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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 8 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società a capitale pubblico, individuata quale affidataria del servizio postale universale ai sensi del decreto legislativo 261 del 1999, attraverso contratti di programma stipulati con il Ministero dello sviluppo economico;
    la legge di stabilità per l'anno in corso ha previsto la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma, che dovrà avere durata quinquennale e coprire il periodo 2015-2019;
    all'atto dell'affidamento del servizio postale universale la società deve garantire il proprio impegno a realizzare determinati standard di qualità, tra i quali il numero e la distribuzione degli uffici sul territorio, l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste e i tempi per la distribuzione;
    la società Poste italiane spa è riconosciuta ex lege quale fornitore del servizio universale fino al 2026;
    nel mese di febbraio la dirigenza di Poste italiane, in sede di Conferenza delle regioni, ha reso note le linee guida del nuovo piano industriale della società, che prevede la razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale;
    il piano fa riferimento alla delibera dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, n. 342/14/cons, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, e integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti che abitano nelle zone remote del Paese;
    la vigente normativa in materia di gestione del servizio postale universale, di cui al decreto legislativo 261 del 1999 stabilisce che le prestazioni rientranti nel servizio universale debbono essere fornite «permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», e che debba essere assicurata «l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso», sulla base di criteri di ragionevolezza, al fine di tener conto delle esigenze dell'utenza;
    infatti, fa espresso riferimento alle aree geografiche remote del territorio nazionale, individuandole come «situazioni particolari» meritevoli di specifica considerazione nell'ambito dello stesso servizio;
    in particolare, al fine di garantire un livello di servizio adeguato nelle isole minori e nelle zone rurali e montane, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa in base a dati demografici e classificazioni ISTAT, e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale;
    tali previsioni, dettate dalla necessità di garantire la fruizione del servizio universale anche in situazioni caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, sono in parte controbilanciate, al fine di consentire il perseguimento degli obiettivi di contenimento degli oneri del servizio universale previsti dal Contratto di programma, da una riduzione dell'orario di apertura minimo, da tre giorni e 18 ore settimanali a due giorni e 12 ore settimanali, che potrà, tuttavia, riguardare solo un numero limitato di uffici: uffici postali che siano presidio unico di Comuni con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, a condizione che in prossimità (entro 3 chilometri di distanza) vi sia un ufficio che, nei restanti giorni lavorativi della settimana, assicuri alla popolazione locale la fruizione dei servizi postali;
    la delibera, infine, impone a Poste italiane di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    in base all'annunciato nuovo piano industriale nel 2015 dovrebbero chiudere circa quattrocento uffici postali sul territorio nazionale, ed è altresì prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
    i tagli proposti stanno suscitando la preoccupazione e il disappunto di numerose regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione;
    in conseguenza alle critiche al piano esposte dalle suddette categorie Poste italiane lo ha sospeso, ma nella nota che la società ha diffuso si parla espressamente solo di rinvio per il tempo necessario a un confronto con le regioni e i comuni interessati per «conciliare le esigenze aziendali con le istanze e le possibili eccezioni rappresentate dai territori», senza intaccarne, sembrerebbe, la sostanza;
    l'annunciato piano di riorganizzazione penalizzerà gravemente l'utenza, e nell'ambito di questa in modo particolare i soggetti che hanno difficoltà a spostarsi in altre località per accedere ai servizi;
    gli uffici postali rappresentano un presidio dello Stato sul territorio oltre che un servizio a imprese e cittadini,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione delle misure adeguate affinché Poste italiane continui a svolgere il servizio universale in ottemperanza ai criteri previsti, permettendo il pieno accesso ai servizi a tutta l'utenza;
   ad attivarsi affinché, ai fini della distribuzione degli uffici postali sul territorio nazionale, siano considerati ulteriori criteri quali la distanza chilometrica da percorrere per raggiungere gli stessi e i mezzi di trasporto disponibili a tal fine, l'età media della popolazione dei comuni nei quali si ipotizzano le chiusure, e i comuni che siano oggetto di particolari flussi turistici in alcuni periodi dell'anno;
   nella realizzazione del processo di riorganizzazione della rete postale, a favorire il confronto con gli enti locali, in ottemperanza a quanto previsto dalla delibera Agcom 342/14, e ad operare ai fini della salvaguardia dei livelli occupazionali.
(1-00848) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    dall'intensificazione delle violazioni subite dai fedeli di ogni credo e non solo dai cristiani si evince chiaramente che il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire, benché sia, per sua stessa natura, un diritto da garantire a chiunque; circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose;
    nella XII edizione del rapporto sulla libertà religiosa nel mondo del 2014, redatto dalla fondazione di diritto pontificio, la Acs, è stato fotografato il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 Paesi, in 116 dei quali si è registrato «un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa, ovvero quasi il 60 per cento (...) in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi autoritari, quali quelli di Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan»;
    è indubbio che i cristiani si confermano il gruppo religioso maggiormente perseguitato; minoranza oppressa in numerosi Paesi, molte delle terre in cui i cristiani abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dal terrorismo; ad oggi risultano almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini, come, ad esempio, in Sudan, sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalle Costituzioni che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa, è questo il caso dell'Arabia Saudita, fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300.000; gli attacchi contro i cristiani e le altre minoranze non rappresentano una dinamica degli ultimi mesi in Iraq. Molto prima della crescita in termini di potere del sedicente Stato islamico (Is) in tutto questo tempo le comunità cristiane e sciite (che, tra l'altro, rimane la comunità di maggioranza in Iraq) sono considerate dagli estremisti sunniti come infedeli e ladri e sono disprezzate in ogni modo;
    in Iraq le minoranze perseguitate non sono solo quelle cristiane, ma anche quelle di yazidi, shabak (una minoranza sciita di origine curda), baha'i, armeni, comunità di colore, circassi, kaka'i, curdi faili, palestinesi, rom, turkmeni, mandei e sabei. Si tratta di un mosaico ricco di tessere etniche e religiose, tenute insieme da secoli di convivenza e tolleranza, ridotto in frantumi dai dettami fondamentalisti dei jihadisti sunniti, un'immensa ricchezza umana, culturale e storica che ha sempre fatto dell'Iraq un Paese plurietnico e multireligioso e che oggi rischia di essere cancellato dal fondamentalismo religioso e settario nemico dell'umanità;
    la conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120.000 cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno e ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole e negli edifici abbandonati, condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e, in particolar modo, per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 a oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram, o quello somalo di al-Shabaab,

impegna il Governo:

   ad attivarsi al fine di rendere il rispetto e la tutela della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi, attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale, e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico, soprattutto in occasione della stipula di trattati o accordi soggetti alla ratifica da parte del Parlamento;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci per assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa tra le tematiche da trattare durante gli incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e i loro omologhi di altri Paesi, soprattutto se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad esigere che parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione e la tutela delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione e ai diversi livelli dell'istruzione;
   a prevedere lo sviluppo di ulteriori programmi di integrazione nazionale che riguardino anche l'ambito religioso in funzione di un'educazione alla tolleranza sia per gli italiani che per gli stranieri.
(1-00849) «Grande, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Spadoni, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati contenuti nel rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a Roma il 28 ottobre 2014, offrono una fotografia allarmante della perdurante e gravissima crisi economica, sociale e finanziaria che la regione Sardegna sta attraversando. Nel 2013 nell'isola si è registrato un calo del prodotto interno lordo pari al 4,4 per cento rispetto al 2012. Dallo studio emergono anche altri dati preoccupanti: tasso di disoccupazione ufficiale pari al 17,5 per cento, tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari al 54,2 per cento, percentuale di famiglie residenti monoreddito pari al 53,1 per cento, percentuale di famiglie povere sul totale famiglie (povertà relativa) nel 2013 pari al 24,8 per cento. I numeri che riguardano l'isola si inseriscono in un quadro negativo generale registrato per tutto il Centro-Sud d'Italia. Se si considera il dato cumulato dei sei anni di crisi, dal 2008 al 2013, la riduzione del prodotto interno lordo, che per la Sardegna è del 13 per cento, risulta per quasi tutte le regioni meridionali – ad eccezione del solo Abruzzo (-7,3 per cento) – di entità assai forte;
    è doveroso sottolineare che la situazione di stallo in cui versa oggi la regione Sardegna scaturisce da una serie infinita di scelte opinabili da parte della politica regionale e nazionale nel corso degli ultimi decenni. Gli amministratori locali che si sono succeduti nel tempo non sono stati in grado o non hanno avuto la volontà di attuare una programmazione nel medio e nel lungo periodo e non hanno sfruttato le potenzialità dell'autonomia speciale. Grandi responsabilità restano in capo anche e soprattutto ai Governi nazionali che non hanno mai prestato la dovuta attenzione alle problematiche dell'isola, ritenendo in numerosissime occasioni non prioritaria la ricerca delle soluzioni delle criticità presenti nel territorio;
    innumerevoli sono le vertenze con lo Stato italiano aperte da tempo e mai risolte. Tra i numerosi fallimenti che è impossibile non imputare a una politica incapace negli anni di compiere scelte risolutive è d'obbligo citare, in primo luogo, la perdurante «vertenza entrate», fondata sul riconoscimento dell'articolo 8 dello statuto autonomo. La Regione autonoma della Sardegna vanta da tempo un credito con lo Stato italiano di centinaia di milioni di euro per il mancato trasferimento di una parte consistente di entrate tributarie, come confermato dalla Corte costituzionale nel 2012. Nonostante l'annuncio, il 1o aprile 2015, dell'arrivo nelle casse regionali di 300 milioni di euro dallo Stato, come acconto del credito della regione per gli anni dal 2010 al 2014, la questione rimane ancora non conclusa, risultando pertanto necessario arrivare nel più breve tempo possibile a una soluzione definitiva e condivisa;
    la Sardegna, a causa della sua insularità, dell'ampiezza e della particolare conformazione del territorio, vive da sempre una condizione di svantaggio rispetto alla penisola in termini di erogazione di servizi e di potenzialità di sviluppo economico, aggravata dalla totale inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità e da una forte carenza infrastrutturale che ostacolano la circolazione di merci e persone. Il problema dei difficili collegamenti, sia via mare che via aerea, da e per il continente rappresenta una delle più grandi criticità per la regione, tanto da poter affermare che la popolazione sarda subisce costantemente una limitazione del pieno godimento del diritto alla mobilità e dello strumento della continuità territoriale, intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti. In data 18 luglio 2012 è stata stipulata tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Compagnia italiana di navigazione spa una convenzione che disciplina gli obblighi e i diritti derivanti dall'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori, redatta ai sensi dell'articolo 1, comma 998, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. A distanza di due anni e mezzo dalla firma è evidente che tale convenzione non ha portato alcun vantaggio alla regione Sardegna, né in termini economici né in termini di servizi offerti al cittadino, risultando pertanto necessaria, in vista della scadenza del primo periodo regolatorio stabilita per il 31 dicembre 2015, una profonda rivisitazione della stessa con miglioramenti e aggiustamenti che siano di reale garanzia degli interessi dell'utenza. I difficili e costosi collegamenti da e per l'isola, inoltre, rappresentano un freno anche per lo sviluppo turistico della regione, settore di rilevanza fondamentale che andrebbe maggiormente sostenuto, valorizzando l'immenso patrimonio naturalistico e artistico che la Sardegna offre;
    se i collegamenti da e per la penisola sono problematici, i trasporti all'interno dell'isola appaiono a loro volta carenti e inadeguati. L'utilizzo dei trasporti su rotaia è costantemente disincentivato a causa delle pessime condizioni in cui versa la rete ferroviaria della regione e del limitato numero di treni che percorre l'isola quotidianamente. La rete principale della Sardegna si compone solamente di quattro linee ferroviarie. Dei 432 chilometri a scartamento ordinario soltanto 51 sono a doppio binario. Interi territori, che comprendono anche comuni molto popolosi, non sono serviti da treni. Talvolta, l'unico modo per raggiungere le stazioni più vicine rispetto al luogo di residenza è utilizzare i mezzi propri. I pendolari sardi, inoltre, sono quotidianamente costretti ad estenuanti attese nelle stazioni e impiegano tempi molto lunghi per percorrere brevi distanze, con tutti i disagi che ne conseguono. Non meno critica è la situazione che riguarda le pericolose strade statali per le quali si aspettano, da tempo, interventi di ammodernamento e di messa in sicurezza. Anche a tal proposito non si può non sottolineare l'assoluta disattenzione nei confronti della Sardegna da parte di uno Stato centrale, che preferisce stanziare miliardi di euro per infrastrutture inutili e dannose a scapito di opere che sono necessarie e urgenti e che richiedono senza dubbio l'utilizzo di minori risorse;
    in Sardegna è in atto o è stato annunciato l'avvio di numerosi processi di privatizzazione di società a capitale pubblico, prevalentemente regionali. Molte delle aziende coinvolte fanno parte del settore dei trasporti, sia marittimi sia aerei. Si possono ricordare, soltanto per citare degli esempi, la Sardegna regionale marittima spa (Saremar), società di gestione del pubblico servizio di linea tra la Sardegna, le isole minori e la Corsica, il cui azionariato è oggi detenuto al 100 per cento dalla regione, e la società della regione Sogeaal spa, che gestisce l'aeroporto «Riviera del Corallo» di Alghero-Fertilia. Tali privatizzazioni, conseguenza di discutibili scelte politiche nazionali e regionali compiute nel tempo ed oggi presentate come unica soluzione per il mantenimento in vita delle società, destano preoccupazioni per il rischio di un abbassamento dei livelli di qualità dei servizi offerti al cittadino e della perdita di posti di lavoro;
    una delle più gravi criticità della Sardegna è l'altissimo tasso di disoccupazione, il cui aumento non pare arrestarsi, arrivando alla fine del 2014 al 18,2 per cento. Risulta pertanto necessaria e non più procrastinabile l'adozione di iniziative urgenti volte concretamente al superamento della drammatica crisi occupazionale che investe il territorio. L'emergenza occupazionale si ricollega indissolubilmente alle numerosissime crisi industriali che stanno attraversando le aziende presenti nella regione. Sono molte le imprese che sono state costrette a dichiarare fallimento o che sono in procinto di farlo, la cui chiusura, oltre a provocare un ulteriore freno allo sviluppo economico dell'isola, sta determinando pesanti perdite di posti di lavoro nell'ordine di decine di migliaia. Tra le maggiori realtà imprenditoriali interessate dalle crisi aziendali è doveroso ricordare, oltre all’Alcoa e all'ex-Ila, la Keller elettromeccanica spa, produttrice di carrozze ferroviarie con stabilimento primario a Villacidro e stabilimento secondario in Sicilia, il cui fallimento è stato recentemente decretato dalla corte d'appello del tribunale di Cagliari, che ha rigettato il ricorso contro la sentenza di primo grado presentato dai lavoratori, dalle organizzazioni sindacali, dalla regione Sardegna e dalla regione Sicilia insieme con il Ministero dello sviluppo economico;
    di grandi dimensioni è la vertenza Meridiana, gruppo di primaria importanza in Italia nel settore del trasporto aereo, che sta vivendo da tempo una profonda crisi aziendale. Il 15 settembre 2014 la compagnia ha comunicato l'avvio della procedura di mobilità e licenziamento collettivo per 1.634 lavoratori in esubero, di cui una rilevante percentuale residente in Sardegna. Dopo l'apertura di un tavolo tecnico interministeriale e la scelta, quasi obbligata, da parte di circa 300 dipendenti dell'esodo «incentivato», soltanto per citare le tappe più significative della vicenda, in data 30 aprile 2015 è stato siglato presso la sede del Ministero dello sviluppo economico un accordo grazie al quale 1.340 lavoratori potranno beneficiare di un altro anno di cassa integrazione straordinaria, il cui pagamento sarà anticipato dalla compagnia dell'Aga Khan. Per i dipendenti del gruppo che rischiano il licenziamento questo passo rappresenta senza dubbio un segnale positivo, ma si tratta soltanto di una soluzione provvisoria, risultando pertanto necessari interventi più incisivi da parte dei Ministeri competenti per scongiurare definitivamente il rischio del licenziamento collettivo, che, se verrà messo in atto, porterà per la Sardegna un ulteriore peggioramento della situazione occupazionale già drammatica;
    scarsa è l'attenzione prestata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, dai Governi nazionali che si sono susseguiti negli anni rispetto al tema dell'inquinamento ambientale nella regione Sardegna. In particolare, l'industrializzazione e i processi di destrutturazione produttiva di aree di inestimabile bellezza, come il Sulcis-Iglesiente, hanno compromesso gli equilibri naturali, provocando pesanti danni all'ecosistema naturale e alla salute fisica e psichica della popolazione. Un'area gravemente colpita è quella di Portovesme. Nel grande polo industriale specializzato nella metallurgia non ferrosa, unico in Italia per le sue produzioni di alluminio da bauxite, zinco, piombo e acido solforico, oro, argento e alluminio primario, hanno operato a lungo industrie quali EurAllumina spa, Otefal sail spa, Portovesme srl, Alcoa, Rockwool Italia spa, Carbosulcis spa. La presenza di tre discariche di rifiuti industriali nel comune di Carbonia, di cui una dell'azienda Ecodump (di Riverso srl), una della Portovesme srl ed una della Carbosulcis spa, ha avuto conseguenze devastanti per il territorio che non possono essere sottovalutate. La discarica Ecodump, nel 2012, è finita al centro di un'inchiesta per traffico illecito di rifiuti pericolosi, falso ideologico e attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Nel 2012 è stata aperta un'indagine per traffico di rifiuti altamente pericolosi prodotti dagli impianti della Portovesme srl che sarebbero stati smaltiti illecitamente in cave del territorio cagliaritano, con un risparmio per la società di circa 3,6 milioni di euro;
    preoccupano le possibili conseguenze negative che potrebbero derivare per l'ambiente e per la salute dei cittadini dai presunti sversamenti di olio combustibile nei terreni sottostanti i serbatoi di alimentazione dei gruppi 1 e 2 della centrale termoelettrica della E.on di Fiume Santo, situata nella zona nord occidentale della Sardegna, i cui dirigenti si sono trovati recentemente al centro delle cronache giudiziarie. Secondo la procura della Repubblica di Sassari, che ha coordinato le attività di polizia giudiziaria per oltre un anno, i manager, per garantire un risparmio di spesa alla multinazionale tedesca, avrebbero omesso di segnalare alle autorità competenti i suddetti sversamenti e avrebbero consentito, in questo modo, la persistente contaminazione dei terreni e delle falde acquifere del sito interessato, provocando un danno ambientale in aree di interesse pubblico;
    i dati sul rischio idrogeologico in tutto il Paese sono allarmanti e da soli sarebbero sufficienti a determinare un'inversione di rotta delle scelte strategiche che riguardano il territorio. La prevenzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio sembrano essere non prioritarie rispetto alla realizzazione di opere faraoniche che portano nuovo cemento e continuano a consumare il suolo. In particolare, per quanto riguarda la Sardegna, l'espansione urbanistica di Olbia è stata inarrestabile e solo nel decennio 1997-2007, secondo Il Sole 24 ore, sono sorti «dal nulla» ventitré quartieri e diciassette piani di risanamento, con evidente scarsa attenzione ai potenziali rischi che ne sarebbero derivati. La Sardegna, se si prendono in considerazione soltanto gli ultimi anni, ha dovuto fronteggiare più di un centinaio di situazioni di dissesto idrogeologico che hanno causato morti e feriti e costretto migliaia di cittadini sardi allo sfollamento. L'alluvione che ha colpito decine di comuni della regione il 18 novembre 2013 è soltanto l'evento naturale più noto. È necessario constatare, anche su questo tema, una forte contraddizione da parte dei Governi che si sono succeduti nel Paese, tra ciò che si annuncia e ciò che in realtà viene realizzato. Dopo le buone intenzioni manifestate «a caldo» e gli impegni assunti nell'immediato, oggi si devono purtroppo ancora registrare fortissimi ritardi nella consegna delle risorse necessarie per far fronte ai danni causati dalla calamità naturale e «l'emergenza Sardegna», seppur ancora molto sentita dai cittadini del territorio sardo, a Roma sembra che sia stata dimenticata. A distanza di quasi un anno, inoltre, dalle piogge alluvionali che hanno colpito pesantemente il nord Sardegna e prevalentemente i comuni di Sorso e Sennori il 18 giugno 2014, provocando danni ingenti – in particolare alle colture e alle infrastrutture – che ammontano a circa 36 milioni di euro, nessun intervento, a quanto risulta, è stato adottato dal Governo in merito;
    in Sardegna, soprattutto nelle stagioni calde, si verifica un numero impressionante di incendi. Il 30 per cento del territorio italiano è costituito da boschi, habitat di moltissime specie naturali e vegetali. Il ricco patrimonio forestale del Paese non è adeguatamente tutelato e ogni anno migliaia di ettari di bosco (circa il 12 per cento negli ultimi 30 anni) vengono distrutti da incendi dolosi e colposi. La Sardegna è la prima regione in Italia per numero di morti a causa di roghi: 73 dal 1945 ad oggi. Molto spesso la scarsa disponibilità di mezzi, soprattutto d'aria, rende più complessi e meno tempestivi gli interventi per sedare gli incendi. Nel luglio 2014 in poche ore nell'area collinare di Sibiri e delle campagne che si trovano nel triangolo tra Guspini, Gonnosfanadiga e Arbus sono andate in fumo migliaia di ettari fra boschi di sugherete, macchia mediterranea, pascoli e uliveti. Nonostante la palese necessità di incrementare nei numeri la flotta aerea antincendio dello Stato anziché ridurla, come si è fatto in particolare negli ultimi due anni, anche per il 2015 non risultano iniziative che prevedano un aumento della disponibilità di mezzi aerei per far fronte agli incendi boschivi. Nel 2014, nei mesi di luglio e agosto, sono stati messi a disposizione un massimo di 15 Canadair del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e due Erickson S-64 del Corpo forestale dello Stato. Il 12 agosto 2013 l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, ha annunciato la vendita di tre dei dieci aerei di Stato, un Airbus A-319 e due Falcon 900, per un valore complessivo di mercato stimato in circa 50 milioni di euro da destinare al potenziamento della flotta antincendio, ma non risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo che le suddette risorse siano state trasferite e nessuna notizia si ha ad oggi a proposito della vendita dei mezzi di Stato;
    il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 («Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha tolto alle regioni il potere di veto su ricerca di petrolio e trivellazione. La competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale è passata allo Stato. Anche la Sardegna potrebbe essere colpita dagli effetti di tale norma, in particolare per quanto riguarda la realizzazione del cosiddetto «progetto Eleonora» della Saras spa, cui si sta opponendo fortemente la popolazione locale. Se fossero autorizzate le trivellazioni per la ricerca di giacimenti di gas naturale si andrebbe, infatti, a deturpare un territorio, quello di Arborea, di immenso valore naturalistico, posto a circa 200 metri di distanza dalle aree umide di importanza internazionale tutelate dalla Convenzione di Ramsar, dove vige un vincolo paesaggistico e di conservazione integrale, con costi altissimi per la salute dei cittadini, per l'ambiente e per l'economia della zona;
    altra questione di grande rilievo per l'isola è quella relativa al costo dell'energia, problema che non si è mai affrontato con la dovuta attenzione e che ancora oggi non trova soluzioni da parte del Governo. La criticità, già notevole in tutto il territorio italiano, è ancora più accentuata nella regione. I costi per l'energia, già in generale in Italia maggiori rispetto al resto d'Europa, in Sardegna sono i più alti del Paese, nonostante il surplus di produzione regionale. È doveroso constatare, anche a questo proposito, la mancanza di interventi veramente efficaci finalizzati alla riduzione del costo delle bollette dell'energia elettrica da parte di un Governo che ha attuato finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, soltanto politiche in materia che si sono rivelate fallimentari;
    in Sardegna più di 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L'isola ospita oltre il 60 per cento delle basi militari italiane, strutture e infrastrutture al servizio delle Forze armate italiane o della Nato, un pesante fardello che la regione si porta dietro da decenni. Nonostante la pesante opposizione di cittadini e comitati spontanei che chiedono a gran voce la dismissione dei poligoni e la bonifica dei territori inquinati per i problemi economici e sociosanitari derivanti dalla massiccia presenza militare sull'isola, anche in questo caso la politica, nel corso degli anni, si è mostrata sorda di fronte alle richieste della popolazione. Nel comune di Perdasdefogu, a nord di Cagliari, ha sede il poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra che si estende per 120 chilometri quadrati. Un'inchiesta aperta nel 2011 ha rivelato che il poligono è stato utilizzato per lungo tempo come discarica di materiale militare in cui sono stati smaltiti uranio impoverito e torio radioattivo. Quest'ultimo è stato ritrovato, in seguito alle analisi effettuate, in numerosi alimenti destinati all'uomo e nelle ossa di alcuni pastori che prima di ammalarsi e di morire erano transitati nelle aree del poligono. Il poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare di Teulada, il secondo poligono in Italia per estensione, occupa una superficie di 7.200 ettari di terreno e preclude alla navigazione e alla pesca uno specchio d'acqua di circa 450 chilometri quadrati. Il poligono di Capo Frasca si estende per 1.400 ettari a terra lungo la costa occidentale dell'isola e comprende una fascia di 3 miglia a mare interdetta alla navigazione. Oltre a numerose sedi di comandi militari di Esercito, Aeronautica e Marina, in Sardegna è presente anche un aeroporto militare, quello di Decimomannu. Nell'ottobre 2014 il Ministro della difesa ha firmato il decreto di reimposizione della servitù militare su Guardia del Moro a La Maddalena. L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04728, a prima firma Emanuela Corda, presentata l'11 febbraio 2015, con cui si chiedevano al Ministro della difesa le motivazioni della reimposizione della servitù di Guardia del Moro, ha ricevuto dal ministro interrogato una risposta del tutto insoddisfacente. Il Ministro, anziché dare spiegazioni agli interroganti, ha dichiarato che fornirà maggiori informazioni di dettaglio in seguito all'esito della relativa determinazione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri richiesta dalla regione Sardegna. Anche il tribunale amministrativo regionale della Sardegna si è espresso in merito, stabilendo, con una pronuncia del 2012, che l'interesse alla difesa non è superiore all'interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e affermando che «le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all'esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate»;
    in Sardegna sembrerebbe previsto a breve il trasferimento di 92 detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nella casa circondariale di Sassari-Bancali. La notizia ha destato non poche preoccupazioni tra i cittadini dell'isola, in particolare per i rischi di infiltrazioni e di investimenti della criminalità organizzata che potrebbero derivare da tale trasferimento. Sarebbe pertanto necessario e urgente intervenire per potenziare le forze dell'ordine nel territorio, in modo da garantire maggiore sicurezza alla popolazione, nonché per il riconoscimento dell'autonomia della corte d'appello di Sassari, oggi sede distaccata della corte d'appello di Cagliari, e per la relativa istituzione degli uffici della direzione distrettuale antimafia nella città nel nord dell'isola;
    l'isola de La Maddalena, territorio che può vantare una rara bellezza naturalistica, era stato indicato nel 2009 come luogo ideale per ospitare il vertice dei «grandi della terra», evento che avrebbe portato alla Sardegna grande visibilità a livello nazionale e internazionale, turismo, posti di lavoro e avrebbe dato una grossa mano all'economia regionale. Nonostante ingenti somme di denaro pubblico già spese per avviare opere e per la bonifica del mare, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha stabilito di trasferire la sede del G8 a L'Aquila, dove si è poi tenuto. In tal modo i lavori eseguiti, a tempo di record, fino a quel momento sono stati pressoché inutili. Oggi, a distanza di sei anni dal G8, lo Stato italiano non ha ancora dato corso agli impegni assunti per quanto riguarda le bonifiche. Le acque che dovevano essere bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite versano in uno stato di abbandono. Per il G8 de La Maddalena, secondo i dati ufficiali, sono stati spesi circa 327 milioni di euro, anche se gli investimenti parrebbero superare il mezzo miliardo di euro. Il milionario progetto privato che consisteva in un polo di lusso per la vela, gestito dalla Mita resort dall'ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, di fatto non è mai partito e, a causa delle mancate bonifiche, lo Stato italiano è stato di recente condannato a risarcire l'impresa appaltatrice con 36 milioni di euro;
    la regione sembrerebbe destinata a diventare sede del deposito nazionale di scorie nucleari radioattive, nonostante il netto pronunciamento in occasione del referendum consultivo regionale, svoltosi il 15 e il 16 maggio 2011, da parte della popolazione sarda contro l'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti (848.634 «sì», corrispondenti al 97,13 per cento dei votanti). Il dissenso unanime dei cittadini, dei comitati e delle istituzioni locali e regionali nei confronti dell'individuazione dell'isola come sede del deposito di scorie radioattive scaturisce da precisi motivi, primo fra tutti il reale rischio di compromissione dell'ambiente in un territorio già fortemente penalizzato a causa degli oneri eccessivi delle servitù militari, come sopra esposto. A causa dell'insularità della regione, inoltre, è utile non sottovalutare le implicazioni catastrofiche che potrebbe determinare il trasporto dei materiali radioattivi via mare in caso di incidente, come denunciato anche dall'Enea;
    preoccupano i rischi di inquinamento ambientale che potrebbero essere provocati dall'espansione verso il centro abitato dell'aeroporto di Cagliari-Elmas, così come previsto dal master plan. Il piano di sviluppo aeroportuale prevede, con un investimento totale di 93,9 milioni di euro, un ampliamento del sedime verso nord-est per la realizzazione di un piazzale aeromobili di aviazione generale e aree di sosta, la razionalizzazione e rilocazione dei servizi aeroportuali e delle installazioni militari presenti nelle aree a sud est del sedime per la loro trasformazione in piazzali per aeromobili di aviazione commerciale per passeggeri e merci, la ristrutturazione delle installazioni presenti a ovest del sedime aeroportuale per la creazione di una base tecnica manutentiva e per l'insediamento di un parco logistico e l'ampliamento del lato nord-est dell'aerostazione passeggeri. Il 13 giugno 2014 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno firmato il decreto ministeriale n. 162 che stabilisce la compatibilità ambientale del progetto, cui si stanno opponendo con forza – in particolare per la parte relativa all'ampliamento verso la città – gli abitanti di Elmas;
    anche per quanto riguarda l'agricoltura, un settore produttivo di notevole importanza per l'economia della regione, non sono state considerate nel modo più opportuno le potenzialità del territorio. La nuova classificazione dell'uso del suolo, che ha trasformato in boschi quelli che venivano considerati pascoli a macchia mediterranea, ha provocato notevoli problemi per le aziende agricole sarde che rischiano oggi di perdere milioni di contributi comunitari a causa dell'inserimento nella «lista nera» da parte dell'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura). Il cambiamento di uso, da agricolo a non agricolo, interessa decine di migliaia di ettari di superficie coltivabile e finanziabile. Secondo le stime, inoltre, le 12 mila aziende sarde perderanno a causa del refresh circa 12 milioni di euro per ciascuna annualità;
    secondo il dossier pubblicato nel 2014 dalla rivista Tuttoscuola sulla dispersione scolastica la regione italiana che nel quinquennio 2009/2014 ha in assoluto perso più studenti della scuola secondaria superiore è stata la Sardegna: 6.903 allievi pari al 36,2 per cento. In un territorio dove i numeri sull'abbandono prematuro degli studi sono impressionanti sono a maggior ragione necessari interventi volti al contrasto di questo fenomeno e che siano finalizzati al superamento degli ostacoli che contribuiscono ad acuire il problema. Per effetto del comma 4 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (”Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono state soppresse più di 1.700 scuole e sono stati creati istituti scolastici enormi e difficili da gestire. Ciò ha provocato, tra le altre cose, non pochi disagi per le famiglie, costrette a dover affrontare lunghi e difficoltosi spostamenti quotidiani in un territorio, come già sottolineato, con caratteristiche morfologiche particolari e che pecca di un carente sistema di trasporti. La norma suddetta è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 4 giugno 2012, n. 147, ma risulta che molte sedi scolastiche non siano state ripristinate;
    è opportuno segnalare, infine, la continua dismissione di presidi importanti per la regione, come uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d'Italia, e il relativo accorpamento che, anche in questo caso, non fanno altro che aumentare i disagi per la popolazione sarda,

impegna il Governo:

   ad inserire con urgenza nell'agenda dei lavori dell'Esecutivo l'adozione di iniziative volte al superamento di tutte le criticità evidenziate, valorizzando il principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze e rimuovendo ostacoli procedurali, al fine di affrontare concretamente annose problematiche che affliggono il territorio ed arrivare alla soluzione della «questione Sardegna»;
   ad esaminare proficuamente la «questione Sardegna», anche attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico di lavoro con la Regione autonoma della Sardegna e con il coinvolgimento degli enti locali al fine di analizzare tutte le problematiche sopra esposte e giungere, in tempi certi, a soluzioni condivise e concrete delle numerose vertenze aperte, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali e promuovendo e potenziando le vocazioni principali dell'isola, facendo di queste una forza da sfruttare nel modo più opportuno per avviare rapidamente una ripresa dell'economia della regione;
   a provvedere con urgenza alla consegna delle somme di cui la Regione autonoma della Sardegna è creditrice con lo Stato per il mancato trasferimento di una parte consistente di entrate tributarie, come confermato anche dalla Corte costituzionale nel 2012, al fine di arrivare in tempi rapidi alla conclusione della cosiddetta «vertenza entrate»;
   ad adottare iniziative, anche normative, al fine di garantire un degno sistema di trasporti per la Sardegna, già in una condizione di svantaggio per l'insularità e per la particolare conformazione del territorio, aggravata da un'inadeguatezza dei collegamenti da e per il continente e all'interno dell'isola, affinché sia tutelato il diritto alla mobilità per i cittadini sardi e non sia compromessa la continuità territoriale;
   ad adottare con urgenza iniziative per la messa in sicurezza delle strade statali della regione, attualmente insicure e pericolose, e per la realizzazione o per il completamento di opere infrastrutturali utili per la popolazione, sottraendo risorse a progetti dannosi per l'ambiente e per il territorio e di dubbia necessità oggettiva;
   ad attivarsi per cercare insieme con la Regione autonoma della Sardegna soluzioni comuni, per quanto di competenza e nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, per il salvataggio di aziende pubbliche regionali che rischiano la chiusura e per la salvaguardia dei posti di lavoro, anche considerando l'eventualità di non procedere alle operazioni di privatizzazione previste per alcune di queste;
   a promuovere e ad adottare iniziative urgenti e concrete per il necessario superamento della crisi occupazionale in atto in Sardegna, la quale ha ormai raggiunto caratteri allarmanti;
   a prevedere misure urgenti, di concerto con la Regione autonoma della Sardegna, per la salvaguardia dei posti di lavoro dei dipendenti della Sardegna regionale marittima spa (Saremar), società di gestione del pubblico servizio di linea tra la Sardegna, le isole minori e la Corsica;
   ad adottare iniziative urgenti e maggiormente incisive rispetto alle azioni finora intraprese affinché si arrivi ad una rapida conclusione della vertenza Meridiana al fine di scongiurare definitivamente il rischio del licenziamento collettivo per centinaia di dipendenti del gruppo;
   ad adottare tutte le iniziative che riterrà opportune per la prevenzione del rischio idrogeologico nel medio e nel lungo termine, per la messa in sicurezza del territorio, per la prevenzione e per il contrasto degli incendi boschivi, anche con l'incremento della flotta aerea antincendio dello Stato, per preservare il territorio della Sardegna dai rischi derivanti dall'inquinamento ambientale, troppo spesso provocato dalla «mano umana», tutelando con ogni mezzo a disposizione l'inestimabile patrimonio naturalistico della regione e salvaguardando la salute dei cittadini;
   a colmare con urgenza i ritardi nella consegna delle risorse annunciate per far fronte ai pesanti danni provocati dall'alluvione del 18 novembre 2013 e ad adottare ogni iniziativa che riterrà opportuna a favore dei cittadini e, in particolare, degli imprenditori colpiti dal nubifragio della Romagna del 18 giugno 2014;
   a non concedere alcuna autorizzazione per trivellazioni per la ricerca di giacimenti di gas naturale nel territorio sardo, visti gli altissimi costi, già ampiamente calcolati, per la salute dei cittadini, per l'ambiente e per l'economia che potrebbero derivare dalla realizzazione di tali progetti, come il «progetto Eleonora» nella zona di Arborea, considerato il passaggio allo Stato delle competenze per le valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, come previsto dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133;
   ad adottare con urgenza iniziative a tutela dei lavoratori del polo industriale del Sulcis-Iglesiente e a promuovere immediati interventi di bonifica delle aree industriali dismesse con conseguente riqualificazione del territorio;
   ad adottare iniziative affinché si proceda urgentemente ad una verifica della reale entità dei danni ambientali nell'area della centrale di Fiume Santo e affinché siano accelerate, per quanto di competenza, le procedure di bonifica del sito suddetto e si individuino gli strumenti di intervento per mettere in sicurezza il territorio;
   ad adottare ogni iniziativa che riterrà opportuna al fine di tutelare con ogni mezzo a disposizione la salute dei cittadini della Sardegna, considerato che, in modo particolare nelle aree industriali e in quelle che necessitano di bonifica, il tasso di mortalità registrato, soprattutto per malattie causate dall'inquinamento ambientale, è elevatissimo;
   ad adottare iniziative, incisive e concrete, finalizzate alla riduzione del costo dell'energia che in Sardegna oggi è molto elevato;
   ad adottare iniziative volte alla riduzione della massiccia presenza militare sull'isola e alla bonifica dei territori inquinati;
   ad adottare iniziative finalizzate al riconoscimento della corte d'appello di Sassari come sede autonoma e alla relativa istituzione degli uffici della direzione distrettuale antimafia nella città nel nord dell'isola;
   a dare corso agli impegni assunti dallo Stato italiano per quanto riguarda la bonifica del territorio de La Maddalena, anche al fine del potenziamento dello sviluppo turistico dell'area;
   a rispettare la volontà espressa dai cittadini sardi che in occasione del referendum consultivo del 2011 in materia di nucleare si sono largamente dichiarati contrari all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti;
   ad intervenire affinché non sia realizzata la parte del progetto di ampliamento dell'aeroporto «Mario Mameli» di Cagliari verso il centro abitato, valutando con particolare attenzione le conseguenze negative per la città di Elmas e per le zone limitrofe che potrebbero derivare da tale espansione;
   ad intervenire presso l'Agea affinché si sospendano gli effetti della nuova classificazione dell'uso del suolo per la tutela di moltissime aziende agricole che rischiano di perdere a causa del cambiamento di uso, da agricolo a non agricolo, milioni di euro di contributi comunitari su cui contavano per il mantenimento e per lo sviluppo delle proprie attività;
   ad adottare iniziative volte al contrasto del fenomeno della dispersione scolastica, che in Sardegna ha raggiunto livelli allarmanti anche a causa della chiusura di molte sedi scolastiche.
(1-00850) «Nicola Bianchi, Corda, Vallascas, Sibilia».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto risulta da un recente documento elaborato dall'Istat, le prospettive dell'economia italiana per il 2015-2017 indicano un aumento del prodotto interno lordo nel 2015 (+0,7 per cento), cui seguirà una crescita dell'1,2 per cento e dell'1,3 per cento nel biennio successivo, i cui effetti determineranno la conclusione della fase recessiva del triennio precedente;
    al riguardo, i firmatari del presente atto di indirizzo evidenziano che, a fronte di tali indicatori, obiettivamente modesti, che rimangono al di sotto della media europea, permangono evidenti e gravissime componenti macroeconomiche negative, che rallentano fortemente il consolidamento della ripresa della domanda interna e dei consumi nel Paese, i cui timidi segnali di miglioramento rischiano di essere vanificati rapidamente, se dovesse ulteriormente aumentare prossimamente l'iva, come previsto dalla clausola di salvaguardia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale sul blocco delle rivalutazioni delle pensioni;
    all'interno del sopra esposto scenario, pertanto, permane fragile il quadro complessivo dell'economia italiana, i cui fattori di debolezza si evidenziano, in particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, la cui vastità degli effetti negativi che la crisi economica e finanziaria ha prodotto nel tessuto economico e sociale ha ulteriormente aumentato i divari con le altre aree del Centro-Nord;
    in tale ambito la regione Sardegna, anche a causa della sua insularità che la rende meno concorrenziale rispetto alle altre regioni e per storiche irrisolte questioni, come la continuità territoriale, evidenzia una costante caduta verticale dell'attività economica e produttiva, come dimostrano i principali osservatori nazionali e le analisi della Banca d'Italia, che rilevano come, sia nel 2014 che nel 2015, si siano registrati ulteriori segnali di riduzione della produzione industriale, associati a una diminuzione della domanda di lavoro e alla riduzione del credito alle famiglie e alle imprese della Sardegna;
    le note debolezze strutturali dell'economia regionale isolana, relative al sistema dei trasporti e dei collegamenti stradali, ferroviari e marittimi, le difficoltà legate al diritto alla mobilità, i cui effetti si ripercuotono negativamente sui servizi, sullo spostamento delle persone e delle merci, sul commercio e sui sistemi della logistica e, soprattutto, sull'economia turistica, ribadiscono la necessità di rafforzare le politiche d'intervento in favore dell'area regionale sarda, su cui l'azione del Governo Renzi è stata finora assente e inadeguata, in particolare con riferimento all'insufficienza delle risorse destinate;
    le evidenti politiche di dismissione messe in atto dall'Esecutivo in carica nei riguardi del sistema industriale, artigianale e del terziario della regione Sardegna, come dimostrano il numero delle imprese del Sulcis (pari a 1.250) che hanno cessato l'attività negli ultimi due anni e quelle inattive (oltre 1.110 nel 2014 soggette a procedure concorsuali o in liquidazione), hanno conseguito effetti particolarmente gravi anche nel mercato del lavoro, come dimostrano i dati del primo trimestre del 2015 rilevati dalla Confederazione dell'artigianato e della piccola media impresa sarda;
    la Confederazione nazionale dell'artigianato Sardegna ha infatti evidenziato che, nel primo trimestre del 2015, i lavoratori in uscita risultano pari a 4.820, a fronte di 4.170 assunzioni, con un saldo negativo di – 650 posti di lavoro, aggiungendo, inoltre, come lo scenario economico della Sardegna si caratterizzi negativamente dal numero di persone inattive, pari a 446 mila persone, dal tasso di disoccupazione medio al 18,2 per cento (con quello giovanile che raggiunge oltre il 50 per cento), da 25 mila lavoratori in cassa integrazione guadagni e mobilità in deroga, da oltre 2 mila aziende in crisi e circa 350 mila soggetti che vivono sotto la soglia di povertà, a cui si aggiungono oltre 25 mila imprese artigiane che hanno cessato l'attività nel 2014;
    ulteriori profili di criticità associati a quelli in precedenza esposti si rinvengono anche nell'elevata carenza di scolarizzazione: la percentuale dei giovani che nel 2013 ha abbandonato prematuramente gli studi in Sardegna è pari al 24,7 per cento e rappresenta la più alta in Italia, dopo la Sicilia (25,8 per cento), a fronte della media nazionale pari al 17 per cento, e ciò conferma, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una situazione complessiva sociale ed economica di estrema difficoltà per l'interessata isola;
    a tal fine, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, occorrono politiche d'intervento in netta controtendenza con le misure finora previste dal Governo Renzi, in grado di favorire il processo di crescita e sviluppo per la Sardegna, la cui economia rimane strettamente ancorata alle dinamiche nazionali e del Mezzogiorno;
    al riguardo, risultano urgenti e necessarie misure finalizzate a rafforzare i principi di coesione territoriale, sociale ed economica su cui si fonda il Trattato dell'Unione europea, che individuano nella riduzione delle disparità regionali le condizioni per la crescita e lo sviluppo dell'Unione europea, promuovendo iniziative imprenditoriali pubbliche e private, in favore della regione Sardegna, completando l'infrastrutturazione primaria del territorio sardo e avviando più rapidamente quella secondaria;
    a fronte dei predetti interventi, occorre affiancare ulteriori misure di sostegno attraverso adeguati investimenti, sia per la modernizzazione della viabilità interna, che per il miglioramento della continuità territoriale, costituzionalmente garantita, quale componente fondamentale per la ripresa economica dell'isola, in considerazione degli effetti che riveste sui servizi di trasporto delle persone e delle merci, nonché sui flussi turistici;
    a tal fine, nell'ambito dei sistemi di trasporto marittimo e delle misure d'intervento previste dalla Commissione europea, in merito alla revisione della rete Ten-T, che definisce le scelte strategiche infrastrutturali per i nuovi corridoi trasportistici multimodali, occorre rafforzare le misure d'intervento in favore delle «autostrade del mare»; il ricorso maggiore all'intermodalità, indicato dal piano della logistica come obiettivo chiave dell'economia italiana, consentirà di favorire la regione Sardegna, all'interno della piattaforma logistica del Mediterraneo;
    risultano, altresì, necessari interventi per il completamento delle infrastrutture digitali, rispetto alle quali il Mezzogiorno e la Sardegna sono fortemente in ritardo, in grado di determinare la crescita nel settore della ricerca e dell'innovazione per una nuova linfa imprenditoriale radicata sul territorio, creando nella regione una rete di piccole e medie imprese capaci di produrre indotto;
    nell'ambito delle misure prospettate, occorre, altresì attivare ulteriori iniziative rispetto a quelle già esistenti, attraverso l'estensione in via sperimentale delle zone franche, in grado di garantire agevolazioni fiscali e contributive in favore delle micro e piccole imprese che sono ubicate nei territori dei comuni della regione Sardegna, interessati maggiormente dai livelli di crisi produttiva e occupazionale, al fine di stimolare i consumi e la ripresa della domanda che, secondo l'ufficio studi di Confcommercio (sugli ultimi dati disponibili), segnano un prodotto interno lordo a meno 4,8 per cento rispetto al nazionale;
    a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, necessitano, tra l'altro, adeguati interventi volti alla risoluzione delle difficoltà dei servizi di trasporto ferroviario ed aereo (anche a causa della crisi delle compagnie di volo Meridiana e Alitalia), spesso oggetto di reiterate interruzioni, le cui ricadute negative sui flussi di traffico passeggeri e merci, sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici, in nome di un progetto di complessiva razionalizzazione dei servizi e della rete finalizzato unicamente alla contrazione dei costi, rischiano di accrescere i ritardi rilevanti rispetto alle altre aree del Paese e del Mediterraneo;
    nell'ambito degli accordi di partenariato per il commercio e gli investimenti fra Unione europea e Stati Uniti d'America, volti a sostenere entrambe le economie continentali, la regione Sardegna può svolgere un ruolo fondamentale all'interno dei negoziati, attraverso l'articolo 52 dello statuto speciale (che prevede il coinvolgimento nell'elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri nell'ambito degli scambi di specifico interesse della Sardegna), per i meccanismi arbitrali Investor State dispute settlement indicati dal trattato medesimo;
    risulta, pertanto, indifferibile la realizzazione di un piano d'intervento, in favore della regione Sardegna, attraverso i sopra esposti indirizzi strategici da perseguire con convinzione e con i necessari investimenti finalizzati alla creazione di un nuovo modello di sviluppo legato ad una visione non solo nazionale, all'interno di una prospettiva di sviluppo internazionale dell'isola,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative indicate in premessa, con particolare riferimento alle politiche d'intervento legate al miglioramento dei sistemi infrastrutturali di collegamento e dell'estensione delle zone franche per le aree del territorio ad elevata disoccupazione, al fine di rilanciare lo sviluppo e la crescita della regione Sardegna, i cui livelli di debolezza economici e sociali permangono ancora su livelli elevati;
   ad intervenire in sede comunitaria, sia favorendo iniziative finalizzate ad incrementare il ricorso all'intermodalità attraverso il sistema delle autostrade del mare, tramite lo strumento dell’ecobonus, in grado di migliorare il sistema dell'autotrasporto della Sardegna, che nell'ambito dei negoziati in corso del Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), affinché la medesima regione possa svolgere un ruolo primario nell'elaborazione del trattato;
   a prevedere, infine, la realizzazione di un piano d'intervento straordinario in favore della regione Sardegna, attraverso l'istituzione di una cabina di regia rappresentata dalle istituzioni locali e dalle imprese sarde, in grado di realizzare gli indirizzi d'intervento indicati in premessa.
(1-00851) «Nizzi, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    la nostra salute dipende in larga misura dalla nostra alimentazione e un mondo sempre più globalizzato, modelli e stili di vita sbagliati, hanno incrementato notevolmente il consumo di cibi veloci e alimenti prodotti su scala industriale. Altro elemento di cui tenere conto è la crisi economica in cui versa il nostro Paese e tra le conseguenze vi è anche la riduzione della spesa degli italiani per i prodotti alimentari: sono diminuite le vendite di alimenti dotati di maggiore valore nutritivo come il pesce e la carne, ma più costosi, a favore, dell'aumento di prodotti da forno, cibo precotto e preconfezionato, o prodotti a basso costo e di scarsa qualità. A essere a rischio è soprattutto la salute dei bambini e degli anziani che richiedono una dieta equilibrata, ma anche degli adulti che rischiano l'obesità a causa della continua assunzione di alimenti ipercalorici;
    diversi prodotti consumati dalla popolazione, come i prodotti da forno industriali, patate fritte, biscotti, cereali e caffè è presente naturalmente l'acrilamide;
    l'acrilamide è un composto chimico che si forma nei prodotti alimentari amidacei che hanno una presenza di zuccheri elevata. Il composto chimico di sviluppa durante la cottura ad alte temperature ed è in grado di spezzare e di alterare la catena del DNA dando luogo a riproduzioni cellulari errate. Ritenuto nocivo per le sue proprietà cancerogene e geno-tossiche, si forma principalmente nella cottura di patatine fritte, di biscotti, e del caffè tostato. Nonostante gli allarmi e le raccomandazioni adottate dalle autorità sanitarie e gli impegni assunti dalle industrie agroalimentari, la maggior parte dei prodotti alimentari a rischio contengono ancora molte tracce di questa sostanza chimica pericolosa per la salute;
    l'acrilamide è considerato un potenziale cancerogeno anche dall'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro e l'EFSA, (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha reso noti gli inquietanti risultati di una ricerca effettuata su campioni di prodotti alimentari raccolti nell'arco di due anni. Si è potuto dimostrare che il contenuto di acrilamide è direttamente correlato alla doratura degli alimenti, di conseguenza si dovrebbe evitare di cucinarli troppo a lungo o di dorarli. I dati raccolti dovevano essere usati dalla Commissione europea e dai Paesi membri per scrivere le nuove «misure volontarie adottate dall'industria alimentare per ridurre i livelli di acrilamide», tuttavia a oggi nulla si è fatto in tal senso;
    preso atto che non è possibile azzerare la concentrazione del composto chimico presente in natura, sarebbe importante conoscere quali dosi possano essere pericolose per l'uomo e determinarne un limite di contaminazione. Avviando studi di ricerca, si potrebbe inoltre dimostrare l'effettiva correlazione tra l'acrilamide e i possibili effetti dannosi alla salute umana;
    nel 2005, un gruppo di ricercatori svedesi, a seguito di studi sull'acrilamide, aveva chiesto alle Autorità europee e alle industrie agroalimentari di ridurre la presenza di questa sostanza negli alimenti;
    mentre i dati finora a disposizione sui casi di cancro alle persone non permettono di trarre conclusioni definitive sul rischio di elevate percentuali della malattia dovuto all'assunzione di acrilamide, l'UFSP continua ad attribuire un'elevata importanza alla presenza di acrilamide, potenzialmente cancerogena, nei nostri alimenti. Il problema interessa sia i prodotti industriali, sia gli alimenti preparati nelle economie domestiche private. In questo senso occorrerebbe dar via a una campagna d'informazione e sensibilizzazione nei confronti della popolazione e nello stesso tempo richiamare la produzione industriale al fine di ottimizzare i processi di produzione industriali creando alimenti che generino la minor quantità possibile di acrilamide durante l'arrostimento, la cottura nel forno e la frittura;
    in Svizzera sono stati condotti progetti di ricerca fortemente tesi a ridurre la formazione di acrilamide negli alimenti aventi per base le patate, come ad esempio le patatine fritte che rappresentano in Europa un elevato consumo. Si ha così potuto dimostrare che, seguendo semplici norme di fritture, è possibile preparare senza problemi patate fritte con un tenore di acrilamide inferiore ai 500 μg/kg;
    tuttavia, in Italia vi è un silenzio pressoché totale sulla questione. Le autorità preposte alla salute e alla sicurezza alimentare non hanno mai rilasciato informazioni al riguardo. Sorge spontaneo chiedersi se l'Italia sia veramente così isolata da quanto avviene nel resto d'Europa o se le nostre autorità non cerchino intenzionalmente di mettere tutto a tacere. Mentre altri Paesi stanno già lavorando a strategie di contenimento, la discussione a livello italiano non è mai stata avviata nelle sedi istituzionali e mentre in Svezia e negli Stati Uniti i risultati dei test sugli alimenti sono già stati resi noti all'opinione pubblica, in Italia non siamo che all'inizio dei controlli;
    l'obiettivo è ridurre il tasso di acrilamide negli alimenti attraverso modifiche dei processi produttivi, con particolare attenzione alla scelta, al trattamento e alla composizione delle materie prime. Questo sforzo vede coinvolti anche i settori della ricerca in campo alimentare al fine di prevenire e tutelare la salute, in particolar modo nei confronti dei bambini, che come risaputo, sono i maggiori consumatori di patate fritte industriali, di altri prodotti da forno fritti e di cibi veloci. I più piccoli possono raggiungere molto in fretta il valore soglia indicato dall'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) per l'assunzione di acrilamide;
    secondo il Centro tutela consumatori utenti, i consumatori non possono aspettare fino a quando il problema sarà risolto, ma devono essere informati passo dopo passo. Le autorità e il mondo economico dovrebbero ora più che mai avere fede alle proprie responsabilità e rispettare il principio della trasparenza, fornendo ai consumatori tutti i dati disponibili in merito alla presenza di acrilamide negli alimenti. È essenziale che l'industria alimentare intraprenda globalmente sforzi volti a diminuire in modo durevole il contenuto di acrilamide in tutte le categorie di alimenti interessati,

impegna il Governo:

   a valutare il potenziale rischio per i consumatori, in un'ottica di prevenzione della salute;
   ad effettuare studi di ricerca approfonditi al fine di stabilire valori soglia e dosi massime ammissibili, per stabilire i rapporti quantità-effetto e le conseguenze derivanti dall'assunzione di acrilamide, sulla salute umana;
   a intraprendere verso l'industria dei prodotti di panetteria e dei prodotti tostati, un'azione tendente ad ottenere una modifica dei processi di cottura degli alimenti che contengono l'acrilamide, con l'obbiettivo di raggiungere una diminuzione del tenore del composto chimico nocivo, in tutti i gruppi di derrate alimentari pronti al consumo;
   al fine di proteggere la salute della popolazione, a rendere obbligatoria la dicitura «prodotto contenente acrilamide», sulla confezione di patate fritte industriali e in tutti i prodotti da forno cotti ad elevate temperature.
(1-00852) «Pellegrino, Nicchi, Duranti, Ricciatti, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    il giorno 18 aprile 2015, durante il Festival nazionale del volontariato a Lucca, è stato promosso un appello per introdurre nella normativa internazionale, europea ed italiana il «diritto alla pace» dalle seguenti organizzazioni ed istituzioni: Centro Nazionale del Volontariato, Forum Terzo Settore, Centro Diritti Umani di Padova, l'Associazione delle ONG italiane, LINK 2007, Movimento Nonviolento, Piattaforma Medio Oriente, Rete Italiana per il Disarmo, Focsiv;
    in questo appello si afferma che:
    «Cento anni fa la prima guerra mondiale, ha lasciato sul campo più di 10 milioni di morti e 20 milioni di feriti, mutilati, invalidi. Le centinaia di guerre che sono venute dopo hanno causato più di duecento milioni di morti, senza contare i cosiddetti “danni collaterali” (milioni e milioni di donne, uomini e bambini uccisi o dilaniati dalla fame e dalle malattie conseguenza delle stesse guerre) e l'immensa quantità di beni e risorse che sono stati distrutti e sottratti allo sviluppo dell'intera umanità;
    i recenti episodi di Parigi e della Nigeria, così come la guerra in Siria e in Kurdistan raccontano, insieme a tante altre storie, la realtà di un mondo dove la guerra, i conflitti e la violenza sono ancora di “casa”, un mondo che fa fatica a trovare le strade della pace;
    gli interessi economici fine a se stessi, i fondamentalismi religiosi, il non rispetto dell'altro e della sua diversità, la mancanza di dialogo e di ascolto, le discriminazioni e le ingiustizie, la cultura dello scarto sono alla base delle diverse guerre-conflitti-violenze che attraversano, in modo frammentato, la nostra terra e continuano pesantemente a fare vittime soprattutto tra le donne ed i bambini;
    così come sottolineato da Papa Francesco “Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”;
    dunque occorre lavorare per creare una cultura che fermi il dilagare delle violenze, che identifichi le strade per la concordia, che individui gli strumenti per risanare le ferite, che nel rispetto delle identità e delle diversità, identifichi valori comuni attorno a cui costruire nuovi modelli di società-comunità dove nessuno sia o si senta scartato, emarginato, rifiutato o ingiuriato, occorre lavorare affinché si riconosca il diritto alla pace per ogni persona e per ogni popolo;
    occorre valorizzare l'impegno di tante persone, ed in particolar modo dei volontari internazionali che quotidianamente lavorano per costruire la pace, disarmando le menti, avvicinando le persone, costruendo ponti. Il Volontariato Internazionale organizzato infatti è nato come risposta della società civile alle rovine della guerra ed al bisogno di ricostruire rapporti di fratellanza universale fra le parti in conflitto;
    pertanto è quanto mai opportuno oggi valorizzare e moltiplicare la vocazione del volontariato come strada per la pace, soggetto capace di costruire relazioni di fraternità nel rispetto delle identità e delle diversità, capace di entrare dentro i conflitti con strumenti non armati e nonviolenti, capace di avvicinare i lontani, creando spazi concreti per l'incontro ed il dialogo, costruendo comunità unite e solidali dal livello locale e quello globale. Oggi, più che mai, il volontariato è un promotore di pace;
    consapevoli dell'opportunità storica che il Consiglio Diritti Umani, in coincidenza con il 70o anniversario delle Nazioni Unite, offre alla Comunità internazionale di formalmente inscrivere la pace tra i diritti umani internazionalmente riconosciuti mediante una solenne Dichiarazione sul diritto alla pace;
    convinti che la pace è prerequisito e allo stesso tempo frutto del godimento di tutti i diritti umani;
    sottolineando con forza che il diritto alla pace ha la sua radice nel diritto alla vita. Sottolineando che il rispetto della dignità umana e dei diritti che ad essa ineriscono costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo»;
    nell'appello richiamato le organizzazioni promotrici ricordano come l'articolo 4 della Carta delle Nazioni Unite afferma che gli Stati membri devono essere «amanti della pace»;
    le stesse organizzazioni ricordano come l'articolo 28 della Dichiarazione universale afferma che ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale in cui tutti i diritti e le libertà fondamentali possono essere pienamente realizzati;
    la pace è un valore e un processo multidimensionale, comprensivo di aspetti giuridici, politici, sociali ed economici;
    va ricordato come l'articolo 1 della dichiarazione sul «Diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti» stabilisce: «Tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale»;
    è stato approvato dai consigli di oltre trecento enti locali un ordine del giorno per l'introduzione del «diritto alla pace» preparato dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani e dalla Cattedra UNESCO Diritti Umani, Democrazia e Pace dell'Università di Padova,

impegna il Governo:

   a sostenere nell'ambito dell'Unione europea, delle Nazioni Unite e nelle altri sedi internazionali più opportune il riconoscimento del «diritto alla pace»;
   ad adottare «il diritto alla pace» nella normativa italiana come fondamentale diritto della persona e della collettività, dando seguito alla richiesta avanzata dalle deliberazioni di oltre 300 consigli di enti locali a favore del «diritto alla pace»;
   a valorizzare e rafforzare nella normativa italiana e nella politica del nostro Paese l'impegno di tanti volontari che, sia in Italia che nel mondo, lavorano per la costruzione e la promozione della pace;
   a valorizzare e stabilizzare i nascenti Corpi civili di pace, come strumento di intervento nonviolento nei conflitti e costruzione della pace nella cooperazione internazionale.
(1-00853) «Marcon, Patriarca, Bueno, Duranti, Grassi, Sberna, Bruno Bossio, Pellegrino, Zanin, Fassina, Kronbichler, Beni, Melilla, Scuvera, Fitzgerald Nissoli, Scotto, Paglia, Capone, Zaratti, Nicchi, Airaudo, Piras».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e VI,
   premesso che:
    sul territorio italiano sono presenti ordini di varia natura che godono dei privilegi della extraterritorialità. Il concetto di extraterritorialità trova la sua origine in un'antica concezione del diritto internazionale, che invitava a considerare gli agenti diplomatici di un altro Stato come se si trovassero in una condizione di quasi extra-territorium. I casi più comuni di extraterritorialità riguardano la situazione giuridica chiamata di immunità di cui godono le sedi diplomatiche; tale situazione deriva dall'osservanza di obblighi di diritto internazionale da parte dello Stato ospitante la missione a favore dello Stato di cui essa è organo;
    attualmente, con il termine extraterritorialità si indica l'autolimitazione di sovranità che uno Stato attua nell'applicare la propria giurisdizione sul territorio dove si trova una sede diplomatica straniera, al fine di garantire ampia libertà e indipendenza ai diplomatici. Ciò non esclude che per lo Stato ospitante la sede sussistano obblighi; in particolare quelli necessari ad assicurare l'inviolabilità della sede diplomatica;
    contestualmente, sopravvivono delle entità di natura politica che, in virtù dell'extraterritorialità ed accordi bilaterali con il nostro Paese, godono di regimi fiscali particolari, immunità tributaria che li esenta dal pagamento di determinate imposte, tra le quali l'IMU agricola;
    l'accordo internazionale può essere considerato come un contratto stipulato tra due o più Stati, diretto a regolare una determinata sfera di rapporti tra i contraenti. La sua formazione è regolata da una serie di norme consuetudinarie e convenzionali che rientrano nel diritto pubblico internazionale. Ai singoli Stati è lasciata la massima autonomia nella definizione delle forme e delle procedure di ratifica dell'accordo e di recepimento nella legislazione nazionale delle norme sovranazionali;
    con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 «Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421» (Gazzetta Ufficiale n. 305 del 30 dicembre del 1992 – Suppl. Ordinario n. 137) veniva istituita l'imposta comunale sugli immobili (ICI);
    a norma dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 sono esentati dall'imposta i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810, nonché i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l'esenzione dall'imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia;
    le proprietà di cui ai punti precedenti rientrano secondo la classificazione ATECO (classificazione delle attività economiche) alla sezione «U», divisione 99 (organizzazioni ed organismi extraterritoriali), gruppo 990 (organizzazioni ed organismi extraterritoriali). Classe 9900 (organizzazioni ed organismi extraterritoriali), categoria 99000 (organizzazioni ed organismi extraterritoriali) e in molti casi svolgono attività di lucro;
    tra le attività lucrativa si annoverano le celeberrime aziende agricole di proprietà del Sovrano Militare Ordine di Malta (S.M.O.M), un patrimonio che rappresenta una delle più grandi realtà agricole nazionali soprattutto nell'ambito vitivinicole, come quella in località, Sugarella, nel comune di Canino (VT), quella di Rocca Bernarda (50 ettari) nella zona DOC Colli orientali del Friuli, quella del Castello di Magione (34 ettari) nella zona DOC colli del Trasimeno, quella della Commenda Meniconi Bracceschi di Brufa di Torgiano (14 ettari) nella zona Doc Torgiano e infine quella del Beato Gerardo di Giavera del Montello a Nervesa della Battaglia (22 ettari), in provincia di Treviso, nella zona DOC Montello Colli Asolani e che ha recentemente ottenuto la DOCG Prosecco;
   oltre a quelle indicate in precedenza, si annoverano quelle facenti parte di alcune confessioni religiose come le aziende agricole Diocesane per il sostentamento del clero impegnate prevalentemente nell'ambito vitivinicolo;
    le amministrazioni locali pur vedendosi decurtare dal Fondo di, solidarietà il corrispettivo dell'IMU sui terreni agricoli per le terre di proprietà degli enti di cui prima, in virtù degli accordi internazionali di cui in premessa, non possono riscuotere l'imposta, ingenerando di fatto un mancato gettito nelle casse comunali che inficia sull'erogazione dei servizi nei confronti dei cittadini;
    l'Unione europea ha recentemente riaperto il caso sugli sconti fiscali alla chiesa cattolica, con una decisione della Corte di giustizia di Lussemburgo che ammette nel merito un ricorso che potrebbe costare agli enti ecclesiastici che operano in Italia fino a quattro miliardi di euro, ossia l'ammontare di ICI e IMU non pagato dal 2008;
    l'esenzione dal pagamento dell'IMU sui terreni agricoli appartenenti a Stati esteri e alle organizzazioni internazionali priva lo Stato italiano di un consistente gettito fiscale e, in un momento di crisi economica come quella attuale, continuare ad accordare tali privilegi appare, ai firmatari del presente atto, immorale, oltre che iniquo, nei confronti dei milioni di agricoltori italiani che con sacrificio lavorano la terra e contribuiscono a produrre una parte considerevole del prodotto interno lordo nazionale,

impegna il Governo:

   a riconsiderare gli accordi internazionali di cui in premessa al fine di revocare agli enti e agli ordini interessati da tali accordi l'immunità tributaria loro accordata ed in particolare, ad assoggettarli al pagamento dell'IMU sui terreni agricoli di loro proprietà;
   a colmare il «buco statistico» provvedendo celermente ad un censimento sul territorio nazionale delle proprietà terriere riconducibili agli organismi extraterritoriali.
(7-00676) «Alberti, Manlio Di Stefano, Massimiliano Bernini, Gallinella, Parentela, Benedetti, Pesco, Villarosa».


   Le Commissioni VI e XII,
   premesso che:
    in Italia le malattie cardiovascolari sono la causa di oltre il 41 per cento dei decessi ogni anno e rappresentano la prima causa di morte;
    il decesso per cause cardiache può verificarsi anche in assenza di precedenti sintomi ed essere quindi la prima e fatale manifestazione della malattia coronarica. Nel 60 per cento dei casi, la morte cardiaca improvvisa è dovuta ad aritmie fatali, quali la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare senza polso;
    in Italia ogni anno si stimano circa 60.000 decessi per morte cardiaca improvvisa. Per comprendere l'entità del fenomeno, si consideri che nel nostro Paese le vittime per incidenti stradali nell'anno 2013 sono state 3.400;
    per casi di arresto cardiaco, si conosce l'importanza del primo soccorso nel ridurre sia il rischio di mortalità sia le complicanze. Infatti, se le funzioni vitali cessano e non vengono supportate e ripristinate tempestivamente, il cervello va incontro a danni che diventano irreversibili dopo pochi minuti. Ne consegue che la tempestività del primo soccorso e delle manovre salvavita aumentano considerevolmente la probabilità di sopravvivenza;
    l'intervento del 118, associato alle manovre salvavita eseguite precocemente dal soccorritore occasionale, aumentano in modo importante le probabilità di sopravvivenza. Infatti, si stima che ad ogni minuto, in assenza di manovre, si perda il 10 per cento di possibilità di ripresa;
    la legge 3 aprile 2001, n. 120, e le successive normative in materia hanno consentito l'utilizzo del defibrillatore semiautomatico anche da parte di soccorritori-cittadini non professionisti, purché adeguatamente addestrati e abilitati. La formazione consiste in un corso teorico/pratico della durata di 5 ore con istruttori certificati;
    il «decreto Balduzzi», pubblicato sulla gazzetta ufficiale (decreto del 23 aprile 2013), mira a dotare determinati luoghi e strutture, sulla base dell'afflusso di utenti e di dati epidemiologici ed in base a specifici progetti, di defibrillatori semiautomatici esterni i seguenti luoghi e struttura;
    la nota del Ministero della salute del 16 maggio 2014 introduce un'importante novità: «L'autorizzazione all'uso del DAE rilasciata a personale non sanitario, intesa come atto che legittima il soggetto ad impiegare il DAE ai sensi della Legge 2 aprile 2001, n. 120, ha durata illimitata», ferma restando l'esigenza di pianificare un retraining periodico delle manovre di RCP;
    in alcune città italiane, la Pubblica Assistenza Croce Verde ha creato un progetto in collaborazione con il comune di appartenenza per dotare i centri storici cittadini di una rete di defibrillatori;
    la legge 11 agosto 1991, n. 266, «Legge-quadro sul volontariato», all'articolo 8, comma 2, prevede: «Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini suindicati»;
    tale indicazione è stata ribadita dalla circolare del Ministero delle finanze 25 febbraio 1992, n. 3, che a questo proposito precisa: «Al comma 2 si prevede l'esclusione dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto delle operazioni effettuate dalle organizzazioni medesime, con l'effetto che nessun adempimento fiscale va osservato in relazione alle dette operazioni. Nella previsione esentativa possono ritenersi comprese anche le cessioni, effettuate nei confronti delle dette organizzazioni, di beni mobili registrati, quali autoambulanze, elicotteri o natanti di soccorso, attesa la loro sicura utilizzazione nell'attività sociale da queste svolte»;
    ne consegue che sui mezzi utilizzati dalle associazioni regolarmente iscritte al registro regionale del volontariato, per il perseguimento dei fini statutari, è prevista l'esenzione dal pagamento dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) per una percentuale del 20 per cento; ciò permette alle associazioni ONLUS, regolarmente iscritte al registro regionale, un considerevole risparmio che può essere reinvestito in altre attività ad alto valore sociale;
    al momento non esiste alcun tipo di provvedimento in merito ad agevolazioni sul pagamento dell'IVA sui defibrillatori, pur considerati strumenti fondamentali per salvare una vita umana in caso di arresto cardiaco;
    un eventuale rimborso dell'IVA su questi strumenti promuoverebbe la diffusione degli stessi attraverso la loro installazione, in primis in realtà sportive e scolastiche,

impegna il Governo

nel rispetto delle proprie competenze e di quelle regionali in materia sanitaria, ad assumere iniziative per promuovere la diffusione dei defibrillatori attraverso iniziative normative per l'introduzione di agevolazioni sul pagamento dell'IVA di tali strumenti e nello specifico estendendo quanto previsto dalla legge dell'11 agosto 1991, n. 266, «Legge-quadro sul volontariato» anche all'acquisto dei defibrillatori da parte di associazioni ONLUS iscritte al registro regionale e del volontariato che assicurino anche una verifica puntuale degli impianti installati.
(7-00678) «Sbrollini».


   La III Commissione,
   premesso che:
    fino al 1990 l'attuale Yemen è stato diviso in due stati separati, lo Yemen del Nord, con capitale Sana'a, e lo Yemen del Sud, con capitale Aden. La riunificazione portò alla presidenza Ali Abd Allah Saleh, rimasto in carica fino al 2012;
    spesso presentato come una storia di successo tra le rivolte arabe, il processo di transizione sostenuto a livello internazionale in Yemen ha iniziato a mostrare tutta la sua fragilità a partire dallo scorso settembre quando gli Houthi, guidati da Abdul-Malik al-Houthi, sono entrati nella capitale Sana'a, capitalizzando le proteste e la rabbia diffusa dopo l'annuncio del governo di un forte aumento dei prezzi del carburante, accrescendo il loro sostegno anche in aree non sciite grazie all'aver fatto propri i temi che avevano animato le rivolte contro Saleh nel 2011 (lotta alla corruzione delle vecchie élite di regime e ad al-Qaeda) e costringendo il Primo Ministro Salem Basindwa alle dimissioni. Il rafforzamento degli Houthi nel nord del Paese e la rapida presa della capitale sono state possibili anche grazie all'allineamento tattico con tribù, comandanti militari e alcune unità d’élite della Guardia Repubblicana rimaste fedeli all'ex presidente Saleh e contro nemici comuni, come il partito islamista sunnita Islah, i salafiti e la potente famiglia tribale degli Al-Ahmar;
    gli Houthi sono sciiti, chiamati anche i «partigiani di Allah», dietro i quali sono in molti a sospettare ci sia l'Iran; dal settembre 2014 le loro milizie occupano gran parte della capitale yemenita e sono anche sostenuti dall'ex presidente Saleh, strumentalmente interessato ad appoggiare l'azione dei ribelli sciiti per potersi riprendere il potere;
    a fine marzo l'Arabia Saudita ha iniziato a bombardare lo Yemen (operazione Decisive Storm). Ai bombardamenti ha partecipato l'Egitto mentre il governo degli Emirati Arabi Uniti non ha escluso un intervento di terra; tra l'altro, per quel che se ne sa, gli Houthi da sempre hanno combattuto le forze di Al Qaeda ma adesso, grazie ai massicci attacchi aerei della coalizione saudita, questi terroristi stanno avanzando e guadagnando terreno;
    il 14 aprile 2015, con 14 voti a favore, tra i quali Venezuela e Cina, e l'unica astensione della Russia che comunque non si è avvalsa del diritto di veto, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato la risoluzione sulle sanzioni contro i ribelli Houthi in Yemen. La risoluzione 2216 è stata redatta dalla Giordania, Presidente di turno del Consiglio di sicurezza, d'intesa con l'Arabia Saudita e la coalizione di Paesi sunniti che il 26 marzo avevano lanciato la citata operazione Decisive Storm; la risoluzione decreta il totale embargo delle forniture di armi, assieme all'obbligo di ispezionare tutte le navi cargo a loro destinate, dichiarando un blocco navale de facto; inoltre, viene imposto agli houthi – e a tutte le altre fazioni yemenite – di porre termine alle violenze, ritirarsi dalle aree conquistate – inclusa la capitale Sana'a – e di riconsegnare tutte le armi sequestrate nei depositi militari;
    tra il caos assoluto in corso in Medio Oriente e in una parte dell'Africa, si è dunque assistito a bombardamenti sullo Yemen da parte dei Paesi del Golfo, con a capo l'Arabia Saudita, con l'appoggio militare di Israele e Stati Uniti e il silenzio assenso dei Paesi europei; tra l'altro, Human Rights Watch ha accusato l'Arabia Saudita di usare cluster bomb (bombe a grappolo) americane nei bombardamenti contro i ribelli sciiti Houthi in Yemen. Secondo la citata organizzazione per la tutela dei diritti umani, queste bombe sarebbero state usate almeno due volte nei bombardamenti condotti dalla coalizione guidata dai sauditi, circostanze comprovate da numerose prove video e fotografiche;
    il vicepresidente e Primo Ministro dello Yemen, Khaled Bahah, ha dichiarato: «Continuiamo a sperare che non vi sia una campagna militare di terra in parallelo ai raid aerei», affermazioni che giungono dopo l'annuncio di una serie di esercitazioni congiunte da parte dell'Arabia Saudita e altri paesi arabi, fra cui l'Egitto, che hanno dato spazio alle ipotesi per un possibile intervento da parte della coalizione militare a guida saudita; dal suo esilio a Riad, dove risiede insieme al resto del Governo yemenita, Bahah ha lanciato un appello alle forze armate per sostenere «il governo legittimo in esilio», sottolineando che un cessate il fuoco dovrà precedere qualsiasi iniziativa di dialogo;
    dagli ultimi bilanci riportati dall'Unicef che risalgono allo scorso 6 aprile l'aggressione allo Yemen avrebbe causato più di 330.000 sfollati interni, mentre sarebbero più di 250.000 gli yemeniti fuggiti all'estero (i quali tentano di raggiungere i Paesi del Corno d'Africa, anche se è bene ricordare che prima di questa aggressione succedeva esattamente il contrario: gli abitanti dei paesi del Corno d'Africa cercavano scampo approdando nello Yemen); i morti sarebbero al momento più di 700 e oltre 2000 i feriti; molti Paesi come la Cina, il Pakistan e l'India hanno già evacuato i loro concittadini mentre non è chiaro quanti italiani siano presenti in Yemen;
    appare evidente come questi numeri siano destinati a crescere se bombardamenti sauditi, proseguiranno, interventi, tra l'altro, compresi e condivisi anche dal Governo italiano: «L'Italia riconosce il diritto dell'Arabia Saudita a difendere la propria sicurezza» ha dichiarato recentemente il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
    il 21 aprile 2015 l'Arabia Saudita ha annunciato la fine dell'operazione Decisive Storm – sebbene sul campo proseguono gli scontri con le esigue forze fedeli a Hadi – ma a quanto pare vi subentreranno, in parte, gli Stati Uniti attraverso il dispiegamento della portaerei Theodore Roosevelt, più altre navi militari in appoggio, per contrastare le navi mercantili iraniane sospettate di trasportare armi verso lo Yemen e per «assicurare la libertà di navigazione e il libero flusso dei commerci»; tuttavia, non è da escludere che la seconda fase della nuova campagna non comporti un intervento di terra di parte saudita, dal momento che re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud ha mobilitato la guardia nazionale, che già monitorava i confini;
    si apprende da notizie di agenzia stampa, che il governo di Ryad ha già annunciato l'avvio di un'altra operazione a guida saudita, la Renewal of Hope, le cui manovre saranno tese soprattutto a proteggere la popolazione e a evitare che gli Houti riprendano l'offensiva sulle forze del Presidente AbdRabbu Mansour Hadi ad Aden e in altre località del Paese;
    accedendo a dati ufficiali e pubblici (citati anche in un recente rapporto di Amnesty International che dipinge la preoccupante situazione di questo Paese arabo), è possibile scoprire tutte le recenti forniture di armi del nostro Paese verso lo Yemen. Già il rapporto di Amnesty cita circa 300mila dollari di revolver e pistole di natura militare, ma per essere più precisi ci si può riferire sia ai dati statistici nazionali (ISTAT) e internazionali (ONU-COMTRADE) sia a quanto riferito nella relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento sull’export bellico italiano;
    come si può facilmente apprendere dal sito disarmo.org: «Se prendiamo in considerazione quanto riportato da ISTAT e ONU COMTRADE ci troviamo di fronte ad armi non ad uso militare o da guerra, ma sempre ovviamente armi leggere quindi le più problematiche in certe zone del mondo. Sia i dati italiani che quelli internazionali devono corrispondere, perché riguardano la stessa filiera di controllo, ed entrambi ci raccontano di grosse forniture per il 2009: oltre 200.000 euro per 595 rivoltelle e pistole e 280.000 euro di munizioni e parti di armi. Il tutto, come detto, trattato come mero dato statistico, senza approfondire motivi di questa vendita e soprattutto senza esplicitare nelle mani di chi queste armi siano arrivate»;
    per quanto riguarda, invece, le armi ad uso militare, grazie all'incrocio di diverse tabelle della Relazione al Parlamento della Presidenza del Consiglio (ex legge 185 del 1990) si può essere più precisi, sempre secondo il lavoro di analisi effettuato dalla Rete Disarmo: «Per l'anno 2009 la fornitura effettuata dalla Fabbrica d'armi Pietro Beretta spa è di 35 fucili a ripetizione manuale calibro 7,62x51 mm NATO con calcio pieghevole (e 70.000 unità di relative munizioni) oltre a 35 fucili a ripetizione manuale calibro 8, 6x7Omm NATO con calcio pieghevole (sempre con i soliti 70.000 pezzi di munizionamento); per i fucili di entrambi i calibri è poi stata autorizzata la vendita di 595 parti di ricambio»;
    inoltre, mentre l'Arabia Saudita risulta essere il principale cliente della nostra industria militare, con quasi 300 milioni di euro di esportazioni autorizzate nel 2013, nel gennaio 2015 il Consiglio di sicurezza federale tedesco ha deciso di sospendere ogni fornitura militare verso l'Arabia Saudita (le esportazioni di armi made in Germany autorizzate nel 2013 ammontavano a 360 milioni di euro) perché «la situazione nella regione è troppo instabile»;
    la situazione umanitaria in Yemen, al momento, risulta catastrofica, come ha affermato il responsabile delle operazioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Medio Oriente, Robert Mardini, in particolare nelle città di Sana'a, Aden, Taiz e Marib, dove i danni collaterali dei raid aerei della coalizione saudita inflitti alle vite e alle proprietà dei civili sono «assolutamente scioccanti»,

impegna il Governo:

   a impedire, con tutti gli strumenti di cui dispone, il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen in porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, acque territoriali e spazio aereo italiani, da qualsiasi parte essi provengano;
   a fornire dati necessari per sapere quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (Paese sovrano) siano di provenienza italiana;
   ad adoperarsi, di concerto con la comunità internazionale, anche con la convocazione di una Conferenza internazionale di pace, per giungere a una soluzione politica inclusiva nello Yemen affinché si possa riprendere al più presto la via della democratizzazione e per prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo;
   a riconsiderare l'opportunità di vendere armi a un Paese come l'Arabia Saudita (in prima linea con i massicci bombardamenti sopra evidenziati) in violazione della legislazione italiana (legge 185 del 1990) che vieta di esportare armamenti verso regimi che non rispettano i diritti umani, ovvero di sospendere, come ha già fatto la Germania, ogni fornitura militare proprio in considerazione della estrema fragilità e complessità della situazione in quella regione.
(7-00677) «Scagliusi, Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o semplicemente rifiuti elettronici (talvolta citati anche semplicemente con l'acronimo RAEE), sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono;
    in Italia la materia è regolamentata dal decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, in attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);
    al capo I del decreto legislativo 49 del 2014, «Sistemi di gestione dei RAEE», la formulazione attuale del comma 3 dell'articolo 9 («I sistemi individuali») e del comma 10 dell'articolo 10 («I sistemi collettivi») è poco chiara, e potrebbe quindi creare qualche dubbio interpretativo. La ratio della norma è quella di prevedere un'adeguata certificazione che garantisca la correttezza dell'operato dei sistemi: sebbene l'interpretazione corretta sia quindi quella di prevedere una sola certificazione (ISO o EMAS o altro sistema), l'attuale formulazione potrebbe determinare qualche incertezza tra i soggetti interessati;
    non esplicitando in maniera chiara che una certificazione esclude le altre, qualora fosse attuata in modo erroneo (nel senso cioè di imporre ai sistemi collettivi o individuali sia le certificazioni ISO 9001 e 14001 sia la registrazione EMAS), questa disposizione comporterebbe un inutile aggravio di costi e procedure, essendo ciascuno dei due sistemi di certificazione, da solo, sufficiente a garantire il raggiungimento dei requisiti richiesti dal decreto,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa al fine di chiarire che è sufficiente possedere una delle certificazioni previste ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 49 del 2014, in modo da superare le criticità interpretative della norma attuale.
(7-00679) «De Rosa, Busto, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Carrescia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   DONATI, IMPEGNO, DE MENECH, MORANI, DALLAI, GADDA, ROSTELLATO, PARRINI, CARBONE, VAZIO, COVELLO, FREGOLENT, TACCONI, ZARDINI, CARRESCIA, PRINA, MARTELLA, TARANTO, MANCIULLI, MARCO DI MAIO, SBROLLINI, GINATO, CRIMÌ, D'INCECCO, ERMINI, GALPERTI, FANUCCI, ASCANI, BECATTINI, ANZALDI, MONTRONI, BARGERO e BONACCORSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea sembra intenzionata ad adottare misure antidumping provvisorie sul prodotto laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati (GOES), individuato con i codici della nomenclatura doganale CN 72251100 e 72261100, per il materiale importato dalla Repubblica Popolare Cinese, dal Giappone, dalla Repubblica di Corea, dalla Russia e dagli Stati Uniti d'America;
   le misure, antidumping proposte dalla Commissione europea comporterebbero un dazio pari al 28,7 per cento sui prodotti importati dalla Repubblica Popolare Cinese, tra il 34,2 per cento ed il 35,9 per cento sui prodotti importati dal Giappone, del 22,8 per cento sui prodotti importati dalla Repubblica di Corea, del 21,6 per cento sui prodotti importati dalla Russia e del 22 per cento sui prodotti importati dagli Stati Uniti d'America;
   l'adozione di tali misure è all'esame in questi giorni da parte degli uffici tecnici della Commissione europea;
   i laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati (GOES) sono utilizzati quasi esclusivamente nella costruzione di trasformatori elettrici;
   a livello europeo i produttori di trasformatori rappresentano una parte importante del comparto relativo alla produzione di apparecchiature, componenti e sistemi per la trasmissione e distribuzione di energia elettrica, con un fatturato approssimativo di 3,7 miliardi di euro all'anno e l'impiego di oltre 200mila addetti;
   in Italia operano circa 50 società nell'ambito della filiera dei trasformatori, di cui circa 35 sono utilizzatori del prodotto oggetto della procedura antidumping;
   gli addetti diretti delle aziende costruttrici di trasformatori sono circa 4.000 con un fatturato superiore a 600 milioni di euro, a cui si devono aggiungere altrettanti addetti impiegati dalle società che operano nell'indotto;
   le imprese italiane costruttrici di trasformatori hanno stabilimenti produttivi localizzati sul territorio nazionale o, in rari casi, in altri Paesi dell'Unione europea;
   al fine di ridurre i consumi di energia elettrica nell'Unione europea, anche attraverso le riduzioni delle perdite nei trasformatori, è stato emanato il Regolamento «EcoDesign» sui trasformatori elettrici n. UE/548/2014 che determina i livelli massimi di perdite (a vuoto e a carico), con standard più elevati in termini di efficienza, per i trasformatori che potranno essere immessi sul mercato dell'Unione europea a partire dal 1o luglio 2015;
   per poter conseguire questi obiettivi l'industria dei trasformatori ha necessità di utilizzare maggiori quantità di lamierino magnetico a grani orientati ad alta efficienza nella produzione di trasformatori;
   il conseguente aumento della domanda di queste tipologie di lamierini magnetici nel breve-medio termine, già riscontrato dall'industria nazionale ed europea, provocherà uno sbilanciamento a livello europeo tra domanda ed offerta di lamierino magnetico che potrà risolversi solo attraverso la possibilità di importare lamierini magnetici da altri Paesi terzi a prezzi competitivi;
   i costruttori di trasformatori segnalano come in Europa esista di fatto un unico produttore in grado di produrre lamierini magnetici ad alta efficienza di qualità corrispondente a quella dei produttori dei paesi terzi;
   l'introduzione dei dazi proposti dalla Commissione europea potrebbe causare un insufficiente approvvigionamento di lamierino magnetico (e conseguentemente un innalzamento dei prezzi) da parte dell'unico produttore europeo;
   diretta conseguenza di un simile scenario sarebbe una repentina e proporzionale perdita di competitività sui mercati europei e mondiali da parte della nostra industria dei trasformatori, in quanto i costruttori di trasformatori extra europei potrebbero approvvigionarsi di lamierino magnetico a grani orientati fuori dall'Europa a prezzi decisamente più competitivi e senza l'aggravio dei dazi;
   questo scenario rischia di condizionare fortemente i produttori europei di trasformatori elettrici spingendoli a delocalizzare la propria produzione in paesi terzi con ricadute negative sia sul piano occupazionale quanto per il ruolo di leader che l'industria italiana ed europea dei trasformatori elettrici riveste sul mercato globale in termini di innovazione e livello tecnologico;
   a partire da gennaio 2014, i prezzi del lamierino magnetico, anche a fronte dell'emanazione del Regolamento UE/548/2014 prima richiamato, hanno registrato un costante e consistente incremento, confermato anche nel 1o trimestre 2015. Sarebbe pertanto necessaria una verifica da parte della Commissione europea della situazione attuale relativa ai prezzi praticati dai produttori di paesi terzi rispetto a quelli praticati dai produttori dell'Unione europea, prima dell'emanazione di misure provvisorie;
   vanno pertanto tenute in conto le ragioni suesposte legate alle conseguenze che l'introduzione delle misure antidumping paventate dalla Commissione europea potrebbero determinare –:
   quali azioni urgenti il Governo, per quanto di competenza, intenda porre in essere per evitare che la Commissione europea assuma la decisione di imporre misure antidumping provvisorie sui prodotti laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati, capaci di provocare gravi ed immediate ripercussioni negative su un comparto industriale d'eccellenza per il nostro Paese e per l'Europa tutta. (3-01482)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BONACCORSI e COPPOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla base dei dati forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella relazione annuale sulle autorità portuali relativa all'anno 2013, negli ultimi anni, nonostante la crisi economica italiana, le spese correnti delle Autorità portuali sono aumentate quasi del 43 per cento;
   i dati richiamati si riferiscono alle spese per il funzionamento, per il personale, per prestazioni istituzionali, mentre non comprendono quelle per investimenti e opere; emerge pertanto che, nonostante l'applicazione di politiche di spending review, le autorità portuali registrano per la gestione corrente spese crescenti; contestualmente, si rileva un incremento delle entrate relative ai canoni di concessione e autorizzazione e, in generale, alle tasse portuali;
   in particolare, da un confronto tra i dati contenuti nella citata relazione con riferimento al 2013 e quelli relativi al 2006, le uscite correnti, considerate nel loro complesso, passano da 193,47 a milioni 276,19, con un incremento del 42,8 per cento e, in particolare, le spese per il personale salgono da 81,58 a 101,38 milioni e compare una nuova voce di spesa (nel 2006 compresa nell'ambito dell'acquisto di beni e servizi), relativa a «uscite per prestazioni istituzionali», che ammonta a 68,47 milioni di euro;
   i dati relativi alla gestione finanziaria delle autorità devono essere considerati alla luce di un andamento delle attività portuali che, con riferimento a quanto illustrato nella stessa Relazione annuale, non può considerarsi interamente soddisfacente; per quanto riguarda il traffico merci, il volume complessivo delle merci movimentate, nonostante l'andamento positivo del settore dei container, registra una lieve flessione rispetto al dato del 2012 (mezzo punto percentuale, equivalente a circa 3,7 milioni di tonnellate), anno in cui si era verificata una netta contrazione, pari a circa 17 milioni di merci movimentate in meno rispetto al 2011;
   per quanto riguarda il traffico dei passeggeri, nel 2013 si registra un numero complessivo di 41.843.136 passeggeri, che comporta un lieve aumento (+1,53 per cento) rispetto all'anno precedente e deve di conseguenza essere considerato favorevolmente come segno di inversione di tendenza, ma che certo non permette di recuperare le pesanti perdite del biennio precedente, in cui il traffico passeggeri aveva subito una perdita di circa 7 milioni di unità;
   più in generale, con riferimento al periodo 2006-2013, si è determinata una riduzione delle merci movimentate nei terminal pari all'8,1 per cento una riduzione dei movimenti di passeggeri del 10,8 per cento;
   ai sensi dell'articolo 29 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, il Governo, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, deve adottare il piano strategico nazionale della portualità e della logistica, «al fine di migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, di agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell'intermodalità nel traffico merci, anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento delle Autorità portuali esistenti»; prima di essere approvato, lo schema di decreto recante il piano è sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari;
   da tempo è all'esame presso l'8ª Commissione del Senato la riforma della legge n. 84 del 1994, che costituisce la legge fondamentale in materia portuale –:
   se trovino conferma i dati richiamati in premessa ed entro quali tempi si intenda presentare al Parlamento lo schema di decreto recante il piano strategico nazionale della portualità e della logistica;
   quali misure si intendano adottare, in primo luogo proprio nel piano strategico, per promuovere, da un lato, una maggior efficienza del sistema portuale italiano, in modo da porlo nelle condizioni di competere sia nel bacino del Mediterraneo, sia nei confronti dei porti dell'Europa settentrionale e dall'altro, una razionalizzazione della gestione delle autorità portuali, anche al fine di rendere possibile una diminuzione degli oneri a carico delle imprese operanti nei porti, che di per se stessa costituirebbe uno stimolo a un incremento delle attività portuali. (5-05551)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la catena di ipermercati francese Auchan, in Italia, dà lavoro a oltre 11.400 dipendenti e ha 51 sedi;
   tale società versa ormai da diverso tempo in un forte stato di crisi economica ed ha annunciato 1.426 licenziamenti;
   il 12 marzo 2015 la trattativa in corso con i lavoratori per superare la crisi interna all'azienda aveva subito una battuta d'arresto di fronte alla richiesta di Auchan di procedere a deroghe al contratto nazionale in materia di demansionamento, rinuncia alla quattordicesima mensilità strutturale per il sud e temporanea per i punti vendita del nord e sospensione degli scatti di anzianità e del contratto integrativo;
   il 22 aprile 2015 Auchan ha annunciato la chiusura del rispettivo centro commerciale di Cesano Boscone, prevista per il 31 luglio 2015, a causa del canone di locazione troppo oneroso e delle divergenze insorte con la proprietà dello stabile, la Nuova Cesano spa;
   gli ulteriori posti di lavoro a rischio sono 400, fra dipendenti diretti di Auchan e dipendenti delle attività commerciali presenti nel Centro Commerciale;
   i dipendenti del Gruppo Auchan hanno proclamato una giornata di sciopero per il 9 maggio in tutto il Paese e prevedono ulteriori mobilitazioni –:
   se il Governo non ritenga necessario ed urgente aprire subito un tavolo istituzionale per il superamento della crisi occupazionale e porre in essere tutte le azioni necessarie a tutela dei lavoratori e delle rispettive famiglie. (4-09101)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 riguarda le disposizioni generali sui Fondi strutturali, in particolare l'articolo 32 prevede le norme per i pagamenti;
   il comma 3 del suddetto articolo prevede: «i pagamenti intermedi sono effettuati da parte della Commissione per rimborsare le spese effettivamente sostenute a titolo dei Fondi e certificate dall'autorità di pagamento. Essi sono eseguiti per ogni singolo intervento e calcolati per le misure contenute nel piano di finanziamento del complemento di programmazione. Essi devono rispettare le seguenti condizioni: a) presentazione alla Commissione del complemento di programma recante gli elementi contemplati all'articolo 18, paragrafo 3; b) trasmissione alla Commissione dell'ultima relazione annuale di esecuzione da presentare, recante gli elementi contemplati all'articolo 37; c) trasmissione alla Commissione della valutazione intermedia dell'intervento di cui all'articolo 42, ove prevista; d) coerenza, nelle decisioni dell'autorità di gestione e del comitato di sorveglianza, con l'importo totale della partecipazione dei fondi concesso per gli assi prioritari di cui trattasi; e) attuazione, nei termini previsti, delle eventuali raccomandazioni di cui all'articolo 34, paragrafo 2, o motivazione trasmessa dallo Stato membro per illustrare le ragioni per cui non è stato preso alcun provvedimento, qualora dette raccomandazioni mirino a colmare insufficienze gravi del sistema di sorveglianza o di gestione tali da mettere in causa la buona gestione finanziaria dell'intervento; evasione delle richieste di misure correttive di cui all'articolo 38, paragrafo 4, qualora le domande riguardino la o le misure in questione; f) assenza di sospensione di pagamenti, a norma dell'articolo 39, paragrafo 2, primo comma, e assenza di decisione della Commissione di avviare un procedimento d'infrazione in forza dell'articolo 226 del trattato, riguardo alla misura o alle misure oggetto della domanda di cui trattasi. Se una delle condizioni non è rispettata e la domanda di pagamento non è pertanto ammissibile, lo Stato membro e l'autorità di pagamento ne sono informati senza indugio dalla Commissione e adottano le disposizioni necessarie per porre rimedio alla situazione»;
   la Commissione europea, in data 8 agosto 2000, approvò il programma operativo FESR relativo alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti della regione Campania. Le azioni effettuate e destinate a migliorare ed a promuovere il sistema di raccolta e di smaltimento diedero luogo ad esborsi pari a circa 93 milioni di euro, il cui 50 per cento – ovvero circa 46.5 milioni — erano stati cofinanziati dai Fondi strutturali; 
   la stessa Commissione europea — dopo diversi anni e più precisamente il 29 giugno 2007 — inviò alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora che aprì il procedimento d'infrazione 2007/2195 per non aver adottato, in relazione alla Regione Campania, tutte le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti venissero smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente ed, in particolare, per non aver creato una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento;
   il 31 marzo del 2008, la Commissione informò le autorità italiane delle conseguenze che intendeva trarre dal procedimento d'infrazione citato, rispetto al finanziamento per l'attuazione del programma operativo della Campania, dichiarando esplicitamente che — conformemente all'articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 1260/19699 — non poteva ulteriormente procedere ai pagamenti intermedi, poiché tale misura ha ad oggetto il sistema regionale di gestione e smaltimento dei rifiuti a cui si riferisce proprio la procedura d'infrazione 2007/2195, che evidenzia appunto l'inefficacia nella messa in opera di una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento;
   la Commissione, in più, precisò che la data a partire dalla quale considerava inammissibili le spese relative al programma operativo FESR era il 29 giugno 2007 coincidente con l'invio della lettera di costituzione di messa in mora. Alla luce di queste decisioni, gli organi competenti dichiararono inammissibili due domande di pagamento delle autorità italiane. La prima era quella del 18 novembre 2008 per un importo di circa 12 milioni di euro, la seconda era datata 22 dicembre 2008 per un ammontare di circa 18,5 milioni di euro;
   l'Italia, il 4 marzo del 2009, ricorse innanzi al tribunale dell'Unione europea contro le decisioni della Commissione di non procedere ad alcuni pagamenti relativi al programma operativo della Campania. Il 19 aprile 2013 il tribunale emise la sentenza respingendo il ricorso. Il nostro Stato, il 4 luglio 2013, domandò alla Corte di Giustizia europea l'annullamento della sentenza del tribunale dell'Unione. La Corte, in data 6 novembre 2014 per la causa C385/13 P, ha negato l'impugnazione poiché nessuno dei motivi fatti valere dalla Repubblica italiana a suo avviso poteva essere accolto –:
   quanti e quali pagamenti non siano stati erogati all'Italia nel contesto dei fondi strutturali 2007/2013, vista la presenza di procedimenti di infrazione avviati ovvero ai sensi dell'articolo 32, comma 3, del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999. (4-09103)


   RIGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   straordinari eventi meteorologici hanno interessato tutto il territorio provinciale di Massa-Carrara già negli anni 2010 e 2012 e successivamente nel mese di novembre 2014;
   si tratta di una straordinarietà che, purtroppo, nel corso di questi ultimi anni, sta divenendo quasi «ordinarietà»;
   si è trattato di eventi alluvionali assolutamente non prevedibili con punte di pioggia cumulata di oltre 279 millimetri nell'arco di sole 48 ore, è piovuto quindi sul territorio provinciale qualcosa come 32 volte la media giornaliera standard;
   il territorio si è trovato in un'emergenza idrogeologica e alluvionale, con frane, smottamenti, strade chiuse, crolli, palazzi interi pericolanti, case distrutte, negozi e botteghe artigianali severamente danneggiate;
   le operazioni di messa in sicurezza del territorio e il ripristino dei danni che si sono generati richiede uno sforzo finanziario molto ingente;
   si sottolinea positivamente che è avvenuto un contributo di euro cinquemila dalle autorità competenti in favore di famiglie che hanno subito i danni alluvionali ma nessun contributo è stato erogato a favore di attività artigiano-commerciali;
   in particolare a Marina di Carrara, tutto il tessuto artigiano-commerciale di piccola e media dimensione, che vanta ben 240 esercizi, perlopiù a conduzione familiare, non ha mai beneficiato di contributi economici né dalla regione Toscana né dal Governo e, in un periodo già di prolungata congiuntura economica negativa, non riesce più a sostenere le ingenti spese per il ripristino degli esercizi commerciali, danneggiati dalle ripetute alluvioni, che necessitano di urgenti lavori di ristrutturazione –:
   se non ritenga di dover prevedere specifici interventi finanziari, così come già adottato in passato per analoghi eventi calamitosi nel Paese, in favore della comunità commerciale di Marina di Carrara al fine di far fronte alle citate emergenze e per la messa in sicurezza, le riparazioni, il risarcimento dei danni e il riavvio delle attività commerciali. (4-09117)


   KRONBICHLER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, si è recato il 5 maggio 2015, con volo di Stato, in Trentino Alto Adige, invitando i parlamentari di PD, SVP e un deputato del gruppo Popolari per l'Italia della regione imbarcandoli sull'aereo governativo all'aeroporto di Ciampino;
   l'invito da parte della Presidenza del Consiglio non è arrivato a nessun altro deputato che non appartenesse ai partiti di maggioranza governativa; se fosse stata organizzata una visita di Stato – e per tale la trasferta a Trento e a Bolzano è stata pubblicizzata e l'uso dell'aereo di Stato ne sarebbe la prova – allora, avrebbe dovuto invitare tutti i parlamentari della regione come, ha fatto il presidente dell'Alto-Adige/Südtirol; la concomitanza che in regione siano previste le votazioni domenica 10 maggio 2015, ha fatto partire molte polemiche sugli organi di stampa che evidenziano, ad avviso dell'interrogante, il carattere elettoralistico del viaggio;
   la visita governativo-parlamentare in Trentino Alto Adige, a giudizio dell'interrogante, la dice lunga sull'atteggiamento che il Presidente Renzi dimostra nei confronti del Parlamento, dei parlamentari e del lavoro parlamentare in particolare in quanto confonde i piani dei suoi ruoli in una visita dai chiari scopi politico-partitici in relazione alla quale l'inopportunità politica del gesto è evidente;
   il decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, poi convertito dalla legge, regolamenta l'uso dei voli di Stato: si stabilisce che possono essere utilizzati dal Presidente del Consiglio, dal Presidente della Repubblica, dai Presidenti delle Camere e della Corte costituzionale, mentre serve l'autorizzazione per le altre figure istituzionali (tra cui i Ministri). Una successiva circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri (10 maggio 2013) specifica che per «il trasporto aereo di Stato è sempre disposto, in relazione al rango della carica rivestita oppure in quanto destinatarie di un elevato livello di sicurezza» –:
   se non ritenga necessario chiarire le ragioni che hanno portato all'utilizzo di voli di Stato e quali siano le necessità e gli scopi del viaggio e soprattutto il motivo di quella che appare all'interrogante una discriminazione dei deputati non di maggioranza;
   quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere per impedire il ripetersi di casi come quello espresso in premessa. (4-09126)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta un articolo apparso sul settimanale «Panorama» a firma del professor Gustavo Piga, il Governo ha dichiarato che il deficit pubblico, dal 2015 al 2016, sarà ridotto dal 2,6 all'1,8 per cento del prodotto interno lordo;
   secondo l'economista dell'università romana di «Tor Vergata», questa riduzione del deficit pubblico realizzabile solo traverso aumenti di tasse o riduzioni della spesa si aggirerà sui dieci miliardi di euro a cui si aggiungono, a causa della sentenza della Corte Costituzionale sull'illegittimità del blocco delle indicizzazioni stabilite dal Governo Monti, altri 10 miliardi di euro da restituire ai pensionati italiani;
   una manovra di nuovi tagli e di maggiori imposte da dieci miliardi di euro come quella che si prospetta nel prossimo autunno non creerà, certamente, nuovi posti di lavoro e maggiore ricchezza nazionale;
   come saranno ripartiti i tagli lo si saprà nel mese di novembre 2015 con la pubblicazione della legge di stabilità;
   come sa ogni buon economista, i tagli della spesa per domanda di beni, lavori e servizi possono essere ancora più gravi per le imprese che partecipano ai bandi di gara pubblici;
   a giudizio dell'interrogante e del professor Piga, invece che prevedere i soliti tagli lineari alle spese di Ministeri ed enti locali, ci si dovrebbe produrre nello sforzo di individuare i veri sprechi, per incompetenza o corruzione, nella spesa pubblica che avvengono negli appalti;
   questi sprechi, se aggrediti, consentirebbero un risparmio di circa il 20 per cento del totale della spesa per appalti e affidamenti con il doppio beneficio di liberare risorse da dedicare alla riduzione della pressione fiscale o ad effettuare investimenti pubblici che, a quel punto, sarebbero privi di spreco;
   il cosiddetto «Tavolo degli aggregatori delle commesse» di beni e servizi proposto dal Governo per ridurre i centri di spesa non si è mai riunito. La Consip statale e le Consip regionali non sono state ancora convocate al «tavolo»;
   l'Autorità nazionale anticorruzione avrebbe anche determinato quali città metropolitane saranno ammesse al tavolo degli aggregatori, ma, se e quando partiranno, non si comprende come avverrà il coordinamento con la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero dell'economia e delle finanze e se e come questi due soggetti vorranno dialogare tra loro e non entrare in conflitto sulle competenze reciproche;
   la direttiva europea sugli appalti, che il Regno Unito di Gran Bretagna ha da poco approvato senza alcuna modifica, è ferma presso la Presidenza del Consiglio. Ove recepita e attuata per esempio, si potrebbe intervenire nelle competenze dei, responsabili delle stazioni appaltanti e si potrebbe portare avanti la lotta ai cartelli d'imprese nelle gare pubbliche, fenomeno tanto pervasivo quanto misteriosamente ignorato –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare affinché vengano ridotte le stazioni appaltanti pubbliche e si proceda a recepire  la direttiva europea sugli appalti pubblici. (4-09129)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BECHIS, BALDASSARRE, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa hanno resi edotti del fatto che oltre 15.000 giovani italiani sono attualmente in Australia con un visto temporaneo di «vacanza lavoro»;
   essi hanno in media una età inferiore ai 31 anni e molti di essi sono laureati;
   lavorano nel Paese straniero e sono sottoposti ad una condizione oggettivamente definibile di aperto sfruttamento lavorativo poiché sono tenuti a svolgere lavori estenuanti in cambio di paghe misere, sottoposti a ricatti o addirittura truffe;
   il loro impiego è concentrato perlopiù nelle «farm», le aziende agricole dell'entroterra, dove svolgono la mansione di raccoglitori raccogliere di patate, manghi, pomodori, uva;
   l'ultima denuncia è giunta da un programma televisivo australiano, «Four Corners», durante il quale diversi ragazzi inglesi e asiatici hanno raccontato storie degradanti di molestie, abusi verbali e persino violenze sessuali;
   gli italiani non sono esclusi da questa sorta di moderna «tratta». Come dimostrano le dichiarazioni rilasciate da Mariangela Stagnitti, presidente del Comitato italiani all'estero di Brisbane, secondo la quale «In un solo anno, ho raccolto 250 segnalazioni fatte da giovani italiani sulle condizioni che avevano trovato nelle «farm» australiane. Alcune erano terribili», spiega;
   due ragazze le hanno raccontato la loro odissea in un'azienda agricola che produceva cipolle rosse. Lavoravano dalle sette di sera alle sei di mattina, anche quando pioveva o faceva freddo. «Non potevano neanche andare in bagno, dovevano arrangiarsi sul posto», dice Stagnitti. Un ragazzo, invece, era stato mandato sul tetto a pulire una grondaia piena di foglie. «È scivolato ed è caduto giù, ferendosi gravemente. L'ospedale mi ha chiamata perché il datore di lavoro sosteneva che aveva fatto tutto di sua iniziativa»;
   secondo i dati del dipartimento per l'immigrazione, nel giugno dell'anno scorso in Australia c'erano più di 145.000 ragazzi con il visto «vacanza lavoro», oltre 11.000 dei quali italiani. L'Italia è uno dei Paesi da cui arriva il maggior numero di richieste per il rinnovo del visto per un secondo anno. Per ottenerlo, questi «immigrati temporanei» hanno bisogno di un documento che attesti che hanno lavorato per tre mesi nelle zone rurali dell'Australia. E questo li rende vulnerabili ai ricatti;
   sempre la presidente del Comitato ha affermato che «Alcuni datori di lavoro pagano meno di quanto era stato pattuito e, se qualcuno protesta, minacciano di non firmare il documento per il rinnovo del visto. Altri invece fanno bonifici regolari per sembrare in regola, ma poi obbligano i ragazzi a restituire i soldi in contanti. E poi ci sono i giovani che accettano, semplicemente, di pagare in cambio di una firma sul documento»;
   a causa del timore di perdere i presupposti necessari per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, sono in molti a denunciare solo privatamente e la situazione. «Quando mi chiedono cosa fare, io consiglio loro di non accettare quelle condizioni e di chiamare subito il dipartimento per l'immigrazione, ma i ragazzi non lo fanno perché hanno paura di rimetterci. Tanti mi dicono che ormai sono abituati: anche in Italia, quando riuscivano a lavorare, lo facevano spesso in nero e sottopagati.... La verità è che spesso questi giovani in Italia sono disoccupati, senza molte opzioni, per questo vengono a fare lavori che gli australiani non vogliono più fare»;
   sulla scia della denuncia di «Four Corners», il Governo dello Stato di Victoria ha annunciato che darà il via a un'inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle «farm», con l'obiettivo di stroncare gli abusi e trovare nuove forme di regolamentazione che mettano fine allo sfruttamento;
   nei giorni scorsi, il dipartimento per l'immigrazione ha deciso che il cosiddetto «WWOOFing», una forma di volontariato nelle azienda agricole in cambio di vitto e alloggio, non darà più la possibilità di fare domanda per il secondo anno di visto «vacanza lavoro»;
   «Nonostante la maggior parte degli operatori si sia comportata correttamente — si legge in un comunicato stampa — è inaccettabile che alcuni abbiano sfruttato lavoratori stranieri giovani e vulnerabili» –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere al fine di dare soluzione ai comportamenti perpetrati ai danni dei nostri connazionali lavoratori in Australia. (4-09120)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese ha un territorio particolarmente fragile, fortemente urbanizzato e a forte rischio di dissesto idrogeologico con il ripetersi con drammatica frequenza di frane ed alluvioni in ogni regione;
   l'impatto di questi fenomeni è amplificato dal ripetersi con frequenza e intensità crescente di eventi atmosferici eccezionali dovuti ai cambiamenti climatici in atto;
   tale condizione di vulnerabilità rende tanto più necessaria l'adozione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e la definizione e messa in atto del conseguente piano di attuazione della strategia di adattamento per consentire ai territori e alle comunità di divenire resilienti, e dunque di attenuare l'impatto in termini di danni economici e, troppo spesso, di perdite di vite umane subiti in seguito ad eventi eccezionali oramai frequenti e di reagire con prontezza;
   l'Italia è tra i Paesi europei che hanno elaborato una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la cui elaborazione è stata avviata nel luglio 2012 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il coordinamento tecnico-scientifico del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e il lavoro di un tavolo tecnico composto da circa cento esperti nazionali provenienti da università, enti di ricerca e fondazioni. Contemporaneamente è stato istituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un tavolo istituzionale composto dai rappresentanti dei Ministeri e di altre istituzioni, che ha fornito ulteriori indicazioni al processo, contribuendo all'elaborazione dei rapporti finali;
   fin dall'inizio, in questo processo sono stati coinvolti tutti i soggetti interessati a vario titolo nell'elaborazione della strategia, mediante un sondaggio con un questionario (effettuato in ottobre-novembre 2012), e, successivamente, con una consultazione on-line sul documento strategico elaborato che si è svolta tra il 30 ottobre e il 31 dicembre 2013;
   tale processo è terminato nel mese di luglio 2014 con l'elaborazione di un pacchetto di documenti che sono alla base della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. La documentazione include un rapporto tecnico-scientifico che analizza le vulnerabilità del territorio italiano agli impatti dei cambiamenti climatici, una sintesi del rapporto stesso e un rapporto tecnico-giuridico che studia la normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l'adattamento ai cambiamenti climatici. Infine, è stato consegnato un documento dal titolo «Elementi per una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici», che, basandosi sui precedenti rapporti, fornisce proposte di azioni settoriali e intersettoriali di adattamento a corto termine (entro il 2020) e a lungo termine;
   la Conferenza unificata nella seduta del 30 ottobre 2014 ha espresso parere favorevole sulla strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che può quindi essere adottata con uno specifico decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e diventare quindi operativa con la definizione e la messa in atto di un piano di attuazione della strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, essenziale per dare maggiore sicurezza ai territori e proteggere al meglio le comunità dal rischio di perdite di vite umane e di ingenti danni economici –:
   quali siano i tempi della definitiva adozione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici con decreto del Ministro interrogato e della definizione e messa in atto del piano nazionale di attuazione della stessa strategia di adattamento ai cambiamenti climatici.
(5-05547)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, ZARATTI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, FERRARA, SCOTTO, FRATOIANNI, SANNICANDRO, DURANTI, FRANCO BORDO, PELLEGRINO, KRONBICHLER, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dossier «Liberi dall'Amianto», realizzato dall'associazione Legambiente e diffuso a partire dal 28 marzo 2015 (Giornata mondiale delle vittime dell'amianto), mette in evidenza come a 23 anni dalla messa al bando dell'amianto in Italia, «ancora oggi si trova in buona parte diffuso, sotto varie forme, su tutto il territorio nazionale. Le stime fornite dagli studi del CNR-Inail, anche se destinate purtroppo ad aumentare, parlano di ben 32 milioni di tonnellate presenti in Italia»;
   una presenza così diffusa di amianto sul territorio si traduce in un altissimo rischio per la salute dei cittadini;
   il ReNaM (il Registro nazionale mesotelioma, redatto e coordinato dall'Inail) certifica che in Italia sono circa quattromila ogni anno le morti legate a patologie asbesto correlate;
   a fronte di tali criticità, e nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dalla entrata in vigore della legge 257 del 1992, che ha stabilito la cessazione dell'impiego dell'amianto a causa della sua pericolosità, gli interventi di bonifica sono ancora molto indietro rispetto agli obiettivi prefissati;
   il report di Legambiente riporta la stima dei tempi di bonifica agli attuali ritmi, che si aggirerebbero attorno agli 85 anni per arrivare ad «un'azione di risanamento-dalla pericolosa fibra»;
   nel 2013 i Ministeri della salute, del lavoro e delle politiche sociali e dell'ambiente della tutela del territorio e del mare hanno approvato il Piano nazionale amianto, allo scopo di rafforzare i controlli e l'individuazione delle situazioni a rischio, di attivare gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti, nonché la promozione di ricerche e tecniche per lo smaltimento e la bonifica dei siti individuati;
   dal Piano emerge come solo per la messa in sicurezza dei siti ricadenti nella categoria di rischio a maggior rilevanza sociale e ambientale, come scuole e ospedali (cosiddetto classe I, al momento della redazione del Piano ne erano stati individuati 380), servirebbero alcune decine di milioni di euro;
   nel Piano vengono indicate diverse azioni da intraprendere, tra le quali a mero titolo esemplificativo, si citano: il reperimento delle risorse finanziarie, che «può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica», come il sistema di incentivazione per la sostituzione delle coperture in amianto con pannelli fotovoltaici; «l'esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal “Patto di Stabilità”», la «definizione di un “Prezziario Ufficiale” calmierato delle opere di bonifica, anche al fine di ottemperare ad un criterio di uniformità su tutto il territorio nazionale»; la «Micro raccolta»; «già adottata in numerosi Comuni e Province attraverso le aziende municipalizzate per la raccolta dei rifiuti Solidi Urbani (Comunali o consortili)», e altro;
   a causa della mancanza di fondi, tuttavia, il Piano risulta essere ancora fermo in Conferenza Stato regioni, dove attende di essere discusso e attuato –:
   se i Ministri interrogati siano in grado, per quanto di rispettiva competenza, di fornire un bilancio delle attività del piano intraprese sino ad oggi;
   quali misure, nell'ambito delle proprie competenze, intendano adottare per rendere pienamente operativo il piano nazionale amianto. (4-09097)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 1 prevede: «Qualora all'esito dell'istruttoria di cui all'articolo 312 sia stato accertato un fatto che abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto oppure ai sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica entro un termine fissato»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 2 prevede: «Qualora il responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto o all'adozione delle misure di riparazione nei termini e modalità prescritti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguire la completa attuazione delle misure anzidette secondo i criteri definiti con il decreto di cui al comma 3 dell'articolo 311 e, al fine di procedere alla realizzazione delle stesse, con ordinanza ingiunge il pagamento, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, delle somme corrispondenti»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 3 prevede: «Con riguardo al risarcimento del danno in forma specifica, l'ordinanza è emessa nei confronti del responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi, secondo l'accertamento istruttorio intervenuto, all'onere economico necessario per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i comportamenti previsti come obbligatori dalle norme applicabili»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 4 prevede: «L'ordinanza è adottata nel termine perentorio di centottanta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti di cui al comma 3 dell'avvio dell'istruttoria, e comunque entro il termine di decadenza di due anni dalla notizia del fatto, salvo quando sia in corso il ripristino ambientale a cura e spese del trasgressore. In tal caso i medesimi termini decorrono dalla sospensione ingiustificata dei lavori di ripristino oppure dalla loro conclusione in caso di incompleta riparazione del danno. Alle attestazioni concernenti la sospensione dei lavori e la loro incompletezza provvede il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito atto di accertamento»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 5 prevede: «Nei termini previsti dai commi 1 e 3 dell'articolo 2947 del codice civile, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può adottare ulteriori provvedimenti nei confronti di trasgressori successivamente individuati»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 6 prevede: «Nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all'Ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio»;
   l'articolo 313 del decreto legislativo 152 del 2006 al comma 7 prevede: «Nel caso di intervenuto risarcimento del danno, sono esclusi, a seguito di azione concorrente da parte di autorità diversa dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nuovi interventi comportanti aggravio di costi per l'operatore interessato. Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi»;
   durante la missione della Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, tenutasi a Catania dal 10 al 13 marzo 2015, è stato ascoltato Giuseppe Aloisio, procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Sicilia che, tra le altre cose, ha affermato: «Se mi consente, vorrei offrire un altro elemento di riflessione — scusate se uso questo termine — che riguarda il danno ambientale. Fino al codice del 2006, la giurisdizione in materia ambientale era sottratta alla Corte dei conti. Poi finalmente il legislatore, nel 2006, ha ritenuto con decreto legislativo di attribuire alla Corte dei conti la materia del danno ambientale. Come, però, spesso capita, purtroppo è stato affermato ed enucleato un principio, ma è stato svuotato di contenuto e qua rinviamo al rapporto con il Ministero dell'ambiente. La norma, mi pare nell'articolo 313 o 316 del codice, prevede che vi sia un rapporto denunzia inviato dal Ministro dell'ambiente al procuratore regionale della Corte dei conti competente. A mia memoria, dal 2006, quando sono incardinato in procura, non è mai arrivato un rapporto denuncia. C’è stato un tentativo di svuotare il senso di questa denuncia, che per la giurisprudenza prevalente rappresenta un presupposto per l'azionabilità dell'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del procuratore regionale, ma c’è un problema di fondo. Possiamo anche ammettere che il procuratore, come in Italia è accaduto solo una volta dal 2006, non abbia bisogno del rapporto per agire. Potrebbe essere una strada perseguibile, anche se non l'ha mai seguita nessuno, tranne l'affermazione della sezione giurisdizionale del Molise nel 2010. Il problema più grosso in materia ambientale resta, però, quello dell'individuazione e quantificazione del danno. Se andiamo davanti al giudice e prospettiamo, oltre che un'imputabilità soggettiva, anche un danno senza sapere come abbiamo determinato quel danno, e le procure non hanno gli strumenti per determinare un danno ambientale, facciamo un buco nell'acqua. Vi citerò un caso specifico che abbiamo trattato alla procura di Palermo. Un raccordo col Ministero dell'ambiente è necessario, ma il codice dell'ambiente non pone prescrizioni precise che possano determinare un obbligo da parte del ministero di comunicazione del raccordo. Con riferimento alla famosa, com’è a Palermo, quinta vasca di Bellolampo» –:
   quanti e quali rapporti, ai sensi dell'articolo 313 comma 6 del decreto legislativo 152 del 2006, negli ultimi cinque anni siano stati inviati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai vari uffici territoriali delle procure regionali presso le sezioni giurisdizionale della Corte dei conti. (4-09098)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva europea 1999/31/CE, nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 agosto 2005 – individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   con la circolare U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, ha fornito delle indicazioni in merito alle forme di trattamento dei rifiuti, includendo la tritovagliatura tra quelle idonee a soddisfare gli obblighi contenuti nella normative comunitaria di riferimento;
   il 6 agosto del 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano una circolare avente per oggetto «termine di efficacia della circolare del Ministro dell'ambiente U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009», all'interno della quale viene precisato – in base a quanto asserito dalla Commissione nel parere motivato della Commissione europea (prot. 9026 del 1o giugno 2012) e nel ricorso depositato il 13 giugno 2013 contro la Repubblica italiana (registro della Corte numero causa C 323/13) – che la tritovagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non può soddisfare, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE;
   in quell'occasione il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che «con questa circolare viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto “tal quale”, anche se sottoposto a tritovagliatura»;
   con la stessa circolare del 6 agosto del 2013, il Ministero ha invitato le regioni e le province autonome a osservare le precisazioni fornite, e ad adottare le iniziative conseguenti e necessarie al fine di assicurare il pieno rispetto degli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie;
   su questo argomento si è espressa la Corte di Giustizia europea attraverso la sentenza del 15 ottobre 2014 in merito alla Causa c-323/13. La Corte, tra le altre cose, ha stabilito che la mera compressione e/o triturazione dei rifiuti indifferenziati destinati a essere collocati a discarica non risponde ai requisiti posti dalla direttiva 1999/31/CE;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 al comma 1 sostiene che: «ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della giunta regionale o il presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 al comma 4 prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 possono essere reiterate per un periodo non superiore a 18 mesi per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 al comma 5 prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Commissione dell'Unione europea» –:
   quante ordinanze contigibili ed urgenti, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, siano state emesse durante gli ultimi due anni dai presidenti delle giunte regionali, dai presidenti delle province ovvero dai sindaci al fine di autorizzare lo smaltimento dei rifiuti tal quali o tritovagliati all'interno delle discariche ubicate nel proprio territorio di competenza;
   quante ordinanze contigibili ed urgenti, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 comma 5, siano state trasmesse negli ultimi due anni alla Commissione europea;
   quante e quali ordinanze contigibili ed urgenti siano state reiterate, ai sensi dell'articolo 191, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, per un periodo superiore ai 18 mesi;
   se la Commissione europea — in merito alle ordinanze contigibili ed urgenti che in molti casi derogano a quanto stabilito per il trattamento dei rifiuti ai sensi del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 e successive modificazioni e interrogazioni (attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) — abbia avanzato delle contestazioni all'Italia. (4-09100)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva europea 1999/31/CE, nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003 n. 36, ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 agosto 2005 — individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   con la circolare U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, ha fornito indicazioni in merito alle forme di trattamento dei rifiuti, includendo la tritovagliatura tra quelle idonee a soddisfare gli obblighi contenuti nella normative comunitaria di riferimento;
   il 6 agosto del 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano una circolare avente per oggetto «termine di efficacia della circolare del Ministro dell'ambiente U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009», all'interno della quale viene precisato — in base a quanto asserito dalla Commissione nel parere motivato della Commissione europea (prot. 9026 del 1o giugno 2012) e nel ricorso depositato il 13 giugno 2013 contro la Repubblica Italiana (registro della Corte numero causa C 323/13) — che la tritovagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non può soddisfare, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a) della direttiva 1999/31/CE;
   in quell'occasione il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che «con questa circolare viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto “tal quale”, anche se sottoposto a tritovagliatura»;
   con la stessa circolare del 6 agosto del 2013, il Ministero ha invitato le regioni e le province autonome a osservare le precisazioni fornite, e ad adottare le iniziative conseguenti e necessarie al fine di assicurare il pieno rispetto degli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie;
   su questo argomento si è espressa la Corte di Giustizia europea attraverso la sentenza del 15 ottobre 2014 in merito alla causa c-323/13. La Corte, tra le altre cose, ha stabilito che la mera compressione e/o triturazione dei rifiuti indifferenziati destinati a essere collocati a discarica non risponde ai requisiti posti dalla direttiva 1999/31/CE;
   l'ISPRA nel Rapporto rifiuti urbani 2013, con dati riferiti all'anno 2012, certifica come la metà dei rifiuti raccolti (53 per cento), a livello nazionale, sono stati smaltiti – in palese violazione della Direttiva europea 1999/31/CE – senza essere sottoposti ad alcuna forma di pretrattamento, invero detta percentuale supera il 70 per cento in sei regioni (Valle d'Aosta, Liguria, Trentino Alto Adige, Marche, Campania e Piemonte), e il 50 per cento in altre sei (Lazio, Basilicata, Veneto, Sicilia, Calabria, e Toscana);
   l'ISPRA nel Rapporto rifiuti urbani 2014, con dati riferiti l'anno 2013, fornisce la percentuale di rifiuti urbani smaltiti in discarica senza trattamento preliminare per Regione: Valle d'Aosta 100 per cento; Trentino Alto Adige 85 per cento; Marche 75 per cento; Liguria 74 per cento; Campania 65 per cento; Piemonte 63 per cento; Basilicata 61 per cento; Calabria 60 per cento; Veneto 58 per cento; Sicilia 48 per cento; Emilia Romagna 42 per cento; Toscana 42 per cento; Italia 41 per cento; Lazio 35 per cento; Sardegna 18 per cento; Umbria 9 per cento; Puglia 7 per cento; Abruzzo 5 per cento; Lombardia 5 per cento; Friuli V.G 5 per cento; Molise 4 per cento –:
   quali iniziative intenda intraprendere – alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea del 15 ottobre 2014 in merito alla Causa c-323/13 ed in base ai dati dell'ISPRA riportati nelle premesse di questa interrogazione – affinché nelle discariche italiane non vengano più smaltiti rifiuti non trattati ovvero trattati attraverso la tritovagliatura visto che tali metodi di smaltimento violano la direttiva 1999/31/CE;
   quali siano le discariche ubicate nel territorio italiano – che – attraverso ordinanze contigibili ed urgenti emanate ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 smaltiscono rifiuti tal quali ovvero tritovagliati;
   se risulti se la Commissione europea – in merito alle questioni poste dalla presente interrogazione e dopo sentenza della Corte di giustizia europea del 15 ottobre 2014 in merito alla causa c-323/13 – abbia avviato un'indagine che riguarda l'Italia. (4-09104)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 prevede al comma 1: «fatto salvo quanto previsto al comma 1-bis, in ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti: a) almeno il trentacinque per cento entro il 31 dicembre 2006; b) almeno il quarantacinque per cento entro il 31 dicembre 2008; c) almeno il sessantacinque per cento entro il 31 dicembre 2012.»;
   l'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 prevede al comma 1-bis: «nel caso in cui, dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico, non sia realizzabile raggiungere gli obiettivi di cui al comma 1, il comune può richiedere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una deroga al rispetto degli obblighi di cui al medesimo comma 1. Verificata la sussistenza dei requisiti stabiliti al primo periodo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare la predetta deroga, previa stipula senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica di un accordo di programma tra Ministero, regione ed enti locali interessati, che stabilisca: a) le modalità attraverso le quali il comune richiedente intende conseguire gli obiettivi di cui all'articolo 181, comma 1. Le predette modalità possono consistere in compensazioni con gli obiettivi raggiunti in altri comuni; b) la destinazione a recupero di energia della quota di rifiuti indifferenziati che residua dalla raccolta differenziata e dei rifiuti derivanti da impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati, qualora non destinati al recupero di materia; c) la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, da destinare al riciclo, che il comune richiedente si obbliga ad effettuare. 1-ter. L'accordo di programma di cui al comma precedente può stabilire obblighi, in linea con le disposizioni vigenti, per il comune richiedente finalizzati al perseguimento delle finalità di cui alla parte quarta, titolo I, del presente decreto nonché stabilire modalità di accertamento dell'adempimento degli obblighi assunti nell'ambito dell'accordo di programma e prevedere una disciplina per l'eventuale inadempimento. I piani regionali si conformano a quanto previsto dagli accordi di programma di cui al presente articolo»;
   la sentenza n.83 del 27 maggio 2013 della Corte dei conti della regione Liguria, relativa al comune di Recco e concernente l'aggravio di costi dovuti allo smaltimento in discarica, ha condannato gli amministratori locali per non aver raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dall'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 –:
   quante deroghe, ai sensi dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006 comma 1-bis, siano state concesse negli ultimi cinque anni ai comuni richiedenti;
   quali siano i comuni che, ad oggi, usufruiscono della deroga di cui al comma 1-bis dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006;
   se i comuni che hanno ottenuto la deroga, ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 205 del decreto legislativo 152 del 2006, hanno raggiunto gli obiettivi dell'accordo di programma stipulato tra Ministero, regione ed enti locali interessati. (4-09105)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti», inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, quindi, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni sono stati violati in modo persistente;
   la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. Di conseguenza, la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   la legge 24 dicembre 2012, n.234 all'articolo 43 norma il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea;
   su questo argomento, giovedì 18 dicembre 2014 presso le commissioni riunite (VIII e XIV) della Camera dei deputati, è stato ascoltato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, che, tra le altre cose, ha dichiarato: «le somme delle sanzioni pagate dallo Stato italiano sono oggetto del diritto di rivalsa da parte del MEF nei confronti delle regioni secondo gli importi a ciascuno spettanti, computando le discariche di pertinenza secondo quanto disposto dall'articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234» –:
   se i ministri interrogati – per quanto attiene alle proprie competenze ed in merito, al già effettuato pagamento da parte dell'Italia della somma forfettaria di 40 milioni di euro – abbiano esercitato il diritto di rivalsa nei confronti di quelle regioni o degli altri enti pubblici responsabili delle violazioni oggetto della condanna della Corte di Giustizia europea del 2 dicembre 2014;
   se i ministri interrogati – per quanto attiene alle proprie competenze ed in caso di risposta negativa alla prima domanda – intendano esercitare il diritto di rivalsa ed in che tempi. (4-09106)


   VIGNAROLI, BARONI, MASSIMILIANO BERNINI, DAGA, DI BATTISTA, RUOCCO, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi ed alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva rifiuti, inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva rifiuti pericolosi; da ultimo, l'Italia non aveva fornito prova che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva discariche di rifiuti;
   nel corso della causa C-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva rifiuti e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva rifiuti pericolosi. Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva discariche di rifiuti;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti, non è misura sufficiente per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva rifiuti. Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Inoltre, il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure ritenute sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in alcuni siti. Riguardo ad altri siti, ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, dunque, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni, siano stati violati in modo persistente;
   la Corte ha pertanto statuito che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. In conseguenza di ciò, il nostro Paese è stato condannato al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di Giustizia dell'Unione europea a rilevato inoltre che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza. Oltre questo, un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte, ha considerato quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   nell'elenco delle discariche oggetto della causa C-196/13, menzionate in particolare nel punto 75 delle conclusioni che l'Avvocato Generale ha presentato il 4 settembre dinnanzi alla Corte di Giustizia europea, 21 sono ubicate nella Regione Lazio, precisamente a Oriolo Romano, Riano, Aquino, Arce, Arpino, Broccostella, Campoli Appennino, Caslavieri (2), Falvaterra, Filettino, Lariano, Mompeo, Monte S. Giovanni Campano, Patrica, Supino, Trevi nel Lazio (2), Vignaletto/Gallese, Villa latina, Campoli Appennino;
   su questo argomento, il 18 dicembre 2014, presso le Commissioni riunite VIII e XIV della Camera dei deputati è stato ascoltato, Gian Luca Galletti, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che tra le altre cose ha dichiarato: «ho già sollecitato, per il tramite della Rappresentanza d'Italia presso l'Unione europea, l'avvio di un confronto con la Commissione per concordare le modalità di esecuzione della sentenza. Inoltre, con il coordinamento del Dipartimento per le politiche europee del mio dicastero, in collaborazione con le regioni interessate, si sta predisponendo un aggiornamento sullo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti oggetto di contestazioni europee, al fine di disporre dell'insieme delle informazioni utili a ottenere una riduzione delle sanzioni pecuniarie imposte dalla condanna della Corte di giustizia sin dalla scadenza del primo semestre, prevista per il 1o giugno 2015. Abbiamo già convocato una riunione per il prossimo lunedì 22 dicembre per garantire un tempestivo coordinamento dei lavori con le regioni. In tale sede spiegherò con chiarezza che, prima ancora della condanna del 2 dicembre scorso, l'Italia si era già dotata degli strumenti normativi e dei finanziamenti necessari al conseguimento di tale obiettivo. In particolare, con la legge di stabilità 2014, è stato istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2014 e 2015, destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077. Il piano, approvato lo scorso 9 dicembre, individua interventi su complessive 45 discariche in procedura di infrazione, rispetto ai quali, in considerazione delle risorse limitate messe a disposizione dalla già citata legge di stabilità, sono stati adottati specifici criteri di finanziamento. In particolare, è stata assegnata la massima priorità agli interventi in aree e discariche pubbliche ritenute più rapidamente cantierabili dalle regioni interessate. In secondo luogo, si è deciso di garantire la copertura delle opere non immediatamente cantierabili. Tali interventi, in totale 29, troveranno copertura finanziaria a valere sulle risorse disponibili del fondo, che ammontano a circa 59,5 milioni e saranno attuati attraverso gli accordi di programma quadro già stipulati tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto. Diversamente, le ulteriori iniziative individuate, per un totale di 16 discariche, che ricomprendono tra l'altro gli interventi in sostituzione e in danno da effettuare nei confronti dei privati inadempienti nelle discariche interessate dalla presenza di rifiuti pericolosi in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, potranno essere finanziate solo attraverso il reperimento delle risorse, 54 milioni, che vanno sommati ai 7 che risultano già disponibili da parte delle regioni, per un totale di 61 milioni di euro. Tale fabbisogno potrebbe trovare copertura a valere sui fondi strutturali 2014-2020 assegnati alle regioni interessate, come recentemente proposto negli emendamenti alla legge di stabilità 2015. Per ulteriori 6 aree di discarica oggetto della procedura di infrazione ricadenti all'interno dei siti di bonifica di interesse nazionale di Venezia, Mantova, Serravalle e Priolo, è stata richiesta in via programmatica la copertura finanziaria dei relativi interventi nell'ambito della ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020. I siti oggetto di contestazione, come ho già ricordato all'inizio, ammontano complessivamente a 218. Di questi, 4 costituiscono un errore di censimento, nel senso che non esistono proprio; 48 risultano già bonificati; 115 sono oggetto di interventi di ripristino ancora in corso e in via di chiusura; 29 risultano finanziati con il piano straordinario già illustrato; per i rimanenti 16, si attende, come detto, il reperimento dei 54 milioni necessari mancanti per l'avvio degli interventi, la cui copertura è nei capitoli di spesa che ricordavo. Il nostro obiettivo è prevedere già in questa fase l'ulteriore copertura finanziaria degli interventi programmati. Ciò consentirebbe di dare immediato avvio alle procedure per i lavori nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria di riferimento. Sarebbe il modo migliore per dimostrare l'impegno del Paese ad adempiere la sentenza già in questa prima fase di negoziazione con la Commissione europea, anche per rimodulare le condizioni di adempimento, contenendo gli importi delle penalità previste per i successivi semestri e riducendo progressivamente il tetto della penalità nei semestri successivi per effetto della messa a norma degli altri siti» –:
   quale sia lo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti ubicati nella regione Lazio ed oggetto di contestazioni europee;
   se il fondo previsto dalla legge di stabilità del 2014 di 30 milioni per il biennio 2014/2015 destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077, riguardi anche gli invasi ubicati nel Lazio;
   se e quali discariche ubicate nel Lazio, ed oggetto della condanna della Corte di giustizia dell'unione europea siano da ritenersi canteriabili o non immediatamente canteriabili;
   se esista un accordo di programma già stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Lazio al fine di bonificare le discariche oggetto della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea. (4-09111)


   DAGA, VIGNAROLI, BONAFEDE, GAGNARLI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi ed alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva rifiuti, inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva rifiuti pericolosi; da ultimo, l'Italia non aveva fornito prova che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva discariche di rifiuti;
   nel corso della causa C-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva rifiuti e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva rifiuti pericolosi. Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva discariche di rifiuti;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti, non è misura sufficiente per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva rifiuti. Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Inoltre, il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure ritenute sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in alcuni siti. Riguardo ad altri siti, ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, dunque, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni, siano stati violati in modo persistente;
   la Corte ha pertanto statuito che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. In conseguenza di ciò, il nostro paese è stato condannato al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato inoltre che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza. Oltre questo, un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte, ha considerato quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   nell'elenco delle discariche oggetto della causa C-196/13, menzionate in particolare nel punto 75 delle conclusioni che l'Avvocato Generale ha presentato il 4 settembre dinnanzi alla Corte di Giustizia europea, 6 sono ubicate nella Regione Toscana, precisamente una nel comune dell'Isola del Giglio, una nel comune di Pietrasanta, due nel comune di Stazzema, una nel comune di Tresana e una nel comune di Vernio;
   su questo argomento, il 18 dicembre 2014, presso le Commissioni Riunite VIII e XIV della Camera dei deputati è stato ascoltato, Gian Luca Galletti, Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, che tra le altre cose ha dichiarato: «ho già sollecitato, per il tramite della Rappresentanza d'Italia presso l'Unione europea, l'avvio di un confronto con la Commissione per concordare le modalità di esecuzione della sentenza. Inoltre, con il coordinamento del Dipartimento per le politiche europee del mio dicastero, in collaborazione con le regioni interessate, si sta predisponendo un aggiornamento sullo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti oggetto di contestazioni europee, al fine di disporre dell'insieme delle informazioni utili a ottenere una riduzione delle sanzioni pecuniarie imposte dalla condanna della Corte di giustizia sin dalla scadenza del primo semestre, prevista per il 1o giugno 2015. Abbiamo già convocato una riunione per il prossimo lunedì 22 dicembre per garantire un tempestivo coordinamento dei lavori con le regioni. In tale sede spiegherò con chiarezza che, prima ancora della condanna del 2 dicembre scorso, l'Italia si era già dotata degli strumenti normativi e dei finanziamenti necessari al conseguimento di tale obiettivo. In particolare, con la legge di stabilità 2014, è stato istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare un apposito fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2014 e 2015, destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077. Il piano, approvato lo scorso 9 dicembre, individua interventi su complessive 45 discariche in procedura di infrazione, rispetto ai quali, in considerazione delle risorse limitate messe a disposizione dalla già citata legge di stabilità, sono stati adottati specifici criteri di finanziamento. In particolare, è stata assegnata la massima priorità agli interventi in aree e discariche pubbliche ritenute più rapidamente cantierabili dalle regioni interessate. In secondo luogo, si è deciso di garantire la copertura delle opere non immediatamente cantierabili. Tali interventi, in totale 29, troveranno copertura finanziaria a valere sulle risorse disponibili del fondo, che ammontano a circa 59,5 milioni e saranno attuati attraverso gli accordi di programma quadro già stipulati tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e le regioni Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto. Diversamente, le ulteriori iniziative individuate, per un totale di 16 discariche, che ricomprendono tra l'altro gli interventi in sostituzione e in danno da effettuare nei confronti dei privati inadempienti nelle discariche interessate dalla presenza di rifiuti pericolosi in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, potranno essere finanziate solo attraverso il reperimento delle risorse, 54 milioni, che vanno sommati ai 7 che risultano già disponibili da parte delle regioni, per un totale di 61 milioni di euro. Tale fabbisogno potrebbe trovare copertura a valere sui fondi strutturali 2014-2020 assegnati alle regioni interessate, come recentemente proposto negli emendamenti alla legge di stabilità 2015. Per ulteriori 6 aree di discarica oggetto della procedura di infrazione ricadenti all'interno dei siti di bonifica di interesse nazionale di Venezia, Mantova, Serravalle e Priolo, è stata richiesta in via programmatica la copertura finanziaria dei relativi interventi nell'ambito della ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020. I siti oggetto di contestazione, come ho già ricordato all'inizio, ammontano complessivamente a 218. Di questi, 4 costituiscono un errore di censimento, nel senso che non esistono proprio; 48 risultano già bonificati; 115 sono oggetto di interventi di ripristino ancora in corso e in via di chiusura; 29 risultano finanziati con il piano straordinario già illustrato; per i rimanenti 16, si attende, come detto, il reperimento dei 54 milioni necessari mancanti per l'avvio degli interventi, la cui copertura è nei capitoli di spesa che ricordavo. Il nostro obiettivo è prevedere già in questa fase l'ulteriore copertura finanziaria degli interventi programmati. Ciò consentirebbe di dare immediato avvio alle procedure per i lavori nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria di riferimento. Sarebbe il modo migliore per dimostrare l'impegno del Paese ad adempiere la sentenza già in questa prima fase di negoziazione con la Commissione europea, anche per rimodulare le condizioni di adempimento, contenendo gli importi delle penalità previste per i successivi semestri e riducendo progressivamente il tetto della penalità nei semestri successivi per effetto della messa a norma degli altri siti» –:
   quale lo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti ubicati nella Regione Toscana ed oggetto di contestazioni europee;
   se il fondo previsto dalla legge di stabilità del 2014 di 30 milioni per il biennio 2014/2015 destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077, riguardi anche gli invasi ubicati nella Toscana;
   se e quali discariche ubicate nella Toscana, ed oggetto della condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea, siano da ritenersi cantierabili o non immediatamente cantierabili;
   se esista un accordo di programma già stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Toscana al fine di bonificare le discariche oggetto della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea. (4-09112)


   CAPARINI, BORGHESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'elenco aggiornato dei Siti classificati di interesse nazionale nel Nord Italia registra: Balangero, Casale Monferrato, Serravalle Scrivia e Pieve Vergonte (Piemonte); Cengio e Saliceto (Piemonte-Liguria) e Cogoleto Stoppani (Liguria); Emarese (Valle D'Aosta); Pioltello Rodano, Sesto San Giovanni, Brescia Caffaro, Laghi Di Mantova e Polo Chimico e Broni (Lombardia); Trento Nord (Trentino Alto Adige); Venezia – Porto Marghera (Veneto); Laguna Di Grado Marano e Trieste (Friuli Venezia Giulia); Fidenza (Emilia Romagna);
   l'inquinamento provocato dall'industria chimica Caffaro a Brescia è riconosciuto come uno dei più estesi e rovinosi casi di contaminazione da Pcb (policlorobifenili) e diossine in Europa sia per estensione dell'area urbana inquinata sia per la popolazione colpita;
   con il decreto 24 febbraio 2003, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha definito la «Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro» (Gazzetta Ufficiale, serie, generale n. 121 del 27 maggio 2003 – Supplemento ordinario n. 83), aggiungendolo all'elenco dei siti d'interesse nazionale (SIN) di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 426, recante «Nuovi interventi in campo ambientale»;
   le condizioni ambientali derivanti dell'inquinamento dell'area in base ai diversi report sanitari effettuati nel tempo, fra cui il (contestato quanto drammatico) rapporto Sentieri dell'Istituto superiore di sanità che rilevato un incrementi per quanto riguarda sia l'incidenza dei tumori alla tiroide del +70 per cento per gli uomini e del +56 per cento per le donne. Sempre grazie alle analisi dell'incidenza oncologica e dei ricoverati, inoltre, a Brescia nell'area della Caffaro sono stati osservati eccessi per quei tumori che la valutazione dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms (Iarc) del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i Pcb (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito. L'incidenza di melanoma, infatti, rivela un eccesso del 27 per cento del 19 per cento rispettivamente tra gli uomini e le donne, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso del 52 per cento nel sesso maschile e del 39 per cento in quello femminile;
   la Stampa in un reportage a firma di Niccolò Zancan, definisce la vicenda ambientale legata alla Caffaro «il più grave caso di inquinamento ambientale del Nord Italia, forse più grave persino di Seveso»;
   ripercorrendo la storia della fabbrica che «produceva soda caustica, poi i famigerati Pcb fino al 1984» il giornalista ricorda che «erano anni in cui i policlorobifenili venivano impiegati nei condensatori e nei trasformatori elettrici come una specie di olio isolante. Così la Caffaro ne produceva fino a 2.500 tonnellate all'anno. E gli scarti di lavorazione, giù dagli scarichi della fabbrica, andavano a marchiare a morte il territorio». Una situazione che è riscontrabile nei divieti, contenuti nelle ordinanze del comune di Brescia, che, di sei mesi in sei mesi, «aggiornano» il divieto ad accedere ai parchi pubblici situati nella zona;
   si tratta delle aree verdi di via Sorbana, via Nullo, parco passo Gavia, parte di via Parenzo, ma anche dei campi d'atletica Calvesi, luoghi che contengono diossine e pcb centinaia di volte oltre i limiti di legge. Lo sanno bene i bambini della scuola elementare Deledda che, durante la ricreazione, non possono camminare né giocare sull'erba, ma restare solamente sulla pavimentazione;
   secondo la rivista Chemosphere, la concentrazione del Pcb nell'aria di Brescia è più alta delle aree urbane di altri Paesi. La sostanza cancerogena, che in città è concentrata soprattutto nella zona attorno alla Caffaro, non sarebbe pericolosa solo per l'inquinamento del terreno e quindi per la catena alimentare, ma produrrebbe i suoi effetti nocivi tramite la dispersione aerea;
   come riferisce il Corriere della Sera, dall'attività dell'industria chimica di via Milano a Brescia sono state emesse 150 tonnellate di Pcb che hanno inquinato un'area grande 7 chilometri quadrati. L'intervento effettuato nel 2001 e che ha portato alla distruzione di derrate alimentari prodotte nell'area contaminata e alla chiusura di aree verdi, oltre ai divieti di coltivazione nei campi limitrofi, non basterebbe, insomma, a circoscrivere il problema, poiché la diossina resterebbe nell'organismo umano per decenni, come dimostra anche il livello di Pcb registrato nel sangue dei bresciani, dieci volte più alto rispetto alla media degli Stati Uniti. La bonifica dei terreni è, alla luce di questo studio effettuato dall'Istituto Mario Negri di Milano, ancor più urgente, dato che la diossina continua a sprigionare i suoi venefici effetti nell'atmosfera;
   il Corriere della Sera che, in un articolo a firma di Pietro Gorlani, rivela che le concentrazioni di Pcb e diossine nei polmoni di chi abita nella Leonessa sono doppie rispetto a quelle rilevate nei francesi e dieci volte superiore a quella degli statunitensi. «In ogni grammo di grasso plasmatico dei bresciani», si legge sul quotidiano di via Solferino, «si trovano infatti 1136 nanogrammi di Pcb, contro i 480 nanogrammi dei francesi e gli 85 nanogrammi degli americani». A divulgare questi allarmanti dati è Marino Ruzzenenti, ambientalista bresciano, che ha confrontato lo studio sulla contaminazione dei bresciani, pubblicato nel 2008 sulla rivista internazionale Chemosphere con le ricerche più recenti di Usa (Centers for Disease Control and Prevention) e Francia (Insitute de Veille Sanitaire). Per chi abita nella zona Caffaro la situazione è ancora più grave: le concentrazioni di elementi inquinanti (assorbiti sia attraverso l'aria sia attraverso il consumo di alimenti) ammontano a 14.244 nanogrammi per il Pcb, ovvero 30 volte superiore a quello dei francesi e 167 volte superiore a quello dei cittadini a stelle e strisce. La ricerca americana ha anche misurato le diossine e i pcb diossina-simili: nel sangue degli statunitensi ci sono in media 3,37 picogrammi per grammo di grasso. Per i bresciani questa solgia tocca i 54 picogrammi, 82 per quelli residenti nel sito Caffaro e a 429 per quelli che hanno consumato prodotti alimentari della zona inquinata;
   i rischi dell'accumulo di sostanze inquinanti nel sangue si protraggono per anni, come dimostra il caso di una donna nata e vissuta fino all'età di 20 anni nel quartiere Caffaro, che ha consumato uova di galline allevate in casina. Una volta spostata e trasferitasi in un'altra zona della città, dopo avere avuto un bimbo, verso i 30 anni, ha scoperto che il suo latte, utilizzato per dare da mangiare al figlioletto, presentava concentrazioni di Pcb-diossina simili pari a 147 picogrammi per grammo di grasso. Il limite massimo fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità, come riferisce lo stesso Ruzzenenti, è di 6 picogrammi. Oltre questa soglia il latte va distrutto;
   chi vive nella zona Caffaro ha maggiori probabilità di contrarre malattie, anche gravi, come i tumori. A riprova delle sue affermazioni porta un altro studio dell'Asl di Brescia, apparso nel gennaio 2011, su «Environmental Research» in cui sono stati analizzati 495 casi di cittadini ammalatisi di linfoma non Hodgkin (tumore del sistema linfatico) tra il 1993 e il 2004. Chi, tra questi, aveva vissuto per oltre 10 anni nel quartiere vedeva aumentata la possibilità di sviluppare la malattia fino a 70 volte in più degli altri cittadini; a causa problematiche legate alle limitazioni di spesa imposte dal Patto di stabilità, è stato possibile individuare in maniera definitiva i soggetti attuatori degli interventi disciplinati dall'Accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel sito di Interesse nazionale di Brescia Caffaro», nel quale veniva disciplinato l'impiego delle predette risorse nonché individuati i soggetti attuatori dei pertinenti interventi (Enti locali territoriali, Asl di Brescia, Istituto superiore di sanità, Arpa Lombardia e Sogesid spa, quale soggetto pubblico in house) solo il 25 ottobre 2012. E così, ad oggi, l'amministrazione, unitamente alla regione Lombardia, ha stipulato i previsti atti convenzionali con la Asl di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, l'Arpa Lombardia e la Sogesid spa;
   il 15 novembre 2013 nella risposta all'interrogazione 4-00167 presentata dall'onorevole Ermete Realacci in data 9 aprile 2013 e riguardante l'inserimento nell'elenco dei SIN del sito denominato «Brescia-Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare)» il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare: Marco Flavio Cirillo nella risposta all'interrogazione sottolineava che «In relazione, tuttavia, al grave stato di degrado del sito e al potenziale pericolo per la popolazione, questo Dicastero si è comunque impegnato a porre in essere ogni utile iniziativa finalizzata a reperire ulteriori risorse da destinate alle opere di bonifica. A quanto queste potranno ammontare non è facile, allo stato, prevedere, in quanto è dipendente anche da alcuni obiettivi di carattere generale sui quali questo Dicastero ha chiesto un impegno a tutte le istituzioni pubbliche e private interessate. Il primo passo, si ritiene, potrebbe essere quello di rivedere il Patto di stabilità al fine di tenere fuori dai conteggi le spese concernenti le bonifiche e il dissesto idrogeologico, in modo che, realizzata tale condizione, si potrebbe pensare di destinare a tal fine più risorse nella prossima Legge di stabilità. Il secondo, è che nella programmazione dei fondi strutturali dal prossimo 2014 le bonifiche siano tra gli interventi prioritari previsti». Marco Flavio Cirillo ha dichiarato: «questo Dicastero ritiene in via generale che i commissariamenti sono spesso la spia delle difficoltà in cui versano le istituzioni pubbliche che non riescono a far funzionare le cose in modo adeguato. Tuttavia, nel caso specifico del Sito Caffaro-Brescia, la particolare situazione di degrado e i risultati dei nuovi campionamenti in corso potrebbe indurre a rivedere tale giudizio e considerare la figura commissariale quale utile strumento di un tavolo di coordinamento che, ad onor del vero, nei fatti si è già realizzato»; mentre i Sin inquinati da aziende di Stato come Marghera e Priolo hanno ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi pari, rispettivamente, a 750 e 744 milioni di euro, e a Pioltello Rodano 164 milioni (per un'estensione che è un terzo di quello del Sin Caffaro) a Brescia, nonostante un'area, inquinata che si estende per 262 ettari, sono arrivate solo le briciole: dalla data di inserimento nel Sin la Caffaro ha ottenuto solamente (e complessivamente) 9,2 milioni di euro, la cifra di gran lunga più bassa rispetto a tutti gli altri siti;
   nel 2013 alcuni Sin sono stati derubricati a «siti di interesse regionale», eppure hanno ottenuto molti più stanziamenti della Leonessa. È il caso dei 25 milioni a Basse di Stura a Torino, dei 38 milioni a Pitelli in Liguria e dei 60 milioni a Sassuolo e Scandiano, in Emilia;
   il comma 2 dell'articolo 4-ter, rubricato «Misure urgenti per accelerare l'attuazione di interventi di bonifica in siti contaminati di interesse nazionale», del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, in materia di «Interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, prevede espressamente che «al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale Brescia Caffaro, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa individuazione delle risorse finanziarie disponibili, può nominare un commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Il compenso del commissario di cui al presente comma è determinato ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Per lo svolgimento delle attività di cui al presente comma è istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato»;
   il comma 3 dell'articolo 4-ter, conferisce al commissario nominato il delicato compito di curare «le fasi progettuali, la predisposizione dei bandi di gara, l'aggiudicazione dei servizi e dei lavori, le procedure per la realizzazione degli interventi, la direzione dei lavori, la relativa contabilità e il collaudo, promuovendo anche le opportune intese tra i soggetti pubblici e privati interessati»; inoltre, per le attività connesse alla realizzazione degli interventi, il commissario è autorizzato «ad avvalersi degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di società specializzate a totale capitale pubblico e degli uffici delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali»;
   il futuro commissario straordinario per l'emergenza Caffaro avrà il delicato compito di coordinare la bonifica di una delle aree più inquinate del Paese che richiederà specifiche quanto ampiamente riconosciute competenze tecnico-professionali;
   vanno considerati gli ordini del giorno in Assemblea 9/01139-A/005 – presentato il 11 luglio 2013 7 e il n. 9/01248-AR/051 – presentato il 24 luglio 2013 a prima firma Caparini –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per affrontare in maniera organica la grave situazione ambientale e sanitaria evidenziata;
   a quale soggetto spetti la definizione del piano complessivo di bonifica del sito, del piano finanziario e per quale motivo tali piani non siano ancora stati redatti;
   se sia stata istituita una contabilità speciale nella quale possano confluire le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del sito contaminato;
   quali siano le effettive modalità, i tempi ed i criteri che si intendono adottare per la nomina del commissario dell'emergenza Brescia-Caffaro;
   se il Ministro non intenda chiarire i tempi di implementazione della bonifica delle aree interessate;
   quali siano le deroghe previste e concesse per il commissario nominato e quali siano le modalità di vigilanza e controllo sul suo operato;
   se il Ministro non intenda precisare quante risorse sono disponibili per il proprio dicastero per la bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale. (4-09113)


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 4 luglio 2013, in risposta all'interrogazione n. 5-00526 in VIII Commissione, riguardante la SOGESID e il suo operato, il rappresentante del Governo in merito ai quesiti posti dai medesimi interroganti di cui al presente atto, ha affermato: «Tali tematiche sono tra le priorità poste all'attenzione e allo studio del Ministero. Infatti è attribuito particolare rilievo, tra i diversi obiettivi: 1) alla necessità di rafforzare il “controllo analogo” e 2) alla opportunità di revisionare i rapporti convenzionali posti in essere con la predetta società»;
   il 3 dicembre 2014, in risposta all'interrogazione n. 5-04216, in VIII Commissione, sempre riguardante la SOGESID e il suo operato, il rappresentante del Governo in merito ai quesiti posti dai medesimi interroganti di cui al presente atto, ha affermato: «Allo stesso tempo, si è operato per rinsaldare e rendere più efficiente i collegamenti sinergici con Sogesid. Il primo passo che si è ritenuti di dover affrontare, tenuto conto della scadenza del mandato conferito agli amministratori della società, è consistito nella individuazione del soggetto più idoneo a rappresentare in seno al nuovo Consiglio di amministrazione le istanze ministeriali volte a realizzare quell'incremento di efficienza che si reputa necessario per una maggiore razionalizzazione della spesa, specialmente in un contesto come quello attuale caratterizzato da una perdurante crisi, e un efficientamento degli interventi da realizzare per tramite della stessa Sogesid. Efficientamento che si ritiene non possa che passare attraverso un rafforzamento del “controllo analogo”, che non può più limitarsi al semplice esercizio degli strumenti di vigilanza e controllo proprie del diritto societario, ma deve estendersi in una attività più incisiva di controllo da parte del Ministero di tipo maggiormente pubblicistico, una sorta di amministrazione indiretta, un potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto in house che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione posti in essere dal medesimo. In tale ottica si sta quindi predisponendo la direttiva ministeriale per il prossimo esercizio 2015, e in coerenza con tale impostazione verranno ricondotti gli atti convenzionali da formalizzare tra le parti. La predisposizione di uno di essi, in particolare, è in corso di conclusione, e sarà finalizzato a regolamentare in un quadro generale d'insieme, e nell'ambito delle funzioni assegnate alla Sogesid ai sensi dell'articolo 4 del proprio statuto, le prestazioni di supporto tecnico-professionale alle varie esigenze delle strutture ministeriali, anche mediante ricorso all'impiego di professionalità esterne»;
   con decreto ministeriale n. 13 del 22 gennaio 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanava la direttiva concernente le attività della SOGESID s.p.a. per l'anno 2015, subordinate alla disciplina della convenzione quadro quale parte integrante dello stesso decreto;
   dalla lettura della suddetta convenzione si evince, la delega alla Sogesid s.p.a. della quasi totalità delle attività istituzionali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a costi elevatissimi per i contribuenti italiani ed europei, essendo la Sogesid s.p.a. finanziata al 100 per cento dallo Stato italiano e dai fondi europei, che stridono rispetto alla necessaria razionalizzazione della spesa e alle più volte richiamate politiche di spending review della pubblica amministrazione intraprese dal Governo, specie se comparati ai compensi erogati al personale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare operante con le stesse professionalità, il cui contratto nazionale risulta bloccato da 6 anni;
   nella fattispecie le tariffe giornaliere dei dipendenti SOGESID spa, a fronte dello svolgimento delle attività di «supporto tecnico» del Ministero, distinte per i diversi livelli professionali, come riportato dall'Allegato I della convenzione quadro, vanno da un minimo giornaliero di 171,92 euro per un dipendente di fascia A, qualificato come addetto esecutivo, ad un massimo di 695,68 euro giornalieri per un «esperto senior» oltre IVA e rimborsi spese;
   in base a quanto dichiarato dalla stessa SOGESID, nella nota prot. n. 00159 del 15 gennaio 2015 il personale «assistente tecnico» ad oggi applicato presso la sede del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sarebbe rappresentato da 207 unità di cui: 108 unità di fascia A (CCNL per il settore gas-acqua 10 febbraio 2011), livello 1- scuola dell'obbligo – operaio comune addetto servizi interni esterni (fattorino, usciere, custode) e livello 2 – scuola professionale — operaio distribuzione/lavori rete, operaio conduzione impianti, operaio manutenzione, addetto Cad-Cam, addetto di segreteria e altro, per un costo di euro 3.973.415,00 e 89 unità di fascia B (consulente junior, laureato fino a 5 anni di esperienza o diplomato con almeno 10 anni di esperienza), per un costo di euro 4.567.802,18; 
   nella stessa nota di SOGESID verrebbe anche ipotizzato un possibile incremento dell'impegno di assistenza tecnica presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fino al raddoppio delle unità lavorative impegnate e seguentemente fino al raddoppio del corrispettivo, per il gruppo di lavoro dedicato alla gestione amministrativa del personale in questione;
   tra gennaio e marzo 2015 SOGESID avrebbe pubblicato bandi per il reclutamento di 7 figure professionali «tecnico specialistiche» da applicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che tale procedura potrebbe prestarsi ad essere utilizzata come mezzo elusivo dei vincoli all'assunzione di personale e delle limitazioni e delle condizioni per il conferimento di incarichi per prestazioni di servizi, come peraltro già evidenziato in passato dalla Corte dei conti nelle relazioni sulla gestione finanziaria SOGESID;
   l'attuale piante organica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non risulterebbe commisurata alle necessità proprie istitutive, anzi, avrebbe subito una riduzione progressiva nel corso degli anni fino ad arrivare a quella attuale pari a 559 unità (dotazione organica del personale non dirigenziale), con il blocco da sei anni del CCNL e da cinque delle progressioni verticali (economiche e giuridiche), con la riduzione del 50 per cento dei fondi relativi al salario accessorio e di produttività e di quelli destinati alla formazione del personale dipendente e con l'esternalizzazione di gran parte delle attività istituzionali –:
   se e quali procedure di selezione pubblica siano state avviati e/o concluse da parte della SOGESID per il reclutamento di ulteriori figure professionali «tecnico – specialistiche» da applicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, quali CC.NN.LL. di categoria vengano applicati al personale SOGESID impiegato nelle attività di «supporto tecnico» del Ministero: se non ritenga il Ministro di avviare un'adeguata revisione della pianta organica del dicastero, previa verifica delle professionalità interne, valorizzare il personale interno attraverso una mappatura delle competenze professionali e corsi formativi adeguati per implementare le figure «tecnico specialistiche» in materie ambientali, reinternalizzare progressivamente i compiti istituzionali e l'accesso ai fondi comunitari per l'attuazione di progetti a favore di una pubblica amministrazione; più efficiente e innovativa, attivare le previste procedure per la mobilità esterna utilizzando anche il personale «tecnico» proveniente dalle province o da altre amministrazioni o in alternativa attingere dalle graduatorie di vincitori e di idonei di concorsi pubblici nella pubblica amministrazione (ultima legge di stabilità ed ex legge «D'Alia»), prima di contrattualizzare, in ultima istanza, consulenti necessari per ricoprire alcune particolari figure professionali mancanti all'interno della pianta organica e se non ritenga infine necessario sospendere gli effetti della convenzione Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – SOGESID s.p.a. e di conseguenza bloccare immediatamente, in attesa di verificare effettiva corrispondenza ai bisogni del Ministero del reperimento di figure professionali «tecnico – specialistiche», bandi e le procedure di selezione attivate dalla società. (4-09115)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, PIRAS e PANNARALE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da organi di stampa, il segretariato generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si sta adoperando per la razionalizzazione degli uffici periferici del Ministero, con particolare attenzione alle sedi degli archivi di Stato e delle soprintendenze archivistiche;
   pur ritenendo intenzione meritevole quella della riduzione delle spese, con particolar riferimento alle locazioni passive presenti in diversi rami del Ministero, si ritiene degna di preoccupazione l'intenzione di procedere in tal senso nei confronti delle sedi degli istituti archivistici, trasferendo la documentazione degli stessi in sedi centralizzate, ancora in via di definizione, e che verosimilmente non rispetterebbero la territorialità di provenienza dei fondi archivistici;
   tale orientamento, cui sembra appunto indirizzato il segretariato generale, andrebbe in controtendenza con quanto promosso nel recente passato, ad iniziare dalla creazione dei poli archivistici che dovrebbero salvaguardare le fonti archivistiche statali;
   nello specifico della regione Puglia, per quanto a conoscenza degli interroganti, si dovrebbe procedere con la soppressione delle sedi aggiuntive attualmente in locazione degli archivi di Stato di Brindisi, Foggia, Lecce, Taranto e la sezione di archivio di Stato di Lucera, trasferendo i fondi archivistici in un complesso demaniale sito in Monopoli (Bari);
   una soluzione di questo tipo priverebbe gli istituti citati di gran parte del loro patrimonio storico e culturale, arrecando anche danno e disagio ai cittadini delle province che sarebbero costretti a spostamenti per le esigenze di ricerca, di studio ed amministrative;  
   a quanto a conoscenza degli interroganti, inoltre, la soluzione di accorpamento delle sedi non avrebbe previsione di impiego e salvaguardia per il personale attualmente impiegato, né tantomeno per il personale da impiegare per il mantenimento, la valorizzazione e la consultazione della documentazione nella sede di Monopoli (Bari), rischiando di pregiudicare ulteriormente territori, come quello della provincia Jonica, già penalizzati sul piano occupazionale e culturale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se ciò rappresenti le reali intenzioni del segretariato generale;
   se non intenda procedere ad una razionalizzazione degli uffici periferici del Ministero che salvaguardi la disposizione e la fruizione del patrimonio storico-culturale anche in base alla provenienza territoriale, e che tuteli il personale ad esso dedicato. (5-05548)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi mesi il muro di contenimento del parco di Capodimonte a Napoli, nella parte di via Miano immediatamente adiacenti all'incrocio denominato «regresso di Capodimonte», è stato dissestato dall'azione di erosione che le forti acque di pioggia hanno esercitato sui terreni circostanti;
   del parco di Capodimonte è titolare la soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e Provincia;
   la protezione civile ha dunque intimato alla soprintendenza di porre con somma urgenza in essere i lavori necessari a presidiare la pubblica incolumità;
   in una riunione tenutasi sull'argomento il 5 marzo 2015, con la partecipazione di tutti i soggetti aventi causa (tra cui i tecnici del comune di Napoli e quelli della soprintendenza) si è concordato che la soprintendenza avrebbe inviato agli uffici competenti le soluzioni tecniche progettuali previsionali e definitive corredate dei crono programmi e delle fasi di cantiere dai quali potranno evincersi con puntualità i tempi di completamento dell'intervento con l'eliminazione degli elementi previsionali previsti (elementi di calcestruzzo posti in aderenza al muro di contenimento);
   la soprintendenza non mai adempiuto a ciò, mai presentando ad oggi il progetto per la definitiva messa in sicurezza dell'area in questione o il cronoprogramma dei relativi lavori;
   non sembrano chiare le risorse finanziare da destinare a detta opera di risanamento;
   il dissesto si è verificato nelle immediate adiacenze dell'incrocio stradale denominato «regresso di Capodimonte», importante nodo nevralgico per la mobilità dei veicoli che quotidianamente lo percorrono, diretti ovvero provenienti ai e dai diversi ospedali ubicati nelle vicinanze;
   la provvisoria soluzione rappresentata dalla installazione di presidi di cemento armato (barbacani che hanno invaso il marciapiede e parte della carreggiata stradale) pregiudica, tra l'altro, la possibilità per i cittadini di arrivare in tempi rapidi ai nosocomi sopra descritti;
   a tutt'oggi non esistono certezze né in merito al progetto definitivo di sistemazione della zona né al suo finanziamento da parte dei soggetti aventi causa –:
   quali iniziative intenda porre in essere, anche attraverso la soprintendenza, per definire compiutamente la gravissima situazione esposta in premessa e vissuta, allo stato, con enorme sofferenza dalla popolazione locale. (4-09096)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto militare di Brindisi assolve i compiti istituzionali previsti ed è fornitore di servizi di navigazione aerea a tutto il traffico aereo civile;
   a tali fini, deve garantire la continua integrità e qualità dei suoi servizi nel rispetto dei regolamenti (CE) n. 550/2004 del 10 marzo 2004 e (CE) n. 2096/2005 del 20 dicembre 2005;
   all'interno dell'aeroporto militare sono presenti complessi sistemi (sistemi per comunicazioni radio T.B.T., cioè terra-bordo-terra), sistemi per comunicazioni telefoniche, sistemi ponti radio interforze (Aeronautica militare, Esercito, carabinieri, Ministero della giustizia, polizia di Stato), sistemi per la diffusione di informazioni aeronautiche, radio assistenze, radar per il controllo del traffico aereo, sistemi elettronici di rilevazione e diffusione dati meteorologici, sistemi elettronici di supporto al servizio SCCAM (Servizio coordinamento controllo Aeronautica militare), nonché servizi di radioassistenza e radar quali: TACAN; VOR; ILS; NDB; radar di avvicinamento, che richiedono obbligatoriamente una programmazione di interventi preventivi e correttivi ed impongono che la preparazione professionale del personale tecnico, preposto alla gestione per il mantenimento efficiente di tutte le apparecchiature, sia oggetto di particolare attenzione mediante frequenza di corsi di riqualificazione professionale; 
   gli immobili ospitanti le apparecchiature di telecomunicazioni, radioassistenza, radar, necessiterebbero di interventi strutturali di urgente manutenzione; in avverse condizioni meteorologiche, si verificano infiltrazioni d'acqua, che mettono a rischio l'incolumità del personale tecnico operante nelle postazioni e le stesse apparecchiature. Si registrerebbe, inoltre, la vetustà della maggior parte degli apparati utilizzati nell'ambito del controllo dello spazio aereo e radio navigazione (ILS, NDB, TBT);
   le postazioni isolate e non presidiate da personale, militare e civile, a quanto consta agli interroganti, sono spesso oggetto di atti vandalici e furti con asportazione di apparecchiature e suppellettili (rete di recinzione, parti di impianto di condizionamento, impianto di messa a terra costituito da cavi elettrici di rame, carburante per il funzionamento dei gruppi elettrogeni, e gruppi elettrogeni) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intenda promuovere al fine di porre rimedio alla situazione descritta;
   se il Ministro interrogato ritenga di adottare misure specifiche tese a migliorare e rendere più efficiente l'impiego del personale militare;
   se il Ministro interrogato intenda valutare l'installazione di nuovi impianti (ILS, TBT e NDB). (5-05552)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso anno il 14 aprile 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato il cosiddetto Libro Blu, con i dati relativi ai volumi di gioco per l'anno 2013, mentre quest'anno non è ancora stato pubblicato un testo analogo, nonostante l'ovvio interesse che questi dati riflettono nell'ampio e profondo dibattito sociale sul fenomeno delle dipendenze in materia di giochi, oltre che sul piano economico per il collegamento con il prossimo decreto fiscale nella parte che si riferisce ai giochi;
   con l'ultima legge finanziaria 2015 si è tentato un condono ai CTD illegali, a cui hanno aderito solo 1/3 di questi centri, una positiva ma insufficiente emersione, che certamente ne può facilitare il controllo, ma che non esaurisce le forti preoccupazioni di quanti assistono al dilagare del fenomeno; mentre le notizie che si vanno diffondendo a mezzo stampa parlano di un sistema concessorio che dovrebbe favorire le gaming hall, piccoli casinò mascherati, alcuni dei quali potrebbero trasformarsi addirittura in veri e propri casinò;
   è di questi giorni la notizia apparsa sugli organi di stampa di una sorta di «matrimonio Snai-Cogemat», una nuova e più stretta unione, quasi una fusione, tra il sistema del gioco d'azzardo e quello capillare ed invasivo delle scommesse; esattamente il contrario di quanto prevede il decreto Balduzzi e il disegno di legge recentemente approvato dalla Commissione affari sociali, ancora in attesa di una valutazione dell'impatto economico necessario per finanziarlo. Questa ultima alleanza tra azzardo e scommesse metterebbe ancora una volta in primo piano gli interessi economici-commerciali rispetto alla tutela della salute e alla formazione dei giovani, ma anche alla stessa tutela della legalità;
   secondo l'interrogante il gioco con vincite in denaro deve essere contenuto, limitato, controllato e non rilanciato, pubblicizzato e potenziato; il diritto di chi vende giochi e scommesse si va affermando sempre più sul diritto di chi vorrebbe comprare salute e la commercializzazione del gioco sta acquistando forme sempre più sofisticate ed invasive;
   dagli interventi nel settore dei giochi, negli anni 2015-2019 sono attese maggiori entrate per circa 8 miliardi. Si tratta, in particolare, di misure che prevedono: l'affidamento del servizio di raccolta del gioco del lotto e degli altri giochi a quota fissa a concessionari individuati mediante procedure ad evidenza pubblica (0,8 miliardi); la riduzione dei compensi e degli aggi per gli operatori che agiscono nel settore della raccolta del gioco, mediante apparecchi AWP e VLT, per conto dello Stato (2,5 miliardi); disposizioni volte a favorire la regolarizzazione dei soggetti che operano senza concessione e non sono collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (4,7 miliardi);
   per taluni operatori del settore i dati del DEF sui futuri introiti dei giochi AWP e VLT non sono reali ma rappresentano una mera supposizione non fondata su prove di evidenza oggettiva –:
   se si intenda procedere alla pubblicazione dei dati relativa al gettito economico ottenuto con le diverse forme di giochi: awp, vlt, gratta e vinci, scommesse e altro per il periodo relativo all'anno 2014, in analogia a quanto fatto con il libro blu, nell'aprile dello scorso anno 2014, per l'anno 2013, per poter capire meglio come e dove eventualmente intervenire, non solo in merito al prossimo decreto attuativo della delega fiscale, ma anche in funzione della discussione e della successiva approvazione della legge di tutela dei giocatori affetti da dipendenza grave dal gioco d'azzardo. (3-01486)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102, Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013 n. 124, ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti spa a fornire alle banche italiane, e alle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia, provvista finanziaria per l'erogazione di mutui da destinare «prioritariamente» all'acquisto dell'abitazione principale, preferibilmente appartenente ad una delle classi energetiche A, B o C, e ad interventi di ristrutturazione e accrescimento dell'efficienza energetica, con priorità per le giovani coppie, per i nuclei familiari di cui fa parte almeno un soggetto disabile e per le famiglie numerose;
   sempre il soprarichiamato articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto-legge 102 del 2013 ha disposto che le banche possono avvalersi della provvista finanziaria a condizione che contraggano finanziamenti secondo contratti tipo definiti in un'apposita Convenzione tra la Cassa depositi e prestiti spa e l'Associazione bancaria italiana (ABI) dove sono altresì definite le modalità con cui i minori differenziali sui tassi di interesse in favore delle banche si trasferiscono sul costo del mutuo a vantaggio dei mutuatari;
   in attuazione a quanto sopradisposto la Cassa depositi e prestiti spa ha mobilitato risorse per due miliardi di euro e il 20 novembre 2013 ha stipulato la Convenzione con l'ABI, denominata «Plafond Casa», dove sono delineate le linee guida e le regole applicative per l'accesso a tale strumento finanziario. Dall'accordo le Banche aderenti possono attingere alla provvista per un importo massimo di 150 milioni di euro per erogare mutui fino a: 100 mila euro per interventi di ristrutturazione con accrescimento dell'efficienza energetica della durata massima di 10 anni; 250 mila euro per l'acquisto di immobili residenziali della durata massima di 20 anni e 350 mila euro per interventi congiunti di acquisto e di ristrutturazione, con accrescimento dell'efficienza energetica della stessa abitazione, per una durata massima di 30 anni. A febbraio 2015 risultavano essere stati erogati finanziamenti per un valore complessivo di 250 milioni di euro;
   la provvista finanziaria della Cassa depositi e prestiti, veicolata dalle banche, è finalizzata a sostenere l'accesso al credito, per l'acquisto dell'abitazione principale e o interventi di ristrutturazione e accrescimento dell'efficienza energetica dello stesso immobile, di quei soggetti che hanno difficoltà ad accedere al mercato immobiliare tradizionale con il duplice scopo di incentivare le compravendite in un settore, quello dell'edilizia, che più di altri ha patito la crisi economica e per rispondere all'emergenza casa ormai un vero e proprio dramma per milioni di famiglie nel nostro Paese;
   la norma che ha istituito la Convenzione ha disposto che i minori differenziali sui tassi di interesse in favore delle banche vengano trasferite sul costo del mutuo a vantaggio dei mutuatari che potranno quindi godere di tassi agevolati rispetto a quelli in vigore nel mercato ordinario. Infatti, l'introduzione della «linea a ponderazione zero» nella Convenzione Plafond casa ridurrà il costo degli interessi sui mutui contratti dai beneficiari;
   da una attenta lettura della norma soprarichiamata si evidenzia che non si specifica che tale erogazione di finanziamento esclude l'acquisto di seconde case e che allo stesso possono attingere esclusivamente soggetti a basso reddito. Infatti, proprio per chiarire ogni dubbio interpretativo, la Cassa depositi e prestiti con la Comunicazione del 18 dicembre 2013 ha esteso lo scopo della provvista del Plafond casa all'acquisto anche di immobili residenziali diversi dalla abitazione principale. Praticamente le seconde e potenzialmente anche terze e quarte case;
   i beneficiari dello strumento sono tutte le persone fisiche che accedono ai mutui concessi dalle banche aderenti poiché all'articolo 1 della convenzione è prevista la sola definizione di «Beneficiario Prioritario» – (1) componente di una giovane coppia, ossia un nucleo familiare costituito da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno due anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni e l'altro non superi i 40 anni di età alla data di presentazione della domanda di finanziamento; (2) componente di un nucleo familiare di cui fa parte almeno un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104; (3) componente di una famiglia numerosa, ossia un nucleo familiare con tre o più figli – a cui è concesso solo la possibilità di vedersi esaminare come «prioritaria» la domanda di mutuo avente ad oggetto l'acquisto di una abitazione principale;
   anche se trattati in via prioritaria, i soggetti rientranti nella definizione di «Beneficiario Prioritario» possono non avere i requisiti per accedere al mutuo, con il rischio paradossale che i finanziamenti agevolati previsti dalla convenzione Plafond casa vengano erogati a favore di soggetti che non hanno nessuna difficoltà ad accedere al normale mercato dei mutui e addirittura utilizzando tale strumento per l'acquisto non dell'abitazione principale ma di seconde e terze case;
   se fosse confermato quanto sopra, rappresenterebbe una vera e propria beffa per tutti coloro che vivono il dramma della casa e un grande regalo per i ceti abbienti che possono così acquistare e ristrutturare casa attingendo impropriamente a risorse che viceversa, nell'intenzione originaria del legislatore, dovevano essere finalizzate a contrastare l'emergenza casa riattivando l'asfittico mercato immobiliare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e se non ritenga urgente chiarire l'ammontare dei finanziamenti a tutt'oggi erogati in base alla convenzione «Plafond Casa» tra Cassa depositi e prestiti e ABI, in particolare la percentuale sul totale effettivamente assegnato a soggetti appartenenti alla categoria del «Beneficiario Prioritario»;
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti in merito ai tassi di interesse applicati ai mutuatari, al loro valore rispetto a quelli applicati nel mercato ordinario e se i risparmi previsti dai trasferimenti dei minori differenziali sui tassi di interessi disposti dalla norma siano stati applicati esclusivamente alla categoria del «Beneficiario Prioritario» oppure indistintamente a tutti i richiedenti;
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire normativamente per vincolare l'ingente provvista di due miliardi di euro, messa a disposizione da Cassa depositi e prestiti alla sola categoria del «Beneficiario Prioritario» così da finalizzare tale intervento ad una effettiva risposta all'enorme disagio abitativo presente nel nostro Paese favorendo l'accesso al credito residenziale a quei soggetti con maggiori difficoltà ad accedere al mercato finanziario ordinario. (5-05549)


   PISANO e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte prevede che dall'imposta lorda si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate», l'articolo 79 del testo unico sulle imposte rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute a titolo d'acconto ai fini IRES; 
   secondo il dettato normativo, dunque, possono verificarsi i seguenti casi pratici:
    1) può verificarsi che la ritenuta venga operata prima della presentazione della dichiarazione dei redditi: si configura tale ipotesi quando la ritenuta è operata e versata nell'anno di competenza del pagamento, oppure quando la ritenuta è operata nell'anno successivo a quello di competenza del ricavo sul quale è operata ma prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi; in tutti questi casi, la legge prevede che la ritenuta vada scomputata nella dichiarazione dei redditi di competenza;
    2) può verificarsi inoltre che la ritenuta venga operata dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi; la norma si riferisce ai casi in cui la ritenuta relativa ad un compenso di competenza dell'anno precedente, venga eseguita a seguito del decorso del termine di presentazione della dichiarazione di competenza; al riguardo, la stessa legge consente al contribuente di portare in detrazione la ritenuta nella dichiarazione dei redditi dell'anno in cui è stata operata; in altre parole, per la sola ritenuta operata dopo il decorso del termine della dichiarazione di competenza del ricavo, si applica il principio di cassa e non più quello di competenza, consentendo al contribuente di scomputare la ritenta nel periodo d'imposta in cui è stata operata (anche se riferita ad un ricavo di competenza di un periodo d'imposta precedente);
   il sistema delineato dalla norma in commento presenta tuttavia criticità applicative, soprattutto nell'ipotesi descritta sub n. 1): nei casi di ritenute operate l'anno successivo a quello di competenza del compenso cui si riferiscono, risulta infatti poco agevole scomputare la ritenuta subita nella dichiarazione dei redditi di competenza del ricavo; ciò soprattutto in conseguenza del fatto che il contribuente non riceve la certificazione della ritenuta subita (la certificazione rilasciata entro il 28 febbraio riguarda infatti le ritenute operate nell'anno precedente ed in relazione ai pagamenti eseguiti nell'anno) ed allo stesso tempo si trova nella condizione di dover scomputare la ritenuta nella dichiarazione dei redditi di competenza del ricavo;
   con la risoluzione n. 68/E/09 l'Agenzia delle entrate ha precisato che lo scomputo della ritenuta è ammesso anche in assenza di certificazione ma a condizione che il contribuente sia in grado di dimostrare di averla subita «tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o da altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l'importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura»; nonché, con l'orientamento giurisprudenziale consolidato che non considera la certificazione rilasciata dal sostituto d'imposta come l'unico strumento di prova delle ritenute subite, in quanto si ritiene comunque ammissibile anche l'utilizzo di documentazione presentata dal percettore, quale, ad esempio, la fattura emessa (nella quale risulta l'importo lordo spettante, la ritenuta subita e l'importo netto percepito) e l'estratto del conto corrente bancario;
   senonché, la soluzione individuata dalla prassi applicativa dell'amministrazione finanziaria, seppure risolutiva, finisce per porre a carico del contribuente ulteriori oneri contabili e di documentazione (oltre quelli ordinari già previsti dalla legge), nonché lo espone al concreto rischio di verifiche e controlli fiscali circa la spettanza della ritenuta scomputa in dichiarazione, aggravando la stessa attività di verifica dell'Agenzia;
   inoltre, va evidenziato che l'eventuale irregolarità, infedeltà e omissione della presentazione della certificazione unica e del modello 770 da parte del sostituto, espone ancor di più il sostituito al controllo fiscale da parte dell'Agenzia; anzi l'assenza di dati e notizie fiscale sul sostituto vincola l'Agenzia a rivolgersi al sostituito per il controllo della correttezza delle ritenute indicate in dichiarazione dei redditi; sicché, oltre alla decurtazione patrimoniale a seguito della ritenuta, il sostituito finisce per essere costretto anche a dover sopportare il controllo fiscale dell'Agenzia e, sopratutto, a dover dimostrare la regolarità dei dati dichiarati attraverso costosissime gestioni manuali dei documenti da esso stesso prodotti ma anche prodotti da terzi, come istituti finanziari presso i quali è stato ricevuto l'incasso; le eventuali irregolarità, infedeltà omissioni sono peraltro condizioni che si verificano con frequenza poiché tra i soggetti sostituiti sono inclusi anche i condomini che per via della loro stessa costituzione sono coinvolti nelle irregolarità; è inopportuno aumentare ulteriormente il costo di gestione del rapporto con il fisco per quei soggetti contribuenti che già sono oberati dalla legislazione tributaria italiana e dalla regolamentazione fiscale ad infiniti adempimenti per cause che non sono neppure ed essi stessi imputabili;
   sarebbe pertanto auspicabile un intervento normativo volto alla semplificazione degli adempimenti posti a carico del contribuente ai fini dello scomputo delle ritenute operate l'anno successivo a quello di competenza; si potrebbe ad esempio:
    optare per una semplificazione fiscale attuata attraverso l'attribuzione dell'obbligo di versamento della ritenuta direttamente al sostituito: in pratica, nei casi di pagamento del compenso operato l'anno successivo a quello di competenza, andrebbe sostituito l'obbligo di versamento della ritenuta a carico del pagatore con l'obbligo di versamento di un acconto (della stessa misura della ritenuta) da parte dello stesso contribuente percettore del compenso da sottoporre a ritenuta;
    introdurre l'obbligo di trasmissione telematica delle ritenute operate, per singolo versamento o con cadenza periodica mensile o trimestrale, in modo tale da garantire un controllo immediato ed efficace delle dichiarazioni dei redditi attraverso l'incrocio dei dati in possesso dell'Agenzia, sgravando il contribuente degli oneri documentali posti a suo carico e limitando i controlli sostanziali sulla dichiarazione ai soli casi di comprovata incongruenza dei dati trasmessi;
    introdurre un sistema telematico o digitale on-line, anche attraverso l'utilizzo degli attuali servizi telematici messi a disposizione dei contribuenti, che consenta al sostituito di verificare l'adempimento e la correttezza dei dati dichiarati dal sostituto in merito alle ritenute operate ed i dati in possesso dell'Agenzia delle entrate, semplificando con ciò sia la fase dichiarativa sia l'eventuale successiva attività di controllo da parte dell'Agenzia –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a risolvere le descritte problematiche applicative, relative sia allo scomputo delle ritenute operate, l'anno successivo a quello di competenza dei ricavi o compensi sui quali sono operate, sia ai controlli fiscali in caso di omissione della certificazione e della dichiarazione da parte del sostituto, se ritenga plausibili le soluzioni prospettate dagli interroganti e, in ogni caso, quali misure intenda adottare. (5-05553)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo pubblicato da organi di stampa (Quotidiano Nazionale, Resto del Carlino), l'Agenzia delle entrate di Rimini in almeno quattro casi avrebbe aperto d'ufficio la partita Iva relativamente all'attività di alcune prostitute oggetto di verifiche da parte della stessa Agenzia e della Guarda di finanza, iscrivendo le loro prestazioni nella categoria dei «servizi alla persona»;
   con sentenza n. 20528 del 1o ottobre 2010, la Corte di Cassazione (sezione tributaria) ha statuito che i proventi dall'attività di prostituzione «debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che pur essendo tale attività discutibile sul piano morale, essa non può essere certamente ritenuta illecita»;
   con sentenza n. 10578 del 13 maggio 2011, la stessa Corte di Cassazione (Sezione Tributaria) ha affermato «l'assoggettabilità ad IVA dell'attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore, con carattere di abitualità. Seppur contraria al buon costume, in quanto avvertita dalla generalità delle persone come trasgressiva di condivise norme etiche che rifiutano il commercio per danaro del proprio corpo, l'attività predetta non costituisce reato, e consiste, appunto, in una prestazione di servizio verso corrispettivo»;
   la stessa sentenza precisa che la qualificazione della prostituzione in termini di «prestazione di servizi retribuita» «risulta, peraltro, già, affermata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nella sentenza n. 268 del 20 novembre 2001, in causa C-268/99, in cui la Corte muovendo dalla giurisprudenza, costante, secondo la quale una prestazione di lavoro subordinato o una prestazione di servizi retribuita deve essere considerata come attività economica ai sensi dell'articolo 2 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, articolo 2 CE), purché le attività esercitate siano reali ed effettive e non tali da presentarsi come puramente marginali e accessorie». Nel dispositivo della Corte di Cassazione si demanda al giudice nazionale di «accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo, ossia: senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità, e a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente»;
   tali orientamenti sono stati confermati anche dall'ordinanza n. 18030 del 24 luglio 2013 della stessa Corte di Cassazione;
   nel 1990 (X legislatura) in risposta all'interrogazione n. 5-02296, il Governo pro tempore sosteneva che fosse difficile individuare la categoria fiscale alla quale sarebbero stati ricondotti i proventi derivanti dall'attività di prostituzione;
   alla luce di quanto esposto, si considera necessario e indifferibile un intervento legislativo chiarificatore in materia, non più demandabile a sentenze dei tribunali o ad atti di accertamento dell'Agenzia delle entrate, che non posseggono la necessaria organicità di approccio e tanto meno la competenza normativa che è riservata all'attività legislativa;
   la presente interrogazione non intende in alcuna misura entrare nel merito di altre fattispecie etiche, sanitarie e di ordine pubblico, che pure rappresentano aspetti altrettanto critici della complessiva tematica;
   la mera pretesa di un contributo fiscale a chi esercita attività di prostituzione senza alcun corrispettivo in termini previdenziali e contributivi genererebbe un'ingiusta discriminazione per un'attività che, come accertato dalla Corte di Cassazione, pur essendo discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita –:
   quali iniziative intenda intraprendere per aggiornare la normativa vigente garantendo equità fiscale, contributiva e previdenziale. (4-09119)


   SORIAL, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità Europa e Ocse sul costo economico degli effetti sulla salute dell'inquinamento atmosferico in Europa, presentato di recente ad Haifa, in Israele, rivela che l'inquinamento causa in Italia quasi 33 mila morti premature l'anno, con una ricaduta sulla collettività in termini economici di ben 97 miliardi di dollari l'anno, ovvero il 4,7 per cento del prodotto interno lordo;
   in Italia si violano i limiti di quasi tutti gli inquinanti atmosferici previsti dalla normativa europea: il nostro Paese è in cima alla classifica dei Paesi in cui il limite del PM10 è superato più frequentemente, oltre a essere tra i Paesi nei quali nel 2011 è stato superato anche il valore-obiettivo per il PM2.5;
   le stime del rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, parlano di 7 milioni di decessi prematuri nel mondo, di cui 600mila nel continente europeo, dove il peso economico di questo flagello, secondo i risultati della ricerca, sarebbe di circa 1.600 miliardi di dollari, con 1.400 miliardi dollari per i decessi e un altro 10 per cento da imputare al costo di malattie da inquinamento atmosferico (cardiovascolari, ictus, e altro), arrivando al totale di 1.600 miliardi che equivale, in non meno di 10 dei 53 paesi della regione, al 20 per cento del prodotto interno lordo nazionale;
   oltre il 90 per cento dei cittadini dell'Europa sarebbero perennemente esposti a livelli annui di polveri sottili che si trovano sopra i limiti delle linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità, e questo si traduce in morti premature dovute a malattie cardiache e respiratorie, ictus e cancro ai polmoni;
   non solo i limiti imposti per legge per l'inquinamento atmosferico spesso in Italia vengono superati, ma secondo il rapporto dell’European Environment Agency, Air quality in Europe, nuove evidenze scientifiche dimostrano la gravità dell'impatto sanitario a livelli anche molto inferiori a quelli normativamente previsti;
   lo studio recentemente pubblicato su Lancet Oncology, «Air pollution and lung cancer incidence in 17 European cohorts: prospective analyses from the European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE)», ha messo in luce un nesso tra aumentata esposizione a polveri fini e incidenza di tumori del polmone, mentre altri studi tenderebbero a dimostrare che l'inquinamento ha conseguenze importanti non solo sul sistema respiratorio, ma anche sul sistema cardiocircolatorio e immunologico e sull'incidenza dei tumori (non solo del polmone), senza contare l'aumento esponenziale delle allergie nella popolazione che è verosimilmente in parte correlato all'inquinamento;
   secondo un articolo pubblicato della Società, europea di cardiologia (ESC) che rappresenta più di 80 000 professionisti di cardiologia in Europa e nel Mediterraneo, i pazienti affetti da patologie cardiache dovrebbero evitare di rimanere all'aperto, in diretto contatto con traffico dell'ora di punta;
   secondo lo studio pubblicato oggi da un gruppo di specialisti riuniti nell'Associazione lotta alla trombosi, nelle città italiane più inquinate, Milano e Torino, a causa dello smog si possono perdere dai 2 ai 3 anni di vita;
   come riportato dall'edizione 2015 del dossier Mal'Aria della Legambiente, la prima causa di inquinamento atmosferico nelle città è il traffico, e lo smog nella pianura padana ucciderebbe 300 persone l'anno (230 milanesi);
   dal monitoraggio fatto dalla campagna di Legambiente «Pm10 ti tengo d'occhio», nel 2014 sono risultati ben 33 su 88 i capoluoghi (il 37 per cento di quelli monitorati) in cui almeno una centralina di monitoraggio urbana ha superato il limite di 35 giorni oltre la soglia massima ammissibile per il Pm10;
   le città italiane con la situazione peggiore rispetto alle polveri finissime (Pm2,5) per il 2014 sono Brescia, Milano, Monza, Torino, Cremona, Mantova, Padova, Venezia, Vicenza, Alessandria; per l'azoto: Roma, Torino, Milano, Trieste, Messina, Palermo, Como, Genova, Novara, Monza; per le polveri fini (Pm10) Frosinone, Alessandria, Vicenza, Torino, Benevento, Lodi, Cremona, Avellino, Milano e Venezia; per l'ozono le cinque peggiori sono Lecco, Udine, Bergamo, Pavia, Modena;
   Legambiente ha segnalato che già nel primo mese dell'anno la situazione dell'inquinamento atmosferico sarebbe fuori controllo: in gennaio 32 capoluoghi di provincia hanno registrato oltre 10 giorni di superamento della soglia massima giornaliera consentita di Pm10 (polveri fini) e in 14 di essi si è registrato un superamento un giorno su due;
   «Ridurre l'inquinamento atmosferico è diventato una priorità politica. La qualità dell'aria sarà un tema chiave al prossimo Conferenza ministeriale Ambiente per l'Europa in Georgia nel 2016», ha dichiarato il segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa, Christian Friis Bach –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente del terribile impatto dell'inquinamento dell'aria non solo sulla salute degli italiani, ma anche sull'economia del Paese, come descritto in premessa, e quali misure intendano prendere, per quanto di loro competenza, per arginare questo problema che assorbe ingenti risorse economiche, preziose, ora più che mai, per un Paese come l'Italia, che sta combattendo contro la crisi da più di otto anni;
   se e quali iniziative si intendano adottare, con la concertazione degli enti territoriali competenti, per intervenire sulla mobilità sostenibile al fine di contrastare l'inquinamento atmosferico a livello nazionale e, in particolare nella pianura padana dove, alla luce dei dati emersi, la situazione è più critica. (4-09121)


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i numeri della «povertà alimentare» sono in rapida crescita, a causa della crisi economica in atto ormai da 8 anni: secondo un recente rapporto dell'Istat, in Italia, oltre 6 milioni di persone versano in una situazione di povertà assoluta e di queste, oltre 4 milioni, vivono sotto la soglia della povertà alimentare, cioè la condizione di chi può permettersi solo una spesa alimentare povera per quantità e qualità;
   prima della crisi, nel 2007, i cosiddetti «poveri a livello alimentare» erano a quota 3 milioni, un milione di meno di oggi;
   anche nelle città italiane più importanti come Milano, Roma e Napoli, associazioni e onlus servono ormai oltre 2 milioni di pasti gratis ogni anno a persone di classi sociali molto differenti, e sempre più spesso anche a lavoratori che, pur avendo un'occupazione, non riescono a guadagnare abbastanza per mantenersi;
   nelle principali città italiane, la fame è ormai un problema giornaliero per migliaia di persone: a Milano, l'Opera San Francesco, ente gestito dai frati cappuccini e mensa più grande del capoluogo lombardo, nel 2014 ha sfornato oltre 869mila pasti caldi; a Roma i dati del comune parlano di 627.890 utenti annui per quanto riguarda le mense sociali e 86.070 pasti a domicilio: la mensa di via Dandolo, gestita dalla comunità di Sant'Egidio, ha visto aumentare le richieste con 2.807 nuove iscrizioni nel 2014 tra cui 417 di italiani; a Napoli, vi sono 10 mense, per una media di 1.500 pasti erogati al giorno;
   secondo alcuni dati rielaborati dalla Coldiretti, nel 2012 in Italia le persone che hanno beneficiato dei servizi mensa sono state oltre 300mila, mentre quasi 3,8 milioni hanno usufruito dei pacchi alimentari distribuiti dagli enti di assistenza;
   il professore di sociologia all'università Cattolica di Milano, Giancarlo Rovati spiega che bisogna «uscire dallo stereotipo in base al quale il frequentante tipo è un anziano senza fissa dimora. In realtà a servirsi delle mense e di altri servizi sono adulti anche di età molto giovane, in età da lavoro. Molti fanno parte di quella categoria dei cosiddetti working poor, cioè i lavoratori poveri, quelli che hanno un lavoro saltuario o una retribuzione insufficiente. C’è da sottolineare il fatto che per il bisogno alimentare è più facile trovare aiuti: così chi chiede un pasto alle mense per indigenti è anche chi ha una propria abitazione, un lavoro e una famiglia e attraverso l'aiuto alimentare può destinare le proprie scarse risorse ad altro»;
   i frequentatori delle mense stanno rapidamente cambiando: se prima si trattava principalmente di persone senza fissa dimora, o migranti, nell'ultimo biennio si nota un aumento degli anziani e delle nuove categorie sociali come i padri separati o le vittime del gioco d'azzardo. Tra l'altro, cominciano ad affacciarsi anche membri di quelle che erano le cosiddette categorie benestanti, come promotori finanziari e qualche avvocato;
   Giancamillo Trani, vicedirettore (laico) della Caritas diocesana di Napoli, racconta che «Una volta a una delle nostre porte ha bussato un ricercatore universitario. Oltre che un pasto, ci ha chiesto anche un computer per continuare a lavorare su un progetto», a conferma che la crisi economica ha colpito in maniera trasversale tutte le fasce della popolazione;
   l'Eurostat ha calcolato che in Europa nel 2013 quasi il 25 per cento della popolazione della Unione europea equivalente a 122,6 milioni di persone, era a rischio povertà ed esclusione sociale; il 9,6 per cento della popolazione europea, secondo gli ultimi dati dell'istituto, è in condizioni di deprivazione, e tra i parametri considerati ci sono anche l'impossibilità di riuscire a fare un pasto con carne, pesce, pollo o equivalenti vegetariani almeno una volta ogni due giorni;
   in 22 Paesi europei, 3,5 milioni di persone ricevono aiuti alimentari dai programmi di assistenza della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e secondo la European federation of food banks, nel 2013 sono state quasi 6 milioni le persone aiutate;
   tra i Paesi più in difficoltà, il rapporto segnala la Spagna, «dove sono 1,2 milioni le persone che hanno ricevuto aiuti alimentari nel 2012, più del doppio rispetto al 2009» e dove la comunità di Sant'Egidio, a causa della grande richiesta, è stata costretta ad aprire una mensa;
   in Grecia la situazione è drammatica, con un 55 per cento di famiglie impoverite che ha dichiarato di «non essere in grado di coprire le spese per il cibo necessario alla propria famiglia», come segnalato da un recente rapporto della Caritas;
   anche in Gran Bretagna, «il crescente bisogno di cibo» ha obbligato la Croce Rossa locale, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, a scendere di nuovo in campo nella distribuzione alimentare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano attivarsi per combattere il trend in rapida crescita della carenza alimentare nel nostro Paese, nonché organizzare programmi di sostegno per i ben 4 milioni di persone che già versano in condizioni di povertà così grave da non potersi alimentare adeguatamente, con particolare attenzione per i minori coinvolti in queste situazioni di grave indigenza. (4-09122)


   ROTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo testo dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 33 del 2013, così come recentemente modificato dall'articolo 24-bis del disegno di legge n. 90 del 2014 (introdotto in sede di conversione), ha chiarito l'ambito soggettivo di riferimento delle disposizioni del decreto medesimo, stabilendo l'applicabilità dell'intera disciplina della trasparenza per le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001 e le società dalle medesime controllate, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea;
   la Rai — Radio Televisione Italiana s.p.a. è la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia;
   l'azionista di maggioranza del gruppo Rai è il Ministero dell'economia e delle finanze, con il 99,56 per cento delle azioni (SIAE 0,44 per cento);
   da un accesso sul sito istituzionale della RAI, alla sezione «Amministrazione trasparente», si è potuto constatare che non sono presenti i dati richiesti dalla nominata normativa, risultando tutte le sezioni «in aggiornamento»;
   risulta evidente che la RAI non ha ancora dato attuazione agli obblighi pubblicitari non consentendo di conoscere i dati richiesti dalla normativa di riferimento –:
   se i Ministri siano a conoscenza di questa situazione e quali iniziative intendano intraprendere affinché l'ente in questione proceda con la massima sollecitudine ad attuare concretamente quanto stabilito dalla normativa in tema di trasparenza. (4-09125)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 aprile 2015 presso la casa circondariale di Verona in località Montorio, verso mezzogiorno si è sviluppato un incendio: le fiamme hanno distrutto un materasso e si sono poi estese ad un armadietto, si apprende dalla stampa che il bilancio degli intossicati è di 13 persone: undici agenti di Polizia penitenziaria e due detenuti;
   l'incendio sarebbe stato provocato da un materasso dato alle fiamme in una cella della seconda sezione maschile riconducibile ad un gesto per protestare contro le condizioni di vita nel carcere;
   nonostante l'intervento dei vigili del fuoco, gli agenti sono rimasti intossicati dal fumo sprigionato dal rogo, mentre erano impegnati ad evacuare l'ala del carcere interessata dall'incendio, che ospita 150 detenuti;
   alcuni degli intossicati sono stati dimessi in breve tempo, mentre altri otto, un detenuto e sette agenti della Polizia penitenziaria, sono stati invece trattenuti nella camera iperbarica del Polo Confortini all'ospedale cittadino di Borgo Trento;
   quest'episodio s'inserisce in un contesto nel quale vi è stato un susseguirsi di segnali che volgono al deterioramento generale delle condizioni di vita e lavoro nel carcere veronese: il sabato precedente era stata registrata un'aggressione, la condizione del carcere veronese ormai da tempo viene denunciata dai sindacati della polizia penitenziaria che rappresentano una «situazione tesa» all'interno del carcere;
   tra l'altro il direttore nei giorni del verificarsi dell'incendio era in ferie e nessun altro era autorizzato a parlare;
   i sindacati del Sappe, Osapp, Cisl-Fns, Cgil-Fp, lamentano che la situazione nel carcere di Verona sia al limite, nel 2011 tra episodi di autolesionismo, tentati suicidi ed aggressioni si contano 200 casi, prima dell'insediamento dell'attuale direzione, nel 2012 c’è stato il raddoppio dei casi problematici, poi triplicati nel primo trimestre del 2013 con inevitabile innalzamento dello stress lavorativo. Nel 2014, quindi, nel solo penitenziario scaligero si sono contati 32 tentati suicidi di detenuti, sventati in tempo dai poliziotti, 169 atti di autolesionismo, 181 colluttazioni e 44 ferimenti;
   già sabato sera 4 aprile, alla vigilia di Pasqua c'erano stati i primi segnali di tensione tra i detenuti, con molti detenuti che, liberi di muoversi liberamente tra i corridoi in forza delle nuove disposizioni ministeriali di «regime aperto», hanno sequestrato per oltre 20 minuti due poliziotti penitenziari minacciandoli con lamette;
   un secondo episodio avvenuto il giorno di Pasquetta, il 6 aprile 2015, nel quale un detenuto non nuovo ad episodi di violenza, ha aggredito un agente malmenandolo con calci e sbattendolo contro un termosifone;
   un altro episodio verificatosi il giorno 7 aprile 2015 vede lo stesso detenuto violento dell'aggressione del giorno precedente, attuare una ulteriore aggressione colpendo la nuca di un poliziotto penitenziario con la macchinetta del caffè;
   in seguito è stato appiccato fuoco ad un materasso ovvero alle suppellettili di un detenuto nella sezione maschile, e solo il tempestivo intervento degli agenti ha consentito una rapida fuoriuscita dei detenuti nel cortile all'aria aperta, tuttavia, la mancanza di presidi e dispositivi adeguati alla protezione del personale ha provocato l'intossicazione degli agenti;
   ulteriormente le stesse sigle sindacali riferiscono altri problemi in ordine alla disciplina interna del carcere in quanto risultano decaduti innumerevoli rapporti disciplinari nei confronti di detenuti indisciplinati, non risulterebbe più garantito un servizio di vigilanza continuo in concomitanza con l'orario cambi per cena e pranzo, anche a giudicare dal fatto che gli ultimi episodi violenti si sono verificati proprio in concomitanza con il cambio turno pranzo o cena;
   la situazione, quindi, appare piuttosto tesa con le rappresentanze sindacali che non riescono a trovare un dialogo efficace con la dirigenza dell'istituto veronese, la quale sembra non voler tenere in considerazione le lamentele presentate, a tutto detrimento dell'efficienza e della sicurezza di agenti e detenuti all'interno del carcere –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali interventi intenda attuare per poter verificare la situazione esistente nel carcere di Verona e nei carceri italiani in genere a fronte dei tanti episodi di violenza che si manifestano negl'istituti di pena italiani;
   se ritenga adeguate le nuove disposizioni ministeriali di «regime aperto» per la sicurezza degli operatori e dei detenuti stessi all'interno delle carceri italiane, in assenza di progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti ovvero di forme di accompagnamento al lavoro degli stessi;
   se abbia valutato l'opportunità di prevedere forme di controllo più efficaci al fine di rendere compatibili i percorsi rieducativi che la detenzione dovrebbe perseguire con la sicurezza degli operatori civili e di polizia penitenziaria e degli stessi detenuti all'interno degli istituti circondariali italiani;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la casa circondariale di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (5-05545)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'articolo 29, comma 1, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 («Sblocca Italia») convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, – ha disposto che venga adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, un piano strategico della portualità e della logistica;
   il termine per l'emanazione del suddetto decreto era di novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, e quindi il 12 febbraio 2015;
   presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stato istituito dall'allora Ministro, Maurizio Lupi, un gruppo di lavoro dedicato alla attività istruttoria per la redazione del piano, che ha iniziato la sua attività il 19 novembre 2014 e — da quanto riportato, sia sulla stampa per tutto il periodo che va da quella data fino al marzo 2015, sia sul sito ufficiale del Ministero — ha svolto una intensa attività, articolata per sottogruppi;
   il 9 febbraio 2015 si sono svolti a Roma gli stati generali della portualità e della logistica, un appuntamento pubblico per raccogliere dagli operatori del settore, proposte, documenti ed elaborazioni, utili ai fini della migliore definizione degli obiettivi strategici di questo settore vitale per l'economia italiana;
   i numerosi documenti presentati in quella occasione – che costituiscono una ampia e rappresentativa base conoscitiva messa a disposizione delle istituzioni di governo dalle principali associazioni di operatori coinvolti nelle attività portuali e logistiche risultano, alla data odierna, ancora consultabili sul sito ufficiale del Ministero;
   il comma 2 dello stesso articolo 29 del decreto-legge 133 del 2014 ha disposto: «Allo scopo di accelerare la realizzazione dei progetti inerenti alla logistica portuale, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le Autorità portuali presentano alla Presidenza del Consiglio dei ministri un resoconto degli interventi correlati a progetti in corso di realizzazione o da intraprendere, corredato dai relativi cronoprogrammi e piani finanziari. La Presidenza del Consiglio dei ministri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, seleziona, entro i successivi sessanta giorni, gli interventi ritenuti più urgenti sulla base delle proposte contenute nei documenti presentati dalle Autorità portuali, anche al fine di valutarne l'inserimento nel piano strategico di cui al comma 1, ovvero di valutare interventi sostitutivi»;
   l'articolo 29, nel suo insieme, ha quindi delineato un percorso organico, volto alla razionalizzazione degli interventi infrastrutturali e al rilancio di un settore economico fra i più importanti, soprattutto in una prospettiva di ottimizzazione delle peculiarità geografiche del Paese, e che comunque, già oggi, genera un effetto moltiplicativo tra i più elevati sia sul fatturato (2,9) sia sul numero degli occupati (2,4);
   inoltre, l'articolo 29 del decreto-legge «Sblocca Italia» ha suscitato molte aspettative nel settore per alcuni elementi innovativi e di discontinuità: finora è infatti mancato un momento di sintesi politico/strategica che segnasse la volontà unitaria del Governo – in tutte le sue componenti – a rilanciare la competitività dei porti e dell'intero sistema logistico italiano;
   tale azione di sintesi risulta particolarmente necessaria, attese le importanti competenze afferenti a diversi Ministeri – dalle competenze ambientali sui dragaggi, a quelle del Ministero dell'economia e delle finanze al quale risponde un'amministrazione fondamentale ai fini della competitività dei porti come le dogane — e atteso il dato, difficilmente controvertibile, che le grandi sfide del nostro Paese vengono troppo spesso affrontate con strumenti settoriali e senza coordinamento, con un metodo, quindi, del tutto inadeguato rispetto alle sfide dell'economia globale;
   l'articolo 29 – in quanto prevede, in modo opportuno, che il piano sia approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre assegna al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la principale responsabilità di proposta – prefigura il piano come un documento di strategie e di indirizzi, e quindi di scelte, impegnative per l'intero Governo: esattamente ciò di cui il settore avverte una grande urgenza;
   in tal senso è da leggersi anche l'esplicito riferimento, nel testo del comma 1 dell'articolo 29: «anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento delle Autorità portuali esistenti, da effettuare ai sensi della legge n. 84 del 1994» –:
   se l'obiettivo indicato dall'articolo 29 della «crescita dei traffici delle merci e delle persone» rimanga l'obiettivo principale del piano in corso di elaborazione;
   se condivida l'analisi svolta dal gruppo di lavoro insediato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e riportata nei documenti pubblicati, che sia nello shipping, sia nella logistica sono in atto cambiamenti epocali e fenomeni marcati di concentrazione e che è di importanza prioritaria per la portualità e la logistica italiane attrarre presso i porti mediterranei quote significative di traffico di merci containerizzate oggi sottratte alle loro destinazioni naturali dalla maggiore competitività dei porti del «Northern Range», dato che il porto di Rotterdam, da solo, movimenta 12 milioni di container (più dei 23 maggiori porti italiani messi insieme);
   se i lavori presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per la definizione della proposta del piano siano stati conclusi e entro quali tempi sia prevedibile lo svolgimento degli adempimenti di legge ai fini dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
(2-00959) «Dorina Bianchi, Piso».

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'incendio che si è sviluppato nella notte tra il 6 e il 7 maggio presso il terminal 3 dell'aeroporto di Fiumicino ha provocato la paralisi dello scalo notevoli disagi ai passeggeri;
   non appena saranno terminate le attività di messa in sicurezza e l'aeroporto avrà ripreso la sua piena funzionalità sarà indispensabile fare piena luce sulle cause del rogo nonché sulle ragioni di un evidente limite registrato e cioè l'assenza di un piano di emergenza di fronte a simili evenienze che tutelasse i passeggeri;
   l'aeroporto di Fiumicino vede il passaggio giornaliero di circa 500-800 voli, tra decolli e arrivi ed ospita velivoli come Airbus A380 da 600 passeggeri che caricano anche 300mila litri di cherosene;
   bene ha fatto il Ministro Delrio a chiedere di anticipare a prima possibile la riapertura, per cercare di ridurre i disagi per i passeggeri;
   viene da chiedersi perché la società privata che ha la responsabilità di gestire lo scalo non avesse dei piani in grado di affrontare con maggiore prontezza un evento come quello accaduto questa notte;
   è altresì da verificare se le autorizzazioni e le concessioni relative alle attività presenti all'aerostazione in riferimento all'impiantistica siano in regola anche rispetto a regimi di deroga in considerazione dei lavori di ammodernamento in essere;
   in particolare, occorre verificare se corrisponda al vero che alcune aree dell'aeroporto, siano prive delle autorizzazioni previste dalla normativa europea, vedendo garantita l'operatività solo grazie a regimi di deroga che le classificherebbero come aree cantierabili;
   tali deroghe, in vigore fino al 2016, individuerebbero tali aree come interessate da lavori in corso, in modo da permettere, comunque, lo svolgimento di attività lavorative;
   sono, quindi, evidenti le anomalie che inducono a non poca preoccupazione anche in riferimento agli eventi che la città di Roma si appresta a vivere, come il Giubileo della misericordia, che vedranno milioni di pellegrini giungere via aereo nella capitale –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per verificare quanto riportato in premessa e le ragioni di simili anomalie nella gestione di questa emergenza nonché quali misure intenda varare al fine di rendere maggiormente sicuro l'aeroporto di Fiumicino, anche in vista degli imminenti eventi di richiamo mondiale. (3-01484)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 aprile 2015 presso la stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, si è verificato un guasto ad un quadro elettrico;
   intorno alle 17.30, con grande probabilità, una scintilla, provocava uno scoppio e successivamente un piccolo incendio ai quadri elettrici della sala impianti, sicurezza e segnalamento della stazione stessa, mandando in tilt tutti i programmi di viaggio sulle direttrici Milano – Venezia, e Bolzano – Bologna;
   nell'immediatezza dell'evento la stazione di Porta Nuova si blocca completamente: non c’è più energia elettrica, i treni spengono le luci, così come tutti i terminali; i viaggiatori in attesa dei treni nella stazione perdono ogni orientamento a causa anche della mancanza di annunci sonori di aggiornamento sulla situazione, in quanto non v’è nemmeno l'energia per consentirli;
   nell'immediatezza, grazie all'intervento combinato dei dirigenti delle Ferrovie della Polizia municipale di Verona, dei vigili del fuoco e della polizia ferroviaria si riesce comunque garantire la sicurezza dei viaggiatori e lavoratori presenti in stazione;
   l'incendio di materie plastiche, quali le guaine dei cavi elettrici del quadro elettrico di comando delle segnalazioni provoca un denso e pungente fumo pregno di sostanze chimiche che rende l'aria irrespirabile;
   l'intervento immediato consente la creazione di presidi che smistano i viaggiatori in transito; è interdetta l'area dell'incendio e vengono altresì evacuati gli uffici di operatori e dirigenti della stazione;
   la polizia ferroviaria di Verona per mezzo del dirigente Maria Grazia Di Masi, spiega che il guasto elettrico ha generato il blocco dell'erogazione di energia e la conseguente paralisi della stazione con ovvie ripercussioni su tutto il traffico di treni in circolazione da e per la stazione di Verona;
   sin da subito ci si è resi conto che il guasto avrebbe provocato notevoli disagi;
   le condizioni di sicurezza che venivano man mano ripristinate hanno consentito la partenza solo di alcuni treni, i passeggeri ed i viaggiatori degli altri treni che, invece, non sarebbero potuti partire, sono stati comunque invitati a restare sul marciapiede senza salire sui treni;
   nella zona, prima del guasto, erano stati segnalati alcuni problemi di sbalzi di tensione elettrica anche negli uffici proprio all'interno della stazione;
   l'incendio, domato con l'utilizzo di estintori ad anidride carbonica, a detta di Walter Picco, caporeparto dei vigili del fuoco in servizio alla stazione, potrebbe presumibilmente essere stato provocato da una sovratensione ai quadri elettrici all'interno della sala controlli;
   una volta evacuati i fumi sono intervenuti i tecnici delle Ferrovie per ripristinare il funzionamento dei quadri elettrici;
   il dirigente delle Ferrovie, in servizio al momento dell'incendio, Enzo Mauli, riferisce che nella situazione venutasi a creare tutti i treni che si sono trovati in coda a Venezia, Bolzano, Milano, hanno accusato inevitabili ritardi poiché tutti i treni passano sulla stessa rotaia;
   un gruppo di 600 persone, sono state fatte scendere, nella stazione di Buttapietra (Verona), da un treno Freccia Argento, questi passeggeri hanno atteso a lungo che qualcuno li informasse su come proseguire il viaggio;
   un testimone ha spiegato alla stampa che al momento dell'arrivo dei bus che avrebbero dovuto caricare i passeggeri per concludere il viaggio si è creata una grande calca e i mezzi sono stati presi d'assalto;
   il guasto verificatosi nella trafficata stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia passeggeri, sia merci, delle direttrici nord-sud ed est-ovest, ha complessivamente causato ritardi di oltre due o in alcuni casi tre ore, con l'immaginabile grave disagio di tutti i passeggeri dei treni restati bloccati sui binari ed i viaggiatori nelle stazioni in attesa dei treni in arrivo e partenza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali strumenti intenda utilizzare per fare chiarezza sulla vicenda in merito ai dispositivi automatici di sicurezza in funzione nel sistema ferroviario anche approfondendo le eventuali responsabilità che possano venire ravvisate, in relazione alla sospensione del servizio ferroviario;
   se e quali azioni intenda intraprendere per verificare se il guasto verificatosi nella stazione di Verona Porta Nuova, snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano, sia da imputare alla scarsa manutenzione ovvero a quali altre cause osso sia riconducibile;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la stazione Porta Nuova di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (5-05544)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da oggi sono sospesi collegamenti da parte della Ustica Lines verso le Eolie e le Egadi;
   la decisione da parte della compagnia di navigazione è dovuta al mancato pagamento da parte della regione siciliana della metà delle spettanze per le prestazioni fornite dalla Ustica Lines nell'ultimo anno;
   questa decisione sta determinando l'avvio delle pratiche di licenziamento per circa 400 dipendenti;
   nelle biglietterie Siremar, l'unica compagnia rimasta a garantire le suddette tratte, è scattata la caccia al biglietto anche per le prossime settimane;
   a risentirne sono le comunità nonché le attività economiche legate al turismo proprio all'avvio della stagione estiva;
   si è in presenza di una situazione di estrema criticità in cui a farne le spese sono i dipendenti della compagnia e le comunità delle isole minori collegate dal servizio;
   occorre la costituzione immediata di un tavolo di confronto per porre immediato rimedio ad una situazione di vera emergenza –:
   in considerazione della delicata situazione venutasi a creare in merito alla decisione di Ustica Lines di interrompere il servizio di collegamento con le isole minori, quali iniziative di competenza intenda assumere con la massima urgenza per riaprire il confronto con la compagnia navale e la regione al fine di salvaguardare i livelli occupazionali della compagnia nonché i collegamenti con le comunità delle isole minori e l'economia delle stesse. (5-05555)


   MARTELLA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di mercoledì 6 maggio 2015 si sono registrati gravissimi disagi per i viaggiatori a bordo del treno regionale 2855 in transito da Treviso alle ore 8.15 in direzione Venezia;
   a causa di un errore di programmazione da parte di Trenitalia, come ammesso, successivamente, dalla stessa società, invece del convoglio modello «Vivalto», composto da 5 carrozze a due piani, era in viaggio un treno modello «Stadler» da 4 carrozze;
   la situazione è divenuta ben presto ingestibile tant’è che i sensori del treno a causa del superamento del peso massimo consentito si sono attivati per bloccare la trazione;
   i viaggiatori hanno avuto non poche difficoltà a raggiungere Venezia poiché anche i convogli successivi erano in ritardo causa disservizi lungo l'infrastruttura e al massimo della loro capienza;
   solo dopo le nove la circolazione è tornata su livelli di normalità e comunque con i convogli che avevano ormai maturato dai 20 ai 45 minuti di ritardo;
   Trenitalia si è scusata con i viaggiatori per i disagi subiti, ammettendo che alla base del disservizio c’è stato un errore di programmazione sui convogli destinati alla tratta;
   purtroppo non è la prima volta che si verificano tali disagi lungo la tratta in oggetto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere al fine di assicurare per il territorio veneto, ed in particolare per le tratte che collegano Venezia, la presenza di materiale rotabile maggiormente rispondente alle esigenze dell'utenza pendolare al fine di ridurre i disagi per l'utenza pendolare. (5-05557)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2015 è entrato in funzione il sistema di videocontrollo per l'accesso automobilistico all'interno del centro storico di Monza;
   si tratta di 11 varchi elettronici che dovrebbero garantire la rilevazione e la trasmissione alla centrale di controllo dei dati relativi alle presunte infrazioni riscontrate;
   il costo complessivo del progetto è di 980 mila euro, dei quali 480 mila a carico regione Lombardia;
   se il Ministero abbia rilasciato tutte le autorizzazioni necessarie per l'installazione e il funzionamento del sistema di videocontrollo per l'accesso nelle zone a traffico limitato del comune di Monza. (4-09107)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere problemi legati a disagi infrastrutturali e, in particolare nella provincia di Vibo Valentia, la Gazzetta del Sud del 3 maggio 2015 mette in risalto la notizia della chiusura della strada statale 501, evidenziando ancora una volta la fragilità del territorio calabrese;
   nel comune di Fabrizia si registrano gravi problemi alla viabilità dovuti alla chiusura del tratto compreso tra il bivio della strada comunale «Fondaco», la strada comunale «Prazzica» e la provinciale;
   questo grave disagio sta creando una situazione insostenibile tra la popolazione che non può più usufruire della strada a causa delle gravissime condizioni in cui versa l'arteria che costringe i cittadini a seguire percorsi alternativi che allungano inevitabilmente i tempi di spostamento;
   sempre da notizie stampa, risulta che, proprio in questa strada di fondamentale importanza per i cittadini, si sta verificando un cedimento della carreggiata sul lato destro in direzione di Mongiana con un peggioramento in atto che potrebbe manifestarsi con uno smottamento improvviso al passaggio di mezzi pesanti e autobus di linea;
   la sicurezza delle strade continua a rappresentare una delle principali criticità della Calabria che deve essere superata proprio), perché è alla base dell'isolamento territoriale e geografico che caratterizza questa importante regione;
   con l'avvicinarsi della stagione estiva appare ancora più importante investire sulla vitale risorsa del turismo che non può, però, svilupparsi sul territorio senza i necessari interventi sulla rete viaria e più in generale sul sistema infrastrutturale calabrese;
   da troppo tempo, ormai, la Calabria soffre di gravi carenze infrastrutturali e manutentive e questo, purtroppo, aumenta sempre di più la distanza della regione con il resto del Paese;
   l'attenzione non può che essere massima di fronte a tale grave problematica, anche in considerazione delle proteste dei cittadini che fino ad oggi non hanno avuto il giusto riscontro; appare necessario, ad avviso dell'interrogante, promuovere, con l'aiuto delle istituzioni preposte, un efficace monitoraggio delle aree maggiormente a rischio assumendo, in tempi rapidi, ogni atto necessario affinché possano essere superati i suddetti disagi;
   risulta evidente, pertanto, investire con decisione nel settore delle infrastrutture attraverso investimenti strategici coerenti con le esigenze di un territorio dalle enormi potenzialità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni diffuse sulla stampa locale e quali iniziative, per quanto di competenza intendano promuovere per una tempestiva soluzione delle suddette criticità, avviando, se possibile un tavolo di discussione con le amministrazioni provinciale e comunale interessate. (4-09108)


   SEGONI, ARTINI, BECHIS, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2014/4011 nei confronti di SAT, Società autostradale Tirrenica, concessionaria dell'autostrada Livorno-Civitavecchia, per accertare eventuali irregolarità nell'affidamento dei lavori sulla predetta tratta e che da fonti stampa si apprende che a sollecitare l'azione di Bruxelles sia stata una denuncia presentata il 24 luglio 2013 dall'ANCE e dall'ACER, rispettivamente associazione nazionale e romana dei costruttori edili, che da tempo chiedono che la legge italiana si uniformi ai dispositivi europei e, quindi, che si provveda ad eliminare la possibilità dell'affidamento in house dei lavori a società controllate o collegate;
   dalla documentazione inerente la procedura d'infrazione n. 2014/4011, redatta dalla Segreteria generale CE, emerge, dopo un lungo preambolo, la seguente opinione: «ai sensi dell'articolo 258 comma 1, del TFUE (trattato di funzionamento dell'Unione europea), poiché ANAS ha sviluppato una convenzione con la società SAT che ha esteso il termine della concessione per l'autostrada A12 Civitavecchia-Livorno dal 31 dicembre 2028 al 31 dicembre 2046 senza previa pubblicazione di un bando di gara, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/CE. Ai sensi dell'articolo 258, comma 1 del TFUE, la commissione invita la Repubblica Italiana ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato entro due mesi dal ricevimento del medesimo. Bruxelles, 16 ottobre 2014. Per la Commissione, Michel Barnier, Vicepresidente»;
   il 23 ottobre 2014 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha inviato a Bruxelles la risposta del MIT (Ministero infrastrutture e dei trasporti), cioè un Atto Aggiuntivo tra il MIT e la SAT, nel quale, attraverso elenco di articoli, vengono apportate alcune modifiche alla CUV – Concessione unica vigente sempre tra il MIT e la SAT (tra i diversi articoli, se ne riportano due che, secondo l'interrogante, risultano essere i più significativi: l'articolo 5 – DURATA CONCESSIONE – l'articolo «riduce» di soli 3 anni il termine della concessione alla SAT, quindi non più fino al 2046 ma fino al 31 dicembre 2043 e l'articolo 10 – REGIME DEI LAVORI E DELLE FORNITURE – che recita testualmente «All'articolo 29 del CUV sostituire la lettera a) del comma 1: 1a) a provvedere all'affidamento a terzi del 100 per cento dei lavori relativi al completamento dell'intera tratta autostradale mediante gare comunitarie»);
   la SAT è titolare della concessione dell'autostrada tirrenica dal 1969 per effetto di una norma legislativa che ne disponeva l'affidamento e che, da allora ad oggi, ha ricevuto una serie ininterrotta di proroghe senza gara, l'ultima delle quali è quella disposta dal Cipe il 18 dicembre 2008, con la quale si è stabilita la nuova scadenza della concessione al 2046;
   la SAT è rimasta sotto il controllo totale del gruppo Autostrade per l'Italia fino al maggio 2011, quando ha ceduto il 69,1 per cento del capitale (per un importo di 67,7 milioni) e, a seguito di questa operazione finanziaria, il 24,89 per cento del capitale della SAT è passato nelle mani di Aspi, mentre una analoga quota è passata a Holcoa Spa (holding delle cosiddette coop rosse composta da Ccc, Cmb, Cmc, Unieco, Cooperare e Ugf Merchant) e a Vianco Spa (Vianini Lavori), mentre il 14,94 per cento è passato a Mps e il 9,95 per cento a Autostrada Ligure Toscana;
   arrivati al termine dei lavori del lotto 6A (tratta Civitavecchia-Tarquinia) i soci privati, che nel 2011 erano entrati in società (proprio per fare i lavori in house), non avendo più la garanzia di essere gli affidatari dei prossimi lavori, hanno deciso di vendere le proprie quote, così che Autostrade per l'Italia è tornata ad essere per il 99 per cento proprietaria della SAT (provvedendo ad acquistare le quote cedute per un importo complessivo pari a 84 milioni di euro) –:
   alla luce dei fatti sopra riportati, quali siano le azioni intraprese in merito alla risoluzione della procedura d'infrazione n. 2014/4011, anche in considerazione del fatto che, ad oggi (come si apprende dal portale istituzionale http://eurinfra.politichecomunitarie.it/Elen-coAreaLibera.aspx), taleprocedura risulta essere ancora aperta e, nell'eventualità in cui non sia stata posta in essere alcuna attività idonea quali iniziative intenda porre in essere per chiudere la procedura di infrazione stessa;
   se il Ministro interrogato, in considerazione del fatto che un'infrastruttura pubblica come l'Aurelia, nella tratta tra Civitavecchia e Tarquinia, diverrà a breve un'autostrada soggetta a pagamento di un pedaggio autostradale, senza che ad oggi nessuna complanare sia stata realizzata, intenda adottare i provvedimenti ritenuti necessari e urgenti al fine di tutelare al meglio il diritto delle popolazioni limitrofe ad una maggiore libertà di circolazione. (4-09124)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   martedì 5 maggio 2015 sul sito internet del settimanale L'Espresso è apparso un articolo a firma del giornalista Piero Messina in cui Venezia appare, citando fonti dei servizi segreti, come possibile obiettivo o, anche, come covo dove nascondersi di terroristi islamici, al punto da far inserire il capoluogo veneto nella lista degli «alert» del Viminale;
   l’alert, secondo l'articolo, sarebbe scattato dopo che i servizi segreti avrebbero segnalato il possibile rientro in Italia, con meta proprio Venezia, di «foreign fighters», provenienti dal teatro di guerra siriano;
   sempre secondo l'articolo l'altra minaccia per Venezia sarebbe rappresentata da una cellula islamista di provenienza albanese;
   la presenza di simili notizie necessitano un innalzamento dei livelli di sicurezza della città anche in considerazione del suo richiamo turistico –:
   se le notizie riportate in premessa siano fondate nonché quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di potenziare le misure di sicurezza per la città di Venezia con l'obiettivo di fronteggiare la possibile presenza di minacce terroristiche. (3-01483)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   purtroppo si registra ancora una volta una aggressione ai danni del personale sanitario all'interno di un pronto soccorso di una struttura ospedaliera catanese;
   in questa circostanza è accaduto al pronto soccorso dell'ospedale Cannizzaro, con un uomo che come riportano le cronache si è scagliato prima contro un'infermiera, colpendola con calci e pugni e poi contro medici e ausiliari intervenuti in difesa della collega;
   a bloccare l'uomo è dovuta intervenire la polizia poiché un addetto alla vigilanza non è stato in grado di bloccare la violenza dell'uomo;
   sulla questione sicurezza dei pronto soccorso nella città metropolitana l'interrogante è già intervenuto con altri atti di sindacato ispettivo segnalando aggressioni anche all'ospedale Garibaldi così come ha avuto modo di evidenziare la necessità di offrire maggiore protezione al lavoro delle guardie mediche;
   pochi giorni fa è avvenuta anche l'aggressione ad un medico presso il nosocomio di Giarre sempre in provincia di Catania;
   lavorare nei pronto soccorso è ormai diventato molto pericoloso e gli operatori spesso sono condizionati dal timore per la propria incolumità;
   la situazione è sicuramente migliorata con alcune misure di potenziamento dei presidi di sicurezza, ma è indispensabile fare molto di più nell'aumentare i servizi di vigilanza coordinandosi con questure e prefetto –:
   se e quali iniziative intenda attivare il Governo per predisporre un piano di sicurezza e di potenziamento della presenza delle forze dell'ordine all'interno delle strutture ospedaliere, in particolare nell'ambito delle città metropolitane, in considerazione dell'aumento di fenomeni di violenza ai danni del personale sanitario al fine di consentire allo stesso di poter svolgere il proprio lavoro senza preoccupazioni per la propria incolumità.
(5-05554)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il continuo stillicidio dei tagli, in termini di assegnazione di risorse umane, contrasta spesso con l'esigenza di assicurare un'adeguata protezione al territorio e una maggiore tutela ai cittadini che è in relazione al delicato lavoro che viene svolto dai vigili del fuoco;
   in particolare, come riportato dalla Gazzetta del Sud del 4 maggio 2015 il distaccamento dei vigili del fuoco di Chiaravalle, in provincia di Catanzaro, starebbe diventando una sede sotto potenziata a causa di carenza di uomini;
   l'annuncio di questo ennesimo taglio di presidi sul territorio, che causerebbe gravissime criticità sul lavoro svolto quotidianamente per garantire la sicurezza del territorio, arriva dal coordinamento regionale dell'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco ed è indirizzata agli amministratori locali ai quali è richiesto una rapida soluzione per evitare grave disagio ai lavoratori;
   la mancanza di personale in organico, la carenza del parco mezzi e la scarsità di risorse necessarie a gestire le sedi di servizio non consentono al Corpo dei vigili del fuoco di affrontare bene, nonostante la professionalità e l'impegno dei valorosi operatori, le tante emergenze, mettendo a repentaglio la sicurezza dei cittadini, nonché degli stessi vigili del fuoco costretti a lavorare in condizioni di estremo disagio;
   il soccorso tecnico verrebbe affidato a squadre composte solamente da quattro/cinque vigili rispetto ai fabbisogni del bacino d'utenza che non può subire un ulteriore depauperamento della forza lavoro impegnata quotidianamente per garantire il necessario pronto intervento, soprattutto nel periodo estivo, durante il quale il loro coinvolgimento è ai massimi livelli;
   il Corpo dei vigili del fuoco di questo territorio risulta essere già vicino ad una situazione di collasso che sta diventando ormai insostenibile. Diverse sono state le segnalazioni pervenute agli organismi competenti per informare l'opinione pubblica della gravissima situazione in cui sono costretti ad operare e che potrebbe mettere a repentaglio la stessa incolumità dei cittadini –:
   e il Ministro interrogato intenda celermente intervenire al fine di salvaguardare un essenziale presidio dello Stato nel territorio ed un adeguato livello qualitativo del Corpo dei vigili del fuoco di Chiaravalle, garantendo ad esso, con la massima sollecitudine, le risorse umane necessarie allo svolgimento degli insostituibili compiti assegnati;
   e il Ministro interrogato intenda, inoltre, stanziare adeguate risorse finanziarie indispensabili per mettere in condizioni il suddetto Corpo di poter contare sulla disponibilità di nuovi mezzi adeguati al soccorso e all'assistenza ai cittadini. (4-09110)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diversi organi di stampa hanno riportato nei giorni scorsi la notizia di una riunione informale presso la questura di Roma per decidere la chiusura di almeno 6 commissariati della Capitale tra cui i commissariati di Porta Pia, Trastevere, Torpignattara, Appio Nuovo, Monte Mario e Villa Glori, e l'accorpamento in strutture più grandi di quelli di Monteverde, San Lorenzo, Porta Maggiore, San Giovanni, Prati e Vescovio;
   a quanto sostengono i sindacati di PS, la decisione di chiudere i posti di polizia serve a risparmiare sugli affitti degli immobili e tali misure, unite al blocco del turn over che ha fortemente penalizzato le forze di polizia e alla situazione ormai cronica di carenza di organico avvertita anche nella Capitale, rende sempre più difficile la gestione della pubblica sicurezza da parte degli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio;
   sempre da fonti sindacali si apprende che molti investigatori dell'antiterrorismo, dello SCO, della scientifica e specialisti della lotta all'immigrazione clandestina sono stati trasferiti a Milano fino al mese di ottobre 2014 per vigilare sull'Expo e questo ha ulteriormente inciso sulle già ridotte dotazioni di organico della città di Roma –:
   se il Ministro interrogato possa confermare quanto riferito in premessa e quali iniziative intenda adottare per evitare che questi importanti presidi sul territorio vengano chiusi con grave danno per la Capitale e per gli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio. (4-09116)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 maggio 2015 a Salerno due persone sono state uccise a colpi di pistola mentre affiggevano manifesti elettorali legati alle elezioni regionali che si terranno in Campania il 31 maggio;
   i due sono Antonio Procida, 42 enne pregiudicato, e Angelo Rinaldi, 38 enne incensurato ma da sempre legato al primo;
   a ordinare il duplice omicidio, secondo la ricostruzione della squadra mobile della questura di Salerno, è stato Matteo Vaccaro, pregiudicato in passato leader dell'omonimo gruppo criminale che operava nelle frazioni collinari della città di Salerno;
   a fare fuoco contro Procida e Rinaldi sarebbero stati Guido Vaccaro, figlio di Matteo, pregiudicato di 35 anni, e Roberto Esposito, 44 anni ed anch'egli pregiudicato, poi sottoposti a fermo dalla polizia insieme a Matteo Vaccaro;
   l'omicidio è avvenuto a seguito di un alterco, venutosi a creare la mattina del 5 maggio stesso, tra le due parti;
   argomento dell'alterco era relativo a chi dovesse affiggere i manifesti elettorali nella zona del quartiere Fratte;
   è evidente che vi sia un forte rischio che questo evento rappresenti solo il primo di una serie di scontri tra poteri criminali per il controllo dell'affissione dei manifesti elettorali;
   una situazione, di questo tipo rischia di provocare, di conseguenza, influenze criminali inaccettabili sulla campagna elettorale regionale campana –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché i controlli siano efficaci e non si corra il rischio di condizionamenti da parte della criminalità organizzata nella campagna elettorale in corso. (4-09128)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'amministrazione comunale di Sellero, in Provincia di Brescia, risultano essere entrate in possesso dello Stato due unità abitative site nel suo territorio, in via Tasso, ai numeri civici 14 e 16;
   qualora il titolo dell'appropriazione da parte dello Stato sia il sequestro o la confisca, in quanto supposte parti di patrimoni illegalmente accumulati con la conduzione di attività nel contesto di organizzazioni criminali di tipo mafioso, le norme vigenti ne consentono la riassegnazione a progetti di utilità sociale;
   la predetta amministrazione comunale di Sellero ritiene che le citate unità abitative potrebbero rientrare in un programma di housing sociale, volto ad attenuare l'emergenza abitativa sul suo territorio e in tutta la Val Canonica –:
   se le unità abitative site in Sellaro, a via Tasso 14 e 16, siano state effettivamente sequestrate o confiscate, a chi, per quale ragione e quale ne sia l'attuale stato;
   nell'ipotesi che siano effettivamente avvenuti il sequestro o la confisca, cosa osti all'accoglimento dell'istanza inoltrata dal comune di Sellero, che desidererebbe acquisirle per destinarle a programmi di housing sociale. (4-09132)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la facoltà di medicina dell'università degli studi Salerno, nell'arco di pochi anni, si è già affermata nel panorama universitario nazionale come una realtà di qualità e di pregio, con laureati e studenti di riconosciuto valore;
   la crescita ulteriore del polo universitario di medicina di Salerno deve essere sostenuta con il riconoscimento di un numero adeguato di scuole e di borse di specializzazione;
   nell'anno accademico 2012-2103, sono state assegnate all'ateneo salernitano solamente due borse di specializzazione, in aggregazione con l'università Federico Il di Napoli, delle quali una in medicina interna ed una in chirurgia generale;
   si tratta di un provvedimento del tutto insufficiente e penalizzante per la facoltà di Salerno, alla quale, invece – proprio per il livello, gli standard e la qualità della sua offerta formativa e delle sue strutture complessive, per il numero di docenti e le relative attività scientifiche e di ricerca – l'osservatorio nazionale delle formazione medico specialistica – organismo competente in materia che, ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 368 del 1999, è tenuto ad esaminare gli standard e i requisiti delle proposte di istituzione di nuove scuole di specializzazione – nell'aprile 2013, aveva giustamente riconosciuto la piena idoneità per altre quattro scuole di specializzazione (accanto a chirurgia generale e medicina interna), precisamente: malattie dell'apparato cardio-vascolare; ortopedia; psichiatria; radio-diagnostica;
   lo stesso osservatorio, per l'anno accademico 2013-2014, nella seduta del 3 dicembre 2013, ha giudicato fondata la richiesta dell'università di Salerno, relativa al riconoscimento di un congruo numero di scuole di specializzazione, in aggiunta alle sei già assegnate lo scorso anno;
   infatti nel 2014 sono state accreditate con decreto interministeriale, dopo la positiva decisione dell'Osservatorio, ulteriori diciotto scuole di specializzazione per la facoltà di medicina di Salerno; tali ulteriori scuole, che vanno ad unirsi alle sei già accreditate, sono precisamente: audiologia e foniatria, biochimica clinica, patologia clinica, farmacologia medica, scienza dell'alimentazione, igiene e medicina preventiva, medicina legale, chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, neurochirurgia, urologia, oftalmologia, ematologia, gastroenterologia, nefrologia, neurologia, neuropsichiatria infantile, oncologia medica, pediatria;
   con decreto ministeriale dell'agosto 2014, alla università salernitana sono state attribuite per l'anno accademico 2013-2014, 6 borse di specializzazione, finalmente in regime di piena autonomia: due in medicina interna; due in chirurgia generale; due in malattie dell'apparato cardio-vascolare. A tali sei borse sono state, inoltre, aggiunte due borse in igiene e medicina preventiva, in regime di aggregazione con la SUN – Seconda università di Napoli e con l'università del Molise. La regione Campania, poi, nell'ambito dei fondi da essa stanziati, ha assegnato solamente altre quattro borse alla facoltà di Salerno, in aggregazione con la SUN: una per medicina interna; una per chirurgia generale; una in malattie dell'apparato cardio-vascolare; una in medicina ed igiene preventiva;
   le otto borse, accordate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'anno accademico 2013-2014, rappresentano un meritato risultato per l'università di Salerno, in un percorso, graduale ed indispensabile di riconoscimento di scuole e di borse di specializzazione, che di anno in anno, tuttavia, deve essere incrementato e rafforzato in quell'ateneo;
   di conseguenza, in vista dell'imminente riparto interministeriale su base nazionale delle scuole e delle borse di specializzazione per l'anno accademico 2014-2015, la posizione e le richieste della facoltà di medicina di Salerno – già accreditata, come detto, per ben 24 scuole di specializzazione – devono essere adeguatamente considerate e valutate con il riconoscimento di un congruo e ben più elevato numero di scuole e di borse, rispetto a quelle già accordate nell'agosto 2014;
   del resto il positivo ed importante incremento del numero complessivo di borse per il concorso che sta per essere bandito, dalle 5000 dello scorso anno alle 6.000 finanziate quest'anno – come è stato appunto comunicato il 6 maggio 2015 dal Ministro Giannini innanzi alle Commissioni riunite Sanità ed Istruzione del Senato della Repubblica – consente ancor di più di ampliare in modo significativo le Scuole e le borse riconosciute all'Ateneo salernitano;
   la situazione della facoltà di medicina di Salerno è stata al centro di numerosi atti di sindacato ispettivo dell'interrogante, che ha anche provveduto a rappresentarla direttamente ed in più occasioni ai due Ministeri competenti;
   nella risposta alla ultima interrogazione dell'esponente, nella seduta della Commissione cultura del 25 marzo 2015, il Sottosegretario al Ministero dell'istruzione, della università e della ricerca Gabriele Toccafondi ha affermato, fra l'altro, che «l'Ateneo salernitano ha avanzato, fin dall'anno accademico 2012-2013, diverse richieste per l'istituzione di nuove scuole di specializzazione mediche. Per il prossimo anno accademico 2014-2015, il Ministero provvederà, quindi, ad assegnare i contratti di formazione medico specialistica anche alle scuole dell'Ateneo in discorso che, tra le altre, risulteranno già accreditate», che appunto sono ben 24 –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, in vista dell'imminente riparto delle scuole e delle borse di specializzazione per l'anno accademico 2014-2015, affinché alla facoltà di medicina dell'università degli studi di Salerno sia doverosamente assegnato un numero ben più elevato e adeguato di scuole e di borse di specializzazione, tenendo conto delle positive ed importanti decisioni per l'ateneo salernitano, già assunte negli anni accademici 2012-2013 e 2013-2014 dall'Osservatorio nazionale della formazione medica specialistica, con il conseguente riconoscimento della idoneità della facoltà di Salerno – tenendo conto della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa delle scuole ed in considerazione del livello e degli, standard elevati e di eccellenza del personale docente e delle strutture di questa facoltà, nonché del numero di soggetti iscrivibili – per ben ventiquattro scuole di specializzazione, delle quali diciotto nell'anno accademico 2013-2014 accanto ed in aggiunta alle sei già attribuite nell'anno accademico 2012-2013. (4-09123)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale n. 83473, adottato ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 54 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 85 del 2013 ha modificato e definito i requisiti di accesso e autorizzazione alla cassa integrazione e alla mobilità in deroga per lavoratori e aziende da presentare all'INPS e alla regione;
   in Basilicata i lavoratori ex mobilità in deroga sono circa duemilasettecento unità secondo gli ultimi dati e da diversi mesi sono in sit-in permanente nei pressi della regione per rivendicare con forza il diritto al lavoro e l'attivazione del fondo regionale per il reddito minimo di inserimento;
   i rappresentanti sindacali, nel denunciare lo stato di estrema difficoltà vissuta dai lavoratori e dalle loro famiglie, hanno evidenziato la necessità che vengono fissati tempi e modalità di attuazione delle richieste avanzate;
   il decreto sulla abolizione degli ammortizzatori in deroga che ha destinato 32 milioni di euro alla Basilicata per la corresponsione delle indennità a tutto dicembre 2014 non è ancora operativo. Gli ex dipendenti di aziende fallite, che hanno una età compresa tra i 45 e i 60 anni, non hanno ricevuto alcun emolumento dall'aprile 2014. Le scadenze delle mobilità, a seconda dei casi, hanno riguardato agosto e ottobre 2014;
   i lavoratori lucani si trovano in una situazione di difficoltà insostenibile in relazione al mancato stanziamento e ripartizione delle risorse per il pagamento degli ammortizzatori in deroga, relativi all'anno 2014;
   il perdurare del blocco delle risorse sta determinando un acuirsi delle situazioni di evidente sofferenza e di tensione con lavoratori, i quali, pur avendo maturato il diritto non percepiscono alcun sostegno al reddito –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle vicende esposte;
   quali iniziative intenda adottare con urgenza per pagare le spettanze arretrate. (3-01481)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 giugno 2013 la Indesit annunziava l'esubero di ben 1.400 lavoratori in Italia. Dopo numerose trattative tra le organizzazioni sindacali, la società e la regione Marche, il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, siglarono l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria di Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, fatta eccezione per la Fiom, che vi ha aderito solo successivamente a seguito di un referendum aziendale;
   tale accordo prevedeva per la Indesit Company spa la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo ed un investimento di 83 milioni di euro con l'impegno fino alla fine del 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità. Inoltre, era stato stabilito un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, l'utilizzo dei contratti di solidarietà, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la famiglia Merloni, attraverso le società Fineldo, cedeva alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici (il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari);
   l'acquisizione non ha mancato di suscitare preoccupazioni, soprattutto da parte dei lavoratori, in considerazione del fatto che Whirlpool produce elettrodomestici della stessa tipologia merceologica della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia e ciò con potenziali ricadute negative sul mantenimento dei livelli occupazionali;
   il 27 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico affermava di aver «chiesto ed acquisito l'impegno da parte della Whirlpool a confermare integralmente quanto è stato oggetto di intesa con Indesit, nel dicembre del 2013, sia riguardo alla produzione sia all'occupazione», vale a dire nessun licenziamento – almeno sino alla fine del 2018 – ed il mantenimento di tutti gli stabilimenti, con investimenti per 83 milioni di euro in Italia da parte dell'azienda;
   il 25 luglio 2014 l'Agenzia Invitalia ha siglato un contratto di sviluppo con il gruppo Whirlpool, che prevede un investimento di 31 milioni di euro, 10 dei quali finanziati da Invitalia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli;
   la Whirlpool ha recentemente fatto riferimento all'eccesso di capacità produttiva del settore elettrodomestici, paventando una mancanza di lavoro per migliaia di dipendenti attualmente in cassa integrazione di Indesit;
   la chiusura degli stabilimenti di Carinaro, Albacina e None causerebbe in totale 1.350 esuberi (i nuovi esuberi sono 400, i restanti 950 sono «vecchi» esuberi Whirlpool e Indesit);
   durante il primo di tre incontri programmati, e tenuti lo scorso 29 aprile 2015 al Ministero dello sviluppo economico, azienda e sindacati hanno confermato le proprie posizioni: la prima confermando il piano industriale presentato il 16 e già ribadito il 27 aprile, i secondi chiedendo di cancellare dal piano la chiusura degli stabilimenti di Carinaro in Campania e di Albacina nelle Marche e i conseguenti licenziamenti;
   nel confronto con le parti sociali il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha chiesto l'apertura di un confronto senza pregiudiziali, sostenendo la necessità di evitare chiusure e altri esuberi;
   nel 2013, come detto, la Whirlpool ha rilevato l'Indesit con l'impegno di rilanciare i siti industriali, sarebbe singolare, a parere dell'interrogante, parlare di chiusure, dal momento che Carinaro, ad esempio, ha tutte le potenzialità per ritornare ad essere produttivo e competitivo;
   Governo e regioni si dicono disponibili a dare sostegno alle iniziative aziendali pur di conservare impianti produttivi e organici;
   anche in considerazione del recente impegno assunto dalla regione Campania di un finanziamento fino a 50 milioni di euro per le politiche attive del lavoro e l'ammodernamento della struttura –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per fare fronte alla situazione descritta in premessa, in modo di garantire il rispetto degli accordi sottoscritti ed evitare le drammatiche ricadute occupazionali sulle migliaia di lavoratori e di famiglie dell'intero indotto in provincia di Caserta, e nello specifico nel sito di Carinaro (CE). (5-05540)


   BOCCUZZI, ALBANELLA, ZAPPULLA e BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'andamento della grande distribuzione organizzata, ovvero il sistema di grandi strutture per la vendita al dettaglio, è il riflesso degli effetti della crisi economica sul potere d'acquisto e sui consumi degli italiani. Stando agli ultimi dati Istat, infatti, le vendite delle imprese della (grande distribuzione organizzata sono scese dello 0,1 per cento) a ottobre 2014 sul 2013 (stabili quelle non alimentari e in calo dello 0,1 per cento quelle alimentari);
   non si può però parlare di una generica crisi, visto che molte grandi aziende operanti in questo settore hanno registrato un fatturato in crescita. Ad esempio Esselunga ha registrato un +3,2 per cento sul margine operativo lordo, Conad ha ottenuto un fatturato in crescita del 4,9 per cento rispetto all'anno precedente, Crai ha registrato nel 2014 un incremento del 24 per cento del fatturato dell'intera organizzazione, il gruppo Unicomm ha realizzato ricavi per 2 miliardi di euro, MaxDì ha realizzato un utile netto di oltre 12 milioni;
   negli ultimi tempi, alcune grandi società, hanno annunciato esuberi di personale, in contrasto con le politiche espansionistiche attuate e conseguente incremento di fatturato, ma per salvare i propri conti di bilancio adottano comunque la logica di riduzione dell'organico o azioni che ricadono esclusivamente sui lavoratori e le lavoratrici;
   tra questi si segnala la catena francese di supermercati Auchan spa, una delle principali aziende attive nel settore italiano della grande distribuzione organizzata di beni alimentari e non alimentari, presente sul territorio italiano dal 1989, con una rete di vendita che è organizzata in 56 ipermercati (di cui 50 a gestione diretta, 5 in franchising ed 1 affiliato), distribuiti in 11 regioni e nei quali sono occupate oltre 11.400;
   il gruppo francese, alcuni giorni fa ha annunciato 1.426 licenziamenti, una cifra enorme, che dovrebbe essere distribuita in maniera omogenea tra Nord, Sud, Centro e Isole e non esclusivamente nel meridione, come prevedeva una nota iniziale;
   solo in Sicilia la società conta 1.137 dipendenti distribuiti in sei punti vendita, rischiano il posto 267 lavoratori tra cui: 48 sono quelli individuati su Melilli su un organico di 181; a Catania Misterbianco sono 70 su 217 dipendenti, Catania S.G.La Rena sono 78 su 176 dipendenti, Porte di Catania sono 28 dipendenti su 209; Palermo: a Carini 21 dipendenti su 139 e a Palermo 22 dipendenti su 216;
   in Campania, dove si concentrano 5 ipermercati, sono previsti 320 licenziamenti tra Nola, Pompei, Giugliano, Mugnano e Napoli. Numeri a cui bisogna aggiungere i circa 80 appena attuati a Pompei e Mugnano attraverso la mobilità incentivata;
   nel Veneto sono previsti 140 esuberi tra questi, solo a Mestre 65 persone su 323 lavoratori, per la maggior parte donne, 38 lavoratori a Vicenza e 38 a Padova; a Bergamo si contano 29 esuberi, tutti concentrati nel supermercato di Via Carducci, che attualmente ne occupa circa 220;
   per Brescia si parla di 52 esuberi nel punto vendita di Roncadelle dove attualmente sono occupate 297 persone e ad Ancona, Auchan licenzierà 36 lavoratori del punto vendita su 214 dipendenti;
   nel mese di marzo, la trattativa sindacale, per superare la crisi interna dell'azienda, ha subito una battuta d'arresto in seguito alle irricevibili richieste dell'azienda di procedere a deroghe rispetto al contratto nazionale in materia di demansionamento, rinuncia alla quattordicesima mensilità temporanea per i punti vendita del nord e definitiva per quelli del sud, sospensione degli scatti di anzianità e del contratto integrativo;
   tra le ragioni dei licenziamenti la società indica «pratiche di concorrenza sleale» in voga prevalentemente nel Meridione, dove nella grande distribuzione molti operatori economici non applicherebbero i contratti collettivi di categoria nazionale, oppure utilizzano i contratti part-time anche se il personale lavora full time;
   posto in questo modo, il problema esposto da parte di Auchan potrebbe essere facilmente risolto attraverso un controllo da parte degli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ristabilendo, in tal modo, il rispetto dei contratti per i lavoratori, un equo costo del lavoro per tutti e la concorrenza nel mercato;
   sorprende che a motivazioni seppur plausibili si possa reagire trovando come unica soluzione una risposta a scapito dei lavoratori –:
   se non intendano adoperarsi con la massima urgenza al fine di convocare un tavolo di lavoro con l'azienda, le rappresentanze sindacali e le istituzioni locali, finalizzato alla ricerca di una soluzione che preservi l'occupazione nei predetti siti;
   se ritengano opportuno adottare ogni iniziativa utile al fine di verificare il pieno rispetto della contrattazione collettiva e della disciplina in materia contrattuale nel settore della grande distribuzione commerciale. (5-05541)


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   occorre fare chiarezza sul destino dei lavoratori del laboratorio Myrmex di Catania che rappresentava una struttura di prima eccellenza nel settore tossicologico;
   in questi giorni si sta verificando la validità giuridica della delibera adottata dalla allora giunta Lombardo che attribuisce alla regione siciliana la facoltà di rilevare il sito al valore simbolico di un euro per poi cederla ad una nuova eventuale impresa intenzionata a rilevarne l'attività;
   sono 69 i lavoratori interessati attualmente in cassa integrazione straordinaria il cui trattamento scadrà agli inizi del 2016, senza alcuna speranza di mantenere il proprio lavoro;
   vi è molta preoccupazione tra i lavoratori per il loro futuro anche perché all'orizzonte non si intravedono ancora soluzioni rispondenti a criteri di solidità industriale e quindi di ripresa dell'attività;
   le organizzazioni sindacali hanno chiesto anche l'attivazione di un tavolo nazionale per affrontare la questione in maniera definitiva, ma fino ad oggi non vi è stato alcun segnale in tal senso –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e se intenda convocare, tempestivamente, un tavolo istituzionale, come già richiesto dalla regione siciliana e dalle organizzazioni sindacali, al fine di salvaguardare il futuro e l'occupazione altamente qualificata dei lavoratori Myrmex di Catania anche per individuare una soluzione industriale che possa consentire la ripresa delle attività. (5-05542)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato Ugl Telecomunicazioni denuncia la perdita del posto di lavoro dei dipendenti dell'azienda Omnibus del gruppo Worksys, appaltatrice di ACI Global — che offre un servizio di call center per fornire indicazioni e soccorso stradale agli automobilisti. La Aci Global, società il cui socio unico azionista è ACI, ossia un ente pubblico non economico, ha infatti deciso di sottrarre la commessa e delocalizzare in Slovenia ed Albania il servizio dove il costo del lavoro è minore;
   parliamo, dunque, di un'azienda di carattere pubblico che, a parere dell'interrogante, in assenza di responsabilità sociale, abbandona dei lavoratori che in questi anni hanno svolto professionalmente un lavoro importante per la collettività;
   tra l'altro, a quanto riferisce l'UGL, l'Aci decide di delocalizzare ma, secondo la normativa, colui che chiama un call center ha diritto di poter scegliere di parlare con un operatore sul suolo italiano, di contro, questa scelta fino ad oggi non è consentita dall'Aci Global. Viene quindi negato il diritto previsto all'articolo 24-bis della legge n. 134 del 2012 «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione delle attività svolte da call center»;
   è assurdo che anche un'azienda di carattere pubblico decida di delocalizzare non promuovendo il lavoro in Italia e, addirittura, a quanto sembra, nello svolgere non rispetta nemmeno la normativa in materia nel prestare il servizio di call center;
   si ritiene quindi necessario un intervento dell'Esecutivo sia per tutelare i lavoratori in questione che, in generale, quelli dei call center, che troppo spesso perdono il lavoro in conseguenza della scelta aziendale di delocalizzare il servizio all'estero –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti in premessa e quali siano i suoi orientamenti;
   se il Ministro intenda promuovere un tavolo di concertazione con le parti sociali per scongiurare la delocalizzazione del servizio di call center e di conseguenza per salvaguardare i posti di lavoro dei dipendenti dell'azienda Omnibus del gruppo Worksys;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro per promuovere il lavoro in Italia disincentivando la delocalizzazione delle imprese, soprattutto nel settore dei call center che è particolarmente colpito da questo fenomeno. (5-05550)


   MUCCI, BARBANTI, ARTINI, SEGONI, RIZZETTO, PRODANI, TURCO, BALDASSARRE e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto decreto fare) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, ha esteso la validità del DURC (documento unico di regolarità contributiva) da 90 a 120 giorni, prevedendo che il documento non deve più essere richiesto per ciascuna fase della procedura di aggiudicazione, ma solo per le fasi fondamentali del contratto, come il pagamento del saldo, che necessita di un nuovo Durc. In base alla norma, nel corso dei 120 giorni di validità, il Durc può essere utilizzato anche per contratti pubblici diversi da quelli per cui è stato richiesto. In caso di mancanza dei requisiti per il rilascio del DURC, l'invito alla regolarizzazione delle inadempienze deve essere trasmesso all'interessato mediante PEC o per il tramite del consulente del lavoro. La norma aveva inoltre previsto che, fino al 31 dicembre 2014, le stesse regole dovessero essere applicate anche al settore privato;
   il decreto-legge n. 34 del 2014 (cosiddetto decreto lavoro), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 78 del 2014, introduce in via definitiva nel nostro ordinamento la cosiddetta smaterializzazione del DURC (documento unico di regolarità contributiva);
   tale provvedimento si inquadra nel più ampio disegno di semplificazione degli adempimenti delle imprese e delle disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione;
   in particolare l'articolo 4 del decreto-legge n. 34 del 2014 convertito dalla legge n. 78 del 2014, prevede che le imprese possano verificate con modalità esclusivamente telematiche ed in tempo reale la regolarità contributiva sia nei confronti dell'INPS che dell'INAIL; a queste si aggiunge anche la verifica in tempo reale della regolarità contributiva nei confronti delle Casse edili, per quelle imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell'edilizia. La validità degli esiti dell'interrogazione è fissata in 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il documento unico di regolarità contributiva, ovunque previsto;
   la norma contenuta nel secondo comma dell'articolo 4 della legge n. 78 del 2014 prevede che le ipotesi di esclusione siano determinate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanza da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge;
   la richiesta del DURC, per la quale è stato elaborato un apposito modulo unificato, può essere effettuata:
    per via telematica accedendo a:
     www.inps.it – aziende e intermediari in possesso di utenza rilasciata da Inps per i propri servizi on line;
     www.inail.it – aziende e intermediari in possesso di utenza rilasciata da INAIL per i propri servizi on line;
     www.sportellounicoprevidenziale.it – stazioni appaltanti e SOA;
     per via cartacea, utilizzando l'apposito modulo reperibile internet o presso qualsiasi sede dell'INPS, INAIL e Casse edili;
   le pubbliche amministrazioni, gli enti privati a rilevanza pubblica e le SOA sono tenuti ad inoltrare la richiesta di DURC esclusivamente per via telematica. Per i lavori edili, la richiesta cartacea deve essere presentata allo sportello unico costituito presso le casse edili o inviato per posta allo sportello stesso. Nei casi diversi dall'edilizia, la richiesta cartacea deve essere presentata alla sede INPS o INAIL competente per territorio o inviata per posta a queste ultime. In caso di accesso tramite portale INPS o portale INAIL, l'utente (azienda o intermediario) deve farsi identificare utilizzando i codici di accesso già rilasciati dai rispettivi enti per la fruizione dei servizi on-line (INAIL: codice di accesso ai servizi di Punto Cliente; INPS: codice fiscale e P.I.N.). In caso di richiesta avanzata per il tramite del consulente e/o associazione di categoria, ai soli fini del rilascio del documento unico, il riconoscimento, da parte di uno degli, enti convenzionati, della validità della delega e dell'autorizzazione ad accedere, è esteso anche agli altri enti. In caso di accesso tramite il portale telematico «sportello unico previdenziale» è previsto il rilascio alle altre tipologie di utenti (diversi da aziende ed intermediari) di appositi codici di accesso. Il modulo per la richiesta del DURC viene visualizzato e compilato a video dall'utente che inserisce i dati utilizzando la procedura informatica relativa allo specifico servizio ed inoltra la richiesta stessa attraverso il canale telematico. La procedura, in seguito ad un'automatica verifica formale delle informazioni inserite, attesta l'inoltro della richiesta del DURC e comunica l'assegnazione del C.I.P. (codice identificativo pratica). Il CIP, che individua lo specifico appalto e viene rilasciato solo ad inoltro della prima richiesta, deve essere indicato per ogni richiesta, relativa allo stesso appalto, successiva alla prima. L'utente, attraverso il C.I.P., può verificare in qualunque momento lo stato di avanzamento della propria pratica, sia accedendo in modalità di consultazione alla specifica procedura informatica, sia richiedendo ad una qualunque struttura territoriale degli enti convenzionati (ossia INPS, INAIL e Casse edili) di effettuare tale controllo;
   nel settore privato, dato che non sono state prorogate le disposizioni del decreto del fare (decreto-legge n. 69 del 2013), convertito dalla legge 98 del 2013, dal primo gennaio 2015, la validità del documento unico di regolarità contributiva (DURC) scende da 120 a 90 giorni. Pertanto da tale data, il durc ha una durata diversa a seconda che sia chiesto per operare nel settore degli appalti pubblici o in quello dei lavori privati;
   la necessità della soppressione o dell'accorpamento degli adempimenti burocratici è da tempo denunciata da cittadini, imprese e associazioni di categoria e pertanto le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza –:
   se i Ministri interrogati intendano fornire chiarimenti circa lo stato di attuazione del decreto-legge n. 34 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 78 del 2014 e, qualora fosse opportuno, adottare iniziative normative che consentano una reale semplificazione, attraverso una sostanziale unificazione degli adempimenti nei settori pubblico e privato e dei codici identificativi di accesso ai portali della pubblica amministrazione o ad essa collegati. (5-05556)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o gennaio 2016 dovrebbe essere istituita un'agenzia unica per le ispezioni del lavoro. La legge delega di riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, assegna al Governo, il compito di istituire una «Agenzia Unica delle ispezioni del lavoro» destinata a sostituirsi al Ministero del lavoro, all'Inps e all'Inail nello svolgimento dei controlli in materia di sicurezza sul lavoro;
   l'Agenzia, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, gode di autonomia organizzativa e contabile. Posta sotto il controllo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha sede a Roma e dispone di 18 sedi territoriali. L'agenzia è sottoposta al controllo della Corte dei conti, ai sensi del quarto comma dell'articolo 3 della legge del 14 gennaio 1994, n. 20. Essa dovrebbe esercitare le seguenti funzioni: indirizzo e coordinamento, su direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, della vigilanza in materia di lavoro e delle politiche sociali; emanazione di circolari ispettive in materia sanzionatoria e di controllo; proposta degli obiettivi di verifica e ne segue la loro realizzazione; cura della gestione, della formazione e dell'aggiornamento del personale ispettivo; svolgimento dell'attività di prevenzione e promozione della legalità; favorire il ricorso a strumenti di conciliazione, gestisce il contenzioso sui provvedimenti tipici dell'attività ispettiva; indirizzo e coordinamento delle attività di vigilanza inerenti ai trasporti su strada e a vigilanze speciali sul territorio; analisi e studio dei fenomeni del lavoro irregolare; svolgimento un'ulteriore attività per conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   i problemi che si pongono al riguardo sono molteplici. Il numero delle sedi passerebbe da 85 a 18, ponendo così nemmeno una sola agenzia per regione. Ciò comporterà enormi disagi per i cittadini, lavoratori e aziende che dovranno recarsi da qualsiasi distanza presumibilmente nel capoluogo di regione, perdendo così un punto di riferimento che sino a questo momento hanno rappresentato gli uffici periferici del Ministero. L'INPS, inoltre, avrà maggiore difficoltà a recuperare i contributi evasi. Il nuovo soggetto perderà una serie di importanti mansioni, come le conciliazioni e le certificazioni dei contratti, «condannandosi» a dover irrogare solo sanzioni, contrariamente alla riforma dell'attività ispettiva e alla stessa delega contenuta nel «Jobs Act», che prevede una riforma dell'apparato sanzionatorio tesa a valorizzare in particolare gli aspetti premiali;
   inoltre, l'INPS, l'INAIL e le prefetture si faranno carico di acquisire in esubero oltre 1700 dipendenti amministrativi. Il personale trasferito presso la nuova Agenzia, perderà indennità e incentivi attualmente riconosciuti dall'Inps. A tal proposito, il Ministero dell'economia e delle finanze ha già stabilito che tali indennità non verranno riconosciute alle nuove agenzie. Un ulteriore problema è rappresentato dai costi che comporterà l'istituzione della nuova Agenzia, che tenta di presentarsi a costo zero;
   con la mobilitazione delle Organizzazioni sindacali, il Ministro ha annunciato che il riordino delle attività ispettive sarà fatto solo insieme ai lavoratori, che attendono una riorganizzazione più rispondente al principio di legalità e salvaguardando occupazione e retribuzioni –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa;
   con quali modalità il Ministro interrogato intenda procedere all'attuazione di quanto previsto dal cosiddetto «Jobs Act» con particolare riferimento all'istituzione dell’«Agenzia Unica delle ispezioni del lavoro». (4-09099)


   COZZOLINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la catena di ipermercati francese Auchan, in Italia, dà lavoro a oltre 11.400 dipendenti e ha 51 sedi; tale società versa ormai da diverso tempo in un forte stato di crisi economica ed ha annunciato 1.426 licenziamenti;
   il 12 marzo 2015 la trattativa in corso con i lavoratori per superare la crisi interna all'azienda aveva subito una battuta d'arresto di fronte alla richiesta di Auchan di procedere a deroghe al contratto nazionale in materia di demansionamento, rinuncia alla quattordicesima mensilità strutturale per il sud e temporanea per i punti vendita del nord e sospensione degli scatti di anzianità e del contratto integrativo;
   nella nota del sindacato, consegnata in occasione dell'Audizione del 6 maggio 2015 al Senato si legge: «Non mancano responsabilità dirette dell'azienda, riconducibili innanzitutto a politiche commerciali quanto meno discutibili adottate nel corso degli ultimi anni nonché ad uno sviluppo della propria rete di vendita cervellotico, con la concentrazione di numerosi ipermercati in aree geografiche circoscritte, con il conseguente effetto di “cannibalizzazione” reciproca»;
   nel piano di distribuzione regionale degli esuberi nella sola regione Veneto ne sono previsti ben 139, quasi il doppio di regioni come Piemonte e Lazio;
   i 139 esuberi dichiarati in Veneto sarebbero così distribuiti: a Padova 36 esuberi su 212 dipendenti; a Vicenza 38 esuberi su 187 dipendenti; a Mestre 65 esuberi su 323;
   tagli al personale che inciderebbero in maniera molto rilevante su un territorio, come quello Veneto già da molti anni messo a dura prova dalla crisi economica;
   si legge ancora nel testo del sindacato: «l'impostazione della comunicazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo presenta un ulteriore aspetto a nostro giudizio estremamente delicato, idoneo a far intravedere un atteggiamento discriminatorio. A eccezione degli esuberi dichiarati nelle sedi/depositi, tutti gli esuberi dichiarati nella rete di vendita (1.381 sui 1.426 totali) riguardano unicamente il personale addetto alle operazioni di vendita, mentre sono totalmente esclusi il personale di staff, servizi e direzione degli ipermercati, nonché tutti i capi reparto e capi settore»;
   i dipendenti del Gruppo Auchan hanno proclamato una giornata di sciopero per il 9 maggio in tutto il Paese e prevedono ulteriori mobilitazioni –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati, anche alla luce della recente nota delle rappresentanze sindacali inviata nel corso delle audizioni svolte in Senato, intendano adottare a sostegno dei lavoratori del gruppo Auchan in ambito nazionale e con particolare riferimento alle sedi del gruppo nella regione Veneto. (4-09102)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato, con l'intento di allinearsi ai principi generali dell'Unione europea dove la condivisione dei contenuti delle decisioni pubbliche costituisce da tempo una prassi consolidata, ha organizzato una consultazione pubblica sulla tracciabilità dei prodotti alimentari, l'indicazione d'origine e la trasparenza delle informazioni in etichetta, a cui hanno partecipato 26.500 persone;
   oltre il 96 per cento dei consumatori ha dichiarato che è molto importante che sull'etichetta sia scritta in modo chiaro e leggibile l'origine dell'alimento e per l'84 per cento è fondamentale l'indicazione del luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione. Al momento dell'acquisto, per l'80 per cento è decisivo che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia, il 54 per cento controlla che sia tipico, il 45 per cento verifica anche la presenza del marchio Dop e Igp, mentre per il 30 per cento conta che il prodotto sia biologico;
   per nove consumatori su dieci è importante conoscere l'origine per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, mentre per il 70 per cento utile per questione etiche, come il rispetto delle normative sul lavoro;
   quasi 22 mila persone (82 per cento) hanno dichiarato di essere disposte a spendere di più pur di avere la certezza dell'origine e provenienza italiana del prodotto, con quasi la metà pronta a pagare dal 5 al 20 per cento in più –:
   quale siano, alla luce di quanto esposto nelle premesse, le ragioni che abbiano portato il Governo a non notificare alla Commissione europea entro il termine ultimo del 14 dicembre 2014 la volontà di mantenere l'obbligatorietà di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia e quali iniziative di natura normativa intenda intraprendere per ottemperare ai propri doveri salvaguardando i cittadini italiani che nella consultazione hanno indicato come fondamentale l'indicazione del luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione. (5-05543)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'evento nascita è per sua stessa natura un fatto naturale, che richiede attenta sorveglianza, ma senza dover essere eccessivamente medicalizzato; nell'ottica di garantire una maggiore sicurezza materno-fetale, si stanno chiudendo molti punti nascita, tra questi anche strutture poste in luoghi strategici e di confluenza per bacini di utenza ampi e geograficamente particolari, come sono ad esempio i paesini di alta montagna;
   rispetto all'evento nascita, alla fine del 2010 la Conferenza Stato-regioni ha formulato un accordo con quattro obiettivi principali:
    a) umanizzare il percorso, riducendo l'approccio medicalizzato e rafforzando aspetti come: informazione, accoglienza, accompagnamento dei neogenitori e diffusione dell'allattamento al seno;
    b) rendere sicure le procedure diagnostiche e terapeutiche e il parto, tutelando la salute della mamma e del neonato;
    c) favorire la continuità dell'assistenza e l'integrazione tra ospedale e territorio;
    d) ridurre le disparità territoriali, a cominciare dal divario tra regioni del centro nord e del sud;
   ogni storia di gravidanza e nascita ha un suo percorso e una sua variabilità clinica, organizzativa ed emotiva; è compito pubblico quello di rendere il percorso il più lineare possibile, riducendo i fattori di stress, rendendo disponibili le informazioni, alimentando le competenze dei neo genitori, favorendo la prosecuzione di un sostegno assistenziale e umano anche dopo l'uscita dalle strutture sanitarie e bilanciando le esigenze e gli standard di sicurezza clinica con il riconoscimento della nascita, salvo casi specifici, come un fenomeno naturale e non come una malattia;
   oggi nella prassi e nella cultura si confrontano due atteggiamenti contrastanti, per cui da un lato si insiste sulle intensificazioni delle indagini durante il periodo della gravidanza e si cerca di orientare la madre verso il parto cesareo che viene presentato come più programmabile nei tempi e più sicuro nelle condizioni e nelle circostanze cliniche che lo caratterizzano;
   ma dall'altro si va diffondendo anche una sorta di ecologia naturale del parto, che propone alle madri il parto a casa, con assistenza dell'ostetrica, come accadeva fino a qualche decennio fa; l'idea di fondo resta quella corretta del parto come fatto naturale, a cui si affiancano però una serie di pregiudizi e di credenze ostili alla tecnologia, considerata come invasiva e innaturale;
   il paradosso che si crea è che il piccolo ospedale è considerato pericoloso e si tende opportunamente – a chiudere gli ospedali in cui nascono meno di 500 bambini l'anno, ma contemporaneamente è ammesso il parto in casa e le ASL ne rimborsano le spese, almeno in parte; in questi casi esiste anche l'indicazione alla visita neonatologica del bimbo ma non essendo obbligatoria, viene meno una parte importante delle misure a tutela della salute del minore;
   in questa seconda prospettiva si inquadra ad esempio il caso di Thomas, nato il 18 aprile 2015, dopo una gravidanza con decorso regolare, da genitori molto giovani; la madre è stata seguita durante la gestazione sempre dalla stessa ostetrica e dalla stessa ginecologa. Il parto è avvenuto alla trentaseiesima settimana con un peso alla nascita di chilogrammi 2,600; secondo quanto previsto per il parto in casa nella provincia di Trento, un pediatra ha visto il bambino in giornata e ha fornito notizie ampiamente rassicuranti; ci sono stati sia il calo fisiologico del neonato che la comparsa dell'ittero, senza che il bambino venisse mai visto da un neonatologo;
   dopo pochi giorni, appena quattro o cinque, il bambino è apparso decisamente itterico (cute e sclere), sonnolento, molto lento nella suzione. Il bambino presentava un vomito giallo canarino, interpretato dai genitori come un semplice rigurgito. Il bambino, sempre molto coperto, era tenuto in un ambiente con una temperatura di 25-27 gradi; d'altra parte la linea di condotta dettata ai genitori dall'ostetrica era volta esclusivamente a «creare un ambiente e una simbiosi totale con la madre, fino al momento in cui — in teoria – sarebbe dovuta avvenire la nascita. L'obiettivo era quello di ricreare l'ambiente intrauterino e la temperatura e l'umidità dell'incubatrice»;
   il «pediatra» che aveva visto il bambino alla nascita e lo aveva seguito nei primi giorni, non era uno specialista in pediatria, ma un omeopata steineriano esperto di bambini; davanti all'aggravarsi di alcuni sintomi il bambino è stato condotto presso la neonatologia del Santa Chiara di Trento, dove è stato rilevato un calo del peso corporeo superiore al 10 per cento e un ittero persistente; nella neonatologia dell'ospedale sono stati fatti anche gli altri accertamenti diagnostici previsti, è stato suggerito un diverso tipo di latte artificiale, e sono stati suggerimenti più adeguati per la gestione del bambino, per esempio l'importanza di quantità maggiori di latte poiché quelle date dall'ostetrica e dal «pediatra» risultavano insufficienti –:
   in quali modi si intenda, garantire la sicurezza del parto, senza dover ricorrere forzosamente al parto cesareo, ma senza creare condizioni di rischio per madre e bambino;
   quali misure si intendono assumere per garantire le migliori cure possibili anche ai bambini nati con parto a domicilio, garantendo loro screening neonatali e visita neurologica, verificando il profilo di effettiva e specifica competenza dei professionisti incaricati di prendersene cura. (3-01485)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, BARONI, NUTI, LUPO, DI BENEDETTO, MANNINO, GALLINELLA e D'UVA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 e 10 aprile 2015, così come riportato da diverse testate giornalistiche regionali e nazionali, è emersa la notizia delle indagini a carico di Paolo Giambruno, direttore del dipartimento di prevenzione veterinaria dell'ASP di Palermo e presidente dell'ordine dei medici veterinari della provincia di Palermo;
   tra gli episodi contestati al direttore, c’è quello sui controlli sanitari che il dipartimento, da lui gestito, avrebbe effettuato su di un allevamento di carni bovine, del territorio di Cinisi, destinato alla commercializzazione alimentare, sembrerebbe che tale allevamento abbia ricevuto il via libera alla commercializzazione nonostante alcuni capi fossero infetti da tubercolosi;
   altri episodi contestati riguardano la concessione di false certificazioni che avrebbero consentito ad un'azienda dolciaria di Carini e ad un'azienda ittica di Lampedusa di esportare i propri prodotti all'estero;
   al direttore inoltre viene contestato il reato di intestazione fittizia di beni con l'aggravante di aver favorito esponenti di «Cosa nostra», tanto da indurre i giudici della sezione misure di prevenzione a «congelare» beni e conti correnti, riconducibili allo stesso direttore o a suoi familiari, per un valore complessivo di circa due milioni di euro;
   dopo il sequestro di conti correnti e società di Paolo Giambruno, la procura ha in seguito chiesto per il medico la sorveglianza speciale con l'obbligo di dimora. I pm lo ritengono «pericoloso socialmente» e hanno avanzato al tribunale l'istanza per l'applicazione della misura di prevenzione personale. Nel fascicolo dell'inchiesta, in cui figurano 29 indagati tra dipendenti pubblici, allevatori e imprenditori, con accuse che vanno dalla concussione al falso sino alla truffa e al commercio di cibi nocivi, un vasto capitolo è dedicato ai business tra Giambruno e Salvatore Cataldo, costruttore di Carini condannato per mafia;
   lunedì 13 aprile, alle 10, nei locali dell'Asp 6 in via Onorato 6, si è tenuta una conferenza stampa indetta dai veterinari dell'azienda sanitaria indagati dalla Digos della Questura di Palermo;
   «Risponderemo colpo su colpo alle accuse infamanti che ci sono state mosse – ha dichiarato prima della conferenza stampa il segretario sindacale dei veterinari italiani Paolo Ingrassia – abbiamo piena fiducia nella magistratura, ma non tolleriamo la gogna mediatica che si è scatenata»;
   «Io nel 2012 ho denunciato gli investigatori della Digos che hanno condotto le indagini – ha dichiarato Giambruno – un pm ha chiesto l'archiviazione, un gip ha disposto nuove indagini. Sono sereno e chiarirò ogni cosa»;
   sulla vicenda è intervenuta anche la Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari Italiani (Fnovi), che in una nota dell'11 aprile 2015 precisa che «nel rispetto delle prerogative della magistratura e degli indagati, non può esimersi dall'esprimere sgomento per quanto appreso. Nel contempo, desidera testimoniare la propria vicinanza ai medici veterinari che attendono al loro dovere di tutela della salute pubblica, con una condotta professionale improntata alla legalità e all'etica deontologica». Viene quindi ribadito «il senso di una professione veterinaria, forte e coesa, che non ammette e condanna cedimenti della legalità e della giustizia, avendo nel diritto alla salute dei cittadini il proprio primario soggetto di tutela». E nel valutare ogni iniziativa consentita dal vigente ordinamento, la Fnovi «seguirà con attenzione gli sviluppi della vicenda, nel proprio diritto-dovere di non tralasciare alcuna prerogativa che – conclude la nota – le è istituzionalmente riconosciuta»;
   con l'interrogazione a risposta in Commissione 5-03711 (testo di venerdì 3 ottobre 2014, seduta n. 302) anche l'onorevole Francesco Ribaudo denunciava fatti analoghi che vedono anche in tal caso coinvolto il dipartimento di prevenzione veterinario della ASP Palermo, ivi lamentandosi altresì la mancanza di notizia alcuna «di provvedimenti adottati dalla ASP di Palermo nei confronti degli indagati, anche in via precauzionale e allo scopo di tutelare gli interessi per la salute dei cittadini ed il buon nome della pubblica amministrazione»;
   da ulteriori fonti di stampa (Giornale di Sicilia, 9 novembre 2011, «Tangenti all'Asp», inchiesta sui veterinari) si apprende che per fatti analoghi a quelli anzidetti la procura di Palermo già nel 2011 ritenne di dover iscrivere nel registro degli indagati una decina tra dirigenti e tecnici del dipartimento di prevenzione veterinaria dell'Asp accusati, tra l'altro, di tentativo di concussione;
   tra gli indagati vi era anche il direttore Paolo Giambruno;
   già nel 2013, si apprende da ulteriori notizie di stampa (repubblica.it, 7 dicembre 2013, «Niente multe per il pesce avariato, l'ASP nella bufera»), l'assessorato regionale alla Sanità aveva invitato l'allora commissario straordinario dell'Asp 6, Antonio Candela, a prendere provvedimenti contro Paolo Giambruno ma, com’è evidente alla luce dei recenti accadimenti, l'incarico da dirigente venne invece riconfermato nonostante tutto;
   in merito ai recenti fatti il direttore generale dell'ASP Candela ha dichiarato di aver nominato «un legale interno visto che l'azienda sanitaria risulta parte offesa a seguito delle gravissime notizie apprese dalla stampa. Il legale nominato è stato incaricato di acquisire la documentazione al fine di attivare con immediatezza tutti i provvedimenti consequenziali»;
   l'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» disciplina l'ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso;
   ai sensi del comma 1 dell'articolo 146 è stabilito tuttavia che «Le disposizioni di cui agli articoli 143, 144, 145 si applicano anche agli altri enti locali di cui all'articolo 2, comma 1, nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, come nel caso in questione, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti»;
   il comma 5 dell'articolo 143 stabilisce, inoltre che «5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente» –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere, nel rispetto e nei limiti delle proprie competenze, in merito ai fatti disdicevoli citati in premessa, a tutela della pubblica amministrazione, dei consumatori, degli allevatori e dell'intera cittadinanza siciliana, visto anche il ripetersi increscioso di fatti che vedono coinvolto nuovamente il dipartimento di prevenzione veterinario della ASP Palermo;
   se sussistano i presupposti per procedere ai sensi del combinato disposto degli articoli 143 e 146 del testo unico delle norme sull'ordinamento degli enti locali, tenendo in particolare considerazione la possibilità, prevista ai sensi del comma 5 dell'articolo 143, di adottare qualsiasi provvedimento diretto esclusivamente contro gli eventuali soggetti responsabili, anche qualora non ricorra l'ipotesi di scioglimento dell'azienda sanitaria in questione. (5-05546)


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Tar del Lazio del 25 marzo del 2015, a seguito di un contenzioso tra il ricorrente, l'azienda farmaceutica GlaxoSmithKline spa e il Ministero della salute, l'AIFA, le regioni e le province autonome, riguardo alle procedure di ripiano dell'extratetto della spesa farmaceutica ospedaliera a carico delle industrie, accoglieva diverse motivazioni del ricorrente, come si evince dalla sentenza;
   il ricorrente, tra l'altro, aveva contestato:
    1) il comunicato diffuso sul sito di AIFA, del 27 marzo 2013, nel quale si apprendeva la nota metodologica, applicativa relativa al budget provvisorio sulla spesa farmaceutica ospedaliera 2013, di cui all'articolo 15, comma 8, del decreto-legge 95 del 2012;
    2) la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 15, comma 8, del decreto-legge 95 del 2012; l'eccesso di potere per difetto d'istruttoria, illogicità, contraddittorietà e travisamento dei fatti;
    3) i provvedimenti con cui AIFA ha assegnato, ai sensi dell'articolo 15, comma 8, del decreto-legge 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012, il budget sulla spesa farmaceutica ospedaliera per l'anno 2013 e la successiva richiesta del ripiano dello sfondamento del tetto del 3,5 per cento dell'articolo 15, comma 7, del decreto-legge 95 del 2012;
    4) la violazione dell'articolo 7, della legge 241 del 1990 in materia di norme di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi;
   il collegio giudicante del Tar del Lazio, esaminando il ricorso, ha diviso le questioni sollevate dal ricorrente in due tipologie:
    a) le censure che riguardano la legittimità costituzionale e comunitaria riguardo al sistema di contenimento della spesa pubblica farmaceutica ospedaliera, in quanto, quest'ultimo, è basato sull'assegnazione di un budget alla singola azienda farmaceutica e sulla fissazione per legge di un tetto alla suddetta spesa;
    b) le censure che riguardano le modalità applicative con cui è stata data attuazione a tale sistema di contenimento della spesa pubblica farmaceutica;
   il comma 6, dell'articolo 15, del decreto-legge 95 del 2012 recita: «La spesa farmaceutica ospedaliera è calcolata al netto delle seguenti somme: lettera c) somme restituite dalle aziende farmaceutiche, anche sotto forma di extra-sconti, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in applicazione di procedure di rimborsabilità condizionata (payment by results, risk sharing e cost sharing) sottoscritte in sede di contrattazione del prezzo del medicinale»;
   il comma 8, dell'articolo 15, del decreto-legge 95 del 2012 recita alla lettera a): «l'AIFA attribuisce a ciascuna azienda titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio di farmaci, in via provvisoria, entro il 31 marzo di ogni anno e in via definitiva entro il 30 settembre successivo, un budget annuale calcolato sulla base degli acquisti di medicinali da parte delle strutture pubbliche, relativi agli ultimi dodici mesi per i quali sono disponibili i dati, distintamente per i farmaci equivalenti e per i farmaci ancora coperti da brevetto»;
   un articolo del giornale il Sole24Ore «Sanità 24» del 17 aprile 2015, in merito alla notizia della sentenza menzionata del Tar del Lazio scrive: «la richiesta di sospensiva fatta dal Tar di mettere in naftalina ripiani che, per il 2013, valgono 411 milioni di euro a carico delle imprese. Nel 2014, se le procedure contestate non cambieranno, raggiungeranno 500 milioni di euro» –:
   se sia a conoscenza della somma complessiva in euro di tutti i provvedimenti di ripiano che interessano le industrie farmaceutiche del nostro Paese;
   l'AIFA, nelle procedure relative al budget provvisorio sulla spesa farmaceutica ospedaliera 2013, di cui all'articolo 15, comma 8, del decreto-legge 95 del 2012, abbia recato eventuali danni alle aziende produttrici di farmaci del nostro Paese;
   se sia a conoscenza di quali procedure verranno messe in atto dall'AIFA in vista del 30 settembre 2015, data in cui bisognerà attribuire in via definitiva l'autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci per tutte le aziende farmaceutiche;
   se sia a conoscenza di quante aziende farmaceutiche nel nostro Paese abbiano superato il limite massimo di spesa fissato per ogni medicinale;
   se sia a conoscenza di quali effetti di natura finanziaria possano ripercuotersi sul riparto complessivo delle risorse destinate alle regioni, nell'ambito della spesa sanitaria, alla luce della sentenza del TAR del Lazio del 25 marzo del 2015;
   se sia a conoscenza di quali regioni siano state «penalizzate» o «premiate», alla luce degli errori evidenziati dalla sentenza del Tar del Lazio sulle procedure di ripiano dell'extratetto della farmaceutica ospedaliera, a carico delle industrie, elaborate dall'AIFA;
   se sia a conoscenza dell'esatto ammontare complessivo della spesa farmaceutica ospedaliera nel nostro paese;
   se la condotta dell'AIFA risulti conforme alle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi;
   se alla luce di quanto contenuto nella sentenza del Tar del Lazio del 25 marzo del 2015, l'azione dell'AIFA sia stata informata ai principi costituzionali e comunitari del sistema di contenimento della spesa pubblica farmaceutica ospedaliera;
   se trovi conferma la notizia riportata dal Sole24Ore del 17 aprile 2015, in merito all'ammontare dei ripiani a carico delle imprese farmaceutiche, per il 2013, di 411 milioni di euro e, per il 2014, di 500 milioni di euro. (5-05558)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 5 maggio 2015 emerge la notizia della possibile e quasi imminente chiusura del Capt, ospedale di lunga degenza di Lungro in provincia di Cosentino;
   una struttura di diecimila metri quadrati dimenticata da tutti. L'ex ospedale di Lungro assomiglia sempre più ad un pachiderma con le zampe incagliate nel fango, imbavagliato dal silenzio istituzionale;
   nell'area del Pollino gravitano due Capt, Lungro e Mormanno, e l'ospedale spoke di Castrovillari. Spesso, però, il nosocomio lungrese viene «dribblato» dalla politica e continua ad essere oggetto di riconversioni, finora rimaste solo sulla carta;
   nell'ultimo piano di riorganizzazione territoriale, che porta la firma del sub commissario, Andrea Urbani, il Capt arbëresh è stato individuato come «casa della salute» con residenza sanitaria assistenziale medicalizzata annessa, reparto di lungodegenza-geriatria, laboratorio analisi, unità operativa di dialisi, radiologia, ambulatori specialistici, punto di primo intervento e servizi di diagnostica all'avanguardia;
   la situazione è così drammatica che gli infermieri di turno, nei giorni scorsi, hanno vagato lungo corridoi e stanze completamente vuote. Lo spettro del blocco dei ricoveri si è materializzato in maniera cruda nel primo afoso lunedì di maggio, portandosi dietro tutto quel carico di inquietudine e preoccupazioni che nei mesi scorsi aveva agitato istituzioni e sindacati; 
   l'attuale blocco dei ricoveri, che pare essere stato disposto dai dirigenti del distretto, per l'impossibilità di garantire la reperibilità notturna dei medici in reparto, in passato è stato scongiurato grazie all'abnegazione personale di alcuni sanitari;
   con il blocco delle autorizzazioni, ora un intero comprensorio contraddistinto da un'alta percentuale di popolazione anziana, si ritrova senza un punto di riferimento socio-assistenziale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione nella quale versa questa struttura ospedaliera e se ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, eventualmente promuovendo un tavolo di concertazione per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza e, conseguentemente, per affrontare questi disagi che i cittadini, per lo più anziani, stanno subendo, vedendosi chiudere uno dei loro principali punti di riferimento. (4-09109)


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   quando i reni non sono più in grado di svolgere in modo adeguato le loro funzioni si parla di insufficienza renale. Questa può essere acuta (IRA), quando si instaura nel giro di pochi giorni e nella maggior parte dei casi risulta reversibile. Si parla invece di insufficienza renale cronica (IRC), quando si instaura progressivamente nel tempo con carattere di permanenza e di irreversibilità;
   in entrambe le forme di insufficenza renale i reni non sono più in grado di eliminare le scorie tramite le urine. Le scorie vengono immesse nel sangue ed il nostro corpo rimane in parte intossicato, si possono accusare pertanto sintomi come nausea, stanchezza e difficoltà all'alimentazione. Le scorie più comuni sono l'urea e la creatinina;
   il trattamento che sostituisce la funzione renale. Esistono due metodiche di depurazione del sangue: l'emodialisi e la dialisi peritoneale. La dialisi peritoneale è una tecnica che permette la depurazione del sangue attraverso la membrana peritoneale; si sfruttano così le capacità naturali del nostro corpo in quanto la membrana è una struttura fisiologica. La dialisi peritoneale si esegue principalmente a domicilio, dopo un periodo di addestramento;
   segnalazioni ricevute riportano dei disagi che sono costretti a sopportare i malati che hanno come riferimento l'ASP di Caltanissetta;
   i pazienti hanno diritto ad un sussidio mensile per pagare l'operatore a domicilio, sussidio che dovrebbe essere liquidato trimestralmente;
   in molti casi risulta che i versamenti siano stati parziali o siano pervenuti con forte ritardo;
   il trattamento di cui sopra, effettuato a domicilio, consente alla sanità regionale un considerevole risparmio rispetto al costo che dovrebbe sostenere per lo stesso trattamento presso i centri di emodialisi –:
   se il Ministro interrogato reputi che la situazione descritta in premessa garantisca i livelli essenziali di assistenza e, in caso contrario, quali iniziative intenda assumere per quanto di Sua competenza. (4-09127)


   GALATI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 gennaio 2014, la regione Calabria ha pubblicato un avviso pubblico, ai sensi dell'articolo 1 della legge regionale n. 1 del 13 gennaio 2014 recante «Indirizzi volti a favorire il superamento del precariato» di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, finalizzato all'inserimento negli elenchi regionali dei lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità e dei lavoratori di cui alle leggi regionali numero 15 del 2018 e numero 28 del 2008;
   l'articolo 1, comma 4 della legge regionale 13 gennaio 2014, n. 1, prevede che il preposto dipartimento regionale proceda alla predisposizione dell'elenco regionale entro 60 giorni decorrenti dalla data di scadenza del termine per la presentazione dell'istanza di inserimento;
   l'articolo 5 della legge regionale 13 gennaio 2014, n. 1, disciplina la procedura di istruttoria delle domande pervenute e determina i criteri di predisposizione degli elenchi regionali;
   secondo quanto riportato da fonti stampa, la procedura avviata sarebbe stata viziata, nel suo espletamento, da gravi difetti formali e di processo;
   in particolare, nel mese di novembre 2014, l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza avrebbe invitato, mediante lettere personali, oltre cento precari a prendere servizio, prima per un periodo di formazione, poi per una stabilizzazione presso gli uffici amministrativi. Inviti che però si sarebbero formalizzati al di fuori del procedimento e che non sarebbero riconducibili alle procedure stabilite per la predisposizione degli elenchi regionali;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, la stessa unità operativa complessa «risorse umane» dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, in data 24 novembre 2014, avrebbe segnalato la ricezione nel medesimo periodo di richieste di istruzione sulla presa in carico di presunti dipendenti, che sostenevano di essere stati assunti di recente; la medesima unità operativa complessa avrebbe fatto presente di non essere al corrente di procedure finalizzate all'assunzione di personale, né di aver partecipato ad alcuna fase propedeutica diretta al reclutamento di personale, chiedendo dunque alla direzione generale dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza notizie e chiarificazioni urgenti in merito;
   sempre secondo quanto riportato da fonti stampa, il 7 aprile 2015 il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali (cosiddetto «ex Massicci»), istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, avrebbe confermato l'esistenza di profili di anomalia nella procedure di assunzione di n. 133 lavoratori precari;
   l'interrogante desidera evidenziare e portare all'attenzione dei Ministri interrogati l'impellenza della necessità di un intervento di verifica sulla regolarità della vicenda e delle procedure di assunzione di 133 precari che rischiano di essere dichiarate illegittime a causa degli elementi emersi di presunta irregolarità e scarsa trasparenza; una necessità ancora più urgente se considerata in un contesto caratterizzato da un consolidato andamento negativo dei livelli di occupazione nella regione e che vede nel settore sanitario uno tra i comparti esposti negli ultimi anni a maggiore sofferenza, anche per effetto del prolungato blocco del turn-over e della nomina tardiva del commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del sistema sanitario regionale calabrese –:
   se i Ministri interrogati siano informati delle presunte anomalie procedurali che avrebbero alterato un regolare processo di stabilizzazione di 133 lavoratori precari mediante assunzione presso le strutture provinciali dell'ASP di Cosenza e in che misura ed entro quale termine urgente i Ministri ritengano, nei limiti dei rispettivi profili di competenza sulla procedura in argomento, di poter intervenire, anche alla luce delle osservazioni formulate dal tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali. (4-09130)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il 16 aprile 2015, si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico l'incontro tra l'azienda Whirlpool e le rappresentanze sindacali, dove è stato presentato il piano industriale dell'azienda a seguito dell'acquisizione di Indesit Company;
   come riportato da diversi organi di stampa e da fonti sindacali Whirlpool ha proposto, a fronte di un piano di investimenti di cinquecento milioni di euro in quattro anni e la previsione di un incremento dei volumi produttivi complessivi in Italia, un piano di esuberi che coinvolgerebbe 1.350 lavoratori, oltre alla chiusura degli stabilimenti Indesit Company di None (Torino), Albacina, dove però i 640 dipendenti dovrebbero confluire nel vicino stabilimento di Melano, entrambe in provincia di Ancona, e Carinaro nel casertano;
   il Governo ha immediatamente espresso sul punto la propria posizione, attraverso le parole del Ministro dello sviluppo economico che sul piano ha dichiarato: «presenta aspetti positivi come i nuovi investimenti per mezzo miliardo di euro e il rientro in Italia di alcune linee di produzione dall'estero; e aspetti fortemente negativi e inaccettabili come l'importante numero di esuberi, concentrati soprattutto sullo stabilimento di Caserta sul quale pesa la pesante crisi produttiva ereditata dalla Indesit». Il Governo «si è pertanto impegnato ad attivare fin da subito un confronto che porti a tutelare al massimo la salvaguardia dell'occupazione e dei siti produttivi del gruppo Whirlpool-Indesit in Italia» (Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2015);
   il 18 aprile 2015, lo stesso Presidente del Consiglio Renzi, a margine della sua visita a Pompei, ha incontrato una delegazione di operai dello stabilimento Indesit di Carinaro, assicurando il suo personale impegno a mantenere le produzioni esistenti e a salvare tutti i posti di lavoro;
   il 5 maggio, nonostante la proposta di una pausa di riflessione sulle trattative, avanzata dalla Ministra dello sviluppo economico Guidi, con proposta di rinvio all'8 maggio, le organizzazioni sindacali hanno proseguito regolarmente il confronto con l'azienda;
   dall'incontro suddetto è emerso un sostanziale stallo nelle trattative, dovuto alla fermezza delle parti nel voler mantenere in modo irremovibile le proprie posizioni di partenza: esuberi e chiusure per Whirlpool, richiesta di ritiro delle stesse per le organizzazioni sindacali;
   questo, nonostante il 4 maggio il presidente della regione Campania Caldoro abbia annunciato lo stanziamento di 50 milioni di euro da parte della regione per gli accordi di programma e le politiche del lavoro, al fine di evitare la chiusura dello stabilimento di Carinaro che impiega attualmente 815 lavoratori;
   in data 6 maggio la Ministra dello sviluppo economico Guidi e la Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali Teresa Bellanova, in una nota congiunta riportata dalle maggiori agenzie di stampa hanno dichiarato: «Comprendiamo la preoccupazione e la rabbia dei lavoratori Whirlpool, consapevoli, come tutti noi, di quanto la vertenza e ancor più la posta in gioco sia importante e delicata». Secondo la nota i tre incontri che il Governo ha convocato presso il Mise dal 27 aprile ad oggi sono «incontri tecnici» per «un confronto di merito sul piano industriale», affermando inoltre che il Governo ha chiesto a Whirlpool una attenta revisione del piano industriale con la priorità della salvaguardia dei livelli occupazionali. Nel frattempo, e sin dalla prima riunione, «ha vincolato l'azienda a non operare licenziamenti fino al 31 dicembre 2018» –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare i livelli occupazionali degli stabilimenti coinvolti.
(2-00958) «Ricciatti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIMMINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   impresa in un Giorno (www.impresainungiorno.gov.it) è il servizio telematico nazionale, istituito secondo quanto previsto dall'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazione, dalla legge n. 133 del 2008, che mira a facilitare le comunicazioni tra imprese e pubblica amministrazione allo scopo di rendere le relazioni e i procedimenti tra tutti i soggetti e gli enti interessati più chiari ed efficienti;
   quello della semplificazione amministrativa è uno dei tanti capitoli che le istituzioni sono chiamate ad affrontare a livello nazionale e che ha conseguenze non irrilevanti per le imprese del settore del commercio, in particolare per gli operatori che hanno una rete di punti vendita sull'intero territorio nazionale;
   nonostante vari interventi normativi sul tema, al momento, sia per chi deve avviare un'attività sia per chi deve fare comunicazioni di variazioni societarie o strutturali, non esistono procedure omogenee ed uniformi a livello nazionale. Gli operatori devono orientarsi in una giungla burocratica che finisce col ritardare ogni procedura generando costi elevati per le amministrazioni pubbliche e per le imprese, tempi troppo lunghi per i cittadini e difficoltà di rapporti con le amministrazioni;
   il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva europea per i servizi nel mercato interno 2006/123/CE assegna al portale www.impresainungiorno.gov.it il ruolo di punto singolo di contatto (PSC) di livello nazionale e allo sportello unico, attività produttive (SUAP) il ruolo di PSC di livello locale. Il PSC è il luogo dove le imprese possono ottenere informazioni e compiere gli adempimenti previsti per svolgere la l'attività economica di interesse senza doversi relazionare con le singole autorità coinvolte. Permette, quindi, l'accesso alle funzioni telematiche dei SUAP di tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla soluzione organizzativa scelta dal comune;
   in base all'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), il SUAP di «Impresa in un giorno» è «l'unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59»;
   tale disposizione si è resa necessaria al fine di elaborare un percorso trasparente, unitario ed efficace volto a rimuovere gli ostacoli regolamentari ed amministrativi posti dai singoli enti territoriali e finalizzato ad assicurare regole paritarie di accesso al mercato a tutti gli operatori;
   nel rispetto della normativa vigente, il SUAP è una funzione obbligatoria che il comune può esercitare in modalità diverse: in autonomia, in forma associata con altri comuni oppure con delega alla camera di commercio competente per territorio. Poiché il SUAP è telematico, la sua applicazione dipende dall'adeguamento di tutti gli enti locali all'automazione, un processo complesso ed in corso di completamento;
   è evidente la forte frammentazione dei procedimenti telematici di accesso agli adempimenti online e delle modalità di trasmissione degli atti alla pubblica amministrazione, nonché degli strumenti utilizzati dai diversi comuni. Basti pensare che Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Sardegna hanno realizzato proprie infrastrutture di servizio per i SUAP e le hanno messe a disposizione dei comuni del territorio che si sono accreditati puntando sull'utilizzo di quelle piattaforme digitali. In queste regioni nessuno dei comuni ha scelto la soluzione della delega al portale nazionale. Dei 134 comuni della provincia di Milano, ad esempio, circa 70 hanno un proprio strumento per il SUAP, gli altri 63 si suddividono su 5 strumenti condivisi tra più comuni: di questi solo 33 usano www.impresainungiomo.gov.it;
   da un recente studio (luglio 2014) condotto da Confimprese su un campione di province italiane è emerso un quadro estremamente variegato sull'utilizzo del portale nazionale, che ha comportato e comporta tuttora innumerevoli oneri burocratici ed economici. Le più virtuose risultano essere Venezia (95,4 per cento) e Bergamo (64,8 per cento) dove la maggior parte dei comuni già usano lo strumento impresainungiorno.gov.it; seguono Milano (52,6 per cento), Palermo (50 per cento) e Roma (46,7 per cento); a distanza, Bari (33,3 per cento) e Napoli (24,7 per cento);
   è evidente che nella maggior parte dei casi le scelte dei comuni sono ricondotte al ruolo che la regione di appartenenza ha inteso svolgere sul tema del commercio e, nello specifico, dello sportello unico;
   l'adozione obbligatoria del portale nazionale di «impresainungiorno.gov.it» per tutti i SUAP e tutte le altre amministrazioni coinvolte (ASL, vigili del fuoco, ARPA, sopraintendenze, questure, enti parco, ANAS, e altro), permetterebbe di avere una forte standardizzazione dei processi e la possibilità di verificare in tempo reale lo stato delle pratiche (esempio scia o autorizzazioni) e, conseguentemente, anche di individuare le relative responsabilità in caso di ritardo/omissioni per tutelare le posizioni giuridiche delle imprese e delle attività commerciali;
   nonostante le disposizioni richiamate abbiano, da tempo, previsto la completa informatizzazione delle procedure e la standardizzazione delle relative modulistiche, allo stato attuale, stante la carenza di infrastrutture telematiche dedicate e di adeguate disponibilità economiche da parte dei comuni, non vi è omogeneità e semplificazione nella trasmissione degli atti alla pubblica amministrazione, oltre ad essere ancora ammessa la trasmissione in modalità cartacea o mista, in evidente contrasto con le disposizioni di legge che prevedono, già dal marzo 2011, l'obbligo di utilizzare esclusivamente il sistema telematico;
   i comuni che gestiscono direttamente il SUAP telematico adottano in molti casi un proprio sistema informativo d'interazione via web con l'utente senza garantire un'adeguata omogeneità e standardizzazione del servizio. Diversamente, il sistema accessibile dal portale nazionale www.impresainungiorno.gov.it garantirebbe un'unica interfaccia telematica di accesso ai servizi web che porterebbe all'effettiva informatizzazione dei procedimenti e all'uniformità del servizio sul territorio nazionale, a tutto vantaggio delle imprese –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuna una modifica del decreto del Presidente della Repubblica 160 del 2010, recante il regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, e l'inserimento di tale materia nell'ambito dei livelli essenziali di cui all’ex articolo 117 della Costituzione, anche alla luce della sentenza della Corte dei conti n. 15 del 2010 che ha stabilito che la disciplina del SUAP deve essere rinvenuta tra le materie affidate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
   se non ritengano opportuno rendere obbligatoria la procedura telematica attraverso il potenziamento del sistema predisposto dalle camere di commercio accessibile dal portale nazionale www.impresainungiorno.gov.it, al fine di uniformare il servizio sul territorio nazionale, a vantaggio delle imprese;
   quali iniziative urgenti intendano adottare i Ministri interrogati al fine di armonizzare a livello nazionale gli strumenti per le comunicazioni e ridurre i costi per gli operatori, con particolare riferimento alle catene commerciali operanti su tutto il territorio nazionale con una pluralità di punti vendita. (4-09114)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Smith Bits produce martelli tri-conici per la perforazione del suolo utilizzati nella ricerca di idrocarburi, gas e geotermica;
   Smith Bits ha sede a Volterra ed esercita la sua attività presso le Saline di Volterra, dove sono impiegati circa 200 dipendenti;
   il lavoro dei 200 dipendenti è messo in discussione dalla procedura di mobilità per tutti dipendenti per cessazione delle attività, comunicata ai rappresentanti sindacali il 27 aprile 2015, nonostante i lavoratori fossero ritornati al lavoro poco tempo prima, per effetto di una nuova commessa dal Venezuela;
   va specificato che il 16 luglio del 2014 l'azienda aveva firmato un «Protocollo d'intesa per lo sviluppo ed il consolidamento della presenza della Smith International Italia Spa in Toscana», proprio con la regione Toscana. Con questo protocollo l'azienda si impegnava a sviluppare nuovi prodotti avanzati qualificandosi come centro d'eccellenza per la ricerca e lo sviluppo di prodotti per l'estrazione multidirezionale e a qualificare il proprio personale. La regione Toscana metteva a disposizione le proprie competenze per favorire la conoscenza della Smith Bits riguardo ai contenuti di eventuali bandi regionali, utili per sostenere gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo e anche di eventuali bandi finalizzati alla formazione del personale e all'assunzione di nuovo. La regione, infine, si impegnava a collaborare con l'azienda per il mantenimento della presenza industriale. In sostanza, si cercava di evitare che la crisi dell'azienda precipitasse fino al punto di non ritorno;
   appare persino superfluo specificare che l'eventualità della chiusura dell'azienda aprirebbe una profonda crisi nell'economia della città e della provincia, considerando che il 70 per cento del fatturato della Smith Bits in Italia deriva proprio dall'attività dei 200 lavoratori delle Saline. Questo vuol dire quindi, che la sede di Volterra ha un peso specifico enorme, non solo per l'azienda, ma anche per il territorio, oltre che per i lavoratori coinvolti;
   questa della Smith Bits è l'ennesima crisi aziendale nel territorio toscano, che ha già pagato un prezzo molto alto alla crisi e alla mancanza di una politica industriale –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che l'azienda chiuda e per evitare che i 200 lavoratori della Smith Bits perdano il loro posto di lavoro. (4-09118)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Banco nazionale di Prova per le armi da fuoco e le munizioni commerciali di Gardone Val Trompia rappresenta una realtà cruciale per la produzione italiana del settore, poiché, come è noto, la legge 6 dicembre 1993, n. 50, per le munizioni, e le leggi 23 febbraio 1960, n. 186, 12 dicembre 1973, n. 993, 18 aprile 1975, n. 110, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, e il decreto legislativo 29 settembre 2013, n. 121, gli attribuiscono la funzione di principale organo tecnico di riferimento, dotato dei poteri di classificazione, controllo e prova delle armi e delle munizioni commerciali prodotte e importate;
   lo stesso decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, ha di recente escluso le armi da fuoco semiautomatiche somiglianti a un'arma da fuoco automatica, di cui alla categoria B, punto 7, dell'allegato I alla direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1991. Poiché la determinazione della categoria di appartenenza è di competenza del Banco di Prova, all'interno dell'attività di classificazione attribuitagli dalla legge, è evidente che da tali norme lo stesso Banco ricava un ulteriore riconoscimento delle proprie competenze e attività;
   negli ultimi anni tuttavia il Banco ha vissuto una fase di incertezza organizzativa, che ha visto prospettarsi diverse soluzioni strutturali, non tutte in grado di incontrare pienamente le esigenze operative dell'Ente e di garantirgli la solidità ed efficienza necessarie a sviluppare la sua attività in maniera adeguata e serena;
   occorre garantire certezze al settore produttivo e commerciale, assicurando all'ente una struttura agile ed efficace, che gli permetta di svolgere al meglio le sue funzioni;
   appare in particolare necessaria l'istituzione di un organo consultivo interno all'ente, in cui siedano i rappresentanti degli operatori del settore e delle principali istituzioni coinvolte con la funzione di garantire un supporto tecnico e normativo al Banco in relazione alle decisioni necessarie all'ottemperanza degli obblighi di legge, fornendo alla direzione un parere utile a interpretare correttamente le complesse e numerose indicazioni normative che regolano il settore;
   l'ottemperanza di funzioni pubbliche impone al Banco di adottare provvedimenti amministrativi che incidono su situazioni giuridiche soggettive di terzi, attraverso un'attività vincolata e necessaria, a cui il Banco non può sottrarsi, e che ciò comporta che tal Ente deve sostenere le spese di giudizio per la resistenza ai giudizi contro le sue deliberazioni sollevati innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, situazione aggravata dall'uso dei TAR, ormai quasi puntuale, di compensare le spese dei giudizi amministrativi –:
   se e quali iniziative di propria competenza il Governo intenda urgentemente adottare al fine di avviare in tempi brevi la riforma del Banco nazionale di prova per le armi da fuoco e le munizioni commerciali di Gardone Val Trompia, e al fine di garantire al Banco il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, inserendolo nell'elenco degli enti ammessi al cosiddetto «patrocinio autorizzato». (4-09131)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Campana e altri n. 1-00845, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amato, Bonomo, Brandolin, Capone, Chaouki, Capozzolo, Fregolent, Ginoble, Manzi, Melilli, Sani, Giovanna Sanna, Scuvera.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Dallai e altri n. 7-00444, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bueno.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Martella n. 5-05051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Burtone.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scanu e altri n. 5-05509, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fusilli.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Busin n. 5-05523, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghesi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Pisano n. 5-05526 del 6 maggio 2015;
   interpellanza urgente Donati n. 2-00956 del 5 maggio 2015.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Petraroli e De Lorenzis n. 4-09027 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 420 del 4 maggio 2015. Alla pagina 24691, seconda colonna, dalla riga ventisettesima alla riga ventottesima, deve leggersi: «tutelare le praterie della fanerogama marina Posidonia oceanica ivi presenti. Si» e non come stampato.

  Alla pagina 24691, seconda colonna, dalla riga trentaseiesima alla riga trentasettesima, deve leggersi: «della fanerogama marina Posidonia oceanica.» e non come stampato.

  Testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto e altri n. 5-05463 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 422 del 6 maggio 2015. Alla pagina 24870, prima colonna, dalla riga nona alla riga decima, deve leggersi: «aditi dall'organizzazione non profit ”Cittadinanzattiva”;», e non come stampato.