Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 12 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto dello Svimez sulla situazione dell'economia del Mezzogiorno nel 2014, per quanto riguarda la Sardegna, delinea uno scenario allarmante rispetto ai principali indicatori macroeconomici, e soprattutto con riferimento al tasso di disoccupazione, che si attesta al 17,5 per cento, e al calo del prodotto interno lordo, che nell'isola è crollato del 4,4 per cento, registrando una flessione molto superiore a quella già negativa del -3,5 per cento rilevata rispetto al Sud nella sua interezza;
    nell'anno preso in esame dal rapporto pubblicato nell'ottobre del 2014, nel settore manifatturiero sardo sono state concesse quasi dieci milioni di ore di cassa integrazione, si è verificato un calo dei consumi del 2 per cento e sono aumentate le famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa, arrivate ad essere quasi una su quattro;
    se a questo si aggiunge l'elevato tasso di emigrazione dei giovani in cerca di occupazione, a sua volta sommato al persistente calo demografico, che in tutto il Sud ha toccato il minimo storico delle nascite dal 1861, è agevole comprendere perché lo Svimez paventi il rischio di una «desertificazione umana ed industriale» dell'isola e di tutto il Meridione;
    il rapporto ha segnalato altresì come l'attuazione del Piano di azione per la coesione prosegua molto a rilento, posto che a dicembre 2013 risultava realizzato appena l'otto per cento dei programmi di spesa, pari ad una somma di 728 milioni di euro a fronte degli oltre nove miliardi previsti;
    sarebbe in ritardo anche la definizione dell'accordo di partenariato, il documento strategico e programmatico fondamentale per il prossimo ciclo per lo sviluppo e la coesione, che articola undici obiettivi tematici in circa settanta risultati attesi, e restano preoccupanti le condizioni macroeconomiche stabilite nei regolamenti che dovrebbero avvantaggiare le aree in ritardo di sviluppo, se si considerano l'esclusione degli investimenti infrastrutturali per espressa scelta programmatica europea e la mancanza di un programma nazionale per l'energia;
    la dote finanziaria per le politiche di sviluppo dei prossimi sette anni per le tre regioni Abruzzo, Molise e Sardegna è di poco superiore al miliardo di euro;
    la Sardegna risente di pesanti ritardi nel settore infrastrutturale e di perduranti stati di crisi nei settori industriale e produttivo;
    la Sardegna è l'unica regione d'Italia a non essere ancora metanizzata e la recente rinuncia al progetto Galsi, vale a dire la realizzazione di un metanodotto per trasportare il gas dall'Algeria in Italia proprio attraversando l'isola, decretata dalla giunta Pigliaru nella primavera del 2014, fa si che le uniche possibilità per alleviare la condizione di tragico ritardo in cui la stessa si trova in materia di energia siano il metanodotto Piombino-Gallura o, in alternativa, la realizzazione di uno o due rigassificatori;
    l'energia prodotta in Sardegna, infatti, non può essere stoccata e utilizzata nei periodi di maggiore necessità ma viene venduta altrove, in particolare nel centro-sud Italia, e di conseguenza il costo dell'energia nell'isola, consumata soprattutto nel settore industriale, con il 53 per cento, rimane particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con i prezzi che sopportano le altre regioni italiane per l'approvvigionamento energetico, risolvendosi in un danno non solo alle famiglie ma anche alla competitività delle imprese;
    l'unica fonte energetica presente nell'isola che può essere messa a confronto con il metano è il gpl, che, tuttavia, ha un costo superiore di ben quattro volte, al netto delle imposte, rispetto al gas naturale;
    il gap infrastrutturale che affligge la Sardegna è pesante anche con riferimento ai collegamenti stradali e ferroviari, se si considera che i tempi di percorrenza in treno sfiorano le quattro ore per duecento chilometri e che in molte zone dell'entroterra le strade che collegano i singoli Paesi sono spesso impraticabili per lunghi periodi dell'anno;
    in una realtà territoriale insulare quale è quella sarda assume particolare importanza la continuità territoriale, intesa come equivalenti opportunità di trasferimento da e per l'isola, e costituisce la condizione minima anche solo per poter garantire un'ipotesi di sviluppo turistico del territorio;
    una buona dotazione infrastrutturale riveste un ruolo strategicamente basilare per lo sviluppo dell'economia locale, imperniata sul binomio infrastrutture/competitività;
    in seguito ad alcune sentenze della Corte costituzionale la regione Sardegna è in attesa di ricevere la quota parte delle entrate tributarie ad essa spettanti da parte del Governo perché nel corso degli anni non ha riconosciuto il gettito fiscale stabilito dallo statuto, e quello che è stato versato sinora è stato vincolato all'estinzione del debito pubblico locale, invece di permettere alla stessa regione di effettuare i necessari investimenti;
    il processo di deindustrializzazione che sta avendo luogo nel territorio del Sulcis-Iglesiente in seguito alla sostanziale chiusura del distretto industriale e minerario causata dal crollo del valore dei metalli e dei minerali sui mercati, nonché dall'elevata incidenza dell'energia sui costi di produzione, sta determinando una vera e propria emergenza sociale per le migliaia di lavoratori coinvolti;
    il piano straordinario per il Sulcis approvato nel 2012, che prevedeva la salvaguardia del tessuto produttivo attraverso iniziative industrialmente sostenibili, la realizzazione cosiddetto polo tecnologico energia, la realizzazione delle necessarie infrastrutture, nonché la definizione di piani e progetti di formazione e riqualificazione professionale e ricollocamento dei lavoratori, non è ancora attuato;
    un'ulteriore problematica che affligge i territori sardi è quella relativa alla dispersione scolastica, acuita, da un lato, dal problema della viabilità, e, dall'altro, dalla chiusura di istituti scolastici per asserite esigenze di contenimento della spesa pubblica;
    la concessione di deroghe per l'apertura delle prime classi dovrebbe essere improntata anche al rispetto delle caratteristiche delle regioni interessate, anche sotto il profilo della viabilità (strade, servizio di trasporto, distanza tra istituto e paese d'origine) delle sue cittadine e province;

   alcuni paesi del centro della Sardegna, in particolar modo dei paesi della Barbagia, (Desulo, Tonara, Belvì, Aritzo) vivono in una preoccupante condizione di isolamento a causa della carenza di infrastrutture viarie e questo penalizza la frequenza scolastica, posto che i ragazzi devono partire la mattina presto per poi fare ritorno solo il pomeriggio tardi o la sera;
    i sindaci di questi paesi lottano quotidianamente contro i vincoli del patto di stabilità per garantire i servizi ai propri cittadini, valorizzando, al contempo, le tradizioni artigianali, culinarie e agricole dei propri territori;
    si tratta di paesi dalla storia centenaria, che hanno superato indenni guerre, isolamenti e avversità atmosferiche ma che ora stanno soccombendo davanti a Governi che si dimostrano poco sensibili alle richieste e alle necessità delle proprie piccole comunità locali;
    ogni anno in Sardegna bruciano centinaia di ettari di terreno, spesso per mano di piromani che puntano al disboscamento di alcune zone a fini di speculazione edilizia senza che la Protezione civile sia stata dotata né dei mezzi né del personale necessari a combatterli con la necessaria rapidità ed efficacia;
    ancora non sono stati erogati tutti i rimborsi per i danneggiamenti subiti da diverse province in occasione dell'alluvione del novembre 2013, che ha distrutto anche le infrastrutture presenti sul territorio, quali principalmente strade, ponti e tratte ferroviarie,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza necessaria alla corretta programmazione e finalizzazione delle somme stanziate in favore della regione Sardegna dalla programmazione comunitaria;
   ad elaborare politiche fiscali compensative in materia energetica per rendere competitivi i prezzi al consumo sull'isola, agevolando famiglie e imprese, e, in questo ambito, a sostenere la realizzazione del progetto di metanodotto Piombino-Gallura o dei rigassificatori al fine di consentire il rilancio produttivo delle stesse imprese e per garantire una maggiore sicurezza di approvvigionamento energetico per l'intero territorio nazionale;
   ad attivare con estrema urgenza, nelle more della metanizzazione dell'isola, tutte le iniziative sul piano amministrativo e fiscale dirette alla copertura della differenza di costo tra gpl e metano, al fine di ripristinare la condizione di parità e reciprocità delle famiglie e delle imprese sarde con il resto della nazione;
   a realizzare con la massima tempestività le iniziative di cui al piano straordinario per il Sulcis, e a completare la creazione delle zone franche urbane dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias, al fine di sostenere le micro e piccole imprese del territorio;
   a corrispondere alla regione Sardegna le somme dovute senza che su di esse gravi un vincolo di spesa;
   a sostenere la regione Sardegna nell'approvazione e nella realizzazione di ogni misura utile al rilancio degli investimenti e allo sviluppo del tessuto produttivo, anche favorendo per quanto di competenza l'accesso al credito per imprese e famiglie;
   a promuovere e sostenere la valorizzazione del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale dell'isola, anche ai fini del potenziamento dei flussi turistici;
   a garantire la continuità territoriale, realizzando quella libertà di circolazione prevista dalla Carta costituzionale;
   a prevedere lo stanziamento delle risorse utili a permettere il completamento nell'isola di un piano per lo sviluppo infrastrutturale;
   ad elaborare idonee iniziative per contrastare la dispersione scolastica, tutelando il diritto allo studio;
   ad assumere ogni iniziativa utile per il contrasto degli incendi, sia sotto il profilo del potenziamento dei mezzi terrestri e aerei nell'isola e dell'incremento delle risorse umane, sia sotto il profilo dell'intensificazione delle misure di controllo e di prevenzione, sia, infine, sotto il profilo dell'inasprimento delle sanzioni amministrative e penali nei confronti dei piromani.
(1-00858) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare, oltre che riconoscere;
    la Costituzione, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa quale diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e farne propaganda, nonché di esercitare in privato e in pubblico il culto e, all'articolo 8, riconosce che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
    nella dichiarazione dell'Onu del 1948 tutti gli Stati che ne fanno parte si impegnano a garantire non tanto e non solo una mera tolleranza religiosa verso le minoranze, bensì una piena libertà religiosa per tutte e per tutti; in particolare, l'articolo 18 stabilisce che: «ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    negli ultimi anni la libertà religiosa è in netto declino con una crescente ondata di persecuzioni mirate anche a marginalizzare le comunità religiose. Dati recenti testimoniano che il 70 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi caratterizzati da restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata;
    nella lista degli Stati in cui si registrano gravi violazioni della libertà religiosa, i Paesi musulmani ne rappresentano la maggioranza con gravissime violazioni dove la persecuzione è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen;
    fortissime limitazioni alla libertà religiosa si riscontrano anche in numerosi Stati autoritari come l'Azerbaigian, il Myanmar, la Cina, la Corea del Nord, l'Eritrea e l'Uzbekistan;
    la libertà religiosa è in declino nei Paesi occidentali a maggioranza cristiana o di tradizione cristiana. In Europa, ad esempio, sono crescenti i fenomeni di antisemitismo e islamofobia, spesso fomentati da chi contrasta l'inevitabile modello pluriconfessionale ed eterogeneo della società;
    occorre per cui contrastare queste tendenze con forti politiche di inclusione sociale e attivarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché si attuino provvedimenti orientati al massimo rispetto di tutte le fedi e di tutte le opinioni e si prendano misure efficaci a contrastare ogni forma di violenza,

impegna il Governo:

   ad assicurare protezione internazionale ai perseguitati per motivi religiosi;
   a rendersi promotore, nell'ambito dell'Unione europea e presso gli organismi internazionali cui l'Italia partecipa, di iniziative volte a riaffermare i principi di libertà religiosa oltre che di rispetto dei diritti civili e a favorire il dialogo tra i popoli e il dialogo interreligioso, nonché di iniziative da attuare nei confronti dei Governi che impediscono la libertà religiosa per far cessare le persecuzioni religiose;
   ad adoperarsi presso gli Stati europei, nell'ambito dell'Unione europea e nelle sedi internazionali, al fine di ampliare il fronte di solidarietà contro le esortazioni alla violenza di esponenti del radicalismo di qualsiasi natura e delle organizzazioni di quasi natura e tipo che incitano all'odio religioso ed etnico;
   a riferire periodicamente sugli obiettivi raggiunti, a partire dagli impegni presi dal Governo a seguito delle mozioni approvate dalla Camera dei deputati il 2 luglio 2014.
(1-00859) «Palazzotto, Scotto, Fratoianni, Kronbichler».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ondata di deindustrializzazione che ha colpito il Paese sta portando ad una lenta e progressiva perdita del patrimonio industriale italiano, con risvolti drammatici sul mondo dell'occupazione;
    secondo il «Rapporto sulla Competitività» pubblicato dalla Commissione dell'Unione europea, dal 2007 al 2012, l'Italia ha perso 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale e, con riferimento alla produttività, ha perso molte posizioni anche rispetto a paesi economicamente più deboli;
    la crisi economica che ha colpito il Paese, acquisisce una connotazione più severa in alcune regioni d'Italia che, più di altre, hanno una struttura economica fortemente indebolita dall'alto tasso di dispersione delle risorse produttive ed occupazionali;
    è questo il caso del sistema industriale della Sardegna, con particolare riguardo all'area del Sulcis Iglesiente, e alla filiera alluminio, il quale riflette, a livello nazionale, la grave mancanza di una pianificazione industriale che sappia affrontare con rigore la crisi del sistema produttivo italiano: dall'insostenibile pressione fiscale alla difficoltà di accesso al credito, passando per un vetusto e asfissiante sistema burocratico e per gli alti costi energetici, assolutamente lontani dai valori medi europei;
    la Sardegna versa da tempo in uno stato di crisi economica che si alimenta anche dell'errore di aver favorito, a livello statale e locale, il proliferare di interventi di tipo assistenzialistico e la dispersione di ingenti risorse in progetti che poi sono risultati inservibili allo sviluppo del territorio, ostacolandone la crescita e rendendolo sempre più dipendente da questi stessi interventi;
    negli ultimi cinque anni la regione ha registrato una forte diminuzione dei livelli occupazionali; i dati Istat del 2013 indicano che sono circa 43.000 le persone che hanno perso il posto di lavoro rispetto all'anno precedente. In particolare, risulta elevato il tasso di disoccupazione giovanile il quale risulta anche in parte legato all'intensificarsi del fenomeno di abbandono prematuro degli studi;
    è necessario innescare un sistema di intervento più efficiente che miri, in primo luogo, ad un drastico abbattimento delle tasse per rilanciare lo sviluppo del territorio sardo, e più in generale dell'intero Paese, attraverso l'introduzione di una flat tax al 15 per cento su tutto il territorio nazionale, a sostegno della crescita dell'economia locale e del rilancio del sistema industriale e turistico del Paese;
    il turismo in particolare avrebbe dovuto rappresentare un importante volano per la crescita dell'economia sarda ma in realtà anche questo settore attraversa oggi una fase di crisi, essenzialmente legata alla inadeguatezza dei sistemi di collegamento da e per la Sardegna, con il rischio di compromettere ulteriormente la delicata situazione economica e sociale dell'isola;
    a minare la salvaguardia della continuità territoriale è anche la difficile situazione in cui versa la compagnia aerea Meridiana, vettore infrastrutturale strategico per garantire la viabilità aerea da e per la Sardegna; i vertici societari avrebbero infatti evidenziato che con 29 aeromobili e con un trasporto di circa 4 milioni di passeggeri, i 2.500 dipendenti attualmente in forza sarebbero considerati eccessivi dal proprio management per la sopravvivenza stessa della compagnia sul mercato, per cui propongono una veemente ristrutturazione con il 50 per cento degli esuberi;
    appare urgente, anche in previsione di importanti eventi che il Paese si accinge ad ospitare, fra cui l'Expo 2015 e il Giubileo straordinario, potenziare alcuni scali aeroportuali che facciano da perno per un unico sistema aeroportuale aperto a sinergie con i diversi scali territoriali in una logica di sistema macroterritoriale che faccia da volano per l'intero sistema economico;
    un'ulteriore minaccia alla sviluppo dell'economia locale è rappresentata dagli alti oneri energetici sopportati dalle imprese isolane, i quali risultano di circa il 30 per cento, secondo l'Autorità per l'energia elettrica e del gas, superiori alla media nazionale;
    gli alti costi energetici sostenuti dall'Italia rappresentano una delle maggiori cause dello svantaggio competitivo del nostro Paese nei confronti degli altri Paesi dell'Unione europea; il settore energetico è strategico per l'economia del Paese, con un giro di affari, in crescita, attorno al 20 per cento del Pil e con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati;
    lo sviluppo dei sistema industriale sardo può realizzarsi anche attraverso l'adozione di iniziative che favoriscano i processi di riconversione industriale degli impianti industriali non più competitivi favorendo la realizzazione di progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia locale ed in generale di tutto il Paese;
    esistono molti esempi di successo relativi all'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere fiscale che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative per il rilancio delle attività produttive nel territorio sardo e più in generale del sistema industriale del Paese scoraggiando, attraverso specifici interventi di natura fiscale e finanziaria, fenomeni di abbandono delle imprese industriali, nonché di delocalizzazione delle attività verso altri Paesi;
   a rendere noti gli aggiornamenti sullo stato della vertenza Meridiana, con particolare riguardo al piano di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ed al futuro occupazionale del dipendenti interessati, al fine di scongiurare la dispersione di forza lavoro qualificata come quelle attualmente impiegata dalla compagnia aerea, garantendo al contempo la continuità territoriale da e per la Sardegna;
   a sostenere la competitività delle imprese, e in particolare di quelle sarde, attraverso l'adozione di misure di riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi concorrenti;
   a favorire, attraverso lo strumento dell'accordo di programma, l'adozione di specifici percorsi per la riconversione industriale delle aree industriali dismesse che favoriscano la nascita di nuove attività industriali e l'occupazione nel territorio sardo ed in generale in tutto il Paese.
(1-00860) «Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 17 aprile 2015 si è svolta in  Assemblea l'interpellanza urgente 2-00922 al Ministro dell'economia e delle finanze avente ad oggetto la questione del pagamento degli indennizzi da parte degli enti locali a seguito della estinzione anticipata dei mutui contratti con Cassa depositi e prestiti; sul medesimo tema erano stati già presentati e conclusi un question-time in Commissione finanze del 2013 e un'interrogazione in Commissione bilancio nel 2014;
    in tale atto di sindacato ispettivo si faceva nuovamente presente che gli enti locali che attivano le procedure per l'estinzione anticipata dei mutui assunti presso la Cassa depositi e prestiti devono corrispondere oltre al capitale residuo anche un indennizzo calcolato ai sensi del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 20 giugno 2003;
    l'entità dei suddetti indennizzi supera spesso, per i mutui a tasso fisso, il 10 per cento del capitale da rimborsare, configurandosi come una sorta di «penalità» per gli enti locali;
    poiché il rimborso anticipato del mutuo consentirebbe all'ente di ridurre l'indebitamento pubblico e di spendere l'avanzo di amministrazione altrimenti non utilizzabile visti i limiti imposti dal patto di stabilità si invitava il Governo ad una riflessione circa la sostenibilità e l'utilità di tale disciplina;
    il Governo ha fornito una risposta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non pienamente soddisfacente e a tratti incompleta, affermando che l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari regolati a tasso fisso, concessi da Cassa depositi e prestiti agli enti locali, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista necessaria ai fini della concessione del finanziamento e i tassi di mercato vigenti al momento del rimborso anticipato. Pertanto, a fronte di una riduzione dell'indennizzo per estinzione anticipata dei prestiti concessi, potrebbero verificarsi significative conseguenze per Cassa depositi e prestiti in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
    con riferimento alle specifiche richieste avanzate nell'interpellanza il Governo ha fornito dei dati non disaggregati e basati su un campione scarsamente rappresentativo;
    il tema sollevato, se approfondito e analizzato, potrebbe costituire un importante volano per la ripresa economica, in particolare sulla spesa per investimenti da parte degli enti locali,

impegna il Governo:

   a presentare una dettagliata relazione al Parlamento contenente i dati disaggregati relativi ai mutui accesi dagli enti territoriali (con particolare riferimento alle seguenti classi demografiche: da 0 a 5.000 abitanti, da 5.000 a 15.000 e oltre i 15.000) indicando quale ne sia l'ammontare medio per comparto e quale sia il tasso di interesse medio applicato e l'entità media dell'indennizzo;
   ad operare una puntuale ricognizione dei dati a disposizione per verificare la possibilità di cambiare la disciplina in materia di estinzione anticipata dei mutui, al fine di contenere l'entità dell'indennizzo nella misura massima del 5 per cento del capitale da rimborsare.
(1-00861) «Fragomeli, Marchi, Marco Di Maio, Amato, Bergonzi, Capozzolo, Casati, Cominelli, Gadda, Gasparini, Lodolini, Manfredi, Piazzoni, Romanini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il Premier Renzi, la scorsa settimana, davanti alla platea della Borsa italiana, avrebbe garantito che «nelle prossime settimane» troverà realizzazione il provvedimento «per le sofferenze delle banche italiane», cioè la bad bank per alleggerire gli istituti del peso di crediti bloccati;
   Renzi si sarebbe limitato a dire che il Governo sta «negoziando con l'Unione europea sui dettagli», nonostante gli fosse stato richiesto di spiegare tale operazione anche da Gian Maria Gros-Pietro, vicepresidente dell'Abi, che chiedeva maggiori dettagli;
   una bad bank di sistema è una società che, usando denaro pubblico, si farebbe carico di aiutare gli istituti di credito a liberarsi dalle sofferenze, assumendosi la gestione dei loro crediti anomali cioè i prestiti difficili o impossibili da recuperare, come quelli che attualmente sembrerebbero ingolfare i bilanci delle banche italiane;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, in una recente intervista a Repubblica, ha confermato che il Governo sta «esaminando varie opzioni, anche tenendo conto delle implicazioni sulle regole europee sugli aiuti di Stato» e riflettendo sul modo in cui «introdurre degli strumenti che vanno sotto il nome generico di bad bank»;
   Padoan avrebbe già ricevuto dalla Commissione europea il via libera all'ipotesi di una bad bank di sistema: l'esecutivo Ue «sia pure con qualche perplessità», non avrebbe opposto pregiudiziali;
   secondo fonti di stampa, prima della crisi economica i crediti in sofferenza all'interno dei bilanci delle banche italiane ammontavano a circa 42 miliardi di euro, mentre oggi si conta un'ammontare di 183 miliardi; se si considera anche che molti debitori non sono ancora tecnicamente insolventi ma rischiano di diventarlo in tempi più o meno stretti, l'insieme delle sofferenze diventa una frana capace di seppellire il sistema bancario: il totale di tutti i prestiti cosiddetti «deteriorati» arriva infatti a 315 miliardi, ovvero il 16,6 per cento dei crediti concessi complessivamente dagli istituti;
   in un recentissimo paper del Fondo monetario riportato da Il Sole-24 Ore, si mostra che solo Irlanda, Cipro e Grecia hanno fra sofferenze e prestiti maggiori del nostro; sempre il Fondo monetario calcola che, dato il modesto ritmo di uscita dei crediti deteriorati dal bilancio delle banche italiane (nel 2013 solo il 7 per cento) il peso delle sofferenze sul portafoglio prestiti continuerà a crescere fino al 2019, frenando inevitabilmente la propensione a concedere nuovi prestiti;
   se questa operazione della bad bank andrà in porto, anche se si verificherà l'ipotesi, che già circola, appoggiata da Padoan, che il Tesoro abbia una quota di minoranza, mentre della maggioranza si dovrebbero fare carico le banche interessate, un costo da pagare ci sarà comunque: se il valore dei crediti trasferiti nella bad bank è più basso dei soldi che verranno effettivamente recuperati in futuro, la perdita iniziale potrebbe ricadere anche sullo Stato; e tutto questo anche se la montagna di crediti in sofferenza è stata creata anche per scelte sbagliate delle banche che, con poche cautele, hanno prestato soldi alle loro cerchie clientelari; invece, per quanto riguarda il risultato sperato, ovvero che le banche finalmente ricomincino ad erogare credito all'economia reale, è d'obbligo sempre e comunque il condizionale, infatti anche se le banche venissero risanate completamente, la fine del credit crunch non sarebbe affatto certa;
   durante la sua audizione del 26 marzo 2015 presso le commissioni Finanze, Bilancio e Politiche Ue della Camera riunite, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha detto che la Bce «guarda con molto favore a iniziative per ridurre il peso delle partite deteriorate nei bilanci delle banche in modo da liberare risorse» a beneficio delle imprese, riferendosi alla possibile nascita di una bad bank di sistema per liberare dalle sofferenze gli istituti di credito;
   sempre durante l'audizione alla Camera, il numero uno della Bce e promotore del quantitative easing, ha anche affermato che nel 2014 è stata portata a termine un'operazione di scrutinio e pulizia dei bilanci delle banche che erano «malate» per via del peso dei crediti deteriorati; nonostante ciò, le banche non hanno ricominciato a erogare prestiti all'economia reale, anzi, quando è stata la volta della prima operazione TLTRO, non avendo vincoli in tal senso, hanno utilizzato tutte le risorse messe a disposizione per speculazioni finanziarie, come ricordato dallo stesso Draghi;
   secondo l'economista Marco Onado «Negli Stati Uniti, il premio Nobel Joseph Stiglitz denuncia che con una distribuzione del reddito così squilibrata come quella attuale, ci vorranno almeno 13 anni per tornare al pieno impiego: figurarsi in Europa dove la ripresa è ancora più stentata. Ma nell'agenda politica questi temi non entrano, se non sotto forma di more dichiarazioni di principio: basta guardar alle campagne presidenziali di Stati Uniti e Francia, per capire che tutti si muovono allineati e coperti dietro una strategia basata solo sull'arma monetaria e che ha come unico corollario certo il salvataggio delle banche. Il resto è solo speranza. E i banchieri centrali sono i veri signori della crisi»;
   mentre il credit crunch colpisce soprattutto le piccole imprese, una recente analisi del Centro studi Unimpresa su dati della Banca d'Italia ha mostrato che il peso delle sofferenze bancarie è legato soprattutto ai grandi prestiti che difficilmente vengono rimborsati: su tre rate non onorate, due sono relative a crediti di alto importo: il 66,1 per cento del totale dei crediti difficili da riscuotere (107 miliardi di) si riferisce a finanziamenti superiori a 500 mila euro, mentre il 33,9 per cento (54,9 miliardi) fa capo a crediti compresi tra i 250 mila e i 500 mila euro. In una platea di oltre 1,2 milioni di clienti in ritardo sui pagamenti, su appena 457 soggetti pesano sofferenze per 20,3 miliardi. Detto in altri termini, oltre il 66 per cento dei crediti dubbi si riferiscono a una piccolissima percentuale di debitori: il 3,9 per cento del totale;
   Diego Valiante, responsabile della ricerca su mercati finanziari, Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles, ha scritto su Il fatto quotidiano che la badbank «È un intervento con cui si separano gli attivi che hanno poche probabilità di recupero da quelli che hanno ancora un valore di mercato. La banca con gli asset tossici, la bad bank appunto, è mantenuta in vita di solito tramite garanzie statali, in attesa che questi attivi recuperino un valore di mercato. È la principale alternativa alla nazionalizzazione diretta delle banche durante una grave crisi finanziaria, come nell'autunno del 2008... La proposta di una bad bank in questo contesto macroeconomico ha il sapore di una minestra riscaldata, con la quale si pospone un intervento risolutivo nel breve e si salvano elegantemente un po’ tutti quelli che quell'ignoto meccanismo di autoconservazione nel nostro Paese lo conoscono molto bene, Si salvano pertanto i principali azionisti delle banche italiane, che si contano oramai sulle dita di una mano, da una pesante svalutazione di capitale scaricata in gran parte sui cittadini tramite le garanzie statali sul capitale della bad bank. Si salva il management, che ricicla se stesso mettendo in curriculum la capacità (più politica che manageriale) di aver protetto gli azionisti dalla diluizione del capitale e i creditori più importanti da perdite eccessive nella ristrutturazione della banca. Si salva il governo, che diventa paladino dell'italianità del sistema bancario limitando nell'arco della sua breve legislatura l'impatto di una ristrutturazione del sistema bancario sul costo del debito pubblico. La patata bollente passerà intanto al prossimo esecutivo. Si salva una parte della classe politica, che sulle commistioni con la governance delle banche ha costruito la sua intoccabilità»;
   il beneficio più evidente dell'operazione bad bank, su cui preme Bankitalia, sarebbe quello strettamente legato al credit crunch, ovvero la stretta creditizia verso famiglie e imprese: eliminare dai bilanci delle banche i crediti in sofferenza potrebbe significare ridare ossigeno alle banche e quindi liberare risorse che potrebbero andare a finanziare famiglie e imprese, soltanto che non ci sono garanzie che questo poi avverrà;
   secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente alla Sda della Bocconi, ma bad bank a partecipazione pubblica, in Italia, sarebbe «una cattiva idea. Anzi, pessima, in queste condizioni di contesto: non è affare dello Stato costituire banche o enti affini», perché se il Governo vuole davvero aiutare le banche a smobilizzare i crediti deteriorati, «la cosa più efficace che può fare è agire sui processi della giustizia civile, riducendo drasticamente tempi e complessità dei contenziosi» e intervenendo «sulle condizioni tecnologiche e normative che migliorano la trasparenza e l'accountability dei bilanci aziendali»; per di più, sempre secondo il professore Carnevale Maffè, «aiutare banche fragili, senza serie prospettive di competitività sostenibile a medio-lungo termine, rischia di essere accanimento terapeutico e di avere l'indesiderabile effetto di prolungare la crisi del credito all'economia reale». Mentre gli istituti più grandi e solidi «sanno provvedere meglio da soli, utilizzando soluzioni di mercato e in competizione tra loro», come sta già facendo Unicredit;
   le associazioni dei consumatori sono del tutto contrarie all'ipotesi della bad bank: il Codacons annuncia battaglia e ricorsi in sede europea parlando di «ennesimo regalo alle banche, verso cui lo Stato corre ogni volta in soccorso scaricando come al solito i costi finali sui cittadini contribuenti», «una follia», perché «l'efficiente funzionamento del sistema bancario dovrebbe essere garantito prima di tutto dalle autorità di Vigilanza cui spetta il compito di controllare le banche e il loro corretto operato»;
   secondo Adusbef e Federconsumatori «se il Governo ed il ministro dell'Economia Padoan non dovessero pretendere una equa retribuzione sulla garanzia statale prestata alla bad bank per cartolarizzare prestiti allegri spesso erogati ad amici e compari ai quali le banche hanno affidato prestiti incauti, lasciando scoperte proprio quelle sofferenze causate dalla crisi sistemica prodotta dai banchieri, sarebbe un vero e proprio regalo di Stato, che cercheremo di contrastare in tutte le sedi». «Sarebbe inaccettabile», prosegue la nota, «premiare gratis istituti di credito e banchieri che hanno sbagliato, in buona parte, a concedere fidi con criteri privi dei requisiti prudenziali nella corretta gestione del credito e del risparmio» –:
   se il Governo sia consapevole dei problemi relativi all'operazione di costituzione della bad bank e in che modo abbia intenzione di adoperarsi per far sì che, nel caso questa operazione venisse messa in atto, la perdita finanziaria iniziale non ricada anche sullo Stato e dunque sulle tasche dei cittadini;
   se il Governo non abbia intenzione, nel caso in cui si ponesse in atto con o senza bad bank un'operazione di risanamento delle banche dai crediti «malati» da parte dello Stato, di selezionare gli istituti di credito meritori di questo intervento, in modo da premiare i comportamenti virtuosi e allo stesso tempo evitare di spendere risorse per realtà bancarie che hanno messo in atto scelte sbagliate, con poche cautele, prestando fondi alle proprie cerchie clientelari;
   in che modo il Governo intenda attivarsi per garantire, visto il precedente comportamento delle banche in tal senso, che, qualora avvenisse il risanamento degli istituti di credito per opera dello Stato, questo comporti davvero come diretta conseguenza la fine del credit crunch e dunque il ritorno al finanziamento dell'economia reale;
   se il Governo non consideri altresì importante promuovere processi di ristrutturazione finanziaria e di rafforzamento patrimoniale, necessari per una parte ampia del nostro sistema imprenditoriale, rilanciando finalmente gli investimenti produttivi.
(2-00964) «Sorial, Pesco, Villarosa, Alberti, Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà, Ruocco, Fico, Pisano, Corda, Cozzolino, Dadone, Daga, Zolezzi, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Ferraresi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a partire dal 2009 il Parlamento italiano ha portato avanti numerose iniziative legislative, di indirizzo politico e di indagine e volte a tutelare i prodotti del «made in Italy» ed assicurare la giusta efficacia alla lotta alla contraffazione:
    a) l'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, ha chiarito che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano, introducendo una precisa regolamentazione dell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili;
    b) l'articolo 15 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha introdotto norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale;
    c) con la legge 8 aprile 2010, n. 55, sono state dettate disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, prevedendo l'uso dell'indicazione made in Italy esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano;
    d) la legge 3 febbraio 2011, n. 4, ha inserito norme sull'etichettatura dei prodotti alimentari con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano;
    e) la legge 14 gennaio 2013, n. 8, ha successivamente dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza;
    f) nella seduta del 22 gennaio 2013 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita durante la XVI legislatura, ha approvato un'imponente relazione conclusiva oltre, alla relazione sulla pirateria digitale in rete e ad altri documenti settoriali;
    g) il 26 giugno 2014, la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo;
    h) la mozione 1-00529 dello scorso luglio 2014, ha impegnato il Governo a monitorare l’iter del regolamento relativo al made in, affinché il Consiglio dell'Unione europea proceda velocemente alla sua approvazione;
    i) l'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha introdotto il Piano straordinario per il rilancio del made in Italy e l'attrazione degli investimenti, che è stato presentato dal Ministero dello sviluppo economico il 26 febbraio ed è articolato in complessive 10 misure, di cui 5 da attuarsi in Italia (potenziamento grandi eventi in Italia, Voucher Temporary Export Manager, Formazione Export Manager, Roadshow per le piccole e medie imprese, Piattaforma E-Commerce per le piccole e medie imprese) e 5 all'estero (Piano GDO, Piano speciale mercati d'attacco – es. USA –, Piano «Road to Expo», Piano comunicazione contro Italian Sounding, Roadshow attrazione investimenti);
   la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del settembre 2010 ha precisato che tutte le disposizioni della citata legge 8 aprile 2010, n. 55, possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE e che tale legge non può considerarsi applicabile sino a quando non siano adottate le necessarie norme attuative previste dall'articolo 2 della legge medesima;
   la legge n. 55 del 2010 è in vigore dal 1o ottobre 2010, ma, ad oggi, risulta inattuata a causa delle perplessità sollevate, per ragioni formali e sostanziali, dalla Commissione europea che ha evidenziato come la sua applicazione determinerebbe un conflitto tra norme nazionali e norme comunitarie poiché nessun Paese membro può assumere autonomamente modalità tecniche di determinazione dell'origine divergenti rispetto a quelle Europee in uso poiché ciò significherebbe ostacolare la libera circolazione dei prodotti;
   la sospensione della disciplina dettata dalla legge n. 55 del 2010 si inquadra nello scontro aperto in Europa tra Paesi manifatturieri, soprattutto del Sud Europa (Italia, Francia, Spagna) e Paesi del Nord che, o producono molto all'estero (come la Germania) o non producono affatto, ma hanno i porti in cui arriva gran parte del nostro import da Cina e Far East e che in ogni caso, non vogliono troppa tracciabilità;
   tale scontro è dato dalla presentazione, il 16 dicembre 2005, di una proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea (COM(2005)661), relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da Paesi terzi, che non è mai stata discussa dal Consiglio;
   il Parlamento europeo dal 2007 al 2013 ha adottato numerose dichiarazioni e risoluzioni per sollecitare la Commissione europea e il Consiglio ad attuare una politica di tutela dell'origine dei prodotti europei, ma il 16 aprile 2013 la Commissione europea ha ritirato la proposta di regolamento sull'obbligo di indicazione dell'origine per alcuni prodotti importati da Paesi extra Unione europea (cosiddetto made in), presentata nel dicembre 2005 su iniziativa italiana con l'obiettivo di rendere più trasparenti per i consumatori le informazioni sull'origine dei prodotti e assicurare parità di condizioni tra i produttori europei e quelli di Paesi terzi che già dispongono di una legislazione analoga;
   nel settore alimentare il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, che si applica dal 13 dicembre 2014, obbliga alla fornitura di informazioni sugli alimenti, con particolare riguardo alla tabella nutrizionale e all'indicazione d'origine solo per una parte degli alimenti;
   ad eccezione delle regole che sono state fissate per alcuni settori e per le denominazioni di origine, per tutti gli altri prodotti si è preferito affermare un diverso principio, per cui l'indicazione obbligatoria è resa tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
   l'indicazione d'origine dei prodotti può essere positivamente conseguita anche con la diffusione di tecnologie in grado di offrire la tracciabilità dell'intera filiera attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari, e di ricevere un'adeguata informazione sulla qualità dei componenti e delle materie prime, nonché sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti finiti e intermedi made in Italy o interamente realizzati in Italia;
   il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato con larghissima maggioranza (485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni) il pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi. La nuova disciplina impone di apporre il made in sia ai prodotti non alimentari realizzati in Europa che a quelli extraeuropei, ma prima che l'obbligo diventi effettivo è necessaria l'approvazione del Consiglio dell'Unione europea;
   l'etichetta made in sarà, quindi, obbligatoria per tutti i prodotti venduti nell'Unione europea, con alcune eccezioni come il cibo e i medicinali; secondo la proposta approvata, i produttori dell'Unione europea potranno scegliere se mettere sull'etichetta la dicitura «made in EU» oppure il nome del loro Paese. Per le merci prodotte fuori dall'Unione europea, il «Paese di origine» dovrà essere quello in cui il bene ha subito «l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata», che si sia conclusa con la «fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione» (come definito nel codice doganale dell'Unione europea);
   nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014, il Governo italiano ha ricordato l'importanza che annette, ai fini della competitività del sistema industriale italiano, all'introduzione di un'indicazione di origine dei prodotti non alimentari ma l'obbligatorietà di tale indicazione – contenuta all'articolo 7 della proposta di regolamento relativa alla sicurezza dei prodotti – non ha incontrato, tuttavia, l'unanime accordo degli Stati membri;
   alla luce di ciò, l'Italia, durante il proprio semestre di presidenza, ha accordato ai Paesi del Nord Europa l'esecuzione di uno studio di impatto sui costi/benefici dell'introduzione del «made in», studio che non è stato ancora ufficialmente diffuso, ma che secondo fonti di stampa avrebbe dato pareri discordanti in base ai settori merceologici, nei quali sarebbero favorevoli soprattutto i comparti di ceramica, calzature e tessile/abbigliamento;
   secondo le stesse notizie di stampa, il Governo italiano avrebbe chiesto al Presidente Juncker di rinviare la decisione dei commissari al Consiglio competitività previsto il prossimo 28 maggio 2015, dove il Viceministro dello sviluppo economico (con delega al commercio internazionale), Carlo Calenda, presenterà una proposta di mediazione consistente nella possibilità di un «made in» circoscritto ad alcuni settori, che diventerebbero 5 – ceramica, calzature, tessile ma anche legno arredo e oreficeria – senza distinzione tra piccole o grandi imprese e un periodo di sperimentazione dell'etichetta obbligatoria di tre anni, per poi fare il punto della situazione;
   il 6 maggio 2015, secondo indiscrezioni provenienti dalla Commissione europea, sarebbe stato deciso di proporre per il Consiglio di competitività dell'Unione europea previsto il 28 maggio 2015, una soluzione di compromesso che prevederebbe l'applicazione del Regolamento in questione limitatamente a tre settori (tessile-abbigliamento, ceramico e calzaturiero);
   tale compromesso, se confermato, penalizzerebbe altri due settori certamente non secondari per l'industria manifatturiera nazionale, quello del legno-arredo e quello dell'oreficeria –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo sull’iter del regolamento relativo al «made in», e quali siano le richieste dell'Italia al Consiglio di competitività dell'Unione europea per tutelare e valorizzare i prodotti dell'industria manifatturiera italiana il cui export, secondo i dati forniti dal Viceministro Calenda, ha raggiunto nel 2014 la cifra record di 398 miliardi di euro.
(2-00966) «Benamati, Taricco, Tidei, Taranto, Carra, Bini, Senaldi, Cenni, Scuvera, Lacquaniti, Venittelli, Bargero, Romanini, Antezza, Mongiello, Galperti, Terrosi, Arlotti, Martella, Portas, Berretta, Baruffi, Camani, Basso, Bazoli, Bergonzi, Paola Bragantini, Brandolin, Vico, Cani, Capone, Marrocu, Bonomo, Capozzolo, Ginefra».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la continuità politica e programmatica dei Governi Monti, Letta e Renzi impone l'esigenza di valutare realisticamente gli atti concreti relativi alla cosiddetta vertenza Sardegna;
   è fin troppo evidente che sulla già complessa questione sarda si registrano ulteriori gravi e colpevoli ritardi legati a mancate decisioni del Governo e in alcuni casi a decisioni che appaiono contrarie alla risoluzione dei problemi stessi;
   l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di non pregiudicare in modo irreversibile le questioni oggetto della vertenza Sardegna;
   in particolar modo appaiono sin troppo evidenti le questioni relative:
    a) alla questione trasporti, con l'esigenza improcrastinabile di revocare la convenzione con la Tirrenia per palese contrasto con l'interesse pubblico e contributo di Stato di dubbia legittimità, non commisurato e non giustificato rispetto ad un servizio inadeguato e con costi proibitivi per i residenti e i non residenti;
    b) alla questione relativa alla continuità territoriale aerea con una inaccettabile limitazione a soli nove mesi della tariffa unica e con continue limitazioni alla disponibilità di posti sulle tratte da e per la Sardegna oltre alla limitazione delle tratte di collegamento tra l'isola e il resto del Paese;
    c) alla questione energetica con la pesantissima ricaduta sul sistema economico industriale della Sardegna, dalla mancata realizzazione del metanodotto Sardegna Algeria a favore di quelle che gli interpellanti ritengono lobby protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra con la distribuzione su gommato del gas per arrivare alla mancata definizione di un regime tariffario, attraverso contratti bilaterali e regimi di riequilibrio, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
    d) alla vertenza Equitalia e al rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e ai pignoramenti di migliaia di aziende agricole per le quali è indispensabile un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
    e) alla questione insularità e all'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato limitato ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo documento di economia e finanza;
    f) alle questioni industriali della Sardegna: dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
    g) alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro mediterranea e degli interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
    h) alla definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna, in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
    i) alla definizione concreta della «partita» delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale in relazione ai quali, ad avviso degli interpellanti, è risultato inaccettabile il comportamento dello stesso Governo in carica;
    j) alla dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate, compresa la riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   ad oggi su questi temi si registra un gravissimo arretramento non solo sostanziale ma anche procedurale considerato che nessun serio e concreto atto è stato messo in campo dal Governo e anzi tutte le vertenze languono senza alcuna prospettiva di soluzione –:
   se il Presidente del Consiglio non intenda predisporre con somma urgenza iniziative concrete che affrontino in modo efficace e immediato le vertenze che costituiscono la più ampia questione Sarda;
   se il Governo non intenda disporre, in base all'articolo 15 della convenzione con la Tirrenia, la revoca della stessa per manifesta inadempienza rispetto all'interesse pubblico con gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima e l'utilizzo di un contributo di 72 milioni di euro che appare sotto ogni punto di vista ingiustificabile e di dubbia legittimità, avviando procedure corrette di evidenza pubblica per la gestione della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   se non si intendano assumere iniziative con somma urgenza per revocare la limitazione a soli 9 mesi all'anno della tariffa unica per la continuità territoriale e disporre l'immediata attivazione di procedure al fine di estendere il regime di continuità territoriale anche su altre rotte da e per la Sardegna;
   se non si intenda dare continuità a quanto sostenuto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale relativamente alla realizzazione del metanodotto Sardegna Algeria, anche in considerazione dell'approvvigionamento sempre più problematico sia con la Libia che con la Russia, anche al fine di non favorire lobby diverse protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra con la distribuzione su gommato del gas;
   se il Governo non intenda attraverso iniziative normative urgenti arrivare alla definizione di un regime tariffario, attraverso la promozione di contratti bilaterali che norme funzionali all'attuazione di regimi di riequilibrio tariffario elettrico, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
   se il Governo non intenda, valutata la gravissima situazione, con il rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e con il pignoramento di migliaia di aziende agricole, predisporre una iniziativa normativa urgente che preveda un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
   se non ritenga il Governo di affrontare con una concreta iniziativa normativa la questione dell'insularità e l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato ridotto ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo documento di economia e finanza, dove la Sardegna, a giudizio degli interpellanti, è completamente omessa;
   se il Governo non intenda agire concretamente sulle questioni industriali della Sardegna, considerato che ad oggi nessuna di queste non solo non è stata risolta ma risulta gravemente compromessa, dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
   se il Governo non ritenga di dover attivare per Alcoa procedure analoghe a quelle adottate per l'Ilva, a partire dal riconoscimento strategico dell'alluminio primario e il conseguente riavvio commissariale degli impianti;
   se il Governo non ritenga di rimodulare le risorse dei vari piani infrastrutturali a favore del riequilibrio verso la Sardegna con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro mediterranea e interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
   se il Governo non ritenga urgente definire una apposita iniziativa normativa per la definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per definire concretamente la partita delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte Costituzionale per le quali il comportamento dello stesso Governo in carica è risultato a giudizio degli interpellanti inaccettabile;
   se non ritenga di dover predisporre iniziative concrete tese all'attuazione dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna con l'immediata dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;
   se il Governo non ritenga di dover far cessare, per quanto di competenza, la distruzione ambientale e naturalistica nelle aree militari della Sardegna e di dover predisporre un piano di riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   se non ritenga di adottare iniziative normative di rango costituzionale, nel rispetto delle procedure previste dall'ordinamento, volte a prevedere l'effettuazione di un referendum popolare, analogo a quello svoltosi in altri Paesi europei teso a sottoporre ai cittadini sardi il quesito circa la possibilità di un processo di conseguimento di più intense e significative forme di autodeterminazione.
(2-00969) «Pili, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   i fondi 2015 di città metropolitane e province sono calibrati su non più di 30 mila dipendenti, ma le persone in organico negli enti di area vasta sono ancora 48 mila perché la macchina dei trasferimenti a comuni, regioni e Stato non si è ancora avviata;
   era prevedibile che su questi dati sia stato lanciato l'allarme dalla Cgil, secondo cui gli stipendi dei dipendenti provinciali sarebbero «a rischio a partire dal prossimo mese di giugno»;
   il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha parlato di «allarme assolutamente infondato», mentre il Sottosegretario agli, affari regionali, Gianclaudio Bressa, ha assicurato la garanzia per i redditi di tutti i lavoratori provinciali ma la situazione sul territorio è diversa da ente a ente e, per tradurre in pratica le tutele fin qui ribadite in più occasioni dagli esponenti del Governo occorre un'accelerazione drastica del sistema della mobilità, che sarebbe dovuto partire già da mesi;
   la manovra da un miliardo di euro introdotta dalla legge di stabilità, che ha trovato la propria distribuzione definitiva solo nei giorni scorsi con l'ultimo accordo fra Governo e amministratori locali, è stata calcolata sull'idea che le province svolgano solo le funzioni loro assegnate dalla riforma Delrio, ma al momento così non è per ritardi accumulati sia dal Governo sia dalle regioni;
   nel 2014 stipendi e contributi dei dipendenti provinciali sono costati in tutto 1,9 miliardi, mentre quest'anno gli enti di area vasta dovrebbero fare tutto, servizi compresi, con 2,4 miliardi; solo le funzioni generali, cioè la macchina amministrativa, costa in media 1,2 miliardi l'anno, ma per il 2015 gli enti dovrebbero cavarsela con 400 milioni;
   per centrare l'obiettivo posto dalla legge di stabilità, occorrerebbe che le province si alleggerissero davvero del 50 per cento delle proprie spese di personale e delle funzioni che secondo la riforma Delrio non devono più svolgere, ma finora tutto è rimasto pressoché fermo;
   la prova l'abbiamo avanti agli occhi osservando il portale della mobilità che il Governo ha avviato nelle scorse settimane e che dovrebbe ospitare gli elenchi del personale in soprannumero, da trasferire ad altri enti: finora sono pochissime le province che hanno indicato gli esuberi, anche perché la nuova geografia delle competenze non è stata attuata dalle regioni;
   anche in Toscana, prima di approvare la propria legge attuativa della riforma, gli elenchi del personale da spostare devono essere ultimati e lo stesso, Sottosegretario Bressa nelle settimane scorse ha avviato una serie di confronti bilaterali con le regioni, nel tentativo di superare le resistenze, ma va ricordato che sette, regioni vanno al voto a fine maggio e, tranne la Toscana e poche altre eccezioni, difficilmente riusciranno a ultimare tutto prima dell'autunno;
   anche a livello centrale, la procedura ha incontrato parecchi ostacoli: il decreto con le tabelle di equiparazione, essenziale per disciplinare la mobilità fra i diversi comparti pubblici e quindi a spostare la quota di personale che deve finire allo Stato, non è ancora arrivato al traguardo;
   nonostante il suddetto decreto abbia ottenuto il via libera degli amministratori locali, è stata tuttavia sollevata una serie di osservazioni sulle garanzie di mantenimento di tutto il trattamento economico che secondo i sindacati sarebbe a rischio;
   come ha assicurato il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Madia, le osservazioni saranno «valutate», e «nessuno perderà gli stipendi e tutti continueranno ad avere un lavoro», sarà in ogni caso la Corte dei conti che dovrà dire l'ultima parola sulla registrazione del provvedimento –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto riportato, non intendano chiarire le fasi tecniche e i passaggi che permetteranno di realizzare il salvataggio dei dipendenti provinciali e di garantire loro la prosecuzione del loro rapporto di lavoro.
(2-00970) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, COMINARDI, PARENTELA, TERZONI, GALLINELLA, FRUSONE, L'ABBATE, BASILIO, BENEDETTI e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   riguardo ai 2700 operatori di polizia provinciale che lavorano nelle province e città metropolitane, attualmente coinvolti dalle disposizioni della legge 56 del 2014 e della legge di stabilità 190 del 2014, permane un quadro di assoluta incertezza, in capo alle attuali polizie provinciali, sull'assetto definitivo del personale e delle funzioni che si ricordano essere prevalentemente di campo ambientale e di tutela dei beni naturali;
   l'accordo in Conferenza unificata dell'11 settembre 2014 prevedeva la continuità amministrativa di questi servizi, in attesa dell'esito della riforma della pubblica amministrazione attualmente licenziata al Senato (disegno di legge delega 1577);
   la circolare 1/2015 dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e per gli affari regionali e le autonomie cita e prefigura ad avviso degli interroganti, in contrasto con l'accordo Stato – regioni – autonomie locali prima richiamato, e senza alcun supporto di nuove norme, non meglio dettagliati «percorsi di ricollocazione» di tali addetti, che menziona come esempio di «personale soprannumerario»;
   molte province si sono mosse in modo disomogeneo, in occasione della determinazione dei tagli del 50 per cento della spesa per le piante organiche, imposta dalla legge di stabilità 2015 (n. 190 del 2014); alcune hanno inserito la polizia provinciale tra il personale degli «affari generali» e/o mantenuto gli addetti negli elenchi delle funzioni fondamentali e/o piante organiche a regime; altre, come ad esempio la provincia di Viterbo con la delibera di giunta n. 25 del 27 febbraio 2015 poi seguita dalla n. 37 del 24 marzo 2015, hanno incluso i poliziotti provinciali in elenchi speciali di personale in soprannumero da destinare a percorsi di ricollocazione, citando pedissequamente la circolare ministeriale;
   le poche leggi regionali sinora emanate contengono prevalentemente articoli di rinvio all'esito della riforma statale della pubblica amministrazione, mentre la Conferenza delle regioni, con nota del 2 aprile 2015, richiede appositi stanziamenti statali per personale di polizia provinciale, sostenendo che lo Stato avrebbe avocato a sé la materia –:
   se intendano, nel limite delle proprie competenze, valutare il contenuto della circolare 1/2015 del 30 gennaio 2015 emanata dai Dipartimenti della funzione pubblica e degli affari regionali, allo scopo di apportare una correzione circa le incongruenze di tale documento con quanto deciso con l'accordo in Conferenza unificata dell'11 settembre 2014;
   quali siano le iniziative da adottare per garantire le attuali certezze lavorative del personale delle polizie provinciali e assicurare che la specializzazione professionale non venga dispersa in altre amministrazioni o per compiti non attinenti alla tutela ambientale. (5-05565)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI, BARONI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, TOFALO, DAGA e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 aprile 2015, si è appreso dai mass media che, a seguito di una delicata operazione a livello nazionale svolta dalla Digos di Sassari, sono stati arrestati numerosi presunti terroristi mediorientali fondamentalisti; due di loro, Khan Ridi e Awaz Azrat, erano residenti a Roma, presso una residenza/Onlus dei Gesuiti a via Astalli;
   il 18 aprile 2015 è andata in onda una trasmissione di Report su Raitre sul fenomeno grave e diffuso, investigato solo a Roma, della disponibilità di indirizzi «comodi» e fittizi; in origine, a soggetti senza fissa dimora era stata concessa dal Campidoglio la possibilità di registrarsi in un numero limitato di indirizzi, per esempio presso 19 Onlus ovvero a via Modesta Valenti; poi il fenomeno è degenerato, tanto è vero che presso tali indirizzi sono risultate registrate società di capitali e/o amministratori di società;
   il fenomeno di tali indirizzi fittizi crea un cuneo di intervento di svariate attività illegittime ovvero illegali in materia fiscale, in materia di schermatura dei proprietari veri di alcune imprese e in materia di occultamento di terroristi come dimostra il caso citato di via Astalli –:
   se il Governo, per quanto di competenza, stia monitorando la questione e abbia attivato delle procedure di accertamento su tali indirizzi fittizi, plausibili scudi di protezione per pericolosi terroristi, non solo a Roma ma anche in altri enti locali;
   se siano stati indagati altri plausibili meccanismi di occultamento di attività illecite con indirizzi fittizi, quali per esempio i numeri 0 di vie o piazze o una numerazione che vada ben al di là dei numeri civici realmente riscontrabili e quindi palesemente inesistente;
   se l'attuale normativa sia adeguata rispetto alla possibilità di nascondere attività illegali attraverso indirizzi fittizi, inizialmente concepiti da alcuni enti locali per i senza fissa dimora. (4-09149)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, si è recata l'11 maggio 2015 al Palazzo di Vetro a New York per convincere i 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla necessità di una rapida approvazione del piano dell'Unione europea di contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo;
   la diplomazia italiana è da giorni al lavoro con le cancellerie europee, e non solo, per ottenere il più ampio consenso possibile sulla bozza del piano che prevede, tra l'altro, «l'uso di tutti i mezzi per distruggere il modello di business dei trafficanti di esseri umani»;
   l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea ha denunciato come quello del flusso di migranti nel Mediterraneo «non» sia «solo un'emergenza umanitaria, ma anche una crisi di sicurezza» e come la situazione nel Mediterraneo sia «senza precedenti ed eccezionale» e per questo serva «una risposta eccezionale, immediata e coordinata»;
   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha dichiarato alla CNN che si augura che «il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotti la risoluzione proposta dai Paesi europei, basata sul capitolo VII della Carta dell'ONU», in quanto «fornirebbe una cornice di legalità internazionale per poter condurre operazioni mirate all'identificazione e distruzione delle imbarcazioni dei trafficanti di migranti prima che queste ultime partano»;
   l'Alto Rappresentante per la politica estera dell'Unione europea ha dichiarato che «da parte libica c’è la volontà di lavorare insieme alla Ue e alla comunità internazionale»;
   la Libia si è scagliata contro il piano europeo per contrastare l'immigrazione nel Mar Mediterraneo tramite l'ambasciatore di Tobruk alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi, che ha dichiarato alla BBC: «Il governo libico non è stato consultato dall'Unione europea» e «ci hanno lasciato all'oscuro delle loro intenzioni e del tipo di azioni militari che stanno per prendere nelle nostre acque territoriali» –:
   vista la molteplicità dei pareri espressi in diverse sedi, sia istituzionali che non, quale sia la posizione ufficiale e definitiva del Governo italiano sull'attuazione del piano dell'Unione europea di contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo. (5-05571)


   GRANDE, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SIBILIA, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Giovanni Lo Porto, un esperto volontario del mondo della cooperazione allo sviluppo, negli ultimi tempi attivo nella ONG tedesca Welt Hunger Hilfe, fu rapito il 19 gennaio 2012 in un'area della regione del Punjab, al confine tra Afghanistan e Pakistan, dove era andato con un collega tedesco, Bernd Muehlenbeck, per prestare assistenza di emergenza alle popolazioni di una zona rurale, la zona di Multan, che era stata pesantemente colpita da alluvioni. Il cooperante tedesco era stato successivamente separato da Lo Porto, per poi essere liberato in Afghanistan, dove è stato rilasciato il 10 ottobre 2014, alla periferia di Kabul;
   come è tragicamente noto, nella tarda serata del 21 aprile 2015 il Presidente degli Stati Uniti ha comunicato al premier italiano che, purtroppo, il connazionale Giovanni Lo Porto e il cooperante americano Warren Weinstein, professore di diritto ed economia dello sviluppo, rapito in Pakistan il 13 agosto 2011, avevano perso la vita a seguito di bombardamenti effettuati il 15 e il 19 gennaio 2015 da velivoli americani a pilotaggio remoto, i cosiddetti droni, in un'area, appunto, a ridosso del confine tra Pakistan e Afghanistan;
   dall'insediamento del Presidente Obama nel 2009, 2464 persone sono state uccise dai droni tra Pakistan, Afghanistan e Somalia tra i quali 314 civili, 454 attacchi (9 volte più del precedente Presidente G.W.Bush) avvenuti non in «zone di guerra»; tra il 2004 e il 2015 sono stati uccisi 200 bambini;
   a parere degli interroganti, vi sono almeno due punti poco chiari nella versione ufficiale fornita dal Governo italiano sull'uccisione di Giovanni Lo Porto nel corso dell'informativa urgente tenuta dal Ministro interrogato il 24 aprile 2015: le ragioni per le quali, mentre l'Italia si impegnava, nel corso del colloquio ufficiale tenutosi alla Casa Bianca il 17 aprile 2015, a rimanere al fianco dell'alleato in Afghanistan, il Presidente Barack Obama non abbia ritenuto di dover condividere con il premier Matteo Renzi ogni passaggio di quanto stava accadendo; ovvero, se invece ciò è accaduto, come mai il premier e il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni abbiano poi deciso di negarlo tanto da far ipotizzare una reticenza deliberata o, quantomeno, un tentativo d'insabbiare le responsabilità;
   tra l'altro, secondo il New York Times «i vertici dell’intelligence statunitense ebbero il più alto livello di certezza nel collegare le morti di Weinstein e Lo Porto all'attacco del drone. Obama tolse il segreto di Stato sull'episodio, ma non disse nulla al primo Ministro italiano in visita alla Casa Bianca»;
   occorrerebbe, a parere degli interroganti, istituire una commissione d'inchiesta, unico modo per restituire centralità al Parlamento e per confermare solidarietà alla famiglia e fare luce su quanto realmente accaduto, accertando quella verità che allo stato risulta ancora sconosciuta al Paese;
   inizialmente, per avere certezza che uno dei corpi resi irriconoscibili a seguito dei citati bombardamenti fosse quello del connazionale Lo Porto, era stata ipotizzata l'effettuazione di un esame comparativo del Dna per accertare che si trattasse proprio del suo corpo;
   secondo l'agenzia di stampa DIRE del 28 aprile scorso nella sede del COPASIR sarebbe emerso che a quel momento le forze Usa in Pakistan non avevano rinvenuto il corpo di Giovanni Lo Porto, né resti tali da consentire l'esame del dna. Per cui, di fatto, non c’è stata ancora l'identificazione diretta del cooperante italiano. Secondo la medesima fonte, nella stessa circostanza sarebbe altresì emerso che le forze Usa hanno ricostruito quanto accaduto nell'attacco del drone al compound in Pakistan, arrivando all'individuazione di Lo Porto «con ragionevoli certezze», sulla base degli elementi frutto della ricostruzione stessa;
   peraltro, manca una ricostruzione dettagliata dei vari passaggi che avrebbero portato all'identificazione del corpo dal momento che gli Stati Uniti non avrebbero agenti di terra in Pakistan e di chi abbia recuperato i resti e proceduto all'effettuazione delle analisi;
   anche su questo si sarebbe deciso di mantenere il segreto poiché rimane il dubbio su chi abbia fornito ai servizi segreti statunitensi il reperto per effettuare tale comparazione sul codice genetico e come mai nessuno nel nostro Paese ne sapesse nulla;
   infine, resta la questione non chiarita dei resti del corpo di Giovanni Lo Porto affinché vi si possa dare una degna e giusta sepoltura, come richiesto anche dai suoi genitori –:
   quali chiarimenti intenda fornire in ordine a quanto evidenziato in premessa soprattutto con riferimento a quanto già emerso nelle sedi parlamentari e come il Governo intenda attivarsi affinché venga riportata in Italia e restituita ai familiari la salma del giovane cooperante. (5-05572)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione kurda si batte sin dai primi momenti della guerra civile in Siria per la pace e per la costruzione di una società democratica e con uguali diritti per tutti;
   dal novembre 2013 le enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre hanno costituito la regione autonoma di Rojava nel Kurdistan siriano e si sono date una costituzione ed un'organizzazione con delle istituzioni riconosciute dalla popolazione;
   dal settembre scorso la città di Kobane ha vissuto un duro attacco da parte dei miliziani del Daesh; è stata liberata poi dalle forze di autodifesa del popolo kurdo (YPG, YPJ) nel gennaio di quest'anno, che hanno costretto le milizie islamiche ad evacuare la zona;
   la liberazione di Kobane è stata un esempio della lotta al Daesh, tuttavia la città, dopo l'assedio di oltre 130 giorni è pressoché totalmente distrutta mentre le forze di autodifesa continuano ad avanzare per liberare gli oltre 350 villaggi che erano stati conquistati dallo Stato islamico dall'offensiva del settembre scorso;
   la Regione del Rojava e la città di Kobane hanno urgente bisogno di aiuti umanitari ed un impegno concreto della comunità internazionale per la ricostruzione;
   intervenendo in aula alla Camera dei deputati, in risposta all'interpellanza urgente n. 2-00709, il Sottosegretario agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Mario Giro, affermava, tra le altre cose, che: «Per quanto riguarda la regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito di svolgere attività umanitarie internazionali. Dunque, è, intenzione della cooperazione effettuare, quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno, operazioni umanitarie anche a beneficio della popolazione civile della regione curdo-siriana (in particolare le altre due enclavi che, sappiamo, formano il Rojava) attraverso trasporti di generi di prima necessità da realizzare in collaborazione con la base di Brindisi dell'ONU o finanziando la realizzazione di iniziative a forte impatto sociale da parte delle agenzie del sistema ONU e della Croce Rossa Internazionale»;
   il Sottosegretario Giro faceva poi riferimento alle risorse aggiuntive già esistenti nel decreto missioni per la realizzazione di tali attività;
   la Regione del Rojava ha bisogno di risorse vitali per l'esistenza, quali acqua, medicinali e generi alimentari e materiali per la ricostruzione, e nonostante gli impegni della comunità internazionale e anche del nostro Paese, di fatto, assistiamo ad un embargo contro la popolazione kurda poiché non ci sono accessi alla regione;
   è urgente l'apertura di un canale umanitario per permettere l'invio di aiuti nella regione del Rojava –:
   quali iniziative il Governo italiano abbia intrapreso e intenda intraprendere per consentire le operazioni umanitarie e l'invio di aiuti alla popolazione curdo-siriana, in particolare nei confronti della Turchia per consentire l'apertura di un corridoio umanitario alla frontiera turco-siriana. (5-05573)


   LA MARCA e AMENDOLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella Circoscrizione consolare di Toronto, come in tutte le altre attualmente esistenti, sono state attivate le procedure elettorali previste per l'elezione dei Comitati italiani all'estero (COMITES) dal decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2012, n. 118, e dal successivo articolo 1 – comma 323 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 ed entrata in vigore il 1o gennaio 2015);
   nelle Circoscrizioni consolari presenti in Canada è la prima volta che si costituiscono i COMITES per elezione formale e diretta dei cittadini elettori, poiché nella precedente consultazione elettorale del 2004, per difficoltà intercorse nei rapporti con le autorità canadesi, essi furono costituiti per cooptazione consolare, sia pure dopo un'ampia e democratica consultazione;
   alla luce di questo precedente, nella Circoscrizione di Toronto gli esponenti locali più attivi della nostra comunità hanno inizialmente tentato di formare una lista unitaria, rappresentativa delle diverse sensibilità culturali e associative, tentativo che non ha avuto esito positivo per l'improvviso diverso orientamento di una componente che, a pochi giorni dalla scadenza prevista per la presentazione della lista, ha comunicato di voler procedere alla formazione di una lista propria;
   tale lista, contrassegnata come «Per l'Italia in cui crediamo», è risultata l'unica presentata entro i termini regolamentari, con il richiesto corredo di firme di sottoscrittori, ognuna delle quali risultava formalmente autenticata da un avvocato locale, Gregory G. Tucci, iscritto nella lista dei professionisti abilitati dal Consolato per tale operazione;
   dopo pochi giorni dalla presentazione della lista, un certo numero di sottoscrittori dichiaravano di non avere mai apposto la firma di sottoscrizione della lista davanti ad un notaio o funzionario a ciò abilitato, anzi di non essere nemmeno a conoscenza che per una tale operazione occorresse essere formalmente identificati tramite documento di riconoscimento e apporre la firma dinanzi a pubblico ufficiale;
   uno degli esponenti della componente esclusa dalla lista ufficialmente presentata, il Signor Mario Marra, ha dichiarato che, venuto a conoscenza di tali affermazioni, ha chiesto un appuntamento per un colloquio all'avvocato Gregory Tucci e si è recato personalmente nello studio dello stesso, dove lo ha trovato in compagnia del capolista della lista presentata, professionista associato allo stesso studio dell'avvocato Tucci, il Signor Marra avrebbe insistito per un dialogo riservato, nel corso del quale avrebbe riferito delle voci circolanti sulle autentiche delle firme, chiedendo con spirito collaborativo spiegazioni sul caso;
   il Signor Mario Marra, in ripetuti messaggi inviati a rappresentanti istituzionali, politici e alle stesse autorità diplomatiche e consolari italiane dichiarava di avere ricevuto come risposta dall'avvocato Tucci che di fronte a lui non si era presentato alcun sottoscrittore e che non aveva personalmente autenticato alcuna firma;
   lo stesso sottoscrittore della lista «Per l'Italia in cui crediamo», il Signor Gino Cucchi, autorevole esponente della comunità di Toronto e presidente del COMITES uscente, indirizzava al console italiano di Toronto Giuseppe Pastorelli, che presiede per legge il Comitato elettorale circoscrizionale, la seguente dichiarazione scritta: «Io Gino Cucchi, presidente del COMITES di Toronto, dopo aver fatto un'accurata meditazione, e facendo fede secondo la mia coscienza le devo annunciare che sono un sottoscrittore della lista «Per l'Italia in cui crediamo». Devo assolutamente confessarle che quando ho firmato il suddetto documento l'ho fatto senza la presenza di nessun notaio o avvocato, in quanto l'ho fatto a casa. In fede. Gino Cucchi, presidente del COMITES di Toronto»;
   nei giorni successivi, a tale dichiarazione se n’è aggiunta un'altra, sottoscritta da 6 persone risultanti tra i sottoscrittori della lista e indirizzata anche all'interrogante, che testualmente dice: «Le scriviamo per informarvi che, all'inizio del mese di ottobre 2014, abbiamo firmato un documento in sostegno della lista “Per l'Italia in cui crediamo”, per l'elezione del COMITES di Toronto. Siamo venuti a conoscenza che il documento da noi firmato, lo dovevamo firmare in presenza di un notaio o di un avvocato. Onestamente dobbiamo dirvi che il documento non lo abbiamo firmato né davanti a un avvocato né davanti ad un notaio. Noi riteniamo che le nostre firme siano invalide. Speriamo che queste informazioni vi possano aiutare a fare delle valutazioni a riguardo. Sinceramente». (Seguono 6 firme di sottoscrittori, corredate di data e indirizzo);
   gli elementi già acquisiti e a conoscenza delle autorità diplomatiche e consolari, in particolare del console di Toronto, che è anche il presidente del Comitato elettorale circoscrizionale, cui compete il controllo della regolarità delle operazioni di voto, consentono di rilevare le gravi e insanabili irregolarità inerenti alla presentazione della lista «Per l'Italia in cui crediamo», che di fatto è l'unica lista concorrente in quella circoscrizione;
   le vicende che hanno accompagnato la formazione e la presentazione delle liste, nonché lo svolgimento della campagna elettorale, hanno creato una situazione di acuta tensione in una delle comunità più attive ed importanti del nord America, abituata per altro ad una gestione unitaria del suo organismo di rappresentanza, una lacerazione che meriterebbe un approccio non formalistico e burocratico dei rappresentanti dell'amministrazione italiana, ma un'assunzione di responsabilità volta al sostanziale rispetto della legge e a riportare la serenità e il dialogo all'interno della comunità;
   il persistere di polemiche e tensioni per fatti di evidente irregolarità rischia di dare una rappresentazione deformata e non giusta alle autorità locali, che solo dopo lunga trattativa e non senza perplessità e remore hanno questa volta autorizzato lo svolgimento di operazioni elettorali sul proprio territorio, e che potrebbero essere indotte per il futuro a ritirare la loro disponibilità in tal senso –:
   quali determinazioni intenda sollecitare alla nostra rappresentanza diplomatico-consolare in ordine al caso del professionista che ha dichiarato di non avere mai proceduto alle operazioni di legalizzazione delle firme, il cui visto risulta comunque in calce alle 203 firme presentate nonostante la formale dichiarazione contraria, per ora, di 7 sottoscrittori, anche allo scopo di riportare la serenità e ripristinare lo spirito di collaborazione di cui la comunità italiana di Toronto ha dato prova finora, nonché di evitare che le autorità canadesi  percepiscano un'immagine distorta della vita degli istituti di rappresentanza delle comunità italiane e dei momenti di partecipazione democratica che il nostro ordinamento assicura ai cittadini italiani residenti all'estero.
(5-05574)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni, nei pressi del bosco della Manferrara di proprietà comunale in territorio di Pomarico si segnalano abbattimenti di alberi di alto fusto;
   si tratta di querce secolari tagliate nel pieno della primavera, cosa che determina un grande sconvolgimento all'intero ecosistema;
   si tratterebbe di tagli programmati, ma è evidente che il periodo dell'anno scelto non è il più adatto e soprattutto quello che colpisce è il profilo delle piante scelte per l'abbattimento;
   alcune associazioni e cittadini hanno avvertito le autorità competenti, quali Corpo forestale dello Stato, Carabinieri e vigili urbani determinando uno stop temporaneo;
   l'attività di taglio è ripresa ad inizio della settimana dell'11 maggio 2015;
   il bosco in questione rappresenta un polmone verde unico nell'ambito della collina materana ed è oggetto soprattutto nei periodi estivi di attacchi piromani e necessiterebbe di una maggiore e più adeguata tutela –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di verificare quanto sta accadendo nei pressi del suddetto bosco e se in tale circostanza vi siano i presupposti per l'applicazione della disciplina di cui alla legge n. 10 del 2013 e del relativo regolamento attuativo. (4-09147)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sulla stampa locale si è appresa la notizia della chiusura del Cine — Teatro Duni, perché la gestione è diventata onerosa e perché la struttura necessita di interventi di messa a norma e di adeguamento;
   inaugurato nel 1949, su un progetto di Ettore Stella promettente giovane architetto materano e realizzato da imprenditori privati, il teatro, con una capienza di 1.200 posti, appartiene alla storia e cultura materana, un edificio di architettura avanguardistica, uno scrigno immenso perfettamente inglobato nel tessuto urbanistico del centro città;
   il cinema teatro Duni, dedicato al grande compositore materano del ’700 Egidio Romualdo Duni, appartiene al patrimonio della cultura e dell'architettura nazionale. Accuratamente fotografato da Vasari, è stato recensito su diverse riviste di settore da L'Architectures d'Aujourd'hui a Domus, da Metron a Casabell;
   Matera proprio ora che deve sostenere il ruolo di Capitale della Cultura 2019 si ritrova senza la sua più grande sala teatrale nel suo più importante momento di gloria e riscatto internazionale. Nella città ci sono solo due sale cinematografiche (una, il comunale, può essere adibito a palcoscenico ma non è la sua funzione) ed auditorium;
   è di fondamentale importanza per Matera avere un contenitore culturale di prestigio, un palcoscenico adeguato, con una buona acustica, uno spazio per la divulgazione della cultura e per la preparazione degli artisti, elementi importanti da cui non si può prescindere per la città capitale europea della cultura 2019 –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere per procedere alla dichiarazione dell'interesse culturale della struttura ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 e per assicurare d'intesa con gli enti locali, la sopravvivenza e il rilancio culturale del teatro. (3-01487)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 32o reggimento genio guastatori alpino attualmente di stanza nella caserma Cavour di Torino verrà trasferito a Fossano nella caserma Carlo Alberto Dalla Chiesa;
   risulta all'interrogante che un primo contingente di genieri alpini sia già stato inviato nella caserma di Fossano, già sede di un battaglione allievi carabinieri, per adattarla alle esigenze del reggimento;
   tale sede risulta priva di idoneità alla funzione di un reggimento genio per motivazioni che vanno: dall'ingresso non praticabile ai mezzi pesanti del genio, la non presenza all'interno della struttura di una mensa che quindi comporta lo spostamento giornaliero dei militari nella caserma a fianco (1o Artiglieria terrestre) per il pranzo. Il tutto avviene in tempi che vanno dalle 11:30 alle 14:30, una sola palazzina idonea all'uso, nessuna infermeria è presente se non quella del reggimento vicino e nessuna ditta di pulizie è presente ad oggi con tutto quello che comporta questo nel mancato rispetto delle norme igieniche;
   contrariamente a quanto avviene per altre unità per le quali sono previsti o attuati spostamenti di sede, il dipartimento impiego del personale dello Stato maggiore dell'Esercito non ha inviato al 32o reggimento una commissione per raccogliere i desiderata dei militari coinvolti nel trasferimento rispetto a possibili destinazioni alternative in considerazione di specifiche esigenze;
   il mancato rispetto di questa prassi ha naturalmente creato disagio e allarme tra i militari del 32o tenendo conto che i primi ordini di trasferimento sono già arrivati a dicembre 2014 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   per quale motivo il 32o reggimento genio non sia stato visitato dalla delegazione di SMEDIPE in preparazione del suo prossimo trasferimento contrariamente a quanto previsto e fatto per altre unità;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover dare immediate disposizioni affinché la consultazione del personale dei reparti da trasferire avvenga sempre con adeguato anticipo da parte dei rispettivi Stati maggiori. (5-05566)


   PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti, già firmatari dell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02587 dell'8 aprile 2014, avevano chiesto al Ministro della difesa di sospendere gli addebiti nei confronti i del personale militare dell'Aeronautica delle somme percepite a titolo di compenso forfettario d'impiego (CFI) in attesa di conoscere l'esito della procedura del raffreddamento dei conflitti prevista dal decreto legislativo n. 195 del 1995, articolo 8, comma 3, come richiesto dal COCER, massimo organo della rappresentanza del personale dell'Aeronautica militare;
   il 12 giugno 2014, il Sottosegretario di Stato alla difesa, Gioacchino Alfano, rispondendo all'interrogazione affermava come «[...] le attività poste in essere dall'amministrazione corrispondono ad azioni vincolate volte a dare seguito ai rilievi ispettivi posti da ISPEDIFE e a scongiurare eventuali danni erariali in relazione al mancato recupero di somme corrisposte in difetto dei presupposti di legge, secondo i principi propri dell'azione amministrativa», concludendo che «[... non sussistono i presupposti, di fatto e di diritto, per assumere le iniziative indicate nell'atto, salvo ed impregiudicato ogni diverso esito derivante dalle procedure di raffreddamento del conflitto»;
   risulta agli interroganti che, nonostante il Cocer dell'Aeronautica militare con la delibera n. 1 del 5 marzo 2014 allegata al verbale di riunione n. 75/2014/XI ed approvata all'unanimità abbia chiesto l'avvio della procedura di raffreddamento dei conflitti, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 195 del 1995, al fine di adire il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione per l'esame della controversa questione interpretativa e che il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica abbia inviato allo Stato Maggiore della difesa la pratica, il Ministro interrogato non abbia ancora provveduto ad attuare la specifica procedura, benché sia trascorso oltre un anno dalla deliberazione del Cocer –:
   se il Ministro della difesa abbia trasmesso, attraverso le articolazioni preposte, la pratica al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione per l'avvio della procedura di raffreddamento dei conflitti, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 195 del 1995, come richiesto dal Cocer dell'Aeronautica militare;
   qualora sia stata regolarmente ricevuta, quali siano le motivazioni per le quali il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione non abbia ancora dato seguito agli obblighi derivanti dall'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 195 del 1995 che impongono la trattazione entro trenta giorni dalla formale richiesta. (5-05585)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   dopo i segnali di ripresa evidenziati nell'ultimo trimestre del 2014, nel 2015 l'economia italiana, uscendo dalla recessione, si avvia a una fase ciclica espansiva determinata da fattori sia di natura esogena, dovuti al favorevole andamento di alcune variabili internazionali, sia legati alla domanda interna, connessi con la politica economica del Governo;
   tuttavia, per garantire che l'impulso impresso alla domanda si traduca in una crescita durevole, occorrono riforme nel campo del finanziamento delle imprese che incidano sulla capacità dell'economia di rispondere ai cambiamenti strutturali;
   le misure di politica monetaria adottate dalla Banca centrale europea (BCE) nel corso degli ultimi anni, in particolare la riduzione dei tassi d'interesse, l'incremento della liquidità per gli intermediari condizionata al finanziamento di attività produttive, nonché, da ultimo, l'avvio del programma di acquisto di titoli di Stato Quantitative Easing, stanno contribuendo a rafforzare le condizioni di liquidità delle banche italiane e a incrementare l'erogazione di prestiti al settore privato, una condizione fondamentale per la ripresa dell'economia;
   la crisi, tuttavia, ha lasciato un'eredità molto pesante in termini di crediti inesigibili da imprese uscite dal mercato o in gravi difficoltà, che appesantiscono i bilanci bancari e limitano la capacità di erogare nuovi finanziamenti; dal 2008 al 2014 i crediti deteriorati dell'intero sistema bancario sono aumentati da 131 a 350 miliardi di euro e la loro incidenza sul complesso dei prestiti è salita di circa 12 punti percentuali, al 17,7 per cento, come riporta l'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato dalla Banca d'Italia;
   tale questione costituisce un elemento fondamentale da affrontare tempestivamente per poter completare l'uscita dell'economia dalla fase di crisi finanziaria; tra le possibili soluzioni per alleggerirei bilanci bancari dall'eccessivo e crescente peso dei crediti deteriorati, «un intervento diretto dello Stato che, nel rispetto della disciplina europea sulla concorrenza, favorisca lo sviluppo di un mercato secondario di queste attività potrebbe contribuire a liberare risorse di cui beneficerebbero in primo luogo le imprese», come ricordato dal Governatore della Banca d'Italia Visco in un convegno tenutosi nel marzo 2015;
   alcuni Paesi europei hanno già adottato soluzioni per la gestione delle sofferenze bancarie, che si sono rivelate di particolare efficacia laddove sono riuscite a ristabilire la fiducia nel sistema finanziario attraverso la creazione di una struttura in grado di recuperare effettivamente i crediti deteriorati, come in Gran Bretagna (con la proprietà del veicolo esclusivamente in mano pubblica), e in Spagna e Irlanda (anche con il coinvolgimento dell'azionariato privato);
   un possibile ostacolo allo sviluppo di misure analoghe in Italia è costituito dalla compatibilità con le regole europee in materia di aiuti di Stato, divenute più restrittive dal 2013;
   su questa prospettiva si è tenuto il 23 aprile 2015 un incontro a Bruxelles tra il Ministro Padoan e la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, nel quale sembrerebbero essere emerse prospettive incoraggianti; recentemente la commissaria ha ribadito che la Commissione si fa forte della sua esperienza «nella definizione delle misure per gli asset bancari deteriorati attuate in altri Stati membri per aiutare le autorità italiane a individuare la strada più appropriata per fronteggiare la situazione», specificando di non aver preso alcuna decisione formale in relazione alla compatibilità con le regole sugli aiuti di Stato, non avendo finora ricevuto una notifica formale da parte del nostro Paese;
   durante un'audizione al Senato tenutasi il 5 maggio 2015 il Ministro ha anticipato alcuni dettagli tecnici in merito alle possibili modalità di attuazione di un mercato dedicato ai crediti deteriorati, con l'eventuale utilizzo di una garanzia statale, e l'adozione di misure per accelerare le procedure fallimentari –:
   quale sia lo stato dell'interlocuzione in corso con gli organi europei e quali le ipotesi di attuazione, in vista dell'eventuale adozione delle annunciate iniziative finalizzate alla realizzazione di un meccanismo di gestione dei crediti bancari deteriorati.
(2-00962) «Martella, Causi, Ginato».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2002, n. 101, è stato disciplinato il mercato elettronico della pubblica amministrazione, il cui regolamento di esecuzione e di attuazione è stato previsto con il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207;
   è un mercato digitale in cui le amministrazioni abilitate possono acquistare, per valori inferiori alla soglia comunitaria, i beni e servizi offerti da fornitori abilitati a presentare i propri cataloghi sul sistema;
   Consip definisce con appositi bandi le tipologie di beni e servizi e le condizioni generali di fornitura, gestisce l'abilitazione dei fornitori e la pubblicazione e l'aggiornamento dei cataloghi. Accedendo alla vetrina del mercato elettronico o navigando sul catalogo prodotti, le amministrazioni possono verificare l'offerta di beni e/o servizi e, una volta abilitate, effettuare acquisti online, confrontando le proposte dei diversi fornitori e scegliendo quella più rispondente alle proprie esigenze;
   con la risoluzione del 16 dicembre 2013 n. 96/E, l'Agenzia delle entrate, rispondendo ad un'istanza di interpello in merito all'applicazione dell'imposta di bollo, ha chiarito che le offerte e le accettazioni di beni e/o servizi effettuate all'interno del mercato elettronico della pubblica amministrazione sono soggette all'imposta di bollo, ai sensi dell'articolo 2 della tariffa, parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, solamente laddove vi sia la stipulazione del contratto secondo l'Agenzia delle entrate, infatti, «l'articolo 328 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, prevede espressamente al quinto comma che “Il contratto è stipulato per scrittura privata, che può consistere anche nello scambio dei documenti di offerta e accettazione firmati digitalmente dal fornitore e dalla stazione appaltante”». Pertanto, partendo dal presupposto che «lo scambio di documenti digitali tra i due soggetti concretizza una particolare procedura prevista per la stipula di detta scrittura privata», l'ordine inviato dall'amministrazione al fornitore attraverso la piattaforma si configurerebbe come un vero e proprio contratto, in quanto ne contiene tutti gli elementi essenziali; la risoluzione conclude specificando che l'imposta di bollo è a carico del fornitore, e che le amministrazioni sono tenute ad assicurare il rispetto delle norme che prevedono il pagamento dell'imposta;
   a seguito della risposta resa dall'Agenzia delle entrate, le amministrazioni pubbliche hanno richiesto ai fornitori la consegna cartacea degli ordini di acquisti conclusi telematicamente con l'applicazione dell'imposta di bollo di 16,00 euro ogni quattro facciate;
   l'applicazione dell'imposta sugli ordini del mercato elettronico della pubblica amministrazione ha appesantito ulteriormente la pressione fiscale delle aziende fornitrici, che in alcuni casi non riescono nemmeno a recuperare il costo complessivo di produzione o di gestione del bene fornito; ciò soprattutto per le imprese di minore dimensione soggetti all'applicazione di prezzi meno concorrenziali;
   per di più, l'applicazione dell'imposta di bollo non genera nemmeno un rilevante gettito per lo Stato: considerato che il valore dell'imposta di bollo (16,00 euro ogni quattro facciate) ed il numero dei soli ordini di acquisti attualmente ad oggi emessi (circa 2 milioni), il gettito stimabile ammonterebbe a poco più di 50 milioni di euro;
   per di più, si evidenzia come a decorrere dal 4 maggio 2015, il numero verde 800.906.227 del call center di AcquistinretePA, mutato in previsto per le esigenze informative, risulti addirittura a pagamento, con ulteriore aggravio economico delle aziende;
   è da considerare poi che l'introduzione del sistema dello split payment, seppure utile a prevenire fenomeni di evasione fiscale, ha di fatto generato una carenza di liquidità per le imprese oltre ad una «fuga» delle medesime verso Paesi che non prevedono tale modalità pagamento –:
   se confermi l'orientamento espresso dall'Agenzia delle entrate nella risoluzione del 16 dicembre 2013 n. 96/E e se intenda intraprendere iniziative volte a prevedere l'esenzione dall'imposta di bollo dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione attraverso il mercato elettronico della pubblica amministrazione, o altre e diverse forme di compensazione, nonché a ripristinare la gratuità di tutti i numeri verdi del call center AcquistinretePA, utile alle imprese per ottenere informazioni in merito alle forniture e all'utilizzo del mercato elettronico della pubblica amministrazione. (5-05567)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per l'anno 2014 prevede, all'articolo 1, comma 677, che ogni comune può determinare l'aliquota della TASI rispettando in ogni caso un vincolo in base al quale la somma delle aliquote della TASI e dell'IMU per ciascuna tipologia di immobile non sia superiore all'aliquota massima consentita dalla legge statale per l'IMU al 31 dicembre 2013, e fissata al 10,6 per mille e ad altre minori aliquote; la stessa norma dispone che per l'anno 2014, l'aliquota massima della TASI non può eccedere il 2,5 per mille;
   l'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 16 del 2014 (cosiddetto «Decreto Bonus 80 euro»), ha aggiunto alla suddetta previsione che, al fine di assicurare ai comuni un maggior spazio finanziario, per lo stesso anno 2014, nella determinazione delle aliquote TASI possono essere superati i limiti stabiliti per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille, a condizione che siano finanziate, relativamente alle abitazioni principali ed alle unità immobiliari ad esse equiparate, detrazioni d'imposta o altre misure, tali da generare effetti sul carico di imposta TASI equivalenti o inferiori a quelli determinatisi con riferimento all'IMU relativamente alla stessa tipologia di immobili;
   dal combinato disposto delle suddette disposizioni, confermato anche per l'anno 2015, risulta che la TASI sulle abitazioni principali può raggiungere al massimo il 3,3 per mille, mentre sugli altri immobili, la somma di IMU e TASI non può superare l'11,4 per mille;
   con la legge di stabilità per l'anno 2015, all'articolo 1, comma 697, viene altresì confermata la possibilità di superare i suddetti limiti relativi all'aliquota massima della TASI ed alle aliquote massime di TASI e IMU per gli «altri immobili» per un ulteriore 0,8 per mille complessivo, ripartibile a discrezione del comune tra abitazione principale ed altri immobili, condizione che siano finanziate detrazioni di imposta o altre misure tali da generare effetti sul carico da imposta TASI equivalenti o inferiori a quelli determinatisi con riferimento all'IMU relativamente alla stessa tipologia di immobili;
   la medesima legge di stabilità 2015 ha disposto, per il medesimo anno, a carico dei comuni mancati trasferimenti di risorse per un importo pari a 1,5 miliardi di euro ai quali occorre aggiungere il mancato trasferimento dei circa 625 milioni di euro riconosciuto ai comuni per il solo 2014 al fine di ridurre l'impatto, sui bilanci degli stessi, del gettito della TASI sull'abitazione principale; è pertanto facile prevedere che gli stessi comuni per assicurare ai propri concittadini i medesimi livelli dei servizi saranno costretti ad agire con la leva fiscale ritoccando all'insù le aliquote di IMU e di TASI o riducendone le relative detrazioni;
   Con la circolare 29 luglio 2014 n. 2/DF, il Ministero dell'economia e delle finanze ha inteso chiarire che i comuni hanno ampia autonomia nel determinare l'aliquota della TASI, purché si rispettino dei limiti e che la maggiorazione può essere ripartita in misura non uguale tra tali due limiti o, di contro, non essere utilizzata per alcune fattispecie;
   quanto premesso dimostra che nella determinazione delle aliquote alle amministrazioni comunali è riconosciuta ampia discrezionalità nella gestione della leva fiscale e che la stessa potrebbe essere utilizzata anche, ad esempio, per incentivare o disincentivare iniziative economiche o comportamenti –:
   se ritenga possibile introdurre aliquote differenziate per esercenti che detengano o meno all'interno del loro locale apparecchiature destinate al gioco d'azzardo. (5-05568)


   BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Milano ha chiuso in aprile l'inchiesta aperta nei confronti dei legali rappresentanti del Monte dei Paschi di Siena per il reato di false comunicazioni all'assemblea e del reato di manipolazione di mercato per l'operazione di ristrutturazione dei cosiddetti derivati «Alexandria»;
   dai documenti si legge che: «per effetto della struttura contrattuale adottata, nel bilancio BMPS al 31 dicembre 2009, contabilizzavano le diverse componenti dell'operazione di finanza strutturata sopra descritta disgiuntamente, allocandole in portafogli diversi, omettendo una rappresentazione unitaria delle stesse che consentisse di coglierne l'effettiva sostanza economica di credit default swap, secondo i princìpi internazionali IAS/IFRS, in base ai quali la sostanza deve prevalere sulla forma contrattuale adottata». In particolare i 3,5 miliardi di BTp oggetto dell'operazione con Nomura venivano appostati sotto la voce «attività disponibili per la vendita» quindi come asset nella disponibilità della banca mentre secondo i pm questi asset erano «solo figurativi»;
   nel marzo 2012, gli ispettori di Banca d'Italia scrissero che: «lo schema dei flussi di cassa della complessiva struttura, può essere definita in breve struttura BTp 2034, replica quello di una posizione short in un cds, in cui Mps vende protezione sul rischio Italia a Nomura su un nozionale di 3,05 miliardi dietro la corresponsione di un premio annuale di 44 punti base». Inoltre, sempre gli stessi ispettori, analizzando sotto un profilo contabile l'operazione, rilevano che «i titoli BTp 2034 sono stati iscritti nel portafoglio Afs (asset for sales), il pepo è stato iscritto come debito verso le banche e contabilizzato a costo ammortizzato, così come il cash collateral. Quanto agli Irs (interest rate swap) sono stati contabilizzati come derivati di copertura sul rischio di tasso» ed aggiungono che «l'operazione nel suo complesso si sostanzia in un derivato creditizio. E di norma i derivati di credito sono iscritti (in bilancio) nel portafoglio attività finanziarie di negoziazione e le variazioni del fair value sono rilevate nel conto economico. L'azienda ha invece contabilizzato le diverse componenti dell'operazione (...) allocandole in diversi portafogli» anticipando di fatto le determinazioni della procura di Milano;
   la Banca ha rivelato che se le operazioni con Nomura e Deutsche Bank fossero state riconosciute come derivati, la massima perdita possibile (cosiddetta Value at Risk of Var) in un giorno sarebbe stata di euro 81 milioni nel 2014 e euro 163 milioni nel 2013 ovvero ben al di sopra dei valori ufficialmente dichiarati nel bilancio 2014 (euro 6 milioni) e 2013 (euro 9 milioni);
   gli impegni sottoscritti dall'Italia con la Commissione europea nel novembre 2013 a fronte dell'approvazione degli aiuti di Stato a MPS, imponevano che la Banca non superasse un livello di rischio nell'attività di trading in media di euro 10-20 milioni (Recital 67 della EC Decision C(2013) 8427 final of 27th of November 2013), limite che è con tutta evidenza superato per valori multipli;
   la Goldman Sachs ha dichiarato un livello di rischio (VAR) di USD 51 milioni nel 2014 e USD 63 milioni nel 2013. Da ciò si deduce che MPS, pur avendo una struttura di capitale relativamente debole al punto da richiedere un nuovo aumento di capitale appena approvato dai soci (3 miliardi) e pur dovendo ancora restituire 1 miliardo di euro di aiuti di Stato, ha posizioni speculative di rischio ben superiori a quelle della Goldman Sachs;
   la normativa vigente imputa alla Consob il controllo sull'esattezza delle informazioni riportate, la Banca d'Italia ha invece il potere di chiedere al Ministero dell'economia e delle finanze e delle finanze il commissariamento della banca per illeciti amministrativi;
   banca Monte Paschi di Siena ha annunciato la volontà di lanciare un aumento di capitale pari a 3,0 miliardi di euro, ma senza correzione dei bilanci gli investitori potrebbero ritrovarsi a sottoscrivere l'aumento esponendosi a nuove perdite ingenti;
   nel rispetto del principio della presunzione di innocenza, se le imputazioni dei procuratori di Milano si dimostrasse vere, allora tutti i bilanci successivi sarebbe afflitti dal medesimo vizio;
   la Monte Titoli spa è una società per la custodia e l'amministrazione accentrata dei titoli al portatore e nominativi quotati in borsa nata per avere un deposito unico degli strumenti finanziari di diritto italiano;
   poiché l'informazione sull'inesistenza dei titoli BTP apparentemente facenti parte dell'operazione Alexandria non è provenuta da Consob o Banca d'Italia, né alcuna segnalazione di anomalia o violazione di norme giuridiche è stata da loro segnalata, appare verosimile ritenere che i magistrati abbiano appreso la notizia dell'inesistenza dei BTP direttamente da Monte Titoli;
   la Consob avrebbe potuto verificare i reati commessi nell'area finanza del Monte dei Paschi di Siena perché denunciati in un esposto anonimo inviato alla vigilanza dei mercati nell'agosto del 2011 e diffuso dalla trasmissione «Report»; ma la notizia non ha indotto la Consob a svolgere approfondimenti, eventualmente verificando con Monte Titoli l'effettività della loro esistenza;
   la Consob non ha chiesto alcuna verifica a Monte Titoli neanche quando Nomura ha dichiarato ai magistrati tramite propri rappresentanti che i BTP non esistono;
   il Presidente della Consob Vegas ha posto in essere in poco meno di quattro anni sei riordini organizzativi censurati ripetutamente e su diversi aspetti dal giudice amministrativo (confronta la Sentenza n. 06165/2012 del 6 luglio 2012, Sentenza n. 03309/2014 del 26 marzo 2014, Ordinanza n. 02622/2013 del 4 luglio 2013, Sentenza n. 03909/2015 del 9 marzo 2015, Sentenza n. 03925/2015 del 9 marzo 2015, Sentenza n. 00842/2014 del 20 febbraio 2014, Sentenza n. 11225/2014 del 10 novembre 2014) nonché all'attenzione dell'Autorità Giudiziaria (R.G. 49879/2014) attraverso i quali ad avviso dell'interrogante sono state accentrate le decisioni, è stata ridotta la collegialità, sono state effettuate assunzioni a chiamata diretta e alterato l'ordinamento funzionale ed organizzativo dell'istituzione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti e, nell'eventualità positiva, quali iniziative strutturali intenda porre in essere al fine di scongiurare il ripetersi di simili episodi, per evitare ripercussioni sulla stabilità anche delle finanze pubbliche, il legittimo affidamento dei clienti degli istituti bancari e se non ritenga opportuno novellare la disciplina delle due autorità amministrative indipendenti al fine di indurre ad una migliore sorveglianza la dirigenza, eventualmente prevedendo nuove e più efficaci forme di responsabilità tenendo in massimo conto la particolare natura delle stesse e l'esigenza di indipendenza rafforzata di cui le istituzioni godono nei confronti di tutti i poteri e istituzioni dello stato. (5-05569)


   CAUSI e MORANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca d'Italia detiene un sistema di raccolta dei dati inerenti le esposizioni bancarie dei clienti per affidamenti oltre una certa soglia e di coloro che risultano incapaci di far fronte ai debiti verso il sistema bancario per qualsiasi tipo di finanziamento;
   queste informazioni sono rese disponibili agli istituti di credito per la valutazione dell'affidabilità dei richiedenti prestiti di qualsiasi genere escludendo così coloro che vengono ritenuti «cattivi pagatori»;
   per inadempimenti di lieve entità, in Italia operano altri sistemi di rilevazione centralizzata dei rischi di natura privata chiamati «Sistemi di informazioni creditizie» (SIC) e il loro funzionamento è disciplinato e dal codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti (nella Gazzetta Ufficiale 23 dicembre 2004, n. 300) emanato ai sensi dell'articolo 117 del testo unico sulla privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003);
   accade spesso che il cliente della banca, dopo aver sanato tutti i debiti con il soggetto finanziario, si veda continuare a negare l'accesso al credito per effetto della persistenza della segnalazione nelle banche dati;
   per la Centrale rischi della Banca d'Italia gli intermediari finanziari possono consultare le informazioni al massimo per gli ultimi 36 mesi, tuttavia le informazioni storiche presenti negli archivi della centrale dei rischi non vengono cancellate e possono essere consultate dagli intermediari che vi aderiscono, anche se con precise limitazioni;
   con l'acuirsi della crisi economica degli ultimi anni si è registrato un notevole incremento delle segnalazioni pregiudizievoli tra l'altro anche di soci di aziende fallite o in concordato, di garanti di società in contestazione giudiziaria con il sistema bancario e altro;
   gli effetti pregiudizievoli di tali segnalazioni sembrerebbero coinvolgere almeno 30 milioni di persone, escluse da ogni forma di finanziamento bancario: carte di credito; apertura di un conto corrente; mutui e altro;
   ciò precluderebbe a tali soggetti ogni possibilità di avviare un'attività di commercio e/o artigianale, pregiudicando le politiche di sviluppo messe in atto da l'attuale Governo e rallentando la ripresa economica e occupazionale del Paese;
   sarebbe quanto mai opportuno conoscere i dati a disposizione del Ministero riguardanti il numero delle segnalazioni presso le centrali dei rischi operanti in Italia che attualmente precludono l'accesso al credito per milioni di soggetti –:
   quali iniziative anche normative intenda adottare affinché si giunga alla cancellazione di tutte le segnalazioni sia sulle centrali rischi pubbliche sia su quelle private una volta che siano definiti, anche giudizialmente, i rapporti con il sistema bancario da parte dei debitori. (5-05570)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro della salute, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2015 un incendio ha distrutto il Terminal 3 dell'aeroporto «Leonardo Da Vinci» di Fiumicino che, oltre ad aver causato numerosi danni materiali, voli cancellati e ritardi sulle partenze, ha reso praticamente inagibile il suddetto Terminal, creando di conseguenza numerosi disagi ai passeggeri in transito;
   la situazione allo scalo di Fiumicino sembrerebbe che stia tornando sempre più verso la normalità, grazie anche ad una task force di circa 500 addetti di Aeroporti di Roma e di 150 di Alitalia che prosegue senza sosta in tutti i punti dello scalo, interni ed esterni, nei tunnel di collegamento e alla stazione ferroviaria per dare assistenza ai passeggeri;
   a quanto si apprende dagli organi di stampa, al Terminal 3, alcuni operatori aeroportuali continuano a girare con mascherine anti smog per coprire naso e bocca a causa della cattiva aria che ancora si respira all'interno del Terminal incendiato;
   l'allarme lanciato dalle organizzazioni sindacali riguarda proprio il tema relativo alla sicurezza dei dipendenti dal momento che, nelle ultime ore, molti passeggeri e dipendenti hanno accusato dei malori per i quali è stato necessario l'intervento delle ambulanze;
   un articolo pubblicato l'11 maggio 2015 sul quotidiano online fiumicino.romatoday.it riporta la seguente dichiarazione di un'organizzazione sindacale: «Le autorità hanno dato indicazione ai dipendenti di uscire nelle aree esterne ogni ora, per quindici minuti, a causa delle polveri sottili che circolano nell'aria e gli aeratori spenti perché non sanificati e riattivati»;
   a parere degli interpellanti tale affermazione desta molta preoccupazione rispetto alle condizioni in cui vivono i dipendenti e i viaggiatori all'interno del Terminal 3 e dell'intera area aeroportuale e sarebbe opportuno che tutti gli organi preposti facessero chiarezza al più presto sulle condizioni di vivibilità all'interno dell'intero aeroporto e si attivassero per porre sia i dipendenti che gli utenti in sicurezza per la tutela della salute, verificando altresì che tutti gli impianti dell'Aeroporto Leonardo Da Vinci siano in sicurezza;
   sostare in un ambiente in cui vi sono ancora presenti dei fumi e fuliggine nell'aria, in molti casi senza neanche le protezioni previste dalle normative non è raccomandabile, specialmente finché non si avrà la certezza sulla tipologie di sostanze che l'incendio ha sparso nell'aria e se esse sono dannose o meno per la salute, con particolare attenzione alla eventualità che possa essere presente dell'amianto nelle strutture coinvolte nell'incendio ma anche in quelle attigue di tutta l'area dell'aeroporto;
   occorre evitare che si compia una grave violazione delle norme di sicurezza e di tutela del personale aeroportuale e dei viaggiatori e che si verifichi un danno imminente alla salute, conseguente al deposito delle polveri sottili nelle vie aeree ed è necessario venire incontro alle difficili condizioni di lavoro del personale che opera nell'aerostazione a causa dei danni provocati dall'incendio –:
   se e con quali strumenti il Governo stia intervenendo rispetto a quanto espresso in premessa;
   se il Governo non intenda attivarsi, per quanto di competenza, affinché si proceda al controllo della qualità dell'aria e all'esame delle polveri sottili presenti nel Terminal 3 dell'aeroporto Leonardo Da Vinci sprigionatesi a causa dell'incendio del 7 maggio 2015, al fine di certificare se esistano o meno rischi legati alla salute per i dipendenti dell'aeroporto e i viaggiatori in transito presenti sia nel Terminal oggetto dell'incendio che in tutta l'area aeroportuale, con particolare riferimento alla possibile presenza di amianto;
   se il Governo non intenda intervenire affinché, nel rispetto delle condizioni di salute e sicurezza previste dalla legge, si proceda alla verifica di tutti gli impianti elettrici e antincendio dell'Aeroporto di Fiumicino, affinché un evento come quello descritto in premessa non abbia a ripetersi.
(2-00968) «Ferrara, Scotto».

Interrogazioni a risposta immediata:


   LIBRANDI. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto civile di Milano Malpensa può essere considerato l’hub naturale di Expo 2015, un appuntamento che catalizzerà sulla città di Milano, sulla Lombardia e sull'intero Paese, l'attenzione di milioni di visitatori e operatori economici provenienti del pianeta;
   tra i visitatori di Expo 2015, vi sarà un numero ragguardevole di imprenditori e manager di grandi e medie aziende internazionali, oltre che di «turisti di lusso», provenienti tanto da Paesi di più consolidata ricchezza che da realtà emergenti;
   l'assenza nell'aeroporto di Malpensa di un terminal riservato alla cosiddetta «aviazione generale», in particolare ai «voli d'affari», inibisce fortemente l'attrattività dello scalo per quella fascia di passeggeri, tipicamente interessati a questo tipo di servizio;
   a differenza di quanto accade a Milano Linate o nel vicino aeroporto svizzero di Lugano, a Malpensa i voli d'affari condividono un terminal con voli di linea, nello specifico il terminal 2 occupato da importanti compagnie low cost; ciò ha determinato più di un inconveniente a passeggeri noti al grande pubblico, siano essi personaggi dello spettacolo o dello sport, spesso letteralmente assalita da curiosi e fan all'arrivo o alla partenza del proprio velivolo, ma anche a esponenti del business, le cui esigenze di velocità e riservatezza mal si conciliano con un terminal condiviso con le compagnie di linea;
   il settore dell'aviazione d'affari è un comparto ad altissimo valore aggiunto, che occupa nei Paesi dell'Unione europea circa 164 mila addetti (dati European business aviation association) e grazie ai circa 800 operatori genera un fatturato di oltre 20 miliardi di euro (pari a poco meno dello 0,2 per cento del prodotto interno lordo combinato di Unione europea, Norvegia e Svizzera) e salari per circa 5,7 miliardi di euro; molto significativo è poi l'indotto del settore, che riguarda alberghi, automobili, ristoranti, catering, servizi a terra;
   in virtù dell'assenza di un terminal dedicato, su un totale di circa 700 mila voli d'affari effettuati all'anno su suolo europeo, Milano Malpensa ne ha attratti appena 12 mila nel 2014 (in calo del 13 per cento rispetto al 2013), rispetto ai circa 45 mila di Milano Linate, e ne ha consegnati di fatto molti all'aeroporto di Lugano, dotato di strutture dedicate;
   il mancato apporto di Malpensa consegna all'Italia un notevole ritardo nel settore rispetto ai principali Paesi vicini: con appena il 9 per cento circa delle partenze (dati EuroControl) l'Italia è molto dietro la Germania (14 per cento), il Regno Unito (13 per cento) e la Francia (17 per cento), ed è di poco sopra la Svizzera (poco meno del 7 per cento);
   come dimostra il caso di eccellenza dell'aeroporto tedesco di Francoforte Egelsbach, scalo dedicato all'aviazione generale, il settore dei voli d'affari è capace di generale valore, ricchezza e un'economia specifica, contribuendo a creare intorno a sé un vero e proprio hub finanziario e commerciale; per l'economia della provincia di Varese, in particolare, l'apertura di un terminal dedicato ai voli d'affari rappresenterebbe un settore di svolta per l'economia, con effetti benefici stimabili intorno tra l'1 e il 2 per cento del prodotto interno lordo locale;
   nell'aeroporto di Malpensa, la società Sea-Aeroporti di Milano ha la piena disponibilità del terminal cosiddetto «ex GS Aviation», oggi chiuso ma eventualmente adeguato ad ospitare gli operatori di aviazione generale, i servizi a terra (handling) e i connessi servizi per l'utenza –:
   se ritenga opportuno, in vista di Expo 2015, aprire un confronto con la Sea-Aeroporti di Milano e con gli azionisti della stessa, in particolare con il comune di Milano detentore del 54,81 per cento del capitale, per l'apertura del terminal «ex GS Aviation» dell'aeroporto di Malpensa e la sua destinazione all'aviazione generale, in particolare ai cosiddetti voli d'affari.
(3-01490)


   GIGLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa il Presidente Renzi ricordava che trenta porti italiani (con trenta autorità portuali, trenta autorità marittime, trenta società di rimorchio ed altro) non fanno, tutti insieme, la metà di Rotterdam. Le nostre principali città portuali, sempre più provinciali, attraversano una crisi inarrestabile da declino e da impoverimento;
   tuttavia, analizzando i numeri riportati nei rapporti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulle attività delle port authority italiane si rileva che negli ultimi anni, nonostante la crisi globale e quella, più lunga profonda, strettamente italiana, le spese correnti delle autorità portuali sono aumentate notevolmente, quasi del 43 per cento;
   il dato che comprende le uscite per il funzionamento, per il personale, per prestazioni istituzionali e così via (e non quelle per investimenti e opere) mostra che, nonostante le operazioni di spending review e maggiori entrate dai canoni, i porti continuano ad avere spese crescenti;
   nel periodo 2006-2013, a fronte di una flessione del totale delle merci movimentate sui terminal, pari a -8,1 per cento, e di una diminuzione dei passeggeri (-10,8 per cento), si rileva un aumento dei canoni di concessione e autorizzazione del 31,4 per cento;
   non solo dal 2007 in poi, inoltre, le authority incassano il gettito della tassa erariale sulle merci e della tassa di ancoraggio, senza contare che tra il 2007 e il 2013 le tasse portuali hanno subito un ulteriore aumento del 30,5 per cento, dovuto anche all'adeguamento Istat del 2012;
   nel rendiconto 2013, appare la voce «uscite per prestazioni istituzionali» che non compariva nel 2006 e che ammonta a 68,47 milioni. Alla fine, il totale delle uscite correnti del 2006 è pari a 193,47 milioni, contro i 276,19 del 2013 (+42,8 per cento);
   il comparto marittimo è, nell'ambito dei trasporti, quello che dal punto di vista della logistica sta soffrendo di più la concorrenza dei porti del nord Europa ed è necessario avviare una politica che inverta tale tendenza anche con interventi mirati a favorire il rilancio dei traffici e dei passeggeri –:
   se non ritenga opportuno avviare una razionalizzazione della governance portuale secondo criteri di efficienza, verificando se sia stata applicata una vera spending review, atteso che i dati contabili non mostrano un'inversione di tendenza dal lato del contenimento dei costi a fronte di un costante incremento delle tasse portuali che gravano in maniera insostenibile sulle imprese. (3-01491)


   DORINA BIANCHI, CAUSIN, GAROFALO e PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha dato notizia negli ultimi giorni del ricorso della società autostradale Brescia-Padova al tribunale amministrativo regionale contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per ottenere il completamento della procedura per la Valdastico Nord;
   come è noto, la «legge obiettivo» prevede, fra le infrastrutture strategiche, il prolungamento verso nord dell'asse autostradale A31 Valdastico attraverso la realizzazione del tratto di autostrada compreso tra Piovene Rocchette e Trento;
   come è stato più volte ribadito dal Governo, anche in sede parlamentare, la realizzazione completa dell'itinerario consentirà di migliorare il collegamento dell'Adriatico e del Veneto con il Trentino-Alto Adige e, più a nord, con l'Europa centrale attraverso il Brennero e di chiudere un sistema viabilistico, che senza il completamento a nord della Valdastico, rimarrebbe sottoutilizzato;
   qualunque seria analisi trasportistica conferma che questa infrastruttura, completata con il tratto a nord, svolgerà un ruolo fondamentale per il miglioramento delle relazioni tra la parte orientale della Pianura padana e della fascia adriatica con il Brennero, facilitando le relazioni economiche fra il nostro Paese e il resto d'Europa e che il nuovo collegamento – riducendo i costi e tempi della circolazione delle merci e delle persone – darà nuova linfa al tessuto economico locale, oltre che dare attuazione agli impegni assunti dal nostro Paese in sede europea per il completamento della rete Ten-t, trattandosi di potenziamento del collegamento tra il corridoio mediterraneo e quello scandinavo-mediterraneo;
   la ripresa economica dei territori serviti dall'infrastruttura, dopo un così prolungato periodo di crisi, non potrà che essere supportata dal completamento di questa porzione di rete, rispondendo alle aspettative di migliaia di aziende che hanno subito i contraccolpi del più grave e prolungato periodo di stagnazione dalla fine della guerra;
   il completamento a nord dell'autostrada Valdastico ha anche effetti ambientalmente virtuosi, in quanto contribuisce a ridurre la congestione, non costituisce un'alternativa al trasporto su rotaia, presenta invece caratteristiche compatibili con il sistema autostradale del Nord-Est, ha superato le verifiche preventive di compatibilità ambientali previste dalla normativa vigente;
   il progetto preliminare già approvato dal Cipe nel 2013 riguarda il 1o lotto funzionale del tracciato completo denominato «T4 Piovene Rocchette-Lastebasse- A22 Besenello (Trento)», che attraversa il territorio di 8 comuni nell'area vicentina, per una lunghezza complessiva di 18,9 chilometri;
   l'opera risulta, quindi, riportata nel XII allegato infrastrutture al documento di economia e finanza 2014 (aggiornamento di settembre 2014);
   il Cipe, nella seduta del 10 novembre 2014, ha assunto motivate determinazioni in ordine all'esigenza di superare il dissenso manifestato dalla provincia autonoma di Trento sulla localizzazione dell'autostrada A31 Valdastico Nord, 2o lotto di completamento – da Valle dell'Astico alla A22 (Besenello) – e di proseguire nello svolgimento dell'apposita procedura prevista dall'articolo 165, comma 6, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici);
   com’è noto, l'opera è assegnata in concessione alla società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa, avendo la stessa a suo tempo incorporato la prima società concessionaria società Autostrada Trento-Rovigo spa;
   per l'opera non è prevista una linea di finanziamento specifica, in quanto il finanziamento è inserito nell'ambito di un piano economico finanziario che comprende la gestione complessiva di tutta la rete stradale assegnata alla concessionaria (A4, A31 esistente, A31 sud, tangenziali di Verona, Vicenza e Padova e altre), secondo l'impostazione delineata nell'ambito della convenzione di concessione vigente dal 2007;
   la mancata realizzazione della Valdastico nord renderebbe il prolungamento a sud della stessa Valdastico un investimento in perdita (costo dell'opera circa 1,2 miliardi di euro), essendo il prolungamento a sud della Valdastico già sostanzialmente completato e destinato ad essere aperto al traffico fino alla città di Rovigo a partire dal 1o semestre 2015;
   non è prevista la scadenza della concessione nel 2015, ma, come riportato dalla convenzione vigente, l'approvazione del progetto Valdastico nord rappresenta un momento intermedio di verifica;
   in ogni caso, la realizzazione dell'A31 nord, a prescindere dalle vicende concessorie di Autostrada Brescia-Padova, rappresenta un investimento strategico a livello europeo (reti Ten-t) e in tal senso si è sempre espresso il Governo;
   è opportuno ricordare – e dare il giusto rilievo – al fatto che nel mese di marzo 2015 la società concessionaria ha concluso con successo il collocamento sul mercato di un project bond per un valore di 600 milioni di euro, con una risposta più che positiva degli investitori, soprattutto stranieri;
   infine, è necessario richiamare la circostanza che la Commissione europea negli scorsi mesi aveva accordato al Governo italiano la possibilità di disporre una limitata proroga della concessione in cambio degli impegni, assunti dal Governo stesso, a superare con ogni mezzo le difficoltà che si frapponevano al completamento dell'opera –:
   se ritenga che l'opera rientri fra le priorità nell'agenda del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Governo, nonostante la sua mancata inclusione fra le 25 priorità presentate nel XII allegato infrastrutture, e conseguentemente se debba proseguire senza interruzioni lo sforzo condotto dal Governo da un anno a questa parte – attraverso un costante dialogo con le istituzioni europee – sia per rispettare gli impegni assunti con l'Europa, sia per evitare o limitare gli effetti delle azioni legali già intraprese contro il Governo, sia per dare alle popolazioni e alle imprese del territorio un chiaro segnale della volontà politica del Governo. (3-01492)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MANNINO, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, stabilisce che, in allegato al documento di economia e finanza (DEF), venga presentato il Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) previsto dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001;
   l'XI Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza (DEF) del 2013, relativo al Programma infrastrutture strategiche (PIS) per gli anni 2014-16, ha ricevuto l'intesa della Conferenza unificata il 16 aprile 2014 e successivamente, in data 1o agosto, parere favorevole da parte del CIPE;
   il XII Allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014, trasmesso al Parlamento il 3 ottobre 2014 – contenente la tabella 0 di avanzamento del Programma Infrastrutture Strategiche – costituisce il quadro programmatico di riferimento per la programmazione comunitaria 2014-2020;
   il Programma per le infrastrutture strategiche (PIS), nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2014, prende in considerazione 419 infrastrutture, per un impegno finanziario di 383 miliardi 857 milioni di euro; di questi, ben 285,2 miliardi sono relativi a interventi presenti nella tabella 0 del XII Allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014;
   l'aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) allegato al DEF 2015, reca le linee guida in base alle quali verrà definito, entro settembre 2015, un unico documento pluriennale di pianificazione (PPP), introdotto dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228, che includerà e renderà coerenti la pianificazione e la programmazione degli investimenti delle opere pubbliche;
   l'Allegato infrastrutture al DEF 2015 presenta alcune novità rilevanti che rispondono a esigenze da tempo emerse a livello europeo e nazionale; il documento, opera una significativa riduzione del numero delle opere strategiche identificando 25 opere prioritarie, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro;
   le suddette opere infrastrutturali prioritarie sono state selezionate – ai sensi di quanto disposto dal comma 1-bis dell'articolo 161 di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, inserito dall'articolo 41, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 – sulla base di una valutazione di coerenza con l'integrazione con le reti europee e territoriali, dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato;
   il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 – nella individuazione di quelle opere che possono essere definite le «priorità delle priorità» su scala nazionale sulla base dei criteri di effettiva rilevanza dal punto di vista delle analisi Swot – sembra prediligere gli interventi relativi alla rete ferroviaria riservando meno spazio al comparto stradale;
   esistono, ancora oggi, significative differenze nella densità e nella qualità delle infrastrutture stradali di interesse nazionale tra macro aree del Paese e le recenti notizie riguardanti gli ennesimi crolli e cedimenti in Sicilia (crollo del viadotto Imera I sull'autostrada A19 del 10 aprile 2015, cedimento del viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento del 30 dicembre 2014, crollo, lungo la strada statale 626, del viadotto Petrulla il 7 luglio 2014 e del viadotto Geremia II in data 28 maggio 2009 e crollo del viadotto sul fiume Verdura lungo la strada statale 115 il 2 febbraio 2013) non fanno che confermare l'inadeguatezza, ed in qualche caso l'assoluta carenza, degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle opere infrastrutturali, in particolare quelle stradali;
   sul tema, è stata già presentata un'interrogazione a risposta in Commissione – n. 5/03214 del 14 luglio 2014, primo firmatario deputato Mannino Claudia – relativa all'attuazione del Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA; il Sottosegretario di Stato infrastrutture e trasporti ha ricordato che, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria, è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37,9 milioni di euro (ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi;
   lo schema di Contratto di programma di Anas 2015 – integrato da un piano quinquennale degli investimenti da realizzarsi nell'arco temporale 2015-2019 – prevede una spesa complessiva pari a circa 20 miliardi di euro, di cui 17,5 per nuovi interventi e 2,5 per manutenzione straordinaria;
   il decreto-legge n. 69 del 2013 cosiddetto «del fare» convertito con modificazioni della legge n. 98 del 2013, la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) ed il decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto «Sblocca Italia» convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014 dell'11 novembre 2014 hanno destinato al programma Ponti, viadotti e gallerie circa 950 milioni di euro, di cui attualmente disponibili circa 850 milioni;
   sono, ad ogni modo, numerose le opere, soprattutto nel Mezzogiorno, contenute nella tabella 0 del XII Allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2014 – non ricomprese nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 – che, oltre a possedere una particolare rilevanza strategica, hanno ricevuto una piena copertura finanziaria e che, pertanto, sarebbero meritevoli di essere reinserite all'interno dell'elenco degli interventi considerati prioritari per il Paese;
   si ritiene – fermo restando le risorse nazionali e comunitarie da destinare alle opere infrastrutturali stradali – che gli oltre 300 miliardi di euro ottenuti dalla drastica riduzione del numero delle opere infrastrutturali strategiche dovrebbero poter essere utilizzati per colmare il gap infrastrutturale, ancora oggi esistente, tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese favorendo investimenti per attività di pianificazione volte alla ristrutturazione e al rilancio delle opere infrastrutturali esistenti –:
   se sia in grado di quantificare il possibile risparmio ottenuto dalla riduzione del numero delle opere infrastrutturali prioritarie operata dal Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015, se, ed in che modo, intenda impiegare le suddette risorse economiche ed, eventualmente, quali interventi, tra quelli contenuti nella tabella 0 del XII Allegato infrastrutture DEF 2014, si presume possano essere reinseriti fra le opere strategiche in sede di definizione della nota di aggiornamento al DEF 2015. (5-05575)


   GRIMOLDI, CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il raccordo autostradale tra l'A4, l'A21 e l'aeroporto di Montichiari, indicata anche come Corda Molle, è un'infrastruttura autostradale importantissima, sia sotto l'aspetto della sicurezza viabilistica – in considerazione degli incidenti anche mortali accaduti in questi anni – sia in previsione dell'aumento del traffico per l'Expo 2015;
   per la realizzazione del raddoppio dell'arteria autostradale Corda Molle Azzano Mella-Ospetaletto, sono stati espropriati i terreni di 438 agricoltori;
   i decreti di esproprio sono tutti scaduti a termine di legge alla fine del 2012, tuttavia gli agricoltori non hanno ancora ricevuto gli indennizzi previsti, che ammontano a circa 30 milioni di euro, e, peraltro, continuano a pagare l'IMU su questi terreni;
   alcuni di loro tra pochi mesi dovranno subire un altro esproprio per il passaggio della TAV;
   inoltre, il Tar di Lombardia ha accolto il ricorso di quattro agricoltori di Ospitaletto e pertanto gli agricoltori dovranno anche ricevere il risarcimento delle spese processuali, oltre agli indennizzi;
   la situazione in cui si trovano le famiglie degli agricoltori di Ospitaletto è drammatica; gli agricoltori chiedono risposte certe dalle istituzioni, anche perché non sono stati contattati da nessuno, nonostante, a fine gennaio scorso, sembra che Ministero, Anas e società autostradale Centro Padane hanno promesso che la soluzione sarebbe stata vicina –:
   quali provvedimenti urgenti il Ministro intenda adottare per garantire il risarcimento immediato degli agricoltori espropriati dei propri terreni per il raddoppio del raccordo autostradale tra l'A4, l'A21 e l'aeroporto di Montichiari, la cosiddetta Corda Molle. (5-05576)


   SEGONI, ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione dell'Unione europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2014/4011 nei confronti di SAT, Società autostradale tirrenica, concessionaria dell'autostrada Livorno-Civitavecchia, per accertare eventuali irregolarità nell'affidamento dei lavori sulla predetta tratta e che da fonti stampa si apprende che a sollecitare l'azione di Bruxelles sia stata una denuncia presentata il 24 luglio 2013 dall'ANCE e dall'ACER, rispettivamente associazione nazionale e romana dei costruttori edili, che da tempo chiedono che la legge italiana si uniformi ai dispositivi europei e, quindi, che si provveda ad eliminare la possibilità dell'affidamento in house dei lavori a società controllate o collegate;
   dalla documentazione inerente la procedura d'infrazione n. 2014/4011, redatta dalla Segreteria generale CE, emerge, dopo un lungo preambolo, la seguente opinione: «ai sensi dell'articolo 258 comma 1, del TFUE (trattato di funzionamento dell'UE), poiché ANAS ha sviluppato una convenzione con la società SAT che ha esteso il termine della concessione per l'autostrada A12 Civitavecchia-Livorno dal 31 dicembre 2028 al 31 dicembre 2046 senza previa pubblicazione di un bando di gara, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/CE. Ai sensi dell'articolo 258, comma 1 del TFUE, la commissione invita la Repubblica Italiana ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato entro due mesi dal ricevimento del medesimo. Bruxelles, 16 ottobre 2014 per la Commissione, Michel Barnier Vicepresidente»;
   il 23 ottobre 2014 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha inviato a Bruxelles la risposta del MIT (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), cioè un atto aggiuntivo tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la SAT, in cui, attraverso un elenco di articoli, vengono apportate alcune modifiche alla CUV – Concessione unica vigente sempre tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la SAT (tra i diversi articoli, ne riportiamo due che, secondo l'interrogante, risultano essere i più significativi: l'articolo 5 – Durata Concessione – l'articolo «riduce» di soli 3 anni il termine della concessione alla SAT, quindi non più fino al 2046 ma fino al 31 dicembre 2043 e l'articolo 10 – Regime dei lavori e delle forniture – che recita testualmente «All'articolo 29 del CUV sostituire la lettera a) del comma 1: 1a) a provvedere all'affidamento a terzi del 100 per cento dei lavori relativi al completamento dell'intera tratta autostradale mediante gare comunitarie»);
   la SAT è titolare della concessione dell'autostrada tirrenica dal 1969 per effetto di una norma legislativa che ne disponeva l'affidamento e che, da allora ad oggi, ha ricevuto varie proroghe senza gara, l'ultima delle quali è quella disposta dal Cipe il 18 dicembre 2008, che fissava la scadenza della concessione al 2046;
   la SAT è rimasta sotto il controllo totale del gruppo Autostrade per l'Italia fino al maggio 2011, quando ha ceduto il 69,1 per cento del capitale (per un importo di 67,7 milioni) e che, a seguito di questa operazione finanziaria, il 24,89 per cento del capitale della SAT è passato nelle mani di Aspi, una analoga quota è passata a Holcoa Spa (holding delle coop rosse composta da Ccc, Cmb, Cmc, Uniecp, Cooperare e Ugf Merchant) e a Vianco Spa (Vianini Lavori), mentre il 14,94 per cento passato a Mps e il 9,95 per cento a Autostrada Ligure Toscana;
   arrivati al termine dei lavori del lotto 6A (tratta Civitavecchia-Tarquinia) i soci privati, che nel 2011 erano entrati in società (proprio per fare i lavori in house), non avendo più la garanzia di essere gli affidatari dei prossimi lavori, hanno deciso di vendere le loro quote, così che Autostrade per l'Italia è tornata ad essere per il 99 per cento proprietaria della SAT (provvedendo ad acquistare le quote per 84 milioni di euro) –:
   se la riduzione di tre anni della concessione (dal 2046 al 2043) e l'affidamento a terzi dei lavori futuri siano le uniche azioni intraprese a seguito dell'apertura della procedura d'infrazione e se le ritenga sufficienti ad evitare l'infrazione. (5-05577)


   BORGHI, RIBAUDO, CULOTTA e BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si sono registrate numerose segnalazioni da parte dei cittadini inerenti alla pericolosità e peggioramento delle condizioni di viabilità del viadotto «Coda di Volpe», lungo la strada statale 121, tra i comuni di Bolognetta (PA) e Misilmeri (PA);
   in particolare, si registra, anche visivamente, un preoccupante avvallamento dei giunti sia nella parte intermedia che in quella terminale dello stesso viadotto;
   dai colloqui intercorsi informalmente negli scorsi mesi con la direzione generale ANAS per la Sicilia, è stato sempre risposto che il suddetto viadotto è oggetto di costante monitoraggio;
   anche la «variante laterale», realizzata tempo fa, con evidente ed oneroso esborso di risorse pubbliche, per consentire l'esecuzione di lavori di manutenzione che non sono mai iniziati, è in condizioni di carente viabilità e transitabilità;
   nel suddetto tratto attualmente si registra giornalmente un aumento del flusso di autoveicoli e mezzi pesanti, anche in considerazione dei lavori di ammodernamento della strada statale 121 «Catanese» che interessa il tratto tra Bolognetta e Manganaro, oggi ancor di più aggravato a seguito del blocco del traffico autostradale fra Palermo e Catania, a causa del collassamento del viadotto Himera della A19, che viene dirottato su questa arteria;
   tale viadotto è strategico per l'intero collegamento tra le province di Palermo e Agrigento, e pertanto per tutta la Sicilia;
   occorre salvaguardare l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente percorrono quella strada, già oggetto di numerosi incidenti nel corso degli anni, molti dei quali mortali –:
   quali provvedimenti siano stati adottati o si intendano adottare per mettere in sicurezza il suddetto viadotto e prevenire il verificarsi in futuro di crolli o cedimenti dello stesso. (5-05578)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'immigrazione dal continente africano verso l'Italia e, più in generale, verso il continente europeo, come più volte si è ricordato, sta assumendo i caratteri di una vera e propria ondata migratoria di portata epocale che richiede risposte strutturali e coordinate con gli altri Paesi dell'Unione europea;
   dovevano andare in questa direzione gli incontri tenutisi dopo il tragico naufragio risalente al 19 aprile 2015 al largo delle coste libiche, che ha segnato un nuovo impressionante record di vittime e che ha portato i principali leader europei a discutere a Bruxelles di un maggiore coinvolgimento degli altri Stati del continente;
   nonostante le rassicurazioni e le dichiarazioni di principio, non sembrano esserci ad oggi chiari impegni da parte degli altri membri dell'Unione europea né sul fronte della strategia proposta da parte del Governo italiano per l'affondamento dei barconi utilizzati per le traversate, né, soprattutto, sulla ripartizione dell'onere di assistenza ed ospitalità dei rifugiati e dei richiedenti asilo, col superamento ed una più solidale impostazione del cosiddetto Regolamento di Dublino III;
   nel suddetto regolamento, com’è noto, riguardo a questo secondo caso, viene previsto che lo Stato membro dove è stata presentata per la prima volta domanda di protezione internazionale è tenuto, al fine di portare a termine la «procedura Dublino», a riprendere in carico tale persona sia nel caso in cui questa si trovi in un altro Stato senza un titolo di soggiorno, sia nel caso in cui l'interessato abbia presentato nell'altro Stato domanda di protezione internazionale dopo aver ritirato la prima domanda;
   nell'articolo riportato l'11 maggio 2015 della giornalista Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, «Altri centri e team di controllo stranieri. Le clausole dell'Ue penalizzano l'Italia», si fa riferimento al fatto che un eventuale impegno da parte degli altri Stati membri dell'Unione nella ripartizione dei rifugiati sarebbe conseguente soltanto a specifiche condizioni;
   nell'articolo del Corriere della Sera si riporta che «è infatti previsto l'arrivo di team stranieri composti da funzionari di Frontex, Europol ed Easo (l'Ufficio europeo per i richiedenti asilo) che si affiancheranno ai poliziotti italiani per effettuare l'identificazione di chi sbarca sulle nostre coste e per collaborare alle indagini sugli scafisti. Già durante la riunione convocata d'urgenza si era parlato di questa eventualità, valutata però dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento.»;
   altra condizione cui sarebbe subordinato l'impegno europeo è la creazione di «veri e propri centri di accoglienza [...] dove i migranti dovranno rimanere fino al termine della procedura per l'accertamento dell'identità o, nel caso dei richiedenti asilo, fino a che non sarà verificata l'esistenza dei requisiti per il riconoscimento della status di rifugiato», anche al fine di non consentire il transito degli stranieri in altri Stati dell'Unione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali delle condizioni europee ritenga applicabili da parte dell'Italia, senza che esse portino ad un sostanziale «commissariamento» della gestione nazionale delle politiche d'accoglienza.
(4-09144)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo la stampa locale, in risposta a pressanti appelli rivolti dalla prefettura, l'amministrazione provinciale comasca avrebbe inserito la caserma dei carabinieri situata in via Borgovico a Como tra le strutture utilizzabili per offrire accoglienza ai profughi richiedenti asilo;
   oltre ad essere un simbolo dell'Arma dei carabinieri dalla forte valenza identitaria, lo stabile sopra menzionato si trova in prossimità di una scuola media, la Ugo Foscolo, e giace su una delle maggiori direttrici di accesso a Como, fattori che sconsiglierebbero di adibirla all'alloggio di profughi in attesa di definizione del proprio status;
   nei piani dell'ente provincia, per la caserma di via Borgovico era prevista un'altra destinazione d'uso e la struttura dovrà quindi essere sottoposta a costosi lavori di adattamento alla sua nuova funzione di alloggio provvisorio per richiedenti asilo;
   nel comune di Rodero, gruppi di immigrati sono già alloggiati in un'altra ex caserma, della Guardia di finanza questa volta, circostanza che lascia intuire un orientamento applicato su un più vasto ambito;
   Como gestisce già circa 500 profughi –:
   se oltre agli alberghi, e con la prospettiva di ricorrere anche al patrimonio abitativo privato delle case sfitte, il Governo intenda cedere agli immigrati che giungono irregolarmente sul territorio nazionale anche tutte le caserme dismesse dalle Forze armate e di polizia, il cui uso è stato finora negato alle amministrazioni locali con la motivazione di volerne trarre delle risorse da utilizzare nell'abbattimento del debito pubblico;
   quanti profughi si conti di accogliere nel territorio comunale e provinciale di Como. (4-09145)


   MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata dell'11 maggio 2015 reparti della polizia di Stato di Roma hanno sgomberato un campo profughi nel quartiere di Ponte Mammolo a Roma, composto da profughi eritrei e di altre nazionalità;
   nell'effettuazione dello sgombero sono state utilizzate delle ruspe per distruggere le abitazioni e costruzioni esistenti;
   tale insediamento non era di natura provvisoria, essendo iniziato 13 anni fa;
   Papa Francesco aveva visitato questo insediamento qualche settimana fa, portando la sua testimonianza e la sua solidarietà;
   nelle settimane precedenti con le istituzioni locali erano stati avviati incontri e studiate soluzioni per avviare il trasferimento degli abitanti di questo insediamento in altre sedi ritenute più idonee;
   a quanto risulta non è stato dato alcun preavviso agli abitanti dell'imminente sgombero;
   alla serata dell'11 maggio 2015, decine di abitanti di quell'insediamento erano ancora senza alcuna dimora e soluzione per il pernottamento;
   nella giornata dell'11 maggio sono dovute intervenire alcune organizzazioni umanitarie e di volontariato per poter prestare soccorsi e rifornimenti di cibo alle persone rimaste senza abitazione –:
   se le autorità del Ministero dell'interno e della polizia di Stato abbiano avvisato le istituzioni locali e concordato con il comune l'azione dello sgombero;
   se nella decisione dell'effettuazione dello sgombero il Ministero dell'interno e la polizia di Stato abbiano verificato e concordato con le istituzioni locali il trasferimento degli abitanti dell'insediamento in altri ricoveri o centri di accoglienza;
   se nella decisione dell'effettuazione dello sgombero il Ministero dell'interno e la polizia di Stato abbiano valutato le conseguenze dal punto vista umanitario e sociale circa l'abbandono di decine di donne, bambini ed anziani senza ricoveri e soccorsi. (4-09148)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   docenti e personale amministrativo del liceo artistico statale «Filippo Juvara» di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, esprimono preoccupazione per il futuro della loro scuola;
   in particolare, guardano con attenzione al trasferimento da San Cataldo a Caltanissetta del liceo artistico regionale «Rosario Assunto», che si concretizzerà nel prossimo anno scolastico. Una situazione che in pratica, a detta dei docenti e del personale Ata, potrebbe in futuro danneggiare lo «Juvara», soprattutto per quel che concerne la popolazione scolastica;
   in una nota, docenti e personale Ata affermano che, come appreso dai giornali, il liceo artistico regionale «Assunto», sede distaccata del liceo «M. Cascio» di Enna, è stato trasferito nei locali dell'istituto «Maddalena Calafato» di Caltanissetta, con decreto pubblicato il 3 agosto 2014 sulla Gazzetta Ufficiale regionale;
   appaiono ingiustificate le spese previste di locazione di circa 85.000 euro (per soli 40 alunni), considerato che già esiste il liceo artistico statale «Juvara», ad appena 4 chilometri da Caltanissetta;
   i locali che ospitano il liceo statale sono di proprietà della provincia e, pertanto, non prevedono spese di locazione, mentre i locali del liceo regionale sono sempre stati in affitto, con aggravio economico per la provincia;
   in base alla legge n. 6 del 2000, nel 2012 l'allora assessore regionale all'istruzione, Mario Centorrino, si rivolse con una lettera al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per sottolineare la necessità di accorpare gli istituti regionali a quelli statali. Soluzione, purtroppo, mai adottata. Pertanto, la decisione di trasferite il «Rosario Assunto» a Caltanissetta si tradurrebbe in un inopportuno ed oggi più che mai ingiustificato spreco di denaro pubblico;
   il trasferimento del liceo «Assunto» comporterebbe un impoverimento del bacino di utenza dello «Juvara», che attualmente raccoglie iscrizioni di alunni nisseni e della provincia;
   in un momento nel quale la scuola pubblica vede falcidiati gli organici, tale eventualità comporterebbe per certo la perdita di numerosi posti di lavoro, che si andrebbero ad aggiungere a quelli già venuti meno per effetto della fusione con il liceo delle scienze umane «Manzoni» di Caltanissetta;
   al presidente della regione siciliana Crocetta era già stato segnalato il caso anomalo di San Cataldo, dove esistono due licei artistici in «concorrenza» e che attingono dallo stesso bacino di utenza. Nel tempo, tuttavia, si è assistito ad una crescita dello «Juvara», oggi con più di 300 alunni, e ad una stentata sopravvivenza del «R. Assunto», con appena 40 studenti;
   l'istituto regionale a Caltanissetta sottrarrebbe alunni allo «Juvara», perché i comuni non rimborserebbero più gli abbonamenti agli alunni che volessero studiare a San Cataldo, esistendo un'istituzione scolastica ad indirizzo artistico più vicina –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, e, al fine di evitare sprechi e disservizi, quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per favorire, magari anche attraverso l'ausilio di un tavolo tecnico, l'accorpamento delle funzioni dell'istituto regionale «Assunto» con quelle dell'istituto statale «Juvara», come previsto dalla legge n. 6 del 2000. (4-09146)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la catena francese di supermercati Auchan spa, è una delle principali aziende attive nel settore italiano della grande distribuzione organizzata (GDO) di beni alimentari e non alimentari, presente sul territorio italiano dal 1989;
   ad oggi il gruppo Auchan si è sviluppato a livello mondiale con punti vendita presenti in 16 Paesi che possono contare 330.700 dipendenti. In Italia dispone di 57 ipermercati in undici regioni, impiegando oltre 18.000 lavoratori;
   i marchi del Gruppo, che in Italia sono Simply Market – galleria Auchan – La Bottega Sma – Auchan Mobile e Iper Simply, nel 2014 hanno fruttato a livello mondiale 63 miliardi di euro di fatturato;
   nel 2013 Immochan SA, la società immobiliare internazionale del gruppo Auchan, ha ceduto 13 centri commerciali e due retail park di proprietà di Gallerie Commerciali Italia del gruppo francese Auchan, costituendo un fondo di investimento immobiliare dal valore di circa 635 milioni di euro gestito dalla Morgan Stanley Sgr, società di gestione immobiliare del gruppo Morgan Stanley in Italia;
   la scelta di dismettere i 15 suddetti centri, continuando comunque a mantenere la proprietà dell'ipermercato di riferimento e permettere alla controllata Gallerie Commerciali Italia di continuare a gestire le gallerie cedute, in quanto i centri permettono di ottenere un rendimento del 7,5 per cento è stata finalizzata a finanziare l'ampliamento di altri immobili in Italia ritenuti strategici;
   a settembre 2014, un'operazione simile è stata conclusa tra Auchan spa ed Enpam, l'Ente nazionale di Previdenza ed assistenza medici e odontoiatri, il quale ha sottoscritto l'80 per cento di un fondo immobiliare, gestito da Antirion SGR, dove la suddetta Immochan SA ha fatto confluire tre gallerie commerciali. Il fondo ha un patrimonio iniziale del valore di 266 milioni di euro ma è estendibile fino a 700 milioni di euro in quanto è stato costituito in modo da poter essere ampliato con successivi apporti;
   anche per quanto riguarda questa operazione il gruppo Auchan ha dichiarato per voce del dottor Edoardo Favro, amministratore delegato di Gallerie Commerciali Italia, di voler impiegare una parte degli introiti dell'operazione, quantificata in 150 milioni di euro, in operazioni finanziarie volte al reinvestimento in Italia. Nel mese di ottobre del 2014 Auchan spa, ha siglato un accordo internazionale di collaborazione con Metro AG, la grande multinazionale tedesca leader nella distribuzione e cash and carry, con l'obiettivo di realizzare sinergie e risparmi nel medio e lungo termine per aumentare la massa critica in fase di contrattazione con l'industria. L'accordo prevede anche l'acquisto congiunto di prodotti senza marca, che Metro e Auchan potranno rivendere senza nome o sotto i propri marchi aumentando in modo esponenziale i propri guadagni;
   il giorno 24 novembre dello stesso anno Auchan spa emette un comunicato stampa, per annunciare il proprio rafforzamento mediante un accordo con Sisa spa, un'azienda italiana della distribuzione organizzata con una rete di 1558 punti di vendita, che recita «Auchan e Sma hanno siglato oggi un accordo di lungo periodo con Sisa. Il mandato all'acquisto conferito da Sisa alla centrale di acquisto Auchan-Sma, entrerà in vigore da gennaio 2015 e porterà ad acquisti congiunti superiori a otto miliardi di euro. La centrale d'acquisto Auchan grazie a questa alleanza con Sisa e i propri partner si afferma come terza centrale d'acquisto italiana»;
   durante lo svolgimento di queste fruttifere operazioni finanziarie, la multinazionale francese ha reso noto a molti suoi dipendenti sparsi in tutta Italia, la stragrande maggioranza dei quali appartengono al IV livello del contratto collettivo nazionale del commercio, di voler procedere ad una riduzione del personale;
   la causa di questi 1.100 licenziamenti, molti dei quali interesseranno la regione Campania, sarebbe da ricercare, secondo Auchan, nel calo dei consumi che colpisce tutta la grande distribuzione;
   nel 2014 il gruppo Auchan ha di fatto registrato una flessione del 12,5 per cento rispetto al 2013 ma ha visto in crescita il fatturato a cambi costanti al +1,5 per cento;
   non si può però parlare di una generica crisi della grande distribuzione organizzata, visto che altre grandi aziende operanti in questo settore hanno registrato un fatturato in crescita. Ad esempio, l'Esselunga ha registrato un +3,2 per cento sul margine operativo lordo, Conad ha ottenuto un fatturato in crescita del 4,9 percento rispetto all'anno precedente, Crai registra nel 2014 un incremento del 24 per cento del fatturato dell'intera organizzazione, il gruppo Unicomm ha realizzato ricavi per 2 miliardi di euro e MaxDì ha realizzato un utile netto di oltre 12 milioni. In alcuni punti vendita del gruppo Auchan sono stati attivati già dal 2010 i contratti di solidarietà, con una riduzione di orario del 25 per cento e la conseguente riduzione stipendiale, andando a colpire sempre i livelli contrattuali più bassi. Un ricorso all'ammortizzatore sociale che ha consentito all'azienda di risparmiare una media di circa 800 mila euro per punto vendita per ogni anno in cui è stato attivato;
   successivamente, la situazione è andata peggiorando: recentemente la società francese ha rotto la trattativa aperta con i sindacati sulla vertenza degli esuberi di personale, annunciando che l'unica alternativa offerta in cambio dei preannunciati licenziamenti sia esclusivamente la sospensione del contratto integrativo aziendale in ogni sua parte, la definizione di una procedura di mobilità incentivata sull'intero perimetro aziendale avente i presupposti della volontaria adesione, un accordo a sostegno della mobilità volontaria che preveda l'abbassamento di un livello dell'inquadramento di tutto il personale come misura transitoria al centro-nord e definitiva al sud, e un anno di sospensione del pagamento della quattordicesima mensilità;
   dopo pesanti sacrifici da Parte dei lavoratori per il ricorso agli ammortizzatori sociali e le riduzioni degli orari di lavoro contrattuali settimanali laddove il ricorso agli ammortizzatori sociali non era più consentito, viene ora chiesto ai lavoratori di accettare che la malattia venga pagata al 75 per cento e non più al 100 per cento di rinunciare ai premi produzione, a quelli legati alla presenza e alla retribuzione delle pause, di rinunciare alla quattordicesima e, soprattutto, di acconsentire ad una riduzione dei salari per i livelli inferiori che potrà arrivare anche al 40 per cento come nel caso dei punti vendita presenti in Campania;
   alcune sigle sindacali hanno presentato un esposto agli uffici giudiziari della procura della Repubblica di Taranto per contestare l'atteggiamento antisindacale adottato dalla multinazionale francese nei confronti dei dipendenti della struttura e dei loro rappresentanti sindacali ma, soprattutto, per denunciare il fatto che, dopo aver disdetto gli accordi integrativi stabiliti nei contratti e, in assenza di un accordo sindacale, l'azienda abbia fatto recapitare le lettere di trasferimento a quei lavoratori non intenzionati a firmare le condizioni imposte dalla direzione;
   altre all'illegittima coercizione della firma dei dipendenti da parte di Auchan, riscontrabile non solo nel centro commerciale tarantino, le organizzazioni sindacali in questione hanno anche fatto presente al procuratore della Repubblica che la società d'oltralpe continuerebbe ad avvalersi di tirocini formativi e stage retribuiti dallo Stato, nonostante abbia dichiarato di aver dipendenti in esubero;
   durante la trattativa i sindacati hanno proposto al gruppo Auchan, ma senza esito positivo, una soluzione ai tagli draconiani dei salari e, soprattutto, dei diritti dei lavoratori, re-internalizzando alcuni servizi, ora affidati a ditte esterne, in modo da eliminare il numero degli esuberi. Come unico esempio si riporta il caso in cui a fine 2013 Auchan spa ha concluso con Manutencoop spa un contratto che sancisce la cessione del reparto manutenzione dei suoi punti vendita, che fino a quel momento era totalmente gestito internamente da Auchan –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interpellati intendano adottare onde evitare che vengano messi in atto i tagli di personale e la diminuzione dei diritti dei lavoratori di cui in premessa da parte del gruppo Auchan;
   se i Ministri interpellati intendano, in concerto con la società e le organizzazioni sindacali, aprire un tavolo di trattativa per studiare un piano industriale che coinvolga tutti i centri commerciali italiani di proprietà di Auchan spa;
   se sia stata presa in considerazione la possibilità di concedere ai suddetti lavoratori una deroga agli ammortizzatori sociali fino a che non si addivenga ad un accordo in cui la società conceda condizioni nettamente più favorevoli ai propri dipendenti.
(2-00963) «Chimienti, Ciprini, Cominardi, Tripiedi, Dall'Osso, Lombardi, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Cecconi, Colletti, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CIPRINI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e GALLINELLA. Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 10 marzo-30 aprile 2015 ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps;
   la perequazione automatica (o indicizzazione) fa riferimento all'importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici del soggetto e viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. Più in particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all'anno precedente;
   le norme sulla perequazione sono state oggetto, nel corso degli anni, di numerose modifiche, spesso di natura transitoria;
   riguardo agli anni 2012 e 2013, oggetto in via diretta della norma dichiarata illegittima dalla sentenza n. 70 del 2015, per effetto di quest'ultima (e fatte salve le eventuali norme che verranno adottate in materia) il quadro giuridico di riferimento (sulle misure della perequazione) è costituito dalla disciplina a regime già posta dall'articolo 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Essa prevede: l'applicazione della perequazione nella misura del 100 per cento per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo Inps (quest'ultimo era pari, nel 2011, a 6.088,55 euro e, nel 2012, a 6.253 euro); nella misura del 90 per cento per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il predetto trattamento; nella misura del 75 per cento per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il medesimo trattamento minimo;
   in base alla norma ora oggetto della sentenza di illegittimità, la perequazione è stata esclusa del tutto, per gli anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici di importo superiore a 3 volte il trattamento minimo Inps, con la conseguente mancata liquidazione sia per i 2 anni suddetti sia per gli anni successivi delle quote di incremento che sarebbero spettate (a titolo di perequazione automatica) con riferimento al 2012 ed al 2013. Un altro effetto permanente che deriva dalla norma in oggetto (ora dichiarata illegittima), effetto di rilevanza quantitativa secondaria (sia per la misura dei trattamenti sia per la finanza pubblica) rispetto all'effetto diretto sopra menzionato, è costituito dal mancato incremento (in seguito alla suddetta mancata liquidazione) della base di calcolo (cioè, dell'importo stesso della pensione) su cui applicare (a decorrere dal 2014) le successive percentuali di perequazione automatica;
   la decisione della Corte costituzionale – che censura una delle norme frutto del Governo Monti – costituisce, in ordine di tempo, solo l'ultima delle gravi questioni che riguardano il sistema pensionistico italiano. Già la cosiddetta riforma Fornero (di cui alla legge n. 92 del 2012) ha creato l'emergenza sociale dei lavoratori «esodati» (sono già stati approvati 6 provvedimenti di salvaguardia ed attualmente la XI Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati deve cominciare a discutere su ulteriori disegni di legge in materia), ha creato iniquità e disparità di trattamento, non prevedendo alcuna gradualità nella sua applicazione innalzando notevolmente l'età pensionabile in un sol colpo;
   prima ancora degli effetti sulla finanza pubblica, la Corte costituzionale ha accertato la lesione di un diritto costituzionalmente rilevante stabilendo che: «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, Cost.). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, Cost.»;
   a parere degli interroganti, la sentenza della Corte costituzionale dimostra che provvedimenti finanziari emergenziali adottati in maniera irrazionale al solo fine di «far quadrare i conti» finiscono per produrre l'effetto di un aggravio della finanza pubblica ed insostenibili costi sociali per i cittadini;
   a tal riguardo appare discutibile, altresì, la vigente proroga del perdurante blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, progressioni di carriera del personale contrattualizzato del pubblico impiego dall'anno 2010, per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010;
   è evidente che in uno Stato di diritto in base al principio della separazione dei poteri vi è l'obbligo di rispettare i pronunciamenti della Corte costituzionale e di ripristinare l'ordine violato, posto che il legislatore – anche nei momenti di «emergenza finanziaria» – non può comprimere i principi e diritti di rilevanza costituzionale in maniera irragionevole e sproporzionata;
   del resto la recente sentenza non rappresenta una «sorpresa» poiché – come fa notare la Corte costituzionale – «La disposizione censurata ha formato oggetto di un'interrogazione parlamentare (Senato della Repubblica, seduta n. 93, interrogazione presentata l'8 agosto 2013, n. 3-00321) rimasta inevasa, in cui si chiedeva al Governo se intendesse promuovere la revisione del provvedimento, alla luce della giurisprudenza costituzionale.»;
   la pronuncia della Corte costituzionale potrebbe impattare sui conti pubblici per quasi un punto percentuale sul prodotto interno lordo, pur tuttavia occorre un intervento del Governo affinché assicuri la restituzione del dovuto agli aventi diritto, senza creare un inutile conflitto generazionale, scongiurando il timore di un aumento della pressione tributaria e/o contributiva ovvero l'applicazione delle clausole di salvaguardia previste dalla normativa vigente –:
   quali urgenti iniziative – anche di tipo normativo – intenda intraprendere il Governo al fine di dare effettiva attuazione entro l'anno finanziario in corso a quanto disposto dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale e con quali risorse finanziarie intenda provvedere al pagamento di quanto spettante agli aventi diritto, senza che ciò comporti un aumento della pressione tributaria e/o contributiva sui cittadini e imprese e scongiurando l'applicazione delle clausole di salvaguardia previste dalla normativa vigente. (3-01493)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la recentissima sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale – che ha bocciato la norma concernente il blocco delle indicizzazioni delle pensioni di cui al decreto-legge «salva-Italia» n. 201 del 2011 – rappresenta un ulteriore tassello al mosaico di errori compiuti con la «riforma Fornero» delle pensioni;
   in occasione dell'esame del decreto-legge n. 201 del 2011, la Lega Nord aveva denunciato l'intenzione dell'allora Governo Monti e della relativa maggioranza che lo sosteneva di voler scaricare sui pensionati, in quanto categorie certe, i costi del risanamento dei conti pubblici, preavvisando sull'illegittimità di tale norma;
   purtroppo il grido della Lega Nord è rimasto una vox clamantis in deserto e da quattro anni lavoratori e pensionati ne stanno pagando le conseguenze;
   l'errore più eclatante ha portato alla creazione di una nuova emergenza sociale, quella degli esodati;
   dal 2012 sono stati varati ben sei provvedimenti di salvaguardia ed a tutt'oggi la vicenda non può considerarsi conclusa, dal momento che ancora centinaia di persone sono in attesa di una soluzione;
   Monti, Fornero e la relativa maggioranza, non solo si son scordati, nell'approvare la riforma pensionistica, di tutti coloro che avevano sottoscritto accordi di incentivo all'esodo in quanto prossimi alla pensione (gli esodati propriamente detti), bensì anche di tutti i mobilitati, cassintegrati, disoccupati ed altri, che avrebbero dovuto accedere al trattamento pensionistico al termine della fruizione dell'ammortizzatore sociale;
   a costoro, nel tempo, si è aggiunta un'ulteriore categoria di «dimenticati»: i circa 4 mila insegnanti che a causa della riforma non erano riusciti ad andare in pensione nonostante la maturazione dei requisiti (quota 96), perché i governanti di allora – e di oggi – hanno confuso l'anno solare con l'anno scolastico; categoria, questa, ancora penalizzata e non salvaguardata;
   altra «distrazione» della «riforma Fornero» e di coloro che l'hanno sostenuta ha riguardato i donatori di sangue: a causa delle nuove disposizioni pensionistiche, coloro che avevano donato il sangue durante la propria attività lavorativa rischiavano di non vedersi computati i giorni di risposo seguiti al prelievo per l'ottenimento della pensione; vicenda poi corretta con la legge n. 125 del 2013, di conversione del decreto-legge n. 101 del 2013;
   un altro problema creato dalla «riforma Fornero», poi corretto con la legge di stabilità 2014, ha riguardato le persone che avevano usufruito dei permessi e dei congedi per grave disabilità, atteso che inizialmente il requisito contributivo utile per il diritto alla pensione anticipata doveva derivare esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro;
   a seguire, è sorto l'errore della «riforma Fornero» di calcolare tutte le pensioni col sistema contributivo, senza porre un tetto a quelle più alte, col rischio di creare nell'Inps un buco di 2 milioni di euro nel 2014 e di quasi 500 milioni di euro fra dieci anni; falla delle «riforma Fornero» cui è stata messa una toppa con la legge di stabilità per il 2015, pur salvaguardando però i trattamenti dei pensionati d'oro dell'ultimo triennio;
   ora, l'esecuzione della sentenza della Corte costituzionale, secondo stime approssimative, costerebbe alla casse pubbliche quasi 17 milioni di euro, tant’è che, secondo dichiarazioni stampa, il Governo si appresta a restituire il dovuto a scaglioni e non a tutti gli interessati dalla sentenza –:
   a quanto ammonti il costo complessivo finora sostenuto per correggere gli errori della «riforma Fornero» e della maggioranza che l'ha sostenuta, alla luce di tutti i provvedimenti «riparatori» citati in premessa, ivi incluso l'emanando provvedimento di restituzione della mancata indicizzazione delle pensioni esecutivo della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, e se tale costo superi i risparmi di spesa previsti dall'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, al momento della sua entrata in vigore.
(3-01494)


   ASCANI, GNECCHI, ARLOTTI, LATTUCA, QUARTAPELLE PROCOPIO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA, BINI, BONOMO, ZARDINI, GHIZZONI e COMINELLI. Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il riordino degli ammortizzatori sociali disposto con il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 204, n. 183», introduce in via sperimentale per il 2015 la DIS-COLL, l'indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e continuativi e a progetto volta ad allargare il sostegno al reddito a categorie di soggetti finora esclusi;
   il testo del decreto legislativo nomina esplicitamente tra i beneficiari soltanto i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e contratti a progetto, appena due delle numerose tipologie contrattuali parasubordinate sottoposte al medesimo regime contributivo e iscritte alla gestione separata Inps;
   tra tali tipologie figurano i precari delle università e degli enti di ricerca: assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti sottoposti, nel 2015, ad un'aliquota previdenziale pari al 30,72 per cento esattamente uguale a quella di collaboratori coordinati e continuativi e a progetto. In tutto si tratta di circa 60.000 soggetti che versano alla gestione separata Inps, mediamente hanno contratti di durata breve e, come ormai da più parti rilevato, alti tassi di espulsione dall'università;
   la circolare Inps del 27 aprile 2015, che ha reso operativa la DIS-COLL, non ha chiarito la platea dei beneficiari della misura riportando la stessa dicitura presente nel decreto legislativo istitutivo con le ambiguità sopra richiamate –:
   se la DIS COLL sia rivolta anche agli altri parasubordinati (non collaboratori coordinati e continuativi o a progetto) iscritti alla gestione separata Inps, in particolare agli assegnisti di ricerca, dottorandi e titolari di borse di ricerca, e quali altre eventuali iniziative il Governo intenda attivare per riconoscere il diritto al sostegno al reddito ai giovani ricercatori italiani e a tutti i parasubordinati che sottostanno a identico regime contributivo e sperimentano la discontinuità del lavoro.
(3-01495)


   BRUNETTA e GELMINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 10 marzo-30 aprile 2015 ha dichiarato l'illegittimità della norma che ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps; disposizione voluta dal Ministro Fornero, Governo Monti, e contenuta all'interno del decreto «salva-Italia» (articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201);
   la perequazione automatica delle pensioni è stata introdotta per la prima volta con la legge n. 153 del 1969 (articolo 19), al fine di adeguare il potere di acquisto delle pensioni all'aumento del costo della vita, nel rispetto degli articoli 36 e 38 della Costituzione, che prevedono l'adeguatezza dell'assegno pensionistico alle esigenze di vita di chi lo riceve;
   nella sentenza di censura della «norma Fornero», la Corte costituzionale ha ritenuto che tale diritto sia stato «irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio»; nel dispositivo, si specifica che «la censura relativa al comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività». Ne consegue che sono «intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36 Costituzione) e l'adeguatezza (articolo 38)». Quest'ultimo diritto – afferma la sentenza – «è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, Cost.»;
   ne deriva che i pensionati italiani che sono stati privati dell'adeguamento del loro assegno, con riferimento agli anni 2012 e 2013, devono essere risarciti. Non solo: anche gli assegni relativi agli anni 2014 e 2015 devono essere rideterminati, comprendendo nella base di calcolo quell'adeguamento che fino al 30 aprile 2015 non era stato considerato;
   il costo di quest'operazione per lo Stato può superare i 15 miliardi di euro. Solo la perequazione persa nei due anni di blocco cosiddetto Fornero (2012 e 2013), infatti, ammonta a 8,2 miliardi di euro (calcoli Inas-Istituto nazionale assistenza sociale-Emilia Romagna). Ma a questi bisogna aggiungere altri 3,9 miliardi di euro per il 2014 e il 2015 (fonte: «salva Italia»). Totale: 8,2 + 3,9 + 3,9 = 16 miliardi di euro tondi;
   ma c’è di più: queste cifre non sono incluse nel quadro macroeconomico del documento di economia e finanza, appena approvato dal Parlamento. Per quanto fosse a tutti noto il ricorso pendente presso la Corte costituzionale, nessuno stanziamento in caso di sentenza negativa è stato fatto dal Governo. Le previsioni di finanza pubblica sono, quindi, alla luce dei nuovi sviluppi, tutte da rivedere;
   e sono da rivedere e da riportare all'attenzione delle Camere al più presto, pena l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese da parte della Commissione europea, che obietterà al Governo la non corrispondenza tra i numeri del documento di economia e finanza e la realtà economica del Paese;
   questi 16 miliardi di euro, che equivalgono a un punto di prodotto interno lordo italiano, devono passare al più presto dalle casse pubbliche a quelle dei pensionati, per rispettare la sentenza della Corte costituzionale. E i conti pubblici, che ad oggi non tengono conto di questo elemento, devono essere tutti rifatti. Sembrerebbe un'annotazione solo contabile. Ed, invece, a parere degli interroganti dimostra l'avventurismo di questo Governo. Non si può dimenticare, infatti, che solo qualche mese fa, per esigenze prevalentemente elettorali, il Governo ha distribuito a pioggia circa 10 miliardi di euro sotto forma di bonus al suo potenziale elettorato;
   il Governo ha già annunciato un decreto-legge volto a risolvere la questione, da esaminarsi, per motivi politici, dopo le prossime scadenze elettorali, parlando di restituzione «selettiva e parziale», una tantum; fonti del Ministero dell'economia e delle finanze annunciano una soluzione compatibile con l'obiettivo programmatico del 2,6 per cento, per non scardinare la manovra di bilancio già predisposta; «se si dovesse ripristinare totalmente l'indicizzazione, l'Italia si troverebbe a violare simultaneamente il vincolo del 3 per cento, l'aggiustamento strutturale e la regola del debito», ha dichiarato il Ministro Padoan;
   la questione non potrà essere liquidata con una restituzione «selettiva e parziale», e quel che è grave è che l'attuale Esecutivo del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha già utilizzato tutti i margini a sua disposizione, tanto che, se il rispetto del limite del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo era già in bilico, oggi si può dire che è nei fatti già superato;
   a questo punto, a parere degli interroganti il «tesoretto» annunciato dal Governo, in particolare per «lanciare» la campagna utile alle imminenti elezioni regionali ed amministrative, se mai ci sia stato, dati i fatti, sicuramente ora non è più a disposizione –:
   quali siano la soluzione tecnica allo studio del Governo, i tempi previsti e l'impatto sui conti pubblici di un piano di recupero integrale dei trattamenti pensionistici, in grado di assicurare il ripristino immediato dei criteri di proporzionalità, adeguatezza ed equità delle prestazioni previdenziali facenti capo a tutti i pensionati interessati, così come determinato dalla sentenza della Corte costituzionale.
(3-01496)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza del 10 marzo 2015, n. 70, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma di cui al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in base alla quale per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici era riconosciuta nella misura del 100 per cento esclusivamente in favore dei trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps;
   dalla dichiarata incostituzionalità della norma discende il diritto dei pensionati di ottenere la restituzione degli importi non riconosciuti nel periodo in esame;
   secondo le prime stime, la decisione della Corte costituzionale sul congelamento dell'indicizzazione al costo della vita delle pensioni potrebbe avere un impatto sui conti pubblici valutato fino a 19 miliardi di euro e il Ministro dell'economia e delle finanze ha avuto modo di dichiarare che, se si dovesse ripristinare totalmente l'indicizzazione, «l'Italia si troverebbe a violare simultaneamente il vincolo del 3 per cento, l'aggiustamento strutturale e la regola del debito» –:
   con quali fondi saranno coperti i rimborsi dovuti. (3-01497)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   PANNARALE, SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca inviava ai direttori scolastici una circolare ministeriale informativa per le visite delle scolaresche presso Esposizione universale di Milano che va dal 1o maggio 2015 al 31 ottobre 2015;
   nella circolare vengono fornite informazioni riassuntive riguardo all'accesso alla fiera «delle cose che è possibile o non possibile portare», in cui testualmente è scritto: «qualsiasi tipo di materiale stampato o scritto, contenente propaganda a dottrine politiche ideologiche o religiose, asserzioni o concetti diversi da quelli esplicitamente autorizzati dalle autorità di pubblica sicurezza»;
   una frase simile è contenuta nelle informazioni relative al regolamento che è possibile scaricare dal sito ufficiale dell'Expo 2015 riferito ai «termini e condizioni dei biglietti-regole per i visitatori», in cui si afferma al punto 5.4, numero 7 «striscioni, cartelli, stendardi orizzontali, banderuole, documenti, disegni, materiale stampato o scritto, contenenti propaganda a dottrine politiche ideologiche o religiose, o asserzioni o concetti, diversi da quelli esplicitamente autorizzati dalle autorità di pubblica sicurezza»;
   a parere degli interroganti è gravissimo che le regole di un mercato fieristico diventino fonte di diritto primario rispetto a quelle di organi previsti dalla Costituzione, come la scuola, che si trovano a doversi adeguare alle prime e non viceversa. Cioè la scuola laica e della Costituzione viene costretta a violare la sua identità per adeguarsi a regole estranee;
   le autorità di pubblica sicurezza risulterebbero così responsabili di un potere che si configurerebbe potenzialmente arbitrario e travalicante le libertà democratiche di espressione e pensiero garantite dalla nostra Carta costituzionale –:
   cosa si intenda in relazione alle dottrine politiche e religiose «esplicitamente autorizzate dalle autorità di pubblica sicurezza» per gli obblighi di comportamento dei visitatori di Expo 2015, che, in verità, poco o nulla hanno a che fare con la sicurezza dell'ordine pubblico della manifestazione perché privativa di un diritto costituzionalmente garantito. (3-01488)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIARO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   qualsiasi importazione di prodotti alimentari non di origine animale e di prodotti destinati al contatto con gli alimenti è sottoposto, nel primo punto di entrata in Italia, a controlli dagli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), competenti per territorio;
   all'atto dell'importazione o dell'introduzione della merce sul territorio nazionale e/o comunitario l'importatore, o il suo legale rappresentante in dogana, deve richiedere presso la postazione dell'USMAF territorialmente competente un documento sanitario (nulla osta) che consente l'atto definitivo di importazione attraverso la presentazione dello stesso presso gli uffici doganali di competenza;
   la merce soggetta alla procedura USMAF, oltre al pagamento attraverso singolo versamento tramite conto corrente postale associato e riscontrabile alla relativa spedizione, può subire – per il rilascio del nulla osta – due diversi controlli: il primo solo documentale, il secondo più approfondito e quindi sottoposto ad analisi;
   questo secondo tipo di controllo è effettuato in maniera esclusiva dalle ASL di riferimento territoriale e solo queste possono eventualmente destinarle esternamente. Ciò determina, in un periodo dove queste strutture sono state fortemente colpite dalla spending review, una mancanza di fondi atti a garantire personale e straordinari per una pronta esecuzione degli esami richiesti a titolo preventivo sulle merci in importazione;
   la normativa italiana, in merito all'importazione dei prodotti alimentari non di origine animale e dei prodotti destinati al contatto con gli alimenti, si pone in maniera totalmente diversa rispetto alle norme degli altri Paesi dell'Unione europea;
   mentre nei Paesi comunitari i controlli vengono effettuati prima dell'immissione in consumo dei prodotti in questione, nel caso italiano vengono effettuati precedentemente all'operazione doganale, generando un allungamento delle procedure ed un maggior costo a carico della merce;
   tale procedura ha generato spostamenti di traffici su altre nazioni che applicano criteri decisamente più snelli –:
   al fine di snellire ulteriormente le procedure sanitarie, se il Governo non ritenga opportuno valutare:
    a) la possibilità di effettuare i controlli analitici presso strutture esterne a quelle attualmente obbligatoriamente utilizzate;
    b) l'opportunità quindi di poter indirizzare i campioni per le analisi a laboratori anche privati e accreditati dal Ministero, dal momento che ciò sarebbe elemento di risparmio sia in termini di tempo per la merce, sia in termini di risorse finanziarie per la pubblica amministrazione, poiché il costo dell'analisi è a carico della merce;
    c) la possibilità di gestire tramite conto a scalare (ad esempio conto differito per pagamento dazi e iva presso Agenzia delle dogane), o forma di garanzia diversa, il gettito quotidiano delle richieste di nulla osta;
    d) la possibilità di affidare il coordinamento dei controlli, ove non sia richiesto l'intervento medico, all'Agenzia delle dogane. (5-05564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con nota prot. n. 7421 del 21 gennaio 2015, il Ministero dello sviluppo economico (direzione generale per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali – divisione V) ha disposto la sospensione di tutti gli incarichi di revisione alle società cooperative (ovviamente, quelle non aderenti ad alcuna associazione di rappresentanza);
   rispetto alla sospensione della predetta attività di vigilanza registratasi due anni fa, l'attuale provvedimento è stato motivato con il fatto «che con la legge di bilancio per l'anno 2015 è stata operata una rilevante riduzione al Fondo da ripartire di cui al Cap. 1740 (Bilancio per capitoli — pag. 380 del supplemento ordinario n. 101 alla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2014) destinato a finanziare, fra l'altro per una quota di circa un terzo, il Cap. 2159 — pag. 33, con il quale questa direzione generale fa fronte a tutte le spese connesse all'attività di vigilanza»;
   nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 2015 è stato pubblicato il decreto ministeriale del Ministero dello sviluppo economico datato 20 gennaio 2015 con il quale, all'articolo 1 (e non solo), si ribadisce che «il contributo [è] dovuto dalle cooperative per le spese relative alla revisione degli stessi enti»;
   sulla base di tale decreto, entro il 28 giugno 2015 (ovvero, entro 90 giorni dalla pubblicazione del citato decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale), le società cooperative sono tenute al versamento del suddetto contributo revisionale, senza incorrere nel pagamento di sanzioni e interessi;
   tuttavia, al netto di altre importanti considerazioni di carattere socioeconomico e politico, appare agli interpellanti una evidente contraddizione in termini allorquando da un lato si continua ad obbligare le cooperative al versamento del contributo revisionale e, dall'altro, si sospende l'attività revisionale medesima;
   peraltro, è bene ricordare che per il potenziamento dell'attività revisionale sono stati impegnati, nel corso di decenni, ingenti fondi per la formazione e l'aggiornamento degli addetti alla vigilanza;
   secondo quanto segnalato agli interpellanti, ci sono numerose cooperative che non vengono revisionate da diversi anni, pur continuando a versare regolarmente il contributo de quo;
   peraltro, è forte il sospetto che il decreto ministeriale in oggetto o, in alternativa, la distrazione delle somme operata con la legge di stabilità per l'anno 2015, siano in contrasto con l'articolo 45 della Costituzione che, al primo e al secondo comma stabilisce che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
   ciò è ancora più evidente se si considera quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 220 del 2002 recante «Norme in materia di riordini della vigilanza sugli enti cooperativi, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001 n. 142, recante “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore”»;
   tale norma stabilisce che, nell'attività di vigilanza sulle società cooperative, il Ministero dello sviluppo economico possa «avvalersi, d'intesa con le amministrazioni interessate, di revisori esterni dipendenti da altre amministrazioni, nonché, sulla base di apposite convenzioni con le associazioni riconosciute, di revisori delle medesime»;
   pertanto, l'effetto del taglio dei fondi combinato con la norma appena citata è che la vigilanza sulle società cooperative è demandata integralmente alle associazioni riconosciute il cui rigore difficilmente sarà quello necessario per un'attività così delicata;
   inoltre, tale orientamento normativo, appare agli interpellanti del tutto illogico se si considera quanto previsto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico del 4 dicembre 2014 con il quale sono stati previsti dei significativi finanziamenti per le cooperative di nuova costituzione;
   non si capisce quale sia la logica per cui da un lato si prosciugano i fondi per la vigilanza alle cooperative e dall'altro si danno incentivi all'apertura di nuove, peraltro in un contesto generale nel quale negli ultimi mesi è un susseguirsi di scandali nei quali sono coinvolti uomini politici, cooperative e criminalità organizzata, così come denunciato dal primo firmatario del presente atto in ripetuti esposti alla magistratura;
   a parere degli interpellanti, è necessario viceversa potenziare e rendere sempre più penetranti i meccanismi di sorveglianza sulle cooperative che rappresentano una tipologia societaria molto utile ed importante (ma di cui si è troppo spesso abusato), proprio al fine di salvaguardare la parte sana e vitale del mondo cooperativo –:
   se i Ministri interpellati non ritengano, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile e urgente assumere iniziative per ripristinare i fondi dedicati allo svolgimento dell'attività revisionale alle cooperative;
   quale sia la logica sulla base della quale da un lato si sottraggono fondi alle attività revisionali per società cooperative e, dall'altro, si finanziano incentivi alla costituzione di nuove cooperative;
   se i Ministri non ritengano doveroso coordinarsi al fine di razionalizzare il rapporto tra la spesa revisionale e gli incentivi al mondo cooperativo;
   se i Ministri non ritengano di doversi attivare, per quanto di competenza ed esercitando il loro potere di iniziativa normativa nel senso di superare quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 220 del 2002 nella parte in cui il Ministero dello sviluppo economico può delegare, mediante apposite convenzioni, la revisione cooperativa alle associazioni riconosciute, facendo così in modo che il Ministero dello sviluppo economico non possa delegare alcun soggetto privato a svolgere le ispezioni e/o revisioni alle società cooperative.
(2-00965) «Luigi Di Maio, Della Valle, Crippa, Da Villa, Fantinati, Vallascas, Cancelleri, L'Abbate, Liuzzi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vignaroli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2014, il gruppo Indesit ha comunicato ufficialmente di aver sottoscritto un accordo per la cessione alla Whirlpool corporation del 66,8 per cento della partecipazione detenuta dalla holding Fineldo spa;
   in data 25 luglio 2014 l'Agenzia Invitalia ha siglato un Contratto di sviluppo con il Gruppo Whirlpool che prevede un investimento di 31 milioni di euro, dieci dei quali finanziati da Invitalia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli con un impatto occupazionale di 588 addetti tra posti salvaguardati e posti nuovi (attualmente lo stabilimento occupa 540 dipendenti, la nuova occupazione stimata alla stipula del contratto era dunque di 48 unità);
   in data 16 aprile 2015, il Gruppo Whirlpool ha annunciato un piano di riorganizzazione aziendale che prevede la chiusura del centro di ricerca di None e dello stabilimento di Carinaro in provincia di Caserta, in cui sono attualmente impiegati oltre 800 dipendenti;
   Invitalia, istituita dal decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, è una società per azioni non quotata partecipata interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze ed opera attraverso vari strumenti, tra i quali la sottoscrizione dei cosiddetti «contratti di sviluppo», istituiti con decreto ministeriale 24 settembre 2010 e regolamentati dal decreto ministeriale 14 febbraio 2014, successivamente modificato dal decreto ministeriale 9 dicembre 2014;
   l'articolo 9, comma 4, lettera b) del decreto ministeriale 9 dicembre 2014 prevede che per i programmi di sviluppo industriale, l'Agenzia valuti «la coerenza industriale e la validità economica del programma di sviluppo con il relativo impatto occupazionale» degli stessi;
   i Contratti di sviluppo sono strumenti per sostenere la crescita economica ed occupazionale nelle Regioni identificate dalla Carta degli Aiuti di Stato a finalità regionale (n. 117/10 Italia), approvata dalla Commissione europea il 6 luglio 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Unione Europea C. 215 del 18 agosto 2010;
   l'intervento della azienda Whirlpool in Campania ed il piano di riorganizzazione varata a seguita dell'acquisizione di Indesit (già annunciata al momento della stipula del contratto di sviluppo con Invitalia, seppur formalmente non completata al 25 luglio 2014) comporterà una perdita netta di posti di lavoro nella regione (tenendo conto delle stimate 48 nuove assunzioni nello stabilimento di Napoli) di circa 767 posti di lavoro;
   poiché i termini e i dettagli dell'accordo tra Invitalia e Whirlpool non sono mai stati resi pubblici non è possibile sapere se l'accordo con Invitalia sul finanziamento di 10 milioni di euro tenesse in qualche modo già in considerazione la riorganizzazione dello stabilimento di Caserta che sarebbe stata avviata di lì a poco e in quali termini;
   in ogni caso, qualora l'accordo non tenesse in considerazione lo stabilimento di Caserta, in virtù del fatto che al 25 luglio 2014 l'acquisizione di Indesit non era ancora completata seppur annunciata, l'azienda avrebbe dovuto ottenere una nuova autorizzazione da parte dell'agenzia Invitalia, erogante il finanziamento autorizzazione finalizzata a verificare che le operazioni societarie non alterassero o inficiassero le finalità ed i risultati del finanziamento erogato;
   l'articolo 19, comma 1, lettera e) e lettera h) del citato decreto ministeriale 9 dicembre 2014 prevede infatti che le agevolazioni concesse siano revocate, in tutto o in parte, secondo quanto previsto nella determinazione di concessione delle agevolazioni, qualora il soggetto beneficiario: non porti a conclusione, entro il termine stabilito, il progetto di investimento ammesso alle agevolazioni, salvo i casi di forza maggiore e/o le proroghe autorizzate dall'Agenzia complessivamente di durata non superiore a dodici mesi, ovvero, qualora il programma di investimento sia eseguito in misura parziale e non risulti, a giudizio dell'Agenzia, organico e funzionale (lettera e), ovvero qualora effettui operazioni societarie inerenti a fusione, scissione, conferimento o cessione d'azienda o di ramo d'azienda in assenza dell'autorizzazione dell'Agenzia (lettera h);
   il comma 4 del medesimo articolo 19 del decreto ministeriale 9 dicembre 2014 prevede infine che: «In caso di revoca delle agevolazioni disposta ai sensi del presente articolo, il soggetto beneficiario non ha diritto alle quote residue ancora da erogare e deve restituire in tutto o in parte il beneficio già erogato, maggiorato degli interessi e, ove ne ricorrano i presupposti, delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123» –:
   quali siano i dettagli del contratto di sviluppo siglato tra Invitalia e Whirlpool il 25 luglio 2005 e se sia a conoscenza in particolar modo di qualsiasi riferimento alla possibile chiusura dello stabilimento di Carinaro all'esubero di oltre 800 lavoratori conseguente alla già annunciata acquisizione di Indesit e dei suoi stabilimenti;
   se sia stata concessa l'autorizzazione da parte dell'agenzia Invitalia a Whirlpool per il prosieguo del contratto di sviluppo a seguito dell'acquisizione di Indesit e a quali condizioni;
   se non ritenga urgente avviare la procedura per la restituzione integrale dei finanziamenti erogati dall'Agenzia Invitalia al gruppo Whirlpool a fronte di una complessiva perdita di posti di lavoro nella regione Campania ad opera della medesima azienda beneficiaria, contravvenendo pertanto all'obiettivo primario dei contratti di sviluppo;
   se non ritenga urgente avviare una profonda revisione delle norme sui finanziamenti alle imprese e sul contratti di sviluppo per evitare che imprese, beneficiarie di finanziamenti pubblici volti ad incentivare l'occupazione e lo sviluppo in un determinato territorio, riducano invece i livelli occupazionali nello stesso territorio e richiedano ulteriori risorse per il finanziamento degli ammortizzatori sociali collegati agli esuberi.
(2-00967) «Tinagli, Cinzia Maria Fontana, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Lodolini, Parrini, Gribaudo, Giampaolo Galli, Di Salvo, Scuvera, Bruno Bossio, Vecchio, Librandi, Bombassei, Marazziti, Giuditta Pini, Capodicasa, Cimmino, Antimo Cesaro».

Interrogazione a risposta immediata:


   ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, BARBANTI, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i maggiori esperti del mondo si sono riuniti ieri a Roma per la conferenza internazionale «Poverty Alleviation, a role for technology and infrastructure», una forma di «global collective thinking», per confrontarsi e dare un contributo alla formazione delle politiche internazionali e nazionali da adottare per la riduzione della povertà, attraverso lo sviluppo della tecnologia e delle infrastrutture, poiché nel futuro prossimo sempre più saranno i servizi tecnologici e le necessarie infrastrutture per fornirli saranno determinanti per contribuire ad alleviare la povertà;
   durante i lavori hanno preso la parola Jin-Yong Cai, vice presidente esecutivo e ceo del ramo finanza internazionale della World Bank, Nicholas Negroponte, co-founder della MediaLab del MIt, Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e Ibrahim Mo, presidente della omonima fondazione che ogni anno premia il miglior presidente africano, il quale, a proposito del problema dell'immigrazione di cui tanto si parla in queste settimane, ha detto che Europa e Onu dovrebbero impegnarsi di più per sostenere la creazione di lavoro e di opportunità di reddito nel sud del mondo: «La gente non scappa dal proprio Paese se ha di che vivere»;
   l'Italia parte da una situazione svantaggiata poiché si classifica al 92esimo posto su 200 nazioni monitorate da NetIndex in ordine allo sviluppo dell’It;
   secondo i dati forniti da NetIndex, aggiornati a maggio 2015, il nostro Paese è all'89esimo posto su 200 nazioni censite per quanto riguarda la qualità delle connessioni domestiche. Da casa si naviga in media a 10,95 megabit per secondo in download, contro una media globale di 23,15 e contro i 30,54 della Germania. In upload si viaggia a 2,41 megabit per secondo, contro i 10,58 della media globale. E ancora. Secondo l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le reti di nuova generazione sono appena 800 mila, il 3,8 per cento del totale contro il 20 per cento in Germania e il 32 per cento del Regno Unito;
   raggiungere, entro il 2020, l'85 per cento della popolazione con la banda ultralarga ad almeno 100 megabit per secondo per raggiungere anche il restante 15 per cento della popolazione da una rete che consenta di scambiare almeno 30 megabit al secondo sono due obiettivi posti dal piano annunciato dal Governo il 3 marzo 2015, che prevede un investimento di 12 miliardi di euro in sette anni e tutta una serie di incentivi per i privati;
   il modello indicato dal Governo è il seguente: le aziende di telecomunicazioni potranno godere di defiscalizzazioni e credito agevolato, ma investiranno in proprio nelle 15 città principali. Il Governo interverrà con un minimo di fondi pubblici negli altri 1.130 comuni ad alta densità di popolazione e concentrerà gli sforzi finanziari, soprattutto, per mettere in pari le aree svantaggiate e di difficile copertura;
   come detto, il Governo ha dimostrato la volontà di restituire al controllo pubblico le grandi reti infrastrutturali di telecomunicazioni, a cominciare da quella futura della banda ultralarga, e si ipotizza uno stanziamento da 6,5 miliardi di euro in cinque anni per la fibra ottica. Il tutto avverrà attraverso l’Enel, il colosso elettrico controllato appunto dal Ministero dell'economia e delle finanze. Entro maggio 2015, infatti, l'Esecutivo dovrà determinare modalità e quantificazione degli incentivi per costruire la nuova rete;
   Enel avrebbe formalmente dichiarato alle autorità competenti la disponibilità a impegnarsi con un progetto in tempi strettissimi: tre anni per raggiungere tutta l'Italia, mandando così in soffitta la vecchia infrastruttura in rame e senza reclamare un ruolo nella gestione del servizio;
   il cardine dell'operazione è rappresentato da una recente normativa che consente che il cavo della banda larga possa essere «steso» anche sui tralicci elettrici con la cosiddetta posa aerea, un'opzione che supera, ad avviso del Governo, le difficoltà degli scavi e ne comprime i costi, ma soprattutto consente di raggiungere – come si sottolinea nella lettera all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – i cosiddetti cluster C e D, ossia le aree del Paese più sottoposte al digital divide: le zone di montagna, le campagne più isolate. E quindi raggiungere direttamente gli edifici e gli appartamenti con la tecnologia fttb (fiber to the building) e ftth (fiber to the home);
   lo sviluppo tecnologico effettivo va di pari passo con la capacità produttiva delle imprese, soprattutto in un momento di difficoltà strutturale come quello attuale;
   ad avviso degli interroganti, l'elevato costo per i lavori di basso livello necessari per la posa interrata della fibra, la migliore performance dovuta all'assenza di interferenze elettromagnetiche emesse dalla fibra ottica rispetto agli altri conduttori e il ridotto costo per l'utilizzo, ove possibile, dei cavidotti elettrici esistenti per il passaggio della fibra ottica stessa appaiono la soluzione più efficiente, efficace ed economica per il raggiungimento degli obiettivi annunciati dal Governo –:
   in che modo il Governo, oltre misure già annunciate, intenda sviluppare il progetto per la diffusione della banda larga e ultralarga in tutto il territorio nazionale, a partire dalle considerazioni sopra svolte, individuando i punti nevralgici per l'installazione dei pop wireless e wired, utilizzando i corrugati già presenti nel territorio comunali, per la posa della fibra, così da contenere i costi degli eventuali operatori pubblici e privati interessati alla prestazione dei servizi, soprattutto valutando l'ipotesi di un canone concertato per l'utilizzo dei cavidotti finalizzato allo sviluppo tecnologico uniforme del tessuto industriale del Paese, utilizzando la mappatura delle condotte già esistenti e chiedendo alle aziende che stipuleranno gli accordi di realizzare delle forme efficaci di informazione sull'uso e sui vantaggi della banda larga per aziende, cittadini e pubblica amministrazione. (3-01489)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, SCOTTO, FERRARA e MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il contratto di agenzia è un contratto tipico, disciplinato dalla contrattazione collettiva e dal codice civile che si instaura quando «una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata» (articolo 1742 codice civile). Tale contratto – disciplinato dalla direttiva CE n. 86/653 che, nell'ambito dei suoi «considerata» evidenzia come le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all'interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l'esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle relazioni con le loro proponenti, nonché la sicurezza delle operazioni commerciali – deve essere provato per iscritto ma, a seguito della sentenza della Corte di giustizia del 30 aprile 1998, non costituisce più requisito per la validità del contratto, l'iscrizione all'apposito ruolo presso ogni camera di commercio;
   numerose segnalazioni giunte in Parlamento evidenziano come le aziende ricorrono sempre più spesso alla stipula di mandati di agenzia pretendendo un rapporto di monomandato che, di fatto, cela la presenza, di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato con il quale si pregiudica inesorabilmente l'autonomia e la libertà di organizzazione del lavoro degli agenti che si vedono costretti a rispettare direttive particolarmente ferree e tali da incidere sulle reali possibilità di incrementare i relativi compensi;
   detti compensi, peraltro, in questi ultimi anni, risultano troppo spesso inferiori alle retribuzioni di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto commercio, e questo al lordo sia delle spese che devono sostenersi per la produzione del reddito e sia degli oneri assistenziali e previdenziali;
   le aziende, inoltre, nel gestire i rapporti di lavoro con i loro agenti hanno ed esercitano il potere di modificare unilateralmente la zona geografica prevista e contrattualmente assegnata, di ridurre la percentuale provvigionale prevista nel contratto, di escludere dal portafoglio assegnato alcuni clienti che solitamente corrispondono a quelli economicamente più significativi, anche acquisiti nel tempo dallo stesso agente, con conseguente danno economico e grave pregiudizio per la crescita professionale –:
   se e quali iniziative normative il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, se non ritenga opportuno intervenire attraverso apposite iniziative normative volte a prevedere che, per gli agenti monomandatari che non riescano a raggiungere un reddito minimo lordo pari a tre volte la retribuzione lorda di un lavoratore dipendente di settimo livello del contratto di commercio, il contratto possa essere trasformato automaticamente in plurimandato e, se, alla luce delle criticità suesposte che incidono profondamente sul reddito e sulla crescita professionale degli agenti, non ritenga opportuno intervenire attraverso apposite iniziative normative volte ad introdurre un divieto di modifica unilaterale del contratto di agenzia. (5-05579)


   POLIDORI e LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n. 45, istituiva un Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle legioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi accrescendo di un altro 3 per cento il valore delle royalties petrolifere a carico delle compagnie concessionarie e oltre 330 mila lucani hanno usufruito di questo beneficio attraverso la carta carburante;
   l'articolo 36 del decreto n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», ha modificato la denominazione del suddetto Fondo in: «Fondo per la promozione di misure di sviluppo economico e l'attivazione di una social card nei territori interessati dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi»; per la Basilicata le risorse di tale fondo per il biennio 2013-2014 ammontano a circa 130 milioni di euro da inserire in diversi settori d'intervento: social card, misure di sviluppo economico a favore dei sistemi di impresa, delle piccole e medie imprese, artigiani;
   il decreto-legge n. 133 del 2014, è intervenuto con una serie di disposizioni volte a semplificare e accelerare le procedure per favorire le trivellazioni di idrocarburi nel nostro Paese; sono state qualificate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attività di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili; sono state introdotte semplificazioni per ridurre i tempi necessari per il rilascio della valutazione di impatto ambientale e dei titoli abilitativi per la ricerca e la produzione di idrocarburi, prevedendo il rilascio di un titolo concessorio unico; è trasferita dalle regioni al Ministero dell'ambiente la competenza al rilascio del provvedimento di valutazione di impatto ambientale relativamente ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma;
   è stato di recente sottoscritto l'accordo preliminare tra il Sottosegretario allo sviluppo economico, Simona Vicari, ed il presidente della regione Basilicata, Marcello Pittella, relativo alle modalità procedurali di utilizzazione delle risorse derivanti dall'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n. 45, come modificato dall'articolo 36 dal decreto-legge n. 133 del 2014 «Sblocca Italia»;
   l'articolo 16 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come novellato dall'articolo 36 comma 1 del decreto-legge «sblocca Italia», prevede che una quota pari al 30 per cento dell'Ires versato dalle compagnie petrolifere per effetto dell'incremento delle attuali produzioni minerarie concorra a finanziare un fondo di sviluppo delle infrastrutture e delle attività produttive, oltre che delle misure necessarie per una rigorosa ed attiva tutela ambientale del territorio;
   dal 2001 al 2012 i fondi derivanti dall'estrazione dei petrolio in Basilicata, e assegnati ai comuni ammontano a circa un miliardo di euro. Circa l'80 per cento delle amministrazioni ha utilizzato questi fondi per spese correnti –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per verificare la salvaguardia degli obiettivi della qualificazione della spesa e della sua finalizzazione verso prospettive produttive del territorio lucano, e se non ritenga opportuno individuare, anche con successive iniziative normative un fondo permanente per lo sviluppo economico e infrastrutturale della Basilicata. (5-05580)


   ALFREIDER, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   durante le scorse settimane è stato firmato l'accordo per l'incorporazione di Alcatel Lucent nel gruppo Nokia. Intenzione di Nokia sarebbe di dismettere alcuni siti produttivi, compreso quello di Trieste, dove operano 318 dipendenti a tempo indeterminato e 400 somministrati e, calcolando l'indotto, la forza lavoro ammonta ad un totale di quasi 900 addetti;
   la drammatica notizia della possibile dismissione è stata data dall'amministratore delegato della società, Michele Combes, nel corso dell'incontro avuto a Parigi, lo scorso 18 aprile, con il coordinamento europeo dei rappresentanti sindacali dell'azienda;
   dalla nota del Ministero dello sviluppo economico del 22 aprile si apprende che, durante l'incontro con il Ministro dello sviluppo economico Guidi, il presidente e amministratore delegato della Alcatel-Lucent Italia, Roberto Loiola, abbia ribadito che il sito di Trieste ricopre un ruolo strategico per il businnes dell'impresa, poiché produce tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di competenze specialistiche;
   secondo informazioni non confermate, però, allo stabilimento triestino sarebbero già interessate le società statunitensi Flextronics e Jabils, operanti entrambe nella produzione di componenti elettrici e note per essere strategicamente orientate a delocalizzare le produzioni in Paesi «low cost»;
   a confermare questo interesse sarebbe la notizia, diffusa il 25 aprile dal quotidiano Il Piccolo, della visita a Trieste del vicepresidente e manager della Flextronics, Eric Sislian;
   data l'incertezza e la poca chiarezza circa il futuro del sito di Trieste, i sindacati si sono mobilitati fin da marzo, sia con diverse azioni dimostrative che sensibilizzando le istituzioni locali;
   già in un comunicato stampa del 18 aprile la Presidente Serracchiani, dopo un colloquio con il Ministro Guidi, affermava che «Il Ministro Guidi contatterà Nokia nei prossimi giorni per prendere in mano il filo di questo discorso. Noi siamo convinti che il sito di Trieste ha un futuro e vogliamo mettere in opera tutte le azioni per scongiurare una crisi che avrebbe gravissime conseguenze»;
   il 25 aprile le rappresentanze sindacali sono state ricevute dalla presidente della regione, che durante l'incontro, ha ribadito il suo impegno confermando quanto già riportato dalla nota stampa in merito all'impegno del Ministro;
   il 29 aprile 2015, oltre allo sciopero di otto ore del personale dell'azienda, è stato organizzato un presidio davanti alla Camera dei deputati proprio per sensibilizzare le forze politiche sul tema del possibile smantellamento del sito produttivo;
   a seguito di nuove notizie sulla vendita e, forse, anche sulla dismissione e chiusura dello stabilimento, come si legge in un articolo di Triesteprima dell'8 maggio 2015, i lavoratori ed i sindacati avrebbero annunciato per questa settimana la mobilitazione ed uno sciopero a «scacchiera»;
   desta forti preoccupazioni l'incerto futuro dell'impianto, sia per l'alto numero degli occupati interessati, sia per l'impatto che una chiusura potrebbe avere su un territorio a bassa industrializzazione come quello triestino –:
   se il Ministro abbia avviato i contatti con i vertici di Nokia per fare chiarezza sulle reali intenzioni in merito allo stabilimento di Trieste e quali provvedimenti urgenti intenda porre in essere per scongiurare la chiusura del sito industriale triestino. (5-05581)


   DA VILLA, FANTINATI, CRIPPA, CANCELLERI, DELLA VALLE e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comma 19 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge stabilità 2015) estende al 2015 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato;
   per l'anno 2015 si rinvia ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge che dovrà stabilire i criteri e specificare le modalità di individuazione degli aventi diritto, nonché di trasmissione dei relativi elenchi all'agente della riscossione;
   tale decreto interministeriale è già stato adottato il 24 settembre 2014 in attuazione del comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, dispone la compensazione suddetta, per l'anno 2014;
   dopo che il gruppo M5S con interrogazione a risposta immediata in Aula (3-01008) discussa il 10 settembre 2014 al Ministro dello sviluppo economico aveva sollecitato l'emanazione del provvedimento;
   si ricorda che tale norma nasce da una proposta emendativa del gruppo MoVimento 5 Stelle al citato decreto-legge, cosiddetto «Destinazione Italia», al fine di sostenere le piccole e medie imprese, che non solo subiscono una pressione fiscale e obblighi burocratici asfissianti, ma attendono ormai da troppi anni i pagamenti dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione;
   per tale ragione la norma sopra citata intende andare incontro a quelle imprese che, in aggiunta al danno di dove attendere oltre ogni accettabile termine il pagamento del credito dalla pubblica amministrazione, subiscono anche la beffa di vedersi notificata una cartella di Equitalia;
   è giusto che lo Stato pretenda il pagamento delle imposte, ma deve anche adempiere i suoi obblighi soprattutto verso le imprese. Infatti, in Italia un'impresa su tre chiude perché lo Stato non paga i propri debiti;
   è prioritario ai fini del rilancio dell'economia italiana che il Governo faccia di tutto per accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, perché l'economia italiana si trova in una preoccupante situazione di recessione;
   il termine di 90 giorni per l'emanazione del citato decreto è stato ampiamente superato e l'urgenza dell'adozione di tale provvedimento è ancor maggiore dal momento che la norma primaria prevede la compensazione per il solo anno 2015 –:
   nell'ambito della propria competenza quale sia lo stato di avanzamento del procedimento di adozione del decreto ministeriale riguardante la compensazione tra cartelle esattoriali e crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione per l'anno 2015, dal momento che il termine di legge dei novanta giorni per l'emanazione è stato ampiamente superato, e se vi siano indicazioni precise circa le ragioni del ritardo e, soprattutto, i tempi di emanazione. (5-05582)


   BENAMATI, IMPEGNO, TARANTO, LACQUANITI, DONATI, BARGERO, SENALDI e CANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 luglio 2014 il gruppo Indesit ha reso noto la sottoscrizione di un accordo per la cessione alla multinazionale americana Whirlpool corporation del 66,8 per cento della propria partecipazione aziendale;
   il 25 luglio 2014 l'Agenzia Invitalia ha siglato un contratto di sviluppo con il gruppo Whirlpool, che prevedeva un investimento di 31 milioni di euro, dieci dei quali finanziati da Invitalia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli;
   dallo scorso febbraio il Ministero dello sviluppo economico, insieme ai rappresentati delle regioni ove sono presenti gli insediamenti produttivi del gruppo (Toscana, Lombardia, Marche e Campania), dei lavoratori, dei sindacati e dell'azienda ha aperto il confronto sul progetto di integrazione tra Whirlpool e Indesit, progetto industriale che secondo il Ministro Guidi deve essere indirizzato alla salvaguardia e alla valorizzazione dell'elevato patrimonio di competenze accumulato nel tempo dalle due aziende;
   il 16 aprile 2015 il gruppo Whirlpool ha proposto, a fronte di un piano di investimenti di cinquecento milioni di euro in quattro anni e la previsione di un incremento dei volumi produttivi complessivi in Italia, un piano di esuberi che coinvolgerebbe 1.350 lavoratori, oltre alla chiusura degli stabilimenti Indesit Company di None (Torino), di Albacina, dove però i 640 dipendenti dovrebbero confluire nel vicino stabilimento di Melano, entrambe in provincia di Ancona, e Carinaro, nel casertano, che attualmente impiega 815 dipendenti;
   il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi dopo la presentazione del piano industriale da parte dell'azienda, nel dichiarare che il Governo avrebbe fatto di tutto per salvaguardare i posti di lavoro del gruppo Whirlpool in Italia ha ribadito la richiesta all'azienda di garantire il rispetto di quanto stabilito nell'accordo del 2013 sull'acquisizione della Indesit che escludeva qualsiasi licenziamento unilaterale fino al 2018;
   durante gli incontri programmati e tenutisi finora al Ministero dello sviluppo economico, azienda e sindacati hanno confermato le proprie posizioni: la prima confermando il piano industriale presentato il 16 e già ribadito il 27 aprile, i secondi chiedendo di cancellare dal piano la chiusura degli stabilimenti di Carinaro in Campania e di Albacina nelle Marche e i conseguenti licenziamenti; nella giornata dell'11 maggio scorso sarebbe stato negato al Sottosegretario al lavoro Teresa Bellanova e al prefetto di Caserta Carmela Pagano l'accesso allo stabilimento Whirlpool-Indesit di Carinaro (Caserta) per una visita richiesta dai lavoratori che da settimane protestano contro la chiusura dello stabilimento annunciata dai vertici della multinazionale americana –:
   quale sia lo stato della trattativa e quali ulteriori iniziative il Ministro interrogato intenda porre in atto per arrivare ad una soluzione che vada nella direzione della tutela dei siti interessati, della salvaguardia dell'occupazione, del mantenimento degli impegni annunciati da azienda, istituzioni e rappresentanze sindacali e per mantenere in Italia la capacità tecnologica e di sviluppo del prodotto.
(5-05583)


   ALLASIA, SIMONETTI e MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è scaduto il 28 febbraio 2015 il termine per l'ufficializzazione di eventuali manifestazioni di interesse su Mercatone Uno da parte di potenziali investitori nell'ambito della procedura di concordato preventivo avviata dal Gruppo a gennaio;
   la «Mercatone Uno» (236 negozi a marchio Mercatone e 68 dei negozi a insegna Tre Stelle) è in crisi profonda e 34 punti vendita dove i conti registrano i peggiori passivi sembrano arrivati al capolinea;
   l'azienda ha 450 milioni di euro di debiti e in questo momento è in corso quello che si chiama «concordato in bianco» e per sperare in un esito positivo, dovrebbero arrivare nuovi operatori disposti a rilevare più del 50 per cento dei punti vendita. Gli acquirenti interessati a negozi in crisi non si trovano. Di fatto dal 21 marzo 34 negozi hanno iniziato svendite autorizzate dal tribunale che sono l'anticamera della chiusura;
   l'azienda ha sedi in tutta Italia e 12 punti vendita in Piemonte in cui lavorano circa 400 persone. Da quattro anni ai dipendenti è applicato un contratto di solidarietà per 16 ore settimanali, che corrisponde ad uno stipendio di circa 300 euro mensili, i lavoratori dei punti vendita di Mappano e Brandizzo (To) sono stati in stato di agitazione e hanno presidiato i negozi giorno e notte al fine di sensibilizzare sulle difficili prospettive del gruppo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda riattivare il tavolo nazionale, per cercare di salvaguardare l'occupazione di tutti i dipendenti nazionali e dei circa 400 dipendenti dei 12 punti vendita siti in Piemonte. (5-05584)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO, PRINA, RAMPELLI, TENTORI, FIANO, GANDOLFI, MALISANI e MANNINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in due articoli pubblicati il 2 dicembre 2014 e l'8 maggio scorso sul sito Lavoripubblici.it, il portale dell'edilizia, si dà conto della pubblicità di una nota azienda italiana specializzata nella grande distribuzione di mobili e complementi d'arredo che tempo fa reclamizzava il «regalo» di un architetto, e di un nuovo servizio sul web che, sfruttando il modello di business comunemente chiamato «Crowdsourcing» e una piattaforma internazionale on-line, si propone di cambiare il modo di concepire la progettazione architettonica;
   come ricorda il suddetto articolo dell'8 maggio, la piattaforma dovrebbe rappresentare il punto di incontro tra clienti che vogliono ristrutturare e designer professionisti provenienti da ogni parte del mondo. Fin qui nulla di male, se non fosse che alcuni punti del servizio restano tutt'ora oscuri e le modalità di pubblicizzazione risultano secondo gli interroganti essere altamente offensive nei confronti dell'intera categoria professionale degli architetti. La piattaforma permette di registrarsi come «cliente» che desidera ristrutturare, oppure come «designer» che può invece partecipare alle gare proponendo i propri progetti;
   nell'ambito della suddetta piattaforma, non è affatto chiaro chi certifichi le competenze dei designer e chi garantisca il cliente di avere a che fare davvero con un architetto, con un ingegnere, piuttosto che con un improvvisato;
   sotto quest'ultimo aspetto, va ricordato che il recepimento della direttiva 2006/123/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 59 del 2010) introduce nel nostro Paese importanti riforme nei rapporti tra professionista ed il cliente/committente. Tra queste vanno ricordate le polizze di responsabilità civile, l'obbligo del preventivo e del relativo contratto con il committente/cliente. Soprattutto il recepimento della direttiva introduce il principio della trasparenza nei rapporti tra il professionista e l'utente, a rafforzare le tutele per il consumatore ed abbattere l'asimmetria informativa da sempre rilevata in questo tipo di attività professionali. Pertanto «derogare» da questo sistema non avvantaggia sicuramente i professionisti ma certamente danneggia il consumatore poiché sottrae l'attività «professionale» da qualsiasi possibilità di controllo per la qualità e per le responsabilità verso l'utente finale stesso;
   come riportato nell'articolo on-line, la pubblicità violerebbe i commi 1 e 2 dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012 sulla riforma degli ordinamenti professionali, relativamente alla libera concorrenza e pubblicità informativa, laddove il comma 1 prevede che «è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni», e il comma 2 specifica che «la pubblicità informativa di cui al comma 1 deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria»;
   il commento di un ingegnere, riportato nell'articolo, evidenzia giustamente come il messaggio promozionale veicolato attraverso un cartoon, rappresenti l'architetto come un «vecchio che produce un progetto che di sicuro non ti piace e costoso a prescindere è qualcosa di inqualificabile. Non è una pubblicità comparativa ma una pubblicità che denigra una intera professione paragonando poi il servizio offerto dal gestore del concorso come se non fosse fatto da altri professionisti, che alla fine potrebbero essere ascritti alla categoria generica e non esaustiva dell'architetto (geometra, arredatore d'interni, ingegnere ?). Quindi si dice che c’è un «architetto» che si fa pagare, e una professionalità anonima che non si fa pagare per darti delle idee. Che cosa è questo se non sfruttamento del lavoro e schiavitù e omissione di informazioni ?» –:
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per regolamentare in maniera più stringente forme di pubblicità informativa e di servizi resi ai consumatori, attuate con le modalità esposte in premessa. (4-09150)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   molti dipendenti dell'azienda Eaton s.r.l. di Monfalcone (Gorizia) sono stati posti da alcuni anni in cassa integrazione. L'azienda, già a partire dal 2013 aveva annunciato che il regime di cassa integrazione non sarebbe stato rinnovato per l'anno 2015 e che si sarebbe quindi concluso, come previsto, al termine del 2014. È importante sottolineare che oltre ai molti dipendenti posti in cassa integrazione, l'azienda aveva contestualmente proceduto al licenziamento di 112 operai, a fronte, come dichiarato dall'azienda stessa, di un minor carico di lavoro;
   una settantina di operai con esperienza anche decennale sono stati posti in mobilità, ma, nel frattempo, da circa un anno, la ditta monfalconese è tornata a livelli di produzione soddisfacenti, paragonabili certamente al periodo precedente l'avvento della crisi economica, con la necessità di inserire nuovo personale. Senza alcuna spiegazione, la Eaton, non ha scelto di richiamare in servizio i lavoratori recentemente licenziati, ma incredibilmente, è ricorsa all'assunzione di ben 10 operai con contratto interinale, escludendo, in tal modo, la possibile riassunzione di lavoratori che, licenziati da poco tempo, non avevano ancora trovato una nuova occupazione;
   alla richiesta di chiarimenti da parte dei lavoratori fuoriusciti, sembrerebbe che l'azienda abbia risposto sostenendo che non è prevista, dalla politica aziendale, la riassunzione di personale, anche esperto, che abbia volontariamente lasciato l'azienda, anche se a fronte di incentivi concessi;
   l'interrogante ritiene che si debba privilegiare la riassunzione di coloro che sono stati estromessi dal ciclo produttivo, anche alla luce dell'esperienza già posseduta per le specifiche mansioni richieste, senza ulteriori oneri per l'azienda stessa, derivanti dalla necessaria formazione preventiva;
   alla fine del 2014, la provincia di Gorizia risultava 104esima su 110 province italiane per numero di disoccupati; i più recenti dati sulla cassa integrazione in deroga segnalano Gorizia in quanto prima provincia del Friuli Venezia Giulia per impiego della cassa integrazione, con un incremento del 52 per cento su base annua –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa in ordine alla società Eaton di Monfalcone, Gorizia, in particolare in merito alla decisione dell'azienda di mettere in mobilità dei dipendenti con esperienza decennale e allo stesso tempo ricorrere a società interinali per l'assunzione di nuovo personale, privo di esperienza e quindi da sottoporre ad un periodo di formazione, con i conseguenti costi per l'azienda;
   quali iniziative intenda porre in essere, congiuntamente con la provincia di Gorizia – assessorato al lavoro – e con la regione Friuli Venezia Giulia, al fine di istituire un tavolo di concertazione ed analisi, composto dai sindacati dei lavoratori e dai rappresentanti aziendali, per affrontare il caso di Eaton s.r.l. e considerare l'ipotesi di un tavolo di confronto allargato, per affrontare la crisi che ha recentemente colpito anche altre aziende dell'Isontino tra cui ad esempio la Detroit nel comune di Ronchi dei Legionari (Go), la cooperativa Ite e la Tex Giulia di Gorizia. (4-09151)


   LOMBARDI, BARONI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, TOFALO, PESCO e DAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile 2015 è andata in onda una trasmissione di Report su Raitre sul fenomeno grave e diffuso, investigato solo a Roma, della disponibilità di indirizzi «comodi» e fittizi; da molti anni, ai senza tetto e senza fissa dimora, viene concessa dal Campidoglio la possibilità di registrarsi in un numero limitato di indirizzi, per esempio presso diciannove ONLUS o a via Modesta Valenti;
   poi il fenomeno è degenerato, tanto è vero che presso tali indirizzi sono risultate registrate società di capitali e/o amministratori di società, spesso cosiddette teste di legno;
   in particolare, nella puntata di Report vengono citate sia la ONLUS Camminare insieme, presieduta del sedicente cavaliere di Malta Vincenzo Fiermonte, sia la comunità di Sant'Egidio, sita in via Dandolo 10, entrambe sedi legali di molte società di capitali;
   appare pacifico che il comune di Roma avrebbe dovuto comunicare all'Agenzia delle entrate tali indirizzi, in modo che eventuali cartelle esattoriali di rilievo a carico dei residenti agli indirizzi fittizi sarebbero risultate anomale, in quanto si tratta di persone nullatenenti o quasi;
   appare altresì pacifico che il comune di Roma avrebbe dovuto avvisare la camera di commercio di Roma, in ordine alla sussistenza degli indirizzi fittizi, in quanto organo deputato alla registrazione delle imprese e delle loro residenze;
   in effetti il Ministero dello sviluppo economico, con una lettera circolare del 13 ottobre 2010, aveva statuito l'illiceità degli indirizzi fittizi per la registrazione delle imprese e infatti la camera di commercio nel 2012 aveva scritto alla polizia municipale che questi indirizzi non possono essere usati come sede di un'impresa individuale, né come sede legale di società di persone o di capitale, eppure l'anno dopo ben 1350 imprese hanno utilizzato come per la loro sede;
   anche il Ministero dello sviluppo economico che vigila sulla camera di commercio aveva chiarito che imprese e amministratori non possono utilizzare indirizzi fittizi ma al comune di Roma solo nel 2014 ha chiesto di fermare le iscrizioni di queste imprese e la loro cancellazione;
   dalla trasmissione Report si apprende che le iscrizioni al registro delle imprese con gli indirizzi fittizi sono continuate fino a pochi mesi fa; gli assessori Danese e Leonori della Giunta Marino di Roma, intervistati da Report, non hanno saputo fornire spiegazioni razionali ed esaurienti sullo stato delle cose presente o passato, né hanno fatto alcuna dichiarazione in merito a eventuali denunce contabili o penali sulle gravi anomalie riscontrate –:
   se il Ministero dello sviluppo economico abbia monitorato e vigilato, a partire per lo meno dall'ottobre 2010, che gli indirizzi come via Modesta Valenti e assimilati, usati per i senza tetto, non fossero utilizzati come sede di un'impresa individuale né come sede legale di società di persone o capitali;
   se il Governo abbia avuto un'attenzione specifica nei confronti del caso emerso a Roma, anche in considerazione del fatto che la camera di commercio, dal dicembre 2012, aveva segnalato la questione relativa agli indirizzi fittizi al comune di Roma;
   se la nota del Ministero dello sviluppo economico dell'ottobre 2010, o una di contenuto simile, sia mai stata inviata all'Agenzia delle entrate o a Equitalia, al fine di segnalare una possibile forma di evasione da parte di contribuenti e imprese, per il tramite di indirizzo fittizio;
   se il Governo intenda per il futuro agire con forza per contrastare il fenomeno degli indirizzi fittizi su tutto il territorio nazionale e prevenire eventuali altri scandali;
   se, vista la gravità della situazione romana non si reputi necessario inviare ispettori ministeriali presso la camera di commercio di Roma. (4-09152)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Tullo e altri n. 1-00819, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Iacono, Fabbri.

  La mozione Nicola Bianchi e altri n. 1-00821, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gallinella.

  La mozione Gagnarli e altri n. 1-00836, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cristian Iannuzzi.

  La mozione Malpezzi e altri n. 1-00839, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carra, Fabbri, Carnevali.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   mozione Saltamartini ed altri n. 1-00860 del 12 maggio 2015.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Oliverio n. 3-01367 del 17 marzo 2015;
   interrogazione a risposta scritta Allasia n. 4-08584 del 26 marzo 2015;
   interrogazione a risposta scritta Librandi n. 4-08675 dell'8 aprile 2015;
   interpellanza Sorial n. 2-00938 del 17 aprile 2015.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da articoli di stampa di questi giorni, la società Poste Italiane spa avrebbe predisposto un piano industriale «lacrime e sangue» con un allarmante indicazione in merito a circa 20 mila esuberi;
   il fattoquotidiano.it confermerebbe tali indiscrezioni, indicando criticità per quanto concerne il numero dei dipendenti e un'ondata di demansionamenti finalizzati a contenere i costi in vista della quotazione in borsa del gruppo pubblico;
   Poste Italiane spa è un'azienda di totale proprietà dello Stato tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale e altresì, con la direttiva europea 6/2008, le viene riconosciuto un ruolo importante nel contributo alla coesione sociale, disponendo di reti postali in zone rurali e scarsamente popolate;
   a parere dell'interrogante – stando anche alle ultime audizioni dell'amministratore delegato in Commissione trasporti alla Camera dei deputati – emergerebbero notevoli criticità sulla capacità del gruppo Poste Italiane nel mantenere standard minimi di qualità del servizio universale e nel garantire i livelli occupazionali e altresì, notevoli criticità per i numerosi disservizi verificatesi negli ultimi mesi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, possano attivarsi per fare chiarezza su eventuali esuberi e le soluzioni alle criticità espresse in premessa e se altresì intendano attivarsi al fine di mantenere gli standard minimi di qualità del servizio universale;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, reputino necessario intervenire affinché Poste Italiane spa attui strategie per la sostenibilità dell'attività dei lavoratori e altresì, ogni iniziativa volta alla tutela della salute degli stessi.
(4-06630)

  Risposta. — Con riferimento alla notizia apparsa su alcuni organi di informazione e riportata nell'interrogazione in esame, concernente una «allarmante indicazione in merito a circa 20.000 esuberi», Poste italiane ha comunicato che la notizia, peraltro già smentita, riporta numeri che non corrispondono al vero.
  L'azienda ha, peraltro, precisato che il piano industriale presentato, in una fase di trasformazione caratterizzata da profondi cambiamenti in molti settori economici, è invece orientato alla crescita ed allo sviluppo del gruppo per la fornitura di servizi di qualità, trasparenti ed affidabili per accompagnare cittadini, imprese e pubblica amministrazione verso la nuova economia digitale.
  In merito a tale tema l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha evidenziato che l'adozione del piano industriale da parte della società Poste italiane, rientrando nell'autonomia di indirizzo e gestione della stessa, esula dalle competenze in materia di regolazione e vigilanza sul settore postale attribuite all'AGCOM dal decreto legislativo del 22 luglio 1999 n. 261.
  Tuttavia, le conseguenze in termini di qualità di fornitura del servizio universale derivanti dalle scelte autonome dell'operatore contenute nel piano saranno in ogni caso esaminate dall'autorità per verificarne la rispondenza alla regolamentazione vigente.
  Con riguardo alla distribuzione degli uffici postali sul territorio nazionale, la stessa autorità ha rappresentato che su tale delicata materia, in ottemperanza a quanto prescritto dalle direttive comunitarie (considerando 19 e 54 della Direttiva 2008/6/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008) e recepite dalla normativa nazionale, è stata avviata con delibera n. 236/13/CON5, un'apposita istruttoria finalizzata a valutare la congruità dei vigenti criteri di distribuzione dei punti di accesso (declinati con il decreto 7 ottobre 2008) rispetto alla specifica esigenza di garantire una fornitura omogenea del servizio universale su tutto il territorio nazionale ivi comprese le zone rurali e montane posta dal decreto legislativo n. 261 del 1999 e, dunque, valutare l'opportunità di modificare tali criteri.
  Tale istruttoria si è conclusa con l'adozione della delibera 342/14/CONS recante «Punti di accesso alla rete postale: modifica dei criteri di distribuzione degli uffici di Poste Italiane», con la quale l'Autorità ha integrato i criteri di distribuzione degli uffici postali di cui all'articolo 2 del decreto del 7 ottobre 2008, attraverso l'introduzione di specifiche previsioni di garanzia a tutela degli utenti residenti nelle zone remote del Paese, qualificando come tali, da un lato, i comuni rurali che rientrano anche nella categoria di comuni totalmente montani, dall'altro, le isole minori».
  Con riguardo, infine, alla qualità del servizio postale universale, l'AGCOM ha evidenziato che il decreto legislativo del 22 luglio 1999, n. 261 prevede all'articolo 12 che l'Autorità di regolamentazione, «al fine di garantire un servizio postale di buona qualità», stabilisca standard qualitativi del servizio universale, con riguardo essenzialmente «ai tempi di instradamento e di recapito ed alla regolarità ed affidabilità dei servizi» e che tali standard siano recepiti nella carta della qualità del servizio pubblico postale. Da ultimo, tali standard, sono stati fissati con decreti del Ministero dello sviluppo economico del 1o ottobre 2008 recante «Obiettivi di qualità del servizio di corrispondenza non massiva per il triennio 2009-2011» e del 23 novembre 2009 recante «Obiettivi di qualità per il triennio 2009-2011 relativi ai servizi di posta massiva, posta raccomandata, posta assicurata e pacco ordinario, forniti da Poste italiane s.p.a.
  Tali obiettivi sono riportati nella carta della qualità pubblicata sul sito di Poste italiane.
  L'AGCOM, infine, ha assicurato di effettuare un'attività di monitoraggio, controllo e verifica del rispetto degli standard di qualità del servizio postale universale. I risultati annuali sono pubblicati dall'Autorità sul proprio sito web.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la situazione scolastica dei cittadini italiani ed europei ad Istanbul risulta particolarmente difficoltosa a causa della normativa locale che prevede che in territorio turco non si possono aprire scuole straniere per tutto il primo ciclo (8 anni);
   la frequenza degli istituti scolastici locali risulta molto problematica sia per la lingua che per finalità e linee educative di diversa ispirazione;
   per ovviare a tali inconvenienti, a beneficio dei cittadini italiani, a partire dal 2009, il Ministero degli affari esteri ha permesso l'avvio di un progetto scolastico che potesse risolvere il problema concedendo locali consolari così come già attuato dal consolato francese e da quello austriaco. Con la stessa modalità funziona negli stessi locali consolari la scuola media statale italiana, anch'essa soggetta al divieto della legge locale ad operare in territorio turco;
   da tre anni la scuola primaria «Marco Polo» (che ha potuto attivare anche una sezione di scuola dell'infanzia] è retta da un comitato di gestione di genitori che nel 2013 si è legalmente costituito, con riconoscimento giuridico, in Associazione aperta a terzi (con denominazione ITEKAD: Associazione per la ricerca, l'educazione e la cultura italiana);
   la scuola «Marco Polo» applica interamente i programmi previsti dalla vigente normativa italiana, ha creato regolari organi collegiali per permettere la partecipazione dei genitori e dei docenti;
   il personale docente e la coordinatrice didattica, tutti con cittadinanza italiana, sono in possesso dei titoli e delle abilitazioni richieste;
   le modalità di lavoro della scuola sono quelle previste dalla normativa ed applicate in Italia sia per quanto attiene ai programmi, agli incontri collegiali e alla programmazione;
   l'Associazione ITEKAD, che gestisce la scuola dal punto di vista amministrativo, oltre ad essere ente gestore con personalità giuridica idonea alla conduzione di una scuola italiana, che si auspica al più presto riconosciuta come paritaria nell'interesse degli alunni, svolge la propria attività senza scopo di lucro;
   la scuola «Marco Polo» è totalmente autofinanziata grazie alle quote associative ed opera in piena autonomia economica;
   la finalità di accogliere i cittadini italiani è resa possibile anche dall'applicazione di rette scolastiche decisamente basse rispetto allo standard turco (1/3 rispetto alle normali scuole private);
   in casi di situazioni di difficoltà, la scuola concede borse di studio per l'esonero dal pagamento delle quote;
   le entrate, come prevede la natura dell'ente, sono completamente destinate al pagamento delle spese di gestione amministrativo-didattica e al costo del personale;
   come accennato, avendone i requisiti, la scuola italiana ha richiesto il riconoscimento della parità scolastica ed è in attesa della conclusione dell’iter previsto;
   malgrado ripetute richieste le autorità diplomatico consolari italiane ad Istanbul non prendono in considerazione la richiesta della scuola di concessione di locali suppletivi, necessari per venire incontro alle aumentate esigenze di scolarità dei connazionali, da adeguare ed attrezzare a spese della scuola stessa. Ciò malgrado lo Stato italiano disponga di grandi spazi nel Palazzo Venezia, nelle tante costruzioni del consolato e nei vasti giardini. Questa situazione è motivo di tristezza tanto più che di fronte alla scuola italiana c’è il modello vincente della scuola francese che accoglie un numero altissimo di allievi nei giardini dell'Ambasciata utilizzando anche prefabbricati oltre agli edifici storici;
   invece di venire incontro alle esigenze della scuola italiana, le nostre autorità diplomatico consolari si sono spese per pubblicizzare la nascente scuola turca turca «Italyan Koleji», spingendosi inizialmente a propagandarla come «scuola italiana» pur trattandosi di una scuola privata turca. Per il lancio di detta scuola sono stati usati i luoghi dell'italianità (grande festa a Palazzo Venezia), l'iscrizione presso il Circolo Roma nonché lo stemma della Repubblica Italiana nella home page del sito internet. Un italian sounding a scapito del made in Italy che ingenera nella comunità italiana il timore che le autorità diplomatico consolari italiane vogliano favorire un'iniziativa commerciale profit quale la «Italyan Koleji» a scapito di una scuola italiana no profit ed autogestita. Senza contare che le rette della scuola privata turca in questione sono tre volte più costose di quelle della scuola italiana –:
   in merito a quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di mettere rapidamente a disposizione della scuola italiana gli spazi di cui necessita per l'espletamento delle attività didattiche all'interno dei luoghi extraterritoriali dello Stato italiano.
(4-05362)

  Risposta. — Nel 1997 è stata promulgata in Turchia la legge che ha vietato agli studenti turchi di frequentare scuole straniere per i primi otto anni di istruzione obbligatoria e al contempo ha introdotto il divieto della presenza negli stessi locali del ciclo primario e di quello secondario. Da allora le istituzioni scolastiche straniere hanno incontrato difficoltà crescenti di funzionamento, potendo attingere ad un bacino d'utenza limitato. Sulla base della normativa locale è possibile aprire scuole internazionali per cittadini non turchi ma a condizioni molto stringenti, che includono l'approvazione del Consiglio dei Ministri turco.
  A partire dal 2009, grazie alla disponibilità del Consolato generale a Istanbul e al sostegno della scuola statale «Istituti medi italiani» (IMI), è stato avviato un processo di ristrutturazione di alcuni spazi all'interno del complesso consolare che sono stati adibiti a sede, oltre che della scuola media statale, anche della scuola dell'infanzia e primaria «Marco Polo». Quest'ultima, che in virtù di un'apposita Convenzione è ospitata nei locali in questione a titolo gratuito, ha potuto usufruire nel tempo di spazi sempre maggiori: è passata infatti da due aule dell'anno scolastico 2009/2010 a cinque aule a partire dall'anno scolastico 2013/2014. Nel corrente anno scolastico le aule ospitano una sezione dell'infanzia e quattro classi di scuola primaria. Inoltre, a seguito di lavori effettuati nel 2011, la scuola Marco Polo dispone anche di un'area polifunzionale coperta adibita a sala mensa/sala ricreativa.
  In merito alla questione sottoposta dall'interrogante di poter disporre di ulteriori spazi all'interno del complesso in cui è ubicato il Consolato generale da dedicare alla scuola primaria e dell'infanzia, si precisa che le proposte finora presentate dall'ente gestore della «Marco Polo» non sono state valutate realizzabili da parte del Consolato generale sia sul piano del rispetto delle norme di sicurezza che sotto il profilo dell'adeguamento alle norme edilizie, ai vincoli architettonici e a quelli di tutela.
  Con riguardo, infine, alla partecipazione delle nostre autorità diplomatico-consolari al lancio dell’
Italian Koleji, si sottolinea come ciò non sia in contrasto con il sostegno dalle stesse assicurato quotidianamente alla scuola «Marco Polo». C’è inoltre da considerare che rientra nella missione istituzionale di questo Ministero e della rete all'estero la promozione della lingua e della cultura italiana anche attraverso la valorizzazione di iniziative promosse dalle Autorità locali a favore della nostra lingua. Nel caso concreto, l'inserimento della lingua italiana nel piano degli studi di una scuola locale rappresenta un risultato decisamente positivo per la diffusione dell'italiano in Turchia. Inoltre la diffusione di scuole ad ordinamento turco in cui l'italiano viene insegnato come lingua straniera consente di formare studenti che potranno poi frequentare i licei italiani.
  Sul piano più generale, le iniziative a favore della diffusione della lingua italiana contribuiscono ad alimentare un'attrazione verso la nostra lingua di cui beneficerà certamente anche la scuola Marco Polo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, a seguito della piena apertura alla concorrenza, diverse società private sono entrate sul mercato dei servizi postali, ancora dominato dall’incumbment, a controllo pubblico, Poste Italiane spa;
   la Globe Postal Service (nel prosieguo, GPS) è una società che svolge il servizio di vendita e postalizzazione di corrispondenza (in particolare, cartoline turistiche) mediante l'impiego di vignette pre-pagate utilizzando una propria rete di raccolta sulla base di un'autorizzazione individuale;
   a causa della posizione di fatto dominante e di lunga durata sul mercato di Poste Italiane spa, la cui rete è capillarmente diffusa, nonché in ragione della relativa novità rappresentata dall'esistenza di concorrenti su tale mercato, una percentuale elevata di utenti GPS imbuca la propria corrispondenza nelle cassette di raccolta Poste Italiane spa;
   GPS risulta aver preso tutte le misure di informazione possibili, presso i propri rivenditori ed utenti, per ridurre al minimo possibile tali errori, che però si producono ancora, per le ragioni di cui sopra;
   si è verificata, d'altra parte, anche la situazione simmetrica con utenti di Poste Italiane che imbucano nelle cassette GPS: per ora, tale corrispondenza viene restituita gratuitamente a Poste Italiane spa, senza alcuna reciprocità;
   mentre le Poste Vaticane e le Poste di San Marino hanno accettato di stipulare accordi con GPS per il recupero della corrispondenza in esame a prezzo forfettario (rispettivamente 10 e 8 euro/Kg ossia circa euro 0,06 a pezzo), risulta all'interrogante che Poste Italiane spa non avrebbe mai restituito a GPS la corrispondenza ad essa relativa rinvenuta nelle proprie cassette postali, poiché richiede a GPS la previa conclusione di un accordo per la restituzione con un corrispettivo di euro 116,00 al chilogrammo (ossia euro 0,70 al pezzo), pari al prezzo per l'intero servizio di recapito richiesto al pubblico per ogni singola cartolina o lettera spedita e consegnata a domicilio (che riguarda un singolo pezzo e, diversamente dalla restituzione, include la componente ad alto costo del recapito al destinatario finale), e ovviamente non sostenibile per l'operatore privato;
   sul punto risulta in corso di avvio una controversia di fronte all'AgCom;
   la situazione di cui sopra pregiudica l'integrità del servizio postale e genera un grave disservizio per gli utenti;
   la situazione di cui sopra pare all'interrogante presentare i caratteri di una distorsione del mercato, collegata alla posizione oggettiva e al comportamento dell'ex monopolista Poste Italiane, tale da ostacolare l'ingresso e la permanenza sul mercato in questione di nuovi soggetti;
   in tali casi paiono auspicabili misure asimmetriche (e temporanee, sino alla regolamentazione di tali aspetti) tali da garantire l'effettiva neutralità del campo da gioco tra i concorrenti, dal momento che, la parziale privatizzazione in corso di Poste Italiane non si sta accompagnando, per ora, a un intervento di liberalizzazione e di regolamentazione, in particolare dei diversi aspetti dei rapporti tra concorrenti del mercato dei servizi postali;
   parrebbe opportuna una classificazione più aderente al mercato esistente degli operatori postali – in base a servizio offerto ed alla tipologia di consumatore finale – che obblighi Poste Italiane a stipulare accordi differenti e non standardizzati in relazione al tipo di operatore concorrente interessato;
   quanto precede ha già trovato specifica disciplina in Spagna (legge del 30 dicembre n. 43 del 2010 anche legge n. 318 del BOE) che, nel recepire la normativa europea sulla liberalizzazione del comparto postale, ha previsto una forte tutela della concorrenza in ambito postale, tra l'altro obbligando l'ex incumbment ad accettare accordi differenti con i nuovi operatori postali e a mettere a disposizione la propria rete postale presente sul territorio nonché istituendo una Commissione di sorveglianza e risoluzione di conflitti entro tempi certi –:
   di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare e con quale tempistica, al fine di garantire, rispetto al mercato in esame, la integrità del servizio postale ed una concorrenza sostenibile, compatibilmente con l'esistenza del servizio pubblico postale universale. (4-06424)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, la società Poste italiane ha rappresentato quanto segue.
  Il rinvenimento nella rete postale di invii appartenenti ad operatori diversi da Poste italiane, fornitore del servizio universale, è disciplinato dall'articolo 18 delle condizioni generali del servizio universale, così come modificate dall'AGCOM, autorità di regolamentazione del settore postale, con Delibera 385/13/CONS.
  In particolare, il citato articolo 18 prevede che la restituzione all'operatore degli invii in questione avvenga «secondo condizioni, termini e modalità stabilite in accordo tra le parti, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione e trasparenza tra le condizioni applicate da Poste Italiane per la restituzione degli invii ai propri mittenti e quelle per la restituzione degli invii all'operatore concorrente». Inoltre, caso di mancato accordo, le parti «possono richiedere l'intervento dell'Autorità».
  In adempimento a tale disposizione, Poste italiane ha evidenziato di aver adottato un contratto standard, rivolto agli operatori interessati e definito sulla base dei previsti criteri di trasparenza e non discriminazione, indicati nello stesso articolo 18.
  Tale contratto, consultabile anche sul sito internet aziendale, prevede che la restituzione degli invii all'operatore alternativo avvenga con l'applicazione del medesimo prezzo previsto per l'analoga prestazione fornita ai propri clienti e che attualmente ammonta ad euro 0,70 poiché il prezzo per la restituzione equivale al prezzo dell'affrancatura prioritaria
retail.
  Poste italiane ha precisato, altresì, di aver recentemente comunicato all'AGCOM ed agli operatori interessati che non avrebbe applicato, almeno in via transitoria, aumenti a tale tariffa, nonostante che l'affrancatura prioritaria retail sia recentemente aumentata da euro 0,70 ad euro 0.80.
  Da quanto comunicato dalla predetta società, tutti gli operatori interessati a porre rimedio alla problematica in questione, tra i quali figurano esponenti di primaria importanza del settore, quali, TNT/Nexive e Fulmine, hanno già da tempo sottoscritto il contratto standard, fruendo della prestazione alle condizioni previste nell'ambito del servizio universale.
  La società Globe postal service (GPS) ha, invece, rifiutato di stipulare il menzionato contratto standard alle condizioni generalmente applicate, chiedendo a Poste italiane di fornire un servizio di restituzione a condizioni negoziate tra le parti e proponendo al riguardo l'applicazione di un corrispettivo per la restituzione non superiore ad euro 0,10.
  Il fornitore designato del servizio universale ha evidenziato che il rinvenimento e lo stoccaggio degli invii di GPS (che ammontano a circa 400.000 unità) comporta pesanti oneri amministrativi e gestionali a proprio carico, solo parzialmente compensati dall'applicazione della tariffa regolamentata (0,70 euro al pezzo).
  Infine, si evidenzia che sul tema degli invii GPS rinvenuti nella rete di Poste italiane, l'AGCOM con Delibera 564/14/CONS ha avviato un procedimento, attualmente in corso, volto alla definizione delle condizioni di restituzione degli invii affidati ad altri operatori e rinvenuti nella rete di Poste italiane.
  Nell'ambito di tale procedimento le autorità ha disposto in via cautelare, ed al fine di tutelare il preminente interesse dei clienti, che Poste italiane restituisca alla Globe postal service le cartoline sinora rinvenute, con l'obbligo, per quest'ultima di corrispondere per ciascun invio l'importo che sarà definito all'esito del procedimento.
  La stessa autorità su tale tema ha, inoltre, rappresentato di aver avviato una serie di iniziative finalizzate all'adozione di misure volte, in ultima analisi, a far sì che il fenomeno degli invii erroneamente impostati nella rete di un operatore postale, diverso da quello al quale è stata corrisposta l'affrancatura, non si traduca in un'omissione del servizio del recapitai a discapito degli utenti.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il calvario del maresciallo Marco Diana, ex granatiere di Sardegna, è iniziato nel 1998, anno in cui è stato dichiarato grande invalido militare;
   il 14 agosto 1998, infatti, gli fu diagnosticato il carcinoma endocrino di classe A e da quel giorno è iniziata la sua difficile battaglia, non solo umana per combattere la malattia, ma soprattutto giudiziaria per ottenere il riconoscimento dello stato di invalidità per causa di servizio;
   solo dopo numerosi ricorsi gli venne finalmente riconosciuta, quale causa scatenante della grave patologia tumorale, l'esposizione a sostanze dannose per il corpo umano, come l'uranio impoverito, con cui il maresciallo Diana sarebbe venuto a contatto proprio durante le missioni di pace condotte all'estero e, conseguentemente, dichiarato «grande invalido militare»;
   a seguito del riconoscimento giudiziale del suo diritto, gli veniva altresì riconosciuto il diritto di ricevere, con costi a carico del servizio sanitario, la delicata terapia cui è, a tutt'oggi, sottoposto;
   dal mese di giugno 2012 la terapia prescritta, indispensabile per poter restare in vita, sarebbe stata inspiegabilmente interrotta e la ASL n. 7 di Carbonia-Iglesias, da cui è seguito in regime di assistenza domiciliare integrata, avrebbe smesso di fornire regolarmente e nel rispetto del piano terapeutico le medicine;
   tale mancanza sarebbe giustificata dalla sopravvenuta incapacità da parte di suddetta Asl di sostenere, o sarebbe più corretto dire anticipare, i costi delle cure mediche, che, in realtà, sono a totale carico dei Ministeri della salute e della difesa;
   a tutt'oggi, nonostante la vicenda rivesta carattere di urgenza la ASL n. 7 non avrebbe provveduto a consegnare i farmaci necessari, lasciando scoperto il paziente e costringendolo, addirittura, a mettere in vendita la propria abitazione al fine di fare fronte alle cure mediche, senza le quali non potrebbe vivere più di quindici giorni;
   tale inqualificabile comportamento della ASL n. 7 ha portato a un aggravamento delle condizioni fisiche e psicologiche del maresciallo Diana;
   inoltre, nonostante l'assicurazione da parte del Ministero della difesa della totale copertura finanziaria e assistenza vita natural durante, Marco Diana non sarebbe riuscito ancora ad ottenere il rimborso delle spese mediche da egli sostenute per le cure a cui si sottopone;
   come se ciò non bastasse, il maresciallo Diana avrebbe ricevuto due lettere, entrambe datate 5 giugno 2013, dal Ministero della difesa: una gli comunica che la direzione generale della previdenza militare (Previmil) avrebbe richiesto un parere tecnico-sanitario all'Ispettorato generale della sanità militare (Igesan) per poter procedere al rilascio dell'autorizzazione al rimborso delle spese sanitarie; nella seconda si attesta di aver acquisito il suddetto parere tecnico-sanitario e si chiede al dipartimento militare di medicina legale di Cagliari di voler sottoporre il sottufficiale Marco Diana a visita specialistica al fine di poter aggiornare le condizioni di salute del predetto compilando «la relazione in cui si attesti la necessità delle prestazioni sanitarie richieste per la cura dell'infermità riconosciuta, che la stessa non possa essere effettuata in idonea struttura sanitaria militare, la sussistenza del nesso di causalità tra la patologia riconosciuta dipendente da causa di servizio e le terapie richieste, e infine la sussistenza della necessità di un'assistenza continuativa, anche specialistica»;
   se la richiesta di nuovi accertamenti corrispondesse al vero, tale circostanza sarebbe oltremodo sorprendente e sicuramente contraddittoria, posto che fin dal 4 marzo del 2004 un provvedimento ministeriale ha riconosciuto il maresciallo Marco Diana «infermo per causa di servizio in modo definitivo a vita con possibilità solo di peggioramento»;
   il maresciallo Diana ha dedicato la sua vita alla difesa del Paese, proprio quel Paese che oggi, nel momento del bisogno, sembra voltargli le spalle per quelli che sembrerebbero essere secondo l'interrogante solo futili cavilli burocratici;
   i numerosi appelli e mobilitazioni pubbliche di quanti stanno tentando di sensibilizzare le istituzioni pubbliche sono caduti nel vuoto –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la gravità e urgenza degli stessi, quali provvedimenti intendano adottare per garantire nell'immediato al maresciallo Diana tutta l'assistenza e le cure di cui necessita fino alla conclusione della propria vita, nonché come intendano procedere affinché si indaghi sulle sostanze mutagene e cancerogene, a causa delle quali ogni giorno i nostri militari rischiano di ammalarsi. (4-01143)

  Risposta. — Il Sottufficiale cui si riferisce l'interrogazione in esame, è stato collocato in congedo assoluto per riforma dal 14 novembre 2000, in quanto riscontrato affetto da una patologia tumorale, per la quale ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
  Tale infermità è stata giudicata non dipendente da causa di servizio dal «Comitato di verifica per le cause di servizio» del Ministero dell'economia e delle finanze – il cui parere è vincolante e obbligatorio per l'amministrazione – che non ha ravvisato, nei servizi prestati, specifici fattori di rischio ai fini dell'insorgenza dell'affezione.
  Sulla base del giudizio espresso dal Comitato, la Direzione generale competente ha definito le domande di pensione privilegiata e di equo indennizzo con due distinti decreti negativi.
  Avverso il provvedimento di diniego della pensione privilegiata, l'interessato ha presentato ricorso in via giurisdizionale alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sardegna, che si è espressa favorevolmente nei confronti dell'istante, riconoscendogli il diritto al trattamento pensionistico privilegiato di 1a categoria con assegno integrativo, a decorrere dalla data del congedo. L'infermità sofferta è stata infatti riconosciuta dipendente, quantomeno a livello concorsuale, dal servizio svolto.
  È il caso di evidenziare che, come si legge nel sopracitato provvedimento giurisdizionale, la dipendenza della patologia è stata riconosciuta a causa dell'esposizione alle esalazioni di «oli minerali, benzine e solventi vari», sostanze con le quali il militare si è trovato a contatto essendo addetto alla manutenzione del materiale d'armamento e non, dunque, per esposizione all'uranio impoverito.
  Circa l'impegno della Difesa in merito al rimborso di tutte le spese sanitarie sostenute dal militare, premesso che, in base alle norme vigenti, è previsto che le spese di cura siano rimborsate solo per la parte eccedente la quota a carico del Servizio sanitario nazionale, l'Amministrazione ha sempre provveduto, con la massima sollecitudine, a liquidare le somme spettanti.
  Peraltro l'interessato, in quanto equiparato alle vittime del dovere, è esente dal pagamento del
ticket per qualsiasi prestazione sanitaria (ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera a), n. 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006).
  Per quanto concerne la terapia cui è sottoposto il militare in base al piano terapeutico prescritto dall'Istituto europeo oncologico di Milano, l'Azienda sanitaria locale (Asl) n. 7 di Carbonia riferisce che, a seguito di espressa rinuncia da parte dell'interessato alle prestazioni fornite dal servizio di assistenza domiciliare integrato presentata il 30 giugno 2013, ha sospeso la fornitura gratuita di tutti i farmaci e gli integratori fino allora erogati.
  L'amministrazione, ovviamente, non può provvedere alla fornitura, in via alternativa, di quanto già fornito dal Servizio unitario nazionale e, peraltro, ricusato dall'interessato.
  In merito, poi, alle richieste di parere tecnico-sanitario da parte della direzione generale della previdenza militare, richiamate in premessa all'atto, fermo restando che non è assolutamente in discussione lo stato di salute del militare, si fa presente che le stesse erano finalizzate ad acquisire la documentazione necessaria per rimborsare le specifiche spese effettuate.
  Al riguardo, si sottolinea che il Dipartimento di medicina legale di Cagliari, dopo aver sottoposto ad accertamenti sanitari il Sottufficiale, non ha riscontrato nella obiettiva situazione fisio-patologica del medesimo una gravità tale da richiedere la necessità di un'assistenza specialistica continuativa.
  Conseguentemente, con provvedimento del 17 luglio 2013 è stata respinta la richiesta per il rimborso di alcune spese sostenute nell'anno 2012 (tra cui 29.869,53 euro per assistenza domestica/badante, pur fruendo di assegno mensile di assistenza e di accompagnamento), in quanto normativamente non contemplate tra quelle rifondibili neppure
pro quota, mentre in pari data è stato autorizzato il rimborso delle spese mediche per un importo di 1.802,26 euro.
  Il militare avverso tali note, in data 25 ottobre 2013, ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar) per la Sardegna chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia.
  Il Tar Sardegna, con ordinanza n. 384 del 2013 in data 4 dicembre 2013, ha respinto la domanda cautelare e con sentenza n. 726/2014 del 19 settembre 2014 ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, declinando la giurisdizione al giudice ordinario «poiché il ricorrente nel formulare istanza per il rimborso delle spese sanitarie per la cura dell'infermità fa valere una posizione attinente al diritto alla salute».
  Il Sottufficiale ha, quindi, proposto ricorso al giudice ordinario in data 4 febbraio 2015.
  Si segnala, altresì, per completezza, che in data 28 ottobre 2014 l'interessato ha presentato istanza volta ad ottenere il rimborso delle spese sanitarie sostenute nell'anno 2013 per un importo di circa 33.000,00 euro, tuttora in istruttoria.
  In considerazione di quanto esposto, è evidente che l'amministrazione ha fornito e fornisce al Maresciallo M.D., senza soluzione di continuità, le forme di assistenza possibili in base alla normativa vigente, nella consapevolezza della delicatezza della vicenda che coinvolge il diritto alla tutela della salute, nonché delle lunghe sofferenze sopportate dal militare a causa della grave patologia contratta.
  Quanto alle «sostanze mutagene e cancerogene», la Difesa in generale e le Forze armate, in particolare, sono da tempo impegnate in un'attività a tutto campo, finalizzata alla tutela del personale impiegato in missioni operative e in servizio presso i poligoni.
  L'amministrazione continuerà a porre in essere ampie misure preventive, sia a livello ambientale che individuale, in piena continuità rispetto alle iniziative già da tempo adottate e conformemente a quanto raccomandato dalle tre Commissioni parlamentari d'inchiesta, istituite nelle legislature XIV, XV e XVI, che hanno indagato sui possibili effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nano-particelle di minerali prodotte dall'esplosione di materiale bellico.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   COVA, CARRA, TENTORI, MALPEZZI, FERRARI e FIANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le gravi condizioni climatiche con continue precipitazioni che stanno interessando la regione Lombardia impediscono gli interventi di lavorazione dei terreni, di semina e di raccolta;
   in questi mesi non sono stati possibili gli interventi di diserbo, concimazione, distribuzione del letame e dei reflui. I terreni non sono stati preparati con le opportune arature;
   i programmi di coltivazione aziendali devono essere modificati proprio per l'impossibilità di effettuare le semine programmate con un aumento dei costi di produzione e la mancata produzione;
   la regione Lombardia produce il 40 per cento del latte Italiano e la mancata raccolta dei foraggi che alimentano i bovini da latte va a pesare enormemente sui costi della produzione del latte;
   sono interessati i diversi settori dell'agricoltura lombarda in modo indistinto, sia ortofrutticolo, florovivaistico, nonché quello del vino, del riso, del grano, del frumento e del mais, della soia e delle produzioni foraggere –:
   se il Ministro intenda mettere in atto interventi urgenti per contrastare la grave situazione che sta interessando gli agricoltori lombardi;
   se il Ministro non intenda procedere a valutare lo stato di calamità per gli agricoltori lombardi. (4-00542)

  Risposta. — Con riguardo alla interrogazione in esame, concernente le avversità atmosferiche verificatesi nel primo semestre del 2013 nei territori della regione Lombardia che hanno causato, tra l'altro, notevoli disagi al settore agricolo, preciso che con decreto 2 agosto 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 14 agosto 2013, è stata dichiarata l'eccezionalità delle avversità atmosferiche verificatesi nel periodo dal 1o gennaio al 31 maggio 2013, accogliendo integralmente la proposta presentata dalla regione Lombardia per i danni alle strutture aziendali subiti dalle imprese agricole.
  A tale riguardo, informo che la successiva fase di ricevimento ed istruttoria delle istanze, propedeutica all'erogazione degli aiuti ai beneficiari, è di competenza regionale.
  Con l'occasione, ricordo che gli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004, come modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008 (per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali), possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel Piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta.
  A tal proposito, segnalo tuttavia che gli strumenti
ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi, assicurando infatti oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
  Peraltro, le assicurazioni agevolate sono state inserite tra le misure analizzate dalla Commissione europea per far fronte, a partire dal periodo di programmazione 2014-2020, alle crisi che interessano il settore agricolo. Infatti, sono all'esame mirate azioni volte ad assicurare l'estensione territoriale della misura e a meglio informare le imprese agricole circa la portata e le potenzialità dello strumento assicurativo.
  In tale quadro, il disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2014, attualmente all'esame del Senato, all'articolo 12, prevede una delega al Governo al fine di adeguare l'attuale normativa (rappresentata dal decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102), agli orientamenti dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato al settore agricolo e forestale ed alla nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020.
  Abbiamo presentato alla Commissione europea un programma nazionale di sviluppo rurale in cui è prevista un'apposita misura – gestione dei rischi – finalizzata ad incentivare l'adozione, da parte degli agricoltori, degli strumenti
ex ante, come l'assicurazione o i fondi di mutualità, sicuramente più adeguati a rispondere alle necessità delle imprese colpite da eventi eccezionali come quello segnalato, rispetto ai tradizionali strumenti compensativi ex post.
  Faccio presente ancora che, il Governo ha già provveduto a rifinanziare la dotazione del Fondo di solidarietà nazionale mediante riassegnazione di somme disponibili nel bilancio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in aggiunta alle risorse messe a disposizione dalla Protezione civile.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   COZZOLINO, D'INCÀ, BENEDETTI e ROSTELLATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul Corriere della sera dell'8 dicembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Quell'errore da evitare sui Festival del cinema» all'interno del quale si riporta la notizia che il Ministero dello sviluppo economico, in accordo con il Ministero dei beni ne delle attività culturali e del turismo, starebbe per stanziare un sovvenzionamento di circa due milioni di euro a favore del Festival del cinema di Roma;
   tale decisione appare agli interroganti immotivata e soprattutto discriminatoria nei confronti delle altre manifestazioni cinematografiche organizzate nel nostro Paese, che a quanto si riferisce nell'articolo non sarebbero considerate dall'intervento del Governo;
   in particolare, sorprende che, nel momento in cui il Governo ritiene di dover sostenere un settore come quello relativo alla produzione cinematografica nazionale, non venga presa minimamente in considerazione una tra le più antiche e autorevoli manifestazioni cinematografiche nell'intero panorama mondiale come quella della Mostra di Venezia, preferendo invece sovvenzionare una manifestazione che secondo gli interroganti vive più grazie al sostegno della politica che non alla propria autorevolezza o alle capacità d'impresa –:
   se quanto riportato in premessa in merito allo stanziamento di un finanziamento al Festival del cinema di Roma corrisponda al vero e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni che lo giustifichino;
   quali interventi intendano adottare Ministri interrogati a sostegno della Mostra cinematografica di Venezia e delle altre manifestazioni che si svolgono in Italia. (4-07241)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, nella quale viene riportata la notizia, apparsa sul quotidiano il Corriere della sera del giorno 8 dicembre 2014, relativa ad un imminente sovvenzionamento, per circa 2 milioni di euro, a favore del festival del cinema di Roma da parte di questo Ministero e di quello dello sviluppo economico, si comunica quanto segue.
  Tra i compiti e funzioni in materia di attività cinematografiche e di produzioni audiovisive, la competente direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi della normativa vigente, sia di carattere generale che di settore, promuove, coordina e dispone interventi finanziari a sostegno di iniziative ed enti che mirano allo sviluppo ed alla diffusione della cultura cinematografica.
  Il decreto legislativo n. 28 del 2004 (articoli 19 e 12) cosiddetta «Legge cinema» ed il decreto ministeriale attuativo del 28 ottobre 2004 «Modalità tecniche di gestione e di monitoraggio dell'impiego delle risorse, destinate alla promozione delle attività cinematografiche in Italia e all'estero» disciplinano puntualmente il sostegno alla realizzazione di iniziative e manifestazioni, tese al potenziamento ed allo sviluppo delle attività cinematografiche, sia in Italia che all'estero, nonché i criteri e le modalità di intervento e di assegnazione delle risorse destinate alla promozione.
  Le risorse destinabili alla promozione provengono dalla ripartizione delle risorse del fondo unico per lo spettacolo (articolo 1 legge n. 163 del 1985) a favore delle attività cinematografiche.
  Con il decreto ministeriale 12 novembre 2014, al settore cinema sono stati assegnati quasi 83,3 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento complessivo del fondo unico dello spettacolo pari a 403,3 milioni di euro.
  Con decreto direttoriale del 13 novembre 2014 la quota del FUS destinata al cinema è stata ulteriormente suddivisa. Per le finalità della promozione cinematografica in Italia è stato previsto un importo di euro 5.766.000,00 (con il quale sono stati sovvenzionati novantuno tra festival e rassegne), mentre per la promozione all'estero è stato previsto un importo pari a euro 470.000,00.
  Altre risorse FUS, sempre a favore della promozione cinematografica, per euro 700.000,00, sono state destinate quale sostegno alle associazioni nazionali di cultura cinematografica, mentre 2,1 milioni di euro sono stati destinati alle sale che programmano film che abbiano ottenuto la qualifica d'essai.
  Ulteriori risorse del fondo unico per lo spettacolo, per un importo di 7,4 milioni di euro per il 2014, sono state assegnate, come contributo, alla fondazione la biennale di Venezia per l'organizzazione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
  Tale finanziamento è riferibile a tutta una serie di attività (esempio selezione delle opere filmiche destinate alle varie sezioni di concorso e fuori concorso, organizzazione logistica, proiezioni filmiche, rilascio accrediti, cura dei singoli eventi, eccetera) necessarie per la promozione e valorizzazione del cinema, fine ultimo della mostra veneziana.
  Per il 2014 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha, pertanto, tramite la direzione generale per il cinema, confermato la grande attenzione per la mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia che rappresenta l'evento cinematografico di maggior rilievo in Italia, oltre che uno dei più importanti festival a livello internazionale.
  Si sottolinea peraltro che il contributo ordinario per l'edizione 2014 è superiore sia a quello corrisposto nel 2013 (7,1 milioni di euro), sia a quello relativo al 2012, pari a sette milioni di euro.
  Sempre nell'ambito delle risorse complessive FUS in «quota» cinema, sono state ritenute sostenibili anche altre iniziative straordinarie di particolare rilevanza, riconosciute, previa apposita istruttoria e valutazione, come «progetti speciali», nel rispetto della normativa suindicata – legge cinema articoli 19 e 12, comma 3, lettera
e) e relativo decreto attuativo 28 ottobre 2004 – punto 1.5, allegato A (istruttoria, valutazione).
  Si rappresenta che, previa apposita istanza, istruttoria e valutazione positiva, sono state ritenute iniziative meritevoli di tale riconoscimento e di un sostegno economico del Ministero le precedenti edizioni del festival internazionale del film di Roma. Esse sono state organizzate dalla Fondazione cinema per Roma, il cui scopo è la promozione e valorizzazione del cinema della cultura cinematografica e dell'audiovisivo.
  Anche per il 2014 il festival internazionale del film di Roma è stato riconosciuto quale «progetto speciale», con un contributo ministeriale pari ad un milione di euro (decreto direttoriale del 2 ottobre 2014), per inciso la metà di quanto riferito, nell'interrogazione.
  Il budget complessivo per il 2014 del festival è di 11 milioni di euro. Esso, oltre ad entrate proprie (introiti per biglietteria accrediti eccetera), è finanziato dagli enti locali (comune, provincia, regione) e dalla camera di commercio per 5 milioni complessivi, nonché da sponsor privati, per circa 3,7 milioni di euro. Ad esso si aggiungono anche i contributi dell'Unione europea del programma MEDIA.
  Appare ancora utile ricordare che, ai sensi della ricordata legge cinema (in particolare l'articolo 8, comma 2, lettera
d) e del nuovo decreto ministeriale 8 febbraio 2013 recante «Composizione e attività della Commissione per la cinematografia, nonché modalità di valutazione dell'interesse culturale delle opere cinematografiche» il trenta per cento del punteggio complessivo nella valutazione dei lungometraggi realizzati da registi non esordienti, che richiedono il riconoscimento dell'interesse culturale ed il contributo del Ministero, è attribuibile con parametri automatici di valutazione che tengono conto, tra l'altro, dalle candidature, dei premi vinti dal regista e dagli attori indicati nel cast del progetto come regia, film, opera prima, sceneggiatura e interpretazione, in festival di rilievo internazionale, facenti parte di un elenco tassativo. Al riguardo, il nuovo decreto del 2013, al pari degli altri festival di prestigio internazionale quali Venezia, Cannes, Berlino, Locarno, Montreal, Sundance Film Festival, San Sebastian, Torino, Mosca, Karlovy Vary, Pesaro, Giffoni, Toronto, include come valevoli ai fini del reference di un progetto filmico di lungometraggio anche la partecipazione alle selezioni e ai programmi ufficiali nonché i premi e le candidature del festival di Roma.
  Si rappresenta, infine, che il festival romano è ormai entrato di diritto nella rosa dei festival di rilievo internazionale. Ciò premesso, in data 16 dicembre 2014 per volontà del Ministro il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – direzione generale per il cinema ha richiesto ad Istituto Luce Cinecittà s.r.l. di aderire alla «Fondazione cinema per Roma». In tal modo il Ministero, da mero sostenitore del festival, acquisirà, per il tramite di Istituto Luce Cinecittà S.r.l, un ruolo attivo, partecipativo e decisionale in un'ottica di massima sinergia e valorizzazione strategica del mercato del cinema e dell'audiovisivo, da volgere a favore del comprensorio storico di Cinecittà.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   DI BATTISTA, GRILLO, LOREFICE, COZZOLINO, BRESCIA, SIBILIA, FICO e LUIGI GALLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la virosi umana da Ebola è una malattia che ha superato la soglia dei 10.000 casi umani nel West Africa, stando alle informazioni giornalistiche dell'ultima settimana;
   i casi riportati negli USA e in Europa sono di «importazione» da pazienti contagiati nel West Africa, tranne un caso di passaggio uomo/uomo solo negli USA avvenuto perché i protocolli di sicurezza dell'ospedale di Dallas sono stati piuttosto superficiali;
   le procedure di quarantena per persone a rischio di contagio Ebola devono esser continuate per almeno 20 giorni ed inoltre è accertato che la contagiosità, ad esempio del liquido seminale, è più persistente di tre settimane;
   le procedure italiane di cosiddetta quarantena obbediscono a protocolli, per quanto è dato sapere, di consensus sulla casistica mondiale; nulla è dato di sapere sulle procedure degli USA e del personale militare degli USA;
   dal Messaggero online del 27 settembre 2014 si apprende che «Un gruppo di soldati americani di rientro dalla Liberia, uno dei Paesi dell'Africa occidentale colpiti dall'epidemia di Ebola, sono posti in isolamento in Italia. Lo riferiscono Cnn e Cbs News. I soldati, riferisce la Cnn, dovranno rimanere nella base militare americana di Vicenza, per 21 giorni, dove saranno monitorati, senza possibilità di contatto con le famiglie. Il Pentagono sostiene che si tratta di una precauzione»;
   il Mattino di Padova lo stesso giorno scrive: «Undici soldati statunitensi di ritorno dalla Liberia sono stati messi in isolamento a Vicenza. Lo riferisce il corrispondente di Cbs News David Martin. La Liberia è uno dei tre Paesi dell'Africa occidentale maggiormente colpiti dall'epidemia del virus. Tra i soldati sotto osservazione, scrive Cbs, anche il maggiore generale Darryl Williams. Secondo la Cnn i soldati dovranno rimanere isolati nella base militare americana per 21 giorni, dove saranno monitorati, senza possibilità di contatto con le famiglie. Il Pentagono sostiene che si tratta di una precauzione. Quando l'aereo con a bordo il generale Darryl Williams e gli altri 10 soldati è atterrato a Vicenza, i passeggeri sono stati accolti da militari italiani che «indossavano tute anticontaminazione». La stessa procedura sarà seguita al rientro del resto del contingente la settimana prossima. Ambasciata americana: «Nessun contatto con malattia». L'ambasciata americana a Roma ha confermato che un gruppo di soldati americani di rientro dalla Liberia si trova in isolamento nella base Usa di Vicenza, ma ha precisato che «il rischio potenziale di infezione è basso», dal momento che «in Liberia i militari non hanno avuto contatto con persone contagiate dal virus». Il sindaco Variati: «Nessuno presenta sintomi». «Il Prefetto e le autorità militari americane mi hanno assicurato che tutti i militari tornati dall'Africa sono sani. Nessuno di loro presenta i sintomi dell'Ebola. Tutti sono comunque costantemente monitorati, come stabilito dal rigido protocollo ministeriale». Lo afferma il sindaco di Vicenza Achille Variati, nel suo ruolo di autorità sanitaria locale. Il primo cittadino ha quindi aggiunto che tutti i militari rientrati «sono comunque costantemente monitorati, come stabilito dal rigido protocollo ministeriale». La Regione: «Pronti a collaborare». La Regione Veneto segue con attenzione la situazione dei militari Usa e si dice pronta a collaborare sul piano sanitario, «se l'ambasciata o l'esercito americano» lo richiederanno. Lo precisa l'assessore alla sanità, Luca Coletto, ricordando che la base Setaf è da ritenersi a tutti gli effetti territorio americano. «Siamo disponibili a dare tutto l'aiuto delle nostre strutture mediche altamente specializzate – aggiunge Coletto – a tutela sia dei militari americani di stanza alla base sia dei cittadini veneti che risiedono nella città». Coletto ha ricordato che la Regione Veneto ha già attivato dal 1° settembre scorso un protocollo di intervento per fronteggiare ipotetici casi di contagio da Ebola, e sta lavorando per accreditare come struttura nazionale di riferimento, dopo gli ospedali «Sacco» e «Spallanzani», anche i laboratori di microbiologia e virologia dell'ospedale universitario di Padova;
   non è nota l'idoneità delle tute di decontaminazione e l'addestramento specifico dei militari italiani di stanza all'aeroporto di Vicenza;
   per quanto è noto la base americana di Vicenza non ha un proprio ospedale con unità infettivologica disponibile;
   è invece ben nota in Europa la presenza di un grande ospedale americano in una base in Germania, per la precisione a Ramstein;
   non è nota, in caso di patologia sospetta di un militare americano, se il ricovero del paziente debba avvenire in loco nella base militare di Vicenza o in Italia o all'estero;
   l'atterraggio di soldati USA a Vicenza, ad avviso degli interroganti, non è stato dettato da ragioni etiche umanitarie, connesse al fatto che uno o più militari fossero stati colpiti da Ebola, di modo che mezz'ora di volo in più per Ramstein o 6 ore in più da Monrovia verso gli USA potessero dar luogo a un peggioramento delle condizioni del paziente –:
   se il Governo non intenda fare un formale e forte passo diplomatico verso gli USA affinché i militari americani reduci dal West Africa in quarantena passino detto periodo nel loro Paese, dotato, tra l'altro, di ospedali militari all'avanguardia nel mondo, oppure nell'ospedale militare di Ramstein in Germania;
   dove avverrebbero i ricoveri, ove si riscontrassero eventuali casi di Ebola tra i soggiornanti militari americani in quarantena a Vicenza;
   se i militari italiani all'aeroporto di Vicenza siano stati addestrati specificamente sul rischio Ebola; se siano stati dotati di protocolli e di attrezzature idonee; se siano state approntate le disposizioni di sanitizzazione delle strutture venute a contatto coi soldati USA;
   se risulti che vi sia l'intenzione di adibire la base di Vicenza a presidio destinato a militari americani in quarantena provenienti dal West Africa. (4-06655)

  Risposta. — Come noto, il 21 marzo 2014 la Guinea ha notificato alla Organizzazione mondiale della sanità una epidemia a rapida evoluzione causata dal virus ebola; l'Italia si è prontamente attivata ed è stata tra i primissimi Paesi al mondo a emanare una circolare per richiamare gli obblighi e le procedure da attuare per il trattamento e la prevenzione delle malattie emorragiche virali.
  Ciò detto, con specifico riguardo ai «soldati americani di rientro dalla Liberia», premesso che il personale statunitense di stanza in Liberia ha un bassissimo rischio di contrarre il virus da ebola, in quanto non viene in contatto con i malati, si fa presente che, ad oggi, i militari statunitensi ancora impegnati in Liberia, non partono dalla base di Vicenza e, quindi, al rientro dalla missione, trascorrono il periodo di osservazione negli Stati Uniti.
  Comunque, le misure di prevenzione a suo tempo programmate e messe in atto da parte delle autorità statunitensi sono risultate ampiamente adeguate per la salvaguardia della incolumità del personale e della salute pubblica.
  Tutti i militari statunitensi in missione per
Operation United Assistance in Africa occidentale rientrati a Vicenza, sono stati sottoposti ad attenti controlli sia prima che durante e dopo la missione e hanno operato in condizioni igieniche più che accurate.
  Le misure di prevenzione decise e adottate dal Comando statunitense a Vicenza per gestire i militari in rientro dalla Liberia, sono state più restrittive di quelle consigliate dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità.
  Più specificamente, il personale statunitense proveniente dalle aree a rischio, giunto a destinazione a Vicenza dove era di stanza il reparto di appartenenza, è stato sottoposto a un ulteriore protocollo di sorveglianza definito dal Ministero della difesa statunitense che prevedeva un rigoroso monitoraggio clinico (effettuato 2 volte al giorno) per un periodo di osservazione di 21 giorni consecutivi (tempo massimo di incubazione), con l'obbligo, per gli interessati, di rispettare le limitazioni al loro movimento fuori dalle installazioni.
  I periodi di isolamento controllato si sono conclusi senza evidenza di alcun sintomo di malattia per tutti i militari statunitensi rientrati nella base di Vicenza al termine della loro missione in Liberia.
  Si evidenza, inoltre, che:
   l'Aeronautica militare ha stabilito misure precauzionali (soggette ad aggiornamento in funzione dell'evolversi della situazione e notificate all'Ambasciata americana in Italia) per i voli militari statunitensi provenienti dalle zone a rischio ebola identificate dal Ministero della salute;
   tutti i voli militari provenienti da queste aree, qualunque sia la destinazione finale, atterrano a Pratica di Mare, unico
entry point militare notificato al Ministero della salute, con il quale sono state coordinate le pertinenti procedure di prevenzione eseguite dal personale sanitario dell'Aeronautica militare, deputato ad operare in regime di biocontenimento;
   il personale interessato alla gestione degli eventuali casi sospetti è opportunamente addestrato e dotato di idonei dispositivi di protezione individuale (tra cui indumenti protettivi, e non «tute di decontaminazione», come evidenziato dall'interrogante) contro il rischio infettivo specifico, presenti anche a bordo degli aeromobili;
   vengono applicati tutti i protocolli stabiliti dal Ministero della salute, contenuti nelle ordinanze emanate dagli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, oltre ai protocolli internazionali stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità e dal
Center for disease control and prevention di Atlanta (USA).

  Nei controlli sanitari cui è stato sottoposto il personale statunitense in rientro dalla Liberia, non è stato coinvolto personale sanitario italiano, dal momento che tali controlli, in armonia con gli accordi internazionali, rientra nelle competenze degli Stati Uniti; solo in caso di soggetto contaminato, o sospetto tale, il personale sanitario italiano sarebbe stato interessato per attuare le previste operazioni, di concerto con l'Azienda sanitaria locale.
  Quanto, in ultimo, all'intenzione di «adibire la base di Vicenza a presidio destinato a militari americani in quarantena provenienti dal West Africa», si osserva che il personale statunitense in rientro dalla Liberia non è stato mai messo in quarantena, semmai in isolamento a titolo precauzionale per un periodo – come già rappresentato – di 21 giorni.
  Con l'occasione si precisa che la base Setaf (
Southern european task force, ora United States army Africa) di Vicenza è una installazione italiana concessa in uso agli Stati Uniti e non una «base USA». Infatti, come previsto dall'articolo 4 del Bilateral infrastructure agreement italo-statunitense, la sovranità territoriale sui sedimi concessi in uso alle Forze statunitensi sul territorio nazionale appartiene all'Italia.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   presso la cripta della Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore di Somma Vesuviana (Napoli) di proprietà della confraternita «Pio e Laical Monte della Morte e Pietà» sono conservati dei preziosissimi affreschi databili verso il 1705, probabile opera giovanile di Domenico Antonio Vaccaro, celebre anche come architetto e scultore, nei quali viene illustrata la storia della vita di Cristo e delle allegorie collegate al tema della morte con immagini di notevole impatto espressivo;
   le condizioni di conservazione di tali affreschi, che rappresentano senz'altro i manufatti artistici più rappresentativi del complesso monumentale di Santa Maria Maggiore di Somma Vesuviana (sito nell'antico quartiere del Casamale), sono di avanzato degrado;
   già il 27 febbraio 2004 la soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Napoli e provincia, con lettera (Prot. N. 5560), approvava il progetto di restauro dei dipinti murali, delle volte e dei parati lapidei predisposto dalla Confraternita «Pio e laical Monte della morte e della Pietà» e auspicava un immediato recupero degli affreschi, nonché dei parati lapidei in pietra vesuviana riccamente scolpiti;
   tuttavia, non sono stati reperiti i fondi e a tutt'oggi — a dieci anni di distanza — non si è ancora provveduto ad una riqualificazione dei manufatti in oggetto con il conseguente e sempre più concreto rischio di un loro irreparabile deterioramento;
   fortissima è la preoccupazione nella comunità di Somma Vesuviana in relazione ai rischi concernenti i citati affreschi, che rappresentano senz'altro i più rilevanti reperti storico-artistici della cittadina –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, non ritenga di doversi attivare al fine di finanziare l'intervento di restauro della cripta in oggetto il cui progetto è già stato approvato dalla soprintendenza competente nel febbraio del 2004. (4-06882)

  Risposta. — A seguito di non facili contatti con i responsabili della confraternita «Pio e Laical Monte della Morte e Pietà», attigua alla collegiata di Somma Vesuviana, e grazie ad un sopralluogo più volte rimandato – nonostante la piena disponibilità dichiarata dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia – si è potuto verificare che lo stato di conservazione degli affreschi nella cripta (databili agli inizi del XVIII secolo ed attribuibili non alla mano di Domenico Antonio Vaccaro, ma a quella di un qualche suo emulo), per quanto pregiudicato da uno stato di umidità ambientale prevalentemente di condensa, non è per la maggior parte a rischio di perdita.
  Soltanto in limitate zone parietali si ravvisa un più avanzato stato di degrado, mentre per tutte le pitture delle volte lo stato di conservazione è pienamente soddisfacente. Tale umidità è quasi esclusivamente conseguenza della mancata aereazione degli ambienti – in pressoché totale disuso dal terremoto del 1980 – e, solo limitatamente, di una capillarità per contatto delle murature con adiacenti zone di terrapieno. Le condizioni di umidità sono, inoltre, aggravate dalla presenza di cospicui ed invasivi tompagni in muratura di tufo posti a sostegno degli archi di passaggio da un ambiente all'altro.
  Risulta evidente, pertanto, che ogni ipotesi di intervento sulle pitture murali non è attuabile se non dopo che la situazione generale statica ed ambientale sia stata pienamente risanata. A tale proposito il vice-priore della confraternita, ingegner Autorino, presente al sopralluogo, ha recepito tale necessità, manifestando il proposito di far elaborare autonomamente, anche sotto il profilo economico, da ditte qualificate al restauro di manufatti artistici sia in categoria 0G2 che 0S2, un progetto di intervento generale, da sottoporre al successivo esame e conseguente approvazione della competente soprintendenza.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   DISTASO, ALTIERI e FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dall'11 marzo 2015 quattro pescatori della marineria di Mola di Bari – il comandante Pietro Di Lorenzo, il responsabile di macchina Angelo Scognetti e i due marinai Sante Pietanza e Angelo Lapresentazione – sono trattenuti a Valona (Albania) per un presunto, sconfinamento delle acque territoriali che sarebbe avvenuto durante l'attività di pesca;
   notizie di stampa delle ore successive a quanto accaduto riportano che il console d'Italia a Valona si sarebbe recato al porto per fare chiarezza sulla vicenda e per assicurarsi riguardo alle condizioni dei marittimi;
   anche alla luce dei buoni rapporti intercorrenti tra Italia e Albania, è importante che il Governo segua con attenzione questa vicenda perché si arrivi a una positiva conclusione –:
   quali siano le prime informazioni di cui il Ministro disponga in merito all'episodio di cui in premessa;
   quali siano stati gli elementi in merito raccolti in loco da parte del console d'Italia a Valona;
   quali iniziative stia assumendo sulla base delle informazioni e degli elementi così raccolti. (4-08416)

  Risposta. — La Farnesina, tramite il consolato generale a Valona e l'ambasciata a Tirana, ha seguito sin dall'inizio la vicenda che ha visto coinvolti il motopeschereccio italiano Cobra III ed i quattro membri dell'equipaggio, fornendo la massima assistenza e tenendosi in contatto con le famiglie dei connazionali.
  Nella notte tra il 10 e l'11 marzo 2015, al largo della costa di Lushnje nei pressi di Valona, il motopeschereccio è stato fermato perché colto in flagrante mentre pescava in territorio albanese. Il comandante del motopeschereccio sostiene di essere entrato in acque albanesi inavvertitamente, a causa di un'avaria alla strumentazione di bordo e che comunque la quantità del pescato era molto limitata.
  Le autorità costiere albanesi hanno accompagnato l'imbarcazione nel porto di Valona, dove nella mattina dell'11 si è recato il console generale Bergesio assieme al nucleo della Guardia di finanza
in loco. Il console generale ha sensibilizzato sul caso il comandante della polizia di frontiera e la procura di Valona. Tre dei quattro connazionali hanno soggiornato in albergo mentre il comandante, su sua richiesta, è rimasto nell'imbarcazione posta sotto sequestro cautelativo dalla procura di Valona.
  Il 17 marzo il Comandante ha pagato una multa di 700 euro per lo sconfinamento in acque territoriali albanesi ed un rimborso delle spese di circa 2.800 euro per il fermo in mare del natante ed il suo accompagnamento al porto di Valona. Al motopeschereccio tuttavia non è stato consentito di partire subito, in quanto la capitaneria di porto di Valona era in attesa di ricevere, oltre alla comunicazione formale da Durazzo di un'ulteriore multa per pesca in acque albanesi, dell'ordine di rilascio della nave da parte dell'ispettorato generale della pesca di Tirana.
  Il 20 marzo il motopeschereccio con l'equipaggio a bordo, dopo aver ottenuto le ultime autorizzazioni da Durazzo e Tirana, è partito in direzione dell'Italia.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le retribuzioni del personale a contratto locale, impiegato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale presso la rete diplomatico-consolare italiana in Marocco, sono soggette alla legislazione italiana e alle norme previste dalle convenzioni bilaterali in vigore tra Italia e Marocco;
   il personale a contratto locale impiegato presso ambasciata, consolato generale e istituto italiano di cultura, in virtù di queste disposizioni, è sottoposto al regime fiscale previsto dalla convenzione in vigore con il Marocco ed alla ritenuta fiscale operata alla fonte secondo le percentuali previste dalla normativa in vigore di cui l'articolo 19 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, che prevede: «1. Le remunerazioni pagate da uno Stato contraente, da una sua suddivisione amministrativa, da un suo ente locale o da una persona giuridica di diritto pubblico, ad una persona fisica residente dell'altro Stato contraente in corrispettivo di servizi resi, sono imponibili nel primo Stato. Tali remunerazioni sono esonerate da imposizione nell'altro Stato quando il beneficiario possieda la nazionalità del primo Stato, senza contemporaneamente possedere la nazionalità dell'altro Stato»;
   l'articolo 21 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, prevede che:
    «1. Nel caso dei residenti nel Marocco, la doppia imposizione viene eliminata nel modo seguente: a) allorché un residente del Marocco ritrae redditi, diversi da quelli considerati negli articoli 10, 11 e 12, che sono imponibili in Italia in conformità delle disposizioni della presente Convenzione, il Marocco esenta dall'imposizione detti redditi, ma può, per calcolare le sue imposte sugli altri redditi di detto residente, applicare l'aliquota d'imposta che sarebbe stata applicata se i redditi in questione non fossero stati esentati»;
   al personale a contratto in servizio in Marocco si applicano quindi le norme dell'accordo Italia-Marocco per evitare le doppie imposizioni fiscali;
   a quanto risulta all'interrogante, le autorità fiscali del Marocco avrebbero chiesto agli interessati, con varie modalità, di pagare quanto dovuto sulle retribuzioni percepite dallo Stato italiano per un lavoro dipendente e risultano imminenti azioni esecutive nei confronti dei dipendenti stessi, ai quali sono stati congelati i conti correnti bancari personali;
   il dipartimento delle finanze del Marocco avrebbe, a quanto risulta all'interrogante, avviato una serie di accertamenti fiscali a cui hanno fatto seguito ingiunzioni di pagamento di somme molto elevate nei confronti del personale a contratto;
   le competenti autorità del Marocco, a quanto risulta all'interrogante, non hanno mai fornito risposte all'invito del Ministero dell'economia e delle finanze relativamente all'apertura di un tavolo di negoziati allo scopo di un'interpretazione chiara e definitiva dell'Accordo bilaterale in materia, nonostante i solleciti della nostra Ambasciata a Rabat effettuati tramite note verbali inviate al Governo del Marocco;
   esistono rappresentanze diplomatico-consolari di altri Paesi dell'Unione europea accreditate in Marocco, per non citare solo l'Ambasciata francese che assolve il compito di sostituto d'imposta per tutto il suo personale e opera dalla fonte le ritenute fiscali da versare sia all'erario francese e/o a quello marocchino;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, quale datore di lavoro, non solo ai sensi delle norme nazionali bensì anche ai sensi della norma locale sul pagamento delle tasse in Marocco «Code Général des Impóts» — articolo 156 — è tenuto ad assolvere al compito e alle responsabilità derivanti dal compito di sostituto d'imposta, dovendo operare, in forza di disposizione normative, le ritenute previste per legge;
   esiste un obbligo di legge per l'amministrazione degli affari esteri e della cooperazione internazionale nell'applicazione puntuale di tali norme –:
   quali urgenti misure si intendano adottare per garantire che non vi siano indebiti prelievi fiscali a danno dei lavoratori a contratto presso la rete diplomatico-consolare e l'istituto italiano di cultura in Marocco;
   quali iniziative si adotteranno per garantire immediatamente la piena applicazione delle norme della convenzione fiscale in vigore tra Italia e Marocco, garantendo i diritti del personale a contratto anche nei confronti delle autorità locali;
   quali urgenti misure si intendano adottare, in mancanza di una risposta delle autorità del Marocco, all'invito del Ministero dell'economia e delle finanze italiano per l'apertura di un tavolo di negoziati che veda la rimozione delle gravi criticità insorte in ambito fiscale che pregiudicano la vita privata e professionale dei dipendenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sul territorio del Marocco. (4-07571)

  Risposta. — Come noto, in base alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni del 1972, il reddito da lavoro dipendente dei cittadini marocchini e aventi doppia cittadinanza in servizio presso le nostre rappresentanze è tassato in Italia. Secondo la Convenzione, i dipendenti devono però contemporaneamente adempiere anche agli obblighi fiscali previsti dalla normativa locale, ovvero, il loro reddito da lavoro è utilizzato per il calcolo dell'aliquota fiscale imponibile dovuta in Marocco per altri redditi.
  Alcuni impiegati a contratto sono attualmente oggetto di accertamento fiscale da parte delle autorità marocchine. L'Ambasciata, a tutela del personale, ha incontrato il locale Ministero delle finanze che ha messo a disposizione un canale di contatto diretto per quegli impiegati che volessero chiarimenti dal fisco locale e per favorire una composizione amichevole delle controversie in atto. Il personale non ha tuttavia ritenuto opportuno avvalersi di tale canale.
  Al contempo, d'intesa con il Ministero dell'economia e finanze (Mef) e dietro sollecitazione di questa amministrazione, visti i dubbi sull'applicazione della Convenzione, la sede ha chiesto alle autorità locali chiarimenti sulle modalità di esazione fiscale nei casi di fiscalità concorrente, e l'attivazione di un tavolo negoziale per giungere ad una interpretazione condivisa del testo convenzionale. Dopo numerose sollecitazioni, le autorità marocchine hanno chiesto all'Italia di ricevere una proposta di formulazione delle disposizioni oggetto della controversia.
  Si ricorda, ad ogni buon fine, che l'adempimento dei doveri fiscali da parte dei dipendenti a contratto è un obbligo sancito dalla legge locale e dalla stessa Convenzione. Fino ad oggi, non è emerso alcun obbligo che imponga alle rappresentanze diplomatiche, uffici consolari e istituti di cultura, di fungere da sostituto d'imposta in luogo degli impiegati a contratto, se non un generico invito da parte delle autorità locali a svolgere questa funzione. Naturalmente, questo Ministero non mancherà di ottemperare ad eventuali obblighi in questo senso, come già fatto in altri paesi.
  Infatti, la questione resta tra i temi che continueranno ad essere seguiti con la massima attenzione dal Ministero degli esteri.
  In questo quadro di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze è stato formalmente proposto che l'inquadramento delle remunerazioni del personale a contratto in servizio presso le sedi diplomatiche e consolari italiane, benché erogate, in funzione di un rapporto di lavoro dipendente, fosse ascrivibile all'articolo 19 (funzioni pubbliche) della suddetta convenzione e non all'articolo 15 (lavoro dipendente) in base al quale invece l'Amministrazione fiscale del Marocco tassa dette remunerazioni. Negli scambi quindi con le Autorità marocchine, per il tramite del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, era stato chiesto alle medesime se concordassero con tale punto di vista. A tutt'oggi si resta in attesa di un riscontro, che non si mancherà di sollecitare.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   GRIMOLDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Villa Reale di Monza è stata costruita per volontà dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria tra il 1777 e il 1780 come residenza estiva per il figlio Ferdinando d'Asburgo, governatore generale della Lombardia austriaca, lungo la direttrice Milano-Vienna;
   l'architetto prescelto fu il Piermarini, allievo del Vanvitelli, l'autore della reggia di Caserta;
   con l'incoronazione di Napoleone nel 1805, la Villa divenne residenza del figliastro Eugenio di Beauharnais. La caduta di Napoleone riconsegnò la Villa Reale nelle mani degli austriaci, tra il 1857 e il 1859 il palazzo ritornò a essere sede di una corte sfarzosa durante il breve soggiorno monzese dell'ultimo rappresentante della casa d'Austria, Massimiliano I d'Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe;
   quando il Lombardo-Veneto venne annesso allo Stato del Piemonte, la storia della Villa finì per incrociarsi inevitabilmente con il destino dei Savoia, diventando residenza privilegiata di Umberto I e ritornando così al suo ruolo originario di residenza di villeggiatura. Nel 1900 Umberto fu assassinato proprio a Monza da Gaetano Bresci mentre assisteva a una manifestazione sportiva; in seguito al luttuoso evento il nuovo re Vittorio Emanuele III non volle più utilizzare la Villa Reale, facendola chiudere e trasferire al Quirinale gran parte degli arredi;
   nel 1934 con regio decreto Vittorio Emanuele III fece dono della Villa ai Comuni di Monza e di Milano. Le vicende dell'immediato dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale provocarono occupazioni, ulteriori spoliazioni e decadimento del monumento;
   attualmente la Villa Reale è di proprietà congiunta del Comune di Monza, della Regione Lombardia e del Demanio dello Stato;
   nel 2003 la Regione Lombardia, il Comune di Monza, proprietari pro quota parte del complesso Villa Reale di Monza, indicono un Concorso internazionale di progettazione per il recupero e la valorizzazione della Villa Reale e dei Giardini di pertinenza;
   risulta all'interrogante che alcuni arredi della Villa Reale si trovino presso ambasciate italiane all'estero;
   sarebbe opportuno che questi arredi siano rassegnati alla Villa Reale per fare in modo che, almeno una parte degli stessi possa tornare alla sua sede storica –:
   se sia vero che presso alcune ambasciate italiane all'estero si trovino arredi della Villa Reale di Monza e se non ritengano i Ministri interrogati, per quanto di competenza, di assumere le necessarie iniziative per la restituzione di questi arredi alla Villa Reale di Monza. (4-06752)

  Risposta. — La dispersione degli arredi della villa reale di Monza iniziò per disposizione della corte sabauda, in particolare per volere di Vittorio Emanuele III, a seguito dell'assassinio di Umberto I avvenuto a Monza il 29 luglio del 1900.
  Questo avvenimento determinò il futuro della villa, che non ospitò più la corte. Gran parte degli arredi furono inviati a Roma proprio dalla casa di Sua Maestà, che dispose i primi spostamenti degli oggetti di proprietà privata già dall'ottobre del 1900, quando vennero ritirati dalla regina Margherita mobili, suppellettili e, successivamente, i libri che arricchivano la biblioteca reale (bolletta di scarico n. 62 del 18 ottobre 1900, inventario n. prop. Priv. di Sua Maestà).
  Nell'ottobre del 1901 il Ministero della Real Casa dispose una ricognizione generale, che si chiuse con la campagna inventariale del 1908, e che figurò una villa che, sebbene avesse già vissuto una prima fase di spoliazione, era ancora in gran parte arredata. A seguito di questa campagna di ricognizione vennero effettuati molti movimenti inventariali con passaggi di oggetti dall'inventario mobiliare dotazione corona a quello di proprietà privata e trasferimenti (con relativi scarichi inventariali) ad altre residenze.
  In questi anni, importanti trasferimenti di arredi ebbero come destinazione Roma, in particolare il real palazzo del Quirinale e la residenza della regina madre (movimenti annotati negli inventari del novecento dove, a margine, vengono indicati i verbali di consegna e le bollette relative, aggiornati fino al passaggio al demanio dello Stato).
  Infatti nel 1919 la villa, con altri palazzi di proprietà della corona, venne ceduta da Vittorio Emanuele III allo Stato italiano, passando così al demanio statale.
  Con il regio decreto legge del 3 ottobre 1919, n. 1792, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del Regno n. 237 del 6 ottobre 1919, tutti i beni retrocessi al demanio venivano in parte assegnati in uso al Ministero dell'istruzione pubblica.
  Nell'estate del 1920 la «Presidenza del Consiglio dispone di destinare parte dei mobili dei Palazzi Reali all'arredamento delle Rappresentanze Nazionali all'Estero, del Nuovo Palazzo della Camera dei Deputati e della nuova sede del Ministero dell'interno» (telegramma del 14 luglio 1920 e nota n. 335 del 6 agosto 1920).
  Gli studi condotti in questi anni sul patrimonio della villa permettono di segnalare che presso l'archivio di Stato di Roma sono conservati, nei fondi del Ministero della real casa, retrocessione allo Stato dei beni di dotazione della corona 1919, tutti i carteggi, le consegne, le bollette di carico e scarico, relative al Ministero degli affari esteri per la distribuzione degli arredi alle ambasciate italiane nel mondo.
  Si segnala, infine, che è in corso, ad opera della direzione generale «Belle arti e paesaggio», una ricognizione dei beni dati in uso alle ambasciate italiane all'estero dalla quale potrebbero emergere ulteriori elementi informativi relativi ai beni della villa reale di Monza che vennero consegnati al detto Ministero. Il Ministero è naturalmente disponibile a fornire ogni utile informazione che potrà emergere dagli accertamenti in corso.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   MELILLA e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, tra i tanti monumenti che ricordano i fasti antichi, esiste, nei pressi della stazione Termini, il Museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano;
   già solo passando accanto si nota a vista uno stato generale di degrado e di abbandono, ma da notizie stampa si apprende che le condizioni dello stato generale degli ingressi e delle aree antistanti il museo sono particolarmente critiche;
   l'ingresso su viale Enrico De Nicola, al limite del piazzale della stazione Termini, è malfrequentato, poco illuminato, privo di segnalazioni esterne, inoltre risulta seminascosto da alti lecci che sono anch'essi in cattivo stato;
   le Terme, che sono le più grandi e meglio conservate dell'impero romano, con un museo straordinario di epigrafia e protostoria, aule con enormi sepolcri integri e il porticato interno rinascimentale vengono soffocati dall'allineamento di bancarelle fisse che vendono di tutto; sullo stesso marciapiede, che pure è zona sottoposta a vincolo, ci sono ben tre edicole, un bar e due rivendite che espongono borse, souvenir e altro; presumibilmente le bancarelle e le edicole sono là più per la vicinanza con la stazione Termini che per la poco nota presenza di un monumento di tale valore;
   benché, si apprende da fonti giornalistiche, sia stato interessato il comune di Roma, non si riescono a individuare le soluzioni per migliorare l'area circostante, in alcuni tratti sporca e in condizioni indecenti e per valorizzare un monumento e un museo che potrebbe aumentare il valore artistico culturale della zona facilitato dal fatto che la vicinanza con due linee metropolitane e la stazione Termini lo rendano uno dei luoghi culturali più facilmente raggiungibili coi mezzi pubblici –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro per garantire le condizioni minime di decenza dell'area limitrofa al monumento e se non si ritenga opportuno promuovere intese con il Comune di Roma, anche attraverso l'intervento dell'ufficio territoriale del Governo, al fine di trovare collocazioni alternative per le bancarelle e per le edicole e per attuare un intervento straordinario di pulizia e riqualificazione urbana per salvaguardare il monumento e il suo decoro.
(4-07377)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, nella quale l'interrogante, nel lamentare lo stato di degrado e di abbandono in cui versa il museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano, con specifico riferimento alle aree antistanti, chiede quali iniziative siano state assunte da questo Ministero, si comunica quanto segue.
  La Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma, nel corso degli anni, ha inoltrato reiterate segnalazioni e richieste di risoluzione all'amministrazione comunale di Roma Capitale, da ultimo in data 30 dicembre 2014, con nota indirizzata al gabinetto del sindaco, al Io Municipio, alla Polizia municipale di Roma Capitale, ed alle imprese municipalizzate AMA, ACEA, ATAC.
  Numerosissimi sono stati, inoltre, gli incontri e i contatti, allo scopo di dirimere un problema che interessa l'area immediatamente esterna alle Terme di Diocleziano, sulla quale gravano un vincolo archeologico diretto e un vincolo indiretto che comprende l'area intorno al monumento, oltre al vincolo che grava su piazza della Repubblica e piazza Cinquecento (decreto ministeriale 30 settembre 1961 vincolo indiretto Terme; decreto ministeriale 29 marzo 1972 vincolo diretto Terme; decreto ministeriale 3 giugno 1986 vincolo piazze). L'area risulta, inoltre, assoggettata alle disposizioni in materia di affissioni pubblicitarie diramate dai competenti uffici territoriali del MIBACT. Al riguardo si richiamano le disposizioni della citata soprintendenza e della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio. (Disp. Sopr. 12 febbraio 1985, Disp. Sopr. 13 marzo 2000, D.D.R. 28 ottobre 2011).
  La presenza di bancarelle, nonostante i sopracitati vincoli, non è mai cessata, così come quella delle edicole, ben tre sulla breve strada prospiciente l'entrata museale. Una di esse, addirittura, è stata posta proprio davanti all'ingresso del museo su viale Enrico De Nicola, e si è praticamente unita, con una estemporanea recinzione metallica, alla cancellata del museo.
  A complicare la situazione di degrado contribuisce una fitta serie di lecci, ormai in gran parte malati, che oscura la grandiosa visuale delle Terme. L'eliminazione degli alberi malati scoprirebbe una visuale unica della città a chi arriva dalla stazione Termini. La presenza degli alberi contribuisce, inoltre, a creare un'area riparata e poco illuminata, sovente utilizzata come luogo di bivacco da persone in evidente condizione di disagio, che abbandonano rifiuti di ogni genere, e talvolta hanno dato luogo a episodi di violenza. Anche a tale ultimo riguardo, la citata soprintendenza ha più volte sollecitato un intervento ai competenti organi di Roma Capitale.
  Altro elemento poco compatibile con la vita del museo è la presenza dell'unità mobile di terapia farmacologica per la distribuzione di siringhe e metadone che, stazionando per alcune ore del giorno in piazza della Repubblica, davanti all'ingresso di Santa Maria degli Angeli e a fianco al cancello del giardino del Museo, richiama un'utenza che allontana i turisti e che abbandona quotidianamente siringhe nel giardino delle Terme.
  Questa amministrazione è dunque pienamente consapevole delle problematiche segnalate dall'interrogante, la cui soluzione tuttavia esula in gran parte dalle sue attribuzioni. Avrà comunque cura di sollecitare nuovamente la convocazione del tavolo tecnico Roma Capitale – MIBACT che interviene sul piano del decoro del centro storico della città, di concerto con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, le soprintendenze statali e la soprintendenza capitolina, che potenzialmente rappresenta un valido strumento per il risanamento dell'area.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo sta inviando a Como numerosi immigrati clandestini, presunti profughi, accolti e introdotti recentemente nel nostro Paese attraverso la fallimentare operazione militare Mare Nostrum, costata ai cittadini italiani sino ad ora circa 300 mila euro al giorno, pari ad oltre 9 milioni di euro al mese;
   ad ogni immigrato clandestino vengono riconosciuti vitto e alloggio per un importo di 30 euro più iva al giorno, 15 euro di ricariche telefoniche, 2,5 euro di pocket money principalmente per l'acquisto di sigarette, l'assistenza sanitaria, la fornitura di indumenti e vestiario, nonché servizi di pulizia;
   dopo i 70 accolti nelle scorse settimane, il 12 maggio 2014 sono giunti a Como altri 15 presunti profughi, potenziali immigrati clandestini, in taluni casi ammessi ad importanti benefici per quanto consta all'interrogante senza previo adeguato accertamento del possesso dei requisiti previsti dalla legge;
   è annunciato l'invio a Como di ulteriori 120 immigrati clandestini nel prossimo futuro;
   la circostanza è motivo di allarme per la cittadinanza comasca e per il territorio tutto per evidenti motivi di natura sociale, sanitaria e di sicurezza e ordine pubblico –:
   quanti immigrati il Governo abbia pianificato di destinare al territorio della provincia di Como ed in base a quale calcolo sia stata stimata la capacità della realtà comasca di assorbirli. (4-04896)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014, la prefettura di Como ha pubblicato un bando di gara «procedura aperta volta alla conclusione di convenzione con enti pubblici ed altri operatori di mercato, nell'ambito del privato sociale e strutture alberghiere per assicurare i servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale» già ospitati e da ospitare nel territorio della Provincia di Como, protocollato come CIG 5672261;
   il bando predetto è attualmente consultabile on line sul sito internet della prefettura di Como;
   stando al bando di gara, le strutture selezionate dovranno poter ospitare da un minimo di 5 ad un massimo di 50 immigrati;
   le circostanze sopra generalizzate sembrano preludere all'organizzazione di un afflusso consistente nella provincia di Como di migranti richiedenti asilo, del quale in prefettura deve essere noto l'ammontare previsto;
   tale ultimo dato risulta invece ignoto alle amministrazioni locali ed alla cittadinanza della provincia comasca, malgrado siano evidentemente interessate dall'afflusso dei migranti extracomunitari richiedenti asilo sul proprio territorio;
   il bando contempla esplicitamente anche il ricorso estensivo alle strutture alberghiere locali, cosa che rischia di ridurre significativamente le capacità ricettive dell'industria turistica comasca a breve, medio e lungo termine –:
   quanti migranti richiedenti asilo il Governo ritenga di dover stanziare nella provincia comasca e per quanto a lungo. (4-05768)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
    come si apprende da recenti notizie di stampa, per i prossimi giorni è atteso l'arrivo nella città di Erba di alcuni cittadini extracomunitari, che alloggeranno all'ex hotel Centrale in corso 25 aprile, su indicazione della prefettura;
   sempre secondo quanto riportato dai quotidiani locali, non sarebbe noto neanche agli amministratori locali «quanti siano, da dove vengano e quando arriveranno»;
   il vicesindaco Claudio Ghislanzoni avrebbe dichiarato ai giornali che «La comunicazione è arrivata oggi pomeriggio (il 22 settembre) da parte della prefettura nonostante la nostra città, dopo aver consultato le associazioni presenti sul territorio, non avesse dato la propria disponibilità»;
   l'ex Hotel Centrale, in cui verranno alloggiati non ancora meglio identificati cittadini extracomunitari, si trova in pieno centro cittadino e ciò comporterà problemi di sicurezza e ordine pubblico, come peraltro già avvenuto in altre realtà nella gestione di strutture a ridosso di scuole a abitazioni;
   tale decisione ha creato notevole preoccupazione tra i residenti della zona;
   spesso il transito in tale strutture di accoglienza è temporaneo perché numerosi sono i casi, anche riportati dalle cronache locali, di fughe di extracomunitari di cui poi si perdono le tracce sul territorio;
   pare l'ex Hotel centrale non sia neanche completamente agibile e che dunque necessiti di lavori per essere agibile –:
   chi siano e da dove vengano i cittadini extracomunitari che verranno ospitati nella città di Erba presso l'ex Hotel Centrale, il motivo per cui sono stati assegnati alla città di Erba, nonostante il parere contrario da parte degli amministratori e delle associazioni presenti sul territorio, quali controlli verranno posti in essere per verificare le entrate e le uscite dalla struttura, infine quali siano i costi complessivi della permanenza presso la struttura alberghiera sopra indicata. (4-06171)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle tre interrogazioni in esame, in quanto vertenti sullo stesso argomento, cioè l'accoglienza dei migranti nel territorio provinciale di Como.
  Il sistema nazionale di accoglienza dei migranti, nella nuova strutturazione varata nella seduta della Conferenza unificata del 10 luglio 2014, è imperniato sulla leale collaborazione tra i tre livelli di governo del Paese; Stato, regioni e comuni, i quali hanno deciso di condividere i relativi oneri, in maniera proporzionale e secondo parametri predefiniti sul territorio. Questa scelta contribuirà senz'altro a mitigare l'impatto sociale del fenomeno e ad agevolare il percorso di integrazione degli stranieri che rimarranno in Italia.
  Più in particolare, la distribuzione dei migranti sul territorio nazionale avviene secondo criteri di ripartizione per quote prima regionali e poi provinciali, individuate – volta per volta, in base alle esigenze – rispettivamente dal tavolo di coordinamento nazionale presso il Ministero dell'interno e dai tavoli di coordinamento regionali presieduti dai Prefetti del capoluogo di regione.
  Ai fini dell'attivazione in concreto delle strutture di accoglienza, sono chiamati in causa infine i prefetti e gli enti locali, che costituiscono – gli uni e gli altri – gli effettivi terminali del sistema sul territorio.
  È nell'ambito delle procedure appena descritte che i migranti sono stati assegnati pro quota anche al territorio della provincia di Como.
  Al fine di fronteggiare tali assegnazioni progressive e di calibrare adeguatamente la risposta del sistema provinciale di accoglienza, la Prefettura ha attivato un tavolo con la partecipazione dell'Amministrazione provinciale, dei comuni di Como, Cantù, Mariano Comense ed Erba, nonché dei rappresentanti delle associazioni di volontariato del terzo settore maggiormente attive nello specifico campo.
  Nel corso del 2014, gli stranieri ospitati in provincia sono stati 691. Attualmente ne sono presenti 401.
  In relazione a tale contingente e agli altri stranieri che potranno ancora giungere nel territorio provinciale di Como, la Prefettura ha indetto nel mese di gennaio 2015 un bando di gara mirante alla conclusione di una convenzione con enti pubblici, con operatori di mercato nell'ambito del privato sociale oppure con strutture alberghiere per l'accoglienza, nel periodo 1o aprile 2015-31 dicembre 2015, di un numero complessivo di 450 unità. Il 13 marzo 2015, la gara è stata aggiudicata alla cooperativa sociale «Cooperativa Intesa» al prezzo pro die/pro capite di 33,50 euro.
  L'iniziativa della Prefettura è stata assunta sulla base di una precisa direttiva nazionale del Ministero dell'interno, datata 17 dicembre 2014, con cui, nelle more dell'ampliamento dei posti del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, era stata confermata l'esigenza di continuare a disporre dei posti nelle strutture temporanee di accoglienza, dando indicazione ai Prefetti, nel caso di indizione di nuove gare d'appalto, di adottare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e di tener presente che il prezzo generalmente praticato è compreso tra i 30 e i 35 euro pro die/pro capite.
  Per completezza di informazione, si segnala che il 27 luglio 2014 è stato stipulato, con l'Azienda sanitaria locale della provincia di Como, un «Protocollo di intesa in materia di assistenza sanitaria ai profughi», volto a tutelare la salute dei migranti ospitati nelle strutture di accoglienza attivate in ambito provinciale e – nel contempo – a minimizzare possibili effetti negativi sulla comunità locale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si può leggere sul sito del Governo, relativamente alle retribuzioni lorde dei dirigenti in carico presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2013, pressoché la totalità dei dirigenti di prima fascia ha percepito le cosiddette retribuzioni di risultato, per un importo complessivo di più di 3 milioni di euro per il 2013;
   è bene ricordare che i dirigenti di prima fascia, come sottolineato da articoli di stampa, ricevono in media una retribuzione annua lorda piuttosto elevata, di circa 190 mila euro, composta, secondo quanto riportato dalla tabella reperibile sul sito internet del Governo, da: stipendio tabellare e vacanza contrattuale, retribuzione di posizione, emolumenti accessori e, ove presente, retribuzione di risultato; l'importo di quest'ultima, secondo gli ultimi dati reperibili sul sito internet del Governo, varia da un minimo di 23.658,82 euro ad un massimo di 31.658,82 euro;
   stando ai dati di cui sopra, gli stipendi dei dirigenti di prima fascia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dunque, ricevono una retribuzione annua lorda complessiva che si approssima ai 200.000 euro annui;
   analizzando la «Direttiva Generale per l'azione amministrativa e la gestione dei dipartimenti e uffici del segretariato Generale per l'anno 2013», così come confermano numerosi articoli di stampa, la retribuzione di risultato è stata conferita per aver raggiunto obiettivi che tuttavia non possono essere verificati o misurati, in quanto estremamente vaghi;
   alcuni di questi obiettivi, a parere dell'interrogante, appaiono quasi ridicoli in quanto non costituiscono altro che princìpi di buon senso o comportamenti ordinari all'interno di una qualsiasi amministrazione pubblica o azienda in generale. Tra questi si cita la «diminuzione del flusso cartaceo» in favore di un «ampliamento dell'uso delle tecnologie delle comunicazioni» che, in altre parole, significa saper utilizzare la casella di posta elettronica al posto delle lettere cartacee: ci si interroga su quali competenze e quali esperienze professionali siano necessarie per raggiungere questo obiettivo e soprattutto se davvero siano necessarie decine di migliaia di euro per incentivare tale comportamento;
   a parere dell'interrogante e alla luce di quanto esposto, il conferimento di queste retribuzioni di risultato non è giustificato dal conseguimento di obiettivi, dai quali questo bonus appare totalmente slegato, bensì costituisce a parere dell'interrogante un aumento surrettizio della retribuzione «base», derogando di fatto ai contratti;
   questa prassi è oggi non solo vergognosa bensì anche economicamente, socialmente e moralmente insostenibile, in particolare alla luce degli effetti devastanti della crisi economica sulla popolazione e delle condizioni lavorative a cui la generalità dei lavoratori italiani, soprattutto giovani, devono sottostare –:
   se siano già state corrisposte per l'anno 2013 le retribuzioni di risultato ai dirigenti di prima fascia presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri e quanto risulti essere l'ammontare complessivo delle retribuzioni lorde di risultato per l'anno 2013 e per i precedenti 10 anni;
   se non si intendano ridurre le indennità di risultato ed introdurre obiettivi più puntuali, misurabili e verificabili all'interno della direttiva generale per l'anno 2014, al fine di incentivare migliori performance tra i dirigenti di prima fascia e legare realmente queste retribuzioni di risultato al raggiungimento di obiettivi che per lo meno comportino sforzi ulteriori rispetto a comportamenti ordinari richiesti alla generalità dei dipendenti pubblici.
(4-02770)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il processo di programmazione e valutazione degli obiettivi della Presidenza del Consiglio dei ministri, così come disciplinato dal combinato disposto di cui agli articoli 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e 4 del CCNL relativo al personale dirigente dell'area VIII della Presidenza dei Consiglio, dei Ministeri, quadriennio normativo 2006-2009, biennio economico 2006-2007 risponde all'esigenza di riconoscere la rilevanza dei processi di innovazione e miglioramento organizzativo e funzionale, ai fini della instaurazione di una gestione sempre più orientata al conseguimento di risultati connessi alla specifica, attività della Presidenza stessa. Per dare concreta attuazione ai processi di sviluppo menzionati, la Presidenza procede annualmente alla fissazione di obiettivi ispirati alle seguenti logiche:

   a) miglioramento delle prestazioni legate a servizi istituzionali, con particolare riguardo alla valorizzazione delle attività di supporto, alle funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento di competenza della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   b) promozione e potenziamento dei processi di innovazione organizzativa e tecnologica che garantiscano il rispetto di elevati standard di qualità;
   c) ottimizzazione delle attività di progettazione, coordinamento, monitoraggio e verifica degli indirizzi politici generali e delle politiche settoriali del Governo, attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   d) sviluppo di procedure che consentano la semplificazione delle modalità di espletamento delle attività, anche in riferimento ad una più agevole fruibilità e a una riduzione dei tempi di svolgimento delle stesse; il conseguimento di obiettivi di efficienza ed economicità nella gestione delle risorse assegnate.

  La programmazione strategica per il 2014. avviata con le linee guida adottate con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 dicembre 2013, e completata con l'emanazione di 11 direttive (per dipartimenti e uffici del Segretariato generale e strutture affidate alle autorità politiche delegate e Scuola nazionale dell'amministrazione) ha riguardato la definizione di 95 obiettivi strategici per 26 strutture.
  Nelle direttive sono stati individuati obiettivi significativi, volti alla valorizzazione del core business di ciascuna delle strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri, e mirati a conseguire risultati innovativi, rispetto alle attività ordinariamente svolte e percepirli da parte degli utenti (stakeholder o utenti interni all'organizzazione, a seconda delle specifiche mission delle strutture).
  Le schede di programmazione utilizzate definiscono concretamente sia risultati attesi dai conseguimento dei singoli obiettivi, sia strumenti di misurazione della performance (oltre a quelli di natura finanziaria) coerenti con lo svolgimento degli stessi, rendendo più controllabile lo svolgimento e la qualità dell'azione amministrativa.
  La programmazione operativa degli obiettivi è stata dettagliata nella descrizione delle azioni e degli output, così da svincolare il monitoraggio sul loro stato di raggiungimento e la conseguente valutazione da meccanismi di autoreferenzialità.
  In molti casi la verifica degli obiettivi è misurata con più indicatori e relativi target, il cui completo raggiungimento permette il conseguimento di una valutazione positiva.
  In particolare, si evidenzia che nell'ottica di favorire il miglioramento continuo delle azioni e delle performance, nella programmazione per il 2014, per la prima volta nella Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato assegnato a tutte le strutture un comune obiettivo di «Revisione e semplificazione dei processi, ripensamento e riorganizzazione delle strutture» cui sono stati associati due indicatori, uno di processo e uno qualitativo. Il giudizio qualitativo ad opera del «valutatore naturale» presuppone anche la preventiva acquisizione di un parere tecnico da parte dell'Ufficio controllo interno, trasparenza e integrità circa il soddisfacimento da parte dei piani predisposti dalle strutture di requisiti sostanziali predefiniti (volti ad evidenziare, ad esempio, vantaggi attesi, riduzione di costi, semplificazioni procedurali, definizione di indicatori di performance specifici per ogni singola struttura).
  In coerenza con la menzionata logica di miglioramento continuo, le azioni intraprese nella programmazione 2014 saranno potenziate nel corso della programmazione 2015 anche sulla base delle proposte di ripensamento e riorganizzazione presentate dalle singole strutture.
  In merito poi al trattamento economico dei dirigenti di prima fascia, esso si compone – sulla base di quanto previsto dal Ccnl area VIII – dello stipendio tabellare, della posizione fissa, di quella variabile legata allo specifico incarico conferito e della retribuzione di risultato.
  Nell'anno 2013 l'importo complessivamente attribuito, in ragione d'anno con i contratti individuali di lavoro, quale retribuzione di risultato, ai dirigenti di I fascia con incarico presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato di euro 2.800.000 circa, come pubblicato anche sul sito del Governo.
  In relazione all'importo indicato sul sito del Governo relativo ad ogni singolo dirigente, nel corso dell'anno 2013 è stata corrisposta un'anticipazione: successivamente, nel 2014, si è proceduto al saldo/conguaglio, all'esito della valutazione degli obiettivi.
  Pertanto, l'importo effettivo erogato, relativo all'attività svolta nell'anno 2013, al lordo degli oneri a carico del dipendente, (anticipo + saldo) è stato di euro 2.760.236,42.
  Dal 2014 non viene più erogata l'anticipazione della retribuzione di risultato ai dirigenti, la stessa verrà corrisposta l'anno successivo, per intero, solo a seguito dell'accertato raggiungimento degli obiettivi assegnati.
  Per quanto concerne l'ammontare complessivo, al lordo degli oneri a carico del dipendente, delle retribuzioni di risultato erogate per i precedenti 10 anni, si riportano i seguenti dati:
   anno 2003: importo 994.737,01;
   anno 2004: importo 1.052.053,29;
   anno 2005: importo 1.237.876,31;
   anno 2006: importo 171.109,90;
   anno 2007: importo 1.274.553,87;
   anno 2008: importo 1.358.977,70;
   anno 2009: importo 1.573.106,20;
   anno 2010: importo 3.266.373,60;
   anno 2011: importo 3.208.793,85;
   anno 2012: importo 2.927.413,45;
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.
(Risposta del Governo del 2 aprile 2015)


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud del 14 aprile 2014 risulta che a Badolato, piccolo e grazioso borgo collinare della provincia di Catanzaro, la chiesa dell'Immacolata Concezione sta vivendo, dal punto di vista strutturale, uno dei suoi periodi peggiori;
   la chiesa sorge su un poggio situato a 250 metri di altitudine sopra la vallata del torrente Gallipari;
   dalla chiesa, che presenta al suo interno elementi decorativi composti da ornato di stucchi di indubbio valore artistico, si può osservare il golfo di Squillace sulla costa ionica calabrese;
   la chiesa dell'Immacolata rappresenta la prima costruzione che, avvicinandosi a Badolato superiore, cattura l'attenzione dei visitatori grazie ad una sontuosa e perenne illuminazione;
   ormai da diversi mesi la sua posizione strategica è diventata precaria a causa di pericolosi movimenti del terreno che ne stanno pregiudicando la stabilità;
   le continue sollecitazioni hanno determinato un preoccupante quadro che delinea importanti lesioni richiedenti l'intervento urgente delle istituzioni locali;
   fino ad oggi, solo grazie all'intervento spontaneamente offerto dalla Confraternita dell'immacolata Concezione, è stato possibile rimettere in moto l'interesse verso questo sito;
   è fondamentale ristabilire i parametri di sicurezza della struttura affinché possa essere possibile il ritorno dei visitatori all'interno di un luogo che è di importante valore artistico;
   lo stato di collasso della struttura appare sempre più evidente e sarebbero necessari finanziamenti finalizzati a restituire alla cittadinanza locale ed ai visitatori questa splendida chiesa;
   a quanto risulta all'interrogante nessun provvedimento è stato adottato per ripristinare e dare valorizzazione ad un patrimonio culturale nazionale –:
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza, intenda promuovere il Ministro interrogato per la messa in sicurezza dell'edificio monumentale al fine di evitare nuove problematiche strutturali che potrebbero inficiare la pubblica incolumità.
(4-04595)

  Risposta. — La competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone ha evidenziato che, circa quindici anni fa, la chiesa in questione è stata oggetto di un importante intervento di restauro e consolidamento, approvato e seguito dalla stessa soprintendenza.
  La soprintendenza, che non ha ricevuto altre recenti richieste di interventi o segnalazioni riguardanti l'immobile, in seguito all'esame dell'interrogazione in esame, ha effettuato un apposito sopralluogo per verificarne l'attuale stato di conservazione: esso ha evidenziato un buono stato di conservazione dell'edificio, che non pare dunque, a giudizio dei tecnici, rendere necessari interventi di messa in sicurezza delle strutture.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, LODOLINI, QUARANTA, SCOTTO e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il piano industriale 2015-2020 presentato da Poste Italiane spa a prevede la razionalizzazione e la chiusura di numerosi uffici postali in sedi periferiche;
   a livello nazionale si prevede la chiusura definitiva di circa 450 uffici mentre 600 uffici avranno un'apertura con orario ridotto;
   nelle Marche, come in altre aree del Paese, ad essere particolarmente penalizzate sono le zone periferiche. Nello specifico il processo di riorganizzazione interessa per il 36 per cento la provincia di Pesaro Urbino, con 9 razionalizzazioni e 3 chiusure; per il 24 per cento quella di Macerata con 6 razionalizzazioni e 2 chiusure; per il 21 per cento Ascoli Piceno con 3 chiusure e 4 razionalizzazioni; per il 12 per cento Ancona con 1 chiusura e 3 razionalizzazioni, e per il 6 per cento su Fermo 1 chiusura e 1 razionalizzazione;
   dal piano di sviluppo di Poste Italiane spa emerge, in sostanza, un «cambio di vocazione» che punta alla riallocazione di risorse, recuperate dalla chiusura degli uffici periferici e dalla razionalizzazione, verso nuovi servizi prevalentemente focalizzati su risparmio, assicurazioni e commerce;
   Poste Italiane è affidataria del servizio universale che garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire del servizio indipendentemente dal reddito e dalla collocazione geografica;
   il fornitore del servizio universale deve garantire per almeno 5 giorni a settimana una raccolta e una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e notificate alla Commissione europea;
   gli uffici postali rappresentano un importante presidio sul territorio, che diventa indispensabile soprattutto per alcune categorie di cittadini come gli anziani, quelli con una scarsa dimestichezza con strumenti informatici e telematici, o che risiedono in aree periferiche del Paese;
   la delibera n. 342/14/CONS dell'Agcom ha modificato i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, prevedendo criteri più restrittivi a tutela degli utenti del servizio postale universale, sopratutto in riferimento alle «aree geografiche remote del territorio nazionale, quali le “isole minori” e le “zone rurali e montane”, individuandole come “situazioni particolari” meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale»;
   la suddetta delibera impone, inoltre, a Poste Italiane di «avvisare con congruo anticipo le Istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione; al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale nelle zone periferiche»;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan ha più volte manifestato il progetto di privatizzare Poste Italiane, attualmente società per azioni con capitale detenuto interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'amministratore delegato di Poste Italiane Francesco Caio ha dichiarato che il contratto di servizio va ripensato perché allo stato attuale non è più sostenibile («Il piano Poste 2020 è molto ambizioso ma non può prescindere da un ripensamento del servizio universale postale adeguato alle nuove esigenze delle famiglie italiane che ora appare disallineato rispetto ai reali bisogni e quindi non più sostenibile dal punto di vista economico», dichiarazione riportata da Il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2014);
   non rientra nelle prerogative dell'affidatario del servizio universale stabilire contenuti e limiti del servizio stesso e la funzione del servizio universale è proprio quella di garantire il servizio postale agli utenti che risiedono in zone «economicamente non vantaggiose» per una impresa che opera sul libero mercato;
   dal piano industriale di Poste 2020 ad avviso degli interroganti emerge chiaramente la tendenza dell'azienda a riallocare risorse in attività a redditività più elevata a scapito delle attività «tradizionali» del servizio postale, e con il processo di privatizzazione tale tendenza sarà verosimilmente più accentuata –:
   quali misure intendano adottare i Ministri interrogati, per garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché siano rispettate e indicazioni dell'Agcom sulla concertazione tra Poste Italiane e le istituzioni del territorio nel processo di riorganizzazione degli uffici postali. (4-08663)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS recante «Punti di accesso alla rete postale: modifica dei criteri di distribuzione degli uffici di Poste Italiane» ha integrato i criteri di distribuzione degli uffici postali di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, attraverso l'introduzione di specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Ciò premesso, in merito alle previste iniziative di chiusura o rimodulazione degli orari di apertura degli uffici postali sul territorio nazionale, e in particolare nella regione Marche, la società Poste italiane interpellata al riguardo, ha evidenziato che le misure di efficientamento e razionalizzazione previste nel piano di riorganizzazione, non comportano, nell'effettività dell'attuazione, un ridimensionamento della rete degli uffici postali, in misura tale da ridurre significativamente la fruizione da parte degli utenti di un servizio universale ragionevolmente accessibile.
  In particolare, nella regione Marche, attualmente sono attivi 416 uffici postali retail e 7 uffici dedicati alle Imprese, oltre a 230 ATM (di cui 225 fruibili h 24), rispetto ai quali sono previsti 10 interventi di chiusura e 23 interventi rimodulazione delle giornate di apertura.
  In ogni caso, Poste italiane ha assicurato che tutti gli interventi inseriti nel piano risultano essere pienamente rispettosi della normativa vigente in materia e che l'attuazione dei citati interventi, oltre che le diverse modalità di attuazione degli stessi, avverranno solo dopo aver completato il dialogo avviato con le istituzioni locali.
  Si auspica, quindi, nel rispetto delle esigenze dell'utenza, la massima concertazione tra Poste italiane e le amministrazioni locali. Al riguardo si fa presente che il 6 febbraio 2015 abbiamo inviato una lettera all'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio e al presidente dell'autorità per la garanzia nelle comunicazioni Angelo Cardani per sollecitare un incontro per valutare quanto fosse opportuno fare nel rispettivo ambito di competenza. L'impegno alla massima concertazione tra Poste italiane e le amministrazioni locali è stato evidenziato durante l'incontro su detto avvenuto lo scorso 12 febbraio presso il Ministero dello sviluppo economico con l'amministratore delegato di Poste italiane ed il presidente dell'AGCOM.
  L'amministratore delegato di Poste italiane – pur ammettendo qualche problema di comunicazione del piano – ha escluso un impatto occupazionale e una riduzione dei servizi ai cittadini, e ha ribadito che i tagli degli uffici previsti nel 2015 sono compatibili con i criteri fissati dalla delibera Agcom di agosto 2014.
  Tale dichiarazione è stata poi confermata dalla stessa Agcom alla quale spetta verificare il rispetto degli obblighi del piano annuale fissati dal decreto 7 ottobre 2008 sulla distribuzione degli uffici postali sul territorio.
  Tuttavia, su nostra richiesta, Poste italiane ha accettato di coinvolgere fin da subito regioni e comuni (attraverso le rispettive associazioni) nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare l'azienda si è impegnata a spiegare come servizi innovativi assicureranno la tutela del servizio universale per i cittadini.
  La tematica della razionalizzazione degli uffici postali è anche oggetto di attenta considerazione nel nuovo contratto di programma in corso di predisposizione.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sentita al riguardo, ha evidenziato che al fine di consentire una valutazione più puntuale dell'impatto del suddetto piano sulla popolazione locale, nonché l'eventuale individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, l'articolo 5 comma 1 della citata delibera n. 342/14/CONS ha previsto l'obbligo di notifica preventiva ai sindaci dei comuni interessati almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento.
  La stessa autorità ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Biblioteca Palatina è una Biblioteca fondata nel 1761 inserita nel contesto monumentale del Palazzo della Pilotta di Parma. Si sviluppa su 5 piani (5.379 mq) e contiene 700.000 volumi a stampa, oltre 6000 manoscritti, circa 2600 incunaboli e 11.704 cinquecentine, circa 70.000 carteggi. Dal rilievo 2013 del materiale considerato immobile, agli effetti dell'articolo 7 del Regolamento di contabilità generale dello Stato, il valore attribuito risulta di euro 819.421.813,83. Tra le collezioni di maggiore spicco si possono ricordare: la De Rossiana Composta da 1464 volumi a stampa e 1624 manoscritti di cui 1432 ebraici (una delle più cospicue al mondo), la Raccolta Ortalli con 40.067 intagli (testimonianza eccezionale dell'arte grafica dal XVI al XIX secolo) e quella Bodoniana che comprende oltre alle edizioni uscite dalla officina di Giambattista Bodoni (1740-1813), il materiale tipografico fusorio, il materiale documentario relativo al suo lavoro e il suo imponente epistolario;
   oltre a ciò la Biblioteca Palatina comprende la sede distaccata presso il Conservatorio «Arrigo Boito» di Parma della sezione musicale, una biblioteca specializzata, l'unica biblioteca musicale specializzata appartenente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e voluta dallo stesso Giuseppe Verdi, preziosa per il materiale (partiture, parti e spartiti) che documenta la cultura musicale nazionale e internazionale dalla metà del secolo XVIII alla metà del XIX secolo. Fra il materiale di particolare rilievo si segnalano: i dodici volumi delle sonate di Domenico Scarlatti, l'unica partitura completa del Nerone di Arrigo Boito, tutto il materiale musicale di Francesco Giovanni Samperi e lo studio di Ildebrando Pizzatti;
   in data 29 agosto 2014 è stato approvato dal Consiglio dei ministri il testo del Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. Un nuovo disegno organizzativo che introduce diversi e sostanziali cambiamenti che riguardano tutti gli attori della tutela e valorizzazione dei beni culturali e del turismo, al centro e nella periferia, compreso anche il mondo delle Biblioteche statali;
   nell'attesa della emanazione di tale decreto ministeriale, sembra che resteranno uffici dirigenziali di livello non generale soltanto le attuali biblioteche nazionali (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Bari) mentre verrebbero di fatto «declassate» a sedi non dirigenziali biblioteche altrettanto importanti per storia e ricchezza delle collezioni fra cui l'Estense di Modena e la Palatina di Parma;
   se i «declassamenti» delle biblioteche non nazionali fossero confermati, e dunque la Biblioteca Palatina dovesse perdere lo status di sede dirigenziale, si verificherebbe una situazione grave e preoccupante, non solo in considerazione delle numerose attività complesse (in particolare quelle di fund raising) e prestigiose (come le convenzioni con istituti di ricerca e conservazione italiani e stranieri) in cui la «Palatina» è coinvolta ma anche guardando alla realizzazione dei progetti in corso d'opera. Fra questi si segnala che è in procinto di partire la raccolta fondi e la progettazione del trasferimento e nuovo allestimento del Museo Bodoniano – di cui è direttore il dirigente della Biblioteca Palatina – una realtà di eccezionale importanza ed unica al mondo –:
   se sono confermate le voci sul declassamento generalizzato delle Biblioteche non nazionali;
   se non ritenga che l'eventuale assenza di una figura dirigenziale, su cui poggi il complesso sistema di funzionamento e funzioni della «Palatina» e che lo coordini, possa comportare un notevole rallentamento se non la paralisi delle attività di crescita e sviluppo della Biblioteca stessa;
   se non si ritenga più efficace e rispondente alle esigenze del sistema culturale del Paese una aggregazione della biblioteca Palatina alle altre biblioteche statali del territorio emiliano – Biblioteca Estense e Biblioteca Universitaria di Bologna – all'interno di un Polo bibliotecario emiliano, diretto da un dirigente bibliotecario, nonché l'Emilia Romagna risulterebbe allineata alle altre principali realtà regionali che hanno tutte al loro interno una sede dirigenziale di livello non generale per le biblioteche (il Piemonte con la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, la Lombardia con la Biblioteca Nazionale Braidense, il Veneto con la Biblioteca Nazionale Marciana, la Toscana con la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, il Lazio con la Biblioteca Nazionale di Roma, la Campania con la Biblioteca nazionale di Napoli e la Puglia con la Biblioteca Nazionale di Bari). (4-06215)

  Risposta. — La riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo trae origine dalle politiche di spending review, in virtù delle quali ogni Ministero ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che operasse riduzioni di pianta organica. La riduzione degli organici del personale dirigenziale – nella misura del 20 per cento degli uffici dirigenziali di prima e seconda fascia – e la riduzione del 10 per cento della spesa complessiva della dotazione organica del personale non dirigenziale era stata, peraltro, imposta dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e modificato dall'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, tenuto conto della riduzione delle dotazioni organiche individuate, per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dalla tabella 8 allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013.
  A tale scopo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, recante il regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'organismo indipendente di valutazione della performance, ha adottato numerose misure di riorganizzazione, tanto per gli uffici centrali, quanto per quelli periferici dell'Amministrazione. Ad esso è poi seguito il decreto ministeriale 27 novembre 2014, con cui è stata esplicata l'articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo: fra essi non compare la biblioteca palatina di Parma. La riduzione del numero di sedi dirigenziali per biblioteche – e anche archivi – è stata d'altra parte necessaria al fine di riequilibrare il numero di dirigenti previsti per gli istituti della cultura, posto che ai musei sino al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 sostanzialmente mai era stata riconosciuta la qualifica di ufficio dirigenziale.
  L'amministrazione delle biblioteche è stata razionalizzata mantenendo la fondamentale autonomia scientifica delle stesse, indipendentemente dal fatto se ad esse sia preposto o meno un dirigente. La configurazione organizzativa indicata nei provvedimenti citati prevede anche che le biblioteche uffici dirigenziali possano svolgere le funzioni di poli bibliotecari, fermi restando la vigilanza e il collegamento funzionale della direzione generale competente. La valutazione effettuata sulla titolarità dirigenziale o meno della singola biblioteca statale deve essere, pertanto, considerata nel complesso generale degli aspetti emergenti dal nuovo assetto organizzativo. In particolare va evidenziato che le biblioteche sono ora articolazioni della direzione generale biblioteche, quando prima della riforma esse erano articolazione delle direzioni regionali: la riorganizzazione ha quindi potenziato l'autonomia dell'intero settore, ripristinando il collegamento diretto tra uffici periferici e struttura centrale.
  Le esigenze degli istituti bibliotecari, dirigenziali e non, saranno tutte uniformemente valutate, dal punto di vista organizzativo e sotto il profilo delle preminenti esigenze di tutela dei patrimoni bibliografici di cui sono custodi. I rispettivi direttori, dirigenti o alti funzionari, saranno individuati con rigorose procedure selettive di livello nazionale. Preme, al riguardo, sottolineare che questo Ministero si avvale di elevate professionalità interne, non necessariamente identificate nei dirigenti, che continueranno la loro opera a servizio delle attività di tutela e di valorizzazione dell'inestimabile patrimonio da esse posseduto.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2015, nel corso dell'audizione presso la Commissione industria del Senato, l'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, ha annunciato il piano di riorganizzazione dell'ente su tutto il territorio nazionale che prevede la chiusura, a decorrere dal 2015, di circa seicento sportelli di Poste italiane;
   l'amministratore delegato di Poste italiane nel corso della citata audizione ha comunque garantito che: «prossimità e presenza di copertura territoriale» restano elementi «funzionali» al piano che il gruppo «ha in mente»;
   diversi comuni sono stati raggiunti da una lettera in cui veniva comunicata la chiusura di alcuni sportelli postali presenti sul territorio: «Il suddetto intervento, – si legge nella lettera – predisposto in ottemperanza all'articolo 2, comma 6, del vigente Contratto di Programma 2009-2011, è determinato dalla necessità di adeguare l'offerta di Poste italiane all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio comunale»;
   nella provincia di Parma risultano:
    a) in chiusura gli uffici di: Pastorello (Langhirano); S. Vitale (Sala Baganza); Sivizzano (Fornovo); Basilicagoiano (Montechiarugolo); Coltaro (Sissa Trecasali); Costamezzana (Noceto); Gaiano (Collecchio); Mezzano superiore (Mezzani); Riccò (Fornovo); Torrile;
    b) in riduzione di orario quelli di Bore, Marzolara (Calestano), Pellegrino –:
   se intende assumere iniziative al fine di ottenere la rimodulazione del piano di riorganizzazione degli uffici e degli sportelli postali perseguendo una più attenta valutazione delle particolari situazioni locali e prestando attenzione anche agli aspetti sociali ed economici che gli stessi svolgono sul territorio. (4-08699)

  Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge del 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS recante «Punti di accesso alla rete postale: modifica dei criteri di distribuzione degli uffici di Poste Italiane» ha integrato i criteri di distribuzione degli uffici postali di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, attraverso l'introduzione di specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Con particolare riferimento al territorio della provincia di Parma, di interesse degli interroganti, la predetta società ha precisato che, a fronte dei 120 uffici postali attualmente operativi, dei quali 9 aperti in modalità di doppio turno, sono inseriti nel piano 11 interventi di chiusura e 3 interventi di rimodulazione delle giornate di apertura.
  Sul menzionato territorio provinciale sono altresì presenti 45 sportelli automatici (ATM) dei quali tutti attivi h24.
  In ogni caso, Poste italiane ha assicurato che tutti gli interventi inseriti nel Piano risultano essere pienamente rispettosi della normativa vigente in materia e che l'attuazione dei citati interventi, oltre che le diverse modalità di attuazione degli stessi, avverranno solo dopo aver completato il dialogo avviato con le istituzioni locali.
  Si auspica, quindi, nel rispetto delle esigenze dell'utenza, la massima concertazione tra Poste italiane e le amministrazioni locali. Al riguardo si fa presente che il 6 febbraio 2015 abbiamo inviato una lettera all'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio e al presidente dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni Angelo Cardani per sollecitare un incontro per valutare quanto fosse opportuno fare nel rispettivo ambito di competenza. L'impegno alla massima concertazione tra Poste italiane e le amministrazioni locali è stato evidenziato durante l'incontro su detto avvenuto lo scorso 12 febbraio presso il Ministero dello sviluppo economico con l'amministratore delegato di Poste italiane ed il presidente dell'AGCOM.
  L'amministratore delegato di Poste italiane – pur ammettendo qualche problema di comunicazione del piano – ha escluso un impatto occupazionale e una riduzione dei servizi ai cittadini, e ha ribadito che i tagli degli uffici previsti nel 2015 sono compatibili con i criteri fissati dalla delibera Agcom di agosto 2014.
  Tale dichiarazione è stata poi confermata dalla stessa Agcom alla quale spetta verificare il rispetto degli obblighi del piano annuale fissati dal decreto 7 ottobre 2008 sulla distribuzione degli uffici postali sul territorio.
  Tuttavia, su nostra richiesta, Poste italiane ha accettato di coinvolgere fin da subito regioni e comuni (attraverso le rispettive associazioni) nella fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare l'azienda si è impegnata a spiegare come servizi innovativi assicureranno la tutela del servizio universale per i cittadini.
  La tematica della razionalizzazione degli uffici postali è anche oggetto di attenta considerazione nel nuovo contratto di programma in corso di predisposizione.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sentita al riguardo, ha evidenziato che al fine di consentire una valutazione più puntuale dell'impatto del suddetto piano sulla popolazione locale, nonché l'eventuale individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, l'articolo 5 comma 1 della citata delibera n. 342/14/CONS ha previsto l'obbligo di notifica preventiva ai sindaci dei comuni interessati almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento.
  La stessa Autorità ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane spa.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   VACCA, SIMONE VALENTE, GIACHETTI, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) è una associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) avente lo scopo di promuovere e disciplinare l'attività del gioco del calcio e gli aspetti ad essa connessi;
   il CONI, assegna ed eroga contributi, in relazione alle proprie finalità istituzionali e al proprio ruolo nel «sistema sport» italiano e internazionale, alle Federazioni sportive nazionali: la FIGC solo quest'anno ha visto assegnare un contributo a proprio favore pari a euro 68.596.956, circa il 30 per cento del totale dei contributi CONI alle federazioni sportive;
   l'11 agosto 2014 Carlo Tavecchio è stato eletto presidente della FIGC nonostante le numerose polemiche legate alle sue frasi razziste e alle condanne penali a proprio carico;
   da notizie di stampa sembrerebbe che Claudio Lotito abbia avuto un ruolo di primo piano nella elezione di Carlo Tavecchio a Presidente della FIGC;
   Claudio Lotito è membro del Comitato di Presidenza della FIGC e del Consiglio Federale;
   negli scorsi giorni si è appreso dagli organi di stampa della forte presenza di Lotito durante le attività di preparazione e ritiro della nazionale di calcio italiana sia a Bari che a Oslo, tanto da generare polemiche sugli organi di stampa;
   a seguito di queste polemiche Claudio Lotito si è difeso dichiarando che la sua presenza nei ritiri azzurri e al fianco di Tavecchio è giustificata dal ruolo ricoperto come consigliere federale della FIGC –:
   se non sia opportuno che le federazioni sportive, ed in questo caso la FIGC, limitino le spese connesse alla loro attività, considerati i contributi pubblici che ricevono, con particolare riferimento a quelle, ad avviso degli interroganti, superflue – come ad esempio la presenza dei membri del comitato di presidenza della FIGC al fianco del Presidente – considerando che appare più che sufficiente la presenza del Presidente come rappresentante della Federazione medesima in ogni contesto ufficiale. (4-06043)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta che a seguito di apposita richiesta di elementi istruttori, il Comitato olimpico nazionale italiano ha fornito i seguenti elementi.
  Il contributo pubblico ricevuto dalla FIGC, peraltro ridotto per l'anno 2015, è utilizzato esclusivamente per l'attività istituzionale relativa all'attività di promozione e di disciplina del gioco del calcio.
  In merito alla richiesta di contenimento delle spese relative allo svolgimento delle attività federali ed in particolare di quelle delle nazionali, la federazione ha attuato da tempo una politica di riduzione dei costi mediante l'adozione di una
travel policy e di una gestione razionale dei servizi.
  In ordine alla spese sostenute per le squadre nazionali, la stessa FIGC riferisce che provvede allo svolgimento del programma delle attività delle squadre nazionali con le risorse provenienti dai proventi delle sponsorizzazioni e dalla cessione dei diritti televisivi e che alle partite della «Nazionale» possono essere invitati i rappresentanti del mondo politico e sportivo ed anche i componenti dell'organo federale «Comitato di Presidenza».

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.
(Risposta del Governo del 2 aprile 2015)


   VARGIU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la razza anglo-araba è tra le razze equine internazionali, come il purosangue inglese e il purosangue arabo, diffuse in molti Paesi del mondo che vengono utilizzate come miglioratrici di altre razze di cavalli;
   nel 2014 ricorrevano i 140 anni dall'istituzione, nella città di Ozieri in provincia di Sassari, del regio deposito di stalloni della Sardegna, destinato a garantire il servizio della riproduzione equina per i reparti di cavalleria dell'esercito, dando vita e continuità alla storia ultracentenaria del cavallo anglo-arabo sardo;
   la Sardegna, grazie a un perfetto equilibrio tra passione e vocazione allevatoriale ha sviluppato nel corso dei decenni un proprio coerente progetto selettivo che ha condotto, mediante sapienti incroci, selezione e meticciamento delle razze parentali con la popolazione indigena di fattrici sardo-arabe, alla creazione di una varietà locale della razza anglo-araba denominata anglo-arabo sarda;
   la razza anglo-arabo sarda ha acquisito notorietà internazionale per le sue caratteristiche di adattabilità ambientale e versatilità nelle discipline sportive equestri, nella corsa e nell'equitazione di campagna, arrivando a ricoprire una posizione centrale nella produzione zootecnica, come risorsa culturale, identitaria e con un significativo indotto sociale ed economico;
   la razza anglo-arabo sarda è inserita a pieno titolo tra le produzioni anglo-arabe di maggior rilievo internazionale, essendo la Sardegna insieme alla Francia il maggior produttore di cavalli anglo-arabi a livello mondiale. La regione Sardegna produce, infatti, quasi la totalità dei cavalli anglo-arabi allevati in Italia e, in ogni caso, la piccola quota di cavalli anglo-arabi prodotti in altre regioni originano quasi tutti geneticamente dalle linee parentali della Sardegna;
   l'anglo-arabo sardo è la razza che per l'isola ha rappresentato anche il punto di partenza per la creazione di soggetti da sella derivati e sempre in Sardegna è nata e ha sede l'Associazione nazionale allevatori del cavallo anglo-arabo e derivati (A.N.A.C.A.A.D.), dotata di personalità giuridica che conta di propri rappresentanti negli organi direttivi della Confederazione internazionale dell'anglo-arabo;
   la regione, per il tramite del suo ente strumentale Istituto incremento ippico della Sardegna, ha tenuto sino al 1990 il libro di selezione, gli archivi anagrafici e la banca dati relativa alla razza anglo-araba. Tuttavia, nel 1988 veniva approvato il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e, alla seconda sezione dello stesso, veniva ricondotta la razza anglo-arabo sarda;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto del 30 agosto 1988, approva il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e a seguito dell'entrata in vigore della legge 15 gennaio 1991, n. 30, «Disciplina della riproduzione animale», vengono ridefinite le competenze istituzionali relative anche alla selezione, gestione e tenuta dei libri delle razze equine. Conseguentemente a ciò, l'Istituto incremento ippico della Sardegna cedeva la propria banca dati all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) con sede in Roma, incaricato della tenuta del libro genealogico del cavallo da sella italiano;
   in particolare, l'articolo 3, comma 1, della predetta legge n. 30 del 1991 affida all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) la tenuta del libro genealogico del cavallo sella italiano e, successivamente, l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 529, recante «Attuazione della direttiva 94/174/CEE» prevede che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisca con proprio decreto i requisiti che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
   il decreto ministeriale 26 luglio 1994, n. 186 (attuativo dell'articolo 3 della legge 15 gennaio 1991, n. 30), stabilisce i requisiti tecnico organizzativi che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
   la decisione n. 92/353/CEE della Commissione dell'11 giugno 1992 determina i criteri di approvazione o di riconoscimento delle organizzazioni e associazioni che tengono o istituiscono libri per gli equidi registrati;
   il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sopprime l'ENCI e le sue funzioni vengono attribuite all'Unione italiana incremento razze equine (UNIRE);
   la procedura d'infrazione 2004/2069 ex articolo 226 del Trattato CE (decisione del 17 ottobre 2007) a carico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e quindi dell'UNIRE, contiene anche precise disposizioni per la separazione delle tre sezioni del libro genealogico del cavallo da sella italiano in altrettanti libri genealogici e, quindi, dispone la specifica creazione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo;
   il MIPEF con proprio decreto ministeriale 12 giugno 2008, n. 3580 denominava libro genealogico del cavallo da sella italiano «Libro genealogico dei cavalli di razza: orientale, anglo-arabo e da sella Italiano»;
   la legge 15 luglio 2011, n. 111, sopprimeva l'UNIRE e al suo posto istituiva l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) che assumeva tutte le funzioni e obbligazioni del disciolto ente;
   il MIPEF, con decreto ministeriale 31 gennaio 2013, disponeva il trasferimento delle funzioni dell'ASSI (soppressa ex legge 7 agosto 2012, n. 135) al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   l'ANACAAD è l'unica associazione di allevatori di cavalli anglo-arabi e derivati che ha sede in Sardegna, dove è presente la quasi totalità dell'allevamento dell'anglo-arabo e che è in possesso di tutti i requisiti previsti dalle norme nazionali e comunitarie vigenti per la tenuta del libro genealogico;
   particolarmente, negli ultimi dieci anni, la gestione dell'anglo-arabo da parte dell'ente affidatario del libro si è rivelata insufficiente e inadeguata rispetto alle reali esigenze dell'allevamento, essendo totalmente mancata qualunque politica e indirizzo selettivo specificamente riservata alla razza;
   in conseguenza della mancanza di obiettivi finalizzati al miglioramento genetico e all'incremento qualitativo e quantitativo delle produzioni, la razza ha subito una contrazione drammatica, che l'ha posta a serio rischio di estinzione, essendo oramai il numero di fattrici in produzione al disotto della soglia dei mille capi indicata dalla classificazione FAO;
   l'utilizzo indiscriminato delle migliori linee della razza anglo-araba per la produzione di soggetti di razza da sella italiana, finalizzati quasi esclusivamente al salto degli ostacoli, ha impoverito geneticamente la stessa razza anglo-araba, compromettendo irrimediabilmente, per alcune famiglie, il valore genetico e la qualità raggiunta in un lunghissimo processo selettivo;
   a seguito delle disposizioni derivanti dalla procedura d'infrazione della Commissione europea, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è limitato a suddividere solo nominalmente i libri genealogici delle varie razze, mantenendo l'organizzazione delle vecchie tre sezioni, soggiacenti a obiettivi unici ma incompatibili con obiettivi di crescita e sviluppo di razze totalmente differenti per genetica, morfologia e attitudine sportiva;
   è inoltre grave il rischio di estinzione del cavallo anglo-arabo sardo venutosi a determinare per i motivi enunciati in premessa; esso è ulteriormente accelerato dalla pesante crisi del settore ippico ed equestre che ha colpito l'Italia e la Sardegna, creando devastanti conseguenze oltre che sui processi selettivi anche su quelli commerciali ed economici diretti e indiretti dell'allevamento del cavallo nell'Isola;
   allo stato attuale, il libro genealogico dell'anglo-arabo è tenuto direttamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in conseguenza della soppressione dell'agenzia ASSI;
   è necessario, nell'interesse dell'allevamento e dell'economia che ne deriva, riprendere con urgenza politiche selettive adeguate alla crescita, sviluppo e consolidamento della razza e delle sue molteplici attitudini, anche incontrando le spinte del mercato per le discipline del galoppo, endurance e concorso completo di equitazione sinora purtroppo trascurate;
   l'eventuale gestione nel territorio regionale del libro genealogico del cavallo anglo-arabo, dove ha sede l'allevamento, consentirebbe evidenti economie collettive e soggettive e un miglioramento dell'efficienza nell'attività di consulenza, nella registrazione anagrafica e nell'emissione delle certificazioni, tutte competenze di cui oggi l'allevamento lamenta l'inefficienza –:
   quali iniziative intenda porre in essere per ricondurre ad una «governance» sarda la gestione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo mediante l'affidamento della tenuta del libro genealogico alla competente associazione nazionale della razza e la relativa concessione della banca dati. (4-07846)

  Risposta. — Con riguardo alla interrogazione in esame, faccio presente che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è subentrato, ai sensi del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nelle attribuzioni e nei rapporti attivi e passivi inerenti alle funzioni facenti capo all'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (Assi), già successore ex lege 15 luglio 2011, n. 111, dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (Unire).
  Nello specifico, il Ministero è subentrato nella gestione dei libri genealogici dei cavalli di razza puro sangue inglese, dei cavalli di razza trottatore e dei cavalli delle razze orientale, anglo-arabo e sella italiano, già di competenza dell'Assi.
  Tanto premesso, ritengo che il decremento numerico della razza anglo-araba, cui fa riferimento l'interrogazione, non possa essere ricondotto ad una presunta carenza di politica selettiva da parte del Ministero bensì alla più generale crisi che ha colpito il comparto ippico.
  Faccio, inoltre, presente che il disciplinare dei libri genealogici (approvato con decreto ministeriale n. 3580 del 12 giugno 2008), individua la Commissione tecnica centrale (Ctc) quale organo deputato alla selezione. Difatti, l'articolo 4 del citato disciplinare, dispone che la Ctc «studia e determina i criteri e gli indirizzi per il miglioramento delle razze», tra le quali quella anglo-araba.
  Alla citata Commissione partecipano, oltre ad esperti ed allevatori, tre rappresentanti provenienti dalla Sardegna in rappresentanza, rispettivamente, della regione Sardegna, dell'Associazione nazionale allevatori del cavallo anglo-arabo e derivati (Anacaad) e del corpo nazionale degli esperti, che, in tale sede, possono offrire il proprio contributo per la politica selettiva del cavallo anglo-arabo, attuando, in tal senso, l'auspicata collaborazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e la regione Sardegna.
  Ritengo, inoltre, di dover ricordare che l'avvio del programma di selezione mediante l'elaborazione degli indici genetici è imminente, ed è stato esteso anche alla razza anglo-araba oltre al cavallo da sella italiano.
  Evidenzio, altresì, che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali già finanzia programmi volti alla preparazione ed alla selezione all'attività agonistica diretti anche ai cavalli anglo-arabi, tra cui le corse in ippodromo per cavalli con diretti anche ai cavalli anglo-arabi, tra cui le corse in ippodromo per cavalli con attitudine alla corsa e il circuito allevatoriale per i cavalli con attitudine al salto, diviso in prove per i cavalli di tre anni (prova morfo-funzionale, prova di obbedienza e prova di salto in libertà), ed in prove per i cavalli di quattro anni ed oltre (concorsi di salto ostacoli, di completo di equitazione, di
dressage e di endurance).
  Riguardo al presunto «utilizzo indiscriminato delle migliori linee della razza anglo-araba per la produzione di soggetti di razza da sella italiana finalizzati quasi esclusivamente al salto degli ostacoli», rilevo come queste attività non possano che essere rimesse alla libera iniziativa degli allevatori.
  Infine, faccio presente che il tentativo di separare la gestione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo dalla gestione degli altri libri genealogici, si porrebbe in contrasto con una corretta gestione delle economie di scala, conducendo inevitabilmente ad un aggravio burocratico e aumenti di costo per gli allevatori.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.