Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 27 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    ai giorni nostri il sistema alimentare è caratterizzato a livello globale da un enorme paradosso, per cui a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, con aumento del rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. I dati dicono che ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso;
    secondo dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi, interessando anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso;
    anche nel nostro Paese il problema della malnutrizione si presenta con molteplici sfaccettature che richiedono con urgenza un intervento su più versanti: da un lato, la crescente crisi economica, che coinvolge soprattutto i bambini, sta acuendo le situazioni di autentica sottonutrizione, dall'altro, sono in aumento il sovrappeso e l'obesità;
    la più recente indagine «L'obesità infantile: un problema rilevante e di sanità pubblica» (2015), a cura dell'Osservatorio per la salute del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'università di Milano Bicocca segnala che l'Italia è uno dei Paesi europei in cui si ha il maggiore aumento dell'obesità infantile (circa 3 punti percentuali al di sopra della media Europea); tra gli 8 e 9 anni, il 25 per cento è obeso e il 50 per cento è in sovrappeso; tra le bambine le percentuali scendono rispettivamente al 16 per cento e al 41 per cento; tra i 6 e gli 11 anni si registra un 10 per cento di obesi e in alcune regioni, soprattutto nel sud del Paese, si raggiungono percentuali superiori al 40 per cento; si stimano oltre un milione e centomila bambini con problemi di obesità e sovrappeso (più di un bambino su tre);
    diverse altre ricerche indicano che i fattori principali sono legati al contesto socio-economico familiare e agli stili di vita: solo il 44,7 per cento dei genitori conosce le regole della sana alimentazione (Censi); il 37 per cento delle madri di figli in sovrappeso non ritiene mai «eccessiva» la quantità di cibo somministrato; il 22 per cento dei bambini non mangia tutti i giorni frutta e verdura; 1 bambino su 10 salta la prima colazione;
    ciò si accompagna a un elevato consumo quotidiano di bevande zuccherate o gassate, insaccati, cibi ipercalorici, snack, come conseguenza di disinformazione diffusa e povertà educativa;
    inoltre uno stile di vita sedentario accresce l'obesità: in Italia 1 bambino su 6 svolge attività motoria soltanto un'ora alla settimana, il 44 per cento ha la tv in camera; il 90 per cento dei ragazzi tra i 10 e i 17 anni è connesso ad Internet più di due ore al giorno; solo il 27 per cento va a scuola a piedi o in bicicletta, solo un bambino su 10 fa attività sportiva in modo adeguato;
    oltre al rischio di insorgenza di patologie già citate, l'obesità infantile è all'origine di problemi muscolari, scheletrici e respiratori, oltre a sofferenze di tipo psicologico legate al disagio sociale, che costituiscono inoltre un costo per la collettività;
    come ricordato nel piano 2014-2020 della Commissione europea per il contrasto dell'obesità giovanile è fondamentale una sinergia tra tutti gli attori – centri di ricerca ed industria alimentare compresi – che contribuiscono alla definizione degli stili di vita alimentari dei giovani, supportando le scuole in programmi di sensibilizzazione delle famiglie per una corretta alimentazione;
    tra le iniziative per una corretta alimentazione il Ministero della salute ha avviato interventi come «Guadagnare Salute», «Bimbi in forma, serve un giro di vita» e il sistema di monitoraggio «OKkio alla Salute» del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm). Quest'ultimo ha evidenziato – nei dati riferiti al 2014 – il perdurare di una quota considerevole di bambini sovrappeso o obesi, pur registrando una leggera flessione rispetto al 2008;
    a livello mondiale, la Fao ha quantificato in 1,3 miliardi di tonnellate – pari ad un terzo della produzione – lo spreco di cibo destinato al consumo umano: una quantità che, se riutilizzata, potrebbe idealmente sfamare per un anno intero metà dell'attuale popolazione, ovvero 3,5 miliardi di persone;
    l'osservatorio Waste Watcher quantifica in 8,1 miliardi di euro l'anno lo spreco domestico italiano nel 2014. Nello stesso anno, in Europa, secondo la Commissione europea (direzione generale della salute e della sicurezza alimentare), gli sprechi sarebbero quantificati in 100 tonnellate l'anno, escluse le perdite nella produzione agricola e i rigetti in mare di pesce;
    il Parlamento europeo, con la risoluzione 2011/2175 del 19 gennaio 2012, ha proclamato il 2014 quale «Anno europeo contro gli sprechi alimentari» e ha riconosciuto la sicurezza alimentare come un diritto fondamentale dell'umanità, esercitabile per mezzo di politiche tese a incrementare la sostenibilità e l'efficienza delle fasi di produzione e di consumo;
    il Governo, attraverso il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), ha recepito le sollecitazioni dell'Unione europea in materia di riduzione degli sprechi e ha avviato un percorso di consultazione di tutti gli stakeholder e dei protagonisti della filiera agroalimentare italiana: gli enti locali, le istituzioni, le associazioni di volontariato, le aziende, le associazioni di consumatori, i produttori e la grande distribuzione organizzata;
    la parte II, titolo I, capo II, sezione 1 del regolamento (UE) n. 1308/2013 (OCM unica), disciplina i programmi di distribuzione di ortofrutticoli, comprese le banane, e di distribuzione di latte nelle scuole;
    il 30 gennaio 2014 la Commissione europea ha pubblicato una nuova proposta di regolamento (COM(2014)0032) che modifica il regolamento (UE) n. 1308/2013 e il regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda il finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli, banane e latte negli istituti scolastici;
    l'acquisizione di buone abitudini alimentari nella prima fase della vita è poi generalmente mantenuta nel tempo e un'alimentazione sana, in cui è essenziale il consumo di adeguate quantità di frutta e verdura, soprattutto nell'infanzia, svolge un ruolo fondamentale nel ridurre i tassi di obesità e, quindi, il rischio di soffrire di gravi problemi di salute negli anni successivi;
    la «malnutrizione» non è la denutrizione ma uno squilibrio (per carenza o eccesso o per qualità) nell'assunzione di cibo, derivante dalla combinazione di più fattori, pertanto l'importanza dell'educazione alimentare si colloca nella duplice istanza di salvaguardare informazione e la salute, nonché di prevenire le conseguenze patologiche che si manifestano in età adulta;
    l'educazione alimentare è, quindi, senza dubbio, un investimento importante per il futuro; tra pochi giorni si aprirà a Milano l'Esposizione universale del 2015, dedicata al tema della nutrizione e del cibo, intitolata «Nutrire il pianeta, energia per la vita»; tale evento può essere l'occasione per portare l'opinione pubblica ad un livello di consapevolezza maggiore in relazione ai temi dell'alimentazione sostenibile, sicura e nutriente;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori;
    è necessaria una campagna massiccia di informazione che coinvolga i ragazzi e i genitori, tramite la scuola e le altre agenzie educative, oltre ai media; la scuola si rivela essere, in particolare, il luogo di elezione per fare un'efficace educazione alimentare attraverso il proprio radicamento territoriale, la specifica ricchezza interculturale, il dialogo e l'osservazione quotidiana con i ragazzi, con il presidio costante e interdisciplinare del percorso formativo, con la possibilità di costruire connessioni cognitive mirate. Attraverso questo approccio, essa si configura come l'istituto sociale che prima di ogni altro può assolvere il compito di guidare il processo radicale di riappropriazione e di esplorazione emotiva e culturale del complesso atto alimentare;
    a tal fine è indispensabile sviluppare la sensibilità ai temi del benessere, della salute, della prevenzione, dell'adozione di corretti stili di vita, nonché la conveniente comprensione del processo di nutrizione personale e collettiva, delle funzionalità della filiera alimentare, delle valenze mediche e ambientali, della stagionalità e territorialità dei prodotti alimentari, dei consumi responsabili oltre che dei contesti economici, etici e sociali entro i quali si muove nel suo complesso il «sistema cibo»;
    l'estrema attualità degli argomenti relativi all'alimentazione e nutrizione, alla sicurezza degli alimenti, agli obblighi nazionali e comunitari, suggerisce che tali tematiche costituiscano oggetto di attento studio e riflessione collettiva, in un'ottica interdisciplinare, anche nell'ambito del dialogo interculturale e dell'educazione allo sviluppo sostenibile inteso secondo i criteri di sostenibilità ecologica, sociale ed economica, alla solidarietà, alla pace e alla legalità;
    poiché ancora risulta prevalere la percezione della qualità del cibo come un qualcosa di meramente «tecnico» – che certamente non corrisponde alla qualità globale del sistema alimentazione – è necessario sensibilizzare le giovani generazioni su un'idea di qualità più complessiva, che coinvolga, oltre al benessere del singolo, quello della società in cui vive e quello dell'ambiente da cui ottiene le risorse. È questa la sfida attuale, il salto da operare sul piano culturale attraverso adeguate iniziative di educazione alimentare;
    sul sito del «MIUR verso Expo» si afferma che «il mondo della scuola contribuisce attraverso le sue eccellenze alla stesura della Carta di Milano e alla preparazione delle linee guida sull'educazione alimentare»;
    grazie al protocollo con Expo Milano 2015 e Padiglione Italia, più di 700 scuole presenteranno i loro lavori al pubblico dell'Esposizione universale. Saranno presentate 4 unità didattiche al giorno per un totale di 736 progetti, rappresentativi delle 20 regioni;
    con «Vivaio Ricerca» il Consiglio nazionale delle ricerche presenterà al Padiglione Italia un programma di 24 eventi di carattere interdisciplinare legati al tema agricoltura e ambiente;
    occorre prendere in considerazione un secondo aspetto nell'educazione alimentare che non ha direttamente a che vedere con la quantità/qualità del cibo, ma con il significato simbolico della nutrizione e con l'immagine della corporeità: si tratta dei disturbi del comportamento alimentare, denominazione che sembra quasi volere, ancora una volta, spostare l'attenzione all'oggettività dell'alimentarsi, piuttosto che alla soggettività dei vissuti corporei in relazione alla dimensione dell'essere se stessi/e;
    che i sintomi più diffusi, anoressia e bulimia, accomunati dalla difficoltà di essere e di poter essere il proprio corpo, richiedono altrettanta urgenza educativa nel porre in questione una segreta e dolorosa ferita nell'immagine di sé che spinge giovani ragazze a ricercare anche la morte possibile nell'invisibilità della diafana trasparenza del corpo; si continua a vivere in quei corpi scarnificati sconfinando ambiguamente nel morire; il problema educativo passa in questo caso dalla dignità del corpo, contro ogni forma di negazione, di enfatizzazione o di esibizione della corporeità;
    l'attenzione all'alimentazione nelle scuole può anche essere un primo strumento per cogliere in tempo i primi segnali di disturbi alimentari sempre più diffusi soprattutto in età adolescenziale. Il percorso che ogni adolescente deve compiere per passare dall'infanzia all'età adulta è sempre complesso. Ecco perché alcuni giovani risponderebbero a questo momento di difficoltà modificando il proprio comportamento alimentare ed esprimendo il proprio disagio attraverso vari disturbi del comportamento alimentare. Nessuno, però, è ancora in grado di stabilire quali siano le reali cause dei disturbi del comportamento alimentare. Per molti esperti, si tratta di sintomi risultanti dalla complessa interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Alcuni insistono sull'influenza negativa che possono avere un eccesso di pressione e di aspettative da parte dei familiari o, al contrario, sull'assenza di riconoscimento e di attenzione da parte dei genitori, degli insegnanti e più generalmente degli adulti che li circondano. Altri sottolineano l'importanza di traumi vissuti durante l'infanzia, come le violenze e gli abusi sessuali, fisici o psicologici. Altri ancora condannano l'impatto che potrebbero avere alcuni messaggi veicolati dalla società: uno dei motivi per cui alcune ragazze inizierebbero a sottoporsi a diete eccessive sarebbe la necessità di corrispondere a determinati canoni estetici che premiano la magrezza, anche nei suoi eccessi;
    l'educazione all'alimentazione non può di per sé essere una risposta alla drammaticità del problema, ma rischia addirittura di essere dannoso, sottovalutando il fatto che, nei disturbi del comportamento alimentare, il cibo, in quanto tale, è solo un pretesto, il sintomo di un malessere molto più profondo. Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, il mangiare o il non-mangiare non hanno più niente a che vedere con la fame;
    interrogarsi sul rapporto tra cibo, corpo e fame attraverso il prisma dei disturbi del comportamento alimentare significa innanzitutto interrogarsi sui meccanismi che portano alcune persone ad utilizzare il corpo e la fame per dire quello che non riescono a dire altrimenti. Nel loro corpo emaciato, le anoressiche sfidano la morte, proprio mentre la portano in giro come una medaglia da mostrare; sfidano i desideri negando i bisogni primari del proprio corpo, proprio mentre il desiderio non riesce più ad emergere; sfidano le norme sociali per sentirsi libere, proprio mentre costruiscono da sole un sistema intransigente di leggi che non possono trasgredire;
    per rendere possibile la costruzione di una nuova immagine di sé occorre un percorso educativo/rieducativo capace di recuperare nuove modalità di rapporto con il proprio corpo come espressione di sé; pur nella complessità delle sfaccettature si può affermare che il cibo rappresenta il nutrimento, il calore, l'amore: la bulimia e l'anoressia sono spesso comportamenti che indicano depressioni «mascherate», dai contorni sfuggenti, nei quali è tuttavia innegabile l'influenza di una cultura del corpo che si fa peso insopportabile e risucchia ogni intenzionalità legata a sé, al mondo e agli altri e si accompagna all'esperienza della solitudine; dall'immagine ideale di un corpo snellissimo fino ai limiti dell'evanescenza incorporea la persona anoressica giunge a negare la fame, la fatica, la stanchezza, in una volontà di movimento senza sosta e senza riposo,

impegna il Governo:

   ad affrontare le attività di educazione alimentare nella scuola mediante un approccio sistemico capace di attivare ampie sinergie che coinvolgano tutti i soggetti della vita sociale – le istituzioni socio sanitarie, gli enti locali, l'industria alimentare, il mondo agricolo, della distribuzione, della vendita e della comunicazione e, soprattutto, le famiglie – univocamente finalizzate alla promozione del benessere, come indispensabile elemento di crescita comune incentivando la consapevolezza dell'importanza del rapporto cibo-salute;
   a promuovere, in tale contesto, una «cultura del benessere» che, da un lato, favorisca la prevenzione dell'insorgenza di patologie dell'età adulta, quali diabete, tumori e patologie cardiovascolari mediante la riduzione dei fattori di rischio connessi alla sedentarietà e ad una scorretta alimentazione e, dall'altro, si riappropri di uno degli aspetti fondamentali della cultura secolare italiana dell'alimentazione quali il «piacere della tavola» e la convivialità, utilizzando concretamente il «valore aggiunto» in termini di salute, benessere e qualità della vita che offre l'alimentazione di tipo mediterraneo;
   a promuovere, nell'ambito delle attività di educazione alimentare, la conoscenza del sistema agroalimentare attraverso la comprensione delle relazioni esistenti tra sistemi produttivi e distributivi, in rapporto alle risorse alimentari, all'ambiente e alla società;
   ad informare ogni attività di educazione alimentare, secondo un'immagine del cibo che ne identifichi: valore nutritivo; sicurezza; caratteristiche sensoriali; rispetto dell'ambiente e delle risorse nella produzione, distribuzione e consumo; valutazione della sostenibilità quale parametro connesso all'impatto che le produzioni agroalimentari hanno sull'ambiente e sull'organizzazione sociale; rispetto dei fondamentali principi etici nella produzione e distribuzione (equità sociale, benessere animale ed altro); gratificazione nell'acquisto e nel consumo;
   a mettere in atto, anche nelle scuole, tutte le azioni necessarie per una piena attuazione del Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) mediante strumenti e soluzioni che favoriscano e facilitino la donazione delle eccedenze e dei prodotti non consumati attraverso la semplificazione, razionalizzazione e l'armonizzazione del quadro di riferimento normativo procedurale, fiscale e igienico-sanitario;
   a potenziare tutte le strategie pedagogiche possibili per prevenire i disturbi del comportamento alimentare, soprattutto potenziando l'educazione alla soggettività corporea che ancora sconta la mancata individuazione di strategie educative rispetto a ciò che significa crescere come soggetti corporei, nei percorsi formativi scolastici e familiari;
   a favorire, fin dall'infanzia e dall'adolescenza, tramite la scuola e le altre agenzie educative, ma soprattutto coinvolgendo i media, la consapevolezza del valore della propria specificità e unicità esistenziale, incoraggiando il diventare soggetti-corpo, in quanto una delle dimensioni educative fondamentali è quella di conservare la consapevolezza e la responsabilità del corpo che «siamo», iniziando dal nutrimento del un corpo-persona.
(1-00839) «Malpezzi, Gadda, Coscia, Iori, Marzano, D'Incecco, Cenni, Blazina, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Manzi, Narduolo, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Andrea Romano, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa sollevano pesanti interrogativi sui rapporti intrattenuti da alcuni soggetti pubblici con Salvatore Di Gangi, fratello di Vittorio detto er Nasca, indicato dagli investigatori come capo di un giro di usura; i fratelli risultano, insieme, implicati secondo la questura, in «numerosi procedimenti penali per reati associativi, truffa, contro la persona e in materia di sostanze stupefacenti insieme all'altro fratello Aldo, nonché rinviati a giudizio per estorsione»;
   da fonti di stampa in data 19 marzo 2015 si apprende che dalle carte dell'inchiesta sul sistema Incalza emerge una grande familiarità tra l'allora Ministro Lupi e il citato Di Gangi;
   da quanto riportato da Il Fatto Quotidiano e da altri organi di stampa nelle carte dell'inchiesta del Ros su Incalza emerge che Di Gangi chiama Cavallo che si trova a Londra a una manifestazione in memoria di San Tommaso Moro. Dopo i saluti, a richiesta di Di Gangi, Cavallo passa il telefono a Lupi che gli è vicino: «...ma che c’è Maurizio lì vicino?...è lui che parla?». «Aspetta che te lo passo. Vai – dice Cavallo passando il telefono al Ministro – che ti vuole salutare Salvatore». Lupi rimprovera Di Gangi: «Non vieni mai alle nostre cose...». Poi, nella conversazione è Di Gangi a dire «Io se non vi sto vicino...sto male...capito?....vi sto vicino da lontano». Anche successivamente alla trasferta londinese di ottobre, Cavallo chiama Salvatore Di Gangi nel corso di una cena. È la vigilia di Natale e ancora una volta gli passa al telefono il Ministro. «Torni a Roma dopo Natale? Quando hai un attimo di tempo se c’è Frank (Cavallo, ndr) andiamo a mangiare un boccone insieme», dice Di Gangi a Lupi;
   nonostante le smentite della SIPRO-sicurezza professionale in merito a presunti legami con il Di Gangi Salvatore effettivamente nelle carte dell'inchiesta sul Tav di Firenze, i carabinieri del Ros intercettano il Di Gangi stesso, almeno fino 2014, su un'utenza cellulare intestata alla SIPRO-sicurezza professionale con sede a Roma in via Di Salone 137, come riportato da fonti di stampa;
   sempre secondo fonti di stampa, il Ros afferma che la SIPRO-sicurezza professionale è integralmente controllata dalla SIPRO Holding srl in cui compaiono come soci le figlie di Salvatore Di Gangi; il presidente del Consiglio di amministrazione della nuova società che ha rilevato nel frattempo le quote della SIPRO-sicurezza professionale, è Maria Rita Tardi, moglie del Di Gangi stesso. «Verificato che i due sono coniugi conviventi – si legge – si ritiene di non poter escludere tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società». Per questo motivo ha difficoltà a vedersi rilasciato il certificato antimafia indispensabile per partecipare a gare pubbliche, fra cui anche il servizio di vigilanza presso la sede del consiglio regionale del Lazio. Il certificato antimafia, secondo quanto comunicato dall'ufficio legale della stessa società di sicurezza privata, sarebbe stato rilasciato dalla prefettura nel settembre del 2009, quattro mesi dopo la sentenza del Consiglio di Stato che l'aveva sospeso. Due mesi dopo l'istanza di revisione presentata dal nuovo amministratore unico della SIPRO Holding, non legato a Di Gangi da alcuna parentela;
   fra le tante disavventure occorse a Salvatore Di Gangi, occorre ricordare già prima del 2006 i suoi rapporti all'interno del consorzio Pegaso (che avrebbe dovuto salvare l’«Istituto di vigilanza Urbe» da una profonda crisi economica) con il presidente del consorzio stesso, quel Fabrizio Montali indagato per tentata estorsione dal pm Lucia Lotti della procura di Roma che ne ha già chiesto il rinvio a giudizio per riciclaggio, corruzione e intestazione fittizia di beni con l'aggravante di mafia. Montali sarebbe stato il prestanome di Enrico Nicoletti, accusato di essere il cassiere della banda della Magliana. Anche Di Gangi in passato si è incrociato con Nicoletti: è stato socio al 50 per cento di un'immobiliare che, per l'altra metà, è stata sequestrata a don Enrico ...»;
   ancora nello stesso periodo la stampa si occupa di lui; si dice: «Salvatore Di Gangi, siciliano, inquisito per una lunga serie di reati. E ciò nonostante dominus di una delle più emergenti tra le aziende che si occupano di sicurezza privata in Italia. L'azienda di Di Gangi si chiama Sipro, e nasce nel segno della P2. A fondarla, infatti, è Antonino Li Causi, tessera 526 della loggia guidata da Licio Gelli, un siciliano trapiantato a Roma. Nel 1994 la Sipro viene rilevata da un altro isolano di stanza nella capitale: è lui, Di Gangi, nato nel 1946 a Canicattì. Quando rileva la SIPRO, Di Gangi a Roma si è già ben ambientato, ha amici politici e rapporti d'affari. E anche frequentazioni oscure; suo fratello Vittorio detto Er Nasca bazzica gli ambienti della Banda della Magliana, l'altro fratello Aldo detto Buscetta inanella denunce. Ma ciò non impedisce alla Sipro, sotto la guida dell'energico siciliano, di crescere, espandersi, conquistare appalti privati e pubblici: questi ultimi soprattutto nelle Poste e nella Difesa, da anni feudo della destra. Per allargarsi, Di Gangi non disdegna metodi sbrigativi, come truccare gli appalti mettendosi d'accordo con i concorrenti. Ed è così che entra nella indagine da cui, figliando come amebe, scaturiscono quasi tutte le inchieste successive, compresa quella che oggi colpisce Storace. L'inchiesta-madre è quella sull'Ivri, il più grosso istituto di vigilanza privata italiano, accusato di comprare appalti a suon di tangenti. Di Gangi finisce inquisito per avere addomesticato in combutta con Ivri una gara per la vigilanza sulle caserme dell'esercito. Il suo telefono viene messo sotto controllo. Il 2 febbraio 2004, alle 10,50, parlando con un amico, Di Gangi commenta le intercettazioni telefoniche che hanno incastrato i vertici dell'Ivri e fa un'affermazione pesante: «In effetti se li hanno inc... perché hanno il 348, non c'hanno il 335... se c'hanno il 335 ’sto figlio de (...) di Tavaroli se li avvertiva subito». «348» è il prefisso dei cellulari Vodafone, «335» di quelli Telecom. Tavaroli è Giuliano Tavaroli, il capo della sicurezza di Telecom, che a causa di quella telefonata finirà nel registro degli indagati con l'accusa di rivelazione di segreto d'ufficio. Oggi Di Gangi è un imprenditore talmente rispettabile che il 27 aprile dell'anno scorso (2005 n.d.a.) l'Unione Industriali di Roma lo ha designato alla guida della nuova associazione di settore dedicata al mondo della security aziendale, la Sezione Sicurezza. E, a dispetto dei dispiaceri giudiziari, la Sipro sta allargando a vista d'occhio il suo giro d'affari. A Milano, per esempio, ha ottenuto un contratto per la sicurezza della Fiera, andando ad occupare lo spazio lasciato libero dai rivali di Ivri: gli stessi con cui, secondo la Procura milanese, si accordava per taroccare le gare d'appalto.»;
   nel 2014, in pieno scandalo sui biglietti dell'ATAC taroccati per un valore di 70 milioni di euro si scopre che la SIPRO è «l'azienda che gestisce lo stoccaggio dei biglietti e raccoglie il contante delle vendite. ... Il Sistema Atac vede un significativo numero di società – «Pragmata srl», «G.A. srl», «Edil Group 2002», «Orizzonti srl», «Italconsulting srl», «Tanya invest srl», «Santa Rita srl.», «XXXIII Ottobre srl» – che hanno fornito «consulenze» con lo scopo di dissimulare trasferimenti all'estero o di «ostacolare l'identificazione della provenienza illecita del denaro». Veicoli di riciclaggio che portano a San Marino, e di lì a Singapore, Hong Kong, Andorra. Tra i «veicoli di riciclaggio» indicati dalla procura, come riferisce «repubblica.it», compare la «Italconsulting srl» di cui, fino al 2007, è azionista di maggioranza proprio Gabbuti, ex amministratore delegato di ATAC. In quell'anno la società viene ceduta alla «Chita Immobiliare» di Salvatore Di Gangi e delle figlie Alessandra e Francesca. Un incrocio sorprendente perché i Di Gangi sono proprietari della «SIPRO», il colosso della security che, per Atac, gestisce lo stoccaggio dei biglietti. Soprattutto, Di Gangi torna all'attenzione delle indagini della procura sulla base di alcune indicazioni riservate (la cui attendibilità è oggetto di riscontro) per asseriti rapporti all'interno del tribunale di Roma funzionali a ripulire gli archivi giudiziari da precedenti che avrebbero interdetto la «SIPRO» e il suo amministratore Giampiero Vitocolonna dalla partecipazione a gare pubbliche;
   ultima arrivata, in ordine di tempo, fra i clienti della SIPRO la regione Campania che nel bel mezzo della bufera economica aggiudica un appalto da ben 2 milioni 900 mila euro «per l'affidamento dei servizi di vigilanza armata ecc. presso le sedi della giunta regionale della Campania di Napoli e San Marco Evangelista (Ce)» all'associazione temporanea d'imprese formata da Sipro Campania srl, Metrovox srl e National services srl. Le prime due fanno capo all'ammiraglia, SIPRO Sicurezza Professionale srl; un caso altrettanto significativo si è verificato nella regione Lazio che «Sfidando indagini di polizia, provvedimenti prefettizi, sentenze del Consiglio di Stato, durissime prese di posizione di AVCP, ossia l'autorità di vigilanza sui contratti pubblici che in effetti era stata durissima e inequivoca aveva proseguito in un appalto nonostante quanto rilevato dalla prefettura (il pericolo d'infiltrazioni mafiose) e addirittura aveva prorogato la stessa commessa, quando sarebbe stato logico e naturale indire una nuova gara;
   come si è già visto da fonti di stampa, la figura di Salvatore Di Gangi si incrocia anche con quella di Giuliano Tavaroli (coinvolto nell'inchiesta Telecom SISMI sul «dossieraggio» riguardante numerosi personaggi dell'industria e della politica) in quanto proprietario di un'azienda (Data General Security), che si occupa di attività di bonifica telefonica e ambientale, e con quella dell'On. Lorenzo Cesa con cui si ritroverà coinvolto nell'inchiesta «Poseidone» condotta dall'allora pm di Catanzaro Luigi de Magistris, allorquando lo stesso On. Cesa gli offre di acquistare quote della sua azienda specializzata in DVD che serviva a coprire illeciti nell'erogazione di finanziamenti provenienti dall'Unione europea e dalla regione Calabria;
   il gruppo SIPRO annovera tra i suoi clienti principali: Ministero della difesa, comune di Roma, Istat, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, RAI, Ferrovie dello Stato, ACI, Ministero delle comunicazioni, Atac, Università Tor Vergata e Roma Tre, Auditorium Parco della Musica, Poste italiane, Enav, Asl RM C, Cotral, regione Lazio, Trenitalia, INAIL, Agenzia del territorio, Garante protezione dati personali, INPS, Equitalia, Anas, Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'economia e delle finanze e, ovviamente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se il Presidente del Consiglio e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Presidente del Consiglio intenda fare immediata chiarezza, nel rispetto e nei limiti delle proprie e altrui competenze, sui legami che i massimi livelli delle istituzioni intrattengono o hanno intrattenuto con tale Salvatore Di Gangi, fratello di Vittorio, detto ER NASCA in affari con il tesoriere della banda della Magliana;
   se il Presidente del Consiglio intenda provvedere urgentemente, per quanto di competenza, affinché tutte le istituzioni non abbiano più rapporti economici con le società riconducibili, direttamente o indirettamente al Di Gangi;
   se il Governo intenda, nei limiti delle proprie competenze, fare chiarezza su tutti i contratti pubblici che sussistono tra le società riconducibili alla SIPRO Holding srl, al Di Gangi e ai suoi familiari o prestanome e organi o apparati dello Stato.
(2-00948) «Baroni, Tofalo, Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 2 gennaio 2015, il Ministero dell'economia della Croazia comunica che il Governo di Zagabria ha concesso 10 licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico, in seguito alla gara pubblica chiusasi il 2 novembre 2014. Appare evidente che le concessioni 25 e 26, appannaggio della INA e nello specchio d'acqua prospiciente le coste pugliesi, ricadano in un'area in cui la presenza di ordigni inesplosi è imponente;
   la presenza di tali ordigni, caricati con aggressivi chimici, è accertata dalle mappe redatte dall'ISPRA e utilizzate dal progetto RED COD (Research on Environmental Damage caused by Chemical Ordnance Dumped at Sea), con cui la Commissione europea ha cofinanziato l'approfondimento di ricerche sul tema;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è a conoscenza della problematica e ha già accolto, lo scorso novembre, le osservazioni del «Comitato Bonifica Molfetta», presentate contro la richiesta di concessioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi della Global Petroleum Limited, nello specchio d'acqua di fronte alle coste pugliesi (sottozone d80- F.R-.GP, d81- F.R-.GP, d82- F.R-.GP, d83 F.R-.GP);
   le prospezioni geofisiche che si vorrebbero condurre con tecniche Air-Gun (e simili), le future trivellazioni di pozzi provvisori e definitivi, probabilmente non sono mai state messe in correlazione con le migliaia di ordigni bellici affondati nelle sottozone di cui si chiede l'indagine e nelle altre zone confinanti. La probabile interazione fra le ricerche, le trivellazioni e gli ordigni presenti, rappresenta un potenziale pericolo inaccettabile per la tutela e la salubrità delle acque, della fauna marina e dei cittadini;
   il Governo croato e la società concessionaria delle concessioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi, con ogni probabilità non hanno la conoscenza adeguata della situazione dei fondali, nelle zone interessate dalle concessioni, e dei potenziali rischi cui sottopongono i cittadini dei paesi che si affacciano in Adriatico –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente un intervento sul Governo croato, per segnalare la situazione di pericolo descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover chiedere al Governo croato di fermare le concessioni per le ricerche di idrocarburi nelle acque dell'Adriatico, facendo valere un principio di precauzione rispetto ai potenziali pericoli che potrebbero generarsi per i cittadini italiani.
(5-05454)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 settembre 2014 è stato pubblicato l'avviso di avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di pubblica utilità conseguente all'approvazione del progetto definitivo «corridoio plurimodale padano asse ferroviario Torino-Trieste sul corridoio 5 Lione-Kiev (corridoio mediterraneo) linea ferroviaria av/ac Milano-Verona: lotto funzionale Brescia-Verona»;
   chiunque avesse interesse poteva fare pervenire le proprie osservazioni relativamente alla disponenda dichiarazione di pubblica utilità da parte del CIPE entro il termine di 60 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione dell'avviso;
   in data 29 settembre 2014 è stata pubblicata sui quotidiani la comunicazione di avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale per la quale la scadenza della presentazione delle osservazioni era fissata per il giorno 6 novembre 2014;
   in data 10 febbraio 2015 venivano pubblicati la relazione di risposta alle integrazioni ed i relativi allegati;
   da una analisi delle risposte alle numerose osservazioni sembrerebbe rilevarsi come non si entri nel merito delle questioni e si sbrighi la pratica rispondendo spesso che l'osservazione «non risulta pertinente», senza nemmeno tenere in considerazione alcuna alternativa che possa limitare l'impatto ambientale;
   nei giorni scorsi è esplosa in tutta la sua dirompenza, l'indagine nota come «Sistema Incalza» dal nome del funzionario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Ercole Incalza, avviata dalla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Firenze che ha coinvolto anche il consorzio Cepav Due che in qualità di general contractor si occupa della realizzazione della linea ferroviaria alta velocità / alta capacità Milano-Verona;
   tra gli indagati risulta l'architetto Ettore Fermi, consulente di Cepav 2, e ad oggi anche presidente della società Metro Brescia s.r.l.;
   l'accusa, stando a notizie giornalistiche è di «Induzione indebita a dare o promettere utilità», reato previsto e punito dall'articolo 319-quater c.p.;
   a seguito della notizia ha rassegnato le proprie dimissioni dal ruolo di Ministro il deputato Maurizio Lupi;
   il comune di Brescia detiene il 99,74 per cento della società Brescia Mobilità spa, la quale, a sua volta, detiene il 51 per cento della società Metro Brescia s.r.l. costituita in data 26 ottobre 2011 al fine di occuparsi della manutenzione del «Metrobus» o Metropolitana Leggera di Brescia;
   il codice etico redatto per la società controllata Metro Brescia s.r.l. all'articolo 4 intitolato «Amministratori e sindaci» prevede che: «I componenti degli organi consortili sono impegnati a (..) rimettere il proprio mandato qualora per motivi personali, professionali o oggettivi la loro permanenza possa essere dannosa per l'immagine dell'ente»;
   il presidente di Metro Brescia s.r.l., Ettore Fermi, nonostante le richieste avanzate a mezzo stampa e una interrogazione al comune di Brescia (prot n. 0039520/2015 del 26 marzo 2015) depositata dal capogruppo consigliare del MoVimento 5 Stelle, Laura Gamba, non pare orientato a rassegnare le proprie dimissioni;
   sono numerosi gli ulteriori scandali e le indagini che affiancano le grandi opere come la TAV; non ultima l'indagine che lo scorso primo luglio ha spedito in carcere 20 persone dopo l'inchiesta sugli interessi delle cosche negli appalti per le opere preliminari dell'alta velocità, svelando l'esistenza di una cosca distaccata nelle provincia di Torino con interessi nelle attività edili e negli appalti e per la quale nelle prossime settimane la procura potrebbe chiedere il processo per le 31 persone coinvolte nell'inchiesta;
   la TAV e moltissime grandi opere inserite nel programma della legge obbiettivo sono opere ritenute inutili e dannose da molti cittadini, comitati e studi redatti da esperti internazionali, tant’è che secondo i dati contenuti nel nono rapporto Camera Deputati-Cresme, redatto in collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione, a 14 anni dalla legge obiettivo, i costi per la realizzazione delle opere sono lievitati ben del 40 per cento e solo l'8 percento delle stesse è stato ultimato, a riprova di quanto fossero non urgenti per il Paese;
   il 24 ottobre 2014 il Sole 24 Ore ha pubblicato documenti di RFI dai quali risulterebbe che il costo della tratta internazionale della Torino-Lione non sarebbe di 2,9 miliardi ma di 7 miliardi di euro. Le previsioni di costo aggiornate emergono dal contratto di programma Rfi 2012-2016, firmato l'8 agosto 2014 dall'ex Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi e dall'amministratore delegato di Fs, Michele Elia –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se alla luce di quella che all'interrogante appare superficialità nelle risposte alle osservazioni al progetto presentate da cittadini, enti ed imprese, e della mancanza di giustificazioni che garantiscano un impatto ambientale sostenibile, la commissione incaricata di valutare il progetto, abbia in qualche modo la possibilità di sospendere e annullare l'esecuzione del progetto medesimo;
   se non ritengano opportuno in attesa dell'esito delle indagini, assumere iniziative per una sospensione dei lavori relativi alla realizzazione della tratta ferroviaria AV-AC Brescia-Verona;
   se non ritengano opportuno rivedere il progetto al fine di tutelare il territorio, anche riqualificando le linee ferroviarie esistenti;
   quale sia il totale di costi, sanzioni e accessori da prevedere qualora si ritenesse di sollevare lo Stato italiano da ogni convenzione in essere con la società Cepav Due;
   quale sia il totale di costi, sanzioni e accessori da prevedere qualora si ritenesse di rinunciare fin d'ora alla ultimazione dei lavori per la realizzazione della grande opera TAV Lione-Trieste-Budapest, per la tratta sul territorio italiano;
   se non ritengano opportuna l'immediata interruzione dei lavori e la rinuncia alla realizzazione della tratta italiana del Corridoio Mediterraneo. (4-08954)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SEGONI, BARBANTI, RIZZETTO, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, TURCO e ARTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa (Il Fatto Quotidiano del 23 aprile 2015) della vicenda relativa alla lottizzazione «Pietramaratea», consistente in almeno 30 mila metri cubi previsti in località Santa Caterina (Potenza), al centro del Golfo di Policastro, in un'area di altissimo pregio paesaggistico/culturale e caratterizzata da criticità dal punto di vista del dissesto idrogeologico (ufficialmente la lottizzazione si estende a ridosso di un'area R4 – ovvero ad alto rischio – ma studi più recenti suggerirebbero che l'area R4 in realtà dovrebbe essere estesa fino a comprendere il terreno interessato dalla lottizzazione). Il sito è inoltre inserito nel Programma europeo Natura 2000 che classifica quel tratto di costa come eccellenza continentale, inoltre è attualmente in corso di valutazione, da parte di UNESCO, l'attestato di patrimonio dell'umanità;
   nel 1981 il comune di Maratea approva la lottizzazione per la costruzione del megacomplesso turistico Pianetamaratea, attualmente esistente sull'altro costone della montagna, invisibile dal mare, ma il cui completamento – che riguardava anche la parte affacciata sul Tirreno – non è avvenuto entro i dieci anni previsti per legge;
   nel 2007, il comune riconsidera il progetto adottando una delibera per la «sanatoria del complesso turistico», approvando la realizzazione di nuove costruzioni sul versante a rischio idrogeologico alle società sviluppo Maratea e Simar srl;
   nell'agosto 2010 viene approvata la Convenzione di «adempimenti ancora da assolvere nel complesso alberghiero Pianetamaratea per nuove edificazioni», avviando così l’iter per la costruzione di «residenze turistiche» per un totale di 30 mila metri cubi di cemento;
   l’iter non sottostà ad alcuna verifica ambientale, dal momento che il 19 luglio 2011 la regione Basilicata la lottizzazione sul Golfo di Policastro «di piccola entità» e quindi non deve essere soggetta né a VAS né a VIA, nonostante la normativa europea imponga la verifica ambientale strategica a piani di lottizzazione che superano la soglia volumetrica di 25 mila metri cubi;
   il 18 aprile 2012, il comune approva la variante al piano di fabbricazione, giustificandola come «intervento di interesse pubblico»;
   nel dicembre 2014 Italia Nostra si rivolge al Tar di Potenza (che respinge il ricorso) e al Consiglio di Stato, il quale in un primo momento concede la sospensione della variante, ma successivamente (fine febbraio 2015) concede il via libera;
   successivamente, Italia Nostra impugna la determina di non assoggettabilità alla VAS presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che dovrà rispondere entro trenta giorni, pena la possibilità di un'ulteriore ricorso al TAR;
   vicende come questa, anche quando non direttamente coinvolte in disastri idrogeologici favoriti dalla dissennata gestione del territorio, riportano in evidenza l'attualità e l'urgenza di ridurre il consumo di suolo e difendere il territorio da impermeabilizzazione e cementificazione –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra riportati, non ritenga opportuno esprimersi entro i tempi previsti dalla legge, a favore di una verifica di assoggettabilità a Vas del progetto in questione;
   quali iniziative di portata generale intenda intraprendere per fare in modo che la pianificazione urbanistica e del territorio si avvalga delle conoscenze tecnico/scientifiche più avanzate e delle mappature più recenti disponibili, in modo da tenere adeguatamente in considerazione le dinamiche dei versanti e dei corsi d'acqua, che anche in virtù dei cambiamenti dinamici in atto sono soggette a costanti evoluzioni. (5-05447)


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI, ZOLEZZI, RUOCCO, BARONI, LOMBARDI e DI BATTISTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 304, della legge 147 del 2013, (cosiddetta legge di stabilità 2014) ha introdotto una disciplina specifica per favorire l'ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi (prioritariamente mediante il recupero di impianti esistenti o la localizzazione in aree già edificate);
   nella proposta di delibera di assemblea capitolina n. 163 del 2014 prot. n. RC/17866/14 (Dec. Giunta comunale n. 83 del 4 settembre 2014) relativa alla realizzazione del nuovo stadio a Tor di Valle, in variante al piano regolatore, e in deroga al piano generale del traffico urbano, presentata dalla società promotrice Eurnova s.r.l., è prevista la dichiarazione di pubblico interesse dell'opera, ai sensi della lettera a) comma 304, articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (la suddetta legge, in virtù della quale permetteranno queste cubature, in realtà non prevede deroghe che comportino varianti urbanistiche);
   il decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49, che recepisce la direttiva comunitaria 2007/60 relativa alla valutazione ed alla gestione del rischio alluvioni, stabilisce all'articolo 7 che entro il 22 giugno del 2015 il piano di gestione del rischio alluvioni per il distretto idrografico dell'Appennino centrale sia ultimato e pubblicato. Le mappe dell'autorità di bacino del fiume Tevere rivelano che nella zona di Tor di Valle, esiste una pericolosità P3, cioè un'elevata probabilità di alluvioni nella fascia golenale del Tevere, mentre, nell'area dell'ippodromo sussiste una pericolosità P2 (alluvioni poco frequenti);
   nella medesima zona di Tor di Valle (nell'area dell'ex ippodromo), dovrebbe sorgere nuovo Stadio della A.s. Roma. Il progetto presentato della società Eurnova s.r.l si compone di un quadro progettuale A che prevede la realizzazione dello stadio (comprensivo di servizi e usi commerciali) e di un quadro progettuale B, il cosiddetto business park, (che comprende il centro direzionale e gli uffici non strettamente funzionale alla fruibilità dello Stadio): nel complesso si prevede di edificare oltre un milione di metri cubi (di cui circa il 14 per cento è destinato allo stadio);
   l'Istituto nazionale di urbanistica, come da fonti stampa si apprende, rileva che il progetto stravolge il piano regolatore della città e che le nuove infrastrutture di trasporto non riusciranno a garantire un significativo miglioramento delle condizioni di vita dei pendolari e dei residenti delle zone limitrofe;
   la legge sugli stadi, la legge n. 147 del 2013, commi 304 e 305, dispone che «Lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi di intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale»: la norma di riferimento risulta stravolta da un progetto come quello dello stadio dell'A.s. Roma, in cui gli interventi di «altro tipo» risultano essere pari a circa l'86 per cento –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra citati;
   se il Governo, in virtù dell'articolo 1, commi 304 e 305 della legge 147 del 2013 e della priorità attribuita al recupero di impianti esistenti o localizzati in aree già edificate, non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite della competente autorità di bacino, valutare il pericolo di alluvioni per la zona di Tor di Valle, confermato dalla valutazione preliminare del rischio alluvioni;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a chiarire la portata delle disposizioni di cui ai commi 304 e 305 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, considerando che, ad avviso degli interroganti, tali disposizioni potrebbero essere applicate in maniera impropria. (5-05450)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana è attraccata al porto commerciale di Augusta, in Sicilia, la nave «Rita Br» con a bordo migliaia di tonnellate di rifiuti prodotti dall'acciaieria «Ilva» di Taranto, in particolare si tratterebbe del polverino che gli elettrofiltri trattengono dai fumi dell'altoforno. Tale materiale sarà sbarcato e smaltito nella discarica Cisma, ubicata a metà strada tra i territori di Augusta e Melilli;
   i cittadini e le associazioni ambientaliste si sono subito mobilitati esprimendo la loro preoccupazione per questa situazione e chiedendo spiegazioni in merito ai motivi che hanno spinto gli organi competenti ad autorizzare il trasferimento di sostanze, a loro dire, altamente tossiche in un territorio come quello di Augusta, Priolo, Mellili già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale;
   si ricorda che il Sin Priolo è costituito dai 4 Comuni di Siracusa, Augusta, Melilli e Priolo. Tutta l'area nel lontano 1990 è stata dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale e nel 1998 sito di interesse nazionale ai fini delle bonifiche proprio per l'esistenza di numerose discariche, abusive e non, di fondali del porto contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, di una cattiva qualità dell'aria, della compromissione delle falde idriche inquinate da idrocarburi e non ultimo di una grave questione sanitaria. Sulla base di queste emergenze si sono programmati gli interventi di bonifica e di rimozione dei rifiuti e dei veleni che però non sono stati attuati lasciando il territorio nel degrado ed i cittadini a patire le conseguenze sanitarie di questo stato di cose;
   lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo ad uno dei numerosi atti di sindacato ispettivo ha avuto modo di sottolineare che: «il SIN, sito di interesse nazionale, di Priolo, Augusta, Melilli è uno dei più problematici in Italia. Su di esso si sono stratificati sessant'anni di industria chimica e della raffinazione: da Moratti alla Liquichimica negli anni Cinquanta, alla Montedison, alla Esso, alla ERG fino all'odierna Lukoil. Almeno per la metà di questi sei decenni, l'attività delle varie industrie che si sono succedute nell'area si è svolta senza che all'epoca esistessero cogenti normative ambientali, con fenomeni gravi di inquinamento che sono purtroppo simili a tutti gli altri siti industriali storici del nostro Paese»;
   la notizia dell'arrivo della nave ha suscitato, dunque, preoccupazione ed indignazione in città dove c’è molta apprensione per i rischi connessi allo scarico ed al posizionamento dei rifiuti. Per Legambiente Sicilia si tratterebbe di rifiuti «speciali» per l'autorità portuale di Augusta invece di semplici rifiuti;
   l'associazione ambientalista ritiene inoltre che lo stoccaggio del rifiuto doveva essere preventivamente autorizzato dall'Arpa, cosa che invece non è stata ritenuta necessaria dalle autorità istituzionali competenti. Infatti, l'associazione sostiene che: «il polverino d'altoforno» costituito per la maggior parte da polveri di carbon coke, di minerali e di ossidi di ferro – essendo un «rifiuto speciale» come tale deve essere trattato sia con riferimento al trasporto sia per quanto concerne lo smaltimento. Di conseguenza, essendo un materiale polverulento, dovrebbe essere trasportato su camion coperti, caricato e scaricato con sistemi a circuito chiuso o che comunque evitino il sollevarsi di nubi di polveri inoltre, tutte le persone addette devono essere munite di protezioni e di mascherine con filtro;
   secondo la capitaneria di porto che ha effettuato a bordo un controllo della documentazione del carico, tutto infatti risulta in regola e le operazioni di sbarco del prodotto hanno potuto avere regolarmente corso –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso in merito ai fatti esposti in premessa, in particolare con riferimento la trasporto di rifiuti dal polo industriale dell'Ilva ad Augusta;
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di assumere al fine di verificare la natura dei rifiuti che dovranno essere smaltiti a «Cisma» e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano rispettate tutte le norme sia in materia ambientale che con riguardo alla tutela della salute affinché le popolazioni che risiedono in quest'area, già fortemente compromessa, non debbano subire ulteriori danni. (4-08947)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni si è determinata sempre più una grave situazione di degrado igienico-sanitario nell'ambito di tutte le basi della Marina militare che insistono nella giurisdizione di Marisicilia Augusta, presenti nell'area geografica da Palermo a Messina fino a porto Palo di Capo Passero, con grandissimi disagi per il personale civile e militare che in esso vi opera;
   tale situazione si è prodotta a seguito dei costanti tagli ai fondi destinati all'attività di pulizie che, dal 2008, hanno subito decurtazioni annuali progressive dal 10 per cento fino all'attuale 75 per cento (da 120.000 euro a 30.000 euro mensili) con ovvie ripercussioni sul servizio erogato, che si è andato drasticamente ridimensionando rispetto ai diversi passaggi mensili di pulizia degli uffici, delle officine, delle mense, delle cucine, dei circoli, dell'ospedale, dei luoghi comuni, delle aree esterne; la pulizia giornaliera dei servizi igienici, era assicurata originariamente da una forza lavoro di circa 120 unità lavorative complessive per tutti i comprensori della giurisdizione; alla situazione attuale si prevede un solo passaggio settimanale di pulizia per i soli servizi igienici, neanche sempre garantito in quanto, nel frattempo, il personale impiegato si è ridotto a 96 unità e tra questi 53 nella base militare di Augusta;
   una situazione che, in tutta evidenza, non risulta compatibile con le disposizioni in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo 81 del 2008, se alle responsabilità che ne conseguono, anche con tensioni e denunzie specifiche da parte di organizzazioni sindacali;
   oltre agli evidenti disagi che si trovano a vivere i lavoratori di tali uffici, i suddetti tagli finanziari hanno comportato un drastico ridimensionamento della forza lavoro occupata nei servizi di pulizia e il continuo ricorso ai diversi ammortizzatori sociali utilizzabili con la conseguente riduzione dei salari effettivamente percepiti da questi ultimi lavoratori;
   da ultimo, alla luce della cessazione della possibilità di accedere alla cassa integrazione in deroga e a fronte dell'annunciato ulteriore taglio delle risorse del 15 per cento, non essendoci più le condizioni per poter continuare ad esercitare l'appalto, il 20 aprile 2015, presso l'ufficio del lavoro di Siracusa si è chiusa la procedura di licenziamento collettivo di tutti i 93 lavoratori della ditta che ancora gestiva il servizio e che ha comunicato all'amministrazione militare che dal prossimo 4 maggio, non intende rinnovare il contratto e quindi cesserà anche le ridottissime prestazioni sopra descritte;
   anche se l'amministrazione militare ha annunciato di essersi attivata per indire una nuova gara d'appalto per individuare l'eventuale nuova ditta che espleti il servizio, l'esiguità del fondo messo a disposizione dallo Stato Maggiore della Marina, non lascia molte prospettive per una ripresa efficace del servizio e men che mai per la riassunzione dei lavoratori licenziati;
   è cresciuta la tensione – ampiamente giustificata – tra i lavoratori diretti, civili e militari, a causa delle condizioni sempre meno tollerabili di igiene e pulizia ed è esplosa la legittima protesta dei lavoratori licenziati addetti ai servizi di pulizia da diversi giorni ormai impegnati in presidi e mobilitazione in vari luoghi della città di Augusta –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e delle conseguenze igienico sanitarie che si stanno determinando nelle caserme e negli uffici della giurisdizione di Marisicilia Augusta;
   quali iniziative intenda adottare al fine di assicurare le disponibilità finanziarie necessarie per assicurare un adeguato servizio di pulizia delle suddette strutture, in conformità con la disciplina in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, al tempo stesso rideterminando le condizioni per la salvaguardia della forza lavoro sinora impiegata per tali servizi. (5-05448)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il microcredito è l'attività di concessione di finanziamenti di limitato ammontare rivolta a persone fisiche o microimprese, definite «non bancabili», che hanno difficoltà ad ottenere credito da parte delle banche, con la finalità di favorirne l'inclusione sociale e finanziaria;
   nell'attività di microcredito rientrano in particolare i finanziamenti volti a sostenere l'avvio o lo sviluppo di un'attività di lavoro autonomo o di microimpresa, organizzata in forma individuale, di associazione, di società di persone, di società a responsabilità limitata semplificata o di società cooperativa, ovvero a promuovere l'inserimento di persone fisiche nel mercato del lavoro;
   con la riforma del Titolo V del Testo unico bancario (TUB), di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, ad opera del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, è stato introdotto l'articolo 111, che prevede una disciplina specifica per i soggetti operanti esclusivamente nell'ambito del microcredito;
   con il decreto ministeriale 17 ottobre 2014, n. 176, è stato emanato il regolamento attuativo dell'articolo 111 del TUB, che disciplina, in particolare, i requisiti per poter beneficiare del finanziamento e le sue finalità, i limiti oggettivi relativi a volume attività, condizioni economiche applicate e ammontare massimo dei singoli finanziamenti, nonché i requisiti richiesti per svolgere l'attività di microcredito;
   la normativa vigente prevede due tipologie di microcredito: quello per la microimprenditorialità destinato al lavoro autonomo ed alla microimpresa, il cui importo massimo erogabile è stabilito nella misura di 25 mila euro, e il microcredito sociale, volto a soddisfare bisogni primari di carattere economico e sociale, con una soglia massima pari a 10 mila euro;
   per quanto riguarda i finanziamenti per la microimprenditorialità, ai sensi dell'articolo 1 del citato decreto ministeriale 17 ottobre 2014, n. 176, sono esclusi dall'accesso al credito i lavoratori autonomi o imprese titolari di partita IVA da più di cinque anni;
   l'articolo 39, comma 7-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 ha riservato una quota delle disponibilità finanziarie del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ad interventi di garanzia in favore del microcredito, da destinare alla microimprenditorialità, demandando ad un decreto di natura non regolamentare le modalità attuative della norma;
   in attuazione del citato articolo 39, comma 7-bis, del decreto-legge n. 179 del 2012, sono stati emanati il decreto ministeriale 24 dicembre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 febbraio 2015, n. 27, e il decreto ministeriale 18 marzo 2015, in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
   i regolamenti attuativi sul microcredito completano finalmente il nuovo quadro normativo che consente ad organizzazioni non bancarie di svolgere attività di prestito, garantendo un'opportunità di accesso al credito anche a soggetti più vulnerabili dal punto di vista sociale ed economico, generalmente esclusi dal finanziamento, per far fronte a spese d'emergenza ma anche per avviare un'attività imprenditoriale;
   tuttavia, i limiti e vincoli che la disciplina pone — in particolare quelli sull'età dell'impresa e sul tetto massimo per ogni singola erogazione — non consentono l'accesso al credito a troppi soggetti, rischiando di vanificare le ingenti risorse messe a disposizione dal Ministero dello sviluppo economico con il fondo di garanzia, pari a circa 30 milioni di euro;
   in un contesto generale di difficoltà socio-economiche, aggravato dalla stretta creditizia da parte dei circuiti bancari, appare fondamentale consentire, anche a soggetti richiedenti prestiti leggermente più elevati o con più anni di vita, ma con identiche difficoltà di trovare garanzie reali e patrimoniali e dunque di accedere al credito bancario tradizionale, di poter beneficiare del microcredito –:
   se non ritenga opportuno, tenuto conto del nuovo contesto normativo che si sta profilando in materia di impresa sociale, assumere iniziative per armonizzare la vigente disciplina sul microcredito, anche mediante l'adozione di provvedimenti volti a rivederne i limiti e i vincoli, al fine di garantire il pieno funzionamento di questo strumento di sviluppo sociale.
(2-00947) «Schirò, Albanella, Antezza, Capodicasa, Carella, Carloni, Censore, D'Incecco, Di Salvo, Giuseppe Guerini, Iori, Marchi, Melilli, Porta, Romanini, Paolo Rossi, Rotta, Zan, Zardini».

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dagli articoli pubblicati il 24 e 25 aprile scorso, dal quotidiano economico: Il Sole 24 Ore, nel documento predisposto dai nuovi commissari alla spending review, Gutgeld e Perotti e consegnato a Palazzo Chigi venerdì scorso, fra le 52 riduzioni delle agevolazioni fiscali previste nell'ambito della tax expenditures, il comparto dell'edilizia sarebbe direttamente interessato, da rilevanti tagli dei bonus introdotti nel corso degli ultimi anni;
   a tal fine, i suindicati articoli, specificano che a partire dal prossimo anno 2016: il bonus IRPEF del 36 per cento (per quest'anno ancora al 50 per cento), per le ristrutturazioni edilizie, sarà ridotto al 20 per cento, da poter spendere in quote annuali per 10 anni, sia per le ristrutturazioni edilizie, che per gli interventi di riqualificazione energetica;
   nel dossier elaborato dai commissari inoltre, anche per l'arredo degli immobili ristrutturati, saranno addirittura eliminate le agevolazioni fiscali, che sono attualmente previste nonostante i consensi per tale misura, ricevuti dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, nel corso del salone del mobile di Milano;
   ulteriori tagli del 20 per cento, di deduzione IRPEF, del prezzo di acquisto nel limite massimo di spesa di 300 mila euro, per chi acquista immobili da mettere in locazione, il cui bonus era stato peraltro notevolmente propagandato nel corso dell'esame del decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto sblocca-Italia, rientrano fra le strette indicate dal Sole 24 Ore, considerato dai tecnici di revisione della spesa: «un regalo all'ANCE»;
   a giudizio dell'interrogante, nonostante il Ministro Delrio, avesse dichiarato la sua contrarietà ad interventi di riduzione sul comparto dell'edilizia, come riportato dal medesimo quotidiano economico, sostenendo che gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie e per l'efficientamento energetico, hanno contribuito alla crescita e alla tenuta dell'occupazione per un settore strategico per l'economia nazionale, tuttavia le misure di stretta indicate dai commissari alla spending review, nei riguardi dell'edilizia, ove confermate, rischiano di determinare ulteriori e gravissimi effetti sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese;
   a tal fine, occorre nuovamente ribadire, a parere dell'interrogante, come il comparto dell'edilizia e delle costruzioni rappresenti la principale motrice dell'economia reale, con un ruolo anticiclico rispetto alle crisi che, periodicamente si manifestano nel sistema economico;
   in Italia l'edilizia nonostante gli anni di gravissimi crisi economica e finanziaria ha contribuito con il 10 per cento del Pil, garantendo nonostante gli effetti depressivi e il calo della domanda, circa 2 milioni di addetti, di cui il 65 per cento è rappresentato da lavoratori dipendenti;
   a giudizio dell'interrogante, risultano pertanto urgenti e necessari interventi volti a chiarire se, quanto in precedenza esposto fosse effettivamente confermato e quali siano, gli indirizzi di politica fiscale e delle misure previste dei Ministri interrogati per l'edilizia, nell'ambito dell'azione del Governo –:
   quali orientamenti, intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se a tal fine, intendano confermare il contenuto degli articoli del quotidiano Il Sole 24 Ore in precedenza richiamato, che prevede consistenti riduzioni di agevolazioni fiscali, nei confronti dell'edilizia, secondo quanto disposto dal documento elaborato dai commissari alla spending review;
   in caso affermativo, se i Ministri interrogati, non ritengano opportuno evitare di intervenire nei confronti del settore dell'edilizia e delle costruzioni, la cui filiera negli ultimi 5 anni, ha perduto oltre il 25 per cento raggiungendo a partire dal 2009, la cifra record di –27,1 per cento. (4-08953)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, LIUZZI, DE LORENZIS, SPADONI, COLONNESE, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 novembre 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana un concorso pubblico, con scadenza 30 dicembre 2013, per titoli ed esami, per il reclutamento di 208 (duecentootto) allievi agenti di polizia penitenziaria maschile e per 52 (cinquantadue) allievi agenti di polizia penitenziaria femminile riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) e quadriennale (VFP4);
   lo scorrimento delle graduatoria per codesto concorso viene approvato con il, decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, il cui all'articolo 3, comma 3-bis, recita testualmente: «Al fine di incrementare i servizi di prevenzione e di controllo del territorio connessi allo svolgimento di Expo Milano 2015, le Forze di polizia, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, sono autorizzate, in via straordinaria, per l'immissione nei rispettivi ruoli iniziali, ai sensi del medesimo articolo 2199, allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi indetti per l'anno 2013, approvate entro il 31 ottobre 2014, ferme restando le assunzioni dei volontari in ferma prefissata quadriennale, ai sensi del comma 4, lettera b), dello stesso articolo 2199, relative ai predetti concorsi. Alle assunzioni di cui al presente comma si provvede nell'ambito delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente»;
   nel Bollettino Ufficiale del Ministero della giustizia n. 1 del 15 gennaio 2015 viene pubblicata l'approvazione della graduatoria del concorso a n. 208 posti elevati a 435 di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria maschile, riservato ai volontari in ferma prefissata annuale delle Forze armate (VFP1), indetto con P.D.G. 20 novembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2013, n. 94, e l'approvazione della graduatoria del concorso a n. 52 elevati a 134 posti di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria femminile, riservato ai volontari in ferma prefissata annuale delle Forze armate (VFP1) e quadriennale (VFP4), indetto con P.D.G. 20 novembre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2013, n. 94;
   su 741 allievi agenti maschili risultati idonei a visita 373 risultano già partiti a dicembre 2014 nell'ambito del 169o corso di formazione, 273 partiranno nell'ambito del 170o corso di formazione previsto per maggio 2015, 70 risultano essere i vincitori VFP4 e con 10 rinunciatari rimangono fuori 15 allievi maschili;
   su 297 allieve agenti donne risultate idonee visita 120 risultano già partiti nell'ambito del 169o corso di formazione, 103 partiranno nell'ambito del 170o corso di formazione previsto per maggio 2015, 18 risultano essere vincitori VFP4 e con 2 rinunciatari rimangono fuori 54 allieve donne –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e della situazione prospettata e quali iniziative ritenga opportuno intraprendere al fine di integrare gli esclusi in via straordinaria. (4-08944)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   GELMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento ferroviario diretto Brescia-Roma rappresenta da anni, per il territorio bresciano, uno dei pochi collegamenti veloci per la Capitale. Ogni mattina, alle ore 7:05, e ogni pomeriggio, alle ore 17:15, un treno Frecciargento parte da Brescia e arriva nella capitale in sole 3 ore e 35 minuti. Allo stesso tempo, da Roma è previsto un collegamento per Brescia alle ore 9:15 e alle ore 18:15 effettuando le medesime fermate intermedie della tratta Brescia-Roma;
   questo collegamento rappresenta non solo un'abitudine consolidata per i cittadini che scelgono di usufruire di questo treno per recarsi a Roma e a Brescia anche in giornata, ma rappresenta soprattutto un'importante risorsa per il settore turistico della città e in particolar modo per quello produttivo;
   da notizie emerse dai fruitori del collegamento Roma-Brescia, risulta che a breve termine il Frecciargento n. 9463 potrebbe essere soppresso. In tal caso, l'unica alternativa per raggiungere Roma e Brescia resterebbe l'utilizzo dei soli Freccia Rossa da Milano, Padova o Verona. In questi casi, oltre ad un notevole incremento dei tempi del collegamento tra le due città, ci sarebbe anche un considerevole incremento dei prezzi del biglietto ferroviario così come la drastica riduzione del tempo di permanenza giornaliero;
   dal sito ufficiale di Trenitalia risulta che dal 14 giugno 2015, termine dell'orario invernale, le tratte dirette Roma-Brescia, e viceversa, non saranno più acquistabili, restando a disposizione degli utenti soltanto collegamenti indiretti tra le due città. Pertanto, appare ormai evidente che, con l'ingresso dell'orario estivo, tale collegamento sarà soppresso, senza che ci sia stata alcuna comunicazione precisa da parte di Trenitalia;
   qualora venisse fissata la soppressione del collegamento Roma-Brescia, oltre a crearsi un importante e grave disservizio per i cittadini di Brescia, si determinerebbero un forte indebolimento, un isolamento e una grave limitazione per lo sviluppo turistico del territorio bresciano –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in tal caso, quali iniziative urgenti presso Trenitalia il Governo intenda intraprendere al fine di mantenere l'attuale collegamento tra la città di Brescia e Roma;
   quali azioni di competenza intenda promuovere al fine di garantire ai cittadini un servizio di qualità salvaguardando e tutelando il diritto alla mobilità. (4-08950)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto ha riportato la stampa locale il 24 aprile 2015, un giovane profugo somalo ospitato presso il centro di accoglienza di Maslianico avrebbe contratto la scabbia, malattia contagiosa della pelle provocata da un artropode – il Sarcoptes Scabiei – per la quale sarebbe stato tempestivamente trattato anche dall'ospedale Sant'Anna di Como;
   si sarebbe altresì resa necessaria l'adozione di misure preventive di carattere igienico-sanitario anche nell'abitazione che il giovane profugo somalo condivide con altre sei persone, procedendo ad una vera e propria bonifica ambientale dell'immobile;
   il caso non è certamente isolato, come prova la circostanza che il 23 aprile 2015 l'assessore alle politiche sociali del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, abbia annunciato quattro casi sospetti di scabbia tra i profughi in attesa di essere trasferiti dalla stazione centrale al centro di via Corelli –:
   di quali dati il Governo disponga in merito alla diffusione della scabbia tra i profughi giunti in Italia negli ultimi 18 mesi, sul piano nazionale e con specifico riferimento alla provincia di Como;
   se esista altresì una casistica che documenti circostanze in cui la scabbia sia stata trasmessa dai profughi al personale delle forze dell'ordine o del servizio sanitario nazionale, nel nostro Paese ed in particolare nella provincia di Como.
(4-08943)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni il professore Franco Coppoli sta subendo la sanzione della sospensione dal servizio e dallo stipendio per aver tolto il crocifisso dalla propria aula, nell'Istituto San Gallo di Terni; l'ufficio scolastico regionale dell'Umbria ha contestato a lui una generica «violazione dei doveri connessi alla posizione lavorativa cui deve essere improntata l'azione di un docente», ma non si comprende bene quali norme siano state violate nello specifico;
   per tali motivi il professore ha presentato ricorso, ritenendo di non aver violato nessuna norma né primaria, né secondaria, ma di essere stato vittima della «macchina del fango», che si sarebbe messa in moto per «mettere il silenziatore a vertenze in corso con la dirigenza sui diritti degli insegnanti»;
   non è la prima volta che Coppoli conduce la sua battaglia in nome della libertà di insegnamento, della libertà religiosa, nonché per la laicità dello Stato. Infatti, già nel 2009 era stato sollevato dal servizio per trenta giorni per aver «rivendicato la libertà di non fare lezione sotto il simbolo di una specifica confessione religiosa», in maniera analoga a quanto recentemente accaduto;
   tali fatti hanno destato la preoccupazione dei Cobas che definiscono il provvedimento dell'ufficio scolastico regionale inquisitoriale; ad avviso del Professore Coppoli inoltre lesivo dei principi di libertà, tolleranza, inclusività;
   a parere degli interroganti è irragionevole tale sanzione, e non opportuna. Quantomeno la stessa dovrebbe indicare le norme violate, e, quindi, dovrebbe essere motivata –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti su citati;
   se il Ministro abbia esercitato il controllo sull'ufficio scolastico regionale dell'Umbria;
   se non ritenga il provvedimento lesivo della libertà religiosa e se non ritenga doveroso assumere iniziative per il suo ritiro. (5-05451)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi mesi si assiste all'organizzazione di iniziative e mobilitazioni che, su scala locale e nazionale, tendono a etichettare gli interventi di educazione alle differenze di genere e di orientamento sessuale nelle scuole italiane come pretesti per la divulgazione di una cosiddetta «ideologia del gender»;
   il comitato Arcigay di Verona ha segnalato numerosi casi in cui l'associazione era stata invitata dagli studenti a intervenire ad alcune assemblee d'istituto da questi promosse, ma gli incontri sono sempre stati annullati dalla dirigenza scolastica, senza addurre motivazioni;
   recentemente, al liceo Selmi di Modena, dove due anni fa un ragazzo è stato costretto a cambiare scuola per le molestie dei compagni per i suoi atteggiamenti giudicati «femminili», gli studenti hanno proposto l'organizzazione di un incontro con il locale comitato Arcigay; mentre il consiglio d'istituto ha dato subito il via libera, la preside Luciana Contri ha deciso di porre il veto: prima chiedendo un contraddittorio, cioè la partecipazione di un cattolico del Ceis accanto all'associazione portavoce della comunità Lgbt, poi, quando gli studenti si sono opposti, escludendo i minorenni dall'incontro. Infine, autorizzando un'assemblea studentesca per il 31 marzo 2015, ma senza la presenza di Arcigay;
   esistono diverse associazioni in difesa della cosiddetta «famiglia naturale» che contano su una rete ben organizzata, la cui attività sulla scuola è ben riassunta nel vademecum che distribuiscono;
   in tale vademecum si invitano i genitori a contrastare ogni attività svolta negli istituti scolastici per la promozione della parità di genere e della lotta contro il bullismo e la discriminazione omofobica e trans fobica;
   nel sito web di «La Manif pour Tous Italia» (http://www.lamanifpourtous.it/), associazione nata in stretto legame con l'omonima realtà francese, si chiarisce che lo scopo è quello di «mobilitare i cittadini italiani di tutte le confessioni religiose, politiche e culturali e risvegliarne le coscienze in merito alle problematiche riguardanti le recenti leggi su omofobia e transfobia, teoria del gender, matrimoni e adozioni a coppie omosessuali», nonché «preservare l'unicità del matrimonio tra uomo e donna e il diritto del bambino ad avere un padre ed una madre»; inoltre, che «è giusto che i ragazzi apprendano il rispetto per la dignità personale di ogni uomo, a prescindere da qualsiasi specificazione, ma con la scusa di contrastare una fantomatica emergenza “omofobia” le reti di associazioni e collettivi LGBT perseguono il fine di una vera e propria rieducazione di bambini e ragazzi nei delicati ambiti della morale e della sessualità, circa i quali è la famiglia che detiene la massima potestà educativa e non altri enti sociali. Questo è semplicemente inaccettabile»;
   alcuni consigli comunali e regionali, in primis il consiglio della regione Veneto e della regione Lombardia, hanno approvato mozioni atte al contrasto della fantomatica «ideologia gender» nelle scuola, con chiari richiami al concetto di famiglia naturale fondata sulla procreazione come unico adeguato ambito sociale in cui possono essere accolti i minori in difficoltà, nonché attacchi all'UNAR (Ufficio nazionale e anti discriminazioni razziali) per la messa in pratica della strategia nazionale LGBT anche all'interno degli ambienti scolastici;
   tutto questo nonostante l'Associazione Italiana Psicologi, in un recente documento sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione dei contesti scolastici italiani, «ritenga opportuno – si cita testualmente – intervenire per rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l'inconsistenza scientifica del concetto di ideologia del gender»;
   esistono studi scientifici di genere, meglio noti come «Gender Studies» che, insieme ai «Gay and Lesbian Studies», hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all'economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali) e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati su orientamento sessuale e identità di genere;
   l'Unicef, nel Position Statement di novembre 2014, ha rimarcato la necessità di intervenire contro ogni forma di discriminazione nei confronti dei bambini e dei loro genitori basata sull'orientamento sessuale e/o l'identità di genere. Un'analoga policy è da tempo seguita dall'Unesco: «Le scuole devono essere luoghi sicuri, devono combattere gli atteggiamenti discriminatori, creare comunità accoglienti, costruire una società inclusiva e permettere l'Educazione per Tutti» (UNESCO 1994);
   favorire l'educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l'orientamento sessuale non significa promuovere un'inesistente «ideologia del gender», ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell'affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni e mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per il rafforzamento e la piena attuazione della strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere (2013-2015), anche nella prospettiva del triennio 2016-2018;
   quali azioni il Ministro, secondo le proprie competenze, intenda intraprendere al fine di preservare il compito educativo dell'istituzione scolastica da strumentalizzazioni e irragionevoli discriminazioni, garantendo agli studenti ampi spazi di elaborazione culturale e sociale che rispondano alle esigenze di cambiamento e contribuiscano all'uguaglianza sostanziale tra tutti i cittadini. (4-08946)


   SIBILIA, DE LORENZIS, COLONNESE, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'università degli studi del Sannio pubblicava sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 29 ottobre 2013 il bando per tre concorsi pubblici con rapporto di lavoro a tempo determinato della durata di tre anni per 1 posto di categoria D area – amministrativa gestionale per le esigenze del settore relazioni e mobilità internazionale, per 1 posto di categoria D area – amministrativa gestionale per le esigenze del settore servizi agli studenti, per 1 posto di categoria D area – amministrativa gestionale per le esigenze del settore approvvigionamenti appalti e patrimonio;
   nel suddetto bando è riportata la parte della legge n. 69 del 9 agosto 2013 che dispone che per «...il biennio 2012-2013, il sistema delle università statali può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente»;
   a distanza di quasi due anni, l'università del Sannio ha fissato per i giorni 17 e 18 settembre 2015 le date per lo svolgimento della prima prova scritta dei suddetti concorsi;
   ai sensi della legge n. 69 del 2013 e della legge n. 244 del 2007 «le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali» –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, di quali elementi disponga il Governo in merito all'applicazione delle disposizioni citate da parte delle università italiane e se il caso in questione sia isolato o ne siano stati riscontrati altri analoghi.
(4-08948)


   CATALANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 23, primo comma, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, disciplina l'attribuzione anche a titolo gratuito d'incarichi d'insegnamento negli atenei italiani a soggetti esterni al sistema universitario quali «esperti di alta qualificazione in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale»  (cosiddetti esperti di chiara fama);
   l'articolo 23, secondo comma, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, disciplina l'attribuzione a titolo esclusivamente oneroso d'incarichi d'insegnamento negli atenei italiani a soggetti esterni al sistema universitario, quali «soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali», da individuarsi in concreto in assegnisti di ricerca, dottori di ricerca ovvero soggetti con adeguato curriculum di ricerca;
   l'università degli studi del Molise ha bandito nel corso dei mesi di agosto e settembre 2014 numerose selezioni per il conferimento a titolo gratuito d'incarichi d'insegnamento per soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali, anziché a titolo oneroso come previsto dalla citata norma (fra gli altri, si vedano i bandi del 3 settembre 2014, n. 246, del 30 settembre 2014, nn. 295 e 298, presso vari dipartimenti d'ateneo), posto che la norma acconsente il conferimento a titolo gratuito ai soli cosiddetti esperti di chiara fama;
   ne deriverebbe una reiterata dubbia applicazione di legge nei citati bandi adottati dall'università del Molise, con relativa volontà dell'ateneo di assegnare incarichi di docenza a titolo gratuito a soggetti per i quali è invece espressamente prevista dalla legge l'esclusiva possibilità di assegnazione a titolo retribuito, potendo al contrario l'ateneo bandire tali docenze esclusivamente in favore dei citati «esperti di alta qualificazione» (cosiddetta chiara fama), per i quali il disposto normativo citato ex articolo 23, comma 1, della legge n. 240 del 2010, prevede anche l'ipotesi della gratuità degli incarichi, del tutto esclusa invece per i restanti soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali;
   posto che la prassi posta in essere dall'ateneo risulta essere stata ripetuta nel tempo, anche in passato dopo l'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, sarebbe auspicabile che il dicastero competente verificasse il rispetto delle norme fissate dalla legge statale per il conferimento degli incarichi di docenza accademica, in alcun modo derogabili dai singoli atenei –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda porre in essere le opportune iniziative al fine di verificare il pieno rispetto della norma di cui all'articolo 23, comma 2, della legge n. 240 del 2010, nel complesso degli atenei italiani.
(4-08949)


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, PETRAROLI, SCAGLIUSI, DE LORENZIS e TOFALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i disturbi specifici di apprendimento (DSA) consistono in difficoltà neuropsicologiche che interessano alcune abilità specifiche come la lettura, la scrittura ed il calcolo;
   i bambini e ragazzi colpiti dai disturbi specifici di apprendimento, generalmente, non presentano deficit sensoriali e neurologici né disturbi psicologici primari, ma tali disturbi possono rendere complicato affrontare il percorso di studi a scuola, in assenza di adeguato aiuto e sostegno nelle attività didattiche;
   nello specifico la Legge 8 ottobre 2010, n. 170 all'articolo 1 «riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di seguito denominati «DSA», che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana»;
   attualmente i bambini e i ragazzi affetti da disturbi specifici di apprendimento hanno diritto, ai sensi delle legge n. 170 del 2010, a strumenti didattici e tecnologici di tipo compensativo (come ad esempio sintesi vocale, registratore, programmi di video-scrittura e con correttore ortografico, calcolatrice) nonché a misure dispensative, per permettere loro di sostituire alcuni tipi di prove valutative con altre equipollenti più adatte;
   è necessaria, allora, una individualizzazione del percorso formativo dei ragazzi affetti da disturbi specifici di apprendimento, al fine di aiutarli a realizzare pienamente le loro potenzialità, così garantendo il diritto allo studio a chiunque, indipendentemente dalle condizioni e capacità anche di apprendimento, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza formale e sostanziale (articolo 3, Costituzione);
   difatti, riconoscere a questi ragazzi pari opportunità, significa garantire loro non solo parità di trattamento nelle modalità di apprendimento, attraverso le predette misure di tipo compensativo, ma anche assicurare gli stessi diritti dei loro coetanei dal primo giorno di ingresso negli istituti scolastici fino al completamento del percorso di studi;
   in quest'ottica, a parere dell'interrogante, alcune disposizioni adottate dal ministero in indirizzo, creano irragionevoli disparità di trattamento, per i ragazzi affetti da disturbi specifici di apprendimento che seguono un percorso didattico differenziato, per quanto concerne il conseguimento del diploma a conclusione del percorso di studi;
   si tratta del decreto ministeriale 12 luglio 2011, n. 5669 il quale, da un lato, ha disposto che «in sede di esami di Stato, conclusivi del primo e del secondo ciclo di istruzione, modalità e contenuti delle prove orali – sostitutive delle prove scritte – sono stabiliti dalle Commissioni, sulla base della documentazione fornita dai consigli di classe» e che «i candidati con DSA che superano l'esame di Stato conseguono il titolo valido per l'iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado ovvero all'università» (articolo 6, comma 5);
   dall'altro lato, invece, lo stesso decreto ministeriale precisa che «l'alunno o lo studente possono – su richiesta delle famiglie e conseguente approvazione del consiglio di classe – essere esonerati dall'insegnamento delle lingue straniere e seguire un percorso didattico differenziato» e che «in sede di esami di Stato, i candidati con DSA che hanno seguito un percorso didattico differenziato e sono stati valutati dal consiglio di classe con l'attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano, possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio dell'attestazione di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 323/1998» (articolo 6, comma 6);
   tale ultima disposizione richiamata prevede che «qualora l'alunno in situazione di handicap abbia svolto un percorso didattico differenziato e non abbia conseguito il diploma attestante il superamento dell'esame, riceve un attestato recante gli elementi informativi di cui al comma 1»;
   pertanto i bambini affetti da disturbi specifici di apprendimento che seguono un percorso differenziato, oltre a dover affrontare il percorso di studi superando difficoltà ulteriori rispetto ai propri coetanei, si vedono riconosciuti unicamente un attestato di frequenza e non il vero e proprio diploma che, viceversa, garantirebbe quantomeno la possibilità di accedere al mondo del lavoro in condizioni di parità;
   si tratta di una disparità di trattamento che appare non solo ingiustificata, ma altresì illegittima dal punto di vista giuridico;
   ciò in quanto molte disposizioni di legge nonché un regolamento governativo, non conferiscono al Ministro in indirizzo la possibilità di applicare, anche per le ipotesi di DSA, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 323 del 1998;
   la legge n. 179 del 2010, all'articolo 5, comma 4, prescrive che «agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all'università nonché gli esami universitari»;
   già il precedente decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, all'articolo 3, ha stabilito che «con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni, e sono stabilite eventuali ulteriori modalità applicative del presente articolo»;
   conseguentemente l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, ha disposto che «per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) adeguatamente certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell'attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei» (comma 1) ed in particolare che «nel diploma finale rilasciato al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di svolgimento e della differenziazione delle prove» (comma 2);
   le disposizioni appena citate (legge 8 ottobre 2010, n. 170, decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122) non prevedono assolutamente la possibilità, per il Ministro interrogato, di limitare, attraverso l'adozione di un regolamento ministeriale, il conseguimento del diploma ai ragazzi affetti da disturbi specifici di apprendimento;
   viceversa la normativa di rango ordinario fa esclusivo riferimento a metodologie di valutazione degli studenti che tengano conto dei disturbi specifici di apprendimento ed addirittura il regolamento governativo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122, citato in precedenza, fa menzione di un vero e proprio «diploma finale rilasciato al termine degli esami», nel quale, tra l'altro, non deve esserci riferimento alcuno alle modalità di svolgimento differenziato delle prove;
   a ciò si aggiunga che la disposizione di legge che permette l'adozione di un decreto ministeriale è rinvenibile nell'articolo 7, comma 2, della legge n. 170 del 2010 il quale autorizza il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con proprio decreto unicamente ad individuare «le modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti di cui all'articolo 4, le misure educative e didattiche di supporto di cui all'articolo 5, comma 2, nonché le forme di verifica e di valutazione finalizzate ad attuare quanto previsto dall'articolo 5, comma 4»;
   come noto, il regolamento ministeriale, nel sistema delle fonti del diritto, assume rango di fonte secondaria, che, a differenza dei regolamenti governativi, necessita di apposita e specifica autorizzazione da parte di una norma di legge;
   di conseguenza l'interrogante non rinviene alcuna ragione logico-giuridica nel mantenere in essere il predetto articolo 6 del decreto ministeriale 12 luglio 2011, n. 5669 –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni di cui alle premesse, non intenda rendere nota la ratio della disposizione di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 12 luglio 2011, n. 5669 e se non intenda chiarire sulla base degli atti depositati le ragioni che hanno determinato il suo dicastero ad adottarla;
   se il decreto ministeriale 12 luglio 2011, n. 5669, e nello specifico l'articolo 6, comma 6, sia conciliabile con le disposizioni della legge 8 ottobre 2010, n. 170, del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137 (convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169) e del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122 e se non intenda procedere da un lato ad una armonizzazione normativa finalizzata ad aumentare gli strumenti e le tutele ordinarie degli studenti affetti da disturbi specifici di apprendimento e, dall'altro lato assumere iniziative dirette ad una modifica del medesimo articolo 6, comma 6;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire agli alunni affetti da disturbi specifici di apprendimento, il conseguimento di un diploma al termine del percorso di studi ed al superamento delle prove di esame finali;
   se intenda reperire nuovi fondi al fine di procedere ad un rafforzamento degli strumenti didattici e tecnologici necessari per l'apprendimento di bambini e ragazzi affetti da disturbi specifici di apprendimento. (4-08951)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dal 28 al 31 ottobre 2014 ha avuto luogo il primo concorso nazionale per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina. Le prove si sono svolte in 117 sedi e in 456 aule ed hanno coinvolto complessivamente 11.712 candidati il 28 ottobre, 10.444 il 29 ottobre, 6.986 candidati il 30 ottobre e 9.117 il 31 ottobre;
   i quiz sono stati divisi in tre aree (medica, chirurgica, servizi clinici) da svolgersi in quattro giorni, con una prima prova propedeutica costituita da 70 domande uguale per tutti, e quindi un test diversificato per ciascuno dei tre settori, formato da 30 quiz comuni per area e 10 quiz specifici per ogni singola scuola di specializzazione;
   venerdì 31 ottobre 2014 il consorzio Cineca ha dichiarato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) che si era verificato «un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione». Difatti venivano invertite le prove del 29 ottobre con quelle del 31 ottobre. L'inversione ha riguardato esclusivamente le 30 domande comuni a ciascuna delle due aree, medica e dei servizi clinici;
   il presidente di Cineca, Emilio Ferrari, ha riconosciuto l'errore «umano» e ha dichiarato di rimettere il suo mandato;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con il comunicato del 1o novembre 2014, aveva inizialmente stabilito di annullare le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca e proponeva la ripetizione della prova, fissata al 7 novembre 2014, per i candidati che avevano sostenuto una prova anziché l'altra;
   solo dopo due giorni, il 3 novembre, il Ministro cambiava idea e dichiarava che le prove non dovevano essere ripetute. Veniva nominata una Commissione nazionale per valutare i quesiti e veniva richiesto un parere all'Avvocatura di Stato. Alla fine il Ministro decideva così di non annullare più il concorso rilevando altresì come le domande interessate fossero «solo» 4 e come non fossero state fortunatamente interessate le domande più importanti delle varie scuole di specialità. In seguito le domande neutralizzate sono però diventate sei e se ne sono aggiunte due proprio delle scuole di specialità ritenute le più importanti;
   le prove concorsuali sono state influenzate anche da altre anomalie: sedi non tutte idonee ad ospitare le selezioni, controlli poco severi da parte delle varie commissioni, ingiustificabile vicinanza tra i candidati durante lo svolgimento delle prove e personal computer in molti casi collegati ad internet;
   a ciò si aggiungono i molteplici black out energetici verificatisi in molte sedi di concorso, che hanno portato alla non simultaneità delle prove in alcune sedi. I verbali di aula di numerose sedi riportano chiaramente che i computer utilizzati per le prove erano connessi alla rete Internet;
   ad oggi il verbale dove si attesta la cosiddetta inversione delle prove, ovvero l'imbustamento dei quesiti in una busta al posto di un'altra pare non esistere;
   ulteriore anomalia è che successivamente a queste domande annullate il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Cineca hanno modificato dall'interno le risposte dei candidati, facendo irrimediabilmente venire meno quella segretezza e anonimato degli stessi che avrebbe dovuto essere una delle caratteristiche principali del nuovo concorso a graduatoria nazionale; a ciò si aggiunge la predetta scelta ministeriale di non sommare i punti per le domande annullate (abbonate) dalla graduatoria, ma di entrare a livello informatico nelle prove (svolte al computer) modificando le singole risposte date dai concorrenti su quelle domande. Anche tale operazione è priva di verbalizzazioni;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Cineca hanno così deciso di entrare nelle prove informatiche inserendo il codice fiscale e comunque identificando la prova di ogni singolo candidato. Tutto questo accadeva dopo la pubblicazione dei risultati;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso di procedere con il semplice scorrimento della graduatoria contenuta nel decreto ministeriale n. 892 del 2014, assegnando regolarmente i posti in base ai criteri previsti dal bando e obbligando i candidati ad iscriversi alla scuola alla quale sono stati assegnati per non essere del tutto esclusi e rischiare di perdere la possibilità di iscriversi nelle altre scuole di specializzazione nel caso gli scorrimenti permettessero loro di poter entrare a farne parte successivamente. Si è verificato così che aspiranti dermatologi diventeranno microbiologi, pur se successivamente hanno ricevuto un punteggio utile per dermatologia;
   su questo specifico motivo il 18 dicembre 2014 il Tar Lazio ha emesso un decreto cautelare con il quale ha accolto il ricorso di una candidata e «sospeso la graduatoria unica del concorso per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina a.a. 2013-14»;
   tale pronuncia ha aperto una ulteriore differenziazione tra coloro che hanno avuto la conoscenza di poter fare ricorso e congelare così il posto e chi invece si troverà assegnato ad un futuro professionale diverso nonostante si sia accorto successivamente di avere i requisiti «di merito» e punteggio per quella specializzazione;
   preoccupato delle «conseguenze economiche» che si potrebbero generare dall'accoglimento dei ricorsi presentati, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha depositato presso il Tribunale amministrativo del Lazio un documento nel quale si recita: «nella denegata ipotesi che i ricorsi relativi al contenzioso venissero accolti una ammissione in sovrannumero comporterebbe ripercussioni economiche considerevoli, in quanto imporrebbe allo Stato il reperimento delle risorse finanziarie necessarie all'erogazione di ulteriori contratti di formazione specialistica»;
   sempre nel documento si specifica che «l'ammissione di un solo medico in più comporterebbe, l'onere di reperire risorse aggiuntive», fondi che sarebbero attualmente di complicata reperibilità. Il documento svolge anche calcoli economici che si ritengono errati poiché molti di questi medici giovani hanno già la borsa di studio, numerosi posti ad oggi non sono stati assegnati e diversi medici, iscritti in una scuola diversa da quella aspirata, hanno rinunciato alle borse attribuite;
   il 26 marzo 2015 il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha accolto 5 ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica sostenuti dalla FP CGIL Medici riconoscendo il diritto dei giovani medici a formarsi ed a iscriversi in sovrannumero alle rispettive scuole di specializzazione;
   ad oggi il Governo non ha ancora ottemperato al provvedimento esecutivo definito «recante grave e irreparabile danno agli interessati» nonostante il provvedimento esprimesse «l'ammissione temporanea dei ricorrenti alle scuole di specializzazione in medicina, fino alla decisione di merito», invitando «l'amministrazione a provvedere con la massima sollecitudine possibile agli adempimenti rinviando nelle more l'esame del merito del ricorso» (provvedimenti del Consiglio di Stato n. 955-956-957-958-959 del 26 marzo 2015);
   gli atenei hanno sollecitato un chiarimento al Ministero rappresentando la loro disponibilità a procedere con le immatricolazioni anche alla luce del fatto che vi è necessità di medici nelle varie scuole di specializzazione (gli stessi Ministeri della salute e dell'università avevano stabilito che i posti da assegnare erano 8.200 ma poi li ha ridotti a 5.000 salvo lasciarne molti vuoti e vacanti come sempre emerge dalle stesse dichiarazioni degli addetti ai lavori del settore medico e come sottolineato dal Coordinamento mondo medico, Uniti per la formazione, nuova realtà associativa che si batte per il diritto al lavoro e alla formazione;
   a seguito delle udienze in camera di consiglio tenutesi in data 2, 14 e 21 aprile 2015 il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, accoglieva ai sensi dell'articolo 55, comma 10, del codice di procedura amministrativa, i ricorsi in appello avverso le ordinanze di rigetto del TAR Lazio ritenendo che le esigenze dei ricorrenti erano apprezzabili e tutelabili adeguatamente con una sollecita fissazione dell'udienza di merito al TAR;
   in seguito dei provvedimenti favorevoli del Consiglio di Stato gli organi di stampa hanno rappresentato la ignobile volontà di far rivedere il giudizio o trasporre la causa al Tar. Tale condizione, mai verificatasi soprattutto dopo che il Consiglio di Stato si è già pronunciato, è un gesto di poco spessore istituzionale e morale. Si fa presente che trasposizione e riesame sono metodi mai usati e considerati al pari di una sfiducia agli organi giudiziali e che rappresentano un messaggio di scorrettezza in termini di legalità e moralità politica, nei confronti di medici e migliaia di famiglie che per mesi hanno vissuto in un limbo politico e burocratico, danneggiati dall'incapacità di una, classe dirigente che non ha saputo preservare i principi di regolarità, correttezza, merito e legalità di un concorso pubblico dopo anni di sacrifici e rinunce;
   i trecento medici dei ricorsi vinti non sono stati ancora accettati nei reparti e gli Atenei sollecitano da giorni il Ministero ad una presa di posizione e all'ingresso negli ospedali;
   ciononostante il Ministro ancora oggi esprime una volontà politica contraria all'apertura per preservare solamente i propri errori personali nella vicenda, determinando anche un palese danno erariale per il Paese;
   l'atteggiamento ostile ed omissivo del Ministero che si ostina a non eseguire un ordine dell'autorità giudiziaria pone chiaramente il fianco alla configurazione di fattispecie anche di carattere penalistico, tra tutte, l'abuso di ufficio. Oggi il Ministro si sottrae non solo ai propri doveri, ma cosa più grave, al rispetto del potere giurisdizionale alterando gli equilibri dello stato di diritto –:
   se il Ministro non intenda fornire gli adeguati chiarimenti rispetto alla vicenda richiamata in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito alle gravi e numerose irregolarità denunciate e per l'ottemperanza dei provvedimenti emessi dal Consiglio di Stato. (4-08952)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a pochi giorni dall'inizio del grande evento dell'Expo Milano 2015, sulla base di dati forniti dall'agenzia interinale Manpower, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo nel quale si evidenzierebbe la difficoltà registrata dai reclutatori nel selezionare un numero adeguato di personale tra i 18 e i 30 anni per coprire i posti di lavoro durante il periodo dell'esposizione;
   secondo quanto riportato, i giovani contattati avrebbero rifiutato uno stipendio di (oltre) 1.300 euro per un'attività da svolgersi su tre turni da 8 ore ciascuno, con disponibilità 24 ore su 24, weekend inclusi. Su più di 600 ragazzi scelti tra i 25 mila candidati, 1 su 2 non si sarebbe presentato al momento di firmare il contratto, mentre la percentuale di coloro che non hanno aderito alle proposte contrattuali di Expo 2015 sarebbe salita all'80 per cento con il susseguirsi delle selezioni;
   subito dopo la pubblicazione di tali notizie, si è registrato un copioso elenco di reazioni e testimonianze da parte di molti giovani che si sono presentati alle selezioni, i quali spiegavano come, in realtà, in molti casi si fossero trovati di fronte a condizioni contrattuali ben diverse da quanto riportato sul quotidiano milanese, con una retribuzione di soli 500 euro al mese, senza pasti né trasporti pagati. Al netto di tali voci, la retribuzione residua si sarebbe ridotta ad appena 150 euro circa;
   allo stesso tempo, molti altri giovani hanno lamentato di aver inviato domande, compilato test attitudinali, ma di non essere stati presi in considerazione nemmeno per un colloquio preliminare di mera conoscenza. Altri ancora, hanno preferito accettare un contratto con retribuzione meno vantaggiosa, in altri settori lavorativi, ma di maggior duratura o con migliori prospettive professionali e con orari normali;
   successivamente, la stessa agenzia interinale Manpower, contattata da l'Huffington Post, ha precisato che solo il 46 per cento dei candidati selezionati per ricoprire ruoli top in Expo avesse effettivamente rinunciato, mentre il dato dell'80 per cento, in realtà, non si riferisce ai rifiuti, bensì a coloro che non hanno superato i test o non sono stati in grado di andare avanti nelle selezioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, assumere ogni iniziativa utile al fine di far chiarezza su tale situazione. (5-05449)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione della circolare 82 del 2015 dell'Inps, è possibile richiedere per il lavoratore il trattamento di fine rapporto in busta paga, per le aziende che erogheranno direttamente gli importi ai dipendenti, mentre per quei datori di lavoro che vorranno accedere a finanziamenti ad hoc, previsti dalla legge di stabilità per il 2015, saranno necessari ulteriori passaggi burocratici, tuttora non ancora definiti;
   coloro che scelgono la seconda opzione, dopo aver raccolto le adesioni dei dipendenti, devono richiedere una certificazione all'Inps, da presentare necessariamente alla banca che erogherà il finanziamento;
   presupponendo che la richiesta sia spedita entro fine mese e poiché il medesimo istituto di previdenza ha 30 giorni di tempo per rispondere, la necessaria certificazione potrebbe arrivare anche oltre il tempo utile per compilare il flusso Uniemens (che consiste in una progressiva trasformazione in un unico documento telematico delle notizie che le aziende datrici di lavoro erano precedentemente tenute a fornire mediante i due separati flussi costituiti dai modelli DM10/2 ed EMENS) e pagare o meno il tfr del prossimo maggio;
   quanto alle banche che erogheranno il finanziamento, si attende la pubblicazione su sito dell'Abi, degli istituti di credito che hanno aderito all'accordo quadro sottoscritto con i Ministeri interrogati;
   la suesposta circolare 82 del 2015, evidenzia inoltre che, affinché le aziende già costituite al 31 dicembre 2014, possano accedere al finanziamento, il requisito occupazionale medio inferiore ai 50 dipendenti deve esistere sia nel 2006 (o nel successivo anno di costituzione) che nel 2014; per le aziende costituite dal 2015 in avanti il requisito, sempre calcolato come media annuale, dovrà essere invece verificato con riferimento all'anno civile d'inizio attività (ovvero quando inizia l'attività con i dipendenti);
   la conseguenza puntualizzata dall'Inps è che l'accesso al credito sarà consentito soltanto a partire dal successivo anno e che nell'anno di avvio, l'azienda dovrà eventualmente utilizzare le risorse per erogare la Quir (quota integrativa della retribuzione);
   tale precisazione, riportata dal quotidiano Il Sole 24 Ore il 25 aprile 2015, ad avviso dell'interrogante, non considera la situazione di difficoltà economica e finanziaria, che in senso generale le aziende affrontano da anni, in particolare legata alle difficoltà di accesso al credito bancario, che nonostante i timidi segnali di miglioramento, appaiono tuttora complesse e di ostacolo alla ripresa –:
   se non ritengano opportuno valutare la possibilità di prevedere modifiche alla circolare esposta in premessa, consentendo l'accesso al credito anche alle aziende, costituite dal 2015 in avanti (e non come attualmente previsto a partire dall'anno successivo) al fine di sostenere il sistema delle imprese, nella difficile situazione economica e finanziaria, tutt'altro che superata. (4-08945)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle risorse del piano olivicolo nazionale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali con decreto ministeriale 27011/7643/10 del 30 novembre 2010, ha finanziato il progetto OLEA - genomica e miglioramento genetico dell'olivo con un importo di euro 999.999,00; il progetto è stato coordinato dall'università della Tuscia e ad esso hanno preso parte 15 istituzioni di ricerca italiane rappresentative di 12 regioni, con la collaborazione di Regno Unito e Spagna, e la partecipazione all'Accademia dell'olivo e dell'olio e l'Accademia dei Georgofili;
   il progetto perseguiva importanti obiettivi strategici nazionali per il settore olivicolo quali: chiarire le basi genetiche della specie olivo attraverso il sequenziamento del genoma; fornire strumenti molecolari utili per la valutazione funzionale delle varietà e di nuovi genotipi in selezione; produrre informazioni sugli aspetti che influiscono direttamente sulla produzione (auto-fertilità, allegagione, accumulo di olio, sintesi di metaboliti secondari, resistenza agli insetti e ai patogeni, tolleranza al freddo, alla salinità, alla siccità e ad altri stress ambientali); definire i determinanti dell'architettura della pianta; sviluppare strumenti molecolari e biochimici per la tracciabilità e la sicurezza alimentare;
   OLEA era organizzato in diverse attività, interconnesse tra loro, ed ha ottenuto risultati eccellenti in termini di informazioni genetiche e genomiche, rappresentando, di fatto, il passaggio fondamentale per l'analisi del genoma di olivo (http://www.oleagenome.org/);
   tuttavia, l'obiettivo principale del progetto, cioè il sequenziamento completo del genoma, non è stato raggiunto perché i fondi stanziati nel 2010 non erano sufficienti a questo scopo, come già peraltro noto sin dall'inizio, e, nel corso degli anni non è stato possibile ottenere altri finanziamenti né dallo stesso Ministero né da diversi enti;
   per il sequenziamento dei genomi di altre specie da frutto, come la vite, il melo, il pesco e gli agrumi, l'entità dei finanziamenti stanziati dal Ministero o da altri organismi ed enti è stata di gran lunga superiore, nonostante il genoma di olivo sia più grande degli altri;
   oggi, le tecnologie di sequenziamento si sono evolute verso una maggiore produttività e un abbassamento dei costi, ed appare quindi plausibile affrontare il problema della grandezza del genoma, anche stanziando cifre relativamente basse;
   nel frattempo, per il sequenziamento del genoma di olivo è stata lanciata un'altra iniziativa dalla Turchia con un consorzio internazionale (http://olivegenome.karatekin.edu.tr) che potrebbe rilasciare la sequenza prima del consorzio italiano, vanificando così tutti gli sforzi messi in atto sinora dai ricercatori italiani dell'OLEA;
   per il completamento della sequenza, secondo quanto segnalato dal CNR, è stato stimato un costo di circa euro 90-100.000, che dovrebbero essere interamente destinati al partner incaricato, IGA (Istituto di genomica applicata) di Udine;
   da quanto risulta agli interroganti, il 24 giugno 2014 il CNR ha presento al Ministro interrogato un altro progetto (SMART OIL, coordinato dall'università di Perugia) finalizzato allo sviluppo di marcatori SNP per l'analisi della composizione varietale degli oli di oliva, di cui però la sequenza del genoma è propedeutica ed è stata inserita nello stesso progetto SMART OIL in accordo con l'IGA;
   il finanziamento di questo possibile nuovo progetto appare però legato alla chiusura del progetto OLEA che al momento, a quanto si apprende, è ancora aperto a causa di problemi sulla rendicontazione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di trasmissione dei risultati ottenuti –:
   in base a quanto esposto in premessa, nonché all'attuale situazione del settore olivicolo italiano che necessita di una importante ristrutturazione, quale sia l'attuale orientamento del Ministero nei riguardi del progetto OLEA e se si siano risolti i problemi legati all'impossibilità di chiuderlo;
   se vi sia l'intenzione di prevedere il finanziamento necessario per completare il sequenziamento del genoma di olivo, al fine di non vanificare, a vantaggio di altri Paesi, il prezioso lavoro sin qui svolto dall'università dalla Tuscia e dalla realtà scientifica italiana impegnata nel progetto OLEA e di non disperdere le risorse economiche sinora investite, anche considerando che tale sequenziamento è propedeutico allo sviluppo della ricerca nel settore olivicolo. (5-05445)


   MONGIELLO, OLIVERIO, REALACCI, ANTEZZA, BARGERO, CARELLA, D'INCECCO, MARCO DI MAIO, DI SALVO, GINEFRA, GNECCHI, GRASSI, LODOLINI, MAESTRI, MANFREDI, MAZZOLI, NARDUOLO, PORTA e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Italia Oggi del 22 aprile 2015, pagina 23, è apparso un articolo che tratta, ancora una volta, di un possibile contenzioso tra la Commissione europea e l'Italia in materia di indicazione del luogo di origine nelle etichette dei prodotti agroalimentari;
   l'articolo in questione fa riferimento alla presunta apertura di una prossima procedura di infrazione contro l'Italia per il mantenimento nell'ordinamento nazionale delle disposizioni sull'origine dei prodotti alimentari contenute nella legge 3 febbraio 2011, n. 4 e nella legge 24 dicembre 2003, n. 350, le quali contrasterebbero con il regolamento (UE) n. 1169/21511;
   nel circostanziare le motivazioni del dissidio, nell'articolo si evidenzia, con stupore degli interroganti, che in questi ultimi mesi vi sia stato tra Bruxelles e Roma un lungo dialogo sul tema e nonostante i toni garbati e diplomatici utilizzati nello scambio, alla fine la Commissione avrebbe adottato un giudizio perentorio chiedendo l'abrogazione delle due disposizioni, a prescindere dalla emanazione dei richiesti decreti attuativi;
   gli interroganti ricordano al riguardo che le divergenze di vedute tra il Parlamento italiano e la Commissione europea in materia di obbligatorietà dell'indicazione del luogo di origine sulle etichette dei prodotti agroalimentari, soprattutto al fine di garantire il consumatore e difendere l'elevata rinomanza, la reputazione e l'incontestabile primato del made in Italy contro le imitazioni e le frodi, non sono una novità, anzi si trascinano da anni e spesso con esiti sempre favorevoli all'Italia. Vedasi al riguardo la lunga contesa, alla fine favorevole all'Italia, sull'indicazione dell'origine delle olive e del luogo di molitura nell'etichettatura dell'olio extravergine di oliva;
   ove il contenuto dell'articolo di cui sopra fosse corrispondente al reale stato dei fatti, rappresenterebbe un grave comportamento l'eventuale assenso dato da parte dei Ministeri interessati sulle evidenze poste dalla Commissione senza aver preventivamente tenuto conto della necessità di coinvolgere almeno le Commissioni parlamentari di merito le quali si stanno specificamente interessando di tale questione ed hanno avviato su tale tema un dibattito politico sempre aperto ed in continua evoluzione;
   a giudizio degli interroganti, ad ogni modo, le due norme italiane che verrebbero censurate dalla Commissione, non appaiono per nulla difformi dal diritto comunitario e neppure sembrano discostarsi dai principi che ispirano il regolamento (UE) n. 1169/2011. L'indicazione del luogo di origine, infatti, per i prodotti per i quali la richiedono le due norme italiane, è un requisito obbligatorio richiesto anche dal codice doganale di cui agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/1992, sul quale per altro rimane esclusa l'applicabilità del regolamento (UE) n. 1169/2011 ed inoltre, l'articolo 7 di tale regolamento non esclude, anzi rafforza, la validità dei criteri di indicazione dell'origine stabiliti dalle due norme italiane –:
   quali informazioni, per le parti di competenza, possano fornire in merito alle notizie riportate in premessa;
   se corrisponda al vero che la Commissione europea stia per aprire una procedura di infrazione contro l'Italia volta a conseguire l'abrogazione della legge n. 4 del 2011 e della legge n. 350 del 2003;
   se non intendano fornire chiarimenti sulla vicenda riportata dal quotidiano di cui in premessa e sullo stato di salute dell'attuazione delle disposizioni di cui alle predette norme in merito all'obbligatorietà dell'indicazione del luogo di origine nelle etichette dei prodotti agroalimentari.
(5-05452)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, FRATOIANNI, MELILLA, DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, QUARANTA e PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da gennaio 2015 è in atto un confronto serrato tra Fincantieri e le organizzazioni sindacali per il rinnovo del contratto integrativo;
   tra le questioni che vedono un maggior contrasto tra le parti sociali, oltre a flessibilità e riduzione dei salari, vi sono rilievi attinenti agli assetti organizzativi;
   secondo quanto riportano diverse fonti sindacali, nella trattativa in corso, Fincantieri non garantisce l'integrità del gruppo, ma intende procedere allo scorporo di interi reparti a cominciare da quello della meccanica dello stabilimento di Riva Trigoso (Sestri Levante), come riportato anche dalla testata Il Secolo XIX del 30 marzo 2015;
   a preoccupare i lavoratori, in particolare, è il fatto che l'esternalizzazione delle cosiddette lavorazioni a basso valore aggiunto, che potrebbe riguardare in futuro interi reparti di tutti i cantieri sul territorio nazionale, possa comportare nel tempo la morte dei cantieri stessi;
   nel corso dell'incontro tenutosi il 22 dicembre 2014 tra Fincantieri e il Coordinamento nazionale di Fim, Fiom, Uilm, su richiesta delle segreterie nazionali dei sindacati, queste ultime hanno ribadito la necessità di individuare «una serie di interventi funzionali a porre fine a un modello di indotto formato da un sistema di appalti e subappalti ormai fuori controllo, spesso fonte di illegalità e violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori»;
   Fincantieri è una società controllata da Fintecna, a sua volta controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso Cassa depositi e prestiti e le scelte sugli assetti organizzativi operate dall'azienda incidono in modo significativo sulle opportunità di sviluppo dei territori interessati oltre che sui lavoratori –:
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di loro competenza, i Ministri interrogati, al fine di garantire l'integrità del gruppo Fincantieri, evitando lo scorporo dei reparti. (5-05446)


   FERRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha disposto, nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, la riduzione dell'importo del diritto annuale di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l'anno 2014, con le seguenti modalità: per l'anno 2015, del 35 per cento, per l'anno 2016, del 40 per cento e, a decorrere dall'anno 2017, del 50 per cento; tale decisione imporrebbe al sistema camerale di innescare un processo di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa;
   in questo quadro di riferimento la camera di commercio di Roma per delibera di giunta ha innescato un processo di riorganizzazione della sua ramificazione territoriale che prevede la chiusura delle sedi di Civitavecchia e Velletri e prospetta la chiusura della sede di Guidonia;
   l'iniziativa si inquadrerebbe nel processo di autoriforma del sistema che coinvolge in attività di razionalizzazione dell'organizzazione e contenimento dei costi già molti altri enti camerali su iniziativa dell'Unione italiana delle camere di commercio, costituendo nei fatti un'anticipazione di uno degli aspetti del processo di riforma avviato dal Governo con la previsione già operativa di progressiva riduzione del diritto annuale a carico delle imprese;
   tutte le imprese e i cittadini di Roma che volessero usufruire di servizi camerali quali la vidimazione e la bollatura di libri contabili, il rilascio del dispositivo di firma digitale, l'attività di certificazione delle imprese e quella relativa ai protesti, il rilascio di carte tachigrafiche per conducenti, aziende e officine, l'iscrizione e il sostenimento dell'esame al ruolo taxi e noleggio con conducenti sarebbero costrette a recarsi, con enorme disagio, sia in termini di code, sia di distanza, sia di costi, nelle uniche sedi aperte di Roma ubicate a nella zona sud della città e precisamente in viale Oceano Indiano (zona Torrino) e in via Capitan Bavastro (zona Ostiense);
   con delibera del consiglio n. 23 del 15 dicembre 2014, la camera di commercio di Roma ha previsto nell'ambito della gestione straordinaria, per l'anno 2015, plusvalenze da alienazioni per circa 17,7 milioni di euro a seguito della vendita di partecipazioni non più strumentali e di alcuni degli immobili di proprietà camerale, in particolare le sedi distaccate di Velletri e Civitavecchia (la cui chiusura è stata già deliberata dalla Giunta) e l'immobile sito in Via Capitan Bavastro, per la cui dismissione servirà un'apposita delibera di giunta;
   le imprese ed i sindaci delle aree interessate alle chiusure delle sedi hanno promosso iniziative e petizioni all'indirizzo della camera di commercio di Roma affinché il territorio non venga privato dell'importante servizio reso dagli sportelli –:
   se disponga di informazioni circa i dettagli del progetto riorganizzativo previsto dalla camera di commercio di Roma che prevede la chiusura di tutte le sedi distaccate, in particolare quella di Civitavecchia, quella di Velletri e quella di Guidonia. (5-05453)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Giancarlo Giordano e altri n. 1-00835, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Costantino.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Liuzzi e De Lorenzis n. 2-00945, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luigi Di Maio.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-05421, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Lorenzis, Petraroli, Scagliusi, Brescia.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Fabrizio Di Stefano n. 4-08937 del 24 aprile 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Fratoianni n. 4-07491 del 13 gennaio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05454.