Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 6 maggio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il campo di Yarmouk, sito appena otto chilometri fuori Damasco, è un campo profughi non ufficiale che accoglie la più grande comunità di rifugiati palestinesi in Siria;
    istituito nel 1957 su di un'area poco più grande di due chilometri quadrati il campo di Yarmouk nei primi anni del duemila era arrivato a ospitare oltre centodiecimila persone, ed era dotato delle infrastrutture primarie, di scuole, ospedali e programmi di assistenza realizzati da diverse agenzie dell'ONU;
    il campo di Yarmouk è altresì assistito dall'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (UNRWA, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949 con il mandato di proteggere e sostenere i rifugiati palestinesi fornendo servizi per l'educazione, la cura della salute, servizi sociali, le infrastrutture dei campi e programmi di microfinanza;
    durante la guerra civile che ha insanguinato la Siria a partire dagli ultimi mesi del 2011, il campo di Yarmouk è stato oggetto di feroci scontri tra le forze in conflitto, ed è passato sotto il controllo di diverse fazioni ed è stato privato dei rifornimenti di cibo, medicinali e materiali vari, determinando fame malattie e un elevato tasso di mortalità che ha convinto molti a lasciare il campo, i cui residenti alla fine del 2014 erano ridotti a circa ventimila persone;
    negli ultimi due anni circa diciottomila persone hanno basato la loro sopravvivenza sugli aiuti dell'ONU, ma, secondo le informazioni rese note dall'UNRWA, già nel 2014 l'Agenzia è riuscita a distribuire cibo solo per 131 giorni;
    il primo aprile 2015 il campo di Yarmouk è stato attaccato dai miliziani dell'Is, il gruppo terroristico islamista che combatte per istituire lo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria, e già il giorno successivo i guerriglieri ne avevano assunto il completo controllo;
    l'occupazione del campo e gli scontri che ne sono seguiti hanno costretto le Nazioni Unite a sospendere la consegna del cibo alla popolazione, e attualmente le persone rimaste nel campo cercano di sopravvivere in condizioni drammatiche: senza cibo, acqua ed elettricità, e senza assistenza medica dopo che l'ospedale è stato distrutto e i medici che vi prestavano servizio sono fuggiti;
    inoltre, l'occupazione da parte dei miliziani dell'Is è particolarmente brutale, e ai danni dei civili residenti nel campo si consumano quotidianamente violenze di ogni genere, culminate in numerose esecuzioni sommarie;
    particolare apprensione suscita la presenza nel campo di circa 3.500 bambini, sottoposti a privazioni di ogni genere e costretti ad assistere e a subire incredibili violenze;
    già con una nota pubblicata nei primissimi giorni dell'occupazione del campo da parte dell'Isis l'UNRWA aveva chiesto l'adozione con urgenza di azioni a tutela della popolazione civile di Yarmouk, evidenziando come l’escalation del conflitto stesse portando con sé la inevitabile drammatizzazione delle condizioni in cui si trovano i residenti del campo, e aveva rivolto un invito alle parti in causa a «cessare le ostilità che pongono la popolazione in una condizione di grave pericolo» e a «ritirarsi immediatamente dalle aree popolate da civili»;
    l'Italia ha messo a disposizione dell'UNRWA e dell'Unicef un contributo straordinario e urgente di un milione e mezzo di euro per svolgere attività di assistenza, sostegno e protezione umanitaria in favore dei residenti del campo, con particolare riguardo ai bambini;
    il 30 aprile 2015, l'UNRWA nel pubblicare un aggiornamento sulla situazione a Yarmouk ha nuovamente evidenziato come «la vulnerabilità dei civili rimane della massima gravità», e che senza che alla stessa Agenzia sia permesso l'accesso al campo non potranno essere soddisfatti neanche i più elementari bisogni per la loro sopravvivenza,

impegna il Governo:

   a promuovere le opportune iniziative in sede internazionale finalizzate alla creazione di corridoi umanitari attraverso i quali l'UNRWA e le altre organizzazioni internazionali possano fornire quanto necessario alla popolazione del campo e possano accedere allo stesso in condizioni di sicurezza;
   a fornire, attraverso la cooperazione allo sviluppo, ogni contributo, materiale e finanziario, necessario a sostenere le attività di protezione umanitaria a Yarmouk e in favore dei civili già fuggiti dal campo;
   a favorire in sede internazionale la realizzazione di interventi finalizzati ad evacuare i bambini che ancora si trovino all'interno del campo di Yarmouk, unitamente alle loro famiglie, anche promuovendo l'adozione di programmi di solidarietà e di affido temporaneo in altri Paesi al fine di un loro definitivo allontanamento dalle zone di guerra;
   a sostenere gli sforzi internazionali volti a ottenere la cessazione del conflitto in Siria, nonché a combattere il terrorismo internazionale.
(1-00846) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito del processo di riforma complessivo del Paese, il nuovo assetto istituzionale e finanziario degli enti locali e il contestuale e necessario riequilibrio dei conti pubblici rappresentano obiettivi cardine dell'azione del Governo e per raggiungerli è stato chiesto un forte impegno ed un rilevante sacrificio proprio alle amministrazioni territoriali ed in particolar modo ai comuni;
    in tale contesto, i provvedimenti normativi emanati fino ad oggi nei confronti degli enti locali hanno previsto la definizione di un nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie, la riduzione dei costi degli apparati e del trasferimenti di risorse, l'aumento della funzionalità degli enti nonché l'inasprimento dei vincoli del patto di stabilità interno;
    gli effetti di queste manovre, soprattutto in termini di patto di stabilità, hanno spesso inciso in maniera negativa sulla capacità di spesa e in particolar modo sulla dimensione degli investimenti degli enti locali che nel corso degli ultimi anni hanno registrato una rilevante nonché preoccupante riduzione;
    dal 2007 al 2015 i Comuni hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per circa 16,4 miliardi di euro, di cui 8,4 miliardi in termini di patto di stabilità interno e nuova contabilità pubblica, con una riduzione nel 2015 di circa 850 milioni rispetto agli obiettivi di patto 2014, e 9 miliardi in termini di riduzione di assegnazioni da Fondo di solidarietà comunale, con un aggravamento nel 2015 di quasi 1,5 miliardi rispetto al 2014;
    secondo quanto disposto dalla legge 29 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    sarebbe da evidenziare che la legge di stabilità 2015 ha previsto non solo una riduzione di trasferimenti a favore dei comuni ma anche l'acquisizione da parte dello Stato di una quota dell'IMU comunale fin qui destinata al finanziamento del riequilibrio delle risorse all'interno del comparto;
    sempre con riferimento alle riduzioni di trasferimenti, sarebbe da rilevare che la dotazione di risorse di numerosi comuni è a rischio per il mancato ripristino del trasferimento integrativo di 625 milioni, a fronte del congelamento della disciplina IMU-Tasi 2014 dovuta alla scelta del Governo di rimandare l'introduzione della Local Tax al 2016. Per circa 900 dei 1.800 Comuni beneficiari del trasferimento nel 2014, il mancato consolidamento del fondo si traduce in un aggravio dei tagli disposti espressamente dalla legge di oltre il 50 per cento con punte del 300 per cento. Tra i comuni più colpiti, inoltre, circa 600 non superano i 10 mila abitanti;
    anche l'introduzione di meccanismi di finanziamento basati su costi e fabbisogni standard, benché volti ad ottenere effetti positivi, hanno poi evidenziato la necessità di correttivi e infatti la ripartizione in base ai predetti criteri della quota del 20 per cento dell'FSC destinato ai comuni delle regioni a statuto ordinario dovrebbe essere oggetto di revisione e di maggior approfondimento con l'obiettivo di assicurare un sistema attuativo stabile ed efficiente e che possa premiare gli enti virtuosi;
    gli effetti delle manovre finanziarie degli ultimi anni hanno inciso negativamente su settori di fondamentale importanza per la qualità della vita e per la sicurezza dei cittadini. In particolare, versano in uno stato di evidente difficoltà molti tra gli enti a cui spetta il compito di realizzare opere pubbliche essenziali per il contrasto del rischio idrogeologico, progetti per incrementare le infrastrutture, la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola nonché provvedimenti volti a garantire la pubblica sicurezza e la giustizia;
    risultano evidenti nonché ovvie e maggiormente rilevanti le difficoltà riscontrate dalle amministrazioni territoriali del Sud Italia che soffrono degli effetti penalizzanti delle manovre finanziarie e che hanno dovuto contrarre fortemente la loro capacità di investimento aumentando così il divario con le aree del Centro-Nord;
    se si analizzano i Rapporti della Corte dei conti circa gli effetti sulle amministrazioni locali delle misure adottate dai governi in questi ultimi anni, si rileva facilmente che queste ultime, «...riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione...», nonché sulla necessità che sia salvaguardato «...il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» ed assicurato «un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali emersi tra le diverse aree del Paese...»;
    l'analisi della Corte dei Conti relativa a dicembre 2014 evidenzia come «...lo sforzo di risanamento richiesto alle Amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche...»;
    i sacrifici imposti agli enti locali impongono ora provvedimenti normativi orientati soprattutto a definire indirizzi e incentivi e non vincoli e ulteriori riduzioni di risorse confrontandosi maggiormente con le amministrazioni e analizzando a fondo le loro osservazioni e richieste nonché accogliendo quelle obiettivamente necessarie;
    d'altro canto, a fronte di tali interventi a favore degli enti locali virtuosi, occorre rafforzare l'attività di risanamento, promuovendo la razionalizzazione della galassia di partecipate degli enti locali che, come rilevato anche nei rapporti preparati ai fini della spending review, presentano gravi inefficienze e spesso sono del tutto estranee ai fini istituzionali dell'ente; in proposito, occorre rendere più efficaci i meccanismi sanzionatori nei confronti degli enti locali che siano inadempienti agli obblighi di trasparenza e di dismissione delle partecipate inutili;
    sempre al fine di reperire le risorse destinate al servizio pubblico, è necessario promuovere la valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti locali non destinato specificamente al servizio pubblico;
    è altresì fondamentale accelerare e promuovere l'attuazione dei meccanismi di centralizzazione degli acquisti, troppe volte rinviati quando non rimasti del tutto inattuati;
    i prossimi provvedimenti normativi dovrebbero, quindi, tendere a valorizzare le buone amministrazioni e a premiare i comuni virtuosi responsabilizzando, sanzionando e chiedendo correttivi agli enti che gestiscono male le risorse, evitando al contempo quei tagli lineari che finiscono poi per penalizzare la capacità di erogazione dei servizi essenziali ai cittadini,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza iniziative volte a risolvere le problematiche e ad eliminare le criticità evidenziate dagli enti locali che non consentono loro una efficiente amministrazione della cosa pubblica nonché la relativa erogazione dei servizi essenziali ai cittadini, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi, del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti e di investimenti;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia e di favorire la valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare non destinato al servizio pubblico;
   ad assicurare che l'entità dei tagli imposti ai comuni riduzioni non sia sproporzionata rispetto ai tagli imposti alle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui dei comuni con la cassa depositi e prestiti revisionando in particolare le condizioni di erogazione degli stessi mutui;
   a definire anno per anno, e in un tempo definito, tutte le risorse a disposizione dei comuni in tempo utile a consentire la redazione dei bilanci;
   a riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali tramite l'aumento degli spazi di esclusione dal piano di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
   a garantire agli Enti Locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
   a promuovere ulteriormente la razionalizzazione delle partecipazioni nelle società da parte degli Enti Locali, limitandole a quelle necessarie ed indispensabili per l'erogazione di servizi pubblici;
   a prevedere meccanismi sanzionatori e di riduzione dei trasferimenti nei confronti degli Enti Locali inadempienti agli obblighi di trasparenza e di dismissione delle partecipazioni in società non utili ai fini di garantire la pubblica utilità;
   a promuovere la valorizzazione e la dismissione da parte degli Enti Locali del patrimonio immobiliare di proprietà non destinato a pubblica utilità con la finalità di recuperare le risorse necessarie;
   ad accelerare l'attuazione delle disposizioni in materia di centralizzazione e razionalizzazione degli acquisti da parte degli Enti Locali.
(1-00847) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Vargiu, Vecchio, Falcone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Lamon (Belluno) costituisce un’enclave trentina in territorio veneto poiché la sua collocazione geografica, in quanto unico comune veneto posto oltre il torrente Cismon, ne ha di fatto impedito la comunicazione con la pianura bellunese a valle, inducendo così costanti rapporti socio-economici della popolazione con la vicina provincia di Trento, anziché con la restante provincia di Belluno;
   ai sensi dell'articolo 132, secondo comma della Costituzione, così come novellato dall'articolo 9, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, «si può, con l'approvazione della maggioranza, delle popolazioni della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, consentire che province e comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una regione ed aggregati ad un'altra»;
   con deliberazione consiliare del comune di Lamon del 24, marzo 2004, n. 6, era richiesta l'attivazione della procedura di cui all'articolo 132, comma 2, della costituzione, al fine del distacco di detto comune dalla regione Veneto e la sua aggregazione alla regione Trentino Alto-Adige;
   con ordinanza dell'ufficio centrale per il referendum del 3 maggio 2005 era dichiarata la legittimità della richiesta referendaria e con successivo decreto presidenziale del 31 luglio 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 2005, n. 180, erano convocati i comizi elettorali per i giorni 18 e 19 marzo 2007;
   si è perciò svolto nel comune di Lamon il relativo referendum al quale hanno partecipato il 61,6 per cento degli aventi diritto al voto, percentuale rilevante sol che si tenga conto che il 31,3 per cento del totale degli elettori risultava residente all'estero quale iscritto nell'apposita anagrafe, per cui una parte consistente di essi è rientrata appositamente a Lamon per esprimere il proprio consenso non essendo prevista la possibilità del voto per corrispondenza per tale consultazione;
   l'ufficio centrale per il referendum con verbale chiuso in data 8 novembre 2005, pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 2005, n. 264 ha accertato che i voti favorevoli al distacco territoriale del comune di Lamon dalla regione Veneto ed alla sua aggregazione alla regione autonoma Trentino-Alto Adige, erano pari al 57,2 per cento sul totale degli elettori iscritti alle liste elettorali del suddetto comune, e che dunque doveva dichiararsi approvata la proposta sottoposta a referendum, essendo stato raggiunto e superato il quorum prescritto dall'articolo 45, secondo comma, della legge n. 352 del 1970;
   il comune di Lamon è stato così il primo ente locale italiano che nella storia repubblicana ha attivato positivamente il referendum di variazione territoriale regionale ex articolo 132, secondo comma, della costituzione; ciò è testimoniato dal fatto che, sin dal 2008, lo stesso vocabolario dell'Enciclopedia Italiana Treccani ha inserito fra i nuovi neologismi il verbo «lamonizzare» col significato di assimilare alle scelte compiute dal comune di Lamon al fine di mutare la regione di appartenenza, attraverso un proprio percorso autonomo sancito in Costituzione;
   nella XV legislatura, su iniziativa del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, era stato presentato un disegno di legge costituzionale relativo alla realizzazione del citato distacco-aggregazione (Atto Camera n. 1427);
   il dipartimento della ragioneria generale dello Stato con nota dell'11 maggio 2007, protocollo n. 0061825, intervenendo nel procedimento in sede referente per l'espressione di un parere sugli eventuali costi finanziari di detta variazione territoriale regionale, riteneva che il testo «non comporta effetti finanziari immediati in quanto come evidenziato nella nota tecnica degli uffici della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, viene interamente rimesso alla competenza della regione interessata (Trentino Alto-Adige) la predisposizione delle misure legislative e/o regolamentari necessarie a garantire la concreta attuazione del disposto del provvedimento», così smentendo dal punto di vista tecnico il parere contrario espresso sul testo dalla V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati sul medesimo disegno di legge;
   il suddetto disegno di legge costituzionale d'iniziativa governativa è stato quindi approvato in I Commissione Affari costituzionali il 26 luglio 2007, con mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'assemblea, ma è poi decaduto per l'intervenuto scioglimento anticipato della XV legislatura;
   nella XVI legislatura, erano stati presentati due disegni di legge costituzionali d'iniziativa parlamentare per realizzare il citato distacco-aggregazione (Atti Camera nn. 455 e 1698) per i quali la I Commissione affari costituzionali approvava il 28 ottobre 2008 la procedura del cosiddetto «ripescaggio» di cui all'articolo 107, terzo comma, del Regolamento della Camera, deliberando di adottare come testo base per il seguito dell'esame la proposta di legge costituzionale atto Camera n. 1698 e conferendo mandato al relatore a riferire all'Assemblea;
   il predetto disegno di legge costituzionale era poi calendarizzato per l'esame in Assemblea il 24 settembre 2012 allorquando iniziava l'esame del medesimo con la relazione illustrativa del relatore e la discussione sulle linee generali ma due giorni dopo, prima di procedere alla votazione dell'articolo unico del disegno di legge in assenza di emendamenti, il Sottosegretario di Stato per l'interno chiedeva il rinvio in commissione del provvedimento per «approfondimenti in ordine ai riflessi finanziari e di bilancio e, quindi, all'impatto che il provvedimento, sotto questo profilo, potrebbe avere», obliterando del tutto che nella precedente legislatura, come sopra ricordato, già era stato compiuto e con esito positivo da parte della ragioneria generale dello Stato, l'analisi tecnica dei costi del cambio di regione del comune di Lamon;
   il 26 settembre 2012 l'Aula di Montecitorio approvava quindi la richiesta del Governo di rinvio in commissione del disegno di legge, di fatto così privando di un voto espresso la richiesta della comunità locale posto che la sopravvenuta fine della legislatura impediva la ripresa dell'esame del provvedimento financo in Commissione Bilancio;
   nell'attuale legislatura risultano presentate sul punto le proposte di legge costituzionale d'iniziativa parlamentare A.C. 215 (Bragantini e altri); A.C. 378 (Bressa) e A.C. 493 (Bragantini e altri), delle quali solo la prima risulta essere stata formalmente assegnata all'esame della I Commissione e il suo esame non è comunque ancora cominciato;
   la dottrina consolidata in tema di procedura di variazione territoriale regionale di cui all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, ritiene che la richiesta del comune interessato, confermata dal referendum, incorpori necessariamente il dovere di una risposta da parte dell'organo al quale essa è in definitiva rivolta, onde evitare che al citato articolo 132 della Costituzione sia attribuita una portata meramente rituale;
   se ne deduce che all'istanza di mutamento territoriale del comune debba seguire un'imprescindibile risposta da parte delle istituzioni centrali, sia essa in senso positivo o negativo, quale contemperamento dell'istanza della collettività locale che chiede il trasferimento regionale con gli interessi unitari, per cui solo muovendo da una concezione di potere «assoluto» del Governo e del Parlamento si potrebbe sostenere che alla richiesta del comune possa succedere il nulla. Del resto, in uno stato di diritto costituzionale, con una Costituzione pluralistica, il principio fondamentale dei rapporti tra i diversi centri di potere è quello della leale collaborazione, pur nell'ovvio rispetto delle competenze decisorie finali assegnate dalla Costituzione a questo o quell'organo e in tal caso al Parlamento con riferimento al dar seguito o meno all'istanza locale di variazione territoriale;
   da ultimo, la Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 2011, al punto 3.3 del Considerato in diritto, pronunciandosi sul caso della costituzione della nuova regione «Principato di Salerno», ha ribadito come per il distacco di province e comuni da una regione per l'aggregazione ad un'altra sia previsto lo strumento dell'iniziativa legislativa ordinaria in luogo di quella costituzionale richiesta esclusivamente per la creazione di nuove regioni o la fusione di regioni esistenti, confermando quanto dichiarato dalla Consulta nella sentenza n. 66 del 2007 anche con specifico riguardo al distaccamento di un comune da una Regione a Statuto ordinario e la sua aggregazione ad un'altra che sia a Statuto speciale, «dal momento che l'articolo 132, primo e secondo comma, Cost. si riferisce pacificamente a tutte le Regioni (quelle indicate nel precedente articolo 131)» e che, «Dinanzi ad una disposizione costituzionale riferita a tutte le regioni, e comunque tale da garantire un ipotetico effetto finale sui territori di entrambe le regioni interessate, appare [...] meramente assertivo affermare» che per quanto riguarda le regioni a Statuto speciale vi sarebbe la presenza di norme «chiaramente derogatori[e] rispetto alla generale regolazione delle modificazioni territoriali regionali, per distacco-aggregazione di comuni, contenuta nell'articolo 132» –:
   se il Governo intenda sollecitamente assumere l'iniziativa legislativa ordinaria da adottare, a norma dell'articolo 45, quarto comma, della legge n. 352 del 1970 – per cui compete all'Esecutivo presentare al Parlamento il disegno di legge per la variazione territoriale regionale, entro sessanta giorni dalla proclamazione dell'esito favorevole del referendum quale atto dovuto che riprende la volontà espressa nel referendum dalla comunità locale del comune di Lamon e riaffermando così il preciso dovere delle istituzioni di pronunciarsi con un voto espresso sulla legittima richiesta di cambio territoriale regionale, costituzionalmente garantita, del comune di Lamon.  (5-05531)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALBERTI, PESCO, COMINARDI, SORIAL, BASILIO e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Expo apre i battenti, ma come si apprende dell'edizione bresciana del Corriere della Sera, a Brescia come nel resto della Lombardia, sono molte le camere di hotel e alberghi a rimanere chiuse e a Brescia quasi 7 hotel su 10 hanno ancora camere vuote, nonostante un prezzo medio più basso rispetto alle altre città prese in esame;
   se questo andamento dovesse essere confermato anche prossimi mesi, il danno economico dovuto al mancato profitto per l'indotto del settore turistico nazionale risulterebbe grave e insostenibile soprattutto se paragonate ai costi per le finanze pubbliche per la realizzazione di Expo che ad oggi ammontano a circa 17 miliardi di euro;
   negli ultimi mesi si è assistito a scandali che hanno portato a 14 arrestati e 70 indagati, a ritardi nella realizzazione delle opere e alla moltiplicazione dei costi fino a raggiungere la somma di 17 miliardi di euro;
   le indagini hanno coinvolto a diverso titolo anche altre grandi opere cosiddette accessorie e finanziare dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) come la tangenziale est esterna di Milano (TEEM) e la Metro 4 di Milano;
   nell'ultimo anno, vari soggetti pubblici e privati della provincia di Brescia hanno investito denaro per intercettare almeno una fetta del 20 milioni di visitatori attesi nei prossimi sei mesi a Expo: dalla regione sono arrivati «800 mila euro per il bando sul distretto per l'attrattività in città (ai quali aggiungerne altri quattro a livello provinciale), un milione 200 mila euro per i fondi Expo collegati a progetti specifici. Oltre a questi, ci sono le risorse proprie degli enti locali, quelle dell'Aib e della camera di commercio, i 2,3 milioni di euro di Brend, i tre messi dalle imprese per l'Albero della vita, gli oltre due per l'azienda temporanea di scopo appositamente costituita. «Il sistema bresciano ha investito oltre dieci milioni di euro, una cifra paragonabile a quella di uno Stato come Israele, che ha un padiglione proprio» (Corriere della sera Brescia investimenti per dieci milioni – Così la città scommette sull'Expo) –:
   se siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se il Governo abbia intenzione di monitorare, e con quali iniziative, i flussi turistici generati dell'evento dell'esposizione universale di Milano e l'impatto economico generato nel settore turistico-alberqhiero nelle varie regioni italiane;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda intraprendere per evitare che Expo si riveli, oltre che un inutile spreco di fondi come descritto dagli interroganti, anche un investimento fallimentare per tutto il settore alberghiero e turistico italiano e per quello del Nord, in particolare. (4-09070)


   GIULIETTI, SERENI, ASCANI e VERINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2015 la presidente della regione Umbria Catiuscia Marini ha inviato una nota alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile richiedendo lo stato di emergenza e il sopraluogo tecnico ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni allegando la necessaria documentazione in relazione agli eventi meteorologici registrati nel territorio nei giorni 5 e 6 marzo 2015;
   detti eventi meteorologici hanno riguardato l'Umbria nord-orientale e sud-occidentale, colpendo pesantemente le infrastrutture pubbliche e private. Il vento ha raggiunto, in alcune zone dell'Alta Umbria (in particolare il comune di San Giustino a confine con il comune toscano di San Sepolcro) e nella Valnerina, velocità assimilabili ad uragani abbattendo una enorme quantità di vegetazione con danni connessi alla viabilità e all'edilizia pubblica e privata;
   sono stati registrati anche danneggiamenti alle infrastrutture della media e bassa tensione con problemi segnalati da 25 comuni e un picco di 27.000 utenze senza alimentazione elettrica. Sono stati rilevati anche ingenti danni alle strutture di attività economiche e produttive, in particolare coperture divelte e danni connessi ai detriti asportati;
   in data 29 aprile 2015 il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per la provincia di Arezzo relativamente agli eventi meteorologici del 5 e 6 marzo 2015 (provincia confinante proprio con il territorio umbro maggiormente colpito);
   in data 21 marzo 2015 l'allora Capo del dipartimento nazionale di protezione civile Prefetto Franco Gabrielli si è recato nel comune di San Giustino potendo constatare di persona la gravità degli eventi meteorologici verificatisi –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda mettere in atto non tanto per gestire la prima fase dell'emergenza ormai superata, quanto per il ripristino della normalità ed il ritorno alle ordinarie condizioni di vita;
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'attivazione e riconoscimento, ove ne sussistano i presupposti, dello stato di emergenza per i territori della regione Umbria maggiormente colpiti, al fine di rendere possibile l'eventuale concorso dello Stato al superamento delle criticità che si sono registrate in conseguenza dei fenomeni meteorologici verificatisi. (4-09073)


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta un articolo del settimanale Panorama, il carico fiscale che grava sugli immobili ha superato la cifra record di 50 miliardi di euro annui, di cui 38 a carico delle famiglie;
   l'aumento è dovuto, in particolare, a tre ragioni: l'introduzione anticipata dell'imu a partire dal 2012 in sostituzione dell'ici e di una parte dell'irpef prelevata sugli immobili, la sostituzione della tarsu con la tares, divenuta successivamente tari, con un ricarico finale complessivo pari a circa due miliardi di euro annui e l'introduzione della tasi, per un gettito complessivo di 4,6 miliardi di euro, destinato a sostituirsi alla mancata riscossione dell'imu sulle abitazioni principali;
   secondo quanto riferisce l'Agenzia delle entrate, l'Italia è balzata al nono posto, dal quindicesimo, per livello complessivo di tassazione sugli immobili, con un'incidenza sul prodotto interno lordo cresciuta dall'1,7 al 2,5 per cento;
   se si considera la sola componente riferita alla tassa di proprietà sugli immobili, e cioè l'unico elemento di tipo esclusivamente immobiliare e confrontabile in via omogenea con gli altri Paesi, dal 2011 al 2013 l'Italia ha messo a segno un sostanziale raddoppio nella tassazione in termini nominali, l'aumento nettamente più elevato tra i Paesi Ocse (+107,4 per cento);
   l'aumento delle tasse complessive sugli immobili si è accompagnato al calo dei prezzi delle case, producendo un aumento ancor più marcato in termini di incidenza delle imposte sul valore delle proprietà oggetto di tassazione;
   il valore complessivo degli immobili di proprietà delle famiglie italiane era pari a circa 5 mila 500 miliardi di euro nel 2013, in calo di oltre il 7 per cento rispetto al 2011, e secondo delle stime molto serie nel 2014 si dovrebbe attestare sui 5 mila e 300 miliardi di euro;
   secondo queste stime, il calo nel valore del patrimonio immobiliare nazionale è dovuto, per una forbice tra il 5 ed il 10 per cento, al livello delle imposte vero e proprio, oltre all'incertezza e instabilità delle regole stesse che potrebbero essere destinatarie di ulteriori modifiche;
   a giudizio dell'interrogante e dell'articolo di Panorama, un ulteriore aspetto negativo sulle condizioni del patrimonio immobiliare nazionale saranno gli effetti della futura riforma delle rendite catastali;
   la riforma delle rendite catastali, a giudizio dell'interrogante, dovrà essere valutata accuratamente al fine di prevenire conseguenze indesiderate di tipo sperequativo, nonché un ulteriore possibile incremento sostanziale e generalizzato del gettito connesso –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo affinché la tassazione sugli immobili possa avere una decisa riduzione a favore della piccola proprietà immobiliare familiare. (4-09074)


   LOMBARDI, BARONI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, TOFALO, PESCO e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il  18 aprile era andata in onda una trasmissione di Report su Raitre sul fenomeno grave e diffuso, investigato solo a Roma, della disponibilità di indirizzi «comodi» e fittizi; in origine, ai senza tetto, era stata concessa dal Campidoglio la possibilità di registrarsi in un numero limitato di indirizzi per esempio presso 19 ONLUS ovvero a via Modesta Valenti; poi il fenomeno è degenerato, tanto è vero che presso tali indirizzi sono risultate registrate società di capitali e/o amministratori di società, spesso cosiddette teste di legno semianalfabete nella lingua italiana ed extracomunitarie;
   in particolare, nella puntata di Report, vengono citate sia la ONLUS, Camminare insieme, presieduta del sedicente cavaliere di Malta, Vincenzo Fiermonte sia la comunità di Sant'Egidio, via Dandolo 10, entrambe sedi legali di molte società di capitali;
   Fiermonte nella trasmissione ha mostrato che in qualche misura egli custodiva la corrispondenza registrata di persone e società;
   all'interno della sede di Camminare Insieme si vedono numerose cartelle esattoriali Equitalia;
   dalla medesima trasmissione si apprende di rapporti sospesi tra Camminare Insieme e il comune di Roma;
   camminare insieme vanta di essere accreditata come Protezione civile nazionale; cosa confermata dal sito istituzionale del comune di Roma che riporta la iscrizione alla protezione civile come «Isc.ne Dip.to Prot.ne Civ.le della Pres.za Cons. Min. con decreto prot. N. AGVOL/N 4.1.63 DEL 19 agosto 1999» (http://www.comune.roma.it) –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non reputi opportuno assumere iniziative ispettive per verificare la sussistenza delle caratteristiche dell'iscrizione alla Protezione civile per Camminare Insieme, al fine di sospenderne eventualmente il riconoscimento, in considerazione dell'anomalia, anche amministrativa, della vicenda indirizzi fittizi;
   se non si reputi altresì necessario inviare gli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze in considerazione della competenza relativa alla verifica amministrativa e contabile dell'Ispettorato generale di finanza;
   se, in eventuali ispezioni precedenti, da parte dell'Ispettorato generale di finanza, siano state rilevate criticità di rilievo su Camminare Insieme. (4-09081)


   FRANCO BORDO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Erasmus+ è il Programma dell'Unione europea nei settori dell'istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport per il periodo 2014-2020 (cfr. Regolamento UE n. 1288/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013);
   l'Italia dispone dell'agenzia nazionale Erasmus+ – INDIRE che ha lo scopo di essere il referente, per il nostro Paese, di tutto ciò che riguarda il programma europeo Erasmus+;
   l'Agenzia nazionale italiana per Erasmus+, attraverso il sito istituzionale www.erasmusplus.it, distribuisce le informazioni e la documentazione ufficiale per la partecipazione al programma per l'accesso ai fondi relativi ad Erasmus+;
   molte scuole, università, centri di formazione, amministrazioni locali, la pubblica amministrazione e realtà del terzo settore possono presentare o partecipare a progetti presentati su Erasmus+;
   la modulistica, eform, per la presentazione dei progetti è in un particolare formato (PDF) correttamente accessibile ed utilizzabile solo attraverso la versione 11 di Adobe acrobat reader;
   tale versione non è disponibile per i sistemi operativi open source come le varie distribuzioni di Linux;
   i sistemi operativi con i quali è possibile operare sulle eform sono in larghissima parte di tipo commerciale;
   l'utilizzo di software open source permetterebbe alla pubblica amministrazione un grosso risparmio in termini economici;
   da più parti, sia da attori della società civile che istituzionali si invita all'uso del software open source (cfr. Agenzia per l'Italia digitale) –:
   alla luce di quanto sopra esposto e considerato, quali iniziative di competenza si intendano adottare per risolvere tale situazione che in sostanza favorisce alcune multinazionali del software, impedendo de facto l'uso di software open source;
   in quali tempi si intenda agire e quali soluzioni si intendano predisporre per l'utenza italiana nel periodo compreso tra oggi e la data di soluzione del problema in modo da ovviare, almeno in via provvisoria, a quella che è una limitazione secondo l'interrogante arbitraria delle libertà digitali. (4-09083)


   CATALANO, CATANIA, D'AGOSTINO, ANTIMO CESARO, MONCHIERO, OLIARO, CAPUA, SOTTANELLI, VEZZALI, PINNA, MATARRESE, VARGIU, GALGANO, QUINTARELLI, FALCONE, TACCONI, CURRÒ, BRANDOLIN, ZACCAGNINI, MUCCI, BARBANTI, FURNARI e ALFREIDER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV) è stata istituita con decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, in attuazione della direttiva comunitaria 94/56/CE, e si identifica con l'autorità investigativa per la sicurezza dell'aviazione civile dello Stato italiano;
   tale autorità pubblica è autonoma, «terza» rispetto al sistema aviazione civile, a garanzia della obiettività del proprio operato, e svolge funzioni strategiche per la sicurezza dell'aviazione civile essendo incaricata di condurre, a fini di prevenzione, le inchieste di sicurezza relative agli incidenti ed agli inconvenienti occorsi ad aeromobili dell'aviazione civile, emanando, se necessario, le opportune raccomandazioni di sicurezza, per evitare che eventi dello stesso tipo possano ripetersi;
   con il regolamento dell'Unione europea n. 996 del 2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile, che ha abrogato la predetta direttiva comunitaria 94/56/CE, sono stati significativamente rafforzati i poteri delle autorità investigative per la sicurezza dell'aviazione civile (in Italia, appunto l'ANSV); tale regolamento, al considerando n. 15, sottolinea che «Le autorità investigative per la sicurezza sono al centro del processo investigativo sulla sicurezza. Il loro lavoro è d'importanza fondamentale per determinare le cause di un incidente o di un inconveniente. È pertanto essenziale che le stesse siano in grado di condurre le loro inchieste in piena indipendenza e che dispongano delle risorse finanziarie e umane necessarie per condurre inchieste efficaci ed efficienti»;
   da quando è stata istituita, l'ANSV ha concluso una considerevole mole di inchieste ed indirizzato alle competenti istituzioni italiane, straniere e sovranazionali del settore aeronautico, un elevato numero di raccomandazioni di sicurezza, che ha contribuito in maniera significativa all'incremento dei livelli di sicurezza del volo;
   a fronte di questo compito, l'ANSV è stata colpita da tagli lineari, operati senza alcuna valutazione del loro impatto sul funzionamento dell'Autorità;
   già nella propria relazione sull'esercizio finanziario ANSV 2010, la Corte dei Conti, constatato il comportamento virtuoso dell'ANSV, sia dal punto di vista operativo, sia da quello finanziario, sia da quello della digitalizzazione, ha invece rilevato come la significativa riduzione da parte dello Stato dello stanziamento ordinario di bilancio a favore dell'ANSV operi in controtendenza rispetto ad un contesto di sempre maggiore sviluppo dei trasporti aerei, che imporrebbe incisivi investimenti da parte degli Stati a salvaguardia della sicurezza del volo;
   la dotazione organica, originariamente di 55 unità di personale, è stata ridotta a 30 unità con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013: al 31 dicembre 2014, tuttavia, il personale in servizio ammontava complessivamente a solo 19 unità;
   dei 12 investigatori previsti dalla dotazione organica, ne restano in servizio, sempre al 31 dicembre 2014, soltanto 4 – di cui uno in aspettativa, senza retribuzione poiché in servizio, quale vincitore di concorso, presso un organismo dell'Unione europea – in quanto, a fronte delle uscite per raggiungimento dei limiti di età, le norme vigenti impediscono all'ANSV di reclutare nuovi investigatori in numero sufficiente a garantire la continuità dell'attività dell'Autorità;
   la situazione sopra descritta rende impossibile gestire la notevole mole di lavoro che grava sull'ANSV, estesamente evidenziata e documentata già nel «Rapporto informativo sull'attività svolta dall'ANSV e sulla sicurezza dell'aviazione civile in Italia – Anno 2013»;
   sono inevitabili le ricadute negative sia sul piano della prevenzione degli incidenti aerei (e quindi della tutela della pubblica incolumità), sia sul piano dell'immagine dello Stato italiano in ambito internazionale ed europeo: in particolare, tale situazione è suscettibile di determinare l'apertura, da parte della Commissione europea, di una procedura di infrazione contro l'Italia per inosservanza dell'articolo 4 del regolamento (UE) n. 996 del 2010, il quale prescrive che «l'autorità
investigativa per la sicurezza è dotata dal rispettivo Stato membro dei mezzi necessari per adempiere alle sue responsabilità in completa indipendenza e deve poter ottenere a tal fine sufficienti risorse»;
   il Governo, il 12 giugno 2014, ha accolto come raccomandazione l'ordine del giorno n. 9/02280/001, che impegnava il Governo medesimo «a escludere l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, ANSV, dagli interventi di spending review programmati» e a «intervenire urgentemente, anche tramite i propri poteri di iniziativa legislativa, al fine di consentire l'aumento delle unità di personale in servizio presso l'ANSV, favorendo, in via prioritaria, il completamento dell'organico dei tecnici investigatori, assicurare l'adeguamento dei trasferimenti dello Stato per il sostenimento dei relativi costi del personale, rimuovere le limitazioni normative che penalizzano alcune tipologie di spesa strategiche, e in particolare quella della formazione interna del personale»;
   come evidenziato dal Governo in sede di risposta all'interrogazione n. 4-05754, il Ministero dell'economia e delle finanze ha rappresentato, con nota del 24 luglio 2014, «che, nelle more di un eventuale intervento legislativo finalizzato a prevedere l'esclusione dell'agenzia dalle vigenti disposizioni sul turn over delle assunzioni, per far fronte alla situazione emergenziale rappresentata dal presidente dell'agenzia, si ritiene possibile procedere, nell'immediato, e fino al 31 dicembre 2014, all'attivazione dell'istituto del comando di personale proveniente dall'Aeronautica militare, nei limiti della quota disponibile dell'avanzo di amministrazione accertato al 31 dicembre 2013»;
   al fine di poter gestire la situazione emergenziale in cui versava, nell'attesa di una soluzione definitiva, l'ANSV aveva infatti concluso, già nell'aprile 2014, un protocollo d'intesa con l'Aeronautica militare, prevedente la possibilità di utilizzare temporaneamente, per le funzioni investigative, personale della predetta forza armata che fosse dotato di competenze e conoscenze funzionali al ruolo;
   nella legge di stabilità 2015 non sono state reperite le risorse necessarie a consentire l'aumento delle unità di personale in servizio presso l'ANSV;
   in virtù dell'accordo con l'Aeronautica militare, dopo aver ottenuto il necessario nulla osta da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, hanno preso servizio, in data 13 febbraio 2015, quattro ufficiali dell'Aeronautica militare da destinare alle funzioni investigative, dopo un adeguato periodo di formazione coerente con le linee guida ICAO (International Civil Aviation Organization, agenzia specializzata delle Nazioni Unite) in materia di inchieste di sicurezza relative ad eventi occorsi ad aeromobili civili;
   da ultimo, anche nel proprio rapporto informativo per l'anno 2014, pubblicato in data 21 aprile 2015, l'ANSV ha dettagliatamente esposto le gravissime ripercussioni conseguenti alla mancata risoluzione della grave problematica sopra esposta;
   la mancanza di sufficienti risorse umane influisce sul numero totale di inchieste completate, sulle tempistiche di chiusura delle inchieste, sulla possibilità di effettuare tempestivi sopralluoghi operativi e sulla possibilità di garantire la partecipazione degli investigatori ai consessi internazionali e dell'Unione europea in rappresentanza della Repubblica italiana;
   inoltre, la carenza di tecnici investigatori ha reso impossibile, a quanto consta agli interroganti, garantire la copertura dei turni di reperibilità e ha talvolta imposto il differimento dell'invio sul luogo di incidenti del personale investigativo;
   benché le soluzioni temporanee rappresentate dal comando di personale militare abbiano permesso di mantenere un livello minimo – e comunque non ottimale – di operatività dell'ANSV, è evidente la necessità di trovare una soluzione definitiva –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   di quali notizie disponga il Governo;
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo in attuazione degli impegni di cui all'ordine del giorno 9/02280/001, accolto come raccomandazione dal Governo stesso;
   in particolare, quali iniziative intenda adottare il Governo, anche su piano normativo, al fine di consentire l'aumento della unità di personale in servizio presso l'ANSV, favorendo, in via prioritaria, il completamento dell'organico dei tecnici investigatori, di assicurare l'adeguamento dei trasferimenti dello Stato per il sostenimento dei relativi costi del personale, e di rimuovere le limitazioni normative che penalizzano alcune tipologie di spesa strategiche. (4-09087)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (in Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216) all'articolo 14, comma 1, lettera e), prevede che per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le regioni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, istituiscono «a decorrere dal 1o gennaio 2012, un collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente» e che i componenti di tale collegio «sono scelti mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ed essere in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri individuati dalla Corte dei conti»;
   la Corte dei Conti con la deliberazione 8 febbraio 2012, n. 3, criteri per l'inserimento nell'elenco dei revisori dei conti delle regioni, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha conseguentemente stabilito al punto 4): «Ulteriore corollario di diretta derivazione dai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, attiene alla salvaguardia della funzionalità dell'organo di revisione. Invero, affinché il Collegio dei revisori dei conti possa assolvere compiutamente il ruolo di controllo che gli è proprio, occorre definire quelle “garanzie di status” indispensabili ai suoi componenti per il corretto ed efficace esercizio della funzione di revisione. A tal fine, compatibilmente con le prerogative legislative e statutarie che la Costituzione riconosce alle autonomie territoriali e nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge e dai seguenti criteri applicativi, le regioni ispireranno i principi organizzativi dei rispettivi ordinamenti ai modelli di disciplina tracciati al Titolo VII del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL) ed al Titolo III del citato decreto legislativo n. 123 del 2011»;
   tra i criteri suddetti, richiamati dalla deliberazione, e più precisamente all'articolo 236 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), si precisa, al comma 1, che «valgono per i revisori le ipotesi di incompatibilità di cui al primo comma dell'articolo 2399 del codice civile, intendendosi per amministratori i componenti dell'organo esecutivo dell'ente locale» e al comma 3 che «i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere carichi o consulenze presso l'ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso»;
   la regione Calabria ha approvato, a seguito della seduta del consiglio regionale del 9 marzo 2015, la legge regionale 13 marzo 2015, n. 10, modifiche alla legge regionale 10 gennaio 2013, n. 2 (disciplina del collegio dei revisori dei conti della giunta regionale e del consiglio regionale della Calabria);
   essa cambia le cause di esclusione e incompatibilità dei revisori dei conti, dato che introduce una novella alla precedente disciplina tale per cui risultano incompatibili con l'incarico di componenti del collegio solo gli amministratori pubblici degli enti locali della regione «aventi popolazione superiore ai 5 mila abitanti»;
   tale norma, ad avviso dell'interrogante, risulta in contrasto non solo con i già richiamati criteri fissati dalla deliberazione 8 febbraio 2012, n. 3, della Corte dei Conti, ma soprattutto con principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione e dalla dottrina;
   questo caso risulterebbe ancor più grave, secondo quanto dichiarato dalla stampa locale, come nell'articolo «Lo “strano caso” di Sebi Romeo e quella manovra per candidate a sindaco il nipote del boss» apparso sul sito strettoweb.com, in quanto approvato «ad personam» per consentire a Francesco Malara, componente del collegio dei revisori regionale, la candidatura a sindaco del comune di Santo Stefano in Aspromonte –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, relativamente alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 10. (4-09091)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, disciplina i voli di Stato, prevedendo, tra le autorità che ne possono usufruire, il Presidente della Repubblica, i Presidenti di Camera e Senato, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Corte costituzionale;
   la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011 all'articolo 1, che regolamenta il trasporto aereo di Stato, dettando specifici limiti, prevede che «In conformità all'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in seguito “decreto-legge”; il trasporto aereo di Stato fornisce supporto all'espletamento delle funzioni istituzionali delle più elevate autorità (...). Nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge, il trasporto aereo di Stato è sempre disposto in relazione alla finalità di conferire certezza nei tempi e celerità nei trasferimenti per attendere più efficacemente allo svolgimento dei compiti istituzionali e per garantire il livello di sicurezza o il trattamento protocollare connesso al rango della carica rivestita»; l'utilizzo del volo di Stato, quindi, anche per le più elevate autorità è chiaramente legato allo svolgimento delle funzioni istituzionali del soggetto che può usufruirne;
   la stessa direttiva prevede inoltre che l'utilizzo del trasporto aereo di Stato da parte delle altre cariche dello Stato debba essere debitamente autorizzato e sia improntato a criteri di economicità, opportunità e di impiego razionale delle risorse, nonché subordinato ad una rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto, ovvero alla verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza connesse alla natura della missione istituzionale supportata; si tratta di limitazioni, rispetto alle quali, nessun soggetto che rivesta una carica pubblica dovrebbe essere legibus solutus e che dovrebbero potersi applicare a tutte le cariche istituzionali in quanto l'utilizzo di risorse pubbliche non può mai prescindere dal vaglio di razionalità ed effettiva necessità del loro impiego;
   all'interrogante risulta che il Presidente del Consiglio dei ministri, per il suo tour di propaganda elettorale in Trentino-Alto Adige, in vista delle prossime elezioni amministrative, avrebbe utilizzato due aerei di Stato, uno per sé e cinque parlamentari del partito democratico e uno per il suo staff, tra cui 5 cameraman, 1 fotografo, due accompagnatori e il Capo del cerimoniale di Palazzo Chigi, trasportando in tutto quindici persone. Inoltre, sarebbe stato utilizzato anche un elicottero per i trasferimenti da una zona all'altra della campagna elettorale, fra Rovereto, Bolzano e Trenta, nonché un aereo dei Carabinieri con cinque alti ufficiali per la cerimonia di accoglienza del Presidente del Consiglio;
   nella fattispecie indicata, l'utilizzo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri del trasporto aereo di Stato per recarsi in Trentino — Alto Adige, oltre che essere del tutto inopportuno, non appare rispondente alle prescrizioni indicate in materia dal citato decreto-legge n. 98 del 2011 e dalla predetta circolare del 23 settembre del 2011, in quanto non connesso allo svolgimento della funzione istituzionale del Presidente del Consiglio. Tale non può essere, infatti, quella legata alla propaganda del partito in vista delle elezioni amministrative. Né ragioni di sicurezza possono giustificare un uso impropria delle prerogative legate alla carica rivestita mediante un indebito utilizzo di risorse pubbliche;
   inoltre, nel caso di specie, gli aerei di Stato sono stati utilizzati non soltanto per il Presidente del Consiglio dei ministri, ma anche per altri parlamentari del partito democratico nello svolgimento della campagna elettorale, oltre che per accompagnatori e cameraman, non solo in evidente violazione della normativa in materia, che prevede che debbano essere specificamente autorizzati i soggetti che non rivestano alte cariche dello Stato, ma anche in spregio di qualsiasi criterio di economicità e razionalità nella gestione delle risorse pubbliche;
   l'episodio riferito non rappresenta il primo caso di utilizzo improprio di voli di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, che già 11 30 dicembre scorso aveva adoperato il Falcon 900 dell'Aeronautica militare per recarsi a sciare a Courmayeur. In relazione a tale episodio è già stata presentata una denuncia alla Procura regionale del Lazio della Corte dei conti per danno erariale;
   secondo quanto appreso dalla stampa, il costo operativo di un elicottero sarebbe pari a 8.400 euro l'ora, mentre quello di ciascun aereo di Stato sarebbe di 9.000 euro l'ora. Senza considerare l'impiego delle risorse umane, il costo complessivo potrebbe quindi aggirarsi intorno 26 mila euro l'ora solo per gli spostamenti, con conseguente aggravio indebito per le casse dell'erario –:
   quali siano state, nel caso di specie, le ragioni che abbiano potuto giustificare l'utilizzo del trasporto aereo di Stato ad avviso dell'interrogante in violazione delle prescrizioni normative summenzionate, nonché quali siano stati i soggetti trasportati e i costi sostenuti, non solo per gli spostamenti, ma anche a livello di impiego di risorse umane e strumentali;
   ai fini della verifica del rigoroso rispetto dei limiti previsti in materia di trasporto aereo di Stato, in quali circostanze e verso quali destinazioni, sino ad oggi, siano stati utilizzati i voli di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, nonché quali siano state le ragioni per cui, in tali fattispecie, non sia stato possibile utilizzare mezzi di trasporto alternativi o voli di linea;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per procedere ad una regolamentazione più stringente, che disciplini in maniera più rigorosa il trasporto aereo di Stato anche per le cariche più elevate, ponendo le stesse limitazioni previste per le altre cariche dello Stato. (4-09094)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto legislativo n. 36 del 2003 e relativi allegati individuano in maniera dettagliata le caratteristiche della copertura superficiale finale delle discariche di rifiuti pericolosi e non pericolosi. In particolare, tale copertura deve garantire l'isolamento dei rifiuti dall'ambiente esterno, la minimizzazione delle infiltrazioni d'acqua e dei fenomeni d'erosione, la riduzione il più possibile della necessità di manutenzione, la resistenza agli assestamenti ed ai fenomeni di subsidenza localizzata; la copertura deve essere realizzata mediante una struttura multistrato di diversi spessori e materiali. Con riferimento ai singoli strati, ed in particolare a quelli drenanti, la normativa non specifica la natura del materiale da utilizzare ma fornisce precise indicazioni sullo spessore degli stessi e sulle prestazioni che devono garantire; la parte seconda del decreto legislativo n. 156 del 2006, nel Titolo III-bis relativo all'A.I.A., articolo 29-bis (individuazione delle migliori tecniche disponibili), collega il soddisfacimento dei requisiti tecnici delle B.A.T. al rispetto dei requisiti tecnici del decreto legislativo n. 36 del 2003 che vengono quindi identificati come «migliori tecniche disponibili»; tale connessione non esclude però che altre tecnologie applicative di pari caratteristiche prestazionali o addirittura superiori possano essere utilizzate secondo il principio dell'equivalenza prestazionale; in alcune regioni quali il Piemonte, il Veneto e l'Emilia Romagna, sono state rilasciate autorizzazioni volte a consentire la stratigrafia superficiale di alcune discariche di rifiuti mediante l'utilizzo di geocompositi drenanti in sostituzione degli strati drenanti dell'acqua meteorica e del biogas di cui all'articolo 1, paragrafo 2.4.3, punti 2 e 4 del decreto legislativo n. 36 del 2003, vista la capacità drenante, drenante sotto carico e drenante garantita per almeno 30-40 anni, la resistenza alla trazione minima da eventuali sollecitazioni trasmesse dai mezzi d'opera e assestamenti, l'inerzia chimica e la resistenza meccanica; in alcune altre regioni le agenzie ambientali hanno invece espresso contrarietà all'utilizzo di geocompositi in quanto il decreto legislativo n. 36 del 2003 non prevede espressamente l'utilizzo di sistemi equivalenti per gli strati drenanti; difformi modalità applicative creano incertezza del diritto e distorsioni nel mercato dello smaltimento dei rifiuti per le evidenti differenze di costi fra le diverse soluzioni tecniche che pur assicurano un'equivalente tutela ambientale –:
   se il Ministro interrogato ritenga che in base alla corretta interpretazione del decreto legislativo n. 36 del 2003, allegato 1, sia possibile, per la copertura finale delle discariche, l'utilizzo di sistemi equivalenti per gli strati drenanti dell'acqua meteorica (par. 2.4.3.) e del biogas (par. 2.4.3, punti 2 e 4) costituiti da geocompositi aventi dimostrata capacità drenante, drenante sotto carico, drenante garantita per almeno 30-40 anni, resistenza alla trazione minima da eventuali sollecitazioni trasmesse da mezzi d'opera e assestamenti, inerzia chimica e resistenza meccanica. (5-05532)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, FALCONE e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dalle cronache, pare che lungo il litorale di Ripalta a Bisceglie si registri continuamente la presenza di rifiuti di vario genere ovvero di grandi quantità di legname, plastica e cordame, di reti metalliche abbandonate da precedenti cantieri e resti derivanti dai crolli di alcuni caratteristici muri a secco che avrebbero poi reso impraticabile l'adiacente pista ciclabile;
   l'accumulo dei rifiuti sulla spiaggia impedisce ai cittadini di poterne usufruire ed è causa di una situazione di degrado ormai insostenibile per una zona di alto pregio naturalistico quale è Ripalta, uno dei luoghi più importanti della costa adriatica pugliese;
   la presenza e la mancata rimozione dei rifiuti, soprattutto a ridosso della imminente stagione balneare, è certamente causa di incidenze negative sull'economia del settore turistico locale;
   la salvaguardia dei valori naturali, storici, paesaggistici e morfologici del territorio della zona di Ripalta è avvalorata da già esistenti vincoli ambientali, paesaggistici e faunistici;
   le «Grotte di Ripalta-Torre Calderina» sono già state definite, infatti, «area marina di reperimento» ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394;
   l'area marina antistante il complesso delle Grotte di Ripalta, poi, è un Sito di Importanza Comunitaria denominato «Posidonieto S. Vito» (codice IT9120009) essendo caratterizzata da erbari di posidonia oceanica, habitat definito prioritario ai sensi della direttiva 92/43/CEE;
   i territori della Lama di Croce e dell'area costiera tra Bisceglie e Molfetta sono sottoposti alla tutela del testo unico in materia di beni culturali;
   secondo quanto si evince dalle cronache, pare che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia avviato, nel 2014, la formale procedura per l'istituzione dell'area marina protetta per la zona del litorale di Ripalta che dovrebbe essere denominata «Grotte di Ripalta-Torre Calderina e Lama di S. Croce» –:
   se la procedura di istituzione dell'area marina protetta per la zona di Ripalta sia iniziata e quale sia il relativo stato di avanzamento e quali iniziative di propria competenza intenda adottare per tutelare il litorale attualmente oggetto di una insostenibile situazione di degrado ambientale. (5-05533)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con riguardo alla grave situazione ambientale della laguna di Grado e Marano, si ricorda la problematica scientifica del fenomeno di inquinamento da mercurio e suoi composti nella suddetta, emersa dalle documentazioni prodotte nel 2012 da ISPRA e ARPA Friuli Venezia Giulia, riconducibile a rilasci da due attività produttive puntuali, in Slovenia e in Friuli Venezia Giulia, oggi non più attive, ma di cui si registrano ancora importanti effetti in atto, riguardanti in particolare i sedimenti e il biota;
   dalla relazione di caratterizzazione ambientale di ARPA Friuli Venezia Giulia di settembre 2012, risulta che nei sedimenti lagunari in circa il 90 per cento dei punti indagati la forma prevalente è mercurio non HgS e che, come documentato da ISPRA nell'ottobre 2012, sono presenti mercurio e suoi composti con alte concentrazioni prevalentemente riscontrate nei sedimenti dei canali, anche con valori superiori a quelli massimi previsti sul suolo per le zone industriali;
   a fronte del valore di SQA (standard di qualità ambientale) indicato per il biota dalle direttive 2008/105/CE e 2013/39/UE per il mercurio pari a 20 ug/kg i valori medi di concentrazione di mercurio risultati nei latterini e nelle orate rispettivamente di 410 ug/kg e di 670 ug/kg sono superiori nella misura di oltre 20 e 33 volte;
   la Commissione Italo-Slovena sulla idroeconomia dell'Isonzo nell'ottobre 2014 ha confermato che «l'inquinamento da mercurio» della laguna di Grado e Marano è uno dei maggiori al mondo (come già certificato dalle Nazioni Unite in un documento del 2013), con un intrappolamento di almeno 250 tonnellate di mercurio provenienti dalla località di Idria in Slovenia, cui vanno aggiunte anche le 186 tonnellate scaricate dall'impianto Cloro-Soda di Torviscosa, come riaffermato nel 2012 da ARPA FVG nel suo rapporto Stato Ambiente, per un totale di oltre 400 tonnellate complessive;
   nella Laguna di Grado e Marano da anni vengono condotti interventi di dragaggio di sedimenti con concentrazioni di mercurio e suoi composti superiori allo standard di qualità ambientale per i sedimenti, pari a 0,3 mg/kg s.s., da 5 a 40 volte, con loro conferimento tal quali in diverse aree lagunari, intervento contrario evidentemente a quanto stabilito dall'articolo 4 della direttiva comunitaria 2000/60 che tra gli obiettivi ambientali registra «ridurre progressivamente l'inquinamento causato da sostanze prioritarie ed arrestare o eliminare gradualmente le emissioni, gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose prioritaria nei corpi idrici superficiali»;
   è prossimo l'avvio di un ulteriore intervento di dragaggio di sedimenti con significative concentrazioni di mercurio, come sopra evidenziato, con loro conferimento tal quali in numerose aree lagunari, riguardante il fiume Corno, area compresa nelle aree inquinate di cui al piano di bonifica dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia vigente, per la quale è prevista la bonifica dei sedimenti contaminati, come deliberato dalla Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia in data 05 agosto 2011;
   tale area del fiume Corno era interna al sito d'interesse nazionale laguna di Grado e Marano, per la quale il verbale della conferenza di servizi decisoria tenutasi il 26 luglio 2011 presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla presenza del rappresentante del Ministero della Salute ha prescritto che per tali sedimenti inquinati qualora superino il valore di intervento fissato da ICRAM nella conferenza di servizi decisoria del 15 dicembre 2004 pari a 1,4 mg/kg le aree debbano essere incluse nel progetto di bonifica e rilevato ancora che è stato anche prescritto il possibile riutilizzo dei sedimenti dragati resi idonei dopo un trattamento, non attuato per i recenti dragaggi né previsto per quello in programma;
   contrariamente a quanto previsto dal decreto 12 dicembre 2012 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di riperimetrazione del sito d'interesse nazionale laguna di Grado e Marano che prevedeva «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione», tali operazioni, che interessano aree oggetto del citato e prossimo intervento di dragaggio e conferimento dei sedimenti del fiume Corno, non risultano essere a oggi state condotte –:
   se gli interventi di dragaggio con riferimento ai profili di competenza in atto da due anni in laguna di Grado e Marano – e quello di prossima realizzazione – alla luce dei documenti ICRAM (2004), ISPRA (2012) e ARPA FVG (2012) sopra richiamati e che paiono disattesi, eseguiti e da eseguire con conferimento di sedimenti tal quali in diverse aree della stessa, siano stati realizzati e siano prossimi alla realizzazione, nel rispetto della normativa ambientale nazionale e comunitaria vigente in materia di dragaggi e qualità delle acque e non abbiano invece prodotto (e produrranno) danno ambientale, ai sensi della direttiva dell'Unione europea 2000/60/CE, anche in considerazione dei documentati valori di concentrazione di mercurio e composti nel biota, oltre il limite previsto per la commercializzazione per alcune specie ittiche. (5-05534)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2014, l'Ispra ha pubblicato la guida tecnica n. 29 su «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività», con riferimento alle indicazioni, stabilite dal Titolo III del decreto legislativo 31/2010, e successive modificazioni e integrazioni, per la localizzazione, la costruzione e l'esercizio del deposito nazionale, incluso in un parco tecnologico;
   la stessa Sogin ha reso noto, sul proprio sito, il cronoprogramma delle procedure previste per giungere — partendo dalla predisposizione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) — fino all'autorizzazione unica e, quindi, all'inizio della realizzazione del deposito nazionale con annesso parco tecnologico. In riferimento alla carta dei siti idonei, il documento evidenzia come Sogin, entro 7 mesi dalla pubblicazione della guida tecnica n. 29, deve consegnare all'Ispra la CNAPI; l'Ispra ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la carta; infine, entro un mese, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dello sviluppo economico comunicano il nulla osta, affinché Sogin renda pubblica la carta e si possa procedere alla consultazione e condivisione allargate;
   il 2 gennaio 2015, infatti, come si apprende da fonti stampa, Sogin, seguendo i criteri di localizzazione stabiliti dalla guida tecnica, ha consegnato all'Ispra la proposta di carta (CNAPI) dei siti idonei ad ospitare il deposito unico nazionale, con annesso parco tecnologico, dove andranno portati 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media intensità e circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività per lo stoccaggio temporaneo;
   il 14 marzo 2015, l'Ispra ha validato la carta, senza nulla da eccepire — secondo quanto diffuso dai mezzi di informazione —, consegnando la propria relazione secretata ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico che, a loro volta, avrebbero dovuto dare il nulla osta entro il 13 aprile. Tale circostanza non si è verificata, in quanto risulta che i Ministeri avrebbero richiesto ulteriori precisazioni;
   l'articolo de Il Corriere della Sera del 14 aprile 2015, intitolato «Scorie nucleari un rinvio per ragioni elettorali», commenta il mancato proseguimento dell'iter procedurale come una scelta diplomatica per rimandare la questione alla conclusione della campagna elettorale — dopo il 31 maggio —, che sta coinvolgendo diverse regioni e comuni. A tale proposito, si legge «la questione è delicata e difficilmente un candidato con serie chance di governare metterà a rischio la sua elezione dichiarandosi a favore della costruzione del deposito e del parco tecnologico nel proprio territorio. Ma poi, una volta passate le elezioni, ci saranno 1,6 miliardi di euro di investimenti che faranno gola»;
   il deposito rappresenta una priorità da perseguire in tempi certi e sicuri, in considerazione del fatto che dovrà ospitare anche quelle scorie, a più alta intensità, che attualmente si trovano all'estero e sono un ulteriore aggravio economico che pesa sui cittadini –:
   come intenda procedere il Ministro, per i profili attinenti al proprio dicastero, per evitare ulteriori ritardi nei tempi di pubblicazione della Carta CNAPI e, quindi, nella conseguente realizzazione di un'opera che interessa tutti i cittadini, sia per la tutela della salute e il rischio ambientale, che per il danno economico. (5-05535)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ambiente marino-costiero, definito un sistema complesso e dinamico, sta assumendo una sempre maggior attenzione per il fatto che è particolarmente soggetto al degrado ambientale e per cui attira l'attenzione non solo da un punto di vista della salvaguardia dell'ecosistema ma anche dal punto di vista economico;
   l'Italia vanta circa 8.300 chilometri di costa distinta tra costa naturale, pari a circa 7.500 chilometri, e la restante è definita costa artificiale a seguito dell'intervento dell'uomo nel costruire opere radenti la riva, porti e strutture parzialmente sovrimposte al litorale. Più di un terzo della costa naturale è formata da coste alte e rocciose mentre le coste basse e sabbiose sono generalmente più diffuse principalmente sul versante adriatico costituito da lunghi tratti rettilinei di litorali sabbiosi o deltizi e dai più estesi ambienti lagunari del Paese;
   il fenomeno dell'erosione, da anni, sta interessando la costa della provincia di Venezia e di Rovigo con ingentissimi danni sia di natura ambientale sia dal punto di vista economico per quanto concerne il settore turistico;
   facendo riferimento alle stagioni 2012/2013 e 2013/2014 i danni quantificati dagli amministratori della costa veneta, da San Michele, passando per Jesolo e arrivando sino a Porto Tolle, Porto Viro, ammontano a 35 milioni di euro;
   il comprensorio costiero in oggetto ricade in aree SIC (siti di importanza comunitaria) e ZPS (zone di protezione speciale) ed è anche una realtà economica che fa registrare ogni anno oltre 25 milioni di presenze turistiche;
   per questo litorale non è più sufficiente il ripascimento tecnicamente definito «morbido», poiché basta un evento meteorologico a mandare in fumo qualsiasi intervento. Tale problema è stato uno dei temi centrali della riunione svoltasi a Roma lo scorso 15 gennaio tra i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni al fine di costituire un tavolo nazionale. In tale occasione l'assessore all'ambiente e alla difesa del suolo della regione veneto, ha sottolineato i danni che i litorali veneti hanno patito con le continue mareggiate e la continua necessità di interventi di manutenzione straordinaria necessari per ripristinare i danni sugli arenili erosi;
   vista la situazione di continua emergenza in cui versa il litorale veneto si devono creare le condizioni affinché si possa realizzare un'efficace strategia di gestione dei sedimenti disponibili per le spiagge del Veneto, che versano in una generalizzata condizione di crisi, sia per quanto riguarda la disponibilità di superfici adeguate per l'attività turistico-balneare sia per la sicurezza del territorio, nell'ambito della quale la spiaggia svolge un ruolo di protezione fondamentale –:
   se e quali iniziative il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, intenda promuovere per affrontare il problema dell'erosione costiera veneta istituendo un tavolo istituzionale ad hoc con la presenza di tutti i soggetti interessati al fine di promuovere interventi strutturali per la salvaguardia ambientale di uno dei litorali più importanti della penisola, prevenendo fenomeni di subsidenza di erosione delle coste e cercando di ridurre i rischi derivanti dall'innalzamento progressivo del livello del mare. (5-05536)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni dalla legge n. 71 del 24 giugno 2013, ha affidato le competenze del turismo al Ministero per i beni e le attività culturali, che ha assunto l'attuale denominazione di Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il successivo decreto del Presidente del Consiglio del 21 ottobre 2013, concernente «modalità e termini di trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie dalla Presidenza del Consiglio al Ministero dei beni e delle attività culturali», ha dato inizio al passaggio di competenze;
   con l'Istituzione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è iniziato un lungo e complesso iter di trasferimento delle funzioni all'interno dell'apparato ministeriale, che ha causato una prolungata fase intermedia, durante la quale sono emerse molte criticità, come rilevate dalla nota 8371 della Corte dei Conti del 21 marzo 2014;
   per garantire la continuità amministrativa, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 novembre 2013, è stato conferito al dottor Roberto Rocca l'incarico di funzione di livello generale, di consulenza, studio e ricerca nell'ambito della segreteria generale del turismo, sostituito, successivamente, in data 18 giugno 2014, dal dottor Onofrio Cutaia;
   la crisi interna dell'Enit – Ente nazionale per il turismo – e la derivata difficoltà di gestione hanno portato all'inasprimento dei rapporti dell'ente stesso con la società Promuovi Italia spa – controllata Enit – ed i rispettivi rapporti con la direzione generale per le politiche del turismo;
   il capo di gabinetto, Giampaolo D'Andrea, con nota del 21 marzo e la successiva nota del 17 aprile 2014, ha trasmesso tutti gli atti, concernenti la società Promuovi Italia spa ed i rapporti con Enit e la direzione generale per le politiche del turismo, all'ufficio legislativo per gli opportuni controlli e per chiedere il relativo parere per tutelare gli interessi pubblici ed accertare responsabilità civili, penali, disciplinari, erariali, contabili e patrimoniali;
   l'articolo 16 del decreto legislativo 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, ha disposto la trasformazione di Enit in ente pubblico economico mediante la nomina di un commissario straordinario per l'attuazione della riforma e, in contemporanea, per la messa in liquidazione della società Promuovi Italia spa;
   in esecuzione del citato articolo è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 giugno 2014, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Cristiano Radaelli quale commissario straordinario di Enit;
   sempre ex articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, l'assemblea straordinaria del consiglio di amministrazione di Promuovi Italia spa, con delibera 10 luglio 2014, ha nominato commissario liquidatore della società Antonio Venturini;
   secondo un articolo del Sole 24 Ore dell'11 luglio 2014, il consiglio di amministrazione uscente della società Promuovi Italia spa, guidato da Costanzo Jannotti Pecci, avrebbe sollecitato indagini contabili e giudiziarie, dopo aver riscontrato sprechi e malversazioni durante le precedenti amministrazioni della società;
   sempre nell'articolo citato, viene asserito che, a seguito della denuncia del consiglio di amministrazione uscente di Promuovi Italia spa, siano emerse numerose anomalie amministrative nelle gestioni precedenti, anche, riferibili al periodo di gestione dell’ex direttore generale del turismo, Roberto Rocca, oggetto di revisione da parte della Corte dei Conti;
   in data 10 ottobre 2014, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha emanato una delibera, concernente «Istituzione di una commissione d'indagine amministrativa su Enit e Promuovi Italia spa», al fine di revisionare tutti gli atti ed i provvedimenti adottati durante la gestione del dottor Rocca e consentire una organica ricostruzione delle vicende amministrative e gli effetti giuridici da esse derivate, per tutelare l'amministrazione, con specifico riferimento alle attività svolte dalla direzione generale per le politiche del turismo con gli enti direttamente o indirettamente vigilati Enit e Promuovi Italia spa;
   il compito della commissione, come specificato, dunque, dall'articolo 1 del decreto ministeriale 10 ottobre 2014, è quello di ricostruire i passaggi amministrativi a decorrere dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 ottobre 2013, concernente «termini e modalità di trasferimento delle risorse umane strumentali e finanziarie dalla Presidenza del Consiglio al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo», fino al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 16 giugno 2014, concernente la nomina del commissario straordinario dell'Enit, dottor Cristiano Radaelli;
   la commissione, inoltre, deve verificare la regolarità dell'azione dell'amministrazione – direzione generale delle politiche del turismo – nei settori di pertinenza e proporre ad essa eventuali azioni di autotutela;
   durante l'audizione del 7 aprile 2015, presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il Ministro Franceschini, in merito ai lavori della Commissione, ha affermato che essa avrebbe dovuto fornire una relazione interna entro il 30 aprile 2015 –:
   se la commissione ministeriale, di cui al decreto ministeriale 21 ottobre 2014, concernente «Istituzione di una commissione d'indagine amministrativa su Enit e Promuovi Italia spa», abbia terminato i propri lavori e redatto la relazione interna;
   quali siano le conclusioni a cui sia giunta la commissione in merito gli atti emanati durante il periodo indicato espressamente dal decreto ministeriale 21 ottobre 2014;
   quali azioni intenda adottare alla luce dei risultati dei lavori della Commissione;
   quali provvedimenti urgenti ritenga porre in essere affinché situazioni come quelle descritte non si verifichino nuovamente ed impedire, in tal modo, il fermo dell'attività amministrativa e, soprattutto, la perdita di credibilità e fiducia nei confronti dell'amministrazione statale da parte dei cittadini. (3-01480)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il signor M.S. in servizio presso il comando militare Esercito «Calabria» di Catanzaro (CZ) di via Luigi Pascoli, 40 in qualità di centralinista, è un non-vedente assoluto e come tale accompagnato in tutti i suoi spostamenti da un cane guida, appositamente addestrato dalla scuola di addestramento nazionale dei cani guida dei Lions di Limbiate (MI), così come previsto dalla legge n. 376 del 25 agosto 1988;
   sin dal 2014, così come attestato dalle richieste inoltrate dal dipendente al comandante C.M. Esercito Calabria, al Capo di Stato Maggiore e al dirigente del servizio sanitario responsabile servizio prevenzione e protezione, nella pineta adiacente il comando militare di Catanzaro è presente il lepidottero «Thaumetopoea pityocampa», genericamente nominato «Processionaria dei Pini»;
   suddetto lepidottero ha un altissimo impatto nocivo sia sugli animali che, in via minore, sull'uomo, con il conseguente serio pericolo per la vita e la salute del cane guida del signor M.S.;
   in base a quanto previsto dal decreto ministeriale del 17 aprile 1998 e dal decreto ministeriale del 30 ottobre 2007 è «disposta la lotta obbligatoria contro la processionaria del pino;
   nonostante gli obblighi previsti per legge, ad oggi nessun provvedimento è stato intrapreso per la sanificazione dell'area interessata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per sanare al più presto l'urgenza di profilo sanitario che rischia di compromettere direttamente la salute e il benessere del signor M.S. (5-05530)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze il 19 marzo 2015 un comunicato che rendeva conto che sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri era disponibile l'avviso per la selezione pubblica di due componenti della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB);
   chiunque fosse stato interessato, avrebbe potuto presentare la propria candidatura entro le ore 00:00 del 16 aprile 2015;
   lo stesso bando ha precisato, altresì, che la scelta del candidato cui conferire l'incarico è comunque effettuata dall'Autorità politica discrezionalmente, non costituendo l'avviso una procedura concorsuale ma un mezzo per acquisire le manifestazioni di interesse;
   il Corriere della Sera del 21 aprile 2015 ha dato la notizia che «i candidati sarebbero molto numerosi e con una corposa rappresentanza della categoria magistrati. Tra essi si dice vi sia anche qualche pubblico ministero impegnato in alcune delle inchieste più rilevanti degli ultimi anni. Inoltre alla “chiamata” avrebbero risposto anche dirigenti interni della Commissione.»;
   tenuto conto della modalità che il Governo ha deciso di seguire per l'individuazione dei componenti della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), affinché sia una procedura improntata alla massima trasparenza, sarebbe opportuno, anche in considerazione che indiscrezioni già circolano sulla stampa, che vengano tempestivamente resi noti al Parlamento i curricula dei candidati e le specifiche modalità attraverso le quali le scelte verranno operate nonché i tempi per le successive nomine –:
   se non ritenga necessario, in relazione alla nomina dei due componenti della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), comunicare tempestivamente alla Commissione i curricula dei candidati e le specifiche modalità attraverso le quali le scelte verranno operate nonché i tempi per le successive nomine. (5-05523)


   LAFFRANCO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-05070 del 18 marzo 2015, a giudizio degli interroganti, incompleta ed evasiva, il Ministro interrogato ha affrontato in maniera parziale la vicenda relativa alle decisioni assunte dalla Banca d'Italia, in base alle quali, a seguito di gravi irregolarità nell'amministrazione, è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria la Banca popolare di Spoleto Spa (BPS), con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 febbraio 2013 decreto che tuttavia è stato dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato lo scorso 10 febbraio 2015;
   a tal fine, nonostante gli interroganti avessero esplicitamente richiesto, attraverso la precedente interrogazione, i motivi per i quali il Ministro interrogato (secondo quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato) non avesse avviato un'istruttoria autonoma (o quantomeno un'attività di verifica e controllo), rispetto all'iniziativa intrapresa della Banca d'Italia, quanto evidenziato dalla suindicata risposta appare, secondo gli interroganti, sbilanciato e passivamente orientato invece sulle valutazioni della stessa Banca d'Italia;
   se, da un lato, si riporta infatti, la descrizione delle fasi procedurali del commissariamento di BPS, dall'altro, la medesima risposta non contempla, ad avviso degli interroganti, adeguate delucidazioni in merito agli elementi derivanti dal giudicato amministrativo, nonché i successivi effetti relativi alle sentenze di annullamento pronunciate dal Consiglio di Stato, che ribadisce come il Ministero interrogato avrebbe dovuto avviare in via preliminare una propria istruttoria interna, anziché avallare l'atto d'impulso avanzato dalla Banca d'Italia –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato, con riferimento a quanto in precedenza esposto, anche alla luce del periodo di tempo già trascorso dalle risposte fornite, e quali iniziative intenda di conseguenza assumere, a seguito delle recenti sentenze n. 665 del 9 febbraio 2015 e n. 966 del 26 febbraio 2015, del Consiglio di Stato che ha annullato i decreti nn. 16 e 17 del 2013, con i quali erano state poste in amministrazione straordinaria la Banca popolare di Spoleto (BPS) e la controllante Spoleto crediti e servizi (SCS). (5-05524)


   CAUSI, BRATTI e PAOLA BOLDRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, su proposta della Banca d'Italia, il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Risparmio di Ferrara SpA (Carife) e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera a) e b) e dell'articolo 98 del Testo Unico Bancario;
   nonostante l'attività degli organi straordinari, volta a garantire la regolarizzazione dell'attività aziendale e la piena tutela dei diritti dei depositanti e dei creditori sociali, il prossimo 27 maggio terminerà l'amministrazione straordinaria: in assenza di interventi volti alla salvaguardia dell'attività aziendale, lo scenario attuale potrebbe condurre alla liquidazione, con la tutela per i soli clienti, consistente nel rimborso dei depositi fino a 100 mila euro, e senza alcuna compensazione per gli azionisti;
   recentemente si è appreso che, a seguito del periodo di gestione commissariale, il patrimonio che Carife registrava nel 2012, pari a 350 milioni di euro, potrebbe risultare totalmente azzerato e con esso il valore delle azioni, a fronte dell'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi; sembrerebbe, infatti, che l'unica prospettiva per il salvataggio dell'Istituto bancario sia l'intervento del Fondo, che sottoscriverà integralmente un aumento di capitale (pari a circa 300 milioni di euro) al termine del quale sarà azionista unico dell'istituto; si rileva inoltre che tale intervento, finalizzato ad individuare un nuovo acquirente, è stato deliberato dal Consiglio del Fondo nella riunione dello scorso 22 aprile, dando il via libera soltanto alla struttura dell'operazione, nell'attesa di un conseguente piano industriale, atteso nelle prossime settimane;
   dal 1o gennaio 2016 entreranno in vigore le nuove disposizioni europee, previste dal meccanismo di risoluzione unico (SRM), relative alla pianificazione delle risoluzioni, all'intervento precoce, alle azioni di risoluzione e agli strumenti di risoluzione, compreso il bail-in degli azionisti e dei creditori –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui possibili interventi vista l'imminente scadenza del periodo di amministrazione straordinaria di Carife Spa, e se ritenga che le disposizioni europee previste dal meccanismo di risoluzione unico potranno, dalla loro entrata in vigore, garantire una maggior tutela dei depositanti e degli azionisti coinvolti in crisi bancarie di pari entità. (5-05525)


   PISANO e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte prevede che dall'imposta lorda si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate», l'articolo 79 del testo unico sulle imposte rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute a titolo d'acconto ai fini IRES; 
   secondo il dettato normativo, dunque, possono verificarsi i seguenti casi pratici:
    1) può verificarsi che la ritenuta venga operata prima della presentazione della dichiarazione dei redditi: si configura tale ipotesi quando la ritenuta è operata e versata nell'anno di competenza del pagamento, oppure quando la ritenuta è operata nell'anno successivo a quello di competenza del ricavo sul quale è operata ma prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi; in tutti questi casi, la legge prevede che la ritenuta vada scomputata nella dichiarazione dei redditi di competenza;
    2) può verificarsi inoltre che la ritenuta venga operata dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi; la norma si riferisce ai casi in cui la ritenuta relativa ad un compenso di competenza dell'anno precedente, venga eseguita a seguito del decorso del termine di presentazione della dichiarazione di competenza; al riguardo, la stessa legge consente al contribuente di portare in detrazione la ritenuta nella dichiarazione dei redditi dell'anno in cui è stata operata; in altre parole, per la sola ritenuta operata dopo il decorso del termine della dichiarazione di competenza del ricavo, si applica il principio di cassa e non più quello di competenza, consentendo al contribuente di scomputare la ritenuta nel periodo d'imposta in cui è stata operata (anche se riferita ad un ricavo di competenza di un periodo d'imposta precedente);
   il sistema delineato dalla norma in commento presenta tuttavia criticità applicative, soprattutto nell'ipotesi descritta sub n. 1): nei casi di ritenute operate l'anno successivo a quello di competenza del compenso cui si riferiscono, risulta infatti poco agevole scomputare la ritenuta subita nella dichiarazione dei redditi di competenza del ricavo; ciò soprattutto in conseguenza del fatto che il contribuente non riceve la certificazione della ritenuta subita (la certificazione rilasciata entro il 28 febbraio riguarda infatti le ritenute operate nell'anno precedente ed in relazione ai pagamenti eseguiti nell'anno) ed allo stesso tempo si trova nella condizione di dover scomputare la ritenuta nella dichiarazione dei redditi di competenza del ricavo;
   con la risoluzione n. 68/E/09 l'Agenzia delle entrate ha precisato che lo scomputo della ritenuta è ammesso anche in assenza di certificazione ma a condizione che il contribuente sia in grado di dimostrare di averla subita «tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o da altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l'importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura»; nonché, con l'orientamento giurisprudenziale consolidato che non considera la certificazione rilasciata dal sostituto d'imposta come l'unico strumento di prova delle ritenute subite, in quanto si ritiene comunque ammissibile anche l'utilizzo di documentazione presentata dal percettore, quale, ad esempio, la fattura emessa (nella quale risulta l'importo lordo spettante, la ritenuta subita e l'importo netto percepito) e l'estratto del conto corrente bancario;
   senonché, la soluzione individuata dalla prassi applicativa dell'amministrazione finanziaria, seppure risolutiva, finisce per porre a carico del contribuente ulteriori oneri contabili e di documentazione (oltre quelli ordinari già previsti dalla legge), nonché lo espone al concreto rischio di verifiche e controlli fiscali circa la spettanza della ritenuta scomputa in dichiarazione, aggravando la stessa attività di verifica dell'Agenzia;
   inoltre, va evidenziato che l'eventuale irregolarità, infedeltà e omissione della presentazione della certificazione unica e del modello 770 da parte del sostituto, espone ancor di più il sostituito al controllo fiscale da parte dell'Agenzia; anzi l'assenza di dati e notizie fiscale sul sostituto vincola l'Agenzia a rivolgersi al sostituito per il controllo della correttezza delle ritenute indicate in dichiarazione dei redditi; sicché, oltre alla decurtazione patrimoniale a seguito della ritenuta, il sostituito finisce per essere costretto anche a dover sopportare il controllo fiscale dell'Agenzia e, sopratutto, a dover dimostrare la regolarità dei dati dichiarati attraverso costosissime gestioni manuali dei documenti da esso stesso prodotti ma anche prodotti da terzi, come istituti finanziari presso i quali è stato ricevuto l'incasso; le eventuali irregolarità, infedeltà omissioni sono peraltro condizioni che si verificano con frequenza poiché tra i soggetti sostituiti sono inclusi anche i condomini che per via della loro stessa costituzione sono coinvolti nelle irregolarità; è inopportuno aumentare ulteriormente il costo di gestione del rapporto con il fisco per quei soggetti contribuenti che già sono oberati dalla legislazione tributaria italiana e dalla regolamentazione fiscale ad infiniti adempimenti per cause che non sono neppure ed essi stessi imputabili;
   sarebbe pertanto auspicabile un intervento normativo volto alla semplificazione degli adempimenti posti a carico del contribuente ai fini dello scomputo delle ritenute operate l'anno successivo a quello di competenza; si potrebbe ad esempio:
    optare per una semplificazione fiscale attuata attraverso l'attribuzione dell'obbligo di versamento della ritenuta direttamente al sostituito: in pratica, nei casi di pagamento del compenso operato l'anno successivo a quello di competenza, andrebbe sostituito l'obbligo di versamento della ritenuta a carico del pagatore con l'obbligo di versamento di un acconto (della stessa misura della ritenuta) da parte dello stesso contribuente percettore del compenso da sottoporre a ritenuta;
    introdurre l'obbligo di trasmissione telematica delle ritenute operate, per singolo versamento o con cadenza periodica mensile o trimestrale, in modo tale da garantire un controllo immediato ed efficace delle dichiarazioni dei redditi attraverso l'incrocio dei dati in possesso dell'Agenzia, sgravando il contribuente degli oneri documentali posti a suo carico e limitando i controlli sostanziali sulla dichiarazione ai soli casi di comprovata incongruenza dei dati trasmessi;
    introdurre un sistema telematico o digitale on-line, anche attraverso l'utilizzo degli attuali servizi telematici messi a disposizione dei contribuenti, che consenta al sostituito di verificare l'adempimento e la correttezza dei dati dichiarati dal sostituto in merito alle ritenute operate ed i dati in possesso dell'Agenzia delle entrate, semplificando con ciò sia la fase dichiarativa sia l'eventuale successiva attività di controllo da parte dell'Agenzia –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a risolvere le descritte problematiche applicative, relative sia allo scomputo delle ritenute operate, l'anno successivo a quello di competenza dei ricavi o compensi sui quali sono operate, sia ai controlli fiscali in caso di omissione della certificazione e della dichiarazione da parte del sostituto, se ritenga plausibili le soluzioni prospettate dagli interroganti e, in ogni caso, quali misure intenda adottare. (5-05526)


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (cosiddetto «decreto semplificazioni»), attuativo della delega fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, ha introdotto da quest'anno, in via sperimentale, la dichiarazione dei redditi precompilata, attraverso il modello precompilato del 730;
   da una prima verifica, e in seguito ai contatti avuti con i direttori dell'Agenzia delle entrate della regione Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Bolzano, risulta che tali moduli siano disponibili solamente in lingua italiana;
   la questione non è nuova agli interroganti, in quanto già nella scorsa legislatura avevano più volte sollevato la stessa questione e l'Agenzia delle entrate, fornendo sempre la medesima risposta, ha spiegato che la stampa dei moduli avviene prima in lingua italiana, poi in lingua tedesca, in sostanziale elusione secondo gli interroganti delle norme di rango costituzionale sul bilinguismo;
   il percorso di una sempre maggiore digitalizzazione dei rapporti tra l'amministrazione pubblica ed i cittadini richiederebbe da subito la predisposizione di un sistema che tenga doverosamente conto dell'esigenza delle minoranze linguistiche, anche avviando un confronto per un possibile accordo con la provincia autonoma di Bolzano e con la regione Friuli Venezia Giulia;
   tale situazione secondo gli interroganti lede un diritto fondamentale delle due minoranze linguistiche tedesca e slovena, previsto dall'articolo 6 della Costituzione, da convenzioni e accordi internazionali, nonché dalle norme di attuazione dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, secondo le quali la pubblica amministrazione deve predisporre i mezzi tecnici e quelli documentali nelle due lingue e una disposizione similare è prevista anche per il Friuli Venezia Giulia dall'articolo 8 della legge 23 febbraio 2001, n. 38, recante norme di tutela della minoranza linguistica slovena –:
   quali misure intenda intraprendere tempestivamente per assicurare il pieno rispetto del principio del bilinguismo nei rapporti con l'amministrazione finanziaria, in attuazione delle norme dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige e della legge 23 febbraio 2001, n. 38, di tutela della minoranza linguistica slovena nella regione Friuli Venezia Giulia, per evitare che continui a determinarsi tale violazione da parte dell'Agenzia delle entrate presso la provincia autonoma di Bolzano e presso la regione Friuli Venezia Giulia. (5-05527)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi si è abbattuto sui contratti derivati sottoscritti dal Governo italiano a partire dall'anno 1990, un vero e proprio ciclone giornalistico e giudiziario, che ne ha disvelato tutta la loro vischiosità nel tutelare il debito pubblico italiano dalle oscillazioni dei tassi di interesse in situazioni di grande instabilità finanziaria;
   anche a seguito dell'ultimo attacco inferto dalla recente trasmissione «Report», andata in onda sulla Rai il 26 aprile 2015, il Ministro interrogato ha dichiarato alla stampa estera che il suo dicastero, nell'ambito di una rivisitazione della gestione del debito pubblico, starebbe avviando una fase di rinegoziazione dei derivati cercando, allo stesso tempo, di minimizzare i costi per il bilancio statale del phasing out: secondo la trasmissione, infatti, nel 2014 gli stessi contratti derivati hanno pesato negativamente sul bilancio pubblico per circa 3,6 miliardi di euro, stando a quanto riportato dall'Istat che ha pubblicato i dati della «Notifica sull'indebitamento netto e sul debito delle Amministrazioni Pubbliche» trasmessi alla Commissione europea in applicazione del Protocollo sulla procedura per i deficit eccessivi (PDE) annesso al Trattato di Maastricht; in buona sostanza gli stessi sarebbero stati sottoscritti per consentire al nostro Paese, che nel 1997 registrava un deficit pari al 7 per cento con un disavanzo quindi del PIL di oltre il 3 per cento, l'ingresso in Europa; inoltre, anche le perdite per cassa sono di assoluto rilievo aggirandosi, mediamente, a 1,5 miliardi  di euro all'anno, dal 2007 al 2013;
   stando poi a quanto riportato dal quotidiano Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2015, l'attuale valore di mercato negativo dei derivati italiani, il cosiddetto «mark-to-market», ammonterebbe a circa 42 miliardi, importo, peraltro mai iscritto nel bilancio dello Stato perché da corrispondere solo al momento dell'estinzione degli stessi; a tale cifra occorre inoltre aggiungere il valore dei depositi di liquidità, cioè di quelle garanzie che lo Stato italiano dovrà offrire in sede di sottoscrizione di futuri contratti derivati, come prescritto dalla legge di stabilità 2015, anche se, a parere dell'interrogante, gli effetti in termini di fabbisogno di cassa derivanti dall'ipotesi ventilata nella stessa relazione tecnica di accompagnamento alla stessa legge, secondo la quale l'operazione possa invece dare luogo a depositi da parte delle banche presso la tesoreria dello Stato, assicurando disponibilità liquide aggiuntive, sono tutti da verificare, anche alla luce della condizione che le garanzie siano conferite a terze parti;
   con riferimento alla operazioni di swap, le stesse attualmente rappresentano in valore nozionale circa il 12,2 per cento dei derivati del Tesoro, ma il 22,7 per cento delle perdite future attese;
   i suddetti dati richiamano il problema della trasparenza e correttezza di quanto esposto in bilancio, soprattutto quando le risorse in gioco riguardano tutta la collettività dei cittadini;
   quanto premesso testimonia, in parte, che intorno alla questione dei «derivati» circolano informazioni e dati, nonostante sia stato fino ad oggi negato ad alcuni parlamentari che avevano richiesto, per esigenze conoscitive connesse con l'espletamento del loro mandato, di conoscere la reale rilevanza finanziaria degli impegni sottoscritti dallo Stato italiano e di visionare i documenti relativi a tredici derivati in essere che prevedono una clausola di risoluzione anticipata, opponendo che ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013 sulla trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, non appare sussistere in capo al Ministero obbligo di ostensione dei documenti richiesti e che in capo ai richiedenti non sussisterebbe un interesse diretto alla conoscenza degli stessi, e che inoltre qualsiasi divulgazione relativa agli stessi derivati potrebbe indebolire la posizione contrattuale del Tesoro e comportare effetti pregiudizievoli e turbative di mercato;
   di contro, la ridda di notizie giornalistiche e di illazioni che si inseguono in questi giorni sui derivati del Tesoro italiano sta generando un clima pericoloso, che rischia di mettere in serio dubbio la credibilità della gestione del debito pubblico: occorrerebbe piuttosto rassicurare il mercato, portandolo a conoscenza di informazioni quali il valore nozionale, il risultato netto, la data di inizio e quella di chiusura, la controparte di tutte le operazioni in derivati che si sono chiuse, incluse quelle per novazione del contratto –:
   posto che la suddetta ed invocata riservatezza, ostativa alla richiesta di trasparenza da parte di parlamentari, convive con una costante fuga di notizie che rendono ingestibile ed opaca la realtà, se non ritenga piuttosto preferibile, rispetto ad un'opacità parziale, sciogliere il riserbo fino ad oggi mantenuto, rendendo trasparenti tutti i contratti derivati in essere. (5-05528)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quadro «VC – Esportatori e operatori assimilati – Acquisti e importazioni senza applicazione dell'IVA», contenuto nel Modello della dichiarazione annuale IVA, deve essere compilato dai contribuenti che si sono avvalsi della facoltà, prevista per i soggetti che effettuano cessioni all'esportazione, operazioni assimilate e/o servizi internazionali e operazioni intracomunitarie, di acquistare beni o servizi e importare beni senza applicazione dell'IVA;
   il quadro va compilato secondo quanto previsto dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 435 del 2001, il quale prevede che i soggetti che si avvalgono della facoltà di effettuare acquisti senza applicazione d'imposta, in quanto esportatori abituali, indichino «... in un apposito prospetto della dichiarazione annuale Iva, autonoma o unificata, distintamente per mese l'ammontare delle esportazioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, delle operazioni assimilate e delle operazioni comunitarie effettuate e quello degli acquisti e delle importazioni fatte senza pagamento dell'imposta ai sensi della lettera c) del medesimo comma primo dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, risultante dalle relative fatture e bollette doganali ...»;
   con consolidato indirizzo giurisprudenziale, in relazione alla rilevanza per l'erario del comportamento concludente tenuto dal contribuente, la Suprema Corte ha ormai accolto la tesi per cui la facoltà di esercitare l'opzione di determinati regimi in relazione alle imposte sui redditi o all'IVA, nonché delle modalità di tenuta delle scritture contabili, non è subordinata all'adozione di forme particolari, ben potendosi desumere dal contegno del soggetto, purché concretamente verificabile sin dall'inizio del periodo d'imposta (oppure dell'attività);
   non è dunque il solo dato testuale dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997 a tutelare la semplificazione dei rapporti fra Fisco e contribuente, ma anche la progressiva perdita di rilevanza di tutti gli adempimenti che, ancorché strumentali al corretto funzionamento del rapporto giuridico d'imposta, si rilevano puramente formali e, se omessi, non ostativi per l'attività di accertamento e verifica delle imposte, dato che, come anche rilevato dai Giudici di legittimità, «... in virtù dell'articolo 4, legge 21 novembre 2000, n. 342, l'articolo 1, decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442, che ha radicalmente innovato la disciplina delle opzioni, dando esclusiva rilevanza al comportamento “concreto” del contribuente, è applicabile anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente stesso anteriormente all'entrata in vigore di detto decreto ...» (Cass., sent. N. 7011 dell'8 maggio 2003);
   inoltre, la Corte di Cassazione, in particolare, con l'Ordinanza n. 9028 del 2011, ha stabilito la legittimità degli acquisti non imponibili IVA oltre i limiti del plafond anche in mancanza della compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA, qualora a contabilità obbligatoria dell'azienda sia uniforme al regime scelto, essendo il contribuente ammesso a esercitare le opzioni relative al regime dell'IVA anche attraverso comportamenti concludenti: è stata, così, accolta la tesi del contribuente secondo cui le opzioni riguardanti il regime dell'IVA possono essere manifestate mediante comportamenti concludenti, coerenti e adeguatamente uniformati alla tenuta della contabilità obbligatoria;
   sulla fattispecie risultano pendenti diversi contenziosi, non solo contro l'orientamento, ormai consolidato, della giurisprudenza di legittimità, ma anche contro la stessa prassi dell'amministrazione finanziaria che, con la circolare 27 agosto 1998, n. 209, esplicativa del decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997, specifica le nuove modalità di esercizio delle opzioni e delle revoche di regimi di determinazione dell'imposta o di regimi contabili, chiarendo che, mentre prima la validità dell'opzione era basata esclusivamente sulla formalità della comunicazione fatta all'ufficio, in base alla nuova disciplina la comunicazione non rileva più ai fini della validità dell'opzione ma la sua omissione comporta riflessi esclusivamente ai fini sanzionatori: a tal fine viene data esclusiva rilevanza al comportamento concreto del contribuente, precisando che l'opzione e la revoca di regimi di determinazione dell'imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente stesso o dalla modalità di tenuta delle scritture contabili e che la validità dell'opzione e della revoca è subordinata esclusivamente alla sua concreta attuazione sin dall'inizio dell'anno o dell'attività; a tale riguardo per «comportamento concludente» si intende l'effettuazione da parte del contribuente di adempimenti che presuppongono inequivocabilmente la scelta di un determinato regime, osservandone i relativi obblighi, in luogo di quello operante come regime di base, ferma ovviamente restando la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per avvalersi del regime opzionale;
   per effetto dell'attuale normativa è dunque venuta meno la tesi, relativa alla precedente disciplina legislativa, in base alla quale le opzioni che il contribuente è chiamato ad effettuare nella dichiarazione fiscale, in ordine al regime contabile o di determinazione di un'imposta, hanno natura di negozio unilaterale e, in quanto tali, sono assoggettate, ai sensi dell'articolo 1324 del codice civile, alle norme sui contratti (con la conseguenza che l'errore commesso nel loro esercizio è rettificabile solo qualora sia essenziale e riconoscibile);
   successivamente all'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997 e alla sua norma di interpretazione autentica si sono infatti andati affermando, per la loro aderenza al nuovo assetto normativo, i principi, in base ai quali:
    a) l'opzione e la revoca di regimi speciali di determinazione delle imposte dirette e dell'Iva o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o le modalità di tenuta delle scritture contabili;
    b) la loro validità, in base all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 1997, è subordinata unicamente alla loro concreta attuazione sin dall'inizio dell'anno o dell'attività;
   con la citata ordinanza n. 9028/2011, la Cassazione ha chiarito che il giudice (e prima di lui l'amministrazione) deve rilevare l'effettiva ricorrenza dei comportamenti concludenti idonei ad asseverare l'intervenuta opzione per il regime di esportatore abituale e che dunque il beneficio in tema di esportazioni spetta anche se il contribuente non ha compilato il quadro VC della dichiarazione IVA, trattandosi di un mero inadempimento formale che non incide sul regime di esonero concretamente scelto ma determina, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, l'irrogazione di una sanzione amministrativa da euro 258 a euro 2.065;
   pur essendo l'omessa compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA irrilevante ai fini dell'efficacia del regime di esonero dall'applicazione dell'imposta, occorre comunque che sul lato sostanziale, per la spettanza del regime di esonero, ricorrano le seguenti condizioni:
    a) che il contribuente goda effettivamente dello status di esportatore abituale, ovvero soddisfi i requisiti di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, avendo effettuato, nell'anno solare precedente (plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (plafond mobile), un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l'estero, superiore al 10 per cento del volume d'affari;
    b) che il contribuente abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell'effettuazione dell'operazione, la dichiarazione di intenti, in duplice esemplare, su modello conforme a quello approvato con decreto ministeriale 6 dicembre 1986, al fine di attestare, sotto la propria responsabilità, la qualifica di cui al punto precedente, e richiedere la non applicazione dell'Iva, a norma dell'articolo 8, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   inoltre, circa gli adempimenti che fanno carico al fornitore, l'articolo 1, commi 381/385, della legge n. 311 del 2004, ha istituito l'obbligo, per i soggetti che ricevono le dichiarazioni d'intento dai loro clienti «esportatori abituali», di comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati delle dichiarazioni entro il giorno 16 del mese successivo e, in caso di inottemperanza, sono previste gravose sanzioni (dal 100 al 200 per cento dell'imposta non applicata), con responsabilità solidale per il pagamento dell'imposta eventualmente evasa dal cliente in conseguenza della dichiarazione d'intento infedele (articolo 7 del decreto legislativo n. 471 del 1997);
   l'Agenzia delle entrate dovrebbe sempre effettuare, prima di dar adito a defatiganti contenziosi, una valutazione di opportunità della prosecuzione dello stesso, con proiezione prospettica del probabile esito del contenzioso sulla base della giurisprudenza, in particolare di legittimità –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, considerato che il contenzioso tributario in esame, coltivato da molti uffici dell'Agenzia delle entrate è destinato alla soccombenza, con probabile condanna alle spese e dunque ulteriore danno per le casse erariali, l'Agenzia intenda finalmente abbandonare, con direttive espresse, la prosecuzione dei suddetti contenziosi, senza far rispondere di violazione sostanziale anche chi, oltre a godere di tutti i requisiti per il regime di esportatore, ha comunque trasmesso la dovuta dichiarazione e posto in essere comportamenti concludenti non contestati, né contestabili.
(5-05529)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI e CAON. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la Direttiva 2014/59/UE del 15 maggio 2014 si istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento configurando, in tal modo, un mutamento significativo del sistema di gestione delle crisi bancarie;
   le disposizioni costituiscono l'attuazione, in Europa, dei principi elaborati dal Financial Stability Board e sottoposti ai Capi di Stato e di Governo nell'ambito del G20 e sono la risposta all'inadeguatezza delle procedure, sino ad ora disomogenee tra Paese e Paese, per la gestione delle crisi;
   infatti, la crisi finanziaria globale ha evidenziato una mancanza significativa di strumenti adeguati a livello di Unione per gestire con efficacia gli enti creditizi e le imprese di investimento in crisi o in dissesto. Tali strumenti sono necessari, in particolare, per prevenire stati di insolvenza o, in caso di insolvenza, per ridurre al minimo le ripercussioni negative, preservando le funzioni dell'ente interessato aventi rilevanza sistemica. Durante la crisi, queste sfide sono state un fattore determinante che ha costretto gli Stati membri a procedere al salvataggio degli enti, utilizzando il denaro dei contribuenti. L'obiettivo di un quadro credibile di risanamento e di risoluzione è quello di ovviare quanto più possibile alla necessità di un'azione di questo tipo;
   era dunque necessario individuare un regime che fornisse alle autorità un insieme credibile di strumenti per un intervento sufficientemente precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell'ente, riducendo al minimo l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario. Il regime dovrebbe assicurare che gli azionisti sostengano le perdite per primi e che i creditori le sostengano dopo gli azionisti, purché nessun creditore subisca perdite superiori a quelle che avrebbe subito se l'ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza, in conformità del principio secondo cui nessun creditore può essere svantaggiato, come specificato nella direttiva. Questi obiettivi dovrebbero contribuire a evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari e a ridurre al minimo i costi per i contribuenti;
   in altre parole, il riferimento è al bail-in, meccanismo in virtù del quale i prossimi fallimenti bancari chiameranno in causa in primo luogo gli azionisti e i clienti degli istituti, con lo Stato che potrà entrare in gioco solo in un secondo momento;
   in particolare, per quanto riguarda i correntisti, resta ferma la garanzia del fondo interbancario di tutela dei depositi, che tuttavia garantisce le somme solo fino a 100 mila euro, coloro che hanno depositi maggiori, così come gli azionisti delle banche possono andare incontro a rischi, fino all'8 per cento delle passività totali dell'istituto –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere, dal momento che gli orientamenti europei vanno nel senso di evitare che a pagare siano tutti i contribuenti, al fine di tutelare comunque, anche attraverso la previsione di idonei strumenti normativi, i correntisti che possono essere interessati da eventuali situazioni di dissesto bancario. (4-09077)


   CATALANO e RIBAUDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici postali dispongono di un applicativo di sportello denominato «Oracolo», la cui procedura operativa è stata redatta ed approvata dalla funzione fraud management di tutela aziendale, diretta da oltre 10 anni da Raffaele Panico;
   in risposta all'interrogazione n. 5/03097, depositata dall'interrogante lo scorso 24 giugno 2014, Poste italiane ha ribadito che «il citato Sistema «Oracolo», grazie al collegamento diretto ed operativo, in tempo reale con le proprie banche dati, del Ministero degli interni, dell'Agenzia delle entrate e della Motorizzazione Civile, consente di accertare l'autenticità dei documenti presentati dalla clientela, permettendone il riconoscimento ed il corretto censimento» che «l'utilizzo del Sistema è di fondamentale importanza per le rilevazioni riguardanti la cosiddetta «posizione anagrafica» dei singoli clienti per adempimenti normativi finalizzati alla redazione delle comunicazioni statistiche di vigilanza quali, ad esempio, quelle richieste dalla Banca d'Italia ovvero per l'adozione di iniziative connesse all'attività di antiriciclaggio», che «lo stesso Sistema consente, inoltre, di verificare in tempo reale l'autenticità dei codici fiscali o di rilevare la presentazione di denunce riguardanti furti o smarrimenti di documenti, nonché di individuare segnalazioni già presenti nell'archivio antifrode aziendale garantendo tempestivi ed esaustivi controlli, attraverso l'attivazione di collegamenti telematici con banche dati interne ed esterne alla Società», che «è anche in grado di garantire la tempestiva analisi delle segnalazioni sospette concernenti eventuali furti di identità»;
   Poste italiane ha infine affermato «l'integrazione dell'operatività degli Uffici postali con l'attività svolta dal personale preposto alla rilevazione delle frodi permette altresì l'immediata attivazione delle idonee iniziative per contrastare eventuali illeciti ed offrire, al contempo, un valido strumento per l'analisi e l'approfondimento di nuovi scenari comportamentali» e che «l'adozione del Sistema di verifica in argomento, ad avviso della Società, ha permesso finora di conseguire risultati significativi nelle attività di prevenzione e contrasto delle frodi»;
   risulta all'interrogante che sia stata denunciata una sottrazione, di ampie proporzioni, avente a oggetto dei buoni postali consumata in danno di utenti della società nella regione Sicilia;
   ciò sarebbe avvenuto nonostante la procedura ORACOLO prevedesse, per i prodotti in questione, l'obbligo dell'identificazione sicura dei percettori delle somme;
   risulta tra l'altro agli interroganti che l'esistenza di una criticità operativa tale da agevolare l'esecuzione della frode in questione fosse nota alla competente struttura di tutela aziendale;
   non risulta all'interrogante che esistano convenzioni stipulate tra Poste italiane e le amministrazioni pubbliche finalizzate all'interconnessione di Oracolo a banche dati da queste ultime detenute;
   risulta all'interrogante che il software Oracolo non dia alcuna informazione sull'autenticità del documento, in quanto, non avendo un collegamento con l'anagrafe e rilevando soltanto che esso non sia stato smarrito o rubato, tale sistema eseguirebbe un controllo analogo a quello effettuato tramite il pubblico servizio di ricerca, parte del registro europeo PRADO, offerto dal Servizio informativo interforze del Ministero dell'interno;
   al riguardo, l'inserimento in quest'ultimo di numeri di identità non esistenti, personalmente sperimentato, non restituisce alcun messaggio di errore da parte del sistema telematico;
   risulta ugualmente all'interrogante che il sistema sia autoalimentato dagli stessi dati dei documenti di identità smarriti o rubati sulla base delle denunce di smarrimento o furto devono essere presentate obbligatoriamente dai clienti al fine di compiere le operazioni postali o bancarie;
   in virtù dell'ampia soddisfazione dimostrata dalla società rispetto all'applicativo, non si comprende la mancata risposta della stessa alla espressa domanda circa il nome del dirigente che ha affidato il contratto di consulenza per tale software, né si comprende perché il Governo non abbia ritenuto di sollecitare detta risposta –:
   se per quanto in premessa corrisponda al vero:
    di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
    in base a quali specifiche convenzioni avvengano le interconnessioni tra Oracolo e le banche dati delle pubbliche amministrazioni;
    qualora tali convenzioni non esistano, se il Governo non ritenga opportuno studiarne la stipulazione, al fine di consentire le opportune interconnessione degli applicativi di Poste con le banche dati delle pubbliche amministrazioni, a tutela del risparmio, del patrimonio della società e degli utenti;
    se il Governo non intenda fornire risposta circa l'identità del dirigente che ha affidato il contratto di consulenza per la realizzazione del citato software;
    se il Governo non intenda valutare l'opportunità di interfacciare il pubblico servizio di ricerca offerto dal servizio informativo interforze con le banche dati di anagrafe e altri enti pubblici, in modo da rendere possibile agli utenti non solo l'identificazione dei documenti rubati o smarriti, ma anche di quelli falsi, poiché corrispondenti a numeri non rilasciati. (4-09082)


   LOMBARDI, BARONI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, TOFALO, PESCO e DAGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile 2015 era andata in onda una trasmissione di Report su Raitre sul fenomeno grave e diffuso, investigato solo a Roma, della disponibilità di indirizzi «comodi» e fittizi; in origine, ai senza tetto, era stato concessa dal Campidoglio la possibilità di registrarsi in un numero limitato di indirizzi per esempio presso 19 ONLUS ovvero a via Modesta Valenti; poi il fenomeno è degenerato, tanto è vero che presso tali indirizzi sono risultate registrate società di capitali e/o amministratori di società;
   in particolare, nella trasmissione vengono citate chiaramente sia la ONLUS, Camminare insieme, presieduta del sedicente cavaliere di Malta, Vincenzo Fiermonte sia la comunità di Sant'Egidio, via Dandolo 10, entrambe sede legale di molte società di capitali;
   emerge che Camminare insieme vanta di essere accreditata come CAAF, una struttura cioè che al contempo è indirizzo fittizio per il fisco in relazione a molti contribuenti e centro di assistenza fiscale –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario inviare gli ispettori ministeriali per la verifica della sussistenza delle caratteristiche di CAAF per Camminare Insieme, al fine di sospendere eventualmente il riconoscimento di struttura CAAF in considerazione dell'anomalia, anche amministrativa, della vicenda relativa agli indirizzi fittizi. (4-09085)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il professor Dario Lo Bosco, che ha rivestito in passato diversi incarichi pubblici tra i più prestigiosi come quello di presidente dell'autorità portuale di Messina, risulta oggi ricoprire contemporaneamente almeno tre ruoli di notevole prestigio e impegno: è presidente del consiglio di amministrazione di RFI, Rete Ferroviaria-Italiana, presidente del consiglio di amministrazione dell'Ast, Azienda siciliana trasporti, e commissario straordinario della camera di commercio di Catania;
   AST SpA ha oltre mille, dipendenti e più di 700 mezzi, opera in un territorio di 12.477 chilometri quadrati di superficie, pari al 49 per cento della superficie regionale fornendo i propri servizi a una popolazione di 3.564.649 di abitanti, 71 per cento della popolazione regionale residente in 159 comuni;
   l'AST ha funzioni operative in numerosi ambiti, alcuni dei quali a giudizio dell'interrogante si intersecano e forse confliggono con quelli delle altre società nelle quali il professor Lo Bosco svolge funzioni apicali, in particolare RFI: riordino del trasporto pubblico locale, definizione del piano regionale del trasporto, la nuova politica nel settore del trasporto aereo, di quello plurimodale e di integrazione dei vettori;
   dal canto suo, RFI, partecipata totalmente da Ferrovie dello Stato e quindi dal Ministero dell'economia e delle finanze, gestisce l'infrastruttura ferroviaria nazionale, occupando circa 27.000 dipendenti in tutta Italia;
   la dimensione e la complessità deve aziende citate lascia presupporre un impegno notevole da parte degli organi di vertice, come il professor Lo Bosco, che tuttavia affianca ai due incarichi da presidente anche un ruolo da commissario e l'insegnamento universitario –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, ritengano la somma di diversi incarichi di livello apicale in società di proprietà dello Stato e di enti locali o territoriali compatibile con i principi di corretta gestione della cosa pubblica. (4-09086)


   LOMBARDI, BARONI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, TOFALO, PESCO e DAGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile 2015 è andata in onda una trasmissione di Report su Raitre sul fenomeno grave e diffuso, investigato solo a Roma, della disponibilità di indirizzi «comodi» e fittizi; da molti anni, ai senza tetto e senza fissa dimora, viene concessa dal Campidoglio la possibilità di registrarsi in un numero limitato di indirizzi, per esempio presso diciannove ONLUS o a via Modesta Valenti;
   poi il fenomeno è degenerato, tanto è vero che presso tali indirizzi sono risultate registrate società di capitali e/o amministratori di società, spesso cosiddette teste di legno;
   in particolare, nella puntata di Report vengono citate sia la ONLUS Camminare insieme, presieduta del sedicente cavaliere di Malta Vincenzo Fiermonte, sia la comunità di Sant'Egidio, sita in via Dandolo 10, entrambe sedi legali di molte società di capitali;
   Fiermonte ha mostrato che in qualche misura egli custodiva la corrispondenza registrata di persone e società; il rappresentante della Comunità di Sant'Egidio, Morozzo della Rocca, nulla ha riferito riguardo al fatto che a Via Dandolo 10 si incardinasse la sede di molte società, quasi che non si fossero mai accorti nella comunità della copiosa corrispondenza necessariamente arrivata alle persone e società di capitali residenti a via Dandolo 10;
   dalla trasmissione di Report, all'interno della sede di Camminare Insieme si vedono numerose cartelle esattoriali;
   Equitalia risponde, inoltre che le cartelle esattoriali recapitate agli indirizzi fittizi romani con contribuente non rintracciabile ammontano a decine di migliaia per un danno erariale stimato a quasi 100 milioni di euro;
   il fatto che Equitalia sia in grado di stimare il danno erariale dimostra che è possibile effettuare sulla base dei software esistenti delle query su determinati indirizzi, nella fattispecie quelli fittizi romani –:
   se, da quando esiste Equitalia, siano mai state effettuate delle segnalazioni prima dalle società periferiche, poi dagli uffici locali, inerenti al fenomeno di indirizzi fittizi che si appoggiavano a grappolo su un'unica residenza, sia per contribuenti individuali che per società di capitali;
   se il dirigente preposto alle sedi locali, ovvero quelli che si sono succeduti dal 2007 in Equitalia, si siano mai resi conto dell'emergenza romana sugli indirizzi fittizi;
   per quale motivo non siano state effettuate delle apposite query sul database di Agenzia delle entrate e di Equitalia per monitorare il fenomeno degli indirizzi fittizi e contrastarlo alla radice anche mediante relazioni istituzionali con altri Ministeri ed enti;
   attraverso quali strumenti si contrasti oggi il fenomeno degli indirizzi fittizi, a Roma e su tutto il territorio nazionale. (4-09088)


   TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito agli eventi sismici che hanno colpito l'Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia, in data 20 e 29 maggio 2012, e gli eventi alluvionali del 17 gennaio 2014 che hanno interessato alcune zone dell'Emilia, che in parte avevano già subito il terremoto, erano state disposte proroghe fiscali per gli adempimenti tributari dei residenti in quelle zone;
   dette proroghe sono cessate a giugno e dicembre 2014;
   nelle ultime settimane, i residenti nei comuni dell'area settentrionale della provincia di Modena, tutti terremotati e alcuni dei quali alluvionati, si sono visti recapitare migliaia di cartelle esattoriali, aventi per oggetto l'esazione di somme anche esigue, per i periodi di imposta compresi tra il 2009 e il 2014;
   in particolare, sono state inviate cartelle esattoriali per il mancato o parziale pagamento del canone Rai o per il ritardato versamento di imposte dirette e/o indirette, oltre a cartelle relative a esazioni di somme già oggetto di precedenti rateizzazioni;
   per converso, alla data della presente interrogazione, soltanto circa il 15 per cento dei soggetti privati e delle imprese danneggiati dal terremoto e/o dall'alluvione hanno ottenuto il contributo previsto per la ricostruzione e/o l'eliminazione dei danni subiti;
   ciò ha comportato, essendo ormai trascorsi tre anni dal sisma, che la maggior parte dei cittadini danneggiati è stata obbligata ad anticipare le somme necessarie per la ricostruzione, anticipandole o contraendo mutui bancari, laddove in possesso delle richieste garanzie –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare tale copiosità di notifica di cartelle esattoriali e al fine di assumere iniziative per la immediata e generale sospensione delle stesse. (4-09090)

 * * *

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   ZAMPA, CARLONI, D'INCECCO, PIAZZONI, ROMANINI, ALBANELLA e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica degli ultimi anni ha prodotto nuove sacche di povertà ed ha acuito i caratteri dell'emergenza abitativa che affligge tante famiglie nel nostro Paese;
   la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata con la legge del 27 maggio 1991 n. 176, sostiene all'articolo 3 che «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» e all'articolo 6 che gli Stati devono riconoscere che «che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita» e che devono assicurare «in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo»;
   nella Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 2014 è stata pubblicata la legge 23 maggio 2014, n. 80 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015;
   il comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 47 del 2014, noto anche come decreto Lupi, recita:
    «1. Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l'allacciamento a pubblici servizi in relazione all'immobile medesimo e gli atti eressi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, gli atti aventi ad oggetto l'allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell'unità immobiliare in favore della quale si richiede l'allacciamento. Al fine di consentire ai soggetti somministranti la verifica dei dati dell'utente e il loro inserimento negli atti indicati nel periodo precedente, i richiedenti sono tenuti a consegnare ai soggetti somministranti idonea documentazione relativa al titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell'unità immobiliare, in originale o copia autentica, o a rilasciare dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 dicembre 2000, n. 445»;
   l'assenza del requisito della residenza anagrafica rappresenta per le persone occupanti una barriera all'accesso ai fondamentali servizi sanitari pubblici e l'impossibilità di allacciamento a servizi essenziali come l'acqua pone a rischio la salute di queste persone e l'igiene pubblica;
   il Ministero dell'interno, con nota 633 del 24 febbraio 2015, ha ritenuto di modificare l'interpretazione del comma 1 dell'articolo 5 citato, dando direttiva che a chiunque occupi uno stabile a fini abitativi vada comunque consentita la registrazione all'Anagrafe «analogamente a quanto succede alle persone senza dimora che hanno la residenza in via della casa comunale o in vie fittizie»;
   il Sindaco di Bologna, con ordinanza del 27 aprile 2015, ha ritenuto, in quanto massima autorità sanitaria del Comune, di imporre alla società di gestione del servizio idrico pubblico, Hera Spa, l'erogazione dell'acqua per consumo domestico nelle unità immobiliari dell'immobile ad uso abitativo di via De Maria 5 e 7, occupato da decine di famiglie;
   Hera aveva dovuto interrompere l'erogazione dell'acqua potabile, su richiesta della proprietà, in base all'articolo 5 della legge 2014, n. 80 citata in premessa e questo, oltre alla preoccupazione per le condizioni di vita dei soggetti più deboli presenti nella struttura, aveva destato preoccupati allarmi sui rischi in ambito igienico sanitario;
   il sindaco ha motivato l'ordinanza con esigenze di tutela dell'igiene e della salute pubblica, a partire dalla presenza nello stabile di numerose famiglie, 22 minori di età inferiore ai dieci anni, sei neonati, sei anziani di età superiore ai 75 anni e tre persone con gravi disabilità fisiche –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative per rivedere l'articolo 5 del decreto-legge n.47 del 2014 al fine di permettere a chi occupa senza titolo un immobile di chiedere la residenza o l'allacciamento ai servizi primari in modo da tutelare diritti costituzionali fondamentali come il diritto alla salute; consentire l'accesso a beni primari qual è l'acqua e garantire i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York;
   in quali forme e modi il Governo intenda mettere in atto un piano nazionale contro le nuove povertà a tutela dei soggetti più fragili e, in particolare modo, dell'infanzia. (3-01479)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, PETRAROLI e COZZOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione unica vigente sottoscritta tra Anas spa ed Autostrade per l'Italia spa prevede la realizzazione di un nuovo svincolo autostradale, con stazione di esazione, nel comune di Santa Lucia di Piave (Treviso), sul percorso della A/27 Mestre-Belluno;
   per quanto di conoscenza, la costruzione dello svincolo e del casello comporterà anche la realizzazione di una complessa rete di viabilità esattamente a ridosso di un'area di alto pregio naturalistico e agricolo – caratterizzata dalla produzione, tra le altre cose, di vini di eccellenza comprensiva delle aree di «Grave del Piave, Fiume Soligo, Fosso di Negrisia» (sito di interesse comunitario SIC IT 3240030) e «Grave del Piave», (zona a protezione speciale ZPS IT 3240023);
   le varianti urbanistiche che si renderebbero necessarie, a fronte della realizzazione del casello e della relativa via di collegamento, determinerebbero altresì un rilevante incremento dell'inquinamento acustico e atmosferico sia verso la zona agricola, sia all'interno dell'area protetta, SIC-ZPS Grave del Piave, con una conseguente incidenza negativa sulle specie e sugli ecosistemi dichiarati di interesse comunitario;
   a giudizio degli interroganti tale opera, oltre a rappresentare una grave criticità per i territori circostanti, ad elevata vocazione agricola ed ambientale, appare superflua considerata l'attuale presenza di tre caselli autostradali nell'ambito di un percorso di meno di 30 chilometri, senza considerare la previsione nel progetto della Pedemontana Veneta, della realizzazione di un nuovo svincolo con barriera di esazione a sud di Spresiano;
   in data 11 luglio 2014 è stata trasmessa da Autostrade per l'Italia spa alla provincia di Treviso una apposita convenzione per la regolamentazione dell'intervento in cui si prevede che la provincia di Treviso realizzi la strada di collegamento complementare, mentre Autostrade per l'Italia realizzi lo svincolo autostradale;
   i due progetti della società Autostrade per l'Italia spa e della provincia di Treviso, benché relativi a un sistema infrastrutturale da considerarsi unitario, sono stati concepiti come due progetti distinti, basati su diversi regimi di competenza, tale da consentire la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale in merito al solo progetto di nuovo casello, evidentemente meno impattante per il territorio circostante, se considerato singolarmente senza la viabilità di collegamento;
   per le ragioni sopra esposte, a parere degli interroganti, i due progetti per la realizzazione della nuova stazione di esazione a Santa Lucia e del relativo svincolo autostradale si porrebbero in contrasto con la normativa comunitaria di riferimento in materia di tutela ed impatto ambientale e, in particolare, con la direttiva 2011/92/UE (direttiva relativa alla valutazione di impatto ambientale o direttiva VIA) e con la direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat);
   con la risposta all'interrogazione n. 4-00029 del 13 novembre, l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi informava gli interroganti che, qualora la citata convenzione, trasmessa l'11 luglio, non fosse stata sottoscritta entro il 31 dicembre 2014 dalla provincia di Treviso con formale impegno nei confronti di Autostrade per l'Italia per la realizzazione dell'intervento sulla base della soluzione progettuale condivisa, «il Ministero potrà procedere allo stralcio dell'intervento e all'eventuale individuazione di altre opere» secondo quanto previsto all'articolo 214 della citata convenzione –:
   alla luce delle considerazioni riportate in premessa, quali informazioni i Ministri interrogati possano riferire in merito all'avvenuta o meno sottoscrizione, nei tempi stabiliti, della convenzione tra provincia di Treviso e Autostrade per l'Italia per la realizzazione dell'intervento progettuale del casello A27 di Santa Lucia di Piave e, nel caso tale convenzione non fosse stata sottoscritta entro il 31 dicembre 2014, se i Ministri abbiano proceduto con lo stralcio del suddetto intervento progettuale;
   se i Ministri interrogati possano altresì riferire ulteriori ed aggiornate informazioni in merito alla verifica avviata da parte della Commissione europea sul rispetto delle direttive 2011/92/UE e 92/43/CEE in relazione alla nuova stazione di esazione a Santa Lucia di Piave, così come annunciato dal Commissario europeo per l'ambiente Janez Potocnik il 27 marzo 2013, e, nel caso si fosse conclusa, gli esiti di tale procedura di verifica;
   se e quali iniziative di competenza, alla luce delle criticità ambientali evidenziate, i Ministri interrogati intendano assumere affinché il progetto del nuovo casello sul percorso della A/27 nel comune di Santa Lucia di Piave e della relativa viabilità di collegamento alle strade provinciali 34 e 92 non sia realizzato.
(5-05522)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il problema della sicurezza negli scali ferroviari è balzato, purtroppo, agli onori della cronaca per un attentato incendiario verificatosi lo scorso 25 aprile a Bolzano e che solo per un caso fortuito non si è trasformato in una tragedia;
   in particolare, sei molotov sono state trovate nella cabina di un Freccia Argento fermo al deposito dello scalo ferroviario di Bolzano e un cartello con su scritto «esplode» come avvertimento per chi si doveva avvicinare al treno che sarebbe dovuto partire per Roma;
   a scoprire l'ordigno è stato un macchinista, quando all'alba si è recato ai binari per preparare il treno che alle 7.11 sarebbe dovuto partire per Roma e, accorgendosi che il finestrino sinistro del locomotore era rotto, ha sbirciato dentro e ha visto l'ordigno rudimentale;
   l'innesco del congegno, composto da due sacchi di rifiuti contenenti cinque bottiglie di plastica da un litro e mezzo piene di benzina e una sesta bottiglia con benzina, diavolina e fiammiferi, solo per un caso fortuito non ha funzionato;
   come confermato dal questore di Bolzano, Lucio Carluccio, nove litri di benzina avrebbero potuto causare danni rilevanti;
   per tale atto non sembra esserci stata ancora alcuna rivendicazione, anche se gli inquirenti sarebbero propensi ad addebitarlo all'ala dura dei No-Tav, soprattutto perché il gesto è stato rivolto contro un treno ad alta velocità;
   si tratterebbe del primo attentato di matrice anarchica in Alto Adige, ma questo della stazione di Bolzano sarebbe anche il primo attentato No-Tav nelle vicinanze del cantiere del tunnel del Brennero;
   in diverse occasioni l'interrogante ha denunciato la necessità di potenziare fortemente i controlli ed i sistemi di sicurezza all'interno e all'esterno delle stazioni ferroviarie, in particolare quelle servite dai treni ad alta velocità;
   in particolare, le stazioni ferroviarie italiane, per l'elevato numero di utenti che quotidianamente utilizzano il treno ed i cittadini che lavorano presso i centri commerciali posti all'interno delle stazioni stesse, rappresentano di fatto dei luoghi sensibili meritevoli di sistemi di sicurezza analoghi a quelli presenti negli aeroporti;
   peraltro eventuali attentati sui treni, soprattutto quelli ad alta velocità, per il numero di utenti potrebbero provocare danni e vittime addirittura superiori rispetto ad un atto terroristico commesso ai danni di un aereo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere per soddisfare l'esigenza di maggiore sicurezza all'interno e all'esterno delle stazioni ferroviarie, introducendo sistemi di controllo analoghi a quelli presenti negli scali aeroportuali, con particolare riferimento ai treni ad alta velocità. (4-09080)

 * * *

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI e AMODDIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni precedenti all'inaugurazione dell'Expo gli organi di informazione avevano dato notizia di importanti operazioni di natura preventiva grazie all'attività di intelligence finalizzate proprio ad evitare incidenti e situazioni di tensione in occasione dell'evento in considerazione della elevata sensibilità della circostanza legata alla cerimonia inaugurale dell'evento espositivo mondiale;
   erano infatti stati individuati gruppi sospetti, anche stranieri, titolari di oggetti impropri come bastoni, bombole e mazze che avevano il chiaro intento di determinare situazioni di caos e di scontri per l'avvio di Expo;
   alla luce di quanto avvenuto, degli scontri e dei danni che purtroppo si sono dovuti registrare e che hanno colpito la città di Milano occorre verificare cosa ha impedito che l'attività di intelligence intervenisse in maniera preventiva in modo ancor più deciso ed incisivo;
   si tratta di un approfondimento imprescindibile anche per rispetto delle migliaia di cittadini milanesi che all'indomani degli scontri hanno contribuito a far ripartire una città comunque ferita;
   un'analisi da effettuare anche in riferimento al quadro normativo comunitario in considerazione della transnazionalità di alcune di queste cellule violente;
   è accaduto che nei giorni precedenti ci fossero delle perquisizioni in alcuni locali del quartiere Giambellino di Milano così come nell'area dell'aeroporto di Bresso da parte delle forze dell'ordine che avevano portato al sequestro di materiale pericoloso come mazze e bottiglie incendiarie con diverse richieste di espulsione per cittadini francesi e tedeschi che poi non sono state eseguite per problemi relativi al processo di identificazione;
   è del tutto evidente che, se i procedimenti di espulsione fossero stati eseguiti e non si fosse determinato questo cortocircuito tra autorità dello Stato, ciò avrebbe comportato minori problemi nella gestione della giornata del 1o maggio –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per verificare se vi siano stati errori legati ad un eccesso di discrezionalità rispetto ai procedimenti di espulsione di cui in premessa e se non sia il caso di intervenire anche normativamente affinché tali circostanze non abbiano a ripetersi nell'interesse della incolumità dei cittadini e anche per una maggiore chiarezza circa le regole di ingaggio da parte delle forze dell'ordine per contrastare tali fenomeni. (5-05521)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   questura di Udine e polizia carinziana avrebbero stipulato un protocollo transfrontaliero che prevede la creazione di nuclei operativi congiunti, ciascuno composto da due pattuglie binazionali, da schierare a partire dal 12 maggio 2015 sui punti nevralgici di strade, autostrade e ferrovie del Friuli;
   sarebbero in particolare interessate la tratta ferroviaria Udine-Tarvisio-Villach, quella autostradale Pontebba-Warmbad e la viabilità ordinaria entro i 30 chilometri dal confine di Stato;
   la finalità sarebbe quella di rinforzare i controlli in territorio friulano, per meglio affrontare l'afflusso dei migranti richiedenti asilo in entrata dal Tarvisio, frontiera recentemente privata di personale per soddisfare concorrenti esigenze negli aeroporti lombardi malgrado sia punto di transito per decine di migliaia di migranti clandestini in arrivo dall'Ungheria;
   tuttavia, stando a quanto si afferma in un articolo del Messaggero Veneto, pubblicato il 5 maggio 2015, le pattuglie miste italo-austriache che saranno attive per tre mesi a partire dal 12 maggio 2015 non copriranno le 24 ore né, tanto meno, la settimana di servizio;
   i pattugliamenti congiunti opereranno invece con cadenza bisettimanale e comunque con orari ridotti;
   la causa principale di questa situazione sarebbe la carenza di organici in Friuli-Venezia Giulia, determinata dal trasferimento in Lombardia di ben 52 agenti che vi erano normalmente stanziati;
   il personale proveniente dalla Carinzia, inoltre, non potrebbe utilizzare l'armamento in dotazione, salvo che per legittima difesa, né sarebbe in grado di esercitare alcun potere sul territorio del nostro Paese, cosa che ridurrebbe la valenza della sua presenza a funzioni di consultazione «nelle procedure di riammissione e supporto informativo per il contrasto all'immigrazione clandestina»;
   le pattuglie miste, inoltre, sarebbero composte da due sole persone, circostanza che, in presenza dei limiti imposti agli organici provenienti dall'Austria, ne ridurrebbe la forza ad un unico agente, compromettendone l'efficacia;
   il servizio di pattugliamento binazionale, inoltre, inizierebbe sulle ferrovie prima che il personale distaccatovi abbia potuto partecipare al corso concernente le modalità d'intervento e le regole d'ingaggio da adottare –:
   se le circostanze generalizzate in premessa e riportate dal Messaggero Veneto trovino conferma;
   in quest'ultimo caso, come si conti di conferire efficacia alle pattuglie miste binazionali italo-austriache o comunque di assicurare un più efficace controllo delle zone prossime alla frontiera del Tarvisio, attraverso la quale passa un consistente flusso di migranti clandestini. (4-09075)


   PIRAS, QUARANTA, DURANTI, SANNICANDRO, DANIELE FARINA e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del fine settimana del 2-3 maggio 2015 sono stati esplosi due colpi di arma da fuoco sulla finestra dell'ufficio del sindaco di Arzana, comune di circa 2600 abitanti sito in Ogliastra, Sardegna;
   questo è solo l'ennesimo atto intimidatorio contro un amministratore locale in Sardegna, un fenomeno che ha nuovamente assunto dimensioni preoccupanti negli ultimi anni e che, con maggiore frequenza, si manifesta nelle piccole e piccolissime comunità, che caratterizzano la stragrande parte dell'insediamento abitativo dell'Isola e nelle cosiddette «zone interne», quelle nelle quali è più aspra la condizione esistenziale ed è più forte l'isolamento;
   il 74 per cento circa dei comuni sardi ha meno di 3 mila abitanti. Il 95 per cento degli stessi ha meno di 5 mila. Paesi separati da importanti distanze chilometriche e – non di rado – isolati, spesso in via di rapido spopolamento, nei quali alla violentissima crisi economica degli ultimi anni si assommano carenze infrastrutturali e nelle reti di comunicazione storicamente irrisolte, che aggiungono a una condizione materiale difficile la percezione di una assenza totale di prospettive;
   le politiche di revisione della spesa variamente poste in essere negli ultimi vent'anni hanno segnato, sulla base di un calcolo meramente ragionieristico e che non ha mai tenuto in debita considerazione la specificità del caso sardo, quella che si può definire una progressiva ritirata dello Stato, che ha riguardato scuole di ogni ordine e grado, uffici postali, presidi di polizia e delle forze di pubblica sicurezza, tribunali, e altro;
   le più recenti misure previste nella cosiddetta spending review annunciano una accelerazione di questo processo, rispetto al quale anche le rappresentanze di categoria e le associazioni dei comuni hanno già espresso fortissime riserve;
   vent'anni e oltre di tagli orizzontali dei trasferimenti agli enti locali hanno reso cosa assai ardua amministrare i comuni e sempre più di frequente si registrano casi di paralisi totale dell'azione amministrativa dovuta all'assenza di risorse;
   in tanti piccoli centri dell'isola, da tempo ed oggi con maggiore evidenza, si manifesta una fatica sempre maggiore a trovare persone disponibili ad assumersi la responsabilità di amministrare le rispettive comunità, ancor più difficile è trovare persone che accettino di candidarsi alla carica di sindaco;
   l'importanza che riveste la figura dell'amministratore locale nella sua veste di primo presidio dello Stato, di avamposto di una democrazia di prossimità;
   i sindaci sono coloro che più di tutti risultano esposti di fronte alle comunità locali e che, dunque, rischiano più di altri di subire minacce, intimidazioni, attentati;
   il principio fondamentale di solidarietà tra gli organi della Repubblica imporrebbe innanzitutto allo Stato un pronto intervento proteggere i suoi «primi cittadini» da atti come quelli citati;
   vanno ricordati gli impegni, seppur generici, già assunti a più riprese dal Governo, da ultimo nel corso della visita in Sardegna del Ministro dell'interno dello scorso mese di marzo;
   dal 2010 al 2014 ad oggi in Sardegna sono stati più di 100 i sindaci che hanno subito varie forme di intimidazione;
   vi è stata la richiesta della regione autonoma della Sardegna di un più deciso impegno dello Stato a tutela dei suoi amministratori;
   si da altresì conto:
    a) dei rilievi e delle proposte emerse dal lavoro svolto nella commissione di inchiesta istituita al Senato sul tema;
    b) della risoluzione approvata alla unanimità dalla commissione autonomia del Consiglio regionale della Sardegna con cui si chiede «con urgenza» la revisione della normativa in materia di tutela degli amministratori locali;
    c) dell'impegno assunto dal Ministro dell'interno per l'apertura di un tavolo tecnico con la RAS sul tema –:
   quali azioni il governo intenda porre in essere per limitare il fenomeno degli attentati agli amministratori locali e per impedire che l'incedere della spending rewiev determini un ulteriore indebolimento della presenza dello Stato nell'isola.
(4-09078)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il vice questore aggiunto della Polizia di Stato, Filippo Bertolami, ha ricevuto il 18 febbraio 2015 la notifica della contestazione addebiti per la sua «destituzione» a causa di un'intervista rilasciata in qualità di dirigente sindacale PNFD — Polizia nuova forza democratica, nonché contestualmente della propria «sospensione cautelare dal servizio per gravi motivi disciplinari», a firma del Capo della Polizia — direttore generale della Polizia di Stato, per aver denunciato sprechi, privilegi e abusi presso l'Unità nazionale CEPOL (Accademia europea di polizia) e la scuola di perfezionamento per le forze di polizia, ove appunto sino al 18 febbraio 2015 prestava servizio;
   stando ad alcune ricostruzioni rese pubbliche dai mass media, la figura di Bertolami emergerebbe come quella di funzionario e dirigente sindacale efficiente, determinato e intransigente, da anni impegnato su vari dossier di grande delicatezza, con assunzione di iniziative effettivamente suscettibili di procurargli importanti inimicizie;
   innanzitutto il Bertolami si sarebbe distinto per l'intensità del suo impegno nel denunciare all'interno dell'ufficio di appartenenza gravi irregolarità nella gestione di fondi pubblici nazionali ed europei, gravi carenze in ordine alla sicurezza sui luoghi di lavoro, oltre che abusi e privilegi nell'uso della struttura demaniale che ospita la suddetta Scuola di perfezionamento; basti pensare all'assegnazione delle cosiddette «case blu» e in particolare all'appartamento concesso dal prefetto Gianni De Gennaro a suo fratello Andrea generale della Guardia di finanza o alla sponsorizzazione di una convention privata da parte dell'ex Ministro dell'interno — Anna Maria Cancellieri, la stessa che peraltro risulta aver anche interrotto i lavori della Commissione sulla legge 121 del 1981 istituito dall'allora Ministro dell'interno — Roberto Maroni;
   lo stesso Bertolami viene descritto come molto attivo e attento nel denunciare promozioni anomale di dirigenti della Polizia di Stato indagati, imputati o condannati per gravi reati, come quelli coinvolti nel plurimo omicidio a Milano ad opera di Andrea Calderini, nel cosiddetto pestaggio Gugliotta a Roma e nel caso Shalabayeva a Roma;
   Bertolami è noto anche per aver segnalato da subito la necessità di approfondire le responsabilità in merito alla revoca della scorta al professor Marco Biagi dell'ex Ministro dell'interno — Claudio Scajola e dell'ex Capo della polizia — dirigente generale della Polizia di Stato — Gianni De Gennaro, poi effettivamente indagati dalla procura di Bologna per cooperazione in omicidio colposo;
   Bertolami si sarebbe pure distinto anche nel denunciare casi di mobbing/bossing subito da investigatori da anni impegnati nella lotta all'infiltrazione mafiosa a Roma Capitale e nel Lazio, connessa anche alla vicenda dell'ex pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia Roberto Staffa (arrestato per corruzione, concussione e rivelazione del segreto d'ufficio, anche per «collusioni» con la criminalità organizzata), nonché nel commentare pubblicamente il ruolo dell'ex prefetto di Roma — Giuseppe Pecoraro, in particolare nella gestione della delicata vicenda cosiddetta Mafia Capitale;
   da ultimo, Bertolami ha rivelato in un noto programma televisivo come, nonostante gli ingenti costi di fornitura e manutenzione, molti sistemi di videosorveglianza installati nei pressi di istituzioni o luoghi di intenso affollamento non funzionino (Palazzi Chigi, Vaticano, Stazione Termini e Aeroporto di Fiumicino), con conseguenti gravi rischi per la cittadinanza e gli stessi operatori delle forze dell'ordine, come poi le recenti cronache hanno confermato, vista l'effettiva vulnerabilità dei suddetti luoghi;
   è forte il sospetto che su Bertolami si possa essere abbattuta un'ingiusta punizione, considerando altresì che tali provvedimenti non risultano essere stati presi a carico di altri funzionari trovatisi in situazioni ben più gravi, descritte in premessa, cui è da aggiungere la vicenda del suo principale accusatore dirigente generale della Polizia di Stato – Giancarlo Pozzo, attuale direttore della suddetta scuola di perfezionamento delle forze di polizia che ha inviato diverse segnalazioni aventi a oggetto condotte disciplinarmente rilevanti e che è già coinvolto in altro procedimento penale e recentemente indagato per rivelazione di segreto d'ufficio, favoreggiamento e abuso d'ufficio –:
   in che cosa esattamente consistano le violazioni disciplinari di cui il Bertolami è stato accusato considerata la severità delle sanzioni (dimezzamento dello stipendio e consegna di arma, manette e distintivo), con l'aggravante della pendenza di una proposta per la sua destituzione a causa di un'intervista rilasciata in qualità di dirigente sindacale. (4-09092)

 * * *

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, ALBERTI, LUIGI DI MAIO, FICO, SIBILIA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione è affidato alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese; in base all'articolo 34 si prevede, inoltre, che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e si stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
   l'articolo 117, comma 2, lettera m) riscritto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (riforma del titolo V della parte II della Costituzione), ha assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; nell'ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta poi esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente; la regione emana, dunque, per tali materie, norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato;
   l'articolo 5 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha conferito al Governo una delega per la revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l'accesso all'istruzione superiore e per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni erogate dalle università statali; in base a tale delega, è stato emanato il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, le cui disposizioni hanno effetto a decorrere dall'anno accademico 2012-2013;
   in base all'articolo 3 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, le regioni esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto;
   nelle more dell'emanazione del provvedimento attuativo di cui agli articoli 7 e 8 del suddetto decreto legislativo, si continuano ad applicare le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 luglio 2001, n. 172, recante «Disposizioni per l'uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari a norma dell'articolo 4 della legge 2 dicembre 1991, n. 390»;
   l'articolo 18 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, dispone che al fabbisogno finanziario necessario per garantire la concessione delle borse di studio si provvede attraverso:
    a) un nuovo fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, da ripartire tra le regioni (pari a: per il 2012, euro 162.861.740,00 – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 marzo 2013 –; per il 2013, euro 149.243.878,00 – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014 –; per il 2014 si è ancora in attesa del provvedimento, il cui schema di decreto inviato alla Conferenza delle regioni indica uno stanziamento pari a euro 162.666.308,00);
    b) il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio, il cui importo, a partire dall'anno accademico 2012/2013 si prevede articolato in tre fasce, a seconda della condizione economica dello studente, corrispondenti a euro 120, euro 140 e euro 160, con quest'ultima elevabile fino a euro 200, e con euro 140 quota fissa in caso di mancata diversa deliberazione da parte della regione;
    c) risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo integrativo statale;
   con l'articolo 42, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca-Italia») il fondo integrativo statale per le borse di studio viene escluso dalle spese ammissibili fuori dal patto di stabilità delle regioni, obbligando queste ultime e spendere tali risorse entro il 31 dicembre 2014, pena la restituzione allo Stato, sebbene il riparto in questione venga da sempre emanato proprio nel mese di dicembre, rendendo quindi difficile qualsiasi impegno di spesa;
   il taglio di circa 4 miliardi di euro alle regioni previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 («legge di stabilità 2015») comporta, inter alia, un drastico taglio da parte delle stesse alle risorse stanziate al diritto allo studio, che diviene de facto autofinanziato dagli studenti che pagano, di norma, una tassa regionale di euro 140 versata da ciascun iscritto, così come sopra descritto;
   la cosiddetta tassa regionale di euro 140 è da considerarsi a tutti gli effetti una «tassa di scopo», come da articolo 3, comma 23, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in base al quale si dispone che «il gettito della tassa regionale per il diritto allo studio universitario è interamente devoluto alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti d'onore di cui alla legge 2 dicembre 1991, n. 390»;
   a tal riguardo, la regione Campania, per quanto concerne l'anno 2013, ha acquisito, con modalità che appaiono all'interrogante di dubbia legittimità di circa 17 milioni di euro derivanti dal versamento, da parte degli studenti, della suddetta tassa di scopo relativa all'anno accademico 2012/2013, restituendone alle aziende regionali per il diritto allo studio solo un gettito corrispondente a circa euro 62 per ciascuno studente invece che a euro 140, ovvero quello effettivamente versato dagli stessi iscritti agli atenei campani; 
   solo a giugno 2014, in seguito alle contestazioni portate avanti dalle rappresentanze studentesche, la regione Campania, con decreto dirigenziale del 12 giugno 2014, riconosce una somma complessiva di euro 17.515.026,79 di maggiori incassi derivanti dalla tassa regionale pagata dagli studenti iscritti all'anno accademico 2012/2013, in riferimento al capitolo 4810 del bilancio regionale, costituito dagli introiti della tassa regionale da devolversi in toto alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti d'onore, così come disposto dalla succitata legge 2 dicembre 1991, n. 390;
   medesima sorte era capitata già in precedenza alla regione Piemonte che, relativamente all'anno accademico 2011/2012, si è vista costretta a impegnare per l'anno 2013, sul capitolo di bilancio 168709 (Ass. n. 100356) euro 1.917.815,00 a favore dell'EDISU Piemonte, in ottemperanza alla sentenza del T.A.R. Piemonte n. 00171/2013 del 7 febbraio 2013, dovuta al maggiore gettito proveniente dalle tasse regionali indebitamente impiegato per finalità diverse rispetto a quanto disposto dalla normativa vigente;
   la regione Campania, ad oggi, come riportato da vari organi di informazione, presenta debiti per svariati milioni di euro nei confronti delle aziende regionali erogatrici dei servizi di diritto allo studio: in particolare, come evidenziato anche dalla mozione del Consiglio nazionale degli studenti universitari, adunanza del 4 e 5 marzo 2015, euro 1.967.267,06 destinati all'A.Di.S.U. dell'Università Orientale di Napoli e ben euro 26.572.550,59 destinati alla A.Di.S.U. dell'Università Federico II di Napoli risultano non erogati dalla regione;
   gli esempi sopra descritti cui compartecipano, a parere dell'interrogante, il Governo statale, per quanto concerne la lacunosità della normativa vigente in materia associata ad una scarsa attività di monitoraggio, e le amministrazioni regionali, per quanto riguarda la competenza loro affidata dallo Stato circa la materia del diritto allo studio, giungono spesso a sconfessare il dettato costituzionale: analizzando il documento sulla condizione studentesca 2014 redatto dal Consiglio nazionale degli studenti universitari, si può notare come la regione Campania, che ospita ben sei università pubbliche, insieme al Piemonte, non abbia integrato con risorse proprie i fondi destinati al diritto allo studio negli anni accademici 2011/2012 e 2012/2013, proseguendo in un trend che, come descritto in precedenza, non sembra ad oggi essere affatto mutato; al contrario, tali regioni, contravvenendo a quanto disposto dal decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, che le obbligherebbe a integrare il già esiguo fondo statale in quota pari al 40 per cento arrivano a privare il diritto allo studio finanche degli importi versati dagli studenti alle regioni finalizzati esclusivamente all'erogazione di borse di studio; tali scelte, oltre che contravvenire alla normativa vigente, concorrono a definire la drammatica situazione del diritto allo studio, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia, per cui, nell'anno accademico 2012/2013, il numero di beneficiari di borsa di studio in rapporto agli idonei, in Campania, si attesta tragicamente al 27,4 per cento (percentuale più bassa d'Italia);
   caso esemplare di quanto sopra esposto, descritto a mero titolo esemplificativo, è quello dell'A.Di.S.U. Parthenope di Napoli, nella quale, negli ultimi tre anni, si sono susseguiti numerosi episodi di disservizi a danno della popolazione studentesca –: 
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ritenga necessario ed urgente intervenire mediante iniziative normative, con lo scopo di preservare il diritto costituzionale allo studio universitario, messo a rischio da recenti disposizioni quali l'articolo 42, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, e dai tagli di risorse alle regioni previsti dalla legge di «stabilità 2015», (legge 23 dicembre 2014, n. 190). (5-05537)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'impegno immediato del Consiglio universitario nazionale (CUN) ha posto in primo piano talune delle problematiche legate alla progressiva burocratizzazione del sistema universitario, aggravata dall'ipertrofia normativa dell'ultimo decennio;
   gli atenei sono infatti alle prese non solo con i numerosi decreti applicativi della legge n. 240 del 2010, ma anche con le nuove modalità di accreditamento dei corsi di studio e dei dottorati, con la riforma del reclutamento, con la valutazione della ricerca e della didattica;
   l'attuale fase di riforma è rallentata da un coacervo normativo che vincola gli atenei alla compilazione periodica di schede, note e rapporti e il risultato è un drastico ridimensionamento dell'autonomia universitaria, resa sempre più «controllata» dai vincoli autorizzativi imposti dal Ministero;
   potrebbero essere evitate talune complicazioni burocratiche generate da regole spesso oscure, obsolete, non sempre adeguate alle specificità del settore, la cui applicazione indifferenziata al sistema universitario e della ricerca avvolge le attività dei docenti, dei ricercatori, degli studenti, del personale tecnico-amministrativo in una rete inestricabile di lacci e di vincoli che assorbono le migliori energie distogliendole dalle attività di didattica e di ricerca;
   a tutto questo si aggiunge la congerie dei passaggi amministrativi e contabili che scandiscono l'ordinaria amministrazione e rimuovere questi ostacoli e realizzare un'effettiva semplificazione normativa e amministrativa non può che essere l'esito di un processo condiviso ed esteso nel tempo, al quale sia garantita continuità e assicurata la capacità di agire su tutti i centri di regolazione del sistema universitario i cui interventi si sommano gli uni agli altri, aggravando il carico burocratico;
   le farraginosità più evidenti del sistema universitario sono le complicazioni legate al controllo di legittimità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la lentezza delle procedure di acquisto di beni e servizi tramite il mercato elettronico della pubblica amministrazione (Mepa) e la complessità delle pratiche di rimborso delle spese per missioni del personale universitario, effettuate utilizzando i fondi dedicati alla ricerca;
   il Consiglio universitario nazionale ha segnalato, inoltre, i settori nevralgici del sistema in cui urge un intervento, quali gli ordinamenti didattici, l'accreditamento dei corsi di studio, dei dottorati di ricerca e delle strutture, la valutazione della ricerca e abilitazione scientifica nazionale;
   è da mettere in discussione il modello stesso di valutazione rispondente a una logica prevalentemente autorizzativa e di controllo, fondato sul rispetto di condizioni declinate in termini numerici e applicate in maniera generalizzata, la cui evidenza richiede l'adempimento, da parte di tutti gli attori coinvolti, di oneri informativi estremamente estesi e gravosi;
   l'eliminazione dei vincoli burocratici rappresenta un fattore chiave per liberare risorse indispensabili all'incentivazione della qualità e dell'efficienza del sistema universitario e della ricerca, senza aumentare la spesa pubblica;
   è necessario individuare le procedure e gli adempimenti che, per complessità, per oneri regolatori, amministrativi e informativi correlati, ostacolano il funzionamento e il potenziamento del sistema universitario e della ricerca, proponendo al contempo misure di semplificazione atte a liberare le risorse necessarie a un'incentivazione della qualità e dell'efficienza affidata alla valorizzazione delle attività di didattica e ricerca;
   è importante intervenire in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione, prevedendo magari l'esclusione dei contratti stipulati da università ed enti di ricerca su fondi di ricerca dalla tipologia dei contratti sottoposti a controllo preventivo e in merito all'acquisto di beni e servizi da parte delle università, oltre che riguardo al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili;
   nell'agenda politica assume un ruolo di primo piano il rafforzamento delle politiche di semplificazione e riduzione degli oneri regolatori e amministrativi, quali condizioni per la competitività e lo sviluppo del Paese ed appare dunque improcrastinabile rimuovere gli ostacoli di natura normativa e amministrativa che, a causa di una stratificazione nel tempo di norme mai riordinate né coordinate, della complessità delle procedure, della proliferazione degli oneri dovuti anche alle più recenti regolazioni, stanno ponendo il sistema universitario italiano in una posizione di forte svantaggio che ne compromette gravemente la competitività e l'attrattività internazionale –:
   se e in che modo il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, per facilitare il processo di semplificazione nell'ambito universitario, in particolare in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione e all'acquisto di beni e servizi da parte delle università e al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili. (4-09076)


   GIANCARLO GIORDANO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con convenzione tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la provincia regionale di Enna, nel 2012, con decorrenza dal 1o settembre, il liceo linguistico provinciale «A. Lincoln» di Enna è stato trasferito al sistema scolastico statale;
   il 1o agosto 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la provincia regionale di Enna hanno stipulato un accordo di mobilità, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, del personale docente e ATA con il quale si regolamentava la relativa procedura di mobilità dai ruoli provinciali ai ruoli statali, con contestuale copertura finanziaria relativa;
   l'accordo di mobilità prevedeva l'attuazione delle procedure di mobilità per le 57 unità del liceo linguistico, nei limiti dei posti di organico determinati in applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008;
   con delibera del commissario straordinario della provincia regionale di Enna n. 50 del 20 agosto 2014 sono stati approvati i criteri per la mobilità in questione e con avviso di mobilità del 4 settembre 2014 l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia ha indetto la procedura di passaggio diretto tra amministrazioni diverse su base volontaria; la provincia regionale ha poi approvato la graduatoria degli aventi diritto alla mobilità trasmettendola entro il mese di settembre 2014 all'ufficio scolastico regionale e al Ministero per la formalizzazione e la sottoscrizione del contratto di lavoro per i lavoratori transitati dalla provincia di Enna allo Stato;
   sembrerebbe che con nota del 13 ottobre 2014 il dipartimento della funzione pubblica abbia trasmesso al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una nota del Ministero dell'economia e delle finanze nella quale sarebbero state formulate delle osservazioni rispetto alle tabelle di equiparazione e in ordine all'inquadramento del personale in mobilità;
   in data 11 dicembre 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze e al Dipartimento della funzione pubblica di fornire una chiave di lettura che conciliasse da un lato l'assenso formulato dall'ufficio relazioni sindacali del dipartimento funzione pubblica alle pattuizioni contenute nel CCNL e dall'altro la posizione del Ministero dell'economia e delle finanze che ha invitato l'amministrazione ad attendere l'adozione delle tabelle di equiparazione;
   agli interroganti risulta che ad oggi pare non siano stati ancora compiuti tutti i passi necessari per giungere alla soluzione del problema descritto, generando forte preoccupazione tra i docenti e il personale ATA coinvolto, a causa della mancata chiusura della procedura di mobilità –:
   se la Ministra interrogata sia pienamente informata rispetto a quanto espresso in premessa e se non intenda intervenire perché la procedura di mobilità avviata per il personale docente e ATA del liceo linguistico provinciale «A. Lincoln» di Enna e della sede distaccata di Agira si concluda positivamente e in tempi celeri, così da rendere possibile il passaggio del suddetto personale da un ruolo provinciale a quello statale. (4-09079)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sono diciotto anni che il professor Massimo Parovel svolge l'attività di direttore del conservatorio Tartini di Trieste, pur in presenza di una legge specifica che regola tale mandato che può durare solo tre anni ed è rinnovabile solo per una volta;
   tale limite è stato perciò ampiamente superato e violato dal direttore; ci sono direttori che durano tre anni, al massimo sei anni, come all'università. Poi devono saltare almeno un triennio. Parovel, invece, si è trovato a fare il direttore al momento del passaggio della legge, quando la normativa era ancora abbastanza confusa. In linea teorica avrebbe dovuto tornare a fare il professore di ruolo o candidarsi presso altri conservatori;
   da qui la protesta civile di un gruppo di docenti del conservatorio che contestano a Parovel non certo la sua professionalità, bensì la sua longevità al comando dell'istituzione triestina;
   il direttore ha fatto ricorso al giudice del lavoro per contestare la fine del suo mandato al Tartini, pur in presenza della legge n. 508 del 1999 che definisce il mandato di direzione e lo fissa in tre anni rinnovabili; il ricorso era stato accettato in prima istanza, sulla base di ragioni molto discutibili. C'era stata infatti un'interpretazione molto discutibile di un passaggio della legge che accennava al fatto di rimanere nel ruolo di appartenenza, finché non fossero stati definiti i ruoli ministeriali. Altri direttori avevano tentato la stessa strategia, ma senza successo;
   questa decisione aveva creato di fatto le basi dell'ingovernabilità e il Ministero aveva fatto ricorso contro la sentenza; Parovel si era difeso adducendo la clausola «fatti salvi i professori fino ad esaurimento e i diritti dei direttori», ma la magistratura gli ha dato torto;
   ad oggi però Parovel ricopre ancora l'incarico di direttore del conservatorio Tartini di Trieste –:
   visto che questa è una vera e propria anomalia giuridica e considerato quanto statuito dalla sentenza di cui in premessa relativa all'incarico di direttore, quali iniziative si intenda di competenza si intenda assumere, dato che il professor Parovel non avrebbe più alcun titolo per ricoprire l'incarico di direttore del conservatorio Tartini di Trieste. (4-09093)

 * * *

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, GIACOBBE, CAROCCI, PAGANI, MOGNATO e CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come noto, la società Uber è un'azienda con sede a San Francisco (USA), che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un'applicazione software mobile (app) che permette di avere e visualizzare al cliente-utente, una mappa, con indicati i nominativi degli autisti a disposizione al momento del collegamento in rete al fine di ricevere dagli stessi la fornitura del servizio di trasporto di persone tramite loro mezzo privato;
   tale operazione avviene tramite l'applicazione scaricabile su proprio cellulare, la quale consente inoltre all'utente finale di scegliere tra due differenti tipi di prestazione o servizio: «Uber Black e Uber pop»; il primo consiste nel servizio di noleggio di autovetture del tipo «berlina di lusso», con permesso di transitare sulle corsie preferenziali cittadine e con conducente dotato di patente professionale; il secondo, invece, consiste nel noleggio di autovetture di tipo diverso da quello sopra descritto con conducente privo dei requisiti e senza la possibilità di transitare nelle ZTL e sulle corsie preferenziali;
   l'attività di noleggio con conducente (NCC), così come quella dei taxi, è disciplinata dalla legge n. 21 del 1992, che regola il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea;
   se si mettono a confronto i due sistemi, taxi e uber, ne consegue che per guidare un taxi occorre aver compiuto 21 anni, serve l'abilitazione professionale, che si consegue attraverso uno specifico esame presso la motorizzazione civile o le scuole guida con quesiti su: norme assicurative, di sicurezza, primo soccorso, norme tecniche. È inoltre necessario sottoporsi a un ulteriore esame presso la provincia competente riguardante: la specificità del taxi, la toponomastica, le norme specifiche per il comportamento all'interno dell'autovettura (obbligo della prestazione, uso del tassametro e altro). Il superamento di questo esame permette l'iscrizione alla camera di commercio. Al termine di tali procedure si può rilevare l'autorizzazione da un altro tassista o aspettare un bando di concorso per il rilascio delle licenze. L'orario di lavoro è regolamentato da una turnazione;
   per il sistema Uber pop, qualsiasi individuo dotato di patente di guida valida, privo dei requisiti professionali richiesti ai sensi di legge, senza inizialmente alcun riscontro su precedenti penali e proprietario di autovettura di recente immatricolazione, può candidarsi personalmente a diventare autista del servizio «Uber pop» direttamente accedendo al sito internet, superando un semplice colloquio e sottoscrivendo un contratto. Al termine di tale basilare procedura, si riceve in dotazione da Uber Italia srl un apparecchio telefonico modificato per lo svolgimento della funzione di navigatore localizzatore oltre che di tassametro. L'orario di lavoro dei singoli guidatori Uber può prevedere nella singola giornata anche oltre dieci ore di servizio. I singoli guidatori Uber vengono pagati a mezzo bonifico da conti correnti esteri intestati alla società Uber B.V., senza che venga eseguita alcuna trattenuta prevista dall'ordinamento in materia previdenziale e assistenziale;
   per di più, anche alla luce di tali circostanze, agli interroganti sembrerebbe configurarsi lo svolgimento, da parte di Uber Italy srl per conto di Uber International holding B.V., di attività di intermediazione di manodopera tra domanda e offerta di lavoro, che richiederebbe le necessarie autorizzazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   di fatto, ad avviso degli interroganti la suddetta società svolge, con finalità di lucro, un'attività di somministrazione di lavoro o di manodopera tramite privati cittadini privi di apposita licenza di trasporto di persone, privi di apposita assicurazione contro i danni arrecati ai trasportati, e privi della qualifica di leggi per l'attività di lavoro somministrato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali immediate iniziative, per quanto di propria competenza, intendano promuovere, al fine di verificare le reali condizioni di esercizio del citato servizio, con particolare riferimento alle modalità di svolgimento di quella che appare agli interroganti un'attività di somministrazione del servizio di trasporto svolta tramite UBER Italy srl;
   se si intendano assumere iniziative, anche per il tramite delle competenti direzioni regionali e provinciali del lavoro sul territorio dello Stato, per accertare la conformità dell'attività di Uber Italy srl a tutte le norme vigenti in materia, alla luce delle anomalie descritte in premessa;
   se la mancata regolamentazione dell'orario di lavoro, di competenze professionali e di verifica del certificato del casellario giudiziario in capo a ciascun driver contraente un contratto di lavoro con Uber Italy srl, non possa costituire un potenziale pericolo per la sicurezza della prestazione stessa, a scapito sia dei lavoratori sia dell'utente finale. (5-05539)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   purtroppo il 1o maggio non è stato un giorno di festa per i lavoratori della Cartiera Burgo di Avezzano;
   un mese fa l'annuncio da parte del sindaco Gianni Di Pangrazio che entro la fine di marzo 2015 ci sarebbe stato il nome dell'investitore con cui i vertici della Burgo avrebbero avviato la trattativa per la riconversione;
   dopo l'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico è stato accertato che l'attenzione per l'azienda era verso tre possibili investitori. Si era parlato del possibile arrivo di un nuovo partner, che sarebbe entrato in maggioranza in una nuova società e che avrebbe determinato il passaggio al cartone ondulato con grammatura leggera;
   da allora nessuna novità;
   attualmente i 100 dipendenti continuano solo a tagliare la carta prodotta in altri stabilimenti. Quasi tutti i dipendenti sono impegnati nel reparto di allestimento, altri si occupano della linea di produzione, ormai spenta da quasi un anno, in attività di mantenimento e salvaguardia dell'impianto: tutto questo per non far arrugginire la macchina. Un'altra quarantina di persone, sempre sul libro paga dello stabilimento di Avezzano, è dislocata in altre fabbriche d'Italia: una quindicina a Sora, altri divisi tra Verzuolo (Cuneo), Tolmezzo (Udine) e Sarego (Vicenza);
   oggi l'incertezza dei lavoratori nasce anche dalle notizie apprese dalla stampa nazionale sulla ristrutturazione in corso da parte del gruppo Burgo, legato al nome della famiglia Marchi;
   i sindacati in una nota chiedono ai rappresentanti istituzionali di continuare a monitorare la situazione e fare pressione affinché si accorcino i tempi per garantire un futuro alla cartiera –:
   se non ritengano di convocare le parti sociali, gli enti locali e la regione Abruzzo per cercare positive soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare un ennesimo dramma sociale. (4-09072)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Sveviapol sud srl è un istituto di vigilanza, che ha ceduto il proprio ramo d'azienda a partire dal 1o aprile 2015 alla Cosmopol spa di Avellino;
   nello scorso mese di febbraio la Sveviapol sud ha proceduto al licenziamento di quattro guardie giurate, per giustificato motivo oggettivo, secondo quanto previsto dalla legge 92 del 2012, a causa del mancato cambio appalto, in seguito alla cessazione dell'attività di vigilanza presso la centrale elettrica Federico II di Brindisi;
   le modalità del licenziamento e i trasferimenti operati precedentemente non rispettano quanto previsto dal CCNL della categoria: di fatto, apparentemente senza alcun motivo organizzativo, tre mesi prima della scadenza della gara d'appalto, due guardie giurate che avevano prevalentemente svolto il loro servizio nel trasporto valori, insieme ad altri due lavoratori, venivano trasferiti in pianta stabile presso la postazione Enel produzione di Brindisi. Si badi che l'Istituto Sveviapol non ha partecipato alla nuova gara, né ha avviato per tempo la richiesta di cambio appalto;
   pertanto, i quattro precedenti titolari del servizio presso la centrale di Cerano (BR) hanno dovuto lasciare spazio ai lavoratori trasferiti. Tre di coloro che erano precedentemente titolari del servizio presso la Centrale di Cerano, hanno trovato posto presso il tribunale di Brindisi, in virtù dell'aggiudicazione del nuovo appalto di vigilanza del tribunale da parte di Sveviapol;
   in seguito, quindi, al mancato cambio appalto, la Sveviapol ha avviato le procedure di licenziamento, seguendo criteri che, a detta dei sindacati, sarebbero discriminatori e ingiustificati. Di fatto, nella riunione in cui si chiedeva, tardivamente, il cambio appalto, la Sveviapol ha presentato una graduatoria con il personale maggiormente impiegato presso la centrale elettrica. Di questa graduatoria vengono licenziati i primi due lavoratori con maggior numero di ore prestate presso la centrale e poi il sesto e il settimo, tralasciando gli altri tre lavoratori. Una decisione, in sostanza, che può indurre a pensare ad una discrezionalità totale nella scelta dei licenziamenti, considerando anche che tre dei lavoratori licenziati su quattro, sono iscritti ad un sindacato autonomo, la FLAICA CUB, che non viene riconosciuto dalla proprietà dell'azienda e non è stato nemmeno convocato al tavolo della conciliazione preventiva obbligatoria. Per altro, a quanto risulta all'interrogante, a partire dal giorno 18 aprile, uno dei licenziati non iscritti alla FLAICA CUB è stato reintegrato al posto di lavoro;
   per giunta, va considerato che nello stesso periodo in cui Sveviapol avvia le procedure di licenziamento per le quattro guardie giurate, accade che lo stesso Istituto ottenga nuove assegnazioni di lavori: il 31 ottobre 2014, ottiene il servizio di vigilanza fissa del Comune di Brindisi c/o i locali del tribunale, cui sono destinate (dovrebbero essere destinate) n. 4 guardie giurate di terzo livello nel corso delle 24 ore e 4 guardie giurate di quarto livello per tutti i giorni feriali; a novembre del 2014, l'attivazione del servizio di vigilanza fissa c/o le sedi della banca dei Monte dei Paschi di Siena di Brindisi per cui vengono impiegati n. 3 guardie; a dicembre 2014, l'apertura delle zona di vigilanza di Francavilla Fontana (BR) con assegnazione di un servizio di piantonamento fisso notturno con una guardia presso il depuratore dell'acquedotto; in data 1o febbraio 2015, inoltre, proprio a ridosso dell'avvio delle procedure di licenziamento, l'Istituto ottiene l'assegnazione del servizio di vigilanza da svolgere sugli autobus AMAT di Taranto per tre turni di 2 guardie giurate, per un totale di 6 guardie giurate al giorno;
   in sostanza, i quattro lavoratori licenziati avrebbero potuto trovare giusta ricollocazione nelle nuove commesse ottenute dall'Istituto, che invece pare affidarsi a nuove figure e a nuove assunzioni;
   la Sveviapol sud srl secondo l'interrogante ha avuto un atteggiamento discriminatorio e antisindacale nei confronti dei lavoratori e della loro organizzazione sindacale –:
   se e quali iniziative intende adottare il Ministro, affinché siano rispettati i diritti dei lavoratori per i quali sono state avviate le procedure di licenziamento.
(4-09089)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di ottobre 2014, nei giorni tra il 28 ed il 31, migliaia di giovani medici hanno preso parte al nuovo concorso a graduatoria nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina che vedeva la messa a bando di appena cinquemila contratti a fronte degli 8190 richiesti dal Ministero della salute. Il decreto ministeriale 162 del 2014 riportava infatti: «visto il decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero dell'economia e finanze, concernente il fabbisogno annuo di medici specialisti da firmare nelle scuole di specializzazione per l'anno accademico 2013/2014, pari a 8190 unità»;
   il fabbisogno di ben 8190 unità inizialmente indicato dal Ministero della salute è ulteriormente confermato dall'accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano secondo cui le borse dovevano essere ben 8190;
   nel medesimo accordo si legge chiaramente che la programmazione della formazione medico specialistica è definita su base triennale e che negli ultimi tre anni il fabbisogno nazionale dei medici specialistici da formare era ben superiore al numero dei posti banditi. «Per il triennio 2011/2012 — 2012/2013 — 2013/2014 pari a complessive 8.438 unità per l'a.a. 2011/2012 ad 8.170 unità per l'a.a. 2012/2013 ed a 8.190 unità per l'a.a. 2013/2014»;
   in base ai dati forniti dall'Ordine dei medici e dall'ufficio statistico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si evince che dal 2007 al 2013 il gap tra il numero dei laureati in medicina e i posti di specializzazione oscillasse tra le 633 unità alle 995 massimo, e comunque con una percentuale di non ammessi tra il 7 per cento al 14 per cento massimo. Una percentuale, quasi accettabile e non paragonabile al caso odierno ove, a fronte di oltre 12 mila concorrenti, sono stati messi a bando soli 5000 posti;
   ciò è stato determinato dal non aver messo a bando i posti per una intera edizione concorsuale, sostanzialmente per l'aver saltato il concorso per un anno. Si è dunque verificato progressivamente un sistema ad «imbuto» esploso quest'anno per aver tardato per oltre un anno la pubblicazione del bando; in tale sistema soggetti laureati (e abilitati alla professione) non riescono ad accedere alle specializzazioni senza le quali non si può realizzare e completare la loro formazione e non si riesce a realizzare il loro diritto al lavoro, essendo notorio che la laurea in medicina è una laurea incompleta non idonea all'ingresso nel mondo del lavoro (solo gli specializzati possono entrare nel servizio sanitario nazionale);
   gli interessati dal concorso sono tutti giovani professionisti la cui carriera è già avviata e chiedono di concludere il proprio percorso di formazione contribuendo oltretutto alle esigenze delle strutture ospedaliere;
   la prova selettiva consisteva in un primo test di quesiti costituito da 70 domande uguali per tutti e da un ulteriore test differenziato per ciascuno dei tre macrosettori (medicina, chirurgica, servizi clinici) formato da 30 quiz e per ultimo una specifica prova per ciascuna scuola di specializzazione, composta da 10 quesiti;
   il 31 ottobre 2014 il Cineca, consorzio chiamato a gestire gli aspetti tecnici della procedura selettiva, comunicava ai vertici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il verificarsi di un errore che si traduceva nella nota inversione delle prove del 29 ottobre con quelle del 31 ottobre. Tuttavia, ad oggi, il verbale dove si attesta la cosiddetta inversione delle prove, ovvero l'imbustamento dei quesiti in una busta al posto di un'altra pare non esistere;
   il 1o novembre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con un comunicato, aveva optato, in ragione delle su riferite irregolarità, per l'annullamento delle prove con ripetizione delle medesime nella giornata del 7 novembre 2014;
   il successivo 3 novembre, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tornava sui suoi passi, nominando una commissione, secondo la quale i quesiti concretamente non afferenti alla macroarea erano solo 4. Due per l'area medica e due per l'area dei servizi. Successivamente, ai 4 quesiti se ne aggiungevano altri due, riguardanti le singole scuole di cardiologia ed endocrinologia;
   sono state rilevate diverse anomalie (black out con ripetizione della medesima prova in orari differenti, computer in rete e altro) tra cui quella che vede i tecnici del Cineca modificare le domande dei candidati per attribuire loro i punteggi delle domande errate, accedendo alla pagina personale di ogni singolo candidato, mettendo dunque in pericolo i dati sensibili e violando il principio della segretezza concorsuale entrando nelle prove informatiche;
   in aggiunta a tutto ciò si rende noto che non è stata diffusa la graduatoria precedente la manomissione delle prove, né tanto meno v’è chiarezza sulle risposte originali fornite dai candidati;
   il 18 dicembre 2014 il Tar Lazio ha emesso un decreto cautelare, poi confermato, con il quale ha accolto il ricorso di una candidata e «sospeso la graduatoria unica del concorso per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina a.a. 2013-14» rilevando l'illegittimità del meccanismo di scorrimento che obbligava i medici ad accontentarsi di scelte diverse dalla preferita. In tal modo ad esempio alcuni medici che dovevano diventare otorinolaringoiatri sono diventati cardiologi, e si è danneggiato così lo stesso sistema sanitario italiano generando medici insoddisfatti, nonostante avessero vinto il concorso;
   il 26 marzo 2015 il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha accolto 5 ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica sostenuti dalla FP CGIL Medici riconoscendo il diritto dei giovani medici a formarsi ed a iscriversi in sovrannumero alle rispettive scuole di specializzazione;
   lo stesso Consiglio di Stato, anche in sede giurisdizionale, accoglieva i ricorsi in appello avverso le ordinanze di rigetto del TAR Lazio, confermando così un orientamento positivo pur se rinviando allo stesso Tar;
   ad oggi vi sono 300 medici che attendono di essere immatricolati nelle varie scuole di specializzazione e gli atenei stanno sollecitando l'inserimento denunciando una carenza di personale nelle corsie di ospedali e nei reparti e che negli ultimi tre anni è aumentata;
   graduatoria sta ancora scorrendo in quanto non tutti i posti banditi sono stati coperti e molti di quelli inizialmente accettati sono stati, a seguito di rinunce, lasciati liberi in quanto i medici, come predetto, si sono trovati costretti ad accettare scuole di specializzazioni non confacenti alle proprie aspirazioni con la conseguente rinuncia alle relative borse;
   i fatti di cui sopra pare siano anche oggetto di indagine da parte della procura della Repubblica di Roma in considerazione dell'atteggiamento assunto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che omette di emanare l'atto ex articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 1199 del 1971;
   l'immotivato rifiuto di far immatricolare i 300 medici, a giudizio dell'interrogante, espone il Ministero, i suoi dirigenti e tutto il Governo ad ingenti richieste risarcitorie da parte dei medici interessati dai provvedimenti del Consiglio di Stato con responsabilità anche di carattere politico;
   si invita, pertanto, a procedere con l'ammissione dei 300 medici nella prima scuola di specializzazione scelta e nella sede prima sede indicata, in considerazione anche del fatto che, in primis, il Ministero della salute aveva confermato il fabbisogno di 8190 nuove unità –:
   quali chiarimenti intenda fornire rispetto alla vicenda richiamata in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito alle gravi e numerose problematiche denunciate in ordine all'inadeguatezza del numero dei posti banditi rispetto alle necessità del sistema sanitario nazionale, nonché in merito alla immatricolazione dei circa 300 medici in sovrannumero e in prima sede nella scuola prescelta, anche alla luce del fabbisogno del sistema sanitario nazionale. (5-05538)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Interpol ha lanciato lunedì un'allerta mondiale riguardante l'assunzione di un prodotto, noto anche nel mondo del body building, che ha causato il decesso di una donna nel Regno Unito e gravi problemi ad un cittadino francese. Secondo quanto si apprende, infatti, in un comunicato ufficiale dell'Organizzazione internazionale di cooperazione di polizia «un allarme globale è stato emesso dall'Interpol relativo al 2,4 dinitrofenolo (DNP), sostanza illegale e potenzialmente letale, usata nella pianificazione di diete e a scopo energetico»;
   l'allarme è stato diffuso in 190 Paesi dall'Interpol su richiesta dell'ufficio centrale per la lotta contro i danni all'ambiente e alla salute pubblica (OCLAESP) del Ministero degli interni francese e diramato a tutte le polizie, alle agenzie governative e alle organizzazioni internazionali, mettendo in guardia dai rischi cui possono andare incontro gli assuntori della sostanza, venduta solitamente sotto forma di polvere gialla, di capsule o di crema;
   i rischi associati all'uso di questa sostanza sono, peraltro, amplificati dalle sue condizioni di produzione illegale: secondo l'Interpol, è infatti prodotta in laboratori clandestini, esponendo i «consumatori meno esperti a rischio di overdose». La sostanza inoltre darebbe luogo ad accumulo nell'organismo e non esisterebbero antidoti in grado di salvare la vita del paziente dopo intossicazione con una dose letale;
   conosciuto fin dal 1930, il DNP è stato utilizzato per stimolare il metabolismo e favorire la perdita di peso, ma è stato ritirato dalla vendita, dopo aver provocato decessi sospetti. Nel 2008 sono stati rilevati casi di morte dopo un consumo di 600 mg/giorno per 4 giorni;
   in Italia il DPN non potrebbe essere venduto, non essendo identificato come integratore e non essendo autorizzato come farmaco; tuttavia, esistono fondate preoccupazioni sul fatto che la sostanza possa comunque trovare una sua diffusione, poiché risulta essere venduta anche on line in barattoli che riportano la dicitura «Pure Caffeine 200mg», come avverte in una nota «Lo sportello dei Diritti», ma in realtà tale «integratore brucia-grassi» conterrebbe 296 mg di DNP (2,4 - Dinitrophenol) –:
   quali urgenti iniziative il Ministro intenda assumere per tutelare la sicurezza dei cittadini italiani potenzialmente esposti a questo pericolo. (4-09084)

 * * *

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   APS Holding s.p.a. è una società per azioni con sede in Padova, che gestisce direttamente i rami di attività del trasporto pubblico, nella città di Padova e nella zona termale di Abano, Montegrotto e Torreglia, e della sosta all'interno del capoluogo;
   attraverso proprie società di scopo è impegnata inoltre nei settori della pubblicità e delle affissioni (Aps Advertising) e dell’information e communication technology (Ne-t by Telerete Nordest srl) oltre ad altre attività di produzione di servizi pertinenza del comune di Padova, quali la gestione dell'impianto crematorio, del sistema cosiddetto «autovelox» e altro;
   APS Holding s.p.a. gestisce quindi vari servizi pubblici locali in affidamento diretto (trasporto pubblico locale, sosta pubblica, pubbliche affissioni, car sharing, informazione ed accoglienza turistica, cosiddetta IAT, e altro); 
   il comune di Padova detiene il 99,98 per cento del capitale sociale di Aps Holding, interamente versato e pari a 41,8 milioni di euro (per il 75,21554 per cento direttamente, e per il 24,77040 per cento attraverso la controllata del comune di Padova Finanziaria APS s.p.a.);
   APS Holding s.p.a. rientra nel novero degli «enti di diritto privato in controllo pubblico» di cui all'articolo 1, comma 2, lett. c), del decreto n. 39 del 2013;
   il 18 luglio 2014 il signor Paolo Rossi è stato nominato dal comune di Padova Presidente ed amministratore delegato di APS Holding s.p.a.; 
   la società Ne-t by Telerete Nordest S.r.l. è controllata da APS HOLDING s.p.a. per il 66,536 per cento e quindi, ai sensi dell'articolo 2359, comma 2, c.c., la società Ne-t by Telerete Nordest S.r.l. risulta anch'essa indirettamente controllata dal comune di Padova;
   Ne-t by Telerete Nordest S.r.l. svolge una pluralità di servizi, tra i quali anche servizi pubblici locali, come il servizio di informazione ed accoglienza turistica, (detto IAT);
   anche Ne-t by Telerete Nordest S.r.l. rientra perciò nel novero degli «enti di diritto privato in controllo pubblico» di cui all'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto n. 39 del 2013;
   il 6 ottobre 2014, il signor Paolo Rossi è stato nominato amministratore delegato di Ne-t by Telerete Nordest S.r.l.;
   l'articolo 7, comma 2 del decreto legislativo n. 39 del 2013, prevede che:
    «Articolo 7, inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale in vigore dal 4 maggio 2013. (...Omissis);
    2. (... Omissis)... nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti:
    a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione;
    b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a);
    c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale;
    d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»;
   l'articolo 17 del decreto n. 39 del 2013 prevede la «Nullità degli incarichi conferiti in violazione delle disposizioni del presente decreto», (norma in vigore dal 4 maggio 2013). Infatti, esso sancisce che «Gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli»;
   gli interroganti, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 39 del 2013, hanno segnalato all'Autorità nazionale anti corruzione che le circostanze indicate risultano in contrasto con le previsioni di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013;
   tale contrasto ha generato forti preoccupazioni poiché, se confermato, comporterebbe la nullità degli atti assunti in costanza della causa di inconferibilità –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se ritenga che sussistano i presupposti per inoltrare una segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 39 del 2013. (4-09095)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PREZIOSI, COVA, PRINA, PAOLO ROSSI, ARLOTTI, ZANIN, BERLINGHIERI, BAZOLI, GAROFANI, RUBINATO, SCANU, BURTONE, AMODDIO, PATRIARCA, GINATO, CARRESCIA, DONATI, GALPERTI, GRASSI, SENALDI, PICCIONE, GIGLI, FITZGERALD NISSOLI, SANTERINI, PALMIERI, OLIVERIO e CASATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), Francesco Zanotti, ha lanciato l'allarme circa l'impatto negativo che il piano industriale di Poste italiane avrebbe sulla stampa cattolica in merito alla consegna della corrispondenza a giorni alterni;
   giornali quotidiani e settimanali basano il loro rapporto con gli abbonati proprio sulla puntualità del recapito domiciliare;
   la Fisc ha inviato una lettera all'Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni per esprimere la più assoluta contrarietà all'ipotesi di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale;
   oltre alla testata quotidiana Avvenire vi sono circa 190 periodici diocesani che aderiscono alla federazione e rappresentano una voce importante anche per Poste italiane in relazione agli abbonamenti sottoscritti annualmente;
   inoltre la maggior parte degli abbonati spesso si trova proprio nelle aree interne e svantaggiate e nei piccoli comuni e questa scelta determinerebbe una ulteriore penalizzazione anche nell'esercizio della loro libertà di accesso all'informazione –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale problematica e se, con riferimento alle considerazioni espresse in premessa, non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di evitare che la stampa cattolica venga penalizzata dalle scelte di un piano aziendale quale quello di Poste italiane che andrebbe, ulteriormente, a colpire un settore importantissimo nella cultura del nostro Paese.
(5-05520)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'attività di dispacciamento dell'energia elettrica e la gestione in tempo reale del sistema per ciò che attiene agli impianti di produzione, alla rete di trasmissione e ai servizi ausiliari viene svolta da Terna attraverso un sistema di monitoraggio altamente tecnologico ed interconnesso con quello europeo che fa capo al centro nazionale di controllo, «cuore» del sistema elettrico italiano;
   il centro nazionale di controllo, oltre al compito di assicurare il funzionamento del sistema elettrico nelle condizioni di massima sicurezza, ne garantisce la continuità e la qualità ed acquisisce, istante per istante, tutti i dati relativi allo stato delle attività, mettendo in atto le opportune azioni correttive in funzione delle necessità;
   il centro nazionale di controllo svolge il proprio compito attraverso otto centri di ripartizione che, per la propria area territoriale di competenza, decidono in tempo reale gli interventi sugli impianti sia in fase di programmazione che in quella di verifica;
   uno di tali centri di ripartizione ha sede a Cagliari e la sua sala controllo costituisce il fulcro delle attività di verifica nel territorio isolano. La sala di controllo è operativa 24 ore su 24 e dispone di personale addetto di altissima professionalità e di alto livello di funzione (22 unità tra quadri direttivi, impiegati direttivi ed un dirigente);
   il centro di controllo di Cagliari riveste dunque un ruolo fondamentale nell'ambito della mission istituzionale di Terna, in quanto la Sardegna rappresenta un ganglio importante della rete, di rilievo crescente per l'alta concentrazione di fonti energetiche alternative;
   in tale prospettiva, Terna aveva annunciato da tempo un piano di investimenti per l'implementazione del centro di controllo cagliaritano, in funzione «anti black out» proprio nella regione Sardegna;
   nei giorni scorsi, la dirigenza di Terna ha presentato il nuovo progetto di ristrutturazione dell'intero sistema di controllo e comando della rete elettrica italiana che, contrariamente a quanto annunciato, ridurrebbe gli attuali 8 centri di controllo e 3 centri di conduzione a soli 3 centri dislocati a Torino, Venezia e Napoli, con la conseguenza che il centro di Cagliari sarebbe smantellato e incorporato a quello di Torino;
   pur comprendendo le esigenze aziendali di razionalizzazione della spesa, se tali intendimenti fossero confermati ed attuati, le ricadute negative sul territorio sardo sarebbero gravissime: tanto per la perdita di un centro decisionale da cui prendono vita le proposte di sviluppo, modifica ed indirizzo dell'intera rete energetica regionale, quanto per l'ulteriore marginalizzazione che subirebbe la Sardegna;
   l'eventuale azzeramento di un asset decisionale, così vitale in una regione già fortemente penalizzata dalle peculiarità di isolamento geografico legato all'insularità, determinerebbe una esiziale perdita di posti di lavoro di elevata professionalità e la conseguente impossibilità di incidere sulle scelte di sviluppo per l'intera rete sarda –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda tempestivamente intraprendere nei confronti di Terna, al fine di evitare che l'annunciato smantellamento e chiusura del centro di controllo di Cagliari ed il conseguente passaggio dello stesso ad una forma di telecontrollo dalla sede Terna di Torino, possa impoverire di specifiche professionalità la regione Sardegna, contemporaneamente rischiando di compromettere la continuità e la sicurezza della fornitura del servizio elettrico in Sardegna. (4-09071)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Iori e altri n. 1-00785, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Duranti, Carloni.

  La mozione Oliverio e altri n. 1-00817, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giovanna Sanna, Moscatt, Malisiani, Blazina.

  La mozione Tullo e altri n. 1-00819, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

  La mozione Malpezzi e altri n. 1-00839, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

  La mozione Gigli e altri n. 1-00844, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fitzgerald Nissoli.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Marchi ed altri n. 1-00825, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tabacci e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Marchi, Tancredi, Tabacci, Paola Bragantini, Misiani, Guerra, Laforgia, Melilli, Causi, Marchetti, Fragomeli, Carnevali, Fabbri, Scuvera, Ginato, Amoddio, Narduolo».

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 7-00305, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  La risoluzione in Commissione Rizzo e altri n. 7-00552, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Basilio.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Schirò e altri n. 2-00947, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scagliusi e altri n. 5-04326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Da Villa.

  L'interrogazione a risposta scritta Braga e altri n. 4-09028, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bini.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Giorgia Meloni e Rampelli  n. 3-01477, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taglialatela.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Oliverio n. 1-00817, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 412 del 21 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si sono susseguite diverse modifiche al regime di tassazione per i terreni agricoli;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato in via sperimentale l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
    l'IMU, a norma del comma 1 del citato articolo 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011, ha sostituito l'imposta comunale sugli immobili (Ici) e, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e le relative addizionali dovute in riferimento ai redditi fondiari concernenti i beni non locati;
    tale principio trova una parziale applicazione nell'ipotesi di terreni agricoli non affittati, tenuto conto della previsione di cui all'articolo 9, comma 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011, laddove dispone che il reddito agrario di cui all'articolo 32 del Testo unico delle imposte sui redditi continua ad essere assoggettato alle ordinarie imposte erariali sui redditi. In tale ipotesi, pertanto, risultano dovute l'Irpef e le relative addizionali sul reddito agrario, mentre l'IMU sostituisce l'Irpef e le relative addizionali sul solo reddito dominicale;
    il comma 5 dello stesso articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che il valore dei terreni agricoli, nonché di quelli non coltivati, posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola (Iap), è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1o gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento, ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge n. 662 del 1996, un moltiplicatore pari a 75 (come stabilito dalla legge di stabilità per il 2014). Per gli altri terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, si applica il medesimo procedimento di calcolo, ma il moltiplicatore da considerare è pari a 135;
    l'articolo 13, comma 6, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha stabilito che l'aliquota di base dell'imposta è pari allo 0,76 per cento. È previsto che i comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali;
    il comma 8-bis (introdotto dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola, purché dai medesimi condotti, siano soggetti all'imposta limitatamente alla parte di valore eccedente 6.000 euro e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a 15.500 euro; b) del 50 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro; c) del 25 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro;
    il comma 8 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, oltre a stabilire l'esenzione degli immobili della pubblica amministrazione, precisava l'applicabilità alla nuova imposta delle esenzioni già previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), e i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in materia di Ici. La lettera h), in particolare, stabilisce che sono esenti: «i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984»;
    la circolare del 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze, riportava l'elenco, predisposto sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui erano indicati i comuni, suddivisi per provincia di appartenenza, sul cui territorio i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, sono esenti dall'imposta comunale sugli immobili (Ici) ai sensi dell'articolo 7, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;
    in merito alle esenzioni, l'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, come modificato dal comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha stabilito che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, dovevano essere individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si sarebbe applicata l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, agli altri. Ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al predetto decreto, non ricadano in zone montane o di collina, veniva riconosciuta l'esenzione dall'IMU. Dalle disposizioni citate doveva derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014;
    il decreto interministeriale del 28 novembre 2014, in attuazione del dettato normativo, ha stabilito che fossero esenti dall'imposta municipale propria, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani» pubblicato sul sito Internet dell'Istituto nazionale di statistica, tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    il Governo, dopo avere disposto una proroga dei termini di pagamento dell'imposta con il decreto-legge n. 185 del 2014 al 26 gennaio 2015, con il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, ha sensibilmente allargato il campo di esenzione dall'imposta prevedendo, anche con riferimento all'anno 2014, che: «l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica: a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT»;
    con i criteri adottati dal citato decreto-legge n. 4 del 2015, ben 3.456 comuni sono stati classificati totalmente esenti e 655 parzialmente esenti e si è introdotto un sensibile alleggerimento del carico fiscale in favore, in particolare, di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
    l'aumento del carico fiscale sui terreni agricoli ha concorso ad una manovra più complessiva di redistribuzione del reddito che ha consentito di aumentare il potere di acquisto delle famiglie, contribuendo al miglioramento degli scenari macroeconomici delineato dal Documento di economia e finanza 2015, recentemente adottato dal Governo;
    l'applicazione dell'IMU sui terreni agricoli continua a generare molte preoccupazioni perché i criteri altimetrici non risultano sufficienti a determinare condizioni di equità;
    in fase di discussione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, la XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei deputati ha approvato un parere che, nel sostenere le linee d'intervento del Governo in materia di IMU agricola, sottolineava la necessità di valutare alcuni aspetti ancora irrisolti tra i quali, ad esempio, quelli riferibili a quei comuni con territorio non uniforme, per i quali occorrere differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree. La risoluzione delle richiamate questioni rafforzerebbe la competitività del settore agricolo e determinerebbe la tutela dei redditi degli agricoltori;
    appare necessario, specialmente in un momento di perduranti difficoltà economiche, garantire la competitività del sistema agricolo anche attraverso la scelta di garantire misure di favore di natura fiscale prioritariamente alle imprese agricole «professionali»,

impegna il Governo:

   al fine di garantire una maggiore equità nell'applicazione del tributo e in considerazione dei nuovi scenari di finanza pubblica prospettati nel Documento di economia e finanza 2015, ad ampliare le esenzioni in materia di imposta municipale propria anche ai terreni siti in aree svantaggiate e nelle porzioni montane dei comuni parzialmente montani, tenendo conto delle condizioni geografiche e socioeconomiche, delle caratteristiche orografiche e di redditività dei suoli e del livello di rischio idrogeologico dei territori, dando priorità ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola;
   ad assumere iniziative normative per superare al più presto e comunque al massimo nell'ambito del riordino della fiscalità locale nella local tax, le disposizioni in materia di applicazione dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli di cui all'articolo 22, comma 2 del decreto-legge n. 66 del 2014, come modificate dal decreto-legge n. 4 del 2015;
   ad adottare, nell'ambito del riordino della fiscalità locale nella local fax, misure per consentire agli enti territoriali l'autonomia decisionale anche riguardo all'eventuale introduzione dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli;
   a considerare, nell'ambito della procedura di verifica del gettito IMU per l'anno 2015, le differenze tra gettito accertato e riscosso e gettito previsto, al fine di disporre eventuali compensazioni per i comuni in relazione alla nuova disciplina impositiva dei terreni montani;
   a prevedere per i terreni agricoli colpiti da calamità naturali o sui quali insistono colture colpite da fitopatie, xylella fastidiosa, cinipide del castagno, e di altre fitopatie, sostegni e contributi parametrati all'entità dei danni al fine di favorire il ripristino del potenziale produttivo delle colture medesime e di sostenere il reddito degli agricoltori;
   ad estendere l'esenzione in materia di imposta municipale propria ai piccoli proprietari di terreni, anche se non coltivatori diretti, che li utilizzino per autoconsumo familiare o che li abbiano ceduti in fitto o in comodato d'uso a coltivatori diretti e/o ad imprenditori agricoli a titolo principale.
(1-00817)
(Nuova formulazione) «Oliverio, Causi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Amoddio, Schirò, Zappulla, Giovanna Sanna, Moscatt, Malisani, Blazina».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto n. 5-05463, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 417 del 28 aprile 2015.

   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   in tutta Italia continuano a crollare le scuole, compromettendo la sicurezza di alunni e docenti;
   insieme ad esse secondo gli interroganti crolla anche la politica di annunci tenuta dal Ministero sul completamento e la pubblicazione dell'anagrafe dell'edilizia scolastica;
   infatti ne era stata annunciata dal Sottosegretario Faraone la definitiva pubblicazione per il giorno 22 aprile 2015, a seguito dell'ultimo crollo avvenuto nella scuola Pessina di Ostuni. Il giorno atteso è arrivato ma il Ministero non ha proceduto ad alcuna iniziativa, se non quella di ennesimo rinvio, peraltro a data non definita; la giustificazione addotta è consistita nel mancato invio dei dati sull'edilizia scolastica da parte di 5 regioni;
   tale fatto, però, era già ben conosciuto tant’è che da numerose dichiarazioni pubbliche sia del sottosegretario Faraone che del Ministro Giannini si evinceva la volontà di voler comunque procedere alla diffusione dei dati dell'anagrafe in proprio possesso, anche se incompleti;
   tutto ciò desta preoccupazione per gli odierni interroganti, consapevoli che l'anagrafe è strumento imprescindibile per procedere agli interventi di edilizia scolastica e necessita di tempi certi e obblighi non più prorogabili;
   il Ministero ha l'obbligo di pubblicare i dati dell'Anagrafe on-line in ottemperanza a quanto deciso dalla sentenza del T.A.R. Lazio n. 03014/2014, e dall'ordinanza del Consiglio di Stato (agosto 2014), aditi dall'organizzazione non profit «Cittadinanza»;
   la stessa organizzazione ha rilevato che il Ministero è obbligato secondo i principi di trasparenza, nonché i principi dettati dal decreto legislativo n. 33 del 2013, che prevede l'obbligo di accessibilità totale, da parte della pubblica amministrazione, delle informazioni concernenti l'organizzazione e le attività delle amministrazioni stesse, ivi comprese, quelle sullo stato delle scuole italiane –:
   quali siano state le ragioni che non hanno permesso la pubblicazione dell'anagrafe in data 22 aprile 2015, come annunciato;
   quali attività intraprenderà il Ministro per giungere alla pubblicazione a data certa dell'anagrafe;
   quale data verrà stabilita per tale pubblicazione;
   attività intraprenderà perché le regioni adempiano all'invio dei dati necessari;
   quali siano le regioni che non hanno inviato i propri dati sull'edilizia scolastica. (5-05463)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Polverini n. 4-09055, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 421 del 5 maggio 2015.

   POLVERINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il Governo Monti, nell'ottica dei tagli alla spesa pubblica nota come «spending review», aveva ridotto il numero dei commissari della Consob da 5 a 3. Infatti la composizione della Commissione, precedente l'attuale, vedeva come Presidente Cardia e come commissari Conti, Di Benedetto, Enriques e Pezzinga;
   con la scadenza del mandato del commissario Di Benedetto, il 20 marzo 2010, la Consob continuò a funzionare con 4 membri;
   il 25 giugno 2010 il Governo nominò alla guida delle Ferrovie dello Stato il Presidente della Consob, Cardia;
   questo ha fatto sì che l'Autorità si ritrovasse ad operare con 3 membri (il Presidente vicario, Conti, ed i commissari Enriques e Pezzinga), ciononostante dando prova di vitalità e buon funzionamento, opponendosi al trasferimento della sede romana a Milano, approvando il codice etico e raggiungendo un tasso di produttività addirittura superiore alla precedente Commissione composta da 5 membri;
   il 18 novembre 2010, il Consiglio dei ministri ha nominato Giuseppe Vegas e Paolo Troiano, rispettivamente Presidente e commissario della Consob, riportando il numero dei componenti a 5 e modificando la composizione della Commissione;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto decreto salva Italia), ha ridotto nuovamente da 5 a 3 il numero dei componenti dell'Autorità;
   successivamente, in data 23 maggio 2012 (con decorrenza 16 giugno 2012), il commissario Luca Enriques, ha rassegnato le dimissioni prima della scadenza del mandato. Dopo di lui, il 19 luglio 2013, anche il commissario Conti ha lasciato l'incarico alla sua naturale scadenza, facendo riportare la composizione della Consob all'interno di quanto previsto dal citato decreto-legge n. 201 del 2011;
   nel frattempo l'analisi di Cottarelli, nella sua veste di responsabile della «spending review», portava all'attenzione dell'esecutivo e del Parlamento l'opportunità di un ripensamento del ruolo delle autorità indipendenti, sul fronte del quale l'attuale Governo non sembra avere un disegno chiaro;
   dopo mesi di inerzia, il 13 giugno 2014, la professoressa Anna Genovese veniva chiamata a svolgere il ruolo di commissario Consob, ricostituendo la composizione dispari della Commissione;
   con il decreto-legge n. 91 del 2014 il Governo ha riportato a 5 i membri della Commissione, contraddicendo apertamente quanto fatto dai Governi precedenti e smentendo categoricamente qualsiasi politica di tagli alla spesa pubblica e di razionalizzazione;
   ad avviso dell'interrogante la Consob, anche con tre commissari, assicura la piena operatività, così come recentemente dimostrato per la riforma delle banche popolari, per il caso Ray Way, per la bad bank, solo per citare alcune ultime attività –:
   se trovi conferma che, come risulta da indiscrezioni di stampa, il Governo avrebbe dato chiare indicazioni per l'individuazione dei commissari, attraverso un bando pubblico aperto a livello internazionale, con ulteriore sperpero di denaro pubblico;
   se il Governo abbia valutato se la Consob, debba essere accorpata alla Banca d'Italia, o se ci sia un ripensamento dell'attività dei controlli nel settore finanziario;
   se il Governo intenda prendere in considerazione l'eventualità di assumere un'iniziativa normativa che porti al ritorno a tre commissari. (4-09055)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Ricciatti n. 2-00924 del 14 aprile 2015.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Ciprini e altri n. 5-05499 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 420 del 4 maggio 2015. Alla pagina 24714, seconda colonna, dalla riga trentaseiesima alla riga quarantaciquesima, deve leggersi: «nel giugno del 2014 la situazione precipita e la Aviointeriors dichiara l'apertura della procedura di mobilità per 150 dipendenti, nel settembre del 2014 i lavoratori depositano numerosi esposti ai militari della Guardia di finanza nei confronti della Aviointeriors, poiché lamentano il mancato riconoscimento del rimborso derivante dai modelli 730;» e non come stampato.