Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 11 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno ha rilevato come tra le principali economie industrializzate, principalmente per effetto della crisi di competitività che la colpisce da oltre dieci anni, l'Italia è fra le più lente a recuperare: dal 2001 al 2013 il prodotto interno lordo nazionale ha infatti registrato una flessione dello 0,2 per cento, per effetto dell'ampia forbice tra un Centro-Nord positivo (+ 2 per cento) e un Mezzogiorno fortemente in ribasso (-7,2 per cento);
    in base a valutazioni Svimez, nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord e che per il sesto anno consecutivo registra un segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area. Il divario di prodotto interno lordo pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2013 è sceso al 56,6 per cento, tornando ai livelli del 2003, oltre dieci anni fa, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro;
    il rapporto Svimez evidenzia due grandi emergenze nel nostro Paese: quella sociale con il crollo occupazionale e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano oramai per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Sud la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile, scrive l'istituto di ricerca, alla Grande depressione del 1929;
    in questo quadro, la Sardegna si mostra sempre più povera, con una disoccupazione giovanile allarmante, e in recessione. Nel 2013, il prodotto interno lordo della Sardegna è diminuito del 4,4 per cento, più della media registrata nelle regioni meridionali e insulari. Negli anni della crisi – dal 2007 al 2013 – l'isola ha perso il 13 per cento del suo prodotto, meno di Basilicata e Molise (-16 per cento) ma più di Abruzzo e Campania (-12 per cento). Sempre nel 2013, in tutto il Sud gli occupati sono diminuiti di circa 280 mila unità (-4,6 per cento): 43 mila erano posti di lavoro sardi (-7,3 per cento). E anche la disoccupazione giovanile, nell'isola, è risultata ben più alta della media del Mezzogiorno: 54,2 per cento per cento contro il 46,9 per cento;
    sempre secondo i dati Svimez, in Sardegna si sono registrati: 10 milioni di ore di cassa integrazione nella manifattura, il calo dei consumi (-2 per cento), l'aumento delle famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa (24,8 per cento, una su quattro). Alla desertificazione produttiva e industriale si registra anche quella umana. La Sardegna è, infatti, sempre di più una terra di emigrazione, in cui i morti superano i nati – il tasso di mortalità sardo nel 2013 è stato del 7,2 per mille, quello di mortalità del 9,2 per mille e in tutto il Sud il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico ovvero 177 mila, il più basso dal 1861 – e i giovani fanno la fila per staccare un biglietto di sola andata verso il resto d'Italia e del mondo;
    la gravissima situazione economica e sociale dell'isola, così come delineata, si inserisce all'interno della cosiddetta «vertenza Sardegna» e dei rapporti tra Stato e regione, con l'individuazione di una serie di temi che, ancora oggi, non hanno trovato una soluzione e che impongono di inserire nell'agenda dei lavori del Governo la «questione sarda» come vera e propria questione nazionale;
    a tal fine, il presidente della regione autonoma della Sardegna ha convocato un tavolo permanente di consultazione con le forze politiche e sociali per approfondire temi, priorità e modalità di azione per trovare una soluzione a questioni che fino a oggi non hanno trovato alcuna soluzione nel rapporto con lo Stato. Se, da un lato, la giunta sarda ha incassato la cancellazione dei vincoli di spesa sul patto di stabilità (prima regione ad aver ottenuto il solo pareggio di bilancio da rispettare), dall'altro rimangono ancora da risolvere nella loro interezza le seguenti questioni: vertenza entrate, energia, trasporti e continuità territoriale interna ed esterna, superamento del deficit infrastrutturale, servitù militari, G8 de La Maddalena con la gestione delle opere incompiute, insularità e mantenimento della condizione di specialità nell'attuale quadro costituzionale;
    per quanto riguarda la «vertenza entrate», la Sardegna attende ancora una soluzione del mancato versamento di parte delle entrate tributarie dovute dallo Stato alla regione, nel corso degli anni tra il 1991 e oggi. Secondo l'articolo 8 dello statuto della regione Sardegna (legge di rango costituzionale) la regione sarda ha, infatti, diritto a una parte delle entrate tributarie statali riscosse in Sardegna. Tra queste, ad esempio i 7 decimi dell'Irpef e analoghe percentuali di altre imposte, soprattutto indirette (IVA, accise). Secondo le verifiche effettuate, lo Stato ha mancato di versare per intero la quota di compartecipazione sull'Irpef spettante alla Sardegna: avrebbe restituito i 4 decimi del totale riscosso anziché i 7 decimi stabiliti nello statuto. Questa è la voce principale dell'intera «vertenza entrate», ma non l'unica. Il 1o aprile 2015, alla regione sono stati versati i primi 300 milioni di euro, primo acconto per gli anni dal 2010 al 2014, del credito che la regione vanta nei confronti dello Stato. Si tratta solo di un anticipo, giacché all'appello mancano altri trecento milioni di euro, saldo del credito complessivo vantato dalla Sardegna nei confronti dello Stato. Queste somme in ogni caso sono di gran lunga inferiori a quanto lo Stato dovrebbe in realtà versare alla Sardegna in base al suo statuto speciale. Dai 16 miliardi di euro iniziali, un accordo tra regione e Governo ha portato il debito dello Stato italiano a circa 5 miliardi di euro, a fronte di una garanzia di «maggiori entrate» (da inserire nello statuto). L'accordo definitivo sull'entrate attende di trovare una completa definizione in una norma di attuazione dello statuto speciale per la redazione della quale, entro il mese di giugno 2015, la regione ha annunciato una proposta;
    a livello politico si è riacceso il dibattito sulle regioni a statuto speciale e sull'opportunità che il nostro sistema costituzionale ne riconosca ruolo, prerogative e poteri. Si tratta di una prerogativa costituzionale che le regioni hanno assunto in virtù di evidenti condizioni di svantaggio e di peculiarità che sono elemento di forza e di arricchimento nella repubblica italiana. È sbagliato sostenere che le cinque regioni ad autonomie differenziate, tra le quali c’è anche la Sardegna, godano di ingiusti privilegi. Come è noto, e la tesi è sostenuta anche da autorevoli costituzionalisti e dalla giurisprudenza prevalente, la riforma del Titolo V (2001) della Carta costituzionale ha quasi annullato la specialità delle regioni, attribuendo una serie di poteri e funzioni così ampie a quelle «ordinarie» che, di fatto, allinea le realtà speciali a quelle ordinarie. Oggi, quella specialità quasi non esiste, se non nella compensazione di una serie di spese e trasferimenti che ancora non sono sufficienti ad assicurare la parità di condizioni tra tutte le regioni italiane. L'equivalenza tra specialità e privilegi non solo è un assurdo giuridico e storico ma è anche ingiusto sotto il profilo politico. Nel caso della Sardegna, la regione gestisce con il proprio bilancio, senza alcun fondo statale, tutto il servizio sanitario regionale, il trasporto pubblico locale e la continuità territoriale aerea. La presenza di regioni a statuto speciale è ancora utile al Paese e non può essere messa in discussione se non si vuole rompere la coesione territoriale e il principio di solidarietà nazionale;
    altra questione irrisolta è quella delle servitù militari nazionali, il 65 per cento delle quali grava sulla Sardegna. È necessario un equilibrio, poiché, come ha ricordato il presidente della regione Francesco Pigliaru in audizione presso la IV Commissione (Difesa) della Camera dei deputati, si tratta di numeri significativi: 30 mila ettari, di cui 13 mila con limitazioni totali, impegnati dal demanio militare a cui si devono aggiungere gli spazi aerei e circa 80 chilometri di costa. La giunta regionale della Sardegna non ha ancora firmato l'accordo con il Ministero della difesa sulle servitù militari e non lo firmerà in assenza di nuove prospettive per la presenza militare nell'isola. Da tempo, è richiesta una riqualificazione della presenza militare alleggerendo il territorio dal carico delle servitù, nel rispetto delle esigenze di difesa nazionali. Si tratta di prestare una fattiva attenzione alla tutela del territorio a mezzo di bonifiche, del riconoscimento del diritto di fruire anche a fini turistici delle aree costiere attualmente occupate dalle basi militari, nonché dell'investimento di risorse della difesa in ricerca tecnologica applicata anche al campo civile, per un rapporto sostenibile tra presenza militare e contributo allo sviluppo economico del territorio in termini dinamici e non assistenziali. Tutto questo anche al fine di dimostrare che non è vero che la presenza militare in Sardegna rechi soltanto svantaggi;
    la regione autonoma della Sardegna, per soddisfare esigenze non proprie, sta diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell'energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico. Il riconoscimento dell'essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell'energia e garantire pertanto alle imprese sarde di fruire di prezzi dell'energia più bassi;
    questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi. Occorre, infatti, ricordare che la Sardegna è l'unica regione a non utilizzare il metano (a seguito anche dell'uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla regione anche da Enel ed Edison) e che l'energia ha il costo più elevato d'Italia (20-30 per cento in più) in una realtà nazionale in cui l'energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d'Europa. Tale gap si risolve in un danno economico valutato, ogni anno, in circa 400 milioni di euro sul bilancio di imprese e famiglie. Rispetto al tempo in cui è maturato il progetto Galsi, è cambiata sia la geopolitica mondiale degli scambi commerciali del gas naturale liquido, sia la valutazione sulla consistenza dei giacimenti, sia le tecniche di esplorazione ed estrazione. L'autonomia energetica degli Stati Uniti, derivante dall'utilizzazione di quote sempre più rilevanti di shale gas e shale oil, e la prospettiva che questo Paese diventi addirittura esportatore in Europa di materie prime energetiche, insieme alla messa in produzione di grandi giacimenti in Africa centrale, non connessi ad una significativa rete di trasporto, sta rendendo obbligata e profittevole la scelta tecnologica della liquefazione del gas metano ed il suo trasporto con navi gasiere. Un sistema, questo, che potrebbe rapidamente consentire alla Sardegna, senza opere infrastrutturali di lunga e costosa realizzazione, di avere una disponibilità pressoché immediata di metano. A questo proposito risulta decisiva l'azione del Governo per attuare in tempi rapidissimi la direttiva comunitaria 94/2014/UE, che prevede la realizzazione di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido per la realizzazione di una politica europea energetica che agevoli, tra le altre, l'utilizzazione di questa fonte. Il Governo ha la possibilità di «iniziare dalla Sardegna» l'attuazione della direttiva, concordando con la regione procedure autorizzative semplificate, la definizione di chiari standard di sicurezza per gli stoccaggi nelle aree portuali, e la destinazione di risorse, anche comunitarie, per favorire investimenti privati nella creazione di un numero adeguato di siti di stoccaggio, a partire dalle aree industriali attrezzate. Ciò non deve escludere la possibilità, in proseguo, di programmare e favorire la realizzazione di una dorsale sarda (nord/sud) di trasporto del metano, la realizzazione di grandi impianti di rigassificazione e la connessione della Sardegna alla rete nazionale dei gasdotti con una connessione alla Corsica ed al continente. Occorre inoltre agevolare, anche con atti di indirizzo all'autorità competente, la prima diffusione dell'utilizzo del metano tra le famiglie e le imprese, valutando un'eliminazione temporanea o un alleggerimento significativo delle accise sul gas, in modo da compensare rapidamente i costi di allaccio delle utenze;
    collaterale a questo tema, ma con tempi urgentissimi per la definizione della cornice normativa necessaria a garantire la certezza degli investimenti, rimane la ricerca di una soluzione a sostegno dell'industria metallurgica energivora (filiera dell'alluminio e del piombo-zinco) per la quale da tempo è in corso un'inesauribile trattativa tra regione, Stato e Unione europea sulle «compensazioni per i servizi di interrompibilità» in tutte le sue possibili declinazioni;
    rimangono le criticità relative al sistema dei trasporti da e per l'isola, specialmente sul versante della continuità aerea e marittima. Malgrado gli innegabili passi in avanti compiuti in questi ultimi anni, si pone l'esigenza di disegnare una Sardegna più coesa al suo interno e più vicina al resto del continente. La continuità territoriale aerea è totalmente sostenuta dal bilancio della regione per oltre 50 milioni di euro, nonostante il diritto alla mobilità in tutto il territorio italiano debba essere garantito a tutti i cittadini, compresi gli abitanti della Sardegna;
    relativamente alla continuità territoriale marittima, si rende necessaria l'approvazione di una nuova legge sulla continuità territoriale marittima ovvero di norme di attuazione dello statuto speciale, per regolamentare qualità e tipologia dei servizi anche in situazioni come quella attuale in cui un unico armatore risulta titolare di tutte le sovvenzioni statali, la cui erogazione è disciplinata da una convenzione da 72,5 milioni di euro all'anno e scade nel 2020 – sia per il trasporto dei passeggeri che delle merci. Una normativa speciale per la Sardegna, rispettosa delle disposizioni comunitarie e nazionali che disciplinano la materia, che tenga presenti i principi di permanenza (l'insularità è un handicap costante nel tempo), discriminazione positiva (garantire autentica parità con le altre regioni mediante misure volte a bilanciare gli svantaggi) e proporzionalità (tenere conto delle differenti situazioni che sono certamente il ristretto mercato regionale ma anche e soprattutto la distanza degli scali sardi da quelli del continente che nel minimo è di 125 miglia nautiche – praticamente sette ore di navigazione – contro le appena 2 miglia della Sicilia) e finalizzata a garantire un'efficiente mobilità delle persone e delle merci. In definitiva, nuove regole sulla continuità, che confermino la copertura finanziaria in capo allo Stato degli oneri per il servizio di trasporto sovvenzionato, riconoscano alla Sardegna il ruolo preminente nell'individuazione del contenuto degli oneri di servizio e compartecipazione alla responsabilità di selezione, con procedura di evidenza pubblica, delle compagnie di navigazione concessionarie del servizio. Nella prospettiva dell'attuazione della direttiva 2012/33/UE dell'Unione Europea, che impone l'abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo nel Mediterraneo proprio entro il 2020, e la prospettiva di diffusione del gas naturale liquido in Sardegna, la gara internazionale per la scelta dei vettori marittimi potrebbe ben essere associata alla realizzazione di infrastrutture portuali per il rifornimento delle navi nei porti sardi di destinazione delle rotte gravate da oneri di servizio pubblico, nonché da misure che favoriscano l'utilizzazione del gas naturale liquido come carburante pulito nei trasporti marittimi;
    la Sardegna è la regione italiana con i maggiori deficit infrastrutturali: l'indice di dotazione stradale della Sardegna è pari a un valore di 43,9, mentre nel Mezzogiorno e nelle altre isole è al 111,2. L'indice di dotazione ferroviaria è pari al 17,4 a fronte del 102,6 del Sud e delle altre isole. L'Unione europea nella definizione dello spazio unico europeo dei trasporti sostiene che «gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescita economica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'accessibilità geografica e la mobilità delle persone». Tutto ciò, evidentemente, non riguarda la Sardegna, dove il deficit delle infrastrutture si ripercuote negativamente sul tessuto sociale ed economico regionale. L'isola detiene, infatti, il record nazionale di disoccupazione giovanile, oltre il 40 per cento di giovani in età 15-24 anni; è ai primi posti fra le regioni italiane con il maggior numero di disoccupati (il 29 per cento degli italiani in fascia di età 20-64 anni); la percentuale di abbandono scolastico dei giovani sardi (oltre il 25 per cento) è la più alta in Italia; la Sardegna è la regione dove si registra il più alto indice di spopolamento nelle zone interne e svantaggiate;
    in un contesto regionale complessivamente al di sotto dei livelli minimi di infrastrutture e servizi e con complessi problemi demografici, si ripropongono ogni anno più drammatici, gli squilibri territoriali (mai risolti nonostante le numerose direttive e risorse europee destinate a risolvere, strutturalmente e definitivamente, gli squilibri territoriali), per cui in diverse sub-aree geografiche, in particolare ricadenti nell'entroterra sardo e nella Sardegna centro-meridionale, gli indici di cui si è trattato in premessa presentano valori prossimi al dramma e prefigurano situazioni sociali, economiche, demografiche e di ordine pubblico oramai, insostenibili. Si tratta di realtà territoriali particolarmente aspre dal punto di vista morfologico e significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate;
    la questione Sardegna come questione nazionale è strettamente legata al tema dell'insularità: alle problematiche legate a questa condizione, che vedono la regione non efficientemente collegata alle reti dell'energia, delle comunicazioni e dei trasporti, con costi aggiuntivi per la popolazione; alla conseguenti difficoltà di cogliere e valorizzare le opportunità che, pure, derivano, dallo stato di insularità, in particolare, vista la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee. Quello dell'insularità e del suo riconoscimento in ogni sede è un tema strettamente legato allo sviluppo economico, in particolare per quanto riguarda la mobilità, l'energia e il turismo della Sardegna, ma di tutta l'area euro-mediterranea;
    la Sardegna ha bisogno di un sistema industriale moderno ed ecocompatibile. Devono essere chiuse in tempi rapidi crisi industriali ormai aperte da troppo tempo. In particolare le grandi vertenze del Sulcis, che riguardano gli stabilimenti dell'Alcoa e dell'Eurallumina. Nell'area di Ottana si è prodotto un deserto industriale non più accettabile. Relativamente a Porto Torres, il protocollo d'intesa sulla chimica verde del 2011 prevedeva 1,2 miliardi di euro di investimenti entro 5 anni, eppure finora ne sono stati spesi solo il 25 per cento ed è stato comunicato da Eni che si proseguirà solo sulle bonifiche, cancellando altri investimenti senza una vera ipotesi alternativa alla prospettata centrale a biomasse da 250 milioni di euro;
    poiché il valore degli investimenti relativi alle bonifiche industriali e legate alle aree militari supera i 500 milioni di euro e interessa almeno 5 siti, non si possono ammettere ritardi e serve, soprattutto, che il Governo definisca una regia istituzionale consentendo che, oltre al risanamento, la Sardegna possa beneficiare anche di parte degli investimenti economici e delle competenze professionali e d'impresa necessarie;
    la Sardegna è da considerarsi parte lesa in quello che può essere considerato uno dei più grandi scandali della recente storia italiana: il mancato svolgimento del G8 sull'Isola de La Maddalena. Quattrocentosettanta milioni di euro di denaro pubblico che hanno consegnato al nulla 27 mila metri quadrati di edifici, 90 mila metri di aree a terra e 110 mila metri quadri di mare. Nessun progetto privato fino a oggi è mai partito. Insieme allo spreco di denaro, c’è l'enorme danno ambientale, con i veleni liberati dai fondali della darsena dell'ex arsenale militare, mercurio e idrocarburi pesanti, la cui dispersione ha raggiunto, sedimentandosi in profondità, l'area limitrofa allo specchio di mare del Parco de La Maddalena. Urgono bonifiche urgenti per le quali non esistono risorse sufficienti e anche se si dovessero trovare, l'accordo tra le amministrazioni dello Stato (Presidenza del Consiglio dei ministri, ministero, regione, comune) non è ancora raggiunto. La Protezione civile al termine dei lavori ha consegnato l'hotel e centro congressi al concessionario Mita Resort. Questo, una volta verificato che le bonifiche non erano state fatte e che era impossibile aprire l'albergo in quelle condizioni, senza poter usare la darsena, ha tirato in causa la Protezione civile, ottenendone in un arbitrato la condanna al pagamento dei danni (39 milioni di euro). Nel lodo arbitrale si è deciso, inoltre, che le chiavi delle strutture debbano essere riconsegnate alla Protezione civile, non alla regione, che ne è proprietaria ma non ne è mai venuta in possesso. E viene esplicitamente affermato che la regione Sardegna è estranea alla contesa. Ora la Protezione civile ha presentato un ricorso, prolungando una vicenda giudiziaria che ancora una volta taglia fuori la regione, alla quale rimane soltanto l'obbligo di versare ogni anno circa 500 mila euro di Imu a fronte del canone annuo di 65 mila euro che la società Mita Resort deve alla regione per 40 anni, ma che, dal 2009 a oggi, non ha mai versato;
    nell'anno di Expo 2015 dedicata al cibo, la Sardegna non può essere posta ai margini del sistema agroalimentare nazionale per motivi legati alla peculiarità di alcune produzioni o al mantenimento di alcune condizioni di privilegio di altre regioni più grandi, impedendo la competizione tramite la valorizzazione dei suoi sistemi produttivi. Serve un indirizzo politico del Governo anche nei confronti di uffici che tendono alla conservazione: il fondo di valorizzazione del comparto del latte bovino che oggi esclude il comparto ovicaprino al quale la Sardegna contribuisce con quasi l'80 per cento dell'intero patrimonio nazionale; il comparto ittico che vede la Sardegna esclusa dall'aumento del 20 per cento annuo delle quote europee per l'Italia, come confermano le scelte recenti per la regolamentazione della pesca del tonno rosso, nelle quali è stata del tutto ignorata una richiesta equilibrata della regione; il settore ippico considerato di grande interesse per gli investitori internazionali provenienti dal Medio oriente e che richiede normative più avanzate sulle quali viene opposto un ostacolo incomprensibile alle richieste della regione;
    deve essere garantito il pagamento delle mensilità degli ammortizzatori sociali in deroga, dai quali, in Sardegna, dipendono oltre 43.000 persone nell'isola e per i quali si è fermi ai primi due ratei del 2014. A legislazione vigente solo altre 4 mensilità saranno pagate se non si consente all'isola di accedere alle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione decurtate nel giugno 2014. E infatti, le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 interessano, in Sardegna, complessivamente, 26.763 lavoratori, dei quali 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga e ad oggi, il Governo ha assegnato, 17.313.000 euro (decreto ministeriale 6 agosto 2014) e 21.641.000 euro (decreto ministeriale 4 dicembre 2014), così che con le prime risorse assegnate sono state pagate due mensilità di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, ma l'Inps dai primi di febbraio 2015 ha interrotto i pagamenti a seguito dell'esaurimento dei fondi. Per il completamento dei pagamenti relativi al 2014 sono necessari ancora 179 milioni di euro, di cui solo 50 arriveranno dopo un prossimo decreto ministeriale che il Ministro del lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato e che consentirà il pagamento di ulteriori tre/quattro mensilità rendendo ancora necessario il reperimento di circa 130 milioni di euro: tali risorse potrebbero essere recuperate considerato che la delibera Cipe 30 giugno 2014, n. 21, nel disporre meccanismi di disimpegno automatico e sanzionatori a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, ha disposto a carico della regione Sardegna, una decurtazione pari a circa 107 milioni di euro, derivante dall'applicazione di misure sanzionatorie nella misura del 10 per cento, per un importo di circa 24 milioni di euro, e nella misura del 15 per cento, per un valore pari a circa 83 milioni di euro, su interventi che hanno fatto registrare ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti e che la sopra citata delibera Cipe n. 21 del 2014 ha disposto il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga», per un importo pari a 100 milioni di euro, a valere sulle decurtazioni operate dalla stessa, e che tali risorse sono confluite tra le fonti generali di finanziamento dei decreti ministeriali di assegnazione delle risorse alle regioni e che al netto delle finalizzazioni operate dalla suddetta delibera Cipe n. 21 del 2014, risulta, quindi, la disponibilità per successive finalizzazioni per un importo complessivo di 182 milioni euro, tra i quali è moralmente indispensabile prevedere la copertura del fabbisogno della cassa integrazione guadagni in deroga nell'isola;
    l'alluvione in Sardegna del 2003 è l'unica tra le calamità naturali avvenute negli ultimi tre anni in Italia i cui danni non siano stati ripagati né alle imprese né alle famiglie. In sede di esame del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151 (cosiddetto «salva Roma bis») era parso possibile ottenere specifiche misure di sostegno finanziario che furono invece rinviate ad un disegno di legge ordinario rimasto bloccato alla Camera dei deputati. Gli unici interventi finora realizzati sono il finanziamento iniziale di 20 milioni di euro per il ripristino immediato della viabilità temporanea, il mandato di commissario al presidente Anas per il ripristino delle strade provinciali e un intervento di 10 milioni di euro per le scuole primarie introdotto con la legge di stabilità 2015;
    il previsto trasferimento in Sardegna di decine di detenuti sottoposti ai regimi di massima sicurezza, condannati per reati di mafia, ha destato un forte allarme sociale per il timore che possano prodursi infiltrazioni mafiose in una regione impreparata, anche considerato che, a tutt'oggi, non sono conosciuti né il piano dei trasferimenti, né il piano definitivo di razionalizzazione del sistema penitenziario sardo, né la presenza di nuove e ulteriori strutture di prevenzione e sicurezza a partire dalla richiesta di una seconda direzione distrettuale antimafia da parte del sistema istituzionale e giudiziario sardo;
    quella sarda è la più grande minoranza linguistica italiana, composta da oltre un milione e mezzo di persone, come riconosciuto dalle legge n. 482 del 1999, adottata in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione. In virtù di questa specificità, da anni la regione autonoma della Sardegna si è dotata di un suo piano della lingua e sostiene la produzione di notiziari radiotelevisivi e programmi in lingua sarda, diffusi anche dal servizio pubblico per effetto di una convenzione stipulata con la Rai-Radiotelevisione italiana. La situazione isolana non solo è assimilabile a quella presente nelle province autonome di Trento e Bolzano e nelle regioni della Valle d'Aosta e del Friuli Venezia Giulia, ma presenta delle sue specificità, essendo in Sardegna presenti delle lingue alloglotte, come il catalano di Alghero, il Sassarese, il Gallurese e il Tabarchino dell'isola di San Pietro. In virtù di questa varietà e ricchezza linguistica e delle leggi già vigenti nell'ordinamento, sarebbe auspicabile estendere alla Sardegna il medesimo trattamento normativo e relativo ai trasferimenti statali previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni necessaria iniziativa istituzionale, legislativa, economica-finanziaria e organizzativa finalizzata allo sviluppo locale e alla crescita dell'occupazione in Sardegna, connessa alla più efficace valorizzazione delle principali vocazioni produttive della regione, anche per il particolare ruolo che occupa nel Mediterraneo;
   a riconoscere la «specialità» della condizione di insularità, nella programmazione di tutte le politiche di sviluppo nazionali, insularità comprensiva dell'accezione problematica, come costo aggiuntivo per la popolazione, naturale difficoltà per la Sardegna di essere connessa ai network nazionali e intesa come opportunità, considerata la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee;
   ad inserire nell'agenda di Governo la questione sarda, i vincoli allo sviluppo e, insieme, le opportunità legate all'insularità e ai limiti infrastrutturali, anche attraverso la convocazione di uno specifico tavolo istituzionale Stato-regione, all'occorrenza partecipato anche dalle rappresentanze delle autonomie locali e delle forze sociali sarde, per l'esame del complesso delle vertenze aperte, sul fronte istituzionale, finanziario, economico-produttivo e sociale, al fine di una loro progressiva e celere risoluzione;
   a definire la questione energetica con l'avvio immediato di un tavolo tecnico e istituzionale per la metanizzazione dell'isola, che veda l'attuazione privilegiata sia nei tempi sia nelle risorse delle direttive dell'Unione europea 2014/94/UE e 2012/33/UE in materia di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido e di abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo; a monitorare e definire procedure chiare, rapide e semplificate per l'autorizzazione di impianti di stoccaggio del gas naturale liquido non solo a terra ma anche nelle aree portuali e per le tecnologie navali di trasporto, utili ad una quanto più veloce dotazione infrastrutturale che consenta l'uso del gas naturale liquido nell'isola;
   a valutare la possibilità di applicare misure fiscali atte a favorire la rapida compensazione dei costi delle famiglie e delle imprese finalizzate alla dotazione tecnologica per l'utilizzazione del metano, anche mediante gli opportuni indirizzi all'Autorità per l'energia il gas e il servizio idrico;
   a promuovere una continuità territoriale aerea e marittima in grado di garantire la concorrenza e il miglior servizio per i cittadini, sardi e non, in particolare, a sostenere e favorire, per quanto di competenza, l'introduzione di una nuova disciplina sulla continuità territoriale marittima ovvero a concorrere con la regione Sardegna alla redazione di norme di attuazione dello statuto speciale in materia di trasporto marittimo;
   a favorire il superamento del deficit infrastrutturale della Sardegna, assegnando alla regione risorse statali e comunitarie aggiuntive e con specifica destinazione, fra le altre, per le aree interne della Sardegna, per interventi volti a superare il deficit stesso, l'inefficienza dei servizi scolastici e sanitari, le problematiche legate all'abbandono del territorio;
   a promuovere la chiusura rapida del confronto sull'applicazione dell'articolo 8 dello statuto e il pieno riconoscimento del debito pregresso come richiesto dalla giunta regionale della Sardegna;
   a definire un nuovo accordo tra la regione e lo Stato che preveda la revisione dell'estensione territoriale delle servitù militari con un accordo con i comuni sui quali gravitano le servitù per l'accesso alle spiagge nella stagione turistica, una programmazione pluriennale per investimenti nel campo della ricerca scientifica e tecnologica che si rapporti con la quantità di territorio utilizzato rendendo sostenibile l'impegno dell'isola nel campo della difesa;
   ad assumere iniziative per estendere alla Sardegna, quale più grande minoranza linguistica italiana, il medesimo trattamento normativo, e relativo ai trasferimenti statali, previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia;
   a promuovere l'apertura di un tavolo generale sulle tre aree di crisi industriali per valutare nell'insieme una strategia produttiva ed energetica per l'isola, una possibile nuova declinazione della vocazione industriale di alcuni territori, portando a conclusione le vertenze industriali ormai aperte da troppo tempo, valutando il possibile utilizzo di alcuni strumenti legislativi già disponibili, come l'istituzione delle aree di crisi complessa, per definire un piano operativo regionale di rilancio delle imprese strategiche (si veda il settore dell'alluminio), come di bonifica delle aree inquinate;
   ad istituire un tavolo istituzionale per individuare le necessarie iniziative normative volte a incentivare il settore agroalimentare al fine del rilancio a livello regionale di un comparto strategico anche alla luce del ruolo di Expo, sia sul fronte della produzione legata al patrimonio ovino che a quello ittico che ad ambiti strategici per gli investitori internazionali;
   ad assumere iniziative per individuare la copertura dei costi del 2014 della cassa integrazione guadagni in deroga per i 43.000 lavoratori sardi attraverso l'adozione di una delibera Cipe di assegnazione, in favore della regione Sardegna, dell'importo derivante dai meccanismi sanzionatori disposti nel giugno 2014 (delibera Cipe n. 21 del 2014, pari a circa 110 milioni di euro, per il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga»);
   a definire le vicende relative al mancato svolgimento del G8 sull'isola de La Maddalena, con la conclusione delle bonifiche marine e di superficie e il subentro della regione nelle proprietà ancora in capo alla Protezione civile, pur in costanza di un conflitto giudiziario, per far partire, dopo 7 anni, la conversione dell'economia dell'isola da militare a turistica;
   a ridiscutere il piano carcerario per l'isola, degli interventi a breve e medio termine, compresi quelli relativi al rafforzamento della struttura di prevenzione e di sicurezza per l'isola.
(1-00854) «Mura, Cani, Capelli, Di Gioia, Marrocu, Martella, Marco Meloni, Meta, Pes, Rosato, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Scanu».


   La Camera,
   premesso che:
    in base al rapporto Svimez (diffuso nell'ottobre 2014), nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento); per il sesto anno consecutivo il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra un segno negativo e negli anni di crisi (2008-2013) il Sud ha perso il 13,3 per cento contro il 7 per cento del Centro-Nord; in quest'ambito la Sardegna registra per il 2013 un calo superiore alla media con una riduzione del prodotto interno lordo del 4,4 per cento, mentre per il periodo 2008-2013 il calo è del 13,3 per cento;
    nel 2014, mentre le regioni del Centro-Nord hanno iniziato una faticosa ripresa, il Sud ha continuato nella sua spirale discendente. Per la Sardegna questo significa un calo ulteriore del prodotto interno lordo dello 0,8 per cento; nell'isola il prodotto interno lordo pro capite è pari a 18.620 euro annui, circa la metà della Valle d'Aosta, e il tasso di popolazione in disagio sociale è tra i più elevati d'Italia, il 31,7 per cento. Le famiglie povere sono pari al 24,8 per cento. Il tasso di disoccupazione supera il 19 per cento, il tasso di disoccupazione per i giovani con meno di 24 anni è pari al 54 per cento. Sono in aumento sia la percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento), sia il tasso di dispersione scolastica pari al 27 per cento;
    in un'economia ormai in fase di stagnazione, dalla fine del 2013 al settembre 2014 il numero di imprese artigiane della Sardegna è calato del 2,4 per cento. Il rapporto congiunturale sulle imprese artigiane dell'isola, presentato a Cagliari dalla Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa a fine ottobre 2014, segnala che in media ogni mese nell'isola falliscono cento aziende artigiane. Assoturismo registra un bilancio negativo anche nell'ambito delle imprese turistiche, con numero di chiusure pari quasi al doppio delle nuove aperture, nonostante il trend turistico indichi per il 2015 un aumento degli afflussi turistici nella regione;
    in questo quadro è opportuno registrare positivamente quanto stabilito dai commi 511 e 514 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, nei quali si è stabilito che:
     a) le entrate afferenti al territorio della regione Sardegna siano destinate per 50 milioni di euro alle copertura di spese in conto capitale della regione e per la restante parte alla riduzione del debito della regione Sardegna stessa e degli enti locali del proprio territorio;
     b) la regione potrà usufruire di una maggiore manovrabilità della leva fiscale e di una maggiore autonomia nell'utilizzo delle risorse, anche grazie alla riscrittura dell'articolo 10 dello statuto regionale;
    il 6 maggio 2015 la giunta regionale ha autorizzato l'utilizzo dei primi 150 milioni di euro di riserve erariali per abbattere il debito pubblico della Sardegna; tuttavia, sussiste ancora un contenzioso finanziario dovuto alla difformità di interpretazione in merito all'attribuzione di alcuni tributi erariali e ad un residuo debito statale per circa un miliardo da saldare nei confronti della regione sarda, tenendo conto che la stessa regione ha contribuito al ristoro del debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro negli anni 2013-2014, con previsione di un ulteriore apporto a decorrere dal 2015 di 97 milioni di euro (comma 400 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015);
    in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio, pari al 61 per cento del totale delle aree del territorio nazionale, sono oggetto di servitù e 80 chilometri di coste sono sotto vincolo di servitù militare; ma nell'isola si investe solo il 2 per cento dei costi relativi alla funzione difesa. Nel gennaio 2015 la giunta regionale ha chiesto misure di riequilibrio volte a ridurre e compensare i danni sanitari, ambientali, sociali ed economico-produttivi subiti che derivano dai vincoli delle servitù militari; ha chiesto inoltre la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincolo oltre alla dismissione di alcuni poligoni;
    un documento condiviso, siglato dalla regione e dal Ministero della difesa a gennaio 2015, prevede di valutare ipotesi di riequilibrio che riducano il gravame delle servitù militari. Nel mese di aprile 2015 si è aperto uno specifico «tavolo Stato-regione» con l'obiettivo di individuare meccanismi per la mitigazione dell'impatto della presenza militare in Sardegna e la definizione dei costi sia per il mancato sviluppo, sia in relazione ai danni ambientali;
    alle imprese sarde l'energia costa trecento milioni di euro l'anno, il 50 per cento in più rispetto alla media dei Paesi dell'Unione europea, mentre l'Italia si attesta su un +30 per cento rispetto alla media europea. Per ogni impresa sarda si tratta di maggiori costi per oltre 2.700 euro l'anno. Gli alti costi e la crisi economica hanno comportato il crollo dei consumi elettrici: un'elaborazione dell'ufficio studi di Confartigianato relativa alla domanda di energia elettrica delle imprese, su dati Terna del 2012 e 2013, ha evidenziato il dato che a livello regionale si è passati da 7.383 a 5.573 gigawatt/ore, con una riduzione dei consumi del 24,5 per cento;
    in tale ambito sussiste un duplice problema: da un lato, anche a seguito dell'uscita dal progetto Galsi, la Sardegna è l'unica regione a non essere metanizzata; inoltre, occorre ricordare che la regione deve ancora subentrare nella gestione degli invasi sfruttati dall'Enel per uso idroelettrico, che, ai sensi del decreto legislativo n. 79 del 1999 sono in concessione fino al 2029; infine, i gestori delle centrali sarde sono ancora in attesa della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il servizio idrico che proroghi anche per il 2015 il riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sul territorio dell'isola; tale decisione è di primaria importanza affinché Terna riconosca ai gestori i costi di produzione dell'energia, in modo da garantire alle imprese sarde di poter fruire di più bassi costi dell'energia;
    contestualmente la Sardegna è divenuta una piattaforma di produzione di energia rinnovabile da impianti fotovoltaici ed eolici ed è interessata da numerosi progetti per la realizzazione di pozzi marini per la ricerca di petrolio e gas naturale; peraltro il decreto-legge «sblocca Italia» n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, ha ridotto il potere della regione di decidere su prospezioni e coltivazioni di giacimenti di idrocarburi;
    per quel che riguarda l'attuazione del principio della «continuità territoriale», intesa come fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e volta ad assicurare la parità di trattamento, in termini di mobilità interna all'Unione europea, dopo la privatizzazione della compagnia marittima Tirrenia, il 31 luglio 2014 la regione ha siglato un accordo con la compagnia con il quale si è mantenuto un regime tariffario favorevole, ma sono stati ridotti fortemente non solo le corse, specie nel periodo invernale, ma anche i punti di attracco; si consideri altresì che la Tirrenia continuerà a ricevere dallo Stato 52 milioni di euro l'anno fino al 2020 per compensazioni relative alla continuità territoriale;
    a luglio 2015, cioè alla fine del primo periodo regolatorio, da più parti si richiede una profonda rivisitazione della convenzione in quanto il contratto di servizio è ritenuto carente e fondato su parametri di traffico non corretti e complessivamente non rispettoso delle reali esigenze di collegamento della Sardegna; è anche necessario riconsiderare la continuità territoriale merci, ove si tenga conto che i prodotti della regione continuano a soffrire un gap di competitività dovuto alla distanza dai mercati e che negli ultimi 5 anni è scomparso il 21,4 per cento delle imprese di autotrasporto dell'isola;
    quanto al trasporto aereo, nell'ottobre 2014 è stato ritirato, dopo le osservazioni comunitarie, il decreto relativo alla proposta della «continuità territoriale 2» che avrebbe imposto gli oneri di servizio pubblico per i voli tra gli aeroporti di Alghero, Cagliari e Olbia e gli scali cosiddetti minori della penisola: Bologna, Verona, Torino a Napoli; la decisione comunitaria, basata sull'osservazione che per tali tratte esistono già voli di compagnie low cost, ha posto definitivamente in crisi la Meridiana, con il concreto rischio (poi in parte rientrato) di oltre 1600 licenziamenti nel 2015. Meridiana ha svolto in passato un ruolo importante nella continuità territoriale da e per la Sardegna e la decisione comunitaria di favorire le compagnie low cost non appare del tutto congrua con le esigenze occupazionali, ma soprattutto con le esigenze di copertura del servizio anche al di là della redditività economica; peraltro il 13 novembre 2014 sono stati approvati al Senato della Repubblica alcuni atti di indirizzo con i quali il Governo si è impegnato a verificare la compatibilità del piano industriale di Meridiana con il piano generale del trasporto aereo; a definire un'adeguata strategia con la regione sarda che consenta politiche di trasporto aereo per garantire la continuità territoriale di residenti e non residenti; a garantire in linea con la normativa europea regimi tariffari e un adeguato numero di collegamenti aerei da e per la Sardegna di breve e medio raggio, per favorire la libera circolazione di persone e mezzi;
    in materia di infrastrutture, il 2014 e il primo scorcio del 2015 hanno evidenziato segnali indubbiamente positivi per la Sardegna. Nel corso del 2014 è stata registrata una lieve ripresa dei lavori pubblici essendo stati banditi 1.103 appalti del valore di circa 761 milioni di euro, relativi a 980 gare; inoltre il Cipe nel marzo 2015, ha definitivamente approvato il piano per il Sulcis, dotandolo di 127 milioni di euro; infine, nella tabella E della legge di stabilità per il 2015, è stato previsto un fondo di 700 milioni di euro, grazie al quale la regione ha avviato un piano infrastrutturale in cui sono previsti 259 interventi per oltre 550 milioni di euro;
    con riferimento alla legge obiettivo per le infrastrutture strategiche, la Sardegna ha in programma interventi per 6,3 miliardi di euro, su un valore complessivo degli interventi di 285,2 miliardi di euro. Le disponibilità finanziarie ammontano a 3,2 miliardi di euro mentre il fabbisogno residuo ammonta a 3,1 miliardi di euro. Il progetto «Piastra logistica euro mediterranea della Sardegna» prevede importanti investimenti su due delle principali arterie stradali, la strada statale 131 (circa 1,7 miliardi di euro) e la strada statale 597/199 Sassari-Olbia (927 milioni di euro). Quest'ultima opera è finanziata per un importo pari a 606,5 milioni di euro con le risorse del piano nazionale per il sud ed è considerata prioritaria dal Governo. Si tratta dell'unica infrastruttura regionale del Programma delle infrastrutture strategiche inserita tra le opere prioritarie di cui all'Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza 2015 (aprile 2015); ulteriori opere prioritarie potranno essere individuate in occasione della definizione, entro il mese di settembre 2015, del Documento pluriennale di pianificazione; si rammenta che con il Documento di economia e finanza 2009, oltre alle due opere citate, il Governo si era impegnato anche alla realizzazione della trasversale centrale sarda e del tunnel sotterraneo a Cagliari;
    la Sardegna tuttavia non è ricompresa nell'elenco di progetti infrastrutturali relativi al cosiddetto piano Junker, avviato nel gennaio 2015 con l'intento di rilanciare la crescita economica e in relazione al quale l'Italia ha presentato in tutto 98 progetti per un costo complessivo di oltre 200 miliardi di euro; poiché tale piano non è ancora del tutto definito potrebbe esservi ricompreso il rilancio dell'Alcoa, così come vi è stata compresa l'Ilva di Taranto,

impegna il Governo:

   in relazione al contenzioso finanziario ancora in essere tra lo Stato e la regione Sardegna, ad individuare con urgenza una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della regione;
   in sede di trattativa Stato-regione Sardegna per quel che riguarda le servitù militari, a valutare l'ipotesi di ridurre le aree della regione soggette a vincolo e contestualmente, nel quadro della trasparenza necessaria sui dati che riguardano la salute dei cittadini, a fornire tutte le informazioni sulle aree contaminate dalle attività militari e una valutazione sugli oneri necessari alla loro bonifica e messa in sicurezza;
   al fine di garantire maggiore competitività alle imprese della regione:
    a) a porre in essere le iniziative necessarie a riequilibrare il differenziale dei costi dell'energia tra la Sardegna e la media dei costi sostenuti nel resto della penisola;
    b) ad avviare le procedure di competenza al fine di istituire in Sardegna una o più zone franche, come previsto dallo statuto speciale della Sardegna;
   in considerazione dei limiti riscontrati nell'applicazione del principio di continuità territoriale:
    a) in vista della prossima revisione prevista per luglio 2015 della convenzione tra Tirrenia e regione Sardegna, ad adoperarsi, per quanto di competenza, per l'ampliamento dei servizi compresi nel contratto di servizio, anche in considerazione del fatto che la Tirrenia, che ha i bilanci in attivo, percepisce contributi dal bilancio dello Stato;
    b) tenuto conto degli atti di indirizzo in materia, approvati dal Senato della Repubblica il 13 novembre 2014, a valutare la possibilità di riproporre il cosiddetto decreto «continuità territoriale 2», secondo modalità che tengano conto delle osservazioni comunitarie;
    c) ad adoperarsi per rafforzare la continuità territoriale merci, che già in passato era stata stabilita per legge mediante applicazione di un regime compensativo in favore delle imprese di trasporto residenti sull'isola, in considerazione del gap competitivo di cui ancora soffrono i beni prodotti in regione e della crisi dell'autotrasporto locale;
    d) a monitorare gli incrementi delle tasse di imbarco nei porti e negli aeroporti della terraferma, a carico dei passeggeri, dei mezzi e delle merci verso la Sardegna, come denunciato dalla regione più volte, intervenendo per una loro riduzione qualora le suddette tasse si configurino come non giustificate;
    e) ad avviare una puntuale analisi e ad assumere, ove necessario, iniziative per la modifica sostanziale delle norme vigenti e della loro applicazione al fine di assicurare la piena mobilità dei cittadini sardi, da e verso la Sardegna;
   in materia di attuazione dei piani infrastrutturali, così come descritti in premessa, in vista della definitiva stesura, prevista per settembre 2015, del documento pluriennale di pianificazione, sentita la regione Sardegna, a dare priorità realizzativa ed adeguata dotazione finanziaria:
    a) agli interventi in materia di adeguamento delle reti stradali e ferroviarie;
    b) agli interventi in ambito portuale;
    c) agli interventi necessari a ridurre il prezzo dell'energia nell'isola, con particolare riferimento al progetto di interconnessione elettrica con l'Italia e agli interventi del piano degli elettrodotti della rete elettrica di trasmissione nazionale;
   con riferimento ai progetti relativi al cosiddetto piano Junker, a valutare se non sia opportuno ricomprendere nei progetti presentati dall'Italia taluni interventi nella regione Sardegna, ivi compreso un piano di rilancio dell'Alcoa, quale industria strategica nazionale.
(1-00855) «Piso, Dorina Bianchi, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà di religione è una delle libertà caratteristiche dello Stato di diritto e trova la sua affermazione nei più importanti documenti costituzionali sin dalla fine del Settecento: ad iniziare dal I emendamento della Costituzione degli Usa del 1787, dall'articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, dall'articolo 5 della Costituzione francese del 1814, l'articolo 5 della Costituzione francese del 1830; gli articoli 14 e seguenti della Costituzione del Belgio del 1831, l'articolo 7 della Costituzione francese del 1848, gli articoli 144 e seguenti della Costituzione di Francoforte del 1849. Nel ventesimo secolo è stata prevista agli articoli 135 e seguenti nella Costituzione della Germania 1919, la cosiddetta Costituzione di Weimar, l'articolo 4 della legge fondamentale della Germania del 1949, l'articolo 16 della Costituzione di Spagna del 1978, l'articolo 15 della Costituzione svizzera del 1999, oltre vedere tale libertà riconosciuta nelle dichiarazioni internazionali e sovranazionali dei diritti come nell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, l'articolo 9 della Carta europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, l'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    si ricorda che storicamente la libertà di religione si sviluppò in corrispondenza dell'affermazione del principio di laicità dello Stato poiché l'esistenza di una religione di Stato impedisce un pieno riconoscimento della libertà di religione dei singoli;
    con riguardo alla nostra Costituzione, le disposizioni di riferimento per la tutela della libertà di religione sono contenute agli articoli 19 e 20: in base ad essi, viene garantito a tutti, cittadini e stranieri, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, sia in forma associata che in forma individuale, di farne propaganda e di esercitarne il culto, sia in pubblico che in privato. A questo proposito, ci si è chiesti se queste disposizioni tutelino anche gli agnostici e gli atei: di fronte di un'opinione maggioritaria favorevole, fatta propria anche dalla giurisprudenza costituzionale, ve ne è un'altra contraria, che sottolinea come l'ateismo trovi piuttosto la sua tutela nella libertà di coscienza e, in particolare, nell'articolo 21 della Costituzione. Diretta conseguenza del principio della libertà di religione è poi l'articolo 20 della Costituzione, che vieta tutte quelle pratiche vessatorie nei confronti degli enti a sostegno delle confessioni organizzate, in quanto finirebbero per costituire degli ostacoli indiretti alla possibilità di professare la fede, celebrare riti e fare proselitismo;
    per quanto riguarda i limiti che incontra la libertà di religione, l'articolo 19 della Costituzione fa riferimento al buon costume (generalmente inteso come legato al comune senso del pudore) e a questo limite, si aggiunge ovviamente il limite generale dell'ordine pubblico;
    un caso particolare di esercizio della libertà di religione è quello che riguarda la cosiddetta obiezione di coscienza, cioè il rifiuto da parte di un individuo di compiere atti prescritti dall'ordinamento giuridico sulla base delle proprie convinzioni (in primis religiose), tanto che nel nostro ordinamento l'obiezione di coscienza è ammessa anche per quanto riguarda gli obblighi militari;
    ciò è quanto prodotto in termini di norme giuridiche domestiche, nonostante la realtà fattuale sia diversa e specificamente analizzata sotto, ma la libertà religiosa deve essere conquistata non solo nel nostro Paese dando effettiva vigenza alle norme giuridiche poste a tutela della libertà religiosa, siano esse nazionali o sovranazionali, cercando di far aderire norma e fatto. L'Italia deve occuparsi di questa fondamentale libertà con ottica nazionale, globale e sovranazionale;
    solo per fare alcuni esempi che saranno meglio analizzati dappresso, dal Tibet all'Iran, dal Turkmenistan al Vietnam del Nord, dal Laos alla Cina, i diritti umani sono negati in più di un quarto dei Paesi del mondo. L'Occidente non può continuare nel suo silenzio, le istituzioni nazionali, europee e tutti i popoli d'Europa, primo tra tutti il popolo italiano, devono agire perché consapevoli che salvaguardando la libertà di tutti si difende anche la nostra libertà;
    non si può restare indifferenti alla privazione dei diritti fondamentali di centinaia di milioni di persone, non si può esprimere solo generiche solidarietà e pacato buonismo, non basta più. Occorre dimostrare il deciso convincimento nel sostenere il diritto alla libertà religiosa, da cui discendono molte altre libertà e diritti delle genti, convinti che le libertà della persona, a partire da quella religiosa, dovranno diventare una priorità internazionale;
    si devono analizzare le violazioni subite dai fedeli di ogni credo a causa del credo professato e, considerata la situazione di moltissimi gruppi religiosi, si deve guardare con nuovi occhi a questo diritto fondamentale, che è condizione imprescindibile di ogni società libera, perché sia consentita a chiunque un'alternativa libera, una libertà positiva, un diritto effettivo;
    grazie ad un rapporto redatto da giornalisti, esperti e studiosi, nel quale è preso in esame il periodo compreso tra l'ottobre 2012 e il giugno 2014, dei 196 Paesi analizzati, si sa che in ben 116 di essi si registra un preoccupante disvalore per la libertà religiosa, pari a quasi il 60 per cento;
    nel periodo in esame sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, purtroppo soltanto in sei di questi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – tali trasformazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione;
    in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi dittatoriali. Le violenze a sfondo religioso – che contribuiscono in modo determinante al costante aumento dei flussi migratori – sono legate al regresso della tolleranza e del pluralismo religioso;
    l'Asia si conferma il continente dove la libertà religiosa è maggiormente violata. Nei Paesi in cui vi è una religione di maggioranza si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista. Analizzando la situazione del Medio oriente si nota come i Paesi in cui la libertà religiosa è negata offrono un terreno fertile all'estremismo e al terrorismo;
    in Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è senza dubbio la crescita del fondamentalismo islamico – sotto l'impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al Shabaab – e si riscontra un aumento di casi di intolleranza religiosa;
    la situazione mondiale è in continua evoluzione e la tradizione culturale e spirituale del Paese, oltre alla posizione geografica, deve indurre ad essere promotori di un'azione che coinvolga innanzitutto l'Unione europea per estendere il coinvolgimento di tutte le istituzioni internazionali e sovranazionali al fine di operare concretamente perché il flagello della conculcata libertà possa scomparire, come già accaduto per altri atteggiamenti illiberali che nel corso dei secoli hanno afflitto il mondo e dai quali ci si è liberati;
    si riportano i fatti di più grave discriminazione religiosa compiuti in 64 Paesi:
     a) Europa:
      1) l'Albania è uno Stato laico, ma al tempo stesso pone l'accento sul ruolo delle religioni nella storia del Paese, in particolare quelle tradizionali come l'islam sunnita, il bektashi – una confraternita Sufi –, il cattolicesimo e l'ortodossia. Il quadro generalmente positivo è tuttavia segnato da un aumento dell'Islam radicale, che si va affermando per opera di giovani imam formatisi in Paesi quali Arabia Saudita e Turchia. Un radicalismo d'importazione che ha ovviamente ripercussioni sulla società albanese;
      2) in Belgio nel periodo in esame si sono verificati episodi significativi riguardanti la libertà religiosa il più grave dei quali, avvenuto il 24 maggio 2014, ha visto protagonista un uomo armato di kalashnikov che ha aperto il fuoco contro il Museo ebraico di Bruxelles, uccidendo tre persone sul colpo e ferendone una quarta che è deceduta due settimane dopo in ospedale;
      3) formalmente la Bosnia-Erzegovina è uno Stato laico, ma dalla fine della guerra la religione ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più importante. La maggiore criticità riguardante la vita religiosa deriva dalla diffusa sovrapposizione dei concetti di etnia e di religione che genera discriminazioni sociali e amministrative ai danni delle minoranze. Molti musulmani conservatori accettano la comunità islamica e l'autorità del Governo bosniaco. Esistono però piccoli gruppi salafiti che non accettano l'autorità della comunità islamica o dello Stato bosniaco e sono invece favorevoli all'introduzione della Sharia;
      4) in Bulgaria la Costituzione definisce «religione tradizionale» la Chiesa ortodossa, che a differenza degli altri gruppi religiosi non è tenuta a registrarsi legalmente e riceve sovvenzioni statali per le sue comunità religiose. Secondo la Costituzione, partiti politici su basi religiose o etniche sono vietati. I Testimoni di Geova e i musulmani lamentano diverse difficoltà nell'ottenimento dei permessi di costruzione per edifici di culto, mentre membri di comunità cristiane non-tradizionali denunciano numerosi casi di arbitrarie limitazioni nella diffusione di documenti e testi religiosi. Negli ultimi anni si è registrata una forte influenza dei predicatori islamici estremisti sulla locale comunità musulmana sunnita di origine turca;
      5) in Croazia la libertà religiosa è tutelata dalla Costituzione e non vi è una religione di Stato. Attualmente nel Paese sono registrate 44 comunità religiose, ma la Chiesa cattolica ha una posizione di rilievo rispetto alle altre confessioni in virtù di quattro concordati firmati dal Governo croato con la Santa Sede che le assicurano un importante sostegno finanziario. La Chiesa ortodossa serba, invece, non è ancora riuscita a ottenere la restituzione di alcuni beni e terreni confiscati;
      6) in Danimarca, la Costituzione riconosce la Chiesa evangelica luterana come la Chiesa nazionale (Folkekirken), alla quale deve appartenere il sovrano, sebbene soltanto il 2 per cento degli aderenti alla Chiesa nazionale si dichiari praticante. Negli ultimi anni sono aumentati gli episodi di intolleranza religiosa, soprattutto in seguito alla pubblicazione da parte degli organi di stampa danesi di alcune vignette che irridevano il profeta Maometto. Sono stati inoltre denunciati alcuni episodi di antisemitismo. Secondo le stime del Centro comunitario ebraico (Mosaisk Trossamfund) sarebbero stati almeno 37 nel solo 2012;
      7) in Francia, nel periodo in esame, fonte di grandi polemiche discriminatorie è stata la legge Taubira, promulgata il 23 maggio 2013 dopo aver ottenuto l'approvazione del Consiglio costituzionale, che legalizza i matrimoni omosessuali e concede alle coppie gay il diritto di adottare bambini. Gli oppositori al disegno di legge hanno attivato numerose proteste discriminatorie, in particolare, da parte dell'associazione La Manif pour tous. All'inizio dell'anno scolastico 2012-2013, su ordine del Ministro dell'istruzione pubblica, è affissa nelle scuole la cosiddetta carta della laicità. La carta si compone di 15 articoli, tra i quali anche il divieto assoluto di indossare simboli religiosi in classe (come il velo per le musulmane o la croce per i cristiani). In tutto il Paese, nel corso del 2012, sono stati compiuti attacchi a luoghi di culto cristiani, come quello che, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 2015, ha distrutto il presbiterio e l'attigua chiesa della città di Épiais. Nel periodo in esame, la violenza antisemita ha fatto registrare un aumento così come il numero di attacchi o insulti verbali ai danni di fedeli e istituzioni islamiche. Grande eco ha poi suscitato l'attacco terroristico fondamentalista alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo in seguito al quale sono stati uccisi 8 giornalisti, 2 agenti, un ospite e il portiere dello stabile mentre cinque sono stati i feriti gravi, tutte vittime di un gruppo di terroristi islamici nati e cresciuti nella Francia stessa;
      8) in Grecia si segnalano sempre più reati contro la libertà religiosa, soprattutto contro le comunità religiose non ortodosse, dovuti principalmente all'identificazione tra nazionalità greca e Chiesa greco-ortodossa. L'articolo 3 della Costituzione definisce il cristianesimo greco-ortodosso come la religione predominante e la Chiesa greco-ortodossa gode di vantaggi istituzionali e finanziari rispetto alle altre religioni. Sebbene l'articolo 13 garantisca la libertà religiosa, in pratica questa è limitata da una serie di altre disposizioni, quali il divieto di «proselitismo» e delle pratiche religiose che «disturbano l'ordine pubblico o offendono i principi morali». L'insegnamento religioso greco-ortodosso è obbligatorio in tutte le scuole pubbliche. La minoranza musulmana è vittima di discriminazione religiosa. I musulmani sono sottorappresentati nel pubblico impiego e negli alti gradi delle forze armate e soltanto il clero islamico di nomina governativa è ufficialmente riconosciuto (e sostenuto) dallo Stato;
      9) la libertà di religione in Irlanda è prevista dall'attuale Costituzione, che risale al 1937, ma è stata modificata nel tempo. La legge consente l'istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, provvedimento quasi inutile poiché la maggior parte delle scuole elementari e medie sono confessionali. In base alla Costituzione, il Ministero della pubblica istruzione ha l'obbligo di fornire un finanziamento paritario alle scuole confessionali. Le scuole confessionali hanno il diritto di rifiutare l'ammissione a studenti che non appartengono alla loro confessione;
      10) in Italia nonostante la Costituzione affermi il principio della libertà religiosa, di fatto si elude il principio stesso poiché sono tutt'ora vigenti le norme di epoca fascista sui cosiddetti «culti ammessi» i quali non garantiscono a pieno i principi costituzionali in materia. In Italia, nonostante la presunzione di laicità dello Stato, la blasfemia contro la religione e le divinità cattoliche è punita ancora oggi. Basta una bestemmia per essere multati, basta esporre un manifesto che contenga il libero convincimento che Dio non esiste per rischiare l'incriminazione. Ad avviso dei firmatari del presente atto, sono poi numerose le aree nelle quali il Vaticano esprime forti interessi materiali al potere politico come nel caso della scuola, dei beni culturali, della cooperazione internazionale, ove molti appartenenti al potere esecutivo sono fortemente influenzati da persone vicine alla gerarchia ecclesiastica. Ciò è causa della sostanziale cancellazione dell'esistenza stessa nella società italiana di una delle due confessioni diverse dal cattolicesimo, quella protestante. Una componente minoritaria ma che, come quella ebraica, è presente nel Paese fin dal Cinquecento. Al risultato si è giunti anche attraverso un sapiente uso politico-religioso dei mezzi televisivi che secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ha annullato il pluralismo e la pluralità delle voci. In materia di opinioni e sensibilità religiosa il dato è evidente perché monitorato. La Chiesa cattolica gode di un'autentica e secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ingiustificata posizione dominante perché la Rai sostanzialmente trasmette un solo messaggio, quello dei cattolici, mentre lo spazio riservato ad altre concezioni del mondo è estremamente limitato e quello riservato alle opinione atee e agnostiche è, di fatto, addirittura assente. I dati parlano chiaro: la Chiesa cattolica, fra messe in diretta, presenze nei telegiornali, programmi di approfondimento e presenze di vario tipo, occupa più del 95 per cento dello spazio dedicato dalla Rai all'informazione religiosa, come risulta dal dossier sulla presenza delle confessioni religiose in tv realizzato da una nota fondazione liberale con il contributo della Chiesa valdese;
      11) in Lettonia la Costituzione garantisce la libertà religiosa nonostante un concordato siglato nel 1923 tra lo Stato e la Chiesa cattolica riconosca l'autonomia di quest'ultima riguardo alle proprie attività. La Chiesa ortodossa ha chiesto invece senza alcun successo il riconoscimento del Natale ortodosso come festa nazionale; la proposta è stata presentata in Parlamento dal gruppo di opposizione Centro Armonia, ma è stata respinta per pochi voti;
      12) in Moldova non vi è una religione di Stato, quindi non dovrebbero esservi disparità di trattamento tra i gruppi religiosi. Tuttavia, nella prassi, la Chiesa ortodossa moldava riceve un trattamento preferenziale – anche per quanto riguarda la restituzione delle proprietà confiscate durante il periodo comunista – e il suo ruolo particolare nella storia e nella cultura del Paese viene fortemente sottolineato dalle istituzioni politiche;
      13) a Monaco, la costituzione del Principato stabilisce che la religione cattolica è la religione di Stato;
      14) nel Regno Unito un rapporto ufficiale del Governo scozzese ha evidenziato, nel biennio 2011-2012, un incremento del 26 per cento (le denunce sono state 876) dei crimini aggravati a sfondo religioso, diretti per lo più contro cattolici e protestanti. Secondo la BBC i musulmani sembrerebbero subire discriminazioni nell'ambito delle assunzioni. In generale, si registra un aumento delle violenze e delle discriminazioni ai danni di tutti musulmani e specialmente degli imam. Atti di antisemitismo hanno inoltre colpito tutte le varie figure della comunità ebraica, dagli ortodossi ai riformati e perfino persone di origine ebraica, ma non praticanti. Rispetto al 2012, un rapporto della Community Security Trust ha mostrato un aumento dei casi del 5 per cento nel 2012;
      15) nella Repubblica Ceca durante il periodo preso in esame si sono verificati alcuni incidenti di matrice antisemita e antislamica causati da piccoli ma ben organizzati gruppi di estrema destra;
      16) in Romania, i rapporti tra la Chiesa ortodossa rumena e la Chiesa greco-cattolica sono tesi, principalmente a causa della restituzione delle proprietà della Chiesa greco-cattolica, che sono state confiscate nel 1948 dal regime comunista e consegnate alla Chiesa ortodossa rumena; la Chiesa ortodossa rumena, inoltre, detiene una posizione dominante nel campo dell'istruzione. I membri del Baha'i hanno presentato una denuncia contro un libro scolastico religioso ortodosso, perché descrive i testimoni di Geova, i mormoni e i Baha'i come sette pericolose, mentre la Chiesa greco-cattolica viene definita un prodotto del «proselitismo cattolico» del XVIII secolo;
      17) in Russia la costituzione riconosce la libertà religiosa, ma leggi e politiche pubbliche impongono severe restrizioni a questa libertà. Secondo la legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose del 2007, lo Stato riconosce solo il cristianesimo ortodosso orientale, l'ebraismo, l'islam e il buddismo come «religioni tradizionali» della Russia. È dunque ignorato il ruolo storico svolto dalla Chiesa cattolica e dalle comunità protestanti in Russia già dal XVI secolo;
      18) in Slovenia durante il periodo in esame si sono verificati atteggiamenti discriminatori nei confronti delle forze politiche che hanno proposto norme per adottare un più adeguato diritto di famiglia, poi varato dal governo nel giugno 2011, che ha equiparato le relazioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio tradizionale. In reazione a questa scelta, si è formato un movimento discriminatorio fondato su motivi religiosi chiamato «Iniziativa Civile per la Difesa della Famiglia e dei Diritti dei Minori». Fortunatamente il Presidente Danil Türk ha saputo resistere alle indebite pressioni ricevute da parte di esponenti del clero, ribadendo il principio di laicità dello Stato;
      19) in Spagna i rapporti tra Chiesa cattolica e Stato sono retti da accordi con la Santa Sede, risalenti al 1979 che garantiscono l'esenzione alla sola Chiesa cattolica dal pagamento delle imposte su beni ecclesiastici. Per quanto riguarda invece le altre religioni, la commissione islamica di Spagna ha denunciato il fatto che lo Stato non abbia ancora garantito l'insegnamento dell'islam nelle scuole. Analogamente, secondo l'osservatorio della libertà religiosa e di coscienza, nessun imam musulmano può prestare servizio di assistenza spirituale negli ospedali, come invece previsto dall'accordo di cooperazione del 1992 siglato dallo lo Stato e la Cie. Intanto la comunità islamica continua a richiedere alle autorità, senza successo, un maggior numero di luoghi di culto e di sepoltura;
      20) l'Ucraina sta vivendo dei cambiamenti politici e sociali radicali con la possibilità di importanti implicazioni per la libertà religiosa nel Paese. Nel periodo in esame la situazione relativa alla libertà religiosa risulta nettamente peggiorata e diverse centinaia di migliaia di cittadini ucraini rischiano di essere perseguitati a causa dei vari conflitti locali tra denominazioni maggioritarie e minoritarie. Il Paese ha una composizione confessionale frammentata, trovandosi il Paese al confine tra cristianesimo orientale e quello occidentale;
      21) la nuova Costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012, fa esplicito riferimento all'eredità cristiana della nazione di fatto discriminando tutte le altre. Nel periodo in esame, sono stati segnalati 87 casi di vandalismo contro cimiteri ebraici. È da notare inoltre che il partito Jobbik, che ha riscosso un ampio consenso nel Paese, diffondendo concetti antisemiti;
     b) Africa:
      1) l'attuale Costituzione definisce l'Algeria «terra d'islam», indicando tale religione come «religione di Stato». Nella Carta mancano inoltre disposizioni che garantiscano la libertà di religione o consentano la conversione dall'Islam ad altra religione, inoltre l'insegnamento dell'islam obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado;
      2) in Angola, nonostante il fatto che la Costituzione reciti: «Lo Stato riconosce e rispetta le diverse confessioni religiose, che sono libere di organizzare ed esercitare le loro attività, a condizione d'essere conformi alla Costituzione e alle leggi», nel novembre 2013 il Ministro della cultura Rosa Cruz e Silva ha annunciato la decisione governativa di vietare la religione islamica;
      3) nella Repubblica Centroafricana è in corso una crisi iniziata nel dicembre del 2012, quando la coalizione ribelle Seleka lanciò la sua offensiva nel Nord-Est occupando una città dopo l'altra prima di prendere d'assalto la capitale Bangui nel marzo 2013. Da allora si sono susseguiti numerosi attacchi, violenze, saccheggi e omicidi, che hanno colpito le comunità cristiane. A fine 2013 sono state costituite le milizie cristiane anti-Balaka, che hanno compiuto rappresaglie sia contro la coalizione Seleka che contro persone di etnia Peul, ritenute colpevoli di aver aiutato la Seleka in diversi attacchi contro le case di cristiani e di animisti;
      4) in Egitto si sono inoltre registrate numerose uccisioni, violenze e intimidazioni ai danni dei cristiani coopti;
      5) in Eritrea la Costituzione del 1997 garantisce la libertà di religione nonostante essa non sia entrata in vigore. Lo Stato riconosce soltanto quattro comunità religiose: la Chiesa ortodossa eritrea, la Chiesa evangelica luterana di Eritrea, la Chiesa cattolica e l'Islam. Il Governo controlla i vertici della Chiesa ortodossa e della comunità musulmana vigilando sulle loro attività e risorse finanziarie. Molti dei detenuti nei campi di prigionia sono reclusi per motivi di ordine religioso. Secondo l'Alleanza evangelica eritrea, sarebbero 1.200 gli evangelici attualmente in carcere. Tutti i prigionieri sono detenuti in condizioni spaventose, in celle sotterranee o in capanne di metallo esposte al sole del giorno e al freddo della notte. Numerosi ex detenuti raccontano le brutalità e le torture subite, che avevano il principale intento di costringerli ad abbandonare la loro fede evangelica;
      6) in Etiopia varie minoranze religiose – soprattutto musulmani e protestanti – lamentano di aver subito ingiustizie a livello locale e discriminazioni nella concessione di prestiti per la costruzione di edifici per uso religioso. I musulmani, in particolare, affermano che il procedere delle loro richieste per costruire moschee nel nord del Paese, regione prevalentemente cristiano ortodossa, è stato ostacolato;
      7) in Guinea Equatoriale secondo l'istituto di ricerca Freedom House l'esercizio della libertà religiosa è «a volte limitato dalla repressione politica presente nel Paese». In concreto l'esercizio di tale libertà deve essere visto in un contesto caratterizzato da una politica repressiva e dalla mancanza del rispetto dei diritti umani fondamentali;
      8) in Kenia la Costituzione del 2010 garantisce il diritto alla libertà di religione, tuttavia durante il periodo in esame, la situazione è nettamente peggiorata. La regione è scossa da movimenti secessionisti, alcuni dei quali sono motivati dalla religione come il Consiglio Repubblicano di Mombasa. Questo tipo di movimento è legato a gruppi islamici che vogliono recidere i legami con le autorità centrali ritenute colpevoli di discriminare la popolazione musulmana;
      9) dopo la caduta del regime di Muhammar Gheddafi, la Libia si trova ancora in uno stato di transizione istituzionale. Le autorità provvisorie si trovano ad affrontare enormi difficoltà nel mantenere il rispetto della legge e l'ordine pubblico, anche all'interno della capitale, Tripoli. In tutto il Paese, continuano ad essere attive numerose milizie armate, molte delle quali sono state già coinvolte nella guerra civile iniziata nel 2011. Gli attacchi contro le minoranze religiose sono iniziati nell'ottobre 2011 e sono proseguiti per tutto il 2012 e il 2013. Pur essendo garantita dalla «Dichiarazione costituzionale intermedia» promulgata il 3 agosto 2011 dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) la libertà religiosa è di fatto estremamente limitata. Il divieto di proselitismo è regolato da severe sanzioni e la libertà di assistere alle funzioni religiose è gravemente compromessa. Durante il periodo preso in esame vi è stato inoltre un aumento degli attacchi contro i luoghi di culto, soprattutto cristiani. Questo perché i vari gruppi jihadisti, molti dei quali sono costituiti da milizie islamiste radicali, esercitano il controllo de facto su gran parte del Paese;
      10) fino a poco tempo fa il Mali era un Paese di pace e di tolleranza religiosa. Tuttavia in seguito al colpo di Stato del 2012 e la conquista da parte di gruppi islamisti di più di due terzi del territorio, la situazione è profondamente peggiorata;
      11) in Mauritania la legge islamica, la Sharia, è osservata in tutto il Paese ed il reato di apostasia, ovvero l'abbandono dell'Islam per un'altra religione, può essere punito con la pena di morte, sebbene finora tale condanna non sia mai stata applicata. Si segnala inoltre che i salafiti, un gruppo islamico ultraconservatore, stanno guadagnando una sempre maggiore influenza nel Paese in virtù dei loro sforzi per imporre rigide regole morali;
      12) nelle Isole Mauritius non vi è persecuzione in senso stretto. Tuttavia, si riscontrano discriminazioni e tensioni, generalmente ai danni dei non induisti;
      13) in Nigeria la situazione della libertà religiosa è palesemente peggiorata nel periodo in esame. La persecuzione dei cristiani varia da regione a regione. Negli Stati del nord (in particolare Kano, Kaduna, Bauchi, Gombe, Yobe, Katsina), quasi tutti i cristiani – specie del gruppo Boko Haram – sono in costante pericolo d'esser uccisi, cacciati dalle loro case, derubati, o vittime di stupro. Più a sud, questa deriva è meno marcata, ad eccezione dello Stato di Nassarawa. La persecuzione anti-cristiana non fa differenze tra le varie denominazioni che assume;
      14) in Ruanda si registrano particolari restrizioni governative ai danni di gruppi religiosi di minoranza, quali i Testimoni di Geova;
      15) in Somalia la libertà religiosa è negata alla minuscola minoranza cristiana del Paese, che continua ad essere perseguitata. Tuttavia anche i molti musulmani non radicali che vivono nelle regioni controllate dai radicali islamisti di al Shabaab, versano in condizioni identiche;
      16) in Tanzania, la Costituzione, approvata nel 1977, riconosce la libertà religiosa come diritto di ognuno ad avere una fede liberamente scelta. Tuttavia nel 2011, alcune chiese protestanti sono state incendiate sulle isole di Zanzibar e Pemba;
      17) in Uganda preoccupano le severe misure antiterrorismo che hanno portato i musulmani a sentirsi perseguitati, molestati e oppressi dalle forze di sicurezza;
     c) Asia:
      1) in Arabia Saudita il wahhabismo è la sola forma di Islam permessa dalla dinastia regnante e non vi è una Costituzione. La Sunna, la tradizione islamica, occupa un posto privilegiato nella formulazione delle leggi del Paese e la Sharia è fonte di diritto. Nessun altro culto religioso islamico al di fuori del wahhabismo è consentito, nemmeno in privato, e dal momento che tutta l'Arabia Saudita è considerata una grande moschea, i luoghi di culto di altre religioni non possono esservi costruiti;
      2) in Bahrein la rivolta della maggioranza sciita contro il governo sunnita esplosa nel 2011 sulla scia delle primavere arabe non sembra ancora appianata e la comunità sciita continua a essere sottoposta a pesanti controlli e misure di sicurezza da parte della polizia;
      3) in Iran il primato dell'Islam pervade ogni settore della società e la Costituzione prescrive che «la religione ufficiale dell'Iran è l'islam e la setta seguita è quella dello sciismo giafarita»;
      4) in Siria l'odio religioso ha giocato un ruolo importante nella guerra civile iniziata nel 2011. A dimostrazione del fatto che il settarismo religioso è alla base del conflitto, vi sono le frequenti profanazioni di chiese e moschee, le uccisioni e i rapimenti di imam, vescovi e altri esponenti religiosi e gli attacchi mirati contro le comunità religiose. Di conseguenza, nel periodo in esame, la libertà religiosa ha sofferto, così come tutti i diritti umani fondamentali, un drastico peggioramento. I sunniti segnalano gravi persecuzioni da parte del presidente Assad e delle forze lealiste, mentre gli alawiti denunciano attacchi ai propri danni. Le comunità cristiane sono vittime di violenze sistematiche. In molti casi il movente è religioso; in altri, la causa è la presunta affiliazione politica delle vittime.
      5) in Cina, la violenta repressione contro le comunità buddiste tibetane continua, come la soppressione dei musulmani uiguri e delle sette evangeliche. L'impegno a rivedere lo statuto degli ebrei e dei cristiani ortodossi, per includerli tra le religioni riconosciute dallo Stato, non è ancora stato mantenuto;
      6) nella Corea del Nord si afferma che la libertà religiosa non esiste e il 75,7 per cento dichiara che le attività religiose sono punite con l'arresto e il carcere. Le conversioni riguardano per lo più coloro che – dopo essere fuggiti in Cina varcando il confine – entrano in contatto con missionari cristiani impegnati nell'accoglienza dei rifugiati; va peraltro segnalato che la Cina attua una politica di rimpatrio forzato, al quale seguono, da parte delle autorità nordcoreane, stringenti interrogatori volti innanzitutto a verificare se i fuggiaschi siano entrati in possesso di materiale religioso. Nucleo del sistema repressivo sono i brutali campi di prigionia, noti come kwan-li-so e talvolta indicati con la parola gulag. Si stima che in essi siano internati oltre 200 mila prigionieri detenuti in condizioni terribili, vittime di sistematiche e terribili torture, alimentati con razioni minime di cibo e sottoposti a un duro regime di lavori forzati;
      7) in India proseguono gli atti di violenza reciproca tra gruppi estremisti induisti e musulmani;
      8) in Indonesia ci sono state numerosi casi di gravi violenze e persecuzioni, in particolare contro le «comunità Ahmadiyya» e degli sciiti musulmani. Anche i buddisti hanno subito attacchi da parte di islamisti radicali che hanno colpito templi buddisti indonesiani in reazione alla violenza anti-musulmana in Birmania;
      9) da quando i comunisti hanno conquistato il potere nel 1975, con la conseguente espulsione di tutti i missionari stranieri, la minoranza cristiana in Laos è sottoposta a severi controlli statali e vi sono evidenti limiti alla libertà religiosa. I casi più frequenti di persecuzione religiosa si sono verificati nelle comunità protestanti;
      10) in tutta la Birmania, i cristiani e i musulmani continuano a subire discriminazioni, restrizioni e in alcune zone del Paese una violenta campagna persecutoria. Le persecuzioni più violente si concentrano nelle aree abitate da talune etnie, come quella dei Kachin. Tra i gruppi maggiormente colpiti dalle violenze anche i Rohingya, un'etnia prevalentemente di fede islamica;
      11) in Nepal l'opposizione sociale e politica al diritto di propagare la propria religione permane. Gruppi induisti e monarchici accusano i cristiani di offrire denaro e ad altri benefici materiali per convertire gli induisti al cristianesimo;
      12) in Pakistan, gli attacchi contro luoghi e fedeli cristiani sono numerosi, sebbene il timore di ritorsioni riduca il numero delle denunce presentate dalle vittime. Obiettivo della violenza settaria sono anche altre minoranze religiose, come gli indù e quelle islamiche degli sciiti e degli ahmadi. Particolarmente grave appare la situazione delle donne appartenenti alle minoranze religiose, spesso rapite, violentate e costrette a convertirsi;
      13) a Palau, gli uiguri musulmani lamentano difficoltà nel trovare lavoro a causa dell'ostracismo della popolazione, per il 75 per cento cattolica;
      14) nel Tagikistan, per tentare di consolidare il proprio potere, lo Stato esercita uno stretto controllo su ogni forma di attività religiosa. Le autorità di Governo mantengono uno stretto controllo su tutti i gruppi musulmani del Paese e permangono le politiche di soppressione delle scuole islamiche non autorizzate e delle moschee non ufficiali;
      15) nel Turkmenistan, l'attuale Presidente, Gurbanguly Berdymukhamedov, è salito al potere nel 2007 dopo la morte del suo predecessore, Saparmurat Niyazov – ex-dirigente comunista che ha guidato il Paese in modo assolutista dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica coltivando un forte culto della personalità – e, da quel momento, egli esercita il potere in modo incontrastato, rendendo il Turkmenistan uno dei Paesi più repressivi del mondo, anche in materia di libertà religiosa; il Paese è praticamente chiuso a ogni verifica indipendente. I media e la libertà religiosa sono soggetti a restrizioni draconiane, mentre i difensori dei diritti umani e altri attivisti devono confrontarsi con la costante minaccia di rappresaglie da parte del Governo.
      16) in Uzbekistan, la legge restrittiva sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose, promulgata nel 1998, criminalizza tutte le attività religiose non registrate, bandisce la produzione e distribuzione di pubblicazioni religiose non ufficiali e impedisce ai minori di far parte di organizzazioni religiose;
      17) il 1o gennaio 2013 è stata introdotta in Vietnam una nuova legge sulla libertà di fede e di religione, il cosiddetto decreto 92. Secondo i promotori, il provvedimento serve a tutelare la libertà religiosa. In realtà, secondo esperti e critici, non è altro che la conferma dell'evidente desiderio del governo di Hanoi di controllare tutte le religioni. Il decreto 92, entrato in vigore all'inizio del 2013, è sembrato subito un tentativo di soffocare la libertà religiosa. I primi a denunciare i pericoli del nuovo provvedimento sono stati i membri dell'Ufficio informativo internazionale buddista (Ibib), un'organizzazione che ha sede a Parigi. Il nuovo decreto, hanno segnalato, è stato fonte di «profondo sconcerto» perché limita le attività dei cittadini e consente alle autorità un «maggior margine di manovra» per colpire chiunque non voglia sottomettersi alle direttive dell'unico partito di Stato. Secondo l'Ibib, la nuova decisione «stende una patina di legittimità» a una politica di «repressione religiosa pianificata dalle più alte sfere del Partito Comunista e dello Stato»;
     d) Americhe:
      1) in Argentina all'inizio del 2013, il Presidente Cristina Kirchner ha promesso l'introduzione di una nuova normativa che riconoscerebbe alle comunità protestanti, finora registrate come associazioni, di avere personalità giuridica religiosa. È prevista inoltre una legge atta a modificare l'attuale registro delle associazioni religiose, accordando a tutte un maggior riconoscimento. Finora, la Chiesa cattolica era l'unica a godere di un trattamento preferenziale;
      2) in Brasile la Chiesa cattolica rappresenta il gruppo religioso più numeroso, seguita dalle comunità protestanti (metodisti, episcopaliani, pentecostali, luterani e battisti). Ci sono poi minoranze non cristiane (ebrei, musulmani e buddisti) e gruppi ancor più minoritari di rastafariani e seguaci del Candomblé, dell'Umbanda e dello spiritualismo. Negli ultimi anni si sono registrati diversi casi di attacchi ai membri di movimenti religiosi come l'Umbanda e il Candomblé;
      3) in Costa Rica la Costituzione definisce il cattolicesimo religione di Stato. A differenza delle altre religioni, in virtù del suo speciale status giuridico la Chiesa cattolica non è registrata come associazione;
      4) a Cuba le scuole religiose non sono autorizzate, ad eccezione di due seminari cattolici e di alcuni centri di formazione interreligiosi;
      5) in Ecuador la locale comunità musulmana ha denunciato discriminazioni in ambito lavorativo e scolastico, mentre sono stati registrati episodi di violenza ai danni della comunità cattolica, da imputare probabilmente ad alcuni protestanti evangelici;
      6) nella Guyana il reato di blasfema comporta una possibile pena detentiva di un anno;
      7) ad Haiti esponenti della comunità vudù e della comunità musulmana sostengano di non godere della stessa tutela giuridica dei cristiani. Alcuni gruppi musulmani lamentano inoltre il mancato riconoscimento da parte del Governo dei matrimoni musulmani a differenze delle unioni cristiane,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei professanti qualsiasi religione come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale forniscano adeguata protezione ai tutti i fedeli di qualsiasi confessione religiosa, e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela di tutte le minoranze religiose anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare delle minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di Governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la discriminazione religiosa e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00856) «Bechis, Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    i drammi che i popoli hanno vissuto per poter affermare il culto delle proprie religioni tornano tristemente vivi. Più e più volte nella storia le minoranze religiose sono state oggetto di persecuzioni molto violente, gli anni che si vivono non sono da meno e l'evoluzione delle società e delle culture non è riuscita a tenere sotto controllo questi atroci fenomeni di intolleranze religiose;
    nel Medio Oriente si sta consumando quella che molti definiscono una vera e propria guerra di religione: il nuovo sedicente califfato Isis sta consumando un vero e proprio genocidio ogni giorno in nome di Allah e i venti di questa guerra stanno soffiando sempre più forti sino in Europa, dove ancora una volta gli ebrei vengono colpiti per la sola colpa di essere minoranza religiosa, mentre in Medio Oriente e in Africa i cristiani sono sotto costante attacco;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato le persecuzioni contro i cristiani nel nord dell'Iraq, sottolineando che i provvedimenti adottati dal califfato contro le minoranze religiose potrebbero essere considerati crimini di guerra. Il Consiglio, con una dichiarazione approvata all'unanimità, ha condannato «la sistematica persecuzione di membri di minoranze e di quanti in Iraq rifiutano l'ideologia estremista dell'Isis e dei gruppi armati associati». I membri del Consiglio di sicurezza ribadiscono che i diffusi e sistematici attacchi diretti contro i civili a causa della loro etnia, del loro credo religioso o della loro fede potrebbero costituire un crimine contro l'umanità;
    in questa guerra particolare rilievo assume la persecuzione che stanno subendo i cristiani: decine di migliaia di cristiani, curdi e yazidi sono in cerca di una via di fuga. Donne, bambini, anziani, e con loro sacerdoti e suore, sono in marcia per cercare di trovare rifugio dopo essere stati costretti a lasciare le loro case. La minaccia del califfato dell'Isis è solo l'ultima nei loro confronti; basti pensare che negli ultimi 11 anni sono fuggiti dall'Iraq oltre 2/3 dei 2 milioni e mezzo di cristiani e ora le persone in fuga sono oltre 200.000;
    in queste ore circa 300 mila cristiani soffrono e guardano al proprio futuro con angoscia e preoccupazione senza alcuna via di fuga, come sta accadendo ai cristiani iracheni che vivono a Mosul, ai quali è impedito anche di celebrare la messa, a causa dell'offensiva dell'Isis;
    secondo il Center for the study of global christianity di South Hamilton, nel Massachusetts, su scala internazionale il numero dei cristiani uccisi, in quanto tali, tra il 2000 e il 2010 è stato di circa un milione, 100.000 all'anno;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento;
    i dati riguardo la libertà religiosa nel mondo sono davvero allarmanti: circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    il divieto di cambiare religione è tuttora in vigore in 39 Paesi, la quasi totalità dei quali appartenenti al consesso dell'Onu;
    accade con troppa facilità ormai che i diritti umani siano violati in nome della fede, invece ogni Stato dovrebbe garantire il rispetto e la possibilità di professare la propria fede, qualunque essa sia. La trappola degli estremisti è voler far credere che la religione sia fonte di divisione, invece è e deve essere parte fondante della pace tra i popoli, unica vera garante di uno sviluppo umano ed economico globale;
    in questo crescente clima di odio e di intolleranza le organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Unione europea, gli Stati tutti devono far sentire la loro voce e tenere alta l'attenzione su questa tematica così importante e così foriera di pace o di guerra;
    in data 8 novembre 2014 ad Oslo, presso il Centro dei Nobel per la pace, 30 parlamentari provenienti da ogni parte del mondo hanno sottoscritto la «carta della libertà di religione e credo» come impegno alla promozione della medesima nel proprio ruolo di parlamentari e attraverso la cooperazione globale tra istituzioni rappresentative;
    il Parlamento e il Governo italiani non possono chiamarsi fuori da questa sfida, per la tradizione, la reputazione, l'identità universalmente riconosciute al nostro Paese, come nazione impegnata nella costruzione della pace e del dialogo tra le religioni;
    in Italia sono presenti fedeli di religione ebraica da oltre duemila anni e, seppure nel recente passato si sono avuti episodi di intolleranza, questo rappresenta per tutte le istituzioni un monito a contrastare, senza riserve, gli episodi di antisemitismo riemersi prepotentemente negli ultimi tempi;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «positiva», che consta nella possibilità di professare e manifestare la propria fede;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «negativa», che consta nell'impossibilità di negare, in nome del proprio credo, la libertà religiosa altrui;
    un appello alla comunità internazionale è stato rivolto anche da Papa Francesco per «porre fine al dramma umanitario in atto» e perché la comunità internazionale «si adoperi a proteggere i minacciati di qualunque religione»,

impegna il Governo:

   ad introdurre, in prossimità dell'imminente scadenza fissata per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (il 2015), la questione della libertà religiosa cosiddetta «positiva» e la protezione sociale delle minoranze religiose nei Paesi a rischio tra le priorità da inserire all'interno dell'agenda di sviluppo post 2015;
   a rendere il tema della reciprocità religiosa e del rispetto delle minoranze un tema di discussione nell'ambito delle negoziazioni diplomatiche e culturali bilaterali con i Paesi dove questi diritti non sono tutelati;
   a destinare parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo per il sostegno di progetti di tutela delle minoranze religiose e per la promozione di una cultura di tolleranza religiosa.
(1-00857) «Preziosi, Berlinghieri, Ermini, Giuliani, Quartapelle Procopio, Monaco, Piccoli Nardelli, Tidei, Gianni Farina, Ascani».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Campania, nell'area del Cilento, il monitoraggio dello scarico di acque reflue in diversi comuni tra i quali Casalbuono (Salerno), Auletta (Salerno), Teggiano (Salerno), Padula (Salerno), Sassano (Salerno) e Sala Consilina (Salerno), nel parco nazionale del Cilento, ha evidenziato la totale inadeguatezza delle infrastrutture preposte allo smaltimento degli scarichi urbani e industriali;
   molti depuratori di questo esteso territorio sono malfunzionanti ed alcuni vessano in totale stato di abbandono permettendo di fatto l'inquinamento delle aree circostanti e lo scarico di fanghi e acque non trattate nel bacino idrografico del fiume Tanagro-Sele, rientrante nell'omonima area naturale protetta riconosciuta dalla regione Campania nel 1993 –:
   se il Ministro ritenga opportuno promuovere eventuali verifiche e, anche in considerazione della presenza del parco nazionale del Cilento, quali iniziative di competenza intenda adottare in merito. (5-05562)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali 20 novembre 2007 relativo ai «Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163» prevede, all'articolo 7, i casi nei quali si applica la decadenza immediata dai contributi e in particolare, al comma 2, recita «Per i contributi al settore circense, la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali»;
   il decreto del Ministro dei beni e attività culturali 1o luglio 2014 relativo ai «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo Spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163», al comma 3 dell'articolo 33, prevede, a pena di inammissibilità, che la domanda di contributo, sia corredata dalla dichiarazione, resa ai sensi dell'articolo 46 del citato decreto n. 445 del 2000, di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al Titolo IX-bis del libro II del codice penale, e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali;
   il 24 settembre 2013 è stato approvato dall'Assemblea del Senato l'ordine del giorno n. G9.205 al disegno di legge n. 1014 di «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo» che ha impegnato il Governo «a prevedere, una riduzione progressiva dei contributi ai circhi che utilizzano animali (...) fino a pervenire al completo azzeramento dei contributi nell'esercizio finanziario 2018»;
   ancora oggi vi sono circa 100 strutture circensi operative in Italia che tengono in cattività circa 2.000 animali, che per la loro intera esistenza sono obbligati in angusti spazi che in molti casi non sono in grado di soddisfare le loro basilari esigenze etologiche, come evidenziato anche da numerosi procedimenti penali in corso;
   in base ai dati contenuti in un dossier-denuncia pubblicato in questi giorni dalla LAV Lega Anti Vivisezione vi sono evidenze inconfutabili secondo le quali ai circhi indagati per «sevizie», «lesioni» e «crudeltà» verso gli animali vengono concessi ancora oggi i contributi a valere sulle risorse del FUS;
   il dossier, in particolare, rivela che tra i circhi beneficiari di risorse pubbliche ve ne sono almeno otto con condanna definitiva o sotto processo per maltrattamenti Medrano, American Circus, Darix Togni, Martin, Caroli, Città di Roma, Aldo Martini, Folloni. Si riportano di seguito tre esempi significativi: Il Circo Città di Roma è stato denunciato in quanto teneva elefanti in condizione di quasi immobilità, tigri in spazi angusti, esposte al freddo, e nel complesso tutti gli animali tenuti in strutture non idonee a garantire l'igiene e la pulizia. Nonostante una condanna definitiva il circo, ha ricevuto, negli anni, cospicui finanziamenti. Inoltre, nonostante la sentenza definitiva per il reato di maltrattamento di animali commesso nel 2003, Rolando Folloni, negli anni 2008 e 2009 ha ricevuto contributi del FUS per euro 15.000;
   il circo Lidia Togni, pur con due diverse società, ha ricevuto dal 2008 ad oggi ingenti contributi pubblici. La signora Lidia Togni è stata condannata dal tribunale di Palermo con sentenza n. 764 del 2008;
   sui tre casi emblematici esposti, gli uffici del Ministero hanno risposto alle richieste di chiarimento da parte della LAV nella persona del dirigente della direzione generale per lo spettacolo dal vivo, Salvatore Nastasi nel seguente modo: per quanto riguarda Rolando Folloni proprietario del Circo Roland Folloni, «negli anni 2008 e 2009 l'Amministrazione non aveva ancora ricevuto notifica della sentenza definitiva per reato commesso nel 2003. Nel 2010 anno in cui viene acquisito il certificato di sentenza definitiva ... il circo non viene ammesso al contributo. Viene riabilitato nel 2011». E comunica che «È stata inoltrata richiesta alla Avvocatura in merito alla procedura ed alla fattibilità di una apertura di procedura per restituzione della somma assegnata in anni precedenti alla acquisizione di notifica di reato da parte di questa Amministrazione. Per quanto riguarda il caso del signor Elio Bizzarro titolare del «Circo Città di Roma», «la condanna definitiva è stata rilevata tramite casellario giudiziale solo nel 2010, da allora le sue istanze non sono più state ammesse. Per quanto riguarda, infine la signora Lidia Togni, legale rappresentate del «Circo Lidia Togni, acquisito il certificato dal tribunale, il circo non viene ammesso al contributo nel 2010»; si precisa che il «Circo Lidia Togni nel mondo» a cui sono stati assegnati i contributi fa riferimento ad una nuova società, a statuto cooperativo con un altro rappresentate locale; da ultimo si ammette «Non si può non sottolineare, infine, che una maggiore e più tempestiva informazione interamministrativa costituisce uno strumento indispensabile –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative intenda assumere per ovviare a dette mancanze, attraverso un'adeguata rete di comunicazione fra le amministrazioni;
   se non ritenga di dover sospendere immediatamente le erogazioni dei contributi e dare avvio ad un procedimento amministrativo, con la dovuta sollecitudine, al fine della revoca e della restituzione dei contributi pubblici del fondo unico per lo spettacolo, erogati e non dovuti, a quelle attività circensi nel cui personale risultino impiegate persone che abbiano riportato condanne definitive per i reati previsti dal Titolo IX-bis del codice penale, o che abbiano compiuto una qualsiasi violazione delle normative italiane o dell'Unione europea in materia di protezione degli animali;
   se intenda assumere iniziative per chiarire, riguardo all'attribuzione di responsabilità per maltrattamenti di animali, che ciò non si riferisce solo al legale rappresentante del soggetto richiedente il contributo, ma anche ad eventuali persone citate nel programma artistico» poiché il circo è costituito non solo dal legale rappresentante ma dalla somma dei singoli in esso rappresentati;
   se non ritenga opportuna, per quanto di competenza, una verifica di eventuali comportamenti fraudolenti da parte dei soggetti beneficiari dei contributi che hanno utilizzato l'autocertificazione come strumento di richiesta degli stessi contributi pubblici;
   se non ritenga necessaria una ampia verifica, anche alla luce delle deficitarie normative procedure vigenti, sull'eventuale esistenza di casi simili a quelli descritti in premessa in cui, nelle attività circensi, si impieghi personale che abbia riportato le condanne o commesso le violazioni indicate;
   se non intenda dare seguito al citato ordine del giorno n. G9.205 accolto dal Governo pro tempore il 24 settembre 2013 che impegnava «a prevedere, nei prossimi provvedimenti, una riduzione progressiva dei contributi, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ad esercenti attività circense e spettacolo viaggiante con animali fino a pervenire al completo azzeramento dei contributi nell'esercizio finanziario 2018 anche per quanto riguarda le attività promozionali, educative, formative, editoriali, collegate alle attività circensi con animali, alle attività circensi con animali all'estero, all'Accademia del circo e a Festival circensi». (4-09133)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come indicato nel bilancio previsionale 2015 dell'autorità portuale di Trieste, a seguito della complessità e della interpretabilità della fiscalità portuale, è attualmente in corso una lunga serie di contenziosi tributari tra l'Agenzia delle entrate di Trieste e l'autorità portuale del capoluogo giuliano;
   con l'articolo 1, comma 993, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) si è stabilito che non costituiscono corrispettivi imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) gli atti di concessione demaniale rilasciati dalle autorità portuali, in ragione della natura giuridica di enti pubblici economici, in seguito al parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza del 9 luglio 2002 (sezione Terza – N. sezione 1641/02);
   l'Agenzie delle entrate, con circolare n. 41/E del 21 aprile 2008 avente ad oggetto «Disciplina fiscale delle autorità Portuali», nel dare attuazione ai commi citati, ha precisato, al punto 2 (ultimi capoversi) che «L'esclusione delle attività di gestione dei beni demaniali dal presupposto dell'IVA, fondata sulla natura giuridica di enti pubblici non economici delle autorità portuali e sulla natura non commerciale dell'attività svolta nell'esercizio di funzioni statali, porta a ritenere – anche per esigenze di simmetria – che la medesima attivi non sia neppure produttiva di reddito d'impresa. I beni demaniali del porto, pertanto, rilevano ai fini dell'imposizione sul reddito come beni relativi all'attività istituzionale delle autorità portuale, con la conseguenza che i canoni pattuiti a fronte della concessione degli stessi, si configurano quali redditi di natura fondiaria;
   l'Agenzia delle entrate di Trieste, in base all'ultimo supposto della circolare, ha notificato, in data 15 dicembre 2008, all'autorità portuale di Trieste avvisi di accertamenti e di sanzioni per un importo pari a 26 milioni di euro, derivanti dalla tassazione dei canoni demaniali relativi agli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, che, a parere dell'Agenzia delle entrate, costituiscono redditi diversi ex articolo 81, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
   l'autorità portuale di Trieste, a seguito di tale notifica, in data 6 ottobre 2009, ha presentato ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale ha accolto i ricorsi, annullando, di conseguenza, gli avvisi di accertamento. L'Agenzia delle entrate di Trieste, in data 10 novembre 2011, ha impugnato la sentenza ricorrendo in appello innanzi alla Commissione tributaria regionale che, a sua volta, li ha respinti; l'Agenzia delle entrate di Trieste ha proposto il ricorso presso la Corte di cassazione; 
   nel dicembre 2011 l'Agenzia delle entrate di Trieste ha notificato un accertamento con le stesse motivazioni, relativo all'anno 2006, impugnato dall'Autorità portuale innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trieste, che in data 17 ottobre 2012 ha accolto il ricorso ed annullato l'avviso di accertamento. Anche in questo caso l'Agenzia delle entrate ha promosso appello innanzi alla Commissione tributaria regionale che, in data 5 dicembre 2013, ha respinto l'appello confermando quanto statuito in primo grado. L'Agenzia delle entrate ha ritenuto anche in questo caso di ricorrere in Cassazione;
   inoltre, l'Agenzia delle entrate ha notificato, nel novembre 2012, un'ulteriore avviso di accertamento con le identiche motivazioni per l'anno 2007, impugnato dall'Autorità portuale innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trieste che, in data 11 giugno 2013, ha accolto il ricorso promosso dall'Autorità portuale ed annullato l'avviso di accertamento. L'Agenzia delle entrate ha promosso appello avverso a detta sentenza innanzi alla Commissione tributaria regionale, il cui giudizio è tuttora pendente;
   ancora, in data 13 dicembre 2013, l'Agenzia delle entrate di Trieste ha notificato all'Autorità portuale di Trieste un ulteriore avviso di accertamento, relativo al 2008, con cui liquidava una maggiore imposta riportando le stesse motivazioni. L'Autorità portuale ha impugnato tale atto innanzi alla Commissione tributaria provinciale che ha accolto il ricorso con sentenza del 1o luglio 2014, annullando l'atto impugnato. Per questo procedimento sono ancora pendenti i termini per l'eventuale appello innanzi al giudice di secondo grado;
   inoltre, il 10 giugno 2014, l'Agenzia delle entrate di Trieste ha, nuovamente, notificato tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2009-2010-2011, con cui liquidava una maggiore imposta riportando la medesima motivazione. L'Autorità portuale ha impugnato tali atti innanzi alla Commissione tributaria provinciale e si è in attesa della relativa decisione;
   dalla ricostruzione dei procedimenti giudiziari in corso, si evince che l'Agenzia delle entrate, malgrado gli annullamenti in primo ed in secondo grado di giudizio degli avvisi di accertamento e delle sanzioni, sembra continui ad interpretare la norma considerando i canoni demaniali come«redditi diversi ex articolo 81, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986», in contrasto con la volontà del legislatore espressa nella circolare n. 41/E del 21 aprile 2008 dell'Agenzia delle entrate secondo la quale, come riportato dall'articolo del 22 aprile 2008 di Fisco Oggi, «le attività ed i redditi derivanti dalla gestione delle risorse demaniali da parte dell'Autorità portuale non sono da considerarsi reddito da impresa proprio per il carattere non commerciale, ma istituzionale delle attività svolte»;
   il 22 aprile 2015, durante l'udienza tenutasi presso la Corte di cassazione, il procuratore generale si è unito alle richiesta dei difensori dell'Autorità portuale di Trieste, insistendo per il rigetto del ricorso promosso dall'Agenzia delle entrate relativamente agli avvisi di accertamento per gli anni 2002, 2003, 2004, 2005 e 2006;
   l'Autorità portuale di Trieste ha sempre escluso il presupposto dell'imposizione alla luce dell'articolo 74 del Testo unico delle imposte sui redditi, secondo cui «Gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i Comuni, i Consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni non sono soggetti all'imposta» mentre, negli atti difensivi dell'Agenzia delle entrate, si contesta l'applicabilità di tale norma alle autorità portuali, in quanto esse gestirebbero solo indirettamente e mediatamente il demanio marittimo;
   un altro esempio di contenziosi tra amministrazione pubblica ed ente statale è il caso analogo che ha visto l'autorità portuale di Genova contrapposta all'Agenzia delle entrate in ordine alla richiesta di quest'ultima di assoggettare a imposizione l'ente anche quando agisce in veste di pubblica autorità. La sentenza della Corte di cassazione del 2013, come riportato nell'articolo di Informazioni Marittime del 29 marzo 2013 ha riaffermato il principio secondo il quale i canoni che le autorità portuali riscuotono per conto dello Stato non possano essere tassati dallo Stato stesso;
   secondo gli interroganti appare quantomeno assurdo che si instaurino una serie di procedimenti giudiziari tra enti pubblici, ma ancora più preoccupante è il fatto che si lasci agli organi giurisdizionali l'esclusività dell'interpretazione delle norme da applicare;
   risultano incomprensibili, a fronte di reiterati procedimenti giuridici articolati sulla diversa lettura delle specifiche norme, le motivazioni per le quali non siano gli organi centrali ad intervenire nelle sedi opportune per fare chiarezza con propri provvedimenti, o chiari atti interpretativi, al fine di evitare inutili strascichi;
   tale modus operandi, che oppone tra loro amministrazioni dello Stato, inoltre, contribuisce a creare confusione e scarsa chiarezza per gli operatori privati e per gli enti coinvolti, oltre a procurare un inutile appesantimento della macchina giudiziaria ed un notevole dispendio di denaro pubblico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, intendano adottare al fine di chiarire la corretta applicazione delle disposizioni in relazione alla tassazione dei canoni concessori riscossi dalle autorità portuali, quando queste agiscono in qualità di soggetti di diritto pubblico; 
   secondo quali specifiche disposizioni l'Agenzia delle entrate abbia agito reiteratamente nei confronti dell'autorità portuale di Trieste;
   di quale genere di parametri si tenga conto nella valutazione dell'attività dell'Agenzia delle entrate, in particolare nella proporzionalità tra gli avvisi di accertamento notificati e le relative sanzioni effettivamente riscosse. (4-09135)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il regolamento (UE) n. 996/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile sono stati significativamente rafforzati i poteri delle autorità investigative per la sicurezza dell'aviazione civile;
   in Italia, l'autorità investigativa per la sicurezza dell'aviazione civile si identifica con l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), autorità pubblica, posta in posizione di terzietà rispetto al sistema aviazione civile, istituita con il decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, in attuazione della direttiva comunitaria 94/56/CE, che oggi è stata sostituita dal citato regolamento (UE) n. 996/2010;
   il considerando n. 15 del predetto regolamento dell'Unione europea evidenzia che le citate autorità investigative per la sicurezza dell'aviazione civile «sono al centro del processo investigativo sulla sicurezza. Il loro lavoro è d'importanza fondamentale per determinare le cause di un incidente o di un inconveniente» occorso ad aeromobili civili;
   lo stesso regolamento (UE) n. 996/2010, al fine di evitare che le inchieste di sicurezza condotte dalle autorità investigative per la sicurezza dell'aviazione civile siano penalizzate o compromesse dalle, a volte concomitanti, indagini dell'autorità giudiziaria, detta, all'articolo 12, precise disposizioni, sia in tema di sequestro probatorio, sia in tema di accertamenti tecnici non ripetibili, prevedendo, altresì, al paragrafo 3, la sottoscrizione di accordi preliminari tra le medesime autorità investigative per la sicurezza dell'aviazione civile (in Italia appunto l'ANSV) e l'autorità giudiziaria, finalizzati a far sì che l'inchiesta di sicurezza sia condotta efficacemente e senza impedimenti;
   in data 26 marzo 2015, come comunicato al Parlamento, la Commissione europea ha notificato alla Repubblica italiana una messa in mora ex articolo 258 TFUE, in quanto la medesima Commissione europea non ha ancora ricevuto tutti gli accordi preliminari previsti dall'articolo 12, comma 3, del regolamento (UE) n. 996/2010, che devono essere sottoscritti, in Italia, tra l'ANSV e le singole procure della Repubblica (in totale 153);
   in data 4 aprile 2015 è stato dato avvio alla procedura di infrazione n. 2014/2265, concernente l'attuazione del regolamento (UE) n. 996/2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile. Accordi preliminari (ex caso EU Pilot 5595/13/MOVE);
   l'ANSV ed il Ministero della giustizia (che in Italia, come è noto, non si identifica con l'autorità giudiziaria) hanno, sul finire dell'anno 2014, predisposto congiuntamente uno schema di accordo preliminare ex articolo 12, comma 3, del regolamento Unione europea 996/2010, da sottoporre alla firma delle 153 procure della Repubblica;
   l'accordo in questione, dopo aver riaffermato il principio secondo cui l'indagine penale dell'autorità giudiziaria e l'inchiesta di sicurezza dell'ANSV sono autonome l'una rispetto all'altra, punta ad agevolare la cooperazione tra la stessa autorità giudiziaria e gli investigatori dell'ANSV e di consentire a questi ultimi di svolgere compiutamente i propri compiti anche quando siano in corso indagini penali, in modo compatibile con la normativa dell'Unione europea e con le prerogative ed i compiti che l'ordinamento italiano riconosce all'autorità giudiziaria ed in modo da consentire che l'inchiesta di sicurezza sia condotta con diligenza ed efficienza, anche in caso di concomitanti indagini preliminari del pubblico ministero;
   il Ministero della giustizia, in data 4 marzo 2015, ha trasmesso il predetto schema di accordo preliminare alla procura generale presso la Suprema Corte di Cassazione, che successivamente ha provveduto a trasmettere alle procure generali presso le corti di appello una nota con la quale i procuratori generali sono stati invitati a promuovere, presso le procure della Repubblica dei rispettivi distretti di corte di appello, la sottoscrizione, con l'ANSV, entro un breve termine, di un accordo identico a quello del citato schema di accordo preliminare –:
   quante e quali siano le procure della Repubblica che, ad oggi, hanno firmato con l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo l'accordo preliminare ex articolo 12, comma 3, del regolamento (UE) n. 996/2010;
   se trovi conferma la notizia secondo cui la firma dei predetti accordi da parte delle procure della Repubblica stia procedendo con estrema lentezza rispetto ai termini fissati, soprattutto con riferimento a talune regioni d'Italia;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per favorire la pronta firma, da parte di tutte e 153 le procure della Repubblica, dell'accordo in questione nel testo predisposto congiuntamente dal Ministero della giustizia e dall'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, al fine di evitare che la procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea prosegue, con tutte le rilevanti conseguenze economiche e d'immagine che ne deriverebbero per l'Italia. (4-09136)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a far data dal lontano 1975 è stato operativo il bacino di carenaggio del Porto di Livorno le cui dimensioni e caratteristiche lo collocano fra i più grandi del Mediterraneo;
   a seguito di una grave crisi, nel dicembre del 2003, l'amministrazione controllata della Cooperativa Cantiere Navale Fratelli Orlando cedeva alla società Azimut-Benedetti beni mobili ed immobili della amministrata al prezzo di 50.600.000,00 euro;
   da allora fino a parte del 2007 si è registrato un'elevata operatività del porto livornese, specie in ragione del transito di navi per riparazioni, in particolare nel Grande Bacino, conseguendo un considerevole fatturato;
   a partire da marzo del 2007, invece, sono transitate poche navi rispetto alla capacità del Porto per un fatturato assai inferiore e solo nei due piccoli bacini del porto; diversamente, nessuna nave è transitata nel grande bacino, assumendo, da parte della concessionaria, l'occupazione dello stesso con due motor yacht;
   dall'approfondimento dell'attività e delle vicissitudini del Porto di Livorno, si è appreso che proprio al 2007 risale l'accordo di programma per lo sviluppo e la trasformazione urbanistica dell'ex Cantiere Navale Orlando e delle aree portuali limitrofe;
   detto accordo si articolava in tre parti: per brevità, si descrivono come la parte dedicata alla cantieristica, la prima; alla trasformazione urbana, la seconda; al bacino di carenaggio, la terza. Interessano in questa sede solo le ultime due, nella misura in cui si evince che l'obiettivo primario dell'accordo fosse l'avvio e la realizzazione dei processi di trasformazione urbana, fermo restando il mantenimento dell'operatività del bacino di carenaggio in ordine al quale, si legge testualmente nell'accordo, era «in corso una valutazione di natura tecnico-funzionale». In tal modo se ne scolpiva rigorosamente il mantenimento dello stesso;
   da allora, invece, è seguito, per quanto risulta all'interrogante, un sistematico comportamento del tutto omissivo e manchevole di ciascun soggetto coinvolto;
   ciò che si appalesa maggiormente grave è che la società concessionaria non ha effettuato i necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinari dei beni e delle opere avute in concessione cui si era impegnata all'atto delle concessioni, ed anzi ha demolito diverse strutture e pertinenze del bacino grande. Segnatamente la concessione n. 7 del 2006, come rinnovata in favore della società concessionaria, prevedeva l'obbligo a carico della stessa «di mantenere il grande bacino di carenaggio comprendente aree coperte, scoperte, ..., il piccolo bacino di carenaggio, con opere accessorie ..., nonché la banchina ...»;
   sulle sopra riferite vicende e gravi omissioni l'autorità portuale livornese avrebbe dovuto controllare e non ha controllato: in particolare, avrebbe dovuto verificare l'avvenuto adempimento degli obblighi contratti dalla concessionaria e, in caso di mancata o insufficiente manutenzione, l'autorità portuale avrebbe dovuto provvedere per la decadenza della concessione o avrebbe dovuto provvedere d'ufficio ad eseguire le manutenzioni necessarie, con rivalsa sulla stessa concessionaria;
   ne è derivata, per i comportamenti omissivi della concessionaria e dell'autorità portuale tenuta al controllo, la dismissione e l'abbandono del bacino di carenaggio;
   fatti ed imputazioni di responsabilità, oggetto anche di processi, anche penali, sono ben scolpite in numerosi atti ufficiali;
   nella esaustiva ed illuminante relazione peritale del 2008, resa nel corso di un procedimento penale sulla vicenda, relativa allo stato di conservazione ed efficienza del bacino grande di carenaggio di Livorno, il consulente tecnico del pm ha cura di rilevare che «la manutenzione sia stata trascurata per lunghissimi anni, ... peraltro ... il degrado estremo a cui sono arrivati le strutture e gli impianti del Bacino sia imputabile soprattutto alla carente, se non del tutto cessata, opera di manutenzione maturata negli ultimi anni, che hanno portato il bacino da funzionante, sia pure con pecche dovute alla vetustà, alla completa inagibilità funzionale». Detto stato di dismissione per omessa manutenzione è confermato altresì dalla relazione della capitaneria di porto di Livorno del 2009, resa alla procura di Livorno;
   altresì lapidarie sono le affermazioni rese dai citati atti ufficiali in ordine alla responsabilità anche dell'autorità portuale competente che, a mente della già richiamata relazione della capitaneria, sarebbe incorsa in una «rilevante omissione del proprio ufficio ... consistente[nte] nella circostanza di non aver mai diffidato Azimut Benetti ad effettuare le necessarie manutenzioni ai bacini per mantenerne l'operatività, né risulta in atti che abbia promosso procedimento di decadenza dalla concessione». Inoltre, il CTU nella relazione peritale prima citata parla di «mancanza di sorveglianza e inerzia dimostrata dall'Autorità portuale che doveva per suo specifico compito non solo indirizzare le attività manutentive del concessionario necessarie alla conservazione funzionale del bene demaniale ma in caso di sua mancanza intervenire e provvedere direttamente alla esecuzione dei lavori necessari, salvo farsi rimborsare quanto dovuto e eventualmente farlo decadere dalla concessione. Né è pensabile che l'Autorità portuale non fosse a conoscenza dello stato di estremo degrado in cui versava il Bacino Grande»;
   il mantenimento e l'operatività del bacino avrebbe comportato «un minore valore degli immobili», si nota nella relazione peritale e si aggiunge che non vi è stata «incomprensione o sottovalutazione dei problemi ma bensì è stato compiuto in modo voluto, probabilmente nella prospettiva di un cambiamento radicale della destinazione d'uso di queste aree». Testualmente, infatti, nella relazione della capitaneria, si afferma come si sia procrastinata «l'effettuazione dei previsti e finanziati interventi con il risultato di sacrificare e reprimere lo sviluppo della cantieristica navale commerciale a favore di insediamenti abitativi e commerciali»;
   ad oggi si apprende, da organi di stampa, che, alla vigilia dell'indizione di nuove gare per ulteriori concessioni, torna prepotentemente la necessità di garantire la compatibilità dell'operatività del bacino con le contigue attività residenziali; tant’è vero che non possono essere riparate navi con larghezza superiore a 24 metri;
   le stesse limitazioni tornano altresì nel nuovo piano regolatore portuale del 2015 in cui si legge di «navi solo di medie dimensioni»;
   emerge allora una volontà che, ad avviso dell'interrogante, nega ad un porto con le dimensioni e le caratteristiche di quello di Livorno il mercato delle riparazioni che accresce il valore dei porti che hanno le capacità di ospitare flotte di grandi dimensioni con considerevoli risvolti economici, finanziari ed occupazionali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e possa riferire sulle più recenti condizioni del bacino di carenaggio;
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato abbia già assunto e quali intenda promuovere, per quanto di competenza, per affrontare l'improcrastinabile situazione di emergenza ed urgenza creatasi, e tutelare un bene così gravemente danneggiato;
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire circa le singole e specifiche responsabilità per la grave situazione venutasi a creare, all'uopo promuovendo idonee azioni ispettive nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, specie con riferimento alla competente autorità portuale, avendo cura di appurare le specifiche dinamiche causali, con le dovute conseguenze nei confronti dei singoli soggetti responsabili;
   se il Ministro interrogato, in relazione ai fatti di cui in premessa, intenda inoltrare una segnalazione alla competente magistratura contabile. (5-05563)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARINELLI, NICOLA BIANCHI, CASO, DE LORENZIS, DE ROSA, DELL'ORCO, MANLIO DI STEFANO, LIUZZI, PESCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e TRIPIEDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada Pedemontana Lombarda (A36) è un'opera viabilistica di oltre 150 chilometri progettata al fine di collegare direttamente la provincia di Varese a quella di Bergamo, nonché gli aeroporti ivi operanti (Malpensa e Orio al Serio);
   il soggetto aggiudicatore concessioni autostrade lombarde spa (CAL) ha affidato la progettazione, realizzazione e gestione dell'autostrada A36 ad Autostrada Pedemontana Lombarda SpA (APL), controllata per quasi l'80 per cento da Milano Serravalle – Milano Tangenziali SpA, a sua volta controllata per il 52 per cento da ASAM SpA, holding delle partecipazioni societarie facenti capo a Finlombarda spa, controllata per oltre il 99,9 per cento da Regione Lombardia;
   APL ha aggiudicato con gara d'appalto comunitaria la costruzione della tratta B1 di Pedemontana (concernente il collegamento Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo) all'Associazione temporanea d'impresa costituita tra l'austriaca Strabag AG e le italiane Grandi Lavori Fincosit SpA e d'impresa costruzioni Maltauro SpA (ATI appaltatrice), sottoscrivendo contratto per la realizzazione dell'opera al costo di euro 1.713.547.749,35 il 17 febbraio 2012;
   mentre la procura della Repubblica di Milano avviava un'indagine sulle modalità di aggiudicazione dell'appalto, i costi dell'opera aumentavano vertiginosamente: già all'8 di luglio 2013 il responsabile unico del progetto veniva, infatti, avvisato del fatto che il valore delle riserve iscritte per i lavori (ossia i costi aggiuntivi computati dall'ATI appaltatrice alle spese impreviste e a quelle cagionate da ritardi a lui non imputabili) aveva superato l'importo del 10 per cento del costo previsto per la realizzazione dell'opera, sì che sarebbe stato possibile avviare senza ulteriore indugio la procedura di accordo bonario di cui all'articolo 240 del decreto legislativo 163 del 2006, mediante l'istituzione di un'apposita commissione;
   nonostante il costante aumento dei costi comunicati dall'ATI appaltatrice, APL deliberava l'istituzione della commissione di accordo bonario soltanto nel 2015 e ciò allorquando l'ammontare delle riserve – in base all'ultima relazione fornita con riferimento ai lavori eseguiti sino al Settembre 2014 – sarebbe ormai giunto alla cifra di euro 1.959.995.657,16, sì che il costo complessivo dell'opera risulterebbe più che raddoppiato rispetto a quello previsto per l'aggiudicazione dell'appalto; 
   ai sensi del combinato disposto tra l'articolo 240, comma 8, del decreto legislativo 163 del 2006, l'articolo 241, comma 6, del medesimo provvedimento e l'articolo 55 del codice di procedura civile, la commissione per l'accordo bonario è formata da tre componenti che non presentino cause d'incompatibilità quali quelle tipiche di chi abbia già avuto rapporti con i soggetti coinvolti nella procedura di accordo;
   la commissione di accordo bonario è stata nominata in ritardo e solo dopo sollecitazione di ANAC;
   secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa i componenti della commissione suddetta non presentano i profili di imparzialità richiesti, avendo con le parti in causa legami molto fitti; la procura di Milano ha aperto un'inchiesta per corruzione a carico di ignoti;
   il sospetto degli inquirenti è che dietro l'aggiudicazione dell'appalto a Strabag per la costruzione della Pedemontana ci sia il pagamento di alcune mazzette nell'aggiudicazione del lotto 2, la tratta che dovrebbe connettere Varese e Como fino al valico di Gacciolo;
   il 4 maggio la guardia di finanza si è presentata nella sede di Pedemontana ad Assago e tra i documenti richiesti e prelevati ci sono quelli relativi alla composizione e alla attività della commissione che dovrà trovare un accordo sugli extracosti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga, in seguito ai costi lievitati in maniera spropositata dell'opera Pedemontana la cui spesa complessiva è, come noto, da sempre insostenibile, rimuovere Pedemontana Lombarda dalla lista delle opere infrastrutturali indicate come prioritarie dal Ministro interrogato, e decidere per l'interruzione immediata dei lavori della stessa alla quasi completata tratta B1. (4-09134)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   da oltre un anno un edificio situato in via Mario de Maria nel comune di Bologna, in evidente stato di degrado, è occupato abusivamente da più di ottanta persone, tra cui numerose famiglie con bambini di piccola età, guidati da esponenti dei centri sociali, nonostante le diverse denunce alla questura dei proprietari degli immobili, affinché gli occupanti abbandonassero gli alloggi, a cui sono seguite anche minacce e disordini pubblici provocati dagli stessi soggetti abusivi;
   l'interpellante evidenzia, a seguito di segnalazioni ricevute dai proprietari, che nel corso dell'occupazione i soggetti entrati in possesso degli alloggi, hanno nel frattempo agito nel più completo ed evidente disconoscimento della vigente disciplina normativa, che vieta l'occupazione abusiva degli immobili (che impedisce peraltro la richiesta di allacciamento a pubblici servizi e il rilascio della residenza), recentemente indicata dal decreto-legge 28 marzo 2014, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
   a tal fine, a giudizio dell'interpellante, il comportamento dimostrato dal sindaco di Bologna, nel consentire comunque l'erogazione dell'acqua all'interno dell'edificio, violando pertanto l'osservanza delle disposizioni in precedenza esposte, rinunciando anche ad ogni intervento di verifica dei comportamenti palesemente illegali dimostrati dagli occupanti, sia sul piano amministrativo che di una condotta penale, a cui si affianca anche l'atteggiamento dell'assessore comunale al welfare, la quale nei fatti ha avallato il comportamento dei soggetti che hanno indebitamente occupato gli immobili, dimostra nel complesso un atteggiamento inaccettabile dell'amministrazione comunale, nella gestione dell'intera vicenda;
   l'area circoscritta in zona Bolognina, in cui è situato l'edificio è stata inoltre oggetto, nel marzo 2014 (periodo in cui è avvenuta l'occupazione) di numerosi scontri tra gli occupanti, i proprietari degli alloggi e le forze di polizia intervenute per sedare i tafferugli e nonostante un'inchiesta in corso da parte della magistratura, che ha ipotizzato il reato di invasione di edifici e un'indagine avviata da mesi della Digos, per identificare gli autori dei reati, non aventi alcun titolo per occupare lo stabile, la situazione attuale permane in evidente stato di illegalità causato innanzitutto dagli abusivi che oramai vivono all'interno degli immobili occupati da oltre un anno, ma anche e soprattutto dalle ripetute violazioni da parte dell'amministrazione comunale bolognese, che anziché intervenire in tempi rapidi, nel far rispettare le disposizioni normative, ha disatteso quanto prescritto dalla disciplina in materia;
   al riguardo, l'interpellante evidenzia, come la condotta del sindaco di Bologna, sia ancora più grave e sconcertante, se si considera come attraverso due ordinanze, avesse concesso sia l'erogazione dell'acqua all'interno dello stabile, che addirittura la residenza per gli stessi soggetti che, con la forza hanno «conquistato» gli immobili all'interno dell'edificio, disattendendo pertanto, quanto indicato dall'articolo 5 del suesposto decreto-legge n. 47 del 2014;
   se da un lato, occorre fronteggiare l'emergenza abitativa, attraverso adeguate politiche sociali, per le categorie sociali tradizionalmente svantaggiate, con un piano d'intervento straordinario del ministro interpellato, tuttora irrealizzato dal Governo, dall'altro appare evidente, secondo l'interpellante, come la suesposta vicenda, sia caratterizzata da un'evidente stato di illegalità, in cui le istituzioni locali attraverso una posizione assunta ondivaga e permissiva, hanno consentito che per quattordici mesi decine di individui, s'introducessero in maniera violenta, all'interno di un edificio di proprietà privata, sottraendolo pertanto ai legittimi proprietari;
   appare inoltre surreale quanto paradossale, a giudizio dell'interpellante, che gli stessi proprietari continuino a pagare le imposte che gravano sugli immobili occupati, nonostante non siano nella possibilità di usufruirne, a causa della sottrazione avvenuta con la forza degli stessi occupanti, i quali nel frattempo hanno ottenuto addirittura la residenza, a seguito dell'ordinanza del sindaco di Bologna;
   quanto avvenuto e in precedenza esposto, evidenzia in definitiva, una palese inadempienza dell'osservanza delle regole abitative e dell'ordine pubblico; il possesso indebito degli alloggi di proprietà privata rischia di aumentare la proliferazione dei reati relativi all'indebita occupazione che avvengono nel Paese da parte di coloro che ricorrono a forme illecite di autotutela quale è effettivamente l'occupazione abusiva di immobili privati, qualunque sia lo stato di bisogno o di necessità in cui essi versino;
   a tal fine, occorre altresì evidenziare, giudizio dell'interpellante che, se neanche le istituzioni locali preposte all'osservanza e al rispetto delle disposizioni normative in materia di contrasto al fenomeno delle occupazioni abusive, agiscono in tal senso (come emerge dalla suesposta vicenda di Bologna), il grave rischio che si concretizza è la configurazione di una crepa nell'ordinamento giuridico nella specifica materia; la capacità d'intervento e punitiva dello Stato risulta evidentemente fallimentare, nel far rispettare le leggi e tutelare il diritto alla proprietà privata –:
   quali orientamenti i Ministri interpellati intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, in merito alla vicenda in precedenza esposta, che da oltre quattordici mesi, rileva l'occupazione abusiva di un intero stabile di Bologna, nonostante i tentativi dei legittimi proprietari, attraverso le iniziative giudiziarie e gli interventi delle forze politiche locali, affinché gli occupanti abbandonassero gli alloggi indebitamente occupati;
   quali iniziative, urgenti e necessarie i Ministri intendano assumere, affinché possano essere ripristinate le condizioni di normalità e di rispetto della disciplina in materia di occupazione abusiva di immobili, palesemente disattese dai soggetti che ingiustamente hanno con la forza occupato un immobile, togliendolo alla disponibilità dei legittimi proprietari, anche in relazione ai profili di sicurezza e di tutela dell'ordine pubblico.
(2-00961) «Palmizio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 maggio 2015 si apprende che si è verificata una nuova strage di migranti; secondo le stime, almeno una quarantina, sarebbero morti annegati nel Canale di Sicilia;
   due gommoni sono stati soccorsi in tempi diversi, ma un gommone, poco prima dell'operazione di salvataggio, è affondato lasciando cadere in acqua quasi tutti gli occupanti;
   la gran parte sono stati salvati ed i sopravvissuti, giunti al porto di Catania con il porta container Zeran, riferiscono, per il tramite di «Save the Children», che oltre 40 persone sarebbero annegate;
   complessivamente sono 194 i migranti arrivati nei giorni scorsi nel porto siciliano, fra i quali due minorenni e 18 donne, oltre a 5 cadaveri di migranti deceduti durante il viaggio, prima dell'arrivo dei soccorsi;
   la Guardia costiera, nei giorni scorsi, ha salvato oltre tremila migranti: 369 profughi salvati dalla nave privata Phoenix sono sbarcati a Pozzallo, a Crotone sono approdati in 350 tra cui tre cadaveri; cinque migranti sono stati portati in ospedale per essere curati;
   la procura ha aperto un'inchiesta circa la morte dei migranti;
   anche a Crotone sono stati sbarcati, dalla petroliera panamense Prince I, i cadaveri di tre migranti, due donne ed un uomo, recuperati nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia;
   alcuni migranti, ritenuti scafisti, sono stati arrestati a Pozzallo e Lampedusa, sarebbero due tunisini ed un libico ritenuti coloro che conducevano imbarcazioni che accoglievano complessivamente 870 migranti;
   il libico, fermato con l'accusa di essere uno scafista dalla squadra mobile di Ragusa, da solo guidava un natante con 350 persone a bordo;
   altri tre tunisini sono stati invece arrestati dalla Guardia di finanza di Agrigento perché sorpresi alla guida di una imbarcazione in legno con a bordo 43 migranti che si avvicinava alle coste di Lampedusa;
   si sono verificati sbarchi anche a Trapani e Palermo: sulla nave cargo maltese «Oriental Green», sono giunti nel porto di Trapani 104 migranti, in maggioranza senegalesi e nigeriani;
   la nave Borsini della Marina militare, con a bordo altri 485 migranti, dovrebbe essere approdata in queste ore al porto di Palermo;
   tra i migranti sbarcati sulle coste italiane, circa un centinaio sono ricoverati nella tendopoli di Augusta (Siracusa) in quanto presentano evidenti segni di scabbia e varicella; questi provengono da un gruppo di 675 eritrei soccorsi dalla nave militare «Vega» al porto commerciale di Augusta; sebbene le condizioni non si presentino particolarmente critiche, i soccorritori li hanno doverosamente sottoposti a trattamenti medici in regime di isolamento –:
   se e quali misure si intendano adottare con riferimento al soccorso in mare e all'accoglienza dei migranti;
   se le condizioni d'accoglienza approntate a terra, igieniche e ambientali ed in relazione alle profilassi medico-sanitarie adottate, possano essere considerate adeguate;
   se e quali iniziative si intendano attuare per il miglioramento delle condizioni di sicurezza che si verificano ai confini del sud dell'Italia, anche in relazione all'identificazione dei migranti ed all'avvio delle procedure conseguenti alle richieste di asilo per motivi umanitari;
   se e quali azioni si intendano porre in essere in merito al fenomeno dell'emigrazione di massa, al fine di supportare la costante emergenza connessa all'arrivo in Italia di un nuovo e più intenso flusso di migranti, connesso all'approssimarsi della stagione estiva;
   se e quali azioni abbiano intrapreso al fine di promuovere una revisione del regolamento comunitario «Dublino III», n. 604/2013, ovvero una più ampia assunzione di responsabilità dell'agenzia europea Frontex, per coinvolgere gli organismi e le agenzie europee della questione;
   se e quali iniziative concrete si intendano realizzare per rafforzare le operazioni d'individuazione e arresto dei componenti delle organizzazioni criminali che fanno rientro sulle coste nordafricane una volta che le imbarcazioni di migranti sono state abbandonate, senza guida, in prossimità delle acque territoriali italiane del canale di Sicilia;
   se siano in grado di fornire dati aggiornati, relativi sia al numero delle imbarcazioni intercettate in acque internazionali che trasportano membri organizzazioni criminali dedite a favorire l'immigrazione illegale in Italia sia al numero di persone nei confronti delle quali siano stati radicati procedimenti penali inerenti all'immigrazione illegale che si attua via mare nel canale di Sicilia, negli ultimi 5 anni. (5-05560)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONAFEDE e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è posta sotto la vigilanza del Ministro dell'interno;
   il suo scopo istituzionale è quello di provvedere all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, a seguito di confisca definitiva, nonché coadiuvare l'amministratore giudiziario sotto la direzione dell'autorità giudiziaria in fase di sequestro fino alla confisca di primo grado, dopo la quale assume la gestione diretta degli stessi beni;
   la collaborazione dell'Agenzia con l'autorità giudiziaria e con le forze dell'ordine rappresenta un dato fondamentale laddove l'Agenzia è chiamata ad operare un costante monitoraggio posto a garanzia dell'effettivo riutilizzo sociale dei patrimoni mafiosi;
   gli organi dell'Autorità sono composti da un direttore, nominato su proposta del Ministro dell'interno; un consiglio direttivo presieduto dal direttore delle agenzie delle entrate e composto da un magistrato designato dal Ministro della giustizia, da un magistrato designato dal Procuratore nazionale antimafia e da «due qualificati esperti» in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati di concerto dai Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze; e da un Collegio dei revisori;
   il 20 gennaio 2015, in qualità di esperto il Ministro interrogato ha designato il suo conterraneo, il cavaliere Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, in seno al consiglio direttivo dell'Agenzia;
   a meno di un mese dalla nomina governativa, è stato reso pubblico che lo stesso Antonello Montante, risulta al momento indagato per reati di mafia alla procura della Repubblica di Caltanissetta;
   venuto a conoscenza delle indagini che lo vedono coinvolto, Montante si è autosospeso dalla carica ricoperta presso l'Agenzia, senza presentare tuttavia dimissioni, dimissioni richieste da parte dagli organi di presidenza della Commissione antimafia, nonché da parlamentari regionali e nazionali;
   la presenza-assenza di un delegato del Governo, indagato per mafia, nell'organo di gestione dei beni confiscati ai mafiosi rappresenta, di fatto ed al di là delle responsabilità dello stesso, una circostanza che indebolisce gravemente sotto il profilo dell'immagine nonché della funzionalità la stessa Agenzia. Agenzia che peraltro non può provvedere alla sostituzione del proprio membro autosospeso, poiché la facoltà di rimuovere, tramite revoca, il delegato governativo è in capo all'autorità politica che lo ha designato;
   Montante è socio fondatore dell'associazione «Tavolo per lo sviluppo del centro Sicilia», associazione che tra le sue finalità statutarie anche quella della gestione dei beni confiscati dallo Stato alla mafia, dando luogo ad un patente conflitto di interessi laddove ricopre contestualmente il ricordato incarico governativo nell'Agenzia che decide proprio a quali soggetti affidare la gestione dei beni confiscati alla mafia –:
   se ritenga opportuno che un indagato per reati di mafia faccia parte di un organismo che ha il compito di amministrare e destinare i beni confiscati alla mafia e se, in caso negativo, non ritenga di dover revocare la nomina del dottor Montante indicando, in sostituzione, altra personalità presso il suddetto organismo al fine di garantirne la piena operatività;
   se non rilevi profili di incompatibilità tra la figura imprenditoriale di Montante, socio fondatore di un'associazione costituita a Caltanissetta che ha tra i suoi scopi quello di essere assegnataria di beni confiscati e la figura istituzionale di Montante in qualità di soggetto affidante – tramite l'Agenzia – degli stessi beni confiscati. (4-09140)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già con l'interrogazione n. 4/05890 presentata il 26 agosto 2014, l'interrogante ha denunciato l'insostenibile situazione determinatasi in Friuli Venezia Giulia a causa dell'entrata di migliaia di profughi a fronte di mezzi inadeguati. A riguardo, si fece presente che i numeri stabiliti all'avvio del programma di accoglienza erano stati superati e addirittura alcuni comuni che hanno fatto fronte all'emergenza hanno rischiato il default. A tale interrogazione, il Ministero dell'interno, tramite il Sottosegretario Domenico Manzione, ha fornito riscontro l'8 aprile 2015 indicando gli interventi promossi per affrontare il fenomeno in questione. Tuttavia, la risposta del Ministro è stata ritenuta dall'interrogante assolutamente insoddisfacente;
   infatti, ad oggi, come si apprende dalla stampa, la situazione in regione è talmente allarmante che il Friuli Venezia Giulia è ormai definito «la Lampedusa del Nord» a causa del flusso continuo di richiedenti asilo che raggiunge il confine via terra, lungo la cosiddetta «rotta balcanica»: quella che parte dall'Afghanistan e dal Pakistan e attraversando Iran, Turchia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e Austria conduce a Tarvisio;
   si fa presente che il Friuli Venezia Giulia conta 1,2 milioni di abitanti e dai dati disponibili risulta che ospita 2000 richiedenti asilo, ossia uno ogni 600 residenti, la percentuale più alta dell'Italia settentrionale. In Veneto e Lombardia sono rispettivamente uno ogni 1.700 e uno ogni 1.600 cittadini;
   oltre al flusso diretto di richiedenti asilo, il Ministero dell'interno impone ai comuni del Friuli l'accoglienza anche di una quota di migranti sbarcati in Sicilia. Il sindaco di Udine afferma che hanno dovuto aprire una tendopoli in una caserma per accogliere tutti i migranti, mentre il prefetto chiede addirittura di «accoglierli nelle case»;
   il numero degli arrivi è senza controllo e inestimabile. Tale situazione è determinata anche dalle criticità che emergono nell'applicazione del trattato di Dublino, ossia il regolamento 2003/343/CE in tema di diritto di asilo, che obbliga il primo Paese in cui arrivano i profughi ad accoglierli. Non vi è un'omogenea interpretazione del trattato da parte di tutti i Paesi europei e ciò conduce ad una distribuzione ineguale delle richieste d'asilo tra gli Stati membri, che rende di fatto per l'Italia, e per il Friuli Venezia Giulia quale regione di confine, ancora più oneroso gestire l'emergenza;
   è sempre più urgente quindi l'adozione di provvedimenti concreti per far fronte al fenomeno in questione. A riguardo, non si ritiene equo che il Friuli Venezia Giulia debba farsi carico di un numero troppo oneroso di profughi, non proporzionato ai mezzi disponibili e di tutta evidenza superiore a quello che viene accolto dalle altre regioni settentrionali. Questa situazione comporta un grave disagio sia per profughi che vengono accolti con mezzi non idonei alle esigenze, che per la popolazione del territorio friulano coinvolta da questa emergenza –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto ai fatti esposti in premessa;
   quali, provvedimenti intenda adottare il Governo affinché la quota percentuale dei profughi venga distribuita più equamente tra le, regioni, considerando che emerge di fatto una smisurata ed eccessiva imposizione dell'accoglienza degli stessi in Friuli Venezia Giulia;
   quali iniziative intenda adottare il Governo, con il dovuto concerto con le istituzioni europee, per una migliore applicazione del Regolamento (UE) 604/2013 in tema di diritto di asilo, che garantisca un'omogenea interpretazione delle disposizioni dello stesso da parte degli Stati e un'equa distribuzione e definizione delle quote di accesso di profughi per ogni Stato. (4-09142)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2014, come annunciato dal portavoce regionale del «Coordinamento 9 dicembre», conosciuto alla pubblica opinione come movimento dei «forconi», torneranno una serie di presìdi in circa una dozzina di città del Veneto;
   molti ricorderanno i disagi per i cittadini nonché le tensioni e gli scontri con le forze dell'ordine, che si registrarono lo scorso anno in riferimento alle proteste che lo stesso movimento mise in atto per diversi giorni;
   l'obiettivo dichiarato è quello di paralizzare la regione per lanciare un ultimatum allo Stato italiano;
   il suddetto ultimatum andrebbe dalla «pretesa» delle dimissioni immediate di Governo e Presidente della Repubblica, al ritorno alla moneta nazionale, dal disconoscimento di tutti i trattati internazionali siglati dopo il 2006 fino all'istituzione di un tribunale speciale che proceda penalmente nei confronti di tutti coloro del mondo politico, economico e istituzionale che hanno permesso che il popolo italiano venisse ridotto in schiavitù, nonché l'introduzione del referendum propositivo e vincolante per l'indipendenza del Veneto;
   come riportato dagli organi di stampa è stato testualmente affermato dai promotori che: «scaduto l’ultimatum non garantiamo più che il dissenso si manifesti in modo ordinato e pacifico: ciascuno risponderà delle proprie azioni»;
   in considerazione di quanto verificatosi l'anno scorso e delle dichiarazioni qui riportate è del tutto evidente la strumentalità delle richieste che presuppongono, ovviamente, una volontà di scontro con le istituzioni –:
   se e quali iniziative il Governo, in particolare il Ministro dell'interno, abbia predisposto in vista della citata protesta al fine di evitare che si possano verificare problemi di ordine pubblico e, comunque, affinché venga garantita la massima sicurezza e il normale svolgimento delle attività pubbliche ed economiche. (4-09143)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'università degli studi dell'Aquila con decreto rettorale n. 1044/2009 aveva reso noto che, si erano liberati quarantadue posti per gli anni di corso successivi al primo, per i corsi di laurea in odontoiatria per l'anno accademico 2009/2010;
   molti studenti quindi, dopo aver frequentato i primi anni del corso di laurea in medicina, farmacia e medicina dentaria – specializzazione medicina dentaria presso l'università dell'Ovest «(...)» di Arad (Romania), chiedevano l'iscrizione agli anni di corso successivi al primo presso l'università degli studi dell'Aquila;
   conseguentemente ottennero il trasferimento all'università dell'Aquila, e vennero regolarmente immatricolati cominciando a svolgere tutte le attività didattiche;
   il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il 26 ottobre 2009 con una nota, rilevava che la procedura delineata dall'università degli studi dell'Aquila per l'ammissione agli anni di corso successivi al primo di studenti già iscritti e frequentanti università di altri Paesi dell'Unione europea si ponesse in contrasto con le previsioni di cui alla legge 2 agosto 1999, n. 264 («Norme in materia di accessi ai corsi universitari»);
   pertanto, con un provvedimento del 6 novembre 2009 il rettore dell'università degli studi dell'Aquila, ritenuto doveroso accogliere l'invito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disponeva l'annullamento dei decreti di immatricolazione adottati alcuni mesi prima e quindi l'iscrizione di tutti gli studenti proveniente da Università di Paesi comunitari ai quali in precedenza aveva accordato l'iscrizione;
   certamente questa scelta ha determinato gravi effetti sulla situazione degli studenti che si erano avvalsi di tale possibilità;
   tutti gli studenti interessati dal provvedimento di cancellazione ne hanno poi chiesto l'annullamento: taluni con ricorso giurisdizionale al Tar del Lazio, taluni altri con ricorso al Tar dell'Abruzzo, altri ancora con ricorso straordinario al Capo dello Stato;
   in molti casi i tribunali amministrativi hanno accolto tali domande, il che ha permesso agli studenti – che erano stati «matricolati» dall'università italiana – di proseguire negli studi;
   il Ministero dell'università, dell'istruzione e della ricerca e l'università dell'Aquila hanno proposto sempre appello avverso le varie sentenze rese dai Tar del Lazio e dell'Abruzzo;
   il Consiglio di Stato, in alcuni ricorsi, ha già accolto le tesi sostenute dalle amministrazioni appellanti: in alcuni casi si è già pronunciato nel merito, in altri si è pronunciato sulle istanze cautelari; per i destinatari delle sentenze e delle ordinanze del Consiglio di Stato, la situazione allo stato è questa: di avere svolto un percorso di studi privo di base giuridica e di non poterlo quindi proseguire perché l'università impedisce ai ragazzi di sostenere gli esami;
   altri vincitori in primo grado, ma destinatari di atto di appello privo dell'istanza di sospensione della sentenza, sono invece nella situazione di potere proseguire gli studi, ma sotto la spada di Damocle del pronunciamento del Consiglio di Stato che potrebbe vanificare tutti i loro sforzi, annullando il loro percorso di studi;
   gli studenti che, a suo tempo, invece di proporre ricorso al Tar, hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, vincendolo, sono in una posizione inattaccabile, tenuto conto che tali provvedimenti – com’è noto – hanno carattere definitivo;
   la questione è stata oggetto già di attenzione del Parlamento con l'interrogazione Bossa (n. 5-00695);
   recentemente, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi in tema di trasferimenti dall'estero e con la sentenza n. 1 del 2015 ha statuito come il superamento del test selettivo non debba essere considerato come elemento discriminante ai fini dell'accoglimento delle domande di trasferimento ad anni successivi al primo;
   la sentenza pare, quindi, abbia chiuso un'annosa vicenda e ha dettato un principio che sempre abbia posto fine ai contrasti che si sono succeduti nel tempo;
   il predetto giudicato lascia comunque ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni interessate in quanto rimette alla potestà regolamentare dei singoli atenei la fissazione dei criteri di accoglimento e graduazione delle domande –:
   con quali iniziative di propria competenza intenda intervenire in considerazione della sentenza citata in premessa al fine di evitare per il futuro il ripetersi di queste situazioni inammissibili e intollerabili, assicurando parità di trattamento a tutti gli studenti.
(2-00960) «Sgambato, Giorgio Piccolo, Bossa, Ginoble, Scuvera, Sbrollini, Valiante, Giovanna Sanna, Magorno, Ermini, Salvatore Piccolo, Tino Iannuzzi, Pes, Manfredi, Fregolent, Manzi, Marchi, Lacquaniti, Carloni, D'Ottavio, Rampi, Narduolo, Fedi, Ghizzoni, Rostan, Verini, Paola Boldrini, Camani, Pilozzi, Rocchi, Mura».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, FRATOIANNI, QUARANTA, MELILLA, PELLEGRINO, PIRAS, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il confronto serrato, che sta contrapponendo dal gennaio 2015 la società Fincantieri e le organizzazioni sindacali sul rinnovo del contratto integrativo, sta assumendo, a detta di queste ultime, profili preoccupanti in merito alla gestione della vertenza da parte dell'azienda;
   in particolare, a seguito di scioperi con un'alta adesione di lavoratori, in diverse regioni ove hanno sede gli stabilimenti Fincantieri, la società ha avviato alcune trasferte e trasferimenti, che le organizzazioni sindacali giudicano punitive;
   il primo caso segnalato è quello delle lettere di trasferimento consegnate il 17 aprile a due impiegati di lungo corso (da 17 anni alle dipendenze di Fincantieri), iscritti alla Fiom, che dallo stabilimento di Sestri Levante sono stati destinati al cantiere di Ancona e Monfalcone, a partire dall'11 maggio in regime di trasferta e dal 1o settembre con trasferimento effettivo;
   al 29 aprile 2015 i casi di trasferte o trasferimenti risultano essere: quattro lavoratori trasferiti dallo stabilimento di Riva Trigoso, e due spostati di reparto; due dallo stabilimento di Muggiano; un capoufficio dalla sede di via Cipro a Genova e tre dallo stabilimento di Marghera (fonte: genova24.it, 29 aprile 2015);
   Sergio Ghio, della Fiom Cgil Tigullio, sul punto ha dichiarato che «l'adesione agli scioperi è grande e quindi Fincantieri si trova in difficoltà e per cercare di intimidire viene usato un articolo del contratto che riguarda appunto i trasferimenti, colpendo i lavoratori più esposti e di alta professionalità. Una sorta di olio di ricino moderno» (ANSA, 29 aprile 2015);
   se tali affermazioni fossero confermate si tratterebbe di una condotta grave, a giudizio degli interroganti, volta a influenzare in modo indebito una trattativa sindacale;
   circostanza ancora più grave dato che l'azionista di maggioranza della società Fincantieri è lo Stato, che detiene oltre il 70 per cento delle azioni attraverso la società Fintecna, a sua volta controllata da Cassa depositi e prestiti –:
   se il Governo non intenda chiarire, per quanto di competenza, i fatti riportati in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per consentire un corretto svolgimento della vertenza. (4-09137)


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO e CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia negli ultimi decenni gran parte degli enti pubblici sono stati trasformati e/o fusi in società per azioni con una intensità forse degna di miglior causa; in ogni caso, nelle società per azioni devono vigere le regole dettate dal codice civile; 
   nelle società per azioni, per l'articolo 2364 del codice civile, l'assemblea dei soci deve essere convocata per discutere e in ogni caso deliberare sull'approvazione del bilancio di esercizio entro il termine stabilito dallo statuto, il quale non deve essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio; di massima, tale termine è il 30 aprile, derogabile solo per ragioni contabili gravi e altre poche e limitate fattispecie;
   si legge su Italia Oggi del 5 maggio 2015 che effettivamente l'assemblea dei soci di Equitalia, i cui soci sono l'Agenzia delle entrate e l'INPS, era stata convocata il 30 aprile 2015 per l'approvazione del bilancio e la nomina dei nuovi amministratori di Equitalia, che è appunto non un ente pubblico ma una società per azioni: «Sul cambio al vertice di Equitalia la palla è in mano a Palazzo Chigi. Dopo la fumata nera della nomina dei nuovi vertici lo scorso 30 aprile, ora si guarda al nuovo cda convocato il prossimo 7 maggio. Fonti parlamentari hanno confermato a ItaliaOggi che tutto era pronto per nominare amministratore delegato Mauro Pastore, dirigente Equitalia di lungo corso, gradito all'Agenzia delle entrate, confermando alla presidenza Vincenzo Busa creando anche la nuova figura di dirigente generale. Un vertice che andava nella direzione del rafforzamento di Equitalia speculare dell'Agenzia delle entrate. Ma il 30 aprile, allertato l'ufficio stampa con la nota delle nuove nomine da far uscire alle 11.00, è arrivato lo stop direttamente dagli uffici del governo e gli uomini dell'Agenzia delle entrate non si sono presentati alla riunione, presenti invece i rappresentanti dell'Inps (Equitalia è infatti per il 51 per cento di proprietà Agenzia delle entrate e il 49 per cento Inps»;
   non si comprende con quali modalità formali, tipiche di una società per azioni siano arrivati gli «stop» di cui parla Italia Oggi, in ogni caso resta la notizia che l'assemblea dei soci di Equitalia non si è tenuta il 30 aprile;
   il Corriere della Sera a pagina 7 del 7 maggio 2015 testualmente riporta «È convocata per oggi l'assemblea di Equitalia, la società di riscossione, che ha all'ordine del giorno il rinnovo dei vertici»;
   nel corso del 7 maggio, fino al tardo pomeriggio, non è stato riscontrabile un comunicato stampa di Equitalia né dei suoi azionisti sull'esito dell'assemblea dei soci;
   su Italia Oggi dell'8 maggio 2015 si legge «fumata nerissima sul fronte delle nomine del consiglio di amministrazione. Secondo quanto risulta a Italia Oggi i rappresentanti di Agenzie delle entrate e Inps che controllano la società di riscossione rispettivamente con il 51 per cento e il 49 per cento sono stati bloccati per ore sull'apertura della busta con i nomi della nuova compagine sociale;
   fino all'8 maggio 2015 non sono stati emanati né comunicati stampa da parte della società, né agenzie in merito ai nomi dei nuovi vertici –:
   se i Ministri interrogati conoscano le motivazioni del rinvio dell'assemblea di Equitalia del 30 aprile 2015 in connessione con la sua natura di società di capitali, sia per la mancata approvazione del bilancio al 30 aprile sia per la mancata nomina degli amministratori, eventi che avrebbero dovuto essere sanati, se sanabili, il giorno 7 maggio nel corso di un'assemblea di cui non si ha piuttosto alcuna contezza ufficiale o ufficiosa;
   se le operazioni di scrutinio siano state rinviate in altra data e soprattutto per quale motivo;
   se le indicazioni dei candidati per il consiglio di amministrazione formulate nelle liste proposte dagli azionisti pubblici del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Inps rispettino i requisiti ed i presupposti di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190. (4-09138)


   RUSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è azienda a capitale interamente pubblico attiva nella fornitura di beni e servizi in ambito logistico e finanziario e concessionaria di servizio universale in virtù del decreto del Presidente della Repubblica n. 138 del 19 settembre 1997;
   per fronteggiare una cronica mancanza di personale, è ricorsa, negli anni, all'utilizzazione massiccia di forme contrattuali a tempo determinato;
   i contratti sono stati stipulati tra il 2006 e il 2012 ai sensi dell'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001 che sancisce la possibilità di assumere lavoratori a termine senza giustificarne il motivo per circa 10 mesi nel corso di ogni singolo anno e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale riferito al 1o gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono;
   le percentuali previste risultano essere state superate;
   la situazione ha causato numerosi ricorsi da parte dei dipendenti in scadenza di contratto e le associazioni sindacali di categoria stanno da tempo denunciando la scelta di «attuare un progetto di assunzione dei dipendenti con contratti a tempo determinato rinunciando, salvo pochi casi, alle assunzioni di professionalità con contratti a tempo indeterminato»;
   molti lavoratori precari sono ancora in attesa di un possibile inquadramento stabile e definitivo, a tempo indeterminato, all'interno dell'ente, a seguito della richiesta, accolta dal tribunale di primo grado, di una lavoratrice postale che chiedeva di dichiarare la nullità del termine apposto al contratto e la conseguente instaurazione di lavoro a tempo indeterminato;
   la linea di condotta adottata dagli amministratori di Poste italiane spa nel consentire le assunzioni ha determinato un grave danno economico, oltre che un nocumento a circa 15.000 dipendenti precari ricorsisti;
   ai dati oggettivi si aggiunge la sentenza della Corte di Cassazione n. 6010 del 12 marzo 2009, che ha indicato le modalità di giudizio per ogni contenzioso posto in essere;
   la sentenza afferma che «nella determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul totale dei dipendenti, non è sufficiente l'indicazione del numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità dell'apposizione del termine nei contratti stipulati in base all'ipotesi individuata ex articolo 23 citato, l'indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potersi verificare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine»;
   alla decisione della Corte di Cassazione però si è contrapposta la posizione di Poste italiane che, nella cause relative ai contratti stipulati ex articolo 2, comma 1-bis, ha prodotto prospetti nei quali sono indicati dati necessari alla verifica della percentuale fissata dal legge, ovvero il numero dei dipendenti in organico;
   sono circa 600 i dipendenti in attesa di giudizio successivo o definitivo;
   la precarietà del personale è stata affrontata in diversi accordi tra Poste italiane e i rappresentanti dei lavoratori. In uno di essi, vale a dire quello del 14 febbraio 2014, l'azienda si è impegnata tra l'altro «ad avviare interventi mirati ad introdurre nell'ambito dell'azienda specifici momenti di valorizzazione delle risorse impiegate attraverso l'avvio di processi di politica attiva del lavoro»;
   nello stesso accordo le parti si sono impegnate «entro la prima decade di aprile ad effettuare uno specifico esame al tema del consolidamento del rapporto delle risorse che abbiano già prestato la propria attività in Azienda in virtù di un contratto a tempo determinato e che, alla data di sottoscrizione del presente accordo vi stiano ancora operando in virtù di un provvedimento giudiziale favorevole non ancora passato in giudizio»;
   il 16 dicembre 2014 il nuovo amministratore delegato, Francesco Caio, ha annunciato «8.000 tra nuovi ingressi e conversioni dei part time: il 50 per cento dei nuovi ingressi riguarderà giovani laureati e nuove professionalità. Inoltre prevediamo lo sviluppo di circa 7.000 risorse interne verso profili più qualificati» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative di competenza intendano intraprendere;
   quali iniziative di competenza intendano adottare, anche nei confronti di Poste italiane, al fine di promuovere e salvaguardare, insieme al diritto ad un lavoro stabile per i lavoratori ricorsisti precari, le prerogative stabilite dalle sentenze della Corte di Cassazione. (4-09139)


   FEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la stragrande maggioranza delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale attualmente in vigore è stata stipulata dall'Italia quando ancora vigeva il sistema di calcolo retributivo;
   tali convenzioni sono infatti entrate in vigore, tranne alcune eccezioni, negli anni settanta e ottanta, come ad esempio quella con l'Argentina che risale al 1984, quella con il Brasile al 1977, con l'Uruguay al 1985, con il Venezuela al 1991, con gli USA al 1978, con il Canada al 1979, con la ex Jugoslavia addirittura al 1961 – le più recenti, sono quelle con la Croazia del 1999, con l'Australia del 2000 (solo quella con la Turchia è stata ratificata nel 2015);
   si tratta evidentemente di convenzioni obsolete nello spirito, nei contenuti e nella forma che non possono più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri dei futuri pensionati perché non sono state adeguate alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei Paesi contraenti;
   in particolare la legge n. 335 del 1995 ha introdotto un nuovo sistema di calcolo definito «contributivo che non è esplicitamente contemplato dalle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale che, in alcuni casi, prevedono esplicitamente invece l'utilizzo del sistema retributivo;
   il nuovo criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31 dicembre del 1995. I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31 dicembre del 1995. Dal 1o gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 18 anni al 31 dicembre del 1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   la convenzione con l'Australia (ma non è la sola) prevede all'articolo 12 che ai fini del calcolo delle prestazioni italiane in pro-rata si tiene unicamente conto del salario o del reddito delle persone soggette a legislazione italiana (e cioè sistema di calcolo retributivo). In tale convenzione non si fa riferimento al montante contributivo (che, è bene precisare, non è comunque menzionato in alcuna convenzione) che è invece il perno dei nuovi meccanismi di calcolo;
   ogni anno l'Inps eroga migliaia di nuove pensioni in convenzione internazionale maturate attraverso il meccanismo della totalizzazione e il cui importo dovrebbe essere calcolato – a seconda della collocazione temporale dell'anzianità contributiva – con i metodi retributivo, misto e oramai sempre più contributivo –:
   se il Ministro sia al corrente che alcune convenzioni indicano esplicitamente l'utilizzo del sistema retributivo anche quando i pensionandi in base alla nuova normativa italiana che si è succeduta dopo l'entrata in vigore della legge n. 335 del 1995 avrebbero diritto al calcolo con il sistema misto o solo con quello contributivo;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per aggiornare le convenzioni che non prevedono esplicitamente l'utilizzo del sistema contributivo per il calcolo delle pensioni anche tramite uno scambio di note o comunque procedure amichevoli che non comportino una complessa riapertura dei negoziati, al fine di stabilire in maniera inequivoca il sistema di calcolo da adottare;
   se gli enti previdenziali italiani interessati possano applicare il sistema di calcolo attualmente in vigore senza dover procedere ad una modifica delle convenzioni;
   se tali enti possano applicare il sistema di calcolo previsto dalla convenzioni anche se non compatibile con la legislazione attualmente in vigore. (4-09141)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) è un ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroindustriale, ittico e forestale. Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura ha personalità giuridica di diritto pubblico, è posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed ha autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria;
   la legge di stabilità per l'anno 2015 (articolo 1, comma 381 della legge 23 dicembre 2014 n. 190) prevede l'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, conservando la natura di ente nazionale di ricerca e sperimentazione. Questo subentra nei rapporti giuridici attivi e passivi dell'INEA, ivi inclusi i compiti e le funzioni ad esso attribuiti;
   le finalità della suddetta disposizione sono quelle di riorganizzare il settore della ricerca e della sperimentazione nel settore agroalimentare e di sostenere gli spin off tecnologici nonché di razionalizzare e contenere la spesa pubblica;
   attualmente l'ente è commissariato con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali n. 0000012 del 2 gennaio 2015. È stato nominato, in sostituzione degli organi statutari del CRA, il dottor Salvatore Parlato quale commissario straordinario del CRA con i compiti di cui all'articolo 1, comma 381, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   l'articolo 1, comma 381, prevede, tra l'altro, che: «Il commissario predispone, entro centoventi giorni dalla data della sua nomina, un piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura, lo statuto del Consiglio e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, alla riduzione e alla razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti, prevedendo un numero limitato di centri per la ricerca e la sperimentazione, a livello almeno interregionale, su cui concentrare le risorse della ricerca e l'attivazione di convenzioni e collaborazioni strutturali con altre pubbliche amministrazioni, regioni e privati, con riduzione delle attuali articolazioni territoriali pari ad almeno il 50 per cento,...»;
   in Lombardia sono presenti un numero elevato di strutture del CRA, ma sembra che la bozza di riorganizzazione dell'ente risulti essere molto penalizzante rispetto alla situazione attuale;
   nonostante la regione Lombardia abbia un valore della produzione agroindustriale superiore ai 12 miliardi di euro, +7,3 per cento rispetto al 2010, arrivando a rappresentare ben il 16,1 per cento del totale nazionale e circa il 3,7 per cento del prodotto interno lordo regionale e presenti un valore della componente agricola, pari a 7,2 miliardi di euro, con un peso sul totale nazionale nettamente in crescita, pari al 14,5 per cento il settore della ricerca nazionale dislocato in regione viene ridotto nelle sue strutture eliminando tutti i centri e gli istituti di ricerca con l'incorporazione delle attuali sedi in altre strutture localizzate fuori regione;
   in particolare il Centro di ricerca per le produzioni foraggere e lattiero-casearie di Lodi (attualmente il più grande del CRA e derivante da due istituti con storia secolare) sembra essere smembrato e suddiviso in due semplici sezioni periferiche con direzione a Roma e Foggia;
   delle possibili 13 strutture eventualmente previste nella bozza della nuova organizzazione, nessuna sembrerebbe avere la sede principale in Lombardia. Se ciò corrispondesse al vero sembrerebbe alquanto clamoroso, considerate l'importanza scientifica delle strutture sotto riorganizzazione e la consistenza del patrimonio immobiliare delle stesse;
   ognuna delle sedi della Lombardia ha una storia notevole e una levatura riconosciuta anche a livello internazionale, senza contare che soprattutto a Lodi vengono trattate filiere come il foraggio e il latte, importantissime nell'economia agraria del territorio lombardo. La ristrutturazione non dovrebbe avere ricadute di tipo occupazionale, ma il territorio lodigiano in particolare e lombardo in generale perderebbe delle eccellenze nella ricerca in agricoltura;
   già nel passato i direttori dei vari ex istituti del lodigiano, nell'esclusivo interesse dell'ente, presentarono all'amministrazione centrale del CRA delle autonome proposte di aggregazione fisica delle strutture, ciò allo scopo di esaltare le varie sinergie ottenibili dal lavoro congiunto e ottimizzare i finanziamenti verso ricerche e attrezzature comuni;
   nel frattempo si è consolidata la presenza a Lodi del Parco tecnologico padano, di rilevanza scientifica europea, con il quale il CRA potrebbe intrecciare delle attività comuni che in questo momento non vengono sviluppate e neppure previste –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quale sia stata la ratio che ha portato alla decisione del commissario straordinario del CRA di procedere ad una riorganizzazione a giudizio dell'interrogante così penalizzante per il territorio lombardo;
   se ciò corrisponda al vero, quali iniziative intenda adottare affinché, prima di attuare il piano di riorganizzazione, si proceda ad un'analisi più approfondita della situazione nella regione Lombardia, tenendo in debita considerazione l'importanza scientifica delle strutture. (5-05559)


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del pomeriggio di sabato 9 maggio 2015 un violentissimo nubifragio si è abbattuto lungo la fascia jonica del metapontino interessando un territorio compreso da Bernalda fino a Policoro e particolarmente colpito è stato il comprensorio di Montalbano Jonico;
   l'evento atmosferico ha inferto un ulteriore durissimo colpo ad un settore, quale quello agricolo, già provato da eventi calamitosi che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni;
   la grandine caduta con inaudita violenza ha colpito alberi, piante e frutti, compromettendo l'intera stagione soprattutto per quanto riguarda colture pregiate;
   è in corso la conta dei danni da parte degli amministratori e della regione Basilicata –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda altresì attivarsi per procedere al riconoscimento dello stato di calamità nonché per promuovere adeguate misure di sostegno al comparto agricolo metapontino. (5-05561)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Tullo e altri n. 1-00819, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Plangger.

  La mozione Nicola Bianchi e altri n. 1-00850, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capelli.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Nizzi Palese e n. 1-00851, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Vella e Capelli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Nizzi, Vella, Palese e Capelli».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Di Vita e altri n. 5-05546, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sarti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Duranti e altri n. 5-05548, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Melilla, Sannicandro, Paglia, Ricciatti.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Latronico n. 5-05196 del 27 marzo 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Martella n. 3-01204 del 4 dicembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09143;
   interrogazione a risposta orale Vezzali n. 3-01378 del 19 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09133.