Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 14 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    sono oltre 377.000 gli ettari di terreno coltivati a olivi in Puglia, prima regione olivicola in termini di produzione con circa 270.000 imprese agricole pari al 22 per cento delle aziende olivicole italiane ed un valore della produzione di circa 500 milioni di euro all'anno;
    in Puglia viene prodotto l'olio a denominazione di origine protetta (DOP Terra di Bari) con il fatturato più elevato in Italia (28 milioni di euro), rappresentando al contempo il 35 per cento del fatturato complessivo degli oli extravergine a marchio DOP e IGP italiani (Ismea-Qualivita);
    oggi questa eccellenza italiana è messa in serio pericolo dalla presenza di un batterio che da circa tre anni sta infestando gli uliveti pugliesi;
    la Xylella fastidiosa è un batterio Gram-negativo che presenta 4 varianti molecolari, quella che ha attaccato gli olivi salentini è la Xylella fastidiosa pauca, originaria del Sud America;
    il batterio non ha infettato solo gli olivi salentini: nuovi casi sono stati registrati in Iran e sono giunte segnalazioni di possibili nuovi focolai, non ancora confermati, dal Kosovo e dalla Turchia;
    il batterio si insedia nei vasi che trasportano acqua e nutrimenti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette così si seccano completamente. Sembrerebbe che alcuni funghi tracheomicotici, già noti per infettare l'olivo e produrre gravi danni, agiscano sicuramente in sinergia con Xylella fastidiosa;
    la batteriosi si diffonde attraverso insetti vettori come la Philaneus spumarius (sputacchina). Si tratta di un insetto che compie una sola generazione all'anno e si insedia su olivo solo in estate dove si nutre della linfa dai germogli più giovani. Nutrendosi da una pianta infetta trasmettono poi il batterio a una pianta sana;
    si ipotizza che il batterio Xylella sia giunto attraverso una pianta già infetta e secondo alcune indagini, che hanno poi permesso di datare l'infezione nel 2010, il «paziente zero» sarebbe un oleandro di provenienza olandese e origine costaricana. Come già accaduto anni fa per il famoso punteruolo rosso che ha massacrato centinaia di migliaia di palme, dovrebbe essere fatta una riflessione sulla qualità dei controlli, sulla competenza di chi è incaricato di farli e sull'assenza di quarantene;
    il comitato permanente dell'Unione europea per la salute delle piante, a seguito dell'emergenza Xylella, ha diffuso la seguente nota ufficiale: «Le nuove misure comunitarie impongono agli Stati membri di notificare nuovi focolai in Europa, di effettuare indagini ufficiali, e di delimitare rapidamente aree infestate. Misure di eradicazione rigorose in tali aree includono la rimozione e la distruzione delle piante infestate e di tutte le piante ospiti all'interno di un raggio di 100 metri, a prescindere dal loro stato di salute. Le misure forniscono anche la possibilità per l'Italia di applicare misure di contenimento in tutta la provincia di Lecce, dove l'eradicazione non è più possibile. In questo caso, viene mantenuto l'obbligo di rimuovere sistematicamente tutte le piante infette e di testare le piante circostanti (a 100 metri) in una zona di 20 chilometri adiacente alle province di Brindisi e Taranto. Le importazioni e il movimento all'interno dell'UE di piante specifiche di tutto il mondo, notoriamente suscettibili di Xylella fastidiosa, saranno soggette a condizioni rigorose. Un divieto specifico è stato messo in atto per l'importazione di piante di caffè provenienti da Honduras e Costa Rica, considerato l'elevato rischio che siano infettate dal batterio» «Sulla base del parere scientifico dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare, pubblicato nel gennaio 2015 e i risultati dei controlli effettuati dall'Ufficio alimentare e veterinario della Commissione nel 2014, la Commissione ha presentato una serie di misure rafforzate volte a preservare la piante sane situate nella zona interessata, così come per prevenire l'ulteriore diffusione del batterio nel resto dell'Unione. Sono inoltre adottate misure rigorose sulle importazioni dai Paesi terzi»;
    il batterio della Xylella fastidiosa, tuttavia, era già stato incluso nella lista degli organismi nocivi denunciabili dagli stati membri dell'Unione europea nella direttiva 2000/29/CE del Consiglio dell'8 maggio 2000, «concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità», modificata dalla 2002/89/CE al fine di migliorarla e per meglio definirne e modalità di applicazione;
    il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214, recepiva tale provvedimento secondo il quale sono rese obbligatorie alcune misure per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione del batterio;
    a seguito di tale indicazioni si prevede che debbano essere sradicati fino a 35 mila olivi, ma forse la cifra è destinata a crescere il che significherebbe condannare definitivamente il Salento, dove si trovano anche alberi con oltre cinquecento anni di vita;
    secondo quanto indicato dall'Unione europea, vi è, inoltre, il fondato rischio che vengano espiantate anche le viti che si trovano in un raggio di 100 metri dagli ulivi infetti, aggiungendo un ulteriore danno incalcolabile all'economia pugliese;
    le ulteriori disposizioni per contenere la Xylella fastidiosa prevedono, anche, la distruzione di tutte le specie potenzialmente contaminabili: dagli ulivi agli oleandri, ai mandorli, ad altre piante da frutta. E prevedono anche il divieto della loro riproduzione;
    la Francia, in linea con la legislazione dell'Unione europea, ha imposto l'embargo alle importazioni di piante determinando il calo del 70 per cento del fatturato dei circa 150 vivai della provincia di Lecce, vietando l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese attraverso il rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino, ma oltre agli ingenti danni all'agricoltura, al settore vivaistico e al considerevole indotto socio-economico che interessa tutto il settore vivaistico, si deve tenere in conto anche di quelli arrecati al turismo;
    secondo l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, non è nota alcuna strategia precedente che abbia avuto successo nell'eradicazione del batterio, una volta insediatosi all'aperto;
    l'uso indiscriminato di diserbanti e agenti chimici e la scarsa manutenzione dei terreni potrebbero, tuttavia, aver indebolito le resistenze naturali delle piante inducendo la regione Puglia ad imporre l'aratura obbligatoria, con multe fino a 3 mila euro per ettaro in caso di contravvenzione;
    secondo alcune associazioni e gruppi di agricoltori, inoltre, l'espianto degli ulivi dalla terra non è soltanto dannoso e devastante, ma del tutto inutile visto che le piante, trattate con i cari antichi rimedi, come le potature e la cura del terreno, sono in grado da sole di sconfiggere la Xylella;
    alcune segnalazioni di casi di diffusione del batterio killer degli ulivi anche in un garden center ligure, sono state smentite dalla stessa Commissione dell'Unione europea attraverso il portavoce Enrico Brivio dell'esecutivo per la salute e l'ambiente, in quanto le analisi sulla pianta di ulivo sospetto localizzata in Liguria hanno dato esito negativo;
    numerosi sono dunque i dubbi che ruotano intorno a questa vicenda: sul tempo perso prima di intervenire, sugli sforzi effettivi della ricerca dei metodi per sconfiggere il batterio, sull'espianto di ulivi secolari quale unico rimedio e sugli scarsi impegni di Governo ed Unione europea per affrontare seriamente tale emergenza;
    con delibera del Consiglio dei ministri è stato dichiarato lo scorso febbraio lo stato di emergenza, nonché il Piano d'interventi, a firma del commissario delegato Giuseppe Silletti per fronteggiare il rischio fitosanitario di diffusione della Xylella fastidiosa nel territorio della regione Puglia;
    il Tar Lazio ha sospeso il piano elaborato dal commissario delegato Giuseppe Silletti, in qualità di per l'attuazione degli interventi per far fronte all'emergenza Xylella fino al prossimo 6 maggio. E stata infatti accolta la richiesta di sospensiva presentata da 26 aziende vivaistiche, costituitesi in giudizio poiché «esistono obiettive ragioni di danno irreversibile rilevanti» in questa fase. Il piano commissariale, infatti, prevedeva la distruzione entro il 30 aprile, attraverso trinciatura o combustione controllata, di 296 mila piante (ulivi, oleandri, querce, pruni, poligala) sotto sigilli perché considerate ospiti del batterio;
    tenuto conto della grave crisi sia sul mercato interno che su quello internazionale che ha colpito il settore olivicolo-oleario il Governo, nell'ambito del Piano olivicolo nazionale, è intervenuto con il decreto-legge 51 del 5 maggio 2015, stanziando 20 milioni di euro per il triennio 2015-2017, obiettivo dell'intervento è di puntare al recupero del potenziale produttivo e competitivo con aumento del 25 per cento delle quantità prodotte a livello nazionale nei prossimi 5 anni, arrivando a quota 650 mila tonnellate;
    nel medesimo decreto, per andare incontro alle necessità degli agricoltori e dei vivaisti danneggiati dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia viene stabilita la deroga per l'attivazione del Fondo di solidarietà nazionale, che segue la dichiarazione di calamità. Allo stesso tempo vengono destinati i primi 11 milioni di euro per gli interventi compensativi a favore dei produttori che hanno subito danni. È la prima volta che questa norma si applica a emergenze fitosanitarie provocate da infezioni degli organismi nocivi, prevista solo per eventi atmosferici,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare le misure economiche e fiscali per alleggerire la grave crisi economica che sta colpendo gli agricoltori e i vivaisti pugliesi che hanno visto perdere la loro fonte di reddito;
   in particolare, a valutare l'opportunità di sospendere l'Imu agricola per le imprese i cui oliveti siano stati danneggiati da questa fitopatia epidemica;
   a sollecitare le istituzioni europee ad assumere iniziative in favore del comparto agricolo italiano danneggiato dalla diffusione del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» e ad assumere iniziative per escludere le relative risorse dai vincoli del patto di stabilità;
   a considerare la necessità di introdurre sistemi di controllo e di prevenzione delle importazioni di vegetali provenienti da altre zone del mondo per evitare il rischio di diffusioni di infezioni come quella attuale;
   a procedere per quanto di competenza, alla individuazione delle eventuali responsabilità amministrative tenuto conto che le istituzioni, a tutti i livelli, erano a conoscenza dell'emergenza Xylella da oltre 3 anni;
   a monitorare la diffusione della Xylella ed incentivare la ricerca per combattere il batterio e i suoi insetti vettori e per prevenire e curare gli ulivi e le altre specie vegetali colpite dalla malattia;
   ad assumere iniziative per prevedere misure compensative per gli enti locali che si sono o si impegneranno a realizzare interventi per fronteggiare l'emergenza fitosanitaria e per tutelare il patrimonio storico-ambientale ed economico dei loro territori messi fortemente a rischio.
(1-00865) «Fauttilli, Piepoli, Dellai».

Risoluzioni in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    con interrogazione n. 5-05261, presentata l'8 aprile 2015, è stato richiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali di convocare, urgentemente, un tavolo di concertazione con le parti sociali per scongiurare una possibile cessione della sede dell'Alcatel-Lucent Italia di Trieste, che occupa 850 lavoratori, a cui si aggiunge un indotto costituito dal personale dei servizi aziendali che, sul piano produttivo, coinvolge altresì la Mw-Fep di Ronchi dei Legionari;
    il sito in questione ricopre un ruolo strategico per il business dell'impresa, poiché produce tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di competenze specialistiche; ciò che si temeva è la cessione dello stesso a delle multinazionali statunitensi, tra le quali Flextronics, che operano nella produzione di componenti elettronici e i cui siti produttivi hanno sede in Paesi dal costo del lavoro notoriamente inferiore rispetto a quello italiano. Pertanto, con la cessione, si metterebbe a rischio il destino dei lavoratori dello stabilimento triestino, poiché tali multinazionali sono note per aver già chiuso diversi siti produttivi, delocalizzando le attività e licenziando i lavoratori italiani;
    ebbene, il 13 maggio 2015 si è appreso che nell'incontro al Ministero dello sviluppo economico i vertici di Alcatel Lucent Italia hanno comunicato ai rappresentanti sindacali l'avvio della procedura di vendita del sito triestino alla multinazionale Flextronics. Inoltre, è stato reso noto che verrà aperto in Nord America uno stabilimento che realizzerà lo stesso prodotto che attualmente viene lavorato a Trieste. Si verrebbe, quindi, concretamente a minare la strategicità dello stabilimento triestino e, a fronte di tale rischio e della perdita dei posti di lavoro, è stato immediatamente annunciato lo sciopero per reparti e un presidio all'ingresso dello stabilimento;
    è evidente la necessità di adottare urgenti provvedimenti affinché vengano salvaguardati, sia nel breve che nel lungo periodo, i posti di lavoro dello stabilimento della Alcatel Lucent di Trieste, tra l'altro, dichiarato strategico dalla proprietà dell'azienda, in un recente piano industriale firmato presso il Ministero dello sviluppo economico;
    si ribadisce, che lo stabilimento in questione — fra dipendenti, lavoratori interinali e indotto (logistica, servizi e produzioni alla Mw-Fep di Ronchi dei Legionari, che a sua volta occupa circa 400 persone) occupa migliaia di persone;
    Alcatel-Lucent di Trieste è una delle più grandi aziende del territorio, un territorio già colpito da profonda crisi occupazionale. Dunque, oltre al danno economico a livello nazionale che infliggerebbe la perdita del sito, sarebbe gravemente difficoltoso il riassorbimento degli ulteriori disoccupati che si determinerebbero in caso dismissione del sito, anche considerando le loro competenze altamente specialistiche,

impegna il Governo

ad adottare iniziative urgenti al fine di salvaguardare i livelli occupazionali – fra dipendenti e lavoratori interinali – nonché i redditi dei lavoratori della Alcatel-Lucent di Trieste.
(7-00684) «Rizzetto, Prodani».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il fosforo, identificato nella tavola periodica degli elementi col simbolo «P» è uno dei macroelementi, insieme all'azoto (N) e al potassio (K), fondamentale per l'esistenza stessa della vita essendo presente come gruppo fosfato in numerose molecole quali il DNA, l'RNA, l'ATP (per i processi di produzione dell'energia) e nei fosfolipidi delle membrane cellulare, nonché costituente degli enzimi e basilare nei processi ossidoriduttivi;
    il corpo umano ha bisogno di alimenti contenenti circa 0,6-0,8 grammi di fosforo P al giorno;
    il fosforo presente nel terreno viene assorbito attraverso le radici e viene fissato all'interno delle piante e da queste, trasferito agli animali che incorporano il fosforo al proprio interno sia come fosforo organico che inorganico, ovvero come fosfato di calcio;
    il fosforo circola nel suolo prevalentemente sotto forma di fosfati di calcio di cui ne esistono tre differenti tipi con diversi rapporti tra fosforo e calcio e solo alcuni di questi, quelli solubili nelle soluzioni circolanti nel terreno, sono assimilabili dai vegetali attraverso l'apparato radicale;
    il prodotto iniziale è il fosfato tricalcico (Ca3(PO4)2), praticamente insolubile in acqua che per reazione con acidi si trasforma in fosfato bicalcico (CaHPO4), poco solubile in acqua, e in fosfato monocalcico (Ca(H2PO4)2), più solubile in acqua, e in queste due forme solubili, il fosforo viene assorbito attraverso le radici delle piante;
    il ciclo del fosforo fino al XIX secolo è stato sostanzialmente chiuso, ovvero senza l'apporto di fosfati al terreno, visto che la frazione assorbita dai vegetali ritorna nel suolo a seguito della degradazione di spoglie e residui, mentre quello fissato negli animali torna disponibile grazie agli escrementi e alla decomposizione delle carcasse;
    la «rottura» del ciclo naturale del fosforo è effetto dell'allontanamento della popolazione agricola dai campi, con la crescita delle città e della popolazione e conseguentemente, con l'aumento della domanda di alimenti vegetali e animali che determina il diffondersi delle coltivazioni intensive che sottraggono fosforo al terreno senza restituirlo;
    per far fronte alla diminuzione delle rese agricole, diretta conseguenza dell'impoverimento fosforico dei suoli, ebbe inizio proprio nel XIX secolo lo studio delle correlazioni fra agricoltura e chimica i cui i prodromi sono evidenti nel «Trattato che mostra il legame fra agricoltura e chimica» (Archibald Cochrane, nono conte di Dundonald – 1795);
    nel testo di cui al punto precedente e in altri similari, si rilevava che cospargendo il terreno di polvere di ossa, contenente fosfato tricalcico, si aiutava la crescita delle piante e che le ossa erano più efficaci come concimi se venivano prima calcinate;
    a seguito di tale scoperta aumentò in tutta Europa la richiesta di ossa da usare come concime, al punto che nei primi anni dell'Ottocento l'Inghilterra ne doveva addirittura importarle dal continente alcune decine di migliaia di tonnellate all'anno;
    Justus von Liebig in Germania nel 1842 scoprì che le ossa erano più efficaci come concimi se venivano prima trattate con acido solforico che rendeva il fosforo più solubile in acqua, quindi nelle soluzioni presenti nel terreno, mentre nel 1842 l'inglese John Bennett Lawes brevettò il processo di trattamento sia delle ossa, sia di minerali fosfatici, di cui esistevano giacimenti sotto forma di coprolite in Inghilterra, con acido solforico, dapprima in camere di piombo poi nella «torre di Glover»;
    a seconda della proporzione di acido solforico impiegato nel trattamento dei fosfati naturali si possono ottenere in diverse proporzioni i «perfosfati», miscele di fosfato monocalcico e di fosfato bicalcico, con diverso grado di solubilità in acqua, insieme a solfato di calcio e con un «titolo», l'indicatore del contenuto in fosforo espresso come anidride fosforica P2O5, variabile dal 14 al 20 per cento;
    a partire dall'esperienza di cui al punto precedente, si propagò in tutto il mondo la diffusione di perfosfati e nel 1854 in Inghilterra esistevano 14 fabbriche di perfosfati ottenuti trattando con acidi l'apatite e la fosforite, i minerali del fosforo più diffusi, costituiti essenzialmente da fosfato tricalcico, mentre nel 1859 cominciarono a sorgere fabbriche di concimi fosfatici negli Stati Uniti;
    Percy Gilchrist nel 1878 brevettò la sostituzione del rivestimento refrattario acido siliceo del convertitore (di ghisa in acciaio) Bessemer con un rivestimento refrattario basico di calcare sul quale il fosforo veniva fissato dal rivestimento calcareo sotto forma di fosfato di calcio che trovò ben presto impiego come concime fosfatico sotto il nome di «scorie Thomas», costituite da silicofosfati di calcio con un titolo di circa il 16 per cento di P2O5;
    per più di un secolo il perfosfato minerale semplice, con un titolo del 16-20 per cento è stato il principale concime fosfatico, relativamente poco costoso e con il vantaggio di contenere solfato di calcio in ragione di circa il 12 per cento di zolfo, fino all'avvento del «superfosfato» più concentrato a seguito del trattamento dei minerali fosfatici con acido fosforico anziché solforico, con un titolo intorno al 40-45 per cento di P2O5, come il Ca(H2PO4)2 che ha un titolo teorico del 47 per cento, la cui produzione è cominciata nel 1934 da parte della Tennessee Valley Authority (TVA), la società statale creata dopo la I guerra mondiale per la produzione di energia idroelettrica, di concimi e di prodotti chimici;
    a partire dagli anni ’50 viene introdotto in commercio il concime da fosfato di ammonio ottenuto per reazione fra l'acido fosforico e l'ammoniaca anidra, ovvero il fosfato biammonico ((NH4)2HPO4), contenente i due elementi fertilizzanti fosforo e azoto (concime misto);
    nei concimi misti il titolo è indicato con tre cifre che corrispondono al contenuto «per cento» di azoto (N), di fosforo (P2O5) e in potassio (K2O); ad esempio il fosfato biammonico ha un titolo 18-46-0 e viene prodotto anche il fosfato monoamnnonico ((NH4)H2PO4) con titolo 11-52-0;
    i minerali fosfatici (fosforiti e apatiti), da cui si ricavano i concimi fosfatici, contengono anche vari altri elementi, come il fluoro, che viene estratto e usato come materia prima per i composti fluorurati, e l'uranio in concentrazione fra lo 0,010 e il 0,020 per cento, risultando perciò blandamente radioattivi, come anche i fosfogessi, in cui si concentrano anche altri elementi inquinanti originariamente presenti nei minerali fosfatici, con ovvie ripercussioni di carattere ambientale. Si citi ad esempio uno studio effettuato in Germania che ha quantificato in 14.000 tonnellate il quantitativo di uranio sparso sui suoli agricoli tedeschi dal 1951 al 2011, vale a dire un quantitativo cumulativo di 1 chilogrammo di uranio per ettaro;
    i fosfati naturali, ovvero la materia prima da cui si ricavano i concimi fosfatici, sono una risorsa non rinnovabile e che le stime parlano di una riserva di 15.000 milioni di tonnellate;
    alcune analisi degli scienziati del Global Phosphorus Research Initiative hanno stimato che il fosforo che si sta estraendo dalle miniere basterà per soddisfare le nostre esigenze alimentari solo per i prossimi 30/40 anni;
    le riserve mondiali di minerali fosfatici nel mondo (90 per cento) sono concentrate in pochi Paesi prevalentemente la Cina, Stati Uniti, Marocco e nel Sahara occidentale (quest'ultima terra appartenente al popolo Saharawi), e pochi altri, la cui domanda in continuo aumento (170 milioni di tonnellate nel 2008) potrebbe innescare tensioni geo-politiche che secondo Foreign Policy (autorevole rivista statunitense dedicata alle relazioni internazionali), minaccia di inaugurare un'era di competizione per lo sfruttamento di questa risorsa;
    sempre Foreign Policy, in un suo articolo, la definisce come «la più grave carenza di risorse naturali di cui avete mai sentito parlare» visto che gran parte degli agricoltori a livello mondiale utilizzano concimi ricchi di fosforo per incrementare la rendita dei loro raccolti, causando il problema del suo ricambio ed interrompendo di fatto il fenomeno conosciuto come «ciclo del fosforo»;
    oltre che come concimi (che ne assorbono circa il 90 per cento), i composti del fosforo hanno applicazioni commerciali in molti campi, dai detersivi, alla metallurgia, all'industria alimentare;
    l'analisi di laboratorio ci consente di determinare la quantità di fosforo assimilabile presente nel terreno in base alle caratteristiche chimiche fisiche del suolo, potendone così determinarne la dotazione (scarsa, media, buona ed elevata) e di indicare in funzioni di altre variabili (pH, calcare) se parte del fosforo è soggetto a immobilizzazione o retrogradazione;
    la situazione attuale, che comporta l'accumulo di rifiuti e provoca grandi perdite in ogni fase del ciclo del fosforo, desta preoccupazioni sui futuri approvvigionamenti nonché sull'inquinamento dell'acqua e del suolo, sia nell'Unione europea che nel resto del mondo;
    le prevedibili conseguenze della probabile futura scarsità del fosforo potrebbero comportare innalzamenti, anche speculativi, del prezzo come accadde nel 2008 dove si ebbe l'innalzamento del prezzo della fosforite del 700 per cento in poco più di un anno, contribuendo all'impennata dei prezzi dei fertilizzanti;
    dal punto di vista economico, la diversificazione dell'approvvigionamento di fosfato per le imprese dell'Unione europea che sono dipendenti da questa sostanza, migliorerebbe la loro resilienza nei confronti di future instabilità dei prezzi o di altre tendenze che potrebbero aggravare la loro dipendenza dalle importazioni;
    i benefici, in termini di ambiente e di uso delle risorse, derivanti dalla maggiore efficienza e dalle minori perdite sarebbero significativi, visto che attualmente l'uso del fosforo si rivela inefficiente nelle diverse fasi del suo impiego, provocando un grave inquinamento idrico e lo spreco di un'ampia gamma di risorse associate;
    indipendentemente dal volume totale del fosfato estratto disponibile e dalla sicurezza degli aspetti dell'approvvigionamento, questi benefici giustificherebbero il riutilizzo e il riciclo del fosforo in modo più efficiente e porterebbero ad avere una migliore gestione del suolo che recherebbe benefici in termini di clima e di biodiversità;
    nei paesi dell'Unione europea gli allevamenti intensivi si concentrano in aree specifiche vicino alle vie di comunicazione e ai grandi centri abitati, portando un'eccessiva concentrazione degli effluenti in queste aree, con un graduale accumulo del contenuto di fosfato nei terreni e un maggior rischio di inquinamento idrico;
    l'uso sostenibile del fosforo è divenuto negli ultimi anni, materia di ampie ricerche e studi, lo dimostra l'ultimo lavoro svolto per il Ministero dell'ambiente, dell'alimentazione e degli affari rurali del Regno Unito che individua nel reperimento del fosforo, un fattore di forte criticità nell'ambito dell'approvvigionamento delle risorse agricole e molte pubblicazioni scientifiche evidenziano i rischi legati all'aumento dei prezzi;
    a livello nazionale sono già state adottate alcune misure, soprattutto per far fronte ai problemi di inquinamento idrico provocati dal fosforo e per ridurre i rifiuti alimentari o altri rifiuti biodegradabili che contengono fosfati, tuttavia tali azioni sono state concepite al solo scopo di scongiurare l'inquinamento idrico o con altri obiettivi di natura politica, piuttosto che con la vera intenzione di riciclare e risparmiare il fosforo;
    le fonti organiche del fosforo sono spesso materiali pesanti e voluminosi come gli effluenti o i fanghi di depurazione che non possono essere facilmente trasportati su lunghe distanze e che gli approvvigionamenti potrebbero essere distribuiti meglio a livello regionale e la disponibilità del materiale potrebbe essere migliorata sia a livello quantitativo che qualitativo;
    per avere una produzione agricola efficiente è necessario disporre, nel suolo, di una quantità di fosforo sufficiente (livello critico) per soddisfare il fabbisogno delle piante durante tutto lo sviluppo, per questo l'UE ha promosso con varie iniziative, una maggiore efficienza nell'uso del fosforo con perdite ridotte in agricoltura, tra queste ricordiamo i codici di comportamento, i programmi di azione ai sensi della direttiva sui nitrati (Direttiva 91/676/CEE) e i regimi agroambientali nell'ambito della politica per lo sviluppo rurale;
    l'accresciuto interesse per la protezione del suolo stimolato dalla strategia tematica per la protezione del suolo, insieme alla sezione relativa al suolo delle buone condizioni agronomiche e ambientali (BCAA) nell'ambito della condizionalità prevista dalla politica agricola comune, servono a migliorare la gestione del suolo e a ridurre il declino e l'erosione della materia organica, due elementi che contribuiscono alla perdita del fosforo, ma rimane un considerevole margine di miglioramento per quanto concerne efficienza nell'utilizzo dei fosfati a livello di azienda agricola;
    il consumo umano produce inevitabilmente rifiuti, ma varie tecnologie consentono di recuperare il fosforo dagli impianti per il trattamento delle acque reflue e che negli ultimi anni queste tecniche hanno registrato un notevole sviluppo con l'avvio di numerosi progetti pilota, e ora anche di iniziative su scala commerciale nell'Europa occidentale e settentrionale;
    l'articolo 5 della direttiva 91/271/CEE del Consiglio concernente il trattamento delle acque reflue urbane imponga l'eliminazione del fosforo dalle acque reflue, non imponendo tuttavia l'estrazione del fosforo in forma utilizzabile;
    esistono tecniche per l'estrazione del fosforo come la rimozione dello stesso dalle acque reflue sotto forma di struvite o l'applicazione diretta dei fanghi di depurazione sui campi dopo opportuno trattamento;
    molte tecnologie industriali per il recupero del fosforo (da effluenti, acque reflue e rifiuti biodegradabili) sono già state varate quindi giunte a varie fasi di utilizzo, tuttavia non esiste una strategia comune per promuovere l'uso di queste fonti rinnovabili da parte degli agricoltori,

impegna il Governo:

   a promuovere e a sostenere a livello europeo, iniziative anche di carattere normativo, volte al recupero del fosforo e dei fosfati dagli effluenti, dalle acque reflue e dai rifiuti biodegradabili delle varie attività antropiche, con l'obiettivo dell'utilizzo nella concimazione del suolo agrario, al fine di ridurre progressivamente la dipendenza nell'approvvigionamento da parte dei principali produttori mondiali di minerali fosfatici, in un'ottica di salvaguardia e sostenibilità ambientale, di minimizzazione della contaminazione da uranio e di tutela della sovranità alimentare;
   a coinvolgere tutte le istituzioni pubbliche competenti in materia, ad intraprendere un'indagine conoscitiva sullo stato dell'arte dell'approvvigionamento dei concimi fosforici da parte del nostro Paese, sugli attuali consumi, soprattutto del settore primario, e dei trend futuri in termini di impiego della risorsa fosforo;
   ad assumere iniziative normative e in accordo con le regioni e le provincie autonome, al fine di promuovere il recupero del fosforo dalle varie attività umane (ad esempio le deiezioni animali del comparto zootecnico) al fine di reimpiegarlo quale materia prima per il settore agricolo oltre che di incoraggiare un uso razionale e sostenibile dei concimi fosforici;
   ad avviare una campagna informativa sulla tematica al fine di informare correttamente i comuni e gli agricoltori sulle prassi e procedure consigliate per il recupero del fosforo e l'impiego sostenibile dello stesso.
(7-00683) «Massimiliano Bernini, Busto, Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Parentela, Benedetti, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» del settembre 2014 ha previsto finanziamenti per interventi sui plessi scolastici. Tra le categorie di intervento rientrano: operazioni di abbellimento, di messa in sicurezza e di costruzione ex novo delle scuole;
   il comune di Modica ha segnalato, tra le opere finanziabili dal citato decreto-legge, al fine del suo recupero e della sua totale ristrutturazione, il liceo classico «Tommaso Campanella» per un importo complessivo di 6 milioni di euro;
   la ristrutturazione del plesso scolastico costituisce un punto di riferimento importante per la città di Modica: infatti l'istituto è frequentato da molti studenti che giungono anche dai paesi limitrofi. Il plesso scolastico, tra l'altro, una volta ristrutturato sarà sede anche di un museo contribuendo, in questo modo, a valorizzare la città di Modica;
   allo stato attuale non si conosce ancora, nonostante si siano completate tutte le procedure previste dal decreto-legge «Sblocca Italia», l'esito della richiesta del finanziamento;
   è opportuno, pertanto, conoscere quando verrà emanato il prossimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che stabilisce la ripartizione dei fondi per le scuole ammesse al finanziamento –:
   se intenda rendere noto con tempestività quando verrà emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che concede i finanziamenti per le scuole segnalate che abbisognano di una ristrutturazione. (4-09177)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul finire degli anni Novanta un'associazione ambientalista denunciò il transito di alcuni mezzi e l'interramento di fusti nella zona dove nasce l'acquedotto di Cosenza. L'area fu attenzionata nel passato senza però ottenere alcun esito;
   proprio in quell'area nei giorni scorsi i tecnici del progetto «Monitoraggio e individuazione delle aree potenzialmente inquinate» (Miapi) inviati nella zona dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbero individuato anomalie magnetiche provenienti dal sottosuolo;
   nel corso di una specifica missione a terra effettuata dai tecnici del progetto — accompagnati dagli uomini del nucleo ambiente dalla procura di Paola (CS) — le apparecchiature in dotazione al personale avrebbero segnalato ben due anomalie magnetiche di cui una con un'alterazione consistente che potrebbero indicare la possibile presenza nelle profondità dell'Abatemarco di materiale interrato. L'ipotesi più attendibile — se dovesse essere confermata anche dai dati ufficiali del Ministero — è che si tratterebbe di una discarica abusiva di rifiuti di cui al momento non si conosce la natura;
   gli esperti del progetto — finanziato con i fondi del Pon Sicurezza proprio per individuare potenziali aree contaminate — stanno valutando le analisi effettuate sul campo. Se gli esiti dovessero essere positivi e con un grado di anomalia consistente si dovrebbe poi procedere ai passaggi successivi per comprendere se e cosa sia stato interrato in quest'area;
   nei mesi scorsi, infatti, altri siti del Tirreno cosentino — segnalati dalla procura o inseriti nel sistema di controllo del progetto — sono stati sorvolati da un elicottero (organico al progetto) dotato di una piattaforma sospesa con un multi sensore in grado di percepire in volo anomalie magnotermiche, termiche e radioattive anche a una profondità di dieci metri. Proprio nel corso di quei sorvoli e delle successive missioni a terra, i tecnici del Miapi avrebbero individuato altri siti potenzialmente contaminati. In particolare, i tecnici del progetto — accompagnati sul posto dagli uomini del nucleo ambiente dalla procura — avrebbero confermato alcune anomalie provenienti dalle profondità del terreno già segnalate dall'elicottero. Si tratta, in particolare di due picchi — uno magnetico e l'altro termico — nel territorio di Lago e uno magnetico a Scalea;
   per tutti questi esami effettuati anche a terra, la procura di Paola attende per le prossime settimane le schede tecniche definitive da parte dei curatori del progetto Miapi –:
   se non ritenga opportuno pubblicare quanto prima i risultati del monitoraggio per favorire la successiva bonifica dei siti inquinati;
   se, compatibilmente con le risorse di bilancio, non ritenga urgente assumere tutte le iniziative di competenza per garantire un presidio costante e permanente delle aree del Tirreno cosentino;
   a proseguire una politica di inasprimento delle pene per i reati ambientali, da assimilarsi a quelli di stampo mafioso;
   se, vista l'alta incidenza di tumori in alcune zone della Calabria, non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere l'istituzione del registro tumori e del registro epidemiologico. (5-05615)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO e SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dirigenziale dell'A.G.C. 5 n. 545 datato 11 giugno 2009 la giunta regionale della Campania ha deliberato di esprimere parere favorevole di valutazione di incidenza, su conforme giudizio della Commissione valutazione di impatto ambientale, in merito al progetto relativo al permesso di ricerca di idrocarburi denominato «NUSCO», da realizzarsi tra le province di Avellino e Benevento;
   tale progetto è stato proposto dalla Italmin Exploration srl, società con sede legale in Roma, ed è finalizzato alla messa in atto di interventi volti all'analisi delle linee sismiche;
   le eventuali operazioni di perforazioni di pozzi esplorativi dovranno essere sottoposte a valutazione da parte della stessa Commissione;
   con decreto del direttore generale del 21 ottobre 2010, anche il Ministero dello sviluppo economico (dipartimento per l'energia – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche) ha conferito alla suddetta società il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi convenzionalmente denominato «NUSCO», in territorio delle province di Avellino e Benevento e per la durata di anni sei a decorrere dalla data del decreto in questione;
   con nota del 19 settembre 2012, acquisita anche presso la provincia di Avellino con numero di protocollo 52865 del 20 settembre 2012, la Italmin Exploration srl ha fatto istanza alla regione Campania di valutazione di impatto ambientale (ex articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni e integrazioni) per l'intervento di perforazione del pozzo esplorativo «Gesualdo-1» nell'ambito del permesso territoriale di ricerca idrocarburi «NUSCO»;
   con avviso pubblico n. 55382 del 3 ottobre 2012, pubblicato all'albo pretorio online della provincia di Avellino con il n. 1268 del 4 ottobre 2012, questo ente ha comunicato a tutti i soggetti interessati il deposito presso il Settore Valorizzazione e Tutela del Territorio dello Studio di Impatto Ambientale in vista della presentazione alla regione Campania per ottenere eventuali osservazioni;
   con nota n. 6933 del 15 novembre 2012 il comune di Gesualdo, in provincia di Avellino, ha trasmesso la delibera di giunta comunale n. 44 del 12 novembre 2012 con cui si esprimeva la netta e ferma contrarietà a concedere qualsiasi autorizzazione alla Italmin Exploration srl nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale per l'intervento di perforazione del pozzo esplorativo Gesualdo-1 nell'ambito del permesso di ricerca idrocarburi denominato «NUSCO» nel comune di Gesualdo, presentando, pertanto, formale opposizione ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 152 del 2006 alle procedure di V.I.A. in questione;
   nel frattempo a sostegno dell'opposizione a tale ipotesi si sono costituiti sia un «Comitato NO Petrolio in Alta Irpinia» che l'associazione «No Triv», col fine di sostenere con la partecipazione diretta dei cittadini la lotta per la non realizzazione delle trivellazioni geologiche per le ricerche petrolifere in tutte le zone d'Irpinia;
   con apposita deliberazione della giunta provinciale n. 11 del 2 febbraio 2013 la provincia di Avellino, considerato i rilevanti rischi per l'ambiente, ha ravvisato la necessità di presentare proprie osservazioni nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale in essere presso la regione Campania, per le quali occorre il possesso di specifici e competenze in campo ambientale, proponendo formale opposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale per l'intervento di perforazione del pozzo esplorativo Gesualdo-1 nell'ambito del permesso di ricerca idrocarburi denominato «NUSCO»;
   diverse sono state le deliberazioni dei comuni interessati dal progetto di perforazioni petrolifere con le quali si è inteso contrastare, in nome e per conto delle comunità locali, il progetto di trivellazioni geognostiche;
   la commissione valutazione di impatto ambientale della regione Campania non si è pronunciata sull'istanza per il progetto «Gesualdo-1» presentata il 19 settembre 2012, quindi, come prescritto dall'articolo 38, comma 4, del decreto-legge n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, il 31 marzo 2015 l'istruttoria è stata trasferita alla competenza dei giudici competenti di nomina ministeriale;
   in tal modo si è precluso alla regione Campania, e dunque agli enti territoriali, la possibilità di verificare un progetto che, sulla base degli impatti ambientali e socio-economici già ampiamente discussi, potrebbe andare a sconvolgere i già fragili equilibri del territorio interessato;
   la giunta regionale della ha impugnato il comma 1-bis dell'articolo 38 del decreto-legge per violazione delle competenze legislative regionali in materia di energia, pur non avendo esercitato le sue prerogative quando sarebbe stato necessario farlo;
   l'11 aprile 2015 si è svolto a Montefredane, in provincia di Avellino, un convegno patrocinato da ASL Avellino, A.O. Moscati, Ordine dei Medici, e Salus Publica Sud e dedicato al rapporto causa-effetto delle trivellazioni sulle popolazioni;
   al termine di tale convegno è stato licenziato un documento dall'alto valore medico e scientifico di 36 pagine stilato dalla sezione provinciale dell'ISDE – Medici per l'Ambiente e condiviso dall'ISDE Italia e dall'ordine dei medici di Avellino;
   la suddetta relazione, è stata inviata per informare le istituzioni regionali e nazionali sulle criticità connesse alla ricerca di idrocarburi, un pericolo concreto per un territorio ad alto rischio sismico, specie considerato che i gas sprigionati potrebbero causare malattie croniche;
   in essa si legge, tra l'altro, che il progetto di perforazione del pozzo esplorativo «Gesualdo-1» ignora gli impatti sanitari relativi ai fluidi di perforazione che generano insorgenza di interferenze endocrine, specie in età pediatrica;
   il progetto in questione ignora classificazione, stoccaggio e messa in sicurezza dei materiali contenenti elementi radioattivi che rileveranno dalla trivellazione vera e propria nonché le criticità sanitarie connesse, e anzi non risulta alcuno sforzo per affrontare una questione che ormai è divenuta focale, specie nelle letteratura scientifica internazionale;
   esso ignora inoltre il monitoraggio ambientale delle acque, asserendo che il controllo preventivo e successivo (il cosiddetto «bianco ambientale»), sia opera esclusiva della compagnia proponente senza alcuna compartecipazione di altri enti;
   ignora l'elevata sismicità di questo territorio, le considerazioni della commissione ICHESE, il danno alle produzioni di eccellenza Doc e Docg e, ancora, ignora il contesto complessivo della regione Campania coni due Sin, i Sir, la necessità delle bonifiche, le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti e, soprattutto, lo stato di salute della popolazione irpina;
   l'EPA (l'Agenzia per l'ambiente statunitense) definisce, così come la normativa europea, come NORM (Normal occuring radiattive matiarials) i materiali che contengono radionuclide naturali;
   l'acronimo TENORM (Technologically Enhanced NORM) vede una concentrazione di radionuclidi naturali aumentata a causa della tecnologia del processo di lavorazione subita dalla materia prima;
   infine, nelle valutazioni degli effetti dei fluidi di perforazione come per le emissioni, non viene fatto riferimento agli impatti sanitari nella popolazione generale e in particolare nei soggetti in età pediatrica;
   le acque sotterranee e superficiali dell'Irpinia costituiscono la maggiore ricchezza del territorio e il principale serbatoio idrico del Mezzogiorno;
   il suolo e le acque sotterranee formano un sistema estremamente complesso a causa dell'eterogeneità del sottosuolo, determinata dalla naturale presenza e sovrapposizione di complesse e diverse formazioni geologiche;
   una contaminazione del suolo, data la complessità di questo sistema idrico, può avere conseguenze incalcolabili sia per quanto attiene all'estensione del danno e sia per la persistenza temporale;
   l'estrazione di petrolio e gas rappresenta un serio rischio per le acque sotterranee, a causa delle tecniche impiegate, e per l'utilizzo di notevoli quantità di sostanze ad alto potenziale inquinante;
   idrocarburi movimentati, acque salate, fanghi di perforazione, acque immesse in profondità e Radon costituiscono un serio pericolo per falde acquifere che dissetano oltre tre milioni di persone in tre regioni diverse;
   a proposito di terremoti a pagina 19 del Quadro di riferimento ambientale del Progetto Gesualdo 1, senza alcuna ulteriore considerazione, è riportato che Gesualdo e Frigento ricadono nella zona ad elevata sismicità;
   come si può evincere dalla cartina e come stabilito dalla delibera di giunta regionale 5447 del 7 novembre 2002, tutta l'Alta Irpinia è in zona ad elevata sismicità, mentre il resto della provincia è in media 9 sismicità;
   nel sottosuolo dell'area interessata al progetto Gesualdo-1 vi sono faglie attive che hanno generato i violenti sismi del 1702 e del 1732 (X grado MCS);
   le caratteristiche idrogeologiche e geotermali e la presenza di varie faglie attive e sismogenetiche in grado di originare sismi di magnitudo 6,8-6,9 come quello del 1980 e gli effetti cosismici che ne possono conseguire in gran parte della superficie del suolo e nel sottosuolo del territorio compreso nel permesso «NUSCO» rendono di fatto incompatibili le previste attività petrolifere;
   l'area del permesso «NUSCO» presenta inoltre manifestazioni geotermali che alimentano attività termali (Terme di San Teodoro);
   le manifestazioni principali sono denominate Mefiti e Mefitelle (in linea d'aria a circa 6 chilometri all'area di realizzazione del progetto);
   una particolare situazione critica dal punto di vista naturalistico è costituita dagli abitanti stessi di Gesualdo, visto che si costruisce un pozzo di petrolio quasi nella piazza del paese;
   un pozzo esplorativo a ridosso del centro abitato espone a seri rischi per la salute;
   inoltre nelle vicinanze viene prodotto un formaggio pecorino, il Carmasciano, conosciuto in tutto il mondo per il suo pregio;
   il Progetto «Gesualdo-1», come tutti gli altri progetti che interessano la ricerca dei combustibili fossili nel sottosuolo, non può prescindere da una analisi puntuale delle condizioni generali di degrado e di criticità sanitaria della popolazione della Campania che appare già minata da precedenti interventi industriali e di criticità ambientali specifiche –:
   se non ritenga opportuno avvalersi, ai fini di un più compiuta valutazione del quadro generale delle criticità contenute nello studio impatto ambientale del pozzo «Gesualdo-1» predisposto dalla società proponente, della presente relazione medico-scientifica allegata;
   se non ritenga doveroso assumere iniziative per sospendere, nelle more, ogni altra iniziativa operativa da parte della società proponente del progetto di perforazione esplorativa del sottosuolo in oggetto;
   se non ritenga di dover sospendere ed eventualmente a riconsiderare l'eventualità del suddetto programma di perforazioni nel caso si dovesse registrare una oggettiva modifica dello «studio impatto ambientale». (4-09188)


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 ottobre 2009, la Commissione, europea ha avviato un'indagine EU Pilot sulla violazione dell'obbligo di trattamento dei rifiuti previsto all'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31, riguardante la discarica di Malagrotta, nella regione Lazio;
   con lettere del 4 e del 9 dicembre 2009, le autorità italiane hanno riconosciuto che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva autorizzato la regione Lazio a collocare, fino al 31 dicembre 2009, rifiuti tal quali in detta discarica. Il 2 marzo 2011, le stesse autorità hanno informato la Commissione che tutti i rifiuti conferiti in discarica a Malagrotta dovevano essere considerati come rifiuti trattati ai sensi dell'articolo 2, lettera h), di tale direttiva;
   in data 17 giugno 2011, la Commissione ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica italiana per violazione dell'articolo 6, lettera a), di detta direttiva, nonché degli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98, violazione constatata in diverse discariche della regione Lazio. In tale lettera, è stato precisato che da una lettura combinata di tali disposizioni deriva che il trattamento ai sensi della direttiva 1999/31 deve avere l'effetto di evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente nonché i rischi per la salute. Pertanto, la mera triturazione e/o compressione dei rifiuti indifferenziati, che non includa un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti nonché una qualche forma di stabilizzazione delle stesse frazioni, non risponderebbe agli obiettivi menzionati. La Commissione ha altresì contestato alla Repubblica italiana di aver violato l'articolo 16 della direttiva 2008/98/CE in ragione del deficit di capacità di trattamento meccanico-biologico, che risulterebbe dal piano regionale di gestione dei rifiuti, tanto nel SubATO di Roma, in cui si trova la discarica di Malagrotta, quanto nel SubATO di Latina ed in quello di Rieti;
   il 12 agosto 2011, le autorità italiane hanno risposto che il deficit di capacità di TMB nel SubATO di Rieti era compensato dall'eccedenza di capacità di un altro SubATO. Riguardo ai SubATO di Latina e di Roma, hanno fatto notare che i deficit di capacità di TMB erano stati ridotti dall'anno 2011 e che, in futuro, sarebbero stati colmati grazie alla realizzazione di impianti di TMB;
   non soddisfatta di tale risposta, la Commissione, con lettera del 1o giugno 2012, ha inviato un parere motivato alla Repubblica italiana, invitando quest'ultima a conformarvisi entro due mesi dalla ricezione;
   con lettere del 3 e del 6 agosto 2012, la Repubblica italiana ha riconosciuto l'esistenza di un deficit di capacità di TMB per i SubATO di Latina e di Roma. Per quanto riguarda quello del SubATO di Latina, ha indicato che esisteva un possibilità di compensarlo utilizzando la capacità residua di TMB di un SubATO vicino. Riguardo al SubATO di Roma, la Repubblica italiana ha affermato che vi sarebbe stata una riduzione di detto deficit di più della metà entro l'anno 2014. Ha inoltre sottolineato che era stato sottoscritto un protocollo d'intesa relativo alla chiusura della discarica di Malagrotta ed alla promozione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani di Roma;
   il 10 gennaio 2013, la Repubblica italiana ha informato la Commissione dell'adozione di misure supplementari, tendenti alla riduzione dei deficit di capacità di TMB, tra cui la costruzione di una discarica temporanea per lo stoccaggio di rifiuti trattati in una località del comune di Roma e l'adozione di un cronoprogramma preciso delle sfide che le autorità competenti e le imprese titolari degli impianti dovevano affrontare;
   il 19 marzo 2013, tale Stato membro ha avvisato la Commissione delle difficoltà incontrate nell'attuazione delle diverse misure menzionate, pur affermando che queste erano in corso di realizzazione;
   la Commissione, ritenendo la situazione ancora insoddisfacente sotto il profilo della normativa dell'Unione in materia di rifiuti, ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, il 15 ottobre 2014, ha condannato l'Italia per: 1) non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare che una parte dei rifiuti urbani conferiti nelle discariche del SubATO di Roma, ad esclusione di quella di Cecchina, ed in quelle del SubATO di Latina non venisse sottoposta ad un trattamento che comprendesse un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della loro frazione organica, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto degli articoli 1, paragrafo 1, e 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, nonché degli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive; 2) non aver creato, nella regione Lazio, una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 –:
   se la procedura di infrazione 2011/4021, vista la chiusura della discarica di Malagrotta avvenuta a ottobre 2013, sia da considerarsi archiviata;
   quali contestazioni – nel caso di risposta negativa alla prima domanda – avanzate dalla Commissione europea siano ancora pendenti sull'Italia;
   se – nel caso di risposta negativa alla prima domanda – l'Italia, in relazione alla procedura di infrazione 2011/4021, non rischi un nuovo deferimento alla Corte di giustizia europea ai sensi dell'articolo 260 del TFUE;
   se risulti se la regione Lazio ottemperi ad oggi a quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea ovvero se rispetti gli obblighi su di essa incombenti in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE. (4-09192)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dai giornali il 30 aprile 2015, il Governo ha inviato all'Expo di Milano circa 2.400 militari, che secondo quanto riporta il sito del Ministero della difesa: circa 1.800 verranno utilizzati per l'evento mondiale e gli altri 600 per l'operazione «Strade sicure»;
   sempre da fonti di stampa si apprende che ai militari sarebbe stato dato un preavviso di sole 24 ore e inoltre, dei 2.400 militari inviati, circa la metà, dovranno soggiornare in tenda per tutto il periodo d'impiego, ovvero per oltre 6 mesi, per mancanza di posti nelle caserme dell’hinterland milanese –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se lo spostamento dei militari sia avvenuto nel rispetto delle regole stabilite per questo tipo di operazioni o se ci sia stata, come l'interrogante ritiene si desuma dai fatti descritti, una mancata pianificazione e inefficiente organizzazione da parte del Governo che avrebbe inficiato la logistica, con conseguente incapacità d'individuazione dei posti effettivamente inutilizzati, presenti in molte caserme, anche nell’hinterland milanese;
   a quali costi ammonterebbe tale operazione e quali azioni il Ministro interrogato intenda adottare per rimediare a tale situazione causata da un mancato e preventivo intervento da parte del Governo. (5-05611)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, BRUGNEROTTO, COLONNESE e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dopo le segnalazioni da parte degli abitanti del territorio Bellunese, risalenti alla metà di giugno 2014, che denunciavano l'intensificazione del frastuono e rumori causati da jet militari che sorvolavano a bassa quota le dolomiti per esercitazioni militari, i fatti di cronaca di questi ultimi giorni, così come segnalato da vari quotidiani locali e nazionali, riportano il verificarsi di nuovi e più preoccupanti episodi che hanno generato anche attimi di panico nelle popolazioni interessate sia della Valbelluna sia di molti comuni della confinante provincia di Treviso;
   infatti, due boati improvvisi, procurati molto probabilmente da alcuni caccia militari, che infrangendo il muro del suono, avrebbero provocato i cosiddetti «boom sonici», hanno allarmato la popolazione tanto che l'intensità degli stessi ha fatto credere addirittura ad un fenomeno sismico o a un'esplosione;
   nell'area compresa tra i comuni di Sedico e Mel in provincia di Belluno, quella in cui il boato si è avvertito di più, le forti scosse hanno fatto tremare i vetri di porte e finestre, consigliando precauzionalmente l'evacuazione delle scuole a Trichiana, Mel e nella frazione di Villa di Villa. Molte persone, temendo un terremoto hanno abbandonato case e luoghi di lavoro riversandosi in strada e in pochi minuti i centralini dei vigili del fuoco sono stati tempestati di segnalazioni da parte di cittadini spaventati;
   i disagi, derivanti dalle esercitazioni militari nello spazio aereo che sorvola la Valbelluna, si ripetono oramai con una certa regolarità e le preoccupazioni di queste popolazioni sono dettate dal timore di pericolosi incidenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suindicati;
   se e quali iniziative intenda intraprendere per verificare se trovi conferma che l'origine dei boati sia da attribuire all'attività di addestramento di caccia militari e se tale attività addestrativa sia stata svolta nel pieno rispetto delle vigenti normative concernenti l'impatto ambientale e antirumore ed in materia di spazi aerei.
(4-09174)


   RIZZO, MARZANA, GRILLO, CANCELLERI, LOREFICE e COLLETTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto, legge del 22 dicembre 2011 n.211 noto come «decreto svuota-carceri», successivamente convertito in legge, veniva definitivamente sancita la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) a favore di strutture più idonee denominate «residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza» (REMS);
   la regione siciliana ha recepito tale normativa con, Decreto regionale della Salute n.127 del 10 febbraio 2014;
   lo scorso 1o maggio l'Azienda sanitaria provinciale di Catania ha inaugurato la REMS di Caltagirone nella frazione di Santo Pietro, antico borgo immerso in un vasto bosco di querce che costituisce una riserva naturale orientata;
    si è appreso, da articolo di giornale, che a meno di 48 ore dall'apertura della nuova struttura, in grado di ospitare 20 pazienti, si sono registrati due tentativi di evasione, mentre un altro paziente ha tentato la fuga per ben quattro volte nell'arco di tre giorni;
   grande la preoccupazione degli abitanti del borgo di Santo Pietro sia per le ripercussioni legate alla sicurezza del luogo che per le eventuali ripercussioni legate al turismo della zona;
   un'indagine della magistratura, per accertare eventuali responsabilità, è già stata avviata dalla procura di Caltagirone mentre l'amministrazione comunale della città delle ceramiche ha sollecitato un incontro col prefetto di Catania per una riunione urgente con il comitato per la sicurezza «per determinare iniziative e adempimenti da assumere allo scopo di garantire in maniera adeguata la sicurezza del territorio»;
   la locale stazione dei carabinieri è stata chiusa nel 2012, ed è stata accompagnata, all'epoca dei fatti, da una protesta delle autorità locali e degli abitanti del borgo che vedevano venir meno un importante presidio di legalità in un territorio, che è stato teatro dell'arresto del noto latitante di mafia Nitto Santapaola –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto in premessa;
   se il Ministro dell'interno e il Ministero della giustizia intendano, per le parti di propria competenza, rafforzare il dispositivo di sicurezza nell'area della struttura adibita alla REMS di Santo Pietro Caltagirone;
   se il Ministro della difesa intenda riaprire il comando della stazione dei carabinieri di Santo Pietro. (4-09190)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, GAGNARLI, L'ABBATE e GALLINELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il legislatore fiscale, tra i prodotti destinati all'alimentazione ed assoggettati ad aliquota IVA ridotta ai sensi del n. 12-bis) della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non menziona l'origano che, come ribadito anche dall'Agenzia delle entrate nella risoluzione del 27 gennaio 2006, n. 19/E, «da un punto di vista tecnico/merceologico, appartiene alla stessa voce doganale del basilico, rosmarino e salvia»;
   allo stato attuale alle cessioni di basilico, rosmarino e salvia si applica l'aliquota IVA ridotta al 4 per cento contro il 22 per cento dell'aliquota IVA ordinaria alla quale è assoggettato l'origano;
   la diversa tassazione di dette piante aromatiche costituisce una palese incongruenza nel trattamento fiscale con ripercussioni sui produttori di origano specialmente in una economia martoriata dalla crisi quale quella del meridione d'Italia –:
   se non si ritenga opportuno porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad uniformare l'aliquota IVA per tutte le piante agricole aromatiche. (5-05606)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCO DI MAIO, DONATI, FRAGOMELI, PICCOLI NARDELLI, DALLAI, PATRIARCA, ERMINI, BERGONZI, FREGOLENT, MORETTO, MORANI, GELLI, CRIMÌ, GALPERTI, LODOLINI, BONOMO, BONACCORSI, PETRINI e RICHETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i microbirrifici artigianali rappresentano una realtà produttiva molto dinamica e ad alto livello qualitativo, che negli ultimi anni sta conseguendo una forte crescita economica (più del 20 per cento annuo);
   il settore è attualmente rappresentato da oltre 800 microbirrifici, con un'età media dei titolari d'impresa tra i 30 e i 35 anni, una media di circa tre dipendenti, un fatturato complessivo di 120 milioni di euro, con un volume di export superiore al 10 per cento;
   la specificità del ciclo di produzione e dei prodotti comporta inevitabilmente costi più elevati rispetto alle lavorazioni di tipo industriale, sui quali fra l'altro la liquidazione delle accise, tra le più alte d'Europa, ha un impatto assai significativo, soprattutto in termini di accertamento;
   in questo senso la stessa Unione europea, con le direttive UE 93/83 e 93/84, ha individuato i parametri sulla base dei quali calcolare l'accisa, l'aliquota minima applicabile e la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria in funzione della dimensione d'impresa;
   nella fase di recepimento della direttiva 92/83, 20 Paesi su 28 hanno mostrato attenzione ai piccoli produttori, prevedendo aliquote ridotte per i piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno;
   in Italia non sono state previste aliquote ridotte per i piccoli birrifici e da gennaio 2015 gravano accise sulla birra per un ammontare pari a 3,04 euro/ettolitro;
   il sistema di accertamento dell'accisa per i microbirrifici, previsto dall'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, è basato su apparecchiature elettroniche inserite nel ciclo di produzione della birra. Tale sistema, risponde all'esigenza di riconoscere la specificità e semplificare il processo di accertamento delle accise dovute sulla produzione per i microbirrifici;
   in base all'interpretazione data dall'Agenzia delle dogane nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, i misuratori elettronici vengono collocati nella fase di produzione del mosto, che è addirittura precedente alla fermentazione dalla quale origina la birra, e non «a monte del condizionamento» (ossia del confezionamento della birra) come prevede il testo unico;
   questa interpretazione determina una tassazione dell'accisa più alta rispetto al sistema di accertamento previsto per i grandi birrifici, perché non prende in considerazione gli inevitabili ed alti cali di produzione, e, inoltre, obbliga le imprese ad anticipare la tassazione della birra a molti «giorni» rispetto al momento del condizionamento. Momento nel quale, secondo le disposizioni originarie sorge l'esigibilità del tributo sulla produzione;
   tali disposizioni rappresentano una significativa criticità per i microbirrifici, in quanto ne limitano fortemente la competitività e determinano evidenti condizioni di svantaggio rispetto ai competitors europei –:
   se il Governo intenda assicurare, in riferimento all'accertamento dell'accisa di cui in premessa, le opportune forme di coordinamento con l'Agenzia delle dogane al fine di modificare l'interpretazione assunta, nella circolare n. 5/ D del 6 maggio 2014, perché non aderente al dettato normativo e conseguentemente accertarsi della corretta applicazione su tutto il territorio nazionale;
   in alternativa non ritenga operate, attraverso appositi provvedimenti, un'interpretazione autentica all'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, nel senso di effettuare l'accertamento dell'accisa al momento del condizionamento. (4-09179)


   GIULIETTI e LAFFRANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   molti comuni versano in condizioni di difficoltà dovuta anche all'incertezza normativa e di risorse;
   ad oggi non è stato ancora saldato il Fondo di solidarietà dallo Stato per il 2014 e che i medesimi comuni sono in attesa della prima rata del Fondo per il 2015;
   nei prossimi giorni dovrebbe essere varato il decreto legge relativo agli enti locali –:
   quale sarà la tempistica per il saldo del Fondo di solidarietà ai comuni per il 2014 ed il versamento ai medesimi della prima rata 2015 considerata la grave situazione dei comuni italiani. (4-09183)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza in merito alla discarica di Bussi e ai veleni prodotti dalla Montedison si è svolta a porte chiuse nel tribunale di Chieti il 19 dicembre 2014 e i 19 imputati sono stati tutti assolti dal reato di avvelenamento delle acque mentre, per il disastro ambientale, la Corte ha derubricato il capo d'imputazione in disastro colposo, per il quale è stata dichiarata la prescrizione. L'accusa, sostenuta dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, aveva chiesto condanne, per gli ex dirigenti e tecnici di Montedison, che andavano dai 4 ai 12 anni. I pm sostengono che alcuni imputati sapessero che l'acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato. E l'acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700 mila persone in tutta la Val Pescara. Inoltre, nel processo erano stati depositati documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara, a cui si aggiungevano le dichiarazioni di una dirigente dell'Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia forestale, Guido Conti: «... è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana... Sarebbe stato necessario vietare l'erogazione e la distribuzione delle stesse acque...»;
   da fonti di stampa si è appreso che 2 dei 6 giudici popolari che hanno emesso la sentenza in oggetto, hanno poi dichiarato a Il Fatto Quotidiano di non aver mai letto gli atti del processo: «Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula. Siamo disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità»;
   i 2 giudici hanno inoltre raccontato che il 16 dicembre 2014, alcuni dei 6 giudici popolari, hanno cenato insieme con il presidente della corte d'assise, Camillo Romandini, e il giudice a latere, Paolo di Geronimo, in un locale pubblico di Pescara e che, a loro dire, il presidente Romandini avrebbe spiegato che, se avessero condannato per dolo gli imputati, e se poi questi ultimi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarli personalmente, chiedendogli i danni, con il rischio di perdere tutto quello che avevano. In riferimento a tali dichiarazioni e avvenimenti il presidente Romandini ha semplicemente dichiarato: «Non posso commentare perché sono tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio»;
   l'idea che i giudici popolari non abbiano letto neanche gli atti, appare una mancanza ancor più grave, aggravata dal fatto dalla circostanza, ancora tutta da provare, del timore che sembra sia stato in loro ingenerato nell'intravedere il rischio di poter essere citati per danni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda promuovere una ispezione ministeriale presso il tribunale di Chieti in relazione ai fatti esposti in premessa. (5-05613)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LACQUANITI, BENAMATI, SENALDI, PIAZZONI, ZAN, MANFREDI, LAVAGNO, GINOBLE, GALPERTI, SGAMBATO, CHAOUKI, GITTI e GADDA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 luglio 2005, n. 154 (cosiddetta legge Meduri) ha disposto il riordino della carriera del personale inquadrato come dirigente penitenziario, conferendo al Governo la delega per la relativa disciplina e, secondo quanto statuito dall'articolo 2, comma 1, della citata legge, il rapporto di lavoro del personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria è riconosciuto come rapporto di diritto pubblico ed il relativo personale è inserito fra le categorie escluse dall'applicazione del regime privatistico;
   che l'articolo 4 della legge n. 154 del 2005 ha disposto che «il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale dell'Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale»; inoltre, in via transitoria e nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi, il rapporto di lavoro dei dirigenti penitenziari sarebbe stato regolato «dalle disposizioni previste per il personale statale in regime di diritto pubblico» (articolo 4, comma 3), che è stato individuato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in quello del personale dirigente delle forze di polizia ad ordinamento civile, anche per continuità con il passato, visto che l'articolo 40 della previgente legge n. 395 del 1990 aveva attribuito al personale dirigente e direttivo dell'amministrazione penitenziaria il trattamento economico e giuridico delle corrispondenti qualifiche della polizia di Stato;
   la delega conferita dalla legge n. 154 del 2005 è stata esercitata con il decreto legislativo n. 63 del 2006, che ha disciplinato l'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria ed ha fissato, agli articoli dal 13 al 17, il trattamento economico, demandando alla procedura negoziale la relativa determinazione;
   nonostante siano trascorsi oramai quasi dieci anni dall'approvazione della legge di riordino non si è ancora pervenuti alla stipula del primo contratto che disciplini il trattamento giuridico ed economico del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, sicché continua ancora ad applicarsi al predetto personale la disciplina pubblicistica delle forze di polizia ad ordinamento civile;
   tale situazione di precarietà ha ingenerato numerosi contenziosi per quel che concerne la disciplina della mobilità del personale, quella dell'attribuzione degli incarichi superiori e soprattutto quella della conservazione della «anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza», ai fini dell'applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici relativi al loro rapporto di lavoro come espressamente previsto dal decreto legislativo n. 63 del 2006;
   pertanto, i dirigenti penitenziari continuano a godere di un trattamento economico provvisorio, senza vedersi riconosciuta né «retribuzione di posizione, parte fissa e parte variabile, correlata alle posizioni funzionali ricoperte, agli incarichi ed alle responsabilità esercitate», né «la retribuzione di risultato, in relazione ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati ed alle risorse assegnate», come pure espressamente previsto dall'articolo 15, n. 1, lettera b) e c) del decreto legislativo n. 63 del 2006;
   la stipula del primo contratto del personale della dirigenza penitenziaria non è interessata, per gli anni dal 2005 al 2009, dal blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti vigente a decorrere dal 2010, in quanto scaturisce da una normativa previgente — la legge n. 15 aprile 2005 ed il decreto legislativo n. 63 del 2006 — tuttora rimasta inspiegabilmente inapplicata;
   il Ministro per la funzione pubblica pro tempore con proprio decreto 28 dicembre 2007 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 13 febbraio, n. 37) ha all'uopo proceduto alla individuazione della delegazione sindacale che partecipa al procedimento negoziale per la definizione dell'accordo relativo al quadriennio 2006-2009, per gli aspetti giuridici, e al biennio 2006-2007, per gli aspetti economici, riguardante il personale della carriera dirigenziale penitenziaria, ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63;
   in data 29 luglio 2011 sono state avviate presso il Dipartimento della funzione pubblica le trattative negoziali per la stipula del primo contratto della carriera dirigenziale penitenziaria; la seduta del tavolo negoziale è stata poi aggiornata dalla parte pubblica al 13 settembre 2011, seduta procrastinata dapprima al 13 settembre 2011 e poi 27 settembre 2011, ed infine, definitivamente rinviata a «data da definirsi» per non meglio precisate «esigenze organizzative»;
   quali iniziative urgenti di competenza i Ministri interrogati intendano adottare in tempi rapidi per addivenire alla stipula del primo contratto di categoria della dirigenza penitenziaria. (4-09182)


   NUTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 31 dicembre 2012, n. 247, reca una «nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense»;
   l'articolo 23 della suddetta legge disciplina in particolare il caso specifico dell'esercizio della professione forense da parte degli avvocati degli enti pubblici, disponendo l'iscrizione in un elenco speciale annesso all'albo per tutti gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici o a maggioranza pubblica ai quali venga assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente;
   nello specifico caso degli avvocati degli enti pubblici descritto nell'articolo 23, l'iscrizione nell'elenco avviene tramite deliberazione dell'ente, dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell'ente stesso; inoltre, gli avvocati iscritti in questo speciale elenco sono sottoposti al potere disciplinare del consiglio dell'ordine e il loro contratto deve obbligatoriamente garantirne l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica;
   all'interrogante risulta che, ad oggi, attività esercitata dagli avvocati in forza presso l'ufficio legislativo legale della regione siciliana non sia svolta nel rispetto delle norme sopracitate, in quanto lo stesso ufficio appare inserito nella struttura organica della pubblica amministrazione regionale come facente funzioni amministrative, e non meramente legali;
   appare quindi evidente il contrasto con quanto previsto in materia dalla normativa richiamata –:
   di quali elementi disponga il Governo circa l'applicazione delle disposizioni della legge n. 247 del 2012, con riguardo alla situazione della regione siciliana, delle altre regioni e degli enti pubblici o a maggioranza pubblica, e se intenda assumere ulteriori iniziative normative per rendere più stringente tale disciplina.
(4-09189)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA, ZAPPULLA e AMODDIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 6 e il 7 maggio il Terminal 3 dell'aeroporto romano di Fiumicino è stato quasi completamente distrutto da un incendio;
   a seguito del disastroso evento, lo scalo è rimasto chiuso fino alle ore 14,00 del 7 maggio e nelle ore e nei giorni successivi molti voli sono stati cancellati e altri hanno subito forti ritardi;
   martedì 12 maggio – a cinque giorni di distanza dall'incendio – negli aeroporti siciliani di Punta Raisi a Palermo e di Fontanarossa a Catania sono stati annullati rispettivamente nove e cinque voli per Roma;
   nei precedenti quattro giorni i voli annullati allo scalo di Punta Raisi sono stati più di cinquanta, a Fontanarossa almeno trenta. Il maggior numero delle cancellazioni è stato disposto da Alitalia, ma anche Vueling, la terza compagnia aerea che copre la tratta Palermo-Roma, ha effettuato numerosi annullamenti;
   il caos dei collegamenti aerei fa sì che la Sicilia sia sostanzialmente isolata e si ripercuote anche sui servizi di assistenza alla clientela; chi, in questi giorni, ha provato a mettersi in contatto con il call center di Alitalia, ad esempio, ha dovuto subire ore di attesa al telefono, alla disperata ricerca di una informazione;
   molti hanno rinunciato e rinunciano al viaggio – in molti casi spostamenti di lavoro –, chi parte da Palermo cerca di  imbarcarsi su uno dei due voli notturni effettuati eccezionalmente in questi giorni dalla compagnia di bandiera alle 2 e alle 6 del mattino o sui voli Ryanair, che subito dopo l'incendio ha spostato i suoi arrivi a Ciampino; in sostanza la maggior parte dei siciliani che aveva necessità di raggiungere la capitale o di tornare in Sicilia si è trovata ad avere a che fare con cancellazioni, ritardi ed orari scomodissimi;
   nel frattempo, mentre il presidente dell'ENAC Vito Riggio rassicurava sui tempi di ripresa del regolare traffico aereo, affermando di aver fiducia di tornare alla normalità entro la fine della settimana, il sindaco di Catania Enzo Bianco presentava un esposto contro lo stesso Riggio in merito all'immotivato aumento dei biglietti aerei e alla reiterata applicazione della tariffa massima, al di fuori delle logiche di mercato, da parte di alcune compagnie aeree, in particolare Alitalia, proprio nei giorni seguenti all'incendio di Fiumicino;
   in particolare, il sindaco di Catania ha segnalato che il 7 maggio, dopo la riapertura dello scalo di Fiumicino, i pochi biglietti disponibili avevano prezzi esorbitanti: nella tratta Roma-Catania, i voli Alitalia diretti delle 16,45 e delle 20,15 costavano rispettivamente 430 euro e 381 euro, mentre i voli con scalo costavano 508 euro (partenza alle 16 e arrivo alle 20,20) e 488 euro (partenza alle 20 e arrivo alle 23,50). Evidentemente una grave emergenza, a giudizio degli interroganti, è stata utilizzata dalle compagnie aeree – in particolare da Alitalia – per vendere biglietti a prezzo pieno, mettendo in atto una vera e propria speculazione a danno degli utenti siciliani;
   prezzi spropositati sono stati rilevati anche lunedì 11 maggio 2015, ben quattro giorni dopo l'incendio: i primi voli della mattinata da Catania a Roma, che decollavano dalle 6.35 alle 7.20, costavano addirittura da 204 euro a 434 euro (quest'ultimo di Alitalia). Nello stesso giorno, i primi voli della mattinata da Cagliari a Roma, che partivano dalle 6.20 alle 11.30, avevano un costo che variava da 58 euro a 82 euro: un rapporto di uno a quattro –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per scongiurare il perpetuarsi della grave situazione di disagio degli utenti siciliani ed in particolare per impedire che le compagnie aeree, approfittando di un momento di emergenza, applichino prezzi esorbitanti conseguenti all'eliminazione delle tariffe più basse. (5-05616)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA, DI BENEDETTO, MANNINO e CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione n. 71/2014, concernente la «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane spa», rilasciata dalla Corte dei conti, stabilisce che l'assetto organizzativo societario del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è quello di un gruppo industriale, con holding Capogruppo Ferrovie dello Stato italiane spa;
   le azioni della società Ferrovie dello Stato italiane spa, così come definito dalla determinazione n. 71/2014, appartengono interamente allo Stato, per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   Rete ferroviaria italiana è stata costituita il 1o luglio 2001 come Società dell'infrastruttura del Gruppo Ferrovie dello Stato, per rispondere alle direttive comunitarie recepite dal Governo italiano sulla separazione fra il gestore della rete e il produttore dei servizi di trasporto, e a completamento del processo di societarizzazione del Gruppo FS;
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio in favore della società di trasporti e servizi per azioni «Ferrovie dello Stato», successivamente trasferita alla società Rete ferroviaria italiana spa, della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60, nonché del relativo impegno di garanzia della continuità territoriale ferroviaria su tutto il territorio dello Stato;
   con l'approvazione della legge 23 luglio 2009, n. 99, concernente «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia» le regioni italiane hanno facoltà di affidare la concessione per il servizio di trasporto ferroviario nel proprio territorio di competenza;
   risulta evidente, tuttavia, come tale mercato rappresenti, di fatto, un monopolio naturale, data l'assenza di competitor nel settore ferroviario in varie regioni dello Stato, costringendo per tali motivi gli enti regionali ad una sottoscrizione forzata dei contratti di servizio proposti da Trenitalia, la quale si trova, con tutta evidenza, in una posizione di vantaggio contrattuale;
   il contratto di servizio sottoposto alla regione siciliana la richiesta di sottoscrizione del nuovo Contratto di servizio che dovrebbe regolare per i prossimi anni il trasporto ferroviario, il quale prevede, al suo interno, la determinazione delle tratte garantite e dei servizi offerti a garanzia della continuità regionale su tutto il suo territorio;
   così come riportato dalle pagine del quotidiano, consultabile on-line, «La Gazzetta del Sud», sarebbe già noto il contenuto del nuovo accordo di servizio, con «offerte su diversi livelli di servizio per collegamenti più veloci tra i capoluoghi, treni turistici in sinergia con la Fondazione Fs, integrazione tariffaria nelle aree urbane di Palermo, Catania e Messina ma con alcuni importanti tagli circa le fermate che i convogli dovranno effettuare nei prossimi anni, in relazione al servizio di trasporto regionale veloce;
   secondo quanto riportato dal quotidiano, infatti, sarebbero «confermate le 6 coppie di regionali veloci», ma con 5 sole fermate, e cioè Termini Imerese, Cefalù, Sant'Agata di Militello, Patti e Milazzo, per un tempo di percorrenza di 2 ore e 40, sopprimendo, invece, la fermata «Capo D'Orlando - Naso»;
   tale soppressione appare non giustificata né dal punto di vista della velocità del servizio, essendo a oggi previsto un tempo di percorrenza maggiore di soli 7 minuti per la stessa tratta di percorrenza, né per la capacità dell'utenza potenziale destinataria del servizio, essendo il solo comune di Capo D'Orlando centro cittadino abitato da oltre 13.000 persone, oltreché destinazione balneare di riferimento durante il periodo estivo;
   si consideri, a riguardo, il progressivo taglio delle tratte regionali siciliane già in essere, per un totale di 56 treni soppressi, pari al 2,17 per cento rispetto al totale nella sola costa ionica, mentre risultano essere 23 i convogli soppressi lungo il versante tirrenico, pari al 2,03 per cento del totale, secondo una indagine condotta dal «Comitato pendolari siciliani», secondo cui oltre il 60 per cento dei convogli raggiungerebbe in ritardo le stazioni di arrivo e con lunghissimi tempi di percorrenza;
   per tali motivi si ritiene necessario un intervento ministeriale, quale socio unico della società Ferrovie dello Stato spa, affinché il contratto di servizio possa prevedere condizioni e servizi almeno non inferiori a quanto oggi previsto dal precedente contratto stipulato tra la regione siciliana e la società Rete Ferroviaria Italiana –:
   se intenda adoperarsi presso Ferrovie dello Stato Italiano affinché le condizioni offerte dal nuovo contratto di servizio, così come sottoposto all'attenzione dei vertici della regione siciliana, siano non inferiori ai servizi a oggi offerti dalla società per garantire in tutto il territorio siciliano il relativo servizio di trasporto ferroviario, reinserendo, di conseguenza, tra le stazioni di fermata dei treni regionali veloci i Comuni di Capo D'Orlando e Naso.
(4-09178)


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dai dati pubblicati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti relativi all'anagrafe delle opere incompiute, persistono in tutta Italia centinaia di investimenti, attivati dalle amministrazioni, in opere pubbliche che, per cause diverse, non sono mai arrivate all'ultimazione dei lavori e di fatto sono delle incompiute. Questo stato di fatto potrebbe determinare un elevato spreco di risorse pubbliche nonché il mancato soddisfacimento delle necessità della collettività cui sono state destinate tali opere;
   i dati, rilevati da un rapporto di sintesi pubblicato dall'Istituto per l'innovazione e per la trasparenza degli appalti e compatibilità ambientale, ottenuti da segnalazioni degli enti locali interessati e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per quanto riguarda i lavori di rilevanza nazionale, evidenziano allo stato 692 opere incompiute al 31 dicembre 2013 che corrispondono ad un importo al lordo degli oneri pari a circa 3,5 miliardi di euro. I lavori eseguiti ammontano a 1,1 miliardi di euro (33 per cento), i lavori necessari al completamento ammontano a circa 1 miliardo di euro (30 per cento), gli oneri complessivi ammontano 1,3 miliardi di euro (37 per cento) e di questi ultimi non è nota la quota già spesa e quella residua. L'elenco delle opere comprende strade, impianti sportivi, ospedali, scuole, parcheggi, aeroporti e altre strutture pubbliche iniziate e mai ultimate;
   in particolare, le opere incompiute sono così suddivise sul territorio nazionale: Veneto 25, Campania 10, Lazio 82, Calabria 64, Valle d'Aosta 1, Piemonte 25, Liguria 18, Lombardia 19, Friuli-Venezia Giulia 13, Provincia autonoma di Bolzano 14, Toscana 43, Emilia-Romagna 24, Marche 20, Umbria 17, Abruzzo 33, Molise 18, Basilicata 37, Puglia 59, Sicilia 67, Sardegna 68, Ministero Infrastrutture e Trasporti 35;
   il 44 per cento delle opere incompiute riguardano nuove realizzazioni; se a queste sommiamo quelle per recupero e restauro si arrivano a contare 368 opere (54 per cento) per le quali la conclusione dell'intervento è necessaria per la fruibilità: per completarle servirebbero 775 milioni di euro al netto degli oneri;
   la maggior parte delle opere incompiute sono relative a infrastrutture sociali (62 per cento) e necessitano di 452 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture di trasporto (39 per cento), invece, richiedono 359 milioni di euro al netto degli oneri per il completamento. Le 101 infrastrutture ambientali necessitano di 101 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture a rete rappresentano circa un quinto delle opere incompiute e di queste la metà (51 per cento) richiedono, per essere completate, 154 milioni di euro al netto degli oneri;
   poco più della metà (51 per cento) delle opere hanno un valore superiore al milione di euro e di queste sono 99 quelle che superano la soglia comunitaria;
   il 51 per cento delle opere sono incompiute a causa della mancanza di fondi; seguono le interruzioni per cause tecniche (208, pari al 31 per cento) e quindi per il fallimento dell'impresa esecutrice (188, pari al 28 per cento);
   il 55 per cento delle opere non sono fruibili dalla collettività; 224 (33 per cento) sono fruibili con uso ridimensionato e appena 77 (12 per cento), invece, sono fruibili. Quanto allo stato di avanzamento ed alla previsione di utilizzo, quasi due su tre (416, pari al 63 per cento) sono state completate per una quota inferiore ai 4/5 e non lasciano prevedere un utilizzo anche ridimensionato dell'opera; 16 risultano essere state ultimate (in attesa di collaudo) e 69 con stato d'avanzamento maggiore dei 4/5;
   un dato interessante e confortante in merito alla possibilità di completamento di un rilevante numero di opere è desumibile dal dettaglio delle sette casistiche di livello di sviluppo previste dalla normativa vigente in materia, che evidenziano che per portare a termine le predette 85 opere con avanzamento superiore ai 4/5 sarebbero sufficienti «appena» 16 milioni di euro;
   i dati sono in continuo aggiornamento e secondo fonti di stampa sono destinati comunque a crescere in maniera rilevante in quanto sarebbero ancora molte le opere non censite che restano incompiute a causa di mancanza di fondi, di problematiche tecniche, a causa di sopravvenute nuove disposizioni di legge, per il fallimento dell'impresa appaltatrice o per mancato interesse al completamento da parte del gestore;
   in molti casi, il ritardo nell'ultimazione dei lavori, l'interruzione o la sospensione protratta negli anni comporta inevitabilmente il mancato rispetto dei costi preventivati per la realizzazione ed un rilevante aumento degli stessi –:
   quali iniziative di propria competenza intenda adottare al fine favorire il completamento delle opere pubbliche incompiute in tempi certi e brevi onde poter scongiurare ulteriori aumenti di costi e con particolare riferimento alla possibilità di attivare un fondo ad hoc che possa finanziare l'ultimazione dei lavori nonché una serie di agevolazioni fiscali ed urbanistiche che possano incentivare l'intervento di risorse private anche in project financing o in specifici accordi di partenariato pubblico/privato. (4-09180)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'edizione in edicola mercoledì 13 maggio 2015 de Il Fatto Quotidiano, a pagina 10, in un articolo titolato «La rete che misura i rischi ambientali: per lo stato è top secret», sottotitolato «Da mezzo secolo il sistema «Ramon» calcola in tempo reale i pericoli radioattivi. Ma è vietato sapere i dati», rivela l'esistenza su tutto il territorio nazionale di una rete segreta per la rilevazione e la misurazione della radioattività nell'aria;
   in particolare, secondo quanto riportato dagli estensori dell'articolo, la rete «Ramon» sarebbe operativa dal 1961, sarebbe costituita da 1237 stazioni di rilevazione distribuite in tutto il Paese e sarebbe in grado di rilevare, misurare e catalogare in tempo reale ogni minima variazione della radioattività nell'aria. I dati raccolti confluirebbero, infine, in due uffici protetti del Ministero dell'interno;
   secondo quanto rivelato dal quotidiano, sia i dati custoditi sia le caratteristiche della rete «Ramon» sarebbero segreti;
   gli articolisti riportano anche la circostanza che avrebbe fatto scoprire l'esistenza delle rete, in particolare viene riferito, citando una segnalazione che sarebbe giunta nel mese di marzo 2015 al blog di giornalismo investigativo toxicleaks.org attraverso SecureDrop (piattaforma open source), che alcuni anni fa, nel corso di alcuni scavi per la realizzazione del mattatoio nel comune di Teulada, sarebbe stato accidentalmente tranciato un cavo telefonico che, secondo la segnalazione, sarebbe stato collegato a un rilevatore di radioattività collocato nei pressi di un corso d'acqua e di una falda acquifera;
   in prossimità del luogo del rinvenimento si estende il secondo poligono militare italiano, già oggetto di inchiesta della magistratura proprio per la presunta presenza di elementi radioattivi;
   il ritrovamento del rilevatore di radioattività, circostanza che sarebbe stata confermata agli estensori dell'articolo da un amministratore comunale dell'epoca rimasto anonimo, avrebbe spinto l'amministrazione comunale di Teulada ad approfondire sull'accaduto anche per l'importante rilievo che avrebbe potuto avere la disponibilità dei dati sulla radioattività del territorio d'interesse, anche in considerazione della presenza del poligono militare, poligono dove verrebbero sparati missili Milan che sembrerebbe utilizzino, come traccianti, il Torio 232, che potrebbe determinare un aumento del rischio tumori;
   secondo quanto riferito dal testimone anonimo, a seguito del rinvenimento, sarebbe giunta all'amministrazione comunale una segnalazione del comando dei vigili del fuoco di Cagliari, secondo cui sarebbe stata interrotta una linea dati che trasmetteva dall'area del mattatoio al Viminale;
   a seguito di un'attività interlocutoria che sarebbe stata avviata dal quotidiano Il Fatto Quotidiano, il 28 aprile scorso il capo del dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile Francesco Antonio Musolino (ex prefetto di Genova) avrebbe contattato i comandi regionali dei vigili del fuoco per comunicare loro il diniego della richiesta di accesso ai dati, sembrerebbe adducendo, quale giustificazione, che la rete «Ramon» godrebbe di un'autonomia garantita per legge rispetto al sistema di controllo ambientale;
   a partire dagli anni ’90, la rete sarebbe stata impiegata per la raccolta dei dati inerenti alla qualità dell'ambiente, con riferimento ai siti industriali, al trasporto di sostanze radioattive, ai dispositivi per la medicina nucleare, al monitoraggio dei siti delle centrali nucleari e dei centri di ricerca disattivati;
   quanto riferito dal giornale configurerebbe una situazione inaccettabile e gravissima che verrebbe determinata dal fatto che lo Stato italiano custodirebbe in segretezza dati di fondamentale importanza ai fini della salvaguardia della salute dei cittadini, della verifica della qualità dell'ambiente e dell'individuazione dei territori a rischio, con il conseguente rischio di pregiudicare l'incolumità di ampie porzioni della popolazione e del territorio italiano;
   il poligono di Teulada sarebbe oggetto di un'inchiesta della procura della Repubblica di Cagliari, inchiesta che verterebbe sull'inquinamento dell'area e sulla correlazione tra attività del poligono e l'insorgenza di patologie tumorali tra le popolazioni residenti –:
   se non ritenga opportuno rendere pubblici, in considerazione della loro valenza sanitaria e ambientale, i dati raccolti e custoditi dalla rete «Ramon»;
   se non ritenga opportuno rendere pubbliche le caratteristiche della rete «Ramon», la dislocazione dei rilevatori di radioattività e dei siti di custodia dei dati, nonché gli organi dello Stato responsabili del programma;
   quali motivi abbiano impedito di divulgare a tutt'oggi dati di importanza straordinaria per la verifica della stato della qualità dell'ambiente, per la verifica dei livelli di radioattività di alcuni siti del Paese e per i provvedimenti che si sarebbero potuti assumere per salvaguardare la salute dei cittadini e la qualità dell'ambiente.
(2-00976) «Vallascas».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con apposita deliberazione richiamata in precedente atto di sindacato ispettivo, la Giunta comunale di Crema ha avviato il 25 marzo 2014 un procedimento chiaramente finalizzato a realizzare una variante del Piano di Governo del Territorio, avviando anche gli adempimenti connessi alla relativa valutazione ambientale strategica, con l'obiettivo di rendere possibile la realizzazione di un edificio da adibire al culto islamico;
   tutto ciò è avvenuto a dispetto della forte perplessità della cittadinanza, manifestata anche dalla sottoscrizione in massa di petizioni contro la realizzazione di una moschea nel territorio comunale di Crema;
   tali preoccupazioni sembrano aver trovato un significativo riscontro nelle risultanze di una ricerca recentemente elaborata da Michele Groppi per conto del Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa, noto anche come CeMiSS;
   nel suo rapporto di ricerca per il CeMiSS, Groppi ha in effetti mappato la presenza degli estremisti islamici nel nostro Paese, mostrando come l'area di Cremona sia fra quelle maggiormente interessate dal fenomeno jihadista;
   da Cremona e dintorni sarebbero infatti giunti numerosi «martiri» jihadisti scomparsi nelle zone del Medio Oriente dove si combatte;
   Cremona è stata inoltre teatro di numerose operazioni antiterroristiche;
   Cremona è altresì menzionata nel rapporto curato da Michele Groppi come sede di moschee nelle quali viene da tempo condotta una predicazione radicale, fatto peraltro rilevato pure da un dossier dei servizi d’intelligence risalente al 2009;
   tre dei dodici principali reclutatori di guerriglieri e terroristi jihadisti nei periodo 2000-2006 risultano in effetti essere stati basati nella moschea di Cremona: gli imam Mourad Trabelsi e Mohamed Rafik, sospettati di essere tra gli ideologi ispiratori degli attentati compiuti a Casablanca nel 2003, nonché Laagoub Abdelkader;
   Cremona risulta altresì essere stata il bersaglio di almeno un piano d'attacco jihadista, da effettuarsi contro il Duomo, fortunatamente mai concretizzatosi –:
   se, alla luce delle circostanze generalizzate nella premessa, il Governo non ritenga opportuno rafforzare la vigilanza su quanto viene detto e fatto nelle moschee e nelle loro pertinenze, tanto sul piano nazionale quanto nel territorio della provincia cremonese, e se non si intenda valutare se assumere iniziative normative per una moratoria nella costruzione di nuovi edifici da adibire al culto islamico, a partire da quello che dovrebbe sorgere a Crema. (4-09186)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2015 i carabinieri del Ros di Padova, coordinati dalla direzione antimafia di Venezia, hanno eseguito cinque provvedimenti cautelari, di cui tre in carcere, nei confronti di Vito Galatolo, 42 anni, boss mafioso, capo mandamento del rione Acquasanta di Palermo, di Maurizio Caponetto, 40 anni, residente a Mestre, e Antonino Salerno, 30 anni;
   gli arresti domiciliari sono stati disposti per Giuseppe Bartolo e l'obbligo di firma per Vincenzo Duro;
   Vito Galatolo si era trasferito a Mestre nel 2013, dove è stato arrestato il 23 giugno 2014 per associazione a delinquere di stampo mafioso e divenuto collaboratore di giustizia a ottobre dello stesso anno;
   nel corso dell'indagine sarebbe emerso che Galatolo, durante la sua permanenza a Mestre, non solo aveva continuato a guidare la cosca palermitana del quartiere Acquasanta, ma avrebbe anche costituito e coordinato un gruppo di rapinatori in Veneto;
   l'operazione investigativa dei Ros, che ha portato alla luce i fatti contestati, era iniziata nel 2014, con pedinamenti e intercettazioni ambientali che avevano permesso di scoprire la passione per il gioco d'azzardo e l'ingente quantità di debiti che il boss intendeva finanziare attraverso alcune rapine in Veneto;
   Galatolo era impiegato al Tronchetto nelle imprese di Otello Vianello (con indagini tuttora in corso sui possibili interessi della mafia sul mercato del trasporto turistico) e aveva accumulato 80 mila euro di debiti di gioco con sale scommesse locali, di cui 57 mila con l'Aladin Bet 2 di Mestre e altri 24 mila con Match point;
   la procura antimafia ha chiesto l'arresto per associazione a delinquere finalizzata alla commissione per rapine per dieci persone;
   la vicenda solleva particolare sconcerto nelle comunità locali e conferma l'allarme più volte lanciato dall'interrogante circa la presenza delle organizzazioni criminali in Veneto e la disponibilità di soggetti autoctoni ad affiliarsi alle cosche –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quali concrete iniziative per quanto di competenza anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda porre in essere per prevenire il ripetersi di simili fenomeni e per contrastare la presenza della criminalità organizzata in Veneto. (4-09191)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli agenti delle forze dell'ordine aggrediti in servizio e finiti in ospedale, nel 2014, sono parecchie centinaia: un dato allarmante ed inquietante che riguarda tutti coloro che, ogni giorno, sono impegnati sul territorio;
   l'ennesimo episodio, nei giorni scorsi, ha visto impegnati alcuni agenti della Polizia di Stato, a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, i quali hanno salvato la vita ad un tunisino che camminava lungo il ciglio dell'autostrada A 27;
   il giovane che si trovava sulla corsia di sorpasso mettendo a repentaglio la propria vita ma anche quella degli automobilisti che viaggiavano in quel momento è stato rincorso e tratto in salvo da alcuni agenti che, anziché venire ringraziati venivano aggrediti, feriti e minacciati dallo stesso;
   «L'Isis taglierà la testa anche a voi» queste sono state le forti parole pronunciate da questo tunisino di 30 anni nei confronti di chi gli ha salvato la vita. Il giovane arrestato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale è stato processato per direttissima e rimesso in libertà. L'unica misura restrittiva cui è stato sottoposto è l'obbligo giornaliero di firma;
   fatti come questi succedono nel nostro Paese quotidianamente: la persona che commette reato viene arrestata, processata e invece di scontare la propria pena in carcere viene rilasciata con la possibilità di delinquere nuovamente;
   tutto questo genera paura e preoccupazione tra i cittadini che non si sentono tutelati ed al sicuro nelle loro case, per le strade, nella comunità ed un forte un appello da parte delle forze dell'ordine, il cui spirito di abnegazione e di sacrificio unito ad un forte senso del dovere e all'elevata professionalità contraddistingue quotidianamente la loro azione, le quali chiedono da un lato la certezza della pena, forte deterrente per la commissione di altri reati, e adeguati strumenti di difesa passiva;
   è evidente che in Italia c’è un serio problema di certezza della pena e certamente, come sostengono anche i sindacati della polizia, sottolineando i rischi che ogni giorno corrono e la situazione di assoluta incertezza in cui svolgono il proprio lavoro, non è attraverso un decreto svuota carceri che si aiutano gli agenti a fare il proprio lavoro e i cittadini a vivere in un territorio sicuro;
   la questione dell'effettività e della certezza della pena è sicuramente centrale ma altrettanto trascurata nell'ambito dei frequenti dibattiti sulla legalità e sulla giustizia al punto che sembra, nel nostro Paese, che per tanti reati «non esista sanzione» o meglio, che la sanzione esista sulla carta ma che poi esistano molte, troppe opportunità, spesso consentite dalla legge, per eluderne l'applicazione concreta –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, intendano adottare affinché, attraverso l'adozione di idonee iniziative normative si pervenga ad una effettiva certezza della pena che, da un lato agevoli il lavoro delle forze dell'ordine e dall'altro dia più sicurezza ai cittadini;
   se i Ministri non ritengano opportuno dare un riconoscimento agli agenti coinvolti in questa vicenda ed in altre simili a questa, anche a titolo simbolico, per dimostrare la vicinanza dello Stato a tutti coloro che ogni giorno rischiano la propria vita per il bene della collettività. (4-09193)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la Raccomandazione del 22 aprile 2013, pubblicata, sulla GUE Serie C 120/2013 del 26 aprile 2013, sull'istituzione di un programma di garanzia per i giovani, il Consiglio europeo ha invitato gli Stati membri ad assicurare a tutti i giovani di età inferiore a 25 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o di tirocinio o altra misura di formazione entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema di istruzione formale;
   al fine di dare attuazione agli obiettivi previsti dalla Garanzia Giovani, con l'articolo 5 del decreto-legge 76 del 2013, è stata istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali una struttura sperimentale di missione con compiti istruttori e propositivi la quale, nel dicembre 2013, ha predisposto il «piano italiano per l'attuazione della garanzia per i giovani» con cui sono state declinate le fasi per l'attuazione del piano tra le quali compare l'informazione, l'orientamento e il colloquio specializzato da parte di orientatori qualificati. Il piano prevede una dotazione complessiva di 1.513 milioni di euro, di cui 567 milioni dalla Youth Employment Initiative, 567 milioni dal Fondo sociale europeo e 379 milioni di cofinanziamento nazionale, per gli anni 2014 e 2015;
   secondo il report periodico settimanale dell'8 maggio 2015, realizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e finalizzato a verificare l'andamento delle adesioni, le regioni che contano un numero maggiore di adesioni sono la Sicilia con il 12,7 per cento del totale (82.208 adesioni), la Campania con l'11 per cento (pari 70.327 adesioni) e il Lazio con l'8,8 per cento (pari a 56.514). Successivamente all'adesione del giovane sotto i 29 anni, le regioni mediante i servizi per l'impiego o le Agenzie private accreditate, prendono in carico la persona al fine di concordare un percorso personalizzato di formazione e inserimento al lavoro. Va ricordato che le Agenzie del lavoro sono state concepite come bracci operativi per la realizzazione delle politiche attive del lavoro a livello regionale, dotate di autonomia funzionale ed organizzativa;
   secondo quanto riportato dal quotidiano «Il Fatto Quotidiano», articolo del 6 maggio 2015, dal titolo «Garanzia giovani: un flop per chi cerca lavoro, affare per chi prova a trovarglielo», il piano Garanzia Giovani sarebbe un «affare» per le aziende private, per le agenzie del lavoro e per gli enti di formazione. L'articolo in questione riporta altresì l'indicazione fornita da parte dell'amministratore della Manpower, Stefano Scabbio, circa la generica quantificazione dei ricavi provenienti dalla Garanzia Giovani per la stessa Manpower, attestandosi al 1 per cento del fatturato della società, circa 8 milioni di euro secondo «Il Fatto Quotidiano»;
   a giudizio dell'interrogante, restando conferito alle regioni quali organismi intermedi l'adozione dei Piani di attuazione della Garanzia Giovani — si veda ad esempio quello della regione Lazio, deliberazione n. 202, del 6 maggio 2015 della giunta regionale, che ha individuato in circa 137 milioni di euro le risorse allocate per ciascuna misura prevista dal piano regionale — sarebbe opportuno comprendere se l'erogazione dei fondi previsti per tale piano, in favore anche delle Agenzie private accreditate, sia oggetto di un attento ed effettivo controllo e monitoraggio da parte dello Stato, in particolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; in termini di corretta rendicontazione delle misure e delle fasi di attuazione del piano previste dai singoli programmi regionali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano gli strumenti di controllo e vigilanza adottati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per misurare sia la corretta erogazione dei fondi da parte delle regioni in favore degli operatori pubblici e privati nell'attuazione del piano Garanzia Giovani sia il rispetto della normativa in materia di tirocini;
   se il Ministro interrogato intenda fornire – di concerto con i soggetti istituzionali coinvolti – il dettaglio delle risorse erogate dalle regioni in favore di ogni singolo operatore pubblico e privato e se l'utilizzo delle risorse sia subordinato al raggiungimento di un effettivo risultato in favore dei giovani beneficiari del Piano di garanzia giovani;
   se il Ministro interrogato non intenda adottare un sistema di monitoraggio nazionale del piano Garanzia Giovani relativo al corretto utilizzo della dotazione finanziaria a disposizione delle regioni, al fine di contrastare eventuali abusi da parte degli operatori pubblici e privati, in merito all'effettiva certificazione dell'attività svolta. (5-05610)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA e MORANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Auchan, una delle principali aziende operanti nel settore della grande distribuzione, conta in Italia 49 punti vendita ed oltre 11.400 dipendenti;
   la società francese, come apparso sugli organi di stampa, ha dichiarato che «per la grave riduzione dell'attività di lavoro c’è l'esigenza di ridurre il numero degli addetti per avere un livello compatibile sul piano dei costi» ed ha avviato nel nostro Paese, procedure di licenziamento collettivo che riguardano 1.426 dipendenti in 32 ipermercati di 11 regioni, cioè quelli in cui la percentuale del personale «strutturalmente in esubero» supera il 20 per cento, a fronte del 12 per cento a livello nazionale;
   la procedura riguarda anche 36 esuberi nell'ipermercato di Ancona e 16 in quello di Fano per un totale di 52 dipendenti marchigiani;
   il 9 maggio scorso nei due ipermercati le organizzazioni sindacali hanno proclamato uno sciopero che ha riscosso un'ampia partecipazione;
   in particolare, come ha dichiarato Selena Soleggiati, segretaria generale Fisascat Marche «L'azienda aveva dichiarato la necessità di risparmiare 50 milioni e aveva proposto in sostanza la sospensione delle quattordicesime e del contratto integrativo, oltre all'abbassamento delle retribuzioni attraverso la riduzione dei livelli. Proposte inaccettabili. I sindacati avevano manifestato la disponibilità a trovare altre soluzioni senza mettere a rischio il riconoscimento del lavoro e sollecitato una riorganizzazione degli ipermercati, l'utilizzo degli ammortizzatori sociali e sopratutto di evitare di tagliare gli ipermercati, come quello di Ancona, dove i lavoratori sono già in contratto di solidarietà. L'azienda si è chiusa nelle sue posizioni e non ha voluto prendere in considerazione proposte alternative a quelle già presentate alle organizzazioni sindacali nazionali nel mese di marzo e, addirittura, nell'ultimo incontro di marzo ha confermato la disdetta del contratto integrativo, in scadenza a luglio»;
   il piano di riorganizzazione proposto da Auchan incide in modo preoccupante su una situazione occupazionale pesantemente colpita dalla crisi ed è in contraddizione con i pur timidi ma certi segnali di ripresa dei consumi di cui beneficia anche la grande distribuzione organizzata;
   le criticità che derivano dalle scelte dell'Auchan ed il coinvolgimento di tanti ipermercati distribuiti su tutto il territorio nazionale impongono anche un pieno e fattivo coinvolgimento del Governo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine di promuovere un tavolo nazionale di confronto fra le parti interessate per l'individuazione di soluzioni che consentano la prosecuzione dell'attività lavorativa per i dipendenti del gruppo Auchan, con particolare riguardo a tutti quelli degli ipermercati di Ancona e di Fano. (4-09173)


   BRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire da gennaio 2016 nella Bridgestone di Bari saranno licenziati circa 198 esuberi per arrivare ad un organico di 560 lavoratori;
   i lavoratori Bridgestone non vivono sereni l'attività lavorativa in quanto viene loro continuamente ricordato che: a) l'organico sarà ridotto a 560 unità lavorativa; b) vi sarà una «Conversion Cost» da 5.100 euro a 2.250 euro per gomma grezza; c) il volume produttivo sarà portato a 3.500.000 pneumatici;
   fenomeni simili sono previsti anche nell'ambito delle COOP ESTENSE di Puglia: in particolare, per 147 dipendenti di Coop Estense è stata aperta la procedura di mobilità a seguito della decisione della direzione aziendale di avviare procedure di esternalizzazione a favore di una migliore politica commerciale per il rilancio delle vendite;
   la Costituzione, all'articolo 1, sancisce che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e l'articolo 2087 del codice civile dispone che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro –:
   se intenda assumere con urgenza ogni provvedimento necessario a tutela dei succitati lavoratori e a far fronte allo stato di crisi delle suddette imprese. (4-09176)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 24 aprile 2015 si è tenuto l'incontro a Bologna con Mediamarket;
   l'azienda ha ribadito lo stato di crisi di parte della rete vendita e la necessità di riorganizzare l'impresa avendo come obiettivo la omnicanalità;
   in occasione dell'incontro si è detto che in questo ambito, il negozio dovrà essere reso sostenibile in rapporto al fatturato e agendo su tutti i costi, compreso quello del personale;
   l'azienda ha quindi formalizzato la chiusura di 7 negozi entro l'estate, in particolare si tratta dei punti vendita di Roma, Milano, Genova, Settimo Milanese, Brescia, Napoli, Nola e Beinasco;
   le chiusure determinerebbero un esubero complessivo di circa 200 equivalenti full time;
   inoltre sarebbero previste aperture nell'arco dei 12-18 mesi: una su Milano, una su Roma, una tra Brescia e Verona;
   meno certe, ma comunque possibili altre aperture nel sud Italia, ma non in Campania;
   durante l'incontro si è altresì rilevato che, in virtù del calo dei clienti, di scontrini e quindi di vendite, anche là dove non c’è chiusura c’è necessità di una riduzione di organico, che l'azienda ha quantificato in circa 500 FTE;
   al contempo, ci sono necessità di potenziamento in altri negozi che l'azienda sta coprendo attraverso le trasferte;
   l'impatto complessivo potrebbe quindi comportare circa 700 FTE su un totale di 6.458 dipendenti pari a 5754 FTE;
   l'azienda ha dichiarato che nelle prossime ore formalizzerà, attraverso una procedura di licenziamento collettivo, la dimensione esatta e la distribuzione degli esuberi, dichiarando comunque la disponibilità a trovare soluzioni condivise volte a ridurre l'impatto su lavoratrici e lavoratori;
   le organizzazioni sindacali hanno palesato la loro preoccupazione per i lavoratori coinvolti dal piano aziendale di riorganizzazione, nonché per l'impatto sociale conseguente e hanno posto come condizione per trovare una soluzione condivisa la salvaguardia dei livelli occupazionali;
   le organizzazioni sindacali hanno dichiarato che il presupposto indispensabile, per pervenire ad una gestione condivisa di questa fase di ristrutturazione aziendale è la sottoscrizione di un protocollo sulle relazioni sindacali che marchi una evidente discontinuità rispetto al passato; il protocollo deve garantire un confronto per verificare costantemente la riorganizzazione aziendale, le possibili ripercussioni sull'organizzazione del lavoro, nonché ulteriori impatti occupazionali;
   rispetto al tema delle trasferte, l'azienda ha infine dichiarato che in questa fase di riorganizzazione e confronto con i sindacati, pur mantenendo le trasferte già in essere, non ne effettuerà altre –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa;
   se sia in programma un tavolo di concertazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in merito al caso Mediaworld;
   se sia possibile avviare una procedura di licenziamento collettivo dovuta alla chiusura di alcuni punti vendita nelle stesse città in cui si ha in programma di aprire nuovi negozi entro 12 mesi.
(4-09185)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA, L'ABBATE, GALLINELLA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta tignola del pomodoro (Tuta absoluta) è un microlepidottero da quarantena incluso dapprima nella lista A1 dell'EPPO (Organizzazione europea mediterranea per la protezione dei vegetali), e successivamente, nel settembre 2009, il consiglio dell'EPPO lo ha spostato nella lista A2, dove sono inclusi i patogeni e i parassiti invasivi localmente presenti nel territorio EPPO (Europa e nord Africa), ma non ancora diffusamente presenti in tutti i Paesi;
   è originario dell'America del sud, dove fin dagli anni sessanta è diventato uno dei parassiti più dannosi delle colture di pomodoro, che si è poi diffuso e acclimatato in altre aree geografiche (Spagna 2006, Marocco, Algeria, Francia e Italia 2008);
   l'adulto misura circa 6-7 millimetri color grigio argenteo, la livrea è provvista di tacche nere sulle ali anteriori, le antenne sono sottili. L'uovo, cilindrico, è piccolissimo (meno di mezzo millimetro). La larva nel corso dello sviluppo attraversa quattro stadi, cambiando colorazione: inizialmente è di color crema, successivamente verdastra ed infine rosa chiaro. Alla quarta ed ultima età la larva raggiunge la lunghezza di 7-8 millimetri. Nel riconoscimento di larve e adulti va prestata particolare attenzione per possibili confusioni con la diffusa tignola della patata (Phtorimaea operculella): la distinzione tra le due specie può essere eseguita soltanto a livello specialistico;
   il ciclo biologico può durare da 25 a 75 giorni in dipendenza dell'andamento climatico. In condizioni estremamente favorevoli per l'insetto, non rare nel bacino del Mediterraneo spesso esaltate dalla coltivazione in serra, si possono avere sino a 10 o 12 generazioni all'anno. Gli adulti in pieno giorno non sono molto visibili, rimanendo nascosti dalle foglie ed al suolo; ogni femmina può deporre molte decine di uova, sino a 200, preferibilmente sulla pagina superiore delle foglie oppure sui fusti giovani e teneri o sui sepali di frutti immaturi. Dopo la schiusura, le giovani larve penetrano nelle foglie, nei fusti o nei frutti a qualsiasi stadio di sviluppo della pianta. Le larve scavano gallerie, classiche mine digitiformi, dentro le quali si sviluppano. Completato lo sviluppo, le larve si imbozzolano nelle gallerie della pianta o sottoterra. La farfalla adulta vive 1-2 settimane (meno a lungo i maschi). Il limite climatico per questa specie, registrato nell'ambiente andino (Sud America), è pari a 1.000 metri di altitudine;
   si diffonde per mezzo di scambi commerciali di piantine e di frutti di solanacee attaccati;
   questo lepidottero colpisce le foglie, il fusto e la bacca del pomodoro e di altre solanacee (sono state riscontrate infestazioni anche su patata, melanzana, peperone e altre solanacee minori, comprese quelle spontanee), causando la totale non commerciabilità della produzione. In Italia, in questi anni, sono stati riscontrati attacchi anche su vegetali appartenenti ad altre famiglie botaniche quali fagiolino. Gli attacchi fogliari determinano l'apparizione sulle foglie di gallerie (rimane soltanto l'epidermide della foglia, perché il parenchima viene divorato dalle larve); ogni galleria (mina) contiene una larva ed i suoi escrementi. Col tempo le gallerie necrotizzano ed imbruniscono. Per quanto concerne i frutti, le larve li attaccano sia verdi sia maturi. I pomodori presentano necrosi sul calice oppure dei buchi di fuoriuscita in superficie, e divengono a questo punto invendibili ed inutilizzabili. Inoltre le aperture provocate dall'insetto su foglie, fusti e frutti costituiscono vie d'accesso per altri patogeni;
   molte sono le problematiche legate alla tuta absoluta che rendono complessa l'elaborazione di una strategia di prevenzione quali l'abbondanza di generazioni di questo insetto, l'ampiezza del numero di piante ospiti, le temperature elevate in genere presenti in serra, l'incisività del danno (sino al 100 per cento della produzione) provocato alle colture attaccate, la tendenza dell'insetto a sviluppare resistenze agli insetticidi utilizzati;
   contro la Tuta è pertanto indispensabile adottare, in particolare nelle serre, metodi di lotta integrata che includano interventi di lotta biologica, in particolare: lavorazioni del terreno ad inizio stagione di coltivazione in modo da eliminare il più elevato numero possibile di crisalidi svernanti, protezione delle aperture delle serre con una adeguata rete anti insetto e con un sistema di ingresso a doppia porta, rotazioni colturali con piante diverse dalle solanacee – ma facendo attenzione anche al fagiolino (leguminosa) sul quale l'insetto e stato recentemente ritrovato – interposizione di un periodo di riposo tra un ciclo colturale ed il successivo, trapianto di piantine sane e di sicura provenienza, eliminazione per bruciatura – non solo accantonamento, delle piante e delle parti di esse attaccate o sospette e dei residui della coltura solanacea precedente – eliminazione delle solanacee spontanee dalle vicinanze delle serre e delle colture, monitoraggio con trappole a feromoni posizionate a circa 1 metro da terra – sostituendo il feromone ogni 4-6 settimane – monitoraggio, ove possibile, del danno fresco sulle foglie, cattura massale con trappole a feromoni e/o elettroluminescenti, lancio di insetti ausiliari quali parassitoidi delle uova, delle larve, delle crisalidi, ed anche predatori;
   il principio guida, in un'ottica di lotta integrata, deve essere quello di ritardare il più possibile, nella stagione, l'effettuazione del primo trattamento chimico, utilizzando gli accorgimenti sopra indicati. In Italia i principi attivi specificamente autorizzati per la lotta contro Tuta sulla coltura più importante, cioè il pomodoro, sono Spinosad (massimo 3 trattamenti/anno e comunque non più di due consecutivi) ed Indoxacarb (massimo 4 trattamenti/anno). È inoltre possibile utilizzare, senza limitazioni, il già citato insetticida biologico Bacillus thuringiensis. Spinosad o Indoxacarb è opportuno somministrarli con olio coadiuvante per aumentarne la penetrazione;
   gli Stati Uniti, con il Federal Order del 5 maggio 2011, reiterato il 14 agosto 2012, hanno imposto forti restrizioni all'ingresso nel territorio statunitense dei pomodori provenienti da alcuni paesi, tra i quali numerosi Stati membri dell'Unione;
   la diffusione del parassita Tuta absoluta è in via di riduzione in molti Stati membri dell'Unione europea;
   il negoziato in corso per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) tra l'Unione europea e gli Stati Uniti ha l'obiettivo di eliminare gli ostacoli commerciali in una vasta gamma di settori economici, compreso il comparto agricolo;
   si ravvisa l'urgenza di un'adeguata e più funzionale azione di intervento, innanzitutto al fine di consentire agli operatori del settore, che rischiano il tracollo economico, di continuare ad esistere nonché di salvaguardare l'economicità della produzione anche per la successiva campagna agricola –:
   di quali dati e notizie sia in possesso in relazione alla diffusione della cosiddetta tignola del pomodoro (Tuta absoluta);
   se il Ministro non ritenga utile che venga effettuata, nell'immediato, una incisiva azione di profilassi che preveda sia la «sospensione temporanea della produzione a rischio», che un effettivo sostegno a favore degli operatori del settore secondo il parametro di un rimborso forfettario a metro quadro di coltura non effettuata (tale da assicurare loro un reddito minimo garantito);
   se sia a conoscenza delle misure che la Commissione europea intenda adottare e se non sia il caso di assumere iniziative affinché venga riconsiderata tale restrizione all'ingresso di pomodori europei nel mercato degli Stati Uniti, anche in vista dell'intensificarsi dei rapporti commerciali UE-USA nella prospettiva del negoziato TTIP. (5-05607)


   BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 comma 381 riporta testualmente: «Il commissario predispone, entro centoventi giorni dalla data della sua nomina, un piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura, lo statuto del Consiglio e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, alla riduzione e alla razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti, prevedendo un numero limitato di centri per la ricerca e la sperimentazione, a livello almeno interregionale, su cui concentrare le risorse della ricerca e l'attivazione di convenzioni e collaborazioni strutturali con altre pubbliche amministrazioni, regioni e privati, con riduzione delle attuali articolazioni territoriali pari ad almeno il 50 per cento, nonché alla riduzione delle spese correnti pari ad almeno il 10 per cento, rispetto ai livelli attuali»;
   il documento predisposto dal commissario straordinario del Consiglio per la ricerca e l'analisi dell'economia agraria che manifesta le nuove linee d'indirizzo e che prevede la costituzione di macroaree a livello almeno interregionale per una razionalizzazione della ricerca e, contestualmente, per mantenere un presidio della ricerca nelle più importanti filiere del sistema agroalimentare italiano;
   il suddetto documento prevede inoltre la totale frammentazione e perdita della specifica missione del Centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia – CRA-OLI – struttura afferente CRA/CREA e preposta proprio allo studio, alla ricerca e all'innovazione dell'Intero comparto/olivicolo oleario;
   la frammentazione della filiera e l'istituzione della macroarea di culture arboree dove afferiscono il CRA-FRU, il CRA-ACM e il CRA-OLI, tre centri che attualmente godono di autonomia gestionale, scientifica e amministrativa, è prevista dal documento del commissario straordinario che farebbe «sopravvivere» soltanto due centri come sedi (Roma/Ciampino e Acireale) mentre il CRA-OLI diventerebbe sede distaccata (tra l'altro non si capisce neanche di quale delle due sedi);
   si prevede inoltre la costituzione del centro di ricerca per le colture, arboree prevedendo un'operazione di selezione delle sedi (Roma, Acireale; sede distaccata: Rende; sedi di provenienza: Roma (Ciampino) CRA-FRU – Frutticoltura – mantenuta; Caserta (CRA-FRC) Frutticoltura – Chiusa; Forlì (CRA-FRF) Frutticultura – chiusa/sipnoff Acireaile (CRA-ACM) Agrumicoltura – Mantenuta; Rende (CRA-OLI) Centro per l'olivicoltura e l'ind. Olearia – mantenuta) mentre sarebbe stato più logico rivedere centri/unità con competenze affini piuttosto che far scomparire completamente la filiera olivicolo/olearia, spezzettandola in altri centri del nord e svuotando di competenze il CRA-OLI;
   in questi giorni è stata approvata in commissione agricoltura della Camera dei deputati la risoluzione per un piano di rilancio, di rafforzamento e di sviluppo dell'olivicoltura nazionale. Tale risoluzione adesso dovrà essere convertita dal Ministero in piano operativo il cui valore economico non è indifferente, dovrebbe sostenere e promuovere la ricerca per implementare e migliorare la produttività e tutto il comparto nel suo intero percorso compreso quello di informare i consumatori dell'importanza del consumo di olio extra vergine nelle dieta;
   declassare il centro di ricerca per l'olivicoltura a sede distaccata comporterà che le scelte strategiche del settore della ricerca saranno prese da regioni non a vocazione prettamente olivicole e comunque lontano dalla Calabria mentre il comparto olivicolo-oleario nazionale costituisce un elemento fondamentale dell'economia italiana e l'olio d'oliva extravergine è fiore all'occhiello del made in Italy e pilastro della dieta mediterranea;
   è opportuno segnalare che la maggior parte dei finanziamenti per le ricerche del CRA-OLI provengono da progetti nazionali, finanziati sia dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministero dello sviluppo economico, ed internazionali (UE), nonché dai PSR regionali, quali appannaggi della capacità progettuale dei propri ricercatori in grado di vincere su bandi a forte concorrenza scientifica, in quanto i finanziamenti ordinari, assicurati dal CRA (a carico della collettività), sono ridotti veramente al minimo e non coprono i costi di funzionamento, e che tutte le strutture (edifici ed aziende sperimentali) sono di proprietà in tutte e tre le sedi operative, quindi senza oneri di affitti e spese, se non quelle di «normale» attività (energia elettrica, gas e altro);
   il personale del centro di Rende attualmente comprende circa 20 unità, suddivise tra i vari profili professionali possibili (ricercatori, tecnici e amministrativi), nonché una decina di precari, alcuni dei quali vengono definiti «storici», che, per l'anzianità di collaborazione, e per le competenze specialistiche e di servizio acquisite, avrebbero diritto alla stabilizzazione –:
   e quali siano le ragioni che, vista l'importanza strategica che la filiera olivicolo olearia riveste per l'economia nazionale e, in particolare, per la regione Calabria, hanno portato il commissario straordinario del consiglio per la ricerca e l'analisi dell'economia agraria a selezionare in maniera secondo gli interroganti in parte discriminatoria le sedi elencate nel documento di cui sopra facendo scomparire la missione olivicolo/olearia;
   perché sia stata distaccata la sede che rappresentava l'unico centro operativo nella regione Calabria che si occupa di olivicoltura a livello nazionale comparto strategico dell'economia nazionale;
   perché sia stata eliminata e frammentata la filiera olivicolo/olearia e non mantenuta al pari di altre quali la viticoltura;
   se il Governo possa intervenire per far sì che il CRA-OLI, centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia, pur afferendo alla macro area relativa alle colture arboree, rimanga Centro al pari degli altri due che vi afferiranno e questo proprio in relazione all'importanza che il comparto riveste non solo per l'economia regionale ma nazionale. (5-05608)

Interrogazione a risposta scritta:


   COVA, ZANIN e PRINA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale dell'Unione europea con sentenza del 2 dicembre 2014 ha respinto il ricorso della Repubblica italiana avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione di esecuzione 2011/689/CE della Commissione, del 14 ottobre 2011, che esclude dal finanziamento dell'Unione europea alcune spese effettuate dagli Stati membri nell'ambito (del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), sezione Garanzia, del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e condannai Repubblica italiana al pagamento di una rettifica finanziaria forfettaria di 70.912.382,00 euro a causa di irregolarità nei controlli afferenti al regime delle quote latte, riscontrate nel regioni italiane Abruzzi, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Calabria, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta, durante le campagne 2004/2005, 2005/2006 e 2006/2007;
   nel dispositivo della sentenza emerge che la Commissione ha esposto in maniera chiara e inequivocabile le ragioni per le quali essa aveva rinvenuto la reiterazione delle irregolarità rilevate già nella sua decisione 2008/582/CE, dell'8 luglio 2008, che esclude dal finanziamento comunitario talune spese effettuate dagli Stati membri concernenti la campagna 2002/2003 in Italia;
   inoltre, la Commissione ha ricordato che, a seguito di un'indagine condotta in Italia nel 2004, designata con il codice LA/2004/01 IT, essa aveva già constatato irregolarità, segnatamente l'inosservanza dei termini, nei controlli effettuati dalle autorità nazionali concernenti la campagna 2002/2003 nelle regioni Puglia, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Lazio. Irregolarità erano state di nuovo rilevate in alcune di dette regioni, nel corso delle indagini denominate LA/2006/08/IT e LA/2008/001/IT;
   la sezione 1 del capo IV del regolamento n. 595/2004 fissa le regole relative ai controlli da parte degli Stati membri e agli obblighi di acquirenti e produttori. Al riguardo, l'articolo 19 di detto regolamento, rubricato «piano di controllo», così dispone:
    1. Gli Stati membri elaborano un piano di controllo generale per ciascun periodo di dodici mesi in base a un'analisi del rischio. Tale piano di controllo comprende almeno:
     c) i controlli in loco da eseguire riguardo al periodo di dodici mesi;
    2. I controlli sono svolti in parte nel corso del periodo di dodici mesi in questione, in parte dopo la scadenza del periodo di dodici mesi sulla scorta delle dichiarazioni annuali;
    3. I controlli sono considerati ultimati allorché è disponibile una relazione di ispezione ad essi relativa;
   le relazioni di ispezione sono completate entro diciotto mesi dalla scadenza del periodo di dodici in questione;
   inoltre, l'articolo 22 del regolamento n. 595 del 2004 stabilisce che i controlli di cui all'articolo 21, paragrafo 1, interessano almeno: a) l'1 per cento dei produttori per il periodo di dodici mesi 2004/2005, il 2 per cento dei produttori successivi periodi di dodici mesi; b) il 40 per cento del quantitativo di latte dichiarato prima della rettifica per il periodo in questione; c) un campione rappresentativo dei trasporti latte tra produttori e acquirenti selezionati;
   i controlli di cui all'articolo 21, paragrafo 2, interessano almeno il 5 per cento dei produttori;
   nel corso di un periodo di 5 anni, ogni acquirente deve essere oggetto di almeno un controllo;
   la Corte europea ribadiva che «... in un caso come quello di specie, in mancanza di dati attendibili circa il quantitativo di latte prodotto, né lo Stato membro, incaricato di riscuotere il prelievo supplementare, né la Commissione, incaricata di eseguire il bilancio, possono determinare oggettivamente detto quantitativo. Di conseguenza, non essendo in condizione di controllare se la quota nazionale consentita sia stata superata, essi non sono neppure in condizione di valutare se debba essere riscosso un prelievo supplementare e, se sì, di calcolarlo»;
   la segnalazione di questi mancati controlli o insufficienti per quantitativo di latte e per numero di aziende e dimensione di produzione di queste aziende potrebbe fare supporre la mancata verifica anche della reale corrispondenza tra quota assegnata, quota realmente prodotta ed effettiva presenza e consistenza dei capi bovini necessari per produrre tale quantitativi –:
   quale organo fosse deputato al controllo delle produzioni di latte nelle regioni menzionate e quali motivazioni abbiano indotto ad eseguire i controlli in ritardo e non in modo conforme alle disposizioni dell'articolo 21, come sopra indicato;
   quali iniziative siano state assunte nei confronti di questi organi che non hanno rispettato il regolamento per il controllo delle produzioni di latte in queste regioni, posto che per alcune regioni c’è una reiterazione del mancato controllo come segnalato anche dalla Corte europea;
   chi provvederà a pagare i costi di questa infrazione di circa 70 milioni di euro;
   se si sia verificato anche la reale produzione di latte nelle aziende di queste regioni e in quelle annate, se sia stata verificata la reale consistenza di capi bovini da latte per produrre tale latte e se tali produzioni siano superiori al 70 per cento della quota assegnata alle singole aziende. (4-09187)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto riportato da un articolo di Repubblica pubblicato sulla edizione del 13 maggio 2015 in Italia esiste una problema relativo alla disponibilità di alcuni farmaci;
   tratta di farmaci per abbassare la pressione o il colesterolo, curare infezioni o 4 contrastare il dolore, che però risultano introvabili nelle farmacie e non sono disponibili presso i distributori;
   si parla di circa 300 farmaci che «spariscono» dalla distribuzione farmaceutica del nostro Paese;
   il problema non si presenta contemporaneamente in tutte le regioni ma solo in alcune, o addirittura, anche in singole provincie, cioè una molecola può essere disponibile a Bologna ma non in Romagna e nel Lazio; fine 2014 è stata fatta una lista di 52 medicinali impossibili da acquistare;
   queste carenze non sarebbero dovute a problemi di produzione da parte dell'industria ma determinate dal fenomeno della cosiddetta esportazione parallela, o «parallel trade», una pratica legale ma pericolosa per i sistemi sanitari;
   quando un farmaco viene approvato dall'Ema, l'agenzia regolatoria europea, ogni Paese tratta il costo con l'industria. La prima conseguenza è che le molecole arrivano sul mercato in momenti diversi, la seconda è che i prezzi cambiano da uno Stato all'altro; questa differenza di costo spinge distributori italiani a spostare i farmaci dove vengono pagati di più, ad esempio in Germania, ottenendo un guadagno del 20-30 per cento;
   Aifa parla di «distorsioni» delle dinamiche distributive;
   Farmindustria evidenzia invece la presenza di ordini anomali da parte di alcuni distributori che portano a far venire meno il prodotto;
   le stesse aziende di distribuzione dichiarano di avere problemi individuando la responsabilità in alcuni pseudo grossisti;
   è evidente che questo «rimpallo» di responsabilità non aiuta ad individuare le ragioni di questa criticità che lascia i pazienti senza la possibilità di ricorrere ad un farmaco prescritto per una assurda e incredibile scomparsa del farmaco stesso dal mercato –:
   se il Ministro a conoscenza del fenomeno riportato in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di porre rimedio ad una situazione che ha dell'incredibile anche in considerazione della evidente speculazione che si gioca ai danni dei cittadini. (5-05609)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia quasi quattro parti su dieci sono effettuati con un taglio cesareo. I numeri variano molto da provincia a provincia, ma al Sud si concentrano le percentuali più alte;
   in Italia quasi quattro parti su dieci vengono effettuati con un taglio cesareo: nel 2013 si è registrato un tasso pari al 36,3 per cento, più elevato rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti e aumentato nel tempo (era pari all'11 per cento nel 1980);
   i dati mostrano una considerevole variazione geografica: la percentuale di cesarei sul totale dei parti in Campania supera il 60 per cento, mentre in Friuli Venezia Giulia — che ha il tasso più basso del paese — è del 23,4 per cento nel 2013;
   la notevole variabilità territoriale del ricorso al cesareo non è spiegata da una diversa distribuzione dei fattori di rischio tra province. Dai dati emerge chiaramente che nelle province dove i tassi sono elevati, il taglio cesareo viene praticato a pazienti in media meno «appropriate clinicamente» ovvero a donne che in base alle caratteristiche di rischio osservabili nella scheda di dimissione ospedaliera hanno una bassa probabilità di taglio cesareo nella provincia media;
   i numeri mostrano invece come la frammentazione dei punti nascita possa costituire un elemento fondamentale per spiegare la variabilità geografica. L'incidenza di piccoli punti nascita (meno di 500 parti l'anno) è correlata con il tasso di cesareo tra province. Il parto naturale non è programmabile, quindi richiede disponibilità di assistenza continuata. Ciò genera elevati costi fissi che non sono recuperabili per volumi bassi di attività. Al contrario, il parto cesareo è programmabile, consente al medico di gestire e programmare la propria attività professionale, agli ospedali e case di cura di limitare i costi fissi e garantisce introiti maggiori (il rimborso per Drg di parto cesareo è generalmente più elevato del rimborso per parto naturale);
   oltre alla variabilità geografica, si assiste a un fortissimo trend crescente, soprattutto nel Sud e nelle isole. Trend simili nel ricorso al cesareo si sono registrati anche in altri paesi e la letteratura medica ha evidenziato diversi fattori che aiuterebbero a spiegarli, come i progressi dell'anestesia, che permettono di effettuare la maggior parte dei cesarei con analgesia loco-regionale, a paziente sveglia, la creazione di reparti di terapia intensiva neonatale, la diffusione di moderne tecniche diagnostiche pre-parto, la riduzione dell'uso del forcipe e l'innalzamento dell'età media al parto;
   in Italia, ancora una volta, i volumi giocano un ruolo importante: la riduzione del tasso di fertilità (soprattutto nel Sud) potrebbe contribuire a spiegare l'aumento dei cesarei;
   va notato che vi è una forte correlazione negativa tra il tasso di fertilità e il ricorso al cesareo, pur controllando per tutti i fattori che abbiano potuto generare cambiamenti nel tempo nelle due variabili diversi da regione a regione e al netto delle differenze strutturali tra province. I volumi si riducono e i costi fissi per garantire parti naturali diventano insostenibili;
   inoltre, la riduzione del tasso di fertilità rappresenta uno shock di reddito negativo per i medici che potrebbero aumentare di conseguenza il ricorso al taglio cesareo, più remunerativo, per compensare la perdita nel volume di attività, come mostrato in uno studio condotto negli Stati Uniti nel 1996 da Jonathan Gruber. Il meccanismo di compensazione potrebbe valere soprattutto per i piccoli centri nascita in case di cura private e spiegare l'elevato tasso di crescita dei cesarei nel Mezzogiorno registrato negli anni Novanta;
   alla luce dei dati sembra, ad avviso dell'interrogante, che gli elevati tassi di cesareo che si registrano in alcune aree in Italia non siano frutto di una necessità clinica e potrebbero essere evitati. Tanto più perché il taglio cesareo può avere importanti implicazioni negative sulla salute delle donne e dei bambini: i tassi di mortalità materna e di complicanze gravi sono più elevati nelle donne che partoriscono con taglio cesareo, la probabilità di allattare al seno più bassa e l'età gestazionale al parto significativamente ridotta rispetto al parto naturale;
   sebbene sia necessaria molta cautela nell'interpretare tali relazioni, è però senz'altro vero che i costi del sistema sanitario nazionale potrebbero essere ridotti limitando il ricorso al taglio cesareo unicamente ai casi di effettiva necessità clinica;
   ciò è non solo auspicabile, ma a nostro avviso anche possibile, come dimostrato dall'esperienza del presidio ospedaliero San Leonardo di Castellammare di Stabia, dove il tasso di cesarei è passato dal 52,7 per cento del 2003 al 17,5 per cento del 2008 grazie alla redazione di linee guida di contenimento del taglio cesareo e di un piano di monitoraggio. Anche in Lombardia si è riusciti a contenerne il tasso equiparando i rimborsi per cesareo e parto naturale e incentivando il ricorso al parto naturale analgesico e in Emilia-Romagna con la creazione di dipartimenti materno-infantili;
   per ottenere risultati diffusi ed evitare che la riduzione di cesarei in un dato punto nascita sia compensata dal contemporaneo aumento in un punto nascita vicino è però necessario che si adotti una linea comune a tutto il sistema, volta a ridurre la medicalizzazione della gravidanza e mettere al centro le esigenze della donna e del bambino –:
   se i fatti descritti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative idonee a modificare l'attuale situazione intendano assumere per quanto di competenza al fine di dare soluzione ai problemi sopra descritti.
(4-09181)


   LOCATELLI, DI LELLO, DI GIOIA, FAVA e PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2014, con sentenza n. 162 della Corte costituzionale, è stato cancellato il divieto di applicazione di tecniche eterologhe con donazione di gameti di cui all'articolo 4 comma 3 della legge n. 40 del 2004;
   la legge n. 40 del 2004 all'articolo 11, prevede l'istituzione presso l'Istituto superiore di sanità, con decreto della Ministra della salute, del registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime (comma 1). L'iscrizione al registro delle strutture che erogano tecniche di procreazione medicalmente assistita è obbligatoria (comma 2). L'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, raccoglie e diffonde le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti (comma 3). L'Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguardanti la procreazione medicalmente assistita (comma 4). Le strutture di procreazione medicalmente assistita di cui all'articolo 11 sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all'Istituto superiore di sanità i dati necessari per le finalità indicate dall'articolo 15 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti (comma 5);
   il summenzionato registro è stato istituito con decreto ministeriale 7 ottobre 2005, recante «Istituzione presso l'Istituto Superiore di Sanità – Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) – del registro nazionale delle strutture che applicano le tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime»;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), all'articolo 1, comma 298, prevede testualmente: «Al fine di garantire, in relazione alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la tracciabilità del percorso delle cellule riproduttive dal donatore al nato e viceversa, nonché il conteggio dei nati generati dalle cellule riproduttive di un medesimo donatore, è istituito, presso l'Istituto superiore di sanità, Centro nazionale trapianti e nell'ambito del Sistema Informativo Trapianti (SIT) di cui alla legge 10 aprile 1999, n. 91, il Registro nazionale dei donatori di cellule riproduttive a scopi di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ove sono registrati tutti i soggetti ammessi alla donazione, mediante l'attribuzione ad ogni donatore di un codice. A tal fine, le strutture sanitarie autorizzate al prelievo e al trattamento delle cellule riproduttive comunicano al Registro i dati anagrafici dei donatori, con modalità informatiche specificamente predefinite, idonee ad assicurare l'anonimato dei donatori medesimi. Fino alla completa operatività del Registro, i predetti dati sono comunicati al Centro nazionale trapianti in modalità cartacea, salvaguardando comunque l'anonimato dei donatori. Agli oneri derivanti dal presente comma, quantificati in euro 700.810 per l'anno 2015 e in euro 150.060 a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2004, n. 138»;
   il decreto legislativo del 6 novembre 2007, n. 191:
    a) all'articolo 2 prevede l'ambito di applicazione dello stesso, chiarendo che alle cellule riproduttive e alle staminali embrionali si applicano le disposizioni vigenti in materia e che le disposizioni del decreto si applicano solo per la conservazione, escludendo dalla competenza gli organi e le parti di organi, qualora la loro funzione sia quella di essere utilizzate per lo stesso scopo dell'organo intero nel corpo umano;
    b) all'articolo 8, «Tracciabilità», prevede che i dati dei donatori siano conservati presso gli istituti dei tessuti per circa 30 anni e che sia assegnato un codice unico a ciascuna donazione e a ciascuno dei prodotti da essa derivati, prevedendo la tracciabilità da donatore a ricevente e viceversa;
    c) agli articoli 10 e 11 sono individuati per competenza i registri e i soggetti che sono tenuti a presentare relazioni e ricevere le comunicazioni degli eventi avversi Centro nazionale trapianti (CNT), Centro nazionale sangue (CNS), e Istituto superiore sanità nello specifico registro nazionale PMA per competenza (ISS);
   alla luce di tutto ciò risultano confermate le competenze esclusive del Registro nazionale sulla procreazione medicalmente assistita previste dalla legge n. 40, mentre al Centro nazionale trapianti sono attribuite competenze congiunte per la tracciabilità in termini di codice identificativo;
   il decreto 10 ottobre 2012 recante «Modalità per l'esportazione o l'importazione di tessuti, cellule e cellule riproduttive umani destinati ad applicazioni sull'uomo» chiarisce le modalità a cui le strutture sanitarie, autorizzate in virtù della legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007, possono importare o esportare tali cellule;
   la sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014 al punto 11.1 specifica che: «È, inoltre, parimenti chiaro che l'articolo 7 della legge n. 40 del 2004, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate dal Ministro della salute, «contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», avendo ad oggetto le direttive che devono essere emanate per l'esecuzione della disciplina e concernendo le tecniche di procreazione medicalmente assistita, di cui quella di tipo eterologo costituisce una categoria, è, all'evidenza, riferibile anche a questa, come lo sono altresì gli articoli 10 ed 11, in tema di individuazione delle strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente assistita e di documentazione dei relativi interventi». I giudici della Corte Costituzionale pertanto chiariscono che le tecniche eterologhe sono una parte delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e che le autorizzazioni ai centri di procreazione medicalmente assistita previste dalla legge n. 40 sono inclusive di tutte le tecniche, pertanto non vi è vuoto normativo;
   il documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome 14/109/CR02/C7SAN, il cui valore è solo di indirizzo e ha valore non di legge ma di atto normativo regionale se trasformato in delibera regionale, afferma, a conferma delle norme già citate, che la normativa europea identifica i centri di procreazione medicalmente assistita come istituti dei tessuti e non individua ulteriori requisiti per i centri che pratichino procreazione medicalmente assistita eterologa rispetto ai requisiti necessari alla pratica omologa, perciò solo i centri di procreazione medicalmente assistita, conformi alle normative regionali in materia di autorizzazione/accreditamento, risultano parimenti idonei ad effettuare procedure di procreazione medicalmente assistita anche eterologa, compresa la fase di selezione dei donatori/donatrici, il recupero e la crioconservazione dei gameti. I trattamenti clinici di fecondazione eterologa ed i corrispondenti risultati dovranno essere comunicati annualmente in forma aggregata (in attesa di appositi approfondimenti da parte del Garante della privacy) al registro nazionale PMA, analogamente a quanto obbligatorio per i trattamenti omologhi –:
   per quale motivo, anziché istituire il registro nazionale dei donatori di gameti presso il Registro nazionale PMA presso l'Istituto superiore di sanità, che ha competenza esclusiva in virtù della legge n. 40 del 2004, tale registro sia stato istituito presso il Centro nazionale trapianti, in contrasto con quanto stabilito dalla legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007;
   perché siano stati destinati al Centro nazionale trapianti per tale registro euro 700.810 per l'anno 2015 ed euro 150.060 a decorrere dall'anno 2016, quando già il registro PMA, in virtù della legge n. 40 del 2004, raccoglie dati sulla procreazione medicalmente assistita e avrebbe potuto raccogliere tali informazioni senza aggiunta di ulteriori spese;
   mentre in tutta Europa, e in Italia in virtù della legge n. 40 del 2004 e del decreto legislativo n. 191 del 2007, è previsto che i dati per le donazioni omologhe o eterologhe siano conservati presso le strutture di procreazione medicalmente assistita per circa 30 anni e che per garantire la tracciabilità siano comunicati solo i codici identificativi nelle forme previste al Centro nazionale trapianti presso l'ISS, perché il Centro nazionale trapianti abbia invece inviato richiesta ai centri di procreazione medicalmente assistita in cui si chiedono, via fax, nome, cognome e codice fiscale dei donatori di gameti, in contrasto con la disciplina della privacy e con quanto disposto dalle norme vigenti, compresa quella che lo istituisce (190 del 2014), in cui più volte viene fatto richiamo al mantenimento e alla salvaguardia dell'anonimato del donatore;
   in assenza totale di normativa che preveda una diversa modalità di documentazione per i dati da fecondazione eterologa rispetto alla omologa, in contrapposizione con l'indicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 162 che prevede l'invio dei dati al registro nazionale PMA, per quali ragioni il Centro nazionale trapianti abbia inviato richiesta ai centri di procreazione medicalmente assistita in cui, via fax, si chiedono informazioni sui nati da fecondazione eterologa, quali la circonferenza del cranio, non previste da nessuna normativa in vigore;
   quali iniziative intenda assumere per evitare che, a danno dello Stato, siano destinate somme per un registro che di fatto può essere già operativo presso l'Istituto superiore di sanità registro PMA;
   quali iniziative intenda assumere per evitare attività non conformi alle regole sulla privacy dei donatori e delle donatrici e delle coppie che accedono alla PMA eterologa (eggsharing, sperm sharing) e dei nati da fecondazione eterologa, fatto che a giudizio degli interroganti si è determinato con le richieste del Centro nazionale trapianti a tutti i centri italiani di procreazione medicalmente assistita. (4-09195)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GIULIETTI e LAFFRANCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è in via di predisposizione da parte del Consiglio dei ministri un decreto riferito agli enti locali;
   molti comuni stanno verificando la possibilità di ricontrattare i mutui concessi da Cassa depositi e prestiti;
   per far fronte alle evidenti difficoltà della finanza degli enti locali per molte amministrazioni sarebbe di particolare interesse poter utilizzare le risorse derivanti dalla ricontrattazione dei mutui per far fronte alle esigenze dei bilanci correnti anche per evitare tagli di servizi insostenibili per la popolazione –:
   se esiste la possibilità che la ricontrattazione dei mutui ed i risparmi derivanti da questo strumento possano essere utilizzati per il bilancio (parte corrente) degli enti locali (e non solo parte investimenti) al fine di evitare tagli ai servizi alle persone con gravi danni per le comunità locali. (4-09184)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le procedure utilizzate dagli uffici governativi, in particolare quelle che dovrebbero consentire ai comuni di accedere a bandi o avvisi per l'assegnazione di risorse finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche, in realtà non danno pari opportunità di partecipazione;
   si può parlare di un vero e proprio «digital divide» che taglia fuori quei comuni non serviti dalla banda larga;
   un esempio clamoroso è avvenuto in occasione del bando denominato «6000 Campanili» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: ai primi che via mail avrebbero presentato in regione un progetto sarebbero stati concessi i tanto attesi contributi. Il problema sta proprio nei tempi di accesso per tutti i piccoli comuni non serviti dalla banda larga;
   per esempio il sindaco di Vistrorio in provincia di Torino ha dichiarato di aver impiegato, per inviare la domanda di accesso al bando, venti minuti. Troppo per entrare tra i beneficiari del provvedimento –:
   quali siano le intenzioni e i progetti del Governo da un lato per portare la banda larga in tutti i comuni e dall'altro per individuare procedure che consentano a tutti i comuni di avere pari opportunità di partecipazione e, quindi, non basate sulla velocità di risposta. (5-05612)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, KRONBICHLER, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2008 una delle aziende leader del settore degli elettrodomestici contoterzi, Antonio Merloni spa, è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ex decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta «legge Marzano»);
   dopo che il bando di vendita era andato deserto più volte in tre anni, il 21 novembre 2011 veniva siglato, presso il Ministero dello sviluppo economico, un accordo propedeutico alla cessione di un ramo di azienda della Antonio Merloni all'imprenditore Porcarelli, proprietario del marchio QS Group spa, che prevedeva entro il 2011, ma con effetti a partire dal primo gennaio dell'anno successivo, l'acquisizione di tre stabilimenti – due dei quali situati in provincia di Ancona, il terzo a Nocera Umbra in provincia di Perugia –, insieme all'impiego di 700 lavoratori dipendenti dell'azienda ceduta, oltre all'acquisto dei marchi Ardo e Seppelfricke;
   il costo della cessione era stato fissato a 10 milioni di euro, oltre i 3 milioni di euro di crediti dell'imprenditore Porcarelli nei confronti della Antonio Merloni;
   a seguito di tale cessione del ramo di azienda, un gruppo di banche creditrici della Antonio Merloni spa, nello specifico Mps Gestione Crediti Banca spa, Unicredit Management Bank, Banca delle Marche, Banca Popolare di Ancona, Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana, Banca Cr di Firenze, Banca dell'Adriatico, ricorreva al tribunale ordinario di Ancona per chiedere l'annullamento della cessione, in quanto il valore pagato dal gruppo Porcarelli per l'acquisizione, veniva valutato dai ricorrenti troppo basso e quindi lesivo dei loro interessi, nonostante avesse ottenuto l'avvallo del comitato di vigilanza previsto dalla legge «Marzano»;
   il 21 settembre 2013 la seconda sezione civile del tribunale di Ancona annullava la cessione del complesso aziendale dell'Antonio Merloni alla J.P. Industries Spa-Qs Group, accogliendo il ricorso presentato dal gruppo di banche creditrici e valutando il prezzo di vendita inferiore di quasi 5 volte rispetto al valore reale, stimato in 54 milioni di euro. Secondo il collegio giudicante, la cessione aveva «violato un vincolo diretto a salvaguardare, nell'ambito della pluralità degli interessi, quello dei creditori», oltre a varie «norme imperative relative al criterio di determinazione del valore» del complesso industriale, al punto di «inficiare l'intera operazione di vendita per illiceità»;
   il 28 aprile 2014 la corte di appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado, che annullava la cessione;
   il giudizio della Cassazione sulla cessione del ramo d'impresa è fissato per il prossimo 24 maggio 2014;
   fonti sindacali riferiscono notizie di un possibile accordo tra le parti in contenzioso, ma le stesse banche non sarebbero disponibili successivamente all'accordo a concedere linee di credito alla J.P. Industries –:
   se sia in grado, il Ministro interrogato, di confermare la notizia di un possibile accordo prima del 24 maggio prossimo, come riportato in premessa, ed in caso positivo si possa fornire ulteriori informazioni sui termini dello stesso;
   quali iniziative intenda intraprendere, data anche l'emergenza occupazionale che segna i territori coinvolti, per permettere alla J.P. Industries di proseguire l'attività produttiva. (5-05614)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   un articolo di Alessandro Beulcke sul settimanale Panorama di alcune settimane fa racconta le peripezie che sta attraversando la realizzazione del nuovo elettrodotto di collegamento tra la Sicilia e la Calabria;
   questo nuovo elettrodotto, che andrà a sostituire 170 chilometri di linee elettriche aeree e determinerà l'abbassamento del costo dell'energia elettrica in Sicilia, è stato progettato e realizzato da Terna: 105 chilometri complessivi, 38 dei quali sottomarini (il più lungo cavo sottomarino a corrente alternata al mondo) e 700 milioni di euro d'investimento;
   il risparmio annuo nei costi dell'energia, ad elettrodotto ultimato e funzionante, si aggirerebbe sui 600 milioni di euro annui;
   già gli anni di ritardo nell'ultimazione dell'opera hanno comportato un mancato risparmio nella bolletta energetica per la cifra stratosferica di circa 4 miliardi di euro;
   l'elettrodotto è stato autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico nel 2010 dopo un iter durato ben tre anni e mezzo ed oltre cento riunioni con tutti i soggetti, pubblici e privati, interessati a qualunque titolo all'opera. Si pensi che la legge n. 239 del 2004 prescrive che l’iter autorizzatorio non debba durare più di 180 giorni;
   al danno economico dei ritardi nella realizzazione dell'opera, s’è aggiunta la beffa dell'intervento della magistratura che, a seguito della denuncia dell'associazione Mediterraneo natura, ha sequestrato il pilastro numero 40;
   è facilmente immaginabile l'ulteriore ritardo, con i relativi costi aggiuntivi, che comporterà questa iniziativa;
   l'appiglio normativo su cui si sono «attaccati» gli ambientalisti di Mediterraneo natura è stato che l'opera infrastrutturale non rispetti il vincolo del piano paesaggistico siciliano approvato successivamente all'autorizzazione dell'opera, opera che ha il nulla-osta della regione siciliana;
   l'interrogante giudica inaccettabile che un'opera pubblica da 700 milioni di euro già spesi e miliardi di euro di risparmi nella bolletta energetica, possa essere bloccata senza che si riesca ad individuare una soluzione adeguata anche considerato quanto sia importante e costosa l'opera pubblica;
   vi è ovviamente, l'eventualità che la magistratura disponga l'illiceità dell'opera in base al nuovo piano paesaggistico regionale con gli evidenti ed irreversibili danni economici per l'economia pubblica e per la fiscalità generale;
   a giudizio dell'odierno interrogante, sarebbe opportuna una riconsiderazione del piano paesaggistico in modo da sanare la questione consentendo alla magistratura di ben giudicare nel merito della vicenda e salvare, in tal modo, quest'opera pubblica già ultimata –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-09175)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Aci (Automobile Club Italia) ha reso noto che delocalizzerà il lavoro in Slovenia e Albania, mettendo in solidarietà 40 dipendenti della ditta Omnibus, a cui ha esternalizzato il servizio di call center, e altrettante famiglie resteranno senza stipendio a partire da fine aprile;
   per delocalizzare all'estero, dove il costo del lavoro è minore, lo Stato italiano paga già dal 2013 i costi sociali della solidarietà di centinaia di operatori di Roma e Milano dipendenti dell'Aciglobal e pagherà ora la disoccupazione, e il non potere d'acquisto di altre 40 persone;
   chi chiama un call center ha diritto di poter scegliere di parlare con un operatore sul suolo italiano e ciò non è permesso dall'Aciglobal, negando il diritto sancito dall'articolo 24-bis della legge 134 del 2012 «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione delle attività svolte da call center»;
   «Questo è il riconoscimento – ha intanto dichiarato il rappresentante e sindacalista Stefano Conti, Segretario nazionale di UGL Telecomunicazioni – che un'azienda di carattere pubblico dà a lavoratori che si sono distinti per professionalità e impegno svolgendo in questi anni un lavoro importante per la collettività. È un provvedimento immotivato e l'ennesimo scempio per l'occupazione lavorativa in Italia. ACI è un ente pubblico non economico che nell'ultimo bilancio certificato ha mostrato un utile pari ad oltre 27 milioni di euro. Da parte di un soggetto di carattere pubblico ci aspetteremmo un comportamento che sia da esempio all'insegna del principio di responsabilità sociale d'impresa, in questo caso clamorosamente ignorato. Chiediamo a gran voce che si faccia tutto il possibile per salvare i posti di lavoro a rischio licenziamento»;
   la pratica di delocalizzazione dei call center all'estero appare un fenomeno che sta producendo danni irreversibili al tessuto industriale del settore telecomunicazioni e la perdita di migliaia di posti di lavoro;
   è inaccettabile che per risolvere i problemi della crisi o per aumentare i loro profitti, le imprese scarichino interamente sui lavoratori i costi di queste operazioni –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario intervenire per risolvere la situazione descritta in premessa ed evitare che i costi sociali conseguenti alla delocalizzazione gravino sullo Stato;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se non intendano avviare i controlli necessari al fine di accertare l'osservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 24-bis sopra citato. (4-09194)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vezzali e Rabino n. 5-05052, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zolezzi e altri n. 5-05391, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dall'Osso.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rostan n. 4-09158 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 426 del 13 maggio 2015. Alla pagina 25140, seconda colonna, alla riga prima, sostituire la parola: «penale» con la parola: «civile»; dalla riga ventiduesima alla riga ventiseiesima deve leggersi: «bis – e degli articoli 155-quater, quinquies e seguenti disposizioni attuative del codice di procedura civile –, che consentono all'ufficiale giudiziario prima e al creditore» e non come stampato.
  Alla pagina 25141, prima colonna, alla riga undicesima, deve leggersi: «bis del codice di procedura civile;» e non come stampato.
  Interrogazione a risposta scritta Villarosa e Tofalo n. 4-09172 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 426 del 13 maggio 2015. Alla pagina 25127, seconda colonna, dalla riga quarta alla riga quinta deve leggersi: «se si intenda disporre immediatamente il rientro effettivo di Filippo Attili» e non come stampato; dalla riga ottava alla riga nona «Videomaker di Filippo Attili con la permanenza nel Corpo della Polizia di Stato» e non come stampato.