Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 21 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il legislatore è intervenuto di frequente con provvedimenti restrittivi sulla disciplina della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato, l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita; dall'altro, l'obiettivo dell'amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti, che ovviamente ben si prestano a «coprire» operazioni effettuate «in nero»;
    in particolare, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto decreto «Salva Italia», (convertito con modificazioni con la legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha – da ultimo – ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore. Il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, quale che sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti;
    pertanto, allo stato attuale, è possibile effettuare pagamenti in contanti sino alla soglia massima di euro 999,99 ed è vietato il trasferimento, tra soggetti diversi, di denaro contante (nonché di libretti di deposito bancari e postali al portatore o di titoli al portatore) per importi pari o superiori ai 1.000,00 euro: per l'effettuazione di tali operazioni di trasferimento da un soggetto ad un altro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica od a Poste Italiane spa;
    successivamente al citato intervento restrittivo del 2011, il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, cosiddetto decreto «Semplificazioni», ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante, per acquisti effettuati da cittadini extra-Ue presso commercianti al minuto, nonché le agenzie di viaggio e turismo;
    in tema di circolazione del denaro contante, sono inoltre state introdotte alcune recentissime novità: con riferimento alle corresponsioni di canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità 2014, (legge n. 147 del 2013) al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti. La norma prevede che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
    in termini di obbligo di adozione di strumenti POS per imprese e professionisti, il decreto ministeriale 24 gennaio 2014 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, saranno obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti saranno obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore ad euro 3000 effettuati con carte di debito;
    secondo uno studio della CGIA di Mestre del febbraio 2015, cresce l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi 7 anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul Pil del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
    l'enorme uso del contante deriva dal fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente presso una banca e che di conseguenza non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o il libretto degli assegni, l'ISTAT, nella pubblicazione: «I consumi degli italiani, segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito. Molti preferiscono ancora adesso tenere i propri risparmi in casa, anziché affidarli ad una banca, considerati soprattutto i costi per la tenuta di un conto corrente tra i più elevati d'Europa;
    sempre secondo i dati della CGIA di Mestre, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Anzi, dagli studi emerge un dato sorprendente: c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, vale a dire l'evasione fiscale;
    tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo l’«asticella» del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
    alla luce di questa comparazione, possiamo affermare che non c’è una stretta correlazione tra l'uso della carta moneta e l'evasione fiscale. Anzi, il minor utilizzo del contante può diminuire le possibilità di riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali che, come sappiamo, non venivano però incluse nelle statistiche ufficiali riferiti all'evasione fiscale;
    rispetto agli altri Paesi europei in Italia i costi per le transazioni tramite POS (Point of sale) sono più elevati in media del 50 per cento; elevati anche i costi per l'installazione e la gestione dei POS che hanno una componente fissa e una variabile: i costi fissi comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura POS e il mantenimento di una linea telefonica dedicata, più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei POS non è costituito dalla sua obbligatorietà ma dalla riduzione dei costi di gestione. I pagamenti tramite POS in Francia sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi) eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti internazionali, dicembre 2012) in quel Paese ci sono infatti meno POS che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
    quanto affermato ha maggior rilievo, ove si consideri che il comma 9 dell'articolo 12 del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese definissero, entro nove mesi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento; il comma 10, del medesimo articolo 12 ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Analogamente il comma 5 dell'articolo 15, del decreto-legge n. 179 del 2012, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplinassero le modalità di attuazione della disposizione anche con riferimento agli oneri a carico delle imprese ed al costo unitario del pagamento elettronico;
    in attuazione di quanto previsto da tali disposizioni si sono tenute riunioni tra l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, Poste italiane SpA, il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale, senza tuttavia giungere all'elaborazione di un testo condiviso secondo le modalità e nei termini previsti; si registrano peraltro positive esperienze tra alcuni istituti di credito ed associazioni imprenditoriali e di imprese, che hanno ridotto, fino ad azzerarli, i costi di transazione;
    tra i principali membri dell'Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima oltre il quale non si può più usare il contante è pari a 1.000 euro;
    lo scorso febbraio il presidente del Consiglio ha annunciato l'intenzione del Governo di elevare il limite all'utilizzo del contante dagli attuali 999,99 euro a 3 mila euro, condizionando il varo della misura all'adozione del decreto delegato sulla fattura elettronica. Infatti, con una transazione «tracciata» con una fattura elettronica o uno scontrino immediatamente visibile al fisco, l'eventuale incasso in contanti non dovrebbe creare problemi;
    il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica che introduce misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    il varo del decreto crea oggi le condizioni per la definitiva rimozione del limite all'uso del contante previsto dalla normativa vigente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per una revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite dai 1000 euro attuali ai 3000 euro, ponendo così la legislazione italiana in linea con quella dei principali Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della carta moneta;
   a dare attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in merito alla definizione delle regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento.
(1-00869) «Lupi, Buttiglione, Dorina Bianchi, Pizzolante, Vignali, Tancredi, Bernardo, Pagano, Alfreider, De Girolamo».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e XIII,
   premesso che:
    i microbirrifici artigianali rappresentano oggi una realtà produttiva molto dinamica, ad alto livello qualitativo, che negli ultimi anni sta conseguendo una forte crescita economica (più del 20 per cento annuo). Il settore è attualmente rappresentato da oltre 800 microbirrifici, con un'età media dei titolari d'impresa tra i 30 e i 35 anni, una media di circa 3 dipendenti, un fatturato complessivo di 120 milioni di euro, con un volume di export superiore al 10 per cento (dati Confederazione Nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa), tanto che oggi il «made in Italy» brassicolo non è più un'esclusiva dei gruppi industriali; nei primi 100 birrifici al mondo per qualità è innovazione, infatti, se ne contano parecchi anche tra i micro birrifici artigianali italiani;
    negli ultimi anni questo settore sta anche sollecitando positivamente l'indotto e l'agricoltura in particolare: stanno aumentando esponenzialmente le semine di orzo per birra, alcune aziende agricole hanno investito acquistando micromaltifici per trasformare il proprio orzo, stanno nascendo i primi produttori di luppolo italiano, supportati da studi e ricerche per migliorarne la qualità e la resa;
    per quanto riguarda la coltivazione di orzo non ci sono particolari problemi legislativi, né tanto meno di produzione agricola; si tratta di una coltura ampiamente diffusa nel nostro Paese con circa 90 milioni di quintali di produzione distribuita per lo più uniformemente sul territorio nazionale (dati censimento agricoltura Istat 2010). Il fattore limitante, piuttosto, sta nella quasi totale mancanza di maltifici che possano lavorare questo, o altri cereali, per utilizzare nel processo produttivo della birra, fatti salvi i due grandi maltifici industriali, Saplo e AgroalimentareSud, che comunque non possono garantire il «conto lavorazione» a causa del loro grande dimensionamento;
    ad Ancona esiste anche un piccolo maltificio consortile sotto forma cooperativa, COBI (consorzio italiano di produttori di orzo e birra) che riunisce produttori di orzo contemporaneamente produttori di birra artigianale, ma proprio per le sue ridotte dimensioni ha dei costi doppi rispetto al prezzo di mercato del malto acquistabile all'estero o triplicati rispetto alle due malterie industriali italiane, anche se è in previsione un suo ingrandimento che porterebbe a 550/600 quintali a settimana la propria capacità produttiva;
    l'altro ingrediente determinante per la produzione di birra artigianale, nonostante sia quantitativamente inferiore, è il luppolo, appartenente alla famiglia delle cannabaceae, le cui infiorescenze hanno un impatto determinante sul profilo organolettico della birra. Questa pianta officinale, tuttavia, secondo dati dell'osservatorio economico Ismea del settore delle piante officinali del giugno 2013, viene totalmente importata dall'estero, principalmente dalla Germania (con 34.249 tonnellate detiene il 26,5 per cento della produzione mondiale) seguita dall'Etiopia 30.938 tonnellate detiene il 23,9 per cento della produzione mondiale) e dagli Stati Uniti (con 29.707 tonnellate detiene il 23,0 per cento della produzione mondiale). L'industria birraria italiana, quindi, importa completamente il proprio fabbisogno di luppolo, valutabile ad oltre 15 mila quintali l'anno (www.rivistediagraria.org);
    il mercato del luppolo, come quello della birra artigianale, tuttavia, da anni è in continua ascesa in Italia, come nel resto del mondo. Nonostante i 3 Paesi sopra menzionati ne detengano gran parte delle quote, oggi la coltivazione è sviluppata in tutto il mondo, compresi i Paesi del Mediterraneo a noi affini, come Francia, Spagna e Portogallo;
    in Italia, purtroppo, la filiera del luppolo è completamente assente: dai fornitori di materiali per la costruzione degli impianti di coltivazione, ai macchinari, ai consorzi per il conferimento della produzione. Peraltro, nel territorio italiano esistono innumerevoli ecotipi di luppolo che crescono spontaneamente e presentano un'ampia variabilità genetica, mai identificata, che potrebbe presentare caratteristiche uniche di pregio;
    nel 2011 è stato avviato un programma di ricerca sul luppolo autoctono italiano, in cui collaborano il comune di Marano sul Panaro, l'università di Parma e la neonata start up Italian hops company srl. L'obiettivo del programma è quello di realizzare un tipo di coltivazione di alta qualità, raccogliendo luppoli autoctoni nelle aree vocate, come Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, e altre. Al terzo anno di sperimentazione, i soggetti attuatori parlano di risultati promettenti e buone chance di successo;
    la coltivazione del luppolo, tuttavia, presenta diverse criticità, delle quali la più rilevante sembra essere indisponibilità di prodotti fitosanitari. Per l'appunto, ad oggi non esistono formulati commerciali per la difesa fitosanitaria che siano registrati per l'utilizzo sul luppolo, presumibilmente a causa del fatto che le ditte produttrici non trovano interesse ad investire denaro per ottenere l'estensione della registrazione di formulati già utilizzati su colture simili, come la vite;
    il regolamento dell'Unione europea, n. 1850/2006, stabilisce le modalità di certificazione del luppolo e dei prodotti derivati dal luppolo, ai fini della commercializzazione. Ai sensi dell'articolo 21 del citato regolamento europeo, gli Stati membri designano l'autorità di certificazione competente e garantiscono l'esistenza e l'operatività dei controlli e dei manuali delle procedure, necessari a garantire una qualità minima e la tracciabilità del luppolo e dei prodotti derivati. Ad oggi, nessun laboratorio italiano risulta abilitato per rilasciare la novellata certificazione;
    a complicare il quadro per i potenziali imprenditori agricoli che volessero cimentarsi con la coltivazione del luppolo, si aggiunge la questione delle cosiddette «quote di produzione», per le quali i produttori chiedono chiarezza in merito alla loro applicazione;
    dal punto di vista fiscale, il settore brassicolo artigianale accusa maggiormente il peso dell'accisa, tra le più alte d'Europa, rispetto al brassicolo industriale, a causa della specificità del ciclo di produzione che comporta inevitabilmente costi più elevati. In questo senso, la stessa Unione europea, con le Direttive UE 93/83 e 93/84, aveva individuato i parametri sulla base dei quali calcolare l'accisa, l'aliquota minima applicabile e la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria in funzione della dimensione d'impresa. Le direttive sono state recepite da 20 Paesi su 28, che hanno stabilito aliquote ridotte da applicare ai piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno, mentre in Italia, non sono state previste riduzioni, anzi, da gennaio 2015 si applica l'ennesimo aumento che attualmente grava sulla birra per un ammontare pari a 3,04 euro/ettolitro;
    in data 30 novembre 2015 il Governo aveva anche accolto un ordine del giorno alla legge di stabilità 2015, a firma Chiara Gagnarli, in cui si impegnava ad evitare questo ultimo aumento dell'accisa, che tuttavia è scattato dal primo gennaio 2015;
    il sistema di accertamento dell'accisa per i microbirrifici, previsto dall'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, è basato su apparecchiature elettroniche inserite nel ciclo di produzione della birra. Tale sistema, è stato concepito per rispondere all'esigenza di riconoscere la specificità e semplificare il processo di accertamento delle accise dovute sulla produzione per i micro birrifici;
    in base all'interpretazione data dall'Agenzia delle dogane nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, i misuratori elettronici vengono collocati nella fase di produzione del mosto, che è addirittura precedente alla fermentazione dalla quale origina la birra, e non «a monte del condizionamento» (ossia del confezionamento della birra) come prevede il TU. Questa interpretazione determina una tassazione più alta rispetto al sistema di accertamento previsto per i grandi birrifici, perché non prende in considerazione gli inevitabili cali di produzione ed, inoltre, obbliga le imprese ad anticipare la tassazione di molti giorni rispetto al momento del condizionamento nel quale, secondo le disposizioni originarie, sorge l'esigibilità del tributo sulla produzione;
    altro fattore di confusione fiscale è legato all'aliquota Iva. La tabella A, parte III allegata al decreto del Presidente della Repubblica 633/1972, al n. 82) inserisce la birra tra i beni con aliquota al 10 per cento. Tuttavia, al riguardo trova applicazione quanto disposto dall'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 261/1990 che prevede testualmente: 3. Per le cessioni e le importazioni di acque minerali e di birra l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto è stabilita nella misura del 19 per cento. L'aliquota prevista dalla citata disposizione è quella ordinaria vigente alla data di entrata in vigore del decreto (ora al 22 per cento). In pratica, il decreto ha sancito l'applicazione dell'aliquota ordinaria alle cessioni di birra, in deroga a quanto stabilito dalla tabella A, parte III n. 82. Tale disposizione, tuttora vigente, non è però riportata nelle note di tutte le banche dati giuridiche, ma solo in alcune, ingenerando dubbi di interpretazione. Diversa è la situazione per le somministrazioni di bevande e alimenti (decreto del Presidente della Repubblica 633/1972 tabella A parte III n. 121). In tal caso, infatti, prevale la prestazione del servizio, non la cessione del bene, che prevede l'aliquota al 10 per cento;
    tale situazione fa sì che molte aziende, soprattutto agricole, continuino ad applicare l'aliquota al 10 per cento, senza considerare le modifiche legislative successive;
    con l'attuale quadro normativo, infine, un'azienda agricola può produrre birra agricola, usufruendo del regime di tassazione agevolato, esternalizzando tutti i processi di trasformazione. Si può verificare, infatti, che un imprenditore prenda in affitto un terreno, lo faccia coltivare ad orzo, faccia maltare l'orzo in conto terzi e produca birra sempre in conto terzi, immettendo in commercio una «birra agricola» che tuttavia non ha sviluppato alcuna attività agricola in proprio, usufruendo anche dell'agevolazione di tassazione sul reddito dominicale,

impegnano il Governo:

   a prevedere l'opportunità di introdurre agevolazioni finanziarie o fiscali per favorire la nascita di maltifici artigianali, sull'esempio del maltificio COBI (Consorzio italiano di produttori di orzo e birra), in modo da supportare il made in Italy brassicolo artigianale slegandolo gradualmente dalla dipendenza dall'estero e contribuendo a strutturare la filiera artigianale e a renderla più concorrenziale;
   a sostenere i programmi sperimentali intrapresi dalle università o dagli enti di ricerca indirizzati allo sviluppo e alla reintroduzione della coltivazione del luppolo in Italia, per il quale, a oggi, non risulta siano mai stati individuati e classificati gli innumerevoli ecotipi spontanei che potrebbero avere interessanti caratteristiche di pregio;
   a istituire un tavolo di concertazione, per tutelare i produttori delle colture minori di cui all'articolo 51 del Reg. UE 1107/2009, tra cui anche il luppolo, innanzi tutto al fine di classificarle, per poi proporre soluzioni che permettano agli stessi produttori di usufruire di una difesa fitosanitaria adeguata;
   ad avviare, o qualora già avviato ad accelerare, l’iter per l'abilitazione al rilascio del certificato per la commercializzazione del luppolo di almeno un laboratorio situato entro i confini nazionali, come previsto dal regolamento dell'Unione europea n. 1850/2006;
   a rendere nota, anche per il tramite delle associazioni di categoria, la situazione delle eventuali quote di produzione del luppolo da rispettare e degli eventuali aiuti comunitari alla produzione, alla luce della vigente OCM luppolo e delle disposizione dell'attuale PAC;
   a recepire le direttive 92/83/EEC e 93/84/EEC, introducendo la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria per i piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno, come già fatto da 20 Paesi membri dell'Unione europea su 28;
   ad assicurare, in riferimento all'accertamento dell'accisa di cui in premessa, le opportune forme di coordinamento con l'Agenzia delle dogane al fine di modificare l'interpretazione assunta, nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, perché non aderente al dettato normativo e conseguentemente accertarsi della corretta applicazione su tutto il territorio nazionale, in alternativa, a valutare l'opportunità di operare, attraverso appositi provvedimenti, una diversa interpretazione dell'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, nel senso di effettuare l'accertamento dell'accisa al momento del condizionamento;
   ad aggiornare la tabella delle aliquote Iva di cui alla tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972, introducendo l'aliquota Iva ordinaria, ora al 22 per cento per il prodotto birra, salvo si tratti di somministrazione diretta al pubblico, posto che tale disposizione, tuttora vigente, non è però riportata nelle note di tutte le banche dati giuridiche, ma solo in alcune, ingenerando dubbi di interpretazione;
   a valutare l'opportunità, ai fini di godere della fiscalità agricola, di inserire l'obbligo per un'azienda di poter esternalizzare solamente una trasformazione: orzo in malto oppure malto in birra, quindi obbligare l'azienda ad avere un maltificio e produrre birra conto terzi, oppure a maltare conto terzi ma produrre la birra in azienda con un birrificio di proprietà, al fine di evitare di elargire agevolazioni fiscali agricole anche a chi non svolge alcun processo agricolo.
(7-00691) «Gagnarli, Pesco, Massimiliano Bernini, Parentela, Gallinella, L'Abbate, Villarosa».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    le conseguenze del cambiamento climatico sono sempre più evidenti. Tangibili sono infatti gli effetti dell'aumento della temperatura atmosferica e del mare sugli ecosistemi e sulla nostra società, la modificazione del regime di precipitazioni, spesso copiosissime e in brevissimo tempo, l'innalzamento del livello medio marino assieme ad una spesso non corretta gestione del territorio;
    per l'Italia, lo testimoniano anche le recenti gravi calamità occorse in varie regioni, i rischi minacciati dal cambiamento climatico sono altissimi e contemplano frane, flussi di fango e detriti, crolli di roccia e alluvioni lampo a causa di alterazioni del regime idrogeologico; riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, siccità; erosione e desertificazione del terreno, perdita di biodiversità e aumento di incendi boschivi, inondazione ed erosione delle zone costiere, riduzione della produttività agricola. Tutto ciò con ripercussioni sulla salute, specialmente per i gruppi più vulnerabili della popolazione e con gravi danni per l'economia, come ad esempio, a discapito dell'agroalimentare, del turismo, della manifattura;
    nel corso del 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare coinvolgendo la comunità scientifica nazionale, numerose istituzioni locali e nazionali, enti di ricerca, fondazioni, università, con il coordinamento del «Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici», ha concluso il lavoro di redazione della strategia per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Tale documento è stato adottato dal Governo italiano il 24 dicembre 2014 e si allinea alla strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici, fornendo una visione d'insieme su come aumentare la capacità di adattamento e di resilienza dei sistemi naturali, sociali ed economici del nostro Paese agli impatti dei cambiamenti climatici nei prossimi anni;
    attualmente azioni di adattamento al cambiamento climatico sono state implementate in maniera disomogenea nel Paese: una regione, la Lombardia, e alcuni centri urbani, come Bologna, Ancona, Padova, hanno intrapreso un percorso autonomo adottando però strategie locali ed in assenza di coordinamento;
    la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici si pone quindi come il punto di partenza e il quadro di riferimento per una uniforme pianificazione climatica nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   in relazione a quanto suggerito in ambito comunitario ai Paesi membri dalla strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici e all'importanza che il tema dei cambiamenti climatici riveste oggi sullo scenario politico internazionale, anche in vista della COP21 di Parigi a dicembre, a dare piena attuazione, con i previsti strumenti normativi ed entro il 30 giugno 2015, alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici valutando anche l'opportunità di istituire una cabina di regia che coordini i dicasteri competenti affinché a partire dal 2016 siano messe in campo tutte le misure previste dal redigendo Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici, che dovrà:
    a) implementare un quadro di azione comune all'interno del quale possano armonizzarsi le singole strategie regionali e locali;
    b) individuare alcuni settori d'azione prioritari tra i 18 microsettori della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici;
    c) definire un percorso per l'attuazione di interventi a breve (entro il 2020) e a lungo termine mediante l'utilizzo di «adaptation pathway» (già usati con successo in altri Paesi europei) per i settori di azione prioritari, privilegiando gli interventi di tipo ecosistemico o «verde» e di governance o «soft» (come suggerito nella strategia europea di adattamento) sulla pianificazione e programmazione multisettoriale in Italia;
    d) finanziare le azioni previste dal piano attraverso un'allocazione mirata dei Fondi strutturali europei del 2016 con lo scopo anche di sostenere il rilancio dell'economia e il rafforzamento strutturale della competitività delle imprese e dei territori nel nostro Paese;
    e) monitorare e valutare l'efficacia delle azioni intraprese anche mediante l'uso di indicatori al fine di evitare sprechi di risorse umane e finanziarie e coordinare una futura revisione tecnica della strategia nazionale di adattamento.
(7-00690) «Braga, Stella Bianchi, Borghi, Bratti, Carrescia, Dallai, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Mazzoli, Realacci, Zardini».


   La XII commissione,
   premesso che:
    è stato concluso l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante «Linee guida nazionali per gli interventi con gli animali (IAA)»;
    la pet therapy in Italia è stata riconosciuta come cura ufficiale dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003, che ha sancito per la prima volta nella storia del nostro Paese il ruolo che un animale può avere nella vita affettiva di una persona, nonché la valenza terapeutica degli animali da compagnia;
    il termine «interventi assistiti con gli animali» è un termine generale che include in sé sia le terapie assistite dagli animali (TAA), che le attività assistite dagli animali (AAA);
    le attività assistite dagli animali sono degli interventi di tipo ricreativo che hanno l'obiettivo di migliorare la qualità della vita di coloro che ne usufruiscono senza perseguire un obbiettivo terapeutico;
    le terapie assistite dagli animali sono interventi che hanno degli obiettivi terapeutici specifici ed in cui un animale, che risponde a determinati requisiti, è parte integrante del setting la cui relazione viene «somministrata» al fine di coadiuvare il raggiungimento dell'obbiettivo terapeutico. Le terapie assistite, inoltre, rispetto alle attività, presentano una maggiore complessità se non altro procedurale e come tutti i trattamenti terapeutici, si basano su una diagnosi e su di un obbiettivo prescritto da un terapeuta;
    per le terapie assistite dagli animali si rende necessario che, nell'ambito delle terapie assistite dagli animali (taa) ed in particolare nelle terapie ad alta complessità così come definite dalle linee guida sulle attività riabilitative della regione Campania DGRC 482 del 23 marzo 2001 ed in corso di psicoterapie, che la conduzione dell'animale sia effettuata esclusivamente dal medico veterinario, considerando che: come citano le linee guida: «Le Terapie Assistite dagli Animali sono tutte quegli Interventi finalizzati alla cura dei disturbi della sfera fisica, neuro e psicomotoria, cognitiva, emotiva e relazionale, rivolto a soggetti affetti da patologie fisiche, psichiche, sensoriali o plurime, di qualunque origine. L'intervento è personalizzato sul paziente e richiede apposita prescrizione medica». La presenza dell'animale ne definisce la sua specificità;
    le terapie assistite dagli animali per la complessità delle patologie verso le quali comunemente è orientata la pet therapy e per la complessità stessa del setting, richiedono professionisti che siano abilitati alla funzione sanitaria e terapeutica;
    nella «Linee guida nazionali per gli interventi con gli animali (IAA)» non c’è una reale differenza sul metodo di lavoro, o sulla scelta dei componenti dell’équipe, così come sulla formazione che è necessaria per gli operatori coinvolti nelle terapie. Gli unici parametri necessari che vengono presi in considerazione sono la non aggressività ed i segnali di stress da infezione. A questo proposito va sottolineata l'assenza di protocolli sanitari standardizzati e differenziati in base alle specie e soprattutto alla pericolosità del setting pensando che la pet therapy spesso è rivolta a persone ammalate come tossicodipendenti o bambini, i primi immunodepressi e i secondi con un sistema immunitario non ancora completo. Con linee guida nazionali per gli interventi con gli animali (IAA) rischia di passare un modello tecnico, per il quale fare la terapia con l'animale sarà lavorare in maniera superficiale e riduttiva a cui siamo oramai abituati sia nei modelli formativi che sanitari;
    recentemente, secondo quanto formulato dall'Organizzazione mondiale della sanità, si è passati da un concetto di salute basato solo sull'assenza di malattia a un'idea più completa di salute quale stato di benessere fisico, psichico e sociale e quindi non solo assenza di malattia. Il nuovo concetto di salute, quindi, favorisce lo sviluppo di una medicina diretta a promuovere lo stato di salute indipendentemente dalla malattia ed è qui che si inseriscono le Terapie assistite dagli animali (TAA);
    il modello riabilitativo del Sistema sanitario (OMS) viene definito bio-psico-sociale inquadrando la malattia dell'individuo in una dimensione più complessa, all'interno di questo modello, nel settore che corrisponde agli interventi riabilitativi la pet therapy (zooterapia per il modello da noi proposto) troverebbe il suo inserimento avendo tutti i requisiti di un intervento riabilitativo organico, psichico e sociale (ICF International classification of functioning, disability and health 2001 – linee guida attività di riabilitazione 2008);
    la formazione universitaria del medico veterinario è tale da formare un professionista in grado di operare del settore della salute. Inoltre, il medico veterinario ha chiari i concetti di salute e malattia, la sua formazione gli conferisce quella «forma maentis» che gli consente di procedere allo screening e alla diagnosi differenziale, capacità che appartiene alle sole categorie che si sono formate in tale senso. Il veterinario è un professionista in possesso di laurea sanitaria professionalizzante in grado di effettuare monitoraggi sanitari e diagnosi differenziali sullo stato di salute dell'animale in corso di terapia. È l'unica figura professionale in grado di tutelare la salute e il benessere animale (legge 20 luglio 2004, n. 189, che modifica il codice penale) e l'unica figura professionale abilitata a tutelare la salute dell'uomo dai rischi di qualsiasi attività dell'animale (articolo 1 del codice deontologico del medico veterinario), nonché un professionista che risponde ad un ordine professionale. Le terapie assistite dagli animali rientrano nelle competenze della sanità pubblica veterinaria («OMS Ginevra 1974 La SPV) e quella parte dell'attività di sanità pubblica che ha come scopo l'applicazione delle capacità, conoscenze e risorse professionali della veterinaria ai fini della protezione e del miglioramento della salute umana». Il Comitato nazionale di bioetica definisce il veterinario l'unico garante della relazione uomo/animale;
    le terapie con animali devono essere considerate alla stregua delle altre terapie per cui devono essere eseguite esclusivamente da figure professionali sanitarie (come citano le linee guida sulla disabilità) e opportunamente formate, che possono cioè eseguire una terapia. Le terapie con animali sono, inoltre, terapie di relazione e quindi sono processi che prevedono la partecipazione dell'animale che è un essere vivente complesso, diverso, altro dall'uomo, per cui deve necessariamente essere guidato nella relazione terapeutica solo da un veterinario opportunamente formato e non dal coadiutore, come invece citano le linee guida;
    la formazione dell’équipe che dovrà servire a formare le figure professionali destinate a lavorare nelle terapie assistite dagli animali, deve essere di tipo interdisciplinare, orientata, quindi, alla formazione delle rispettive figure professionali operanti all'interno di un setting terapeutico zoo antropologico: per il medico veterinario, sarà tesa alla formazione della coppia uomo/animale per consentirgli l'interpretazione delle finalità coterapeutiche indicate dagli esperti della relazione umana, che avere la capacità di condurre un setting zooterapeutico operando in sinergia. Poiché il setting zooterapeutico e interspecifico, tutti gli operatori devono essere in grado di lavorare in équipe, di interagire e di integrare le loro competenze al fine di costruire la terapia con uno sguardo sistemico. Il lavoro con un animale se eseguito da personale qualificato esprime tutte le sue potenzialità che sono enormi non essendo solo un'attività che ha una valenza facilitativa nei confronti di altre terapie. Questa terapia, infatti, è in grado di attivare l'affettività ed altre dimensioni della capacità di relazione dell'individuo per cui il suo svolgimento e la modalità con cui si compie è estremamente complesso e richiede competenza e formazione. Lo zooterapeuta veterinario oltre ad interfacciarsi direttamente anche con il paziente dovrà sapersi relazionare anche con le persone a lui vicine (madre-familiari-insegnanti e altri soggetti coinvolti), oltre che con il clinico umano, del quale deve comprenderne e condividerne il linguaggio sanitario. Dovrà cogliere, in ogni singola seduta, gli elementi su cui poter lavorare ed i giusti canali che, in quel momento, possono enfatizzare la relazione con l'animale. Inoltre qualora nascessero spunti di dialogo deve saperli cogliere cercando di coinvolgere il paziente o il resto del gruppo;
    le terapie assistite dagli animali, rappresentano l'espressione di quel mutamento epistemologico del quale si sente da più parti l'esigenza e che viene rappresentato dall'affacciarsi di figure professionali con competenze multidisciplinari che approccino al lavoro e alla conoscenza con una visione sistemica. Le terapie assistite dagli animali, infatti, vedono l'obbligatorietà della presenza dell’équipe multidisciplinare, poiché l'obbiettivo terapeutico è fornito dal clinico umano che sia il geriatra, il neuropsichiatra infantile o lo psicoterapeuta eccetera, che viene interpretato dal veterinario zooterapeuta con l'animale. Il processo terapeutico inoltre deve essere documentato, valutato e modificato in base alle risposte che si ricevono. Le linee guida, nel paragrafo dedicato all’équipe multidisciplinare, individuano le figure professionali e gli operatori coinvolti per le terapie assistite dagli animali nel responsabile di progetto, che coordina l’équipe, e nel referente d'intervento, che prende in carico la persona durante la seduta, individuata fra le figure professionali dell'area sanitaria di cui al D.I. 19 febbraio 2009 o appartenente alle professioni sanitarie (ex legge n. 43 del 2006 e decreto ministeriale 29 marzo 2001) e di «documentata esperienza e competenza». L'espressione, quest'ultima, quanto mai generica e superficiale. Chiunque operi nell'ambito della formazione sa che l'intuizione, la creatività, la capacità d'intervento, come l'interpretazione di una situazione sono abilità professionali che maturano con il metodo e la formazione adeguata e non sono solo espressione del talento individuale;
    ci sono però altre figure professionali strettamente correlate al lavoro di pet therapy anche se non presenti nel setting terapeutico quelle dell'istruttore cinofilo e degli equidi ed il veterinario comportamentalista. La scelta dell'animale che va coinvolto nelle attività di cura, infatti, è un momento importantissimo, richiede la collaborazione di queste due figure professionali basilari che dovrebbero lavorare in tandem. L'istruttore, a nostro avviso, è la figura professionale che meglio può valutare l'idoneità degli animali in base all'osservazione delle loro dinamiche relazionali, che forma gli allevatori circa le modalità di approccio e di allevamento e forma l'animale per ottenere una relazione equilibrate e soddisfacente per egli stesso, mentre il veterinario comportamentalista è il professionista che si affianca all'educatore nella scelta del singolo animale per verificarne l'assenza di patologie comportamentali, se queste fossero eventualmente presenti ne diagnostica la gravità, decide se accettare o meno il suo coinvolgimento nelle relazioni di cura e dovrebbe essere colui che, a cadenza mensile, sovraintende ad una seduta di pet therapy per verificare durante il suo svolgimento l'assenza di atteggiamenti che indicano problematiche comportamentali o di sofferenza dell'animale;
    la definizione di sanità pubblica veterinaria secondo OMS (Ginevra 1974) e la seguente «La SPV è quella parte dell'attività di sanità pubblica che ha come scopo l'applicazione delle capacità, conoscenze e risorse professionali della veterinaria ai fini della protezione e del miglioramento della salute umana»,

impegna il Governo:

  nell'ambito delle terapie assistite dagli animali (TAA) ed in particolare nelle terapie ad alta complessità:
   a distinguere rigorosamente dagli altri interventi con gli animali le terapie assistite dagli animali, in quanto essendo processi terapeutici di relazione, sono attività complesse che innescano dinamiche articolate che devono pertanto essere riconosciute e opportunamente guidate;
   a riconoscere che le terapie con gli animali sono vere e proprie prestazioni sanitarie, all'interno del settore che corrisponde ad interventi riabilitativi, perché finalizzate alla salute, utilizzate per integrare obiettivi terapeutici e riconosciute come facenti parte delle prestazioni della sanità pubblica veterinaria (definizione OMS-Ginevra 1974);
   a definire, anche tenuto conto delle linee guida tracciate dalle regioni, la necessità che la conduzione dell'animale sia effettuata esclusivamente dalla figura del medico veterinario;
   ad assumere iniziative affinché la formazione delle figure professionali coinvolte in un setting terapeutico sia di tipo universitario ed interdisciplinare tale da consentire di interagire in un setting interspecifico come quello delle terapie con animali;
   rispetto ai parametri considerati oggi per valutare l'infettività dell'animale, a stabilire nell'immediato dei protocolli sanitari standardizzati e differenziati in base alle specie e soprattutto alla pericolosità del setting;
   ad assumere iniziative affinché figure professionali strettamente correlate al lavoro di pet therapy, non presenti nel setting terapeutico, cioè quelle dell'istruttore cinofilo e degli equidi esperto in pet therapy ed il veterinario comportamentalista, abbiano il primo una competenza riconosciuta da enti accreditati alla formazione, e il secondo una formazione di tipo universitario ed interdisciplinare.
(7-00689) «Lorefice, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Fico».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   CAMPANA, BARUFFI, IACONO, LODOLINI, ZAMPA, GIUSEPPE GUERINI, MURER, MAGORNO, GARAVINI, VERINI, CAPONE, GIULIETTI, CIMBRO, MANFREDI, GANDOLFI, MARZANO, DE MARIA, MARCHI, ALBANELLA, BORGHI, ZAN, MORANI, BENI, FABBRI, CENNI, SGAMBATO, ARGENTIN, TULLO, GASPARINI, ZARDINI, MALISANI, GIUDITTA PINI, CAROCCI, TARTAGLIONE, VENITTELLI, DI SALVO, CARLONI, MOGNATO, MAESTRI, RUBINATO e LACQUANITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 17 maggio 1990 l'Organizzazione mondiale della sanità rimuoveva l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali inserite nella sua Classificazione internazionale delle malattie; da allora quel giorno ricopre una particolare importanza per chi ha a cuore l'abolizione delle discriminazioni e dei pregiudizi nei confronti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali);
   il 17 maggio 2005 ha avuto luogo in tutta Europa, ad opera delle organizzazioni impegnate nella lotta contro l'omofobia e la transfobia, la prima Giornata internazionale contro l'omofobia;
   la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 18 gennaio 2006 con un'ampia maggioranza formata da sinistre, liberali e popolari ha definito l'omofobia, come «una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (LGBT)», e l'ha dichiarata «assimilabile a razzismo, xenofobia, antisemitismo, sessismo»;
   lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione sull'omofobia in Europa del 26 aprile 2007, ha indetto il 17 maggio di ogni anno quale Giornata internazionale contro l'omofobia, dando così una veste istituzionale a quella ricorrenza;
   in un rapporto sull'Ungheria pubblicato nel dicembre 2014, il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha espresso preoccupazione per il «clima di ostilità nei confronti delle persone LGBT sfociato in alcuni casi in discorsi e crimini d'odio a loro mirati»;
   il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha invitato le autorità ungheresi «ad adottare tutte le misure necessarie affinché i casi di violenza fisica e non contro le persone LGBTI siano prontamente e adeguatamente investigati, perseguiti e sanzionati»;
   il partito xenofobo, antisemita e ultra nazionalista ungherese Jobbik si è già reso protagonista di dichiarazioni fortemente offensive nei confronti della comunità LGBTI;
   il giorno 18 maggio, il sito del quotidiano La Stampa ha pubblicato un articolo dal titolo «Ungheria, minacce di morte e una taglia sul gay italiano» in cui si narra la vicenda di un giovane ligure residente all'estero che è diventato oggetto di una campagna partita da Gyorgy Gyula Zagyva, un ex parlamentare di Jobbik;
   le prime minacce arrivano nell'estate 2014, quando il giovane A.G. viene ritratto su un carro del gay Pride di Budapest dove espone una parodia della bandiera dei motociclisti. L'inizio della vicenda di Andrea Giuliano inizia con la pubblicazione di un «articolo» su una «testata giornalistica» neonazista in cui figurano una foto al Pride insieme al suo nome, indirizzo, posto di lavoro, foto scattate fuori dal suo appartamento, riferimenti del suo profilo facebook insieme a parecchi insulti che poi nel forum sono diventati minacce. Da quel punto altre «testate» neonaziste si sono prese cura di spargere la voce, scatenando una reazione a catena;
   da quel momento si moltiplicano gli insulti, le minacce anche fisiche fino a quando sul sito di Jeszenszky, esponente del club «Motociclisti dal sentimento nazionale» appare una taglia: 10 mila dollari per chi lo ammazza. Una vera e propria condanna a morte;
   oggi Andrea Giuliano è sotto processo perché il capo dell'associazione dei motociclisti lo ha querelato per aver esposto quella bandiera e la prossima udienza si terrà a fine giugno;
   si apprende da La Stampa che invece il procedimento intentato per le minacce subite è fermo da diverso tempo;
   per gli interroganti il mondo della politica e delle istituzioni deve affrontare la piaga sociale dell'omofobia al livello nazionale come al livello internazionale promuovendo concretamente i diritti umani delle persone LGBTI nello spirito dei valori fondamentali dell'Unione europea –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale attraverso i propri uffici in loco non intenda prestare assistenza al giovane italiano così duramente colpito nella propria vita;
   se e come la Farnesina intenda intervenire a tutela di un nostro connazionale residente all'estero al fine di garantirgli un'esistenza libera e dignitosa nel rispetto delle libertà civili e al riparo da manifestazioni conclamate di violenza e omofobia che rasentano la persecuzione. (3-01516)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo le cifre diffuse di recente dal Ministero delle finanze tedesco, sulla base delle previsioni di un gruppo di esperti indipendenti, sembrerebbe che le entrate fiscali, per il Governo federale, gli Stati e le amministrazioni locali, nel periodo 2015-2019 saranno superiori di 38,3 miliardi di euro a quelle previste alla fine dello scorso anno, grazie alla maggiore crescita dell'economia e all'aumento dei salari: un vero e proprio «tesoretto» su cui si sta aprendo un dibattito per come debba essere utilizzato;
   il Governo tedesco ha ritoccato al rialzo le stime di crescita del prodotto interno lordo per il 2015 da 1,5 a 1,8 per cento: secondo i consulenti economici all'esecutivo di Berlino, si potrebbe arrivare al 2 per cento;
   già lo scorso anno la Germania aveva ottenuto un surplus di bilancio dello 0,6 per cento del pil;
   in occasione della festa dei lavoratori, Openpolis ha pubblicato un MiniDossier intitolato «Piove sempre sul bagnato: il lavoro durante la crisi in Italia ed in Europa» e l'analisi dei principali indicatori macro-economici ha evidenziato come i cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro durante la crisi non siano stati uguali per tutti i paesi dell'Ue: se in media la disoccupazione in Europa è aumentata del 41,67 per cento, in Germania è invece diminuita del 41,18 per cento;
   è in netto aumento il divario fra i primi e gli ultimi degli Stati dell'Unione europea, andando a configurare un'Europa sempre più «a due velocità»: emblematico è l'andamento della disoccupazione, visto che la differenza fra il valore minimo e il valore massimo è salita dal 7,4 del 2007 al 21,5 del 2013; ancora più netti sono i dati sulla disoccupazione giovanile che nell'ultimo anno di rilevamento (2013) ha raggiunto il 58,3 per cento in Grecia (valore più alto) fermandosi invece al 7,8 per cento in Germania (valore più basso dell'Ue);
   il nostro Paese è uno di quelli che ha maggiormente risentito degli effetti della crisi con una disoccupazione che è raddoppiata passando dal 6,1 del 2007, al 12,7 di fine 2014; la percentuale di giovani che non lavorano e non studiano più alta d'Europa (22,2 per cento); il divario salariale uomo/donna aumentato del 43 per cento e il numero delle morti bianche che è tornato a crescere dopo una lieve riduzione dell'ultimo anno;
   nel 2014 la Germania per il quinto anno consecutivo ha superato la soglia del 6 per cento, fissata dal pacchetto europeo Six pack per il rapporto tra surplus commerciale e prodotto interno lordo, esportando oltre i limiti consentiti, con ripercussioni negative per gli altri 27 Paesi membri: nel 2013 la sua bilancia commerciale, cioè la differenza tra export e import, è risultata in attivo per la cifra monstre di 198,9 miliardi di euro, eccesso che crea problemi al resto del continente, perché si traduce in un rafforzamento dell'euro, ostacola le vendite degli altri 27 Paesi, tiene bassa l'inflazione e per quella via contribuisce pure ad aumentare il valore reale dei debiti pubblici, a tutto svantaggio delle economie più deboli; la Commissione Ue avrebbe potuto imporle una multa da 3 miliardi di euro, ma ciò non è ancora avvenuto;
   sull'onda della crisi la diseguaglianza è cresciuta a livelli senza precedenti a livello globale, con l'allargamento progressivo della forbice tra chi ha molto e chi nulla e la diseguaglianza può trasformarsi in una forza «distruttrice», tale da ridurre gli investimenti, diminuire gli incentivi e generare instabilità economica e sociale, così da comprimere infine anche la crescita economica stessa –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e in che modo intenda reagire anche in sede europea per contrastare il comportamento della Germania che l'interrogante giudica sleale e ottenere di riequilibrare una situazione che tende ad avvantaggiare soltanto i tedeschi, a discapito di tutti gli altri Paesi, soprattutto di quelli che hanno maggiori difficoltà economiche e sta creando una profonda spaccatura all'interno dell'Europa, con conseguenze che possono essere anche gravi a livello sociale e non solo economico, come indicato in premessa. (4-09268)


   BALDASSARRE, RIZZETTO, SEGONI, BARBANTI, PRODANI, TURCO e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 228 del 2012 ha stanziato fondi per l'applicazione della detassazione negli anni 2013, 2014 e 2015;
   per l'anno 2015 sono stati previsti fondi pari a 200 milioni di euro;
   al fine di rendere operativa la detassazione, la normativa prevede, ogni anno, l'emanazione di un apposito decreto attuativo;
   per quel che concerne la detassazione sui premi di produttività per l'anno 2015 è quindi atteso il decreto suddetto;
   nell'anno 2014 il decreto attuativo è stato emanato il 19 febbraio 2014 ed è entrato in vigore il 29 aprile 2014;
   a tutt'oggi non risulta ancora emanato il decreto attuativo che permetterebbe di applicare la detassazione suddetta –:
   se siano a conoscenza dei fatti suddetti;
   se possano adottare ogni iniziativa di competenza al fine di velocizzare l'emanazione del suddetto decreto attuativo e, in tal modo, provvedere alle criticità esposte in premessa. (4-09270)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   durante il Consiglio dei ministri di lunedì 18 maggio 2015 su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Carlo Padoan, è stato approvato un decreto-legge in materia di ammortizzatori sociali e di pensioni che, tra l'altro, dovrebbe dare attuazione alla recente sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale in materia di indicizzazione delle pensioni e che è stato presentato come soluzione congrua ma, come ammesso dallo stesso premier Renzi, non costituirebbe un «rimborso totale», e soprattutto non si configurerebbe in linea con la sentenza: da una parte, riguarderà circa 3,7 milioni di pensionati che otterranno solo 500 euro, dall'altra, lascerà fuori circa 680 mila pensionati che non riceveranno alcun rimborso;
   il decreto-legge in materia di ammortizzatori sociali e di pensioni indica infatti che «gli arretrati saranno pagati in un'unica soluzione il 1o agosto prossimo, per un ammontare medio di oltre 500 euro a pensionato, importo che sarà maggiore per le pensioni comprese tra 3 e 4 volte il minimo e inferiore per le pensioni comprese tra 4 e 6 volte il minimo stesso. La platea dei destinatari, con pensioni superiori a tre volte il minimo e non superiori a sei, è di 3,7 milioni di pensionati»;
   secondo il rapporto sulla programmazione di bilancio 2015 dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel paragrafo sulle implicazioni della sentenza della Corte costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni, per «un pensionato con trattamento pari a 3,5 volte quello minimo, gli arretrati ammontano a circa 3.000 euro»;
   con la sentenza n. 70 del 10 marzo - 30 aprile 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della norma di cui all'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS (dunque pari a circa 1450 euro lordi, 1.100-1.200 netti), interessando oltre 5 milioni e mezzo di pensionati che hanno perso in quel biennio un'indicizzazione che va dal 2,6 per cento all'1,9 per cento;
   secondo la sentenza della Corte costituzionale di cui sopra, la norma dichiarata illegittima sulla sospensione della perequazione automatica sarebbe lesiva dei «diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, della Costituzione) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, della Costituzione)». Quest'ultimo diritto, afferma la sentenza, «è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, Costituzione»;
   più in particolare, la sentenza ha osservato che la mancata attribuzione per 2 anni della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a 3 volte il trattamento minimo INPS costituisce una misura restrittiva che ha effetti permanenti sull'importo della pensione e che i trattamenti oggetto della norma sono di importo notevolmente inferiore a quelli oggetto di un'altra misura di sospensione della perequazione, riconosciuta legittima dalla sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 5 ottobre - 3 novembre 2010. Quest'ultima ha dichiarato legittima la norma di cui all'articolo 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, che ha escluso, per l'anno 2008, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a 8 volte il trattamento minimo INPS. I trattamenti oggetto di quest'esclusione, secondo la citata sentenza n. 316, «per il loro importo piuttosto elevato» presentavano «margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo». La sentenza n. 70 in esame ha ravvisato una diversità di tale fattispecie rispetto ai trattamenti oggetto della norma dichiarata illegittima (la quale ha, peraltro, disposto il blocco della perequazione per due anni, anziché per un solo anno, come stabilito dalla norma valutata dalla precedente sentenza n. 316). Sempre secondo la sentenza n. 70, sono stati «valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento» pensionistico;
   la decisione della Corte costituzionale costituisce, in ordine di tempo, solo l'ultima delle gravi questioni che riguardano il sistema pensionistico italiano. La cosiddetta «riforma Fornero» (di cui alla legge n. 92 del 2012) ha creato l'emergenza sociale dei lavoratori «esodati» (sono già stati approvati 6 provvedimenti di salvaguardia ed attualmente la XI Commissione permanente – Lavoro pubblico e privato – della Camera deve cominciare a discutere su ulteriori disegni di legge in materia), ha creato iniquità e disparità di trattamento, non prevedendo alcuna gradualità nella sua applicazione innalzando l'età pensionabile anche per periodi di 7 o 10 anni;
   è ormai non infrequente che, con la decretazione d'urgenza siano introdotte nell'ordinamento norme che poi vengono bocciate dalla Consulta; si tratta ad avviso dell'interrogante della diretta conseguenza dell'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza da parte del Governo che, sempre ad avviso dell'interrogante comprime in maniera inaccettabile gli spazi dell'intervento parlamentare;
   la misura prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi appare all'interrogante in contrasto con la sentenza espressa dalla Corte costituzionale mettendo in atto una specie di auto-sanatoria che sembrerebbe violare il principio fondamentale stesso della separazione dei poteri;
   soltanto la settimana scorsa, in risposta ad un altro question time presentato dal Movimento 5 stelle, il Ministro Poletti in persona aveva assicurato che il Governo si sarebbe attivato «per predisporre i necessari interventi sulla base di questi principi: il rispetto pieno dei principi; che hanno condotto alla sentenza; una soluzione che affronti la situazione con spirito di equità all'interno del sistema previdenziale, senza scaricare ulteriori pesi sulle future generazioni», ma la proposta dei 500 euro una tantum non sembra coerente con queste premesse –:
   se il Governo non intenda riparare con urgenza alla violazione avvenuta del diritto costituzionale fondamentale della perequazione automatica delle pensioni, attivando gli strumenti normativi opportuni a reperire le risorse necessarie per dare pronta e completa attuazione a quanto disposto dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, entro l'anno finanziario in corso, provvedendo alla restituzione a favore dei cittadini interessati dell'intera quota di pensione non versata, in conseguenza della disposizione di cui all'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 ora dichiarato costituzionalmente illegittimo, come illustrato in premessa.
(4-09288)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, SPADONI, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, SIBILIA, DI BATTISTA e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 2014, Marco Bianchini, un italiano presente nei territori occupati da Israele per coltivare l'ulivo e fornire consulenza ai coltivatori locali, durante una manifestazione pacifica è stato colpito al petto da un proiettile calibro .22 sparato da un fucile d'assalto israeliano;
   soccorso da un gruppo di manifestanti e giornalisti è stato caricato su un'ambulanza ed è riuscito a sopravvivere solo perché il proiettile, rallentato dallo sterno, si è appoggiato sul cuore senza trafiggerlo;
   il calibro .22 è un proiettile vero, caricato su fucili da assalto e utilizzato come strumento di controllo di massa, nonostante le regole di ingaggio dello stesso esercito israeliano non lo prevedano; infatti, il calibro .22 e tutti i proiettili dello stesso tipo non possono essere usati durante manifestazioni nei Territori, in quanto queste modalità violano la convenzione di Ginevra che impone agli eserciti occupanti di prendersi in carico la salvaguardia della vita dei civili nei territori che occupano;
   in passato, l'utilizzo di proiettili di guerra per contenere le manifestazioni ha causato parecchie vittime tra la popolazione civile palestinese. Tutti i tentativi di veder condannato l'esercito israeliano sono sempre falliti poiché lo Stato di Israele solitamente si difende sostenendo che il soldato si trovava in pericolo di vita;
   questa volta difficilmente sarà possibile riuscire a sostenere questa tesi, soprattutto perché le immagini video (videoripresa della manifestazione e dello sparo ripreso da un giornalista di Palestine TV contenuta su supporto informatico allegato alla denuncia/querela del citato Bianchini presentata alla procura di Milano il 23 marzo 2015) raccontano un'altra verità;
   il signor Marco Bianchini comunque decide di andare fino in fondo e si affida a un avvocato israeliano; tuttavia, appena scaduto il visto israeliano e nonostante abbia nel frattempo ottenuto la cittadinanza palestinese, è costretto a tornare in Italia e ad affidarsi a un avvocato italiano, Gilberto Pagani;
   il processo in Italia è stato presentato il 23 marzo 2015 e si svolgerà a Milano; l'avvocato Pagani chiederà al giudice di valutare la responsabilità del militare che in quell'occasione sparò per uccidere. Il diritto di uno stato estero (l'Italia nella fattispecie) a richiedere l'incriminazione su un territorio estero poggia sul reato di «crimine di guerra e contro l'umanità» di un esercito che contro ogni diritto spara per uccidere la popolazione civile, ed in questo caso un cittadino straniero;
   nell'ultimo decennio si è affermato nella nostra giurisprudenza il principio della sussistenza di una giurisdizione universale del giudice italiano, e sono stati perseguiti e giudicati nei nostri tribunali crimini internazionali. Tale giurisprudenza richiama il dettato dell'articolo 146 IV della Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra, «Le Alte Parti contraenti s'impegnano a prendere ogni misura legislativa necessaria per stabilire le sanzioni penali adeguate da applicarsi alle persone che abbiano commesso o dato ordine di commettere l'una o l'altra delle infrazioni gravi alla presente Convenzione precisate nell'articolo seguente. Ogni Parte contraente avrà l'obbligo di ricercare le persone imputate di aver commesso o di aver dato l'ordine di commettere l'una o l'altra di dette infrazioni gravi e dovrà, qualunque sia la loro nazionalità, deferirle ai suoi propri tribunali»;
   inoltre, il successivo articolo 147 stabilisce che «Le infrazioni gravi indicate nell'articolo precedente sono quelle che implicano l'uno o l'altro dei seguenti atti, se commessi contro persone o beni protetti dalla Convenzione:.., il fatto di cagionare intenzionalmente grandi sofferenze o di danneggiare gravemente l'integrità corporale o la salute, la deportazione o il trasferimento illegali, la detenzione illegale, il fatto di costringere una persona protetta a prestar servizio nelle forze armate della Potenza nemica, o quello di privarla del suo diritto di essere giudicata regolarmente e imparzialmente secondo le prescrizioni della presente Convenzione, la cattura di ostaggi, la distruzione e l'appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari»;
   la vicenda sopra evidenziata tocca da vicino il Governo italiano, visto che la Farnesina sapeva del cittadino italiano ferito al petto, come si può facilmente capire dalle informative rilasciate in quei giorni; tuttavia, non risulta pervenuta nessuna presa di posizione, nessuna dichiarazione, nessun intervento ministeriale sulla vicenda –:
   se, essendo a conoscenza della vicenda evidenziata in premessa, ne abbia seguito lo sviluppo e quale tipo di sostegno abbia dato al connazionale;
   se e quali determinazioni abbia adottato per acquisire elementi tramite i canali diplomatici per conoscere se siano state effettuate tutte le opportune indagini al fine di identificare il militare che ha materialmente sparato, il reparto militare a cui apparteneva, la catena di comando cui rispondeva. (4-09281)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI, ZAPPULLA, TARICCO e ZANIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva del Consiglio del 21 maggio 1992 concernente la conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, detta direttiva «Habitat», e la direttiva «Uccelli» costituiscono il cuore della politica comunitaria in materia di conservazione della biodiversità;
   scopo della direttiva «Habitat» è «salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato» (articolo 2). Per il raggiungimento di questo obiettivo la direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati;
   la direttiva è costruita intorno a due pilastri: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati rispettivamente negli allegati I e II, e il regime di tutela delle specie elencate negli allegati IV e V; la direttiva stabilisce norme per la gestione dei siti Natura 2000 e la valutazione d'incidenza (articolo 6), il finanziamento (articolo 8), il monitoraggio e l'elaborazione di rapporti nazionali sull'attuazione delle disposizioni della direttiva (articoli 11 e 17), e il rilascio di eventuali deroghe (articolo 16). Riconosce inoltre l'importanza degli elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione ecologica per la flora e la fauna selvatiche (articolo 10);
   il recepimento della direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 8 settembre 1997 n. 357 modificato ed integrato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003;
   le direttive «habitat» e «uccelli» sono riconosciute come tra le più forti leggi al mondo per la difesa di animali selvatici, piante e habitat, e grazie a queste normative, l'Europa ha oggi il più grande network al mondo di aree protette, la rete Natura 2000, che copre circa il 20 per cento del territorio europeo e il 4 per cento dei suoi siti marini;
   nonostante tale direttiva, però sono diversi i luoghi in Italia (in particolare, in Puglia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia) che, seppure protetti dalle già citate leggi, sono stati e continuano ad essere oggetto di servitù militari; ciò va a significare che le esercitazioni militari e il conseguente rilascio di ordigni bellici hanno causato e causano gravissimi danni all'ambiente (inquinamento, frammentazione degli habitat, erosione del suolo, eccessivo calpestio, devastazione paesaggistica e naturalistica);
   attualmente è in atto una procedura di indagine della Commissione europea sul rispetto di tale normativa: la direzione generale «Ambiente» ha aperto un fascicolo per verificare l'eventuale violazione dell'articolo 6 della direttiva habitat che tutela i siti di interesse comunitario (sic) e le zone di protezione speciale (zps) con la previsione di precise procedure di valutazione ambientale per tutte le attività e i progetti ricadenti al loro interno;
   in caso di condanna da parte della Corte europea di giustizia, l'Italia dovrebbe pagare una sanzione minima di poco meno di 10 milioni di euro, oltre a una penalità tra i 22 mila e i 700 mila euro per ogni giorno di ritardo. L'applicazione della sanzione è comunque rapida: è la Commissione a decurtare l'importo dallo stock dei finanziamenti comunitari e poi lo Stato membro si può rifare, per danno erariale, sull'amministrazione territoriale responsabile o su altro ente pubblico competente. Al momento sono 106 le procedure aperte contro l'Italia, un quinto circa delle quali per violazioni in materia ambientale;
   appare dunque evidente che si tratta di una violazione grave di tutte le norme internazionali, nazionali e regionali di tutela ambientali e naturalistiche –:
   se non intendano verificare la sussistenza di responsabilità amministrative in relazione ad ipotesi di omissione di atti di controllo a tutela dei patrimoni di pertinenza, e competenza dei rispettivi Ministeri, in quanto informati dei fatti;
   se non, intendano comunicare alla Commissione europea le iniziative finalizzate a superare le criticità illustrate in premessa ed eventuali violazioni di disposizioni comunitarie;
   quali iniziative normative intendano mettere in atto per evitare che venga attivata la procedura di infrazione, e se non intendano adoperarsi, per quanto di competenza, per far cessare o sospendere le attività incompatibili e dannose per le aree protette. (5-05669)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della legge 99 del 2009 ha istituito la possibilità di realizzare un potenziamento dei collegamenti con i Paesi confinanti attraverso interconnessioni elettriche finanziate da privati e denominate «Interconnector»;
   di fatto, con la legge 99 del 2009 si è programmato un incremento di 2000 megawatt della capacità di trasporto disponibile;
   tale opportunità era riservata ai clienti finali energivori con potenza impegnata non inferiore a 10 megawatt;
   TERNA spa avrebbe il compito di gestire e indire le procedure per la selezione dei soggetti che intendano sostenere il finanziamento dei singoli interconnector e poi di pianificare e progettare e realizzare tali interconnessioni;
   l'articolo 32 prevedeva per i soggetti privati sopracitati un indennizzo immediato concesso per i primi 6 anni (dal 1o gennaio 2010 al 31 dicembre 2015) e, in attesa della realizzazione dell'infrastruttura, e di fatto si permetteva agli stessi di importare energia dall'estero ad un prezzo mediamente inferiore a quello del mercato italiano con una riduzione del prezzo dell'energia da essi goduto indicativamente del 15/20 per cento;
   come previsto dall'articolo 32 della legge 99 del 2009, i vari progetti Interconnector non dovrebbero prevedere esborsi da parte della collettività in quanto le opere di per sé dovrebbero essere finanziate nella loro totalità da privati;
   la legge 99 del 2009 infatti prevede la concessione ai soggetti finanziatori di un'esenzione di 20 anni per l'accesso di terzi alla rete;
   trascorsi i 20 anni, non vi sarebbe garanzia alcuna che le reti di interconnessione previste ritornino a beneficio della cittadinanza e se anche questa ipotesi dovesse concretizzarsi, essa si verificherebbe a titolo oneroso considerando che ad oggi esisterebbe un diritto opzionale da parte dei finanziatori con pagamento tramite riscatto;
   allo stesso modo parrebbe che il beneficio «virtuale» sopracitato goduto dai finanziatori e riguardante l'importazione di energia a prezzo europeo (quindi scontato rispetto a quello italiano) sia ricaduto direttamente sulle bollette degli utenti italiani;
   come infatti si apprende dall'articolo pubblicato sul portale specialistico «Qualenergia.it» in data 4 agosto 2014, i costi di tale beneficio andrebbero a pesare sulle bollette dell'utenza italiana e una fonte interna a Terna spa riportata all'interno dello stesso articolo informa che l'ammontare del beneficio sarebbe quantificabile in una cifra vicina ai 500 milioni di euro annui, cioè circa 3 miliardi di euro per i primi 6 anni previsti dalla norma;
   uno dei progetti summenzionati risulta essere «INTERCONNECTOR SVIZZERA – ITALIA», un nuovo elettrodotto aereo ad alta tensione da 380.000 volt che attraverserà diversi comuni piemontesi e lombardi;
   in questo caso di fatto si prospetterebbe la completa privatizzazione di un'interconnessione già esistente e ad oggi pubblica;
   vi sarebbe inoltre da considerare che almeno 13 (tra cui RIVA ACCIAIO SPA e ILVA SPA) dei 26 soggetti energivori finanziatori dell'opera sono o sono stati protagonisti di difficili situazioni aziendali, occupazionali ed economiche con attuazione di tavoli di crisi o di procedure di Cassa integrazione ordinaria e straordinaria;
   come già accaduto in passato, vi sarebbe il rischio concreto che diversi di questi soggetti possano in realtà non rivelarsi solvibili;
   altro progetto di interconnessione risulta essere quello fra Italia e Montenegro;
   il progetto prevederebbe l'ingresso di investitori privati, ma al momento non si hanno notizie concrete e precise in merito;
   occorre segnalare, come riportato dall'articolo pubblicato sul portale specialistico «Qualenergia.it» in data 8 ottobre 2014 dal titolo «Overcapacity, Terna: abbiamo 25 GW di potenza elettrica in eccesso», come già oggi il sistema energetico italiano possa contare su una disponibilità di potenza energetica superiore di circa il 50 per cento il reale fabbisogno e pertanto, vista la crisi industriale in atto, sarebbe necessario fermarsi e capire se questo tipo di infrastrutture sia ancora necessario considerando con la reale domanda energetica e se non sia più opportuno investire nei diversi sistemi di accumulo;
   durante la seduta del 27 gennaio 2015 della Commissione attività produttive della Camera dei deputati, l'allora Viceministro alle attività produttive depositò della documentazione riguardante l'accordo Italia – Montenegro in materia di energia e progetto di interconnessione elettrica nella quale lo stesso De Vincenti dichiarava come la mission di una simile opera di interconnessione e cioè la garanzia di flussi di energia in importazione in grado di aiutare l'Italia a raggiungere gli obiettivi al 2020 sia oggi «[...] meno pressante [...]» –:
   considerando la situazione di crisi in cui si trovano diversi dei soggetti finanziatori delle opere sopracitate, quali garanzie vi siano che le stesse saranno di fatto portate a termine;
   in caso di fallimento di una o più delle aziende proponenti, se e nel caso quali garanzie siano state richieste al fine di recuperare le quote già erogate dei benefici riferiti alla scontistica del costo energia;
   considerando il vincolo il diritto opzionale citato in premessa, passati di 20 anni di concessione dell'elettrodotto ai privati, chi stabilirà l'eventuale esborso che lo Stato si ritroverebbe a dover sostenere per rendere la rete, ora di fatto privata, nuovamente pubblica;
   considerando che, almeno nel caso di «INTERCONNECTOR SVIZZERA – ITALIA», l'elettrodotto diventerebbe di fatto una linea privata, a fronte di un impatto ambientale estremamente rilevante, se i Ministeri interrogati possano confermare la mancanza oneri di valutazione della linea oggi esistente;
   se Terna spa o i finanziatori dell'opera abbiano provveduto a indennizzare i comuni dove passerebbero gli Interconnector e, nel caso di risposta negativa, per quale motivo non si sia provveduto in tal senso;
   nel caso del progetto di interconnessione Italia – Montenegro, come il Governo intenda far partecipare al progetto soggetti privati nel tratto privato vero il Montenegro considerando che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con la nuova delibera 654 del 2014, ha riconosciuto in merito una quota all'interno della bolletta dei consumatori italiani;
   considerando tutti i progetti di Interconnector ora in divenire e soprattutto considerando le dichiarazioni dell’ex Viceministro De Vincenti, se i Ministri interrogati non ritengano opportuno rivalutare o meno le priorità della costruzione e successiva messa in opera di queste strutture;
   se i Ministri interrogati possano mettere a disposizione ogni elemento relativo a quanto descritto in premessa anche fornendo la documentazione riguardante lo stato di attuazione aggiornato dei singoli progetti di interconnessione ad oggi in essere. (5-05670)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI e PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia fra le bevande alcoliche da pasto la birra è l'unica a pagare l'accisa, un'imposta sulla produzione e la vendita delle bevande alcoliche, per di più in misura elevata, mentre il vino ad esempio, beneficia di un'accisa pari a zero;
   secondo un recente studio condotto da ALTIS – alta scuola impresa e società dell'università cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con Unionbirrai, nel luglio 2013 l'accisa gravante su un litro di birra a 4,8 per cento alc. Vol. ammontava a 28,2 c/euro. In seguito all'approvazione del decreto legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, l'innalzamento delle accise sulle alcole, previsto per il finanziamento delle misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca ivi recate, ha generato un aumento progressivo dell'aliquota. L'accisa su un litro di birra a 4,8 per cento alc. Vol. è diventata 31,9 c/euro a partire da ottobre 2013, per poi passare a 32,4 c/euro a decorrere da gennaio 2014, e si assesta, a partire da gennaio 2015, a 35,9 c/euro per effetto del decreto-legge n. 104 del 2013 convertito in legge n. 128 del 2013 ed il decreto-legge n. 91 del 2013 convertito in legge n. 112 del 2013;
   si tratta di un complessivo aumento del 30 per cento, che penalizza fortemente i piccoli produttori italiani rispetto ai competitors europei, i quali godono, al contrario, di un regime agevolato dell'accisa, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 4 della direttiva 92/83/CEE;
   il sistema di accertamento dell'accisa per i microbirrifici, previsto dall'articolo 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, è basato su apparecchiature elettroniche inserite nel ciclo di produzione della birra. Tale sistema, è stato concepito per rispondere all'esigenza di riconoscere la specificità e semplificare il processo di accertamento delle accise dovute sulla produzione per i micro birrifici;
   in base all'interpretazione data dall'Agenzia delle dogane nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, i misuratori elettronici per l'accertamento dell'accisa vengono collocati nella fase di produzione del mosto, che è addirittura precedente alla fermentazione dalla quale origina la birra e non «a monte del condizionamento» (ossia del confezionamento della birra) come prevede il testo unico. Questa interpretazione determina una tassazione più alta rispetto al sistema di accertamento previsto per i grandi birrifici, perché non prende in considerazione gli inevitabili cali di produzione e inoltre, obbliga le imprese ad anticipare la tassazione di molti giorni rispetto al momento del condizionamento nel quale, secondo le disposizioni originarie, sorge l'esigibilità del tributo sulla produzione;
   sarebbe auspicabile, come proposto dal CNR Unionbirrai, un miglior coordinamento con l'Agenzia delle dogane al fine di modificare l'interpretazione assunta, nella Circolare n. 5/D del 6 maggio 2014 e conseguentemente accertarsi della corretta applicazione su tutto il territorio nazionale; oppure, in alternativa, valutare l'opportunità di operare, attraverso appositi provvedimenti, una diversa interpretazione dell'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, nel senso di effettuare l'accertamento dell'accisa al momento del condizionamento;
   è da segnalare, inoltre, un fattore di confusione legato all'aliquota Iva. La tabella A, parte III allegata al decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972, al n. 82) inserisce la birra tra i beni con aliquota al 10 per cento. Tuttavia, al riguardo trova applicazione quanto disposto dall'articolo 5, comma 3, decreto-legge 261 del 1990 che prevede testualmente: 3. Per le cessioni e le importazioni di acque minerali e di birra l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto è stabilita nella misura del 19 per cento. L'aliquota prevista dalla citata disposizione è quella ordinaria vigente alla data di entrata in vigore del decreto, ora al 22 per cento;
   il decreto-legge 261 del 1990, in pratica, ha sancito l'applicazione dell'aliquota ordinaria alle cessioni di birra, in deroga a quanto stabilito dalla tabella A, parte III n. 82. Tale disposizione, tuttora vigente, non è però riportata nelle note di tutte le banche dati giuridiche, ma solo in alcune, ingenerando dubbi di interpretazione che portano molte aziende produttrici di birra, soprattutto agricole, ad applicare l'aliquota al 10 per cento senza considerare le modifiche legislative successive;
   con l'attuale quadro normativo, infine, un imprenditore agricolo può produrre birra agricola, usufruendo del regime di tassazione agevolato, esternalizzando tutti i processi di trasformazione. Si può verificare, infatti, che esso affitti un terreno, lo faccia coltivare ad orzo, faccia maltare l'orzo in conto terzi e produca birra sempre in conto terzi, immettendo in commercio una «birra agricola» che tuttavia non ha sviluppato alcuna attività agricola in proprio, usufruendo delle agevolazioni di tassazione –:
   se non ritenga opportuno, in riferimento all'accertamento dell'accisa di cui in premessa, assicurare le opportune forme di coordinamento con l'Agenzia delle dogane al fine di modificare l'interpretazione assunta nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, e conseguentemente accertarsi della corretta applicazione su tutto il territorio nazionale o, in alternativa, proporre, attraverso appositi provvedimenti, una diversa interpretazione dell'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, nel senso di effettuare l'accertamento dell'accisa al momento del condizionamento;
   quali siano le ragioni per le quali le aliquote Iva, di cui alla tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1974 non siano state aggiornate a seguito delle modifiche legislative intervenute, ingenerando dubbi di interpretazione sull'applicabilità delle stesse;
   se non ritenga opportuno valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre l'obbligo, per un'azienda agricola produttrice di birra, di poter esternalizzare solamente una trasformazione, orzo in malto oppure malto in birra, al fine di evitare di elargire agevolazioni fiscali agricole anche a chi non svolge alcun processo agricolo. (4-09272)


   MURER, CARNEVALI e CAMPANA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia spa è una società partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   da quanto si apprende dalla stampa, sabato 16 maggio 2015, presso la stazione Ferrovie dello Stato di Conegliano, in provincia di Treviso, un gruppo di ragazzi con sindrome di Down avrebbe perso il treno perché troppo lento nell'effettuare il biglietto;
   stando alle cronache il personale di Trenitalia avrebbe invitato i ragazzi a farsi da parte, privilegiando gli altri passeggeri nella procedura di acquisto dei biglietti;
   nella stessa giornata, lo stesso gruppo è caduto in un altro spiacevole episodio. Alla stazione di Mestre, il gruppo, come da progetto, ha cercato di acquistare da soli i biglietti con la «carta blu», ed anche in questo caso le lungaggini legate alla procedura avrebbero portato un altro addetto FS a velocizzare la pratica distribuendo ai ragazzi dei biglietti;
   è importante precisare, a parere degli interroganti, che i ragazzi della Onlus Aipd Marca Trevigiana stavano sperimentando un percorso di autonomia consistente nell'organizzazione per proprio conto di un viaggio di due giorni a Venezia;
   l'atteggiamento del personale di Trenitalia e la mancanza di percorsi facilitati per l'accesso ai servizi delle stazioni per persone con sindrome di Down ha portato al fallimento della sperimentazione;
   nei giorni successivi all'accaduto, una nota di Trenitalia, ha specificato che le «lungaggini nel rilascio dei biglietti in partenza da Conegliano» sono dovuti «anche a una Carta Blu scaduta» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze intenda operare un controllo sulla policy, dell'azienda partecipata che svolge un servizio pubblico essenziale e universale, e proprio per questo dovrebbe prevedere percorsi d'accesso facilitato per i clienti che presentano difficoltà legati a patologie permanenti o temporanee;
   se una volta accertati i fatti esposti in premessa si intenda intervenire verso i responsabili di tali atteggiamenti a tutela dell'immagine di un'azienda pubblica.
(4-09274)


   D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il procuratore della corte conti regionale del Veneto, dottor Scarano, nell'intervento di inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, segnala che la procura di Venezia ha in corso alcune istruttorie riguardanti vari aspetti di project financing utilizzato per la realizzazione di strutture ospedaliere da cui emergono diversi profili che presentano indubbie criticità sull'utilizzo in concreto di questo strumento;
   l'Autorità per i lavori pubblici sin dalla pronuncia n. 34/2000 ha osservato che il project financing non è uno strumento adatto a tutte le iniziative che richiedono elevati investimenti, ma solo a quelle dotate di un rapporto di leva tale da rendere l'iniziativa affidabile, prescindendo dalle garanzie e dall'equilibrio. La maggiore problematicità risiede dunque nei progetti in cui il soggetto privato fornisce direttamente servizi alla pubblica amministrazione;
   a livello Eurostat, il finanziamento del privato non viene computato nel debito pubblico se il privato si accolla almeno due dei tre rischi connessi all'adozione del PF: il rischio di costruzione, il rischio di disponibilità e il rischio di domanda. La decisione Eurostat 11 febbraio 2004 prevede che i beni (asset) oggetto di tali operazioni non vengano registrati nei conti delle pubbliche amministrazioni, ai fini del calcolo dell'indebitamento netto e del debito, solo se c’è un sostanziale trasferimento di rischio dalla parte pubblica alla parte privata. Affinché l'operazione non configuri debito, il contributo deve essere inferiore al 50 per cento come indicato da Eurostat;
   il rischio di costruzione riguarda eventi connessi alla fase progettuale e di realizzazione dell'infrastruttura. L'assunzione del rischio da parte del privato implica che siano ammessi soltanto pagamenti pubblici correlati alle condizioni prestabilite per la costruzione dell'opera. L'eventualità, invece, che il soggetto pubblico corrisponda quanto stabilito nel contratto, indipendentemente dalla verifica dello stato di avanzamento effettivo della realizzazione dell'infrastruttura o ripiani ogni costo aggiuntivo emerso, quale ne sia la causa, comporta l'assunzione del rischio costruzione da parte del soggetto pubblico;
   il rischio disponibilità attiene alla fase operativa ed è connesso ad una scadente o insufficiente gestione dell'opera pubblica, a seguito della quale la quantità e/o la qualità del servizio reso risultano inferiori ai livelli previsti nell'accordo contrattuale. Tale rischio si può ritenere gravante in capo al privato se i pagamenti pubblici sono correlati all'effettivo ottenimento del servizio reso – così come pattuito nel disposto contrattuale – e il soggetto pubblico ha il diritto di ridurre i propri pagamenti, nel caso in cui i parametri prestabiliti di prestazione non vengano raggiunti. La previsione di pagamenti costanti da parte dell'ente pubblico, indipendentemente dal volume e dalla qualità di servizi erogati, implica, viceversa, una assunzione del rischio disponibilità da parte del soggetto pubblico;
   il rischio-domanda è connesso alla variabilità della domanda non dipendente dalla qualità del servizio prestato; ci si riferisce a quello che può definirsi normale rischio economico assunto da un'azienda in un'economia di mercato. Il rischio-domanda si considera assunto dal soggetto privato nel caso in cui i pagamenti pubblici sono correlati all'effettiva quantità domandata per quel servizio dall'utenza. Il rischio-domanda, viceversa, si considera in capo al soggetto pubblico nel caso di pagamenti garantiti anche per prestazioni non erogate;
   i maggiori rischi, evidenziati dal procuratore della corte dei conti Scarano, sono:
    1) eccessiva fiducia nelle capacità risolutive del PF, come alternativa alla carenza di risorse pubbliche disponibili;
    2) assenza di preliminari verifiche sulla reale convenienza del ricorso al PPP in termini di ottimizzazione dei costi per la pubblica amministrazione;
    3) inadeguata capacità delle amministrazioni pubbliche a confrontarsi con la parte privata, sia nell'identificazione dei rispettivi obblighi contrattuali, sia nel monitoraggio dell'esecuzione del contratto;
   il project Financing è una forma di partenariato pubblico privato, uno degli strumenti più comunemente utilizzati in Veneto per il finanziamento degli investimenti pubblici, dalle strade agli ospedali. Nel caso del project financing per opere c.d. fredde come la costruzione di carceri, scuole, ospedali ed altro, la remuneratività della realizzazione dell'opera è assicurata alla ditta realizzatrice da un canone che viene pagato dall'ente pubblico. Si tratta quindi, di un'operazione a debito il cui importo andrebbe ad incrementare il debito pubblico. Sul canone di disponibilità grava l'iva del 22 per cento a differenza di quanto avviene nel caso delle locazioni finanziarie che è del 10 per cento; eppure il canone di disponibilità non è altro che il ripagamento di questo investimento come avviene per i canoni leasing;
   la nuova direttiva europea 23/2014, che deve essere recepita dall'Italia entro aprile 2016, esclude la concessione in assenza di assunzione del rischio da parte del privato;
   il rapporto della Ragioneria generale dello Stato, pubblicato sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze, rileva le criticità del sistema del partenariato pubblico privato italiano. Sulla base di questo rapporto l'Istat ha analizzato 24 Ppp «freddi» dal 2010 al 2014 per un valore complessivo di 4 miliardi euro: 17 su 24, pari al 71 per cento per un importo di 3,5 miliardi (87 per cento), risultano a rischio nullo per il privato. Non si tratta quindi di veri e propri – project financing, ma «appalti mascherati» molto spesso svantaggiosi per la parte pubblica. (Fonte: Il Sole 24 ore del 13 maggio 2015);
   nei project financing veneti, in particolare quelli sanitari, è emerso che spesso:
    a) il soggetto pubblico si assume il rischio di costruzione poiché corrisponde quanto stabilito nel contratto, indipendentemente dalla verifica dello stato di avanzamento effettivo della realizzazione dell'infrastruttura o ripiana ogni costo aggiuntivo emerso, quale ne sia la causa;
    b) il soggetto pubblico si assume il rischio disponibilità poiché corrisponde pagamenti costanti, indipendentemente dal volume e dalla qualità di servizi erogati, anche se inferiori ai livelli previsti nell'accordo contrattuale;
    c) il soggetto pubblico si assume il rischio-domanda laddove sia obbligato ad assicurare un determinato livello di pagamenti al partner privato indipendentemente dall'effettivo livello di domanda espressa dall'utente finale –:
   se siano al corrente delle criticità segnalate e come intendano procedere per fare chiarezza sulle modalità di calcolo del canone e sulle regole con cui viene fissata la sua revisione nel corso degli anni, avendo lo stesso una durata spesso di vari decenni; se non ritengano opportuno introdurre nella normativa la valutazione e opportunità della rinegoziazione dei project financing in essere o loro chiusura, con verifica delle condizioni applicate ogni 4 anni;
   considerato il mancato accollo da parte dei privati di 2 categorie di rischio, se ritengano opportuno tenere in considerazione i «costi occulti» del project financing che potrebbero gravare sui bilanci di enti pubblici e quali azioni intraprendere, anche alla luce della spending review, per evitare che siano costretti ad accendere nuovi mutui o altre forme di indebitamento da ciò derivanti;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per introdurre, nella normativa nazionale, la clausola di riscatto anticipato, che, stante la durata pluriennale del progetto di finanza consentirebbe alla pubblica amministrazione il riscatto del bene facendo si che il contratto di project financing stabilisca le modalità di determinazione dell'onere di riscatto secondo una delle modalità usuali (eventuali penali, tasso di attualizzazione dei canoni non corrisposti, pagamento del mancato ammortamento e altro);
   se non ritengano opportuno prevedere l'imputazione del canone di project financing dalla parte corrente di bilancio alla parte in conto capitale (considerando che il canone di disponibilità e quello relativo alla restituzione dell'investimento rappresentano la remunerazione, che viene erogata al privato, ripaga, cioè, una spesa di «investimento») evitando così che tale voce incida sui costi di esercizio visto che la contabilizzazione di tali costi nella parte corrente di bilancio provoca squilibri sulle valutazioni economiche dei bilanci medesimi;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare il regime iva per le aziende pubbliche in caso di project financing, visto che il rimborso del capitale privato con interessi grava sul bilancio dell'ente pubblico. (4-09286)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFORGIA e CIMBRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2015 si è tenuta la sottocommissione consiliare carceri del comune di Milano;
   nel corso della sottocommissione sono intervenute la vicedirettrice dell'Istituto penale minorile «Cesare Beccaria», Olimpia Monda e la garante dei detenuti del comune di Milano, Alessandra Naldi, che hanno descritto una situazione problematica;
   nel 2008 sono iniziati i lavori di ristrutturazione di un'ala dell'istituto penale minorile, causando disagi all'interno della struttura, come il trasferimento della sezione femminile, mentre i cinquanta ragazzi presenti vivono in uno spazio più angusto rispetto all'inizio dei lavori;
   i lavori di ristrutturazione avrebbero dovuto concludersi nel 2011, ma la ditta che aveva vinto l'appalto è fallita;
   ad oggi, nonostante la gran parte dei lavori di ristrutturazione siano stati completati, tutto è fermo con conseguenze rischio di ammaloramento di quanto ristrutturato;
   lo spazio in cui i ragazzi vivono è inadeguato, sia a causa della concentrazione, sia perché nessun lavoro di manutenzione straordinario viene eseguito in attesa della fine della ristrutturazione. A titolo esemplificativo, i servizi igienici sono collocati nei corridoi e non nelle celle;
   questo ritardo nella conclusione dei lavori di ristrutturazione, a volte, causa l'impossibilità di utilizzare l'istituto penale minorile Beccaria per i minori arrestati in Lombardia, che devono essere trasferiti altrove, ad esempio in Piemonte o in Puglia –:
   se il Ministro possa indicare la data in cui i lavori di ristrutturazione dell'istituto penale minorile «Beccaria» riprenderanno. (4-09279)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'incendio sviluppatosi nell'area transiti del Terminal 3 dell'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino, nella notte fra il 6 e il 7 maggio ha avuto effetti sul traffico aereo che ancora oggi non risultano essere stati riassorbiti;
   le indagini in corso sulle cause sembrano – fortunatamente – escludere le più preoccupanti ipotesi di dolo che hanno riportato alla mente i sanguinosi attentati terroristici del 1973 del 1985. In tal senso si è espresso sia il presidente dell'ENAC, Vito Riggio, sia i rappresentanti della procura di Civitavecchia, competente territorialmente;
   il numero contenuto di feriti e il fatto che non ci siano state vittime dipende solo dal fatto che l'incendio è divampato in un'ora nella quale l'aeroporto era semideserto. Altrimenti l'estensione del rogo e la velocità della sua diffusione avrebbero provocato danni alle persone ben più gravi e reazioni di panico facilmente immaginabili;
   tuttavia le conseguenze dell'incendio rimangono pesanti e non possono essere sottovalutate dalle autorità a vario titolo competenti;
   in primo luogo, le gravi ripercussioni sul traffico aereo, in quanto le dimensioni dell'incendio (che ha interessato oltre 1000 metri quadrati dell'area aeroportuale), hanno addirittura portato al blocco delle partenze, alla sostanziale chiusura dell'aeroporto e alla totale evacuazione del Terminal 3 A. Per giorni, stando ai comunicati ufficiali dell'ENAC, la funzionalità dell'intero Aeroporto sarebbe stata ridotta;
   tutto questo ha avuto conseguenze su centinaia di migliaia di passeggeri, con disagi e incertezze sui rimborsi dei biglietti;
   c’è poi il pesante capitolo dei danni alle cose; le aree più colpite dall'incendio sono quelle delle aree d'imbarco G e H che ospitavano i negozi duty free più noti;
   le prime stime hanno indicato in almeno una quarantina gli esercizi commerciali danneggiati, fra i quali alcune delle più note griffe. Fra struttura, arredi e beni commerciali in vendita è facile intuire che si tratterà di diversi milioni di euro di danni;
   le preoccupazioni maggiori riguardano gli effetti occupazionali, con oltre cento addetti già in condizione di precarietà sopravvenuta e con lettere di licenziamento già recapitate. Peraltro, tale nuova precarietà si va ad aggiungere ad una situazione preesistente nella quale molti dipendenti dei negozi dell'area commerciale dell'aeroporto avevano situazioni contrattuali che in alcun modo possono essere definite stabili;
   inoltre, alcune aziende che avevano programmato il passaggio ad assunzioni stabili o l'avvio di nuove assunzioni stagionali in vita dell'arrivo dell'estate, hanno bloccato i loro piani a causa dei recenti avvenimenti e dell'incertezza sui tempi di ripartenza a pieno regime;
   non si comprende come sia potuto accadere che le fiamme si siano propagate così velocemente e in modo così distruttivo nell'aeroporto più importante del Paese, che dovrebbe competere – in efficienza, ma soprattutto in sicurezza – con i più moderni scali del mondo né come questi effetti si siano potuti avere nonostante l'esistenza di norme severe e molto dettagliate in materiali sicurezza sul lavoro e di prevenzione degli incendi; la lezione che può ricavarsi dall'evento merita, secondo l'interrogante, di essere maggiormente considerata sotto il profilo dell'insufficienza delle norme vigenti ovvero dei difetti nella loro applicazione;
   Aeroporti di Roma, in stretto collegamento con ENAC, ha comunicato nella giornata del 13 maggio 2015 che dalle analisi effettuate risulta che i valori di riferimento dell'inquinamento causato dall'incendio sono nettamente al di sotto dei livelli nazionali ed internazionali permissibili. Tuttavia il sindacato parla di «continue segnalazioni di malori in servizio, certificati medici allarmanti» provenienti dai lavoratori del Terminal 3, nonché di «documenti che lasciano comprendere una situazione ancora molto grave»;
   va anche sottolineato che sia il sindaco di Roma, Marino, che quello di Fiumicino, Montino, hanno parlato «atteggiamento di deregulation finalizzata esclusivamente a fare cassa da parte del gestore aeroportuale». A tal proposito è opportuno segnalare che, per limitarsi ai soli giorni successivi all'incendio, sono avvenuti diversi fatti anomali:
    a) un carrello ha schivato per poco un aereo andandosi a schiantare contro un'autobotte in sosta, con il ferimento di un addetto e lo sversamento di 500 litri di carburante in pista proprio sotto l'aereo;
    b) un guasto al radar nella giornata del 15 maggio con conseguenze pesanti su Fiumicino e tutta l'area del traffico aereo che insiste sull'Italia centrale;
    c) una rapina avvenuta all'interno dell'aeroporto (18 maggio), ai danni della filiale della Banca Intesa, nella zona dell'area tecnica Alitalia; uno dei rapinatori aveva una divisa simile a quella dei piloti –:
   se non ritenga che questo episodio assai grave, assieme agli altri eventi segnati, evidenzino l'esistenza di una situazione problematica all'interno dell'intera struttura aeroportuale, che non può essere liquidata con delle mere responsabilità personali di un gruppo di operai, ma potrebbe essere imputata ad un'errata impostazione dell'intera gestione;
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, avviare uno specifico accertamento sull'efficienza dei sistemi antincendio presso l'aeroporto di Fiumicino;
   se non ritenga che quanto esposto in premessa rischi di danneggiare l'immagine del Paese, in quanto colpisce un aeroporto che oggi occupa l'ottavo posto fra gli scali europei e che sta realizzando progetti ambiziosi quali il molo C, le nuove aree di imbarco E ed F, e addirittura il progetto Fiumicino Due;
   quali misure intenda eventualmente adottare per verificare lo stato e rafforzare il livello di sicurezza a Fiumicino e negli altri aeroporti italiani;
   quanto tempo occorrerà per la integrale bonifica del Terminal 3 e quali iniziative intenda adottare per il ripristino dell'operatività degli esercizi commerciali danneggiati scongiurando ripercussioni negative sull'occupazione.
(2-00983) «Piso».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i servizi di collegamento con le isole minori Egadi ed Eolie, fondamentali per garantire il diritto alla mobilità delle persone sancito dall'articolo 16 della Costituzione, sono da anni carenti ed inadeguati;
   pochi giorni fa, precisamente l'11 maggio alle ore 14,00, il traghetto Cossyra partito da Trapani e diretto a Pantelleria ha potuto imbarcare solo 30 passeggeri perché, come spesso già accaduto, ha dovuto trasportare carburante sull'isola al posto della motonave Lipari dell'Agip;
   anche il traghetto in partenza da Pantelleria l'11 maggio alle ore 23,00 ha potuto imbarcare solo 30 passeggeri perché ha dovuto trasportare le autocisterne vuote dopo il rifornimento di carburante;
   l'utilizzo del traghetto passeggeri per far fronte ad alcune necessità, come in questo caso, è stato disposto dalla regione siciliana che, per il trasporto passeggeri, conta sull'altro traghetto della Compagnia delle Isole. Quando questo traghetto, per maltempo, guasto tecnico, visite del RINA e della capitaneria di porto non salpa, i passeggeri rimangono bloccati a terra;
   il traghetto passeggeri «Pietro Novelli» che doveva salpare da Trapani alle 23 dell'11 maggio 2015 ha avuto un guasto, così, dopo aver proceduto all'imbarco ed aver iniziato la navigazione, è stato costretto a tornare al porto, senza avvertire i passeggeri che, nella maggior parte dei casi, si sono accorti dell'accaduto solo al loro risveglio il giorno seguente;
   la situazione non si è sbloccata neanche con l'intervento del sindaco di Pantelleria che ha chiesto alla regione di poter effettuare un viaggio straordinario per il traghetto Cossyra perché tale traghetto doveva essere utilizzato per fare i controlli sanitari ai migranti sbarcati a Trapani e poi il giorno seguente non poteva imbarcare più di 30 passeggeri per poter trasportare l'ossigeno per l'ospedale;
   non è accettabile che alcuni cittadini siano vittime costanti di disagi e disservizi del genere, che le merci imbarcate spesso marciscano perché non vengono rispettati i tempi di consegna, che i viaggi siano effettuati con navi vetuste e inadeguate, che impiegano quasi sette ore a fronte di un percorso di appena ottanta miglia. Questo, oltre ad essere oltraggioso nei confronti dei cittadini panteschi, crea un ostacolo insormontabile per lo sviluppo dell'economia e del turismo dell'isola –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle condizioni dei servizi di collegamento con le isole minori quali Egadi ed Eolie, della frequenza con cui vengono annullati i viaggi o ridotto il numero dei passeggeri imbarcabili, dell'inadeguatezza dei mezzi utilizzati e in genere dei costanti disagi che vivono i cittadini panteschi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto per migliorare i servizi di collegamento con le isole minori per garantire, in primo luogo, il diritto alla libera circolazione delle persone sancito dalla Costituzione e, in secondo luogo, per facilitare piani di sviluppo economico e turistico in queste isole. (4-09278)


   CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalla metà degli anni ’80 e fino al 2008 l'asse tangenziale di Bologna è stato interessato da ingenti volumi di traffico, autostradale e non, che ha reso inadeguata l'infrastruttura e addirittura paralizzata nelle ore di punta e nei periodi di esodo per le vacanze e le festività. Nel tempo sono state avanzate da più parti diverse ipotesi di soluzione, compresi allargamenti, interramenti e sopraelevazioni, tutte arenatesi di fronte a problemi tecnici ed economici;
   il potenziamento del sistema autostradale/tangenziale di Bologna è stato inserito nell'elenco delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo e, in particolare, la realizzazione dell'infrastruttura «passante nord di Bologna» è stata ufficializzata, nel 2002, dall'accordo dell'8 agosto, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna ed il comune di Bologna, che prevedeva la realizzazione di un semianello autostradale di 40 chilometri a 3 corsie nella pianura a nord di Bologna tra l'A1 e l'A14 come soluzione degli annosi problemi di traffico veicolare sul nodo bolognese. Questo semianello viene denominato «passante autostradale nord di Bologna» o più semplicemente «passante nord di Bologna». L'opera viene decisa al di fuori degli strumenti urbanistici vigenti (PRIT 1999-2010), senza alcuno studio di fattibilità, né discussione preliminare negli organi istituzionali preposti. Si rende pertanto evidente che il passante non nasce da una pianificazione territoriale;
   dal 2008, anno in cui è stata inaugurata la terza corsia dinamica (diurna) autostradale è stata risolta la maggior parte dei problemi sull'A14, mentre sulla tangenziale complanare la situazione critica è rimasta pressoché invariata, malgrado la diminuzione di traffico riscontrata negli ultimi anni;
   anche prima del 2002 erano circolati vari progetti per risolvere la congestione del nodo viario bolognese, tutti lasciati cadere per vari motivi. Dal 2002, anno di nascita del passante nord, ad oggi sono stati presentati 3 progetti alternativi: il passante sud (2003), la banalizzazione completa dell'asse tangenziale senza passante (2003), entrambi respinti dallo studio di fattibilità dell'aprile 2003, e la proposta del Comitato per l'alternativa al passante nord presentata nell'aprile 2004, tuttora in campo e più che mai di attualità. Quest'ultimo progetto riguarda un'alternativa tecnicamente realizzabile di allargamento autostradale in sede, che consentirebbe di completare l'intervento «tampone» della terza corsia dinamica del 2006/2008, aggiungendo l'indispensabile corsia di emergenza e allargando di una corsia anche la tangenziale, il tutto ad un costo stimato di gran lunga inferiore al passante nord, anche nella «economica» versione 2014, e tempi di realizzazione di 3-4 anni contro più di 10;
   da quanto si rileva anche da atti di sindacato ispettivo e di indirizzo già presentati (si veda la «RISOLUZIONE IN COMMISSIONE N. 7/00200 – presentata il 10 dicembre 2013), è stata avviata una procedura di infrazione da parte delle Unione europea, in merito all'affidamento diretto senza gara dell'opera alla Concessionaria Autostrade per l'Italia spa, successivamente archiviata a seguito di precisi impegni del Governo italiano sul carattere ausiliario dell'opera, sulla permanenza dell'A14 al centro dell'asse tangenziale, sull'immutabilità delle tariffe e della data di scadenza della concessione, sull'applicazione delle norme europee in materia di appalti pubblici;
   nel 2013, rispondendo ad una interrogazione alla Camera, il Sottosegretario pro tempore Rocco Girlanda dichiarava tra l'altro: sono ancora in corso approfondimenti sul tracciato nelle sedi istituzionali, al fine di individuare una soluzione condivisa; prosegue l'esame di tutte le possibili soluzioni ivi compresa la cosiddetta «opzione 0», ovverosia la possibilità di non realizzare l'opera, e la valutazione di tutte le posizioni espresse sulla questione, ivi compreso lo studio del progetto alternativo «Comitato per l'alternativa Passante Nord», fatto salvo il confronto degli impatti delle alternative progettuali nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale;
   il 29 luglio 2014, è stato sottoscritto un accordo per la più recente versione del passante nord, da parte di: Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Lupi, assessore regionale Emilia-Romagna A. Peri, vicepresidente della provincia di Bologna G. Venturi, Autostrade per l'Italia spa (ASPI). Tale versione del passante nord è una bretella autostradale a sole due corsie, invece delle tre del progetto originario, con una lunghezza di 38 chilometri (+ 17 chilometri rispetto al tracciato attuale), al costo stimato di oltre 1.500 milioni di euro, che manterrà il tratto autostradale A14 al centro della tangenziale di Bologna, senza la completa banalizzazione delle corsie prevista nel 2003, ma con un pericoloso sistema di porte di scambio traffico tra autostrada e tangenziale e viceversa (bypass) allo scopo di sfruttare tutte le corsie agibili a seconda delle condizioni di traffico e a discrezione degli utenti. Per costringere il traffico di passaggio a percorrere il passante vengono introdotti sull'asse tangenziale sovrapedaggi per chi esce ed entra ai caselli di Bologna, cioè principalmente i cittadini bolognesi, e limiti di velocità per equiparare i tempi di percorrenza dei due tracciati. Secondo lo studio ASPI del 2013, tale progetto allontanerebbe da Bologna meno del 20 per cento di traffico, indurrebbe un uso improprio della rete stradale ordinaria, peggiorerebbe la situazione sull'A14, porterebbe modesti miglioramenti al traffico della tangenziale complanare, avrebbe un fortissimo impatto ambientale su un territorio pregiato, comporterebbe una maggiore emissione in atmosfera di gas-serra e inquinanti, ed un insufficiente rapporto costi/benefici complessivo;
   l'accordo 2014 citato si regge a malapena solo negando l'esistenza di qualsiasi progetto alternativo valido, come quello denominato del «Comitato per l'alternativa al passante nord». Appare comunque molto arduo sostenere l'ingente drenaggio di risorse per un'opera che, oltre alla mancanza di funzionalità rilevata dallo studio ASPI 2013, comporterebbe un impatto ambientale devastante, analogo a quello del progetto originario del 2004, e inciderebbe su un territorio agricolo particolarmente pregiato, distruggendo fisicamente circa 700 ettari (comprese fasce di rispetto e interclusioni) e danneggiandone altri 8.000, come si rileva dallo studio effettuato dalla provincia di Bologna nel novembre 2004. Il tracciato, completamente in rilevato, ad una altezza media pari a 3,70 metri, richiederebbe un prelievo di materiale di cava di oltre 3,8 milioni di metri cubi di inerti. A pesti risultati improponibili si aggiungono aumenti del consumo energetico (+ 25.000 TEP/anno) e dell'inquinamento (+75.000 ton/anno di CO2) a causa del maggior percorso, una devastazione della rete viaria minore, dell'assetto poderale e del reticolato di scolo, almeno pari a quelli, insostenibili, del passante 2003;
   il progetto del passante nord, cosiddetto nuova autostradale esterna, sollevò fin dall'inizio e da più parti, aspre critiche per il tracciato che si affiancava quasi completamente all'asse viario della trasversale di pianura (SP 3) iniziato nei primi anni ’70 e mai completato che, con altre opere viarie minori rimaste incompiute nel quadrante nord di Bologna, doveva costituire il reticolo portante della mobilità bolognese;
   il citato accordo 2014 non è stato firmato dai sindaci dei comuni della pianura-nord attraversati dal passante che, presa conoscenza dei suoi Contenuti e della relazione di ASPI che ne stronca l'utilità, hanno preso le distanze dal progetto e richiesto una serie di approfondimenti, firmando un apposito documento il 25 gennaio 2015;
   tutte le associazioni agricole professionali (CIA, Coldiretti e Confagricoltura), concordemente, hanno preso posizione contraria al passante e aperto a soluzioni alternative in sede, per evitare lo spreco improponibile di terreno agricolo pregiato, firmando un documento unitario il 9 gennaio 2015;
   in tutti consigli comunali della cintura nord, nel gennaio 2015, dopo anni di silenzio, si è aperta la discussione con sedute straordinarie chieste dalle minoranze e dal Comitato per l'alternativa al passante, che hanno offerto l'occasione ai consiglieri di un primo vero confronto tra la soluzione passante nord e la proposta alternativa di potenziamento in sede del nostro Comitato, e un approfondimento dei contenuti dell'accordo del 29 luglio 2014;
   l'interrogante evidenzia che all'articolo 14 dello schema di convenzione tra ANAS e ASPI, spa viene consentito a quest'ultimo soggetto di poter utilizzare le risorse indicate alla voce «altri interventi», per finanziare un generico adeguamento e potenziamento della rete autostradale del nodo bolognese, che, pertanto, non risultano esclusivamente vincolate alla realizzazione del cosiddetto «passante nord». È l'accordo del 29 luglio 2014 che, negando l'esistenza di soluzioni alternative, le destina interamente al passante;
   tre comuni, Castenaso, Sala Bolognese e, Bentivoglio, sono andati oltre il documento del 25 gennaio 2015 e, con voto unanime del consiglio comunale, hanno detto «no» al passante nord in qualsiasi versione e aperto a soluzioni alternative;
   in un articolo uscito domenica 10 maggio su il Resto del CarlinoBologna cronaca, sono denunciate le criticità dell'opera, rilevate, come sopra esposto, anche dalla stessa ASPI. Inoltre si evidenzia che la stima dei costi del passante non risulta coperto da adeguate risorse finanziarie, con particolare riferimento alle criticità idrografiche e di subsidenza che comporterebbero variazioni significative di prezzo a carico degli enti locali;
   l'interrogante ritiene indispensabile mantenere comunque le risorse sul territorio e risolvere i problemi della tangenziale di Bologna, senza tasse locali extra e spreco di territorio –:
   se il Ministro intenda adottare tutte le opportune iniziative per dirottare le risorse economiche previste nell'accordo di luglio 2014 ad una soluzione diversa dal passante nord, meno dispendiosa, più funzionale, più veloce e coerente alle esigenze del territorio, valutando la proposta alternativa di potenziamento in sede del tracciato attuale presentata dal Comitato per l'alternativa al passante nord, ritenuta valida da più parti e giudicata tecnicamente realizzabile da istituzioni qualificate al massimo livello, che comporterebbe l'allargamento in sede dell'asse tangenziale di Bologna a 3+3 corsie per senso di marcia con emergenza, completando l'intervento parziale in A14 del 2008, al costo stimato della metà rispetto a quello per passante 2014 e tempi di realizzazione di 3-4 anni anziché 10-12;
   se il Ministro non ritenga opportuno utilizzare le restanti risorse del finanziamento ASPI di 1.280 milioni di euro per il completamento delle opere viarie minori, indispensabili per la mobilità del quadrante nord di Bologna ed il potenziamento del trasporto pubblico su ferrovia. (4-09282)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LACQUANITI e RAGOSTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una guardia particolare giurata al momento del rilascio dei titoli effettua un giuramento di fedeltà alla nazione, alle sue leggi e al suo Capo dello Stato, il quale recita: «Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana e al suo capo, di osservare lealmente le leggi dello stato e di adempiere le funzioni affidatemi con coscienza e diligenza e con l'unico intento di perseguire il pubblico interesse»;
   il giuramento prestato da una guardia particolare giurata è il medesimo che prestano gli appartenenti alle forze dell'ordine e armate nonché tutti coloro che devono esercitare dei pubblici poteri o delle pubbliche potestà;
   attualmente, a livello giuridico, la figura delle guardie particolari giurate si colloca a metà strada tra il privato cittadino e gli agenti delle forze di polizia;
   la disciplina vigente materia di sicurezza è disciplinata dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e successive modificazioni e integrazioni;
   la Corte europea con sentenza del 13 dicembre 2007 sulla causa C-465/05, ha imposto uno svecchiamento dell'impianto legislativo attuato dal Ministero dell'interno tramite il decreto ministeriale n. 269 del primo dicembre 2010;
   per l'articolo 358 del codice penale «agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale;
   le guardie particolari giurate assolvono diversi ruoli e di natura diversa tra loro:
    a) un servizio di pubblica utilità sostituendo sempre più spesso le forze dell'ordine nel controllo degli obiettivi sensibili, quali le strutture aeroportuali e portuali, gli uffici pubblici, le strutture sanitarie, i tribunali;
    b) sono sempre più presenti nelle attività commerciali quali banche, supermercati, ospedali, centri commerciali, aeroporti, porti, trasporto valori;
   da questa duplice accezione nasce un disagio che da anni investe una categoria di lavoratori diventata un vero corpo al servizio dei cittadini, in stretta collaborazione alle forze dell'ordine – si veda il progetto denominato «mille occhi sulla città» – e in particolare questo riguarda il mancato riconoscimento di una specifica funzione che ne attesti uno specifico status giuridico;
   in particolare il susseguirsi di modifiche alla normativa non ha mai condotto ad una vera e propria riforma della legislazione che regolamenta il settore, di cui ora si sente la necessità –:
   se ed in quale modo intenda provvedere al fine di realizzare un riconoscimento giuridico di status, poteri e funzioni nei confronti della categoria indicata e ad una riforma strutturale dell'impianto normativo riguardante il settore lavorativo della vigilanza privata. (4-09269)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 maggio scorso l'imprenditore Saverio De Martino, 69 anni, è stato arrestato nella sua abitazione al Lido di Venezia su disposizione della procura di Catanzaro nell'ambito di una inchiesta sulle cosche calabresi Iannazzo e Cannizzaro e contro quelle contrapposte dei Carra, Torcasio e Gualtieri;
   nel corso dell'operazione, sono state emesse 44 ordinanze di custodia cautelare nella sola zona di Lamezia Terme;
   i destinatari delle misure cautelari sono accusati di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, danneggiamento e detenzione illegale di armi ed esplosivo;
   Saverio De Martino, originario di Lamezia Terme, ma residente al Lido fin dagli anni ’90, è noto per la sua attività nel settore edile e dell'intermediazione immobiliare;
   De Martino si è occupato della ristrutturazione dell’hotel Excelsior del Lido di Venezia, dove lo scorso anno si è verificato un incendio sul quale la magistratura sta indagando;
   il figlio Antonio De Martino, che non è indagato, è il titolare della società Venice Top Management, che si è aggiudicata la gestione di prestigiosi stabilimenti balneari come Excelsior Des Bain e Quattro Fontane, e svolge attività imprenditoriali a Venezia;
   Saverio e Antonio De Martino sono contitolari della «De Martino costruzioni srl» che opera nel settore immobiliare a Venezia;
   dalle indagini emergerebbe che i principali collaboratori di giustizia della zona di Lamezia avrebbero parlato di De Martino come di un soggetto in stretti legami personali ed economici con la cosca Iannazzo;
   secondo gli inquirenti, Pietro Iannazzo, figlio di Francesco Iannazzo ferito nel 1992 in un agguato di mafia, sarebbe stato dipendente agli inizi del 2000 della «De Martino srl» e risulterebbe essere stato in contatto diretto con l'imprenditore Saverio De Martino;
   secondo i collaboratori di giustizia De Martino avrebbe fornito appoggio esterno da Venezia alla cosca Iannazzo costituendo una testa di ponte in laguna per la criminalità organizzata;
   queste notizie confermano la presenza in Veneto di imprenditori, in particolare del settore edile, con forti relazioni con la criminalità organizzata e testimoniano la volontà delle cosche di entrare nell'economia locale per espandere il loro controllo sul territorio veneto;
   dalle intercettazioni usate per le indagini è emerso inoltre un altro fronte che ha portato al provvedimento di fermo per ulteriori 50 indagati con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva a cui si aggiungono altri 27 indagati;
   in una recente telefonata lo stesso Pietro Iannazzo avrebbe fatto emergere il complesso intreccio di interessi tra due distinte organizzazioni criminali rispetto ai campionati di calcio di serie D e Lega Pro;
   dalla ricostruzione dei magistrati le cosche, grazie all'influenza su moltissimi personaggi del mondo del calcio elargivano cospicue somme per pilotare l'esito delle partite con conseguenze notevoli anche nel mondo delle scommesse;
   la vicenda ha coinvolto diverse società sportive, 4 presidenti, 11 dirigenti sportivi, 12 calciatori, 2 allenatori, consulenti di mercato delle squadre e persino molti scommettitori dell'est europeo e russi;
   l'inchiesta ha portato anche all'arresto di Emanuele Marzocchi, da alcuni mesi centrocampista del Thermal Calcio Abano Teolo, mentre la società non risulta coinvolta;
   anche questo filone dell'indagine costituisce l'ulteriore conferma dell'allarme più volte lanciato dagli scriventi circa la capacità sempre più raffinata della criminalità organizzata di costruire sofisticati meccanismi per riciclare denaro di provenienza illecita nei più diversi settori;
   la vicenda solleva forti preoccupazioni per la fitta rete di soggetti coinvolti e per grande quantità di fondi illeciti immessi dalle organizzazioni criminali nel mondo dell'imprenditoria e dello sport –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   in che modo il Ministro intenda intervenire, per gli aspetti di competenza, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per prevenire il ripetersi di simili fenomeni e contrastare la presenza della criminalità organizzata in Veneto.
(4-09273)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   SDA Express Courier, azienda del gruppo Poste Italiane, è il partner unico per la gestione logistica, distributiva, l’e-commerce e per la vendita a distanza;
   un network radicato sull'intero territorio nazionale consegna ogni giorno migliaia di spedizioni in oltre 200 Paesi nel mondo, grazie ad una squadra di oltre 4.000 persone tra dipendenti e collaboratori e circa 4.500 mezzi che collegano l'Italia quotidianamente;
   si apprende dalla stampa che mentre i facchini SDA dei magazzini romani di via di Corcolle erano in stato di sciopero — in solidarietà con i lavoratori dell’hub di Bologna sotto licenziamento — e dopo la rottura dell'ennesimo tavolo di trattativa, «una squadraccia di una decina di driver e crumiri, capeggiata da un responsabile Sda ed un padroncino, entrambi noti fascisti, ha attaccato il presidio con manganelli telescopici, bottiglie e caschi»;
   sempre dall'articolo stampa si apprende «Impassibile la reazione delle due volanti della polizia presenti sul posto già dalle prime ore del mattino. L'attacco, visibilmente premeditato, ha colto di sorpresa il picchetto causando il grave ferimento di 4 facchini — trasportati d'urgenza al pronto soccorso — e alcune lesioni per molti dei solidali accorsi in sostegno» –:
   se la descrizione sopra riportata corrisponda al vero e, nel caso, quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di evitare il ripetersi di simili eventi, nel rispetto del diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. (4-09276)


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che il 28 aprile di ogni anno il rettore della chiesa di San Gaetano alle Grotte di Catania celebra una messa in suffragio di Benito Mussolini;
   anche quest'anno si è tenuta la celebrazione, l'annuncio è apparso sulle pagine del più noto quotidiano cittadino, «La Sicilia», e la notizia è stata amplificata dai social network;
   sono state infatti centinaia le condivisioni in rete del trafiletto che annunciava la messa con «onore e fedeltà» al dittatore, definito con un più politicamente corretto «già capo del governo»;
   pare che durante la cerimonia sia stato detto che Mussolini era una brava persona, magnanimo e giusto «come Federico II di Svevia»: «Benito ha solo commesso alcuni errori, come le leggi razziali e la guerra. Ma sono errori che tutti possiamo fare», avrebbe declamato il sacerdote nel corso dell'omelia, che risuona nella piccola chiesa insieme alle critiche all'attuale Governo, alle banche, a una Italia che «è un Paese sotto la dittatura della prostituzione della finanza»;
   il sacerdote avrebbe affermato: «Ho fatto il sogno di questi personaggi impiccati all'Altare della patria», riferendosi agli attuali componenti del Governo. Risate, all'interno della chiesa, avrebbero sottolineato l'eccessivo trasporto del sacerdote;
   molte delle persone che partecipano alla cerimonia portano la croce celtica al collo, tra loro molti volti dell'estrema destra catanese, a cominciare dall'avvocato Francesco Condorelli Caff, segretario regionale del partito Fiamma Tricolore, che ha richiesto la messa in suffragio;
   dalla fine della cerimonia alcuni partecipanti si sono esibiti nel saluto romano, com’è documentato nell'articolo, con relativa foto, apparso sul quotidiano La Sicilia del 29 aprile 2015, cronaca di Catania;
   come sottolineato anche da un esposto dell'ANPI di Catania alla procura generale di Catania, tale manifestazione di fede fascista è in contrasto con quanto disposto dall'articolo 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, altrimenti nota come legge Scelba, che prevede che «chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 di lire»;
   inoltre l'articolo 4 della legge 25 giugno 1993 n. 205, meglio nota come legge Mancino, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000 «chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei gravi fatti suesposti e quali eventuali iniziative per quanto di competenza intenda adottare in merito. (4-09277)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è iniziato nei giorni scorsi uno sciopero dei lavoratori della Fincantieri di Porto Marghera finalizzato ad ottenere il rinnovo del contratto aziendale e a respingere la proposta dell'azienda di tagli allo stipendio;
   ma a far discutere non è tanto la manifestazione che si è svolta, quanto la nota diffusa dall'azienda stessa che attacca sia i sindacati che le forze dell'ordine;
   in particolare la direzione di Fincantieri accusa la questura di «tutelare il picchettaggio, cioè l'atto vietato dalla legge di impedire ai lavoratori di varcare la soglia del luogo di lavoro e di non aver fatto nulla, nonostante le reiterate richieste di garantire, attraverso la presenza delle forze dell'ordine l'esercizio del diritto al lavoro per tante persone che non volevano scioperare»;
   l'azienda continua con la minaccia di voler consegnare alla magistratura le richieste di intervento preventivamente inoltrate alla Digos perché si verifichi l'eventuale sussistenza di condotte omissive da parte delle forze dell'ordine le quali, vengono descritte come «tutori del disordine»;
   parole pesanti cui è immediatamente seguita una nota del questore il quale chiarisce, sin dalle prime righe, che le forze dell'ordine non parteggiano per nessuno ma erano presenti sul luogo della manifestazione: «rispettando la legge e garantendo quanto previsto dalla Costituzione. E il diritto allo sciopero è garantito dalla Costituzione». Il capo della questura prosegue sottolineando come: «In questo momento dobbiamo essere molto attenti a non inasprire gli animi in quanto è in corso una trattativa molto difficile e noi dobbiamo, solo, garantire che non si verifichino episodi violenti e illegali (...) senza schierarsi con nessuno»;
   nel comunicato stampa diffuso lo scorso venerdì dal sindacato UGL della polizia di stato si legge testualmente: «Nessuna smentita o chiarimento è arrivato da chi ha accusato, in maniera ingiustificata, le forze dell'ordine di essere "tutori del disordine" e quindi, a questo punto, ci sentiamo in dovere di intervenire per difendere i nostri colleghi e il loro operato. Non si era mai vista a Venezia una cosa simile, leggere accuse pubbliche contro il lavoro della polizia siamo abituati, ma quando queste accuse pesanti provengono da vertici di un'azienda controllata a maggioranza statale, la cosa assume un altro aspetto. Stiamo assistendo ad una "guerra" all'interno dello stato, una cosa che riteniamo di una gravità unica. Anche in questa occasione le forze dell'ordine, l'anello più debole e maggiormente esposto ai problemi della piazza, vengono attaccate e criticate» –:
   di quali informazioni, rispetto ai fatti esposti in premessa, siano a conoscenza i Ministri interrogati;
   quali iniziative, per le parti di competenza, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dello sviluppo economico, ritengano opportuno adottare al fine di addivenire ad una soluzione positiva della vicenda inerente (il rinnovo del contratto aziendale che prevede tagli significativi dello stipendio avanzati nella bozza da Fincantieri;
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di adottare il Ministro dell'interno al fine, innanzitutto di verificare quali accuse concrete vengono mosse da Fincantieri agli agenti presenti a Porto Marghera, e quali strumenti intende porre in essere per tutelare il lavoro e la dignità lavorativa delle forze dell'ordine impegnate, ogni giorno, a far tutelare la legge e far rispettare la Costituzione e che, spesso, troppo spesso, si trovano ingiustamente accusate solo perché indossano una divisa ed incarnano lo Stato nel territorio. (4-09283)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto appreso da notizie di stampa, a Pisa 25 studenti dell'istituto Santoni sono stati sospesi o sono stati oggetto di altre sanzioni disciplinari da parte della dirigenza scolastica, con l'accusa di «danno alla proprietà pubblica», per aver cancellato i codici identificativi dai fogli delle prove INVALSI del 12 maggio 2015, in occasione delle proteste contro il disegno di legge «La Buona Scuola»;
   la cancellazione dei codici identificativi delle prove, di fatto, non comporta alcun danno né di tipo economico, né di tipo fisico o di tipo etico nei confronti della scuola pubblica o della dirigenza scolastica;
   la protesta contro le prove INVALSI ha coinvolto, secondo alcuni dati, circa un quarto della popolazione studentesca nazionale. Peraltro, da tempo ormai, la popolazione studentesca, il corpo docente e le famiglie chiedono una profonda revisione delle modalità di valutazione della preparazione degli studenti, rimanendo per lo più inascoltati;
   la sospensione degli studenti di Pisa potrebbe risultare, pertanto, come un atto puramente ritorsivo e per nulla educativo, che non tutela il diritto democratico all'esercizio della critica e della protesta, che dovrebbe essere, invece, garantito, soprattutto in una istituzione democratica e costituzionalmente riconosciuta, come è la scuola pubblica statale italiana –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se questi trovino conferma;
   se ritenga corrette le misure adottate dalla dirigenza scolastica o se, al contrario, non le ritenga ingiustificate e lesive dei diritti degli studenti;
   quali iniziative intenda adottare per garantire il libero diritto di critica degli studenti. (4-09290)


   SGAMBATO, GIORGIO PICCOLO, BOSSA, GINOBLE, SCUVERA, SBROLLINI, VALIANTE, GIOVANNA SANNA, MAGORNO, ERMINI, SALVATORE PICCOLO, TINO IANNUZZI, PES, MANFREDI, FREGOLENT, MANZI, MARCHI, LACQUANITI, CARLONI, D'OTTAVIO, RAMPI, NARDUOLO, FEDI, GHIZZONI, ROSTAN, VERINI, PAOLA BOLDRINI, CAMANI, PILOZZI, ROCCHI e MURA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'università degli studi dell'Aquila con decreto rettorale n. 1044/2009 aveva reso noto che, si erano liberati quarantadue posti per gli anni di corso successivi al primo, per i corsi di laurea in odontoiatria per l'anno accademico 2009/2010;
   molti studenti quindi, dopo aver frequentato i primi anni del corso di laurea in medicina, farmacia e medicina dentaria – specializzazione medicina dentaria presso l'università dell'Ovest «(...)» di Arad (Romania), chiedevano l'iscrizione agli anni di corso successivi al primo presso l'università degli studi dell'Aquila;
   conseguentemente ottennero il trasferimento all'università dell'Aquila, e vennero regolarmente immatricolati cominciando a svolgere tutte le attività didattiche;
   il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il 26 ottobre 2009 con una nota, rilevava che la procedura delineata dall'università degli studi dell'Aquila per l'ammissione agli anni di corso successivi al primo di studenti già iscritti e frequentanti università di altri Paesi dell'Unione europea si ponesse in contrasto con le previsioni di cui alla legge 2 agosto 1999, n. 264 («Norme in materia di accessi ai corsi universitari»);
   pertanto, con un provvedimento del 6 novembre 2009 il rettore dell'università degli studi dell'Aquila, ritenuto doveroso accogliere l'invito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disponeva l'annullamento dei decreti di immatricolazione adottati alcuni mesi prima e quindi l'iscrizione di tutti gli studenti proveniente da Università di Paesi comunitari ai quali in precedenza aveva accordato l'iscrizione;
   certamente questa scelta ha determinato gravi effetti sulla situazione degli studenti che si erano avvalsi di tale possibilità;
   tutti gli studenti interessati dal provvedimento di cancellazione ne hanno poi chiesto l'annullamento: taluni con ricorso giurisdizionale al Tar del Lazio, taluni altri con ricorso al Tar dell'Abruzzo, altri ancora con ricorso straordinario al Capo dello Stato;
   in molti casi i tribunali amministrativi hanno accolto tali domande, il che ha permesso agli studenti – che erano stati «matricolati» dall'università italiana – di proseguire negli studi;
   il Ministero dell'università, dell'istruzione e della ricerca e l'università dell'Aquila hanno proposto sempre appello avverso le varie sentenze rese dai Tar del Lazio e dell'Abruzzo;
   il Consiglio di Stato, in alcuni ricorsi, ha già accolto le tesi sostenute dalle amministrazioni appellanti: in alcuni casi si è già pronunciato nel merito, in altri si è pronunciato sulle istanze cautelari; per i destinatari delle sentenze e delle ordinanze del Consiglio di Stato, la situazione allo stato è questa: di avere svolto un percorso di studi privo di base giuridica e di non poterlo quindi proseguire perché l'università impedisce ai ragazzi di sostenere gli esami;
   altri vincitori in primo grado, ma destinatari di atto di appello privo dell'istanza di sospensione della sentenza, sono invece nella situazione di potere proseguire gli studi, ma sotto la spada di Damocle del pronunciamento del Consiglio di Stato che potrebbe vanificare tutti i loro sforzi, annullando il loro percorso di studi;
   gli studenti che, a suo tempo, invece di proporre ricorso al Tar, hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, vincendolo, sono in una posizione inattaccabile, tenuto conto che tali provvedimenti – com’è noto – hanno carattere definitivo;
   la questione è stata oggetto già di attenzione del Parlamento con l'interrogazione Bossa (n. 5-00695);
   recentemente, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi in tema di trasferimenti dall'estero e con la sentenza n. 1 del 2015 ha statuito come il superamento del test selettivo non debba essere considerato come elemento discriminante ai fini dell'accoglimento delle domande di trasferimento ad anni successivi al primo;
   la sentenza pare, quindi, abbia chiuso un'annosa vicenda e ha dettato un principio che sempre abbia posto fine ai contrasti che si sono succeduti nel tempo;
   il predetto giudicato lascia comunque ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni interessate in quanto rimette alla potestà regolamentare dei singoli atenei la fissazione dei criteri di accoglimento e graduazione delle domande –:
   con quali iniziative di propria competenza intenda intervenire in considerazione della sentenza citata in premessa al fine di evitare per il futuro il ripetersi di queste situazioni inammissibili e intollerabili, assicurando parità di trattamento a tutti gli studenti. (4-09292)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013 (pubblicata sulla GUE Serie C 120/2013 del 26 aprile 2013) , sull'istituzione di una «Garanzia per Giovani», invita tutti gli Stati membri ad assicurare ai giovani con meno di 25 anni, entro 4 mesi dall'uscita dal sistema di istruzione formale o dall'inizio della disoccupazione, un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione;
   il 2014 è stato l'anno di avvio della Youth Guarantee, programma europeo per favorire l'avvicinamento dei giovani al mercato del lavoro e l'innalzamento occupazionali;
   si tratta di un percorso che prevede una serie di misure volte a facilitare la presa in carico dei giovani tra 15 e 25 anni per offrire loro opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro;
   il «Piano italiano di attuazione della garanzia per i giovani» è stato predisposto dalla struttura di missione, istituita presso Ministero del lavoro e delle politiche sociali composta dai rappresentanti del Ministero e delle sue agenzie tecniche – ISFOL e Italia Lavoro – del MIUR, del MISE, del MEF, del dipartimento della gioventù, dell'INPS, delle regioni e delle province autonome, delle province e Unioncamere;
   il piano è stato condiviso con le parti sociali, le associazioni di giovani, il terzo settore;
   il piano italiano prevede un sistema universale di informazione e orientamento a cui giovane accede registrandosi attraverso vari punti di contatto: il sito www.garanziaperigiovani.it (in fase di realizzazione), il portale Cliclavoro, portali regionali, i servizi per l'impiego e altri servizi competenti, sportelli ad hoc aperti presso gli istituti di istruzione e formazione;
   dopo la registrazione e un primo colloquio nella fase di accoglienza, ai giovani verrà indicato un percorso di orientamento individuale destinato a definire un progetto personalizzato di formazione o lavorativo/professionale;
   il piano italiano intende offrire ai giovani l'opportunità di un colloquio specializzato da parte di orientatori qualificati che preparino i giovani all'ingresso nel mercato dei lavoro con percorsi di costruzione del curriculum e di autovalutazione delle esperienze e delle competenze;
   ai giovani in possesso dei requisiti viene offerto un finanziamento diretto per accedere ad una gamma di possibili percorsi, tra cui: l'inserimento in un contratto di lavoro dipendente, l'avvio di un contratto di apprendistato o di un'esperienza di tirocinio, l'impegno nel servizio civile, la formazione specifica professionalizzante e l'accompagnamento nell'avvio di una iniziativa imprenditoriale o di lavoro autonomo. Nelle Marche la regione ha attivato tutte le misure previste da Garanzia Giovani. Oltre 29 milioni di euro destinati a circa 12 mila giovani;
    i Neet marchigiani sono 46.793, dei quali il 52 per cento non cerca nemmeno occupazione: dati, parlano anche di 11.600 disoccupati di lunga durata e 10.000 privi di un'esperienza lavorativa. Si tratta, in prevalenza, di giovani con un livello medio-alto di istruzione: il 46,4 per cento ha un diploma, il 15,4 per cento una laurea e l'8,1 per cento una qualifica professionale;
   la regione Marche ha dato il via all'attivazione dei tirocini formativi in azienda, concretizzando così la possibilità per i ragazzi che hanno già svolto il colloquio orientativo di svolgere un'attività di tirocinio all'interno di un'impresa per la durata di 6 mesi;
   le risorse finanziarie destinate alle singole misure sono indicate nella convenzione del 9 maggio 2014 stipulata tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la regione;
   l'indennità prevista per i tirocinanti è di 500 euro mensili, che devono essere rimborsati dall'Inps ogni 2 mensilità;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – con nota del 31 luglio 2014 – ha, di fatto, affidato all'INPS  servizio di pagamento dell'indennità di partecipazione per i tirocini attivati nell'ambito del piano «Garanzia Giovani»;
   successivamente è stato approvato lo schema di convenzione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'INPS e le regioni, le province autonome aderenti al Piano, il quale definisce le modalità con cui l'Istituto eroga ai giovani tirocinanti tale indennità di partecipazione, secondo criteri ed i parametri individuati dalle stesse regioni e province autonome;
   nella predetta convenzione, all'articolo 2, si legge che «1. Le risorse finanziarie fissate nel piano di attuazione regionale per il Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani, destinate all'erogazione dell'indefinita di tirocinio, saranno trattenute dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalle somme assegnate alla Regione per l'attuazione del Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani e saranno anticipate all'Inps secondo un piano finanziario da concordare tra l'Inps e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in relazione alle specifiche esigenze di cassa e dall'andamento delle certificazioni;
    2. Le risorse finanziarie da utilizzare per l'intervento saranno anticipate all'INPS dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in versamenti accompagnati da una comunicazione che dia evidenza degli importi di ciascuna regione mediante accreditamento diretto sulla sui conto corrente di Tesoreria centrale n. 20350 (IBAN IT70L0100003245350200020350) intestato a INPS-ART.24-L.21.12.1978,N.343 TESOR. CENTRALE, avendo cura di indicare come causale di versamento: «anticipazione tirocini iog (Regione Puglia)», in modo tale che i predetti dati risultino tutti sulla quietanza di entrata che la Tesoreria centrale della Banca d'Italia rilascerà all'INPS.
    3. L'INPS effettua i pagamenti nei limiti delle risorse finanziarie anticipate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali»;
   nelle Marche i primi tirocinanti di Garanzia Giovani hanno iniziato a settembre;
   ma già a gennaio centinaia di ragazzi segnalavano sui gruppi Facebook di non essere stati ancora rimborsati;
   un'intervista rilasciata alla Repubblica degli Stagisti (la testata che sta seguendo la vicenda), il responsabile del servizio orientamento lavorativo della Cgil Pesaro, Jacopo Cesari, ha dichiarato che: «a gennaio sono finalmente iniziati i pagamenti del primo mese di stage, ma esclusivamente per i primi 300 tirocinanti, che hanno iniziato a ottobre 2014;
   ora si dovrebbe procedere al pagamento del resto dei ragazzi, circa 2700, ma sulle tempistiche di pagamento non c’è nessuna certezza»;
   si tratta di ritardi che si sono verificati, oltre che nelle Marche, anche nel Lazio, in Basilicata ed in Sardegna –:
   quali siano le ragioni del ritardo nei pagamenti delle indennità ai tirocinanti e quali provvedimenti intenda assumere per ovviare alla descritta situazione. (4-09271)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, LOREFICE, CANCELLERI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un Paese che voglia dirsi europeo in un distretto sanitario che coinvolge svariate centinaia di migliaia di residenti la situazione dei posti di rianimazione pediatrica deve rispondere a dei requisiti minimi di posti letto perfettamente funzionali e nel caso raro di emergenze di sovraffollamento della rianimazione pediatrica bisogna mettere in atto delle procedure di contenimento della situazione di «desaster» quali l'eventuale spostamento temporaneo di pazienti in altra unità ospedaliera in considerazione della gravità di nuovi ricoverati ovvero altri tipi di allestimento emergenziale in coordinamento con l'assessorato regionale alla sanità;
   si è avuta contezza da La Repubblica online del primo pomeriggio del 12 febbraio 2015 che «Una neonata è morta nell'ambulanza privata che la stava trasferendo da Catania, dove non c'era nessun posto disponibile di Rianimazione pediatrica, a Ragusa. Sul caso ha avviato un'indagine la polizia di Stato di Ragusa. La piccola era venuta alla luce la scorsa notte in una clinica privata di Catania. Dopo un parto regolare, aveva accusato difficoltà respiratorie. I medici avrebbero invano cercato un reparto ospedaliero specializzato dove trasferirla, ma nessuno ha potuto ricevere la neonata. È stato chiesto allora l'intervento del 118, che ha avviato un monitoraggio nei tre ospedali catanesi deve è presente la Terapia intensiva pediatrica: il Garibaldi, il Santo Bambino e il Cannizzaro. Ma in nessuno dei tre centri era disponibile un letto. L'unico ospedale della Sicilia orientale che ha risposto all'appello è stato quello di Ragusa. Ma la piccola è morta durante il trasporto in ambulanza. (..) Secondo una prima ricostruzione, la neonata sarebbe entrata in crisi respiratoria dopo il parto, avvenuto la notte scorsa regolarmente nella casa di cura Gibiino a Catania. Nella sala erano presenti il ginecologo di fiducia della donna, un anestesista, un rianimatore e un neonatologo. I medici si sono accorti subito della gravità del quadro clinico della piccola e hanno contattato le unità di Terapia intensiva neonatale (Utin) di Catania per trasferire d'urgenza la piccola paziente. Ma erano tutte piene, senza disponibilità di posti. È stato così contattato il 118 che ha cercato e trovato una Utin disponibile nell'ospedale Paternò-Arezzo di Ragusa. La clinica ha quindi provveduto, con un'ambulanza privata, al trasporto della neonata a Ragusa, con al seguito i medici specialisti della struttura privata. Dopo Vizzini, e in territorio della provincia di Ragusa, prima dell'alba, la piccola paziente ha avuto una violenta crisi. I medici a bordo dell'ambulanza hanno tentato di rianimarla, ma la neonata è morta. All'ambulanza sarebbero a quel punto giunte le indicazioni di portare il piccolo corpo nell'ospedale di destinazione, a Ragusa» –:
   se, nell'ambito dell'ispezione in essere il Ministro intenda accertare chiaramente i fatti anche acquisendo tutti gli elementi inerti le ragioni che hanno portato al respingimento della neonata in tre ospedali catanesi valutando se tale gravissimo fatto fosse ineluttabile nonché acquisire elementi in merito all'idoneità della clinica convenzionata con riferimento al parto e al servizio post partum reso. (5-05667)


   GRILLO, BARONI, CECCONI, DI VITA, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, MANNINO, CANCELLERI, VILLAROSA, D'UVA, RIZZO, NUTI, LUPO, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'intesa tra Stato e regioni e province autonome del 5 agosto 2014 sancisce la definizione degli standard qualitativi, strutturali e tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   lo schema di regolamento che disciplina tali standard, approvato nell'ambito della sopracitata intesa, prevede obiettivi e ambiti di applicazione in tutta Italia. In particolare, accoglie quanto previsto dalla legge n. 135 del 2012 che stabilisce, tra l'altro, il rapporto posti/letto (3.7/1000 abitanti), il grado di intensità di ospedalizzazione (160 ricoveri appropriati per 1000 abitanti), la durata media della degenza ospedaliera, e altro;
   l'intesa siglata il 5 agosto 2014 tra Stato e regioni e province autonome genererà il taglio di 400 posti letto in regione Sicilia con la chiusura di otto ospedali come riportato da notizie stampa (dal giornale online Live Sicilia Catania di giovedì 20 novembre e da La Repubblica Palermo on-line del 18 novembre);
   il Consiglio di Stato nell'adunanza del 23 ottobre 2014 ha emesso un suo parere alla direzione generale programmazione sanitaria del Ministero della salute in merito al sopracitato schema di regolamento ed in particolare ha espresso forti dubbi in merito a diversi punti ivi contenuti;
   il Consiglio di Stato ha criticato il contenuto del comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento in quanto si tratta di norme non ben definite e senza un contenuto prescrittivo; sarebbero solo manifestazioni d'intenti, come si legge nel parere del C.d.S.;
   il Consiglio di Stato solleva altre critiche al testo, in particolare, al comma 2 dell'articolo 1, facendo rilevare che il triennio che deve essere concesso alle regioni per attuare un piano di rimodulazione dei posti letto deve essere compreso tra il 2015-2017 e non come prevede il regolamento tra il 2014-2016;
   il Consiglio di Stato nel suo parere sullo schema di regolamento sopracitato evidenzia come tale documento non abbia accolto degli emendamenti al testo su diversi aspetti dell'assistenza ospedaliera, ritenuti irrinunciabili dalla Conferenza Stato e regioni;
   il Consiglio di Stato, infine, solleva forti critiche verso l'articolo 2 (clausola di invarianza finanziaria) in quanto non appare certo che le regioni possano procedere all'adeguamento dell'assistenza ospedaliera senza sostenere ulteriori costi –:
   se il testo del regolamento scaturito dall'intesa tra Stato e regioni e province autonome del 5 agosto 2014 che stabilisce la definizione degli standard qualitativi, strutturali e tecnologici e quantitativi relativi assistenza ospedaliera abbia tenuto conto del rapporto posti/letto (3.7/1000, abitanti), del grado di intensità di ospedalizzazione (160 ricoveri appropriati per 1000 abitanti), della durata media della degenza ospedaliera e di tutti gli indicatori previsti dalla normativa vigente;
   se trovi conferma, come riportato da notizie stampa, che la regione Sicilia subirebbe un taglio di 400 posti letto e la chiusura di otto ospedali;
   se non ritenga di dare seguito al parere del Consiglio di Stato emesso il 23 ottobre 2014 che, nel merito, invita ad una esplicita riscrittura di intere parti dello stesso documento;
   se non ritenga di acconsentire a quello che il Consiglio di Stato prevede riguardo alla necessità di far riferimento al triennio 2015-2017 per l'attuazione del regolamento che definisce gli standard per l'assistenza ospedaliera e non al triennio 2014-2016;
   se non ritenga che si debba convocare ad horas la Conferenza Stato-regioni per accogliere tutti i rilievi sollevati verso i contenuti del regolamento e se si intendono assumere iniziative per accettare definitivamente gli emendamenti al testo ritenuti irrinunciabili dalla stessa Conferenza Stato-regioni e che il Consiglio di Stato segnala non accolti nel regolamento;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per evitare l'eventuale perdita di 400 posti letto e la chiusura di diversi ospedali della regione Sicilia.
(5-05668)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo una recente relazione del Ministero della salute, sembra che più di 8,5 milioni di italiani consumino alcol in modo eccessivo per la propria salute, ma soprattutto a destare preoccupazione sarebbe il rapporto dei giovani con questa sostanza: gli adolescenti italiani, tra gli 11 e 17 anni di età, sarebbero a rischio alcolismo, l'età in cui si comincia a bere sarebbe scesa, appunto, a 11 anni, e il 17 per cento circa di tutte le intossicazioni alcoliche giunte in un pronto soccorso sarebbe registrato per ragazzi e ragazze sotto i 14 anni;
   tra i giovani di 18-24 anni sarebbe invece diffuso il fenomeno del «binge-drinking», le abbuffate di alcol durante le quali ci si ubriaca fino allo stordimento: i «binge drinker», secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, sarebbero circa 3 milioni e mezzo, per la maggior parte giovani al di sotto dei 25 anni, con un picco tra i 18-24 anni e quote superiori alla media nazionale per le ragazze tra i 16 e 17 anni; il 14,5 per cento, dei giovani (21 per cento dei maschi e 7,6 per cento delle femmine) assumerebbe l'alcol in questo modo, per lo più durante momenti di socializzazione;
   il dato più allarmante fornito dalle ricerche dell'Istituto superiore di sanità che l'alcol causerebbe mediamente 18 mila morti l'anno e rappresenterebbe così la prima causa di mortalità sino ai 29 anni di età, correlato a cadute, omicidi, suicidi e altri incidenti, prevalentemente stradali e sotto l'influenza dell'alcol che rappresentano la causa più frequente di morte in questo range di età;
   negli ultimi 10 anni nel nostro Paese ci sarebbe stato anche un progressivo cambiamento dei comportamenti di consumo di alcol, è infatti sempre meno diffuso il comportamento tradizionale basato sull'uso delle bevande alcoliche durante i pasti di ogni giorno, che persiste tra adulti e anziani, mentre si consolida il consumo occasionale e «fuori pasto», infatti è calato il numero di consumatori totali e giornalieri, mentre sono aumentati quelli occasionali, in particolare tra i giovani;
   secondo i dati della relazione ministeriale, nel 2013 il 63,9 per cento degli italiani, pari a 34,6 milioni di persone, ha consumato almeno una bevanda alcolica e il consumo fuori pasto ha riguardato 14 milioni di persone, mentre bevono quotidianamente circa 12,3 milioni di persone;
   birra e «alcopops» (cocktails che contengono un misto di succo di frutta e alcol), insieme agli aperitivi alcolici, sono le bevande acquistate con maggior facilità dai giovani sotto l'età minima legale: i dati disponibili indicano che un giovane su 2 le ha consumate in un esercizio e 2 su 3 hanno le ha acquistate nei negozi nonostante i divieti;
   il comportamento dei genitori influenza molto quello dei figli: il 22,8 per cento dei ragazzi di 11-17 anni che vivono in famiglie dove almeno un genitore ha un consumo di alcol che eccede le raccomandazioni ha anch'esso abitudini alcoliche non moderate; tale quota scende al 18,7 per cento fra i giovani che vivono con genitori che non bevono o bevono in maniera moderata;
   l’Action Plan della Unione europea sul bere dei giovani e sul «binge drinking», prendendo in carico il problema comune denunciato da tutti Stati membri, sollecita la massima attenzione sulle evidenze scientifiche che imporrebbero l'introduzione di un età minima legale di 25 anni per il consumo di alcol, in considerazione del fatto che tra i 12 e i 25 anni di età, ovvero in quella che è stata definita dall'OMS «finestra di vulnerabilità», il rimodellamento cerebrale (pruning) che conduce alla maturazione in senso razionale del cervello risulterebbe fortemente e irreversibilmente danneggiato dall'effetto di alcol e sostanze, anche a bassi dosaggi;
   sotto i 18 anni qualunque consumo di alcol dovrebbe essere evitato; per le donne adulte e per gli anziani (ultra 65enni) il consumo giornaliero non deve superare una UA (unità alcolica) mentre per gli uomini adulti il consumo giornaliero non deve superare le 2 ua al giorno, indipendentemente dal tipo di bevanda consumata. L'unità alcolica è quella che contiene un bicchiere piccolo (125 ml) di vino a media gradazione, una lattina o una bottiglia di birra (330 ml) di media gradazione o una dose da bar (40 ml), un bicchierino, di superalcolico –:
   se il Governo sia consapevole del problema esposto in premessa e se non intenda attivarsi al più presto nei modi che gli sono propri, affinché la popolazione, e in particolare quella giovanile, sia protetta dall'abuso dell'alcol attraverso una serie di azioni di attento monitoraggio e sensibilizzazione dei giovani stessi e delle loro famiglie, che, come illustrato, hanno un ruolo importante anche nello sviluppo del comportamento dei figli per quanto riguarda l'uso di questa sostanza. (4-09287)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in forza del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, recante la «Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196», in Italia lavorano centinaia di persone, ottocento delle quali nella sola Regione Lazio;
   il citato decreto definisce quali lavori socialmente utili «le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l'utilizzo di particolari categorie di soggetti»;
   i lavoratori socialmente utili sono impiegati da anni nelle pubbliche amministrazioni a copertura dei vuoti d'organico, soggiacendo agli stessi obblighi dei lavoratori dipendenti ma senza vedersi riconosciuti i medesimi diritti;
   ai lavori socialmente utili non spettano, infatti, né i medesimi riconoscimenti contributivi, né mensilità aggiuntive, né il trattamento di fine rapporto, né alcuna indennità accessoria;
   nel corso degli anni si è provveduto alla stabilizzazione di quota parte dei lavoratori socialmente utili, determinando una sostanziale disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori della medesima categoria –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di sanare la posizione dei lavoratori socialmente utili. (4-09280)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, MELILLA, AIRAUDO, PLACIDO, SANNICANDRO, QUARANTA, PIRAS, DURANTI e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio 2015 la testata Il Corriere Adriatico ha riportato la notizia di un sequestro al porto di Ancona, operato dalla Guardia di finanza, di oltre 17 mila confezioni di cotone idrofilo contrassegnate con etichette false attestanti la produzione italiana. Nello specifico i colli sequestrati recavano etichette con indicazioni relative alle norme comunitarie (UNI EN 980) per i dispositivi medici;
   l'interrogante ha segnalato più volte al Ministro interrogato problematiche afferenti alla contraffazione dei marchi CE e Made in Italy;
   nella risposta pubblicata mercoledì 8 aprile 2015 nell'allegato al resoconto della seduta in Commissione X (Attività produttive), in merito all'interrogazione n. 5-04643, il Ministro dello sviluppo economico ha evidenziato una serie di attività volte a contrastare il fenomeno della contraffazione, in particolare riferendo della costituzione del CNAC (Consiglio nazionale anticontraffazione), istituito con la legge 23 luglio 2009, n. 99, e operativo dal 2011, «organismo interministeriale con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento strategico delle iniziative intraprese da ogni Amministrazione in materia di lotta alla contraffazione»;
   il Consiglio – secondo quanto indicato nella risposta alla interrogazione citata – «ha predisposto un piano nazionale anticontraffazione e indicato gli indirizzi per orientare e migliorare anche l'azione delle Amministrazioni. Il Piano ha individuato sei ambiti prioritari in materia di lotta alla contraffazione: comunicazione, informazione e formazione destinate ai consumatori; rafforzamento dei presidi territoriali; lotta alla contraffazione via internet; formazione alle imprese in tutela della proprietà industriale; tutela del made in Italy dai fenomeni di usurpazione all'estero» –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire maggiori informazioni circa le attività di contrasto al fenomeno della contraffazione, specificando quali attività sono previste nel «piano nazionale anticontraffazione» per prevenire fenomeni come quello riportato in premessa e illustrando, in particolare modo, le misure relative all'ambito di priorità definito «rafforzamento dei presidi territoriali». (4-09275)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yacht, società controllata dal fondo Yachting Investors Group di Londra, e specializzata nella produzione di mega yacht di lusso fra i 30 e i 100 metri, ha annunciato, nei giorni scorsi, di aver presentato richiesta di concordato preventivo, per mancanza assoluta di ordini;
   in tutto sono 106 i dipendenti che rischiano il posto di lavoro;
   già avanzata la richiesta per gli ammortizzatori sociali all'Inps, per i lavoratori si aprirà la cassa integrazione ordinaria fino al primo agosto e dal 15 agosto quella straordinaria, ma solo se il cantiere resterà in attività. Già dallo scorso aprile, i dipendenti sono in cassa integrazione a rotazione, lasciando in attività solo la trentina di addetti alla manutenzione degli scafi –:
   se sia a conoscenza della situazione e quali iniziative intendano assumere con urgenza al fine di evitare la chiusura e salvaguardare i livelli occupazionali del sito produttivo. (4-09284)


   CAMPANA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'8 aprile 2015, l'ufficio postale di via Marchesa di Barolo a Roma è stato vittima di un incendio;
   da tale data l'agenzia 117 sita nel quartiere popolare di San Basilio è rimasta chiusa;
   a distanza di circa un mese dall'evento, la sensazione e la preoccupazione dei cittadini della zona è che l'ufficio in virtù del piano di riorganizzazione di Poste spa possa rimanere definitivamente chiuso creando disagio ad una zona dove circa 1200 utenti erano soliti ritirare la pensione presso l'agenzia suddetta;
   recentemente il piano di razionalizzazione presentato da Poste è stato oggetto di una sentenza del Tar del Lazio che si è pronunciata in seguito al ricorso di un sindaco calabrese sancendo l'illegittimità del piano «basato sulla redditività a scapito degli interessi degli utenti» –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se l'agenzia di via Marchesa di Barolo a Roma rientri nel piano di riordino di Poste;
   se e quando sia prevista la riapertura dell'agenzia suddetta a tutela degli utenti, soprattutto anziani, che ogni giorno si servono dei servizi offerti da Poste spa che senza l'ufficio postale dovranno spostarsi per fare versamenti, pagare bollettini, ritirare la pensione. (4-09285)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 febbraio 2015 veniva firmato un accordo di cooperazione tra Garante per la protezione dei dati personali italiano e l'analoga istituzione albanese allo scopo di assicurare la tutela dei dati personali di cittadini italiani raccolti da soggetti operanti in Albania;
   tale accordo partiva dalla constatazione di come numerosi call center, già operanti in Italia, stavano delocalizzando la propria attività nel paese balcanico;
   l'accordo contempla, all'articolo 1, iniziative di monitoraggio e attività ispettiva al fine di garantire l'adeguata sicurezza;
   l'accordo segue, a distanza di anni, quanto contenuto nell'articolo 24-bis del «decreto sviluppo» del 2012. In particolare per quel che concerne l'obbligo di comunicazione (sia per call center già operativi all'estero che per quelli intenzionati al trasferimento dell'attività) al Garante per la protezione dei dati personali;
   l'accordo Italia-Albania citato in premessa, non specifica in che modo venga svolta l'attività ispettiva;
   sempre l'articolo 24-bis del «decreto sviluppo» del 2012, prevede che in caso di chiamata a un call center il cui operatore risponda dall'estero, l'operatore medesimo debba indicare preliminarmente all'utente il Paese estero in cui egli sia collocato;
   l'articolo 24-bis del «decreto sviluppo» del 2012 prevede una sanzione pecuniaria di 10 mila euro per ogni giorno di violazione;
   l'accordo Italia-Albania, pur mettendo riparo alla situazione segna, di fatto, l'impotenza del Governo nazionale nei confronti delle società che gestiscono i call center. Piuttosto che trovare iniziative capaci di garantire i livelli di occupazione si creano i presupposti per il trasferimento all'estero di questi ultimi;
   i dati dei controlli delle autorità competenti attestano diffuse violazioni in materia di trattamento dei dati personali;
   4U è un'azienda nata per offrire soluzioni di business in outsourcing per le imprese, con particolare attenzione al customer management;
   l'azienda è organizzata con una direzione centrale di sviluppo commerciale e pianificazione, con sede a Palermo, che alimenta e coordina 12 sedi in franchising. In totale l'azienda dispone di 850 postazioni operatore e oltre 2200 lavoratori, di cui 370 dipendenti e il restante con contratti prevalentemente a progetto;
   4U Servizi, in seguito alla progressiva delocalizzazione delle attività effettuata dalla Sisal Match Point in Albania e del perdurare della situazione in cui versa il settore (gare al massimo ribasso, assenza di regole per gli appalti) ha deciso di aprire sulla sede di Palermo, una procedura di mobilità per 175 dipendenti su 370;
   è evidente agli interroganti che con il licenziamento di più della metà dei dipendenti, l'azienda è destinata a non andare più avanti, quanto meno in Italia;
   inoltre, alla delocalizzazione della commessa Sisal, si aggiunge la cattiva notizia che anche Wind Infostrada starebbe prospettando di mettere a gara la più grossa commessa affidata a 4U. Il rischio concreto, quindi, anche a parere delle organizzazioni sindacali, è quello che anche l'altra metà che resterà occupata dopo i primi licenziamenti possa rischiare di perdere il lavoro;
   a parere dell'interrogante non è accettabile che Sisal Matchpoint, azienda italiana che ha in concessione dai Monopoli di Stato la gestione di giochi d'azzardo e scommesse, abbia portato il lavoro a Tirana, abbandonando l'Italia e mettendo a rischio la sopravvivenza della sede di Palermo;
   per quanto riguarda la commessa Sisal Match Point, occorre inoltre rilevare la particolare natura dei dati trattati dalla commessa stessa, compresi quelli relativi a codici di carte di credito dei clienti;
   la scelta di Sisal, per altro, dettata dal minor costo del lavoro in territorio albanese conferma la tendenza all'utilizzo dello strumento della gara a massimo ribasso. A tal riguardo è da notare la recente sentenza del TAR relativa alla vicenda call center multiutility Acea che censura, dichiarandone l'annullamento, della procedura della gara a massimo ribasso;
   in numerose prese di posizione, il Governo ha sempre dichiarato di lavorare a concrete iniziative volte a disincentivare il fenomeno delle delocalizzazioni delle società attive nel settore dei call center. Eppure sono le stesse società a capitale pubblico, come Sisal, ad aprire la strada alla fuga delle commesse dall'Italia –:
   se il Governo non intenda esplicitare le modalità di ispezione previste dall'accordo Italia – Albania sul trattamento dei dati personali;
   quali iniziative vengano adottate per il rispetto della legislazione nazionale – in particolare, del codice in materia di protezione dei dati personali e della disciplina sul registro delle opposizioni;
   se alla luce di casi di sanzioni comminate per violazioni accertate, ma mai applicate con riferimento alla delocalizzazione dei call center, il Governo non ritenga necessario procedere con l'applicazione o l'inasprimento delle stesse;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per procedere al blocco delle procedure di delocalizzazione per i servizi di call center operanti con la pubblica amministrazione e con società, come Sisal, a totale o parziale capitale pubblico;
   quali siano in concreto le iniziative prese dal Governo per disincentivare le gare con procedura a massimo ribasso e il trasferimento dell'attività all'estero;
   se non intenda assumere immediatamente ogni iniziativa di competenza per evitare che l'azienda di call-center 4U proceda con la mobilità e quindi con il licenziamento di 175 dipendenti del sito palermitano a causa della delocalizzazione in Albania della commessa Sisal Match Point. (4-09289)


   FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa Estense ha proclamato lo stato di crisi dell'azienda per il Sud, dichiarando che nel 2014 gli ipermercati hanno fatto registrare 12 milioni di euro di perdite che sommati a quelli degli anni precedenti producono una perdita totale di 50 milioni di euro nel quinquennio;
   alla luce di tali dati economici, la cooperativa ha annunciato un piano triennale di interventi per la Puglia e la Basilicata, che dovrebbero produrre un recupero di 4 milioni di euro nel 2015, ulteriori 4 milioni di euro nel 2016 per poi arrivare al pareggio di bilancio nel 2017;
   per ottenere tali obiettivi, la Cooperativa Estense ha individuato tre campi di intervento: il primo riguarda interventi sulla politica commerciale volti alla crescita delle vendite attraverso l'inserimento dell'offerta, di prodotti locali, la conferma dell'investimento nei carburanti, la conferma dell'intervento nei freschissimi e l'intervento volto a ridurre i prezzi dei prodotti sia scaffale che in promozione;
   il secondo campo di intervento riguarda l'efficientamento dei costi operativi con particolare attenzione ai consumi energetici e ai costi pubblicitari che dovrebbero portare al recupero annuo di 1,2 milioni di euro;
   il terzo campo riguarda invece il costo del lavoro che dovrebbe produrre un recupero, anche in questo caso, di 1,2 milioni di euro e si dovrebbe concentrare in particolare nella riorganizzazione del reparto grocery in cui sarebbero coinvolti 150 addetti sui 330 totali e nel reparto pescheria in cui sarebbero coinvolti tutti gli 80 addetti;
   l'intenzione della cooperativa è che il piano di recupero sul costo del lavoro si svolga in due tempi. Nell'immediato verrà avviata una riorganizzazione del grocery che porterà all'allestimento notturno attraverso l'esternalizzazione a società terze. Nel secondo semestre dell'anno si dovrebbe avviare l'intervento nelle pescherie, che essendo un reparto economicamente critico verrà affidato interamente a terzi;
   per garantirsi il raggiungimento di questi obiettivi entro i termini di legge la cooperativa Estense ha avviato la procedura di mobilità che scadrà il prossimo 3 giugno;
   a parere degli interroganti, l'annuncio unilaterale degli esuberi, l'apertura della procedura di mobilità, la minaccia di terziarizzazione, senza un pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, non consente un confronto sereno con le lavoratrici e i lavoratori al fine di trovare le soluzioni migliori che riescano a salvare sia l'occupazione che porre rimedio alle difficoltà, pur presenti, nella rete del sud della cooperativa estense;
   la presenza della cooperativa in Puglia e Basilicata non può passare attraverso la riduzione del salario dei diritti e della dignità dei dipendenti Coop Estense –:
   se il Ministro non intenda intervenire immediatamente a salvaguardia dei livelli occupazionali degli stabilimenti presenti in Puglia e Basilicata. (4-09291)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Villarosa e altri n. 2-00982, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sorial.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni e altri n. 5-02695, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cimbro.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Sgambato n. 2-00960 dell'11 maggio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-07041 del 26 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05668;
   interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-07973 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05667.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Sorial e altri n. 2-00964 riformulata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 431 del 20 maggio 2015. Alla pagina 25413, prima colonna, le righe dalla quinta alla nona si intendono soppresse.