'appello di Roma ed il tribunale dei minorenni di Roma alla luce di quanto espresso in premessa. (4-09334)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'intervento «Accessibilità a Malpensa – collegamento tra la strada statale n. 11 «Padana Superiore» a Magenta e la tangenziale ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede del tratto della strada statale n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo ponte sul Ticino – si inquadra nelle opere di adeguamento e potenziamento della viabilità di connessione con l'aeroporto di Malpensa;
   lo sviluppo complessivo di tale opera comprende la variante Abbiategrasso, in nuova sede sulla strada statale 494 e riqualifica in sede del tratto Abbiategrasso-Vigevano con esclusione del ponte sul Ticino (con cui l'intervento si accorda, ma oggetto di altro progetto);
   tale, opera infrastrutturale è stata inclusa, con delibera del Cipe n. 121 del 2001 nell'ambito del «corridoio plurimodale padano – sistemi stradali e autostradali – accessibilità Malpensa», nonché nell'intesa generale quadro tra il Governo e la regione Lombardia, sottoscritta l'11 aprile 2003, e l'Anas è soggetto aggiudicatore;
   il Cipe con la delibera 31 gennaio 2008, n. 8, ha approvato il progetto preliminare con prescrizioni e raccomandazioni per un costo complessivo dell'intervento pari a 281 milioni di euro e la copertura finanziaria è stata assicurata a valere sulle risorse della legge n. 345 del 1997, nonché su quelle regionali di cui alla legge n. 41 del 2004; inoltre, è stato assegnato, in via programmatica, un contributo di 6 milioni di euro per 15 anni a valere sui fondi di cui all'articolo 1 comma 257, della legge n. 244 del 2007, con decorrenza dal 2009;
   successivamente con decreto interministeriale 16 novembre 2012, n. 405, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, preso atto del mancato deposito del progetto, ha revocato il finanziamento dell'opera ai sensi dell'articolo 32 del decreto-legge n. 98 del 2011;
   la mancata realizzazione della superstrada da Vigevano ad Albairate, e poi da Albairate verso Malpensa, da un lato, e verso Milano, dall'altro, genera ogni anno rilevanti danni particolarmente significativi al sistema locale per quanto concerne l'economia, l'ambiente, la sicurezza e la qualità della vita della popolazione;
   in base ad uno studio commissionato ad un gruppo di ricerca dell'università di Pavia nel 2011, il costo stimato per la popolazione nel caso in cui l'intervento previsto non sia portato a termine e significativamente maggiore dell'investimento necessario seppur ingente l'effettiva realizzazione dell'opera e l'apertura al pubblico: «La stima prende in considerazione tanto costi diretti, ossia direttamente sopportati dagli utenti della nuova strada, quanto indiretti, ossia a carico dell'intero sistema locale a prescindere dal suo utilizzo. In altre parole, si può concludere che – sulla base di questa stima orientativa – la non realizzazione della superstrada costa al territorio non meno di 109 milioni di euro all'anno (differenza fra quota ammortamento costruzione superstrada e costi sopportati in assenza di essa). Un valore che può addirittura arrivare a circa 150 milioni di euro nel caso in cui si voglia considerare anche i costi supplementari sopra richiamati»;
   in assenza di interventi di questo tipo, appare difficile attivare un percorso sviluppo sociale (aumento della popolazione) ed economico (rilancio del tessuto imprenditoriale) per un sistema locale che nonostante le difficoltà derivanti dalla crisi in atto, presenta grandi potenzialità;
   la costruzione della superstrada concorre a sanare un'altra carenza del territorio relativa alta mancanza di un casello autostradale nelle immediate vicinanze di un polo industriale che continua a ricoprire un ruolo importante per il territorio;
   già il 6 dicembre 2013, nel rispondere ad una interpellanza urgente presentata dal sottoscritto, il sottosegretario pro tempore Girlanda ribadiva la necessità di opere di adeguamento e potenziamento della viabilità di connessione all'aeroporto di Malpensa, al fine di migliorare accessibilità all'aerostazione dal bacino sud-ovest milanese, nonché riequilibrare in tal modo i carichi di traffico e decongestionamento di quest'area;
   lo stesso sottosegretario, nel sottolineare la difficoltà di reperimento delle necessarie risorse finanziarie per approvare il progetto definitivo, aveva comunque annunciato la redazione del progetto di un primo stralcio funzionale denominato «Variante di Abbiategrasso alla ex S.S. 494»;
   nei giorni scorsi, il Governatore della Lombardia ha consegnato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti un dossier sulle opere prioritarie da realizzare in regione: nell'elenco, precisamente al punto 2, vi è anche la superstrada Vigevano-Malpensa;
   si auspica che l'incontro suddetto possa costituire un primo importante passo teso al riconoscimento di un progetto, avviato nel 2011, che consentirà a quasi 100 mila persone di poter lavorare senza affrontare disagi e di non veder deprezzate le proprie abitazioni, a causa delle difficoltà di collegamento con Milano; la superstrada potrebbe rappresentare, inoltre, un volano di sviluppo per il turismo vigevanese;
   nell'ultimo periodo si sono susseguite sugli organi di informazione una serie di dichiarazioni alquanto confuse e contrastanti, da cui non emergono con chiarezza gli sviluppi della vicenda –:
   se l'opera sia ancora considerata strategica;
   se, come dichiarato dal Presidente della regione Lombardia Maroni, si intenda dar corso alla realizzazione della superstrada;
   in che stato si trovi la procedura amministrativa;
   se ci siano risorse disponibili e quali.
(2-00991) «Mazziotti Di Celso».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato un'interpellanza n. 2/00642 il 24 luglio 2014 nella seduta n. 271 che ricostruisce l'edilizia residenziale pubblica: sovvenzionata, agevolata e convenzionata relativamente ad i piani di zona;
   a seguito di questa interpellanza l'ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti richiedeva al direttore generale per la condizione abitativa divisione I divisione – V una nota riferita a tale problematica;
   la dirigente dottoressa Costanza Pera dopo aver analizzato i punti contestati aveva concluso che: «... il Comune di Roma, ha avviato l'adozione di procedimenti in autotutela nei confronti degli atti con i quali erano... stati fissati i prezzi di cessione per gli alloggi... detto atto di autotutela è stato impugnato dai soggetti attuatori con ricorso innanzi al TAR del Lazio e questa direzione generale ha richiesto all'avvocatura generale dello Stato di tutelare l'interesse dell'amministrazione che coincide con quello dell'autotutela comunale impugnato... nel frattempo, è stata avviata formale verifica congiunta con il Comune di Roma per tutte le convenzioni in essere presso il Comune stesso e si è richiesto un parere al Consiglio di Stato...»;
   il TAR del Lazio ha respinto con sentenza i ricorsi proposti da alcune Cooperative edilizie avverso il provvedimento con cui Roma Capitale ha comunicato la rettifica e la sostituzione delle tabelle dei prezzi di cessione degli alloggi di edilizia residenziale convenzionata già approvate, rideterminando il prezzo di cessione ed il conseguente canone di locazione degli alloggi realizzati dalle cooperative stesse fruenti di contributo nella costruzione di edilizia agevolata, caso identico giuridicamente a quello degli di Castel Giubileo;
   lo stesso TAR afferma che: «... Del resto parametrando i canoni di locazione al prezzo di cessione degli alloggi definito al lordo del finanziamento regionale si otterrebbe una inammissibile duplicazione del beneficio, il quale in tal modo sarebbe fruito sia all'atto della corresponsione del prezzo della costruzione, sia al momento della riscossione dei canoni... e gli assegnatari (degli alloggi), sarebbero gravati di un corrispettivo per la locazione comprensivo degli oneri di preammortamento e di finanziamento, relativi alla erogazione del contributo corrispondendo un canone di locazione superiore a quello definibile per intervento escluso da finanziamenti esterni»;
   infatti, con l'espressione «edilizia residenziale convenzionata» si fa riferimento a quegli interventi di edilizia residenziale posti in essere previa stipulazione di una convenzione con il comune con la quale, a fronte di concessioni da parte dell'Amministrazione pubblica (riguardanti l'assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti l'urbanizzazione del comparto e l'edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati;
   nel caso di Castel Giubileo (quartiere di Roma) la regione Lazio, con la deliberazione della giunta regionale dell'11 novembre 1980 n. 4159, approvava il primo piano per l'edilizia economica e popolare finanziato dal Consiglio d'Europa in attuazione della legge n. 167 del 1962 con un diritto di superficie da concedere in diritto di superficie ad I.S.V.E.U.R., istituto quest'ultimo che avrebbe designato e individuato le imprese di costruzione per la realizzazione degli alloggi di edilizia economica e popolare in attuazione della legge n. 167 del 1962;
   con un esposto a Roma Capitale, regione Lazio e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 31 ottobre 2014, da parte dell'avvocato Vincenzo Perticaro in nome e per conto degli inquilini facenti parte del Piano di Zona n. 1 «Castel Giubileo» del comune di Roma, in cui tra l'altro veniva ribadito che gli alloggi suindicati erano regolati da una convenzione del 20 dicembre 1983 stipulata tra la Società B.I.G. 1981 e il comune di Roma e venivano invitate e diffidate le suddette autorità, ad adottare i dovuti provvedimenti al fine di attivarsi per l'emissione del regolare canone di locazione così come statuito dalla Convenzione del 20 dicembre 1983;
   il comune di Roma stabiliva, pertanto, la durata della concessione in anni 99 ed un corrispettivo di concessione di circa 179.000.000 lire (18 per cento IVA inclusa) (oggi euro 92.450,00) a scomputo di quanto dovuto alla stessa B.I.G. 1981 S.r.l. per la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria delle aree del Piano di Zona n. 1 «Castel Giubileo» che, con la Convenzione del 20 dicembre 1983 per atto del Notaio Troili rep. 4544, erano state appaltate dallo stesso Comune di Roma alle imprese assegnatarie individuate e coordinate da ISVEUR per un importo complessivo di circa 12,10 miliardi di lire;
   l'articolo 1 della predetta convenzione statuisce che: «il prezzo massimo unitario di cessione degli alloggi è determinato in 280.000/mq... alla data del 9 febbraio 1976... con applicazione della maggiorazione complessiva, relativamente alla quota non offerente al corrispettivo della concessione conseguente alle variazioni... ISTAT sui costi di costruzione di fabbricati residenziali... sino alla data di inizio lavori»;
   sottoscrivendo con il comune di Roma, la convenzione del 20 dicembre del 1983 rep. 4544 il «concessionario», che risulta essere stato dapprima la B.I.G. 1981 S.R.L., successivamente la Fondiaria SAI S.p.A., con sede in Firenze, succeduta alla SAI Società Assicuratrice Industriale S.p.A., ed in ultimo la Immobiliare Castel Giubileo S.r.l. «ha accettato» quanto statuito dall'articolo 14 della suddetta convenzione, in particolare i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione e per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi ove consentita;
   in particolare relativamente alla determinazione e revisione dei canoni di locazione degli alloggi, il canone di locazione secondo la Convenzione sopra citata, «... sarà determinato in base agli indici periodicamente fissati dal Comune in percentuale del valore assunto dai prezzi stabiliti per la cessione degli alloggi, in misura adeguata alla remunerazione e ricostruzione degli investimenti... la revisione periodica dei canoni di locazione degli alloggi effettuati in rapporto alle variazioni dell'indice generale del costo della vita (e tenuto conto delle spese di manutenzione straordinaria o di miglioramento delle abitazioni);
   mentre, per la determinazione dei canoni annui di locazione degli alloggi, la sopra menzionata convenzione ha previsto che: «si applicheranno le disposizioni di cui alla legge 27 luglio 1978 n. 392» sull’«equo canone»;
   ma vi è di più, nei contratti di locazione stipulati dal 1990 al 2011 dalla SAI Società Assicuratrice Industriale spa e poi dalla subentrata Fondiaria SAI spa con sede in Firenze e Fondiaria SAI spa con sede in Torino nonché in quelli stipulati dall'anno 2012 dalla Immobiliare Castel Giubileo srl ai sensi dell'articolo 2 comma 1, della legge n. 431 del 1998, dopo aver regolarmente stipulato ed aggiornato, come previsto dall'articolo 1 della convenzione del 20 dicembre del 1983, i contratti ad «equo canone» alla prima scadenza quadriennale dei rinnovi automatici di detti contratti, successiva alla entrata in vigore della legge n. 431 del 1998, hanno stipulato nuovi contratti secondo l'articolo 2 della suddetta legge con determinazione, nel primo dei suddetti nuovi contratti, del canone annuo di locazione, tramite maggiorazione nell'ordine del 20 per cento dell'ultimo canone annuo dei contratti «equo canone» non più rinnovati;
   ciò posto, occorre, precisare che la modificazione del regime contrattuale da «equo canone» a regime contrattuale ai sensi dell'articolo 2 comma 1 della legge n. 431 del 1998, in deroga alle prescrizioni dell'articolo 1 della convenzione del 20 dicembre del 1983, richiede di fatto, una specifica approvazione da parte del comune di Roma, al fine di evitare per il concessionario, di incorrere nelle sanzioni di cui al punto n. 3 dell'articolo 14 della convenzione stessa, in particolare: «nel caso di cessione o di locazione dell'alloggio per un corrispettivo superiore» rispetto a quello riportato all'articolo 1 «...sarà applicato al proprietario superficiario inadempiente una penalità contrattuale da tre a cinque volte la differenza tra il corrispettivo da richiedere... e quello effettivamente richiesto, avendosi riguardo, per quanto concerne l'ipotesi di locazione, al canone annuo»;
   successivamente in riscontro alla sopra menzionata diffida, Roma Capitale inviava alla difesa degli inquilini, la Nota del 1o dicembre 2014 prot. 185988, in cui venivano rilevate una serie di imprecisioni sulla questione in esame;
   di conseguenza con diffida del 13 gennaio 2015 nei confronti di Roma Capitale, nonché della regione Lazio quali organi deputati al controllo sul rispetto della normativa di settore, gli inquilini tramite il proprio legale di fiducia l'avvocato Vincenzo Perticaro, non solo evidenziavano la violazione della convenzione del 20 dicembre 1983, ma soprattutto invitavano gli uffici preposti di Roma Capitale a volersi attivare per l'applicazione della stessa, utilizzando di conseguenza le sanzioni previste dall'articolo 14 della convenzione del 20 dicembre 1983, nonché di ottemperare a quanto statuito all'articolo 14 lettera B) della Convenzione medesima con riferimento cioè all'obbligo di procedere alla revisione periodica del canone locatizio;
   infatti nello specifico, secondo quanto prescritto all'articolo 14 dell'allegato B della convenzione, il comune di Roma è chiamato ad applicare le seguenti sanzioni in caso di violazione della convenzione da parte del concessionario: a) in base alla lettera f) «nel caso di cessione o di locazione di alloggio pattuite per un corrispettivo superiore a quello determinato secondo i criteri di cui agli articoli 11 e 12 del presente disciplinare allegato alla convenzione, le pattuizioni medesime saranno ritenute nulle per la parte eccedente ai corrispettivi ovvero ai canoni approvati dall'Amministrazione Comunale»; b) «la risoluzione del contratto di concessione, ove previsto nei casi di cui alle precedenti lettere, comporterà oltre alla retrocessione del diritto di superficie al comune di Roma anche il ripristino del pieno possesso dell'area da parte del comune stesso che, ai sensi dell'articolo 934 del codice civile diverrà automaticamente proprietario anche dell'eventuale costruzione già realizzata, salvo il versamento in favore del concessionario decaduto dalla minor somma tra lo speso e il migliorato e previa compensazione con gli eventuali danni subiti dal comune»;
   non è noto se gli uffici preposti di Roma Capitale abbiano provveduto, in ossequio ai propri compiti istituzionali, a verificare se le società concessionarie, succedutesi nel tempo nella titolarità del diritto di superficie degli alloggi, hanno rispettato quanto previsto e statuito nella convenzione del 1983 e, nello specifico, se si sia proceduto ad accertare e/o verificare l'avvenuta eventuale attuazione delle opere di urbanizzazione nonché il compiuto rilascio della licenza di abitabilità;
   gli obblighi della convenzione non potevano non essere noti giacché, all'articolo 16 della stessa è espressamente previsto che: «...La presente convenzione sarà registrata come per legge trascritta in tutti i suoi articoli a cura del notaio rogante...»;
   quindi non può assolutamente ritenersi liberalizzata la commercializzazione degli immobili in questione in quanto «decorsi più di cinque anni dal primo trasferimento degli immobili in questione, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 179 del 1992, nonché più di trenta anni dalla stipula della Convenzione precitata»;
   difatti, l'articolo 2, della convenzione stabilisce che «la cessione si intende fatta per la durata di anni 99...»: il che significa che il dettato della Convenzione del 1983 vincola le parti al rispetto di quanto in essa contenuto fino al venir meno della stessa;
   il tutto, in primis, perché la convenzione ha una durata di 99 anni e, in secondo luogo, perché l'articolo 31 della legge n. 448 del 1998 al comma 49-bis, così come introdotto dall'articolo 5, comma 3-bis, della legge n. 106 del 2011, stabilisce che «i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all'articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione...»;
   pertanto, posta l'acclarata attuale vigenza della convenzione del 1983, i vincoli in essa stabiliti potranno essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, solo con la stipula di una nuova Convenzione in forma pubblica soggetta a trascrizione, cosa evidentemente non avvenuta nel caso di specie. Non prima di aver riconosciuto agli inquilini stessi un diritto di prelazione nell'eventuale dismissione;
   nel caso di specie, dunque, non si rinviene alcuna autorizzazione da parte degli uffici comunali competenti che abbiano legittimato le varie società succedutesi nel tempo al trasferimento della proprietà degli immobili de quibus considerati;
   ma non solo. A causa di tale vendita del patrimonio immobiliare ed a causa del mancato rispetto dei vincoli previsti dalla legge sull'edilizia residenziale nonché di quelli prescritti dalla convenzione originariamente stipulata con il comune di Roma, la immobiliare Castel Giubileo risulta a tutt'oggi proprietaria degli immobili e sta procedendo a sfrattare le persone che abitano da anni gli alloggi loro assegnatigli;
   difatti, la Immobiliare Castel Giubileo, senza minimamente considerare le finalità per cui sono stati realizzati gli immobili del piano di zona, ossia l'emergenza abitativa, sta applicando dei canoni di locazione a prezzi di mercato con la logica conseguenza che gli inquilini, persone che percepiscono redditi molto bassi, non sono in grado di pagare canoni così onerosi e sono quindi oggetto di sfratti da parte della società senza che il comune di Roma o il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti preposto abbiano mai effettuato alcun tipo di intervento in merito;
   inoltre il citato articolo 14 lettera B della suddetta convenzione stabilisce espressamente non soltanto i criteri per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi ma anche i criteri per la determinazione e revisione dei canoni di locazione degli alloggi;
   sussistono pertanto gravi violazioni degli oneri posti dalla convenzione stipulata tra la Società B.I.G. 1981 e il comune di Roma, per cui trovano applicazione i disposti dell'articolo 18 del testo unico n. 380 del 2001 secondo cui «ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione è nulla per la parte eccedente»;
   alla luce di quanto accaduto, in data 12 febbraio 2015 Roma Capitale con nota prot. 23499, comunicava che «... considerata la complessità delle questioni si è attivato per la richiesta di parere all'Avvocatura Capitolina ed al Segretariato Generale al fine di una migliore soluzione delle problematiche rappresentate»;
   eppure, la questione di cui si discute riguarda più di 500 nuclei familiari, che abitano quelle case da più di 30 anni, ed oggi sono costretti a pagare per imposizione contrattuale dell'attuale proprietà i canoni di locazione con 3 mesi di anticipo pena risoluzione del contratto;
   ma vi è di più; pochi giorni orsono uno dei tanti inquilini è stato oggetto di sgombero per una presunta morosità in quanto sottoposto ad un'esecuzione per ordine del tribunale civile di Roma;
   dopo aver depositato, attraverso il legale, una serie di documenti e giustificazioni finalizzate a dimostrare l'infondatezza della morosità, lo stesso giudice delle locazioni, con un'ordinanza del 20 aprile 2015, abbia imposto agli uffici preposti di Roma capitale: «... l'acquisizione della documentazione relativa al prospetto di calcolo del canone eventualmente da applicarsi al caso di specie e, ove esistente e sollecitandola, della pronuncia delle autorità interpellate al riguardo...»;
   nonostante nessuno sappia se l'inquilino sia o meno moroso il giorno 19 maggio 2015, così com'era accaduto l'ultima volta, è stato posto in essere un tentativo di sgombero forzoso dell'inquilino da parte dell'ufficiale giudiziario. La cosa che ha destato maggiore scalpore era l'ingente spiegamento di forze dell'ordine per eseguire lo sfratto del povero inquilino che non solo non si comprende se sia o meno moroso, ma è disoccupato e pochi giorni prima era stato persino sottoposto ad intervento chirurgico;
   lo stesso alla luce dell'ingiustizia che si sentiva di subire si era barricato dentro casa cospargendosi di alcol e minacciando alle forze dell'ordine di darsi fuoco se qualcuno avesse forzato la porta;
   nel mentre si stava eseguendo lo sfratto si erano radunati una cinquantina di persone, coinquilini, oltre ad un gruppo di persone del sindacato Asia Usb, giunti sul posto per protestare contro l'illegittimità dell'esecuzione vista l'evidente documentazione a supporto;
   intanto erano presenti per eseguire lo sfratto: sul posto poliziotti in tenuta antisommossa del commissariato Serpentara/Fidene, alcuni agenti della Digos, vigili del fuoco, tecnici dell'Italgas, un medico ed un'ambulanza;
   situazioni che, in casi simili creano evidenti problemi di ordine pubblico vista la percezione della cittadinanza di una simile ingiustizia sociale;
   lo sfratto che è stato rinviato – proprio per il palese problema di ordine pubblico che stava scaturendo o che sarebbe scaturito – con l'obbligo però per l'inquilino di lasciare l'immobile al prossimo accesso fissato per l'11 giugno 2015;
   l'interpellante era presente sul posto ed è rimasta fino a quando si sono tranquillizzati gli animi e l'esecuzione è stata posticipata –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritengano necessario e opportuno fornire spiegazioni in merito all'enorme spiegamento di forze dell'ordine, oltre ai costi che ciò comporta per la collettività, per uno sfratto per il quale ad oggi nessuno ancora è certo della morosità dell'inquilino vittima dell'esecuzione per la negligenza degli stessi enti preposti al controllo;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti anche alla luce dei gravi episodi riportati nelle sentenze del TAR del Lazio, in merito ai gravissimi danni, quali gli sfratti, che giornalmente i cittadini sono costretti a subire a causa dell'omessa vigilanza degli enti preposti in casi simili;
   quali iniziative, alla luce di quanto accaduto, i Ministri interrogati intendano assumere per impedire il protrarsi dei danni cagionati, oltre agli accorgimenti per evitare il ripetersi di tali situazioni.
(2-00987) «Lombardi».

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi sono state denunciate in maniera anonima da due operai che hanno prestato servizio nella costruzione del tunnel e segnalate dalla trasmissione Report su Rai 3 presunte criticità in merito alla realizzazione della galleria «La Franca», lunga un chilometro, sull'asse della nuova 77 Foligno-Civitanova Marche, nell'ambito del progetto viario Quadrilatero Marche-Umbria;
   i sospetti denunciati dai lavoratori riguardano il fatto che si sarebbe utilizzato meno cemento del necessario nella realizzazione del tunnel; secondo le testimonianze dei due operai, al fine di risparmiare tempo e costi, la galleria sarebbe stata costruita con materiali scadenti, in alcuni punti non ci sarebbe cemento a sufficienza per reggerne il peso e all'interno della struttura, che si trova in una zona altamente sismica, si registrerebbero seri problemi di sicurezza;
   il presidente dimissionario dell'Anas, Pietro Ciucci, ha minimizzato le accuse sostenendo che si tratti di «denunce anonime prive di riscontri» ed ha difeso la totale legalità nell'esecuzione dei lavori: «Sulla galleria La Franca, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori “a corpo”. Peraltro, nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal gruppo interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già lo scorso anno è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori né a vuoti a tergo dei rivestimenti»;
   ad ogni buon fine, dopo la segnalazione della trasmissione Report, per fugare qualsiasi dubbio in relazione alle denunce anonime, l'ANAS ha disposto l'estensione sull'intera galleria delle verifiche tramite tecnologia georadar, già compiute su oltre il 20 per cento della lunghezza complessiva, e le relative attività hanno avuto inizio alla presenza delle telecamere di Report in data 10 aprile 2015;
   l'ANAS, oltre a garantire l'avvio immediato delle verifiche e l'ultimazione delle stesse nel giro di pochi giorni, ha assicurato che le risposte degli accertamenti eseguiti con i georadar sarebbero state fornite in breve, entro massimo una decina di giorni dall'inizio delle verifiche;
   allo stato attuale, nonostante sia passato più di un mese dall'avvio, non sono stati ancora resi noti i risultati di tali verifiche;
   dal momento che, in assenza di problemi, i vertici dell'ANAS avrebbero interesse a confermare la realizzazione a norma della galleria (invece, qualora le verifiche non siano state ancora ultimate, sarebbe compito dell'ANAS e portare a conoscenza dell'opinione pubblica e delle istituzioni eventuali ritardi in merito ai risultati delle stesse), potrebbero sollevarsi timori e sospetti che i controlli sulla galleria La Franca abbiano manifestato qualche criticità, magari minima o irrilevante rispetto alla sicurezza della galleria, che nessuno vorrebbe portare a conoscenza –:
   quali siano i motivi dei ritardi sugli esiti delle verifiche effettuate e, qualora gli esiti dei controlli dimostrino qualche criticità sulla realizzazione della galleria, se intenda fare al più presto chiarezza su eventuali responsabilità e rimuovere qualsiasi ostacolo allo sviluppo della galleria, al fine di fornire adeguate garanzie circa la sicurezza e la solidità strutturale dell'opera, essendo la strada statale 77 un asse viario fondamentale per il progetto Quadrilatero e quindi per il potenziamento infrastrutturale del territorio interessato. (3-01517)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dai dati pubblicati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti relativi all'anagrafe delle opere incompiute, persistono in tutta Italia centinaia di investimenti, attivati dalle amministrazioni, in opere pubbliche che, per cause diverse, non sono mai arrivate all'ultimazione dei lavori e di fatto sono delle incompiute. Questo stato di fatto potrebbe determinare un elevato spreco di risorse pubbliche nonché il mancato soddisfacimento delle necessità della collettività cui sono state destinate tali opere;
   i dati, rilevati da un rapporto di sintesi pubblicato dall'Istituto per l'innovazione e per trasparenza degli appalti e compatibilità ambientale, ottenuti da segnalazioni degli enti locali interessati e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per quanto riguarda i lavori di rilevanza nazionale, evidenziano allo stato 692 opere incompiute al 31 dicembre 2013 che corrispondono ad un importo al lordo degli oneri pari a circa 3,5 miliardi di euro. I lavori eseguiti ammontano a 1,1 miliardi di euro (33 per cento), i lavori necessari al completamento ammontano a circa 1 miliardo di euro (30 per cento), gli oneri complessivi ammontano 1,3 miliardi di euro (37 per cento) e di questi ultimi non è nota la quota già spesa e quella residua. L'elenco delle opere comprende strade, impianti, sportivi, ospedali, scuole, parcheggi, aeroporti e altre strutture pubbliche iniziate e mai ultimate;
   in particolare, le opere incompiute sono così suddivise sul territorio nazionale: Veneto 25, Campania 10, Lazio 82, Calabria 64, Valle d'Aosta 1, Piemonte 25, Liguria 18, Lombardia 19, Friuli-Venezia Giulia 13, Provincia autonoma di Bolzano 14, Toscana 43, Emilia-Romagna 24, Marche 20, Umbria 17, Abruzzo 33, Molise 18, Basilicata 37, Puglia 59, Sicilia 67, Sardegna 68, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 35;
   il 44 per cento delle Opere incompiute riguardano nuove realizzazioni; se queste sommiamo quelle per recupero e restauro si arrivano a contare 368 opere (54 per cento) per le quali la conclusione dell'intervento è necessaria per la fruibilità: per completarle servirebbero 775 milioni di euro al netto degli oneri;
   la maggior parte delle opere incompiute sono relative a infrastrutture sociali (62 per cento) e necessitano di 452 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture di trasporto (39 per cento), invece, richiedono 359 milioni di euro al netto degli oneri per il completamento. Le 101 infrastrutture ambientali necessitano di 101 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture a rete rappresentano circa un quinto delle opere incompiute e di queste la metà (51 per cento) richiedono, per essere completate, 154 milioni di euro al netto degli oneri;
   poco più della metà (51 per cento) delle opere hanno un valore superiore al milione di euro e di queste sono 99 quelle che superano la soglia comunitaria;
   il 51 per cento delle opere sono incompiute a causa della mancanza di fondi; seguono le interruzioni per cause tecniche (208, pari al 31 per cento) e quindi per il fallimento dell'impresa esecutrice (188, pari al 28 per cento);
   il 55 per cento  delle opere non sono fruibili dalla collettività; 224 (33 per cento) sono fruibili con uso ridimensionato e appena 77 (12 per cento), invece, sono fruibili. Quanto allo stato di avanzamento ed alla previsione di utilizzo, quasi due su tre (416, pari al 63 per cento) sono state completate per una quota inferiore ai 4/5 e non lasciano prevedere un utilizzo anche ridimensionato dell'opera; 16 risultano essere state ultimate (in attesa di collaudo) e 69 con stato d'avanzamento maggiore dei 4/5;
   un dato interessante e confortante in merito alla possibilità di completamento di un rilevante numero di opere è desumibile dal dettaglio delle sette casistiche di livello di sviluppo previste dalla normativa vigente in materia, che evidenziano che per portare a termine le predette 85 opere con avanzamento superiore ai 4/5 sarebbero sufficienti «appena» 16 milioni di euro;
   i dati sono in continuo aggiornamento e secondo fonti di stampa sono destinati comunque a crescere in maniera rilevante in quanto sarebbero ancora molte le opere non censite che restano incompiute a causa di mancanza di fondi, di problematiche tecniche, a causa di sopravvenute nuove disposizioni di legge, per il fallimento dell'impresa appaltatrice o per mancato interesse al completamento da parte del gestore;
   in molti casi, il ritardo nell'ultimazione dei lavori, l'interruzione o la sospensione protratta negli anni comporta inevitabilmente il mancato rispetto dei costi preventivati per la realizzazione ed un rilevante aumento degli stessi –:
   quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare al fine di favorire il completamento delle opere pubbliche incompiute in tempi certi e brevi onde poter scongiurare ulteriori aumenti di costi e con particolare riferimento alla possibilità di attivare un Fondo ad hoc che possa finanziare l'ultimazione dei lavori nonché una serie di agevolazioni fiscali ed urbanistiche che possano incentivare l'intervento di risorse private, anche in project financing, o in specifici accordi di partenariato pubblico/privato. (5-05685)


   GRIMOLDI e BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto «sblocca Italia», convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha destinato 100 milioni di euro ai provveditorati interregionali alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «per interventi di completamento di beni immobiliari demaniali di loro competenza e, nel limite di 50 milioni, per l'attuazione di interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza di beni pubblici, di completamento di opere in corso di esecuzione nonché di miglioramento infrastrutturale»;
   la stessa disposizione prevede l'individuazione degli interventi e delle procedure di attuazione con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la struttura di missione istituita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 2014;
   il decreto ministeriale firmato in attuazione della sopracitata norma ha assegnato complessivamente 6 milioni di euro alla regione Lombardia; in particolare, 1,8 milioni di euro sono stati destinati alla provincia di Brescia per interventi alle caserme dei carabinieri di Sarezzo, Pontoglio e Fiero;
   i lavori per la realizzazione della caserma dei carabinieri di Sarezzo risultano essere in stato avanzato in quanto l'opera è in costruzione ormai da diversi anni;
   il completamento consentirebbe il celere avvio dell'operatività della stessa con notevoli effetti positivi per la popolazione –:
   se le risorse per il proseguimento dei lavori della caserma dei carabinieri di Sarezzo sono state erogate, confermando la priorità della realizzazione di tale infrastruttura, al fine di dare al territorio interessato prospettive certe nei modi e nei tempi di completamento dell'opera.
(5-05686)


   PELLEGRINO, MARCON e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2009 è stato approvato dall'ANAS il progetto denominato «S.S. n. 51 di “Alemagna” variante di Vittorio Veneto (tangenziale EST) – Collegamento La Sega-Ospedale – 1o stralcio “La Sega-Rindola”», meglio noto con il nome di «Traforo di Santa Augusta». L'opera prevede 3 rotatorie di circa 45 metri di diametro, una galleria di 1.500 metri, un sottopasso di 100 metri, 2 ponti sul principale fiume che attraversa la città di Vittorio Veneto, un tratto di altri 1.000 metri di lunghezza, l'attraversamento di un parco, la compromissione di un sito di interesse comunitario (Sic);
   il progetto consiste nella costruzione di una «falsa» tangenziale che riverserebbe un consistente volume di traffico direttamente all'interno della città di Vittorio Veneto, la quale non dispone nel proprio centro storico di arterie stradali idonee a sostenerlo. Ragion per cui la funzionalità dell'opera risulta pressoché inesistente, soprattutto alla luce del costo non esiguo ed in costante aumento: 49 milioni di euro nella previsione iniziale, ormai già divenuti 64 milioni;
   l'obiettivo dichiarato dell'opera sarebbe quello di togliere traffico dal centro storico, ma la tangenziale invece farebbe sì che il traffico pesante, oggi obbligato a passare dall'autostrada, troverebbe più conveniente girare dalla città con un impatto pesantissimo in termini ambientali e di qualità della vita;
   quest'opera, peraltro molto contestata dai cittadini di Vittorio Veneto, verrà integralmente finanziata dall'Anas, ossia dallo Stato;
   come ricordato da un articolo del Fatto Quotidiano.it del 28 aprile 2015, in questi anni i cittadini hanno dato battaglia e hanno sconfitto l'Anas su quasi tutta la linea: nel 2013 il Consiglio di Stato ha annullato tutti gli atti, tra cui la delibera di approvazione del progetto definitivo, dando ragione ai cittadini che denunciavano l'assenza della valutazione di incidenza ambientale e della relazione sismica;
   ma l'Anas quella strada ha deciso di farla comunque, e ad appena tre mesi dalla bocciatura del Consiglio di Stato ha ripresentato il progetto definitivo del traforo e ha poi approvato il progetto esecutivo prevedendo un aumento dei costi del 30,6 per cento in più;
   nel frattempo, come rammenta il suddetto articolo di stampa, il comune di Vittorio Veneto ha approvato – su proposta Anas – una variante urbanistica finalizzata a estendere i vincoli sui terreni, contravvenendo così alla legge regionale sugli espropri. Gli espropriati si sono rivolti al TAR e hanno visto riconosciute le loro ragioni (sentenza passata in giudicato). Si è creata così la situazione paradossale di oggi: l'Anas può realizzare la rotatoria a Nord, il primo ponte sul fiume Meschio, la galleria dentro la montagna e sotto una decina di case abitate che rischiano il crollo a causa dei lavori (sono case antiche, non hanno fondamenta). Poi, qualche centinaio di metri più in là la strada si ferma in aperta campagna. Non può seguire il progetto originario perché l'Anas non ha diritto di passare su quei terreni. Ed ecco allora farsi strada l'idea di una nuova variante. La tangenziale correrà qualche centinaio di metri più in là, passando tra due scuole attraversando la pista ciclabile e il parco cittadino lungo il Meschio per infilarsi in pieno centro, nella stessa rotatoria prevista in origine;
   la variante non è ancora stata approvata, ma i lavori per il tunnel di Sant'Augusta stanno per cominciare;
   in realtà, come anche evidenziato dai comitati di cittadini, e da diverse associazioni ambientaliste, esistono numerosi progetti alternativi altrettanto funzionali benché di minor impatto ambientale, maggiormente economici e di ben più rapida realizzazione. Progetti dei quali peraltro il TAR, nella sua sentenza, caldeggia la valutazione;
   su questa opera è stata investita anche l'Autorità anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, con un esposto presentato dal Comitato «No traforo Anas-Si alternative» –:
   se non intenda verificare se i procedimenti di approvazione del progetto oggi in esecuzione, a seguito dell'annullamento da parte del Consiglio di Stato nel 2013, e dei conseguenti aumenti degli importi contrattuali originari riportati in premessa, siano rispettosi della normativa vigente in tema di gare d'appalto e se, viste le evidenti suesposte criticità, non si ritenga opportuna, per quanto di competenza, una verifica della persistenza delle condizioni necessarie alla prosecuzione del progetto, specialmente in riferimento alle problematiche di acquisizione dei terreni, di impatto ambientale e di effettiva funzionalità dell'opera. (5-05687)


   CASTIELLO e BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini lucchesi attendono da oltre 60 anni nuovi interventi sul sistema viario. Nel tempo si sono succedute innumerevoli proposte, sono stati elaborati diversi progetti che ad oggi non hanno ancora trovato una loro realizzazione. Infatti, per via del dissesto stradale i mezzi pesanti che servono le aree industriali della provincia di Lucca, sono costretti ad impegnare la Circonvallazione per poter accedere ai caselli autostradali;
   il primo progetto, noto come Salt 1, risale al 1987 e si componeva di una variante alla strada statale 12, nota come tratta Nord-sud, lunga circa 8 chilometri e di una complanare pressoché adiacente all'autostrada tra Lucca e Capannori di pari lunghezza. Questo progetto, che prevedeva un tracciato di superstrada a 4 corsie e la realizzazione di molti viadotti, fu accantonato in quanto ritenuto ad elevato impatto ambientale;
   successivamente, negli anni ’90, venne proposto un secondo progetto (Salt 2) che riprendendo il vecchio cercò di eliminare buona parte dei viadotti indicando, in alternativa, un percorso in gran parte interrato. Anche questo progetto, a causa di una fitta rete di canali e fossati e di una falda freatica vicina al piano di campagna, fu accantonato per l'impossibilità di realizzarlo;
   il 21 dicembre 2001, il Cipe con la delibera n. 121 ai sensi della legge obiettivo sui programmi delle infrastrutture strategiche previde una serie di interventi di attraversamento Nord Sud dei valichi appenninici comprendenti, tra l'altro, anche l'ammodernamento della strada statale 12 Abetone Brennero. Il 3 febbraio 2003 la provincia di Lucca, i comuni di Lucca, Capannori ed Altopascio, l'Associazione industriali e la camera di commercio, firmarono un documento contenente le linee guida della nuova viabilità della piana di Lucca. Sulla base di queste linee guida, nel 2005 l'Anas redasse il progetto preliminare e lo studio di impatto ambientale delle tangenziali est ed ovest. La regione Toscana espresse parere contrario in particolare per la tangenziale ovest, in quanto riteneva indispensabile migliorare la qualità degli interventi di mitigazione;
   il 18 aprile 2003 il Governo e la regione Toscana firmarono l'intesa quadro che ha riportato gli stessi contenuti della delibera Cipe n. 121. Nel 2005, all'interno del documento allegato al DPEF, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti individuò il complesso degli interventi stradali di interesse statale riguardanti il territorio della provincia di Lucca, e più nello specifico individuò il cosiddetto «sistema tangenziale di Lucca». Tali interventi furono previsti anche all'interno delle opere infrastrutturali ANAS di nuova realizzazione 2007-2011, per un importo complessivo di 482 milioni di euro e con previsione di appaltabilità nel 2011;
   il 6 marzo 2008 i comuni di Lucca, Capannori, Porcari, Altopascio, Montecarlo e Villa Basilica, Associazione degli industriali, camera di commercio e provincia di Lucca firmarono il documento di intesa sulle infrastrutture necessarie a migliorare il sistema della mobilità nella piana di Lucca. Tale documento divenne necessario affinché la provincia, dietro indicazioni della regione, avesse potuto approfondire la progettazione relativa alla tangenziale est nonché ad ulteriori interventi finalizzati a riorganizzare la rete viaria della piana di Lucca;
   il 28 luglio 2008 si procedette all'apertura del nuovo casello autostradale del Frizzone a Capannori. Nel gennaio del 2010, con atto aggiuntivo all'intesa tra Governo e regione Toscana del 2003, venne previsto il potenziamento della viabilità est di Lucca comprendente i collegamenti fra Ponte a Moriano e i caselli dell'A11 Frizzone e di Lucca est;
   nel 2011 venne siglato un nuovo protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione toscana, la provincia di Lucca, 1'Anas spa, i comuni di Capannori e Lucca, sul riassetto complessivo della viabilità della piana di Lucca;
   successivamente, nel marzo 2012 ANAS si è impegnata a presentare il progetto preliminare degli assi della piana entro l'autunno, e più precisamente entro il 30 novembre dello stesso anno. Nel frattempo nell'aprile 2012 il Consiglio regionale toscano approvò l'aggiornamento 2011 al programma pluriennale di investimenti sulla viabilità di interesse regionale per gli anni 2002-2007, a cui si sono aggiunti 23 nuovi interventi sulle strade regionali, per un investimento complessivo pari a 69.100.000 euro;
   il 4 luglio 2012 ANAS redigé il documento preliminare all'avvio della progettazione, che ha modificato il precedente documento redatto nel 2005 a seguito del parere della Commissione speciale e dello studio della provincia condiviso con gli enti locali. Le priorità che compaiono nel documento sono: il tratto ovest est (da Antraccoli fino al casello Lucca est), il tratto est ovest (fino alla viabilità nord sud), e infine il tratto asse nord-sud;
   nella delibera del Cipe n. 4 del 2014 si legge che la legge di stabilità 2014 ha autorizzato la spesa di 485 milioni di euro per la realizzazione di nuove opere. Il criterio per la sezione delle nuove opere è individuato con l'attuazione del piano investimenti 2007-2011 allegato al contratto di programma Anas 2007. In tale piano di investimenti la realizzazione della «tangenziale di Lucca» non appare affatto menzionata, andando dunque ad eliminare ogni presupposto che permetterebbe un legittimo stanziamento di fondi da parte del Cipe;
   nell'allegato al Def (documento di economia e finanza) che è stato approvato il 10 aprile 2015 dal Consiglio dei ministri si legge chiaramente che nel documento pluriennale di pianificazione (Dpp) introdotto dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 288 è individuato lo strumento di programmazione che include e rende coerenti tutti i piani e i programmi d'investimento per le opere pubbliche di propria competenza. Tale documento sarà elaborato per settembre 2015, in vista del disegno di legge di stabilità 2016;
   se fino a qualche anno fa il riassetto del sistema stradale della provincia di Lucca era un progetto fissato solo su carta, ad oggi non resta nemmeno questo. Il programma delle infrastrutture strategiche (Pis) approvato e modificato dal Cipe, a cui spetta il compito di indicare quali opere sono contenute nella «legge obiettivo» e dunque seguono le relative norme speciali in materia, include 419 interventi per un costo di 384 miliardi di euro;
   nell'Allegato infrastrutture, che indica lo stato di avanzamento delle opere incluse nel Pis, all'insediamento del Ministro Delrio la lista delle priorità contava 51 opere, mentre l'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha voluto accentuare la discontinuità togliendo ben 22 opere, aggiungendone 2 e facendo così scendere a 31 queste super-priorità. Nello specifico, le due opere aggiunte sono la tranvia di Firenze e il servizio ferroviario metropolitano di Bologna, mentre tra le opere eliminate vi è anche la tangenziale est di Lucca;
   l'obiettivo dell'Allegato infrastrutture è quello di indicare, attraverso la tabella 0 contenuta alla fine dell'allegato, lo stato di avanzamento di ogni opera inclusa nel Pis. Da questo punto di vista nell'allegato del 10 aprile 2015, l'aggiornamento c’è solo per le 30 opere prioritarie, mentre si legge chiaramente che «con riferimento alle altre opere contenute nel Pis di cui all'allegato XI Allegato infrastrutture si provvederà, a valle di un approfondito confronto con le Regioni, al previsto aggiornamento sullo stato di avanzamento in sede di definizione della nota di aggiornamento al Def 2015»;
   successivamente all'approvazione del Def, il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Riccardo Nencini, durante un incontro tenutosi a Lucca, ha parlato di «termini certi» sia per la realizzazione dei nuovi assi viari, sia per il raddoppio della linea ferroviaria verso Firenze –:
   se il Ministro sia in possesso di maggiori informazioni rispetto a quelle note agli interroganti, che gli permettano di esprimersi in termini ottimistici rispetto alla cosiddetta tangenziale est di Lucca, e se, dunque, non ritenga di dover fornire ulteriori chiarimenti in proposito, ovvero se, qualora il Viceministro Nencini abbia piuttosto espresso un auspicio, quali iniziative si intendano intraprendere al fine di attribuire al progetto in questione la qualifica di opera prioritaria provvedendo al relativo finanziamento. (5-05688)


   SEGONI, ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 maggio 2015 è stato sottoscritto il Protocollo di Intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Toscana, la regione Lazio, la società Autostrada Tirrenica (SAT) e Autostrade per l'Italia spa, azionista di maggioranza della SAT, sulla base del quale verranno investiti oltre 1,4 milioni di euro (interamente finanziati da Autostrade per l'Italia spa) per il nuovo progetto riguardante l'autostrada A12 Livorno-Civitavecchia (secondo le testate giornalistiche è prevista la messa a norma dell'Aurelia per tutta la tratta tra Cecina-Rosignano e Grosseto, mentre a Sud di Grosseto fino a Civitavecchia dovrebbe essere realizzata l'autostrada. A corredo dell'intesa pare esserci un tracciato definitivo dell'intera opera, ad eccezione del lotto 5B, riguardante la tratta Fonteblanda-Ansedonia, il cui tracciato non è stato ancora stabilito);
   sempre da fonti stampa, si è appreso che in data 26 maggio 2015 il Viceministro Nencini, in occasione di un incontro con le autorità locali di Cecina in merito al progetto autostradale A12 Livorno-Civitavecchia, ha pubblicamente dichiarato che «il corridoio tirrenico, fino alla scorsa estate, era un progetto morto. Ora abbiamo un accordo, un buon accordo che andrebbe festeggiato proseguendo il tratto che va da qui, da Cecina, fino a Grosseto: la quattro corsie sarà potenziata, messa in sicurezza, riasfaltata. E in questo caso il pedaggio dovrebbe aggirarsi intorno ai 2.50 euro, ma anche qui è prevista l'esenzione per chi è residente nell'arco di 20 chilometri», rendendo evidente il fatto che, come è avvenuto per il lotto 6A (tra Tarquinia e Civitavecchia) la via Aurelia, strada pubblica dall'epoca dei Romani, verrà convertita in autostrada a pedaggio dopo poche opere di allargamento delle corsie e ripavimentazione, con esenzioni possibili solo per chi è possessore di Telepass (con abbonamento annuale a carico del proprietario del mezzo) e per chi è residente nel raggio di 20 chilometri dal casello;
   i residenti nelle aree a sud di Grosseto, in cui dovrebbe venir realizzata l'autostrada, potrebbero non dover pagare per i primi cinque anni, mentre, per quelli successivi, la regione Toscana, usando risorse pubbliche che saranno tolte presumibilmente ad altri servizi essenziali, si è impegnata a garantire l'esenzione sia a veicoli di tipo A, auto, che di tipo B, piccoli camion, dirottandovi la propria quota di spettanza proveniente dai pedaggi;
   nell'allegato VI del Documento di economia e finanza 2015 – Programma delle infrastrutture strategiche (a differenza di quello dell'anno precedente che conteneva un elenco di 100 pagine delle opere previste dalla legge obiettivo) si limita a riportare le 25 opere definite prioritarie, sulle quali il Governo intende puntare per l'adeguamento infrastrutturale del sistema Paese e tra queste non compare l'autostrada A12 Livorno-Civitavecchia. Inoltre da una lettura incrociata dei dati su autostrade e ferrovie emerge in modo chiaro che servirebbe il potenziamento delle linee ferroviarie – soprattutto quelle locali, legate agli spostamenti dei pendolari – mentre appare difficilmente giustificabile la propensione a realizzare nuovi (e costosi) tratti autostradali, nel paese che vanta una delle più estese (anche in rapporto alla superficie) reti autostradali d'Europa;
   con il decreto legislativo n. 228 del 2011 è previsto che le opere prioritarie debbano essere individuate attraverso un Documento pluriennale di pianificazione (DPP), da definire entro settembre 2015 –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione del fatto che un'infrastruttura pubblica come la via Aurelia diverrà un'autostrada soggetta a pagamento di un pedaggio autostradale (senza che ad oggi nessuna complanare sia stata realizzata), intenda garantire, come già dichiarato, per i prossimi cinque anni l'esenzione del pedaggio per i residenti provvisti di Telepass e con quali modalità e se tale esenzione sarà a carico del gestore oppure se saranno previsti finanziamenti pubblici e, in questo ultimo caso, con quali coperture finanziarie. (5-05689)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCHIRÒ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del IV Forum Mondiale dell'acqua pubblica, nel 2006, si è affermato il riconoscimento dell'accesso all'acqua come un diritto fondamentale di ciascun essere umano, stabilendo il livello minimo di 20 litri di acqua al giorno come diritto non commerciabile;
   in data 28 luglio 2010 l'ONU ha dichiarato il diritto dell'acqua come «un diritto umano universale e fondamentale»;
   è condivisione ormai consolidata l'obiettivo di garantire un fabbisogno minimo di 50 litri pro-capite giornaliero per ogni essere umano al fine di assicurare le condizioni essenziali alimentari e igienico-sanitarie;
   paradossalmente, tali fondamentali principi e obiettivi di civiltà rischiano di essere messi in discussione anche nel nostro Paese a seguito di scelte gestionali avventate e censurabili assunte da alcune società di gestione del servizio idrico, come nel caso che si sta verificando in provincia di Agrigento;
   la società Girgenti Acque spa, è il gestore delle risorse idriche dell'ATO (ambito territoriale ottimale) della provincia di Agrigento, e in tale veste giuridica ha come principale obbiettivo quello di rendere efficiente, efficace ed economica la gestione della risorsa acqua;
   tra i suoi scopi riveste carattere fondamentale quello di garantire ai cittadini dei comuni da essa gestiti, l'erogazione di acqua potabile ed un servizio adeguato ad un moderno Paese europeo, con la costante attenzione alla salvaguardia dell'ambiente;
   nonostante ciò, la situazione di gestione del servizio idrico rivela molteplici anomalie e disfunzioni, accompagnate da una politica tariffaria che vede significative sperequazioni tra i territori dei comuni rientranti nell'ATO Idrico AG9, con un inspiegabile aggravio per gli utenti dei comuni che hanno provveduto alla consegna degli impianti alla suddetta società, e, addirittura, con differenze tariffarie anche tra questi ultimi comuni;
   i costi gestionali della società Girgenti Acque spa risultano nell'ordine del 25 per cento superiori alle precedenti gestioni, con conseguente aggravio tariffario che, in base al nuovo regolamento d'utenza approvato dall'Ato idrico, registrano incrementi del 130 per cento per i residenti e del 230 per cento per i non residenti;
   molteplici sono i disagi e le proteste delle popolazioni servite e delle rispettive amministrazioni comunali, soprattutto a seguito delle numerose azioni di distacco dei contatori idrici e della sospensione del servizio idrico operate nei confronti degli utenti in ritardo con i pagamenti, a quanto consta all'interrogante anche per importi molto modesti;
   per di più, la privazione del servizio idrico rende le abitazioni non conformi ai requisiti minimi igienico-sanitari ai fini del rilascio o della conservazione dell'attestato di abitabilità, aggravando ancor più il disagio e la preoccupazione per gli utenti coinvolti –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di assicurare che non sia compromesso il fondamentale diritto all'acqua per le suddette popolazioni e se, in particolare, ritengano di promuovere una modifica della disciplina vigente volta ad assicurare, nei casi di morosità, l'erogazione di una fornitura d'acqua minima di sussistenza;
   se in via generale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, anche valutando la possibilità di attingere a risorse dell'Unione europea, ritenga possibile agevolare e monitorare, per quanto di competenza, la veloce ed adeguata realizzazione di infrastrutture idriche per affrontare in maniera idonea le problematiche descritte in premessa;
   se il Ministro dello sviluppo economico, anche per il tramite dell'osservatorio sui prezzi, possa verificare la situazione dei costi del servizio idrico integrato al fine di chiarire le dinamiche anche alla luce di quanto descritto in premessa.
(5-05681)

Interrogazione a risposta scritta:


   DELL'ORCO, LOMBARDI, SPADONI, CARINELLI, ZOLEZZI, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, MASSIMILIANO BERNINI, VIGNAROLI, TERZONI, DAGA, MANNINO, BARONI, DI BATTISTA, GRANDE, LIUZZI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la notte tra il 6 e il 7 maggio 2015 un devastante incendio all'aeroporto di Roma Fiumicino «Leonardo Da Vinci» ha distrutto una larga parte del Terminal T3, provocando gravi conseguenze sulla circolazione del traffico aereo nazionale e creando forti disagi ai viaggiatori e alla viabilità stradale e ferroviaria locale;
   le cause dell'incendio sono ancora al vaglio della magistratura che, al momento, ha aperto un fascicolo per incendio colposo e ha iscritto nel registro degli indagati quattro operai della ditta alla quale era affidata la manutenzione degli impianti di condizionamento e un dirigente di Adr;
   secondo le prime ricostruzioni l'incendio sarebbe stato provocato dal cortocircuito di un quadro elettrico mal funzionante, posto in un locale di servizio vicino ad uno dei bar all'interno dei varchi;
   l'episodio ha rivelato una preoccupante situazione dello stato di sicurezza e manutenzione della struttura aeroportuale. In particolare, il Terminal 3 (T3), risalente agli anni ’60, è in molti punti servito da strutture e impianti vetusti e logori e, negli anni, si è investito molto poco in manutenzione e ammodernamento, come d'altronde sembrerebbe testimoniare anche l'accaduto. Ad esempio, la velocità con cui sembrerebbe essersi propagato l'incendio ad avviso degli interroganti potrebbe essere indizio, tutto da verificare, anche di un mancato adeguamento degli impianti elettrici con materiali a norma, autoestinguenti o/e ignifughi; altro interrogativo al vaglio della magistratura riguarda l'efficienza degli apparati di sicurezza esistenti, il funzionamento corretto degli strumenti di controllo e prevenzione degli incendi nonché degli impianti di spegnimento, senza dimenticare che, dai primi accertamenti dei tecnici nominati dalla procura di Civitavecchia, titolare del procedimento aperto dopo l'incendio, risulterebbe la totale assenza di porte tagliafuoco e di sistemi automatici a pioggia;
   secondo i commercianti del T3 che hanno visto i loro negozi distrutti e secondo quanto dichiarato alla stampa dal sindaco di Fiumicino, tutte le autorità erano probabilmente consapevoli dello stato di inadeguatezza della struttura. Inoltre, uno dei sindacati della polizia operante nel terminal, risulterebbe aver segnalato già il 22 dicembre 2014 una sistematica mancanza di manutenzione/adeguamento degli impianti di aerazione in violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro di cui all'articolo 68 del decreto legislativo n. 81 del 2008 sia al direttore della V zona di polizia di frontiera, nonché alla Direzione Aeroporti di Roma e a quella di Enac;
   l'ultimo contratto di programma tra Enac e Adr per la gestione dell'aeroporto sembrerebbe riversare molti fondi ed energie sull'espansione dello scalo aeroportuale. Ovviamente su questa linea hanno influito molto i piani societari di Adr spa e, in questo scenario, anche il completo rifacimento del T3 potrebbe rivelarsi un'opportunità, soprattutto in un momento in cui Atlantia-Gemina (socio di riferimento Benetton), controllante di Adr, sembra intenzionata a ridurre la presenza azionaria (60 per cento), dentro Aeroporti di Roma. Contemporaneamente sembra ci siano anche altri soci, come Goldman SachS, interessati a cedere le quote di minoranza. Ciò significa che verosimilmente, passeranno di mano quote di minoranza senza intaccare il controllo da parte dei Benetton, che sanno di avere in mano un capitale da poter sfruttare e stanno cercando di alzare sul prezzo finale su uno scalo su cui si stanno accendendo gli interessi di compagnie arabe come Etihad, che dopo aver comprato Alitalia progetta di fare di Fiumicino un punto nevralgico dei propri collegamenti, soprattutto verso il continente americano, o di Qatar Airways, che ha concluso un accordo di collaborazione e codesharing con Vueling, che da alcuni mesi ha aperto una base a Roma Fiumicino, con il chiaro intento di competere con Etihad;
   l'atto aggiuntivo alla convenzione per la gestione del sistema aeroportuale della Capitale e contratto di programma (ai sensi dell'articolo 17, comma 34-bis, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, comprensiva dei princìpi e criteri per il suo aggiornamento periodico) prevede, all'articolo 4 la possibilità di modifica del piano di sviluppo aeroportuale. Su parere dell'Enac sarebbe/opportuno attivare tale procedura per snellire i programmi di sviluppo aeroportuale destinati esclusivamente all'aumento del traffico, puntando invece su programmi destinati all'incremento della messa in sicurezza delle parti maggiormente vetuste dello scalo;
   il primo firmatario del presente atto, insieme ad alcuni colleghi del MoVimento 5 stelle, si è recato personalmente sul luogo dell'incendio il 20 maggio 2015 ed ha potuto constatare come la situazione sia ancora particolarmente preoccupante sotto l'aspetto sanitario. Oltre ai danni alle strutture si deve infatti tenere conto anche dei danni alla salute dei passeggeri e dei lavoratori che stanno operando nell'aerostazione, nonché dei danni alla popolazione dell'abitato circostante, derivanti dalla possibile combustione di materiali inquinanti e/o tossici, quali ad esempio amianto e materiali plastici con rilascio di diossine, utilizzati oltre che nelle strutture aeroportuali anche negli spazi commerciali. I sintomi accusati da almeno una cinquantina di lavoratori solo nelle prime ore, erano riconducibili alla combustione di sostanze contenenti cloro, e consistono in irritazione degli occhi, nausea, vomito ed epistassi. Il primo giorno sui referti medici veniva scritto «intossicazione da fumi», mentre dal secondo giorno i referti recano l'indicazione generica «infortunio sul lavoro». Secondo quanto riportato da alcuni lavoratori aeroportuali ci sarebbero ancora, a distanza di giorni, persone che continuano a sentirsi male, sia fra i lavoratori che fra i passeggeri con ricoveri con ambulanza. Altro problema è quello delle polveri sottili rilasciate nell'aria e delle polveri grossolane rimosse dagli addetti alle pulizie, spesso costretti a lavorare comunque, anche se sprovvisti di adeguate mascherine e tute. L'impianto di condizionamento dell'aria è ancora fermo, visto che non è stato bonificato;
   nonostante la suddetta situazione, il 18 maggio 2015 l'attività nel T3 è ripresa con l'apertura del molo D, prima ancora che fossero accertate le condizioni di sicurezza per la salute sia dei lavoratori che dei passeggeri con dati forniti dalle autorità sanitarie. La decisione infatti è stata presa dopo una riunione amministrativa tenutasi presso la sede della direzione Sistema Aeroporti Lazio dell'Enac, che ha coinvolto gli attori aeroportuali ed un rappresentante della asl Roma D che evidentemente, in quel momento, non poteva certo avere dati sufficienti a valutare la situazione considerato che i rilievi sono ancora in corso e che le autorità sanitarie non si sono ancora espresse. Per questo motivo, i sindacati di base degli addetti allo scalo hanno annunciato per il 25 maggio uno sciopero per protestare contro la mancanza di adeguati interventi dopo le intossicazioni dei lavoratori;
   il Governo, il giorno 20 maggio 2015, rispondendo ad una interrogazione in Commissione trasporti della Camera sulla vicenda, è apparso fornire insoddisfacenti dati avuti da Adr soprattutto in merito agli aspetti` sanitari. Non è accettabile però che, in tale situazione, il Governo recepisca, secondo gli interroganti indiscriminatamente, dati forniti dall'azienda su cui dovrebbe vigilare tramite Enac e, non è chiaro, invece se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia avviato un'indagine interna, in particolare per accertare eventuali responsabilità diretta anche di Enac, quale ente vigilante del rispetto dei termini della concessione;
   proprio in merito agli aspetti sanitari e alla riapertura del terminal 3 sulla scorta di analisi dell'aria fornite da una società privata, sembrerebbe che la procura di Civitavecchia abbia aperto un nuovo fascicolo, indagando per abuso d'ufficio un dirigente della Asl Rm D e un funzionario Adr per violazione della normativa di sicurezza. Da evidenziare infatti che mentre Adr continuava a diffondere dati tranquillizzanti, l'Arpa Lazio, secondo fonti stampa, sembrerebbe aver riscontrato nell'aria elementi tossici come diossina, pcb e furani;
   il giorno 25 maggio 2015, benché la stampa avesse diffuso le suddette notizie allarmanti in merito a presunti elementi tossici e cancerogeni, Adr negando di essere a conoscenza della presenza di tali elementi avrebbe riaperto i varchi del T3 richiamando una decina di lavoratori in servizio per il turno serale;
   in data 21 maggio è stata, inviata una lettera alla direttrice del distretto sanitario del comune di Fiumicino (ASL ROMA D), dottoressa Laura Barozzi, da parte dei parlamentari Maria Edera Spadoni e Giulia Grillo e del consigliere regionale Davide Barillari per avere informazioni circa la presenza di n. 2 rilevatori d'aria presso il Terminal 3 dell'aeroporto di Fiumicino, ovvero per sapere la tipologia delle analisi in corso e chi stia portando avanti tale indagine;
   in seguito a segnalazioni su alcuni addetti ai lavori, si è venuti a conoscenza che la maggior parte del personale di terra è costretto a svolgere la propria mansione con mascherine di protezione, mentre al personale aeronavigante stranamente non sarebbero state impartite specifiche disposizioni di tutela;
   nella serata del 26 maggio 2015 procura di Civitavecchia ha messo il molo D sotto sequestro preventivo nell'ambito del nuovo fascicolo aperto per il rischio salute direttamente collegato ai risultati delle analisi effettuate dall'Agenzia regionale per l'ambiente (Arpa) che hanno rilevato la presenza in quantità rilevanti di sostanze tossiche;
   oltre agli aspetti sanitari vanno poi tenuti in considerazione quelli occupazionali: l'aeroporto di Fiumicino con i suoi quasi 35.000 lavoratori è, di fatto, la più grande azienda del Centro-sud del nostro Paese e, in un contesto già seriamente compromesso dai licenziamenti massivi e dalla cassa integrazione, è evidente che anche questo episodio potrebbe avere delle ripercussioni. L'eventuale decisione, da parte dei magistrati incaricati delle indagini, di dover chiudere parzialmente o integralmente interi comparti aeroportuali giudicati non conformi alle norme di sicurezza e/o salute pubblica, potrebbe infatti comportare la reale possibilità di dover lasciare a casa molti altri lavoratori, oltre a quelli prevalentemente del settore commerciale, che hanno già perso il posto di lavoro a causa dell'incendio –:
   se il Governo non ritenga necessario aprire una conferenza di servizi per affrontare la situazione in maniera condivisa tra le parti e complessivamente sotto tutti gli aspetti trasportistico, lavorativo e sanitario;
   se nella vicenda ci siano anche delle responsabilità di Enac e se, in particolare, siano stati verificati il progetto antincendio e le eventuali deroghe richieste ai vigili del fuoco per l'esercizio, se i materiali presenti nel luogo e gli stessi materiali elettrici non fossero a norma, ossia autoestinguenti o/e ignifughi, i piani operativi della sicurezza (POS) delle ditte presenti quella notte al T3 nonché il documento di valutazione dei rischi (DVR) fornito da ADR alle ditte stesse;
   se la decisione di riaprire lo scalo senza definitivo parere delle autorità sanitarie non abbia infranto delle norme sulla sicurezza sul lavoro;
   se l'Arpa Lazio abbia comunicato al Governo elementi di tossicità nell'aria ed eventualmente di quali sostanze si tratti;
   anche in considerazione del sequestro del molo D disposto dalla procura di Civitavecchia il 26 maggio 2015, sulla base di quali considerazioni e sotto la responsabilità di chi i varchi al T3 sono stati riaperti la sera del 25 maggio;
   quali siano state le eventuali disposizioni per tutelare anche il personale aeroportuale durante il transito nello scalo;
   se si intenda avviare un'indagine interna al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti soprattutto per verificare lo stato effettivo delle strutture e degli impianti attualmente esistenti e funzionanti nell'aerostazione, anche in vista del potenziamento dello scalo e del prossimo appuntamento del Giubileo straordinario che ha investito la città di Roma;
   se, in conseguenza del grave incidente, il Governo non ritenga opportuno far si che siano stralciati dall'atto unico stipulato tra l'ENAC e la società A.d.R. s.p.a (costituito dalla convenzione per la gestione totale fino al 2044 del sistema aeroportuale romano – Titolo I – e dal contratto di programma in deroga – Titolo II – e relativi allegati) alcuni interventi previsti per il potenziamento della capacità infrastrutturale di Fiumicino destinando risorse finanziarie già in autofinanziamento alla messa in sicurezza delle strutture già esistenti;
   se il Ministro non ritenga opportuno confrontarsi con l'Enac per verificare se non sia opportuno modificare il piano di sviluppo aeroportuale razionalizzando le risorse e puntando su programmi destinati all'incremento della messa in sicurezza delle parti maggiormente vetuste dello scalo. (4-09339)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa informano che tutte le sigle sindacali dei vigili del fuoco sardi hanno rifiutato di firmare la convenzione con la regione Sardegna in vista della prossima campagna antincendi, che inizia il 1o giugno e si conclude il 30 ottobre;
   motivi del rifiuto sono legato al numero sempre più ridotto dell'organico oltre che all'obsolescenza dei mezzi da utilizzare, ormai inadeguati ad affrontare situazioni di grave emergenza;
   inoltre, viene evidenziata dalle organizzazioni sindacali l'assoluta insufficienza dei fondi stanziati: 600mila euro, a fronte di una campagna che nel 2014 è costata 56 milioni di euro. Con quei 600 mila euro si dovrebbero pagare gli straordinari del personale, fare il pieno di carburante, riparare i mezzi;
   il Governo nazionale si era impegnato alla fine del 2014 a trasferire rapidamente 250 vigili del fuoco sardi che attualmente operano in altre regioni italiane, ma al momento nulla si è ancora visto in concreto;
   anzi, secondo quanto disposto dal dipartimento dei vigili del fuoco con la circolare n. 0023158 del 14 maggio 2015, riguardante la mobilità del personale avente la qualifica di vigile permanente, saranno solo sessanta i vigili del fuoco trasferiti in Sardegna ma, contemporaneamente, per effetto dei passaggi di qualifica a capo squadra, ci saranno quindici partenze verso i comandi della penisola che ridurranno ancora l'organico dell'Isola;
   il problema dell'organico non sia stato sollecitato solo dai sindacati, viene evidenziato con chiarezza dalla nota della direzione regionale per la Sardegna dei vigili del fuoco e della difesa civile prot. N. 0009078 del 5 dicembre 2014, relativa alla bozza di decreto inerente l'aggiornamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco distribuita alle organizzazioni sindacali il 21 novembre 2014;
   il documento osserva preliminarmente che le osservazioni fornite dalla direzione regionale all'amministrazione centrale non sono state tenute in considerazione;
   si fa notare che la Sardegna, seconda isola per estensione in Italia, rappresenta l'unica vera vasta proporzione di territorio che non può essere raggiunto agevolmente ed in tempi brevi da contingenti di soccorso terrestri in caso di qualunque emergenza;
   suoi 24.098 chilometri quadrati di territorio, che comprendono anche varie «isole minori», risiede una popolazione di circa 1.666.000 abitanti, che in estate aumenta in maniera considerevole;
   la sicurezza della popolazione è garantita da 1235 vigili del fuoco, che risultano mediamente in servizio in turno con un dispositivo che conta circa 215 unità dislocate in ventinove sedi di servizio, che diventano trentasette nel periodo estivo, che dura però un solo mese;
   nel 2013 gli interventi di soccorso sono stati 27.371 in tutta la regione, di cui 4000 per gli eventi alluvionali del novembre. Di questi, circa 300 sono stati di elisoccorso tecnico-sanitario, svolti dal reparto volo dei vigili del fuoco Sardegna (80 per cento di tipo primario);
   praticamente la totalità del territorio sardo presenta il rischio d'incendio boschivo ed idrogeologico e sono ancora operanti, nonostante la gravissima crisi del settore industriale, trenta attività soggette ad obbligo di «rapporto di sicurezza» nell'ambito della disciplina dei «rischi di incidente rilevante»;
   le zone impervie e montane sono frequentate tutto l'anno da escursionisti, speleologi ed alpinisti provenienti dal tutto il mondo;
   l'isola presenta uno sviluppo costiero di 1850 chilometri, su un totale di 7500 chilometri di sviluppo costiero di tutto il territorio nazionale;
   in occasione della gravissima crisi alluvionale del 13 novembre 2013, essendo impegnate tutte le risorse del Corpo presenti in Sardegna si è stati costretti a chiedere l'aiuto delle sezioni operative dei vigili del fuoco di altre regioni italiane, che non sono potute essere operative che trentasei ore dopo la richiesta, confermando ancora una volta la criticità e l'unicità della condizione di «isolamento operativo» in cui vivono i vigili del fuoco sardi;
   ed è proprio partendo da questa condizione che ci si deve muovere per valutare quali siano le vere necessità di organico del Corpo dei vigili del fuoco in Sardegna;
   la bozza del decreto ricordato in precedenza prevede un incremento di 172 unità rispetto all'attuale dotazione organica reale del personale del ruolo operativo, ma di sole novantadue unità rispetto al progetto di riordino del 9 aprile 2014;
   per quel che riguarda in particolare Cagliari, si rileva che quel comando fa riferimento ad un'area metropolitana pari a circa 400 mila abitanti, servita, di fatto, da un'unica sede operativa terrestre della Centrale di Cagliari, essendo il distaccamento terrestre del porto — che cura il servizio di soccorso della zona del centro di Cagliari — non compreso nelle tabelle organiche esistenti e svolto con personale sottratto alla sede centrale ubicata in zona periferica di Cagliari;
   inoltre, l'ipotesi predetta non tiene in considerazione che i Comandi di Sassari e Cagliari forniscono in caso di emergenza grave il personale di due terzi della sezione operativa della Colonna mobile regionale, oltre a tutti i nuclei di intervento specialistici e specializzati;
   appare chiara, quindi, l'esigenza che gli organici dei due comandi maggiori siano sempre in grado di sostenere tale necessità, garantendo nel contempo il soccorso ordinario nel territorio di competenza;
   tenuto conto della condizione di insularità ricordata in precedenza, la direzione regionale ritiene congruo un aumento di 169 unità, da aggiungere alle sessantotto già previste, raggiungendo il totale di 237, vicino a quella cifra di 250 unità promesse dal Governo alla fine del 2014;
   l'attuale personale presente in Sardegna è del tutto insufficiente a garantire un efficace servizio per la sicurezza delle popolazioni;
   nel resto d'Italia il supporto tra i vari comandi avviene in tempi rapidissimi, stimabili anche in soli trenta minuti, con la garanzia di poter schierare sul luogo dell'emergenza circa 300 uomini, oltre e mezzi idonei ed attrezzature moderne, cosa che, invece, non accade in Sardegna, proprio per la carenza di organico ricordata e per la posizione geografica dell'isola che, anche in occasione dell'alluvione verificatasi nel mese di novembre 2013, alluvione, ricordiamo, che ha provocato la morte di 19 persone, ha avuto il supporto di uomini e mezzi dei vigili del fuoco provenienti dalle sedi della Toscana e del Lazio solamente dopo 36 – 48 dall'evento;
   rispondendo all'interpellanza urgente 2-00944 a firma Capelli-Dellai, l'8 maggio 2015 il Governo ha fornito assicurazioni sull'aumento dell'organico del Corpo dei Vigili del fuoco in Sardegna;
   si tratta una prima risposta certo apprezzabile ma che non può tranquillizzare del tutto, in particolare visto che siamo entrati nel periodo di massima emergenza per gli incendi boschivi mentre l'organico dei Vigili del fuoco in Sardegna resta pericolosamente sottodotato –:
   se il ministro interrogato, per quanto di sua competenza, non ritenga necessario accelerare la realizzazione della promessa del Governo dello scorso novembre, trasferendo rapidamente i circa 250 vigili del fuoco sardi presenti nelle altre regioni italiane, ponendo un primo rimedio alle indubitabili carenze di organico presenti nel Corpo dei vigili del fuoco in Sardegna.
(2-00986) «Capelli, Dellai».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della regione Campania;
   alla carica di presidente della regione è risultato eletto, allo stato e salva verifica da parte dei competenti uffici centrale circoscrizionale e centrale regionale, il candidato Vincenzo De Luca;
   il predetto candidato risulta attualmente condannato in primo grado con sentenza n. 153 del 2015 dal tribunale di Salerno, per i reati di cui agli articoli 81 cpv, 110 e 323 codice penale;
   ai sensi dell'articolo 8, commi 1, lettera a), e 3, del decreto legislativo n. 235 del 2012, i titolari della carica di presidente di regione, in conseguenza che abbiano subito una condanna di primo grado per i predetti reati, sono sospesi di diritto dalla stessa carica per un periodo di diciotto mesi;
   secondo la prevalente e consolidata giurisprudenza la sospensione di diritto opera con effetto dichiarativo sin dal momento in cui è intervenuta la sentenza di condanna;
   pertanto la sospensione del candidato in questione, ove risultasse proclamato presidente della regione, dovrebbe essere disposta senza indugio e con effetto immediato;
   la sentenza penale in questione è già nota all'amministrazione dell'interno essendosi proceduto, in conseguenza della stessa, con provvedimento del prefetto di Salerno, a sospendere il predetto candidato dalla carica di sindaco di Salerno, ricoperta in precedenza, in applicazione dell'articolo 10 dello stesso decreto legislativo –:
   se, sulla base della predetta interpretazione e delle predette circostanze, il prefetto di Napoli, in applicazione del disposto dell'articolo 8, comma 4, del citato decreto legislativo, debba procedere immediatamente a dare comunicazione della citata sentenza penale del tribunale di Salerno al Presidente del Consiglio dei ministri, sin da ora o non appena avvenuta la proclamazione a presidente della regione del candidato Vincenzo De Luca, ai fini, dell'adozione del conseguente provvedimento di sospensione dalla carica di presidente della regione Campania da parte del Consiglio dei ministri.
(2-00989) «Russo, Brunetta».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   le aziende, le agenzie e le organizzazioni che operano nel sito di Expo hanno l'obbligo di chiedere l'accredito per i propri collaboratori. Queste richieste di accredito (che comprendono dati anagrafici, documento d'identità, foto, ruolo e titolo, ma non il casellario giudiziario) vengono vagliate dalla questura che accetta o meno il nominativo senza fornire spiegazioni;
   non c’è nessuna trasparenza sui criteri adottati per la «piattaforma accrediti» da parte della questura aprendo di fatto la possibilità di discriminazione fra lavoratori;
   decine di segnalazioni sono arrivate ad Assolavoro (associazione delle agenzie interinali), al sindacato e ad Expo spa riportano il rifiuto del permesso da parte della questura;
   tra i casi di rifiuto, ci sono situazioni nelle quali il giudice aveva previsto la non menzione nel casellario e quindi, a giudizio dei segnalanti, la questura avrebbe utilizzato dati in proprio possesso per negare l'accredito;
   peraltro, si apprende che numerose persone che avevano firmato contratti a tempo determinato per lavorare nei padiglioni di Expo, anche partecipando a periodi di formazione con regolare ingresso nel sito espositivo in costruzione, il 30 aprile, a ridosso dell'inaugurazione di Expo, sarebbero stati licenziati;
   a detta della Cgil Milano sarebbero un centinaio i casi di licenziamenti «preventivi» che, in particolare, non avrebbero superato il «filtro» della questura;
   come anche riportato da notizie stampa (Il Manifesto del 27 maggio 2015), ciascuna azienda o Paese che lavora in Expo è tenuto a mandare alla questura e alla Prefettura di Milano i dati anagrafici di chi deve entrare nel sito espositivo per avere il pass che permette di accedere ad Expo tramite una procedura informatica gestita dalle piattaforme di Expo spa; in tale fase subentrerebbe il filtro della questura;
   tuttavia, da Expo spa, spiegano che «Il parere di Questura e Prefettura non è vincolante»; dunque, la decisione finale spetterebbe ad Expo; ma certo è – come riferito nell'articolo stampa – che, a fronte di un parere negativo, nessuno si assume la responsabilità di farli entrare. Ampi, dunque, sarebbero, i margini di discrezionalità;
   ai lavoratori esclusi, sarebbe stata data una comunicazione dal seguente tenore: «le regole di ingaggio per essere accreditati a Expo 2015 sono differenti da quelle di qualunque altro evento, in quanto l'Expo è stata dichiarata obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale»;
   in ogni caso, tuttavia, non paiono chiari i criteri di esclusione: alcuni lavoratori hanno anche inviato il proprio casellario giudiziario per provare di essere incensurati; operazione ritenuta inutile da Expo: «allegare visore o altri documenti non serve. I controlli vengono fatti in altra sede ufficiale e sono le autorità di Polizia a gestire queste informazioni»;
   le persone licenziate in via preventiva, comunque, nulla avrebbero a che fare con problemi di «sicurezza nazionale», salvo ritenere tali l'aver lavorato con rifugiati politici, l'aver partecipato a manifestazioni contro la riforma Gelmini del 2008, ad esempio, l'aver frequentato centri sociali;
   se ciò fosse, si paleserebbe un evidente contrasto con l'articolo 8 dello statuto dei lavoratori;
   è evidente ed urgente la necessità di fare piena luce, dunque, su procedure, normative e prassi adottate nel casi segnalati che, per come rese note dai diretti interessati, i lavoratori licenziati, nonché dalle relative notizie stampa, non possono che rappresentare una grave violazione dei basilari principi democratici di uno Stato di diritto –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   quali azioni i Ministri interrogati intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di riorganizzare i criteri di valutazione della «piattaforma accrediti» tali da non produrre la discriminazione dei lavoratori e la violazione delle libertà costituzionali del cittadino;
   di quali informazioni dispongano i Ministri circa le procedure, le normative e le prassi adottate in relazione a quelli che ad avviso degli interroganti non possono che rappresentare dei veri e propri licenziamenti preventivi in violazione di quanto stabilito dall'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, nonché dei basilari princìpi democratici di uno Stato di diritto.
(2-00992) «Daniele Farina, Scotto, Franco Bordo, Pannarale, Fratoianni, Quaranta, Costantino, Airaudo, Duranti, Ferrara, Giancarlo Giordano, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRESCIA, PETRAROLI e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per gestire il così definito «flusso straordinario di cittadini extracomunitari» in arrivo sulle coste italiane, il Ministero dell'interno ha istituito dei centri di accoglienza straordinaria distribuiti su base regionale;
   i centri di accoglienza straordinaria, stando ai dati diffusi dal Ministero dell'interno, ospitano un numero di migranti nettamente superiore rispetto a quelli accolti nelle strutture governative quali Cara/CPSA/CDA e nei progetti della rete Sprar;
   secondo quanto concordato nella Conferenza unificata tra Governo, regioni ed enti locali è stata prevista la creazione di alti centri di prima accoglienza destinati principalmente allo smistamento dei migranti, definiti «Hub Regionali e/o Interregionali»;
   stando ai dati disponibili, il numero di migranti giunti sulle coste italiane nel corso dell'anno 2014 risultano essere circa 170.100, di cui 67.128 accolti nelle varie strutture secondo i dati aggiornati a febbraio 2015, cifra che ha raggiunto le 83/84.000 unità circa a maggio 2015;
   desta forte preoccupazione la situazione dei centri di accoglienza straordinaria e centri-hub che insistono su un sistema di accoglienza italiano che ha già mostrato, negli anni, tutte le sue carenze e criticità quali, per citarne alcune, sovraffollamento e carenze strutturali dei centri, condizioni di disagio, inefficacia dei servizi offerti nonché situazioni estreme di mala gestione che hanno portato ai fatti di cronaca noti come «mafia capitale», tanto da aver istituito una Commissione monocamerale di inchiesta sui centri di trattenimento e di accoglienza per gli immigrati –:
   se siano disponibili dati precisi, non solo numerici, sui centri di accoglienza straordinaria e centri-hub, ovvero una lista unica delle strutture con informazioni relative all'ubicazione, all'ente gestore e ai posti offerti in accoglienza;
   se e quali siano i criteri di differenziazione delle strutture e relativi metodi di collocamento dei migranti, ovvero se ci siano distinzioni di posti per categorie vulnerabili e nuclei familiari con minori a carico;
   se e quali garanzie ci siano sugli standard qualitativi delle strutture e dei servizi erogati, nonché sui tempi di permanenza;
   se e quale monitoraggio il Ministero abbia attuato per verificare dove ed in quale condizione si trovino i cittadini extracomunitari giunti sulle nostre coste che evidentemente risultano fuori dal sistema di accoglienza che, tenuto conto dei lunghi tempi di permanenza all'interno dei vari centri in attesa del termine dell’iter giuridico, e visti i forti dubbi sulla presenza di un ciclo così veloce di ingresso ed uscita, risultano dalla differenza delle unità approdate sul territorio nazionale e quelle effettivamente accolte. (4-09312)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa hanno diffuso la notizia che, domenica 24 maggio, il sindaco di Bolzano ha stabilito di far issare negli uffici pubblici la bandiera italiana a mezz'asta;
   la decisione del sindaco Luigi Spagnolli viene subito dopo «aver preso atto della circolare del Presidente del Consiglio e della successiva indicazione del Presidente della Regione»;
   anche il presidente della provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, aveva duramente criticato il contenuto della circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri affermando che «esporre la bandiera tricolore, per l'Alto Adige è un'imposizione da Roma e che ricordare così l'inizio della guerra è una scelta sbagliata e irragionevole»;
   sempre il sindaco di Bolzano Spagnolli ha dichiarato che «l'inizio di quella guerra, come pure di tutte le guerre, costituisce già di per sé una sconfitta per l'umanità e per chi crede come noi nell'ideale della convivenza pacifica»;
   in occasione del centenario dell'ingresso in guerra dell'Italia, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha diramato una nota nella quale si invitano gli enti pubblici, e quindi anche i comuni, a esporre sia la bandiera italiana che quella europea. In Alto Adige l'ordine di esporre il tricolore ha però destato indignazione, in primo luogo da parte degli Schützen, che hanno diramato una dura nota, nella quale si spiega che «l'Italia festeggia così non solo la conquista del Tirolo ma pure la morte di mezzo milione di soldati italiani»;
   «Questo invito è incomprensibile, soprattutto per la popolazione di lingua tedesca e ladina», così ha dichiarato il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher;
   a questo coro di dichiarazioni vergognose ed inaccettabili si è aggiunto anche il presidente della provincia autonoma di Trento ed attuale presidente della regione Ugo Rossi, il quale dichiara che «Le bandiere dell'Italia e dell'Europa le esporremo, ma a mezz'asta, perché l'inizio di quella guerra, come pure di tutte le guerre, è già di per sé una sconfitta per l'umanità»;
   questo atteggiamento nasconde, a giudizio dell'interrogante, invece un atteggiamento di odio e di intolleranza nei riguardi di tutto quanto rappresenti l'Italia e l'italianità nelle terre irredente, per la liberazione delle quali sono morti centinaia di migliaia di nostri connazionali e che devono essere ricordati ed omaggiati come dovrebbe fare una qualunque nazione meriti di definirsi tale;
   risulta ancor più intollerabile questo spirito anti-italiano da parte degli abitanti dell'Alto-Adige dopo che gli stessi godono di benefici che ad altri italiani sono sconosciuti grazie allo statuto dell'autonomia di cui godono dalla fine della seconda guerra mondiale –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione alle modalità secondo le quali si sono svolte le celebrazioni del 24 maggio alla luce delle dichiarazioni ricordate in premessa. (4-09317)


   SPESSOTTO, BUSINAROLO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa locale, la prefettura di Treviso, unitamente all'amministrazione comunale di Altivole (TV), avrebbe manifestato una serie di gravi comportamenti censori, tesi ad impedire o quanto meno a procrastinare nel tempo, la presentazione del libro «Strade morte. Dal sogno del grande Veneto allo scandalo delle grandi opere» scritto dagli autori Marco Miloni, Carlo Costantini, Massimo Follesa e Francesco Celotto;
   per quanto di conoscenza, la richiesta di usufruire dell'Auditorium comunale «Pier Miranda Ferraro» per la presentazione del suddetto libro è stata avanzata dal referente trevigiano del Comitato Covepa, sig. Elvio Gatto, al comune di Altivole in data 13 maggio 2015 con riferimento alla disponibilità della struttura comunale per una sera della settimana 25-26-27 o 28 maggio 2015;
   sulla base della nota prefettizia prot. n. 36577 del 19 maggio 2015, il Comune di Altivole negava agli autori la disponibilità dell'Auditorium comunale «Pier Miranda Ferraro» per la presentazione del volume, adducendo quale motivazione al suddetto diniego l'opportunità di «procrastinare la presentazione del libro in questione a data successiva allo svolgimento delle elezioni regionali»;
   il sindaco Sergio Baldin, interpellato sulla vicenda, giustificava altresì la mancata autorizzazione comunale, sostenendo l'esistenza di regolamenti «che prevedono di informare il prefetto di appuntamenti che si tengono durante la campagna elettorale se si ritiene che questi in qualche modo possano entrare nel merito»;
   ad avviso dell'interrogante, per la vicenda di cui in oggetto, non è ravvisabile la sussistenza di alcuna incidenza nel merito della campagna elettorale in corso nella regione Veneto, da parte della presentazione di un libro, un appuntamento di carattere notoriamente socio-culturale, che, in quanto tale, esula dall'ambito di applicazione della normativa in materia elettorale, citata nella nota comunale, tale da poter giustificare il diniego dell'autorizzazione da parte delle amministrazioni competenti –:
   a fronte dei gravi profili di irregolarità inerenti la vicenda esposta in premessa, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno procedere, con l'urgenza richiesta dal caso, con l'avvio di una verifica nei confronti dell'operato della prefettura di Treviso. (4-09324)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Pavia è previsto in data 6 giugno 2015 il «Pavia Pride», manifestazione organizzata dalle locali associazioni LGBT, per manifestare contro l'omofobia e le discriminazioni e per il riconoscimento dei diritti civili dei cittadini omosessuali;
   negli ultimi giorni, come si apprende dalla stampa e da quanto denunciato da parte del locale comitato Arcigay, è stato diffuso in rete, attraverso i social network, un logo chiaramente inneggiante alla violenza dell'organizzazione Skinheads Pavia, che sta organizzando iniziative a contrasto del «Pavia Pride»;
   il testo diffuso dall'ufficio stampa dell'Arcigay di Pavia è il seguente:
    «Apprendiamo la notizia della creazione dell'evento “No al gay pride” su Facebook, nella cui immagine sono presenti il logo degli “Skinheads Pavia” e degli “Anti-antifa Action”, e in più un logo con la scritta “Goodbye Gay Pride” e l'immagine di un uomo completamente nero che atterra e picchia con violenza una figura rosa, che tenta di difendersi e perde vistosamente del sangue. È evidente che l'immagine costituisce un chiaro incitamento all'odio e alla violenza contro le persone LGBT (lesbian, gay, bisex, trans). Provvederemo a segnalare il fatto alle autorità competenti, e certamente non ci lasceremo intimidire da questa immagine né ci fermeremo nell'organizzazione del primo Pavia Pride, che vuole essere una festa pacifica, un abbraccio d'amore alla città di Pavia e una celebrazione dell'affettività in ogni sua forma. Chiediamo solidarietà a tutte le associazioni e a tutti i cittadini pavesi, e anche all'intero movimento LGBT nazionale. Partecipare al Pavia Pride il prossimo 6 giugno diviene così ancora più importante, per dire no a qualsiasi forma di violenza e di discriminazione...»;
   come riporta il comunicato dell'Arcigay, il logo tondo usato dagli Skinheads Pavia, in virtù del suo esplicito significato costituisce una chiara istigazione alla violenza;
   l'articolo 414 del Codice Penale «Istigazione a delinquere» così recita:
    «... chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione:
     1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
     2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni;
   se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1;
   alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici... omissis» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere in merito alla necessità di garantire lo svolgimento in sicurezza della prevista manifestazione del 6 giugno prossimo a Pavia e per garantire la sicurezza e l'incolumità della comunità LGBT pavese;
   se non si ritenga di attivare la polizia postale al fine di avviare la procedura per ottenere la rimozione del simbolo sopra citato, così platealmente inneggiante alla violenza e per l'individuazione dei responsabili. (4-09332)


   NUTI, COLONNESE, FICO, D'UVA, DADONE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Nola ha affidato per anni e continua ad affidare, tramite gare d'appalto ovvero affidamenti diretti, la gestione delle aree comunali adibite a parcheggio a pagamento per auto motocicli e ciclomotori;
   da alcuni fatti di cronache, da quanto emerge da sentenze giudiziarie e rivelazioni di pentiti, emergerebbe un quadro piuttosto complesso e a tratti non chiaro, in special modo in relazione ai legami tra le società che hanno gestito le aree comunali adibite a parcheggio a pagamento a Nola e la criminalità organizzata di tipo mafioso;
   dalle sentenze a carico di Vincenzo Cavallaro e Giuseppe Iovino, risulta, infatti, che dal 2002 ai 2006 la gestione delle aree comunali adibite a parcheggio a pagamento per auto motocicli e ciclomotori del comune di Nola è stata affidata, tramite gara d'appalto e successivamente tramite proroga alla società C.G.M.  Gestione Servizi srl riconducibile al signor Vincenzo Cavallaro, legato, tramite Giuseppe Iovino, al clan camorristico dei Russo;
   dal 2005 la gestione delle aree comunali adibite a parcheggio a pagamento è stata affidata alla società Terzo Millennio snc la quale avrebbe subìto minacce di tipo mafioso da parte del clan Russo su per conto di Vincenzo Cavallaro, al fine di ottenere la disdetta del contratto in essere con il comune di Nola a proprio vantaggio;
   solo poche settimane fa, da quanto emerge da una ordinanza della direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all'arresto di 9 persone legate al clan Di Domenico, l'imprenditore che ha gestito direttamente i parcheggi a pagamento dal 2002 al 2005 ha confessato di aver assunto una persona su indicazione del clan Russo a cui pagava una tangente tra i 1.500 e 1.000 euro al mese mentre ammontava a circa 1.000 euro al mese la tangente che veniva pagata al clan Di Domenico;
   successivamente, dal settembre 2011 ad oggi il servizio è stato affidato, inizialmente tramite un primo affidamento temporaneo semestrale e dopo tramite continue proroghe, alla società AM Parking: il proprietario, il signor Salvatore Musella avrebbe utilizzato la propria società per reinvestire somme derivanti dalle attività delittuose dei clan camorristico Contini; per questo motivo la società è stata sequestrata nel gennaio 2014 ed ha svolto in proroga e sotto amministrazione giudiziaria, la gestione delle aree comunali adibite a parcheggio;
   dopo le proroghe all'AM Parking sotto amministrazione giudiziaria, la gestione delle aree comunali adibite a parcheggio a pagamento è stata affidata il 1o ottobre 2014 al consorzio Atena con un contratto triennale, la quale è stata accusata di esercitare la gestione in maniera non corretta e per tale ragione è stata richiesta la risoluzione del contratto;
   a Nola, come riportano numerosi organi di informazione, è molto diffuso il fenomeno dei parcheggiatori abusivi, in special modo nei periodi in cui la gestione del servizio non è risultata affidata ad alcun soggetto e soprattutto durante il periodo estivo e in particolar modo durante la festa dei Gigli che si tiene nella seconda metà di giugno di ogni anno, i quali sono notoriamente legati alla criminalità organizzata;
   un'altra società, che gestiva servizi per il comune era stata oggetto di presunte infiltrazioni mafiose: la società School Bus con sede ad Afragola, solo un mese dopo il sequestro avvenuto a gennaio 2014 dell'AM Parking, ha infatti ricevuto un'interdittiva antimafia «per tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionare le attività della società» ed il comune ha dovuto provvedere alla revoca del contratto in essere con tale società; nel luglio dello stesso anno l'interdittiva è stata poi revocate;
   l'amministrazione comunale di Nola, inoltre, negli ultimi anni ha evidenziato una gestione finanziaria poco oculata, tant’è che la Corte dei conti chiese chiarimenti nel luglio 2012 all'amministrazione del comune di Nola in merito al Rendiconto 2010 e al bilancio di previsione 2011, in quanto il comune si trovava in una situazione di deficit strutturale, con il rischio, secondo gli interroganti, che si possa concretizzare a breve uno stato di dissesto finanziario;
   nel gennaio 2011 sono stati arrestati alcuni imprenditori operanti nell'area nolana e un funzionario degli uffici giudiziari di Nola il quale aveva agevolato due aziende nell'assegnazione di contratti di lavoro per conto del comune di Nola e utilizzava, talvolta, il personale in servizio all'amministrazione comunale presso gli uffici giudiziari, anche in straordinario, per lavori nella sua abitazione o in altri edifici;
   recentemente, un'altra indagine giudiziaria riguardante il comune di Nola ha destato grande scalpore nell'opinione pubblica, riguardante falsi mandati di pagamento ai danni dell'amministrazione, che ha portato all'arresto nel novembre del 2013 di tre funzionari del comune medesimo e di un imprenditore locale, i quali avrebbero sottratto alle casse comunale più di 1,3 milioni di euro: due dei tre funzionari sono stati successivamente condannati in primo grado mentre è ancora in corso il procedimento a carico dell'imprenditore;
    il  comune di Nola è attualmente amministrato dalla giunta guidata dal sindaco Geremia Biancardi, il quale ha vinto le elezioni comunali del 2009 a capo di una coalizione di centro destra, mentre alle elezioni comunali tenutesi del 2014 ha ottenuto quasi il 44 per cento dei voti al primo turno, vincendo successivamente al ballottaggio;
   nel marzo del 2015 Gianpaolo De Angelis, assessore con delega all'urbanistica e ai trasporti al comune di Nola, è stato arrestato con l'accusa di associazione criminale di tipo mafioso, poiché, a quanto emerso dalle indagine, avrebbe svolto dal 2006 al 2011 il ruolo di prestanome consapevole e compiacente del clan camorristico dei Fabbrocino, molto influente nell'area nolana, nella società GIFRA srl e, contemporaneamente, le forze dell'ordine hanno perquisito alcuni uffici del comune medesimo;
   secondo quanto emerge dall'ordinanza di arresto su richiamata, N. G.I.P 8674/14 del tribunale di Napoli – ufficio per le indagini preliminari, Gianpaolo De Angelis avrebbe avuto ulteriori stretti rapporti imprenditoriali con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata mafiosa, sanciti da alcune indagini delle forze dell'ordine: in particolare, nell'ambito di un procedimento penale risalente al 2003 (p.p. 26026/03 RGNR), emergevano rapporti imprenditoriali, economici e finanziari con i fratelli Pacia, contigui al clan Cava, altro clan influente nel nolano; nell'ambito del medesimo procedimento, è emerso che De Angelis era stato socio di maggioranza della M.A.D. srl, in società con Aniello Nicola Maria Rosa Mari, amministratore unico della suddetta società e membro del clan Cava; inoltre, come si rileva dalla sentenza n. 2580/08 Reg. Sent. del tribunale di Napoli, De Angelis avrebbe avuto partecipazioni nella Pharma Building srl, assieme a Antonio Muzio, soggetto fiduciario del boss Marcello Di Domenico e favoreggiatore della sua latitanza;
   secondo fonte certificata CERVED, inoltre, Gianpaolo De Angelis sarebbe amministratore unico della società Progettazioni & Costruzioni srl in sigla PROGE.CO srl, nei confronti della quale è stata emessa in passato un'informazione interdittiva antimafia da parte della Prefettura di Caserta (n. 1094/12b.16/ANT del 20 dicembre 2011) e che risulterebbe attualmente essere società fornitrice della pubblica amministrazione;
   secondo gli interroganti, erano dunque noti i legami imprenditoriali tra De Angelis e la criminalità organizzata mafiosa locale al momento in cui è stato nominato assessore del comune di Nola;
   si rammenta che la pubblica amministrazione ha il compito di assicurare il buon andamento delle gare d'appalto e degli affidamenti diretti che compie, ivi inclusa la verifica dei requisiti dei soggetti aggiudicatori: a tal fine si evidenzia come l'espletamento delle gare d'appalto e l'affidamento diretto di servizi, così come la gestione contabile del comune, anche in relazione a quanto esposto in premessa e al di fuori di ogni ragionevole dubbio, secondo gli interroganti, mostrano caratteristiche tali almeno da essere suscettibili di verifiche da parte delle autorità competenti;
   la gravità delle infiltrazioni camorristiche nell'area nolana è stata attestata più volte nel corso degli ultimi anni dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, e, non da ultimo, da varie inchieste giudiziarie; Nola, si trova infatti all'interno della cosiddetta Terra dei Fuochi;
   Marcello Di Domenico e Salvatore De Martino, collaboratori di giustizia, in precedenza a capo del clan di camorra Di Domenico molto attivo nell'area nolana, hanno rivelato la presenza di pesanti infiltrazioni e commistioni tra criminalità organizzata di tipo mafioso e le istituzioni locali dell'area nolana; le loro testimonianze, a riprova della loro credibilità, hanno già consentito alle forze dell'ordine l'arresto di numerosi esponenti della criminalità mafiosa locale;
   ad avviso degli interroganti, vista la gravità delle infiltrazioni mafiose nell'area nolana e poiché emergono da quanto esposto collusioni tra vincitori di alcuni appalti e affidamenti diretti di servizi da parte del comune di Nola e alcuni clan camorristici, tale verifica dovrebbe inoltre accertare presunte infiltrazioni mafiose all'interno dell'amministrazione comunale di Nola –:
   se il Ministro sia al corrente dei gravi fatti esposti in premessa e se si intenda insediare una commissione d'accesso in seno al comune di Nola al fine di verificare, ai sensi della normativa vigente, la presenza c condizionamenti da parte della criminalità organizzata;
   se non intenda adoperarsi al fine di potenziare le capacità d'organico e di risorse delle forze dell'ordine chi si trovano direttamente impegnate, con attività di prevenzione e contrasto, alla lotta alla criminalità organizzata nell'area nolana;
   se il Ministro non intenda prontamente promuovere – in chiave preventiva – delle iniziative volte ad informare e sensibilizzare l'opinione pubblica con particolare attenzione a quei settori produttivi, famiglie e istituzioni locali che risultano maggiormente esposti alla criminalità organizzata;
   se ritenga di intervenire tempestivamente e quali provvedimenti intenda intraprendere per contrastare la criminalità organizzata e le infiltrazioni malavitose nella provincia di Napoli con particolare riferimento all'area nolana ed il comune di Nola al fine di garantire in questi territori una vita democratica e civile;
   se non intenda valutare i presupposti per attivare la procedura di cui all'articolo 143 e seguenti del testo unico sugli enti locali, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. (4-09337)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con ricorso n. 503/2015 R.G. presentato nell'interesse dei signori Abbate Alessandra ed altri, parte ricorrente, procedeva all'impugnazione del decreto ministeriale 325, del 1o aprile 2014 dinanzi al TAR Lazio nella parte in cui veniva precluso ai possessori di diploma magistrale abilitante conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002 l'accesso a pieno titolo e «a pettine», nella III fascia delle graduatorie permanenti ad esaurimento;
   con ordinanza n. 1089/2015 dell'11 aprile 2015 il Consiglio di Stato accogliendo in via cautelare le istanze presentate da parte ricorrente ne ordinava l'immissione nelle graduatorie permanenti ad esaurimento;
   pronunciandosi inoltre in via definitiva appena quattro giorni più tardi su analogo ricorso, il Consiglio di Stato scriveva nella sentenza n. 1973/2015 del 16 aprile 2015 che «non sembra esservi dubbio alcuno che i diplomati magistrali con il titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, al momento della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, fossero già in possesso del titolo abilitante. Il fatto che tale abilitazione sia stata riconosciuta soltanto nel 2014, a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato, non può impedire che tale riconoscimento abbia effetti ai fini dell'inserimento nelle citate graduatorie riservate ai docenti abilitati in quanto tali» e continuava affermando che «i criteri fissati dal decreto ministeriale n. 235/2014, nella parte in cui hanno precluso ai docenti muniti del diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, l'inserimento nelle graduatorie provinciali permanenti ora ad esaurimento, sono illegittimi e vanno annullati»;
   nonostante quanto riportato, ad oggi molti uffici scolastici territoriali non hanno ancora provveduto all'inserimento dei ricorrenti in possesso di diploma magistrale iscritti al ricorso n. 503/2015 R.G. e beneficiari dell'ordinanza n. 1089/2015 nelle predette graduatorie ad esaurimento;
   la maggior parte degli uffici scolastici territoriali che vi hanno già provveduto hanno inserito i ricorrenti con la «riserva», disciplinata ai sensi dell'articolo 6, comma 6, del decreto ministeriale n. 235 del 2014 con cui è stato disposto e regolamentato il periodico riaggiornamento delle graduatorie permanenti ad esaurimento;
   normalmente destinata ai soggetti in attesa di conseguire valido titolo di accesso in graduatoria, e non invece con la «riserva giuridica» disciplinata dal libro II del codice del processo amministrativo e normalmente destinata ai soggetti beneficiari di apposita misura cautelare;
   si precisa a tal proposito che la «riserva giuridica» disposta dal collegio giudicante e disciplinata dal titolo II, del Libro II del codice di procedure amministrativa, ha natura ben diversa dall'inserimento con riserva normalmente destinato ai soggetti in attesa di conseguire un titolo valido per l'accesso nelle graduatorie permanenti ad esaurimento e disciplinata dai decreti di aggiornamento di tali graduatorie la cui unica finalità risulta essere quella di permettere a tali soggetti l'inserimento a pieno titolo nelle suddette al momento del conseguimento della qualifica di accesso e senza dover attendere l'emanazione di un nuovo decreto di aggiornamento, e che non dà in alcun modo diritto ai suoi beneficiari alla stipula di contratti a tempo determinato e indeterminato;
   la misura cautelare di cui invece parte ricorrente è beneficiaria è stata invece ottenuta con apposita ordinanza del Consiglio di Stato; essa ha l'obiettivo di sospendere gli effetti del provvedimento impugnato al fine di evitare che i ricorrenti possano subire un irrimediabile danno o pregiudizio. Nel caso di specie, i giudici del Consiglio di Stato hanno voluto sospendere gli effetti del decreto ministeriale 325 del 1o aprile 2014, ove veniva preclusa a parte ricorrente l'accesso «a pettine» e a pieno titolo in III fascia delle graduatorie permanenti ad esaurimento;
   alla luce di tali considerazioni appare all'interrogante di dubbia legittimità non solo il comportamento di quelle amministrazioni che non hanno ancora provveduto ad inserire i ricorrenti in possesso di diploma magistrale abilitante nelle graduatorie ad esaurimento, ma anche di quelle che pur avendo già disposto i predetti inserimenti, difformemente dalle indicazioni contenute nell'ordinanza n. 1089/2015 dell'11 aprile 2015 del Consiglio di Stato, hanno inserito tale personale con la «riserva» prevista e disciplinata dal decreto ministeriale 235 del 2014, la quale non dà diritto alla stipula di contratti a tempo determinato e a tempo indeterminato, e non con la «riserva giuridica» prevista e disciplinata dal libro II del codice del processo amministrativo, che al contrario sospendendo gli effetti giuridici del decreto nella parte impugnata da diritto a parte ricorrente ad un inserimento a pieno titolo e alla chiamata dalle stesse graduatorie –:
   se il Ministro abbia provveduto ad inviare agli uffici scolastici territoriali responsabili dell'attuazione delle misure previste dall'ordinanza del Consiglio di Stato n. 1089/2015, o a anche solo ad alcuni di essi, apposita circolare ministeriale o qualsiasi atto/documento recante linee guida e indicazioni relative al comportamento e alle misure che gli stessi devono adottare in relazione alla predetta ordinanza;
   in caso di risposta affermativa quali siano gli estremi e i contenuti di tali atti amministrativi e documenti;
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere al fine di dare piena attuazione alla predetta ordinanza del Consiglio di Stato. (4-09331)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Onlus Every Service opera da oltre 10 anni nel settore dell'assistenza domiciliare con lo scopo di fornire un'assistenza personalizzata a famiglie con disabili e con anziani che vivono soli, spesso con patologie connesse all'età, — demenza senile, morbo di Alzheimer, e altro —, attraverso un personale adeguatamente formato secondo gli specifici bisogni di ogni famiglia, monitorato da appositi tutor nel corso della gestione della relazione con l'anziano;
   la personalizzazione del servizio, sempre più attento e adeguato ai bisogni della famiglia e del paziente, presenta degli specifici benefici:
    a) lasciare la persona anziana o il disabile nel proprio contesto socio-familiare e soprattutto nella propria abitazione nel rispetto delle abitudini di vita;
    b) incidere con costi minimi sulla famiglia e comunque meno onerosi rispetto ad una RSA;
    c) rispondere alle esigenze contrattuali di una famiglia che non richiede un semplice rapporto di lavoro di collaborazione domestica o di badante (tipologie contrattuali già esistenti nel nostro ordinamento), ma figure atipiche di collaborazione, anche a periodi o a intermittenza, mirate ad un lavoro di assistenza alla persona con garanzia h24;
   la Every Service, presente in molte regioni italiane con un numero di famiglie assistite in continuo aumento, ha elaborato un proprio modello organizzativo con i propri collaboratori, attualmente sono oltre 600, con cui elabora specifici progetti di intervento condivisi con le rispettive famiglie e certificati dalle varie università nel rispetto della previgente normativa;
   ogni progetto è caratterizzato da una sua specificità e rappresenta una vera e propria «linea guida», di cui fa parte integrante il monitoraggio del rapporto da parte del tutor della Onlus;
   fino a poco tempo fa tutto ciò era in linea con la circolare 7 del 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali emanata proprio per chiarire i requisiti del contratto a progetto rispondenti alle necessità dell'ente/organizzazione che opera per scopi sociali e umanitari;
   l'entrata in vigore del Jobs Act, decreto-legge n. 34 del 2014 convertito dalla legge n. 78 del 2014, con gli articoli 21 e 47 ha creato una serie di difficoltà sia sul piano interpretativo della norma che sul piano operativo; l'articolo 21 infatti limita il numero di contratti a tempo determinato al 20 per cento rispetto a quelli a tempo indeterminato. Il secondo, l'articolo 47, invece prevede che «dal 1o gennaio 2016, si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo». In altre parole, dalla sua entrata in vigore il decreto impedirà di stipulare contratti a progetto che nel terzo settore rappresentano una delle modalità più diffuse; la Every Service infatti opera prevalentemente per periodi determinati e nei settori più diversi e quindi con le professionalità più varie;
   il problema non riguarda soltanto la Every Service Onlus, ma anche altre entità, 300 organizzazioni tra ong e onlus, di cui 70 di maggior rilievo e altre più piccole; i modelli contrattuali che il Jobs Act prevede oggi non rispondono alle esigenze di un'associazione che intenda fornire assistenza familiare senza incrementare i costi del lavoro che gravano sull'utente finale (l'anziano/il disabile/la famiglia) sotto il profilo contributivo, non avendo il fruitore del servizio alcun interesse ad una prestazione legata negli anni ad personam –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per includere fra le prestazioni in deroga anche quelle a favore delle attività regolamentate dalla legge sulla cooperazione internazionale per poter utilizzare il modello contrattuale in questione;
   quale strumento giuslavoristico possa rappresentare un'alternativa valida per garantire alle famiglie gli aiuti di cui hanno bisogno per tutto il tempo necessario, con la dovuta competenza ed autonomia.
(3-01518)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Friuli Venezia Giulia è allarme sulle insufficienti risorse per la cassa integrazione in deroga e, se non si adotteranno dei provvedimenti complessivi in merito, il futuro di una moltitudine di aziende e lavoratori sono a rischio, con la conseguenza di vanificare gli sforzi fatti fino ad ora per evitare il più possibile le chiusure e la perdita dei posti di lavoro;
   anche gli 8 milioni di euro messi, di recente, a disposizione della cassa integrazione in deroga non sono stati sufficienti. La situazione è grave considerando che la scadenza della cassa è prevista a fine maggio 2015;
   sarebbero necessari degli interventi immediati rispetto alle garanzie per gli ammortizzatori in deroga, per mettere in sicurezza i 20 mila occupati a rischio in Friuli Venezia Giulia;
   un macro-intervento del Governo sulla cassa integrazione in deroga, si rende necessario anche alla luce dell'andamento complessivo della stessa, con i dati di aprile 2015 in forte contrazione sia a livello congiunturale che tendenziale;
   già molte imprese che avevano attivato la cassa straordinaria per gestire situazioni di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, li hanno conclusi e i lavoratori in esubero hanno perso il posto di lavoro;
   in Friuli Venezia Giulia vi è quindi una situazione di serio allarme economico-sociale. A riguardo, si tenga presente che molte attività imprenditoriali sono state dismesse: tra il 2009 e il 2015 si sono perse 3.110 imprese, di cui un terzo manifatturiere e addirittura nei primi tre mesi del 2015 sono ben 815 le imprese cessate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro per quanto esposto in premessa;
   se e quali provvedimenti voglia adottare per salvaguardare le migliaia di lavoratori a rischio in Friuli Venezia Giulia adottando specifici provvedimenti che garantiscano la cassa integrazione in deroga per evitare che l'imminente scadenza dell'ammortizzatore determini la perdita di posti di lavoro. (5-05676)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dei lavoratori 73 lavoratori della Getek Information Technology srl, società di Crotone che nel 2005 si è aggiudicata — insieme ad un consorzio capitanato da Poste Italiane Spa – l'appalto per la gestione del servizio di contact center integrato INPS/INAIL e che nel 2008 ha perso tale appalto, in seguito alla messa al bando di una nuova gara di appalto a procedura ristretta da parte di INPS/INAIL, all'esito della quale — nel novembre 2009 — la gestione del servizio di contact center integrato è stata affidata alla società Transcom Worldwide spa, è nota;
   dopo una breve proroga ottenuta dalla Getek Information Technology Srl del servizio di contact center integrato INPS/INAIL e scaduta nel settembre 2010, i 73 lavoratori della società – la cui professionalità in una materia delicata ed estremamente tecnica quale è quella previdenziale ha avuto il riconoscimento sia dell'Inps che dell'Inail — sono stati posti prima in cassa integrazione ordinaria, poi in cassa integrazione straordinaria ed infine in mobilità e, dunque, esclusi dal circuito lavorativo;
   questo accadeva mentre tutti gli operatori dei vari siti impiegati nella precedente commessa sono stati inseriti sin dall'inizio nella nuova commessa e mentre, paradossalmente, in altri siti dal 2010 ad oggi sono stati formati più di 1500 operatori per lo stesso servizio svolto dai lavoratori della Getek Information Technology Srl;
   a distanza di cinque anni la situazione è solo peggiorata: infatti nel settembre del 2014 la mobilità è scaduta e da quel momento l'80 per cento dei lavoratori ex Getek — in massima parte monoreddito con figli e mutui a carico – non è più sostenuto da alcun ammortizzatore sociale;
   anche di recente il Governo, chiamato ad esprimere il proprio orientamento sulla vertenza Getek e sul futuro professionale dei 73 lavoratori, ha assicurato, attraverso il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del sottosegretario presso il medesimo dicastero, in risposta ad alcuni atti di sindacato ispettivo presentati presso la Camera dei deputati (n. 5-03436 del 24 settembre 2014, n. 5-04389 dell'8 gennaio 2015 e n. 3-01246 del 14 gennaio 2015) oltre alla massima attenzione verso la vicenda occupazionale dei lavoratori coinvolti anche la volontà di procedere ad «un'ulteriore e puntuale verifica sul piano tecnico delle possibilità di svolgere azioni aggiuntive finalizzate ad affrontare e risolvere la situazione»;
   ad oggi, purtroppo, alle parole non sono seguiti i fatti, cosa tanto più grave se si pensa che – al di la del numero dei lavoratori coinvolti, di certo non trascurabile in un momento come quello attuale in cui è stato certificato che l'emergenza occupazione (ovvero disoccupazione) è la vera emergenza del Paese, e del Sud dell'Italia in particolare — in questa vicenda come in tutte le altre vertenze occupazionali in atto sono in gioco valori e principi sanciti nella nostra Carta costituzionale, che non possono essere ignorati o peggio calpestati;
   secondo notizie in possesso dell'onorevole interrogante, i vertici Inail — nel mese di marzo 2015 in risposta ad una missiva inviata dai lavoratori ex Getek — hanno assicurato che nella redazione del prossimo capitolato del nuovo bando di gara per il servizio di Contact Center Inps/Inail — valuteranno insieme ad Inps la possibilità di inserire azioni mirate per la risoluzione della controversia segnalata;
   si segnala che la gara in questione ha una scadenza prevista per il giugno 2015 –:
   quali tempestive iniziative intenda porre in atto per la soluzione positiva della vicenda sopra esposta, anche attraverso l'attivazione in tempi brevi di un tavolo tecnico che preveda la partecipazione di tutte le parti interessate, al fine di salvaguardare e promuovere il godimento del diritto al lavoro costituzionalmente garantito, mediante la ricollocazione di tutti i lavoratori ex Getek attualmente in mobilità. (5-05690)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo un lungo periodo di trend negativo e di perdite ininterrotte, il management della Olivetti spa avrebbe deciso di riaffrontare il mercato puntando tutto sul settore della connettività e dei servizi digitali, accettando l'offerta da parte di Telecom di una ricapitalizzazione del proprio patrimonio attraverso la fusione per incorporazione con la «Tids» (Telecom Italia Digital Solutions);
   secondo quanto riportato dalle stesse interessate, dal suddetto processo di fusione nascerà «un unico Polo Telecom Italia destinato a presiedere l'innovazione nel settore del digitale e dei verticals d'interesse strategico». Di conseguenza, la rinnovata Olivetti post-fusione, destinata ad un nuovo target di mercato rappresentato dai servizi e dalle piattaforme digitali dell’internet delle cose (IoT), si troverà costretta ad abbandonare la produzione di tablet, terminali per banche, poste, lotto e tabaccherie, ad eccezione di quella rivolta ai sistemi stampanti per uffici ed alle piattaforme di gestione delle macchine e dei processi per accrescere efficienza e risparmi;
   il cambio di rotta della storica azienda di Ivrea preoccupa fortemente i sindacati, ai quali è stato presentato un piano di rilancio e di ristrutturazione della stessa che, oltre a non prevedere investimenti aggiuntivi, che invece avrebbero garantito l'attuale livello occupazionale, trascura la valorizzazione del marchio, e anche, cosa ancora più grave, il suo know-how, ossia le sue preziose competenze professionali e tecnologiche, un punto sensibile, quest'ultimo, considerato assai critico da tutte le maestranze che temono soluzioni rivolte a demansionamenti e proposte di prepensionamento;
   in tanti, infatti, vedono l'operazione come l'anticamera di un'ennesima e pericolosa ondata di licenziamenti, che produrrà soltanto un ridimensionamento sul territorio di una realtà aziendale alla quale si deve tanta parte della storia produttiva italiana, come del resto già precedentemente avvenuto con la chiusura dello stabilimento di Agliè, dove si producevano registratori di cassa e stampanti, o di quello di Arnad, specializzato invece in testine ad aghi;
   ed invero, la nota laconica alla quale la Olivetti ha affidato il compito di chiarire i contorni dell'operazione contiene dei numeri impietosi: secondo gli accordi presi con i vertici di Telecom, dei suoi attuali 538 dipendenti solo 230 confluiranno nel nuovo «polo» mentre per i restanti 332 verrà avviato un piano di esuberi che prevede per 40 soggetti il prepensionamento, per 60 l’outplacement su base volontaria, mentre per i restanti la ricollocazione dentro Telecom Italia e sue società controllate;
   gli interroganti, al pari delle organizzazioni sindacali, vedono con profonda preoccupazione questo repentino cambio di rotta che svuota di fatto la Olivetti di tutto il suo know-how. Appare agli interroganti fin troppo evidente, infatti, l'intento di Telecom di esaurire, con la chiusura di quattro delle sette attività di business della Olivetti, l'attività di quest'ultima e di trattenersi solo ed esclusivamente il marchio, peraltro ancora appetibile sul mercato, per coprire produzioni realizzate all'estero. Né si conoscono a quali condizioni economiche e con quali mansioni quei lavoratori che saranno trasferiti in altre aziende del gruppo Telecom svolgeranno la loro attività lavorativa;
   la ricollocazione di molti dei dipendenti all'interno del gruppo Telecom, che nel frattempo sta riorganizzando lavori che un tempo aveva esternalizzato, non sarà un'operazione facile, considerato il fatto che alla gran parte di loro, costituita da figure altamente specializzate come ingegneri e tecnici, sarà offerto di lavorare nel caring, nell'assistenza e presso i call center;
   dopo le terribili esperienze di Innovis, Telis, Wirelab, Agile-Eutelia, Op Computer, tutte aziende nate dalle costole Olivetti ed oggi sparite, è facile immaginarsi che, senza ulteriori investimenti, anche quelle attività che si tenta di mantenere in piedi non garantiranno margini sufficienti per resistere sul mercato e scongiurare ulteriori licenziamenti –:
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover sottoporre il nuovo piano industriale 2015-2017 della Olivetti ad ulteriori approfondimenti, convocando urgentemente, a tal fine, un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali e le aziende interessate, che affronti in maniera dettagliata tutti i nodi e le criticità esposte in premessa legate al previsto piano di esuberi, e chiarisca tutti gli obiettivi dell'operazione di fusione, anche al fine di trovare soluzioni alternative che scongiurino ulteriori licenziamenti. (4-09318)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 1996, il Comune di Follonica ha affidato in concessione il vecchio ippodromo dei Pini, ad una società che si facesse carico di impegnarsi negli anni successivi, alla realizzazione di un nuovo impianto. Il Comune, di contro, ha potuto disporre della superficie del vecchio Ippodromo, per un utilizzo sportivo e scolastico da integrare con la città e gli altri impianti sportivi;
   tale operazione ha portato alla costruzione di una imponente struttura, con un costo di oltre 40 milioni di euro. Nonostante a Follonica sarebbe stato sufficiente un ippodromo di dimensioni molto più contenute, purché accogliente, moderno, funzionale, gli amministratori dell'epoca hanno optato per il «Centro ippico», che ha dato anche la possibilità di inserire nel progetto ben 167 appartamenti, da poter giustificare come alloggi per le maestranze e addetti ai lavori; le foresterie dovevano essere affittate soltanto a chi faceva parte del mondo dell'ippica ma, per un articolo della Convenzione tra amministrazione e società che gestisce l'impianto, la Follonica Corse Cavallo (FCC), gli stessi appartamenti finivano sul mercato immobiliare;
   negli anni a venire la magistratura ha dimostrato questa grande speculazione edilizia, culminata con il sequestro degli appartamenti foresterie. La maxi inchiesta ha coinvolto 3 legislature, 12 anni di amministrazione di centrosinistra, 61 indagati, con ipotesi di reato che riguardano a vario titolo l'abuso d'ufficio aggravato e lottizzazione abusiva riguardante la costruzione delle 167 foresterie;
   la FCC, titolare della convenzione con il Comune per il diritto di superficie per 99 anni, dal 2011 ha affidato la gestione dell'Ippodromo e l'organizzazione delle corse alla Sistema Cavallo ma ancora oggi molti contratti delle scuderie e degli allenatori presenti all'interno dell'Ippodromo, non sono stati perfezionati, tanto che solo in pochi possiedono un regolare contratto di affitto per i box, mentre tutti gli altri, pur avendo acquistato i cavalli già presenti all'interno della struttura ed essendo in possesso di relativo certificato di proprietà, dichiarano di essersi visti negare il contratto di affitto dei box dall'amministratore unico della Sistema Cavallo, Silvio Toriello e dal direttore Maurizio Ferri;
   ad aprile 2013 cinque dipendenti addetti ai box delle scuderie sono stati licenziati in blocco, nonostante la stagione agonistica alle porte, scatenando la rabbia dei sindacati, a causa della volontà della Sistema cavallo di esternalizzare il servizio di allevamento;
   a dicembre 2013, si legge sul quotidiano il Tirreno, la Sistema Cavallo avrebbe impedito ad alcuni affittuari dei box di entrare nella struttura per custodire e allenare i propri cavalli, a causa di irregolarità nei contratti e mancati pagamenti, mentre gli allevatori sostenevano di aver pagato gli affitti ed aver chiesto invano più volte la regolarizzazione dei contratti. Tale episodio, oltre ad essere indicativo di una gestione poco chiara dell'ippodromo, ha provocato non pochi problemi ai cavalli a causa di un cambio repentino di abitudini: dal dicembre 2013 al luglio 2014 all'interno della struttura è rimasta un'unica cavalla, tenuta al paddok libera 2 ore al giorno, senza poter essere avvicinata dai suoi padroni, mai allenata, compromettendone la salute e la carriera sportiva. Una simile condizione può causare l'insorgenza di patologie gastrointestinali (ulcere e coliche), anche dovute al cambio di alimentazione, come la mancanza della quotidiana attività di allenamento si riflette sull'apparato locomotore, con conseguenze anche gravi sull'intero sistema metabolico;
   la gestione quantomeno discutibile dell'ippodromo di Follonica da parte della società Sistema Cavallo è stata oggetto di denunce alle procure, alla Guardia di finanza, tuttavia fino ad oggi non risulta ci siano state risposte e, nonostante dopo le numerose segnalazioni, la società abbia provveduto alla sistemazione dell'ippodromo e alla ripulitura della struttura, persistono moltissime rimostranze del pubblico e degli addetti ai lavori sulla gestione dei servizi durante le corse, e sulla scarsa attività sportiva del Centro di allenamento;
   risulta all'interrogante che l'Ippodromo dei Pini di Follonica, fino al 2014, avrebbe percepito i finanziamenti pubblici in virtù della convenzione in essere con lo stesso Ministero, in proroga fino al luglio 2015. Tali somme, erogate a fronte di una comprovata attività di organizzazione di corse, verrebbero determinate mediante un elaborato calcolo matematico che prende in considerazione diversi parametri, tra cui la superficie dell'impianto, l'incidenza delle scommesse, la popolazione residente del comune in cui è collocato l'impianto, l'attività di allenamento e altro;
   il rapporto tra Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le società di corse che gestiscono gli ippodromi, che prevede anche il finanziamento per la gestione delle gare, è tutt'oggi in fase di revisione e, secondo il Consiglio di Stato dovrà essere esaminato anche dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Dipartimento affari giuridici e legislativi, nonché dal Ministero dell'economia e delle finanze; anche perché è in discussione la stessa natura del rapporto tra Ministero agricolo e Ente ippico, al limite tra concessione di servizi e vero e proprio appalto;
   a dicembre 2014 il Consiglio di Stato si è espresso in merito imprimendo una accelerata per il possibile rinnovo delle convenzioni con gli Ippodromi, in proroga da lungo tempo, che si attuerà con decreto attuativo della Delega Fiscale. In sostanza secondo il Consiglio di Stato «i servizi resi dalle società di corse e i finanziamenti trasferiti dal bilancio statale non si configurano come due controprestazioni dedotte nell'ambito di un rapporto concessorio, misurati in modo da compensare i servizi resi agli utenti degli ippodromi e il rischio operativo; ... e ciò a prescindere dalla circostanza che i servizi resi dalle società e il finanziamento pubblico siano posti in correlazione nelle disposizioni contenute nelle convenzioni stipulate. La correlazione non misura una prestazione economica che incorpora costi di gestione e rischio operativo ma si configura in buona sostanza come una sovvenzione che il soggetto pubblico si impegna a trasferire nell'ambito di un rapporto di natura autorizzatoria per la gestione di un servizio, di rilievo pubblicistico, connesso alla organizzazione delle corse dei cavalli»;
   nel 2013 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha erogato agli ippodromi 62 milioni di euro per la gestione delle corse, una cifra che per il 2104 è stata in parte decurtata –:
   quali siano, ad oggi, i requisiti alla base delle convenzioni di natura economica che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisce con le società che gestiscono gli ippodromi italiani, in particolare per la parte relativa alla gestione delle corse, considerato che agli interroganti appare sussistere una regolamentazione poco chiara;
   come e se vengano effettuati dei controlli che verifichino l'effettivo rispetto dei requisiti suddetti;
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, in particolare circa il mancato accesso ai box da parte degli allevatori e le condizioni di benessere degli equidi, l'ippodromo di Follonica risulti in regola con i requisiti alla base delle convenzioni economiche suddette;
   quali siano i motivi, nell'ambito della delega fiscale, del ritardo nell'emanazione del decreto attuativo che dovrebbe contenere il rinnovo delle convenzioni tra Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed ippodromi, al fine di giungere alla urgente realizzazione della riforma dell'ippica. (5-05699)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Cremona vi è il Centro di ricerca per le produzioni foraggere e lattiero-casearie di Porcellasco;
   l'Istituto di Porcellasco è centro di riferimento per le produzioni zootecniche intensive occupandosi tra l'altro di sviluppare ricerche e sperimentazioni nella zootecnia (bovini, suini e conigli) con attenzione agli aspetti gestionali e di efficienza del sistema zootecnico, quali: miglioramento genetico, alimentazione, benessere animale, impatto ambientale, problematiche delle produzioni tipiche e sicurezza degli operatori del settore;
   il dottor Salvatore Parlato, commissario straordinario del consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, recentemente nominato dal Ministro interrogato, ha predisposto il piano di riorganizzazione della rete di ricerca del CREA;
   il Piano, presentato alla XIII Commissione agricoltura alla Camera dei deputati, prevede di istituire il Centro nazionale per la zootecnia a Monterotondo (Roma) con sedi distaccate a Bella (Basilicata) e Modena, con la chiusura di Cremona e Sanluri;
   il centro di ricerca di Monterotondo è un centro specializzato in razze come bufalini, equidi, specie minori, acquacoltura, cavallo Lipiziano;
   nelle regioni del Nord Italia viene prodotto il 75 per cento del latte italiano e il 40 per cento solo in Lombardia; al Nord sono oltre 60 mila le aziende da bovino da latte con 4 milioni di capi/anno contro le 17 mila aziende e i 420 mila capi del centro;
   l'istituto di Porcellasco è una struttura unica nel Paese, per le professionalità impiegate e per le sinergie che si sono sviluppate tra il centro di ricerca, le aziende agricole e gli stabilimenti produttivi che ha permesso in questi decenni la creazione di un rapporto consolidato tra l'Istituto e l'universo produttivo lattiero-caseario del Nord Italia;
   il trasferimento in altri territori, privi di questo tessuto produttivo, farebbe venir meno la principale peculiarità e unicità dell'istituto di Porcellasco, che ne ha fatto uno dei punti di riferimento del settore, ossia la possibilità di un costante confronto e integrazione in tempo reale fra ricerche e studi teorici con le applicazioni pratiche reali nella filiera industriale del settore lattiero-caseario dalla stalla agli stabilimenti di trasformazione e confezionamento del prodotto finito –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere in merito alla necessità di non danneggiare due settori strategici dell'economia nazionale quali la zootecnia italiana e la filiera agroalimentare dell'industria lattiero-casearia, mantenendo in funzione l'Istituto di Porcellasco. (4-09313)


   BENEDETTI, BUSINAROLO, BUSTO, COZZOLINO, SPESSOTTO e TERZONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   tra le misure comunitarie relative all'Organizzazione comune dei mercati sono comprese le risorse a sostegno di azioni di informazione e promozione dei vini nell'Unione sia negli Stati membri, al fine di informare i consumatori sul consumo responsabile di vino nonché sui sistemi delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche vigenti, sia nei Paesi terzi al fine di migliorarne la competitività;
   è ormai da anni che il tema del mancato utilizzo da parte delle regioni dei fondi destinati alla promozione costituisce argomento di particolare rilevanza per gli operatori del settore considerata la gravità della perdita per le azioni italiane del vino;
   come noto, la dotazione finanziaria destinata alla promozione è infatti amministrata per un terzo dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il cui budget risulta regolarmente esaurito ogni anno, e per due terzi a livello periferico dalle amministrazioni regionali che invece dimostrano grosse difficoltà di gestione considerato che nell'ultimo triennio oltre 50 milioni di euro risultano inutilizzati;
   la programmazione 2014-2020 destina ulteriori risorse alla promozione dei vini, come disposto dall'articolo 45 del regolamento (UE) n. 1308/2013, è indispensabile procedere alla modifica dei meccanismi di gestione dei fondi anche attraverso la revisione delle tipologie dei progetti ammissibili quali quelli multi regionali che non sembrano trovare particolare interesse da parte degli investitori;
   la promozione dell’export per le aziende vinicole nazionali riveste un'importanza strategica e non è ammissibile, anche alla luce della crisi economica che investe il settore vitivinicolo, che ingenti risorse, considerando la mobilitazione dei cofinanziamenti privati, vengano perse a causa di una gestione che pare rispondere a dinamiche territoriali piuttosto che «fare sistema» e generare risultati positivi per l'intera filiera –:
   se non ritenga necessario intervenire con urgenza al fine di rimuovere gli ostacoli ad una efficiente gestione dei fondi 2014-2020 destinati alla promozione dei vini sui mercati esteri e recuperare le risorse ancora inutilizzate della precedente programmazione. (4-09329)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 gennaio 2015, la Commissione europea ha autorizzato la possibilità di rendere disponibile il contraccettivo di emergenza, tra cui quello a base di ulipristal acetato (nome commerciale EllaOne); contraccettivo meglio noto come la «pillola dei 5 giorni dopo» senza bisogno della ricetta medica; secondo l'EMA, l'Agenzia del farmaco europea, il farmaco può quindi essere reso disponibile direttamente in farmacia senza obbligo di prescrizione da parte del medico, e la decisione dovrebbe essere applicata in tutti gli stati membri europei nel 2015;
   come ha commentato Emilio Arisi, residente della SMIC (Società medica italiana per la contraccezione), consentire di poter acquistare in farmacia l'ulipristal acetato «attesta con chiarezza che il suo impiego non presenta alcun pericolo per la salute, sia della donna che dell'embrione»;
   la stessa direttiva europea 2001/83/CE, sulla base della quale si è espressa l'EMA, individua i quattro fattori da tenere in considerazione per decidere se un farmaco debba essere soggetto a prescrizione medica. Queste condizioni, secondo la direttiva, si verificano quando un medicinale:
    a) possa presentare un pericolo sia diretto che indiretto, anche se utilizzato correttamente, qualora venga utilizzato senza una supervisione medica;
    b) possa essere utilizzato frequentemente e estesamente in maniera non corretta, con il risultato di presentare verosimilmente danni diretti o indiretti sulla salute umana;
    c) contenga sostanze o preparazioni le cui attività e/o gli eventi avversi dei quali richiedano ulteriori accertamenti;
    d) siano normalmente prescritti dai medici per essere somministrati per via parenterale;
   l'EMA prima e la Commissione europea dopo hanno stabilito che nessuna della 4 condizioni esiste per il farmaco «EllaOne», e che quindi può essere dispensato senza ricetta medica;
   nella Gazzetta Ufficiale dell'8 maggio 2015, è stata pubblicata la determina dell'Aifa, secondo la quale le farmacie italiane devono consegnare la «pillola dei 5 giorni dopo» alle pazienti maggiorenni quando la richiedono, anche se queste non hanno la ricetta del medico;
   come riportato dall'Agenzia stampa AdnKronos del 23 maggio 2015, una circolare del Ministero della salute chiarisce che la «pillola dei 5 giorni dopo» (EllaOne) può essere dispensata senza ricetta alle donne maggiorenni non solo nelle farmacie, ma anche nelle parafarmacie e nei corner della grande distribuzione, previa esibizione di un documento di identità in corso di validità, che attesti la maggiore età dell'acquirente. Alle minorenni, invece, può essere dispensato quale medicinale soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta, ed esclusivamente nelle farmacie;
   sempre il 23 maggio, il dottor Vittorio Contarina, presidente di Federfarma Roma, si è scagliato contro la circolare di chiarimento del Ministero in materia di dispensazione del farmaco EllaOne, dichiarando di «trovare inaccettabile dal punto di vista morale, che la “pillola dei 5 giorni dopo” possa essere venduta senza obbligo di ricetta medica per le persone di età superiore ai 18 anni anche presso le parafarmacie», chiedendo al Ministro della salute di intervenire «affinché venga riconsiderata questa disposizione, che tende a banalizzare il valore del concepimento» –:
   se non si ritenga di assumere iniziative al fine di prevedere anche per le donne minorenni la possibilità che la «pillola dei 5 giorni dopo» (EllaOne) sia venduta senza prescrizione medica e con le stesse modalità previste per le donne maggiorenni, al fine di rispettare pienamente quanto stabilito dall'EMA e dalla Commissione europea circa la necessità che detto farmaco – per le sue caratteristiche – sia dispensato dalla presentazione della relativa ricetta medica. (5-05692)


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del processo di privatizzazione dell'ente pubblico Croce rossa italiana (di seguito CRI) derivante dalla progressiva entrata in vigore del decreto legislativo n. 178 del 2012, allo stato attuale quasi 4000 professionisti dell'emergenza, civile e militare, rischiano il posto di lavoro;
   il sistema sanitario nazionale risente dei continui tagli alle risorse a discapito della quantità ma, soprattutto, della qualità dei servizi offerti ai cittadini;
   il servizio di soccorso extraospedaliero in emergenza/urgenza risulta essere il primo anello della catena di accesso ai servizi sanitari e l'Italia fonda il proprio ordinamento sul diritto al lavoro e sulla garanzia dell'accesso ai servizi sanitari per tutti i suoi cittadini;
   permane una vistosa lacuna del sistema di assistenza sanitaria pubblica che storicamente si prende cura delle persone solo dopo che si sono presentate in ospedale persistendo un disinteresse diffuso in merito a ciò che accade al di fuori della struttura sanitaria e, quindi, anche circa il modo in cui le persone vengono trasportate in pronto soccorso, essendo auspicabile avere un'assistenza sanitaria qualificata fin dal primo momento e non solo dopo l'arrivo all'interno delle strutture ospedaliere;
   in ambito europeo ed extra europeo è stata istituita la figura professionale di «autista-soccorritore»;
   nel nostro Paese è stato più volte intrapreso un percorso a tale proposito;
   al momento questo iter risulta essersi completamente arenato;
   il processo di privatizzazione dell'ente Croce rossa italiana, ad oggi, mostra una serie infinita di lacune e sta creando problematiche sociali di notevole portata, tanto da richiedere uno slittamento di almeno 3 anni generando una dicotomia tra ente pubblico e associazione privata; ciò non si evince in quanto il personale indossa la stessa uniforme e utilizza i medesimi mezzi;
   la proposta di stabilizzazione del personale della Croce rossa italiana, con passaggio a contratto privatistico (ANPAS), non ha sortito gli effetti sperati, anzi, detta soluzione ha causato i seguenti effetti negativi: scarsissima adesione da parte del personale direttamente coinvolto che già era in attesa di stabilizzazione per sentenze vinte; riduzione del livello qualitativo del soccorso per effetto di nuove assunzioni, effettuate per ricoprire i ruoli lasciati scoperti dal personale dell'ente pubblico (trasferito dall'usuale territorio di competenza verso le sedi dei comitati regionali e allontanato dalle attività svolte diligentemente negli ultimi 15/20 anni) che aveva raggiunto un grado di professionalità elevato grazie all'acquisizione di un patrimonio esperienziale, elemento fondante di tutte le professioni sanitarie aventi come fine la tutela della salute del cittadino;
   la proposta di stabilizzazione del personale Croce rossa italiana ha creato una fortissima insoddisfazione in tutti i dipendenti, in particolare in quelli aventi finalmente diritto alla stabilizzazione (ma tuttora in attesa dell'applicazione delle sentenze), costretti ad accettare un contratto nettamente peggiorativo che non offre garanzia alcuna di stabilità generando ulteriore precarietà;
   gli interventi di soccorso extraospedaliero sono diversi e molteplici per tipologia clinica ed assistenziale; a tale scopo risulta essere di fondamentale importanza l'impiego di personale esperto e qualificato. La progressiva entrata a regime delle disposizioni del decreto legislativo n. 178 del 2012 ha portato alla sostituzione di personale con esperienza sanitaria e conoscenza del territorio, almeno decennale, con altro di medesima qualifica ma carente di queste peculiarità a discapito della sicurezza, tempestività, efficacia, efficienza e qualità del servizio reso in situazioni di urgenza/emergenza a tutti i cittadini;
   il glorioso ente umanitario è presente capillarmente in tutto il nostro Paese ed opera in molteplici attività rivolte alle fasce più deboli della popolazione, ma il personale della Croce rossa italiana pubblica, con esperienza pluriennale, rischia la perdita del posto di lavoro vivendo la «lotteria» degli esuberi in mancanza di canoni generali ed oggettivi;
   si ricorda che almeno 4000 professionisti del soccorso rischiano il posto di lavoro e di conseguenza 4000 nuclei familiari vivono nell'incertezza del futuro;
   l'Italia, nello specifico Milano, quest'anno è interessata da un evento di natura mondiale: EXPO, ciò comporterà il quotidiano spostamento di milioni di persone su tutto il territorio e la necessità di un pronto intervento d'eccellenza e la conoscenza territoriale è il primo requisito per raggiungere tale livello;
   è fondamentale valorizzare l'eccellenza della sanità migliorando l'efficienza e la qualità dei servizi offerti ai cittadini e non svendendo questo patrimonio di competenze ed esperienza acquisite in anni di attività;
   per attuare la migliore e più attenta destinazione delle risorse, l'investimento non deve privilegiare apparecchiature o tecnologie sofisticate, ma deve essere destinato soprattutto alla valorizzazione delle competenze delle risorse umane;
   pur considerando l'attuale situazione economica del nostro Paese si è ben consci che gli obiettivi del profitto e della solidarietà, pur limitandosi a vicenda, condividono lo scopo primario dell'azione sociale tenendo conto che la progressiva applicazione del decreto legislativo n. 178 del 2012 mina la qualità dei servizi sanitari offerti ai cittadini dall'emergenza-urgenza, in quanto priva il territorio della matrice esperienziale dei soccorritori che per anni hanno prestato servizio, sostenuti da forte dedizione e grande responsabilità verso tutti coloro che si sono trovati in stato di necessità –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e non intenda assumere iniziative normative al fine di riconoscere la figura professionale dell'autista/soccorritore, vigilando, per quanto di competenza, sull'applicazione delle regole generali inerenti al personale legato al soccorso extraospedaliero, e di garantire, a seconda delle realtà regionali, la massima professionalità possibile, favorendo l'impiego sui mezzi di soccorso di due «autisti-soccorritori» professionisti affiancati dalla componente volontaristica, in modo da garantire la medesima qualità dei servizi in tutte le fasce orarie e di tutelare e sostenere valore aggiunto fornito dal personale volontario, investendo sul capitale umano di tutte le componenti dell'ente pubblico Croce Rossa valorizzandone l'esperienza, evitandone la messa in esubero/licenziamento/smilitarizzazione, e impegnandosi in prima persona nella salvaguardia della specificità e nella ricollocazione di queste risorse umane altamente qualificate.
(5-05693)


   BINETTI e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i dati del Rapporto Osmed 2014 diramati all'Aifa evidenziano come nel nostro Paese il consumo di antidepressivi è diventato una delle principali componenti della spesa farmaceutica, in aumento del 4,5 per cento rispetto al 2004;
   la spesa farmaceutica totale italiana, pubblica e privata, è stata pari a 25,5 miliardi di euro, il 76 per cento dei quali è stato rimborsato dal servizio sanitario nazionale. Ma il dato su cui riflettere è che cresce l'uso degli anti depressivi e cala quello degli antibiotici;
   il rapporto OsMed 2014 parla di un'Italia sempre meno in salute e sempre più incline a considerarsi depressa, non sempre a proposito, nella quale un'ingente porzione dei bilanci pubblici e familiari viene destinata all'acquisto di medicinali;
   il ricorso ai farmaci antidepressivi è maggiore soprattutto nelle donne, ma il direttore generale dell'Agenzia del farmaco (Aifa), Luca Pani, ha affermato che «la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute»; secondo gli esperti durante i primi 9 mesi del 2014 gli italiani hanno acquistato più antidepressivi di qualsiasi altro farmaco;
   si tratta di un fatto che da molti enti di ricerca viene messo in relazione ad un crescente disagio sociale che rappresenta un fattore chiave di una crisi globale, non solo di natura economica, che da anni il Paese sta attraversando;
   le dosi giornaliere di medicinali prescritti sono aumentate del 2,3 per cento rispetto al 2011, mentre invece è diminuito l'utilizzo di antibiotici, grazie anche ad una opportuna campagna di formazione-informazione fatta sui principali media;
   il crescente consumo di farmaci antidepressivi induce a chiedersi quale sia la loro vera efficacia, e se la indicazione terapeutica sia sempre la più appropriata; è una domanda complessa, che risente sia di influenze culturali, come la teoria che la depressione dipenda prevalentemente da fattori biologici, sia da interessi economici che considerano i farmaci antidepressivi, prodotti come tutti gli altri che vanno collocati sul mercato e venduti;
   ma non si può dimenticare che le ricerche sull'efficacia dei farmaci sono finanziate dalle stesse case produttrici e le uniche ricerche pubblicate sono quelle a sostegno dell'utilizzo e quindi della vendita di un certo farmaco;
   il New England Journal of Medicine ha recentemente pubblicato un articolo su Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy, in cui si afferma che: «Alterando l'apparente rapporto rischi-benefici dei farmaci, la pubblicazione selettiva (solo degli studi positivi) può portare i medici a fare prescrizioni inappropriate che possono non avvenire nel miglior interesse dei loro pazienti e, quindi, della salute pubblica»;
   nel 2002 è stata pubblicata su PlosONE una meta-analisi dei dati presentati alla FDA, Initial severity and antidepressant benefits: A meta-analysis of data submitted to the Food and Drug Administration, per stimare la reale portata dei risultati, degli studi clinici (trials) sugli psicofarmaci. I risultati, nelle parole del dottor Migone, autore di «Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: l'efficacia reale», sono questi: «dei 74 studi registrati dall'FDA, ben il 31 per cento (3.449 pazienti) non sono stati pubblicati; gli studi che avevano riportato risultati negativi o dubbi, tranne 3 eccezioni, non furono pubblicati (22 studi) o furono pubblicati in un modo che li faceva passare come positivi (11 studi), mentre secondo la letteratura pubblicata risulta che il 94 per cento degli studi sono positivi, contro l'analisi dei dati dell'FDA che mostra che i positivi sono solo il 51 per cento. Questa distorsione ha comportato un aumento della “dimensione del risultato” dei farmaci in media del 32 per cento (da 11 per cento a 69 per cento secondo i singoli farmaci)»;
   una meta-analisi pubblicata su JAMAJournal of American Medical Association – dal titolo Antidepressant drug effects and depression severity, permette di affermare che l'effetto placebo, e cioè l'autosuggestione, è responsabile della maggior parte degli effetti positivi degli antidepressivi; sembra che il loro effetto reale assuma una significatività solo nei casi di depressione grave, nei quali l'effetto del farmaco si discosterebbe dall'effetto ottenuto somministrando un placebo;
   si è quindi visto che gli antidepressivi non si differenziano significativamente dai placebo e che hanno scarsi effetti se non somministrati a depressi gravi, che traggono beneficio dal loro effetto attivante: il rapporto costi-benefici deve essere attentamente valutato quando un paziente può ricorrere ad altre terapie, evitando così gli effetti collaterali che possono far peggiorare la sua esistenza (dal calo del desiderio sessuale all'aumento di peso); ciò nonostante si assiste all'aumento esponenziale di prescrizioni di antidepressivi, anche se in realtà la loro efficacia specifica è scarsa e gli effetti collaterali non certo trascurabili;
   secondo l'ordine degli psicologi: «I dati Aifa dimostrano che bisogna rafforzare la psicoterapia e stupisce che si continui a trascurare l'opportunità di appropriatezza ed efficacia offerta dall'apporto di psicologi e psicoterapeuti»;
   nell'ambito di una recente ricerca pubblicata su PLOS One, i ricercatori Sara Evans-Lacko e Martin Knapp hanno messo in evidenza come la depressione possa incidere anche sull'attività professionale dei cittadini, generando un aumento di costi sociali, che ha fatto crescere l'esigenza di implementare i fondi necessari per le politiche statali di welfare;
   i costi per la cura della depressione sono indicati come un fattore in costante crescita e includono sia costi diretti, come l'incremento diretto dei costi per i servizi sanitari, che i costi indiretti, tra cui gli indispensabili investimenti a favore delle politiche familiari per l'assistenza ai pazienti più gravi, compresi gli incentivi per il collocamento dei disoccupati e il ricollocamento di chi, a causa della malattia, ha perso il lavoro;
   l'ordine degli psicologi torna a proporre alle istituzioni, una volta di più, una maggiore centralità alla psicoterapia nei percorsi di cura per dare maggiore attenzione alle opportunità di cura offerte da questo indispensabile strumento –:
   quali investimenti si stiano facendo per la prevenzione della depressione, il cui costo personale e sociale appare sempre più rilevante, e quali iniziative siano state messe in atto per valutare l'appropriatezza della prescrizione dei farmaci e la valutazione degli esiti della terapia. (5-05694)


   MIOTTO, LENZI, GRASSI, SBROLLINI, AMATO, D'INCECCO, ALBINI, CAPONE, CARNEVALI, PIAZZONI e BECATTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2007 Aifa ha incluso nell'elenco dei medicinali off-label «lista 648», Avastin, un farmaco antitumorale dell'azienda farmaceutica Roche, il cui uso intravitreale ha dimostrato ampia efficacia nella cura della degenerazione maculare senile e delle maculopatie essudative. Nonostante il farmaco fosse largamente utilizzato off-label, l'industria produttrice non ritenne di avviare le procedure per ottenere l'autorizzazione all'uso per la nuova indicazione terapeutica;
   nel 2009 compare sul mercato il farmaco Lucentis prodotto da Novartis, dedicato al «trattamento della degenerazione maculare neovascolare (essudativa) correlata all'età», classificato in classe «H», il cui prezzo è di circa 70 volte superiore ad Avastin;
   vengono avviati importanti studi in Paesi stranieri orientati ad accertare l'efficacia dei due farmaci, confermata dai risultati conseguiti con gli studi CATT1, CATT2 e IVAN, che attestano la sostanziale equivalenza dei due prodotti, come da pubblicazioni del 2011 e 2012 divulgate in Italia dalla Società italiana di oftalmologia (SOI);
   nel mese di agosto 2012 l'EMA solleva dubbi sull'uso intravitreale di Avastin e nell'ottobre 2012 l'AIFA esclude Avastin dalla lista dei medicinali off-label e da quel momento ne viene precluso l'utilizzo per le patologie oculari, anche in ottemperanza a quanto previsto dalla legge 296 del 2006, articolo 1, comma 796, lettera z);
   peraltro in seguito agli esposti delle società scientifiche ed alle reazioni di pazienti, nonché alle iniziative parlamentari di sindacato ispettivo, il Governo nel settembre 2012 con il decreto-legge 158 (Ministro Balduzzi) aveva introdotto una norma che avrebbe consentito di includere negli elenchi off-label anche i farmaci con indicazione terapeutica non autorizzata, purché efficaci e con costo notevolmente inferiore a quello previsto per il farmaco brand, ma in sede di discussione in Commissione la norma venne soppressa;
   in data 18 aprile 2013 l'Organizzazione mondiale della sanità nella revisione periodica dei farmaci essenziali da utilizzare, tra i farmaci previsti per le patologie oculari, al punto 21.6 «farmaci anti-crescita del fattore vascolare endoteliale» prevede il principio attivo di Avastin (Bevacizumab) e non il corrispondente principio attivo di Lucentis;
   in data 27 febbraio 2014 viene adottata la delibera dell'Antitrust che ha sanzionato entrambe le società Roche e Novartis, multate per 180 milioni di euro, perché è stata accertata l'esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, un cartello che ha condizionato la vendita di Lucentis invece che Avastin e che ha comportato un danno al sistema sanitario nazionale stimato in 45 milioni di euro nel solo 2012, 540 milioni per il 2013 e 615 milioni per il 2014;
   il 5 marzo 2014 il Ministro della salute interpella il Consiglio superiore della sanità sulla equivalenza per sicurezza di Avastin rispetto a Lucentis nel trattamento della «degenerazione maculare senile» (omettendo l'uso per la «degenerazione maculare essudativa» – alias diabetica – e per il «glaucoma neovascolare» che erano peraltro previsti da Aifa nel periodo maggio 2007 – ottobre 2012). Il parere votato il 15 aprile 2014 evidenzia che «I due farmaci Lucentis (Ranibizumab) e Avastin (Bevacizumab), pur nella diversità strutturale farmacologica delle molecole, non presentano differenze statisticamente significative dal punto di vista dell'efficacia e della sicurezza nella terapia della «degenerazione maculare senile». Il CSS inoltre ritiene possibile l'utilizzo il «più presto possibile dell'Avastin per il trattamento della «degenerazione maculare senile» e reputa necessario «il confezionamento in monodose del suddetto medicinale da parte di farmacie ospedaliere in possesso dei necessari requisiti, che ne assicurino la distribuzione, in attesa dell'auspicabile registrazione del farmaco per l'indicazione in esame»;
   in data 20 marzo 2014 con decreto-legge n. 36, convertito dalla legge 79 del 2014, vengono introdotte idonee norme per rendere più agevole la inclusione di farmaci efficaci nell'elenco dei medicinali off-label, anche in presenza di altra valida indicazione terapeutica, vengono previste norme per procedere alla registrazione anche in assenza di interesse da parte dell'industria farmaceutica nonché indicazioni per l'attività di monitoraggio come peraltro previsto per tutti i medicinali nella «lista 648»;
   con determina 23 giugno 2014, corretta da determina del 30 gennaio 2015, l'Aifa inserisce Avastin nella lista «648» con prescrizioni e condizioni –:
   quanti siano i centri ospedalieri pubblici e privati ad alta specializzazione nei quali viene effettivamente somministrato Avastin e quale sia l'andamento annuale dei consumi a carico del Servizio sanitario nazionale distintamente per Avastin e Lucentis nel periodo 2008-2014. (5-05695)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i farmaci innovativi sono quelli che permettono trattamenti quando non si ha un'alternativa terapeutica ovvero si basano sulla scoperta di un principio attivo con un nuovo meccanismo d'azione che permette di curare una malattia, prima inguaribile; purtroppo spesso sui farmaci innovativi si attiva un business miliardario;
   al sito «quotidianosanità.it» il direttore generale dell'Aifa dottor Luca Pani in una intervista dichiarava «Siamo di fronte ad una rivoluzione di portata epocale che sta riguardando il mondo dei farmaci. Quest'anno è stato l'anno dei grandi nuovi farmaci per l'epatite C che promettono molto, ma costano anche molto. Le anticipazioni delle grandi aziende farmaceutiche indicano poi imminenti novità anche in altri campi terapeutici con prodotti innovativi importanti per la cura di altre grandi patologie dal cancro alle patologie cardiovascolari»;
   dopo l'approvazione del primo dei nuovi farmaci per l'epatite C cronica, il Sovaldi® sviluppato dal Gilead Sciences, da parte della Food and Drug Administration americana nel dicembre 2013, la principale premura degli Stati è stata quella di definire le strategie di prescrivibilità e rimborsabilità, al fine di evitare che una grande opportunità si trasformi in un grande problema non solo per le finanze pubbliche ma anche per il diritto alle cure e la concreta possibilità di discriminazione tra malati ricchi e malati poveri;
   con l'approvazione della recente legge di stabilità, legge n. 190 del 2014, è stato istituito fondo per finanziare l'acquisto di farmaci innovativi con particolare riferimento a quelli per l'epatite C; il fondo è stato dotato di 1 miliardo di euro per gli anni 2015 e 2016 e le risorse sono state messe a disposizione sostanzialmente delle regioni fatti salvi 100 milioni di euro a carico dell'esecutivo;
   ad oggi il fondo, per quanto a conoscenza degli interroganti, non sarebbe ancora effettivo e le regioni sono in difficoltà dell'erogazione delle prestazioni;
   in Italia si stima che siano circa 1,5 milioni le persone cronicamente infette da epatite C, ma solo poco più di 300.000 sono i casi diagnosticati. Di questi 50.000 sono quelli con malattia epatica più grave. L'epatite C è una delle principali cause di cancro al fegato e di trapianto di fegato e per entrambi l'Italia detiene il triste record europeo;
   in Italia il nuovo trattamento per l'eradicazione dell'epatite C, attraverso il Sovaldi®, è stato approvato il 12 novembre 2014 e la confezione da 400 mg (84 compresse) ha un prezzo ex factory (ricavo industria) iva esclusa, pari a 45.000 euro;
   in proposito, va aggiunto che la trattativa svolta dall'Aifa per la definizione del prezzo è secretata e dunque non se ne conoscono i contenuti;
   in questi mesi sono stati autorizzati anche altri farmaci per il trattamento dell'epatite C. Gli ultimi sono il Viekirax®-Exviera® della AbbVie che ha un costo per l'intero ciclo di cura di 27.000 euro;
   la regione Toscana ha approvato una deliberazione (18 maggio 2015, n. 59) con la quale impegna 60 milioni di euro con l'intento di permettere il trattamento a 18.353 nel periodo 2015-2018. La regione Toscana quindi avrebbe stabilito una spesa per paziente di 3.269 euro;
   l'Organizzazione mondiale della sanità stima che nel mondo l'epatite C colpisca circa 150 milioni e le persone decedute arrivano a mezzo milione l'anno. Nei Paesi più poveri il medicinale avrà un costo decisamente più basso, circa 1.000 dollari, ma le nazioni che la Banca mondiale considera ad alto reddito non godranno di tale prezzo;
   in particolare, risulta che il farmaco Sovaldi per un ciclo di cure ha un costo di 37.000 euro con una spesa complessiva riferita a 50.000 trattamenti di 1.850.000 euro; il farmaco Viekirax-Exviera per un ciclo di cure costa 27.000 euro con una spesa complessiva per 50.000 trattamenti di 1.350.000.000; la regione Toscana prevede un costo per un ciclo di cure di 3.269 euro, con un costo per 50.000 trattamenti di 163.450.000 euro; il generico ha costo di 917 euro con un costo per 50.000 trattamenti di 45.871.000 euro;
   sulla reale spesa per investimenti nella ricerca e lo sviluppo dei princìpi attivi da parte delle case farmaceutiche non c’è piena una trasparenza;
   alcuni studi indicano in circa il 9 per cento del fatturato industriale, meno delle spese in comunicazione, investito in ricerca da parte delle case farmaceutiche;
   per i pazienti si rilevano criticità metodologiche relative alla effettiva prova di efficacia dei farmaci innovativi e all'entità e alla precisione dei benefici dei trattamenti, elementi spesso non del tutto chiari e trasparenti;
   la stessa modalità di definizione dei prezzi relativi ai trattamenti con farmaci innovativi non appare trasparente, così come non appaiono efficaci le forme di controllo su eventuali conflitti di interesse nel settore;
   è necessario, a detta degli interroganti, rivedere alcuni aspetti delle tutele di cui godono i brevetti farmaceutici, in quanto chi sviluppa farmaci si avvale di informazioni spesso provenienti dalla ricerca pubblica sovvenzionata da tributi altrettanto pubblici, né va taciuto il fatto che le sperimentazioni avvengono spesso con persone che si prestano alla sperimentazioni in modo totalmente gratuito –:
   se il Governo non ritenga di rendere pubbliche e non secretate le trattative e i contenuti degli accordi stipulati dall'Aifa con le case farmaceutiche in materia di definizione del prezzo dei farmaci innovativi, in particolare quelli per il trattamento dell'epatite C, e in tale contesto come si giustifichi la sostanziale differenza dei prezzi dei farmaci per l'epatite C come evidenziato in premessa. (5-05696)


   CAPELLI e CARUSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2002 veniva inaugurata la struttura ospedaliera «Sant'Isidoro» di Giarre. Il costo dell'intero progetto si aggirava intorno agli 80 miliardi di lire, ma fin da subito la struttura non era in grado di sopperire alle esigenze del territorio;
   sulla carta la struttura prevedeva trecento posti letto, ma ne sono stati predisposti solo cento. Alcuni reparti non sono mai stati aperti perché la struttura è stata dichiarata pericolante, probabilmente a causa dell'utilizzo di cemento depotenziato;
   nel 2009, a seguito della riforma sanitaria regionale, veniva declassato a presidio territoriale di assistenza e questo comportò anche la chiusura dei reparti di chirurgia generale, ginecologia, ortopedia e pediatria;
   oggi risulta accorpato al presidio della vicina Acireale ed è stato chiuso anche il pronto soccorso, privando così la comunità di una copertura sanitaria in caso di emergenze;
   le infinite proteste da parte della comunità, le segnalazioni di mancato servizio e le richieste di spiegazioni rivolte agli istituti di competenza non hanno mai ottenuto un riscontro accettabile. Nessuno è stato in grado di spiegare perché un territorio che conta più di cento mila abitanti resti senza un servizio sanitario consono alle esigenze;
   non sono mancate purtroppo tragedie, evitabili, come quella degli inizi di maggio che ha visto la morte di una donna di 68 anni ricoverata nel reparto di geriatria (per la quale è stata aperta un'inchiesta conoscitiva della procura di Catania a seguito della denuncia fatta dai figli della donna), seguita, il 23 maggio, dalla morte di un'altra signora di Giarre di 52 anni, (colta da un malore nella propria abitazione, soccorsa dopo un'ora da un'ambulanza all'interno della quale non era presente un medico che stava operando in un paese vicino e trasportata con l'elisoccorso all'ospedale più vicino ma deceduta durante il tragitto);
   anche in questo caso la famiglia ha sporto denuncia e ora sono in corso i relativi accertamenti per individuare le responsabilità –:
   se, alla luce dei fatti descritti in premessa, non ritenga di assumere iniziative volte a valutare se i livelli essenziali di assistenza siano assicurati nel territorio di cui in premessa, anche considerato che in Sicilia ancora si è in fase di attuazione un piano di un piano di rientro dal disavanzo sanitario. (5-05697)


   FUCCI e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi la sanità della regione Abruzzo è commissariata ai fini dell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   il 23 maggio 2015 la giunta della regione Abruzzo ha approvato una delibera senza numero denominata «Attivazione procedure per la ricostruzione potenziata del plesso ospedaliero clinicizzato di Chieti situato al foglio catastale 26, particella 17, in località Colle Dell'Ara»;
   tale progetto recepisce una proposta di project financing presentata da un gruppo di imprese con a capo la società Maltauro;
   l'oggetto del project financing, da 200 milioni di euro, è una nuova struttura ospedaliera che prevede la realizzazione di ben 488 posti letto in più rispetto all'esistente, di cui 410 ordinari e 68 per day hospital, oltreché 15 sale operatorie e 95 ambulatori;
   per l'attuazione del progetto si fa ricorso, per la parte di investimento di fondi pubblici, al programma di investimenti di edilizia sanitaria, collegati alla legge n. 67 del 1988, ex articolo 20, e a disponibilità della Protezione civile –:
   se sia corretta la procedura attivata o se non si sarebbe dovuto ricorrere a decretazione del commissario ad acta, anche con la valutazione e la validazione da parte dei Ministeri competenti (atto invece non richiesto per le delibere di giunta), visto che viene a modificarsi l'assetto della rete ospedaliera e che vengono utilizzate risorse destinate all'edilizia sanitaria ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988, e se in ogni caso, laddove si prevede una modifica del numero dei posti letto, non sia comunque obbligatorio acquisire preventivamente il parere positivo dei Ministeri vigilanti e solo successivamente predispone il relativo progetto di edilizia sanitaria, il quale deve comunque ottenere il parere positivo dei Ministeri competenti.
(5-05698)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i suini sono tutelati in Italia dal decreto legislativo n. 122 del 2011 che costituisce il recepimento della direttiva 2008/120/CE;
   il paragrafo 8 del Capitolo I, Allegato I della direttiva 2008/120/CE proibisce il mozzamento della coda come operazione sistematica e stabilisce che gli allevatori prima di effettuare il mozzamento della coda devono adottare altre misure intese ad evitare le morsicature delle code ed in particolare «modificare condizioni ambientali o sistemi di gestione inadeguati»;
   il paragrafo 4, capitolo I, allegato I della direttiva 2008/120/CE stabilisce che: «... i suini devono avere accesso permanente a una quantità sufficiente di materiali che consentano loro adeguate attività di esplorazione e manipolazione (paglia, fieno, legno, segatura, compost di funghi, torba o un miscuglio di questi)...»;
   in Italia sono state documentate diffuse condizioni di allevamento dei suini in aperta violazione dei summenzionati requisiti, ovvero con animali aventi tutti le code mozzate e senza alcun materiale manipolabile;
   la mancanza di conformità ai predetti requisiti compromette gravemente il benessere dei suini, causando sofferenza e dolore negli animali;
   l'associazione CIWF (Compassion in world farming) Italia, ad esempio, ha recentemente svolto una video-inchiesta in allevamenti intensivi di suini in Italia, Paese rinomato per le sue specialità suinicole, e su 11 allevamenti visitati nessuno osservava la direttiva 2008/120/CE sulla tutela dei maiali. In particolare sono stati riscontrati ambienti privi di materiali manipolabili che potessero stimolare ed incuriosire gli animali, code pesantemente amputate, pessime condizioni igieniche, scarso controllo della temperatura, zoppie, scarse cure e trascuratezza;
   l'articolo 54.1 del Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti ed alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, prevede che quando gli Stati membri individuano una non conformità con le leggi europee in materia di benessere animale, devono intervenire per assicurare che l'operatore ponga rimedio alla situazione. L'articolo 54.2 dello stesso regolamento sancisce che tale azione possa includere la sospensione delle operazioni o la chiusura in toto o in parte dell'azienda interessata per un appropriato periodo di tempo –:
   quale sia la percentuale degli allevamenti in Italia che praticano sistematicamente il mozzamento della coda e di quelli che invece non la praticano e sono quindi conformi alla normativa in vigore;
   quale sia la percentuale degli allevamenti in Italia che usano l'arricchimento ambientale adeguato, ovvero edibile, masticabile, investigabile e deformabile, tale da permettere ai suini adeguate attività di esplorazione e manipolazione;
   quali azioni intenda intraprendere perché si applichino le suddette disposizioni della direttiva 2008/120/CE agli allevamenti non conformi. (5-05680)


   GAGNARLI, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'olio di palma è un grasso vegetale tropicale contenuto in migliaia di prodotti alimentari. Molte imprese dell'agroalimentare abusano di questa materia prima, sia per il costo estremamente basso, sia per la sua versatilità nell'industria dolciaria. La sua produzione, tuttavia, è correlata alla rapina delle terre, alla deforestazione di aree boschive, alla devastazione degli habitat naturali, operazioni che comportano gravi violazioni dei diritti umani, l'eliminazione della sovranità alimentare e la riduzione della biodiversità;
   secondo molti nutrizionisti l'assunzione giornaliera di dosi elevate di questo ingrediente è dannosa per la salute a causa della presenza dei grassi saturi, tanto più che l'olio di palma si trova nella maggior parte degli alimenti trasformati più consumati dai giovani;
   il fatto alimentare ha lanciato una petizione, già a quota 140 mila firme, per dire «no» all'olio di palma per motivi etici, ambientali e di salute, ed invitare le aziende a sostituirlo con altri oli vegetali non idrogenati o burro (https://www.change.org/p/stop-all-invasione-dell-olio-di-palma). Altre due aziende (Misura e Gentilini) si sono affiancate ad Alce Nero dicendo «addio» all'olio di palma, mentre già 15 catene di supermercati hanno iniziato il processo di riduzione e sostituzione del grasso tropicale; alcune hanno già sugli scaffali i primi biscotti e prodotti «palma free», altre hanno avviato il progetto e dovrebbero concretizzare il cambiamento entro la fine dell'anno;
   il 12 maggio 2015 la Camera ha avuto l'occasione di impegnarsi in tal fronte, in occasione della discussione e votazione delle mozioni congiunte in tema di educazione alimentare; tuttavia, l'Assemblea non ha approvato l'impegno della mozione Gagnarli n. 1-00836 volto ad escludere dagli appalti delle mense pubbliche di istituti scolastici, ospedali e aziende pubbliche, nonché dei distributori automatici in essi collocati, le ditte fornitrici di prodotti a base di olio di palma; 
   l'industria alimentare ha sempre nascosto la presenza di olio di palma nei prodotti, tanto da non essere indicato in etichetta, sulla quale compariva sotto la generica dicitura di «grassi vegetali» almeno fino al 13 dicembre 2014, quando per effetto del nuovo regolamento Unione europea n. 1169/2011 è stato introdotto l'obbligo di specificazione in etichetta del tipo di grasso vegetale (olio di palma, olio di cocco, grassi idrogenati, e altro);
   da un articolo de «il fatto alimentare (http://www.ilfattoalimentare.it/olio-di-palma-lobby-euro.html) si apprende che Aidepi, l'Associazione delle industrie del dolce e della pasta, sta lavorando ad un progetto chiamato “Piano di comunicazione sul problema dell'olio di palma” che prevede un investimento di 55 mila euro per fare attività di lobbying verso direttori di giornali e tv, con l'obiettivo di dimostrare che l'olio di palma è “eccellente”, fa bene alla salute e non distrugge le foreste tropicali»;
   la somma investita dovrebbe essere utilizzata per organizzazione di «incontri conviviali» con i top media, direttori e capiredattori di quotidiani e televisioni e giornalisti specializzati. Agli incontri dovrebbero partecipare nutrizionisti che diano credibilità ai messaggi soprattutto sul fronte della salute e nutrizione ed esperti nel campo della sostenibilità, disponibili ad agire come endorser dei messaggi verso i media e verso pubblici istituzionali;
   appare non condivisibile l'iniziativa dell'associazione Aidepi, a fronte delle evidenze scientifiche emerse negli ultimi mesi circa l'abuso di questo grasso alimentare e le sue conseguenze sulla salute, oltre che sull'ambiente –:
   se non ritenga opportuno promuovere una campagna di sensibilizzazione, per diffondere i valori di una sana alimentazione, con minor apporto di calorie e di acidi grassi saturi, con il duplice obiettivo di contrastare il problema dell'obesità e del sovrappeso e contribuire al tempo stesso alla tutela delle aree boschive, al blocco della devastazione degli habitat naturali ed alla riduzione della biodiversità nei Paesi di importazione dell'olio di palma. (5-05683)

Interrogazioni a risposta scritta:


    CARFAGNA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la violenza fisica rappresenta una violazione dei diritti della persona riconosciuta in tutte le sedi istituzionali di ogni Paese civile ed organizzazione internazionale. Alcune esperienze internazionali anche recenti confermano che è possibile ottenere dei risultati tangibili nella lotta alle forme di violenza attraverso strategie politiche che si appoggino ad una precisa conoscenza tecnica di tutti gli aspetti del fenomeno. Sicuramente una leva importante sarebbe quella di comprendere e quantificare il peso economico che le violenze determinano in termini di costi di salute pubblica, incidendo sulle casse dello Stato;
   la violenza di genere, infatti, determina oltre che un costo sociale anche un aggravio economico per la finanza pubblica. Si tratta di voci di costo dei vari servizi, pubblici e privati, che lo Stato, le stesse vittime e le aziende devono sostenere a seguito degli episodi di violenza. Si va dai costi sanitari per cure psicologiche, ai costi per l'ordine pubblico, ai costi giudiziari, per le spese legali relativi alla sicurezza delle donne e della collettività, fino ad arrivare ai costi dei servizi sociali dei comuni e dei centri antiviolenza relativi all'assistenza delle vittime e dei loro familiari;
   sicuramente una voce importante è quella costituita dai costi sanitari. Da recenti notizie di stampa, è per esempio emersa la dispendiosa gestione, presso il Svs della Mangiagalli di Milano, dei tamponi raccolti sulla vittima in caso di violenza fisica. Si è scoperto infatti che i tamponi repertati dopo l'atto di violenza vengono conservati nei freezer dell'istituto di Medicina legale e cestinati mediamente dopo 5 anni;
   l'adeguata conservazione del referto permetterebbe la creazione di una «Banca Dati» preziosa per l'indagine e la ricerca dei profili genetici dei violentatori che spesso sono sconosciuti per le vittime e agiscono in via seriale. Nel caso della Mangiagalli di Milano, per esempio, l'analisi sul tampone raccolto non supera il costo vivo di 100 euro e la spesa annua sarebbe di neppure 100 mila euro. Tuttavia, nonostante le numerose richieste, le istituzioni preposte hanno argomentato l'impossibilità della creazione di una banca dati contenente i profili genetici dei violentatori per mancanza di fondi, anche se ad esempio le spese di giustizia della procura di Milano ammontano a oltre 29 milioni di euro nel 2013 e circa 18 milioni per le sole intercettazioni;
   come noto, nel corso della visita effettuata presso i nosocomi a seguito di un evento di violenza fisica, per regolamento sanitario è profilassi attuare le prestazioni cliniche e medico-legali previste per la cosiddetta «fase acuta», entro un massimo di cinque giorni e comunque preferibilmente nelle prime 72 ore, al fine di acquisire i reperti utili ai fini forensi. Tuttavia, sull'uso successivo e la conservazione dei referti acquisiti non esiste una profilassi comune;
   l'accurata tutela di quella che è chiamata, in linguaggio giuridico, «catena di custodia» è alla base della procedura penale forense, e permette l'applicazione delle norme basilari di difesa della vittima che si basano sull'uso della refertazione di tracce pertinenti al reato (articoli 191, 244, secondo comma, 247 comma I-bis del codice di procedura penale) anche nei casi in cui il violentatore sia conosciuto dalla vittima stessa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'utilizzo della refertazione biologica descritta in premessa presso il Svs Mangiagalli di Milano; se non ritengano opportuno avviare un censimento presso i nosocomi ed i centri di primo soccorso italiani che effettuano prelievi biologici sulle vittime di violenza al fine di evitare episodi di interruzione della catena di custodia; se non ritengano opportuno, grazie al corretto utilizzo dei referti biologici ed in sinergia con le procure d'Italia, utilizzare ed implementare la banca dati di cui alla legge n. 85 del 2009 su rete nazionale che, nel rispetto della privacy, al fine di implementare la tutela della vittima di violenza sessuale anche in ambito processuale. (4-09315)


   ABRIGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in tema di etichettatura ed imballaggio di liquidi da inalazione senza combustione di cui all'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995 come modificato dal decreto legislativo n. 188 del 2014, valgono le norme stabilite dal Regolamento 1272/2008 (cosiddetto Regolamento CLP);
   in particolare, l'articolo 61, comma 4, capoverso 2, del citato regolamento recita che «in deroga al secondo comma dell'articolo 62 del presente regolamento, per le miscele classificate, etichettate e imballate in conformità della direttiva 1999/45/CEE (cosiddetta DPD) e già immesse sul mercato prima del 1o giugno 2015 non vale l'obbligo di essere rietichettate e reimballate in conformità del presente regolamento fino al 1o giugno 2017». L'articolo 2, comma 1, n. 18 del Regolamento definisce per immissione sul mercato «l'offerta o la messa a disposizione di terzi, a titolo oneroso o gratuito. L'importazione è considerata un'immissione sul mercato»;
   sulla scorta di tali previsioni si ritiene quindi che i liquidi già etichettati e imballati ai sensi della direttiva 1999/45/CEE e caricati in un deposito autorizzato ai sensi del decreto ministeriale 29 dicembre 2014 sino al 1o giugno 2015, possano essere venduti e commercializzati senza obbligo di rietichettatura e reimballaggio in conformità al CLP, fruendo della deroga di cui all'articolo 61, comma 4, capoverso 2 del menzionato regolamento, facendo fede pertanto la data di fabbricazione e inserimento dei prodotti nel deposito autorizzato quale momento di «immissione sul mercato» dei prodotti stessi;
   tale interpretazione è confermata dalla «Guida all'etichettatura e all'imballaggio a norma del regolamento (CE) n. 1272/2008» pubblicata sul sito dell'Unione europea, nella quale si afferma che «qualora una miscela sia già stata classificata, etichettata e imballata ai sensi della DPD e immessa sul mercato prima del 1o giugno 2015, ovvero a tale data risulta essere già presente all'interno della catena di approvvigionamento, il fabbricante, importatore, utilizzatore a valle o distributore ha facoltà di posticiparne la rietichettatura e il reimballaggio in conformità delle norme stabilite dal CLP fino al 1o giugno 2017. Ciò significa che la miscela può continuare a essere venduta nella catena di approvvigionamento con l'etichetta a norma DPD fino al 1o giugno 2017»;
   sembrerebbe che, in occasione di alcuni recenti controlli dei Nuclei antisofisticazioni e sanità dell'arma (NAS), si sia lasciato sottintendere che la deroga di cui all'articolo 61, comma 4, capoverso 2, del menzionato regolamento, non sarà rispettata. Tale operazione porrebbe le aziende del settore di fronte a seri problemi organizzativi, logistici ed economici, viste le oggettive difficoltà nel ritiro dei prodotti al fine di adeguarli alle nuove regole, già caricati nei rispettivi depositi –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, vista la particolare delicatezza dell'argomento trattato e soprattutto a tutela delle aziende del settore, ritenga doveroso offrire i necessari chiarimenti sull'applicazione dell'articolo 61, comma 4, capoverso 2 del regolamento 1272/2008 e reputi necessario favorire il coinvolgimento delle autorità competenti. (4-09316)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto sanitario d'urgenza con mezzo aereo di Stato è regolato dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 25 luglio 2008, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 196 del 27 agosto 2008, che all'articolo 2 dispone che: «Il trasporto aereo di Stato per motivi sanitari di urgenza è disposto in favore di cittadini italiani gravemente ammalati o traumatizzati, nei casi di imminente pericolo di vita, quando non sono trasportabili con altri mezzi e non esiste nel luogo ove si trovano la possibilità di assisterli adeguatamente. Può essere autorizzato il trasporto sanitario d'urgenza anche quando debbono essere eseguiti interventi sanitari entro limiti di tempo determinati ed improrogabili, come nel caso di trapianti di organi, per il trasporto di organi da trapianto o di personale sanitario per l'esecuzione dei trapianti stessi»;
   secondo tale direttiva, le richieste di trasporto sanitario d'urgenza sono rivolte dalle prefetture ovvero dalle rappresentanze diplomatiche competenti all'Aeronautica militare che provvede direttamente alla loro trattazione secondo le procedure già in uso, impiegando gli appositi aeromobili acquisiti e gestiti dall'aeronautica e delle relative strutture. L'ufficio preposto al «Servizio per i voli di Stato, di governo e umanitari» è direttamente gestito dal segretario generale di Palazzo Chigi con autonomia funzionale ed operativa;
   da un punto di vista pratico, la richiesta di trasporto sanitario d'urgenza deve essere preventivamente rivolta alla prefettura ovvero alla rappresentanza diplomatica da una struttura sanitaria. L'ufficio preposto di Palazzo Chigi deve poi verificare l'effettiva necessità del volo, assicurarsi che il paziente sia adeguatamente accompagnato (da medici, infermieri, familiari e altro), acquisire l'indicazione di eventuali apparecchiature mediche da utilizzare in volo, acquisire la documentazione relativa al trasporto (generalmente effettuato dal servizio 118) da e per l'aeroporto e la struttura sanitaria e conoscere le esigenze relative ai tempi dell'operazione;
   per attivare il trasporto aereo di Stato è necessaria la seguente documentazione:
    a) certificazione a cura della struttura sanitaria che dichiari, oltre alla diagnosi, che il paziente è trasportabile con aeromobile, è/non è barellato, non è affetto da malattie contagiose, necessità/non necessita di assistenza a bordo con medico e/o infermiere, i cui nominativi verranno indicati tempestivamente non appena individuati, ha/non ha bisogno di strumentazione sanitaria a bordo (tale strumentazione deve essere fornita dalla struttura sanitaria richiedente, deve essere autoalimentata e di piccole dimensioni);
    b) dichiarazione dell'interessato di esonero dell'equipaggio e della pubblica amministrazione da qualsiasi responsabilità in via diretta o di rivalsa. Detta dichiarazione deve essere firmata dal paziente o, se minore, dall'esercente la patria potestà, oppure, se impossibilitato, dal più stretto familiare;
    c) attestazione della struttura sanitaria richiedente che provvederà al trasporto fino all'aeromobile e attestazione, da parte della struttura sanitaria richiedente o del medico curante, delle necessarie intese con la struttura sanitaria ricevente per il trasporto e il ricovero del paziente;
   per i voli sanitari d'urgenza, l'aeronautica militare mette generalmente a disposizione il 31o stormo, composto da due gruppi di volo, il 306o e il 93o. Il 306o gruppo ha in carico i velivoli Dassault Falcon 50 e gli Airbus A319CJ, mentre il 93o gruppo ha in carico i Dassault Falcon 900EX, 900EASy e gli elicotteri SH3D/TS;
   il 31o stormo assicura un adeguato livello di prontezza operativa, garantendo generalmente la copertura su tutto il territorio nazionale e anche all'estero se richiesto dalla missione. A rotazione, i reparti mantengono un equipaggio ed un aereo in allerta per decollare entro le due ore dalla chiamata ed un secondo equipaggio di scorta pronto al decollo entro le sei ore dalla chiamata. Ogni equipaggio è formato da due piloti, uno specialista di volo ed un assistente di bordo. I due piloti hanno la responsabilità della condotta del velivolo, mentre lo specialista e l'assistente di bordo si limitano a coordinare le operazioni di terra (trasbordo dei pazienti e delle attrezzature medico-sanitarie). La med-crew non è mai ricompresa nell'equipaggio del volo militare;
   nel 2014 sono stati effettuati 51 voli sanitari d'urgenza con velivoli militari (16 nazionali ed il resto internazionali ed intercontinentali) per un totale di circa 300 ore di volo, ad un costo medio di circa 9.000 euro/h, escluso il personale medico e l'attrezzatura sanitaria. Si stima pertanto che l'ordine di grandezza intorno al quale si aggira il costo annuale a carico dello Stato sia di circa 2.700.000 euro. Costo che, coinvolgendo flotte e apparati militari, va ragionevolmente moltiplicato per tre, superando gli 8.000.000 di euro, quasi 160.000 ad personam;
   al di fuori dal trasporto sanitario d'urgenza tradizionalmente inteso, si stima che siano circa 800 mila i pazienti «migranti» costretti ogni anno a stressanti e costosi trasferimenti da una regione ad un'altra (generalmente dal sud al nord) per sottoporsi a visite, esami ed interventi. Tra questi, vi sono anche i trasferimenti più strazianti che coinvolgono malati terminali che decidono di trascorrere gli ultimi giorni di vita assistiti dai congiunti nelle proprie abitazioni piuttosto che in case di cura;
   seguendo il modello statunitense, il nostro Paese sta consolidando la prassi che vede numerosi ospedali (soprattutto pediatrici) stipulare convenzioni con strutture alberghiere, residence, case accoglienza e compagnie aeree allo scopo di alleviare difficoltà e costi logistici e di trasportò per i pazienti e per le loro famiglie;
   appare evidente che le procedure previste dalla normativa vigente in materia di trasporto sanitario d'urgenza fatichino a rispondere adeguatamente ad una domanda sempre più diversificata di servizi sanitari e al contempo fornire alti standard qualitativi a costi sostenibili. Quest'ultimo aspetto presenta le maggiori criticità, soprattutto alla luce del dato economico che evidenzia come il costo di un'ora su un velivolo militare superi di quasi 4 volte il costo orario su un aereo ambulanza privata;
   da diversi anni, in molti Paesi dell'UE ed extra UE il servizio di aeroambulanza viene gestito da società private accreditate e certificate che, grazie a convenzioni con società assicurative, ospedali nazionali ed internazionali, centri di cura di eccellenza, consolati e ambasciate, riescono a rendere il proprio servizio fruibile ad un ampio bacino di utenza;
   in Italia, il settore aereo sanitario privato si trova ancora in una fase pioneristica rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea e extra Ue. Nella sostanziale disattenzione dello Stato, l'iniziativa è lasciata a pochissimi e ispirati operatori nazionali che sono riusciti a rendere operativo un servizio privato di air ambulance certificato da Eurami, la più importante società di accreditamento sanitaria europea;
   i pochi soggetti che operano in questo mercato ancora di nicchia riescono tuttavia ad agire su scala nazionale ed internazionale e a coprire qualsiasi tipo di trasporto aereo d'urgenza, ivi comprese le innumerevoli necessità di rimpatrio per malattia improvvisa o grave infortunio, specie all'estero;
   ogni aereo ambulanza privata (Cessna Citation e Piper Cheyenne) offre una disponibilità h 24, 7 giorni su 7 e 365 giorni l'anno, osserva le procedure internazionali del settore, è equipaggiato permanentemente come centro terapia intensiva (full ICU) e dispone di tecnologie e strumentistica di ultima generazione (barelle Spectrum Aeromed, riserva di 02 per 3.600 lt, inverter, 4 prese elettriche da 220 W, impianto aspirazione fisso, erogazione di 02, Mortara monitor multiparametrico Corpuls-3, Draeger ventilatore Polmonare Oxylog 3000 Plus, Fresenius agilia pompe infusione, Vidacare ez-10 sistema infusione intraossea, Laerdal aspiratore, Esaote eco-cardio mylab sat a colori, Abbott emogas analizzatore I-Statt, acls-Ferrino zaini e scorta farmaci, e altro). Ogni volo speciale è assistito da med-crew specializzata e addestrata composta da un medico anestesista rianimatore e da un infermiere di cure intensive e/o di pronto soccorso;
   a fronte di una richiesta annua domestica che si aggira intorno alle 3000 unità, i voli speciali di aereo ambulanza privata effettuati da aeromobili posizionati in Italia sono mediamente 200-300, equivalenti a circa 1000 ore di volo, per costi medi di 10/15 mila euro per singolo volo assistito e sempre comprensivo di med-crew e attrezzatura sanitaria;
   pur disponendo di flotte, tecnologie all'avanguardia e risorse umane d'eccellenza, il trasporto sanitario d'urgenza privato è escluso dai livelli essenziali di assistenza del servizio sanitario nazionale. Tale limitazione non solo preclude ad un vastissimo bacino di utenza l'accesso ad un servizio di tutela della salute del cittadino, ma impedisce interessanti prospettive di crescita del mercato aereo sanitario nazionale: si stima infatti che la domanda potenziale di questo servizio vada dagli 800 ai 2000 voli annui;
   la crescente domanda di servizi sanitari pone la necessità di ottimizzare le prestazioni d'eccellenza offerte dal servizio di aereo ambulanza privato e di metterle a disposizione del servizio sanitario nazionale, rendendole fruibili ad una platea sempre più vasta –:
   se, in base a quanto esposto in premessa e relativamente agli aspetti di propria competenza, non ritenga opportuno:
   a) monitorare e quantificare la dimensione ed i costi annui sostenuti dallo Stato per i voli sanitari di urgenza effettuati dall'Aeronautica militare, in ambito nazionale, dell'Unione europea ed extra Unione europea, al fine di contenerne il costosissimo ricorso;
   b) assumere iniziative per garantire un servizio di trasporto sanitario d'urgenza che risponda a una maggiore professionalità, sostenibilità e snellezza nelle operazioni di aereo soccorso, specie per quelle che richiedano uno specifico know-how;
   c) ottimizzare il trasporto aereo per motivi sanitari di urgenza attraverso il ricorso ad operatori nazionali privati del settore e prevedere l'inclusione dell'attività di air ambulance nei livelli essenziali di assistenza del servizio sanitario nazionale con una griglia di esenzione per redditi inferiori ai 30 mila euro. (4-09330)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri con circolare del 4 dicembre 2014, n. 6/2014, ha fornito una serie di indicazioni esplicative in relazione all'interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, concernenti l'introduzione di nuove disposizioni in materia di «incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza»;
   la medesima circolare stabilisce che «l'ambito di applicazione dei divieti (relativi agli incarichi sopra menzionati), per quanto riguarda le amministrazioni interessate, rimane quello già definito dalla precedente versione della disciplina in esame: esso comprende tutte le amministrazioni rientranti nella definizione dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o nell'elenco annualmente redatto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196» –:
   come sia possibile che in questo elenco siano menzionate aziende come l'Azienda per la mobilità di Torino, piuttosto che l'Azienda trasporti provinciali di Genova o l'Azienda mobilità aquilana e non siano presenti aziende di proprietà al 100 per cento di Roma capitale che, come Atac s.p.a., Ama s.p.a. o Risorse per Roma s.p.a., sono, nei loro rispettivi settori, tra le più grandi imprese pubbliche d'Italia.
(4-09327)


   BRUNETTA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 maggio il consiglio di amministrazione di Atac ha assunto in qualità di dirigente il dottor Francesco Micheli nato a Roma nel 1946 in quiescenza, già titolare di pensione, riconoscendogli una retribuzione annua lorda di 230.000 euro;
   l'ATAC spa, è una società interamente di proprietà di Roma Capitale in regime di «in house providing» e pertanto richiamando il prevalente e consolidato orientamento giuridico, nonché la diffusa autorevole dottrina e giurisprudenza, le società per azioni in regime di house sono nella sostanza assimilabili ad un ente pubblico;
   inoltre occorre ricordare quanto recentemente ribadito dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) che, richiamando anche propri precedenti giurisprudenziali, con sentenza 1181 in merito al controllo analogo, definisce che: «la società in house, lungi dall'essere qualificabile nella sostanza come ente di diritto privato è, in realtà, come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, assimilabile ad un ente pubblico (cfr. le pronunce citate della Corte di Cassazione, ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283)». Dunque, i rapporti con l'ente pubblico e della Società verso terzi non possono che essere qualificabili come rapporti pubblicistici, ma tutto ciò è ampiamente noto e diffuso anche ad esempio in merito al tema degli appalti pubblici;
   va ricordato che la società ATAC in un caso di fatto identico a quello del dottor Micheli (risoluzione del rapporto di lavoro per motivi di raggiunta quiescenza del dottor Vincenzo Saccà) ha strettamente applicato le norme «pubbliche». Per cui, ad avviso dell'interrogante, delle due l'una: o ATAC sbaglia ora a ritenersi «soggetto a norme privatistiche» o ha sbagliato (recentemente) nel risolvere il rapporto di lavoro con Vincenzo Saccà;
   la norma in questo caso dovrebbe essere molto chiara in merito alla possibilità di assumere per ATAC persone in quiescenza, anche a prescindere dallo specifico regime di società in house. Infatti, la nomina del dottor Micheli è vietata ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha introdotto nuove disposizioni in materia di ”incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza»;
   l'inquadramento normativo di cui sopra ed eventuali dubbi interpretativi sono stati ultimante chiariti nella Circolare 4 dicembre 2014, n. 6 del 2014 inerente all'Interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90. Pubblicata Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 37 del 14 febbraio 2015». Sono stati definiti nella norma incarichi vietati quelli di studio e consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società, controllati. Ed è indiscutibile che ATAC spa è in ogni caso una società totalmente controllata dalla pubblica amministrazione;
   le modifiche normative introdotte e le interpretazioni fornite nella circolare di cui sopra sono volte a evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazioni o società controllate per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o, comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità nelle amministrazioni stesse, aggirando di fatto lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli incarichi di vertice siano occupati da dipendenti più giovani. Ridurre costi, favorire accesso e turn over, rendere più efficiente la gestione: a fronte di questi obiettivi, l'assunzione del dottor Micheli appare in contraddizione con lo spirito e finalità delle norme sopra richiamate –:
   quali orientamenti si intendano esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative si intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, in particolare in merito al rispetto del principio prescritto dal dettato costituzionale del «buon andamento» e del principio di «economicità» della pubblica amministrazione e degli enti territoriali, anche da parte di società a partecipazione pubblica, quale quella citata in premessa. (4-09338)


   PISO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 maggio 2015 il consiglio di amministrazione di ATAC (azienda di trasporto pubblico di Roma Capitale), attraverso una procedura di selezione, ha assunto in qualità di direttore generale il dottor Francesco Micheli, nato in Roma nel 1946, manager di grande esperienza, maturata in ruoli apicali, tra gli altri, in Intesa S. Paolo, Tirrena Assicurazioni, Gucci, Banco di Sardegna, Poste Italiane, Banca di Roma, nonché componente del CDA di ABI;
   lo stesso risulterebbe in quiescenza e già titolare di pensione;
   da articolo comparso in data 14 maggio 2015 sul quotidiano Il Tempo risulterebbe che l'ex responsabile comunicazione di ATAC, dottor Vincenzo Saccà, abbia dovuto lasciare l'azienda in virtù dell'applicazione dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 144, che ha introdotto nuove disposizioni in materia di «incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza» e che, invece, nel caso del dottor Francesco Micheli, la medesima norma, non avrebbe trovato in ATAC uguale applicazione;
   eventuali dubbi interpretativi sulla norma di cui sopra sono stati, comunque, ultimamente chiariti nella circolare del dipartimento della funzione pubblica del 4 dicembre 2014, n. 6 del 2014 inerente alla «interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale serie generale del 14 febbraio 2015»;
   nella circolare sopra menzionata si specifica che la norma in questione è «volta ad evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o, comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità nelle amministrazioni stesse, aggirando lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli incarichi di vertice siano occupati da dipendenti più giovani»;
   sempre nella medesima circolare si ribadisce che «incarichi vietati, dunque, sono...: ”incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati»;
   ATAC spa è 100 per cento proprietà di Roma Capitale ed è in regime di in house providing e quindi in condizione di «controllo analogo» da parte dell'azionista unico;
   per autorevole dottrina e giurisprudenza le spa in regime di in house non sono qualificabili come «ente di diritto privato», ma, viceversa, assimilabili nella sostanza ad un ente pubblico;
   il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (sezione quinta) con sentenza n. 1181, in merito al controllo analogo stabilisce che «la società in house, lungi nella sostanza dall'essere qualificabile come ente di diritto privato è, in realtà, come recentemente affermato dalla Corte di cassazione, assimilabile ad un ente pubblico (ordinanze 5 aprile 2013, n. 8352, 3 maggio 2013, n. 10299 e sentenza SS.UU. 25 novembre 2013, n. 26283)»;
   i rapporti della società con l'ente pubblico e della società verso terzi non possono che essere qualificabili come rapporti pubblicistici, ma tutto ciò è ampiamente noto e diffuso anche, ad esempio, in merito al tema degli appalti pubblici –:
   quali siano gli orientamenti del Governo circa l'applicazione alle società a partecipazione pubblica della disciplina richiamata in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intende assumere in relazione ai fatti sopra citati. (4-09340)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yacht è una società attiva dal 2001, con sede ad Ancona, specializzata nella produzione di yacht di lusso fra i 30 e 100 metri. Controllata dal fondo Yachting Investors Group di Londra, gode di un alto riconoscimento sul mercato per la qualità dei suoi prodotti. In soli 14 anni di attività, la società ha realizzato 32 mega yacht di lusso;
   a causa della congiuntura economica negativa, che ha caratterizzato il comparto della nautica, l'azienda non ha commesse da due anni, ed ha accumulato debiti per 40 milioni di euro;
   fonti di stampa riportano che dei 106 lavoratori impiegati, attualmente lavorano solo 16 operai a rotazione per la manutenzione di due barche (AnconaToday.it, 18 maggio 2015);
   i lavoratori sono da 15 settimane in cassa integrazione. Il prolungamento della cassa ordinaria è stato chiesto fino all'inizio del prossimo agosto, mentre la richiesta di cassa integrazione straordinaria è legata alla dimostrazione di continuità operativa dell'azienda, circostanza tutt'altro che scontata;
   l'agenzia di stampa Ansa ha reso noto, in data 6 maggio 2015, che l'azienda ha annunciato alla Rsu di aver presentato richiesta di concordato preventivo al tribunale di Ancona; per mancanza assoluta di ordini. Fonti sindacali hanno rivelato che al momento «non ci sono possibili acquirenti interessati a rilevare il cantiere o nuovi investitori all'orizzonte» (Giuseppe Ciarrocchi, segretario regionale della Fiom Cgil, Ansa 6 maggio 2015);
   oltre alla salvaguardia del lavoro per 106 lavoratori, si pone il problema di salvaguardare il know how maturato in un settore dove l'Italia è stato per anni leader indiscusso in tutto il mondo, ruolo che oggi appare fortemente ridimensionato –:
   quali iniziative intendano intraprendere, con urgenza, i Ministri interrogati al fine di salvaguardare i livelli occupazionali ed evitare che si disperdano competenze tecniche di livello significativo. (5-05691)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di incentivazione che l'ordinamento italiano ha posto a sostegno dello sviluppo dell'energia prodotta da fonti rinnovabili è stato, negli ultimi anni, soggetto a profonda rivisitazione;
   nell'ottica di diminuire l'incidenza dei costi posti a sostegno di date fonti di produzione energetica, (quali le rinnovabili), in combinato disposto al decremento, nel tempo, dei costi di realizzazione degli impianti che producono energia da fonti rinnovabili, i regimi di sostegno si sono fatti via via meno generosi ma soprattutto più selettivi;
   il cosiddetto decreto Romani (decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28) all'articolo 24 espressamente statuisce che «l'incentivo è attribuito esclusivamente alla produzione da nuovi impianti, ivi inclusi quelli realizzati a seguito di integrale ricostruzione, da impianti ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, e da centrali ibride, limitatamente alla quota di energia prodotta da fonti rinnovabili»; a parere degli interroganti la ratio della previsione normativa è di facile comprensione, dato che se di un sostegno c’è bisogno per un'industria, è certamente per l'industria che investe, innova, produce ex novo e non per quella che «ricicla, rinnova»;
   la realizzazione di impianti con macchine «nuove di fabbrica» rispetto a quelle «rigenerate» implica l'impiego di maggiori risorse economiche (la macchina di nuova produzione inevitabilmente, e ovviamente, costa di più della rigenerata) spesso a dispetto e discapito della sicurezza per l'utilizzatore finale;
   a giudizio degli interroganti consentire tout court l'ammissione al sistema di incentivazione delle «macchine rigenerate» implicherebbe, con particolare riferimento al mercato del «mini eolico», l'introduzione di elementi e/o meccanismi distorsivi della concorrenza e renderebbe il mercato rilevante meno competitivo per coloro che continuano a realizzare e/o rifare impianti con macchine non rigenerate. Il che appare contrario agli interessi di mercato, dell'industria di settore e alla ratio della normativa rilevante –:
   se il Ministro interrogato, con particolare riferimento al mercato del «mini eolico», ritenga di adottare iniziative di carattere normativo e regolamentare, affinché sia assicurato l'accesso al sistema di incentivazione solo quando la macchina rigenerata abbia subito un livello di rigenerazione tale da farla considerare equivalente alla nuova;
   se ritenga opportuno adottare iniziative di carattere normativo per giungere ad una, a parere degli interroganti doverosa, applicazione di un coefficiente di correzione in diminuzione dell'incentivo (rispetto ai nuovi impianti) a compensazione del minor costo di investimento supportato dal soggetto interessato per la realizzazione di tale impianto. (4-09326)


   D'INCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della presentazione da parte di Terna spa, in data 21 febbraio 2011, di un progetto denominato di «razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) nella media valle del Piave», il Ministero dello sviluppo economico comunicava, con nota 26 agosto 2011, l'avvio del procedimento;
   la domanda di Terna spa era diretta all'autorizzazione per la costruzione, ed esercizio, di una serie di interventi sulla rete a 220 kV, attinenti le stazioni elettriche di Polpet e Soverzene, oltre che le direttrici Polpet-Soverzene, Polpet-Lienz e Polpet-Scorzè, sulla rete a 132 kV, per le direttrici Polpet-Belluno, Polpet-Forno di Zoldo, Pelos-Gardona-Desedan e la stazione elettrica di Gardona, con l'inserimento di alcuni tratti di elettrodotto in cavo interrato;
   tali opere interessano la provincia di Belluno, ed in particolare il territorio dei comuni di Belluno, Ponte nelle Alpi, Soverzene, Longarone, Castellavazzo, Ospitale di Cadore e Perarolo di Cadore, e rientrano tra quelle soggette a valutazione di impatto ambientale nazionale, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 e successive modifiche, oltre che da sottoporre a valutazione di incidenza e riguardando la costruzione di elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica, sono soggette, in base decreto-legge 29 agosto 2003 n. 239 convertito con modifiche dalla legge, e, ad autorizzazione rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico di concerto col Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la regione Veneto, nel procedimento unico, previsto dall'articolo 1-sexies della citata normativa, nel cui ambito si svolge la valutazione di impatto ambientale;
   l'istanza di valutazione di impatto ambientale, con procedura integrata con la valutazione di incidenza, veniva presentata il 23 novembre 2011: in esito ad essa numerosi enti pubblici, privati e comitati di cittadini, presentavano osservazioni critiche allo studio di impatto ambientale (SIA), evidenziando gravi carenze progettuali ed una sostanziale sottovalutazione dei reali impatti che gli elettrodotti creerebbero in zone sottoposte a vincolo, vuoi con antichi insediamenti abitativi e di pregio, vuoi con la testata della pista dell'aeroporto Arturo dell'Oro; un non adeguato approfondimento con l'impatto floristico e vegetazionale di numerosi biotopi; il fatto che l'importanza faunistica dell'area di Prà de Santi, ma non solo, sia del tutto trascurata; che sia sottovalutata nel SIA l'altissima valenza paesaggistica di aree di grande pregio ambientale; del tutto ignorato l'inaccettabile impatto elettromagnetico con numerose case di civile abitazione; nonché la necessità di una completa revisione del progetto relativo alla localizzazione e realizzazione delle strutture relative alla stazione elettrica di Gardona;
   in sede istruttoria, assume particolare rilievo la richiesta di integrazioni 7 novembre 2012 da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che nell'esprimere la necessità di acquisire chiarimenti ed integrazioni, evidenzia la carenza e sommarietà del progetto, sia in riferimento agli strumenti programmatici e pianificatori, anche in relazione all'interferenza diretta con siti Natura 2000, e alla carta dei valori faunistici e vegetazionali, sottolineando come la cartografia allegata neppure consenta un'accurata analisi, peraltro di per sé molto carente – sia in merito allo studio del paesaggio, affrontato nel SIA in maniera molto generica;
   infatti a titolo di esempio, articoli di stampa dei giorni scorsi riportano le rimostranze dell'amministrazione del comune di Ponte nelle Alpi presentate ai tecnici della commissione nazionale per la valutazione dell'impatto ambientale, giunti per un sopralluogo, ai quali si sono evidenziate le criticità cui oggi sono sottoposte circa 530 famiglie che vivono sotto i tralicci dell'alta tensione, nonché quelle della scuola elementare, che non può utilizzare 4 aule a causa dei campi elettromagnetici ed infine, la vicinanza ai cavi dell'asilo nido e del palazzetto dello sport. Oltretutto la presenza di enormi tralicci in mezzo al paese, con i cavi che passano appena sopra i tetti delle case, determina una situazione che la stessa commissione valutazione di impatto ambientale avrebbe definito tra le peggiori in Italia;
   stanti le notizie riportate nell'articolo, emergerebbe inoltre, la realizzazione di nuove strutture che verranno armate per un potenziale elettrico che consentirebbe il passaggio della corrente a 380 kilovolt sulle linee bellunesi (limite proibito dal protocollo firmato dalla stessa Terna), ma porteranno soltanto 220 kilovolt e se Terna volesse spingere le linee fino a 380 kilovolt, dovrebbe chiedere una nuova autorizzazione e sempre secondo il protocollo, non potranno essere installati tralicci più alti di 40 metri;
   ciò starebbe ingenerando tra gli amministratori locali, il sospetto che Terna stia conducendo trattative separate per costruire un collegamento con l'Austria. Voci però smentite dalla suddetta società;
   il territorio del bellunese, è inserito nella WHL dell'UNESCO per il sito seriale delle Dolomiti, e pertanto risulta opportuno che le necessarie reti infrastrutturali (elettriche, stradali, telematiche, etc.) vengano realizzate con le migliori tecnologie possibili e con il massimo livello di sostenibilità ambientale;
   a parere dell'interrogante, le osservazioni presentate richiederebbero una rivisitazione del progetto che imponga un maggiore e più adeguato interramento dei cavi, oltre allo spostamento e/o ridimensionamento di numerosi tralicci, o di interi tratti di linea; sottolineando la necessità che venga garantito il non superamento di 0,2 microtesla di campo magnetico, misurato all'esterno di abitazioni e luoghi adibiti a permanenza prolungata di persone, come già previsto dalla normativa regionale del Veneto, per una reale prevenzione dagli effetti a lungo termine dell'interazione elettromagnetica –:
   se i Ministri interrogati, nell'invitare il soggetto proponente ad un approfondimento generale che porti ad analizzare soluzioni progettuali migliorative, non ritengano necessario:
    a) approfondire le motivazioni dell'opera e motivare la scelta tecnica di realizzare i nuovi elettrodotti a 220 Kilovolt con sostegni e componenti relativi alle linee aeree in semplice terna classe 380 kilovolt, invitando la società proponente Terna spa a fornire gli elementi documentali e progettuali attinenti al futuro sviluppo della rete, e l'eventuale progetto di trasformazione della rete a 380 kilovolt per la connessione con l'Austria, al fine di escludere che tali opere possano essere considerate come «frazionamento» di un'unica opera;
   in relazione all'interferenza diretta con siti Natura 2000, se intendono effettuare l'analisi e il confronto tra tracciati progettuali migliorativi al fine di eliminare o ridurre tali interferenze;
   se intendano verificare il progetto in relazione alla prevista autostrada (A27) analizzando soluzioni progettuali migliorative al fine anche di ridurre eventuali effetti sinergici e impatti cumulativi;
   se intendano analizzare e verificare le possibili soluzioni progettuali al fine di ridurre gli attraversamenti del fiume Piave;
   se intendano analizzare e confrontare soluzioni progettuali migliorative, al fine di verificare l'affiancamento delle linee a 220 Kilovolt nell'attraversamento del fiume Piave in corrispondenza della stazione di Soverzene;
   se intendano verificare, analizzare e confrontare soluzioni progettuali migliorative in merito all'attraversamento del torrente Desedan (Pian de Sedego);
   se intendano, in merito all'interferenza con il biotopo Pra dei Santi verificare, analizzare e confrontare soluzioni progettuali migliorative, anche in riferimento alle abitazioni esistenti lungo il tracciato. (4-09328)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione riportano la recente notizia dell'arresto, a seguito dell'Operazione Unmask coordinata dalla procura della Repubblica di Roma e condotta dagli agenti della polizia postale del centro anticrimine informatico, di due giovani informatici di Cercino e di Livorno, ben conosciuti in rete;
   queste due persone, che sembrerebbero essersi resi protagonisti di azioni delittuose, a giudizio dell'interrogante dovrebbero essere definite correttamente dalla stampa come «presunti criminali informatici» e non con l'erroneo epiteto di «hacker», che si riferisce a tutt'altro;
   l'editoria che affronta l’«etica» hacker fa riferimento infatti a principi e finalità non negoziabili per un hacker che vanno dal libero accesso alle tecnologie informatiche all'attivismo e creatività, ma certo non comprendono il furto di dati, il danneggiamento delle infrastrutture tecnologiche o la frode informatica;
   uno dei due presunti criminali attualmente in arresto, Meier, riveste il ruolo di digital champion locale, cioè un ambasciatore dell'innovazione, carica istituita dall'Unione europea nel 2012 per favorire la digitalizzazione dei cittadini;
   in realtà, l'Unione europea ha indicato per ciascun Paese membro la possibilità di nominare un solo digital champion con il compito di promuovere i benefici della società digitale e per questo ruolo è stato indicato il giornalista e scrittore Riccardo Luna;
   due mesi dopo la nomina, Luna ha costituito l'Associazione digital champion e annunciato la nomina di un centinaio di collaboratori, con l'obiettivo, come si evince dal sito www.digitalchampionsit, di individuare oltre 8.000 digital champion (uno per ogni comune italiano), nominati personalmente sulla base di criteri non precisati;
   il fatto che il ragazzo sia stato scelto dal digital champion nazionale Riccardo Luna, referente per l'Italia per la politica dell'Agenda digitale europea dal 2014, e indicato come suo rappresentante per il comune di Cercino per promuovere la cultura digitale sul territorio, crea quanto meno dei dubbi sulle modalità di selezione dei digital champions locali;
   l'interrogante già in passato aveva sollevato dubbi sul fatto che la creazione di un organismo privato che riceve «incarichi» da parte del Governo per svolgere attività presso gli enti locali (senza che ci sia stata una selezione di tali soggetti secondo una procedura di evidenza pubblica e senza che siano stati resi trasparenti i criteri per valutare l'idoneità degli stessi a ricoprire la «carica» di digital champion locale che viene legittimato ad effettuare consulenza presso le pubbliche amministrazioni degli enti locali) lascia spazio a una serie di interrogativi sulla opportunità, sulla trasparenza e, soprattutto, sulla legittimità di questa iniziativa;
   l'associazione digital champions, per la visibilità che occupa (il Presidente Renzi e il Ministro Madia hanno partecipato alla presentazione del progetto, l'emittente televisiva pubblica (Rai) ha mandato in onda ripetutamente lo spot nel quale si parla dei 110 digital champion che saranno ospitati da 110 province italiane per «spiegare» la fatturazione elettronica) e per i contributi che riceve, deve garantire sulla professionalità dei propri rappresentanti e questo include competenze informatiche e correttezza nel saperle utilizzare e requisiti morali imprescindibili –:
   se non ritenga opportuno rendere noti quali siano i criteri alla base delle selezioni dei digital champions locali «scelti direttamente dal digital champion nazionale tra quelli che hanno dato disponibilità» che sembravano più adatti, se il Ministro non intenda richiedere al digital champions di chiarire in che modo vengono rispettati i criteri di equità e trasparenza per la scelta di queste persone individuate come una sorte di consulenti alle amministrazioni pubbliche e in particolare se si effetuino verifiche di ordine pubblico sulle persone che inviano i loro curricula. (4-09335)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Palese n. 1-00838, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabrizio Di Stefano.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00868, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Iori.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Segoni n. 5-05675, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Baldassarre, Gagnarli, Artini, Cristian Iannuzzi, Barbanti, Rizzetto, Prodani, Turco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Currò n. 5-05591, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Preziosi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palese n. 1-00838, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 415 del 24 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in Puglia, nei territori delle province di Brindisi, Taranto e, in particolare, Lecce, sono andate distrutte intere coltivazioni di ulivi a causa della presenza di un batterio originario della California chiamato Xylella fastidiosa; tale parassita, difficile da eliminare, è giunto in Italia con l'importazione di piante ornamentali di caffè infette, provenienti dall'America centrale, e, purtroppo, ha colpito le distese di uliveti di cui la Puglia è ricca, mettendo i coltivatori nelle condizioni di doverli sradicare e bruciare, in quanto pericolosi anche per la fauna;
    il batterio è stato trasmesso dalla «cicala sputacchina», che è un insetto ad apparato pungente-succhiatore che, una volta assorbita la linfa delle piante, la trasporta su altri fusti e li contagia; il ceppo di batterio che ha devastato gli ulivi in Puglia è in grado di attaccare anche altre piante, come il ciliegio, il mandorlo, l'oleandro e alcune ornamentali;
    l'unico rimedio ad oggi conosciuto per eliminare il parassita pare sia il taglio radicale del tronco e l'estirpazione delle radici stesse: le ripercussioni negative sull'agricoltura pugliese risultano evidenti e si tradurranno in un danno inestimabile; inoltre, il rischio di diffusione non riguarda solo la Puglia: il batterio, infatti, potrebbe diffondersi anche in altre zone d'Italia, producendo gli stessi effetti disastrosi con un reale pericolo per tutta la penisola;
    l'epidemia si è, purtroppo, diffusa in tutto il Sud della Puglia, ma il solo Salento registra circa un milione di piante infettate dalla Xylella fastidiosa. Sembra che gli alberi più deboli e predisposti al «disseccamento rapido» siano i più antichi e che anche le piante più giovani e resistenti siano destinate ad essere incenerite. Gli agricoltori sperano solo nella ricerca. Ma lo stato della ricerca in agricoltura è sconfortante;
    l'ultimo dramma è la contrapposizione tra chi teme l'ulteriore avvelenamento della campagna con gli insetticidi e chi spinge per usarli come arma falsamente letale. In realtà, il processo distruttivo in atto dovrebbe contenere già in sé un nucleo fondante di un nuovo modello, con individui «innovatori» ma col cuore antico, capaci di coniugare tensione morale e competenze tecnico-aziendali;
    con quasi 500 milioni di tonnellate, l'Italia rappresenta il secondo produttore mondiale (dopo la Spagna) di olio d'oliva, costituendo uno dei prodotti più importanti del made in Italy agroalimentare, i cui importanti risvolti socioeconomici si esprimono, in particolare, nei territori del Sud del Paese, dove tale coltura è principalmente presente. L'olivicoltura rappresenta, infatti, uno dei comparti più rilevanti del sistema agricolo pugliese, contribuendo nel 2013 all'11,6 per cento – pari a 522 milioni di euro – del valore complessivo della produzione agricola della regione e al 30 per cento del valore della produzione olivicola italiana;
    per quanto riguarda la superficie interessata dall'olivicoltura, in Puglia risultano in produzione circa 375.000 ettari a olivo (pari al 32 per cento delle superfici olivicole nazionali e al 41 per cento delle superfici delle regioni meridionali);
    inoltre, per quanto attiene al tessuto imprenditoriale, l'olivicoltura è realizzata in Puglia da circa 270.000 imprese agricole, pari al 22 per cento delle aziende olivicole italiane, dove si rileva anche come la superficie media per azienda coltivata a olivo (1,4 ettari) sia sensibilmente superiore alla media nazionale. Rispetto alla dimensione provinciale, la superficie investita è così ripartita: Bari 26 per cento, Lecce 24 per cento, Brindisi 17 per cento, Foggia 14 per cento, Taranto 10 per cento e Barletta-Andria-Trani 9 per cento;
    nel panorama olivicolo nazionale, la Puglia si contraddistingue anche per l'olio a denominazione di origine protetta (dop Terra di Bari), con il fatturato più elevato in Italia (28 milioni di euro), rappresentando al contempo il 35 per cento del fatturato complessivo degli oli extravergine a marchio dop e igp italiani (Ismea-Qualivita);
    infine, per quel che riguarda gli scambi internazionali di settore, l'olio di oliva rappresenta il terzo prodotto pugliese più esportato (dopo ortofrutta e conserve vegetali), per un valore di circa 106 milioni di euro, pari a quasi il 9 per cento dell’export di olio dall'Italia (1,2 miliardi di euro di olio d'oliva esportato nel 2012);
    le province di Lecce, Brindisi e Taranto, per le condizioni climatiche particolarmente favorevoli allo sviluppo vegetativo delle piante, sono caratterizzate da un numero elevato di vivai che producono per la maggior parte piante ornamentali, ma anche piante da frutto come drupacee olivo, vite e altro;
    il numero complessivo di vivaisti presenti nella sola provincia di Lecce è di circa 140, di cui circa 40 producono solo vite e gli altri altre tipologie di piante, tra questi molti coltivano piante ospiti di Xylella fastidiosa;
    sin dal primo mese dal ritrovamento (ottobre 2013) della Xylella fastidiosa nelle zone del gallipolino sono state riscontrate difficoltà da parte dei vivaisti a commercializzare le piante, sia per obblighi di divieto imposti dalle norme regionali inizialmente e da quelle comunitarie e nazionali successivamente, sia per preoccupazione degli acquirenti locali regionali, nazionali e internazionali sulla possibile diffusione del batterio nei propri territori;
    la Francia ha adottato misure, considerate in linea con la legislazione dell'Unione europea, contro la diffusione della Xylella fastidiosa che prevedono il blocco delle importazioni delle piante dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio; il decreto firmato dal Ministro dell'agricoltura francese, Stephane le Foll, in vigore dal 4 aprile 2015, vieta l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese e di quelle piante contaminate dal batterio e inibisce gli scambi intra-europei con la Puglia, con il conseguente rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino;
    di fatto, ad eccezione di alcune piante, la maggior parte dei contratti già in corso sono stati sospesi e le vendite si sono quasi azzerate. Il riconoscimento anche da parte della Commissione europea dell'esclusione della vite dalle infezioni di Xylella fastidiosa ha consentito ai vivaisti viticoli, concentrati essenzialmente nella zona di Otranto ritenuta fino alla metà del 2014 zona indenne, di poter commercializzare le barbatelle anche fuori della provincia di Lecce;
    l'impatto che si è verificato nella sospensione delle vendite è stato particolarmente grave ed economicamente rilevante per diversi motivi; l'elevata quantità di piante giacenti nei vivai ha necessità di essere mantenuta in ottima vegetazione con grosse spese di mantenimento, senza però alcun ricavo per la vendita. Per molte tipologie di piante la permanenza nel vivaio di 1-2 anni oltre il necessario non consente la vendita delle stesse, in quanto non più commerciabili, per cui si ha una perdita totale dei costi sostenuti. Le piante ritenute ospiti di Xylella fastidiosa non potranno più essere commercializzate, in quanto non rispettano più i requisiti previsti dalla normativa e pertanto vanno distrutte. Va rilevata la necessità di fare elevati investimenti per la realizzazione di serre conformi ai requisiti tecnici previsti dalle norme per potere ottenere le autorizzazioni del servizio fitosanitario. Si registra l'assenza totale di acquirenti sia nell'interno della provincia che al di fuori della stessa, in quanto le informazioni su tale emergenza fitosanitaria che vengono giornalmente diffuse dai mass media hanno sensibilizzato ormai tutto il mondo sulla possibile diffusione del batterio tramite movimentazione di piante infette;
    oltre alla perdita delle piante e al mancato ricavo per l'assenza delle vendite, va considerato l'enorme indotto socio-economico che interessa tutto il settore vivaistico: migliaia di lavoratori impegnati nelle operazioni di cura delle piante; centinaia di trasportatori che giornalmente movimentano piante ornamentali e frutticole, migliaia di punti vendita di piccoli e grandi garden che sono economicamente in regressione, tantissimi giardinieri e addetti del settore del verde urbano pubblico e privato che hanno ridotto notevolmente le proprie attività lavorative;
    il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recante «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali», pur prevedendo all'articolo 5, comma 3, l'integrazione della dotazione finanziaria del fondo di solidarietà nazionale, di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 102 del 2004, per gli interventi compensativi in favore delle imprese agricole che hanno subito danni a causa della Xylella fastidiosa, con un milione di euro per il 2015 e 10 milioni di euro per il 2016, non solo non stanzia le risorse adeguate per fronteggiare tale emergenza, ma non reca nessun intervento incisivo per rilanciare il settore agricolo in crisi,

impegna il Governo:

   ad affrontare e a risolvere con immediatezza la fase di crisi economica degli agricoltori e dei vivaisti, che, rispettivamente, con l'abbattimento delle piante di olivo e con la sospensione o l'annullamento dei contratti e delle forniture, perdono la loro fonte di reddito e di sopravvivenza;
   ad incentivare la ricerca per studiare il patogeno, l'insetto vettore, ed individuare ogni misura idonea a prevenire e curare gli ulivi e le altre specie vegetali attaccate dalla Xylella fastidiosa mediante progetti che mettano in rete tutti gli istituti di ricerca operanti a livello nazionale e internazionale, salvaguardando l'aspetto paesaggistico, ambientale e produttivo dei territori colpiti, caratterizzati nelle zone delle province di Lecce, Brindisi e Taranto da oliveti secolari, da oliveti produttivi e da vegetazione spontanea colpita dal batterio;
   ad assumere iniziative per prevedere per tutti gli agricoltori danneggiati dalla Xylella fastidiosa la sospensione dell'IMU agricola, nonché la proroga delle scadenze delle rate di credito agrario di esercizio e di miglioramento e di credito ordinario dalle imprese agricole;
   a disporre le opportune iniziative per escludere dal patto di stabilità interno le somme impegnate dagli enti locali per la realizzazione degli interventi di competenza e obbligatori per fronteggiare l'emergenza fitosanitaria della Xylella fastidiosa;
   a definire ed attuare un piano di certificazione delle produzioni vivaistiche in grado di verificare tutte le produzioni, in modo da certificare l'assenza del patogeno prima di ogni movimentazione di materiale vivaistico e da evitare qualsiasi blocco di esportazioni, e riconoscere incentivi e sovvenzioni a tutti coloro che aderiscono al protocollo di certificazione delle produzioni vivaistiche;
   ad adoperarsi, in particolare in sede comunitaria, per realizzare un regime di aiuti destinati a finanziare piani di intervento per l'emergenza fitosanitaria in relazione a tutte le specie vegetali ospiti del batterio Xylella fastidiosa, che preveda specifiche misure sovvenzionate, quali prestazioni di assistenza tecnica, misure di prevenzione della fitopatia, misure combinate di prevenzione della fitopatia e di compensazione, in relazione al valore dei raccolti distrutti e dei frutti pendenti non raccolti e/o delle piante arboree estirpate;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, per quanto di competenza, affinché siano previste, nell'ambito del programma di sviluppo rurale Puglia 2014-2020, ancora in corso di istruttoria presso l'Unione europea, per tutti gli agricoltori o comunque produttori agricoli potenzialmente a rischio specifiche misure per il finanziamento delle attività di prevenzione e di ripristino del potenziale produttivo ridottosi a causa dell'infezione causata dalla Xylella fastidiosa, nonché per la certificazione di tutte le aziende anche vivaistiche che oggi sono esposte a rischi economici molto importanti, come per esempio accaduto per il settore delle barbatelle o per il settore florovivaistico;
   ad adoperarsi anche a livello europeo per individuare, in particolare nell'ambito del programma Horizon 2020, le risorse necessarie per finanziare la ricerca e l'innovazione per affrontare e superare l'emergenza connessa al diffondersi della Xylella fastidiosa.
(1-00838)
(Nuova formulazione) «Palese, Fabrizio Di Stefano».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lupi n. 1-00869, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 432 del 21 maggio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il legislatore è intervenuto di frequente con provvedimenti restrittivi sulla disciplina della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato, l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita; dall'altro, l'obiettivo dell'amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti, che ovviamente ben si prestano a «coprire» operazioni effettuate «in nero»;
    in particolare, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto decreto «Salva Italia», (convertito con modificazioni con la legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha – da ultimo – ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore. Il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, quale che sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti;
    pertanto, allo stato attuale, è possibile effettuare pagamenti in contanti sino alla soglia massima di euro 999,99 ed è vietato il trasferimento, tra soggetti diversi, di denaro contante (nonché di libretti di deposito bancari e postali al portatore o di titoli al portatore) per importi pari o superiori ai 1.000,00 euro: per l'effettuazione di tali operazioni di trasferimento da un soggetto ad un altro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica od a Poste Italiane spa;
    successivamente al citato intervento restrittivo del 2011, il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, cosiddetto decreto «Semplificazioni», ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante, per acquisti effettuati da cittadini extra-Ue presso commercianti al minuto, nonché le agenzie di viaggio e turismo;
    in tema di circolazione del denaro contante, sono inoltre state introdotte alcune recentissime novità: con riferimento alle corresponsioni di canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità 2014, (legge n. 147 del 2013) al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti. La norma prevede che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
    in termini di obbligo di adozione di strumenti POS per imprese e professionisti, il decreto ministeriale 24 gennaio 2014 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, saranno obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti saranno obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore ad euro 3000 effettuati con carte di debito;
    secondo uno studio della CGIA di Mestre del febbraio 2015, cresce l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi 7 anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul Pil del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
    l'enorme uso del contante deriva dal fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente presso una banca e che di conseguenza non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o il libretto degli assegni, l'ISTAT, nella pubblicazione: «I consumi degli italiani, segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito. Molti preferiscono ancora adesso tenere i propri risparmi in casa, anziché affidarli ad una banca, considerati soprattutto i costi per la tenuta di un conto corrente tra i più elevati d'Europa;
    sempre secondo i dati della CGIA di Mestre, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Anzi, dagli studi emerge un dato sorprendente: c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, vale a dire l'evasione fiscale;
    tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo l’«asticella» del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
    alla luce di questa comparazione, possiamo affermare che non c’è una stretta correlazione tra l'uso della carta moneta e l'evasione fiscale. Anzi, il minor utilizzo del contante può diminuire le possibilità di riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali che, come sappiamo, non venivano però incluse nelle statistiche ufficiali riferiti all'evasione fiscale;
    rispetto agli altri Paesi europei in Italia i costi per le transazioni tramite POS (Point of sale) sono più elevati in media del 50 per cento; elevati anche i costi per l'installazione e la gestione dei POS che hanno una componente fissa e una variabile: i costi fissi comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura POS e il mantenimento di una linea telefonica dedicata, più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei POS non è costituito dalla sua obbligatorietà ma dalla riduzione dei costi di gestione. I pagamenti tramite POS in Francia sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi) eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti internazionali, dicembre 2012) in quel Paese ci sono infatti meno POS che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
    quanto affermato ha maggior rilievo, ove si consideri che il comma 9 dell'articolo 12 del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese definissero, entro nove mesi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento; il comma 10, del medesimo articolo 12 ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Analogamente il comma 5 dell'articolo 15, del decreto-legge n. 179 del 2012, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplinassero le modalità di attuazione della disposizione anche con riferimento agli oneri a carico delle imprese ed al costo unitario del pagamento elettronico;
    in attuazione di quanto previsto da tali disposizioni si sono tenute riunioni tra l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, Poste italiane SpA, il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale, senza tuttavia giungere all'elaborazione di un testo condiviso secondo le modalità e nei termini previsti; si registrano peraltro positive esperienze tra alcuni istituti di credito ed associazioni imprenditoriali e di imprese, che hanno ridotto, fino ad azzerarli, i costi di transazione;
    tra i principali membri dell'Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima oltre il quale non si può più usare il contante è pari a 1.000 euro;
    lo scorso febbraio il presidente del Consiglio ha annunciato l'intenzione del Governo di elevare il limite all'utilizzo del contante dagli attuali 999,99 euro a 3 mila euro, condizionando il varo della misura all'adozione del decreto delegato sulla fattura elettronica. Infatti, con una transazione «tracciata» con una fattura elettronica o uno scontrino immediatamente visibile al fisco, l'eventuale incasso in contanti non dovrebbe creare problemi;
    il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica che introduce misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    il varo del decreto crea oggi le condizioni per la definitiva rimozione del limite all'uso del contante previsto dalla normativa vigente;
   con decreto ministeriale 14 febbraio 2014 n. 51 è stato emanato il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   con tale decreto, tuttavia non si è in realtà – provveduto a definire le, regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, come era stato disposto in termini espliciti dall'articolo 12, comma 9, del decreto legge n. 201 del 2011, poiché avrebbe comportato una definizione anche quantitativa di tetti alle commissioni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per una revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite dai 1000 euro attuali ai 3000 euro, ponendo così la legislazione italiana in linea con quella dei principali Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della carta moneta;
   a dare attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in merito alla definizione delle regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento.
(1-00869)
«Lupi, Buttiglione, Dorina Bianchi, Pizzolante, Vignali, Tancredi, Bernardo, Pagano, Alfreider, De Girolamo».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione L'Abbate n. 1-00870, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 433 del 22 maggio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    con una produzione di quasi 500 milioni di tonnellate l'Italia è il secondo produttore mondiale, dopo la Spagna, di olio d'oliva, uno dei prodotti di eccellenza del made in Italy agroalimentare, i cui significativi risvolti socioeconomici si esprimono, in particolare, nei territori del Sud del Paese, dove tale coltura è particolarmente presente;
    l'olivicoltura è, infatti, uno dei comparti più rilevanti del sistema agricolo pugliese, che contribuisce, secondo i dati del 2013, all'11,6 per cento – pari a 522 milioni di euro – del valore complessivo della produzione agricola della regione e al 30 per cento del valore della produzione olivicola italiana;
    per quanto riguarda la superficie regionale interessata, risultano in produzione circa 375.000 ettari a olivo (pari al 32 per cento delle superfici olivicole nazionali e al 41 per cento delle superfici delle altre regioni meridionali), mentre, per quanto attiene al tessuto imprenditoriale, l'olivicoltura è realizzata in Puglia da circa 270.000 imprese agricole, pari al 22 per cento delle aziende olivicole italiane, che presentano una superficie media per azienda coltivata a olivo (1,4 ettari) significativamente superiore alla media nazionale;
    nel panorama olivicolo nazionale, la Puglia si contraddistingue anche per l'olio a denominazione di origine protetta (dop Terra di Bari), con il fatturato più elevato in Italia (28 milioni di euro), rappresentando al contempo il 35 per cento del fatturato complessivo degli oli extravergine a marchio dop e igp italiani (Ismea-Qualivita); infine, per quel che riguarda gli scambi internazionali di settore, l'olio di oliva rappresenta il terzo prodotto pugliese più esportato (dopo ortofrutta e conserve vegetali), per un valore di circa 106 milioni di euro, pari a quasi il 9 per cento dell’export di olio dall'Italia (1,2 miliardi di euro di olio d'oliva esportato nel 2012);
    come ormai noto, in molti territori delle province di Brindisi, Taranto e Lecce la diffusione del batterio Xylella fastidiosa sta causando una vera e propria emergenza fitosanitaria, con l'abbattimento di coltivazioni di olivi secolari che rappresentano un patrimonio di particolare rilevanza per la regione Puglia e per il Salento in particolare;
    la cosiddetta Xylella fastidiosa originaria del Costa Rica, verosimilmente introdotta nel nostro Paese con l'importazione dall'America centrale di piante di oleandro infette, è trasmessa da un insetto ad apparato pungente-succhiatore che, una volta assorbita la linfa delle piante, la trasporta su altri fusti e li contagia, provocandone il disseccamento rapido;
    sin dal primo mese di rilevazione della presenza di Xylella fastidiosa nelle zone del gallipolino, i vivaisti hanno riscontrato difficoltà a commercializzare le piante, sia per obblighi di divieto imposti inizialmente dalle norme regionali e nazionali e successivamente da quelle comunitarie, sia per la preoccupazione e, quindi, per la diffidenza degli acquirenti sulla possibile trasmissione e diffusione del batterio nei propri territori;
    recentemente la Francia ha adottato misure restrittive, considerate in linea con la legislazione dell'Unione europea, contro la diffusione della Xylella fastidiosa che prevedono il blocco delle importazioni delle piante dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio; il decreto, firmato dal Ministro dell'agricoltura francese, Stephane le Foll, in vigore dal 4 aprile 2015, vieta l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese e di quelle piante contaminate dal batterio e inibisce gli scambi intra-europei con la Puglia, con il conseguente rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino; di fatto, ad eccezione di alcune piante, la maggior parte dei contratti già in corso sono stati sospesi e le vendite si sono quasi azzerate;
    l'impatto che si è verificato nella sospensione delle vendite è stato particolarmente grave ed economicamente rilevante per diversi motivi: l'elevata quantità di piante giacenti nei vivai necessita di essere mantenuta in ottima vegetazione con grosse spese di mantenimento, senza però alcun ricavo per la vendita; per molte tipologie di piante la permanenza nel vivaio di 1-2 anni oltre il necessario non consente la vendita delle stesse, in quanto non più commerciabili, per cui si ha una perdita totale dei costi sostenuti. Le piante ritenute ospiti di Xylella fastidiosa non potranno più essere commercializzate, in quanto non rispettano più i requisiti previsti dalla normativa e pertanto vanno distrutte. Va rilevata, inoltre, l'esigenza di fare elevati investimenti per la realizzazione di serre conformi ai requisiti tecnici previsti dalle norme per potere ottenere le autorizzazioni del servizio fitosanitario;
    è evidente che il settore olivicolo-oleario, anche in considerazione dell'insorgere di emergenze fitosanitarie da organismi nocivi come quella in parola, vive una crisi strutturale ed è indispensabile attivare una serie di interventi di lungo periodo, quali prioritariamente i piani olivicoli e attività di ricerca mirate ad approfondire lo studio dei patogeni mediante progetti che mettano in rete tutti gli istituti di ricerca operanti a livello nazionale ed internazionale, salvaguardando l'aspetto produttivo, paesaggistico ed ambientale dei territori colpiti,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure necessarie a risolvere l'emergenza causata dal «complesso del disseccamento rapido dell'olivo», coinvolgendo attivamente le istituzioni e gli enti di ricerca, posto che la rilevanza del settore olivicolo locale si configura come interesse collettivo e non soltanto dei produttori e conduttori di oliveti;
   a rendere pubblici, su un portale dedicato, i dati fino ad oggi raccolti sulla diffusione e sulla gravità del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo», in modo da evitare clamore ingiustificato ed allarmismi, nonché a pubblicare, qualora possibile, i risultati relativi al soddisfacimento dei postulati di Koch e, pertanto, alla patogenicità del ceppo di Xylella sull'olivo, come espressamente richiesto dai protocolli europei Eppo (European and Mediterranean plant protection Organization);
   ad intraprendere specifiche iniziative volte ad ampliare il campo di indagine della malattia di «disseccamento rapido degli olivi», considerando anche la correlazione con lo stato vegeto-produttivo e colturale dell'olivicoltura salentina;
   a provvedere affinché siano urgentemente attivate e sostenute politiche di controllo alle frontiere ed interventi di profilassi, nonché azioni di monitoraggio e di rintracciabilità, volte sia ad accertare l'eventuale avvenuta introduzione dall'estero del batterio Xylella fastidiosa, sia ad impedirne, in caso di verifica positiva, il rischio di veicolazione;
   a prevedere azioni e misure preventive e di sostegno per gli agricoltori e le aziende olivicole pugliesi interessate dall'epidemia;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, per quanto di competenza, affinché siano previste, nell'ambito del programma di sviluppo rurale Puglia 2014-2020, ancora in corso di istruttoria presso l'Unione europea, per tutti gli agricoltori o comunque produttori agricoli potenzialmente a rischio, che, però, rispettino le condizionalità specifiche, misure per il finanziamento delle attività di prevenzione e di ripristino del potenziale produttivo ridottosi a causa dell'infezione causata dalla Xylella fastidiosa, nonché per la certificazione di tutte le aziende, anche vivaistiche, che oggi sono esposte a significativi rischi economici;
   a predisporre urgentemente un piano olivicolo nazionale che punti a:
    a) incrementare la produzione nazionale senza accrescere la pressione sulle risorse ambientali, in modo particolare sulla risorsa idrica, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti e lo studio di nuovi sistemi colturali in grado di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica;
    b) tutelare l'olivicoltura a valenza paesaggistica, di difesa del territorio e storica, non razionalizzabile e non rinnovabile, in particolare l'olivicoltura marginale delle aree collinari, incentivando la creazione di organizzazioni in grado di gestire gli oliveti a rischio di abbandono o già abbandonati affinché possano essere riportati in produzione;
    c) stimolare il consumo «informato», evidenziando le diverse proprietà salutistiche degli oli extravergini di oliva, anche con adeguata utilizzazione delle indicazioni salutistiche approvate dall'Unione europea, attraverso una capillare e sistematica crescita della cultura sull'olio extravergine di oliva, e valorizzare il made in Italy mediante la promozione della qualità e della biodiversità, elemento distintivo dell'olivicoltura italiana;
    d) sostenere l'iniziativa dell'alta qualità per l'olio extravergine di oliva italiano, anche attraverso l'attivazione di interventi per la promozione del prodotto sul mercato domestico e, soprattutto, su quelli internazionali;
   a sostenere con opportuni interventi finanziari le attività di ricerca anche attraverso la promozione, in accordo con le autorità regionali, di gruppi operativi di cui al regolamento (UE) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR);
   a sostenere e ad incentivare l'aggregazione e l'organizzazione economica della filiera olivicola, anche alla luce delle novità contenute nella nuova organizzazione comune di mercato unica di cui al regolamento n. 1308/2013, che introduce lo strumento della contrattualizzazione tra produttori olivicoli ed acquirenti industriali e commerciali, ponendo le basi per la rivisitazione ed il rilancio del sistema delle organizzazioni di produttori e degli organismi interprofessionali;
   ad assumere iniziative volte a disporre, per gli anni 2014, 2015 e 2016, la sospensione del versamento dell'IMU sui terreni agricoli da parte di agricoltori ed imprese agricole danneggiate dalla diffusione del batterio di cui in premessa, nonché la proroga delle scadenze delle rate di credito agrario ordinario e di quello di esercizio e di miglioramento;
   a sostenere e promuovere modelli sperimentali di agricoltura che, tenendo in dovuta considerazione l'uso dei consorzi microbici dei suoli e il rispetto della biodiversità microbica delle piante, migliorino le qualità nutraceutiche e la funzionalità fisiologica delle piante, rendendole più forti e reattive naturalmente contro gli attacchi patogeni, tutto ciò anche in considerazione del fatto che il sistema agricolo è strettamente legato all'ambiente e alla salute dei consumatori.
(1-00870)
(Nuova formulazione) «L'Abbate, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela, Busto, Tripiedi, Businarolo».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Pizzolante n. 1-00871, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 434 del 3 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ottobre del 2013 è stata riscontrata per la prima volta nel nostro Paese, e precisamente nella provincia di Lecce, in Puglia, la presenza di un batterio denominato Xylella fastidiosa su piante di olivo;
    la Xylella fastidiosa è un batterio inserito nell'allegato I della direttiva del Consiglio 2000/29/CE e fa parte della lista degli organismi nocivi predisposto dall'Unione europea. Oggi sono ufficialmente riconosciute quattro sub-specie di Xylella fastidiosa in grado di attaccare un numero elevato di specie vegetali, tra cui colture da frutto, essenze forestali e specie spontanee;
    il batterio è stato trasmesso dalla «cicala sputacchina», che è un insetto ad apparato pungente-succhiatore che, una volta assorbita la linfa dalle piante, la trasporta su altri fusti e li contagia;
    la Xylella fastidiosa viene ritenuta dagli scienziati tra i più pericolosi patogeni vegetali per la sua aggressività, per l'ampia gamma di ospiti vegetali in grado di infettare, ma soprattutto per le difficoltà che si ravvisano nel prevenire le infezioni e nel curare le piante malate;
    al fine di individuare le zone interessate da tale batterio, è stato avviato dalla regione Puglia un monitoraggio dell'intero territorio regionale, con particolare riguardo alla provincia di Lecce;
    la presenza di tale batterio sul territorio pugliese rappresenta, indubbiamente, un gravissimo rischio per le coltivazioni dell'olivo, del mandorlo, del ciliegio e del pesco; ma questa problematica costituisce un grande danno anche per i valori ambientali e paesaggistici così importanti per tutto il territorio. Tale fenomeno incide poi in termini estremamente negativi sulla coltivazione dell'olivo, che rappresenta uno dei settori trainanti dell'economia della regione Puglia, contribuendo nel 2013 all'11,6 per cento del valore complessivo della produzione agricola della stessa regione e al 30 per cento del valore della produzione olivicola italiana;
    la patologia del batterio non consente l'attivazione di azioni di controllo o l'utilizzo di sostanze chimiche in grado di debellare la malattia. Pertanto, l'unica azione valida per evitare l'ulteriore diffusione del batterio è l'abbattimento delle piante infette;
    la Francia ha adottato misure (considerate in linea con la legislazione dell'Unione europea) contro la diffusione della Xylella fastidiosa che prevedono il blocco delle importazioni delle piante dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio. Il Ministro dell'agricoltura francese ha vietato l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese e di quelle contaminate dal batterio e ha inibito gli scambi intra-europei con la Puglia, con il conseguente rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino. Di fatto, la maggior parte dei contratti già in corso sono stati sospesi e le vendite si sono quasi azzerate;
    tale situazione ha creato gravi problemi all'economia pugliese, perché, oltre alla perdita delle piante ed al mancato ricavo per l'assenza di vendite, va considerato il danno che viene perpetrato nei confronti dell'indotto, specie per quanto riguarda il settore vivaistico;
    occorre risolvere urgentemente la grave crisi economica che ha colpito gli agricoltori ed i vivaisti pugliesi a seguito dell'abbattimento delle piante di olivo e della sospensiva dell'annullamento dei contratti e delle forniture;
    è necessario, pertanto, assumere iniziative di carattere fiscale, come la sospensione del pagamento dell'IMU agricola, per i coltivatori che sono colpiti dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa al fine di indennizzare gli stessi dai danni subiti;
    risulta anche indispensabile adottare misure dirette alla prevenzione della diffusione del batterio della Xylella fastidiosa per contrastarne la trasmissione ed operare per il suo controllo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di adottare iniziative volte a sospendere l'IMU agricola per i coltivatori colpiti dalla diffusione della Xylella fastidiosa per indennizzare le imprese del comparto agricolo;
   a predisporre sistemi di controllo e di prevenzione che possano contrastare con efficacia la diffusione di infezioni nel corso di importazioni di vegetali provenienti da altre zone del mondo;
   ad adottare ogni iniziativa presso l'Unione europea diretta a valutare la possibilità di sospendere il pur legittimo decreto del Ministro francese;
   ad adottare iniziative che consentano, per quanto di competenza (nell'ambito del programma di sviluppo rurale Puglia 2014-2020, ancora in corso di istruttoria presso l'Unione europea), di finanziare le attività di prevenzione e di ripristino del potenziale produttivo che si è ridotto proprio a causa del batterio per tutti gli agricoltori colpiti dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa;
   ad adoperarsi a livello europeo per individuare le risorse necessarie per finanziare la ricerca e l'innovazione al fine di affrontare e superare l'emergenza connessa alla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa.
(1-00871)
«Pizzolante, Cera, Dorina Bianchi».

  Si pubblica il testo riformulato a risposta in Commissione Tripiedi n. 5-05432, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 414 del 23 aprile 2015.

   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI, CARINELLI, PESCO, ALBERTI, CANCELLERI, LOREFICE, MANTERO, BARONI, SILVIA GIORDANO, SARTI, NESCI, SIBILIA, CASTELLI, FERRARESI, DI BATTISTA e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Call&Call Milano srl, azienda di call center nata nel 2002, si occupa di servizi di customer care per tre importanti società finanziarie e bancarie italiane quali Ing Direct, Agos Ducato e Fiditalia. La holding ha 2.500 dipendenti distribuiti tra la sede principale di Cinisello Balsamo (Milano) e le altre società operative a La Spezia, Roma, Locri (Reggio Calabria), Casarano (Lecce), Pistoia e Cagliari;
   in data 21 aprile 2015, sul quotidiano online «repubblica.it», veniva pubblicata la notizia del licenziamento di 186 persone nella sede di Cinisello Balsamo per assumerne altre, allo stesso tempo, nelle sedi di Roma e della Calabria. Tale decisione è stata presa dal consiglio di amministrazione dell'azienda il 10 aprile 2015, data in cui lo stesso consiglio ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per la chiusura del sito di Cinisello Balsamo;
   le categorie del settore comunicazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, hanno denunciato che le manovre dei licenziamenti e riassunzioni in altri siti da parte della società, siano frutto delle nuove norme inserite nella legge conosciuta come Jobs act. Proprio in virtù di tale legge, la Call&Call starebbe approfittando nell'assumere giovani con contratti meno costosi e più flessibili, ottenendo gli annunciati sgravi fiscali che porterebbe l'azienda ad abbassare gli stipendi medi dagli attuali 1.200 euro a 1.000 euro mensili;
   a luglio 2014, il personale del sito di Cinisello ha iniziato il periodo di contratto di solidarietà di tipo difensivo, al fine di evitare il licenziamento di 41 dipendenti. Come affermano i sindacati, dopo l'entrata in vigore del Jobs act, i dirigenti la società, senza aver mai comunicato le difficoltà legate alla gestione del contratto di solidarietà, hanno dirottato parte del flusso di lavoro su altre sedi del gruppo e assumendo nuovo personale con la formula del contratto a tutele crescenti;
   sempre a detta dei sindacati, il comportamento tenuto dall'azienda riguardante la procedura per i licenziamenti collettivi e contemporanea assunzione di nuovi lavoratori in altre zone d'Italia, è stato possibile grazie al fatto che la Call&Call ha costituito più società (Call&Call Milano srl, Call&Call La Spezia srl, Call&Call Lokroi srl, ecc.), e in un gioco di «scatole cinesi» difficilmente sondabile dall'esterno, la sede di Cinisello può risultare effettivamente in crisi a differenza di quella di Roma, o di Locri, o di La Spezia;
   secondo quanto dichiarato dall'azienda, la perdita annua dell'azienda di Cinisello sarebbe di 500 mila euro a causa dei costi eccessivi del lavoro. Gli stessi dirigenti della Call&Call, più nello specifico hanno motivato i licenziamenti sul sito di Cinisello Balsamo dovuti a quanto accaduto negli ultimi anni, dove «ci sono state perdite di – esercizio significative non più sostenibili a seguito di un calo delle commesse e in presenza di costi generali incompatibili con il nuovo contesto di mercato, soprattutto per una fra le pochissime imprese del settore che ha scelto di non spostare lavoro italiano in offshoring e, dunque, non ha potuto mediare l'incidenza del costo del lavoro ricorrendo alla delocalizzazione. Da qui la necessità non più rinviabile di attivare la procedura di mobilità, trattandosi di una situazione strutturale e non congiunturale»;
   a giudizio degli interroganti, tali ultime dichiarazioni rilasciate dai proprietari della società riguardanti il periodo di crisi della stessa, stridono completamente con il fatto che il fatturato annuale dell'azienda corrisponda a 57 milioni di euro, come riportato nel sito ufficiale della Call&Call;
   in data 3 giugno 2015, sul quotidiano Il Secolo XIX, veniva pubblicata la notizia dell'illegittimità, sancita dal tribunale del lavoro di Genova, riguardo il licenziamento avvenuto nel 2013 di un lavoratore della Call&Call. Quest'ultima, dopo aver dichiarato di essere in difficoltà economiche nel 2010, annunciò l'avvio di una procedura di licenziamento collettivo. Dopo circa un mese da quella decisione, grazie ad un accordo sindacale, la stessa Call&Call interruppe i licenziamenti per iniziare la procedura di cassa integrazione in deroga, finanziata con soldi pubblici. Nonostante in questo periodo usufruisse degli ammortizzatore sociali, nel luglio 2013, l'azienda decise di licenziare un gruppo di lavoratori tra i quali lo stesso che ha fatto causa, vincendola, alla Call&Call. L'illegittimità riconosciuta dal giudice del lavoro che ha emesso la sentenza che sancisce che il lavoratore sia reintegrato e ripagato dei contributi e delle retribuzioni perse, sta nel fatto che l'impresa non poteva procedere con licenziamenti collettivi e accedere alla cassa integrazione in deroga, e dunque a fondi pubblici, ancor meno nel momento in cui l'azienda in questione, anche alla data del licenziamento in questione, continuava a dichiarare utili positivi e ad assumere in altre sedi di sua proprietà –:
   se il Governo non intenda promuovere un tavolo nazionale di confronto con la società Call&Call Milano srl e le rappresentanze sindacali, al fine di poter evitare i licenziamenti dei lavoratori della sede di Cinisello Balsamo;
   se il Governo e, in particolare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per quanto sopra riportato, non ritengano più che lacunosa la legge 183 del 2014 cosiddetta, Jobs act da loro promossa, e quali iniziative intendano assumere, a livello normativo, per porre rimedio a questa problematica che, come facilmente intuibile, troverà potenziale applicazione da parte di altri datori di lavoro. (5-05432)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Burtone n. 2-00401 del 4 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-04617 del 5 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Prataviera n. 4-08729 del 9 aprile 2015;
   interrogazione a risposta scritta Amoddio n. 4-08901 del 22 aprile 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Segoni n. 5-05413 del 22 aprile 2015;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-08988 del 29 aprile 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Bergamini n. 5-05517 del 5 maggio 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Gagnarli e altri n. 4-05360 del 3 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05680.