Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 15 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, si è dimostrata nelle vicende recenti, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, non idonea a rappresentare la scuola pubblica di questo Paese, e la sua attività di Ministra risulta particolarmente negativa per la pubblica istruzione;
    la Ministra ha presentato un disegno di legge di riforma dell'istruzione e della formazione che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, contiene dei limiti essenziali, incongruenze, nonché profili di illegittimità costituzionale, come emerge anche dal relativo dibattito di merito;
    non sorprende l'ampia partecipazione di insegnanti, personale ATA, studenti e famiglie alle proteste indette dai sindacati e dalle associazioni del mondo della scuola;
    proteste e contestazioni alle quali la Ministra Giannini risponde definendo i contestatori «squadristi» come quelli che alla Festa dell'Unità, giovedì 23 aprile 2015, hanno protestato a Bologna. La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, in un'intervista alla Repubblica si è lamentata per l'accoglienza che ha ricevuto a Bologna da alcuni contestatori in questi termini: «Erano disinteressati ad ascoltare quello che avevo da dire. Come li vuole chiamare, quei cinquanta di Bologna. Squadristi. Insegno linguistica da tempo e non trovo altro termine. Sono stata aggredita da cinquanta squadristi. Vivaddio, solo verbalmente»;
    dal piano assunzioni del disegno di legge restano fuori gli idonei del concorso 2012. Di fronte alle loro critiche la Ministra li offende con una «battutaccia»: «Non hanno vinto un concorso: una cosa è avere la patente, una cosa è acquistare la macchina»;
    inoltre, la Ministra ha accusato i lavoratori della scuola di scioperare per mantenere dei privilegi: «C’è la campagna elettorale e credo esista la volontà di fare della Buona Scuola una battaglia politica, al di là dei contenuti. Noto che non si colgono gli aspetti innovativi mentre si sottolineano questioni che non esistono». Più avanti nel corso dell'intervista afferma anche che la scuola viene vista da alcuni come un «bene esclusivo dei professori quando invece è un bene pubblico e fondamentale per tutta la società»;
    lo sciopero della scuola del 5 maggio 2015 è per la Ministra Stefania Giannini una questione di convenienza politica e sindacale. Non contenta di quelle che appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo discutibili e offensive affermazioni, ha sostenuto che la segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso, non avesse letto il disegno di legge, ed ha definito la sacrosanta protesta di tutti i sindacati della scuola del 5 maggio 2015 come «uno sciopero politico» nel tentativo di screditarlo;
    la Ministra ha inoltre individuato l'esistenza di una «maggioranza di docenti abulica», così screditando l'intera categoria, e affermando, sempre sulla stessa linea: «sulla maggioranza dei docenti diciamo che la considero silenziosa, meno attiva nel manifestare il proprio pensiero»;
    è dunque evidente che nel caso di specie la Ministra si sia rivelata inadeguata, dimostrando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo di non conoscere la scuola e di non rispettare le persone che con sacrifici quotidiani ne consentono il funzionamento tra mille difficoltà senza il riconoscimento sociale ed economico che sarebbe loro dovuto,

impegna il Governo

ad osservare – e in particolare il Presidente del Consiglio dei ministri a richiedere a tutti i componenti del medesimo – un maggior rispetto nei confronti di chi dissente dalle scelte e dai provvedimenti dell'Esecutivo e nei confronti delle rappresentanze sociali e sindacali evitando espressioni derisorie e lesive della dignità degli interlocutori.
(1-00866) «Scotto, Giancarlo Giordano, Pannarale, Airaudo, Placido, Zaratti, Pellegrino, Fava, Piras, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Sannicandro, Zaccagnini».

Risoluzione in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'Egitto partecipa all'operazione «Tempesta Decisiva» lanciata dall'Arabia Saudita nella notte tra il 25 e il 26 marzo 2015 per contrastare l'avanzata in Yemen delle milizie del gruppo sciita Houti;
    alle operazioni militari contro gli Houti partecipano a vario titolo anche Marocco, Giordania, Sudan, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Stati Uniti;
    le forze aeree egiziane sono tra i principali contributori della campagna di bombardamento che in meno di due mesi ha provocato in Yemen oltre 1.400 morti, per la maggior parte civili inermi, e oltre 6.000 feriti;
    anche l'ultimo tentativo di tregua, un cessate il fuoco umanitario di cinque giorni iniziato alle 23 del 12 maggio, è durato solo poche ore, fino a quando un convoglio militare degli Houti è stato colpito nella provincia di Abyan da un caccia della coalizione guidata dall'Arabia Saudita;
    l'ONG Human Rights Watch ha denunciato che velivoli impegnati nell'operazione «Tempesta Decisiva» hanno impiegato bombe a grappolo, un tipo di arma messa al bando sette anni fa dalla Convenzione di Dublino;
    l'Egitto è chiaramente schierato a supporto della fazione libica che fa capo all'esecutivo di Tobruk contro la fazione di Tripoli;
    le forze aeree egiziane sarebbero intervenute a più riprese nel corso del 2014 per colpire le forze della fazione di Tripoli;
    il 16 febbraio 2015 le forze aeree egiziane hanno condotto una serie di attacchi in territorio libico nelle zone di Derna e Sirte a danno di milizie islamiste presumibilmente vicine all'ISIS;
    le azioni militari egiziane in territorio libico sono unilaterali e non sono coperte da nessuna autorizzazione da parte delle Nazioni Unite;
    il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, nel suo discorso al vertice della Lega araba a Sharm El Sheikh del 28 marzo 2015, ha ribadito la richiesta di egiziana di fornire armi all'esecutivo libico di Tobruk nonostante l'embargo appena confermato dall'ONU;
    secondo quanto riportato dal fonti di stampa il 18 maggio 2015 si terrà al Cairo un incontro dei vertici militari di Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Sudan e della fazione libica di Tobruk, quest'ultima rappresentata dal generale Khalifa Haftar, per discutere i piani di un intervento militare in Libia;
    le forze di Tobruk hanno iniziato a ricevere armamenti da parte di Paesi arabi, inclusi cinque elicotteri da attacco Mi-35 Hind consegnati il 26 aprile scorso dagli Emirati Arabi Uniti;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, al termine dell'audizione sul Libro Bianco della Difesa tenutasi il 14 maggio di fronte alle commissioni Camera e 3a – 4a Senato, ha sommariamente annunciato l'intenzione del Governo di procedere alla fornitura d'urgenza all'Egitto di non meglio indicate parti per velivoli F-16 destinate alle forze aeree egiziane;
    l'F-16 è il tipo di velivolo impiegato dalle forze aeree egiziane nei recenti attacchi aerei in Libia e in Yemen;
    l'Egitto non ha aderito alla coalizione internazionale impegnata contro l'ISIS nell'operazione Inherent Resolve, nell'ambito della quale l'Italia fornisce esclusivamente attività di supporto e non di combattimento;
    che il 20 dicembre 2014 il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e il Ministro della difesa della Repubblica Araba d'Egitto, generale Sedki Sobhi, hanno siglato una dichiarazione congiunta in materia di cooperazione tecnico-militare alla quale, tuttavia, non risulta ancora aver seguito la stipula del previsto accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d'arma,

impegna il Governo:

   a fornire al più presto chiarimenti in merito alle dichiarazioni della ministra Pinotti riguardo alla fornitura di fornitura di parti di aerei da combattimento di tipo F-16 alla Repubblica Araba d'Egitto, indicando con precisione di che tipo di materiale si tratta e a quale scopo dovrebbe essere impiegato;
   a non trasferire armamenti o parti di sistemi d'arma alla Repubblica Araba d'Egitto fintantoché essa sarà impegnata in operazioni militari non autorizzate dalle Nazioni Unite, anche nel rispetto dell'articolo 1, comma 6, lettera a) della legge 185 del 1990 che recita: «l'esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere».
(7-00685) «Artini, Duranti, Frusone, Rizzo, Basilio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2014 l'Agenzia delle Dogane annunciava, a mezzo stampa, di avere stipulato una convenzione con la società UIRNet spa (soggetto attuatore della piattaforma logistica nazionale PLN in forza del decreto ministeriale 20 giugno 2005 n. 18/Y) e con le autorità portuali di La Spezia e Genova, con cui veniva autorizzato l'inoltro diretto via camion dei container sbarcati presso detti porti e destinati alla società Ikea, senza emissione di documenti doganali. La citata procedura, sperimentale, veniva definita con il termine di «corridoi doganali»;
   successivamente, in data 13 aprile 2015 l'Agenzia delle dogane con nota n. 44053 stabiliva le modalità di funzionamento della procedura di tali corridoi doganali, la cui denominazione veniva aggiornata in «Fast corridors su strada», con le quali si prevede l'inoltro dei container allo Stato estero, senza assolvimento di IVA e dazio, prescindendo dall'emissione dei documenti doganali di transito (denominati T1) previsti dal Codice doganale comunitario;
   l'articolo 91 del Codice doganale comunitario (paragrafo 2) prevede che la circolazione di merci non comunitarie debba avvenire in modo esclusivo in base al regime di transito comunitario esterno con l'emissione del documento doganale denominato T1 e delle relative garanzie; inoltre, all'articolo 4 del regolamento (CE) 2913/92 si elenca un numero definito e ben specificato di destinazioni doganali dalle quali non si può prescindere; conseguentemente risulta secondo gli interroganti evidente come la procedura di «corridoio» sia in violazione di tale disposizione;
   le citate disposizioni sono state integralmente riprese e confermate dagli articoli 5, 210 e 226 del nuovo Codice Doganale dell'Unione europea (Regolamento UE n. 952/2013) che entrerà definitivamente in vigore nel giugno del 2016;
   a normativa invariata il documento doganale, che obbligatoriamente deve essere emesso all'atto dell'introduzione di merci sul territorio comunitario, rappresenta sia lo strumento normativo necessario ed imprescindibile alla tutela dei diritti erariali dello Stato italiano e di quelli della Unione Europea, sia il documento sulla base del quale vengono inviati i dati alla centrale dei rischi delle Agenzia delle dogane;
   la procedura dei «Fast corridors», non prevedendo l'anticipazione di tali dati, esclude le merci così trasferite da ogni forma di controllo con il potenziale rischio di abusi anche da parte di soggetti terzi che, approfittando di tale semplificazione, potrebbero, all'insaputa dell'importatore, utilizzare detti corridoi per traffici illeciti;
   la citata procedura dei corridoi doganali, inoltre, non prevede alcun controllo prodromico, previsto per legge, di natura sanitaria a cui tutti i carichi destinati al consumo o contatto umano sono obbligatoriamente soggetti, inoltre l’iter dei fast corridors su strada rappresenta un unicum italiano, che non risulta disciplinato e quindi attivo in alcun altro paese dell'Unione Europea;
   potrebbero essere elevati i rischi di procedure di infrazione dell'Unione europea a carico del nostro Paese per violazione degli obblighi imposti dal Codice doganale comunitario anche in relazione alla circolazione delle merci, per violazione delle norme sanitarie, per violazione delle norme sulla concorrenza tra Paesi membri, assumendo l'Italia una iniziativa che si pone al di fuori del quadro dispositivo comunitario con lo specifico obiettivo di favorire alcuni operatori a discapito di altri;
   la procedura attivata con i corridoi doganali palesa evidenti rischi e lacune in merito al pronto assolvimento dei diritti erariali di confine non includendo o non prevedendo adeguate garanzie per lo Stato italiano;
   in base alla normativa vigente è fatto obbligo al trasportatore che fisicamente esegue il trasporto delle merci dal porto al magazzino di destino di scortare la merce oltre che con la lettera di vettura anche con la bolla doganale, pertanto non si comprende, alla luce del disciplinare diramato, quali strumenti siano dati al trasportatore per poter dimostrare, in sede di controlli stradali, di non essere passibile delle sanzioni e delle procedure legate all'ipotesi di contrabbando –:
   se i Ministri interrogati ritengano che la procedura dei «corridoi doganali», prevedendo l'inoltro di merce estera sul territorio nazionale via strada senza l'emissione della documentazione doganale, sia conforme alla normativa comunitaria di riferimento sopra citata e dunque non esponga lo Stato italiano ad azioni di infrazione da parte dell'Unione europea;
   se risponda al vero che tale procedura sia destinata, su iniziativa dell'Agenzia delle dogane, ad estendersi anche al trasferimento via treno di containers allo Stato estero dai porti agli interporti, prescindendo anche in questo caso dall'emissione di documenti doganali – in potenziale contrasto con le norme comunitarie;
   se sia stato adeguatamente valutato l'impatto economico tendente a favorire, con oneri a carico dello Stato e dunque della comunità, solo alcune grandi multinazionali, con ciò recando ulteriore danno al tessuto economico nazionale composto da piccole e medie imprese;
   se il sistematico spostamento dei controlli su la merce estera dai porti in luoghi dell'interno, ossia presso aziende e/o interporti, possa costituire alla luce della delocalizzazione dei controlli da parte del personale delle pubbliche amministrazioni, un aumento di costi a carico della collettività e dello Stato legato a nuove sedi di controllo, nuove attrezzature, spese di trasferta e di personale specializzato, che dovrà coprire fasce di territorio sensibilmente maggiori delle attuali e garantire la sicurezza e la tutela della salute dei cittadini, nonché degli interessi erariali dello Stato;
   se e quali strumenti verranno adottati nelle procedure di fast corridors per garantire (considerato che il disciplinare non prevede l'emissione di documento doganale da trasmettere al sistema informativo centrale dell'Agenzia delle dogane) la gestione del processo di analisi dei rischi sulle attività di sdoganamento come previsto dalle normative nazionali ed europee, e se non si ritenga che tale inadempimento potrebbe elevare il rischio di reati e limitare quindi la sicurezza della collettività;
   se e quali iniziative intendano intraprendere al fine di consentire la piena operatività delle procedure di sdoganamento in mare e di sportello unico doganale, che invece consentirebbero, senza necessità di ricorrere alla procedura dei corridoi doganali, di garantire il totale rispetto delle norme comunitarie, sia doganali che sanitarie, il totale rispetto del principio di libera concorrenza e pari dignità tra piccole e medie imprese e grandi imprese, il risparmio di ulteriori ingenti investimenti da parte dello Stato per garantire i controlli a destino, la certezza del massimo controllo sia ai fini di security sia ai fini di safety, con ciò evitando richiami e/o procedure di infrazione da parte dell'Unione europea.
(2-00977) «Oliaro, Mazziotti Di Celso».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2013 aveva stanziato anche per l'anno 2015 la somma di 200 milioni di euro in materia di imposta sostitutiva al 10 per cento per le retribuzioni di produttività e ad oggi il Governo non ha ancora emanato nessun provvedimento in merito alla detassazione del 10 per cento;
   la detassazione di un prelievo del 10 per cento sostitutivo della tassazione ordinaria, è stata fin dalla sua istituzione, nel 2008, una misura sperimentale che ha contribuito ad alleggerire il peso dell'imposizione sulle buste paghe dei lavoratori, circa 202 euro per lavoratore secondo l'INPS;
   si tratta di mia politica fiscale di vantaggio che ha contribuito ad alleggerire il peso dell'imposizione sulle buste paga dei lavoratori, pur tuttavia subendo, nel corso degli anni, un progressivo ridimensionamento: dai 650 milioni di euro stanziati nel 2008, si è passati ai 607 milioni di euro per il 2013;
   questo provvedimento rappresenta un importante volano per lo sviluppo ed è a favore sia dei datori di lavoro che dei lavoratori soprattutto in questo momento in cui l'Italia stenta ad attivare i percorsi di crescita e di sviluppo;
   in questa prospettiva, sarebbe opportuno estendere la tassazione agevolata alle fasce di reddito finora escluse, aumentando la gradualità del metodo di calcolo e abbandonando definitivamente il sistema iniquo e penalizzante di unico livello di detassazione riferito al tetto annuale di reddito –:
   quale sia l'orientamento del Governo sulla tempistica delle iniziative da adottare in materia di detassazione delle retribuzioni di produttività per l'anno 2015 e se intenda rendere strutturale la detassazione e decontribuzione del salario di produttività. (3-01499)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, dopo la firma dell'accordo per l'incorporazione di Alcatel Lucent nel gruppo Nokia, è circolata la notizia della possibile dismissione di alcuni impianti produttivi, confermata dall'amministratore delegato della società, Michele Combes, nel corso dell'incontro avuto a Parigi, lo scorso 18 aprile, con il coordinamento europeo dei rappresentanti sindacali dell'azienda;
   il Ministero dello sviluppo economico, il 22 aprile, ha diramato un comunicato stampa da cui si è appreso che, durante l'incontro con il Ministro dello Sviluppo Economico Guidi, l'amministratore delegato della Alcatel – Lucent Italia, Roberto Loiola, avrebbe ribadito l'importanza del sito di Trieste per il business dell'impresa, in quanto vi si producono tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di specializzazione;
   data l'incertezza e la poca chiarezza circa il futuro del sito di Trieste, i sindacati si sono mobilitati fin da marzo, sia sensibilizzando le istituzioni locali, sia mobilitando gli operatori del comparto;
   in un comunicato stampa del 18 aprile la presidente della regione Venezia Giulia Serracchiani, dopo un colloquio avuto con il Ministro Guidi, ha annunciato le intenzioni del Ministro Guidi di attivarsi per contattare Nokia nel tentativo di chiarire le reali intenzioni della multinazionale e di sanare la situazione di criticità industriale del sito triestino. Intenzione nuovamente confermata durante un incontro del 25 aprile tra la Presidente Serracchiani e i rappresentanti delle sigle sindacali locali;
   oltre allo sciopero di otto ore del personale dell'azienda, il 29 aprile è stato organizzato un presidio davanti alla Camera dei deputati proprio per sensibilizzare tutte: le forze politiche sul tema del possibile smantellamento del sito produttivo triestino;
   anche a seguito delle notizie relative all'interesse da parte delle due multinazionali statunitensi Flextronics e Jabils, note per essere strategicamente orientate a delocalizzare le produzioni in Paesi «low cost», le preoccupazioni dei sindacati e delle maestranze sono ulteriormente aumentate;
   durante lo svolgimento dei Question Time del 13 maggio 2015 presso la X Commissione della Camera dei deputati, alla richiesta specifica dell'interrogante, circa l'avvenuta presa di contatti tra il Ministro e Nokia, il Sottosegretario Simona Vicari ha rassicurato che «il Ministero si è già attivato per promuovere un confronto con i vertici della Nokia»;
   tuttavia, si apprende, da un comunicato stampa della FIOM/Cgil e la UILM del 13 maggio che, durante la riunione tenutasi presso il Ministero dello sviluppo economico tra l'amministratore delegato di Alcatel-Lucent Italia, Roberto Loiola, e le organizzazioni sindacali, nel pomeriggio della stessa giornata, sarebbe stata annunciata ufficialmente l'intenzione da parte dell'Azienda di cedere l'impianto produttivo di Trieste alla multinazionale statunitense Flextronics, che già nel 2000 aveva acquisito la divisione di Italdata e la Siemens dell'Aquila ed entrambe dismesse dopo pochi anni;
   nel comunicato viene messo in evidenza che all'incontro al Ministero dello sviluppo economico non era presente nessun rappresentante del Governo e che la vendita dell'impianto di Trieste verrà siglata ancor prima della fusione tra Alcatel Lucent e Nokia;
   alla luce dell'esito dell'incontro avvenuto a Roma, i lavoratori hanno reagito con lo sciopero di tutti i turni di lavoro e con un presidio all'ingresso dello stabilimento di Via Monte d'Oro;
   tutte le rassicurazioni comunicate nelle ultime settimane dalle istituzioni e le continue conferme, da parte dell'azienda stessa, sul ruolo strategico dell'impianto triestino hanno portato, contrariamente alle premesse, a dare ragione ai sospetti sollevati dalle organizzazioni sindacali sin dall'annuncio della fusione di Alcatel-Lucent con il gruppo Nokia;
   l'interrogante, in una, lettera inviata al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il 14 maggio, ha chiesto un l'intervento diretto dell'Esecutivo in quanto convinto che il territorio triestino non possa perdere un impianto d'eccellenza a livello mondiale a danno dei lavoratori coinvolti: il Governo per garantire il diritto al lavoro, tutelato dalla stessa Costituzione, dovrebbe intervenire convocando le aziende Alcatel e Nokia per fare chiarezza sul futuro del sito produttivo di Trieste –:
   se non ritenga, da quanto esposto in premessa, che il Governo debba intervenire urgentemente nei confronti delle aziende Alcatel Lucent e Nokia al fine di determinare gli elementi di garanzia dei livelli occupazionali e delle prospettive industriali del sito produttivo di Trieste.
(5-05620)


   TARICCO, ROMANINI, OLIVERIO, LODOLINI, PAOLO ROSSI, MORETTO, FOSSATI, GIULIETTI, LUCIANO AGOSTINI e COVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

la questione del «vincolo sportivo» a tempo indeterminato è stata affrontata dall'articolo 16 della legge 23 marzo 1981, n. 91 che ha previsto l'abolizione di tale istituto per gli atleti professionisti, inclusi i calciatori «Le limitazioni alla libertà contrattuale dell'atleta professionista, individuate come “vincolo sportivo” nel vigente ordinamento sportivo, saranno gradualmente eliminate entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo modalità e parametri stabiliti dalle federazioni sportive nazionali e approvati dal CONI, in relazione all'età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniale del rapporto con le società»;
   per quanto concerne il gioco calcio, le disposizioni contenute negli articoli 32, 32-bis e 32-ter delle Norme organizzative interne della FIGC (N.O.I.F.) prevedono che i calciatori «giovani» dal 14o anno di età anagraficamente compiuto possono assumere con la società della Lega Nazionale Dilettanti per la quale sono già tesserati, vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 25o anno di età, acquisendo la qualifica di «giovani dilettanti»;
   pertanto, al momento attuale, la questione del vincolo sportivo dei calciatori sarebbe oggetto di norme della Federazione gioco calcio e riguardano i calciatori dilettanti;
   risulterebbe quindi che, allo stato attuale in Italia, il diritto dell'atleta dilettante a svolgere in piena libertà l'attività agonistica sportiva sarebbe gravemente compromesso dal vincolo sportivo in essere, perché questo, tramite la sottoscrizione del cosiddetto «cartellino», lo legherebbe indissolubilmente, o quasi, alla società sportiva di appartenenza;
   benché alcune federazioni sportive abbiano negli ultimi anni rivisto alcuni aspetti dei loro regolamenti inerenti il vincolo, tra cui la sua durata temporale nei confronti dell'atleta dilettante, è tuttora consolidato nell'ordinamento sportivo nazionale che lo stesso possa essere sciolto solo ed esclusivamente con il placet della società sportiva che detiene il cartellino;
   risulta evidente che la firma del cartellino sia necessaria per poter svolgere un'attività sportiva agonistica in seno ad una società sportiva affiliata ad una delle varie federazioni sportive italiane, e quindi al Coni, ma spesso le condizioni correlate alla sottoscrizione del cartellino sono di tipo vessatorio verso l'atleta. Di fatto, il giovane dilettante, per partecipare alle competizioni organizzate dalle federazioni sportive, deve stipulare il vincolo con la società sportiva e affidare, senza altra possibilità, la titolarità delle sue prestazioni sportive alla medesima, vedendo così compromessa in prospettiva la propria libertà agonistica;
   il vincolo quindi, finirebbe per legare indissolubilmente l'atleta dilettante non tanto alla federazione sportiva, quanto piuttosto alla società sportiva di militanza, in particolare alla dirigenza che risulta così avere un potere decisorio sulla durata del cartellino;
   ad oggi, le norme statutarie delle federazioni sportive italiane, nonostante numerose richieste di modifica, continuano ad escludere un termine ragionevole di scadenza del rapporto associativo, vietando in modo esplicito la possibilità del recesso unilaterale dell'atleta, e questo tra l'altro risulta essere in contrasto aperto con i basilari principi dell'ordinamento giuridico in materia di libertà ed associazione;
   questa paradossale situazione di soggezione a tempo indeterminato, valida esclusivamente per i minori d'età e per i dilettanti, per antonomasia persone che giocano senza fine di lucro, risulterebbe essere interrompibile solo dal nullaosta della società sportiva detentrice del cartellino;
   è di fondamentale importanza sottolineare il fatto che sarebbe da verificare se il vincolo sportivo, stipulato dagli atleti dilettanti per un tempo indeterminato o comunque per durate eccessive sia valido o da ritenersi nullo ai sensi dell'articolo n. 1418 del codice civile dato che secondo gli interroganti contrasta palesemente con norme imperative e di ordine pubblico;
   nello specifico, il vincolo sportivo a tempo indeterminato, o irragionevole, si porrebbe in contrasto, secondo gli interroganti nell'ordine:
    a) il diritto di praticare senza difficoltà la propria attività agonistica, diritto sancito dalla Carta costituzionale, nonché dalla legge n. 91 del 1981 che all'articolo 1 afferma che «l'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero»;
   la libertà di associazione, che comprende anche il diritto di dissociazione, tutelato dall'articolo n. 18 della Costituzione;
   il diritto previsto dall'articolo 24 del codice civile, espressione del principio democratico, di recedere dall'associazione qualora l'associato non abbia preso l'onere di farne parte per un tempo ben preciso;
   il diritto stabilito dall'articolo n. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che assicura senza nessuna discriminazione il godimento delle libertà fondate su qualsiasi condizione personale, come deve certamente ritenersi quella dell'atleta minore e non professionista;
   andrebbe verificato se lo statuto e le norme interne della F.I.G.C. siano coerenti con il punto 12.2 dei principi fondamentali degli statuti delle Federazioni nazionali e delle discipline sportive associate dove si fa riferimento alla congruità e ragionevolezza della durata del vincolo;
   una delle motivazioni favorevoli al vincolo sportivo trova la sua spiegazione nell'esigenza di evitare la dispersione del patrimonio costituito dagli atleti tesserati che risulta essere l'unica fonte di sostegno dell'attività agonistica nelle società dilettantistiche. Gli atleti minori d'età sono così considerati «oggetto» di contrattazione e valutazione economica per trasferimenti, prestiti e/o altri accordi da parte delle società che ne detengono i cartellini. Questo ha generato una cosiddetta «patrimonializzazione dell'atleta dilettante», avvalorata in alcune circostanze della giurisprudenza italiana;
   si sottolinea che la Carta Olimpica stabilisce che «la pratica dello sport è un diritto umano e che ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport secondo le sue necessità», motivo per cui il Consiglio nazionale del CONI nel 2004 aveva disposto che gli statuti e regolamenti organici delle federazioni sportive dovessero prevedere la temporaneità, la durata del vincolo sportivo e le modalità di svincolo;
   pertanto, si avverte l'esigenza che il legislatore agisca per risolvere quella che pare all'interrogato una situazione che ancora non difende un valore sociale autentico qual è la libertà della pratica agonistica in ambito dilettantistico e giovanile, in quanto così com’è, di fatto, il principio del tesseramento degli atleti in giovane età e dei dilettanti, risulta un legame associativo spesso privo di un criterio sensato e caratterizzato da odiosi limiti di tempo;
   questa iniziativa normativa di revisione sarebbe da assumersi nell'ottica di rafforzare e sostenere lo sport di base, così da alimentare la crescita dei giovani atleti sul territorio e agevolarne la permanenza nel mondo dello sport, evitando l'effetto contrario, vale a dire il loro abbandono dello stesso proprio a causa del vincolo, e al tempo stesso per valorizzare il lavoro quotidiano di chi impegna gran parte della propria vita professionale e umana per diffondere lo sport tra le giovani generazioni –:
   se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere per affrontare la situazione sopra descritta;
   se non sia necessario assumere un'iniziativa normativa per rivedere le disposizioni in materia di società sportive e associazioni sportive dilettantistiche in quanto non tutela sufficientemente la funzione svolta da questi soggetti per il riconoscimento e la promozione sociale dello sport dilettantistico, come invece succede negli altri Paesi europei e come viene espressamente richiamato all'articolo n. 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   se non ritenga funzionale proseguire con il percorso che il Governo dichiarò di voler perseguire all'inizio del 2014, vale a dire contattare il presidente della Federazione italiana giuoco calcio per arrivare a costituire un tavolo tecnico con la partecipazione delle leghe, delle componenti tecniche e di tutte le parti interessate, così da attuare un riesame della tematica del vincolo sportivo e degli aspetti ad esso connessi nell'ambito del quale l'interrogante ritiene si debba perseguire l'obiettivo di giungere ad un progressivo abbandono e superamento dello stesso per calciatori e calciatrici dilettanti, o quanto meno al suo scadere con il raggiungimento della maggiore età, affinché sia resa definitivamente libera l'attività sportiva degli atleti, come, del resto, già succede nella stragrande maggioranza degli Stati europei, e al tempo stesso si tuteli per un determinato periodo di tempo l'investimento sostenuto dalle società per la formazione dei futuri professionisti come dei giocatori amatoriali. (5-05621)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELLAI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 21 marzo 2015 si è tenuta nel comune di Prnjavor (Bosnia-Erzegovina), dove vive da oltre 130 anni una comunità italiana nella località Stivor, una assemblea pubblica con all'ordine del giorno una ridefinizione dei confini catastali che comporterebbe, tuttavia, una riduzione significativa dell'estensione territoriale in cui vive la colonia italiana, un atto le cui implicazioni non si limitano alla sola natura amministrativa;
   il sindaco ed i tecnici del comune hanno motivato la modifica dei confini della località come «un atto dovuto» ed inderogabile rispetto alle norme definite dal Governo centrale di Banja Luka;
   sotto il profilo politico, tuttavia, l'atto assume una diversa importanza in quanto tra tutte le località comprese nel territorio del comune di Prnjavor, la riduzione interesserà esclusivamente quella di Stivor;
   questo atto si inserisce in un processo da tempo avviato e volto a chiudere definitivamente le aspirazioni della colonia trentina di Stivor ad avere una propria limitata autonomia amministrativa fino a giungere ad una completa irrilevanza dell'esistenza ufficiale della località Stivor;
   a seguito di tale decisione, infatti, molte persone dovrebbero modificare i propri documenti in quanto cambierebbero denominazione i luoghi di nascita e residenza, intaccando l'identità e l'appartenenza ad una comunità;
   la comunità italiana di Stivor ha convissuto pacificamente per oltre 130 anni con quella locale, inserendosi perfettamente nel contesto civile, economico e sociale della regione, portando anche un contributo importante nelle relazioni tra Italia e Bosnia in generale, e con la Provincia autonoma di Trento in particolare;
   la provincia di Trento, attraverso l'Associazione Trentini nel mondo, ha realizzato importanti interventi di cooperazione nell'area di Stivor e nel comune di Prnjavor come il cofinanziamento dell'acquedotto potabile destinato a servire 2.700 famiglie nella regione settentrionale del comune;
   la riduzione del territorio e la paventata cancellazione della località Stivor dalle mappe della regione rappresentano una dolorosa negazione di una lunga storia che ha legato due comunità con vincoli di amicizia e di reciproco sostegno –:
   quali iniziative intenda adottare a sostegno della comunità trentina in Stivor al fine di scongiurare una decisione che appare ingiustificata e senza effetti pratici migliorativi rispetto alla situazione attuale per la comunità serbo-bosniaca ma sicuramente penalizzante per quella italiano-bosniaca. (5-05619)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, DALL'OSSO, SARTI, FERRARESI, DELL'ORCO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza di applicazione di misure cautelari del tribunale di Reggio Calabria, sezione dei giudici per le indagini preliminari procedura n. 7144/2011 R.G.N.R. Direzione distrettuale antimafia è stata depositata richiesta cautelare in data 5 marzo 2013, successivamente integrata e modificata, da ultimo, in data 15 luglio 2014 nei confronti di diversi soggetti;
   i capi di imputazione sono stati emessi per associazione per delinquere di tipo mafioso, finalizzati – mediante la forza intimidatrice del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento ed omertà della cittadinanza – al controllo mafioso del territorio sopra indicato ed alla commissione di una serie indeterminata di delitti;
   come materiale probatorio sono state utilizzate intercettazioni, le fonti collaborative;
   le indagini e i capi di imputazione emanati in seguito riguardano anche «L'affare relativo alla gestione della raccolta dei rifiuti: la società FATA MORGANA ed il ruolo di AIELLO SALVATORE»;
   la proprietà di FATAMORGANA è così formato: capitale sociale interamente versato di euro 2.225.693,76, ed è frazionato in 431.366 azioni, dal valore nominale di euro 5,16 cadauna. La sua proprietà è così ripartita: Proprietà Numero di azioni Valore delle azioni comune di Reggio Calabria 160,430 euro 827.818,80; ENIA S.p.A. 107.834 euro 556.423,44; TM.E. spa Tennomeccanica Ecologica 103.521 euro 534.168,36; comune di Villa S. Giovanni 11.550 euro 59.598,00; comune di Melito Porto Salvo comune di Montebello Jonico, comune di Motta S. Giovanni, comune di Scilla; comune di San Lorenzo; comune di Campo Calabro;
   IREN Emilia è una società che fa parte del Gruppo IREN nato il 1o luglio 2010 dalla fusione tra IRIDE, la società che nel 2006 aveva riunito AEM Torino (1907) ed AMGA Genova (1922), ed ENÌA, l'azienda nata nel 2005 dall'unione tra AGAC Reggio Emilia (1962), AMPS Parma (1905) e Tesa Piacenza (1972);
   nel febbraio 2001 AGAC diventa società per azioni a totale capitale pubblico locale e, nel 2002, costituisce Blumet in ossequio alle previsioni del decreto-legge Letta in tema di separazione dell'attività di vendita da quella di distribuzione del gas;
   il 18 settembre 2008, ufficiali di polizia giudiziaria della squadra mobile di Reggio Calabria raccolsero le dichiarazioni di Aiello Salvatore che, in qualità di responsabile tecnico della società «Fata Morgana» spa e direttore tecnico della «Piana Ambiente» spa, riferì sull'esistenza di intricati rapporti tra le due ditte, operanti, entrambe, nel settore della raccolta e della gestione dei rifiuti;
   per come precisò, ambedue le imprese avevano in comune «... gli stessi soci privati, ovvero la TME S.p.a. di La Spezia e l'ENIA S.p.a. di Reggio Emilia». Inoltre, l'anno prima, con il benestare del commissario all'emergenza ambientale, la TME spa «... ha venduto le quote alla VEOLIA, società francese, leader del settore a livello mondiale. Tale società ha acquisito esclusivamente la gestione in Calabria degli impianti tralasciando di interessarsi ad altri settori come quello della raccolta dei rifiuti in genere»;
   inoltre, Aiello Salvatore riferì anche di un ambizioso tentativo di scalata finanziaria operato dalla società «LEONIA» che, grazie a una spietata politica di «rastrellamento» di interi pacchetti azionari, avrebbe cercato di accumulare una consistente quota di partecipazioni della «Fata Morgana». Un progetto che, tuttavia, fu duramente osteggiato da ignoti con una serie di pericolosi attentati e da numerosi altri atti intimidatorio;
   Aiello Salvatore era responsabile tecnico come detto di FATA MORGANA spa e DIRETTORE TECNICO DI PIANA AMBIENTE spa;
   Aiello Salvatore ha mediato con Commisso Giuseppe, detto «u mastro» per conto della società Fata Morgana, per essere favorito (noi avevamo il piacere se... se siamo... di accettare di venire da queste parti a lavorare... poi se va...») nell'assegnazione di un appalto pubblico per l'esecuzione dell'attività di raccolta e gestione dei rifiuti in alcuni comuni della Jonica;
   risulta dal verbale di interrogatorio di Aiello Salvatore del 5 maggio 2014: ADR: «La Tennomeccanica gestiva cinque impianti di smaltimento rifiuti in Calabria (Rossano, Crotone, Gioia Tauro (dove c’è anche il termovalorizzatore), Siderno e Sambatdlo in Reggio Calabria). Per quanto riguarda il servizio di trasporto al termovalorizzatore di Gioia Tauro, come ho detto, è stata costituita un Ati tra alcuni autotrasportatori calabresi presso un notaio in Falerna, finalizzata appunto al trasporto degli altri scarti di lavorazione dei rifiuti (cenere) prodotti da Tennomaccanica nei vari impianti e da trasportare al termovalorizzatore di Gioia Tauro. Capo fila di questa Ati era la Ecofall di La Valle. È stato stipulato, in relazione a tale servizio di trasporto, un contratto tra la Terrnomeccanica e l'Ati in discorso. È in relazione a tale rapporto contrattuale che sorge la questione di cui parlo con Commisso Giuseppe il mastro. La Valle mi disse che non gli permettevano più di caricare presso l'impianto di Siderno e mi chiese di andare a parlare a Siderno con i Commisso per capire cosa fosse successo. L'oggetto delle conversazioni con il “mastro” Commisso Giuseppe del 29.07.09 e del 13.08.09 era appunto questo: il mastro mi disse che non era stato versato da La Valle quanto preteso dai Commisso (una quota a titolo estorsivo per ogni trasporto di cdr o scarti di lavorazione in uscita dall'impianto di Siderno) e per questo al La Valle non era consentito di continuare a lavorare in quel momento. La cosa è stata poi sistemata: in effetti sia il La Valle che il Commisso mi dissero che il problema era rientrato, tant’è che il La Valle ha continuato a lavorare lì. Preciso che il La Valle non mi disse espressamente che aveva pagato (lui o tramite Alampi) ma che (“era tutto a posto”): è evidente che era stata pagata la somma richiesta a titolo di estorsione»;
   il comune di Reggio Emilia è ancora socio con IREN che è socia sia di FATA MORGANA che di PIANA AMBIENTE, che gestiscono i rifiuti dove Salvatore Aiello (arrestato e ora collaboratore di giustizia, era direttore tecnico di Piana Ambiente e responsabile tecnico di FATA MORGANA, nonché intermediario con i boss) –:
   se risulti al Ministro interrogato anche a mezzo delle prefetture competenti, l'esperimento dell'azione rescissoria prevista dal codice antimafia dopo la stipula del contratto, secondo l'articolo 88 comma 4-ter del decreto legislativo n. 153 del 2014, laddove intercorrano rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e le società Fata Morgana e Piana Ambiente;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative normative affinché, qualora una società a partecipazione pubblica o un ente locale detenga partecipazioni in società per le quali risulti essere accertata un'infiltrazione o un condizionamento da parte della criminalità organizzata, ai sensi di quanto indicato dalla normativa antimafia, sia obbligatorio per i soggetti pubblici dismettere le partecipazioni alle società medesime;
   quale posizione per quanto di competenza intendano i Ministri assumere di fronte alla gravità dei fatti sopra enunciati. (4-09209)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 16 del decreto ministeriale del 18 dicembre 2008 è stata fissata la possibilità di concessione della tariffa onnicomprensiva per l'energia ceduta alla rete da impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili (FER) di importo pari a 0,28 euro/chilowatt fino al 31 dicembre 2012, per gli impianti a biomasse di potenza inferiore a 1 megawattora, con successive variazioni e modulazioni; tali tariffe non furono commisurate alle necessità energetiche dei territori, né ad alcuna pianificazione di risorse e attività produttive, né alla valutazione delle emissioni e delle condizioni ambientali preesistenti, né alla valutazione di un indice di ritorno energetico;
   nel seminario «biogas e biometano per le aree agricole del Mediterraneo» tenuto il 3 maggio 2013 a Foggia da parte della professoressa Mariarosaria Lombardi, dell'università degli studi di Foggia e del gruppo di ricerca STAR Agro Energy, è stato affermato che l'indice di ritorno energetico (EROI) per un impianto a biogas da insilati è 2,47; l'EROI è il rapporto fra l'energia ottenuta e l'energia consumata per ottenerla; nel caso del solare fotovoltaico risulta superiore a 10, per il solare a strato sottile superiore a 25 (Origenenergy);
   l'incentivo del decreto ministeriale del 18 dicembre 2008 non fu commisurato alle emissioni degli impianti (gli impianti a biomasse possono emettere a norma di legge, a parità di energia prodotta, 10 volte più precursori rispetto a un impianto energetico a metano) e ai possibili danni sanitari (esternalità sanitarie che corrispondono a un incremento del 20 per cento dei costi economici di generazione dell'energia stessa). Non furono valutati aspetti ambientali come il consumo di territorio, diretto e indiretto; un impianto a biogas necessita di un'area superiore di 33 volte per produrre la stessa energia in valore assoluto di un impianto solare fotovoltaico. Non furono disposte misure per verificare le necessità energetiche per autoconsumo nelle realtà agricole né l'utilizzo di matrici no food e no feed. Pertanto l'incentivo non fu commisurato alla sostenibilità della fonte energetica;
   in provincia di Mantova esistono 48 impianti a biogas in attività, oltre il 95 per cento entrati in esercizio entro la fine del 2012 con il massimo dell'incentivo a tariffa omnicomprensiva e alcuni impianti a biomasse legnose che ottennero modifiche autorizzative in senso di incremento della potenza;
   in provincia di Mantova entro il 2012 furono creati almeno 74 megawattora di energia da FER intese come impianti a biomasse (biogas compreso), che per la vita prevista degli impianti e per gli incentivi concessi, corrispondono a circa 2,5 miliardi di euro in 10 anni, circa 7 mila euro per ciascun abitante della provincia;
   nell'analisi particolare dell'incentivo si rileva che il prezzo di mercato dell'energia elettrica è attualmente intorno ai 5 centesimi pro chilowatt, contro i 28 centesimi erogati a quel genere di impianti;
   dalle circolari provinciali emanate risulta che la «fine lavori» per gli impianti doveva essere certificata da un'ispezione delle autorità provinciali delegate; ciò non si sarebbe verificato a quanto consta agli interroganti con riferimento quanto meno all'impianto di Roverbella;
   nell'atto dirigenziale n. 21/86 del 3 aprile del 2012 la provincia di Mantova autorizzava infatti la ditta Roverbella Energia alla costruzione e all'esercizio dell'impianto a biogas denominato «Sei Vie» all'interno della quale si prescriveva: «la messa in esercizio potrà avvenire solo dopo l'effettuazione di un sopralluogo effettuato da parte della provincia al quale possono partecipare anche gli altri enti deputati al controllo, sopralluogo necessario alla verifica della conformità delle opere realizzate rispetto a quanto approvato dalla stessa autorizzazione unica»;
   in data 20 dicembre 2012 la provincia inviava tuttavia un fax, spiegando che era sufficiente una autocertificazione in deroga ai precedenti comunicati, sulla base della legge regionale n. 1 del 2007;
   questa deroga non era inserita nell'autorizzazione unica;
   ad avviso degli interroganti lo strumento dell'autocertificazione, se eventualmente utilizzabile, doveva:
    a) comunque già essere prevista nell'autorizzazione unica del 2012, come alternativa al sopralluogo, in quanto legge già esistente dal 2007;
    b) nella stessa legge si evince che l'autocertificazione di agibilità può essere rilasciata solo per procedimenti che fanno capo a leggi regionali diversamente dai casi di autorizzazioni per impianti a biogas regolamentati da norme nazionali;
    c) per le attività ad alto rischio di incidente rilevante, come nel caso di impianti a biogas, tale autocertificazione di conformità decade;
    d) la legge regionale n. 1 del 2007 è stata successivamente modificata dal primo supplemento approvato con decreto della giunta regionale del 3 aprile del 2007 n. 8/4502 punto 1 e quindi in vigore alla data del 20 dicembre del 2012 (data del fax della provincia per sostituire il sopralluogo nel caso dell'impianto di Roverbella), dal quale si evince chiaramente che le autocertificazioni di agibilità debbano comunque essere firmate anche dal direttore lavori in qualità di tecnico competente, oltre che dal legale rappresentante/proprietà;
   la questione rileva in relazione al fatto che vennero richiesti incentivi al GSE a partire dalla fine di dicembre 2012, alla tariffa 2012, mentre gli impianti non risultavano in funzione a fine 2012; nel caso dell'impianto di Roverbella è stato presentato un esposto alla magistratura (passato per competenza alla procura di Roma) come da articolo apparso sulla Gazzetta di Mantova il 1o aprile 2015;
   un altro caso riguarda l'impianto di Curtatone, di cui risulta al GSE entrata in esercizio il 17 dicembre 2012 (come da comunicazione della società del 3 gennaio 2013, esiste la dichiarazione del legale responsabile dell'impianto, in merito al mancato funzionamento nel febbraio 2013, in seguito a una sanzione della polizia locale e in una successiva autorizzazione con determina dirigenziale n. PD/2100 del 19 dicembre 2013 a «modifiche non sostanziali», oggetto dell'interrogazione dell'onorevole Alberto Zolezzi e al numero 5-02653 e di esposto alla procura di Mantova del 22 settembre 2014) viene riportata la cronologia relativa al mancato funzionamento dell'impianto almeno per tutto il primo semestre del 2013; in data 18 luglio del 2013 l'impianto alla verifica dei vigili del fuoco risultava non in funzione. Si segnala che in risposta alla citata interrogazione parlamentare il Ministero dell'ambiente certificò l'assenza della matrice richiesta in sostituzione parziale del letame (idrobios) fra le matrici consentite né tantomeno la possibilità di spandere sui terreni il refluo (digestato) del procedimento di digestione anaerobica;
   a fronte delle richieste formulate al GSE non è chiaro agli interroganti da quando e sulla base di quali presupposti il GSE abbia eventualmente erogato risorse;
   qualora siano stati erogati contributi non dovuti si dovrebbe restituire allo Stato l'incentivo incamerato secondo il decreto legislativo del 3 marzo 2011;
   peraltro, da fonti di stampa si desume sia stato richiesto di prendere visione delle fidejussioni per il fine vita degli impianti stessi considerato che tale fidejussione deve essere data a garanzia dei lavori di dismissione dell'impianto e del ripristino dei luoghi in condizioni del tutto analoghe alla situazione antecedente all'installazione dell'impianto così come riportato a livello regionale dagli articoli 4.1 e 4.5 della delibera della giunta regionale Lombardia del 18 aprile 2012 – n. IX/3298 –:
   se si intenda verificare se siano stati assegnati contributi da parte del GSE per impianti non operativi e a quale titolo ciò sia avvenuto;
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, non intendano promuovere presso il GSE una verifica delle convenzioni stipulate con impianti FER a ridosso della scadenza del massimo incentivo 2012. (4-09210)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, MANTERO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO e BARONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del combinate disposto dell'articolo n. 114 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 maggio 2000 sono trasferite alle regioni le funzioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210;
   il comma 186 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha previsto che agli oneri finanziari derivanti dalla corresponsione degli indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992 dal 1o gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2014, nonché agli oneri derivanti dagli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale, si provvede mediante l'attribuzione alle regioni di un contributo di 100 milioni di euro per il 2015, di 200 milioni per il 2016, di 289 milioni per il 2017 e di 146 milioni per il 2018;
   nella seduta della Conferenza Stato-regioni svoltasi il 7 maggio 2015 è stato dato parere al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, con il quale viene ripartito il contributo per gli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati;
   la tabella 1 allegata allo schema di decreto individua il riparto delle somme tra le regioni; dallo schema emerge che non è prevista l'erogazione di somme per la regione siciliana in quanto, a seguito della mancata emanazione di norme di attuazione di cui all'articolo n. 10 del decreto legislativo n. 112 del 1998, la regione non svolge funzioni di erogazione degli indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992 –:
   entro quale termine verranno emanati i decreti attuativi per la regione siciliana;
   quale sia l'ammontare delle risorse che il Governo intende rendere disponibile per coloro che percepiscono l'indennizzo in Sicilia;
   come intendano affrontare il problema dell'insufficienza delle risorse stanziate per i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie e da trasfusioni o assunzione di emoderivati. (5-05617)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel lontano 1985, l'allora Ministro delle Finanze, Bruno Visentin emise una norma (legge n. 354 del 1985, articolo 1, che derogava la legge n. 18 del 1983, articolo 1) che obbligava i commercianti ad emettere lo scontrino fiscale per ogni acquisto, sia pure minimo;
   tale norma era stata prima introdotta e poi rafforzata con l'obiettivo di combattere l'evasione tributaria, inserendo un controllo contabile alla vendita non regolata che prima vigeva cercando così di puntellare il diffuso uso della mancata dichiarazione all'ufficio delle entrate;
   questo sistema, però, essendo molto capillare, ha bisogno di ingenti forze economiche, in quanto l'erogazione dello scontrino fiscale senza controlli si è rivelata fittizia, poiché spesso lo scontrino fiscale non viene rilasciato dal commerciante;
   ora, a distanza di trenta anni, pare imminente la decisione di introdurre nuove forme di controllo non legate allo scontrino. Il governo giustifica tale scelta asserendo che il vecchio scontrino è oramai uno strumento obsoleto e molto costoso in termini di lotta all'evasione;
   i nuovi sistemi che verrebbero introdotti (ed in parte lo sono già) sono lo scontrino non fiscale e la tracciabilità. Cioè, un sistema di fatturazione elettronica con scontrino telematico collegando i registratori di cassa degli esercenti con le banche dati dell'ufficio delle entrate;
   usando questo metodo, pare vengano facilitati la tracciabilità ed il controllo mirato; esso risulterebbe inoltre meno dispendioso. In via sperimentale si inizierebbe con la grande distribuzione. Con la tracciabilità, sia in uscita che in entrata, nel caso di contraddizioni si andrebbe direttamente alla fonte dell'incongruenza in maniera diretta e mirata, eliminando il controllo a «tappeto». Ovviamente anche gli acquisti fatti dall'esercente saranno anch'essi, soggetti a fatturazione elettronica. Tra l'altro, tale sistema, per la legge 311 del 2004, già è in parte vigente nella grande distribuzione;
   la preoccupazione che questa semplificazione in realtà faciliti l'evasione è d'obbligo. Pare, oggettivamente possibile che molta merce potrebbe essere in «nero» e quindi non fatturata, e come tale di facile smercio e, soprattutto, di altrettanto facile «smercio non del tutto legale» –:
   quali iniziative i ministri interrogati intendano mettere in pratica per garantire il massimo della trasparenza tributaria e della regolarità amministrativa, evitando qualsiasi incresciosa pulsione alla evasione fiscale. (4-09196)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   CASTRICONE, D'INCECCO, BRAGA, AMATO, MELILLA e FUSILLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la testata de Il Fatto Quotidiano riporta in forma anonima le dichiarazioni virgolettate di due giudici popolari al processo presso la corte di assise di Chieti concernente la mega discarica di Bussi e l'inquinamento legato agli impianti ex Montedison;
   la procura di Pescara aveva chiesto la condanna per i 19 imputati a pene che variavano da 4 a 12 anni per avvelenamento doloso delle acque e inquinamento doloso;
   la sentenza della corte d'assise, pronunciata in data 19 dicembre 2014, ha invece assolto tutti dal primo reato perché il fatto non sussiste e derubricato il secondo a colposo, cosa che ha comportato una riduzione della pena a 5 anni poi prescritta;
   nelle dichiarazioni al giornale viene affermato testualmente che in un caso un giudice «non era serena quando hanno emesso la sentenza» e aggiunge «ma le dico di più: non abbiamo mai letto gli atti del processo» e nell'altro che «soprattutto nelle motivazioni proprio non mi riconosco»;
   secondo la loro versione i giudici popolari non hanno letto un solo atto del processo in quanto affermano testualmente: «Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula»;
   sempre le due intervistate hanno rivelato che durante una cena con il giudice Romandini questi avrebbe spiegato loro che sempre come riportato testualmente «se avessimo condannato per dolo, se poi (gli imputati ndr) si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente chiedendoci i danni e avremmo rischiato di perdere tutto quello che avevamo»;
   tali dichiarazioni è evidente che necessitano di un approfondimento in considerazione della delicatezza della questione che riguarda una comunità e un territorio profondamente segnati e sulle ombre che vengono a palesarsi sul giudizio e sull'intero processo;
   i due giudici popolari come riportato nell'articolo hanno affermato di essere «disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici e se uh magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità». Il giudice Romandini, presidente della corte d'assise, nello stesso articolo contattato risponde di non poter commentare le dichiarazioni dei giudici popolari — che si assumono la responsabilità di ciò che dicono – perché tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio ed afferma che i giudici «Sono stati messi nelle condizioni di poter decidere. E nella massima correttezza e trasparenza» –:
   alla luce di quanto riportato in premessa se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative, il Ministro intenda adottare in relazione alla vicenda ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (3-01500)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, nella giornata di ieri, giovedì 14 maggio, il Ministro interpellato avrebbe proceduto alla nomina dell'avvocato Giuliano Gallanti, già presidente uscente dell'Autorità portuale di Livorno, a commissario straordinario della medesima autorità portuale. Tale nomina sarà effettiva «fino a che non sarà scelto il nuovo presidente o, comunque, per un periodo non superiore a sei mesi»;
   a tal proposito, il sindaco del capoluogo labronico Filippo Nogarin ha inviato già nella giornata di ieri una lettera al Ministro interpellato e, per conoscenza, al Presidente del Consiglio dei ministri, nella quale si può leggere: «All'indomani del Suo insediamento a Ministro della Repubblica, avvenuto in data 2 aprile 2015, diedi incarico alla mia Segreteria di avanzare richiesta di incontro con la Signoria Vostra. A seguito di una totale non curanza della richiesta telefonica in data 13 aprile fu inoltrata dal Gabinetto formale richiesta mail di incontro. Tale richiesta continuò a rimanere totalmente inevasa anche nei termini di un semplice cenno di riscontro da parte della Sua Segreteria. A fronte di ciò seguirono due note personali a firma del sottoscritto quale sindaco del comune di Livorno, rispettivamente del 24 aprile e del 5 maggio. In tali note, esplicitamente feci riferimento ad una richiesta di incontro correlata con la procedura in corso di nomina del nuovo Presidente dell'Autorità portuale di Livorno. Desta sconcerto un atteggiamento di un Ministro della Repubblica che, in assoluto dispregio dei più elementari principi di rispetto istituzionale, proceda ad una nomina di tale rilievo per la comunità territoriale senza avvertire il bisogno di una interlocuzione con il Sindaco della città, peraltro a fronte di reiterate richieste in tal senso. Richieste che muovevano dalla volontà di offrire la più completa disponibilità ad un atteggiamento di piena e fattiva collaborazione istituzionale. Di tale Suo comportamento sarà mia cura rendere edotto il Presidente del Consiglio dei ministri, in tale ruolo individuando l'organo di responsabilità primaria dell'operato del Governo della Repubblica e dunque il garante massimo del rispetto di una corretta gestione dei rapporti istituzionali»;
   l'incresciosa vicenda descritta dal sindaco di Livorno denota secondo gli interpellanti il mancato rispetto da parte del Ministro interpellato del principio di leale collaborazione tra i vari livelli di Governo e una concezione autoritaria e centralistica dell'esercizio del potere;
   non si comprende, infatti, per quale motivo sia stata reiteratamente ignorata la richiesta di incontro del sindaco di Livorno; sembra da escludersi che ciò non sia avvenuto per mancanza di tempo, ma è ad avviso degli interpellanti sintomo di una scarsa sensibilità istituzionale da parte del Ministro interpellato, che peraltro pervade l'intera azione di questo Governo sempre più ispirata al principio del cosiddetto «uomo solo al comando», come peraltro sembra desumersi dall'impostazione della riforma del settore portuale, rispetto alla quale sono state diffuse indiscrezioni di stampa inquietanti –:
   quali siano le ragioni che hanno spinto il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ad ignorare le richieste di incontro del sindaco di Livorno;
   per quale motivo il Ministro abbia proceduto alla nomina a commissario straordinario del presidente uscente senza attivare la procedura prevista dall'articolo 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84.
(2-00978) «Luigi Di Maio, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Nicola Bianchi, Carinelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autostrada pedemontana lombarda (A36) è un sistema viabilistico con uno sviluppo complessivo di circa 157 chilometri, di cui 67 chilometri di autostrada, 20 chilometri di tangenziali e 70 chilometri di viabilità locale. Si tratta di un intervento molto complesso, sia a livello ingegneristico che ambientale, che interessa cinque province (Bergamo, Como, Milano, Monza Brianza e Varese) e 78 comuni;
   l'apertura al traffico dell'intero sistema viabilistico pedemontano è fissata per il mese di luglio 2021, il 24 gennaio 2015 è entrato in esercizio il 1o lotto della tangenziale di Varese e il 26 gennaio 2015 la tratta A che unisce l'autostrada A8 Milano-Varese (nel comune di Cassano Magnago) allo svincolo con l'A9 Milano-Como, all'altezza di Lomazzo;
   il CIPE, in sede di valutazione del progetto ha rinviato l'approvazione definitiva dell'autostrada Pedemontana, disponendo una variante progettuale per lo svincolo autostradale di Gazzada Schianno (l'innesto che dalla A8 Milano-Varese porterà gran parte dei veicoli a immettersi nella nuova infrastruttura);
   con l'apertura al traffico del primo lotto della tangenziale di Varese (A60) tale svincolo si rende necessario per le funzioni di interconnessione con l'autostrada A8, soprattutto per la direttrice verso sud (Milano) e per favorire lo smaltimento dei rilevanti flussi di traffico presenti in quell'area;
   l’iter del nuovo progetto dello svincolo è stato avviato il 20 giugno 2012, la regione ha espresso il proprio parere favorevole con delibera n. IX/4074 del 19 settembre 2012, la conferenza di servizi ha avuto luogo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 27 settembre 2012, mentre la Commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso il proprio formale parere favorevole;
   in attesa del completamento dell'istruttoria da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della successiva approvazione da parte del CIPE, il mancato adeguamento dello svincolo sta ingenerando lunghe code e situazioni di pericolo per la circolazione stradale;
   l'unica corsia che somiglia ad un «budello», che dalla A8 conduce nella nuova superstrada a due corsie, si sta trasformando in un imbuto tutte le mattine per via del grande traffico che si immette nella provinciale 57 in direzione Lozza-Ponte di Vedano;
   la copertura finanziaria dell'intervento è garantita nell'ambito degli investimenti del piano economico finanziario della concessionaria Autostrada pedemontana lombarda spa, che è stato oggetto di parere favorevole da parte del CIPE in data 1o agosto 2014;
   con l'approvazione sarà eventualmente possibile, da parte del concessionario autostradale, intervenire per stralci funzionali, dando priorità ai principali interventi che consentirebbero una maggiore fluidificazione del traffico –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per sollecitare il completamento dell'istruttoria da parte dei competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e pervenire alla successiva approvazione da parte del CIPE del nuovo progetto dello svincolo autostradale di Gazzada Schianno. (5-05618)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   molti disabili, giornalmente, provano a condurre una vita quasi normale. Si spostano autonomamente, guidano, lavorano e, naturalmente, contribuiscono attivamente alla vita sociale del Paese. Con non poco stupore l'interrogante è venuto a conoscenza del fatto che per una persona disabile è impossibile raggiungere Perugia da Roma in treno;
   l'interrogante ha chiamato personalmente dal suo telefono l'assistenza clienti di Trenitalia alle 16,15 del 5 maggio 2015 e la gentile operatrice ha confermato l'impossibilità di effettuare questo viaggio in treno fornendo, con non poco imbarazzo, ulteriori dettagli. La persona disabile, partendo da Roma può raggiungere Foligno, ma non vi è, ad oggi, alcuna soluzione per farla arrivare in autonomia fino a Perugia;
   l'8 febbraio 2014 il nostro Paese ha ricevuto dall'Unione europea due lettere di messa in mora. La prima stigmatizza la mancanza di «assistenza specifica gratuita per le persone con, disabilità sia presso le stazioni che a bordo degli autobus», come stabilito dal regolamento (UE) n. 181/2011. La seconda lettera invece riguarda problemi analoghi subiti dagli utenti passeggeri che utilizzano il trasporto navale. Queste due comunicazione fanno rischiare seriamente l'avvio di una nuova procedura di infrazione che si sommerebbe a tutte le altre già esistenti, oltre al fatto di mortificare ulteriormente una Nazione intera e, in particolare, i cittadini diversamente abili;
   nel 2015 in uno dei Paesi più importanti ed evoluti del mondo, si nega la possibilità di fornire totale autonomia alle non poche coraggiosissime persone disabili che, giornalmente, provano a condurre una vita alla costante ricerca di una «normalità» che lo Stato ha l'obbligo assoluto di fornire –:
   se sia a conoscenza di queste carenze del servizio di trasporto ferroviario italiano;
   se intenda avviare una verifica in modo da evidenziare lacune di questo tipo nell'erogazione del servizio di trasporto ferroviario;
   se intenda, nei limiti delle sue competenze, intervenire per provare ad eliminare le limitazioni subite dalle persone disabili per quanto riguarda l'utilizzo del servizio di trasporto ferroviario. (4-09197)


   GIACHETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto — guardia costiera, a seguito di pubblica gara europea, ha commissionato al cantiere navale «MEGARIDE Soc. Coop.» di Napoli la costruzione di una nave polivalente di nuova generazione da dedicare prioritariamente al controllo della pesca e alle importanti attività di istituto, poi iscritta al naviglio militare in data 1o agosto 2012 con la sigla CP 920 e con il nome «Bruno Gregoretti»;
   la fornitura è disciplinata con regolare contratto registrato presso l'Agenzia delle entrate Roma 6 e prevede la realizzazione di una nave del tipo «Supply Vessel» da iscrivere nel ruolo del naviglio militare dello Stato (articolo 292 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 e articolo 243 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010 n. 90), così come è stata iscritta in data 1o agosto 2012, è da destinare prioritariamente al servizio di controllo e vigilanza pesca attraverso l'utilizzazione di risorse economiche (circa 15,5 milioni di euro), in parte nazionali ed in parte con fondi europei;
   a seguito di una lite giudiziaria tra il cantiere navale «MEGARIDE Soc. Coop.» e l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV), lite in cui il corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera risulta totalmente estraneo, con un provvedimento del tribunale di Padova, seconda sezione civile (n. 9687/2012 del 26 novembre 2012), a seguito di specifica richiesta dell'ARPAV, è stato disposto il sequestro conservativo dell'unità navale in costruzione iscritta al n. 01/2010 dei Registri navi in costruzione della capitaneria di porto di Napoli, contrariamente a quanto disposto in prima istanza dove, invece, veniva rigettata la richiesta di sequestro conservativo;
   in buona sostanza a seguito del contenzioso sopra descritto veniva sequestrata, a scopo cautelativo, una nave, la «Gregoretti», che, a detta dello stesso presidente della società «MEGARIDE Soc. Coop.», risultava già essere di proprietà del Ministero;
   nel luglio del 2014 il tribunale di Padova autorizzava il custode giudiziario (nella persona fisica del Sig. Luigi Izzo, in questo caso incidentalmente presidente della società MEGARIDE società cooperativa) alla facoltà d'uso della nave «Gregoretti» per verifiche tecniche in mare;
   nell'ambito di dette verifiche, la nave in questione ha compiuto numerose azioni di soccorso, traendo in salvo oltre 5000 persone nello stretto di Sicilia, tra cui i 28 sopravvissuti (oltre a 25 salme trasportate a Malta) del drammatico naufragio del 18 aprile 2015 costato la vita a oltre 700 persone. Proprio nell'ambito di quest'ultimo, tragico evento, la sera del 20 aprile, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio accorso a Catania è salito a bordo della nave in questione, rivolgendo parole di grande apprezzamento per l'opera svolta dalla guardia costiera in generale e dall'equipaggio della nave CP 920 «Gregoretti» in particolare;
   a seguito di un'ulteriore recente udienza presso il giudice per le esecuzioni presso il tribunale di Napoli (a cui è stata demandata l'esecuzione del sequestro) su richiesta del custode giudiziario sig. Izzo, stante la sua dichiarata impossibilità a garantire la custodia del bene, è stata revocata la facoltà d'uso per verifiche tecniche alla nave «Gregoretti» e quindi, in data 2 maggio 2015, disposto l'immediato rientro dell'unità, con la conseguente impossibilità a qualsiasi uso;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha già saldato al cantiere circa il 90 per cento del costo totale che, come detto, è di circa 15,5 milioni di euro;
   l'Unione europea, che ha finanziato la costruzione al 50 per cento, ove non fosse riscontrata l'attività di controllo sulla pesca nei tempi e nei modi stabiliti, potrebbe verosimilmente richiedere la restituzione del contributo concesso;
   l'unità navale CP 920 «Gregoretti» risulta indispensabile alle attività di istituto della guardia costiera italiana, in considerazione delle sue peculiarità tecniche e di modernità ed in particolare relazione agli immani sforzi compiuti dall'Italia nello stretto di Sicilia per il soccorso ai migranti che cercano di raggiungere l'Europa attraverso il nostro Paese –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza della grave situazione descritta, che di fatto rende inutilizzabile un importantissimo assetto navale della nostra guardia costiera, costato alla collettività oltre 15 milioni di euro, consegnata di fatto nel 2012 ed utilizzata solamente da luglio 2014 ad aprile 2015;
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per fare fronte a questa situazione, e per avere la piena disponibilità della propria nave CP 920 «Bruno Gregoretti»;
   quale strategia difensiva sia stata posta in atto per tutelare gli interessi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell'ambito della lite giudiziaria tra il cantiere navale «MEGARIDE Soc. Coop.» e l'Agenzia Regionale per la prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV), al fine di evitare che la nave della Guardia Costiera finisse sotto sequestro. (4-09208)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9, 10 e 11 maggio 2015 presso la sponda del fiume Serio nel territorio del comune di Fara Olivana con Sola si è svolto un raduno illegale «rave party»; quasi mille giovani, provenienti da tutto il Nord Italia e anche dall'estero, sotto l'effetto di droghe e alcool, in preda ad un delirio collettivo, hanno bivaccato all'interno di una delle zone del parco pubblico;
   le misure messe in atto dall'amministrazione comunale (tra cui anche una ordinanza di sgombero fin dalla mattina del sabato 9 maggio) e dai vertici politici dell'Ente Parco non hanno potuto evitare lo svolgimento dell'evento illegale. Il cospicuo numero di partecipanti all'evento ha, infatti, fatto desistere le forze dell'ordine dal procedere all'allontanamento dei giovani;
   stando a quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, i carabinieri di Romano di Lombardia hanno arrestato 4 persone trovate in possesso di 168 grammi di marijuana, 54,5 grammi di hashish, 44 bustine di ketamina e 2.495 euro in contanti con l'accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Il controllo dei carabinieri è scattato domenica 10 maggio, attorno alle 23, in via Vittorio Emanuele II a Fara Olivana: la droga e i contanti sono stati sequestrati;
   il parco del Serio è stato interessato anche in passato da questi eventi illegali;
   i sindaci dei comuni il cui territorio è limitrofo al Parco del Serio hanno interessato l'ufficio territoriale del Governo per rappresentare la necessità di mettere in atto azioni concrete per far sì che non abbiano a ripetersi tali manifestazioni. I sindaci hanno chiesto al prefetto di coinvolgere la polizia postale per prevenire la diffusione di informazione sui rave illegali. È noto, infatti che gli organizzatori sfruttano l'anonimato della rete internet per l'organizzare e comunicare data e luogo dell'evento;
   l'Ente parco del Serio ha denunciato diversi danni ambientali causati dalla manifestazione illegale: transito in zone di divieto e occupazione di aree naturali con mezzi a motore che hanno compromesso l'ecosistema floreale e faunistico –:
   se il Ministro sia stato informato dal prefetto delle richieste avanzate dai sindaci dei comuni della zona territoriale dove si è svolta la manifestazione non autorizzata e quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare l'organizzazione di eventi come quello descritto in premessa. (4-09202)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   COLONNESE, D'INCÀ, LUIGI GALLO, PETRAROLI e FICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli istituti scolastici di tutta Italia sono state avviate le prove INVALSI;
   l'INVALSI è l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione. Tutti gli anni il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca delega a questo, istituto la valutazione dei livelli di apprendimento degli alunni delle classi II e V della scuola primaria e secondaria;
   l'INVALSI è l'ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico che ha raccolto, in un lungo e costante processo di trasformazione, l'eredità del Centro europeo dell'educazione (CEDE) istituito nei primi anni settanta del secolo scorso;
   il test Invalsi dovrebbe consentire di misurare i livelli di apprendimento e le competenze acquisite dai bambini probabilmente allo scopo di individuare le scuole che necessitano di interventi specifici e risorse per migliorare la didattica. Rischia invece di diventare un sistema punitivo o premiante a seconda della valutazione delle prove, aumentando di fatto le disuguaglianze;
   agli interroganti risulta che metodologicamente il risultato ottenuto da una classe non dovrebbe essere paragonato a quello di un'altra senza opportuni interventi. Difatti, il risultato ottenuto da una classe al test potrebbe dipendere dai motivi più disparati, che non sono imputabili alla capacità degli insegnanti e degli alunni. Fattori determinanti potrebbero essere le caratteristiche socio-economiche della famiglie degli alunni, la localizzazione geografica della scuola, la presenza in classe di bambini con difficoltà non certificata o non adeguatamente supportata. La correzione di tali dati non risulta agevole;
   non è definito chiaramente cosa si intende per «buon risultato» alle prove Invalsi;
   inoltre, alcuni genitori lamentano il fatto che i test seppur anonimi, invece di essere spediti all'Invalsi, vengono caricati nel database dai docenti della scuola. In tal modo gli insegnanti possono venire a conoscenza del risultato delle loro e delle altre classi;
   inoltre, a quanto consta agli interroganti pare che in alcune scuole gli insegnanti aiutino i bambini nelle risposte per migliorare la valutazione della loro scuola o della loro classe, ricorrendo talvolta all'accorpamento delle classi in caso di numerose assenze. Si deduce che quello che dovrebbe essere uno strumento per migliorare la qualità della scuola pubblica si riveli una sorta di sterile e inutile gara tra insegnanti che rischia di penalizzare le scuole più in difficoltà. Così come è strutturato e svolto, il test Invalsi non fornisce elementi utili ai fini di uno studio finalizzato all'individuazione di politiche scolastiche mirate con il rischio di un inutile spreco di risorse;
   le famiglie devono sobbarcarsi di una spesa in più per l'acquisto dei libri di esercitazione per sostenere le prove Invalsi;
   sembrerebbe che in diverse scuole i dirigenti scolastici esercitino pressioni su insegnanti e alunni per imporre lo svolgimento di suddette prove;
   risulta agli interroganti che i genitori degli alunni della scuola elementare e materna 29o C.D. Luigi Miraglia i giorni 6 e 7 maggio decidevano di non sottoporre i figli alle prove Invalsi, partecipando allo sciopero indetto da alcune sigle sindacali, ma i test venivano svolti ugualmente –:
   se al Ministro risulti quanto esposto in premessa;
   se si ritenga di chiarire esplicitamente la non obbligatorietà delle prove in questione;
   se intenda assumere iniziative volte a prevedere sanzioni nei confronti delle scuole che ricorrono a espedienti che falsano l'esito delle prove;
   se il Ministro intenda impiegare in maniera più adeguata le risorse finalizzate all'individuazione di politiche scolastiche mirate, optando per una modifica del carente sistema di valutazione della scuola attuale;
   quale sia l'obiettivo della tabella che riporta la classifica relativa ai «risultati medi per area geografica e regione», ricavata dal rapporto del servizio nazionale per la valutazione 2009-2010 e a quale fine saranno utilizzati tali risultati;
   in generale, sotto quali aspetti saranno penalizzati o premiati gli istituti valutati. (4-09206)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   quasi ogni anno l'Italia ha bisogno dei lavoratori stagionali per svolgere dei lavori in un certo periodo dell'anno;
   si tratta spesso dei lavori che i cittadini italiani non vogliono più fare nonostante dicano che stanno anche loro vivendo la crisi economica e lavorativa;
   alcuni di questi lavori si concentrano nell'agricoltura con la raccolta delle verdure e della frutta, nel turismo per servire ed accogliere i clienti durante le vacanze nei ristoranti ed alberghi al mare e negli altri stabilimenti balneari;
   quest'anno il Governo italiano ha dato la possibilità di fare venire in Italia circa 13.000 lavoratori stagionali;
   in Italia si sentono tante storie nei confronti dei lavoratori immigrati, basta pensare ai racconti di tutti gli immigrati che sono andati a lavorare nei campi per raccogliere pomodori ed arance nei campi del sud Italia;
   in Italia si parla tanto anche di quei giovani italiani che sono andati a lavorare in Australia che si sono ritrovati nelle condizioni riservate agli immigrati in Italia;
   molti di questi giovani che si trovano in terre straniere si lamentano delle condizioni disumane e delle paghe non proporzionali al lavoro svolto, delle violenze anche sessuali, in cui tante giovani donne si sono trovate;
   ne è l'esempio la testimonianza di una ragazza partita da Salerno per andare in vacanza lavoro in Australia, come è stato pubblicato dal quotidiano del Corriere della Sera di alcuni giorni fa;
   da altri dati riportati in diversi quotidiani nazionali si rileviamo che oltre 15 mila giovani italiani migranti si trovano attualmente in Australia, con un visto temporaneo di «Vacanza Lavoro»;
   in alcuni casi i nostri giovani sono sottoposti a condizioni di aperta speculazione lavorativa. La ragione è che chi va a «cercare fortuna» in Australia ottiene un permesso di lavoro stagionale (che permette di superare le severe leggi australiane sull'immigrazione) e di ottenere una prima prova provvisoria di sistemazione nel Paese, in previsione del rinnovo del visto per un secondo anno;
   per ottenerlo è necessario un documento che attesti che questi «giovani immigrati italiani temporanei» abbiano lavorato per almeno tre mesi in zone rurali australiane;
   superato il primo step – lavorativo, dunque, la speranza per questi adolescenti italiani è di affrancarsi dalle campagne e sperare in un lavoro migliore –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente di queste condizioni lavorative dei nostri «juniores» emigrati all'estero, e quali concrete iniziative nell'ambito delle loro funzioni intendano porre in essere per far luce su fenomeni di sfruttamento lavorativo;
   se i Ministri intendano richiedere, nelle opportune sedi diplomatiche e internazionali, che vengano attivati tutti i servizi di controllo internazionale anche in ambito di sicurezza ed igiene per favorire un lavoro dignitoso ad ogni individuo straniero che si offre con le sue forze per guadagnarsi il pane quotidiano nel mondo. (4-09198)


   RICCIATTI, AIRAUDO, PLACIDO, NICCHI, FERRARA, QUARANTA, PIRAS, SCOTTO, FRATOIANNI, SANNICANDRO, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 183 del 2014, recante «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro» (cosiddetto Jobs-act) prevede, all'articolo 1, comma 4, la razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di un'agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l'integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'INAIL, prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle ARPA;
   tale previsione, che dunque si propone anche di ridefinire il sistema istituzionale del lavoro nel nostro Paese da una parte con un'innovazione nella gestione delle politiche attive del lavoro e dall'altra attraverso una razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva, va incontro ad un'esigenza reale tentando di superare la frammentazione degli interventi ed arginando l'impossibilità di esercitare una valida ed efficace funzione ispettiva, e nel contempo, soddisfacendo le richieste avanzate dagli ispettori che da tempo chiedono forme di integrazione e maggior coordinamento;
   secondo la normativa vigente la competenza relativa alla vigilanza in materia di lavoro afferisce a più istituzioni come l'INPS, il Ministero, l'INAIL, le ASL e altre strutture territoriali, che agiscono indipendentemente l'una dall'altra, con una oggettiva moltiplicazione di costi per l'erario, esercitando interventi plurimi e non coordinati sui medesimi soggetti aziendali. Tale quadro determina un'indubbia necessità oggettiva di semplificazione, al fine di rendere più efficace l'azione ispettiva e di ridimensionare i costi a carico della collettività;
   la suddetta opera di razionalizzazione e semplificazione dovrebbe passare per la costituzione ex novo di un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, che può essere uno strumento utile per combattere in modo organizzato, efficiente e sistematico le illegalità nei luoghi di lavoro, ma che, allo stesso tempo, potrebbe comportare oltre a complessi problemi organizzativi, di utilizzo e collocazione di personale, di integrazione di procedure e di interventi, anche la necessità di stanziare ulteriori e nuove risorse a carico della finanza pubblica;
   qualsiasi processo di riassetto non dovrebbe, pertanto, prescindere dalla condivisione con i lavoratori interessati, dagli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps e dell'Inail ai loro dipendenti, tutti qualificati professionisti. Non sarebbe, infatti, concepibile un processo di razionalizzazione di tutta l'attività ispettiva del Paese che parta dallo smantellamento di realtà amministrative efficienti, di servizi di eccellenza resi ai cittadini ed alle imprese nonché depauperando la professionalità stessa dei lavoratori;
   inoltre scopo di una riforma non dovrebbe essere quello di creare un nuovo, costoso ed inutile ente, ma piuttosto di riorganizzare i servizi ispettivi in modo tale da garantire a cittadini e imprese prestazioni all'altezza di contrastare con massima efficienza e funzionalità abusi, lavoro nero, illeciti, evasione contributiva, tutti fenomeni perpetrati nel nostro Paese soprattutto a danno di tanti altri lavoratori;
   l'INPS, ad esempio, dispone da subito di un modello operativo e organizzativo complesso e articolato, in termini di infrastrutture tecnologiche, come i suoi software informatici in uso più efficienti degli altri che dovranno solo essere implementati per servire la nuova struttura, e di altre competenze consolidate nel campo del lavoro, che spaziano dalle visite ispettive mediche ai controlli di prevenzione e contrasto all'economia sommersa, alla lotta al lavoro nero e all'evasione contributiva;
   di contro, la lettura della bozza di decreto attuativo della suddetta legge delega n. 183 del 2014 relativa all'istituzione della Agenzia unica delle ispezioni del lavoro, restituisce uno scenario drammatico in cui lo Stato sopprimerebbe d'un tratto gli 85 uffici delle direzioni interregionali e territoriali del lavoro, per un risparmio stimato in 26,1 milioni di euro e scorporerebbe d'imperio tutto il personale ispettivo di INPS e INAIL, rispettivamente 1400 e 400 ispettori, facendo così venire a mancare la presenza di centinaia di uffici, dislocati sul territorio nazionale, i quali hanno, fin ora, costituito un saldo punto d'ascolto e di aiuto, fattivo ai cittadini, prevedendo la contestuale e capillare riapertura di soli 18 uffici regionali, dislocati preferenzialmente nei capoluoghi, più una direzione in Roma. Lo stesso decreto prevede che la stessa Agenzia unica sarà istituita a far data dal 1o gennaio 2016, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica con una dotazione organica di 5.982 unità, sotto la vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   tale soppressione, a parere dell'interrogante, se da un lato, con riferimento all'utilizzo degli immobili, porterà ad un risparmio significativo in termini di spesa, dall'altro rappresenterà inevitabilmente un impedimento per tutti quei lavoratori che vorranno denunciare eventuali irregolarità, costretti a recarsi nell'unica sede regionale ed a percorrere, in alcuni casi, oltre 150 chilometri per poter raggiungere lo sportello territoriale dell'Agenzia. Ad avviso dell'interrogante, tale circostanza ostativa, rappresenta per i lavoratori un ulteriore affievolimento delle loro tutele già pesantemente compromesse dall'intera e recente riforma del mercato del lavoro;
   nella relazione tecnica che accompagna la bozza di decreto viene sottolineato come: «il personale ispettivo non necessiti di locali stabilmente assegnati a ciascuna unità, in quanto l'attività stessa dell'ispettore si svolge sul territorio e la sua permanenza nella sede dell'Agenzia è verosimilmente prevista per un solo giorno alla settimana per lo “scarico” delle pratiche». Tuttavia non sono ancora chiare le modalità con le quali gli ispettori dovranno effettivamente svolgere la loro attività, e quale sarà il luogo deputato a custodire i fascicoli relativi alle ispezioni. L'attività ispettiva sul lavoro, nella pratica, è soggetta a diversi dubbi interpretativi, che sovente vengono dipanati nel confronto tra gli ispettori proprio in quei «locali» che la bozza di decreto reputa sopprimibili nel riordino degli uffici;
   secondo i dati Istat riportati dal quotidiano online Linkiesta lo scorso 5 marzo 2015 «ogni anno l'evasione dei contributi costa allo Stato italiano 102 miliardi di euro. Infatti in base ai dati sull'attività ispettiva relativi al 2014, su oltre 3 mila ispettori del lavoro il ministero ha raccolto 100 milioni di euro di contributi previdenziali, l'Inail con 370 unità ne ha raccolto circa 300 milioni, l'Inps con poco più di 1.400 ispettori ha toccato 1,3 miliardi»;
   quest'ultimo dato sul recupero dei contributi ad opera dell'INPS sarebbe dovuto, secondo quanto riportato dallo stesso articolo di stampa citato e che riporta l'opinione di alcuni ispettori dell'ente, anche grazie alle procedure più snelle dell'INPS che non prevedono alcuni passaggi e precisamente: 1) l'obbligo di dover rendicontare tutto alla direzione; 2) aspettare le firme dei capi; 3) timbrare il cartellino in entrata e in uscita; oltre al fatto che i verbali dell'INPS sono immediatamente esecutivi;
   nell'ottobre 2014 la Corte dei conti aveva espresso parere positivo sul progetto di Agenzia unica delle attività ispettive, pur sottolineando come tra i problemi centrali nella lotta all'evasione contributiva ci fosse la «difficoltà nello scambio di informazioni, soprattutto a livello locale, a causa della indisponibilità di strumenti informatici adeguati e con standard omogenei» (Il Fatto Quotidiano.it, 28 ottobre 2014). A tal proposito occorre segnalare che nella suddetta bozza di decreto non vi è alcun riferimento alla creazione di una banca dati condivisa. Inoltre la previsione dell'istituzione dell'Agenzia «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» lascia presagire che la riforma sarà carente su questo aspetto, così come era stato inefficace su questo fronte il protocollo d'intesa siglato nel 2010 tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps, Inail e Agenzia delle entrate;
   alla luce di un recente studio realizzato dalla Direzione centrale vigilanza prevenzione e contrasto all'economia sommersa dell'Inps si evidenzia la sostenibilità economica della realizzazione di un ruolo unico presso l'INPS, in termini di risorse umane, di tecnologie, di organizzazione, eccetera, utilizzando l'aumento delle entrate relative ai contributi evasi, aumento reso possibile dal potenziamento del modello operativo di governance e d’intelligence dell'INPS particolarmente produttivo. Tale modello, attraverso un investimento formativo finalizzato, può essere adottato ad esempio dagli ispettori del Ministero e dell'INAIL al fine di realizzare un incremento significativo di produttività e di recupero delle somme evase in termini contributivi e di fiscalità;
   d'altra parte già la suddetta legge delega all'articolo 1, comma 4, lettera r), con riferimento alle politiche attive del lavoro, contempla la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra la nuova Agenzia nazionale per l'occupazione e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, sia a livello centrale che a livello territoriale, al fine di tendere ad una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito;
   inoltre l'istituzione di un'Agenzia unica così come immaginata dalla bozza di decreto, non tiene in alcun conto delle sinergie che già esistono sull'intero territorio nazionale (inserite, tra l'altro, appunto nella soprarichiamata lettera r) come future azioni da attuare, con una millantata aura di novità, all'interno del «jobs act»), con un continuo scambio ed incrocio di informazioni fra le varie banche dati degli organi ispettivi degli enti, per migliorare l'efficacia delle ispezioni e ridurre al minimo il rischio di ispezioni multiple per le varie aziende interessate;
   pertanto lo stesso dettato della legge delega n. 183 del 2014 delineerebbe, alla fine del percorso di attuazione, una nuova cosiddetta Super-Inps chiamato a ricoprire un ruolo fondamentale per lo sviluppo di nuove e, si spera, più efficienti politiche del lavoro, ma soprattutto a monitorare sotto l'aspetto ispettivo, la corretta applicazione delle nuove norme del mercato del lavoro;
   anche le organizzazioni sindacali hanno segnalato in più occasioni le criticità di un progetto che, di fatto, riduce la presenza dello Stato sul territorio e la sua capacità di far rispettare le regole in materia di sicurezza sul lavoro, chiedendo l'apertura di un confronto con il Governo sul progetto –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire chiarimenti sulle criticità riportate in premessa;
   se non ritenga opportuno aprire un confronto con le organizzazioni sindacali al fine di delineare un progetto condiviso di Agenzia, volto a rafforzare le attività di vigilanza e di sicurezza nei luoghi di lavoro;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover valutare l'ipotesi di ricondurre ad una gestione unitaria tutte le competenze ispettive attualmente frazionate e già assegnate al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Servizio sanitario nazionale, alle ARPA, all'Inail ed all'Inps, anche istituendo presso quest'ultimo un ruolo unico di vigilanza. (4-09207)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRESE e PIEPOLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della conclusione della stagione venatoria 2014-2015 il Comando provinciale di Foggia del Corpo forestale dello Stato ha reso noto il rapporto sulle attività anti bracconaggio svolte sul territorio di Capitanata, un territorio di grande pregio sia perché ricco di fauna sia per le proprie caratteristiche ambientali e vegetazionali;
   questo territorio è spesso meta di cacciatori provenienti anche da altre province e regioni proprio per la rilevante presenza di boschi (il 60 per cento dei boschi pugliesi), per le diffuse aree umide costiere, quali siti di sosta e nidificazione di avifauna stanziale e migratoria, per le vaste aree cerealicole che forniscono nutrimento a molte specie di volatili. Le attività venatorie, anche durante la stagione ufficiale, non sempre avvengono nel rispetto della normativa vigente e possono dare luogo a comportamenti illeciti che si traducono in un danno ambientale rilevante, a carico di ecosistemi talvolta già delicati e fragili, tanto che la tutela del patrimonio faunistico provinciale rientra anche in un programma nazionale, curato direttamente dal Nucleo operativo antibracconaggio;
   secondo quanto si evince dai dati, il fenomeno del bracconaggio si verifica con elevata incidenza soprattutto nelle aree protette, come quelle relative al Parco nazionale del Gargano nel quale ricade il 21 per cento delle violazioni penali e il 40 per cento delle violazioni amministrative riscontrate nell'intera provincia. Nonostante i vincoli imposti, il divieto di caccia, il divieto di introdurre armi nel parco e la sensibilizzazione generale in termini culturali, ancora permane il fenomeno del bracconaggio, quale retaggio di consolidate abitudini locali;
   il NOA ha disposto servizi mirati nel Subappennino, nel nord del Tavoliere e nelle aree garganiche, facendo concentrare il personale del Corpo forestale dello Stato con aggregazione di pattuglie. Nel corso della stagione venatoria 2014-2015 sono state denunciate 73 persone che hanno violato, a vario titolo, le norme per la protezione della fauna selvatica, in particolare per aver esercitato l'attività venatoria con mezzi non consentiti, per aver abbattuto selvaggina non inserita nel calendario venatorio della regione Puglia o per aver cacciato in aree protette;
   a confermare la presenza di attività illecite costanti nei boschi pugliesi è la situazione rilevata anche nelle altre aree protette presenti nella regione Puglia che risulta identica. Nell'oasi di protezione «Bosco di Dragonara» istituita tra i comuni di Castelnuovo della Daunia e Torremaggiore, ad esempio, nel corso delle operazioni di tutela dei 1.550 ettari dell'antico bosco planiziario della valle del Fortore, è stato sorpreso un bracconiere con un cinghiale nel bagagliaio, appena abbattuto. Un lupo, invece, è stato ritrovato ancora agonizzante in un oliveto nel comune di San Nicandro Garganico, con ferite di arma da fuoco e altre ferite probabilmente riconducibili a bastonate;
   secondo quanto si evince dalle cronache, appare evidente che le attività illecite si verificano proprio quando la stagione venatoria ufficiale si conclude poiché inizierebbe una intensa e diversa forma di bracconaggio che approfitterebbe di un calo del livello di controllo e di attenzione al settore –:
   quali provvedimenti di competenza intenda adottare al fine di garantire la tutela della fauna protetta presente nei boschi pugliesi e nelle zone ambientali protette con particolare riferimento alla possibilità di intensificare i controlli e le reti di videosorveglianza per il contrasto dei reati. (4-09200)


   MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, TERZONI, GAGNARLI e COZZOLINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il «Comitato 400 Vlsp CFS» è il comitato ufficiale degli idonei non vincitori del concorso pubblico concernente il reclutamento di 400 allievi vice Ispettori del Corpo forestale dello Stato, il cui bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 29 novembre 2011 e la cui graduatoria è stata approvata con D.C.C. del 24 luglio 2014 e rettificata in data 21 ottobre 2014;
   l’iter concorsuale si è protratto per circa tre anni. Dalla graduatoria finale di merito, sono risultati 1.047 candidati idonei, di cui 829 esterni e 218 interni. Successivamente, è stato deliberato un aumento dei posti a concorso da 400 a 481, dei quali 320 destinati ai candidati esterni e 161 destinati alle varie aliquote riservate agli interni. È stata, inoltre, fissata per il giorno 20 novembre 2014, la partenza del corso di formazione e addestramento della durata di quindici mesi. Pertanto, a seguito del recente incorporamento dei 481 candidati vincitori e tenuto conto dei 36 candidati rinunciatari/dimissionari, all'attualità la graduatoria di cui si parla conta ancora 530 candidati idonei non vincitori, dei quali 507 esterni e 23 interni;
   il Comitato, regolarmente registrato in data 10 novembre 2014 presso l'Agenzia delle entrate di Alcamo (Trapani), è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), è costituito, ad oggi, da oltre 160 iscritti (provenienti da ogni parte d'Italia) ed è governato da un consiglio direttivo composto da tre membri fissi previsti dall'atto costitutivo (un presidente, un vice presidente e un segretario) e da sei membri («consiglieri») eletti dall'assemblea generale. Ai sensi dell'articolo 2 del proprio statuto, il comitato ha lo scopo di concorrere all'azione amministrativa, con proposte, istanze e richieste e ogni altro atto all'uopo necessario, prefiggendosi quale fine principale della propria attività l'assunzione di tutti gli idonei non vincitori del concorso in questione fino all'esaurimento totale della graduatoria finale di merito;
   gli interroganti condividono le preoccupazioni espresse del Comitato suddetto in merito alla futura sorte della graduatoria in questione, anche nell'eventualità che venga confermata in via definitiva la procedura di accorpamento del Corpo forestale dello Stato con altra forza di polizia;
   gli interroganti considerano indispensabile per il nostro Paese l'esistenza di un nucleo di polizia ambientale, specializzato non solo nella salvaguardia e difesa del territorio e del patrimonio rurale e boschivo, ama altresì, nella tutela del settore agroalimentare, quest'ultimo fiore all'occhiello dell'economia italiana –:
   se il Ministro sia a conoscenza della graduatoria sopra indicata e se non ritenga opportuno intraprendere iniziative di natura normativa affinché la graduatoria del concorso in questione possa essere riutilizzata all'interno del Corpo di polizia accorpante. (4-09204)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS eroga, come è noto, un indennizzo per le persone inabili al lavoro;
   questa inabilità può essere, in alcuni casi, genetica, ma spesso è dovuta ad errori della sanità nella cura (per esempio operazioni chirurgiche sbagliate che provocano danni permanenti), da incidenti di varia natura, all'intervento di malattie che portano anch'esse, ad invalidità permanenti;
   queste indennità, chiamate civili, constano di un assegno mensile di euro 279,33, onnicomprensivo, cioè compreso del sostegno vitale (mangiare e altro) e di spese mediche, anche se in minima parte, perché molte sono gratuite, ma non tutte e non del tutto. Le cure dentarie, per esempio, sono a pagamento anche per i soggetti in questione, solo le cure mediche relative al loro problema, fisico o psichico che sia, sono del tutto gratuite;
   l'erogazione dell'assegno avviene dopo varie lungaggini amministrative, anche della durata di anni in alcuni casi, ma sicuramente sempre di mesi e che si avvalgono anche della verifica dei requisiti previa commissione medica giudicante che dà il consenso dopo giuste e accurate visite;
   ogni anno, entro la data del 31 marzo 2015, bisogna presentare la dichiarazione di permanenza nelle condizioni di inabilità al lavoro, previa la cessazione del riconoscimento del diritto;
   chi viene riconosciuto inabile al lavoro, in quanto tale, versa in condizione di impossibilità di percepire una qualsiasi retribuzione, e spesso, si si tratta di persone che versano già in gravi difficoltà economiche ed in età al di sotto dei 65 anni (requisito minimo richiesto per percepire la pensione sociale), quindi soggetti giovani spesso con famiglie da mantenere;
   la cifra erogata è pari a circa 9 euro giornaliere con le quali ci si deve spesare di tutto. È quindi evidente che, la sopravvivenza è demandata alle famiglie, che non sempre sono in condizioni economiche tali da poter sopperire ai bisogni reali dei soggetti in questione –:
   quali azioni intendano assumere affinché venga trovata la giusta soluzione al problema, tenendo conto che si tratta della sopravvivenza e della dignità di soggetti sociali già così aspramente provati dalla vita, al fine di garantire una minima dignità economica che renda la possibilità di gestire, seppur in minima parte, il vivere quotidiano;
   se, quindi, non si ritenga necessario assumere un'iniziativa per modificare la normativa vigente verificando la possibilità di concedere, anche per questi casi, la medesima cifra che si concede con le pensioni sociali, cioè 511 euro per 13 mesi (cifra anch'essa sotto della soglia di povertà, ma ben al di sopra dei circa 280 euro mensili attuali). (4-09199)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con DPGR n. 32 del 28 Marzo 2012 la regione Calabria – allora e sino a oggi sottoposta a piano di rientro dal debito sanitario – stipulava un «Patto d'Intesa con l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù» di Roma, con l'intento di «procedere alla costituzione di un centro pediatrico da inserire nell'ospedale “Pugliese” di Catanzaro»;
   nel verbale della riunione del 7 novembre 2012 del cosiddetto «Tavolo Massicci», 7 novembre 2012, si ribadiva che «nel corso della precedente riunione Tavolo e Comitato (per la verifica dei Lea, nda) avevano evidenziato la necessità che la regione fornisse ulteriori elementi di valutazione in merito alla coerenza del progetto con l'attuale situazione della rete pediatrica e alle finalità specifiche che si intendono perseguire con il patto d'intesa con il Bambin Gesù;
   nello stesso verbale si aggiungeva che alla regione Calabria erano state chieste «ulteriori informazioni di dettaglio rispetto al personale, all'impatto economico, alla compatibilità con il piano di rientro e alle caratteristiche organizzative della convenzione» e che la regione aveva trasmesso una nota di chiarimenti – prot. 458_12 del 10 ottobre 2012 – in risposta alle osservazioni, di cui alla riunione del 23 luglio 2012 del prefato organismo, relative al patto d'intesa con l'ospedale pediatrico Bambin Gesù;
   le delucidazioni fornite dalla regione Calabria non apparivano convincenti in sede di «Tavolo Massicci», tanto che, nella riunione dell'otto aprile 2013, i suddetti tavolo e comitato ritenevano che i DPGR 20/2012 e 32/2012 non potessero essere valutati positivamente senza i necessari chiarimenti da parte dell'intera struttura commissariale;
   in merito all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, in relazione al quale opera la legge n. 187 del 1995, i riferiti Tavolo e Comitato valutarono negativamente il patto d'intesa, rilevando una duplicazione dei costi relativi alla pediatria ospedaliera nella città di Catanzaro e rimarcando problemi evidenti in ordine alla convenienza della citata intesa, specie per la carenza di documentazione sul versante dei costi;
   nella riunione del 4 dicembre 2013, i riferiti Tavolo e Comitato segnalarono che nel programma operativo collegato all'avanzamento del piano di rientro dal debito non vi è alcun riferimento alle criticità precedentemente rilevate, cosa ribadita dalla giornalista Betty Calabretta in un articolo apparso su Gazzetta del Sud del 31 dicembre 2013;
   appare utile rammentare che nel verbale del tavolo ex Massicci del 23 luglio del 2012, si evidenziava – in merito alla convenzione tra l'Azienda Pugliese Ciaccio e l'Ospedale Bambino Gesù – la necessità che la regione Calabria fornisse ulteriori elementi di valutazione in merito alla coerenza del progetto con l'attuale situazione della rete pediatrica e alle finalità specifiche;
   nel predetto verbale si chiedevano anche ulteriori informazioni di dettaglio, cioè se vi fosse la previsione d'impiego del solo personale dell'ospedale pediatrico Bambin Gesù o anche dell'azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio, l'impatto economico col dettaglio di costi e risparmi, l'individuazione dell'organizzazione e dei livelli di responsabilità, nonché la compatibilità con quanto previsto nel piano di rientro;
   alle riferite questioni non è stata data mai risposta;
   dopo anni, curiosamente in prossimità con la data di scadenza della convenzione, nel dicembre 2014 la struttura commissariale ha inviato una corposa relazione al tavolo ex Massicci, al cui paragrafo 2.4.5.1, relativa proprio alla convenzione tra l'azienda ospedaliera pugliese Ciaccio e l'ospedale Bambino Gesù di Roma, con la quale, a giudizio degli interroganti, non si risolvono le problematiche prima elencate;
   di là dai semplici dati relativi all'abbattimento di ricoveri per mobilità passiva – peraltro fisiologica – verso l'Ospedale Bambin Gesù, non suffragati da riscontri economici, le finalità specifiche che si dovevano perseguire con la convenzione e il problema della commistione tra il personale del Bambino Gesù che opera nell'azienda pugliese e quello della stessa azienda sono tutt'altro che risolti;
   il 90 per cento dell'attività chirurgica effettuata nel centro catanzarese è riconducibile alla chirurgia pediatrica, già, presente in loco e non ricompresa nella convenzione, mentre solo il rimanente 10 per cento dell'attività chirurgica è da ricondurre agli specialisti del Bambino Gesù (ortopedia, urologia, oculistica, plastica e altro);
   si evidenzia, pertanto, una vera e propria duplicazione di attività, anche in considerazione dell'esiguo numero di interventi chirurgici specialistici ascrivibili al Bambin Gesù, a fronte dell'enorme esborso di denaro, il tutto – sembrerebbe agli, interroganti – con l'assenso degli organi aziendali;
   il servizio giornalistico «I manager del presidente», autore il giornalista Antonino Monteleone, trasmesso nel programma Rai «Report» del 28 aprile 2013, ha confermato la duplicazione di cui sopra e una gestione concreta dell'intesa ben contraria alle ragioni della sua prospettazione;
   confrontando i dati di produzione 2012-2013 del centro delle chirurgie pediatriche dell'azienda ospedaliera, si registra già nel 2013 un disavanzo di ben 280.000 euro rispetto al 2012, con, un peggioramento dell'indice operatorio, che passa dal 61 per cento del 2012 al 54 per cento del 2013, nonché dell'indice di complessità chirurgica;
   i riassunti dati negativi sono stati riconfermati anche nel 2014;
   l'effetto della convenzione in argomento è stato esclusivamente quello di mantenere in loco la bassa complessità, per trasferire a Roma la media e l'alta complessità;
   la predetta sintesi interpretativa è confermata dai dati di mobilità passiva verso l'Ospedale Bambin Gesù, riportati dalla regione Calabria;
   a tale ultimo riguardo, nel 2012 i cittadini calabresi hanno pagato di mobilità passiva circa 8.200.000 euro per 3.044 ricoveri, mentre nel 2013 la mobilità passiva pagata dalla regione al Bambin Gesù è di euro 8.090.000, a fronte di 2.918 ricoveri;
   parte della considerata mobilità è da ascrivere a patologie mediche, non già chirurgiche, per cui non si può dedurre corrispondente beneficio per la regione Calabria;
   l'attività operatoria svolta dai professionisti del Bambin Gesù ricomprende quella che già veniva effettuata nel presidio ospedaliero del capoluogo;
   la novità, per il dibattito che ne è sorto sulla stampa, è stata di far passare codesta attività chirurgica come mai effettuata in loco e quindi completamente ascrivibile ai professionisti esterni;
   tale situazione, secondo gli interroganti grottesca, è stata caldeggiata dall'ex direttore generale, avvocato Elga Rizzo, e dall'ex direttore amministrativo, avvocato Vittorio Prejanò, nominato dallo stesso direttore generale come Referente unico aziendale del progetto Bambin Gesù – situazione, questa già portata alla pubblica attenzione dalla citata trasmissione «Report»;
   a parere degli interroganti, lo stesso Preianò, direttore amministrativo dell'azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio, non poteva ricoprire altro incarico e tanto meno quello di referente del «Progetto Bambino Gesù», trovandosi in quello che agli stessi interroganti appare un conflitto di interessi;
   peraltro, in ordine alla gestione concreta del personale e di responsabilità del progetto venivano adottati provvedimenti anomali a opera dell'azienda ospedaliera di Catanzaro, come denunciato da parte sindacale e – come si legge in un articolo pubblicato sul quotidiano La Gazzetta del Sud – censurato anche dal competente tribunale, che riconosceva una condotta antisindacale del predetto soggetto pubblico;
   per quanto qui riassunto, gli interroganti auspicano che gli organi di competenza approfondiscano la situazione, specie in relazione all'effettiva utilità dell'intesa di cui si tratta –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative intendano assumere – anche per il tramite del commissario per l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario, e considerato che questi per legge non coincide più con il governatore regionale – per verificare, proprio alla luce del rientro dal debito sanitario in corso in Calabria, l'effettiva utilità dell'intesa in premessa, sia sul fronte economico che, soprattutto, sul fronte della tutela del diritto alla salute, prevista in Costituzione. (4-09203)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le disposizioni di cui agli articoli 4,5,9 e 11 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n.114, ampliano significativamente le forme tutela che sono previste per i dipendenti pubblici collocati in disponibilità. Tale ampliamento si realizza attraverso interventi quali: possibilità di utilizzare i dipendenti in disponibilità anche in luogo di assunzioni a tempo determinato di durata superiore ad un anno; obbligo di pubblicare gli elenchi del personale in disponibilità gestito dal Dipartimento della funzione pubblica sui siti istituzionali delle amministrazioni competenti; possibilità che il personale pubblico iscritto in questi elenchi possa essere assegnato in comando alle pubbliche amministrazioni che ne facciano richiesta; assegnazione di compiti attivi alla funzione pubblica per una tempestiva ricollocazione del personale pubblico (comma 5-bis dell'articolo 34-bis del decreto legislativo 165 del 2001); maggiori possibilità per la mobilità obbligatoria e volontaria –:
   alla luce delle nuove disposizioni della cosiddetta legge Madia se il Governo intenda assumere iniziative per risolvere i significativi problemi applicativi, dettando criteri generali per l'applicazione e l'adempimento della novella legislativa;
   in particolare, se intenda precisare se nel novero delle pubbliche amministrazioni obbligate all'interpello all'elenco del personale in disponibilità sono ricomprese le agenzie fiscali e similari;
   se nel caso di assunzioni a tempo determinato, previa procedura concorsuale-comparativa-avviso di selezione, le pubbliche amministrazioni debbano obbligatoriamente attingere in via preventiva agli elenchi di cui al comma dell'articolo 34 del decreto legislativo 165 del 2001, considerato che se le pubbliche amministrazioni non attingono preventivamente agli elenchi di cui sopra, le assunzioni di personale effettuate in violazione di tali principi, sono nulle di diritto;
   se il Governo intenda adottare iniziative di monitoraggio onde contrastare comportamenti inadempienti ed elusivi della legge da parte delle pubbliche amministrazioni;
   se il Governo intenda assumere iniziative affinché il Dipartimento della funzione pubblica, al fine di una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità e per prevenire eventuali comportamenti contra legem, effettui trimestralmente una ricognizione presso le pubbliche amministrazioni per verificare l'interesse all'acquisizione in mobilità dei medesimi dipendenti. (4-09205)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia dei lavoratori dell'azienda farmaceutica siciliana Myrmex che si sono accampati sui tetti della loro azienda per protestare contro le mancate decisioni del Governo nazionale e regionale circa il loro futuro occupazionale;
   la crisi della Myrmex dura, ormai, da qualche anno e rappresenta il paradigma siciliano e nazionale di come gli ultimi Governi abbiano saputo gestire la crisi economica e l'evidente de-industrializzazione del territorio;
   in Sicilia, poi, la situazione economica è aggravata da uno Stato di precedente arretratezza e da un'amministrazione regionale gestita da amministratori, a giudizio dell'interrogante, inadeguati;
   il laboratorio farmaceutico Myrmex di Catania ha, da sempre, rappresentato un centro di eccellenza nel campo della ricerca, venduto una prima volta alla Pfizer ed a sua volta rivenduto alla cifra di 1 euro all'imprenditore Calvi nel 2013;
   da allora il laboratorio non ha, di fatto, più svolto nessuna attività di ricerca in attesa di investimenti e contributi da parte di soggetti pubblici e/o privati che non sono mai giunti e che mai arriveranno a dispetto di promesse e speranze;
   le poche certezze che ancora hanno i lavoratori della Myrmex sono, ad avviso dell'interrogante, l'immobilismo ed il disinteresse del Governo regionale e del Governo nazionale;
   adesso anche i lavoratori dello stabilimento Pfizer di Catania temono di fare la fine dei colleghi della Myrmex e chiedono dal mese di aprile 2015 un incontro con le istituzioni locali e nazionali per sollecitare l'apertura della loro vertenza –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché la vicenda dei lavoratori della Myrmex venga risolta e vengano tutelati i livelli occupazionali del comparto farmaceutico siciliano e catanese. (4-09201)

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Quartapelle Procopio e altri n. 5-05376 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 411 del 17 aprile 2015. Alla pagina 24137, seconda colonna, dalla riga settima alla riga nona, deve leggersi: «QUARTAPELLE PROCOPIO, LORENZO GUERINI, GASPARINI e MALPEZZI. — Al Ministro della difesa. — Per» e non come stampato.